Storia della
formazione professionale
in Italia 1947-1997
Volume III
Gli anni ’90
Fulvio GHERGO
Anno 2013
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©2013 By Sede Nazionale del CNOS-FAP
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SOMMARIO
PREFAZIONE.................................................................................................................... 5
CAPITOLO V
Gli anni ’90. La crescente dipendenza
della Formazione Professionale dall’Europa.
Verso un Sistema di Formazione Continua
INTRODUZIONE
Gli eventi e i fenomeni del decennio ....................................................................... 13
A. Il Sistema di Formazione Professionale
1. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1998 ............................................ 29
2. I Programmi e le Iniziative comunitarie .............................................................. 62
3. La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale.... 95
4. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1994............................................ 148
5. I Programmi e le Iniziative comunitarie .............................................................. 181
6. La normativa regionale in materia di Formazione Professionale ........................ 236
7. Caratterizzazioni e connotazioni strutturali e funzionali del Sistema di Formazione
Professionale regionale .............................................................................. 269
8. Organizzazione, attività e politiche della Formazione Professionale nelle
Regioni e Province Autonome ............................................................................. 373
B. Formazione Professionale e occupazione
B.1 Formazione Professionale e occupazione giovanile
1. I contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione lavoro ........... 617
2. Nuovi sistemi di alternanza: work esperiences.................................................... 633
3. Formazione ed imprenditorialità.......................................................................... 637
INDICE ............................................................................................................................ 639
3
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.
5
PREFAZIONE
Con questo terzo volume si conclude la Storia della formazione professionale
in Italia 1947-1997.
Cinquanta anni rappresentano per i processi formativi, che accompagnano interpretano
ed esprimono gli avvenimenti e i fenomeni di carattere sociale ed economico
della loro epoca, un periodo rilevante.
Un periodo, quindi, che dovrebbe registrare cambiamenti innovazioni riforme…
Dovrebbe, ma non sempre è successo. Ad esempio, alle soglie del 2000, la
struttura formale della Scuola Secondaria superiore italiana era ancora quella disegnata
negli Anni ’20, ed ereditata senza sostanziali modifiche dall’Italia repubblicana
dopo il 1945. L’unica novità di rilievo, rispetto al modello dualistico di Gentile
(licei/istituti tecnici), è stato lo sviluppo di un terzo polo, costituito dagli Istituti Professionali
di Stato. Né i provvedimenti “ugualitari” del biennio 1968-19701 hanno
intaccato la sostanziale diversità né ridotto l’incomunicabilità e la tradizionale gerarchizzazione
di questi tre grandi canali. La struttura dei piani di studio, è rimasta
praticamente invariata: prevalenza di discipline “umanistiche” nei Licei (compreso
il Liceo scientifico), di discipline tecniche negli istituti tecnici e di discipline “pratiche”
negli Istituti Professionali pre-progetto ’92.
Nella Formazione Professionale di questi cinquanta anni, al contrario, i cambiamenti
sono stati radicali e hanno riguardato tutti gli aspetti del sistema. Infatti cambiano:
il nome, le modalità di fare formazione, la governance, l’utenza e, rispetto al
periodo precedente, cambiano anche i soggetti che realizzano le attività.
– Cambia il nome. L’uso del termine “formazione”, che negli Anni ’70 soppianta
quello di “addestramento”, sta ad indicare il passaggio da una prospettiva che
considerava solo le abilità operative ad una visione che tiene presente tutte le
componenti della persona (intellettuale, affettiva, etica, operativa, motoria,
espressiva, sociale, religiosa). Il cambio del nome attesta un cambiamento culturale:
a tutti gli effetti un processo educativo della persona, come l’istruzione.
È vero che Istruzione e Formazione Professionale sono due processi diversi (è
la stessa Costituzione che parla di “Istruzione” e di “Istruzione e Formazione
Professionale”) in quanto l’istruzione ha come fine il conoscere, il teorizzare e
1 Maturità sperimentale, uguale per tutti gli indirizzi di studio quinquennali; prosecuzione sperimentale
fino al quinto anno di tutti i cicli di durata inferiore; liberalizzazione degli accessi all’università.
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ha a che fare con le idee e con le relazioni intellettuali formali tra le conoscenze,
mentre la Formazione Professionale fa riferimento al produrre, operare,
costruire e trasferisce le conoscenze nella realtà, mediante apposite operazioni
di progettazione e di trasformazione che diventano poi pratiche professionali
esperte. Ma è anche vero che non si può conoscere senza produrre, operare e
costruire, e viceversa. Nessuno è in grado di elaborare theoría senza téchne, e
nessuno può produrre nulla se non concepisce idee e non ha conoscenze da concretizzare.
E quindi anche la Formazione Professionale è chiamata ad essere
educativa, nel senso che, come l’istruzione è invitata a promuovere nel modo
più integrato, armonico, simultaneo e progressivo possibile tutte le dimensioni
della personalità di ciascuno, non soltanto una di esse.
– Cambia l’utenza. Nei decenni considerati la Formazione Professionale si è interessata
di volta in volta a fasce di utenze diverse, in relazione anche alle finalità
che via via le sono state attribuite. In successione si è occupata: a) dei giovani
post-obbligo negli Anni 1950-60 (quando la formazione veniva intesa come
strumento di sviluppo sociale e come moltiplicatore di opportunità occupazionali);
b) dei lavoratori coinvolti in processi di riconversione aziendale e/o produttiva,
all’inizio degli Anni ’70 (quando la formazione, in particolare quella
erogata con l’apporto finanziario del FSE, appariva come uno strumento della
politica del lavoro, nel ruolo di compensazione domanda/offerta); c) dei soggetti
scolasticamente qualificati (diplomati e laureati), nella prima metà degli
Anni ’80 (quando matura la consapevolezza che la conoscenza e l’intelligenza
sistematica rappresentino il principale fattore produttivo); d) dei soggetti a rischio
di esclusione, nella seconda metà degli Anni ’80, (quando la formazione
viene considerata come strumento di pari opportunità e di inclusione sociale e
occupazionale per le sacche consistenti delle nuove povertà e dei disoccupati di
lunga durata); e) degli occupati negli Anni ’90 (quando la formazione rappresenta
nella consapevolezza comune un bene per il lavoratore, come antidoto
contro la obsolescenza della sua professionalità e per l’azienda, come strumento
per aumentarne il tasso di competitività). Da notare che l’interesse per
una nuova utenza non si traduce in una sostituzione dei nuovi target rispetto a
quelli tradizionali. Nella Formazione Professionale, infatti, non prevale la logica
esclusiva dell’“aut aut”, ma quella inclusiva dell’“et et”, non si sceglie gli
uni a scapito degli altri, ma si tengono presenti gli uni e gli altri. Nessuna
utenza viene ignorata o eliminata (al più ridimensionata). Il risultato finale di
questi processi è la costituzione di un sistema di opportunità formative ricorrenti
lungo tutto l’arco della vita, per i bisogni legati ad ogni fase della transizione
dalla formazione al lavoro, dalla disoccupazione al lavoro, dal lavoro al
lavoro.
– Cambia la modalità di fare formazione. Negli Anni ’50 e ’60, quando cioè l’utenza
della Formazione Professionale era costituita quasi esclusivamente da
giovani post-obbligo, il modello formativo di riferimento è stato quello scolastoriaFORMAZ3-
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stico e pertanto è stata riproposta nella Formazione Professionale la struttura
organizzativa tipica della scuola: il corso-classe, l’organizzazione oraria settimanale
e il calendario annuale delle attività, le materie…. Questa impostazione
viene messa in crisi, su un piano culturale, dalla Legge quadro del 1978 (in particolare
dalle previsioni sulla struttura modulare e sull’alternanza formazionelavoro)
e, nella prassi, con le riforme del FSE del 1988 e del 1993. Il FSE, infatti,
propone un Sistema di Formazione Professionale dove la centralità non è
più riservata al corso, ma all’utente che deve entrare o è già inserito nella vita
attiva e che può avere necessità: di formazione di base o di specializzazione, di
orientamento (nella duplice accezione di “rimotivazione” o come “conoscenza
delle opportunità”), di un aiuto finanziario (al datore di lavoro) per ammortizzare
l’improduttività di un rapporto di lavoro iniziale, di azioni di
consulenza/accompagnamento per l’inserimento lavorativo, di azioni di startup
per iniziative di autopromozione o creazione di impresa, di aiuti finanziari
per la job creation. La formazione, inoltre, non è solo processo didattico d’aula
ma è anche formazione a distanza, è tutoring, è stage. Questa nuova visione,
non solo contribuisce a destrutturare i precedenti assetti della Formazione Professionale
esemplati su quelli scolastici, ma concorre a definire la fisionomia
del Sistema formativo regionale rispetto a quello scolastico statale.
– Cambia la governance. Nel 1972 avviene il trasferimento delle competenze
della Formazione Professionale dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario,
come peraltro prevede la Costituzione. E già dalla seconda metà degli Anni ’70,
progressivamente, la Formazione Professionale assume connotazioni diverse
da Regione a Regione. Questa dinamica di differenziazione subisce negli Anni
’80 un’accelerazione a tal punto che è più opportuno parlare di Sistemi che di
Sistema formativo regionale. Ci sono aree in cui le differenze tra Regioni sono
opportune (ad esempio la programmazione degli interventi che deve tener
conto dei bisogni potenzialità e vocazioni del territorio), aree in cui le differenze,
determinate da scelte politiche, sono legittime anche se discutibili (ad
esempio il ridimensionamento di alcune tipologie formative a favore di altre,
come succederà negli Anni ’90, per la prima qualificazione), e aree in cui le differenze
sono legittime ma non giustificabili (ad esempio le diverse durate dei
percorsi formativi che fanno conseguire la stessa qualifica). Ma le Regioni in
questo periodo non sono l’unico soggetto di governo della Formazione Professionale.
Infatti, la maggior parte di loro adottano l’istituto della delega: prima,
prevalentemente affidata a Comuni e Consorzi di Comuni e, successivamente,
alle Province. La materia delegata varia da Regione a Regione, ma, verso la
fine del periodo esaminato, il modello più adottato prevede le funzioni di regia
(programmazione pluriennale, indirizzo e regolamentazione) alla Regione,
mentre quelle attuative e gestionali alle Province. Ma c’è un terzo soggetto, ed
è l’Unione Europea, che progressivamente acquisisce spazi nel governo della
Formazione Professionale fino a diventare determinante sia nella programmastoriaFORMAZ3-
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zione degli interventi sia nella definizione delle regole di funzionamento del
Sistema. Infatti, per poter accedere alle risorse, sempre più cospicue del FSE, le
Regioni debbono accettare quella fitta rete di prescrizioni programmatiche e regolamentari
definita a livello comunitario. E siccome il ricorso alle risorse finanziarie
del FSE cresce con il tempo, parallelamente aumenta il livello di dipendenza
culturale dei nostri Sistemi formativi regionali dalla UE.
– Cambia il soggetto che realizza le attività. Nel cinquantennio preso in esame
dai tre volumi si sviluppa e si consolida il c.d. “pluralismo gestionale”, sistema
che utilizza strutture operative appartenenti a soggetti diversi e di diversa estrazione
culturale. Si sviluppa e si consolida grazie al fatto che questi soggetti potevano
beneficiare, per la prima volta, di un sostegno finanziario dello Stato.
Infatti dal 18612 al 1912 lo Stato si limiterà a sovvenzionare e a vigilare le
scuole per il lavoro pubbliche o, come si chiamavano allora “regie” (scuole
d’arti e mestieri, d’arte applicate alle industrie, scuole speciali industriali,
d’arte applicata, professionali femminili)3. Accanto a queste, però, c’erano, e
costituivano la grande maggioranza, altre strutture che si erano sviluppate, al di
fuori di ogni schema istituzionale e finanziamento pubblico, grazie a personaggi
e soggetti sociali mossi da principi ispiratori diversi e che si rifacevano o
al mecenatismo filantropico4, o alla visione illuminata di alcuni industriali5, o al
mutuo soccorso dell’associazionismo operaio ed artigiano6 o alla ispirazione
cristiana (area prevalente per numerosità delle iniziative promosse). Nel 1912
la L. n. 854 offre la possibilità di un riconoscimento giuridico a questo universo
composito. Per poter operare, infatti, queste strutture, dovevano avere l’autorizzazione
prefettizia, rilasciata dietro verifica di determinati requisiti relativi ai
locali, all’insegnamento e al personale7. Riconoscimento giuridico, ma non finanziario.
Sarà, infatti la L. n. 164/47, con cui si apre il cinquantennio oggetto
dei tre volumi, a prevedere l’erogazione di sussidi per le attività formative rea-
2 Nel 1859, alla immediata vigilia della seconda guerra d’indipendenza, Vittorio Emanuele II promulgava
la legge sulla istruzione pubblica, che prese il nome dal conte Gabriele Casati, Ministro dell’Istruzione.
In questo provvedimento, che fino al fascismo rappresenterà l’unica legge organica in materia,
non c’era posto per la istruzione professionale. Di questa materia se ne occupò, a partire dal
1861, il Ministero dell’Agricoltura. Industria e Commercio.
3 Nel 1903-1904 ammontavano, in tutto il territorio nazionale, a 276 con circa 40.800 iscritti.
Cfr.: CASTELLI G., L’istruzione professionale in Italia, Milano, Vallardi 1912 p. 206. MINISTERO DELL’AGRICOLTURA
INDUSTRIA E COMMERCIO, Statistica dell’esistenza all’infanzia abbandonata, Roma,
tip. Elezeviriana, 1897, p. 150.
4 Come, ad esempio, Carlo Cattaneo (Società d’arti e e mestieri di Milano, Moisè Loria (Società
Umanitaria di Milano) Aldini e Valeriani a Bologna.
5 Tra gli altri vanno menzionati Alessandro Rossi (1819-1898) a Schio e a Vicenza e i Marzotto a
Valdagno (1866).
6 Cfr. GHERGO F., Storia della formazione professionale in Italia 1947-1997 Dal dopoguerra agli
anni ’70 Vol. I CNOS-FAP, Roma 2010, p. 83.
7 Inoltre se queste scuole adottavano la durata e i programmi stabiliti per le scuole regie, potevano
essere dichiarate sedi di esami con effetti legali per gli allievi che le avevano frequentate.
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lizzate da questi soggetti, espressione della società civile e di istituzioni religiose
(soggetti che negli Anni ’70 verranno indicati con la connotazione di “privato
sociale”; privato perché giuridicamente non sono istituzioni pubbliche; sociale
perche svolgono una funzione di pubblica utilità).
Mi è gradito dedicare questo volume ai milioni di allievi che in questi cinquant’anni
hanno partecipato a qualche corso della Formazione Professionale, soprattutto
ai tantissimi giovani che, grazie ad un percorso di qualificazione di base, sono
entrati nella vita attiva, professionale e sociale. Ma la mia dedica particolare va ai
giovani che vivono oggi nel nostro Meridione ai quali pregiudizi e miopia politica
dei governi della loro Regione hanno precluso o ridotto questa opportunità.
Fulvio Ghergo
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CAPITOLO V
GLI ANNI ’90:
LA CRESCENTE DIPENDENZA
DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
DALL’EUROPA.
VERSO UN SISTEMA DI
FORMAZIONE CONTINUA
11
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INTRODUZIONE
Gli eventi e i fenomeni del decennio
1) Il periodo 1990-97
Questo terzo volume intende raccogliere le evoluzioni culturali normative e gli
avvenimenti del Sistema formativo regionale dal 1990 al 1997. Perchè ci si ferma ad
un anno intermedio del decennio e non si arriva, come sembrerebbe più naturale e,
come abbiamo fatto nel primo e secondo volume, alla sua fine che, peraltro, nel nostro
caso coinciderebbe con la fine del secolo e del millennio?
Ogni periodizzazione rappresenta, per certi versi, un tentativo di costringere le
evoluzioni dei processi, nel nostro caso formativi (mai lineari e con un inizio ed una
fine ben delineati) in costruzioni artificiali.
Ma è anche vero che in alcuni periodi avvengono dei fenomeni (socioeconomici
e/o normativi) con ricadute così importanti per i Sistemi formativi da rendere
quel periodo “una fase” abbastanza identificabile della loro evoluzione generale e
sostanzialmente non confondibile con la fase che l’ha preceduta e quella che l’ha seguita.
E che cosa succede di così importante nel 1997 da considerarlo come inizio di
un nuovo periodo? Da questo anno, con la L. n. 196, la c.d. “riforma Treu”, comincia
quella che possiamo definire la “stagione delle grandi riforme”, realizzate, in
successione, dai provvedimenti dei ministri Berlinguer nel 2000, Moratti nel 2003 e
Fioroni nel 2006 e che aprono prospettive nuove non solo al Sistema scolastico, ma
anche a quello regionale. Infatti in questa fase “ulteriore” succede quello che non
era accaduto per cinquanta anni. La Formazione Professionale entra nel salotto
buono del Sistema formativo italiano. E questo succede in tutte le grandi riforme
che vengono realizzate in questo decennio sia dal centro-destra (Moratti) che dal
centro-sinistra (Berlinguer e Fioroni).
Il terminare la nostra narrazione con il 1997, comporta, però, degli inconvenienti,
come quello, di non poter analizzare ed offrire valutazioni conclusive sull’intero
ciclo della programmazione FSE 1994-1999 e delle connesse Iniziative Comunitarie
e del Programma Leonardo da Vinci.
2) La società della conoscenza
Quello considerato è un periodo particolarmente favorevole per la formazione
(sia nella sua declinazione scolastico-statale che in quella professionale-regionale)
perché ormai era convinzione generalizzata che, nell’era post-industriale “si è in
una fase di transizione verso una nuova forma di società, la società della cono-
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scenza”1, come afferma Libro bianco2 della Cresson3 per il quale il possesso di cultura
generale e professionale diventa discriminate per l’entrata e per la permanenza
con successo nella vita attiva.
Tre sono macrofenomeni che caratterizzano questa fase di transizione verso la
società della conoscenza: a) le tecnologie dell’informazione che hanno trasformato
la natura del lavoro e l’organizzazione della produzione; b) la mondializzazione
delle economie che comporta una libera circolazione senza precedenti oltre che dei
capitali, dei beni e dei servizi, anche del lavoro; c) lo sviluppo delle conoscenze
scientifiche e dalla fabbricazione di prodotti dotati di alta tecnologia, che richiedono
un modello di conoscenze e di competenze che combina estrema specializzazione e
creatività Questi tre macrofenomeni impongono nuove sfide ai Sistemi educativoformativi,
i principali responsabili dell’acquisizione di nuovi saperi e dell’adeguamento
e manutenzione costante delle competenze individuali:
“La finalità ultima della formazione, che è di sviluppare l’autonomia della persona e la
sua capacità professionale, ne fa l’elemento privilegiato dell’adattamento e dell’evoluzione.
Pertanto, le due risposte principali suggerite dal presente Libro bianco sono, anzitutto,
di permettere a ogni individuo, uomo o donna di accedere alla cultura generale e,
in seguito, di sviluppare la sua attitudine al lavoro e all’attività”4.
La Formazione viene avvertita ora, come mai era successo prima, fattore di
successo, delle persone e delle economie. E non avere conoscenza (cultura generale
e professionale) diventa fenomeno di emarginazione sia delle persone, estraniate
dalla vita comunitaria perché mancanti delle chiavi di comprensione dei fenomeni
sociali5 e dal mondo del lavoro perché con una dotazione professionale poco spendibile,
sia dei sistemi produttivi, estraniati dal mercato perché poco innovativi e
quindi poco concorrenti.
1 COM(95) 590 def. Libro bianco su Istruzione e Formazione Insegnare e apprendere, verso la
società della conosenza, Bruxelles, 11 novembre 1995.
2 Secondo la definizione ufficiale riportata sul portale dell’Unione Europea: «I Libri bianchi sono
documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico. Talvolta fanno seguito
a un libro verde pubblicato per promuovere una consultazione a livello europeo. Mentre i libri
verdi espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico, i libri bianchi contengono una raccolta
ufficiale di proposte in settori politici specifici e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione
».
3 ÉDITH CRESSON CAMPION (1934), politica francese socialista, più volte ministro, è stata la prima
e finora unica donna ad essere Primo Ministro della Francia (aprile ’91-maggio ’92). Nel 1995 è nominata
membro della Commissione Europea, e le è assegnata la delega alla scienza, alla ricerca e allo sviluppo.
Nel 1999 è tra i protagonisti dello scandalo di corruzione e nepotismo che investì la Commissione
Santer.
4 COM(95) 590 def. Libro bianco su Istruzione e Formazione Insegnare e apprendere, verso la
società della conosenza, op. cit., pp. 9-11.
5 Ibidem “Esiste quindi il rischio che la società europea si divida fra coloro che possono interpretare,
coloro che possono soltanto utilizzare e coloro che sono emarginati in una società che li assiste. In
altri termini, fra coloro che sanno e coloro che non sanno”.
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3) La formazione nelle riforme dei Fondi strutturali del 1988 e del 1993
La consapevolezza del ruolo strategico dei processi formativi è una delle idee
guida della riforma dei fondi strutturali del 1988 (cfr. par. 1) e del 1993 (cfr. par. 4)
perché la formazione è percepita come fattore di “coesione economica e sociale”,
che rappresenta la finalità ultima dei fondi stessi.
Una politica di coesione economica e sociale consiste nel perseguimento di una
società europea più giusta, portatrice di pari opportunità per tutti i cittadini, indipendentemente
dalla loro ubicazione territoriale, e in cui non vi siano disparità di sviluppo
economico e sociale.
E gli investimenti in formazione, inseriti in una strategia macroeconomica di
sviluppo, garantiscono valore aggiunto in termini di innovazione, competitività e
occupazione, e favoriscono l’avvio di processi virtuosi e dinamici di crescita per
tutti e in tutte le regioni della Comunità. È proprio per questa consapevolezza che il
FSE è l’unico fondo strutturale ad essere stato inserito in tutti gli Obiettivi delle due
riforme menzionate. Questo collocazione trasversale del FSE sta ad indicare che è
non più considerato un ammortizzatore sociale ma un fondo di investimento per la
valorizzazione delle risorse umane.
La formazione quindi, lungi da essere considerata, come nel passato, prevalentemente
un costo, rappresenta, ora, soprattutto un investimento.
4) I macrofenomeni che caratterizzano la Formazione Professionale italiana
Due sono macrofenomeni che più di altri connotano la Formazione Professionale
di questo periodo:
1. l’influenza sempre più determinante del Fondo Sociale Europeo;
2. la prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua.
L’uno e l’altro fenomeno cambiano radicalmente la configurazione della formazione
regionale del nostro Paese, tanto che possiamo affermare che il sistema disegnato
dalla L. quadro n. 845 non c’è più o c’è sempre di meno.
5) La dipendenza finanziaria e culturale dall’Unione Europea
La presenza “massiccia” e “pervasiva” del FSE nella nostra Formazione Professionale
rende praticamente il Sistema regionale dipendente dall’Unione Europea.
Doppiamente dipendente: a) sotto il profilo finanziario e b) quello culturale.
a) Si consideri che con la riforma dei fondi strutturali, soprattutto con quella del
1993, il FSE copre tutte le tipologie di offerta formativa: dalla prima qualificazione
dei giovani a quella per adulti disoccupati, da quella per giovani diplomati/
laureati a quella per occupati, da quella per soggetti a rischio di emarginazione
sociale e occupazionale a donne che desiderano rientrare nel mondo del
lavoro dopo un periodo di volontario allontanamento. Ma il FSE non cofinanzia
solo formazione ma anche azioni di orientamento, pre-formazione, sostegno
alla mobilità geografica e professionale, aiuti all’occupazione, compresi i trattastoriaFORMAZ3-
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menti sostitutivi della retribuzione, sostegno alla creazione di impresa ed all’autoimpiego…
Insomma il FSE copre tutti gli snodi di transizione alla vita attiva e
dentro la vita attiva, con un diversificato panel di strumenti e strategie operative.
Le Regioni per poter accedere ad un menù così ricco utilizzano le loro risorse
finanziarie insieme a quelle messe a disposizione dal Fondo di rotazione,
come sponda per il cofinanziamento della Unione Europea, perché così prescrivono
le regole comunitarie. Aumentando, però, la disponibilità delle risorse da
parte del FSE (come avviene soprattutto con la programmazione 1994-1999) le
Regioni devono aumentare la loro quota di cofinanziamento. Ma se utilizzano le
proprie risorse in misura consistente, spesso prevalente, talvolta esclusiva come
sponda al cofinanziamento in tutte le azioni, formative e non, consentite dal
FSE allora le azioni programmate e realizzate con il contributo del FSE diventano
consistenti, prevalenti o esclusive. Per misurare il fenomeno descritto si
può ricorrere all’indice di dipendenza, calcolato misurando l’incidenza delle attività
dal FSE (e relativa quota di finanziamento regionale) sul totale delle attività
approvate dalle amministrazioni regionali. Ebbene, nel 1995, tale indice
per l’intero Paese è pari al 61,3% in termini di azioni e al 68,3% in termini di
spesa; i valori salgono, però, al 69,6% e al 73,2% se si include anche la quota
relativa ai Programmi Operativi Multiregionali. Se consideriamo, però, la situazione
di ciascuna Regione rileviamo che, in 11 di loro, il grado di dipendenza
dal FSE in termini finanziari è superiore al 90% ed in 4 di queste (tutte del Mezzogiorno)
è pari al 100%.
b) Il FSE insieme alle risorse finanziarie “prescrive” precise scelte programmatiche
e disposizioni regolamentari. Il cofinanziamento è concesso, infatti, subordinatamente
al rispetto di vincoli programmatici e procedurali. L’insieme
delle decisioni assunte con la riforma dei fondi strutturali del 1988 e con la sua
revisione del 1994 nonché e i programmi e le iniziative comunitarie operative
negli Anni ’90, non rappresenta solo la politica di Formazione Professionale
della Comunità/Unione, ma costituisce un riferimento decisivo per il nostro
Paese a tal punto da configurarsi sostanzialmente come il quadro programmatico-
regolamentare da cui si fanno derivare le più importanti scelte di carattere
contenutistico e procedurale che connotano i Sistemi formativi regionali. Per
questo abbiamo parlato di dipendenza culturale.
6) Una dipendenza provvidenziale… quasi sempre
Perché usare il termine dipendenza se nelle scelte, in base al principio della
partnership, c’è stato il contributo dei Paesi membri nella elaborazione dei Piani e
dei programmi? Perché dipendenza se c’è una condivisibilità sostanziale delle scelte
effettuate dalla e con la UE?
Senz’altro il termine, se assunto scrictu sensu, è improprio. Ma sta solo ad indicare
il fatto che mutamenti profondi e organici, anche se condivisi e partecipati,
sono stati indotti da sollecitazioni esogene e non da maturazioni interne alle RestoriaFORMAZ3-
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gioni. Regioni che debbono necessariamente disegnare le proprie programmazioni
di attività ed adattare le proprie procedure alle decisioni della Comunità,
Anche se possiamo dolerci che le innovazioni non nascono dalla cultura delle
nostre Regioni non possiamo non riconoscere che i nostri Sistemi di formazione regionali
hanno imparato molto dall’Europa:
a) le Regioni hanno imparato a programmare per obiettivi, quando prima la loro
pianificazione procedeva secondo paradigmi amministrativi e distribuivano le
risorse sulla base del consolidato storico.
b) Le Regioni hanno imparato a mettere al centro della loro azione i bisogni dell’utente
mentre prima la centralità, era riservata al “corso”, unico prodotto della
Formazione Professionale. Su questo versante occorre evidenziare il ruolo determinante
dei Programmi e delle Iniziative comunitarie le acquisizioni delle
quali sono state trasferite all’interno della normativa del FSE e nella quotidianità
della prassi. Ruolo determinante perché contribuiscono alla ridefinizione
dello statuto epistemologico della Formazione Professionale, in quanto favoriscono
il superamento della visione “scolasticistica” che la identificava con il
percorso formativo. Adottando una logica che non parte dal prodotto (e che
quindi mette l’accento su un tipo di intervento standardizzato) ma dalle utenze
(portatrici di una pluralità di bisogni) Programmi e Iniziative mettono in campo
una grande varietà di strategie e strumenti: ricerca, analisi di fabbisogni, formazione
(in presenza, a distanza, ecc.) orientamento, tutoring, assistenza e consulenza,
monitoraggio e valutazione, sistemi informativi, elaborazione di prodotti
e software multimediali, costruzione di data base, reti e osservatori, centri specialistici,
servizi per l’infanzia (micronidi, ludoteche...) centri d’incontro per
l’età evolutiva, sportelli informativi, convegni e workshop... Quindi non più
solo formazione, non più solo il “corso” ma una pluralità di opportunità per la
soluzione di un problema che spesso non è solo formativo.
c) Le Regioni hanno imparato che la valutazione è una dimensione trasversale di
tutta la Formazione Professionale e che non riguarda, quindi, solo la verifica dei
risultati dell’apprendimento e della acquisizione delle competenze, ma anche
l’azione (prima durante e dopo la sua realizzazione), la struttura che l’ha progettata
e portata a compimento e il sistema di governo che l’ha programmata e finanziata.
Le Regioni hanno quindi imparato dall’Europa, anche se con difficoltà o almeno
non tutte con gli “stessi tempi di apprendimento”.
E comunque, quando le sollecitazioni a cambiare culture e prassi vengono “dall’esterno”
(e quindi possono essere sentite come imposizioni) e non per una maturazione
interna (quando vengono avvertite come bisogni), il rischio che i cambiamenti
e le acquisizioni siano solo di facciata è sempre presente.
Nell’insieme, a parte carenze e ritardi, non possiamo non concludere che la “dipendenza”
dall’Europa sia stata provvidenziale. Anche se non sempre. Ad esempio,
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18
l’aver fatto adottare le procedure concorsuali anche per la selezione degli interventi
di prima qualificazione post-obbligo è stata, a nostra avviso, una forzatura. Infatti,
un’azione ricorrente con forti connotazioni educative e, quindi, necessariamente da
affidarsi a soggetti che, da una parte, diano garanzie di continuità e, dall’altra, per
dirla con una vecchia espressione della Legge quadro, siano portatori di una “proposta
formativa”, è stata omologata a interventi di carattere progettuale-contingente
e finalizzati prevalentemente all’acquisizione di competenze tecniche (come può essere
un intervento destinato ad adulti), che invece potevano essere affidati a soggetti
attuatori mediante la procedura concorsuale.
7) La prima implementazione di un “sistema” di Formazione Professionale Continua
Negli Anni ’80 e all’inizio del decennio si poteva registrare un numero significativo
di attività formative professionalizzanti per occupati realizzate da una pluralità
di soggetti quali le imprese, le Università, le società di consulenza ma anche dal
Sistema formativo regionale. Infatti, secondo le rilevazioni Isfol sulle attività programmate
dalle Regioni nel 1990-91 gli adulti coinvolti in azioni di qualificazione
riqualificazione aggiornamento specializzazione erano circa 130.000, (quasi il 35%
di tutti gli allievi di quell’anno), la maggior parte dei quali persone occupate. Ciò
che mancava quindi nel nostro Paese non erano le attività, ma un Sistema di Formazione
Continua, cioè:
– una identità espressa da una definizione chiara per cui quell’insieme di interventi
non è confondibile e riducibile ad altri;
– un quadro normativo, che oltre che regolamentarne il funzionamento ne rappresentasse
una legittimazione sociale, che desse consistenza alla consapevolezza
maturata in questi anni che la formazione costituisce un bene comune per il lavoratore
e per l’azienda. Infatti, in quanto strumento di manutenzione della professionalità
rappresenta per il lavoratore un antidoto contro la sua obsolescenza
e per il sistema aziendale uno strumento per aumentarne il tasso di competitività;
– risorse finanziarie adeguate (nel volume) e continue (nel tempo).
E, nei primi anni del decennio la Formazione Continua non ha né una definizione
certa e condivisa nè una normativa di riferimento né finanziamenti certi.
Infatti non era ancora chiaro che cosa essa fosse: equivoca la sua definizione e
confusi i confini con altre offerte formative (le prime definizioni la fanno coincidere
con la Formazione Professionale degli adulti, mettendo insieme disoccupati ed occupati).
Progressivamente si va verso l’accezione francese di Formazione Continua
come formazione di soli occupati; accezione che si consolida e si stabilizza nel dibattito
e nella letteratura del nostro Paese verso la fine degli Anni ’90.
Le basi normative, invece, sono fornite dalla L. n. 136/96 che all’art. 9 prevede
che Ministero del Lavoro Regioni e Province autonome possano finanziare interventi
formativi in favore dei lavoratori occupati del settore privato in posizione di lastoriaFORMAZ3-
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Grafico n. 1 - Numero di corsi programmato dalle Regioni, dall’a.f. 1984 all’a.f. 1997, per la
formazione di primo livello e per la Formazione Continua (v. %)
voro dipendente, o di lavoratori appartenenti a specifiche categorie. Ciò che la L. 36
prevede come possibilità, una circolare mette in pratica. Infatti la circolare n. 174/96
del Ministero del Lavoro dà vita ad un piano di attività, da realizzare a livello regionale,
con una cospicua dotazione finanziaria. Ma in quegli anni la Formazione Continua
poteva contare anche sulle risorse comunitarie, in particolare quelle dell’Ob. 4,
esclusivamente riservato alla Formazione Continua e introdotto per la prima volta
nella riforma del 1993. Risorse adeguate, ma ancora contingenti, in quanto derivate
da fonti finanziarie a termine. La soluzione per assicurare al neonato sistema di continuità
dei finanziamenti verrà proposta dall’Accordo per il lavoro del 1996 e che
verrà ripresa dal pacchetto Treu, “con l’attribuzione graduale ed integrale del contributo
dello 0,30”. Intanto succede nel Sistema regionale un evento epocale: grazie
soprattutto alle risorse finanziarie dell’Ob. 4 si verifica, nell’a.f. 1995-96, il sorpasso
della formazione degli adulti (nella quale la quota degli occupati era fortemente
maggioritaria), sulla formazione di prima qualificazione post-obbligo. Infatti, secondo
l’indagine realizzata dall’Isfol sulla base dei Piani annuali delle Regioni e
Province Autonome, in quell’anno formativo il peso percentuale delle attività per
adulti supera di circa 6 punti quello della formazione di primo livello, per consolidare
poi, nell’anno successivo, il distacco con un gap di 20 punti. Nella introduzione
del II volume abbiamo intitolato un paragrafo “gli allievi: un sistema pieno di giovani
e adulti”. Questo paragrafo, invece, lo avremmo potuto chiamare “gli allievi:
un sistema pieno di adulti e di giovani”. I giovani, che erano stati la componente
esclusiva (Anni ’50 e ’60) o prevalente (Anni ’70 e ’80), diventano minoritari negli
Anni ’90 (cfr. Graf. n. 1).
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8) La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale
Nel periodo considerato da questo volume le legislature sono tre: la decima, la
undicesima e la dodicesima. In tutte e tre il tema della riforma della secondaria è tra i
temi “caldi” (cfr. par. 3). Ma in tutte e tre, le discussioni parlamentari si sono svolte
secondo questo canovaccio: posizioni partitiche iniziali differenziate, mediazioni
estenuanti con qualche risultato, sospensione delle trattative o fine della legislatura.
In conclusione le convergenze si realizzano sulla necessità di un prolungamento
dell’obbligo, le divergenze, invece, sulle soluzioni per realizzare il prolungamento,
che alcuni vorrebbero solo all’interno del sistema scolastico (sia la destra che la sinistra),
altri invece (solo la DC) anche al di fuori.
Le argomentazioni degli uni e degli altri sono quelle di sempre.
La DC pone l’accento sulla equipollenza ai fini formativi dei diversi percorsi e
soprattutto sulla necessità di diversificare l’offerta di istruzione in funzione della
piena valorizzazione delle diverse attitudini, capacità e inclinazioni presenti tra i
giovani nella fascia dei 14-16 anni.
Il fronte laico si oppone a queste motivazioni invocando la necessità di assicurare
a tutti, per motivi di equità, gli stessi percorsi.
E ai primi che replicano che l’equità si ottiene non con l’uniformità ma con la
differenziazione, cioè non assicurando a tutti gli stessi percorsi, ma a ciascuno il percorso
più congeniale, i secondi rispondono con la necessità di non far operare ai giovani
scelte alternative troppo precoci.
Alla successiva risposta che un biennio unitario e non professionalizzante produce
abbandoni e dispersione si risponde con l’esigenza di non discriminare e il circolo
dialettico continua.
Cos’è che rompe questo girotondo dialettico e fa registrare qualche convergenza?
Una prima volta, con il DDL Mezzapesa, è l’idea di sperimentazione. L’obbligo
fino a 10 anni, in via provvisoria e a titolo sperimentale può essere assolto con la
collaborazione del Sistema formativo regionale (corsi sperimentali ad ordinamento
speciale). È un’idea che esclude soluzioni definitive e quindi conserva intatte le speranze
dell’uno e dell’altro fronte di far prevalere alla lunga le proprie tesi.
Una seconda volta invece, con un testo unificato della VII Commissione del Senato
(relatore Manzini), è l’idea della collaborazione istituzionale tra Stato e Regioni.
I due soggetti istituzionali stipulano Accordi di programma territoriali, che
prevedono tra l’altro progetti per i prosciolti dall’obbligo d’istruzione anche “una
prima formazione professionale di base orientata al lavoro”, progetti realizzati o
dalle scuole o “mediante convenzioni con le strutture di formazione professionale o
con altre istituzioni educative e formative”.
L’interruzione della legislatura soffoca anche questo tentativo per far entrare la
Formazione Professionale nel Sistema d’istruzione accanto alla Scuola.
Dopo aver citato il Libro bianco “Verso la società della conoscenza”, dove
Istruzione e Formazione Professionale sono considerati percorsi con missioni distoriaFORMAZ3-
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verse ma necessari entrambi e di eguale dignità, nel ripercorre il dibattito che in
questi anni si fa nel nostro Parlamento nazionale sull’assolvimento dell’obbligo d’istruzione
si ha una sensazione di grettezza culturale e di provincialismo.
Perché in questa diatriba ci sono un po’ tutti gli stereotipi che accompagnano
ogni discussione sul Sistema formativo del nostro Paese: la contrapposizione tra cultura
e lavoro (che da Gentile in poi ci trasciniamo dietro) ma anche i vecchi retaggi
anticlericali, che non vengono mai clamorosamente alla luce, ma che operano in sordina
per tentare di eliminare o almeno contenere, quella eredità di iniziative promosse
e realizzate da Enti e CFP d’ispirazione cristiana e gestite, prevalentemente,
da congregazioni religiose, in nome di una educazione che si vorrebbe più “laica”
possibile.
9) Un linguaggio ed un’offerta formativa nuova: l’integrazione tra Sistemi formativi
Mentre assistiamo allo stallo sul piano politico-parlamentare nei confronti della
riforma dei Sistemi formativi, sempre annunciata e mai effettuata, Scuola e Formazione
Professionale procedono se non ad un’autoriforma almeno a ridisegnare e
reimpostare i rapporti vicendevoli, perché le innovazioni culturali spesso vanno più
veloci delle Leggi (cfr. par. 3.8.2).
E le elaborazioni concettuali maturate in questi anni parlano chiaro, parlano di
interazioni e non di steccati, di collaborazione e non di conflittualità. La velocità e la
pervasività delle trasformazioni tecnologiche ha stravolto i ritmi e i tempi della formazione
ed il mix cultura di base - cultura specialistica - professionalizzazione - cultura
organizzativa, sono ormai componenti inscindibili. Essi, anzi, costituiscono una
dotazione personale che ciascuno dovrebbe possedere, riaggiornare e ricombinare
per tutto l’arco della propria vita attiva, a prescindere dalla posizione lavorativa che
ricopre o ricoprirà.
Pertanto, una Scuola per chi studierà ancora e una Scuola per chi lavorerà non
serve più. E di conseguenza non si giustifica più, e non è funzionale, lasciare che un
elevato grado di rigidità, di non permeabilità, impedisca di fatto quell’osmosi che
aprirebbe le strade per una loro fruizione più dinamica da parte delle differenti
utenze. Dunque, i Sistemi sono ancora bloccati dalle morse di mancate riforme o
normative quadro, ma, al loro interno, non sono così asfittici come si potrebbe supporre.
Esistono molteplici e significativi interventi ed esperienze, nate proprio nell’intento
di favorire un raccordo tra il Sistema Istruzione, compresa l’Università, e
quello della Formazione Professionale, (e spesso, tra questi ultimi ed i rappresentanti
delle parti sociali). È una offerta formativa che non nasce in questo periodo;
l’avevamo rilevata anche nei decenni precedenti, ma era ancora a livello embrionale.
In questo decennio si sviluppa, fino a costituire quantitativamente e tipologicamente
una nuova offerta formativa. E con la crescente presenza di questa offerta
prendono piede, nel linguaggio corrente, termini che non avremmo mai sospettato
di usare qualche anno addietro: integrazione, interazione, collaborazione intersistemica.
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10) Le foto più rappresentative della Formazione Professionale degli Anni ’90
Ma, nell’insieme, quale immagine della Formazione Professionale ci consegnano
gli Anni ’90? Con quali “fotogrammi” potremmo meglio descrivere i dati e i
fatti che racconteremo in questo volume?
1) Innanzitutto quello di un settore che ha raggiunto dimensioni notevoli per
utenza, per personale, per strutture operative e per attività. Si consideri che nel
1996 gli iscritti erano 406.920 (cfr. par. 7.4.3), il personale ammontava a 25.700
operatori e le sedi dove venivano realizzati gli interventi 3.800, di cui 1500 CFP
e 2300 sedi occasionali (cfr. par. 7.4.4). Il numero dei corsi programmati ha
fatto registrare nel periodo preso in esame un costante aumento, passando dai
18.532 nell’anno formativo 1989-90 ai 26.251 nel 1996-97; incremento imputabile,
soprattutto, alla maggiore dotazione e utilizzazione del FSE, dopo la riforma
del 1993 (cfr. par. 7.4.1). La prima formazione da 7.733 corsi dell’inizio
del decennio ne fa registrare 6.156 nell’a.f. 1996-97, ma dopo avere raggiunto,
nell’anno precedente, gli 8.559 interventi. Il secondo livello (corsi di integrazione
Scuola Formazione Professionale e interventi per il post-diploma e postlaurea)
sale dai 3.436 interventi del 1990-91 ai 5.819 del 1996-97. Stazionari i
corsi speciali (nell’accezione Isfol comprendono gli interventi per soggetti a rischio
di esclusione o, come venivano chiamati allora per “fasce deboli” e quelli
previsti da normative nazionali o regionali per l’esercizio di particolari attività e
professioni): 2.397 erano nell’a.f. 1990-91 e 2.336 sono nel 1996-97. La Formazione
Continua6, come già considerato, fa registrare una vera esplosione: nel periodo
in esame estende la sua presenza da 7.428 corsi a 11.940.
2) È un settore che offre opportunità formative articolate e per tutto l’arco della
vita. Infatti, al di là del peso che in determinati periodi storici può assumere
questa o quella tipologia formativa (negli Anni ’60 e ’70 la prima formazione,
negli Anni ’80 il secondo livello e, in questi anni, la Formazione Continua) la
Formazione Professionale si connota come Sistema di Formazione ricorrente,
aperto a tutti i fabbisogni formativi di giovani ed adulti, in qualsiasi momento
questi si trovino del processo di transizione dalla scuola al lavoro, dalla disoccupazione
al lavoro, dal lavoro al lavoro. In un panorama di istituzioni formative
immobili, la Formazione regionale ha raccolto le sollecitazioni di una domanda
di formazione diversificata e si è strutturata in una offerta formativa tipologicamente
articolata. Ma tanta letteratura non se ne accorge e continua,
anche in quegli anni, a recitare la falsa litania di una Formazione Professionale
regionale immobile e “giovanilistica”.
6 Nel sistema classificatorio dell’Isfol la Formazione per adulti è sinonimo di Formazione Continua,
in quanto comprendeva, come ancora avveniva anche nella letteratura del settore, sia la Formazione
per occupati che quella per disoccupati adulti. I corsi per i primi erano comunque molto più numerosi
che gli interventi per i secondi. I dati disaggregati per il 1995-96 e 1996-97 parlano di un rapporto
di 3 a 1 (esattamente 7.822 corsi per occupati e 2.178 per disoccupati per il primo anno e 8.623
per occupati e 3.317 per disoccupati nel secondo anno).
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3) È un settore ad alto tasso di produzione legislativa (cfr. par. 6). Dal 1990 al
1997, infatti, sono state emanate 59 leggi di cui 10 di natura ordinamentale
(nel senso che regolamentano tutti gli aspetti del Sistema formativo-professionale).
La maggior parte di queste 10 leggi organiche sono inquadrabili nella
c.d. legislazione di seconda generazione, che si caratterizza per una programmazione
unitaria di tutte gli strumenti delle politiche attive del lavoro, per la
configurazione del Centro di Formazione Professionale come sede di erogazione
di una pluralità di servizi, formativi e non, e per la centralità del tema
della valutazione. È doveroso notare, però, che nel corpus legislativo della
formazione regionale si verifica, in misura considerevole, uno scollamento tra
la norma e la sua effettiva applicazione. La Legge prevede comportamenti,
procedure e Istituzioni che non riscontriamo nella struttura e nella prassi delle
Regioni.
4) È un settore che ha trovato un equilibrio istituzionale tra competenze riservate
alla regione e competenze delegate a soggetti sub-regionali (cfr. 7.5.2). Tutte le
13 Regioni che hanno previsto questo istituto hanno scelto come soggetto di delega
la Provincia. Rispetto ai decenni precedenti, quando era stato privilegiato il
soggetto amministrativo a livello territoriale più basso, il Comune, anche se, il
più delle volte, nella forma associativa di Consorzi di Comuni o Comunità montane,
si verifica una generalizzata inversione di tendenza che vede nella Provincia
il soggetto di delega più adeguato. Anche se queste 13 Regioni distribuiscono
diversamente le competenze all’uno o all’altro soggetto, il modello base
di riferimento è quello che riserva alle Regioni le funzioni strategiche (programmazione
pluriennale, regolamentazione-indirizzo e controllo-valutazione)
e alle Province le funzioni attuative (pianificazione annuale, gestione degli ex
Centri di Formazione Professionale regionale).
5) È un settore che sta costruendo modalità di funzionamento nuove, ricorrendo a
paradigmi processuali molto diversi dal passato. Grazie soprattutto alle sollecitazioni-
condizionamenti provenienti dalla Unione Europa, come abbiamo precedentemente
affermato, si stanno diffondendo nuovi modelli procedurali, che
si muovono lungo questa traiettoria: programmazione pluriennale di carattere
strategico, che spesso coincide con la elaborazione dei Programmi Operativi per
gli Ob. 1, 3 e 4 del FSE (cfr. 7.6.1 e 2), emanazione di avvisi pubblici per gli interventi
da realizzare, predisposizione e presentazione alla Regione o Provincia
di un progetto formativo da parte dei soggetti che si candidano ad attuare interventi
(cfr. par. 7.6.3), selezione dei progetti mediante la loro comparazione e valutazione
(cfr. par. 7.6.4), attuazione degli interventi e loro monitoraggio-controllo
in fase di esecuzione, esame della rendicontazione finanziaria e valutazione
di efficacia ed efficienza degli interventi realizzati (cfr. par. 7.7). Ci troviamo
di fronte a innovazioni così radicali rispetto a prassi tradizionali che inizialmente
trovano impreparati sia i soggetti di governo (cfr. par. 7.5.1) che quelli di attuazione
(cfr. par. 7.6.3), tanto da esigere, soprattutto sul versante della valutastoriaFORMAZ3-
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zione, una seria riflessione scientifica che dà vita ad un’abbondante letteratura
di ricerca (cfr. parr. 7,7 e 7,8).
6) È un settore che si affida per la realizzazione delle attività a soggetti terzi, con
particolare riferimento al c.d. privato sociale7 (cfr. par. 7.5.3). Le strutture pubbliche,
per le quali la Legge quadro n. 845/78 prevedeva una valorizzazione. si
ridimensionano sotto il profilo del volume corsuale erogato e si impoveriscono
sotto il profilo formativo (si disperde così il patrimonio dell’INAPLI, ENALC e
INIASA costruito in circa 50 anni). Le strutture degli Enti di Formazione mantengono
la loro forte presenza (in alcune Regioni esclusiva), grazie soprattutto
ad una programmazione delle attività, da parte delle Regioni, attenta a non
sconvolgere i livelli occupazionali esistenti, con scelte d’interventi formativi
che spiazzassero la professionalità degli operatori presenti nei CFP degli Enti.
7) Ma questo modello egemone degli Enti sta entrando in crisi. Con la differenziazione
graduale dell’offerta formativa, infatti, si aprono spazi per nuovi soggetti.
Si consideri peraltro che, mentre la normativa italiana, nazionale e regionale, è
attenta al soggetto gestionale (e quindi alla sua fisionomia giuridica), la Comunità
è più attenta all’azione formativa (e quindi alla tipologia ed alla qualità dell’intervento).
L’ingresso di nuovi soggetti, però, non riduce in maniera significativa
la presenza degli Enti di formazione che, nel frattempo, si sono posizionati
in termini diversi: qualcuno infatti è rimasto ancorato alla formazione di
base e quindi ad un paradigma organizzativo basato sulla ricorrenza; qualcun
altro, invece, si è aperto alle nuove offerte formative e quindi si è più spostato
sulla dimensione progettuale. La maggior parte hanno scelto una via intermedia.
Nonostante la tenuta delle posizioni, sta di fatto, però, che l’Ente di formazione
non è più il soggetto attuativo esclusivo; e se per qualche Regione è
ancora una risorsa su cui puntare, per altre è una presenza da contenere, per altre
ancora solo una opportunità accanto ad altre. Si avverte, però, la necessità di
scrivere “regole nuove” sulle condizioni richieste per poter attuare iniziative
formative con risorse finanziarie pubbliche.
8) È un settore che ha problemi di riconoscibilità dei titoli che rilascia, sia da parte
della Scuola che da parte del mercato del lavoro. Questi tre sistemi, infatti,
non dialogano tra loro perché basati su criteri e categorie diversi. Dialogo che
non c’è perché la storia di ciascuno è molto diversa, ma anche perché non lo si
vuole, come insegna il progetto Fasce di professionalità8. Problema di sempre e
mai risolto, ma che ora acquista un’urgenza particolare. Il 1° gennaio 1993, infatti,
entra in vigore il Trattato di Maastricht e prende concretamente avvio la
7 Espressione che coniuga e l’aspetto giuridico-formale e l’identità sociologica-sostanziale. Ente
privato, sì, ma chiamato a svolgere funzioni pubbliche. Ente privato, ma espressione delle realtà sociali,
e nello stesso tempo, da una parte, radicato nel territorio, di cui è in grado di intercettare i bisogni
professionali e tradurli in progetti formativi e dall’altra, portatori di una “proposta formativa” e quindi
potenzialmente adeguato sotto il profilo tecnico e educativo.
8 Cfr. volume II, paragrafo 5.2.2.
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fase più ambiziosa del processo di unificazione e di integrazione europea: la libera
circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Naturalmente il concetto di
“libera circolazione” delle persone non sta ad indicare solo lo spostamento fisico
da un Paese all’altro, ma anche quello, ben più significativo, di reale collocazione
professionale a livelli analoghi a quelli del Paese di provenienza. Pertanto
il mercato europeo unico del lavoro che si configura ha bisogno di regole chiare
e concordate che permettano un riconoscimento reciproco delle qualifiche, per
evitare penalizzazioni ed azzeramenti di bagagli professionali acquisiti nei Paesi
d’origine. Se un problema nazionale diventa europeo, spetta in primis alla UE
trovare soluzioni. E infatti l’Europa nel 1992 emana la Direttiva 519, che prospetta
una soluzione nuova rispetto a quella tentata nel passato. Infatti, viene accantonata
l’idea (e il progetto del 1985) di elaborare una corrispondenza delle
qualifiche rilasciate dagli Stati membri, e si punta alla costruzione di un modello
standard di descrizione e trasmissione delle informazioni sulle competenze
possedute ed offerte dai soggetti in ingresso su altri mercati del lavoro, il cosiddetto
portfolio. Il datore di lavoro e/o l’autorità pubblica ospitante saranno liberi
di valutare, caso per caso, l’idoneità e la coerenza delle competenze ascritte
nel portfolio con i propri fabbisogni. L’Italia seguirà questa impostazione e nel
1996, dopo una gestazione laboriosa, il Ministero del Lavoro e della Previdenza
sociale emana il Decreto “Adozione degli indicatori minimi da riportare negli
attestati di qualifica professionale rilasciati dalle Regioni e Province Autonome,
con allegato modello di attestato”. Questo strumento, che certifica i percorsi
formativi e armonizza i modelli regionali di attestati di qualifca presistenti dovrebbe
divenire la vera carta di identità professionale di ogni persona.
11) La Formazione Professionale nelle misure che favoriscono l’occupazione giovanile
Gli interventi legislativi che promuovono l’occupazione dei giovani e che prevedono
anche percorsi di formazione possono essere ricondotte a tre tipologie: i
contratti a causa mista, le misure che favoriscono la imprenditorialità e i Sistemi di
alternanza formazione-lavoro.
I contratti a causa mista (cfr. B.1) fanno registrare in questo periodo, a causa
della crisi economica, forti decrementi quantitativi sia di apprendisti che di contrattisti
F.L.
L’apprendistato (la cui regolamentazione rimane sostanzialmente quella del
1995) subisce una costante e progressiva erosione: perde quasi un quarto della sua
dotazione complessiva, passando da 529.000 a 393.000 giovani.
ll Contratto di Formazione Lavoro (il cui impianto normativo del 1986 viene rivisto
nel 1994: accesso allargato ai 16-32enni e due tipologie di contratto a seconda
del livello di professionalità) dal 1989 al 1993 passa da 489.000 giovani a 481.000.
9 Direttiva 92/51/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 relativa ad un secondo sistema generale
di riconoscimento della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE.
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Purtroppo sul peso della formazione in questi due contratti dobbiamo reiterare i
giudizi negativi espressi negli altri decenni: la formazione off the job è totalmente
carente o è quasi insignificante.
Anche per gli Anni ’90 potremmo dire ciò che abbiamo affermato per gli Anni
’80: Formazione Professionale e occupazione giovanile: tanta occupazione senza
(quasi) formazione. Infatti, i corsi complementari nell’apprendistato, se si escludono
Bolzano, Trento e la Valle d’Aosta, sono praticamente inesistenti nelle altre
Regioni. Migliore, ma sempre al di sotto della sufficienza, la situazione della Formazione
nei Contratti di Formazione Lavoro, grazie alle associazioni sindacali e datoriali
(che in questo periodo, peraltro, si attivano per costituire Enti bilaterali). Le
iniziative sono per lo più sperimentali, non obbligatorie e con una utenza ridotta. I
contenuti formativi sono spesso essenziali, limitati alle 20 ore di formazione generale
sulla contrattualistica e sulle norme di sicurezza sul lavoro.
Negli Anni ’80 avevamo segnalato la buona valutazione riservata dalla letteratura
del settore alla Legge n. 44/86 che promuoveva la imprenditorialità giovanile,
intrecciando servizi consulenziali e percorsi formativi. Il tema formazione e imprenditorialità
viene declinato anche negli Anni ’90, replicando la formula della L. n. 44
che, in questo decennio, viene rifinanziata e in parte riconfiguarata da due Leggi del
1991 e del 1995 (cfr. B.3). Nasce in questo periodo un nuovo strumento di politica
attiva il Piano d’Inserimento Professionale (L. n. 451/94). Si tratta di un intervento
inquadrabile nella categoria delle Work esperiences: non alternanza lavoro-formazione,
ma alternanza studio-lavoro o disoccupazione lavoro; non le tradizionali finalità
dei contratti a causa mista (promozione dell’occupazione e della formazione)
ma finalità oltre che formative anche orientative10. Istituito nel 1994, rimarrà in incubazione
per 4 anni, fin quando non saranno definite, con un intervento ministeriale,
le procedure amministrative di attivazione.
12) L’Isfol
La fonte maggiore di informazioni e dati di questo lavoro è stato l’Isfol. E non poteva
essere diversamente, dal momento che, fin dalla sua costituzione, nel 1973, l’Istituto
aveva dato vita, come abbiamo annotato nel primo volume, ad una letteratura
scientifica sistematica e tendenzialmente organica sulla Formazione Professionale. Ma
è un Isfol diverso da quello che avevamo conosciuto negli Anni ’70, quando la sua attività
di ricerca/assistenza tecnica e produzione di software audiovisivo (nel centro di
Albano) era stata messa al servizio delle Amministrazioni regionali, che in quel periodo
erano impegnate ad una prima implementazione dei loro sistemi formativi11. Agli
inizi degli Anni ’80 l’Istituto, a seguito di una sensibile espansione quantitativa del suo
10 In questa categoria sono ricompresi anche il tirocinio formativo e la borsa di lavoro, normati
dalla Legge Treu, la n. 196/97 rispettivamente agli artt. 18 e 26.
11 Cfr. RUBERTO A., 1973-2003 L’Isfol ha compiuto 30 anni in Osservatorio ISFOL n. 1/2003
pp. 5-13.
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personale12, rappresentato da giovani prevalentemente provenienti dal mondo universitario
o della ricerca, orienta in maniera diversa la sua operatività: cessa la produzione
di materiale audiovisivo e si rompe l’equilibrio nel rapporto ricerca/assistenza tecnica-
consulenza a favore della prima e parallelamente il riferimento ai sistemi formativi
regionali diventa meno rilevante. Ha inizio in questo periodo quella situazione che
connoterà l’Istituto anche nei decenni futuri e che costituirà la sua criticità più marcata:
da una parte la tendenza alla specializzazione e alla cultura del segmento, dall’altra
la difficoltà a ricondurre tutto a sistema. Basti sfogliare il Rapporto Isfol, in cui confluisce
tutta l’attività di ricerca annuale dell’Istituto, dove aspetti importanti della formazione
professionale e ad altri di minore interesse hanno lo stesso rilievo, al di fuori
di un quadro di sintesi che li disponga secondo priorità e gerarchie13. Alla fine degli
Anni ’80 all’Isfol viene affidato l’incarico di assistenza tecnica per i Programmi Comunitari
(PETRA, LINGUA, FORCE, EUROTECNET, NOW, EUROFORM). L’Istituto
provvede ad allargare il numero del personale: processo espansivo si ripete e si intensifica
a seguito della programmazione FSE 1994-99, quando all’Istituto sono affidati
gli incarichi di assistenza tecnica al Ministero del Lavoro per gli Obiettivi 1, 3, e
4 del FSE, per le Iniziative comunitarie Occupazione e Adapt, per il Programma Leonardo
da Vinci e per la valutazione del FSE14. In questa fase naturalmente il referente
più importante è il Ministero del Lavoro e, nella misura in cui rientrano nei compiti
svolti per il Ministero del Lavoro, le Regioni. Gli incarichi conferiti naturalmente rafforzano
il ruolo dell’Istituto, gli consentono maggiori entrate e quindi una più forte capacità
di spesa e di allargamento del campo di azione. Ma la crescita operativa ha riflessi
anche sul piano dell’organizzazione interna: comporta la costituzione di nuove
unità organizzative che si muovono in una logica un po’ autarchica sia nella definizione
di piste di attività, sia nell’assunzione di quote importanti di nuovo personale e nel
ricorso massiccio a consulenti esterni. Se queste modalità organizzative, in una fase
espansiva che dura per buona parte degli Anni ’90, presentano dei vantaggi in termini
di risultati (più attività, più convegni, più presenze in commissioni e gruppi di lavoro,
maggiore produzione cartacea e multimediale...) alla lunga, determinano, senza un governo
ed un coordinamento forti, fenomeni di frantumazione operativa.
Ma questi limiti non impediscono un giudizio sostanzialmente positivo della
produzione tecnico-scientifica dell’Istituto, che, anche se con diseguale valore, costituisce
una letteratura copiosa che dà considerazione e dignità culturale ad un settore
fino ad allora abbondantemente trascurato dalla saggistica e dal mondo della ricerca
accademica.
12 L’organico passa da 35 dipendenti ad 85, con una forte prevalenza dei nuovi entrati (50 a 35).
13 Una eccezione è rappresentata dalla Conferenza Nazionale sulla formazione professionale (dall’anno
1989 al 1994), incentrata sulla relazione del Direttore Generale Alfredo Tamborlini. La relazione,
oltre ad una parte di tipo propositiva, forniva lo stato dell’arte dei Sistemi regionali, ricomponendo
le informazione e i dati rilevati dall’Istituto.
14 L’impegno su questo versante ha dato vita alla elaborazione di modelli e strumenti valutativi di
eccellente valore scientifico.
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.
29
A. Il Sistema di Formazione Professionale
1. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1988
1.1. Premessa
Ci sono due motivi importanti perché la trattazione della riforma del FSE di fine
Anni ’80 venga considerata in questo volume che si occupa, invece, degli Anni ’90.
Il primo motivo è rappresentato dal fatto che quella riforma sviluppa prevalentemente
la sua operatività nei primi Anni ’90; il secondo perché le due riforme,
quella del 1988 e quella del 1994 vanno considerate insieme in quanto la seconda è
il completamento della prima.
Entrambe, infatti, sono il frutto di una stessa gestazione culturale e rispondono
alle stesse finalità: consolidare le politiche regionali per favorire la coesione economica
e sociale.
1.2. Le riforme dei Fondi strutturali del 1988 e del 1994 e la coesione economica e
sociale
I Fondi strutturali sono strumenti finanziari gestiti dalla Commissione europea
per riequilibrare e ridistribuire le risorse all’interno del territorio europeo. Nel corso
degli anni i Fondi sono stati oggetto di riforme, anche rilevanti, ma lo scopo ultimo
del loro ruolo è il raggiungimento della coesione economica e sociale di tutte le Regioni
dell’Unione e la riduzione del divario tra quelle più avanzate e quelle in ritardo
di sviluppo.
Più precisamente una politica di coesione economica e sociale consiste nel perseguimento
di una società europea più giusta, portatrice di pari opportunità per tutti i
cittadini, indipendentemente dalla loro ubicazione territoriale, in cui non vi siano
disparità di sviluppo economico e sociale; ha una dimensione politica e mira a ridurre
le disparità, non abbassando il livello di sviluppo delle aree più abbienti, ma
promuovendo una crescita parallela di tutti gli Stati membri, che garantisca un più
elevato livello di benessere per tutte le aree geografiche.
La strategia comunitaria finalizzata a ridurre le disparità regionali ha vissuto,
negli anni, una profonda evoluzione che può essere schematizzata in tre fasi principali:
la prima copre il periodo 1958-1975, la seconda dal 1975 al 1988 e la terza
1988-1998. Con una semplificazione (forse eccessiva) potremmo affermare che la
prima fase è quella dell’incubazione, la seconda dell’implementazione e la terza del
consolidamento.
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30
I FASE (1958-1975):
Incubazione della politica comunitaria di sviluppo regionale e la nascita del FESR
I Trattati istitutivi delle Comunità europee non riconoscevano esplicitamente la
necessità di una politica regionale comunitaria in quanto, inizialmente, il divario
economico e sociale tra le diverse aree, per quanto evidente, non era avvertito come
una delle questioni politiche più rilevanti.
Nonostante il mercato comune, il Trattato di Roma riconosceva agli Stati la possibilità
di erogare aiuti nazionali per favorire lo sviluppo regionale (si pensi in Italia
alla Cassa del Mezzogiorno) e assegnava alla Commissione solo il compito di vigilare
sulla loro erogazione (in base agli artt. 87 e 88)1.
Il primo vero riconoscimento dell’esistenza di problemi regionali da affrontare
tramite il coordinamento delle politiche regionali-nazionali, si ebbe durante la Conferenza
tenutasi a Parigi nel 1972 in occasione dell’adesione alla Comunità di Danimarca,
Irlanda e Regno Unito. I Capi di Stato e di Governo si impegnarono a coordinare
le rispettive politiche regionali-nazionali, invitarono la Comunità a creare un
Fondo per lo sviluppo regionale ed infine incaricarono la Commissione di predisporre
un rapporto sulla politica regionale2. La modalità di intervento proposta dalla
Commissione europea consisteva nell’attuazione di una politica regionale comunitaria
aggiuntiva a quelle nazionali, non sostitutiva, e nella necessità di disporre di
strumenti finanziari specifici per il riequilibrio interregionale. Venne così istituito
con il regolamento n. 724/75 il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) che
segna l’avvio di una politica comunitaria di sviluppo regionale. Da quel momento ha
inizio la programmazione di interventi strutturali concentrati in particolari settori da
realizzare in zone della Comunità con svantaggi strutturali, dei quali il FESR diveniva
promotore e cofinanziatore. La programmazione copriva il triennio 1975-1977
e le risorse finanziarie messe a disposizione erano pari a circa il 4% del bilancio comunitario,
da ripartire tra gli allora nove Stati membri della Comunità.
II FASE (1975-1988):
Sperimentazione delle politiche comunitarie di sviluppo regionale e la nascita dei
PIM
Il FESR operava essenzialmente attraverso contributi a fondo perduto agli investimenti,
tanto in favore delle attività produttive quanto per la realizzazione di infrastrutture
pubbliche, purché connesse alle attività produttive3. La gestione degli stanziamenti
del FESR era inizialmente assegnata ai soli Stati membri i quali stabilivano
1 La creazione di una Direzione Generale della Commissione, responsabile della politica regionale
risale, infatti, a dopo la stipula del trattato, e cioè agli Anni ’60.
2 BRUZZO A., Le politiche strutturali della Comunità europea per la coesione economica e sociale,
CEDAM, 2000, p. 86.
3 Gli squilibri su cui interveniva, in particolare, erano quelli risultanti dalla prevalenza delle attività
agricole, dalle riconversioni e ristrutturazioni industriali e da una sottoccupazione di tipo strutturale.
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autonomamente i criteri di definizione delle aree agevolabili e godevano di quote
prefissate di finanziamenti sulle quali la Commissione non poteva esercitare alcuna
influenza4.
Si dovrà attendere il 1979 con l’emanazione del Regolamento n. 214/79, per vedere
riconosciuto alla Commissione un controllo sulle politiche nazionali realizzate
dai singoli Stati. Questo regolamento, infatti, introduceva una sezione “fuori quota”
(pari al 5% del FESR) la cui gestione veniva assegnata alla Commissione perché potesse
disporne sulla base delle proprie valutazioni.
La ricerca di nuovi criteri, tali da rendere più efficienti i meccanismi di finanziamento,
condusse nel 1984 alla seconda revisione del Fondo, grazie alla quale
venne sostituito il sistema “fuori quota” con il sistema delle “forcelle”: i finanziamenti
a favore di ogni Stato venivano aumentati fino ad un certo limite massimo per
periodi di tre anni, in una misura definita sulla base delle priorità e dei criteri stabiliti
dalla Commissione. Tale regolamento prevedeva, inoltre, che il FESR finanziasse
anche le iniziative comunitarie.
Per favorire il processo di ampliamento della Comunità a Spagna e Portogallo si
crearono, tramite il Regolamento CEE 2088/85, i cosiddetti Programmi Integrati
Mediterranei (PIM), rivolti al miglioramento delle infrastrutture socio-economiche
delle regioni mediterranee.
Per unanime riconoscimento degli studiosi i PIM rappresentano i veri precursori
della nuova politica comunitaria regionale. L’istituzione dei PIM, infatti, conteneva
tutti gli elementi che avrebbero caratterizzato il funzionamento dei Fondi strutturali
nei periodi successivi:
– il partenariato tra Commissione, Amministrazione nazionale e Regione;
– la definizione di un programma pluriennale, vincolante per tutte le parti;
– l’approccio integrato dei mezzi finanziari (erano chiamati a concorrere tutti e
tre i Fondi strutturali comunitari: FESR, FSE, FEAOG - Fondo Europeo per
l’Agricoltura Orientamento e Garanzia);
– l’esistenza di comitati di attuazione composti dai diversi attori in gioco per consentire
un confronto continuo anche in fase di realizzazione dei progetti.
III FASE (1988-1998):
Consolidamento delle politiche regionali e dei Fondi strutturali
Finora la politica del riequilibrio regionale era stata, in maniera crescente, una
politica importante per la Comunità, con la riforma del 1988 diventa una politica
4 Il finanziamento comunitario interveniva sui singoli progetti; questi ultimi erano subordinati al
parere della Commissione, che ne valutava la coerenza rispetto alla normativa comunitaria e alle azioni
del programma di sviluppo regionale formulato dallo Stato membro. Ciascun programma di sviluppo regionale
doveva essere approvato dalla Commissione. Poiché in realtà tali programmi venivano raramente
definiti, e tutt’al più con notevole ritardo, la Commissione assegnava le risorse in base alle indicazioni
fornite dagli Stati membri all’inizio di ogni anno. Cfr. BEUTLER B., BIEBER R., PIPKORN J., STREIL J.,
WEILER J.H.H., L’Unione europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Il Mulino, Bologna 1998.
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32
strutturale, nel senso che sono i Fondi strutturali ad essere investiti della finalità
della coesione economica e sociale.
Momento fondamentale di questo passaggio è l’approvazione dell’Atto Unico
Europeo (1986). L’Atto Unico Europeo fissa come principale obiettivo la realizzazione
di un mercato unico. Accanto a questa priorità, però, il documento:
– si impegna a realizzare una coesione economica tramite il coordinamento delle
politiche economiche nazionali e l’attuazione di politiche comuni appositamente
destinate;
– individua gli strumenti di intervento diretto della Comunità europea nei cosiddetti
“Fondi strutturali” (oltre che nella Banca europea degli investimenti e
negli altri “strumenti finanziari” istituiti dalla Comunità).
Lo specifico compito attribuito a tali strumenti diventa così quello di contribuire,
con misure dirette, alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti
nella Comunità, partecipando allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle Regioni
in ritardo di sviluppo.
Il 1986 segna quindi il momento della nascita della politica strutturale che mira
a colmare il divario esistente in materia di sviluppo e di livello di vita, e gli aiuti
strutturali alle Regioni ed ai gruppi sociali svantaggiati ne costituiscono la modalità
di attuazione.
1.3. La riforma dei Fondi strutturali del 1988
La riforma dei Fondi strutturali, del 1988, fu possibile solo grazie alla “dichiarazione
politica” esplicitata nell’Atto Unico Europeo del 19865, dove le disparità regionali
vengono definite un elemento di freno per la realizzazione del mercato interno
europeo e, quindi, per l’approfondimento dell’integrazione economica stessa.
Per favorire quest’ultima occorreva intensificare gli sforzi finanziari destinati alla
coesione economica e sociale, finora ritenuti troppo esigui6. Su proposta del Presi-
5 La firma dell’Atto Unico Europeo (ADE), avvenuta il 17 febbraio segna una fase di svolta nella
storia della Comunità Europea per due motivi essenziali. Innanzitutto, il nuovo trattato introduce
novità immediatamente visibili, come l’estensione dei settori d’intervento della Comunità, l’impegno
di completare il mercato unico entro il 1992 e alcune modifiche anche sostanziali di carattere istituzionale.
In secondo luogo, con l’Atto Unico si inaugura quel periodo che va dal 1985 al 1994 durante
il quale le Commissioni presiedute dall’economista francese Jacques Delors impressero una notevole
accelerazione al processo d’integrazione europea animando un dialogo sociale a livello comunitario
capace di aggregare il carattere prioritario dell’integrazione economica intorno alla visione sociale
della costruzione europea, ritenendo i fattori economici e quelli sociali come componenti inscindibili
di un unico modello politico e culturale di sviluppo.
6 L’art. 23 della UE introduce ex-novo nel Trattato CEE il Titolo V sulla Coesione economica e
sociale. Questo titolo, composto di cinque articoli, ha l’importanza di istituzionalizzare la politica comunitaria
di coesione economica e sociale: il compimento del mercato unico e il progresso dell’integrazione
europea venivano organicamente raccordati. L’obiettivo di superare le differenze strutturali
tra le regioni europee, necessitava tuttavia di maggiore e rinnovata solidarietà e cooperazione. Non più
un semplice sostegno alle politiche nazionali, bensì politiche e meccanismi istituzionalizzati ad un listoriaFORMAZ3-
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vello sovranazionale, volti a creare le condizioni favorevoli per uno sviluppo di tutta la Comunità.
L’art. 130 costituisce il fondamento della politica regionale comunitaria che, nel trattato di Roma, era
formulata in termini impliciti.
7 DELORS JACQUES LUCIEN JEAN (Parigi, 1925) è un politico ed economista francese. Ministro e
Presidente della Commissione europea (dal 1985 al 1995). Durante il mandato di Delors venne istituito
il Mercato Unico, riformata la politica agricola comune e furono firmati l’Atto unico europeo, gli accordi
di Schengen e, soprattutto, il Trattato di Maastricht, che istituì l’Unione Europea.
8 È un documento intitolato Portare l’Atto Unico al successo (Boli, CE, suppl. 1/87). Prima ancora
della ratifica dell’Atto Unico, la Commissione Delors, il 18 febbraio 1987, lo presentava al Parlamento
europeo. Il documento, prendendo atto degli impegni assunti in sede di Consiglio europeo e al
contempo delle difficoltà di bilancio emerse nel recente passato, lanciava un ambizioso complesso di
proposte intese a dotare la Comunità delle risorse necessarie per realizzare le riforme indispensabili e
tradurre in realtà l’AUE. Proprio l’Atto Unico, infatti, apriva la via a nuove frontiere e nuovi obiettivi,
che lo stesso Delors riassume in sei punti nell’esordio del documento: la realizzazione di un grande
mercato senza frontiere; la coesione economica e sociale; una politica comune di sviluppo scientifico e
tecnologico; il rafforzamento del Sistema Monetario Europeo (SME); il perseguimento di una dimensione
sociale europea; un’azione coordinata in materia d’ambiente. La necessità di avviare un ampliamento
delle politiche di competenza comunitaria comportava che si giungesse a meccanismi più efficaci
ed efficienti di composizione e gestione del bilancio e ad un accordo sull’aumento delle risorse
proprie che trovò concordi i Capi di Stato e di Governo durante il Consiglio europeo di Bruxelles del
1988. Il rinnovato assetto costitutivo e finanziario della Comunità europea e l’esperienza dei Programmi
Integrati Mediterranei (PIM), introdotti per sostenere l’entrata dei nuovi Paesi mediterranei,
fanno da sfondo ad uno dei cambiamenti di maggior rilievo nella storia dei Fondi strutturali e del Fondo
sociale in particolare.
dente della Commissione, Jacques Delors7, i Capi di Stato e di Governo adottano un
piano d’azione (passato alla storia come I pacchetto Delors)8 che consentirà di raddoppiare
le risorse finanziarie dei Fondi strutturali tra il 1987 e il 1992.
1.3.1. Il quadro regolamentare
La riforma viene portata avanti da 5 nuovi Regolamenti: il primo, approvato il
24 giugno 1988, è il Regolamento Quadro n. 2052, che enunciava le missioni dei
fondi e definiva i principi base del loro funzionamento; un regolamento di coordinamento.
Figura n. 1 - Quadro regolamentare della Riforma dei Fondi Strutturali del 1988
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34
Si suole suddividere gli altri regolamenti, approvati il 19 dicembre 1988, a seconda
del carattere orizzontale o verticale:
– è orizzontale il n. 4253, che emana le disposizioni di coordinamento tra i Fondi
e tra questi e la BEI e gli altri strumenti finanziari;
– sono regolamenti verticali che contengono norme di applicazione per ognuno
dei tre fondi: il 4254/88/CEE (FESR), il 4255/88/CEE (FSE), il 4256/88/CEE
(FEAOG - Sezione Orientamento) (cfr. Fig. n. 1).
1.3.2. I principi fondamentali
Nel Regolamento quadro n. 2052 vengono ripresi i quattro principi fondamentali
introdotti con l’Atto Unico Europeo nel 1986 (cfr. Fig. n. 2) concentrazione,
partnership, addizionalità e programmazione.
Il principio della concentrazione ha varie sfumature. Si parla di:
• concentrazione tematica su obiettivi prioritari al fine di evitare una dispersione
delle azioni;
• concentrazione geografica su regioni o zone maggiormente in difficoltà;
• concentrazione finanziaria all’interno della dotazione decisa dalla Commissione
per ciascun obiettivo prioritario al fine di convogliare i finanziamenti
sulle regioni maggiormente in difficoltà.
Il principio della partnership comporta una cooperazione strettissima tra la
Commissione, gli Stati membri e le altre autorità competenti a livello nazionale, ma
anche regionale e locale, per assicurare il coinvolgimento nell’azione comunitaria di
tutti gli operatori interessati in tutti gli stadi dell’elaborazione, così da garantire unitarietà
e coerenza agli interventi e massimizzare l’impatto socioeconomico e, quindi,
ottenere una maggiore incisività dell’azione comunitaria. In tale contesto andò assumendo
sempre più importanza il ruolo svolto dalle autorità regionali e dagli operatori
locali.
Il principio dell’addizionalità definisce l’intervento comunitario come complementare
e non sostitutivo a quello nazionale, per evitare che le risorse dei Fondi
strutturali vengano semplicemente a sostituirsi agli aiuti nazionali; esse devono, invece,
avere carattere aggiuntivo rispetto alle risorse pubbliche nazionali destinate ai
medesimi obiettivi.
Nonostante i riferimenti alla fase programmatoria presenti nel Regolamento quadro
e la scansione del disegno programmatorio prevista dal Regolamento di coordinamento,
non esiste una definizione univoca del principio della programmazione.
In qualche modo, la programmazione può essere considerata una metodologia
complessa di gestione efficiente di risorse limitate fondata su quattro presupposti:
a) la conoscenza della realtà sulla quale si vuole intervenire;
b) la fissazione di precisi obiettivi che si intendono raggiungere;
c) la predisposizione di strumenti di valutazione e monitoraggio;
d) la possibilità di azioni di correzione.
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35
In via esemplificativa, è possibile individuare almeno cinque fasi principali del
processo porgrammatorio:
– la fase iniziale elaborata a livello di singoli Stati membri e incentrata attorno ai
Piani di Sviluppo Regionale (PSR), in cui sono fissati gli obiettivi specifici e
quantitativi, gli indicatori di impatto sull’ambiente e sull’occupazione, una tabella
finanziaria delle risorse nazionali e comunitarie;
– la fase della predisposizione dei Quadri Comunitari di Sostegno (QCS), approvati
con decisione della Commissione in accordo con lo Stato membro. Il
Quadro Comunitario di Sostegno contiene la strategia generale, le priorità d’azione
e la partecipazione finanziaria dei Fondi. È articolato in assi prioritari di
intervento;
– la fase di pianificazione operativa, realizzata attraverso due documenti: il Programma
Operativo Regionale (POR) e il Complemento di Programmazione
(CdP). I POR, che attualizzano gli interventi programmati nel Quadro Comunitario
di Sostegno, sono presentati alla Commissione dalle Amministrazioni regionali
mediante lo Stato membro. A loro volta i POR ricevono un’ulteriore
specificazione con l’adozione a livello regionale del Complemento di Programmazione,
contenente informazioni dettagliate sui beneficiari, le tipologie di in-
Figura n. 2 - I principi fondamentali dell’Atto Unico Europeo del 1986 e Riforma dei Fondi strutturali
del 1988
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36
tervento da realizzare, le modalità di attuazione e l’assegnazione finanziaria
delle singole misure;
– la fase di monitoraggio e valutazione per verificare l’efficacia dei metodi d’intervento
e valutare l’impatto dei contributi;
– la fase di riprogrammazione attraverso possibilità di modificare e adattare il
Quadro Comunitario di Sostegno in funzione delle nuove informazioni e dei
risultati registrati durante il monitoraggio e la valutazione.
«Con la riforma dei Fondi dell’88 – annota correttamente un commentatore – si
chiude la stagione dei progetti e si apre quella dei programmi»9.
I quattro principi sono stati in seguito inseriti dal Trattato sull’UE del 1992 all’interno
del più generale principio di sussidiarietà, secondo il quale le decisioni devono
venire assunte al livello di governo più vicino al cittadino. È questo il principio
che sostanzia l’intervento dei fondi comunitari come livello sovraordinato di governo
legittimato ad intervenire laddove e nella misura in cui i livelli nazionali da soli
non bastano a dare risposte adeguate e commisurate ai fabbisogni economici e sociali.
1.3.3. Gli obiettivi prioritari e le risorse finanziarie
La riforma dei fondi strutturali trova la sua prima attuazione nella programmazione
comunitaria 1988-1993 nella quale, sulla base del principio di concentrazione,
vengono fissati come prioritari 5 obiettivi da perseguire:
• Ob. 1: promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo
di sviluppo (finanziato da FESR, FSE, FEAOG). Le Regioni che rientrano
in questo obiettivo sono Regioni NUTS del livello II10, il cui PIL procapite risulta
in base ai dati degli ultimi tre anni, inferiore al 75% della media comunitaria.
Per l’Italia, nell’elenco allegato al Reg. 2052/88 figurano tutte le Regioni
del meridione (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna,
Sicilia);
• Ob. 2: riconvertire le regioni e le zone in declino industriali (finanziato da
FESR, FSE). Le aree territoriali interessate sono quelle classificabili come
9 SIMONCINI A., Dai Trattati di Roma alla strategia di Lisbona, 2010 in www.sociologia uniroma1.
it, p. 26.
10 La nomenclatura delle unità territoriali statistiche con acronimo NUTS (dal francese nomenclature
des unités territoriales statistiques) identifica la ripartizione del territorio dell’Unione Europea a
fini statistici. È stata ideata dall’Eurostat nel 1988 tenendo come riferimento di base l’unità amministrativa
locale. Da allora è la principale regola per la redistribuzione territoriale dei fondi strutturali dell’UE,
fornendo uno schema unico di ripartizione geografica, a prescindere dalle dimensioni amministrative
degli Enti degli Stati e basandosi sull’entità della popolazione residente in ciascuna area. La
nomenclatura ha vari livelli e suddivide i Paesi dell’Unione Europea in: territori di livello NUTS 0 rappresentato
dagli Stati nazionali; territori di livello NUTS 1 che per l’Italia sono le aree sovra-regionali:
Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole (non corrisponde perciò ad alcun Ente infra-nazionale),
mentre per la Germania, ad esempio, sono gli Stati federati; territori di livello NUTS 2, che per l’Italia
sono le Regioni (per la Germania ad esempio sono le Regierungsbezirke); territori di livello NUTS 3
per l’Italia sono le Province (per la Francia ad esempio sono i Dipartimenti).
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NUTS III, che presentano situazioni critiche del mercato del lavoro (misurate
con tasso medio di disoccupazione, tasso di occupazione industriale e decremento
dell’occupazione industriale dal 1975)11;
• Ob. 3: combattere la disoccupazione di lunga durata (finanziato dal FSE);
• Ob. 4: facilitare l’inserimento professionale dei giovani (finanziato dal FSE).
A questi ultimi 2 obiettivi sono interessate tutte le unità territoriali degli Stati
membri.
• Ob. 5a: promuovere un più veloce adattamento delle strutture agricole (finanziato
da FSE, FEAOG - Orientamento);
• Ob. 5b: favorire lo sviluppo delle zone rurali con basso livello di sviluppo socioeconomico
(finanziato da FSE, FEAOG - Orientamento). Le zone rientranti
in questo obiettivo sono selezionate in relazione al loro grado di sviluppo rurale,
in base al numero di persone impiegate in agricoltura, del loro livello di sviluppo
economico e agricolo, della loro situazione periferica e della loro sensibilità
all’evoluzione del settore agricolo12. Una decisione del 12 luglio 1989 elencava
tutte le zone del Centro Nord dell’Italia rientranti in tale Obiettivo13.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie la somma totale messa a disposizione
per il periodo 1989-1993 è pari a 11 miliardi e 429 milioni di euro14, ripartiti per
obiettivi nella misura indicata dai Grafici 2 e 315.
11 Cfr. Regolamento 2052/88 art. 9 dove vengono elencati i tre criteri. «a) il tasso medio di disoccupazione
dev’essere superiore alla media comunitaria registrata negli ultimi tre anni; b) rispetto all’occupazione
complessiva, il tasso di occupazione nel settore industriale deve essere superiore alla
media comunitaria per qualsiasi anno di riferimento a decorrere dal 1975; c) il livello occupazionale
nel settore industriale rispetto all’anno di riferimento di cui alla lettera b) deve risultare in regresso.
L’intervento comunitario può estendersi anche: a zone contigue che soddisfano i suddetti criteri a), b) e
c); a comunità urbane caratterizzate da un tasso di disoccupazione superiore di almeno il 50% alla
media comunitaria e che hanno registrato un regresso notevole nell’occupazione nel settore industriale;
ad altre zone che nel corso degli ultimi tre anni hanno subito o che attualmente subiscono o rischiano
di subire perdite occupazionali di rilievo in settori industriali determinanti per il loro sviluppo
economico con un conseguente serio aggravamento della disoccupazione in dette zone».
12 Cfr. Regolamento 2052/88 art. 11.
13 Cfr. G.U.C.E. L. 198 del 12.7.1989 DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 10 maggio 1989 che seleziona
le zone rurali ammissibili al contributo comunitario a titolo dell’Obiettivo 5 b) definito dal regolamento
(CEE) n. 2052/88 del Consiglio (89/426/CEE), pagg. 1-15.
14 Cfr. UE Inforegio - panorama 26 (2008).
15 Il Regolamento quadro stabilisce che nelle previsioni pluriennali di bilancio la Commissione
presenta, ogni anno, una proiezione su cinque anni degli stanziamenti necessari per l’insieme dei tre
Fondi strutturali; proiezione accompagnata da una ripartizione indicativa, per obiettivo, degli stanziamenti
d’impegno. Al momento dell’elaborazione di ciascun progetto preliminare di bilancio, la Commissione
tiene conto, per la dotazione dei Fondi strutturali, della ripartizione indicativa per obiettivo.
Gli stanziamenti d’impegno per i Fondi strutturali saranno raddoppiati in termini reali nel 1993 rispetto
al 1987.
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Figura n. 3 - Aree ammissibili ai Fondi strutturali 1989-93
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39
1.3.4. I tassi del contributo comunitario, gli impegni e i pagamenti
I tassi del contributo comunitario al finanziamento delle azioni variano in funzione
di una serie di elementi, quali: la gravità dei problemi specifici, in particolare
regionali o sociali, cui le azioni si riferiscono; la capacità finanziaria dello Stato
Prospetto n. 1 - Obiettivi e Fondi strutturali che li finanziano
Grafico n. 2 - Ripartizione dei Fondi strutturali in Europa per Obiettivo 1989-1994 (milioni di euro)
Grafico n. 3 - Ripartizione dei Fondi strutturali in Europa per Obiettivo 1989-1994 (valori %)
Fonte: UE
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40
membro interessato, tenendo segnatamente conto della sua prosperità relativa; l’interesse
particolare delle azioni dal punto di vista comunitario; l’interesse particolare
delle azioni dal punto di vista regionale; le caratteristiche proprie dei tipi d’azione in
questione.
I tassi del contributo comunitario per tutti i Fondi dovranno, comunque,
rispettare i seguenti li miti:
a) nelle Regioni dell’Ob. 1: il 75% al massimo del costo complessivo e, in genere,
almeno il 50% della presa a carico di autorità pubbliche;
b) nelle altre Regioni: il 50% al massimo del costo complessivo e, in genere, almeno
il 25% della spesa a carico delle autorità pubbliche.
Gli studi preparatori e gli interventi di assistenza tecnica decisi su iniziativa
della Commissione possono in casi eccezionali beneficiare di un contributo comunitario
pari al 100% del costo complessivo. I tassi d’intervento sono fissati nel quadro
della partnership.
Gli impegni di bilancio per azioni di durata pari o superiore a due anni sono, di
norma, realizzati in quote annue. L’impegno della prima quota è stabilito con la decisione
di approvazione. Per azioni di durata inferiore a due anni l’impegno dell’importo
totale è stabilito con la decisione di approvazione.
Il pagamento del contributo finanziario può assumere o la forma di anticipo o la
forma di pagamento definitivo. Per le azioni di durata pari o superiore a due anni i
pagamenti si riferiscono alle quote annue d’impegno. Il primo anticipo può raggiungere
fino al 50% dell’importo impegnato. Il secondo anticipo, sommato al I° anticipo
non deve superare l’80% dell’impegno ed è versato dopo l’accertamento che
almeno metà dell’anticipo è stata utilizzata. Per il pagamento del saldo occorre presentare
una richiesta entro i sei mesi successivi alla fine dell’anno o al completamento
dell’azione16.
1.3.5. La sorveglianza e la valutazione
Sorveglianza e valutazione sono due momenti portanti della riforma, anzi le potremmo
considerare come due dimensioni operative che attraversano tutte le fasi
(programmazione, attuazione e valutazione ex post) dei Fondi strutturali.
Nel quadro della compartecipazione, la Commissione e gli Stati membri assicurano
la sorveglianza17 dell’attuazione del contributo dei Fondi a livello di quadro comunitario
di sostegno e di azioni specifiche (programmi, ecc.). La sorveglianza è attuata
per mezzo:
a) di relazioni elaborate secondo procedure adottate di comune accordo;
b) di controlli per sondaggio;
c) di comitati costituiti a tal fine denominati Comitati di sorveglianza.
16 In materia vedi ISFOL, Fondo Sociale Europeo Accesso, preventivo e rendiconto dei progetti
formativi, F. Angeli, Milano 1988.
17 Cfr. Regolamento 4253/88 art. 25.
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41
La Commissione presenta ogni anno ai Comitati della Comunità18 una relazione
sui progressi compiuti, in particolare nell’utilizzazione degli stanziamenti, tenuto
conto delle indicazioni fornite nei Quadri Comunitari di Sostegno. Le conclusioni
della relazione e i relativi pareri dei comitati sono comunicati, per conoscenza, al
Parlamento europeo.
La sorveglianza è assicurata utilizzando indicatori fisici e finanziari contenuti
nei QCS che indichino lo stato di avanzamento degli interventi programmati, l’andamento
della gestione e gli eventuali problemi connessi.
I comitati di sorveglianza sono creati, nel quadro della compartecipazione, in
base ad un accordo tra lo Stato membro interessato e la Commissione, che può anche
essere rappresentata da suoi funzionari.
Per qualsiasi azione pluriennale, l’autorità designata dallo Stato membro invia
alla Commissione, nei sei mesi successivi alla fine di ciascun anno intero di attuazione,
relazioni sui progressi realizzati. Inoltre, deve essere inviata una relazione finale
alla Commissione nei sei mesi successivi al completamento dell’azione. Per
qualsiasi azione di durata inferiore a due anni, invece, l’autorità designata dallo
Stato membro presenta una relazione alla Commissione nei sei mesi successivi al
completamento dell’azione.
La Commissione, previo parere del Comitato di Sorveglianza, di concerto con
lo Stato membro, adegua, se necessario, l’importo o le condizioni di concessione del
contributo finanziario inizialmente approvati, nonché lo scadenzario previsto dei pagamenti.
La valutazione rientra nel quadro della compartecipazione19. Le autorità competenti
degli Stati membri forniscono, eventualmente, il loro contributo. La valutazione
utilizza in questo contesto i vari elementi che può fornire il sistema di sorveglianza
per valutare l’impatto socioeconomico delle azioni.
La valutazione ex ante e ex post delle azioni a finalità strutturale intraprese dalla
Comunità ne misura l’efficacia a tre livelli:
– l’incidenza complessiva sugli obiettivi enunciati dall’articolo 130 A del Trattato
e in particolare sul rafforzamento della coesione economica e sociale della Comunità;
– l’incidenza dell’azione intrapresa in ciascun quadro comunitario di sostegno;
– l’incidenza degli interventi operativi (programmi, ecc.).
La valutazione è effettuata, a seconda dei casi, in rapporto agli indicatori macroeconomici
basati su dati statistici regionali e nazionali, ai dati ottenuti con studi
analitici descrittivi, nonché ad analisi di tipo qualitativo.
18 Comitato per lo sviluppo agricolo e la riconversione delle Regioni, Comitato di cui all’art. 124
del trattato, Comitato per le strutture agricole e lo sviluppo rurale.
19 Ibidem, art. 26.
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42
Al momento dell’elaborazione dei Quadri Comunitari di Sostegno e nell’istruzione
delle singole richieste di contributo, la Commissione prende in considerazione
i risultati delle valutazioni effettuate secondo le disposizioni del presente articolo.
Il principio e le modalità di valutazione sono precisati nei Quadri Comunitari di
Sostegno.
I risultati delle valutazione sono presentati al Parlamento Europeo e al Comitato
economico e sociale nel quadro della relazione annua prevista dall’articolo 16 del
regolamento (CEE) n. 2052/88.
È importante notare che prima della Riforma del 1988 la valutazione degli interventi
comunitari era una procedura di uso piuttosto limitato, applicata esclusivamente
ai PIM e a carattere non obbligatorio. Infatti, nel quadro del contratto di programma
che regolava il funzionamento dei PIM dipendeva dall’accordo tra i partners
ed era affidata a un soggetto esterno indipendente.
1.4. Il regolamento 4255/88 del FSE
Le risorse umane giocano un ruolo strategico e trasversale a tutta la Programmazione.
E gli investimenti in formazione che contribuiscono alla loro valorizzazione,
inseriti in una strategia macroeconomica di sviluppo, garantiscono valore
aggiunto in termini di innovazione, competitività e occupazione e favoriscono
l’avvio di processi virtuosi e dinamici di crescita.
In base a questa consapevolezza il FSE è l’unico fondo strutturale ad essere
stato inserito in tutti gli Obiettivi. Questo fatto rappresenta una evidente evoluzione
culturale sulle finalità ultime riservate al FSE: non più considerato un ammortizzatore
sociale ma un fondo di investimento per la valorizzazione delle risorse umane.
1.4.1. Le azioni ammissibili
Il regolamento 4255/88, prima di elencare le azioni finanziabili (cfr. Fig. n. 4)
fornisce una definizione “descrittiva” della Formazione Professionale:
“La Formazione Professionale comprende le azioni destinate a fornire le competenze necessarie
ad esercitare sul mercato del lavoro uno o più tipi di lavoro specifici, ad eccezione
dell’apprendistato20, comprese le azioni aventi il contenuto tecnologico appropriato
richiesto dai mutamenti tecnologici e dal fabbisogno e dall’evoluzione del mercato del lavoro”
21.
20 Non si applica nelle Regioni dell’Ob. 1. Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 5. “In deroga al paragrafo
3, la Formazione Professionale comprende, nelle Regioni che rientrano nel campo dell’obiettivo
n. 1 la parte teorica della formazione realizzata all’esterno dell’impresa secondo la formula dell’apprendistato”.
21 Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 4. “In deroga al paragrafo 3, la Formazione Professionale
comprende, nelle regioni che rientrano nel campo degli obiettivi nn. 1, 2 e 5 b), qualsiasi azione di qualificazione
e di perfezionamento professionale necessaria all’applicazione di nuove tecniche di produzione
e/o di gestione nelle piccole e medie imprese”.
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43
Il Fondo partecipa al finanziamento:
a) di azioni di Formazione Professionale, anche associate ad azioni di orientamento
professionale. Solo in “casi specifici da definire secondo i bisogni particolari
dei paesi e delle regioni interessati” il FSE finanzia azioni di Formazione
Professionale dopo il periodo della scolarità obbligatoria, realizzate da parte dei
sistemi scolastici nazionali d’Istruzione secondaria o dai sistemi formativo-professionali
non scolastici”22;
b) di incentivi alle assunzioni in posti di lavoro di natura stabile di nuova creazione
ed all’avviamento di attività autonome. Nelle Regioni, però, dell’Obiettivo
n. 1, e per un periodo di tre anni dall’entrata in vigore del regolamento, gli
incentivi sono estesi alle azioni di collocamento di disoccupati di lunga durata,
di età superiore ai 25 anni, “nell’ambito di progetti non produttivi rispondenti a
bisogni collettivi e miranti a creare posti di lavoro supplementari della durata
minima di sei mesi”23;
Il Fondo partecipa anche, entro un limite del 5% della sua dotazione annuale, al
finanziamento di:
a) azioni di carattere innovativo, “il cui scopo è confermare nuove ipotesi relative
al contenuto, alla metodologia e all’organizzazione della Formazione Professionale,
e più generalmente lo sviluppo dell’occupazione”;
b) azioni di preparazione, di accompagnamento e di gestione necessarie all’attuazione
del regolamento. Queste azioni riguardano in particolare studi, assistenza
22 Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 5 seconda a linea.
23 Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 6.
Figura n. 4 - Azioni ammissibili (Regolamento [CEE] n. 4255/88)
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44
tecnica e scambio di esperienze che presentino un “carattere moltiplicatore” e la
valutazione degli interventi finanziati dal Fondo;
c) azioni destinate, nel quadro del dialogo sociale, al personale delle imprese di
due o più Stati membri, relative al trasferimento di conoscenze particolari in
materia di ammodernamento dell’apparato produttivo;
d) azioni di orientamento e di consulenza per il reinserimento dei disoccupati di
lunga durata.
1.4.2. Campo di applicazione e destinatari
Il contributo del Fondo è concesso:
a) per quanto riguarda gli Obiettivi nn. 3 e 4, in tutta la Comunità, per:
- lottare contro la disoccupazione di lunga durata mediante l’inserimento professionale
di persone di età superiore ai 25 anni, disoccupate da oltre dodici
mesi (durata che può essere ridotta in casi specifici, su decisione della Commissione);
- facilitare l’inserimento professionale di persone di età inferiore ai 25 anni, a
partire dall’età in cui terminano la scolarità obbligatoria a tempo pieno, che
siano alla ricerca di lavoro, a prescindere dalla durata di tale ricerca;
b) relativamente agli Obiettivi nn. 1, 2 e 5 b), per:
- favorire la stabilità occupazionale e sviluppare nuove possibilità di lavoro,
di disoccupati, minacciati dalla disoccupazione (in particolare nel quadro di
ristrutturazioni che comportano un ammodernamento tecnologico o considerevoli
modifiche del sistema di produzione e gestione, occupati nelle piccole
e medie imprese);
Prospetto n. 2 - Campo di applicazione e destinatari del FSE (Regolamento [CEE] n. 4255/88)
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45
- facilitare la Formazione Professionale delle persone attive che partecipino
ad un’azione essenziale per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo e di
riconversione di un programma integrato;
c) relativamente all’Obiettivo n. 1, ad azioni a favore delle persone con contratto
d’apprendistato, formate nei Sistemi nazionali d’Istruzione Secondaria professionale,
occupate nell’ambito di progetti non produttivi rispondenti a bisogni
collettivi (cfr. Prosp. n. 2).
1.4.3. Forme di intervento e modalità di presentazione
La richiesta di contributo alla Commissione da parte di uno Stato membro può
essere presentata sotto 3 forme (cfr. Fig. n. 5):
a) programmi operativi. Si tratta della forma d’intervento prevalente: un programma
operativo è un insieme organico di azioni pluriennali, per la cui esecuzione
si può far ricorso a uno o più Fondi;
b) sovvenzioni globali, gestite in genere da un intermediario, designato dallo Stato
membro con l’accordo della Commissione, e da esso suddivise in singole sovvenzioni
da erogarsi ai beneficiari finali;
c) azioni di preparazione e accompagnamento, orientamento, azioni nel quadro del
dialogo sociale.
La titolarità della richiesta è delle autorità competenti a livello nazionale, regionale,
locale o altre designate dagli Stati membri.
Ogni domanda concerne una sola forma d’intervento, e deve contenere: la descrizione
dell’azione, il campo di applicazione, gli obiettivi specifici, indicazioni relative
ai responsabili dell’esecuzione, ai beneficiari (numero di persone, livello professionale
previsto), alla durata, all’ubicazione dell’azione, al piano di finanziamento
proposto, ai requisiti di ammissibilità.
Figura n. 5 - Forme di intervento del FSE (Regolamento [CEE] n. 4255/88)
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46
1.4.4. Il processo programmatorio
L’iter programmatorio, che naturalmente ricalca quello generale previsto per
tutti i Fondi strutturali e di cui abbiamo già parlato illustrando il principio di programmazione,
può essere fatto iniziare con gli Orientamenti comunitari24.
Gli Orientamenti hanno una prospettiva temporale di tre anni e sono limitati alle
azioni che rientrano negli Obiettivi 3 e 4. Anche nella precedente normativa erano
previsti orientamenti di gestione la cui funzione era quella di definire le priorità
della Commissione. Essi si articolavano in una dettagliata serie di punti cui occorreva
far riferimento con estrema precisione. I nuovi Orientamenti, pur definendo ancora
requisiti di priorità, rispondono ad una filosofia diversa, coerentemente con
l’introduzione di un sistema meno automatico e più negoziale sono a maglie molto
più larghe rispetto al passato, ma al tempo stesso sono molto più rigidi nell’escludere
tutti i tipi di formazione che non siano destinati all’inserimento professionale
dei giovani o ai disoccupati di lunga durata.
Gli Orientamenti compaiono in Gazzetta Ufficiale della Comunità nel febbraio
del 198925 con il titolo “Orientamenti riguardanti gli interventi del Fondo Sociale
Europeo in materia di lotta alla disoccupazione di lunga durata e di inserimento professionale
dei giovani (Obiettivi nn. 3 e 4 fissati nell’ambito della riforma dei fondi
strutturali). La struttura del documento è quella riportata nel Prospetto 3.
Dopo aver esplicitato le criticità maggiori della situazione in cui il Fondo è
chiamato ad operare (parte II), rappresentate dalla disoccupazione di lunga durata
(quasi sei milioni di persone)26 e dalla disoccupazione dei giovani (cinque milioni di
età inferiore ai 25 anni)27, il Documento specifica che il ruolo degli orientamenti è
24 Cfr. Regolamento (CEE) n. 2052/88, art. 10.
25 Cfr. G.U.C.E. n. 45 del 24.2.1989, pp. 6-9.
26 “Il prolungamento della durata della disoccupazione costituisce il fenomeno più significativo e
preoccupante emerso negli ultimi anni sul mercato del lavoro della Comunità. In tutti gli Stati membri
aumenta il numero di persone senza lavoro da più di dodici mesi, allorché gli indicatori di crescita della
disoccupazione registrano un’inversione di tendenza. In tutta la Comunità quasi sei milioni di persone,
appartenenti a tutte le fasce d’età, sono senza lavoro da più di un anno nell’insieme degli Stati
membri”.
27 “Nella Comunità, più di cinque milioni di persone di età inferiore ai 25 anni sono alla ricerca di
un posto di lavoro. La disoccupazione dei giovani riguarda anzitutto persone il cui inserimento o rein-
Prospetto n. 3 - Indice degli Orientamenti riguardanti gli interventi del FSE
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47
serimento sul mercato del lavoro presenta difficoltà, dato che esse non hanno una formazione o esperienza,
o hanno qualifiche non adeguate ai fabbisogni del mercato del lavoro, o sono portatrici di un
handicap fisico o psichico”.
28 a) le azioni “che combinano vari tipi di misure affinché la formazione sia un effettivo fattore
d’inserimento professionale e d’integrazione sociale”; b) “la valorizzazione delle potenzialità locali di
sviluppo dell’occupazione”; c) gli aiuti all’assunzione in posti di lavoro a carattere stabile di nuova
creazione e gli aiuti alla creazione di attività autonome; d) la formazione e l’inserimento professionale
di donne che rientrano nel mercato del lavoro.
29 a) le azioni a favore di giovani che lasciano la Scuola senza aver acquisito le conoscenze di base
che consentano di seguire una Formazione Professionale; b) formazioni di base connesse con un’esperienza
professionale in imprese; c) formazioni che conducono a qualifiche elevate che richiedano l’utilizzazione
sostanziale di nuove tecnologie; d) gli aiuti all’assunzione in posti di lavoro a carattere stabile
di nuova creazione e gli aiuti alla creazione di attività autonome.
30 Rappresentano delle priorità applicabili indifferentemente ai due obiettivi: a) le azioni realizzate
in comune da organismi di formazione appartenenti a due o più Stati membri per il loro carattere moltiplicatore
a livello comunitario; b) le azioni a carattere innovativo per quanto riguarda i contenuti, i metodi
o l’organizzazione della formazione; c) la formazione e l’aiuto all’occupazione per le esigenze dell’ammodernamento
e all’adeguamento dell’apparato produttivo e di commercializzazione; f) le azioni
per il miglioramento ed efficienza delle strutture di formazione; g) le azioni a favore di categorie di persone
che incontrano difficoltà particolari sul mercato del lavoro: handicappati, donne e migranti.
quello di determinare le linee di politica di formazione e di promozione dell’occupazione
in grado di ridurre sostanzialmente il numero di disoccupati di lunga durata
e di giovani senza lavoro entro il 1992; linee che verranno tenute presente dalla
Commissione nella predisposizione dei Quadri Comunitari di Sostegno (III parte).
Successivamente il Documento specifica le azioni che il Fondo aiuterà in via prioritaria
per l’Ob. 328, per l’Ob. 429 e per tutti e due gli Obiettivi30. Nell’ultima parte del
Documento (VI) vengono esplicitati i criteri con i quali saranno esaminati i Piani
pluriennali presentati dagli Stati Membri: a) corrispondenza delle azioni programmate
con gli orientamenti; b) “gli sforzi nazionali supplementari per conformarsi
agli obiettivi nn. 3 e 4”; c) i fabbisogni che si manifestano sul mercato del lavoro rispetto
alla popolazione interessata agli Obiettivi nn. 3 e 4”.
Gli Orientamenti così concludono:
“In base a tale esame e ad una visione d’assieme dei piani, nonché ai risultati dei negoziati
effettuati nell’ambito della partnership, la Commissione deciderà una ripartizione
indicativa delle risorse finanziarie che si rifletterà nei Quadri Comunitari di Sostegno”.
Gli Stati membri presentano alla Commissione dei Piani pluriennali, elaborati
tenendo presente le linee direttrici degli Orientamenti. I Piani illustrano le politiche,
le scelte, i criteri che gli Stati intendono seguire per raggiungere gli obiettivi generali.
Il Fondo Sociale Europeo, come si è detto, interviene sia sostenendo l’azione di
cui agli Obiettivi nn. 1, 2 e 5b) sia, sostenendo come compito prioritario, le azioni
relative agli Obiettivi nn. 3 e 4.
Si richiede perciò agli Stati membri sia l’elaborazione di piani specifici per l’intervento
del FSE relativo agli Obiettivi nn. 3 e 4, sia l’elaborazione di piani d’interstoriaFORMAZ3-
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48
vento del FSE collegato con i programmi di sviluppo regionale per quanto riguarda
l’Obiettivo n. 1, con i programmi di riconversione regionale e sociale per quanto riguarda
l’Obiettivo n. 2 e con i programmi di sviluppo delle zone rurali, per quanto
riguarda l’Obiettivo n. 5b).
I Piani secondo quanto previsto dal Reg. 4253:
– contengono informazioni che consentono di valutare il nesso tra le azioni strutturali
e le politi che economiche e sociali dello Stato membro;
– indicano gli elementi propri a ciascun Fondo, ivi compresi gli importi di contributi
richiesti possono essere accompagnati dalle domande di contributo per i
programmi operativi per accelerare l’esame delle domande e l’esecuzione degli
interventi;
– debbono tenere conto delle politiche comunitarie (e per gli Ob. 3 e 4, degli
orientamenti);
– possono essere riveduti su base annuale e in caso di mutamenti importanti nella
situazione socioeconomica e nel mercato del lavoro.
I Piani relativi agli Obiettivi n. 3 e 4 contengono in particolare:
informazioni sulla politica dell’occupazione e del mercato del lavoro attuata a
livello nazionale;
indicazioni sulle azioni prioritarie;
indicazioni sull’utilizzazione dei contributi del FSE all’occorrenza in combinazione
con interventi della BEI o di altri strumenti finanziari.
La CEE valuta i piani pluriennali e determina di concerto con gli Stati membri
(partnership) la strategia dell’aiuto tecnico e finanziario della Comunità. La risposta
della Commissione ai piani pluriennali degli Stati Membri assume la forma di
“Quadro comunitario di sostegno” il quale, sulla base delle priorità comunitarie, stabilisce
quali sono le strategie di sviluppo, le politiche e le iniziative da privilegiare;
più precisamente il Quadro Comunitario di Sostegno indica:
– le linee prioritarie scelte per l’intervento comunitario;
– un prospetto delle forme di intervento, comprendente, per i programmi operativi,
gli obiettivi specifici e i principali tipi di misure previste;
– l’indicazione dell’importo dei finanziamenti previsti per le varie forme;
– la durata di tali interventi;
– eventuali indicazioni sulla messa a disposizione di mezzi per studi o assistenza
tecnica necessari concernenti la preparazione, l’attuazione, o l’adattamento
delle azioni in questione.
I Quadri Comunitari di Sostegno sono approvati entro 6 mesi dalla presentazione
dei piani corrispondenti con decisione CEE inviata sotto forma di dichiarazione
d’intenzione allo Stato Membro31 (Art. 10 Reg. 4253).
31 Cfr. Reg. 4253/88 art. 10.
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49
Sulla base dei Quadri Comunitari di Sostegno lo Stato membra richiede il contributo
finanziario sotto forma di Programma Operativo (PO), che verrà successivamente
approvato dalla Commissione mediante una Decisione (cfr. Fig. n. 6)32.
1.5. Il FSE in Italia
1.5.1 La programmazione
Ripercorriamo queste tappe del processo programmatorio previste dai Regolamenti
della Riforma applicandole all’Italia.
a) I Piani Pluriennali
Abbiamo visto che la seconda fase prevista dalla nuova normativa comunitaria
consiste nella presentazione da parte degli Stati membri alla Commissione CEE di
32 Le nuove scadenze previste dalla normativa comunitaria riguardano la presentazione dei piani e
la presentazione delle domande (cioè dei programmi operativi o sovvenzioni globali). Occorre in
proposito distinguere tra la tempistica fissata per il primo anno e le scadenze successive. I piani relativi
all’Obiettivo n. 1 devono essere presentati per il primo anno entro il 31 marzo 1988. Per i piani relativi
agli Obiettivi nn. 2 e 5b) tale data slitterà in caso di ritardo nella definizione delle zone relative. I piani
relativi agli obiettivi nn. 3 e 4 debbono essere presentati il primo anno entro 4 mesi dalla pubblicazione
degli orientamenti (giugno 1989). Le date per la presentazione dei piani negli anni successivi verranno
stabilite dalla Commissione in concertazione con lo Stato membro interessato. I quadri comunitari di
sostegno vengono approvati entro sei mesi dalla presentazione dei piani. Per quanto riguarda le domande
di contributo, la cui decorrenza è a partire dal gennaio 1990, per il primo anno il termine per la
presentazione alla Commissione è fissato al 31 agosto 1988. Successivamente le domande potranno essere
presentate al più tardi tre mesi prima dell’inizio delle azioni. La Commissione approva le domande
entro sei mesi dal ricevimento della domanda.
Figura n. 6 - Documenti del processo programmatorio del FSE
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50
Piani per ogni Obiettivo. Piani nei quali siano illustrati le politiche, le scelte, i criteri
che si intende seguire per raggiungere le finalità dichiarate per ogni Obiettivo.
Secondo l’organizzazione stabilita a livello governativo-centrale, il Ministero
per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno ha provveduto ad inoltrare, nel mese
di marzo 1989, alla CEE il Piano globale di sviluppo delle Regioni dell’obiettivo I.
Per gli Obiettivi 2 e 5b i Ministeri capofila sono il Ministero dell’Industria e il Ministero
dell’Agricoltura; per entrambi questi Obiettivi alla CEE sono stati inviati dei
Piani a titolarità regionale. In particolare, per l’Obiettivo 2, le Regioni hanno presentato
i loro Programmi di riconversione regionale e sociale e, per l’Obiettivo 5b, i
Piani di sviluppo rurale.
Per gli Obiettivi 3 e 4, il Ministero del Lavoro ha presentato a fine giugno 1989
alla CEE il Piano nazionale per l’occupazione e la Formazione Professionale, dopo
aver acquisito le proposte delle singole Regioni (cfr. Prosp. n. 4).
a.1) Il Piano Globale di sviluppo delle Regioni Obiettivo 1
Il Piano pluriennale per le Regioni dell’Ob.1 è stato predisposto dal Ministero
per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, d’intesa con il Ministero dell’Agricoltura
e col Ministero del Lavoro e in concertazione con le Regioni (Abruzzo,
Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Copre un arco
temporale triennale (1989-1991) e contiene indicazioni relative al successivo biennio
(1992-1993). Come si afferma nella premessa del Piano, esso
“pur essendo specificamente riferito a ciascuna delle Regioni dell’obiettivo 1, assume
forma unitaria di Piano globale ai sensi dell’art. 8 par. 4 del Regolamento Cee 2052/88 in
quanto sconta il carattere unitario che alla questione del Mezzogiorno è riconosciuto nell’ambito
della politica economica italiana sin dagli anni cinquanta”.
Il Piano individua gli assi prioritari di intervento a livello centrale e regionale. A
livello centrale l’attuazione di obiettivi e strategie di sviluppo per il recupero delle
Regioni del Mezzogiorno passa attraverso l’intervento straordinario, articolato in
progetti strategici di grande rilievo e di valenza nazionale (adeguamento della
dotazione infrastrutturale) e in interventi di valenza regionale.
Vengono poi proposte le azioni operative eligibili al finanziamento dei Fondi a
finalità strutturale che concorrono al conseguimento dell’Obiettivo 1 (FESR, FSE,
Prospetto n. 4 - Piani pluriennali di ciascun obiettivo predisposti dai Ministeri capofila
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51
FEOAG-Orientamento), individuando le relative priorità d’intervento a livello interregionale,
il quadro finanziario complessivo (basato sull’individuazione e l’attribuzione
delle risorse finanziarie di parte nazionale che devono contribuire alla realizzazione
dei progetti individuati come prioritari) e il contributo comunitario richiesto,
pari a 13.524 miliardi di lire a valori costanti (cfr. Tab. n. 1).
Il capitolo conclusivo del Piano indica norme relative:
– alla definizione dei criteri per la formulazione dei Programmi operativi;
– alla individuazione delle procedure amministrative ed attuative dei Programmi
operativi e delle modalità di erogazione delle risorse finanziarie agli Enti attuatori;
– alla definizione delle forme di verifica, controllo ed accompagnamento dell’attuazione
del Piano, e alla valutazione di impatto socio-economico;
– alle procedure di aggiornamento delle indicazioni programmatiche ed attuative.
a.2) Il Piano nazionale per la formazione e l’occupazione Obiettivo 3 e Obiettivo
4
Come la normativa prevede, anche per questi due obiettivi, di esclusiva pertinenza
del FSE, gli Stati membri sono tenuti a presentare un piano che, partendo da
un’analisi della situazione del mercato del lavoro e della politica occupazionale attuata
a livello nazionale e regionale, fornisca indicazioni sulle azioni prioritarie per
le quali si chiede il sostegno comunitario e sull’entità delle richieste di contributo.
Tale Piano, alla cui realizzazione si è giunti dopo un iter che ha visto il coinvolgimento
delle Regioni, del Ministero del Lavoro e dell’Isfol, è stato inoltrato alla
CEE il 30 giugno 1989.
Il primo passo nel processo di elaborazione del Piano è stato il Seminario nazionale
tenutosi a Ferrara il 6 aprile 1989 e organizzato dalla CEE, dal Ministero del
Lavoro e dal coordinamento delle Regioni. Nel corso di tale Seminario si è presentata
e discussa una simulazione del procedimento di costruzione del Piano. Tenendo
conto delle indicazioni emerse negli incontri di lavoro, nel mese di maggio, le Regioni
hanno a loro volta predisposto delle simulazioni di Piano regionale e di programmi
operativi.
Successivamente un gruppo di lavoro, composto dal Ministero del Lavoro, Isfol
e rappresentanti delle Regioni, ha predisposto il documento definitivo, intitolato
Piano per l’occupazione e per la Formazione Professionale da realizzarsi con il
contributo del Fondo Sociale Europeo: misure a favore della disoccupazione giovanile
e di lunga durata.
Il Piano ha i seguenti obiettivi: collegare la politica occupazionale e la politica
sociale con la politica economica generale; individuare le tendenze del mercato del
lavoro in relazione agli obiettivi della politica socio-occupazionale; dettare le linee
guida delle politiche nazionali dell’occupazione e del lavoro; prevedere criteri generali
di erogazione e di controllo dei flussi finanziari, definire il sistema di monitoraggio
e valutazione e definire una griglia di classificazione per obiettivi prioritari.
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52
Gli obiettivi prioritari, nella struttura formale del Piano, diventano cinque assi
prioritari di intervento:
– il rafforzamento della preparazione professionale di base dei giovani e il recupero
delle carenze di istruzione (rinnovamento del consolidato);
– la formazione di II livello, comprese le professioni nelle tecnologie di punta;
– i Contratti di formazione e lavoro e la formazione finalizzata;
– la formazione per il reinserimento dei disoccupati di lunga durata nelle attività
produttive;
– la formazione per il reinserimento delle fasce deboli (donne, handicappati, migranti).
Nel Piano per gli Obiettivi 3 e 4, le richieste italiane ammontano a 3.385 miliardi
per il triennio 1989-1992 di cui 2.039 riguardano il Mezzogiorno, 1.258 le
Regioni del Centro e del Nord e 88 il programma emigrazione del Ministero degli
Affari Esteri.
a.3) I Piani di riconversione industriale delle Regioni dell’Obiettivo 2
Una decisione della Commissione del 21 marzo 1989 stabilisce un primo elenco
delle aree colpite dal declino industriale cui si applica l’Obiettivo 2. Per l’Italia vi figurano:
le Province di Torino (escluso il Comune capoluogo), di Massa-Carrara,
Terni, Frosinone (solo 10 Comuni), Perugia (solo Spoleto), Novara (solo 3 Comuni),
Valle d’Aosta (32 Comuni), Genova (40 Comuni; il capoluogo solo parzialmente),
Sondrio (4 comunità montane), Rovigo (24 Comuni), Firenze (7 Comuni), Livorno
(10 Comuni e il capoluogo solo parzialmente), Pesaro-Urbino (49 Comuni).
I Piani di riconversione industriale contengono:
– l’indicazione degli obiettivi, delle strategie e degli strumenti di attuazione adottabili
ai fini del recupero produttivo ed occupazionale;
– le azioni individuate, la loro articolazione temporale e le procedure di attuazione.
Il quadro finanziario delle richieste per le zone dell’Obiettivo 2 è di 132 miliardi
di lire.
a.4) I Piani di sviluppo delle zone rurali rientranti nell’Obiettivo 5b
Abbiamo già annotato che una Decisione della Commissione, del 12 luglio
1989, elencava tutte le zone (per l’Italia Comuni del Centro Nord) rientranti in
questo Obiettivo. Le Regioni interessate hanno presentato alla CEE i Piani che contengono:
la descrizione delle principali linee per lo sviluppo delle zone rurali e delle relative
azioni;
l’indicazione dell’utilizzazione dei contributi dei Fondi e della BEI.
b) I Quadri Comunitari di Sostegno
La Commissione, dopo aver esaminato i Piani pluriennali e a seguito di momenti
di concertazione o partnership con gli Stati membri e le Regioni, ha approvato
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(entro 6 mesi dalla data di recezione dei Piani) i Quadri Comunitari di Sostegno. Più
in particolare ha approvato:
– con Decisione del 31.10.1989, il Quadro Comunitario di Sostegno per gli interventi
strutturali comunitari nelle Regioni dell’Obiettivo 1;
– con Decisione del 20.12.1989, il Quadro Comunitario di Sostegno per l’intervento
del FSE nell’ambito degli Obiettivi 3 e 4 nell’Italia centro-settentrionale;
– con Decisione del 20.12.1989, il Quadro Comunitario di Sostegno per gli interventi
strutturali comunitari nelle zone dell’Obiettivo 2;
– con Decisione del 21.11.1990, il Quadro Comunitario di Sostegno per gli interventi
strutturali comunitari nelle zone dell’Obiettivo 5b.
Con la decisione di approvazione la Commissione manifesta la propria intenzione
di contribuire alla realizzazione dei Piani. La struttura formale dei Quadri Comunitari
di Sostegno è quella del Prospetto 5.
I Quadri Comunitari di Sostegno hanno modificato soprattutto il quadro finanziario
contenuto nei Piani pluriennali e precisato gli assi prioritari d’intervento; in
proposito, nella Tabella 1 si riportano gli importi definiti per i singoli obiettivi.
È opportuno precisare che tali importi si riferiscono alla quota di FSE, e che il
tasso di intervento del Fondo è del 65% nel Mezzogiorno e del 45% nel Centro
Nord.
b.1) Il Quadro Comunitario di Sostegno dell’Obiettivo 1
Il Quadro comunitario di sostegno si articola in un sottoquadro per ciascuna Regione
ed in uno multiregionale legato all’intervento straordinario per il Mezzogiorno.
Esso copre un periodo che va dal 1989-1993 e comprende anche gli interventi
del Fondo Sociale Europeo a titolo degli Obiettivi 3 e 4 (cfr. Tab. n. 1). Il tasso
d’intervento del FSE è del 65%. Per il FSE il finanziamento ammonta a 2.550 miliardi
di lire (1.700 MECU), di cui 1.263 miliardi (842 MECU) a titolo dell’Obiettivo
1 e 1.287 miliardi (858 MECU) a titolo degli Obiettivi 3 e 4 e che rappresentano
l’11% di tutte le risorse comunitarie messe a disposizione di questa area territoriale
(cfr. Graf. n. 4). I 2.550 miliardi di lire sono ripartiti annualmente come illustrato nel
Grafico 5. Inoltre, il finanziamento FSE dell’Ob.1 viene distribuito tra gli assi prioritari
individuati dalla Comunità sulla base del Piano Pluriennale, nelle misure riportate
nel Grafico 6.
Prospetto n. 5 - Struttura di un Quadro Comunitario di Sostegno
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Tabella n. 1 - Finanziamenti richiesti con il Piano Globale di sviluppo e concessi con QCS
Grafico n. 4 - Peso percentuale dei Fondi Strutturali e altri Strumenti finanziari nell’Ob. 1
Grafico n. 5 - Ripartizione annuale delle risorse del FSE (migliaia di miliardi)
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b.2) Il Quadro Comunitario di Sostegno degli Obiettivi 3 e 4
Gli interventi del FSE finalizzati alla realizzazione degli Obiettivi 3 e 4 in Italia
sono oggetto di due distinte decisioni della Commissione: una riguarda le Regioni
del Centro Nord e l’altra le Regioni del Mezzogiorno. Per il Meridione, come si è
detto precedentemente, le azioni relative agli Obiettivi 3 e 4 sono state incluse nel
Quadro Comunitario di Sostegno per l’Obiettivo 1. È da notare che la durata dei due
QCS è diversa: quattro anni per le azioni relative agli Obiettivi 3 e 4 comprese nel
Quadro Comunitario di Sostegno per l’Obiettivo 1 e 3 anni per quelle comprese nel
Quadro Comunitario di Sostegno per il Centro Nord; gli stanziamenti risultano
quelli della Tabella 2.
Si può notare come, per esplicita scelta della Commissione, vista l’entità dei
problemi strutturali che caratterizzano il Mezzogiorno, gran parte degli interventi
sono concentrati in questa area. Il Quadro Comunitario di Sostegno per gli Obiettivi
3 e 4 del Centro Nord contiene gli assi prioritari, che valgono anche per il Mezzogiorno
(cfr. Prosp. n. 6); una sintesi delle forme di intervento (cioè dei programmi
operativi); un piano indicativo di finanziamento.
Quindi il Centro-Nord per il periodo 1990-92 ha una disponibilità finanziaria
per le politiche formative e occupazionali pari a 19.005 miliardi di lire (1.267
MECU), di cui 8.775 miliardi a carico del FSE e il resto a carico dei pubblici poteri
nazionali, regionali o locali.
Tabella n. 2 - Periodo e stanziamenti FSE per gli Obiettivi 3 e 4 nel Centro-Nord e nel Meridione
Grafico n. 6 - Ripartizione delle risorse del FSE per assi prioritari di intervento (migliaia di miliardi)
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L’importo del FSE è ripartito nel modo seguente: 1.380 miliardi per l’Obiettivo
3 e 6.990 miliardi per l’Obiettivo 4 e 405 miliardi di lire per le azioni a carattere innovativo,
di preparazione e accompagnamento, di orientamento e consulenza per il
reinserimento dei disoccupati di lunga durata.
b.3) Il Quadro Comunitario di Sostegno dell’Obiettivo 2
Nell’ambito dell’Obiettivo 2 sono stati emanati 9 Quadri Comunitari di Sostegno
per le nove Regioni del Centro-Nord interessate; il periodo di riferimento in
questo caso è biennale. Il tasso di intervento del FSE è del 45%. Il piano di finanziamento
per l’Italia è di 90 miliardi (60 MECU) a carico del FSE e 1.223,5 miliardi a
carico del FERS. I QCS per l’obiettivo di cui sopra comprendono assi prioritari d’intervento
legati alle diverse specificità delle zone interessate. Il Grafico 7 dà conto
delle ripartizioni della quota del FSE tra le Regioni che avevano territori rientranti in
questo Obiettivo.
b.4) Il Quadro Comunitario di Sostegno dell’Obiettivo 5b
Nell’ambito dell’Obiettivo 5b sono stati emanati 8 QCS riferiti alle otto Regioni
del Centro-Nord interessate. Il periodo di riferimento va dal 1989 al 1993 e il tasso
Prospetto n. 6 - Assi prioritari dell’Obiettivo 3 e Obiettivo 4
Grafico n. 7 - Ripartizione del finanziamento FSE tra le Regioni dell’Ob. 2
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57
d’intervento del FSE è del 45%. Il piano finanziario indicativo per l’Italia è di 5.775
miliardi (385 milioni di ECU), di cui 820,5 miliardi (54,70 MECU) a carico del
FSE, 2.181 miliardi (145,40 MECU) a carico del FERS e 2.773,5 miliardi (84,90
MECU) a carico del FEOGA-orientamento.
c) I Programmi operativi
I Programmi operativi sono stati presentati nel corso del 1989, insieme al Programma
pluriennale. Nel 1990 si è resa, però, necessaria una nuova edizione, per
due motivi: il primo riguardava tutte le Regioni, il secondo solo quelle del Mezzogiorno.
Primo motivo: i Programmi operativi del 1989 erano a titolarità del Ministero
del Lavoro e la Commissione invitava le Regioni a ripresentarli sotto la propria titolarità,
tenendo presente, peraltro, le variazioni finanziarie apportate dai Quadri Comunitari
di Sostegno.
Secondo motivo: le Regioni del Meridione sono state invitate dagli uffici CEE a
rivedere i loro programmi operativi nella logica del POP (Programma Operativo
Plurifondo). Con questa operazione la Comunità sollecitava gli Stati membri ad effettuare
una programmazione con un approccio più integrato. La realizzazione dei
programmi nelle Regioni rientranti nell’Obiettivo 1 costituiva, secondo la Comunità,
un’occasione per riflettere sulle strategie di sviluppo e per precisare nuove modalità
di intervento nelle aree del Mezzogiorno, più direttamente coinvolte nei problemi
suscitati dall’allargamento della Comunità europea. Voler accrescere l’interazione
e la complementarità degli aiuti era un obiettivo ambizioso e in molti casi il
suo conseguimento presupponeva un’evoluzione forte della cultura e della prassi
degli uffici regionali. Le Regioni, che peraltro avevano in precedenza sperimentato
l’approccio integrato nella elaborazione dei PIM, hanno risposto affermativamente a
questo invito della Comunità, ed hanno fatto confluire nei Programmi Operativi Plurifondo
tutte le elaborazioni programmatiche precedenti (anche quelli riguardanti gli
Obiettivi 3 e 4 del FSE).
La quasi totalità dei Programmi operativi è stata approvata tra la fine del 1990 e
i primi del 1991. La loro titolarità è regionale nella maggior parte dei casi. Vi sono,
però, anche alcuni PON (Programma Operativo Nazionale): come ad esempio
quello del Ministero del Lavoro per gli Enti pubblici economici, o per la formazione
all’estero di emigranti, quello del Ministero della Pubblica Istruzione, quello del Ministero
del Mezzogiorno, quello del Ministero degli Esteri, ecc.
1.5.2. Considerazioni valutative
Nei Regolamenti del 1988 si delineava un procedimento programmatorio incentrato
sulla complementarità dell’azione comunitaria rispetto agli interventi dei Paesi
membri nei diversi settori di operatività dei Fondi. Più in particolare sul versante
della formazione e dell’occupazione alle Regioni era richiesto da un lato un legame
organico tra le politiche attive del lavoro, territoriali e settoriali, e la Formazione
Professionale dall’altro uno stretto intreccio tra programmazione generale della forstoriaFORMAZ3-
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mazione ed interventi di FSE. Ma per assicurare complementarietà, legame organico
e intreccio occorreva un forte governo locale in sede di elaborazione dei piani, di definizione
dei Programmi Operativi e di controllo dell’esecuzione. Le Regioni e le
Province Autonome erano, dunque, chiamate a compiti per certi versi nuovi e comunque
con approcci diversi da quelli abitualmente utilizzati. Diciamo per certi
versi perché quanto richiedeva la Comunità Europea non rappresentava una novità
assoluta al momento del varo della Riforma del 1988; in precedenza infatti, c’era
stata, come abbiamo già annotato, l’esperienza dei PIM. Di fatto, però, quella che
prima era una esperienza, peraltro a livello sperimentale, ora deve diventare prassi
quotidiana.
Come si sono comportate le Regioni?
Per rispondere a questo interrogativo assumiamo, come indicatore di carattere
sintetico (in grado cioè di rendere maggiormente sia le capacità di programmazione
che quelle di gestione e di finanziamento), il livello di utilizzazione da
parte delle Regioni delle risorse finanziarie FSE stanziate dall’Europa. I giudizi
sono differenziati, perché molto diverse sono le prestazioni delle Regioni (cfr.
Graff. n. 8a e 8b).
Infatti, ad esempio, nel 1990, il tasso di utilizzo delle risorse del FSE (che nella
media nazionale è del 64,7%), varia da Regione a Regione in maniera considerevole,
con un utilizzo del 100% e quindi al primo posto, per il Molise tra le Regioni
meridionali e l’Emilia Romagna fra quelle centro-settentrionali; nelle ultime posizioni,
con un tasso di utilizzo inferiore al 50%, si collocano Basilicata e Sardegna
nel Sud e Liguria e Lombardia nel Centro-Nord.
La differenza tra il valore medio del Centro-Nord e quello del Meridione è di
quasi 20 punti, facendo registrare rispettivamente l’uno il 75,1% e l’altro il 55,3%.
Grafico n. 8a - Livello percentuale di utilizzo del contributo FSE per gli Obiettivi 3 e 4 da parte
delle Regioni e Province Autonome (anno 1990)
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Sulle prestazione delle Regioni del Sud, però, influisce il fatto, già ricordato,
che hanno dovuto rielaborare i Programmi operativi a titolarità Ministero del Lavoro
nella logica del Programma Operativo Plurifondo e ripresentarli a titolarità regionale.
La cattiva performance delle Regioni del Sud, però, ha origini prevalentemente
di carattere culturale. Infatti, riflette le contraddizioni incertezze e problemi che caratterizzavano
allora (e anche oggi) il dibattito e la stessa definizione della politica
per il Mezzogiorno e dentro questa, la riflessione sul rapporto tra strategia di sviluppo
e politica occupazionale e formativa e su come costruire interventi efficaci basati
sulle sinergie anziché sulle settorializzazioni o sulle sovrapposizioni.
È comunque innegabile che quanto chiede l’Europa trova impreparate le Regioni,
soprattutto nell’intrecciare le politiche strutturali ed infrastrutturali, da una
parte e quelle di valorizzazione delle risorse umane, dall’altra. Si veda a questo proposito
il tasso di utilizzazione delle somme stanziate dalla Comunità Europea nelle
zone dell’Ob. 2 (cfr. Graf. n. 9), dove le Regioni del Centro-Nord erano chiamate a
programmare azioni formative di sostegno per la riconversione della popolazione e
per lo sviluppo delle attività delle zone rurali.
Tutte le Regioni, ad esclusione della Liguria (che peraltro ha valori molto bassi)
fanno registrare tassi di utilizzazione dei contributi finanziari dell’Ob. 2 inferiori a
quelli dei contributi dell’Obiettivo 3 e dell’Obiettivo 4. Alle Marche il record negativo
di 53,2 punti percentuali di differenza, seguite dal Piemonte (35,2%) e dalla
Lombardia (27,8%).
Le elaborazioni effettuate sui dati 1990 e 199133 permettono di delineare alcune
ipotesi valutative anche in merito alla capacità attuativa delle azioni da parte delle
amministrazioni regionali.
33 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1994, F. Angeli, Milano, 1994, pp. 90-94.
Grafico n. 8b - Livello percentuale di utilizzo del contributo FSE per gli Obiettivi 3 e 4 da parte
delle Regioni e Province Autonome (anno 1990)
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Gli indicatori descrittivi della “capacità attuativa” sono dati dal rapporto tra le
attività rendicontate e le attività programmate, sia in termini di soggetti beneficiari
che in termini di spesa.
Nel 1990 le Regioni hanno coinvolto nelle azioni il 10,8% di soggetti in meno
rispetto a quanto programmato ed hanno rendicontato una spesa inferiore del 29,8 %
rispetto a quella preventivata.
La capacità di attuazione per quanto riguarda il numero dei beneficiari rimane
invariata tra il 1990 ed il 1991, mentre si nota un notevole miglioramento nella capacità
di spesa, infatti, nel 1991, lo scarto tra spesa preventivata e spesa rendicontata
è pari al 10,3%34.
Per misurare l’efficienza, invece, si può misurare la capacità delle amministrazioni
di utilizzare al meglio le risorse disponibili, massimizzando il numero dei
partecipanti con la minore spesa possibile: maggiore è il valore dell’indicatore,
migliore è il comportamento osservato rispetto a questi parametri. Nella media nazionale
il valore dell’indicatore di efficienza è pari a 18,8; le differenze tra Regioni
appaiono molto rilevanti. L’indicatore di efficienza assume valori rilevanti soprattutto
in Lombardia ma anche in Calabria, Puglia, Basilicata; al contrario, l’efficienza
più contenuta si registra in Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia.
I costi unitari medi a consuntivo appaiono per grandi linee allineati ai costi
34 Si deve tener conto del fatto che le variazioni descritte appaiono relativamente contenute in
quanto nel corso dell’anno solare vengono effettuati da parte delle Regioni uno o più aggiustamenti del
programma iniziale (riprogrammazione); così almeno in ordine temporale, le decisioni definitive sulle
attività da svolgere si situano in prossimità delle operazioni di rendicontazione delle attività effettuate.
Grafico n. 9 - Confronto tra tasso di utilizzazione da parte delle Regioni delle risorse dell’Ob. 2 e
quello degli Obb. 3 e 4
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medi, per analoghe tipologie di intervento, che si riscontrano in altri Paesi europei. I
costi unitari a preventivo, invece sono più alti. Perché le amministrazioni regionali
sovrastimano i costi previsionali? Nella maggior parte dei casi non si tratta di insipienza
tecnica, ma di espediente calcolato. I ritardi sistematici sui tempi di erogazione
sia delle anticipazioni che dei saldi dei finanziamenti, che comportano la possibilità
di oneri aggiuntivi (in termini di interessi bancari passivi), “suggeriscono”
una certa lievitazione dei costi previsionali.
Due considerazioni finali relative agli allievi che hanno frequentato le attività
cofinanziate.
a) Dato che le attività che beneficiano del FSE si rivolgono principalmente a “persone
in cerca di occupazione”, è importante domandarsi quale sia l’incidenza
dei soggetti coinvolti nelle azioni cofinanziate rispetto alla popolazione complessiva
in stato di inoccupazione o disoccupazione. Tale incidenza appare relativamente
contenuta nella media nazionale che si ferma appena al 4,2%. Ha una
maggiore rilevanza (con la sola eccezione dell’Emilia Romagna) solo nelle Regioni
di “piccola dimensione” (sia in termini di territorio che di popolazione),
come la Basilicata e per la maggior parte con un ordinamento speciale o autonomo
come il Friuli Venezia Giulia, le Province di Trento e Bolzano, la Valle
D’Aosta. Questo dato fa propendere per l’ipotesi che non vi sia una ripartizione
delle risorse proporzionata alla reale consistenza del fenomeno della disoccupazione
nelle diverse aree.
b) La distribuzione dei partecipanti alle attività formative attuate nel 1990 e 1991
con il cofinanziamento FSE per settore di attività economica è la seguente:
3,6% agricoltura, 62,2% industria, 34,2% attività terziarie. Tale distribuzione
appare scarsamente correlata con il peso dell’occupazione settoriale, giacché
nella media italiana l’occupazione in agricoltura rappresen tava nel 1990 il 9,1%
dell’occupazione totale, l’industria il 31,1% e le attività terziarie il 59,8%. Vi è
dunque un evidente sovra-dimensionamento dell’intervento nel settore industria.
Questa situazione si verifica solo per le attività cofinanziate o anche per quelle
che non beneficano del contributo del FSE?
Mettendo a raffronto il peso percentuale dell’occupazione di ciascun settore
rispetto all’occupazione totale, con quello degli allievi della formazione complessiva
e degli allievi della formazione con contributo FSE di ciascuno dei tre settori,
si ha la situazione descritta nel Grafico 10. Situazione da cui si ricavano queste
evidenze:
– per il settore agricoltura non c’è coerenza, sia pure per ragioni inverse, fra peso
occupazionale del settore ed offerta formativa sia cofinanziata che complessiva;
– per il settore industria emerge una sostanziale coerenza tra peso occupazionale
del settore ed offerta complessiva di formazione, mentre c’è una divaricazione
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importante nell’ambito delle attività cofinanziate (che fanno registrare il doppio
del peso percentuale dell’occupazione);
– parallelamente per il settore terziario, si nota una buona coerenza tra la programmazione
regionale di formazione ed il peso settoriale dell’occupazione
ma, al contrario che per l’industria, si verifica un sottodimensionamento dell’offerta
cofinanziata.
2. I Programmi e le Iniziative comunitarie
2.1. I Programmi e le Iniziative: due diversi strumenti comunitari
Nel volume II abbiamo specificato le tipologie le finalità e gli aspetti operativo
procedurali dei Programmi Comunitari e abbiamo illustrato quelli relative alle tematiche
di nostro interesse (COMETT, EUROTECNET, IRIS, PETRA)35.
Con la riforma dei Fondi strutturali del 1988 I Programmi Comunitari sono affiancati
da un nuovo strumento finanziario: le Iniziative Comunitarie. L’art. 11 del
Regolamento di coordinamento stabilisce che “la Commissione può, di propria iniziativa
[...], decidere di proporre agli Stati membri di presentare richieste di contributo
per azioni che rivestono un interesse particolare per la Comunità”. Con tale decisione
si è voluto assicurare allo strumento strutturale una maggiore incisività, potendo
intervenire in aree più vaste di quelle nazionali o regionali previste dai
Quadri Comunitari di Sostegno nazionali e consentendo la sperimentazione di
nuove soluzioni e il confronto su più realtà nazionali: innovazione e transnazionalità
degli interventi sono, infatti, i due aspetti fondamentali di questi nuovi strumenti.
35 Cfr. Vol. II, pp. 471-487.
Grafico n. 10 - Confronto tra il peso degli occupati con il peso degli allievi della formazione
complessiva e cofinanziata dei macrosettori
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63
Ma innovazione e transnazionalità sono anche caratteristiche dei Programmi
Comunitari. Quali, dunque, le differenze distintive dei Programmi e delle Iniziative?
C’è una differenza di fonti finanziarie; mentre le Iniziative sono a carico esclusivo
dei Fondi strutturali, i Programmi possono essere finanziati anche dai Fondi
strutturali, ma normalmente da altre fonti comunitarie. Ma ciò che sostanzialmente li
distingue è la titolarità: i Programmi Comunitari sono gestiti dalle Direzioni Generali
della Commissione Europea, mentre l’attuazione delle Iniziative Comunitarie
viene realizzata dagli Stati membri.
2.2. I Programmi comunitari del periodo 1990-94
2.2.1. COMETT II (1990-94) - Cooperazione fra le Università e le imprese in
materia di formazione nell’ambito delle tecnologie
I risultati conseguiti ed i relativi problemi emersi dai primi tre turni applicativi
del programma COMETT I (1987-1989)36 hanno costituito il quadro di riferimento
entro cui la Commissione37 ha delineato, di concerto con le rappresentanze dei Paesi
membri, la seconda fase del programma, approvata con Decisione del Consiglio
89/27 del 16.12.198838.
COMETT II, operativo dai primi mesi del 1990 e con una prospettiva quadriennale
e una dotazione finanziaria di 200 milioni di ECU (pari a circa 585 milioni di euro),
presenta alcune signi ficative tarature e modifiche, rispetto alla prima edizione:
– una filosofia più selettiva dei progetti, orientata maggiormente ai temi e alle
problematiche tecnologiche39;
– una più accentuata strategia di coinvolgimento delle PMI e dei contesti europei
più periferici e marginali, per evitare il concentramento delle risorse stanziate
su poche aree o Paesi40;
36 Cfr. Volume II, pp. 477-481.
37 Allo scopo di trarre insegnamenti dalle azioni avviate e tentare un bilancio la Commissione
della Comunità Europea aveva chiesto ad un gruppo di 7 “saggi” indipendenti di procedere ad un
esame critico del programma COMETT e formulare proposte per il futuro. Il gruppo, presieduto dal
Sig. Liam Connellan, membro del Comitato economico e sociale ed ex direttore generale della Confederazione
delle industrie irlandesi, si componeva di 7 personalità del mondo accademico, sociale e industriale,
ha formulato sette precise raccomandazioni: rafforzare l’aspetto della formazione continua
del programma, mantenere le formazioni iniziale e continua all’interno di uno stesso programma, intensificare
il tasso di partecipazione delle PMI, sviluppare maggiormente la mobilità delle tecnologie
presenti nella vita professionale, riconoscere il potenziale rappresentato da taluni progetti COMETT
per migliorare la sinergia R&D-formazione, aumentare il bilancio, “a causa dell’importanza del programma
COMETT”, snellire le procedure amministrative.
38 G.U.C.E. L 13 del 17.1.1989 e Boll. 12-1988, punto 2.1.159.
39 Il quadro di riferimento entro cui situare tale maggior focalizzazione dei progetti è costituito dal
programma-quadro di Ricerca & Sviluppo, dal Rapporto della Commissione sullo stato di avanzamento
delle tecnologie in Europa, nonché dal più generale e vincolante raccordo tra COMETT e gli
altri programmi finalizzati all’integrazione tecnologica, industriale ed educativa europea, quali Esprit,
Brite, Science, Delta, Erasmus.
40 Si ricorda che in COMETT I Francia ed Inghilterra hanno preso il 70% delle provvidenze.
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– la previsione di aiuti e sovvenzioni per le onerose fasi di ideazione, progettazione
ed organizzazione delle azioni da presentare41;
– il potenziamento della linea d’azione concernente gli stages, tramite l’introduzione
di stage fino a 24 mesi in imprese per neo-laureati, con una dotazione finanziaria
estendibile fino a 1000 ECU al mese (un milone e mezzo di lire);
– la fusione delle due linee d’azione c) (Iniziative multilaterali per la messa a
punto di sistemi di formazione multimediale) e d) (Informazioni complementari
e misure di valutazione) in una sola linea relativa a progetti congiunti di formazione
permanente alle tecnologie avanzate e di formazioni multimediali a distanza.
Troppo frequenti si sono infatti dimostrate le duplicazioni e le dispersioni
dei progetti nelle due distinte linee originarie di COMETT I;
– possibilità di coinvolgimento nel programma dei Paesi europei extra CEE
(Paesi dell’Est) grazie ad una specifica integrazione di budget.
Nel quadriennio sono stati emanati 5 bandi, da cui sono derivati (cfr. Tab. n. 3):
– l’attivazione di una rete di 19 consorzi costituiti tra aziende, università, associazioni
imprenditoriali e di categoria, organismi di ricerca e sviluppo, Enti di Formazione,
ecc.; tali strutture assicurano l’intera copertura nazionale ed hanno
consentito l’accesso a COMETT di operatori ed utenti di tutte le Regioni;
– la mobilità di 2.845 studenti e neolaureati (sia italiani in uscita, sia stranieri in
ingresso in Italia), i quali hanno usufruito di stages in aziende di altro Paese
membro e l’attivazione di circa 90 scambi di personale aziendale o universitario
(sia italiano che straniero), che ha usufruito di un periodo di distacco presso
aziende di altro Paese dove hanno partecipato alla realizzazione di progetti di
lavoro comuni;
– la progettazione e realizzazione di 286 corsi di Formazione Professionale specialistici
intensivi, replicati in oltre 450 sessioni in Italia ed in altri Paesi; a tali
corsi hanno partecipato neo laureati interessati ad un inserimento professionale
qualificato ed occupati (quadri e manager di PMI);
– la progettazione e realizzazione di 33 progetti transnazionali per la produzione
di software formativo innovativo;
– la realizzazione di 33 iniziative di supporto e promozione (progetti pilota e
azioni positive).
La dotazione finanziaria complessiva concessa dalla Commissione all’Italia
per tutte le attività sopra indicate è di circa 18,8 milioni di ECU (28 miliardi e 200
milioni di lire circa); tale quota è pari al 9,5% del budget complessivo europeo di
COMETT. La distribuzione delle risorse alle Regioni o a gruppi di Regioni (Lazio,
Molise, Abruzzo, Umbria; Piemonte e Valle d’Aosta; Veneto, le due Province Au-
41 I costi di preparazione dei progetti hanno infatti esercitato un forte disincentivo per i mediopiccoli
operatori aziendali e per le organizzazioni prive di connessioni od agganci con ì circuiti internazionali.
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65
tonome del Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia) è quella riportata nel
Grafico 11. La distribuzione dei progetti approvati per settore tecnologico fanno
emergere un interesse prevalente per 5 macroaree:
– l’area degli aspetti tecnologici connessi al management, alla formazione ed alla
gestione dell’innovazione;
– l’area delle tecnologie dell’informazione, elaborazione dati, intelligenza artificiale
e sistemi esperti;
– l’area delle biotecnologie e delle applicazioni di biologia e chimica;
Nostra elaborazione su dati del Centro informazioni COMETT Italia del Ministero dell’Università e Ricerca Scientifica
Tabella n. 3 - Risultati di COMET II
Grafico n. 11 - Dotazione finanziaria assegnata alle Regioni o gruppi di Regioni (migliaia di ECU)
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66
– l’area dell’innovazione e/o automazione di processo industriale, robotica;
– l’area dell’architettura e pianificazione regionale, ingegneria civile42.
La valutazione di COMETT II sostanzialmente rappresenta una replica della
valutazione di COMETT I, perché i meriti dell’uno (promozione ed attivazione di
forme di raccordo funzionale tra referenti, diffusione della transnazionalità, realizzazione
di esperienze prototipo eccellenti…) rappresentano gli aspetti positivi
dell’altro, e le criticità della prima edizione del Programma fanno riferimento a fenomeni
“strutturali” con i quali necessariamente si misura anche la seconda edizione43.
Sottolineiamo un limite, già segnalato a proposito di COMETT I, di tali esperienze
è rappresentato, talora, dalla ridotta sfera di trasferibilità dei prototipi, applicabili
solo ad un circuito di fruizione circoscritto e comunque contiguo o connesso
al consorzio o al contesto industriale ideativi44.
2.2.2. EUROTECNET II (1990-94) - Innovazione nella Formazione Professionale
derivante dal mutamento tecnologico nella Comunità europea
Nel giugno 1990 è stato presentato ufficialmente a Dublino il nuovo programma
comunitario EUROTECNET II (1990-1994), che rappresenta, con alcuni
aggiornamenti e modifiche, il prolungamento dell’omonimo programma, operativo
negli anni 1985-1989 e che si proponeva la creazione e l’implementazione di una
rete finalizzata a favorire lo scambio, tra i Paesi europei, di esperienze e prodotti formativi
esemplari legati all’innovazione tecnologica45.
EUROTECNET II, stabilito dalla decisione del Consiglio del 18 dicembre 1989
(89/657/CEE)46 è gestito dalla Commissione CEE (Task Force Human Resources,
Education, Training, Youth) ed ha una dotazione finanziaria per i primi tre anni, non
particolarmente consistente, di 7,5 milioni di ECU (pari a circa 11 milardi e 250 milioni
di lire).
A differenza di altri Programmi che finanziano nuove iniziative EUROTECNET
cura la circolazione di conoscenze e analisi e riflessioni sulle pratiche formative
più avanzate in diverse aree di impiego delle tecnologie dell’informazione.
Destinatari principali di EUROTECNET sono quindi i decisori e operatori nel
campo della formazione.
Da un punto di vista funzionale ed organizzativo le componenti essenziali del
programma (cfr. Fig. n. 7) sono:
42 Nei bandi del 1991 queste cinque macroaree facevano registrare rispettivamente questi valori
percentuali: 17%, 10%, 10%, 8%, 6%.
43 Cfr. PITONI I., L’Impatto del Programma COMETT sul sistema d’istruzione e formazione superiore
nelle Regioni Ob. 1 del FSE italiane, in Osservatorio Isfol, n. 4, 1994.
44 Cfr. RAPPORTO ISFOL 2002, p. 293.
45 Cfr. ISFOL (studio coordinato da DI STEFANOA., GASBARRIA., TORSELLOA.M., TURRINI O.), La
formazione nei programmi comunitari, Capone Editore, Lecce 1991, pp. 43-48.
46 Cfr. G.U. n. L 393 del 30/12/1989, pp. 0029-0034.
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67
– la “Task force Human Resources, Education, Training, Youth”, cui spetta l’indirizzo
e il controllo del programma nel suo insieme; a questo scopo la Task force
è assistita da un Comitato consultivo in cui sono rappresentate le istituzioni responsabili
della formazione e le parti sociali dei 12 Stati membri;
– l’Unità centrale di assistenza tecnica EUROTECNET, competente per quanto
riguarda l’attivazione e la gestione delle iniziative svolte nell’ambito del programma;
– le Unità nazionali di animazione e diffusione; costituite in tutti i Paesi e incaricate
di cooperare alle attività dell’Unità centrale e di coordinare, anche con iniziative
specifiche, la partecipazione dei progetti. L’Unità EUROTECNET-Italia
è stata istituita in ambito Isfol nell’ottobre 199147;
– i dicasteri responsabili dei Sistemi nazionali (per l’Italia il Ministero del Lavoro
e il Ministero della Pubblica Istruzione) che scelgono i progetti caratterizzati da
rilevanti aspetti di innovatività e qualità del prodotto formativo complessivamente
offerto. I criteri per la scelta dei progetti sono stati definiti dalla Task
force Human Resources, Education, Training, Youth48.
47 Essa è coordinata da personale dell’Isfol con la supervisione di un Comitato di pilotaggio nel
quale sono rappresentati i dicasteri responsabili e le parti sociali.
48 I criteri sono: a) progetti idonei a forme di collaborazione paritaria: ad esempio, un piccolo
gruppo di centri, operanti ciascuno in un diverso Stato membro, che mettono in comune risorse per istituire
un consorzio, realizzare il programma di un corso, progettare in comune un software didattico,
svolgere un’attività di formazione dei formatori; b) progetti «di trasferimento»: si tratta dei progetti che
permettono il trasferimento di know-how formativo da centri situati in Stati membri ove sono presenti
risorse in determinati campi (es. Cad/Cam, office automation, etc...) verso altri Stati ove tali risorse
Figura n. 7 - Soggetti e funzioni del Programma EUROTECNET
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68
sono carenti; c) progetti «pump priming»: si realizzano all’interno di uno Stato membro in una situazione
(settoriale/territoriale) in merito alla quale la Commissione ha dato indicazioni di sviluppo (ad
esempio, un progetto per la formazione di tecnici agricoli in un’area nella quale la CEE ritiene che ci
sia bisogno di queste figure); d) progetti «innovativi»: rappresentano di per sé qualcosa di interessante
sul piano dei contenuti o delle metodologie (ad esempio, progetti che sviluppano metodi didattici basati
sul self-learning) e possono dar luogo a iniziative di trasferimento ovvero di informazione/disseminazione
dei risultati.
49 Gli eventi più significativi svoltisi, ad esempio, nel 1992-93, sono rappresentati dalle Conferenze
nazionali EUROTECNET che hanno avuto luogo nei 12 Paesi sui seguenti temi: Formazione
Continua nelle piccole e medie imprese (Germania, ottobre 1992); L’economia nella produzione
(Regno Unito, novembre 1992); Esperienze e prospettive di innovazione della Formazione Professionale
(Italia, novembre 1992); L’ingegneria formativa nelle nuove tecnologie (Portogallo, novembre
1992); Il formatore come consulente in una organizzazione del lavoro in evoluzione (Belgio, dicembre
1992); L’approccio multimediale alla Formazione Professionale (Lussemburgo, dicembre 1992); Collegamenti
tra industria, educazione e formazione (Irlanda, febbraio 1993); Nuove competenze e risposte
flessibili di formazione e partnership transnazionale (Francia, febbraio 1993); Come il centro di
formazione può far fronte alle nuove tendenze in atto (Danimarca, febbraio 1993); Riformatore come
agente di sviluppo e apprendimento in un ambiente di lavoro in evoluzione (Grecia, marzo 1993); Sviluppo
curricolare e nuove qualificazioni professionali (Spagna, 1993).
50Al tema è stata dedicata una ricerca, curata dall’Unità nazionale di animazione e tradotta in tutte
le lingue comunitarie.
51 Il self-learning viene considerato in una duplice chiave, riferita sia all’auto-apprendimento
come modalità generale di sviluppo individuale, più o meno direttamente raccordata con la partecipazione
al lavoro, sia all’impiego di tecnologie computer-based individualizzate.
52 I core skills sono assunti come competenze di tipo comportamentale (comunicare, decidere,
ideare, ecc.), utilizzabili in ogni contesto organizzativo e dei quali devono essere dotati anche i giovani
che accedono per la prima volta al lavoro, oltre che naturalmente coloro che già operano e devono ampliare
l’ambito delle proprie competenze.
Successivamente alla costituzione della rete, le principali attività svolte nell’ambito
del programma consistono in incontri a carattere di seminario o di
workshop svolti in diversi Paesi europei, con la partecipazione dei rappresentanti dei
progetti in rete49.
Il budget di cui dispone EUROTECNET non serve pertanto a realizzare interventi
ma solo ai rimborsi delle spese sostenute dai rappresentanti dei progetti per
partecipare agli incontri.
Difficile fare una valutazione di un programma il cui obiettivo primo è la circolazione
di cultura. Un giudizio portato solo su dati obiettivi, quali bandi emanati,
progetti selezionati e approvati rappresenterebbe poca cosa. Molto più pertinente sarebbe
una valutazione sulla diffusione reale di queste culture e sulle ricadute applicative,
ma questo implicava un percorso di ricerca molto impegnativo e soprattutto
molto oneroso. Noi possiamo soltanto segnalare alcuni temi che allora rappresentavano
problematiche poco o affatto esplorate dal dibattito e dalla saggistica di quei
tempi, ma che entreranno dopo qualche anno nel patrimonio culturale della Formazione
Professionale.
Tra questi citiamo la learning organization50, il self-learning51, i core skills52.
Altri temi rilevanti, ai quali sono stati dedicate Conferenze nazionali e altre occasioni
di dibattito, sono stati quelli della formazione a distanza, della valutazione
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della formazione, della progettazione formativa in termini di anticipazione dei bisogni
formativi. Nell’insieme EUROTECNET ha teso a valorizzare tutti gli aspetti
che implicano un superamento della formazione come semplice trasmissione di conoscenze
legate allo svolgimento di mansioni predeterminate in ambienti organizzativi
stabili. Sono stati, invece, fatti circolare orientamenti che assumono la facilitazione
dell’apprendimento, inteso in senso lato, come prospettiva emergente degli interventi
formativi e richiedono sostanziali cambiamenti negli approcci e nella preparazione
di tutti coloro che concorrono alla realizzazione di tali interventi.
2.2.3. FORCE (1991-94) - Sviluppo della Formazione Professionale Continua
La Decisione del Consiglio n. 90/267 del 29.5.1990 adotta il programma d’azione
quadriennale per la Formazione Professionale Continua FORCE53. Il Programma
è entrato in vigore il 1° gennaio del 1991, ha una durata di 4 anni ed uno
stanziamento per il primo biennio di 24 milioni di ECU (pari a circa 36 miliardi di
lire). Il Programma intende rispondere ad una duplice esigenza: l’una di carattere
strutturale, l’altra legata alla realizzazione, nel 1992, del Mercato Unico. La prima
necessità è rappresentata dallo stato della Formazione Continua nei Paesi della Comunità:
uno stato caratterizzato da fenomeni, rari e circoscritti, di eccellenza accanto
a situazioni, abbastanza generalizzate, in cui tale formazione appare quasi inesistente.
La seconda esigenza nasce dal timore di contraccolpi occupazionali che potrebbero
derivare dalla realizzazione di un mercato unico che potrebbe avere, quali
effetti collaterali, l’entrata in crisi di singole aree industriali o intere regioni comunitarie.
Il disegno del Programma quindi non è solo quello di stimolare la implementazione
e il consolidamento di questa offerta, ma anche quello di accrescere il livello
di compartecipazione fra Enti pubblici, Aziende e Regioni meno sviluppate, di indurre
la realizzazione di sperimentazioni ed innovazioni sia a livello di gestione
delle esperienze come di metodologie e strumenti operativi; di sollecitare il superamento
dei confini nazionali per la realizzazione di progetti transnazionali e transfrontalieri,
di favorire lo scambio di informazioni su base comunitaria. Come si può
notare, non si tratta quindi di un progetto come gli altri che la Comunità ha adottato
nel corso degli Anni ’80, ma di un vero e proprio programma quadro perché non si
tratta solo di sviluppare un’offerta formativa, ma costruire un sistema.
Il programma comprende tre grandi azioni; di ciascuna di esse si espongono i
tratti salienti (cfr. Fig. n. 8):
– Azione 1: Sostegno all’innovazione nel settore della Formazione Professionale
Continua.
Questa azione è rivolta alle imprese, ai lavoratori che necessitano di una Formazione
Continua e alle organizzazioni e Istituzioni pubbliche e private (diverse in
ciascuno Stato membro) che le aiutano a pensare, finanziare e fornire la forma-
53 Cfr. ISFOL (studio coordinato da DI STEFANO A., GASBARRI A., TORSELLO A.M., TURRINI O.),
La formazione nei programmi comunitari, Capone Editore, Lecce 1991, pp. 49-60.
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zione. Essa riguarda tutte le categorie di imprese e mira in particolare a sviluppare
i rapporti di lavoro e il trasferimento delle conoscenze e delle competenze
dalle grandi alle piccole imprese. Nell’ambito di tale azione è prevista la realizzazione
di:
a) una rete comunitaria di Formazione Continua, creata e realizzata dalla Commissione
e che comprenderà:
- una base di dati comunitari su prassi e metodi positivi esistenti e le informazioni
utili al personale delle imprese ai formatori ed ai responsabili
delle politiche della formazione;
- un programma di seminari tenuti da esperti, dedicati all’investimento
nella Formazione Professionale Continua e alle possibilità di accesso e di
partecipazione;
- la creazione e lo sviluppo di centri nazionali di informazione;
- la creazione e lo sviluppo di una rete di esperti;
b) un programma di scambi, che si rivolgerà a formatori a tempo pieno; collaboratori
dei servizi “risorse umane”; rappresentanti del personale delle imprese,
specialisti in formazione dei consorzi regionali, con un contributo finanziario
(solo per i costi di mobilità) fino a 7.500 ECU per candidato (circa
11 milioni e 250 mila lire), e con una durata massima di tre mesi per
scambio;
c) progetti pilota transnazionali e transfrontalieri di Formazione Continua riguardano:
- partenariati tra imprese, o basati sul sostegno da esse fornito, che si impegnano
a migliorare la qualità della Formazione Continua; il contributo finanziario
(per il lavoro di preparazione e di progettazione, della durata
massima di due anni) ha un tetto di 100.000 ECU (circa 150 milioni di
lire) all’anno (fino al 50% del costo totale), per una durata massima di due
anni;
- inchieste settoriali, realizzate da organismi o esperti in risorse umane e in
piani di Formazione Continua, in settori particolarmente importanti per lo
sviluppo del mercato unico.
– Azione 2: Maggiore cooperazione tra gli Stati membri nell’analisi dei bisogni
di Formazione Continua e nel monitoraggio dell’offerta.
Quest’azione intende migliorare le informazioni utilizzate dalle imprese nella
preparazione del loro piano di formazione, nonché le informazioni utilizzate
anche dai governi, dalle autorità pubbliche e dagli organismi di Formazione per
definire la loro politica ed i loro obiettivi prioritari. Essa ha l’obiettivo di promuovere
lo sviluppo coerente della Formazione Professionale Continua nella
Comunità. Nell’ambito di tale azione sono previsti:
- la creazione di uno strumento comune di analisi e di raffronto delle politiche
e delle pratiche di Formazione Continua: si tratta di creare una base di raffronto
delle politiche di offerta e di spese per la Formazione Continua attuale
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71
da parte di tutti gli organismi pubblici e privati della Comunità e realizzare
presso le imprese un’indagine specifica sulle informazioni disponibili in materia
di Formazione Continua;
- l’analisi della politica contrattuale sulla Formazione Professionale Continua
e la diffusione di prassi e metodi positivi: questo aspetto riguarderà la ricerca
e l’analisi di dati comparabili provenienti da tutti gli Stati membri e concernenti
gli accordi collettivi ed aziendali sulla Formazione Professionale Continua,
nonché un programma di scambio per membri di associazioni sindacali
e patronali;
- la previsione dell’evoluzione in materia di qualifiche e professioni: in questo
quadro sarà necessario raccogliere dati nazionali e settoriali comparabili al
fine di mettere a punto una metodologia comune per impresa o per settore; il
contributo finanziario coprirà fino al 100% dei costi, con un tetto massimo di
75.000 ECU.
– Azione 3: Ampliamento della rete FORCE mediante consorzi regionali e partenariati
transnazionali di Formazione finanziati dal Fondo Sociale Europeo.
Nel 1991 ha iniziato a funzionare la struttura nazionale di coordinamento, affidata
dal Ministero del Lavoro all’Isfol, con la supervisione di un comitato di pilotaggio
composto da rappresentanti delle parti sociali (CGIL, CISL, UIL, Confindustria,
Confapi, Intersind), delle Regioni e del Ministero del Lavoro. La metodologia
di lavoro adottata e la gestione complessiva del programma sono state
nuove; nuove, in particolare, per il diretto coinvolgimento dei vari soggetti poli-
Figura n. 8 - Le Azioni del Programma FORCE
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tico-istituzionali interessati al programma e delle parti sociali (in una logica che
vede la formazione come oggetto di concertazione tra i partner, nel tentativo di
superare ottiche conflittuali e di ricercare dimensioni contrattuali e di relazioni
industriali innovative), nuove per la scelta di definire, all’interno degli obiettivi
del Programma, priorità nazionali per orientare e valutare i progetti54, nuovo per
le procedure di selezione. Quest’ultime hanno visto un impegno a quattro livelli:
quello degli esperti a livello comunitario, per valutare i progetti sulla base
di criteri di qualità e contenuto; quello bilaterale con i membri italiani del Comitato
FORCE, per valutare l’interesse dei progetti in rapporto alla situazione
nazionale; quello del Comitato nel suo insieme; quello della Commissione e del
Bat, per valutare la dimensione comunitaria. Si tratta di una procedura complessa,
certamente facilitata dalla ridotta dimensione e dalle caratteristiche “pilota”
del programma FORCE, ma comunque significativa per il suo intento di
coinvolgere, secondo un percorso chiaramente predefinito, diversi soggetti, sedi
e livelli.
L’Italia ha presentato, nei tre bandi di gara che hanno interessato il triennio
1991-94, 342 progetti; quelli approvati sono stati complessivamente 82. Dei 106
progetti presentati nel 1991 ne sono stati approvati 17, ripartiti tra 6 progetti rientranti
nell’Azione 3, identificata nel gergo tecnico con il nome “scambi”, 8 progetti
nell’Azione 1 “pilota” e 3 progetti nell’Azione 2 “qualifiche”; dei 123 progetti presentati
nel 1992, l’Italia ne ha avuti approvati 30, che si ripartiscono tra 2 scambi, 17
progetti pilota e 11 progetti qualifiche. I primi due bandi di gara erano mirati, prioritariamente,
a progetti pilota e a progetti di qualificazione della durata di due anni,
soggetti ad una prima valutazione allo scadere del primo anno; tutti i progetti italiani
sono stati rinnovati per il secondo anno. Il terzo bando, quello del 1993, si è articolato
in due filoni: il primo concernente lo sviluppo della formazione e della qualifi-
54Ad esempio nell’ambito della gestione del primo bando di gara, sono state definite delle priorità
nazionali, individuando sette grandi criteri di priorità riferiti ai singoli progetti e tre criteri di ponderazione/
correzione delle priorità riferiti all’insieme dei progetti presentati. Criteri di priorità erano: a)
l’accessibilità alla Formazione Professionale Continua (ad esempio di sviluppare metodologie flessibili,
in termini sia di organizzazione dei tempi che dei ritmi di apprendimento); b) favorire il proseguimento
ed il rafforzamento del dialogo sociale a livello aziendale, territoriale e settoriale; c) integrare le
azioni nei programmi regionali di formazione: ad esempio sviluppare progetti che coinvolgano gli organi
regionali preposti alla programmazione in campo formativo, e con ricadute sui programmi regionali
di formazione; d) coinvolgere piccole e medie imprese e grandi imprese: ad esempio progetti che
favoriscono il trasferimento di know-how formativo o la collaborazione tra grandi e piccole imprese in
campo formativo; e) promuovere la pianificazione e la concezione strategica della formazione: ad
esempio, sviluppare progetti che coinvolgano i responsabili della formazione di imprese europee sulle
metodologie di sviluppo delle risorse umane; f) attuare un trasferimento di idee ed esperienze dai
centri di eccellenza alle Regioni, ai settori ed alle imprese che non dispongono di tale know-how; g)
favorire la formazione di utenti appartenenti ad aree professionali sfavorite rispetto all’accessibilità, o
ad aree a bassa qualificazione. Vi erano poi dei criteri di ponderazione/correzione delle priorità che attengono
alla rappresentatività territoriale, ed alla significatività settoriale; questi criteri esprimono più
che altro una preoccupazione: quella di evitare, per quanto possibile, vistosi squilibri tra le aree territoriali
o tra i settori nei quali i progetti si collocano.
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cazione in azienda, per rispondere alla sfida dei mutamenti industriali; il secondo ha
riguardato lo sviluppo della Formazione Professionale Continua nei settori commercio
al dettaglio, riparazione/distribuzione automobilistica, industria dei prodotti
alimentari e della politica contrattuale in materia di Formazione Professionale Continua55.
Lusinghieri i giudizi sul programma. Il Rapporto Isfol 1995 afferma che
FORCE “lascia un patrimonio inestimabile di conoscenze e legami, accumulato nel
corso dei tre anni”.
Vanno ascritti a merito di FORCE:
– lo stimolo e l’accelerazione ad una riflessione più attenta sul tema della formazione
come “bene dell’economia”;
– l’aver favorito le relazioni tra i diversi soggetti che a vario titolo si occupano di
Formazione Continua, attraverso la creazione di partenariati e quindi l’attivazione
di nuove dinamiche nelle relazioni tra i soggetti che sono coinvolti con
ruoli nuovi rispetto a quelli tradizionalmente svolti;
– un nuovo impulso alla ricerca ed al miglioramento delle conoscenze su quanto
si realizza nel campo della Formazione Continua.
55 Per informazioni di maggior dettaglio cfr. Rapporto Isfol 2004, pp. 252-258.
Tabella n. 4 - Distribuzione regionale dei progetti FORCE presentati (pres.) e approvati (appr.)
(1991-1994)
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Dopo FORCE si raggiungono o si rafforzano delle consapevolezze, che rappresentano
l’humus culturale, su cui si svilupperà la Formazione Continua nei due decenni
successivi:
– la Formazione Continua è un bene “collettivo”;
– la nuova concezione e il nuovo ruolo della Formazione richiedono sempre un
coinvolgimento delle parti sociali;
– la Formazione va fortemente intrecciata con le strategie aziendali, con le politiche
organizzative e del personale;
– il processo di unificazione europea porta necessariamente al superamento dei
confini regionali e nazionali;
– è sempre più necessario ragionare in termini di opportunità formative che siano
in grado di comporsi in una loica non necessariamente sequenziale per garantire,
durante l’intera vita lavorativa di ogni persona, la possibilità di esercitare il
proprio diritto alla Formazione56.
2.2.4. PETRA II (1992-94) - Formazione Professionale dei giovani
I1 1° gennaio 1992 ha segnato l’inizio del secondo periodo di vita del programma
comunitario PETRA che, oltre a raccogliere l’eredità del primo programma,
ha ampliato i suoi obiettivi. Al programma PETRA II è stata attribuita la
responsabilità di organizzare, coordinare, valutare e finanziare tutte le attività di
scambio di giovani in formazione realizzate in ambito comunitario. L’ampliamento
dello spettro operativo del programma ha anche comportato una ridefinizione della
sua organizzazione ed una più precisa allocazione di responsabilità a livello dei singoli
Stati membri. Il programma PETRA II ha come target potenziale giovani al di
sotto dei 28 anni e quindi in situazioni abbastanza differenziate che comprendono:
– giovani che stanno seguendo corsi di Formazione Professionale iniziale;
– giovani lavoratori occupati o che sono disponibili sul mercato del lavoro, ed abbiano
già ricevuto una Formazione Professionale iniziale o avuto un’esperienza
di lavoro;
– giovani che non sono più in Formazione Professionale iniziale e che stanno frequentando
iniziative formative di livello più avanzato, per completare la loro
formazione.
Per raggiungere gli obiettivi cui si è fatto riferimento l’attività del programma è
articolata in una serie di azioni con modalità di gestione e finalità specifiche; tali
azioni (cfr. Fig. n. 9) sono essenzialmente:
– azione I: sostegno per beneficiare di un’opportunità di Formazione Professionale
o di esperienza di lavoro in un altro Stato membro;
– azione II: sostegno alla cooperazione transnazionale per lo sviluppo comune di
moduli di Formazione Professionale e per la formazione in comune dei forma-
56 Cfr. Rapporto Isfol 2005, F. Angeli, p. 345.
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tori, attraverso la partecipazione di istituzioni e di progetti formativi (inclusi i
progetti di iniziativa giovanile, che vanno a costituire la rete europea di partenariati
formativi);
– azione III: sostegno ai sistemi nazionali per favorire lo scambio di dati, di esperienze
valide e di metodologie efficaci nel campo dell’orientamento professionale,
attraverso la definizione di una rete;
– comunitaria di punti nazionali di contatto e la formazione di consiglieri specialisti
sugli aspetti comunitari dell’orientamento;
– azione IV: sostegno alle azioni di supporto all’operatività del programma (ricerca,
animazione, divulgazione a livello comunitario), nonché all’assistenza
comunitaria e nazionale.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa e operativa del programma, la
nuova configurazione prevede un approccio decentrato:
– la Commissione mantiene la responsabilità complessiva;
– le Unità nazionali di coordinamento seguono le varie fasi di realizzazione del
programma negli Stati membri: divulgano e promuovono il programma; selezionano
i progetti; assistono i partecipanti nella progettazione e realizzazione e
mantenendo uno stretto collegamento tra le varie Unc; attribuiscono ai singoli
progetti il contributo finanziario europeo verificando la correttezza dei singoli
bilanci; fanno la valutazione in itinere e finale.
Per l’Italia il ruolo di Unità nazionale di coordinamento è stato affidato l’Isfol. I
35.431 milioni di ECU (pari a oltre 53 miliardi di lire), che rappresentano la dota-
Figura n. 9 - Azioni di PETRA II
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zione finanziaria di PETRA II, sono stati distribuiti tra i 12 Paesi della comunità
come illustrato nel Grafico 12. All’Italia sono stati concessi 5.501 MECU (oltre 82
miliardi e 250 milioni di lire), pari al 16% del volume finanziario ripartito.
2.3. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali (1990-93)
2.3.1. Le Iniziative comunitarie: filosofia, caratteristiche e aspetti procedurali
Le “Iniziative Comunitarie” sono dei “programmi speciali dei Fondi strutturali
che la Commissione europea propone agli Stati membri con la finalità di sostenere e
diffondere approcci innovativi nella risoluzione di problemi specifici, che hanno un
impatto significativo su tutto il territorio europeo”57.
Come tutte le azioni finanziate dai Fondi strutturali, le Iniziative si pongono
come obiettivo quello di rafforzare la coesione dell’Unione Europea, favorendo uno
sviluppo economico e sociale più equilibrato.
Il valore aggiunto che le iniziative comunitarie apportano alla programmazione
comunitaria va ricercato in alcune caratteristiche:
• la promozione delle cooperazioni transfrontaliere e transnazionali fra gli Stati
membri;
57 Cfr. ZUMPANO C., Ruoli e funzioni delle Iniziative Comunitarie nella programmazione 2000-
2006, in GATTO E., MANTINO F. (a cura di), Le politiche comunitarie per lo sviluppo rurale. Verso la
nuova programmazione 2000-2006, INEA, Roma 2000.
Grafico n. 12 - Distribuzione della dotazione finanziaria di PETRA II tra i 12 Paesi della Comunità
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• l’adozione del metodo ascendente nella programmazione degli interventi e la
formazione di partenariati locali nella gestione degli stessi;
• la sperimentazione di interventi e prassi innovative e positive;
• la condivisione “europea” dei risultati conseguiti attraverso la loro diffusione
mediante la costituzione di reti specifiche.
Le Iniziative agiscono su tematiche rientranti nelle priorità che la Commissione
si prefigge di raggiungere con la sua programmazione. Tra esse troviamo: le pari-opportunità,
economiche e sociali, fra i territori europei, la pianificazione territoriale,
intesa come migliore gestione delle risorse naturali, lo sviluppo rurale e delle zone
urbane in crisi, l’adattamento ai cambiamenti industriali, l’occupazione e, in particolare,
la formazione e la promozione del sapere, l’inclusione sociale dei soggetti a rischio
quali immigrati e rifugiati, l’accesso all’informazione da parte dei cittadini.
Ma l’aspetto più innovativo che le accomuna è la presenza di un tema orizzontale
dato dall’opportunità di conferire una dimensione transnazionale alle azioni perseguite.
La disponibilità finanziaria a esse attribuite appare molto limitata. L’importo
finanziario modesto attribuito alle Iniziative è da imputare essenzialmente al carattere
pilota che esse sono chiamate ad assumere. Il loro compito è quello di concentrarsi
non tanto sugli investimenti fisici (garantiti dai programmi ordinari: QCS, PO)
quanto su quelli di natura immateriale, rivolti a creare (a monte e a valle) le condizioni
necessarie alla realizzazione o al rafforzamento di azioni di sviluppo alla portata
delle potenzialità locali. A tal fine, le Iniziative si avvalgono di strumenti poco
in uso nell’intervento pubblico tradizionale: campagne informative, mobilitazione
degli operatori locali, creazioni di reti fra imprenditori e Istituzioni locali, moduli
formativi mirati, utilizzo più in generale del sapere locale, forme di concertazione
fra settore pubblico e privato. In relazione alla ripartizione finanziaria, la Commissione
normalmente assegna le rispettive risorse sulla base di alcuni criteri, individuati
in relazione alle priorità che ciascuna tematica presenta. Da un punto di vista
procedurale la sequenza dei passaggi è la seguente:
– la Commissione propone agli Stati membri l’Iniziativa tramite pubblicazione
della Comunicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
– sulla base delle indicazioni contenute nella Comunicazione, ogni Stato procede
all’elaborazione di proposte di gestione, che assumono la forma di Programmi
Operativi. Da evidenziare che, essendo demandata a ciascun Stato l’individuazione
dell’autorità competente della gestione e attuazione dell’Iniziativa, l’elaborazione
dei programmi può assumere diverse forme: nazionale, regionale, locale;
– a seguito della presentazione dei programmi si avvia una fase di negoziato fra
Commissione e Stato membro, con l’obiettivo di pervenire all’approvazione del
documento;
– una volta ottenuta l’approvazione, ogni Stato membro procede all’attuazione
dell’Iniziativa, prevedendo le modalità operative di gestione (procedure di atstoriaFORMAZ3-
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78
tuazione, selezione dei beneficiari, tempistica, attività di controllo e di valutazione).
Abbiamo già stabilito la differenza tra Programmi ed Iniziative Comunitarie sia
sotto il profilo delle fonti finanziarie che li alimentano sia sotto quello della titolarità.
Alla luce di quanto abbiamo già considerato sulle Iniziative dobbiamo precisare
la differenza tra Quadri Comunitari di Sostegno e Iniziative Comunitarie. Prima di
parlare di ciò che li distinguono è bene sottolineare che li accomuna: la stessa fonte
finanziaria e quindi le stesse finalità. Infatti, Quadri Comunitari di Sostegno e Iniziative
hanno come fonte finanziaria i Fondi strutturali, perché gli uni e le altre sono destinate
alla soluzione di problemi e criticità di natura strutturale. Ciò che li distingue,
invece, sono le logiche procedurali diverse e il riferimento a diversi criteri di eligibilità.
Infatti, con i Quadri Comunitari di Sostegno sono gli Stati membri a chiedere
alla Commissione di cofinanziare le loro azioni d’intervento prioritarie. Invece, con
le Iniziative, è la Commissione che invita gli Stati membri a richiedere il cofinanziamento
di programmi in settori particolarmente importanti dei Paesi dell’Unione. Le
attività che derivano dai Quadri Comunitari di Sostegno devono soddisfare i criteri
previsti nei Regolamenti dei Fondi Strutturali. In particolare per quanto riguardo il
FSE quelli relativi alle categorie di destinatari, alle tipologie di azioni, alle tipologie
di spese ai tassi d’intervento. Le azioni che derivano dalle Iniziative Comunitarie,
oltre ai criteri previsti dal regolamento del FSE, hanno un ulteriore criterio di eleggibilità,
come abbiamo già visto, il carattere transnazionale delle azioni. Le Iniziative
Comunitarie sono state introdotte la prima volta nel 1989, con l’avvio della prima
Riforma dei Fondi strutturali. La prima decisione della Commissione, presa il 22 novembre
1989, attribuiva ad Iniziative Comunitarie specifiche una dotazione finanziaria
complessiva di 5,8 Mrd di ECU, che rappresentavano circa il 10% dei 60,3
Mrd di ECU stanziati per i Fondi (ai prezzi 1989). In quella stessa seduta la Commissione
decise un primo pacchetto d’iniziative; un secondo fu approvato il 2
maggio 1990. Il quadro complessivo delle iniziative comunitarie, riconducibili a diverse
aree tematiche58 è quello del Prospetto 7. Nella letteratura del settore i giudizi
sono generalmente positivi, anche se non mancano rilievi e critiche alla fase attuativa.
Infatti, l’applicazione delle Iniziative presenti spesso maggiori complessità rispetto
a quelli dei programmi tradizionali, in quanto, portatrici di principi e modalità
innovativi, si scontrano con un apparato burocratico (comunitario e nazionale) ancora
non allenato a gestire ciò che di più caratteristico hanno le Iniziative: un approccio
integrato ai problemi.
58 Le iniziative possono essere classificate in sette gruppi: 1) Integrazione delle Regioni più svantaggiate
nel mercato unico (Stride Telematique Prisma); 2) Tutela dell’ambiente e promozione di uno
sviluppo sostenibile (ENVIREG); 3) Misure di assistenza a favore delle Regioni dell’estrema periferia
(REGIS); 4) Cooperazione e reti transfrontaliere (INTERREG, REGEN); 5) Diversificazione dell’attività
nelle zone industriali fortemente dipendenti dai settori in crisi (RECHAR, RETEX); 6) Collegamento
fra azioni di sviluppo dell’economia rurale (LEADER); 7) Conferimento di una dimensione comunitaria
alla formazione e all’inserimento professionale (EUROFORM, NOW e HORIZON).
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79
59 Local Employment Development Action - Programma di azione comunitario per lo sviluppo
dell’occupazione, sia a livello locale, sia in aree con alto tasso di disoccupazione.
60 European Research Gateway On line - Programma d’azione comunitario in favore dei disoccupati
di lunga durata con la promozione d’iniziative per la ricerca di lavoro, sostegno per la realizzazione
di attività imprenditoriali, istruzione, formazione, informazione, consulenza e orientamento, salute
e assistenza sociale.
Prospetto n. 7 - Iniziative Comunitarie introdotte con la Riforma dei Fondi strutturali del 1988
2.3.2. Le Iniziative comunitarie del gruppo “Risorse Umane”
Le Iniziative che interessano il nostro lavoro sono EUROFORM, NOW e
HORIZON, appartenenti al gruppo “risorse umane”. Sono cofinanziate dal FSE e
dal FESR (ma solo nelle regioni dell’Ob. 1) ed hanno tre caratteristiche in comune:
a) i loro obiettivi specifici sono stati scelti in considerazione della necessità di
concentrare le risorse di bilancio su misure di carattere esemplare e le cui applicazioni
avessero un effetto moltiplicatore;
b) si prefiggono di dare una dimensione comunitaria alle azioni di Formazione
Professionale e di promozione dell’occupazione, rendendo possibile la creazione
o lo sviluppo di reti comunitarie;
c) mirano infine, mediante l’attuazione di azioni transnazionali, a sviluppare pratiche
comuni di formazione e di inserimento professionale.
Ciascuna delle tre Iniziative, in una logica d’integrazione tra politiche europee,
è collegata e chiamata a potenziare programmi e reti comunitarie. In particolare EUROFORM
è destinato a potenziare altri programmi comunitari che riguardano la cooperazione
transnazionale nel campo della formazione e dell’occupazione, in particolare
FORCE, EUROTECNET, LEDA59 e ERGO60.
(in Milioni di ECU- prezzi 1989)
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80
NOW ha un collegamento con IRIS, ILE, CHILDCARE. HORIZON interagisce
con i programmi HELIOS61, HANDYNET62 e POVERTY III63 (cfr. Fig. n. 10).
2.3.3. EUROFORM (1991-94)
È l’Iniziativa comunitaria relativa alle nuove competenze e alle nuove opportunità
di occupazione derivanti dalla creazione del mercato unico, annunciato dal Trattato
di Maastricht64 e dai mutamenti tecnologici. Gli obiettivi formalmente definiti di
EUROFORM sono:
– conferire una dimensione europea alle azioni di Formazione Professionale e di
promozione dell’occupazione;
– promuovere la convergenza delle competenze professionali, tra le Regioni in ritardo
di sviluppo e le altre Regioni, nonché la mobilità professionale e geografica
dei lavoratori.
Obiettivi che vengono perseguiti mediante il paradigma di azioni, tipico dei
Programmi e delle Iniziative comunitarie: preparazione, realizzazione, valutazione e
61 Programma di azione comunitaria per le pari opportunità per le persone disabili.
62 Banca dati europea per disabili, attivata all’interno del programma HELIOS II.
63 Programma per l’integrazione economica e sociale dei gruppi svantaggiati. È nato sulla base di
iniziative comunitarie precedenti chiamate primo e secondo Programma europeo di lotta contro la povertà
(1975-1980 e 1984-1988).
64 Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, è entrato in vigore
il 1º novembre 1993. Segna una nuova tappa nell’integrazione europea poiché consente di avviare l’integrazione
politica. L’Unione Europea da esso creata comporta tre pilastri: le Comunità europee, la Politica
estera e di sicurezza comune (PESC), nonché la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria in
materia penale (JAI). Il trattato istituisce una cittadinanza europea, rafforza i poteri del Parlamento europeo
e vara l’unione economica e monetaria (UEM). Inoltre, la CEE diventa Comunità europea (CE).
Figura n. 10 - Collegamenti tra le Iniziative comunitarie del gruppo Risorse Umane e i Programmi
comunitari
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diffusione (in particolare nell’ambito delle reti comunitarie) di azioni di Formazione
Professionale e di promozione dell’occupazione.
La preparazione consiste in studi e azioni relativi alla metodologia e ai prodotti
della formazione, alla formazione degli amministratori di azioni transnazionali, all’orientamento
professionale; la preparazione deve tenere conto della dimensione
comunitaria del mercato della formazione e del lavoro o evidenziare le risposte comunitarie
dei sistemi di formazione di fronte all’evoluzione tecnologica.
La realizzazione riguarda azioni comuni di Formazione Professionale che mirano
allo sviluppo di nuove competenze richieste per poter cogliere le occasioni che
i mutamenti tecnologici o il mercato unico possono offrire, nonché gli scambi transnazionali,
(compresi gli scambi di insegnanti e di responsabili dei programmi di formazione
e di occupazione).
Destinatari delle azioni di EUROFORM sono: disoccupati di lunga durata e giovani
su tutto il territorio della Comunità (Obiettivi 3 e 4); persone che lavorano nelle
PMI, disoccupati o minacciati dalla disoccupazione (unicamente nelle Regioni,
Obiettivi 1, 2 e 5b); persone sotto contratto di tirocinio (il cui tirocinio sia limitato all’aspetto
teorico) e persone formate nel quadro dei sistemi di Formazione Professionale
nelle Regioni dell’Obiettivo 1; l’insieme della popolazione attiva nei limiti in
cui essa è interessata un programma integrato nelle Regioni dell’Obiettivo 1.
Due sono state le fasi del programma e 132 i progetti approvati nella prima e 82
nella seconda65, con la distribuzione regionale di cui ai Grafici 13a e 13b.
65 ISFOL (a cura di DI STEFANO A., MOCCI A., NICOLETTI P.), Compendium delle iniziative comunitarie
EUROFORM-Horizon-Now, Roma 1995, p. 10.
Grafico n. 13a - Distribuzione regionale dei progetti di EUROFORM (prima e seconda fase)
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82
Gli effetti positivi possono essere sinteticamente ricondotti a due tipi d’innovazione,
una di carattere tematico l’altra di natura metodologica66.
Il primo tipo è relativo ai contenuti degli interventi realizzati, ai profili professionali
elaborati, alle aree tematiche affrontate, alle competenze enucleate e fatte oggetto
dell’attività formativa; ed è proprio rispetto a questo tipo d’innovazione che i
224 progetti finanziati da EUROFORM, nei quattro anni di attività del Programma,
hanno conseguito i risultati più tangibili67.
66 ISFOL, Rapporto Isfol 1995, F. Angeli, Milano 1995, pp. 327-328; MOCCI A., Bilancio delle attività
di Euroform, in Professionalità n. 26, marzo-aprile 1995, pp. 67 e ss.
67 Le azioni di EUROFORM si sono distribuite in alcune macro-aree tematiche che hanno riguardato,
privilegiatamente: a) l’ambiente (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di: IFAP-IRI Abruzzo
e Piemonte, CSEA Piemonte; Sistem Form, IRST Consorzio Scuola-Lavoro Lazio; ENFAP Liguria,
CFP Camigliatello Calabria, Coop Agronica Sicilia; i progetti della seconda fase di Sistem Form Lazio-
Veneto Cescot Basilicata-Liguria-Sicilia-Veneto, DAT Consulenze S.r.l. Trento e Bolzano, ANAP
Leone XIII Sardegna, Progetto Lombardia-Sardegna-Toscana); b) il territorio (cfr. ad esempio i progetti
della prima fase di Genesis Emilia Romagna per la formazione per la creazione di occupazione
tramite nuove imprese in aree a bassa propensione imprenditoriale; COPIM Basilicata Marketing
Agency Calabria INFORCOOP Liguria-Basilicata-Toscana per agenti di sviluppo, Consorzio di Formazione
Professionale Trento per sistemi informativi territoriali, CIAPI Abruzzo, Provincia di Ravenna,
Emilia Romagna con un progetto pilota per la riconversione delle economie locali, IAL CISL
Emilia Romagna, OIKOS Toscana per la formazione di esperti per lo sviluppo delle piccole città dell’Italia
Centrale); c) i trasporti (cfr. ad esempio i progetti di Simon Boccanegra Liguria I e II fase, Fidia
Sud Vento II fase); d) il marketing e il commercio internazionale (cfr. ad esempio i progetti della prima
fase di: ENFAP Veneto e Lombardia, Ktema AECA e IFOA Emilia Romagna, Assodocks Lombardia,
ISSC Sardegna, ENAP Abruzzo, Unioncamere Lazio e Veneto; i prodotti della seconda fase di CFO Patacini
Emilia Romagna, ASPOR Calabria, Consorzio Piemontese di formazione per il commercio
estero Piemonte, IFOA Puglia); e) i mutamenti nell’organizzazione aziendale (cfr. ad esempio i progetti
della prima fase di AGF Emilia Romagna, CFUI TEC-TRAIN Campania, ISFOR Puglia, ELIS e ILTA
Grafico n. 13b - Distribuzione regionale dei progetti di EUROFORM (prima e seconda fase)
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83
Il secondo tipo di innovazione ha riguardato l’utilizzo nelle attività formative di
metodologie e tecnologie didattiche non tradizionali68.
Le criticità sono ravvisabili in ritardi di tipo culturale (l’assenza di una cultura
della sperimentazione radicata nel Sistema della Formazione Professionale) e di tipo
tecnico burocratico (l’incapacità da parte degli uffici incaricati del controllo di adottare
approcci e modalità operative diverse da quelle utilizzate per l’attività corsale)69.
2.3.4. NOW (1991-94) - Iniziativa per la promozione delle pari opportunità per
le donne nel settore dell’impiego e della Formazione Professionale
Il tema della parità ha una lunga e importante tradizione nelle direttive70 e nei
programmi d’azione71 comunitari. Nel 1990 era stato varato il Terzo programma di
Lazio; Comunità Montana Centro Cadore Veneto) e con focalizzazione sulle modifiche all’organizzazione
del lavoro prodotte dall’introduzione delle politiche di qualità (cfr. ad esempio i progetti nella
prima fase di Italian M3T Bolzano, AGF Emilia Romagna, Capitals Umbria, Consorzio Scuole Lavoro
Lombardia, Provincia di Trento, Associazione AFM-Edilizia Molise, Regione Valle d’Aosta, SYSDAT
Consulenze Trento-Bolzano-Valle d’Aosta; e quelli della seconda fase di FIDET COOP Veneto-
Lazio-Lombardia-Sicilia, Scuola d’arte e mestieri di Vicenza Veneto, SOGEA Liguria, Associazione
Consorzio Scuole-Lavoro Veneto, ENAIP Friuli); f) la formazione (cfr. ad esempio i progetti della
prima fase di CSEA Piemonte, Pragmadis Lazio Crued Umbria, FOPRI Lazio, Marche Toscana,
AMMA Piemonte, ENAP Abruzzo, Regione Emilia Romagna); g) le nuove figure professionali a seguito
dell’introduzione delle nuove tecnologie (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di SPEHA
DATA Lazio, ENAIP Emilia Liguria Piemonte Puglia Sardegna Veneto, ITEA Sicilia e quelli della seconda
fase di ITEA Sicilia-Marche-Abruzzo, Digital Equipment S.p.A. Lazio-Campania, Consiel
S.p.A. Lazio, ANAP Leone XIII Sardegna, ELEA S.p.a. Piemonte-Emilia Romagna-Liguria-Lombardia)
ma anche per l’accesso alle opportunità di finanziamenti comunitari (ANCIFAP I fase Emilia
Romagna, per euroconsulenti; Consorzio R.O.M.A. per progettisti europei di formazione).
68 Circa un terzo dei progetti con componente formativa ha impiegato anche tecnologie multimediali
(con uso di supporti videomagnetici o con computer based training). In alcuni casi è stata utilizzata
la formazione a distanza.
69 ISFOL, op. cit., p. 327.
70 Già nel 1957, l’articolo 119 dei Trattati sostitutivi della Comunità europea definisce il principio
di parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile per uno stesso lavoro. Questo articolo
rimane tuttavia sostanzialmente relegato a un’affermazione formale fino al momento in cui, dal
1975, la Comunità europea, emana le prime direttive in materia di parità di retribuzione e di trattamento.
La direttiva 117 del 1975 è relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile. Le
direttive successive del 1976, del 1979, del 1986, ampliano ulteriormente lo schema concettuale e legislativo:
la parità di retribuzione deve comprendere la parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso
al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro; la parità di trattamento
implica l’assenza di discriminazioni dirette e indirette fondate sul sesso in riferimento soprattutto
allo stato matrimoniale e familiare. Comincia ad apparire il concetto di discriminazione indiretta che
comporta la dilatazione del progetto di parità di trattamento sotteso all’azione comunitaria, in quanto
non si tratta solo di abrogare le normative contrarie al principio di parità ma di eliminare situazioni che
traggono la loro origine non solo dal contesto lavorativo ma da quello sociale e culturale.
71 I programmi d’azione sono documenti di programmazione strategica della Commissione europea
in un particolare settore. Al fine di promuovere in concreto la parità, la Comunità ha attuato, a
partire dagli Anni ’80, programmi di azione specifici che, malgrado risorse di bilancio limitate, hanno
ottenuto un notevole effetto trainante, in particolare nel promuovere la realizzazione di altre azioni da
parte dei singoli Stati membri. Primo programma comunitario per la promozione della pari opportunità
per le donne (1982-1985): riconoscimento del fatto che per quanto fosse importante lo sviluppo
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azione comunitaria a medio termine per la pari opportunità tra donne e uomini
(1991-1995) che si muove nell’ottica dell’esistenza di una forte potenzialità di partecipazione
delle donne al mondo del lavoro e, nello stesso tempo della persistenza di
ostacoli oggettivi e soggettivi che ne impediscono uno sviluppo pari a quello che
viene offerto alla componente maschile. Si tratta di un Programma che tiene conto
dei mutamenti in atto nel mercato del lavoro comunitario; dell’esigenza, da parte
delle imprese, di utilizzare una manodopera altamente qualificata e professionalizzata;
delle potenzialità e delle risorse presenti nella componente femminile72.
Su queste premesse, il Terzo Programma valorizza la preesistente rete di formazione
al femminile IRIS e contiene e vara l’iniziativa NOW per la formazione femminile73.
NOW usufruisce di un finanziamento comunitario di 150 MECU, provenienti
sia dal FSE che dal FESR74, a cui vanno aggiunti il contributo degli Stati membri.
Con queste risorse sono finanziati programmi operativi e sovvenzioni globali predisposti
dai singoli Paesi. 800 sono stati i progetti realizzati in tutta la Comunità. L’Italia
con i suoi 169 progetti finanziati è il Paese che ha sviluppato il maggior numero
di azioni progettuali, seguita dalla Spagna con 155 e dall’Inghilterra con 113. Beneficiari
dell’iniziativa sono le Amministrazioni nazionali regionali e locali, le strutture
formative pubbliche e private, i centri di ricerca e d’informazione per le donne.
Destinatarie delle azioni, invece erano:
– nelle Regioni degli Obiettivi 3 e 4, donne disoccupate di lunga durata (da oltre
12 mesi) indipendentemente dall’età e donne che desiderano reinserirsi nel mercato
del lavoro dopo una lunga interruzione;
– nelle Regioni degli Obiettivi 1, 2 e 5b, donne che lavorano nelle PMI, disoccupate
o minacciate dalla disoccupazione;
– nelle Regioni dell’Obiettivo l, tutta la popolazione femminile attiva, nel limite
in cui l’azione si svolge nel quadro di un approccio integrato (FSE e FESR).
I 169 progetti sono stati approvati a seguito dell’espletamento di due avvisi: il
primo nel 1991-92 e il secondo nel 1993-94 (cfr. Tab. n. 5).
del quadro giuridico, era necessario adottare misure supplementari e complementari nella forma di
“azioni positive” in vari campi. Secondo programma comunitario a medio termine per le donne (1986-
1990): prosegue l’attuazione delle direttive nella Comunità allargata a 12 Stati membri; amplia la portata
della parità di opportunità a nuove sfere di azione positiva nella formazione, nelle nuove tecnologie,
nella conciliazione della vita professionale e della vita familiare e nello sviluppo locale.
72 Cfr. ISFOL (a cura di BATTISTONI L.), Progettando Now-Un’esperienza formativa al femminile,
F. Angeli 1997, p. 20.
73 Cfr. ISFOL (studio coordinato da DI STEFANOA., GASBARRIA., TORSELLOA.M., TURRINI O.), La
formazione nei programmi comunitari, Capone Editore, Lecce 1991.
74 Le risorse FESR sono state esclusivamente utilizzate e solo in Regioni Obiettivo 1 per la realizzazione
di infrastrutture di assistenza ai bambini (più in particolare per la creazione di asili nido, specialmente
nelle zone di concentrazione industriale, in favore delle donne nelle imprese, nei raggruppamenti
di imprese o nei Centri di Formazione Professionale e per i costi di funzionamento degli asili
nido nei Centri di Formazione Professionale).
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75 Cit. in CARBONE A.E., Le azioni a favore delle donne in ambito europeo e nazionale, in Osservatorio
Isfol nn. 3-4/1998, p. 208.
76 Riguardano misure complementari. In particolare la realizzazione di infrastrutture di assistenza
ai bambini e misure di assistenza tecnica (aiuti alla creazione o allo sviluppo di strutture di sostegno,
quali reti o partenariati transnazionali; le azioni di sensibilizzazione, la raccolta e la diffusione delle informazioni
sulle prassi ottimali, in particolare a livello transnazionale; la gestione e la valutazione delle
azioni di Formazione Professionale e di aiuto all’occupazione; il trasferimento di esperienza dal livello
locale ai livelli nazionale c/o comunitario relative, fra l’altro, alla formazione degli insegnanti e dei responsabili
dei negoziati delle misure di formazione nell’impresa.
A livello nazionale le aree di intervento sono state 4: orientamento, formazione,
creazione d’impresa, attività di supporto76. All’interno di queste quattro categorie i
progetti possono essere scomposti in ulteriori tipologie, come da Grafico 14.
La lettura della tabella rivela che si tratta in generale di iniziative rivolte alla
formazione imprenditoriale e professionale di donne, seguite a lieve distanza da
azioni mirate all’orientamento e alla loro occupazione. Le tipologie meno rappresentate
sono quella degli osservatori e degli incubatori.
Le categorie bersaglio sono state in massima parte donne disoccupate e alla ricerca
di primo impiego, seguite dalle disoccupate di lunga durata. Solo una parte
molto marginale è formata da donne in cassa integrazione, da immigrate, da donne
che rientrano nel mercato del lavoro. I settori economici interessati: artigianato,
agriturismo, commercio.
Tabella. n.5 - Sintesi andamento Programma Now in Italia (1991-94)
Fonte: Elaborazione S.N.S. Isfol/Occupazione su dati del Ministero del Lavoro/Consedin75
Grafico n. 14 - Tipologie delle azioni NOW (1991-1994)
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A differenza degli altri Paesi, in Italia si è registrata una compartecipazione di
enti ed istituti pubblici e privati ed anche la presenza non marginale delle parti sociali
(cfr. Graf. n. 15).
I partenariati stabiliti per la realizzazione dell’attività transnazionale hanno
visto coinvolti quasi tutti i Paesi dell’Unione: la presenza degli Spagnoli, dei Francesi
e degli Inglesi è stata preponderante; i Paesi esclusi: Olanda e Lussemburgo.
I progetti legati all’imprenditorialità hanno riguardato, in particolare, le aree
territoriali del Nord-Est e del Sud del Paese. La loro realizzazione ha permesso,
nella maggior parte dei casi, di giungere alla definizione del business plan ma non
all’avvio o al decollo di nuove realtà imprese. In altri casi, invece, il progetto formativo
si è inserito in una fase nella quale l’idea di impresa era già stata definita e le beneficiarie
venivano selezionate sulla base di un programma imprenditoriale. Da
rammentare anche interventi formativi intrecciati con attività consulenziali e di assistenza
tecnica. Le attività maggiormente innovative sono state quelle legate alla
messa a punto di strutture di informazione e di sportelli, di accoglienza, assistenza e
decollo delle imprese (incubatori), di sviluppo di reti informative (osservatori,
banche dati, reti)77.
Quanto alle attività di formazione esse hanno riguardato il 25% delle attività finanziate.
Obiettivo dei promotori sembra essere stato quello di proporre figure femminili,
in settori tradizionali, innovando alcuni ambiti professionali ed ampliando le
competenze (turismo, agriturismo) o di formare donne in settori e professionalità
tradizionalmente maschili (comunicazione, editoria, marketing, radiofonia), ma particolarmente
consone alle potenziali professionalità femminili o, in alcuni casi, di
77 ISFOL (a cura di BATTISTONI L., CATTAN C., MOCAVINI A., CINTI S., STEFANELLI M.L.), Compendium
delle iniziative comunitarie EUROFORM-Horizon-Now, Roma 1995, pp. 15-19.
Grafico n. 15 - Incidenza percentuale dei soggetti delle patnership dei progetti NOW in Italia
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ampliare e innovare i tradizionali spazi del lavoro di cura femminile (servizi alle
persone, asili nido, ecc.), sviluppando, inoltre, attività di formazione per figure professionali
capaci di sostenere e di moltiplicare le azioni di parità (agenti di sviluppo,
consiglieri di parità).
Infine, di non marginale interesse si sono dimostrate le attività di orientamento
e di reinserimento delle donne disoccupate da lungo periodo nel mercato del lavoro.
In alcuni casi appare interessante l’adozione delle metodologie didattiche (rafforzamento
del senso di sé, percorsi personalizzati) e le tecniche utilizzate. Il fatto nuovo
è il valore aggiunto fornito dal partenariato con altri Paesi comunitari, pur con tutti i
limiti di una prima sperimentazione di progettazione di attività transnazionali.
Una valutazione della esperienza del programma NOW porta ad evidenziare i
risultati positivi ascrivibili ai seguenti fattori:
– la messa a punto di una struttura complessa integrata di assistenza tecnica;
– le interrelazioni con le altre reti al femminile, in particolare IRIS e ILE;
– la integrazione tra diversi soggetti che a livello nazionale e locale sono presenti
nel network delle pari opportunità.
Quanto agli elementi innovativi essi vanno identificati con lo sviluppo di un
complesso sistema di partnership a livello internazionale e nazionale e con il tentativo
di integrazione delle problematiche femminili nel complesso sistema dei fondi
strutturali. Vanno segnalati, d’altra parte, anche ritardi burocratici, difficoltà nella
gestione dell’assistenza tecnica, complesso avvio della macchina organizzativa a livello
centrale e regionale, hanno reso farraginosa la fase di avvio e di decollo e soprattutto
hanno influito sulla complessiva riuscita del programma.
2.3.5. HORIZON (1991-94)
HORIZON è l’espressione più matura della nuova politica comunitaria nei confronti
delle fasce più deboli o marginali della popolazione78: disabili e svantaggiati
sociali. Sono queste le categorie più penalizzate nell’accesso al mercato del lavoro
per criticità personali e/o motivi sociali e culturali. Infatti, i sistemi di welfare europei
si sono strutturati in funzione delle esigenze del “cittadino medio”, con conseguente
disparità di trattamento di soggetti che non rientrano di fatto in tale categoria;
disparità che hanno riguardato la mobilità e l’accesso ai mezzi di trasporto, la
logistica ma anche l’educazione e il lavoro. Difficile fare stime sull’entità, all’interno
dei Paesi della Comunità, dei fenomeni della disabilità e dello svantaggio sociale;
fenomeni soggetti, peraltro, ad una pluralità di definizioni che ne allargano o
ne restringono i confini e di conseguenza ne dilatano o ne ridimensionano i numeri.
Ad esempio, per quanto riguarda la nozione di disabilità ci scontriamo con una pluralità
di approcci classificatori utilizzati dai diversi Stati membri e quindi con una
78 Cfr. ISFOL (FELICE A., MANDRICCI M.S., PUEL M.), Compendium delle iniziative comunitarie
Euroform-Horizon-Now, op. cit., pp. 10-14.
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pluralità di tipologie d’infermità79. In base alla nozione cui fa riferimento la Commissione
europea, inclusiva sia delle infermità fisiche, sensoriali, che mentali ed intellettuali80,
la popolazione dell’Unione Europea classificabile come disabile si aggirerebbe
attorno 12%81, di cui circa la metà nella fascia d’età lavorativa con un tasso
di occupazione inferiore di circa 20-30 punti percentuali rispetto a quella dei normodotati82,
nonché una più alta probabilità (circa due terzi) di divenire disoccupati e
di rimanere esclusi dal mercato del lavoro più a lungo. Svantaggio che si aggrava, al
variare del sesso, dell’età, del tipo di disabilità, con conseguente aggravamento del
gender gap già esistente tra non disabili, e tasso di partecipazione al lavoro più
basso in un’età avanzata o in casi d’infermità più gravi. Sulla capacità d’inserimento
nel mercato del lavoro dei disabili incidono, inoltre, in modo sostanziale caratteristiche
quali il loro basso livello d’istruzione, la forte segregazione settoriale, la tendenza
ad attribuire ai disabili basse qualifiche (low-skilled jobs o non-skilled jobs) e
retribuzioni inferiori (low-paid jobs) rispetto ai colleghi normodotati, o a garantire e
distribuire benefits tramite i vari sistemi di welfare nazionali83 rendendo talora i disabili
vittime della cosiddetta trappola dei sussidi (benefits trap) che disincentiva la
ricerca attiva del lavoro. Senza dimenticare l’effetto dei cicli economici negativi,
quando diminuendo le chances generali d’accesso al mondo del lavoro, aumentano
le domande di sussidi economici, o i cambiamenti strutturali dell’economia che, imponendo
abilità intellettuali, alti livelli d’educazione, adattabilità, aggravano sensibilmente
lo svantaggio di soggetti impediti e privi di formazione e di skills adeguati.
I disabili incontrano, dunque, numerosi ostacoli legati alla loro particolare condizione,
che incidono negativamente sulla loro capacità di partecipare al mercato del
lavoro, di mantenere l’impiego e di veder garantite pari condizioni di lavoro così
come pari opportunità di formarsi, qualificarsi e realizzarsi pienamente nel lavoro e
nella vita sociale. Queste le motivazioni forti che hanno sollecitato l’adozione di
HORIZON, che peraltro non rappresenta il primo intervento comunitario in questa
79 Il disabile può avere un’infermità fisica, una malattia mentale, o una semplice difficoltà d’apprendimento,
essere cieco, sordo, sordomuto, dislessico, paraplegico, aver esperito una situazione di
forte disagio psicologico o psichiatrico, può aver convissuto con l’infermità fin dalla nascita, o essere
divenuto invalido nel corso della propria vita, a seguito di un infortunio o di una malattia, molto spesso
proprio durante il lavoro.
80 Cfr. BRUZZONE S., Disabilità e lavoro. Legislazioni a confronto, Giuffrè Editore, 2000.
81 COMMISSIONE EUROPEA. Direzione generale dell’impiego, delle relazioni industriali, degli affari
sociali, della sicurezza sociale e dell’integrazione sociale, Employment and people with disabilities.
Report of the special meeting of the High-level group on disability Bruxelles 15 ottobre 1997, Lussemburgo
1998.
82 Del 55% in Italia, al 46.1% nel Regno Unito, al 46% in Olanda, 43% in Portogallo, solo al 37%
Norvegia, mentre 60.1% in Svezia. Cfr. EIRO, 2001, Workers with disabilities: law, bargaining and the
social partner, pubblicato sul sito dell’EIRO: www.eiro.eurofond.it.
83 “Nel 1993 l’invalidità, la disabilità, le malattie e gli infortuni sul lavoro costituivano i tre capitoli
principali della spesa sociale nell’UE dopo pensioni d’anzianità, sanità e sussidi di disoccupazione”.
Cit. in MERLI N., Lotta al disagio occupazionale dei disabili Il Programma comunitario Horizon
in L’Agenda del lavoro - Processi in atto e problemi in discussione nel biennio 2000-2002, (a cura
di BURRONI L.) University Press, Firenze 2005, p. 182, nota n. 8.
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materia, anzi si inserisce in un consolidato filone di maturazioni culturali e programmi
operativi. Le Istituzioni comunitarie, infatti, anche sulla scia di interventi
dell’ONU84, hanno previsto da tempo nella loro agenda politica la rimozione degli
ostacoli culturali e materiali che impediscono l’integrazione dei disabili nella vita
sociale ed economica, nell’ottica del riconoscimento di diritti e di pari opportunità
delle persone disabili, ed hanno manifestato un progressivo impegno realizzando e
finanziando programmi di azione sociale ed iniziative specifiche, divenuti nel
tempo sempre più consistenti anche in termini di risorse finanziarie85. Quindi
HORIZON si inserisce in un consolidato filone di maturazioni culturali e programmi
operativi. Consistenti le risorse finanziarie di cui viene dotato: 180 milioni
di ECU (più di 273 miliardi di lire). Nell’area dell’handicap HORIZON persegue gli
obiettivi e adotta le strategie indicati nella Figura 11.
84 Le Nazioni Unite e le agenzie specializzate (OIL, UNESCO, UNICEF, OMS) hanno svolto un
ruolo guida per gli Stati nazionali nella risoluzione delle problematiche della disabilità nella vita sociale
e nel lavoro, in una prospettiva di tutela dei diritti umani. Centrali sono state la Dichiarazione dei
diritti delle persone ritardate mentali (1971), la Di chiarazione dei diritti delle persone disabili (1975),
per il riconoscimento ai portatori di handicap pari diritti umani e stessi diritti civili e politici rispetto ai
normodotati, il Programma di azione mondiale sulle persone disabili (1982), che ha sancito i principi
fondamentali sulla riabilitazione e prevenzione della disabilità, le pari opportunità e il diritto dei disabili
a godere dei miglioramenti delle condizioni di vita legati allo sviluppo economico e sociali, la Risoluzione
sulle Norme Standard per le pari opportunità delle persone disabili, (1993) ricettiva dei risultati
dell’implementazione della Convenzione OIL n. 159 del 1983 sulla Riabilitazione professionale
dei disabili e l’occupazione, i cui principi sono stati integrati nella Dichiarazione e nel relativo programma
di azione per i diritti umani di Vienna (1993) e nel Summit sullo sviluppo sociale del 1995 a
Copenaghen. Sempre negli Anni ’90 l’impegno si è focalizzato sulle opportunità offerte ai disabili
dalle nuove tecnologie per la partecipazione alla vita politica ed economica e sul divieto delle pratiche
di discriminazione e sull’implementazione.
85 La prima risposta risale alla metà degli Anni ’70, con il programma di azione sociale comunitario
sulla “Riabilitazione professionale delle persone handicappate” (1974-79) (Vocational Rehabilitation of
Figura n. 11 - HORIZON: obiettivi e strategie a favore degli handicappati
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90
Nell’area dello svantaggio la Comunità ha voluto promuovere dei progetti pilota
sotto forma di iniziative innovative. Gli obiettivi e le strategie di HORIZON nei confronti
di questo secondo target sono quelle della Figura 12. Nel nostro Paese HORIZON
si è calato in uno scenario molto ricco e articolato di misure legislative e di progetti
a favore dell’inserimento sociale e lavorativo di fasce marginali della popolazione.
Si consideri, infatti che nei primi Anni ’90 erano stati varati provvedimenti sull’immigrazione
extracomunitaria, sull’handicap, sulla cooperazione sociale, sul volontariato.
Il valore aggiunto di questa Iniziativa rispetto agli interventi attivati è rappresentato
dalle tre condizioni richieste ai progetti HORIZON: produrre un effetto moltiplicatore,
essere innovativi, essere il risultato di interazioni tra soggetti di diversi Paesi.
L’Italia ha beneficiato di circa il 24% dei fondi comunitari (pari a più di 43 miliardi di
lire); distribuiti tra le macrocircoscrizioni nelle proporzione indicata nel Grafico 16. Il
programma operativo italiano 1991-94 prevedeva una priorità, azioni di formazione a
distanza, ed è stato articolato in tre sottoprogrammi a seconda dei beneficiari, diretti o
indiretti delle azioni: per handicappati, per svantaggiati, per rifugiati:
– il sottoprogramma per handicappati mirava particolarmente alla formazione a
distanza nel settore informatico, alla formazione degli operatori e al sostegno
delle imprese sociali;
handicapped persons, adottato con la Risoluzione del Consiglio del 27 giugno 1974), per il pieno e migliore
inserimento dei disabili al lavoro, cui ha fatto seguito, sotto l’impulso della proclamazione dell’ONU
dell’Anno Internazionale dei disabili (1081) il I programma di azione comunitario sull’integrazione
sociale delle persone handicappate (1983-88) concentrato sulle azioni in favore dell’occupazione, della
formazione, tramite lo sviluppo del trasferimento dei progetti locali e di conoscenze tra paesi; il ricorso
ad un sistema d’informazione multilingue computerizzato sulla disabilità (Handynet); lo sviluppo della
“cooperazione tecnica” per promuovere l’innovazione, lo scambio di esperienze e la disseminazione delle
buone pratiche; la creazione di un gruppo di delegati dei vari Stati (Liasion Group on Disability) per il
monitoraggio dei risultati del programma. A metà Anni ’80 il Memorandum della Commissione europea
(1986) e la relativa Raccomandazione del Consiglio sulle linee guida sul lavoro dei disabili nella Comunità
europea, hanno riconosciuto il diritto del disabile alla formazione e lavoro, promosso fair opportunities
in materia, coerenti politiche nazionali del lavoro e contro le discriminazioni, elencando azioni positive
strumentali alla definizione di una guida delle buone pratiche. Nonostante gli obiettivi più ambiziosi
di tale programma ed il carattere sovranazionale e politico dell’intervento, i risultati sono stati valutati
come scarsi rispetto alle aspettative. Allo stesso modo il II ed il III programma di azione sociale comunitario,
rispettivamente HELIOS (1988-92) e HELIOS II (1993-96), adottato allo scopo di implementare i
contenuti della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori di Strasburgo del 9 dicembre
1989, e rivolti ambedue alla promozione di una politica globale politica su formazione, riabilitazione,
integrazione economica e sociale dei disabili hanno dimostrato ancora una volta l’impossibilità di
realizzare una politica sovranazionale, che superasse la politica comunitaria flessibile, e adattabile alle
realtà dei vari Stati membri. Un intervento, quindi, limitato a completare la loro azione, piuttosto che influenzarla,
riconoscendo agli stessi Governi nazionali la responsabilità principale in materia. Sulla scia
dei principi degli obiettivi fissati nel Libro Bianco Crescita, competitività ed occupazione, e in quello sulla
Politica sociale europea, la Commissione europea ha delineato una nuova strategia comunitaria sulla
disabilità con una Comunicazione, ispirata, di fatto, ai contenuti ed ai principi delineati a livello internazionale
e finalizzata a garantire “pari opportunità” dei disabili in tutti gli ambiti di vita nel quadro di cooperazione
tra Stati membri, ONGS, e partner sociali per le politiche di integrazione nel mondo del lavoro.
La strategia è influenzata dalla risoluzione sulle Norme standard per le pari opportu nità dell’ONU (1993)
regole prive di efficacia vincolante per gli stati firmatari, ma di grande portata morale e politica.
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86 L’Albania ha vissuto un fenomeno di emigrazione massiccia dall’anno 1990. Il 15% della popolazione
è emigrata in 7 anni. L’Italia e la Grecia rimangono i Paesi principali dell’emigrazione degli
albanesi. Questo fatto è dovuto sia alla vicinanza geografica e culturale, che dalla difficoltà di fare altre
scelte di emigrazione, in maniera regolare e legale.
– il sottoprogramma per svantaggiati aveva per priorità azioni di formazione rivolte
ad ex-detenuti, ex-tossicodipendenti, giovani drop out o con bassa scolarità
e ad immigrati extracomunitari;
– il sottoprogramma per rifugiati, in risposta alle migrazioni albanesi dei primi
Anni ’90, prevedeva la realizzazione di azioni di orientamento e formazione linguistica86.
Figura n. 12 - HORIZON: obiettivi e strategie a favore degli svantaggiati
Grafico n. 16 - Horizon-handicap: ripartizione: percentuale delle risorse finanziarie per macrocircoscrizione
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92
In totale sono stati ammessi a finanziamento, in due fasi successive, 148 progetti:
52 nella prima fase (dicembre 1991), pari al 29% di quelli presentati e 9687 nella
seconda (novembre 1992) pari al 46,6% di quelli proposti (cfr. Graf. n. 17).
La Tabella 6 offre un quadro informativo che consente un’analisi di maggior dettaglio88:
la dislocazione territoriale dei progetti presenta queste particolarità: solo un
terzo dei progetti ricade nelle Regioni dell’Obiettivo 1, anche se i progetti presentati
dalle Regioni del Meridione rappresentavano circa il 50% del totale delle proposte;
l’area dell’handicap (con 85 progetti, pari a quasi il 58% del totale dei progetti ammessi)
prevale nettamente sull’area dello svantaggio e su quella dei rifugiati/immigrati
(ciascuna con circa il 16%) e sull’area che ha riguardato utenze di portatori di
handicap e disagiate (con circa l’11%); solo nell’area dell’handicap ci sono delle polarizzazioni
su alcune Regioni, peraltro tutte del Centro-Nord: Emilia Romagna e
Piemonte con 12 e Lombardia con 10; nelle altre aree la distribuzione dei progetti
ammessi presenta andamenti sostanzialmente omogenei. Sul piano gestionale si registra
la presenza prevalente di Enti di Formazione, con particolare riferimento a
quelli di ispirazione cristiana89 (pari a 35%) e quelli di emanazione sindacale (pari al
7%) e di associazioni e cooperative già operanti sul versante delle politiche sociali.
Su un piano più qualitativo va sottolineata la grande diversità di azioni realizzate:
87 I promotori di 22 progetti approvati hanno rinunciato a realizzarli.
88 Cfr. anche FELICE A., Risultati e prospettive del volet Horizon, in Osservatorio Isfol 1-2/1999,
pp. 393-401.
89 Cfr. ISFOL, Compendium delle iniziative comunitarie Euroform-Horizon-Now, op. cit., pp.
239-314. Si segnala la forte operatività dell’Enaip con 28 progetti.
Grafico n. 17 - HORIZON - svantaggiati: progetti presentati e ammessi nelle due fasi
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93
dall’approfondimento sulle problematiche dei target considerati90, alla definizione di
nuove o rinnovate figure professionali del mondo del disagio91, dalla ricerca su opportunità
e risorse territoriali92 alla formazione (spesso realizzata con sistemi di alternanza
e comunque con una pluralità di approcci e metodologie)93 sia alle utenze critiche
che agli stessi operatori94; dalla creazione di strutture produttive (cooperative,
piccole imprese, ecc.)95 a centri di informazione, consulenza e assistenza96 e campa-
90 Cfr. ad esempio i progetti: Consorzio Intercomunale Affari Sociali (Abruzzo I fase), ENAIP
(Calabria II fase) sui disabili, IRES CGIL (Lazio II fase) sui fabbisogni formativi degli operatori per
disabili, Associazione La ginestra (Lombardia II fase) su giovani con disabilità psichiche RES (Marche
II fase) sui profili sociali nel campo delle tossicodipendenze e dell’Aids.
91 Cfr. ad esempio i progetti: ENAIP (Lazio I fase), per dirigenti e operatori di cooperativa,
CEPIM (Liguria I Fase) per formatori di Down IRIFOR per operatori per la riabilitazione di ciechi,
ENAIP (Calabria II fase) per operatori di riabilitazione per disabili mentali, ENAIP (Emilia II fase) e
Servizio Sociale Internazionale (Puglia II fase) per agenti territoriali di sviluppo sociale, Regione
Emilia Romagna per operatore per il recupero socio-scolatico di giovani, AISM (Associazione Italiana
Sclerosi Multipla) (Liguria II fase) per la costituzione di un’equipe multidisciplinare, IAL (Lombardia,
Puglia e Veneto II fase) per animatori dell’intervento ergoterapeutico, CEPIM (Lombardia II fase) e
Associazione Trisomia 21 (Toscana II fase) terapisti e formatori di soggetti Down, Fondazione Labos
(Sardegna II fase) per mediatore istituzionale per l’inserimento lavorativo di soggetti disabili, Cooperativa
Humanitas (Toscana II fase) per operatori con disagio psico-fisico, Centro Lavoro Cultura, Comunità
di San Girolamo (Umbria II fase) Centro Studi Prisma (Veneto II fase) per educatori polivalenti per
l’autonomia e l’integrazione sociale e lavorativa di disabili.
92 Cfr. ad esempio, i progetti: Risposte Esperienze Servizi (Marche I fase) Consorzio Intercomunale,
ENAIP (Piemonte I fase), Affari Sociali (Abruzzo II fase), CEDIS (Friuli II fase), IRES-CGIL per
operatori che gestiscono le strutture del mercato del lavoro.
93 Ad esempio: programmazione e reticolo Associazione La Nostra Famiglia (Friuli I fase) open
learning (AECA, Emilia Romagna I fase), Action learning Cooperativa Progetto Integrazione (Lombardia
I fase), sperimentazione programma ASA (arricchimento delle startegua di apprendimento del
prof. Buchel) per drop out (Assessorato al lavoro e alla Formazione Professionale, Piemonte I fase),
reti multimediali per formazione a distanza (ENAIP Emilia Romagna II fase) percorsi individuali di apprendistato
(Provincia Autonoma di Bolzano II fase) laboratori espressivi polivalenti (ENAIP Molise I
fase e Calabria II fase) elaborazione di una metodologia di formazione-intervento-valutazione dei risultati
per ex tossicodipendenti, formazione a distanza per operatori informatici per disabili.
94 Cfr. ad esempio, i progetti di: Opera don Calabria (Veneto I fase) per operatori di comunità terapeutiche
per tossicodipendenti, Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi (Lombardia I fase),
CIOFS (Calabria II fase) per formatori di giovani in situazione di disagio, Regione Emilia Romagna
per la costituzione di un’èquipe per il governo e la programmazione della formazione nell’area del
disagio, AGBD/UNIDOWN, CEPIM/UNIDOWN, ENAIP (Piemonte II fase) Agenzia del Lavoro (Regione
Valle d’Aosta II fase) AGBD (Veneto II fase) per operatori sulla sindrome di Down.
95 Cfr. ad esempio, i progetti di: CEPIM (Liguria I fase), La Nuova Cooperativa (Piemonte I fase),
costituzione di un’Agenzia per lo sviluppo dell’impresa sociale, Associazione “Progetto per lo sviluppo
del Comprensorio Alto Belice-Bosco della Ficuzza, Sicilia I fase) costituzione di imprese sociali,
Consorzio Intercomunale Affari Sociali (Abruzzo II fase), Dedalus (Campania II fase) per la creazione
di cooperative, Cooperativa Servizi Sociali 4 ottobre (Campania II fase) per la creazione di un’oasi protetta
con itinerario archeologico, ENAIP (Emilia Romagna II fase) per la creazione di un’impresa associata
nel campo della bigiotteria, ENAIP (Emilia Romagna II fase) per la creazione di un’impresa sociale
per compleanni e ricorrenze, STESAM (Puglia II fase) per la creazione di imprese sperimentali
secondo le metodologie della ricerca-azione.
96 Cfr. ad esempio i progetti: di Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi (Lombardia I fase)
modello operativo di consulenza e orientamento per collocamento lavorativo, ENAIP (Lazio II fase) per la
creazione di Poli di assistenza tecnica territoriale per il sostegno all’inserimento lavorativo di disagiati.
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94
gne di sensibilizzazione sul territorio97, dalla creazione di banche dati98 a reti di servizi99
e sportelli per il raccordo domanda e offerta100, dall’accompagnamento101 al lavoro
alla valutazione sull’occupazione102.
97 Cfr. ad esempio i progetti: CESVIP (Emilia Romagna I fase), Fondazione Pro Juventute Don
Carlo Gnocchi (Lombardia I fase), Cooperativa l’Aquilone e I.S.P.I.S (Basilicata II fase) IAL CISL
(Provincia Autonoma Bolzano).
98 Cfr. ad esempio i progetti: Assessorato al lavoro e alla Formazione Professionale (Piemonte I
fase) per esiti occupazionali e per tirocini, Consorzio servizi Viterbo (Lazio II fase) riguardante la popolazione
di immigranti.
99 Cfr. ad esempio i progetti: IAL (Friuli II fase), Servizio Promozione Sociale e Digital (Lombardia
e Puglia II fase) CGIL-CISL-UIL (Piemonte II fase) AISM Creazione di gruppi di esperti per
consulenze periodiche con patologie evolutive.
100 Cfr. ad esempio, progetti: COIN (Lazio I fase) per la creazione di un’agenzia del lavoro per migliorare
le condizioni di successo al mercato del lavoro degli handicappati e supportare il sistema d’impresa
sociale, ENAIP (Lazio I fase) poli di assistenza tecnica territoriali, CISL per la creazione di un’Agenzia
regionale per favorire l’accesso agli immigrati al mercato del lavoro (Calabria II fase).
101 Cfr. ad esempio i progetti: IRECOOP (Emilia Romagna I fase), CESCOT (Progetto multiregionale:
Veneto, Piemonte, Lazio I fase), Associazione persona Down (Calabria II fase), Associazione Trisomia
24 e ENAIP (Toscana II fase), ARIS-IRECOOP (Umbria II fase), ENAIP (Umbria II fase),
Agenzia del Lavoro (Regione Valle d’Aosta II fase).
102 Cfr. ad esempio i progetti: CESCOT (Multiregionale: Lazio, Piemonte, Veneto I fase).
Tabella n. 6 - Distribuzione regionale e tipologica dei progetti HORIZON ammessi a finanziamento
nelle due fasi
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95
3. La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale
Alle soglie del 2000, la struttura formale della Scuola Secondaria superiore
italiana era ancora quella disegnata negli Anni ’20, ed ereditata senza sostanziali modifiche
dall’Italia repubblicana dopo il 1945. L’unica novità di rilievo, rispetto al modello
dualistico di Gentile (Licei/Istituti Tecnici), è stato lo sviluppo di un terzo polo,
costituito dagli Istituti Professionali di Stato. Nati dopo la Seconda Guerra Mondiale
in forma di “cicli brevi” (biennali e triennali) sperimentali all’interno dell’istruzione
tecnica, essi si sono consolidati fino a raggiungere una completa autonomia e speci -
ficità di ruolo nell’ambito dell’offerta di Istruzione Secondaria Superiore.
I provvedimenti “ugualitari” del biennio 1968-1970 (maturità sperimentale,
uguale per tutti gli indirizzi di studio quinquennali; prosecuzione sperimentale fino
al quinto anno di tutti i cicli di durata inferiore; liberalizzazione degli accessi all’Università)
non hanno intaccato la sostanziale diversità né ridotto l’incomunicabilità e
la tradizionale gerarchizzazione di questi tre grandi canali, peraltro al loro interno
variamente subarticolati e che rispondevano ad un disegno sociale teso a “costruire
una robusta fascia di qualificati e diplomati dalla quale attingere i quadri tecnici esecutivi
e intermedi da una parte e gli studenti universitari destinati ai ruoli sociali e
professionali superiori dall’altra”103.
La struttura dei piani di studio, è rimasta praticamente invariata: prevalenza di
discipline “umanistiche” nei Licei (compreso il Liceo Scientifico), di discipline tecniche
negli Istituti Tecnici e di discipline pratiche negli Istituti Professionali preprogetto
’92.
Questa cristallizzazione del sistema scolastico in larga misura è imputabile,
negli Anni ’50, alla impossibilità a metter mano ad una riforma impegnativa data la
brevità della durata dei governi104, e, nei decenni successivi, alla impossibilità di trovare
punti di incontro data la eterogeneità delle coalizioni di Governo, dove i partiti
esprimevano posizioni molto divaricanti in materia scolastica105.
3.1. Convergenze, divergenze e schieramenti politici in materia di riforma della Secondaria
Nonostante il quadro politico delineato, tentativi di riforma della Scuola si sono
verificati in tutte le Legislature. In quelle degli anni 1975-80 per tre volte la riforma
venne approvata da un ramo del Parlamento, senza però arrivare mai all’approvazione
dell’altro, come abbiamo visto nel vol. II106.
103 Cfr. Rapporto Isfol 1995, p. 260.
104 Si consideri che dal 1950 al 1960 si sono succeduti 11 governi.
105 Il terzo governo Moro (23 febbraio 1966 - 24 giugno 1968) si dimise a causa delle posizioni in
materia di finanziamento alla scuola privata tra la DC (favorevole) e gli altri partiti della maggioranza il
PSI, PRI, PSDI (contrari).
106 Nella VII legislatura (1976-79) il testo unificato Di Giesi Nuovo ordinamento della scuola secondaria
superiore (denominato “testo di mediazione” tra quelli della DC, PSI, PCI, PRI, PSDI) venne
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Nel periodo considerato da questo volume le legislature sono tre: la decima, la
undicesima e la dodicesima. In tutte e tre il tema della riforma della secondaria è tra i
temi “caldi”. Ma in tutte e tre, le discussioni parlamentari si sono svolte secondo
questo canovaccio: posizioni partitiche iniziali differenziate, mediazioni estenuanti
con qualche risultato, sospensione delle trattative.
I testi presentati dai partiti, all’inizio delle Legislature (in particolare la decima),
contengono alcuni punti di convergenza:
– la durata dell’istruzione obbligatoria a dieci anni, tutti a tempo pieno;
– il prolungamento dell’obbligo e la riforma della Secondaria superiore sono da
trattare contestualmente, cioè in un unico provvedimento legislativo.
I punti di radicale disaccordo sono solo due. Considerati insieme costituiscono il
nodo politico del problema su cui si sono arenati tutti i tentativi di tutte le legislature:
– l’inclusione o l’esclusione della Formazione Professionale regionale nell’assolvimento
dell’obbligo;
– l’affermazione o la negazione su scala nazionale di un principio di parità nel finanziamento
di attività pubbliche e private (meglio statali e non statali) nel
campo dell’istruzione (principio già accolto su scala regionale).
In conclusione le convergenze si realizzano sulla necessità di un prolungamento
dell’obbligo, le divergenze, invece, sulle soluzioni per realizzare il prolungamento, che
alcuni vorrebbero solo all’interno del Sistema scolastico, altri invece anche al di fuori.
Tra i punti condivisi, abbiamo detto, figura il prolungamento dell’obbligo d’istruzione.
Molti i motivi, esterni ed interni al Sistema formativo, portavano a questa
conclusione.
Esterni erano quelli relativi all’adeguamento della durata del nostro Sistema
d’istruzione alla stragrande maggioranza di quelli dei Paesi della Comunità Europea,
in vista anche della definitiva attuazione del mercato unico. Paesi che si attestavano
almeno su 9 anni d’istruzione obbligatoria (Danimarca, Irlanda, Grecia e
Germania), quando non su 10 (Belgio, Francia, Spagna) o, addirittura, su 11 (Olanda
e Regno Unito), (cfr. Graf. n. 18).
approvato alla Camera il 29.9.1978. Trasmesso al Senato ai primi di ottobre fu sottoposto all’esame
della Commissione parlamentare competente a partire dal 24 ottobre. Il dibattito, però, fu interrotto
dalla fine anticipata della legislatura (19 giugno 1979). VIII legislatura (1979-1983): il testo unificato
Casati Nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore statale fu approvato alla Camera il
27.7.1982. Trasmesso al Senato il 29.7.82 fu sottoposto al dibattito della settima commissione che apportò
modifiche in diverse ristesure tra ottobre ’82 e marzo ’83. Una versione conclusiva con modeste
varianti rispetto al testo della Camera fu approvato solo in Commissione il 30 marzo 1983. Non ebbe
esito il tentativo (di DC, PC, PSI e PRI) di far approvare il testo licenziato dalla Commissione in extremis,
prima della chiusura anticipata della legislatura. IX legislatura (1983-1987). Sulla scorta dei risultati
della legislatura precedente il 21.3.1985 la 7a commissione del Senato mise a punto un testo
Nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore statale che fu approvato in aula il 28 marzo
1985. Il testo, trasmesso alla Camera l’11 aprile fu oggetto di dibattito da parte dell’8a Commissione
(Presidente Casati). Il dibattito fu interrotto il 26 novembre in seguito a dichiarazioni negative sul testo
del sen. Covatta e all’assenza dei deputati del PSI.
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Nell’elenco non comprendiamo le situazioni di Belgio e Germania che portano
l’obbligo fino a 18 anni di età (e quindi 12 anni di durata di istruzione) nel circuito
dell’apprendistato.
Altro motivo “esterno” al sistema che sollecita l’innalzamento è rappresentato
dalla necessità di rispondere alle istanze di più alti livelli di formazione da parte sia
dei mutamenti della tecnologia che alla sfida portata al sistema europeo dalla globalizzazione
dell’economia. Basti citare a sostegno di questa tesi, sostenuta dalla intera
letteratura in materia, quanto afferma il Libro bianco di Delors che individua nell’inadeguato
livello dell’istruzione e della Formazione Professionale una delle cause
fondamentali della disoccupazione tecnologica nei suoi connotati di fenomeno strutturale.
Un altro motivo esterno al Sistema formativo, ma difficile da “dichiarare” in
maniera esplicita, è l’allontanamento di un certo numero di giovani dal mercato del
lavoro, per non intasarlo ulteriormente in un periodo di non grande assorbimento.
I motivi intrinseci, invece, allo stesso sistema sono fondamentalmente due. Il
primo è rappresentato dall’obiettivo di consentire alla totalità dei giovani fino ai
sedici anni di accostarsi a fonti di conoscenze che, probabilmente, non avranno più
modo di incontrare. Il secondo riguarda la tenuta occupazionale degli operatori della
scuola, assorbendone l’esubero dovuto sia al calo demografico che si fa sentire, sia
alla politica di immissione nei ruoli di larghe schiere di precari per i quali occorre
trovare una “sistemazione”107.
107 GARANCINI G., Riforma della scuola secondaria ed elevazione dell’obbligo d’istruzione, in
Quaderno di aggiornamento per operatori della Formazione Professionale n. 12 settembre 1991, p. 10.
Grafico n. 18 - Durata dell’Istruzione obbligatoria in 10 Paesi della Comunità europea
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98
Osservavamo sopra che i punti di contrasto dei progetti di riforma erano due: l’inclusione
o l’esclusione della Formazione Professionale regionale nell’assolvimento
dell’obbligo e l’affermazione o la negazione su scala nazionale di un principio di parità
nel finanziamento di attività pubbliche e private nel campo dell’istruzione.
Annota un commentatore di Professionalità, rivista che da sempre ha sostenuto
la tesi della Formazione Professionale come possibile percorso dell’obbligo108:
“La prima questione resta sempre in primo piano, la seconda appare e scompare
sullo sfondo come un fantasma. La prima è quella di cui si parla a voce alta, la seconda
è quella che si canta a bocca chiusa. Una è la strofa, l’altra il ritornello. E il ritornello,
per ragioni opposte, è politicamente molto più importante della strofa”109.
Ritornello o strofa che siano le due questioni, pur appartenendo a orizzonti problematici
diversi e facendo riferimento a Sistemi formativi diversi, hanno un denominatore
comune: nell’uno (Enti e CFP d’ispirazione cristiana) e nell’altro caso
(scuole gestite, prevalentemente, da congregazioni religiose) i rappresentanti cattolici
difendono un impegno di soggetti che vantano origini lontane, invece nel fronte
opposto c’è la preoccupazione almeno di contenere tale presenza. in nome di una
educazione che si vorrebbe più “laica” possibile.
3.2. I dati del problema del prolungamento dell’obbligo
Quanti sono i giovani coinvolti da un eventuale provvedimento che prolunghi
l’obbligo? Per rispondere a tale domanda occorre aver stabilito quanti giovani non
frequentano almeno dieci anni di formazione, dal momento che c’è una convergenza
tra le parti politiche a protrarre l’obbligo a dieci anni. Molte le ricerche che fornivano
dati e informazioni in merito e che potevano orientare i legislatori.
In questa sede facciamo riferimento, in particolare, all’indagine E.V.A. del -
l’Isfol110, che prende in considerazione le singole leve che annualmente escono dai
vari livelli formativi e ne esamina la dinamica nei tre anni successivi al conseguimento
del relativo titolo.
Partendo da una leva di 1.000 licenziati di Scuola Media, l’Isfol rileva che: 190
lasciano la Scuola; 810 proseguono la formazione; durante il biennio 149 sono estromessi
e ne rimangono nella formazione 661 (220 nelle Scuole umanistico-scientifico;
75 negli Istituti Professionali; 301 negli Istituti Tecnici; 49 nella Formazione
Professionale regionale; 16 in altre Scuole).
108 Cfr. in particolare Professionalità, n. 6 febbraio 1983, Check-up sul ciclo corto, pp. 3-12; n. 7
marzo 1983, Conto alla rovescia; n. 8 aprile 1984, Numero monografico dedicato al nuovo ordinamento
della scuola secondaria superiore statale; n. 1 settembre 1985 Editoriale; n. 1 settembre 1989,
Tessere per un mosaico; n. 9 maggio 1988, Numero tematico; n. 8 settembre 1990.
109 ZUCCON G.C., Fortuna o disgrazia, in Professionalità n. 2, marzo-aprile 1991, p. 5.
110 ISFOL, Percorsi giovanili di Studio e di Lavoro (BATTISTONI L., RUBERTOA.) (Edd.), Milano, F.
Angeli 1989. Cfr. anche CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1992, F. Angeli, Milano
1992. Il CENSIS registra un tasso di passaggio dalla scuola media alle superiori nell’anno 1990-91
dell’86,5%. Di fronte a questo dato l’elevamento dell’obbligo sembra un provvedimento da adottare
per sancire una situazione già di fatto esistente.
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Puntiamo l’attenzione sull’anno più critico, il “nono anno”, quando il tasso di
permanenza nel Sistema formativo subisce un calo molto accentuato in corrispondenza
del primo anno di frequenza dopo la scuola media (cfr. Fig. n. 13).
La crisi del nono anno brucia, infatti, più del 20% dei giovani che si sono iscritti
(cfr. Fig. n. 14). Di questi, soltanto meno della metà tenta di ripetere l’anno. Ebbene,
se a quelli che non ripetono (13) sommiamo quelli già entrati in crisi durante la scuola
media (8) e quelli che non si sono iscritti ad alcun corso dopo l’esame di licenza (9),
otteniamo come risultato che quasi un terzo della popolazione giovanile esce o viene
scartata dal Sistema formativo senza averne tratto un beneficio sufficiente.
Un’analisi più articolata evidenzia che il maggior numero di respinti – ben il
40% – si riscontra tra coloro che, all’esame di licenza media, sono stati giudicati sufficienti
(delicato eufemismo con il quale si chiamano, dopo l’esame, molti di coloro
che solo una settimana prima erano ammessi come insufficienti). A questa categoria
di ‘sufficienti’ appartiene anche il più basso valore del tasso di passaggio alla secondaria
(solo il 75%), (cfr. Fig. n. 15).
Figura n. 13 - Percorsi di una leva di giovani nel triennio successivo alla licenza media
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Del restante 25%, una buona parte si iscrive ai corsi regionali di Formazione
Professionale.
Lo scarto di un terzo di ciascuna leva scolastica dopo nove anni di scolarità è un
dato veramente abnorme. Infatti, se traduciamo questi valori relativi in valori assoluti,
o meglio in giovani, si può ritenere che un prolungamento dell’obbligo a dieci
Figura n. 14 - Percorsi di una leva di giovani negli 8 anni successivi alla licenza elementare
Figura n. 15 - Percorsi scolastici e giudizi riportati nell’esame di licenza media
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anni, secondo una stima approssimata per difetto, potenzialmente è rivolto a circa
200-250.000 giovani all’anno e, quando si faranno maggiormente sentire gli effetti
del calo demografico111, 150-180.000112! Di questi: 100/125.000 drop out del primo
anno della Scuola Secondaria superiore, 40/45.000 che scelgono la Formazione Professionale
e 60/70.000 che smettono gli studi dopo la terza media.
Che cosa accomuna questi centinaia di migliaia di giovani? Sostanzialmente un
cattivo rapporto con la scuola. Cattivo rapporto di tanti alunni confermato anche dall’andamento
dei tassi di regolarità (cfr. Fig. n. 16). Infatti, dopo dieci anni di scuola
(compresi i due anni di prima Formazione Professionale) i ragazzi che stanno ancora
studiando senza avere subito bocciature sono, grosso modo, solo la metà di quelli
partiti in prima elementare. L’altra metà è composta da circa 35 ragazzi che, come abbiamo
visto sopra, sono fuori dal circuito scolastico e da circa 15 che stanno ancora
studiando ma in ritardo di uno o più anni (quantificabili nell’ordine di 100-125.000
giovani l’anno, che potrebbero diventare 75-90.000 con il calo demografico).
111 La popolazione italiana è rimasta sostanzialmente invariata tra il 1981e il 2001 (crescita zero),
per poi riprendere ad aumentare nel primo decennio del III millennio, soprattutto per via dell’immigrazione.
112 RUBERTO A., Formazione Professionale: sempre più cenerentola del sistema, pro manuscriptu.
Figura n. 16 - Tassi di regolarità scolastica
Alla licenza elementare arrivano regolari di età 96 alunni su 100. Gli altri 4 arrivano in ritardo. Dopo otto anni di frequenza arrivano
alla licenza di scuola media, regolari di età, solo 80 ragazzi su 100. Altri 12 conseguono la licenza in ritardo di uno o più anni. Almeno
8 abbandonano la scuola senza aver concluso la media inferiore. Dopo dieci anni di frequenza concludono regolarmente il biennio
della Scuola Secondaria superiore e della FP solo 50 ragazzi sui 100 partiti in prima elementare. Circa 15 ragazzi sono ancora in situazione
formativa, ma in ritardo di uno o più anni. Gli altri 35 o sono già usciti dal Sistema formativo o usciranno alla fine del secondo
anno. Dopo dodici anni di frequenza gli studenti regolari di età si riducono a meno di 40. Circa 10 sono in ritardo. Circa la
metà non è più in formazione.
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I 200-250.000 giovani che abbandonano la scuola e i 100-125.000 che hanno
avuto un percorso scolastico non lineare sono, in larga prevalenza, giovani che rifiutano
la scuola, perché sono stati da essa rifiutati. Rifiutati perché, secondo il metro
scolastico, ritenuti non intelligenti, o come si legge nei giudizi di orientamento alla
fine della scuola media “non hanno capacità” o, peggio ancora, perché “non hanno
rivelato attitudini”. Ma quali capacità? Quali attitudini? Quale intelligenza?
3.3. Il cuore del problema: l’identità specifica della Scuola e della Formazione
Professionale
Sfortunatamente, il modello di intelligenza che la scuola apprezza è uno solo,
mentre nelle attività umane intervengono due tipi di intelligenza. Qui tocchiamo il
punto nevralgico della differenza strutturale della Scuola e della Formazione Professionale,
quello che, a nostro avviso, identifica l’una e l’altra, senza ridurre l’una all’altra.
Merita, pertanto una breve digressione.
Pur con le necessarie cautele nei confronti di discorsi potenzialmente riduzionistici,
si può affer mare che nell’attività umana sono compresenti due “momenti”, uno
conoscitivo e l’altro operativo. Il primo caratterizza l’attività scientifica, il secondo
quella tecnologica. È vero che le due forme di attività sono complementari. Ma è
anche vero che tra queste due forme sussiste una differenza di natura ed è proprio
questa differenza che fonda la loro complementarietà.
La scienza ha come obiettivo il progresso della conoscenza, la tecnologia ha
come obiettivo la trasformazione della realtà data. La scienza mira ad acquisire
nuove informazioni sulla realtà, la tecnologia tende ad immettere informazione nei
sistemi esistenti. Più precisamente, la scienza tenta di elaborare sistemi esplicativi e
predittivi, la tecnologia interviene nel corso delle cose, sia per impedire che certi
stati o eventi si producano, sia per far apparire stati o eventi che non apparirebbero
spontaneamente.
Non è difficile applicare queste considerazioni al confronto tra momento conoscitivo
(scolastico) e momento operativo (professionale) dell’attività formativa rivolta
all’uomo. Nella analogia si conservano sia la distinzione che la interazione trai
due momenti. È su questa base teorica che si possono fondare sia l’identità specifica
dei due percorsi formativi, sia la loro pari dignità. Il primo, quello scolastico, è prevalentemente
finalizzato alla conoscenza, il secondo, quello professionale, è prevalentemente
finalizzato alla operatività. Due vie di pari dignità, non più gerarchizzate
(come si usa dire oggi, in serie A e in serie B) perché progettate sulla base di uguali
criteri di continuità, di complementarità e di apertura fino ai gradi più elevati della
formazione.
Abbiamo usato in modo intenzionale la locuzione “percorso formativo prevalentemente
finalizzato a...”. Infatti, l’esistenza di due distinti percorsi formativi,
Scuola e Formazione Professionale non richiede che nel primo ci si proponga di realizzare
solo le possibilità dell’intelletto e nel secondo solo quelle della mano. I due
aspetti non sono separabili, perché non si dà educazione al conoscere senza educastoriaFORMAZ3-
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zione all’operare e viceversa. Di conseguenza, nessuna esperienza di apprendimento
dovrebbe rimanere allo stato di pura rappresentazione mentale, così come non dovrebbe
rimanere allo stato di puro addestramento al fare. La non separabilità e
quindi l’interazione dei due momenti ha, dunque, un significato preciso dal punto di
vista didattico e trova un fondamento nella forte interazione che i due momenti
hanno nell’attività scientifica e tecnologica. Ma ciò non equivale a dichiarare la loro
identità. Conoscere ed operare, come abbiamo visto, si distinguono nettamente per
gli obiettivi che perseguono. Una analoga distinzione si instaura tra Scuola e Formazione
Professionale. Qualche esempio, da intendere ovviamente nell’ottica della
prevalenza. Nella Scuola il piano formativo è centrato sulle discipline teoriche, nella
Formazione Professionale lo stesso piano è centrato sulle tecnologie applicate. Nella
Scuola il paradigma “normativo” è il programma, nella Formazione Professionale il
centro propulsore è il progetto. Nella Scuola l’archetipo del corsista è lo studente,
nella Formazione Professionale è l’apprendista. Nella Scuola il luogo dove si apprende
è l’aula, nella Formazione Professionale il luogo di apprendimento è il laboratorio-
bottega-reparto113.
Tornando alla fisionomia della Scuola italiana, non possiamo non considerare
come abbia privilegiato esclusivamente una intelligenza “conoscitiva” (linguistica,
logica, matematica, scientifica) e ritenere una intelligenza “prevalentemente” operativa
non all’altezza dei suoi percorsi didattici e quindi la Formazione Professionale
solo chiamata a gestire “gli scarti” del sistema scolastico. Per questo correttamente il
Rapporto Isfol osserva che “[…] del tutto fuori dal campo di attenzione dell’offerta
di istruzione secondaria è rimasta di fatto fino ad oggi la fascia più debole della
popolazione scolastica”114. È evidente allora che a questa fascia debole “la scuola
deve apparire come il letto di Procuste che fa soffrire oppure come una boutique
dove si possono sì comperare bei vestiti, ma non quelli desiderati”115. Ragazzi, in
gran parte vittime di un sistema che non offre sufficienti alternative di formazione. E
offrire alternative significa differenziare i percorsi per valorizzare le attitudini le
aspirazioni le diverse intelligenze.
È quanto sosteneva anche il direttore generale dell’Isfol, Alfredo Tamborlini,
nella relazione al Convegno Nazionale sullo stato della Formazione Professionale in
Italia. Dopo aver costatato le consistenti perdite del sistema scolastico, determinate
dalla incapacità di molti giovani, portatori di un domanda di formazione diversa, ad
113 Cfr. ZUCCON G.C., Meno scuola più FP, in Professionalità n. 39, maggio-giugno 1997, p. 4.
114 Cfr. Rapporto Isfol 1955, p. 260.
115 Cfr. ZUCCON G.C., Come investire in formazione 5. Obbligo a 18 anno e almeno una qualifica,
in Professionalità n. 39, luglio-agosto 1994, p. 13. In precedenza l’autore aveva affermato: “Il modello
che la scuola apprezza è unico. È un modello medio inclinato in ogni direzione, versatile e versato in
tutto, che non presenta una particolare disposizione per nulla. Un modello che penalizza i diversi (compresi
i superdotati) e che spesso cancella attitudini specifiche o stronca legittime aspirazioni. Un modello
che premia molto di più chi ha una intelligenza media diffusa (e linguistica e logica e matematica
e scientifica e ...), ma molto di meno chi ha una intelligenza prevalente specifica (o operativa o spaziale
o corporea o musicale o ...)”.
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adattarsi alle logiche e ai paradigmi rigidi della scuola, parla della necessità di una
differenziazione del prodotto da parte del sistema formativo.
“Il sistema scolastico, non solo perde per strada parte dei suoi utenti, ma ne rende complessa
ad una rilevante quota l’utilizzazione dei suoi servizi. La scuola è un’istituzione
rigida, con regole ben definite, una disciplina codificata ed il ragazzo deve adattarsi al
sistema… La significatività, la pervasività e la pericolosità sociale conseguente al
fenomeno rende necessario indagare se gli esclusi, coloro cioè che non si adattano al percorso
scolastico, con i suoi ritmi e le sue regole, siano da condannare e da emarginare o
non siano invece dei portatori di una domanda di formazione diversa da quella offerta e
perpetuata nel sofisma della quasi-certezza del sistema scolastico attuale… Ritengo comunque
che 1’azienda formativa debba tener conto delle esigenze di una domanda forse
di non semplice decodificazione, ma i cui tangibili effetti, rendono necessario un progetto
di possibile differenziazione del prodotto”116.
Se i “dati” fossero stati tenuti presenti i legislatori avrebbero avuto la consapevolezza
che:
– innalzare l’obbligo non significava aggiungere per tutti i ragazzi altri due anni
di istruzione dopo la scuola media e tanto meno altri due anni di Scuola Secondaria
superiore;
– occorreva decidere quali ulteriori percorsi formativi fosse bene offrire al 40%
dei ragazzi (e non ad una piccola percentuale) che non avrebbero mai completato,
in condizioni di obbligo, un biennio di secondaria.
Come si vede la posizione di chi reclamava un posto al sole per il sistema regionale
di FP, relegato nella penombra dei piani bassi dell’edificio della formazione italiana,
non costituiva una mera difesa dell’esistente.
3.4. Un problema antico: giudizi e pregiudizi sulla Formazione Professionale
Il problema era molto più ampio e potremmo aggiungere, molto più antico. Il
fatto è, infatti, che nel nostro Paese, come abbiamo ripetutamente affermato, si è
sempre considerata la Formazione Professionale come fuori del sistema di
istruzione, travolgendo così, sulla base di una serie di pregiudizi lo stesso impianto
costituzionale117.
La storia del sistema d’istruzione in Italia è quanto di più “borghese” si possa ricostruire.
Esso si è sempre venuto strutturando, fin dai suoi esordi nella legislazione
piemontese, alle esigenze di una parte limitata della popolazione, formata essenzialmente
dalla borghesia delle professioni e della burocrazia, ed alle esigenze di una
parte limitata del mondo politico e sociale, la parte consentanea a tali settori professionali
e burocratici, con qualche “concessione” alla borghesia dei commerci. La
conseguenza di ciò è stata una sostanziale sottovalutazione, quando non un
116 TAMBORLINI A., Uno spazio politecnico per una polis formativa, in Professionalità, settembre
ottobre 1993, n. 17, pp. 7-16.
117 Cfr. Vol. I, Premessa, La Formazione Professionale nella Costituzione Italiana, pp. 13-16.
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sostanziale abbandono, del “resto” della popolazione, e segnatamente le grandi
masse contadine prima e quelle del mondo del lavoro artigianale e industriale poi.
Fuori del sistema dei poteri, la Formazione Professionale è stata da sempre lasciata
all’iniziativa privata (o più correttamente del privato-sociale) e locale; non è stata inserita
nella struttura istituzionale e, soprattutto, non ha avuto mai quel livello di accoglienza
sociale che ha avuto, invece, il sistema scolastico. E anche quando la struttura
scolastica si è “dovuta” impegnare nel settore, con la scuola di “avviamento”
prima e con l’istruzione professionale poi, questi segmenti del sistema sono stati
sempre considerati, soprattutto a livello di cultura diffusa, secondari, laterali,
quando non decisamente marginali ed emarginati. Ne è uscita una frattura tra scuola
e lavoro, tra cultura scolastica e cultura del lavoro, in fondo tra cultura e lavoro che,
se rispecchia alcune caratteristiche non proprio raccomandabili della storia della cultura
italiana, ha creato e crea non poco distacco tra la scuola e la cultura scolastica
italiane e le corrispondenti scuole e culture scolastiche della maggior parte degli
Stati europei118. In questo quadro di sottovalutazione della cultura del lavoro è
chiaro, allora che l’istruzione professionale tende ad assumere caratteristiche tali
che la rendano meno sgradevole al sistema scolastico con tentativi di licealizzazione
o comunque di irrobustimento della aree umanistiche dei percorsi, mentre la FP,
mantenuta rigorosamente fuori dai sacri recinti della Scuola viene sottovalutata,
quando non villipesa. Questa sottovalutazione della cultura del lavoro e quindi dell’ostracismo
nei confronti della filiera che più di ogni altra si faceva portatrice di
quella cultura era riscontrabile anche nelle opinioni di quanti operavano nel sistema
formativo nazionale (Scuola più Formazione Professionale), come risulta da alcune
ricerche di quegli anni. Un’indagine del 1988119 – realizzata dal centro Studi ricerche
sperimentazione del CNOS-FAP costituito presso gli istituti di Didattica e di Sociologia
della facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università Pontificia Salesiana
118 Così sottolineava giornalisticamente Francesco Alberoni: “La cultura della nostra Scuola è ancora
in ampia misura idealistica e anticapitalistica. Qualche volta anche antindustriale. Disprezza le attività
pratiche, volgari, la fabbrica, il commercio, il mercato, i consumi. E insofferente dei vincoli del
calcolo economico, dei programmi, della misura costi-benefici”, cit. in «Rassegna CNOS», anno 6, n.
2/1990, p. 6. Cfr. anche GARANCINI G., Formazione Professionale tra Persona, Società, Istituzioni:
“Schermandosi dietro un malinteso orgoglio di classe, per cui tutto ciò che concerne il “lavoro” riguarda
esclusivamente i “lavoratori” intesi come “classe operaia”, i conservatori di tutte le specie e di
tutti i colori hanno avuto buon gioco finora a mantenere una separazione ideologica e classista tra
scuola e FP. Separazione che era stata superata all’inizio degli anni Sessanta con l’introduzione della
scuola media inferiore unificata (anche se penalizzando le funzioni di prima introduzione o avviamento
professionale), e che rimane invece tutta intera nel suo risvolto anche odiosamente penalizzante
per quel che concerne la formazione dopo la licenza di scuola media inferiore, fino a indurre a considerare
la FP una sorta di contenitore residuale di quei giovani che «non ce la fanno» a frequentare a
scuola secondaria superiore (da parte sua sempre più astratta e meno professionalizzante, in tutti i
sensi, e sempre più dimensionata su una funzione propedeutica allo studio universitario di massa)”.
119 MALIZIA G., PIERONI V., CHISTOLINI S., I percorsi formativi della scuola e della FP; problemi e
prospettive, parte II: Professionisti a confronto: Operatori nella Formazione Professionale e Docenti
nel biennio. In «Rassegna CNOS», n. 3/1999, pp. 105-110.
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di Roma – ha sondato le opinioni degli operatori della FP su innalzamento dell’obbligo
e possibilità di assolverlo nel sistema regionale. Il 70,8% è favorevole all’innalzamento
dell’obbligo e di questo l’86,9% ritiene che esso possa essere soddisfatto
anche con la frequenza di corsi di FP. Il 76% tra i sostenitori del prolungamento
dell’obbligo ritengono che questi forniscano una cultura sufficiente per un buon inserimento
nel mondo del lavoro e nella società120.
Un’altra indagine, realizzata dal CENSIS nel 1991121, ha rilevato che l’88% dei
presidi degli Istituti Professionali ritiene positivo l’innalzamento dell’obbligo scolastico,
ma solo il 30% che l’innalzamento possa essere assolto nella FP. Il 70% dei
presidi, che ha bocciato la formazione regionale come canale per la soddisfazione
dell’obbligo, ha addotto la motivazione che la FP non fornisce una preparazione
culturale adeguata (48,6%) o che il suo compito è quello di fornire una specializzazione
ulteriore (31,4%). La ricerca del CNOS-FAP menzionata ha anche posto le
stesse domande ad un campione di docenti del biennio della Scuola Secondaria superiore.
Alla prima domanda sull’opportunità di innalzare l’obbligo si è pronunciato
a favore il 62,6% ma, alla seconda domanda che riguardava l’obbligo assolto
anche nel sistema regionale, le risposte postive sono scese al 45%: infatti, secondo
i docenti la FP: “non dà gli stessi livelli di maturità della scuola” (51%) e i corsi
“non offrono itinerari formativi pedagogicamente validi” (82,5%). Le indagini
menzionate ci consegnano questo quadro conoscitivo: gli operatori della FP hanno
la consapevolezza di far parte di una filiera che ha pari dignità con quelle scola-
120 Il 71,3% ritiene, inoltre, che i corsi di FP siano i più idonei per chi ha attitudini operative e il
51,4% e che svolgano una importante funzione di recupero.
121 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1991, F. Angeli, Milano 1991, pp. 160-
163.
Grafico n. 19 - Opinioni di un campione di presidi IPS, docenti del biennio della Secondaria Superiore
e degli operatori dei CFP favorevoli all’innalzamento dell’obbligo e alla possibilità di
assolverlo anche nella FP
Fonte: CENSIS e CNOS-FAP
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stiche; i presidi degli IP declassano la formazione rispetto all’istruzione professionale
per carenze di carattere culturale e per la sua funzione esclusiva di fornire specializzazioni
rispetto a una formazione di base; i docenti del biennio ritengono la
FP un fenomeno formativo carente di spessore pedagogico nel suo percorso e inferiore
rispetto alla scuola nei suoi esiti educativi. Scarsa conoscenza della FP regionale?
Concorrenzialità? Certo. Ma che giudizi e soprattutto pregiudizi che si perpetuano.
3.5. Tentativi di riforma della Secondaria nella decima Legislatura (1987-92)
In questa Legislatura si susseguono quattro Governi presieduti da Goria122 (28
luglio 1987 - 13 aprile 1988), De Mita123 (13 aprile 1988 - 19 maggio 1989), Andreotti124
VI (22 luglio 1989 - 12 aprile 1991) e Andreotti VII (12 aprile 1991 - 28
giugno 1992). Il governo Goria e il sesto di Andreotti sono il prodotto di maggioranze
di pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI), quello di De Mita e il settimo di
Andreotti sono espressione di un quadripartito (DC, PSI, PSDI, PLI). Con il cambiamento
dei Governi variano anche i Ministri della PI: Galloni125 nei Governi
122 On.le GIOVANNI GIUSEPPE GORIA (1943-1994) è stato il più giovane Presidente del Consiglio
dei ministri della Repubblica Italiana (28 luglio 1987-13 aprile 1988). Eletto alla Camera dei deputati
nel 1976 nella DC, è sottosegretario al Bilancio, Governo Spadolini, ripetutamente Ministro del Tesoro.
Eletto al Parlamento europeo nel 1989, si dimette nel 1991 per diventare Ministro dell’Agricoltura
e foreste e Ministro delle Finanze.
123 On.le LUIGI CIRIACO DE MITA (1928) è stato Presidente del Consiglio dei Ministri, Segretario
nazionale, Presidente della DC e tre volte Ministro (del Mezzogiorno, Commercio Internazionale, Industria).
Deputato dal 1963 al 2008 ed eurodeputato dal 2009, dopo la DC ha fatto parte del PPI e della
Margherita e dal 2008 dell’UDC. Aveva inizialmente aderito al progetto del PD. Allontanato per via
dello statuto del PD che puntava a un rinnovo della classe politica, ha aderito all’UDC.
124 On.le GIULIO ANDREOTTI (1919-2013) è stato uno dei principali esponenti della Democrazia
Cristiana, protagonista della vita politica italiana per tutta la seconda metà del XX secolo. È stato il
16º, 19º e 28º Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. Ha ricoperto più volte
numerosi incarichi di Governo: 7 volte Presidente del Consiglio (tra cui il governo di “solidarietà nazionale”
durante il rapimento di Aldo Moro, 1978-1979, con l’astensione del PCI e il governo della
“non-sfiducia” (1976-1977) con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, al dicastero del Lavoro); 8
volte Ministro della Difesa; 5 volte Ministro degli Esteri; 3 volte Ministro delle Partecipazioni Statali;
2 volte Ministro delle Finanze, Ministro del Bilancio e Ministro dell’Industria; una volta Ministro
del Tesoro, Ministro dell’Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli 34 anni), Ministro
dei beni culturali (ad interim) e Ministro delle Politiche Comunitarie. È sempre stato presente
dal 1945 in poi nelle assemblee legislative italiane: dalla Consulta Nazionale all’Assemblea costituente,
e poi nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991 e successivamente come
senatore a vita.
125 On.le GIOVANNI GALLONI (1927), professore universitario, è stato tra i fondatori della corrente
di sinistra della DC. Fu anche vicepresidente del partito e 2 volte vicesegretario, nel 1965 e nel 1977. È
stato direttore de Il Popolo (1982-1986) e membro (1990-1994) del Consiglio Superiore della Magistratura
(CSM), di cui fu vicepresidente fino alla revoca dell’incarico (1991) da parte dell’allora Presidente
della Repubblica Francesco Cossiga.
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Goria e De Mita, Mattarella126 e Bianco127 nel VI Governo Andreotti e Misasi128 nel
VII Governo Andreotti. Come si può notare dal Prospetto 8, la partita della riforma
della secondaria e del prolungamento dell’obbligo si gioca tutta al Senato. Infatti,
l’unico partito, il P.R.I., che aveva presentato un suo progetto di legge alla Camera,
con l’on. Castagnetti, lo fa presentare al Senato dall’on. Gualtieri. Il Prospetto riporta
il nome di due senatori democristiani, Manzini e Mezzapesa, come primi firmatari
di due diversi disegni di legge. Ma qui la storia delle vicende parlamentari si
fa complicata. La proposta Mezzapesa è stata presentata in un primo momento
(marzo 1990) come testo di sintesi dei diversi disegni di legge presentati dai partiti.
Successivamente, a seguito della protesta dei senatori del PCI, che non vi si riconoscevano,
la proposta è stata ripresentata con lievi ritocchi in forma di disegno di
legge autonomamente predisposto dallo stesso senatore Mezzapesa e su di essa si è
sviluppato il dibattito parlamentare nel corso della restante parte della legislatura,
fino al febbraio 1992.
126 On.le SERGIO MATTARELLA (1941), esponente della DC, diviene Deputato dal 1983 e, successivamente,
Ministro dei rapporti con il Parlamento e della pubblica istruzione, da cui si dimise, nel governo
presieduto da De Mita, dopo l’approvazione della Legge Mammì sulla “Disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato”. Direttore del quotidiano Il Popolo (1992-1994)Mattarella è stato
uno dei principali rappresentanti del rinnovamento della DC che portò alla formazione del Partito Popolare
Italiano. Ha il suo nome la riforma della legge elettorale in senso maggioritario (giornalisticamente
nota anche con l’appellativo di Mattarellum) approvata nell’agosto del 1993. Nel 1996, con la
nuova legislatura a maggioranza ulivista, viene eletto capogruppo dei deputati popolari. Durante il Governo
D’Alema I ha assunto la carica di vicepresidente del Consigliomentre nei successivi Governo
D’Alema II e Governo Amato II è stato Ministro della Difesa. Nel 2001 viene rieletto alla Camera dei
deputati nelle liste della Margherita. Alle elezioni politiche del 2006 è riconfermato deputato per la
lista dell’Ulivo. Il 5 ottobre 2011 è stato eletto giudice della Corte costituzionale dal Parlamento in seduta
comune.
127 On.le GERARDO BIANCO (1931) è stato deputato in diverse legislature (V, VI, VII, VIII, IX, X,
XI, XIV e XV) dal 1968 al 2008. Nel 1994 venne eletto deputato europeo a Strasburgo del PPI. Nel
1995 si è schierato contro Rocco Buttiglione, segretario del PPI che aveva deciso di allearsi con il centrodestra
in occasione delle elezioni regionali. Bianco raccolse intorno a sé una parte del centro e tutta
la sinistra del partito, ottenendo che l’assemblea nazionale bocciasse la decisione del segretario. Nei
giorni successivi la votazione fu annullata dal collegio dei probiviri, ma la metà del PPI facente capo a
Bianco procedette per vie legali ordinarie ed elesse lo stesso Bianco segretario. A seguito di mesi e
mesi di vertenze giudiziarie alla fine i “due segretari” del PPI raggiunsero un accordo per il quale i seguaci
di Bianco conservarono il nome del partito (PPI) mentre quelli di Buttiglione mantennero lo storico
simbolo dello scudocrociato. Bianco ha guidato il partito per tre anni contribuendo alla nascita dell’Ulivo.
Nel novembre 2004 ha fondato, insieme agli onorevoli Alberto Monticone e Lino Duilio il movimento
Italia Popolare - Movimento per l’Europa. Per le elezioni politiche 2006 è stato rieletto alla
Camera dei deputati nella lista dell’Ulivo, ma non ha condiviso la scelta di dar luogo al PD. Pur rimanendo
inizialmente nel gruppo parlamentare del PD, lo ha lasciato il 15 febbraio 2008, dopo aver aderito
al progetto centrista della Rosa per l’Italia, svincolato dai poli. Subito dopo è stato escluso dalle
liste dei candidati dell’UDC, cartello elettorale di UDC e Rosa Bianca.
128 On. RICCARDO MISASI (1932-2000), eletto deputato con la DC, a soli 26 anni. È stato Ministro
della Pubblica Istruzione (1970-1972 e 1991-1992). Ministro degli interventi straordinari per il Mezzogiorno
durante il Governo Andreotti VI, se ne dimise il 26 luglio 1990 per protestare contro l’approvazione
della Legge Mammì, sulla “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”.
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Il prospetto, inoltre, riporta i disegni di legge di due parlamentari che hanno
fatto parte del PCI prima e del PDS129 dopo: Chiarante (testo del settembre 1987, in
cui figura tra i proponenti Alberici) e Alberici (testo del 1991, in cui figura tra i proponenti
Chiarante). Mentre il DDL Chiarante si occupa sia dell’innalzamento dell’obbligo
che del riordino della Scuola Secondaria superiore, quello della Alberici si
limita all’innalzamento dell’obbligo.
Il MSI-DN è l’unico partito ad avere due progetti di legge, anche se con lo
stesso primo firmatario: l’on. Filetti. I due progetti riguardano la revisione del sistema
d’istruzione dalle elementari alla scuola media superiore: il primo provvedimento,
infatti, riguarda la scuola dell’obbligo e la scuola del lavoro, il secondo, invece,
il nuovo ordinamento della Scuola Secondaria superiore.
Per quanto riguarda il progetto del PSI va evidenziato che il testo, di cui primo
firmatario è l’on. Manieri, riproduce alla lettera il disegno di legge già presentato al
129 Il 3 febbraio 1991 a Rimini a conclusione del XX Congresso del Partito Comunista Italiano, la
maggioranza sancisce lo scioglimento del PCI e la confluenza nella nuova organizzazione denominata
PDS. Simbolo del nuovo partito era un albero, la cosiddetta quercia, con ai piedi il logo rimpicciolito
del PCI. In continuità col PCI, il primo segretario fu Achille Occhetto, sostituito nel 1994 da Massimo
D’Alema.
Prospetto n. 8 - Progetti di riforma della Scuola Secondaria superiore nella decima Legislatura
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Senato dai socialisti, primo firmatario il sen. Luigi Covatta (atto n. 1709 del 06.03.
1986) nella precedente nona legislatura, dopo la rottura dell’accordo di maggioranza
verificatasi alla fine del 1985.
Cerchiamo di studiare più da vicino questi disegni di legge, operando una distinzione
fondamentale tra quelli per i quali l’assolvimento dell’obbligo si consuma
all’interno del sistema scolastico e quelli per i quali l’assolvimento dell’obbligo può
essere realizzato anche nel sistema di Formazione Professionale regionale.
3.5.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PCI, PSI, PRI,
MSI-DN)
a) Il DDL del Partito Comunista
La proposta del Partito Comunista, primo firmatario Chiarante130 contiene disposizioni
sia per l’innalzamento dell’obbligo, sia per il riordino della Scuola Secondaria
superiore, come peraltro indica il titolo del DDL n. 428. Le finalità della
Scuola Secondaria superiore consistono: nell’assicurare la piena realizzazione individuale
e una consapevole partecipazione alla vita democratica e nel fornire una formazione
culturale ed una preparazione professionale di base che consentano sia l’accesso
agli studi superiori sia l’inserimento nel mondo del lavoro. Per raggiungere
tali obiettivi è necessario far riferimento ad un sistema formativo integrato, nel quale
ogni segmento mantiene caratteristiche proprie e in cui, tuttavia, la scuola pubblica
continua a svolgere un ruolo centrale. La durata della secondaria è fissata in 5 anni,
articolata in un biennio unificato iniziale e in un triennio successivo.
L’obbligo viene innalzato al 16° anno di età e si assolve con la frequenza del
biennio, si è comunque prosciolti dall’obbligo con la frequenza di almeno 10 anni e
il conseguimento della licenza media.
Il biennio unificato e obbligatorio è chiamato a svolgere una funzione di cerniera
tra scuola media e triennio, avendo come obiettivi l’innalzamento della preparazione
culturale di base e l’orientamento.
Il biennio è qualificato da una relazione flessibile tra una forte area comune e un
ambito di orientamento131 “sia per gli studi successivi sia per il lavoro” (art. 4
130 On. GIUSEPPE CHIARANTE (1929-2012) Si forma nell’ala della Democrazia Cristiana capeggiata
da Giuseppe Dossetti, caratterizzata dalle posizioni più progressiste. Nel 1955, a seguito di un
duro scontro con la segreteria di Amintore Fanfani, lascia la DC e assieme al gruppo dell’intellettuale
Franco Rodano promuove la nascita del settimanale Il Dibattito politico. Nel 1958, abbraccia la cultura
politica marxista e approda al PCI. Dal 1972 al 1979 Chiarante è stato deputato per il PCI, mentre dal
‘79 fino al 1994 ha ricoperto il ruolo di senatore. È stato anche direttore di Rinascita e Critica marxista.
Nel congresso del PCI del 1989 si oppose alla Svolta della Bolognina intrapresa dal segretario
Achille Occhetto. Ciò nonostante, Chiarante è rimasto nel partito erede del PCI, il Partito Democratico
della Sinistra (PDS). Quando il Governo di Massimo D’Alema (presidente dei DS, già PDS) decide di
sostenere la guerra del Kosovo, Chiarante abbandona i DS e entra a far parte dell’Associazione per il
Rinnovamento della Sinistra (ARS).
131 Sul piano concreto l’organizzazione del curricolo prevede che tre quarti dell’orario siano destinati
all’area comune e un quarto alla formazione di orientamento.
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comma 2) che si concretizza in “moduli didattici di materie afferenti i quattro settori
del triennio” (art. 4 comma 3).
Il biennio si conclude con un esame il cui superamento viene attestato da un diploma
che diviene titolo per l’inserimento nel mondo del lavoro, per l’iscrizione alla
Formazione Professionale e per l’ammissione al triennio della secondaria132.
Il triennio è organizzato in 4 settori conoscitivi e operativi: visivo musicale; linguistico
letterario; delle scienze sociali; delle scienze matematico-naturalistiche133.
Gli esami di diploma al termine del triennio hanno valore di esame di Stato, presentano
una valutazione a doppia certificazione e consentono il passaggio all’università
in un corso di laurea o di diploma coerente con il settore di studi frequentato.
Il Ministero della Pubblica Istruzione e le Regioni dovranno procedere a determinare
i criteri in base ai quali potranno essere concluse convenzioni aventi per oggetto
l’impiego reciproco di sedi e attrezzature didattiche e l’utilizzazione del personale.
Gli obiettivi a cui finalizzare la collaborazione consistono: “nella realizzazione
di corsi di FP in raccordo con le uscite dal ciclo biennale o triennale della Scuola Se-
132 La valutazione contempla una doppia certificazione e per le materie dell’area comune e per
l’attività modulare, in modo da assicurare il massimo di flessibilità nell’impiego del titolo.
133 Entro ciascun settore è data allo studente la possibilità di scegliere nell’ambito di un determinato
numero di piani di studi. Questi a loro volta consistono in moduli didattici e si articolano in un
50% almeno di ore di insegnamenti comuni a tutti gli studenti, in un 25% di insegnamenti comuni a
ciascuno dei 4 settori e in un 25% di ore di insegnamenti specialistici. I programmi di area comune
sono eguali per tutti i settori. La flessibilità dei percorsi formativi è garantita dalla possibilità di optare
tra due o più moduli formativi entro lo stesso piano di studi e di scegliere un piano di studi diverso da
quello precedentemente seguito integrandolo opportunamente. Inoltre le scuole, avvalendosi dell’autonomia
didattica, giuridica e amministrativa, da riconoscere con apposita legge contestuale, possono arricchire,
innovare e integrare i piani di studio con la sperimentazione metodologico didattica e di ordinamenti
e strutture. I collegi docenti nel procedere alla programmazione didattica collegiale decideranno
forme di intervento didattico innovativo, integrativo ed effettivo in relazione alla personalizzazione
dell’azione educativa e al sostegno del recupero.
Figura n. 17 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PCI
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condaria superiore; nell’attuazione di corsi di FP su moduli integrativi la cui acquisizione
costituisca credito formativo per il conseguimento di attestati di qualità specifici,
aggiuntivi e successivi alla certificazione scolastica; nello sviluppo delle attività
di FP; nella cooperazione tra sistema della scuola secondaria superiore e sistema di
Formazione Professionale regionale” (art. 9, comma 2). Con norme apposite verranno
istituiti corsi post-secondari nell’ambito regionale, universitario scolastico per
il conseguimento di qualifiche, opportunità e specializzazioni non ottenibili direttamente
nel corso quinquennale. Vogliamo segnalare gli aspetti positivi del progetto
comunista. L’obbligo viene prolungato ai 16 anni e il proscioglimento è condizionato
al conseguimento della licenza media. Si mira a un forte potenziamento del livello
degli studi: più in particolare i percorsi formativi vengono fondati sopra le basi, sìa
dello sviluppo delle conoscenze, sia di una professionalità concepita come possesso
degli strumenti necessari per operare nei diversi settori dell’attività umana; inoltre,
tali iter sono organizzati in maniera flessibile. Il modello rigido di una secondaria
solo quinquennale viene superato mediante la previsione di uscite e rientri e delle
condizioni per il loro successo. Viene sancito il principio dell’autonomia delle singole
unità scolastiche e della loro partecipazione attiva all’innovazione didattica.
b) Il DDL del Partito Socialista
I socialisti sono stati i primi che, di fronte alle difficoltà di varare una riforma
della secondaria superiore, hanno deciso di ripiegare sull’elevazione dell’obbligo
senza comunque rinunciare nel lungo periodo all’obiettivo di un riordino generale
della Scuola Secondaria superiore. Il DDL, primo firmatario on. Manieri134, sancisce
il prolungamento a complessivi dieci anni e, tenuto conto della necessità e dell’urgenza
della misura, tenta di ridurre al minimo i tempi per la sua realizzazione. L’obbligo
si assolve esclusivamente in un biennio scolastico unitario: in altre parole i
primi due anni della Scuola Secondaria superiore costituiscono l’unico canale formativo
senza confusioni e sovrapposizioni di competenze con l’ambito di azione
delle Regioni, che va concepito come susseguente alla formazione dì base e non
come parallelo o alternativo. Le finalità del biennio sono quelle della secondaria superiore:
si mira contemporaneamente “all’elevazione culturale” e “all’orientamento
scolastico e professionale” (art. 1). Praticamente la proposta socialista modifica i
primi due anni del quinquennio vigente, lasciando invariati gli altri tre. Il corso di
studi del biennio comprende un’area di materie comuni, corrispondenti di norma a
tre quarti dell’orario scolastico complessivo, ed un’area di indirizzo, costituita da
due discipline di studio afferenti uno di questi 5 settori: delle arti; umanistico; delle
scienze sociali e dell’informazione; tecnologico-scientifico; tecnologico-professionale.
La struttura dei piani di studio comprende oltre alle materie dell’area comune e
di settore anche la pratica di laboratorio. La scelta del settore viene compiuta all’inizio
del primo anno; il cambiamento di tale opzione al termine sempre del primo
134 On. MARIA ROSARIAMANIERI (1943) pugliese è stata ininterrottamente eletta al Senato dalla X
alla XIV legislatura.
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anno implica la frequenza con esito positivo di corsi integrativi. Inoltre, in ciascuna
scuola secondaria devono essere attivati almeno due settori. La formazione delle
classi risponde all’obiettivo di equilibrarne la distribuzione interna sul piano socioculturale.
La composizione-base è quella relativa all’insegnamento delle materie comuni
e viene stabilita indipendentemente dal settore scelto. Il DDL recepisce il principio
della natura indicativa dei programmi, in modo da consentire la valorizzazione
della libertà sia di insegnamento sia di ricerca e di sperimentazione didattica. A
questo fine è riconosciuta la possibilità di attuare i programmi in forma modulare,
infra-annuale o per unità di studio. Al termine del biennio viene previsto il rilascio di
un certificato attestante la valutazione degli studi, che è di competenza esclusiva
dell’autorità scolastica. Il giudizio interamente positivo consente la prosecuzione
degli studi nel triennio della secondaria in un indirizzo coerente con il settore frequentato,
o anche in uno differente, purché siano state superate opportune prove;
inoltre, essa permette la partecipazione ai concorsi pubblici e a tutte quelle opportunità
per le quali sia richiesta una formazione di base di durata decennale. A sua volta,
la valutazione parzialmente positiva costituisce credito formativo in vista dell’iscrizione
alla Formazione Professionale o del rientro nel sistema scolastico. Passando
ora a un primo bilancio del provvedimento, va anzitutto riconosciuta la positività
dell’elevamento da otto a dieci anni dell’istruzione obbligatoria e l’impegno per accorciare
al massimo i tempi per l’esecuzione della misura. Importante è anche lo
sforzo di accogliere il meglio della riflessione e della prassi didattica recente come:
il carattere indicativo dei programmi, la sperimentazione continua, la flessibilità
degli iter formativi e la modularità. La norma secondo la quale la valutazione terminale
parzialmente positiva non ammette al triennio, ma alla Formazione Professionale,
è destinata a rafforzare l’immagine di serie B della Formazione Professionale.
In aggiunta, la previsione del settore “Tecnologico-professionale” sembra ristabilire
all’interno del biennio unitario le gerarchie di prestigio esistenti attualmente tra i diversi
tipi di scuola secondaria superiore.
Figura n. 18 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PSI
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c) Il DDL del Partito Repubblicano
Secondo i Repubblicani le strategie adottate nel loro progetto (alla Camera
primo firmatario Castagnetti135, al Senato Gualtieri136) si fonderebbero su un esame
oggettivo dei risultati dell’attuale Scuola dell’obbligo che non pare in grado di conseguire
sempre i suoi traguardi formativi e di orientamento. Una percentuale consistente
degli allievi si presenta al termine dell’obbligo insufficientemente preparata
anche su conoscenze ed abilità di base; inoltre, i tassi di abbandono e di ripetenza
continuano a rivelarsi troppo alti.
La proposta di un biennio unitario come unico canale formativo per l’assolvimento
dell’obbligo, che stabilirebbe per tutti finalità ulteriori e più avanzate, non è
in grado di venire incontro alle esigenze degli allievi che attualmente non adempiono
l’obbligo in modo soddisfacente, perché si tradurrebbe in uno spreco di tempo
demotivante, dato il divario tra la loro preparazione, interesse e finalità del biennio,
e tenuto conto dello scarto che essi sperimentano nei confronti dei compagni in regolare
progressione di studi. Né la proposta di un biennio unitario ha grande rilevanza
per gli adolescenti che alla fine della media sono decisi a continuare gli studi,
in quanto possiedono ormai una preparazione di base adeguata e hanno maturato un
orientamento preciso circa il futuro.
Non sembra fondata neppure la proposta di destinare il biennio o una parte di
esso al recupero degli allievi in difficoltà durante la media. Infatti, i programmi del
biennio rinnovato dovranno perseguire degli obiettivi conformi a traguardi più elevati.
Inoltre, la riduzione del livello degli studi del biennio non sarebbe una soluzione
efficace, perché comporterebbe uno sciupìo di energie a carico degli adolescenti
forniti di una preparazione adeguata e potrebbe provocare una pericolosa dequalificazione
della Scuola Secondaria superiore.
Il DDL non ha accolto neppure l’ipotesi di un obbligo formativo da assolvere
anche nella FP per due ordini di considerazioni.
La prima parte dalla “doverosa costatazione del reale stato della Formazione
Professionale in Italia”: “È ben vero che soluzioni di questo genere sono state adottate
in altri paesi europei, ma si tratta di paesi in cui la FP ha una tradizione assai più
consolidata e una qualità decisamente più alta, anche sotto il profilo culturale”137.
La seconda considerazione riguarda la natura della Formazione Professionale
regionale e gli stravolgimenti che le deriverebbero se si facesse carico del recupero
135 On. GUGLIELMO CASTAGNETTI (1943) ligure, eletto nelle liste del PRI al Senato, nella IX, X e
XI Legislatura, è stato sottosegretario al Ministero dell’industria dal 1989 al 1991.
136 On. LIBERO GUALTIERI (1923-1999) prese parte alla Resistenza partigiana ed al termine della
Seconda guerra mondiale entrerà nel Partito d’Azione per poi schierarsi (1948) con il Partito Repubblicano,
di cui sarà dirigente nazionale soprattutto dopo l’ascesa alla segreteria di Ugo La Malfa. Eletto
senatore nel 1979, durante la X Legislatura fu presidente della Commissione Stragi. Dopo il passaggio
dalla Prima alla Seconda Repubblica si schiera con il centrosinistra e forma il gruppo parlamentare
della Sinistra Democratica. Confermato al Senato sino alla morte, aderisce ai Democratici di Sinistra.
137 CAMERA DEI DEPUTATI - Atti n. 2065, Proposta di legge presentata il 16 dicembre 1987 dal deputato
Castagnetti, p. 2065.
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della preparazione di base: “Implicherebbe una grave distorsione dei suoi obiettivi
istituzionali: in altre parole, si vuole impedire che per l’insufficienza dell’attuale
scuola dell’obbligo la FP continui a svolgere un ruolo che non le è proprio”138.
Il progetto del PRI intende utilizzare il prolungamento biennale per intervenire
sui condizionamenti che operano alla base del processo formativo ostacolando una
partecipazione proficua degli alunni agli studi elementari e medi. Pertanto, l’istruzione
obbligatoria viene estesa verso il basso in modo da abbracciare un anno di
scuola materna allo scopo di assicurare lo sviluppo dei fondamenti affettivi, sociali e
cognitivi che appaiono specialmente capaci di facilitare l’inserimento dei bambini nei
processi scolastici veri e propri. Inoltre, è prevista l’introduzione di un 4° anno di
scuola media per gli allievi che, alla conclusione dei tre anni della secondaria inferiore,
manchino delle conoscenze e delle capacità richieste per seguire con profitto fa
Scuola Secondaria superiore o la Formazione Professionale: la quarta media non va
concepita come ripetizione del programma della terza, ma come un progetto forte per
realizzare una pedagogia individualizzata di recupero e un’attività di orientamento.
In concreto l’obbligo di frequenza scolastica viene esteso a 10 anni e si adempie
tra il quinto e il quindicesimo anno di età. Esso abbraccia: un anno di scuola preparatoria
da seguire nella scuola materna rinnovata; la scuola elementare e la media attuali;
almeno un anno di secondaria superiore oppure, per coloro che non superano
l’esame di licenza media, l’anno di orientamento e di recupero.
L’anno di orientamento e di recupero ha come obiettivo di integrare, consolidare
e potenziare le conoscenze ed abilità apprese nel triennio della media inferiore
e di agevolare l’orientamento. I consigli di classe programmano, sulla base di verifiche
iniziali, organici progetti di recupero e di approfondimento, integrandoli con
attività sistematiche di orientamento; è possibile impiegare docenti a qualsiasi titolo
in servizio nella scuola. Dopo aver completato l’anno, l’alunno può iscriversi ai
corsi di FP o, se è riuscito a conseguire la licenza media, al primo anno della Scuola
Secondaria superiore.
138 Ibidem.
Figura n. 19 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PRI
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Oltre all’innalzamento a 10 anni, il merito del DDL in esame consiste nel ricercare
la soluzione dei problemi dell’istruzione obbligatoria nel rafforzamento dei livelli a
monte del biennio. Infatti, a livello europeo le strategie per attuare l’eguaglianza delle
opportunità tendono a fare perno tra l’altro sul potenziamento dell’educazione prescolastica
come la più promettente in vista del decondizionamento. Comunque, gli aspetti
più discutibili sono costituiti dall’anno di orientamento e di recupero. La quarta media
priva di una finalizzazione precisa a una preparazione professionale rischia di tradursi
in un parcheggio capace solo di accrescere disadattamento ed emarginazione.
d) Il DDL del Movimento Sociale - Destra Nazionale
In data 8 giugno 1989 i senatori del MSI-DN, primo firmatario l’on. Filetti139,
presentano due Disegni di Legge (atti parlamentari n. 1811 e 1812), tra di loro strettamente
collegati. L’atto parlamentare n. 1811-bis comprende una parte del testo, intitolato
“Ristrutturazione dell’ordinamento della scuola dell’obbligo” (atto parlamentare
n. 1811), i cui articoli relativi alla scuola elementare sono stati stralciati in
data 21 febbraio 1989, per essere abbinati e discussi con le altre proposte di riforma
di tale grado di scuola. I restanti articoli costituiscono il testo rinominato, dopo lo
stralcio, “Riforma dell’ordinamento della scuola media e istituzione della scuola superiore
del lavoro”. In esso viene affrontata la materia del prolungamento dell’obbligo;
gli aspetti più rilevanti di questo progetto sono:
– Scuola Media di durata quadriennale;
– obbligo di frequentare la “scuola superiore del lavoro”, di durata biennale, in alternativa
alla Scuola Secondaria superiore;
– integrazione di scuola e lavoro (apprendistato o lavori di pubblica utilità) con
formule flessibili;
– possibilità di acquisire un attestato di qualifica professionale al termine del
biennio, previo superamento di un esame.
Il secondo Disegno di Legge n. 1812, presentato dai senatori del MSI-DN contestualmente
al precedente, disciplina esclusivamente il nuovo ordinamento della
Scuola Secondaria superiore.
Le principali caratteristiche del testo sono le seguenti:
– durata quadriennale degli studi;
– suddivisione della Scuola Secondaria superiore in due sottosistemi, liceale e
tecnico, ciascuno dei quali articolabile in più indirizzi, e quello tecnico anche in
ulteriori specializzazioni;
– accesso alla Scuola Secondaria superiore condizionato dal superamento di un
esame di ammissione, da sostenere di fronte ad una commissione formata per
quattro quinti da docenti della Scuola Secondaria superiore;
139 On. CRISTOFORO FILETTI, (1914-2005) siciliano, di professione avvocato è stato senatore per il
MSI prima e MSI-DN poi nella V, VI, VIII, IX, X, XI Legislatura dal 1968 al 1992, ad esclusione del
periodo luglio 1976 - giugno 1979 della VII legislatura.
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– esame di maturità con tre prove scritte assegnate dal Ministero e un colloquio su
tutte le materie dell’ultimo anno, da sostenere di fronte ad una commissione formata
dagli stessi docenti degli allievi e presieduta da un commissario governativo
nominato dal Ministro.
Una valutazione sommaria sul prolungamento dell’obbligo. Se appare in linea
di principio condivisibile la doppia opzione, secondaria superiore o scuola del lavoro,
appare, al contrario, impraticabile e costituzionalmente non fondata la soluzione
pratica indicata. Incostituzionale perché l’art. 117 della nostra Carta Costituzionale
affida le competenze in materia di Formazione Professionale alle Regioni.
Rileggendo l’intero disegno che sottosta ai due atti parlamentari del MSI-DN,
appare evidente come questo partito riproponga la tradizionale tripartizione della secondaria
del nostro Paese: Liceo, Istituto tecnico e Istituto professionale (quest’ultimo
ridenominato Scuola Superiore del lavoro ma, a dispetto del nome, ridimensionato
negli anni: da tre a due).
3.5.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo d’Istruzione anche con la Formazione
Professionale regionale (DC)
Il Disegno di Legge, proposto da Manzini140 (DC), intende innalzare il livello di
preparazione culturale e professionale dei giovani in sintonia con le esigenze formative
più elevate della società post-industriale, valorizzando le risorse umane nella
loro diversità con particolare riferimento alle fasce più deboli.
140 On. GIOVANNI MANZINI (1939), insegnante e pubblicista. Viene eletto senatore, per la prima
volta, nel 1987 con la Democrazia Cristiana e sarà rieletto nella successiva Legislatura. Con la scomparsa
della DC aderisce al Partito Popolare Italiano e infine alla Margherita di cui ne diviene responsabile
scuola. È stato sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione nel secondo Governo Amato (dal
27 aprile 2000 al 10 giugno 2001).
Figura n. 20 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del MSI-DN
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Sul piano quantitativo vengono richiamati i dati sulla consistenza notevole degli
abbandoni nella media e soprattutto nel biennio. Inoltre, si sottolineano due divari
molto significativi: l’uno tra il tasso di scolarizzazione dei 14enni (80%) e dei
15enni (63%) e il traguardo della completa scolarizzazione, scarto che si riduce, se
si includono nel conto anche gli iscritti alla Formazione Professionale; l’altro fra la
percentuale del gruppo di età corrispondente scolarizzata nel biennio (73% in prima
e 56% in seconda) e la frequenza generalizzata dei primi due anni di Scuola Secondaria
superiore.
Le esigenze di ordine qualitativo fanno riferimento anzitutto all’esperienza
degli altri Paesi europei: si teme sempre di più che una permanenza troppo prolungata
nella scuola con programmi comuni ed uniformi non solo non contribuisca efficacemente
al potenziamento dei livelli di Istruzione di tutti i giovani, ma serva soprattutto
ad accrescere il disadattamento e la demotivazione.
In secondo luogo si osserva che la scelta della Formazione Professionale regionale
trova consensi in una fascia non piccola del gruppo di età 14-16 anni, per cui risulta
poco comprensibile la proposta di escluderla dall’innalzamento dell’obbligo.
Il DDL concretamente sancisce il prolungamento dell’Istruzione obbligatoria a
10 anni: dopo i primi 8 anni di scuola unica sono previsti diversi percorsi formativi
equipollenti, in modo da assicurare a ciascun interessato la possibilità effettiva di assolvere
l’obbligo. L’articolazione contemplata comprende corsi a tempo pieno, corsi
a tempo parziale e programmi di orientamento e nuove opportunità. I primi includono
anzitutto i primi due anni della Scuola Secondaria superiore che, però, rispondono
sostanzialmente alle esigenze degli adolescenti che intendono procedere nel
quinquennio, ma non ai bisogni di chi è orientato ad entrare immediatamente nel
mondo del lavoro. Per questi ultimi sarebbe controproducente l’impostazione teorica
e deduttiva della Scuola Secondaria superiore e pertanto vengono mantenuti i
corsi di Formazione Professionale, opportunamente rinnovati, che dovrebbero fornire
un iter formativo più concreto.
I corsi a tempo pieno non bastano a soddisfare i bisogni di tutti i giovani e in
particolare a realizzare il recupero delle fasce più deboli. La FP regionale non manca
di selettività in relazione agli obiettivi sempre più esigenti della nuova professionalità
e, d’altra parte, il nuovo istituto sul contratto di formazione/lavoro è esposto al
pericolo di emarginare il momento formativo.
Pertanto, il DDL prevede corsi a tempo parziale che sono limitati all’assolvimento
dell’ultimo anno dell’Istruzione obbligatoria e consistono in corsi integrativi
da frequentarsi durante lo svolgimento di attività di apprendistato o durante l’esecuzione
di contratti di formazione/lavoro.
Ai giovani che, a causa di ritardi, abbandoni, interruzioni o gravi difficoltà, non
riescono a portare a termine regolarmente i relativi corsi, sono offerti ai fini del completamento
dell’istruzione obbligatoria programmi di orientamento e nuove opportunità.
Lo scopo è di favorire: la rimotivazione all’apprendimento; il completamento
dei corsi di scuola media inferiore anche in vista del superamento del relativo esame
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119
di licenza; il reinserimento nei percorsi a tempo pieno o parziale; l’orientamento
professionale e l’acquisizione di abilità lavorative. La frequenza di tali corsi è possibile
dal 14° anno di età, previo parere motivato del consiglio della classe di appartenenza
oppure a richiesta di chi ha abbandonato o interrotto gli studi. Per garantire la
pari opportunità è assicurata la facoltà di passaggio tra i diversi percorsi formativi.
La mobilità si realizza attraverso prove o corsi integrativi determinati dal consiglio
di classe di destinazione o dal competente collegio dei formatori secondo criteri di
equivalenza stabiliti dai decreti delegati competenti.
In aggiunta al prolungamento a 10 anni, un punto forte del provvedimento si
può individuare certamente nel principio della pluralità dei percorsi formativi che risponde
all’esigenza di personalizzazione e individualizzazione dell’educazione.
Sul lato meno convincente va notata la rigidità della tipologia delle offerte formative
che sembra riprodurre alla lettera le divisioni esistenti nella società, mentre
dovrebbe essere lasciata maggiore flessibilità e soprattutto bisognerebbe valorizzare
di più l’autonomia delle singole unità scolastiche e formative di organizzare percorsi
formativi individualizzati dentro e fuori la Scuola e il CFP.
3.5.3. La proposta di mediazione del DDL Mezzapesa
Nel marzo del 1990 il senatore democristiano Mezzapesa, presenta un DDL
come testo di sintesi dei diversi Disegni di Legge. Il gruppo parlamentare comunista
Figura n. 21 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL della DC
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120
protesta perché non vedeva sufficientemente rappresentate in quel testo le proprie
istanze. Ricostruiamo quella vicenda dal punto di vista del PDS:
“Fino al mese di maggio, malgrado la vertiginosa successione di ministri della Pubblica
Istruzione (in pochi anni Galloni, Mattarella, Bianco e Misasi!) la discussione avviata
nella Commissione Istruzione del Senato – anche sulla base del testo del senatore Mezzapesa,
che raccoglieva molte delle proposte anche dall’opposizione, ad esempio sull’obbligo
da realizzarsi nella scuola – sembrava avviata verso sbocchi positivi. Ma proprio
all’inizio dell’ estate c’e stato l’accordo fra la DC e il PSI, il PSDI (che prevede, in particolare,
la possibilità di adempiere l’obbligo scolastico nella formazione professionale regionale,
a gestione prevalentemente privata) che ha modificato sostanzialmente il quadro
politico determinando una profonda differenziazione fra i ruppi parlamentari della maggioranza
e quello del PDS ma anche molte incertezze nella stessa maggioranza”141.
Per marcare la differenza con la maggioranza che, anche se faticosamente stava
convergendo, sulla proposta Mezzapesa, l’on. Alberici142 Ministro della Pubblica
Istruzione nel governo-ombra143 del PDS, presenta un nuovo DDL, brevissimo, in
cui si riafferma l’innalzamento dell’obbligo a dieci anni; obbligo da assolversi con
la “frequenza positiva dei primi due anni della scuola media superiore”.
Intanto Mezzapesa ripresenta un DDL, sostanzialmente identico al precedente,
ma a titolo personale. Questa nuova versione rappresenta comunque il documento di
riferimento del dibattito parlamentare nel corso della restante parte della decima legislatura.
L’Istruzione obbligatoria viene portata a 10 anni:
“per assicurare a tutti i giovani una preparazione culturale più ampia e più idonea promuoverne
la crescita personale, l’orientamento professionale, l’inserimento nell’attività
lavorativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica” (art. 7 comma 1).
L’obbligo d’Istruzione decennale viene assolto con la “frequenza dei primi due
anni dei corsi di scuola secondaria superiore, ordinari o speciali” e con la “frequenza
dei corsi previsti dai progetti di orientamento e di nuove opportunità” (art. 8,
comma 1).
141 SENATO DELLA REPUBBLICA, X Legislatura, Atto n. 3117 DDL d’iniziativa dei senatori Alberici
ed altri Norme sul prolungamento dell’istruzione obbligatoria, p. 5.
142 AURELIANAALBERICI (1941) è una pedagogista, docente e politica italiana, senatrice del Partito
Comunista Italiano e del Partito Democratico della Sinistra dal 1987 al 1996. Moglie del fondatore del
PDS Achille Occhetto, ha fatto parte dell’esperienza unica del governo ombra del PCI-PDS del 1989-
92 come ministro della Pubblica Istruzione.
143 Il governo ombra (in inglese shadow cabinet) è un’istituzione politica, presente in alcuni sistemi
parlamentari, costituita dal capo dell’opposizione, che la dirige e da parlamentari dell’opposizione
(i Ministri ombra) incaricati di seguire da vicino, proprio come un ombra (da cui il nome), l’attività
dei corrispondenti Ministri del governo in carica. Compito del governo ombra è svolgere un’azione
critica verso le decisioni del governo in carica, proponendo alternative. Normalmente se il partito di
opposizione successivamente vince le elezioni, il leader dell’opposizione diventa primo ministro e i
membri del governo ombra vanno ad occupare i corrispondenti posti nel governo in carica. In Italia la
formula del governo ombra fu usata dal PCI di Achille Occhetto nel luglio 1989 e dal PD di Veltroni nel
febbraio 2009.
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121
a) I corsi ordinari, “normalmente di durata quinquennale, si articolano in sei ambiti:
“umanistico, scientifico, economico, tecnologico, artistico, professionale”
(art. 2, comma 1) e ogni ambito comprende più indirizzi, da definire con decreto
legislativo.
b) I corsi ad ordinamento speciale, invece, riguardano “particolari esigenze formative
professionali ed artistiche, anche in rapporto a specifiche attività produttive
presenti nel territorio” (art. 4, comma 1), gli indirizzi dei corsi speciali sono
istituiti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro
della Pubblica Istruzione.
c) I progetti di orientamento e di nuove opportunità sono interventi “destinati al
completamento dell’obbligo di istruzione per i giovani che, a causa di ritardi, abbandoni,
interruzioni o gravi difficoltà, non riescono a portare a termine regolarmente
i corsi della scuola media” (art. 9 comma 1). Sono realizzati nella scuola
media, progettati dal Consiglio di classe, ed hanno durata annuale, con lo “scopo
specifico di favorire la rimotivazione all’apprendimento; il completamento dei
corsi della scuola a inferiore, anche in vista del superamento del relativo esame di
licenza; il reinserimento nei corsi della scuola secondaria superiore; l’orientamento
professionale e l’acquisizione di abilità operative” (art. 9 comma 3).
All’interno dell’ordinamento speciale viene prevista una sperimentazione
sessennale:
“Al fine di verificare la validità di percorsi formativi caratterizzati da una più stretta integrazione
di discipline teoriche e pratiche e da una più incisiva presenza di queste ultime,
sono istituiti corsi sperimentali ad ordinamento speciale di durata annuale e biennale, in
corrispondenza ai corsi normali dei primi due anni degli indirizzi dell’ambito professionale.
Tali corsi, facenti parte a tutti gli effetti della scuola secondaria superiore, sono
organizzati secondo i criteri stabiliti all’art. 11” (Art. 4, comma 2).
È a questo livello che si realizza, nelle intenzioni del relatore, la mediazione tra
quanti escludevano e quanti includevano la Formazione Professionale regionale
come possibile percorso per l’assolvimento dell’obbligo d’Istruzione. Infatti, i corsi
sperimentali ad ordinamento speciale possono essere attivati “anche in collaborazione
con i centri regionali di Formazione Professionale”144, sulla base di quanto
disposto in appositi decreti legislativi, emanati entro 12 mesi dalla data di entrata in
vigore della Legge (art. 11, comma 2 lettera b).
Da precisare che all’inizio del sesto anno di sperimentazione, sulla base dei risultati,
il Ministro della Pubblica Istruzione, sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione e le competenti commissioni permanenti di Camera e Senato, propone al
Governo la soppressione o la prosecuzione, per un altro sessennio, della sperimentazione
o “la trasformazione dei corsi sperimentali in cosi normali” (art. 4, comma 3).
144 La dizione utilizzata può prestarsi ad equivoci. In effetti il relatore non intendeva i Centri direttamente
gestiti dalla Regione (i CFPR o CRFP) ma i CFP del sistema regionale, a prescindere dalla
loro natura, pubblica o privata.
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Quindi la conciliazione tra le due istanze tentata da Mezzapesa può essere così
sintetizzata: l’obbligo prolungato viene assolto nella Scuola Media superiore (corsi
ordinari o corsi ad ordinamento speciale ) o inferiore (progetti di orientamento e di
nuove opportunità); solo in via provvisoria e a titolo sperimentale può essere assolto
con la collaborazione del sistema formativo regionale (corsi sperimentali ad
ordinamento speciale); ma anche in quest’ultimo caso la certificazione dell’assolvimento
dell’obbligo è di “esclusiva competenza dell’autorità scolastica” (art. 8,
comma 3).
Figura n. 22 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL dell’on. Mezzapesa
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123
Questo testo, come dice lo stesso relatore, “non si identifica nella posizione né
del governo, né della maggioranza, né di una singola forza politica. Fissa la sintesi
delle acquisizioni e dei problemi emersi. È uno strumento di lavoro per facilitare il
dialogo in Commissione”145.
3.5.4. Il dibattito sul DDL Mezzapesa
Di fatto, finché il dialogo non ha toccato le questioni di reale disaccordo, sul
testo Mezzapesa si è notata una generale disponibilità a trattare. Sui punti di possibile
negoziato sono stati accolti o rifiutati emendamenti proposti da tutti i partiti.
Ma non appena si è tentato di sciogliere il nodo politico ricordato più sopra, la
temperatura degli incontri ha iniziato a salire e le posizioni si sono irrigidite. Contemporaneamente,
nelle riunioni di maggioranza, sono andate crescendo in peso e in
durezza le dichiarazioni di principio da parte dei due schieramenti, con lo scopo di
fissare i paletti attorno alle cose che non si possono contrattare, cioè attorno alle questioni
di bandiera, per ciò che interessa noi, la accettabilità o il rifiuto, ai fini dell’assolvimento
dell’obbligo, della prima Formazione Professionale regionale.
Le argomentazione degli uni e degli altri sono quelle di sempre. La DC pone
l’accento sulla equipollenza ai fini formativi dei diversi percorsi e soprattutto sulla
necessità di diversificare l’offerta di istruzione in funzione della piena valorizzazione
delle diverse attitudini, capacità e inclinazioni presenti tra i giovani nella fascia
dei 14-16 anni. Il fronte laico si oppone a queste motivazioni invocando la necessità
di assicurare a tutti, per motivi di equità, gli stessi percorsi.
Si afferma sull’Avanti!, organo del PSI:
“Non si può arrivare a negare garanzie di cultura e di formazione generale ai nostri giovani,
non si può creare due fasce di ragazzi, quelli che vanno a scuola e quelli che non
solo non avranno la cultura degli altri, ma non avranno spesso gli strumenti necessari per
affrontare il mercato di lavoro”146.
E ai primi che replicano che l’equità si ottiene non con l’uniformità ma con la
differenziazione, cioè non assicurando a tutti gli stessi percorsi, ma a ciascuno il percorso
più congeniale, non muovendosi nell’ottica dell’aut-aut ma dell’et-et, i secondi
rispondono con la necessità di non far operare ai giovani scelte alternative
troppo precoci. Alla successiva risposta che un biennio unitario e non professionalizzante
produce abbandoni e dispersione, si risponde con l’esigenza di non discriminare…
e il circolo dialettico continua troppo spesso ignorando “i dati del problema”.
Cos’è che rompe questo girotondo dialettico? L’idea di sperimentazione. È
un’idea che esclude soluzioni definitive e quindi conserva intatte le speranze dell’uno
e dell’altro fronte di far prevalere alla lunga le proprie tesi. È quello che succederà
nell’undicesima Legislatura.
145 Cit. in ZUCCON G., vedi sopra.
146 STURLESE L., in Avanti! Del 26 marzo 1991.
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3.6. Tentativi di riforma della Secondaria nell’undicesima Legislatura (1992-94)
In questa undicesima Legislatura si susseguono due governi: quello di Giuliano
Amato147 (28 giugno 1992 - 28 aprile 1993) e quello di Carlo Azeglio Ciampi148 (28
aprile 1993 - 10 maggio 1994).
L’uno e l’altro governo poggiano su una maggioranza quadripartita: DC, PSI,
PSDI, PLI; nel Governo Ciampi, solo per qualche giorno (fino al 4 maggio del
1993), parteciparono anche dei ministri del PDS149 e della Federazione dei verdi, sostituiti
poi da indipendenti di sinistra.
Nell’uno e nell’altro governo Ministro della Pubblica Istruzione fu la democristiana
Rosa Russo Jervolino150.
147 On. GIULIANO AMATO (1938) è stato Presidente del Consiglio dei ministri dal 1992 al 1993 e
dal 2000 al 2001. Aderì inizialmente al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), per poi
passare al Partito Socialista Italiano (PSI), nelle cui fila fu eletto deputato dal 1983 al 1994, al fianco di
Bettino Craxi, del quale fu prima antagonista, poi consigliere economico e politico e infine sottosegretario
alla Presidenza del consiglio. In seguito è stato Ministro del Tesoro dal 1987 al 1989 (Governi
Goria e De Mita). All’indomani delle elezioni del 1992 fu incaricato dal Presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro di formare il suo primo Governo. Nella fase definita Seconda Repubblica, sopravvive
politicamente alla fine del Partito Socialista Italiano ma non aderisce a nessun partito. Per le
elezioni politiche del 1994 decide di non candidarsi direttamente, ma guida un gruppo di socialisti e
socialdemocratici verso l’aggregazione di centro guidata da Mariotto Segni, il Patto per l’Italia. È presidente
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (cd. Antitrust) dal 1994 al 1997. Successivamente
aderisce alle posizioni del centrosinistra e si avvicina (senza mai farne parte) ai DS. Nel
1998 viene richiamato al Governo dal premier Massimo D’Alema come Ministro delle Riforme Istituzionali.
Nel 1999 diviene Ministro del Tesoro e del Bilancio. Nel 2000 torna a Palazzo Chigi come
Presidente del Consiglio. Dal 2001 al 2006 è senatore dell’Ulivo. Al termine delle elezioni politiche
del 2006 riceve un nuovo mandato parlamentare alla Camera, con l’elezione a deputato nella circoscrizione
Toscana. Si è parlato di lui come un possibile successore di Carlo Azeglio Ciampi nella carica
di Presidente della Repubblica Italiana: il suo nome è stato proposto dalla Casa delle Libertà. L’Unione
ha però preferito candidare Giorgio Napolitano. Nel 2006 viene nominato Ministro dell’Interno
nel Governo Prodi II. Nel giugno 2008 ha pubblicamente annunciato il suo allontanamento definitivo
dalla politica italiana. Nel 2009 è nominato presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani.
148 CARLO AZEGLIO CIAMPI (1920) è stato il decimo Presidente della Repubblica dal 18 maggio
1999 al 15 maggio 2006. È stato governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993, Presidente del Consiglio
dei Ministri e Ministro del Turismo e dello Spettacolo ad interim (1993-1994) e Ministro del tesoro
e del bilancio (1996-1999). Con la fine del suo mandato presidenziale è diventato senatore a vita.
Primo Presidente del Consiglio e primo capo dello Stato non parlamentare nella storia della Repubblica,
Ciampi è stato anche il secondo presidente eletto dopo essere stato governatore della Banca d’Italia
preceduto da Luigi Einaudi nel 1948. In Banca d’Italia è stato per 47 anni. Dopo una militanza
giovanile nel Partito d’Azione, Ciampi non ha più aderito ad alcun partito.
149 Il giorno dopo il giuramento del governo PDS e FdV ritirarono i propri ministri, a causa della
mancata concessione da parte del parlamento dell’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi e
furono sostituiti da personalità indipendenti
150 ROSA IERVOLINO, coniugata Russo (1936), figlia di parlamentari della Democrazia Cristiana all’Assemblea
Costituente, nel 1979 divenne per la prima volta senatrice (rimarrà al Senato sino al 1992)
nelle fila della DC. Fu Ministro per gli Affari Sociali durante i Governi Goria, De Mita e Andreotti e
Ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo di Giuliano Amato e in quello di Ciampi. Divenuta
Presidente della Democrazia Cristiana assistette all’opera di rinnovamento portata avanti dal segretario
Mino Martinazzoli che portò alla fondazione del Partito Popolare Italiano. Con le dimissioni di
Martinazzoli del marzo 1994, assunse l’incarico, come Presidente del Consiglio nazionale, di reggente
del partito, dilaniato da scandali e presunta corruzione. Nello stesso anno fu eletta alla Camera dei depstoriaFORMAZ3-
1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 124
125
utati. Favorevole all’alleanza del’Ulivo di Romano Prodi, fu rieletta alla Camera dei deputati nel 1996,
legislatura in cui divenne durante il Governo D’Alema la prima donna della storia d’Italia ad occupare
l’incarico di Ministro degli Interni. Nel 2001 viene eletta sindaco di Napoli con il sostegno dei partiti
dell’Ulivo. Viene riconfermata sindaco nel 2006.
151 Fra i provvedimenti principali adottai dal governo Amato, per il pareggio di bilancio si ricordano
una manovra finanziaria da 100.000 miliardi di lire, la più importante dal dopoguerra e il prelievo
forzoso del 6% dai conti correnti delle banche italiane, nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 luglio
1992, legittimato “ex-post” con decreto d’urgenza l’11 luglio. (Cfr. Decreto legge 11 luglio 1992, n.
333, articolo 7, in materia di Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, convertito con
la Legge 8 agosto 1992, n. 359, in materia di Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge
11 luglio 1992, n. 333, recante misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica).
152 L’espressione Tangentopoli o Mani pulite designa una stagione degli Anni Novanta caratterizzata
da una serie di indagini giudiziarie condotte a livello nazionale nei confronti di esponenti della politica,
dell’economia e delle istituzioni italiane. Le indagini portarono alla luce un sistema di corruzione,
concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario
italiano. Furono coinvolti ministri, deputati, senatori, imprenditori, perfino ex presidenti del Consiglio.
Le inchieste furono inizialmente condotte da un pool della Procura della Repubblica di Milano (formato
dai magistrati Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo,
Tiziana Parenti, Ilda Boccassini e guidato dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo
vice Gerardo D’Ambrosio) e allargate a tutto il territorio nazionale, diedero vita ad una grande indignazione
dell’opinione pubblica e di fatto rivoluzionarono la scena politica italiana.
Prospetto n. 9 - Progetti di riforma della Scuola Secondaria superiore nell’undicesima Legi -
slatura
Questa Legislatura, contrassegnata da una grave crisi economica151, vede il progressivo
sfaldamento dei partiti tradizionali (sia per lo sviluppo dello scandalo di
Tangentopoli152, sia per il referendum sulla legge elettorale) e un processo di trasformazione
dell’assetto partitico italiano, tanto da far parlare di un passaggio ad una
Seconda Repubblica. Partiti storici come la Democrazia Cristiana, il Partito SociastoriaFORMAZ3-
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lista Italiano, il PSDI, il PLI sparirono o furono fortemente ridimensionati. Il 22 gennaio
1994 nasce Alleanza Nazionale, nuova formazione della destra italiana guidata
da Gianfranco Fini153, ispirata alla destra liberale europea.
Il 22 gennaio 1994, dalle ceneri della Dc nasce il nuovo Partito Popolare guidato
da Mino Martinazzoli. Però, Pierferdinando Casini, Clemente Mastella e Ombretta
Fumagalli Carulli, insieme ad altri ex DC in disaccordo con la linea del segretario,
danno vita al Centro Cristiano Democratico (Ccd). Il 26 gennaio Silvio Berlusconi
annuncia ufficialmente di voler costituire un movimento. In febbraio il congresso
della Lega Nord sancisce l’accordo Bossi-Berlusconi: si muovono così i
primi passi che porteranno alla nascita del Polo per le Libertà e il Buon Governo. Sul
versante opposto il Pds e i partiti di centro-sinistra firmano una dichiarazione programmatica
che dà origine all’alleanza dei Progressisti.
Anche in questa legislatura la partita della riforma della scuola secondaria si
gioca prevalentemente al Senato, dove il PCI (primo firmatario Chiarante), il PSI
(primo firmatario Manieri e la DC (primo firmatario Manzini) depositano un proprio
disegno di legge.
Il MSI-DN presenta le proprie proposte nelle due Camere (primi firmatari Fini
alla Camera dei Deputati e Pontone154 al Senato) e, come nella precedente legislatura,
i provvedimenti presentati riguardano uno la scuola dell’obbligo e uno la
scuola media superiore.
3.6.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PSI, PDS, MSIDN)
Tutte le proposte sopraelencate non sono altro che una riproposizione dei Disegni
di legge della X Legislatura, esaminati nel paragrafo precedente: e tutte ripropongono
le stesse posizioni maturate da tempo e che vengono nuovamente dichiarate
nelle Relazioni che precedono il testo normativo.
Il PSI, che pure aveva aderito alla tesi conciliatorista del senatore Mezzapesa,
dichiara nella relazione dell’on. Minieri di ritornare alle sue posizioni originarie, per
le quali l’assolvimento dell’obbligo è solo una questione interna alla scuola:
153 GIANFRANCO FINI (1952). È stato Presidente della Camera dei deputati dal 30 aprile 2008 al 15
marzo 2013. Precedentemente aveva ricoperto l’incarico di vicepresidente del Consiglio dei ministri
dei Governi Berlusconi II e III; in questi governi è stato anche Ministro degli Affari Esteri. È stato segretario
nazionale del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale,
nonché Presidente di Alleanza Nazionale per tredici anni, dalla fondazione nel 1995 fino al 2008,
quando ne ha promosso lo scioglimento nel nuovo partito di centrodestra de Il Popolo della Libertà, da
lui fondato insieme a Silvio Berlusconi. In polemica con la linea politica di Berlusconi, dopo alcuni
mesi di forti critiche al partito, aderisce al gruppo Futuro e Libertà per l’Italia (fondato il 30 luglio
2010 da alcuni parlamentari fuoriusciti dal Popolo della Libertà) dopo il discorso alla Festa Tricolore
di Mirabello del 5 settembre 2010. Dal 13 febbraio 2011 è presidente di Futuro e Libertà per l’Italia.
Deputato dal 1983 al 2013 senza interruzioni, alle elezioni politiche del 2013 non viene rieletto.
154 FRANCESCO PONTONE (1927) senatore ininterrottamente dalla X alla XVI Legislatura, con il
MSI-DN, prima e Alleanza Nazionale e Popolo della Libertà, dopo. Confluito in Futuro e Libertà nel
2010 è rientrato nel PdL nel 2011.
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“[…] la necessità di accorciare al massimo i tempi d’attuazione dell’innalzamento dell’obbligo,
ci spingono a presentare il disegno di legge all’oggetto che mantiene la scelta
di base del progetto elaborato da lungo tempo dai socialisti: l’espletamento dell’obbligo
nell’alveo formativo scolastico, senza confusioni e sovrapposizioni di competenze con
l’area di intervento delle regioni che deve intendersi come successiva alla formazione di
base dei giovani e non come parallela o alternativa”155.
E il PDS riforma insieme al PSI il fronte comune contro l’assolvimento dell’obbligo
da parte della Formazione Professionale e nella relazione del senatore Alberici,
ricorda la propria fedeltà a tale linea anche nelle vicende dell’ultimo scorcio
della decima legislatura, quando fu proposta tale soluzione che, da una parte confondeva
i ruoli della Scuola e della Formazione Professionale, dall’altra trasformava
quest’ultima nella sua natura:
“Ci parve inaccettabile una soluzione che voleva ancora una volta fare pasticci,
mescolando ruoli e funzioni, come la proposta allora avanzata in Commissione al Senato
dal relatore, ma sostenuta dal PCI e dal PSI, che prevedeva per gli studenti tra quattordici
e sedici anni l’ipotesi di poter realizzare obiettivi di qualità formativa e di istruzione obbligatoria
anche nei corsi di Formazione Professionale. Corsi che però non sarebbero
stati neppure più tali, perché integrati dagli insegnanti della scuola media superiore e
dagli insegnamenti culturali, scientifici, previsti per il primo biennio della scuola secondaria
superiore”156.
E, come nella decima legislatura, il MSI-DN ripropone il prolungamento dell’obbligo
all’interno della scuola, dopo la media inferiore, quadriennale, o mediante
la frequenza alla “scuola del lavoro”, biennale, o alla scuola media superiore, quadriennale.
La Formazione Professionale regionale, in questa prospettiva, viene ignorata.
3.6.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo anche con la Formazione Professionale
regionale (Testo Unificato della VII Commissione)
a) Il DDL della DC
Sul fronte opposto, quello che propone l’assolvimento dell’obbligo anche nella
Formazione Professionale regionale, c’è la DC, solo la DC, che nella Relazione al
DDL presentato dal senatore Manzini dichiara che il proprio provvedimento si ispira
al “principio della obbligatorietà dell’istruzione”:
“È un concetto che si discosta da quello di obbligo scolastico che costringerebbe l’assolvimento
all’interno di un unico sistema”157.
155 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura, Atto n. 684, DDL d’iniziativa dei senatori Manieri
e altri Norme sul prolungamento dell’obbligo scolastico, p. 2.
156 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura, Atto n. 378, DDL d’iniziativa dei senatori Alberici
e altri Riforma della scuola secondaria superiore e innalzamento dell’obbligo scolastico, p. 2
157 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura, Atto n. 725, DDL d’iniziativa dei senatori Manzini
e altri Norme sull’ordinamento della Scuola Secondaria superiore e sul prolungamento dell’istruzione
obbligatoria, comunicato alla Presidenza il 29 ottobre 1992, p. 5.
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Infatti, senza reticenze il testo afferma che si assolve all’obbligo d’Istruzione,
portato a 10 anni, attraverso due canali, cioè con la frequenza:
– dei primi due anni dei corsi di Istruzione liceale a cicli quinquennale impartita
nei Licei: classico, linguistico, socio-psico-pedadogico, scientifico, scientificotecnologico,
economico; al termine del quinquennio, a seguito di esame di stato,
si consegue il diploma di maturità che consente l’accesso agli studi universitari;
– dei primi due anni dei corsi di Istruzione professionale triennali; al termine del
triennio si consegue, a seguito di esame di qualifica, il diploma di Istruzione
professionale che consente la partecipazione a “corsi di contenuto sperimentale
di durata annuale o biennale, finalizzati al conseguimento di una specifica qualifica
professionale” (art. 3, comma 7);
– dei corsi regionali di Formazione Professionale che: a) dovevano avere una durata
non inferiore a due anni; b) dovevano impartire gli insegnamenti comuni al
biennio della Secondaria superiore (italiano, lingua straniera, storia, diritto ed
economia, matematica e informatica, discipline scientifiche sperimentali) “in
modo da conseguire obiettivi tali da assicurare una preparazione culturale più
ampia...”; c) dovevano essere regolati da convenzioni tra Ministro della Pubblica
Istruzione d’intesa con il Ministro del Lavoro e i presidenti delle Regioni e
delle Province Autonome.
La certificazione dell’assolvimento dell’obbligo d’istruzione spetta esclusivamente
all’autorità scolatica (art. 10, comma 3).
Figura n. 23 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL della DC (Relatore sen.
Manzini)
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129
b) Il Testo Unificato della VII Commissione
E come nella precedente Legislatura era stata tentata una sintesi di tutte le proposte
dei partiti da parte della Commissione parlamentare, così anche nella undicesima
Legislatura è la VII Commissione che si impegna in una difficile mediazione
con l’elaborazione di un testo unificato. La soluzione che ne deriva, frutto di un comitato
ristretto, con l’apporto del Governo e di tecnici, è laboriosa e, sul piano della
operatività, macchinosa. Ma forse l’unica possibile tra posizioni iniziali diverse e
spesso divaricanti.
La relazione accompagnatoria del Testo Unificato, relatore Manzini, riconosce
che il problema delle modalità di assolvimento dell’obbligo è stato dirimente, fuori e
dentro il Parlamento:
“È noto che l’utilizzo o meno del canale della Formazione Professionale per l’assolvimento
dell’obbligo è stato per molti anni motivo di forte contrapposizione fra gli studiosi
e soprattutto tra i Gruppi in Parlamento”.
La relazione, inoltre, fa propria l’istanza di fondo della tesi che sostiene che l’obbligo
possa essere svolto anche nella Formazione Professionale regionale: la differenziazione
dei percorsi formativi, non come “rimedio” per situazioni critiche e quindi
solo per alcuni ma come fenomeno strutturale e quindi potenzialmente per tutti:
“[…] differenziare l’offerta formativa non solo per chi è in ritardo o in difficoltà ma anche
per situazioni di normalità e di eccellenza”.
La soluzione prospettata dal testo di conciliazione prevede:
“[…] accanto a impegnative azioni di orientamento anche specifici progetti mirati da realizzarsi
nella sede degli accordi di programma e sulla base di appositi protocolli d’intesa
tra Stato e Re gioni”158.
Questa soluzione è frutto di un cambio di prospettiva istituzionale: i problemi
non vengono visti in un ottica di contrapposizione tra centro (Istruzione) e periferia
(Formazione Professionale), ma di collaborazione tra Stato e Regioni:
“Superando la storica distinzione tra Stato Regioni in merito ai problemi della istruzione
e della Formazione Professionale, il provvedimento assume come punto di partenza la
collaborazione tra vari soggetti istituzionali, da realizzarsi attraverso accordi di programma
volti a promuovere lo sviluppo qualitativo della scuola secondaria superiore. In
questa sede si individuano la distribuzione sul territorio degli indirizzi di studio, l’armonizzazione
tra l’istruzione scolastica la Formazione Professionale pre e post-secondaria,
la prevenzione della dispersione scolastica, il diritto allo studio, i progetti mirati, l’edilizia
scolastica. Si tratta di un superamento concreto dell’attuale centralismo ministeriale
a favore delle autonomie regionali e locali”159.
158 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura n. 378, 684, 725, e 962 A Relazione della VII Commissione
Permanente (Istruzione Pubblica, Beni Culturali, Ricerca Scientifica, Spettacolo e Sport), relatore
Manzini, Comunicata alla Presidenza il 16 settembre 1993, p. 5.
159 Ibidem. p. 4.
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130
Il testo della Commissione si configura come una legge-quadro, dove vengono
definiti i principi ispiratori e l’intelaiatura generale, spetta “alla decretazione e ai regolamenti
il compito di definire qualitativamente competenze e funzioni”. Questa
architettura generale poggia su due pilastri: la struttura della Scuola Secondaria superiore
e la collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti locali.
La Scuola Secondaria superiore ha durata quinquennale e si articola in Licei e
Istituti Professionali e d’arte, che si articolano in una pluralità di indirizzi (art. 6,
comma 1) da definirsi con successivo decreto ministeriale (comma 3). Il Ministero
provvederà anche a definire i piani di studio (art. 7, comma 1) relativamente a 3 aree
tematiche: a) linguistica, letteraria, artistica; b) storica, giuridica, economica; c)
matematica, scientifica, tecnologica (comma 3). Gli Istituti Professionali rilasciano
al terzo anno un diploma di primo livello, utile per l’eventuale conseguimento di una
qualifica professionale regionale. La durata dell’istruzione obbligatoria è prorogata
a 10 anni (art. 8, comma 1) e si assolve mediante la frequenza positiva dei primi due
anni della secondaria (comma 2); è prosciolto chi ha compiuto il sedicesimo anno di
età o chi è stato dieci anni nella istruzione obbligatoria (comma 3).
La collaborazione tra Stato-Regioni ed Enti locali si realizza attraverso Accordi
di programma, che definiscono per il territorio di propria competenza: a) la distribuzione
degli indirizzi di studio; b) le modalità di armonizzazione e di utilizzo integrato
delle risorse tra le offerte del sistema della Secondaria superiore e quelle della
Formazione Professionale regionale; c) le modalità di attuazione di progetti extracurriculari
e di orientamento scolastico; d) i servizi per l’attuazione del diritto allo
studio; e) le modalità di cooperazione e di collaborazione tra i soggetti istituzionali
sociali e formativi la programmazione degli interventi di edilizia scolastica; f)
“azioni di prevenzione della dispersione e di supporto alla effettiva attuazione dell’obbligo
di istruzione” (art. 2, comma 1).
Quest’ultima tipologia di intervento viene realizzata attraverso Progetti mirati.
Le finalità di tali progetti riguardano oltre al recupero di ritardi ed abbandoni e al
conseguimento della licenza media per i prosciolti dall’obbligo d’Istruzione anche
“ad una prima Formazione Professionale di base orientata al lavoro”. I progetti
possono essere promossi o per iniziativa autonoma delle scuole o per effetto degli
accordi di programma e possono essere realizzati o dalle scuole o “mediante convenzioni
con le strutture di Formazione Professionale o con altre istituzioni educative e
formative”.
La nostra è una ricostruzione sintetica, anzi una semplificazione di un testo tortuoso
(tipico di compromessi parlamentari) che afferma quasi di sfuggita, con imbarazzo
e comunque in sordina (quasi che dirlo chiaramente e a voce alta possa irritare
e fa recedere qualcuno dagli accordi raggiunti), che è possibile assolvere l’obbligo
prolungato a 10 anni anche nella Formazione Professionale. Un obbligo, quindi che
non si può chiamare scolastico ma d’Istruzione. Finalmente, anche se attraverso un
percorso bizantino di scatole cinesi, la Formazione Professionale regionale è entrata
nel Sistema d’Istruzione nazionale. Comunque rispetto alla mediazione Mezzapesa
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131
abbiamo fatto passi avanti; lì, infatti, la certificazione dell’assolvimento dell’obbligo
per i corsi sperimentali ad ordinamento speciale veniva rilasciata dal Ministero
della Pubblica Istruzione qui, invece, “le attività connesse con l’attuazione dell’obbligo
d’istruzione” rimangono di esclusiva competenza regionale (art. 2, comma 5).
Naturalmente non è in ballo la competenza istituzionale, ma la natura della Formazione
Professionale, la sua identità di sistema formativo. Il Testo Unificato della VII
Commissione viene approvato il 22 settembre 1993 e trasmesso alla Camera, dove
diventa l’Atto n. 3158. L’interruzione della legislatura, il 14 aprile 1994, soffoca
anche questo ennesimo tentativo di riforma.
3.7. Tentativi di riforma della Secondaria nella dodicesima Legislatura (1994-96)
Dalle elezioni del 27 e 28 marzo 1994 esce vincitore il Polo per le Libertà e il
Buon Governo guidato da Silvio Berlusconi160 sull’Alleanza dei Progressisti161 di
160 Il Polo del Buon Governo era una coalizione elettorale di centro-destra che comprendeva essenzialmente
Forza Italia e Alleanza Nazionale e si presentava unicamente nei collegi uninominali
centro-meridionali; in quelli centro-settentrionali, invece, era presente la coalizione rappresentata dal
Polo delle Libertà, che si componeva di Forza Italia e Lega Nord, mentre AN si presentava da sola. Entrambe
le coalizioni sostenevano la leadership di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia. In quota
Forza Italia furono candidati esponenti del CCD di Casini.
161 L’Alleanza dei Progressisti riuniva questi soggetti politici: Partito Democratico della Sinistra
(PDS): partito-guida della coalizione, di natura post-comunista; Alleanza Democratica (AD): soggetto
trasversale di centrosinistra di natura laico-riformista; Cristiano Sociali: forza riformista, situata all’ala
sinistra del filone culturale cattolico; Federazione dei Verdi: forza di stampo ambientalista; La Rete:
Figura n. 24 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel Testo Unificato della VII Commissione
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132
centro sinistra, guidata da Achille Occhetto e del Patto per l’Italia del centro162, guidato
da Mariotto Segni163.
L’11 maggio il Governo giura nelle mani del Presidente Scalfaro e pochi giorni
dopo ottiene la maggioranza al Senato grazie ai voti di alcuni senatori a vita164. Ma il
I Governo Berlusconi non dura nemmeno un anno; infatti, una proposta del Guardamovimento
che si caratterizzava per un forte impegno contro la mafia e a favore della legalità; Partito
della Rifondazione Comunista (PRC): forza di ideologia euro-comunista; Partito Socialista Italiano
(PSI) (fino al 1994): ciò che rimaneva del PSI; Rinascita Socialista: forza politica nata da una scissione
della sinistra socialista dal PSI. Il simbolo era dato dalla scritta PROGRESSISTI su sfondo bianco con una
striatura tricolore. concorrenza con quelli della coalizione. Dopo l’insuccesso alle elezioni politiche del
27 e 28 marzo 1994, l’alleanza cessò praticamente di esistere.
162 Il Patto era costituito da: Partito Popolare Italiano, Patto Segni, Partito Repubblicano Italiano,
Unione Liberaldemocratica, indipendenti socialisti e socialdemocratici quali Giuliano Amato e Giulio
Tremonti. Dopo gli scarsi risultati riportati in occasione delle elezioni politiche del 1994 la coalizione
di “centro” si è sciolta: Il Partito Popolare Italiano, sotto la guida del nuovo leader Rocco Buttiglione
avviò un processo di confronto tanto con il centro-destra quanto con la sinistra. Il partito risultò così
spaccato in due forti correnti, una favorevole all’alleanza con il Polo delle Libertà (guidata dallo stesso
Buttiglione) ed una favorevole al confronto con i Progressisti (guidata da Gerardo Bianco). La crisi si
concluse con la fuoriuscita di Buttiglione dal partito, che portò con sé lo “scudo crociato” e diede vita
ai Cristiani Democratici Uniti. Il Patto Segni subì scissioni verso Forza Italia (Giulio Tremonti e Alberto
Michelini) e aderì a L’Ulivo con la quale si presentò nel 1996 sotto le insegne di Rinnovamento
Italiano. A partire dal 1999 tuttavia il piccolo partito scelse l’alleanza con la Casa delle Libertà nel
2001. Nel 2004 invece il partito, divenuto Patto dei Liberaldemocratici, corse sganciato dai principali
schieramenti. Il Partito Repubblicano Italiano di Giorgio La Malfa, dopo essersi presentato con il PPI
all’interno de L’Ulivo nel 1996 (eleggendo 2 deputati e 2 senatori), nel 2001 scelse di aderire alla Casa
delle Libertà, in stretta alleanza con Forza Italia. L’Unione Liberaldemocratica di Valerio Zanone è
confluita nella Federazione dei Liberali Italiani ed è entrata a far parte de L’Ulivo come membro di
Unione Democratica. I gruppi di matrice socialista e socialdemocratica sono confluiti chi in Unione
Democratica (e poi ne I Democratici), chi nel Centro Cristiano Democratico, chi in Forza Italia, chi nei
Socialisti Democratici Italiani, chi nei Democratici di Sinistra.
163 MARIOTTO SEGNI detto Mario (1939), come suo padre, il Presidente della Repubblica Antonio,
cominciò a svolgere la sua attività politica nella Democrazia Cristiana. Ha ricoperto l’incarico di Sottosegretario
all’Agricoltura nel secondo Governo Craxi e nel sesto Governo Fanfani. Nel 1992 Segni
fondò, sull’onda del successo del Referendum abrogativo del 1991, il movimento Alleanza Democratica,
per promuovere i referendum per la modifica della Legge elettorale da proporzionale in maggioritaria
e provocare un rinnovamento radicale nel sistema politico italiano. Il 23 marzo del 1993 abbandonò
la DC, colpita dall’inchiesta Mani Pulite. Grazie al sostegno di alcuni leader del centrosinistra
italiano, tra cui Achille Occhetto e numerosissimi esponenti della società civile, la consultazione referendaria
che si tenne il 18 aprile del ’93 superò il quorum e si concluse con la vittoria del “sì”. In breve
tempo Mario Segni divenne uno dei leader politici più amati ed apprezzati dall’elettorato italiano. Nel
1994 fondò, separandosi da AD, un nuovo movimento politico, il Patto Segni, che non ebbe molta fortuna.
Nel 1996, in occasione delle elezioni politiche annunciò il suo ritiro dall’attività parlamentare italiana
e tornò all’insegnamento universitario. Ciò che rimaneva del suo partito si federò con la Lista
Dini, alleata col centrosinistra. Rientrò sulla scena politica nel 1999 quando fuse quel che rimaneva del
suo partito con Alleanza Nazionale sotto il simbolo de L’Elefantino. Il pessimo risultato conseguito in
quelle consultazioni (10% delle preferenze) portò alla successiva (e definitiva) divisione tra AN e il
“Patto”. Mario Segni ha sempre avversato gli eccessi del berlusconismo ma, fedele alla sua estrazione
di cattolico e liberale, non ha mai voluto accettare avances neppure dall’Ulivo.
164 In seguito a due sconfitte elettorali, Occhetto lascia la guida del Pds, che viene assunta da Massimo
D’Alema.
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sigilli Alfredo Biondi165 che riforma in senso garantista le norme sulla custodia cautelare
e gli avvisi di garanzia desta forti malumori nella Lega Nord, che si dissocia
pubblicamente dalla decisione e presenta alla Camera, il 17 dicembre, una mozione
di sfiducia. Il 22 dicembre il Premier presenta le dimissioni al Capo dello Stato, che
il 13 gennaio 1995 conferisce a Lamberto Dini, già Ministro del Tesoro, l’incarico di
formare un nuovo esecutivo.
Quello presieduto da Dini viene definito “governo tecnico” per la presenza di
personalità scelte al di fuori della politica attiva. Lo appoggiano Partito Popolare,
Lega e PDS, con l’astensione del Polo. Ma nemmeno questo esecutivo ha vita lunga:
il 26 ottobre si vota alla Camera la mozione di sfiducia presentata dal Polo contro il
Governo Dini, che viene respinta grazie all’astensione del gruppo di Rifondazione
Comunista, persuaso dall’annuncio di Dini di dimettersi una volta approvata la
165 On. ALFREDO BIONDI (1928) avvocato e parlamentare di lungo corso (dal 1968 al 1972, e poi
ininterrottamente dal 1979 al 2008). È stato più volte Ministro e vicepresidente dell’assemblea di
Montecitorio. Nel V Governo Fanfani, dal 1º dicembre 1982 al 4 agosto 1983, fu Ministro senza Portafoglio,
con delega per il coordinamento interno delle politiche comunitarie. Nel I Governo Craxi, dal 4
agosto 1983 al 31 luglio 1985, fu Ministro senza Portafoglio con delega per l’Ecologia. Fu segretario
del Partito Liberale Italiano nel 1985-1986. Eletto nelle liste di Forza Italia, diventa Ministro alla Giustizia,
durante il I Governo Berlusconi (1994): è in queste circostanze che – nel mese di luglio – presenta
il cosiddetto decreto salvaladri, che apre le porte a numerosi detenuti di Tangentopoli. Il decreto
viene ritirato in seguito alle dimissioni del pool dei magistrati di Milano e alla intensa protesta popolare.
Dal 2004 è Presidente del Consiglio Nazionale di Forza Italia, massimo organo collegiale del partito.
Dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008 viene eletto senatore nelle liste di Forza Italia per la Regione
Liguria. Nel 2008 non è reinserito nelle liste del Popolo della Libertà per le elezioni parlamentari. Il 26
ottobre 2010 lascia la Direzione Nazionale del PDL, per la mancanza di dibattito interno al partito e
per una visione a sua detta feudale. È presidente dell’Unione liberale di centro, l’associazione liberale
promossa da Raffele Costa.
166 Vedi nota 161.
Prospetto n. 10 - Progetti di riforma della Scuola Secondaria superiore nella dodicesima Legi -
slatura
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134
Legge Finanziaria. La manovra viene approvata il 22 dicembre. Il 30 dello stesso
mese il Presidente del Consiglio rimette il mandato nelle mani di Scalfaro, che però
rinvia il Governo alle Camere. Due settimane dopo, a seguito di nuove dimissioni, il
Capo dello Stato avvia le consultazioni per formare un nuovo esecutivo. Consultazioni
che, non avendo successo, conducono allo scioglimento anticipato delle Camere.
Anche in questa legislatura è il Senato ad occuparsi prevalentemente dalla riforma
della Secondaria e del prolungamento dell’obbligo.
3.7.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PRC)
Il 25 luglio del 1994 Rifondazione Comunista, pur facendo parte del cartello
elettorale e del gruppo parlamentare dei Progressisti, presenta un DDL che si muove
su traiettorie diverse da quelle del suo principale alleato. Il testo, primo firmatario il
senatore Bergonzi167, ripropone la tesi tradizionale della sinistra sull’assolvimento
dell’obbligo, prolungato a 10 anni, esclusivamente nell’ambito del primo biennio
della Scuola Secondaria.
Una secondaria che, in base al principio dell’egualitarismo – una Scuola per
tutti che diventa una Scuola uguale per tutti – deve avere una struttura unitaria
(“sono progressivamente soppressi,[…], tutti gli attuali istituti di istruzione post-obbligatoria”,
art. 2, comma 2).
Il primo biennio viene chiamato di orientamento; il triennio successivo, invece,
di indirizzo. Infatti, i primi due anni in cui, come detto, si assolve l’obbligo, sono
destinati a “completare la cultura di base e fornire gli strumenti conoscitivi per le
successive scelte dello studente” (art. 6), il corso triennale alla scelta di campi disciplinari
di indirizzo (scienze umane, scienze naturali fisiche e matematiche, scienze
della tecnica e delle tecnologie, delle arti) e di settori di specializzazione, due o più
per indirizzo (art. 9). L’organizzazione degli studi, sia per il biennio sia per il triennio,
si articola in: a) un’area comune; b) attività di orientamento; c) attività formative
e di indirizzo; d) attività elettive e facoltative (art. 7). Naturalmente questo paradigma
comune viene declinato in termini di ore in maniera diversa, sia nel biennio
sia nel triennio (ad es. il primo anno è interamente destinato alle discipline dell’area
comune, che nel triennio occuperanno almeno un terzo del tempo globale della didattica).
E la Formazione Professionale? Mai nominata, né nel testo del DDL né nella relazione
che lo accompagna.
Dobbiamo, per completezza, dare conto anche di una proposta di un parlamentare
leghista, il sen. Lorenzi. Il DDL n. 1566, del 30 marzo 1995 porta solo la sua
firma e quindi la proposta va considerata come un’iniziativa personale, senza coinvolgimenti
del partito di provenienza.
167 On. PIEGIORGIO BERGONZI (1947), insegnante è stato eletto al Senato, nelle fila del Partito di
Rifondazione Comunista, nella XI, XII e XIII Legislatura.
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Si tratta di una proposta sui generis, abbastanza lontana dai paradigmi a cui ci
hanno abituato i Disegni di Legge esaminati. Come rivela il titolo (“Legge quadro
per un riordinamento graduale dell’istruzione scolastica e universitaria”) il provvedimento
propone una riforma globale dell’intero sistema formativo, “un nuovo ordinamento
strutturale della scuola”, come dice la Relazione accompagnatoria.
L’obbligo scolastico è portato a 9 anni, articolati in cicli triennali successivi:
oltre la scuola materna (resa obbligatoria pur prevedendo la facoltà di deroga) da tre
a cinque anni, la scuola elementare dal sesto anno di età; la scuola media inferiore
dal nono anno e la scuola media superiore dal dodicesimo anno. Esaurito il ciclo
scolastico obbligatorio lo studente può scegliere tra un percorso triennale che porta o
ad un diploma universitario, articolato in diversi indirizzi di studio (classico, scientifico,
tecnologico, artistico, linguistico) o a un diploma professionale (geometra, ragioniere,
perito…). Anche l’Istruzione universitaria risponde alla logica triennale:
Figura n. 25 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PRC (Relatore sen.
Bergonzi)
Figura n. 26 - Riforma del Sistema formativo nel DDL della Lega Nord (Relatore sen. Lorenzi)
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136
viene articolata, infatti, in un triennio per il conseguimento della Laurea e un
triennio per il dottorato. Non solo non sono previsti legami con il sistema formativo,
ma in tutto il documento l’espressione Formazione Professionale non compare mai.
3.7.2. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo anche nella Formazione Professionale
In questa dodicesima Legislatura si allarga il fronte dei soggetti politici che reputa
possibile, con tante cautele e condizioni, assolvere l’obbligo prolungato a 10
anni anche in percorsi della Formazione Professionale regionale.
La manifestazione parlamentare di questa posizione avviene con modalità diverse:
con la riproposizione integrale (Progressisti e Popolari) o con modifiche
(CCD) del Testo Unico della VII Commissione della XI Legislatura o con un testo
nuovo (Ministro della Pubblica Istruzione, on. D’Onofrio).
a) I DDL dell’Alleanza dei Progressisti e dei Popolari
Il DDL del gruppo parlamentare dell’Alleanza dei progressisti, denominazione
con cui, come ricordato, la sinistra si era presentata alle elezioni politiche, riproduce
esattamente il Testo Unificato approvato dal Senato nella XI Legislatura. Nella relazione
accompagnatoria del documento, il sen. Salvi168, primo firmatario, motiva così
questa scelta:
“…l’ampia convergenza realizzata al senato sulle linee generali di provvedimento e la
confermata urgenza dell’innalzamento dell’obbligo suggeriscono la ripresentazione integrale
del testo al fine di accelerare i tempi per l’approvazione di una riforma inderogabile
della scuola secondaria superiore”169.
Anche il Partito Popolare Italiano riproduce integralmente il testo della VII
Commissione nel suo DDL (primo firmatario il sen. Folloni), con qualche modifica
di carattere esclusivamente formale.
Nella relazione accompagnatoria sono evidenziate le linee essenziali ereditate
dal dibattito e dal confronto degli anni precedenti e confluite nel Testo Unificato
della XI Legislatura:
“… l’unitarietà, ma non l’unicità della scuola secondaria; l’orientatività come caratteristica
in qualche modo intrinseca alla scuola dell’adolescente; la necessità di un rapporto
con la dimensione della professionalità o quanto meno della pre-professionalità. Vengono
quindi confermate le scelte relative all’innalzamento dell’obbligo dell’istruzione al sedicesimo
anno; il riconoscimento del sistema della Formazione Professionale come risorsa
soprattutto in vista di un più efficace impegno contro la dispersione scolastica”.
168 On. CESARE SALVI (1948), dal 1979 al 2011 è stato professore ordinario di diritto civile all’Università
di Perugia, per poi passare alla cattedra di diritto privato nella stessa Università. Eletto in Parlamento
per il PDS nell’XI e XII Legislatura, per i DS nella XIII e XIV, nella XV Legislatura è stato
capogruppo di Sinistra Democratica. Attualmente è Presidente del Consiglio nazionale della Federazione
della Sinistra.
169 SENATO DELLA REPUBBLICA XII Legislatura, DDL n. 931, d’iniziativa dei sentori Salvi e altri,
Legge quadro per il riordino dell’istruzione secondaria superiore e per il prolungamento dell’obbligo
scolastico, comunicato alla Presidenza il 29 settembre 1994, p. 2.
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137
b) Il DDL del CCD
Il DDL del CCD, primo firmatario il sen. Palombi, a prima vista sembrerebbe
una “riscrittura” del Testo Unificato elaborato dal relatore Manzini per conto della
VII Commissione. Invece il CCD, pur riproponendo quel copione vi inserisce poche
ma significative modifiche, che penalizzano la Formazione Professionale. Nell’art.
1 si afferma:
“L’istruzione obbligatoria, prolungata a complessivi 10 anni, si assolve o mediante frequenza
positiva dei primi due anni della scuola superiore o mediante progetti mirati da
realizzare nella scuola secondaria di primo o secondo grado d’intesa con le strutture
della Formazione Professionale”.
Nell’ambito della Scuola Media, per gli studenti che abbiano superato il quindicesimo
anno di età, i corsi mirati consistono in “moduli integrativi ai piani di studio,
aperti anche ad attività preprofessionali, attuate in convenzione con strutture apposite
della Formazione Professionale” (art. 3, comma 1, lett. a).
Nell’ambito del primo biennio della Secondaria superiore i corsi mirati sono
“specifici corsi di studio che…consentano la frequenza di quote orarie relative alla
Formazione Professionale scuola-lavoro” (art. 3, comma 1, lett. b).
Nell’uno e nell’altro caso le iniziative sono promosse da “accordi quadro nazionali
e specifiche programmazioni regionali”. Agli studenti prosciolti dall’obbligo
attraverso i corsi mirati “è rilasciata apposita attestazione dalle scuole pubbliche”
(art. 6, comma 4).
Figura n. 27 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del CCD (Relatore sen.
Palumbo)
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138
170 On. FRANCESCO D’ONOFRIO (1939), professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università
degli studi di Roma “La Sapienza”, avvocato, inizia la sua carriera politica nelle file della
Democrazia Cristiana. Viene eletto per la prima volta al Senato nella IX Legislatura (1983). Nel 1987,
1992 e 1994, viene invece eletto alla Camera dei deputati. Entra a far parte del VII Governo Andreotti
in qualità di Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri; nel 1991 gli viene conferita
la delega alle Riforme Istituzionali ed agli Affari Regionali. In seguito allo scioglimento della
DC, D’Onofrio fonda il CCD con Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella e fa parte dello schieramento
di centrodestra Polo delle Libertà. Nel primo governo Berlusconi diventa Ministro della Pubblica
Istruzione. Nel 1996 D’Onofrio viene eletto al Senato ed è nominato capogruppo del CCD a Palazzo
Madama. Fra il 2001 e il 2006 ricopre l’incarico di capo dei senatori del Biancofiore, gruppo parlamentare
che vede uniti il CCD di Casini ed il CDU di Buttiglione e che darà vita nel 2002 ad un soggetto
politico comune, insieme a Democrazia Europea, l’Unione dei Democratici Cristiani e Democratici
di Centro (UDC). Nel 2006 viene eletto senatore ed è capogruppo dell’UDC.
171 Di concerto col Ministro dell’Interno (Maroni) col Ministro del Bilancio e della Programmazione
Economica (Paglierini) col Ministro del Tesoro (Dini) col Ministro del Lavoro e della Previdenza
Sociale (Mastella) col Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (Podestà), col
Ministro per la Funzione Pubblica e gli Affari Regionali (Urbani).
172 SENATO DELLA REPUBBLICA, XII Legislatura, DDL n. 1093, presentato dal Ministro della Pubblica
Istruzione D’Onofrio, Elevazione dell’obbligo scolastico e riordino degli ordinamenti scolastici.
Relazione p. 4.
173 Cfr. L. n. 236/93 Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione, art. 9 comma 15.b.bis[16] “I
rapporti di cui al comma quindicesimo interessano soggetti che hanno assolto l’obbligo scolastico e si
realizzano: […] b-bis) per gli utenti forniti di diploma di istruzione secondaria superiore che frequentino
corsi postsecondari di perfezionamento o specializzazione, mediante esperienze pratiche previste
nei relativi piani di studio, da effettuare presso aziende; i corsi sono istituiti sulla base di convenzioni o
accordi tra l’amministrazione scolastica o le singole scuole e le regioni interessate, anche in relazione
alle proposte delle associazioni dei datori di lavoro, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori mag-
Le modifiche introdotte da questo DDL all’impianto del DDL della VII Commissione
penalizzano la Formazione Professionale, perché non la considerano nella
sua dignità di processo formativo autonomo, ma semplicemente come percorso per
l’acquisizione di abilità operative. Come dire: invece di fare uno stage in azienda i
ragazzi passano qualche ora in un Centro di Formazione Professionale e regista della
operazione è la Scuola; è nell’ambito della Scuola che si realizzano i corsi mirati; ed
è la Scuola a rilasciare la certificazione dell’assolvimento dell’Istruzione obbligatoria.
E la Formazione Professionale? In posizione sussidiaria, chiamata a dare un
contributo, naturalmente di natura “operativa”!
c) Il DDL del Ministro della Pubblica Istruzione
Il Ministro D’Onofrio170 presenta al Senato il 4 novembre 1994 il DDL “Elevazione
dell’obbligo scolastico e riordino degli ordinamenti scolastici”171. È un testo
che fissa “i principi informatori e le linee portanti, demandandone la concreta attuazione
alla normativa regolamentare”172.
La Secondaria si articola: a) in una formazione a ciclo unitario, di durata quinquennale,
finalizzata alla successiva formazione universitaria e post-secondaria; b)
una formazione a cicli articolati triennale e biennale, finalizzati, il primo ad un più
rapido accesso al lavoro, anche con ulteriori interventi della Formazione Professionale
regionale, il secondo all’accesso alla formazione universitaria o a corsi di perfezionamento
o specializzazione173, istituiti mediante convenzioni o accordi tra AmmistoriaFORMAZ3-
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139
nistrazione scolastica o singole scuole e le Regioni e le Università (con “esperienze
pratiche da realizzare presso aziende”, art. 5). L’obbligo scolastico (art. 1) viene portato
a 10 anni e si assolve:
a) con la frequenza ai primi due anni della media superiore;
b) nei corsi biennali del sistema regionale: “sulla base di un accordo quadro approvato
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni
presso le strutture di Formazione Professionale regionale convenzionate con le
istituzioni scolastiche del territorio e comunque nel rispetto di standard di qualità
formativi definiti dallo Stato” (art. 1, comma 7);
c) nei “progetti mirati”: “percorsi personalizzati, modulari e flessibili […] tali progetti
sono attivati dalle istituzioni scolastiche, anche sulla base delle richieste
delle famiglie, e possono essere realizzati mediante convenzioni con le strutture
di Formazione Professionale individuate in sede di programmazione” (ibidem).
giormente rappresentative a livello nazionale e degli ordini professionali; i rapporti tra le singole Istituzioni
scolastiche e le aziende interessate ai corsi sono regolati da specifiche convenzioni; mediante la
stipula di appositi accordi o convenzioni con le Università, le attività di formazione svolte nei corsi
possono valere come crediti formativi utili ai fini della prosecuzione degli studi nei corsi universitari finalizzati
al conseguimento dei diplomi universitari”.
Figura n. 28 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del Ministro della Pubblica
Istruzione
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140
Nei due anni in cui si assolve l’obbligo, a prescindere dal canale formativo in
cui si assolve, gli alunni avranno “una quota di insegnamenti comuni tendenti a fornire,
pur nella diversità del rapporto tra contenuti e obiettivi specifici dei corsi di
studio, un livello di formazione generale omogeneo” (art. 2, comma 3). I criteri e le
modalità per i passaggi degli studenti da un ordinamento ad un altro o per i rientri
nel sistema scolastico da parte degli allievi della Formazione Professionale sono stabiliti
con Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione (art. 4).
3.8. La via amministrativa alle riforme
Il risultato dell’impasse descritto è ben noto: il nostro Paese è l’unico dell’area
OCSE174 a non aver adottato nel dopoguerra una strategia complessiva di rinnovamento
dell’Istruzione secondaria a causa del conflitto a somma zero registratosi tra i
decisori politici.
Alla inconcludenza della discussione parlamentare, però, fortunatamente, ha
fatto riscontro l’attivismo del governo.
Infatti, le poche novità di rilievo (nel senso di incisive e significative sotto il
profilo strategico) sono state introdotte per via amministrativa da parte dei Ministri
della Pubblica Istruzione.
Per prima, nel 1986, ha imboccato questa strada l’allora Ministro della Pubblica
Istruzione, on. Falcucci175, presentando un progetto di revisione dei programmi dei
primi due anni delle Superiori che prevedeva la razionalizzazione, la ristrutturazione
e l’accorpamento dei vari indirizzi e istituti176.Anche il Ministro successivo ha privi-
174 Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) o Organisation for Economic
Cooperation and Development - OECD e Organisation de coopération et de développement
économiques - OCDE, è un’organizzazione internazionale di studi economici per i Paesi membri,
Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato.
L’organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un’occasione
di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione
di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei Paesi
membri. La nascita dell’organismo (1948), inizialmente come Organizzazione per la cooperazione
economica europea (OECE), fu dovuta all’esigenza di dar vita a forme di cooperazione e coordinamento
in campo economico tra le Nazioni europee nel periodo immediatamente successivo alla Seconda
Guerra Mondiale. Con la creazione delle Comunità Europee (CEE e CEEA) nel 1957 l’OECE fa
posto all’OCSE (1961) che supera il ruolo di organizzazione europea e allarga la sua azione verso
obiettivi di integrazione e cooperazione economica e finanziaria tra i maggiori Paesi del così detto Occidente.
L’OCSE ha sede a Parigi e conta attualmente 34 Paesi membri: oltre ai fondatori dell’OECE
(Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi
Bassi, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Turchia) sono entrati a farne parte, nell’ordine: Repubblica
Federale Tedesca, Spagna, Canada, Stati Uniti, Giappone, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda,
Messico, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Cile, Estonia, Israele.
175 On. le FRANCA FALCUCCI (1926) eletta ininterrottamente nelle file della Democrazia Cristiana
(iscritta fin dal 1944) dalla V Legislatura (inizata nel giugno 1968) alla X (terminata nell’aprile del
1992) è stata vice-segretario del partito (1975-1976), per alcuni giorni Segretario Nazionale (1976) e
poi Ministro della Pubblica Istruzione (1982-1987) con Fanfani, Craxi e di nuovo con Fanfani.
176 In particolare veniva introdotto il Liceo Linguistico nell’ambito dello scientifico, l’Istruzione
tecnica era riorganizzata in tre grandi settori, quella professionale veniva strutturata in un biennio costoriaFORMAZ3-
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legiato la via amministrativa, in particolare con due sperimentazioni: il Progetto
Brocca e il “Progetto ’92”177.
3.8.1. Le innovazioni sperimentali: il Progetto Brocca e il Progetto ’92
Il “Progetto Brocca” (dal nome del Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Beniamino
Brocca178 che coordinò la commissione ministeriale autrice del progetto) è
uno studio per la revisione del sistema didattico pubblico italiano179.
Istituita nel 1988, la commissione Brocca ricevette inizialmente dal Ministro
Giovanni Galloni180 il mandato di “revisionare” i programmi dei primi due anni della
Secondaria superiore, in vista del prolungamento dell’Istruzione obbligatoria al sedicesimo
anno d’età. L’anno seguente, in cui la commissione fu confermata dal successivo
Ministro Sergio Mattarella181, si ebbe il primo esito concreto, cioè l’elaboramune
agli altri tipi di scuola, dopo il quale o si frequenta un terzo anno per ottenere la qualifica, o si accede
all’Istruzione tecnica fino al diploma, era abolita la scuola magistrale ed erano quinquennalizzati
l’Istituto magistrale, il Liceo Artistico e l’Istituto d’Arte. Oltre a ciò, si introduceva l’articolazione area
comune/area di indirizzo, il rapporto orario tra le due veniva fissato in 25 a 10 e l’unità-oraria era stabilita
in 50 minuti. Nei programmi veniva potenziata l’area degli insegnamenti scientifici, era aggiunta
l’informatica, veniva rafforzata la formazione linguistica e reso autonomo l’insegnamento dell’educazione
civica. Il progetto ministeriale costituiva una novità importante per l’apertura alle acquisizione
della cultura moderna, per l’adeguamento alle esigenze della programmazione e della interdisciplinarità
e per l’accoglimento dell’organizzazione in area comune e di indirizzo. D’altra parte, oltre a vari limiti
di carattere contenutistico, metodologico e strutturale, esso lasciava irrisolti alcuni nodi di fondo
quali: la fattibilità di un percorso interamente amministrativo di riforma dei programmi, la natura del
biennio come ciclo conclusivo dell’istruzione obbligatoria e/o di avvio verso successive fasi del grado
secondario, il rapporto tra Scuola e Formazione Professionale.
177 I due progetti sono stati realizzati sulla base dell’art. 3 del DPR 31 maggio 1974, n. 419, Sperimentazione
e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti
(cfr. Supplemento Ordinario alla G.U. 13 settembre 1974, n. 239).
178 On. BENIAMINO BROCCA (Padova 1936), del gruppo parlamentare della DC, è stato deputato
alla Camera dalla VII Legislatura (1976) alla X (1992). È stato Sottosegretario di Stato alla Pubblica
Istruzione ininterrottamente dal 30 luglio 1987 al 28 giugno 1992 sotto i Governi Goria, De Mita e Andreotti
(VI e VII).
179 Cfr. sulla materia: GENOVESI G., Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Laterza,
Roma-Bari 2006; PISCOPO U., La scuola del regime, Guida, Napoli 2006; DECOLLANZ G., Storia della
scuola e delle istituzioni educative. Dalla Legge Casati alla riforma Moratti, Laterza, Roma-Bari
2000; VERTECCHI B., La scuola italiana da Casati a Berlinguer, Franco Angeli, Milano 2001; REDI
SANTE DI POL, Il sistema scolastico italiano, Marco Valerio, Torino 2002; SEMERARO A., Il sistema scolastico
italiano, Carocci, Roma 1999; CORBI E., SARRACINO V., Scuola e politiche educative in Italia
dall’Unità a oggi, Liguori, Napoli 2003; D’AMICO N., Storia e storie della scuola italiana, Zanichelli,
Bologna 2009.
180On. GIOVANNI GALLONI (1927), professore universitario, tra i fondatori della corrente di sinistra
della Democrazia Cristiana (1953), fu anche vicepresidente del partito e due volte vicesegretario, nel
1965 e nel 1977. Ricoprì l’incarico di Ministro della Pubblica Istruzione dal 28 luglio 1987 al 22 luglio
1989 (nei Governi Goria e De Mita). È stato direttore de “Il Popolo” (1982-1986). Galloni fu anche
membro (1990-1994) del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), di cui fu vicepresidente fino
alla revoca dell’incarico, nel 1991, da parte dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
181 On. SERGIO MATTARELLA proviene da famiglia di tradizione democratico cristiana: figlio di
Bernardo Mattarella e fratello di Piersanti. Deputato dal 1983, diviene Ministro dei Rapporti con il Parlamento
nei Governi De Mita e Goria, al dicastero della Pubblica Istruzione nel Governo Andreotti VI.
Direttore de “Il Popolo” (1992-1994) Mattarella è stato uno dei principali rappresentanti del rinnovastoriaFORMAZ3-
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142
zione dell’area comune del biennio. Ricostituita nel 1990 dal Ministro Gerardo
Bianco182 nel 1991 il mandato fu esteso ai piani di studio del triennio. Nel 1992 la
commissione concluse i suoi lavori durante il dicastero di Riccardo Misasi183.
Il “Progetto ’92”, avviato anch’esso nel 1988 ad iniziativa della Direzione generale
dell’Istruzione professionale sotto forma di sperimentazione nazionale assistita,
è stato recepito come nuovo ordinamento con decreti ministeriali del 1992184 (per il
triennio iniziale di qualifica) e 1994185 (per il biennio terminale post-qualifica)186.
La filosofia, comune ai due progetti era quella prevalente a livello internazionale
ormai da tempo – almeno dalla metà degli Anni ’70 – e che sosteneva che
la società contemporanea richiedesse a livello di Istruzione secondaria:
– una più ampia e solida cultura generale; competenze metodologiche e trasversali
(cross-curriculum competencies) idonee a comprendere e gestire il cambiamento
delle professionalità e dell’organizzazione del lavoro;
– la ricomposizione dei saperi disciplinari lungo assi progettuali e culturali di indirizzo
ben definiti e ben rappresentati nella stessa struttura dei curricoli.
Dal punto di vista della struttura dei curricoli i due progetti, chiamati “Progetto
Brocca” quello relativo agli Istituti Tecnici e “Progetto ’92” quello relativo agli Istituti
Professionali, si sono mossi secondo una logica convergente poiché non solo
hanno in comune la medesima area di insegnamenti comuni nel biennio, ma sopratmento
della Democrazia Cristiana che portò alla formazione del Partito Popolare Italiano. Porta il suo
nome la riforma della Legge elettorale in senso maggioritario (giornalisticamente nota anche con l’appellativo
di Mattarellum) approvata nell’agosto del 1993. Nel 1996, con la nuova legislatura a maggioranza
ulivista, viene eletto capogruppo dei deputati popolari. Durante il Governo D’Alema I ha assunto
la carica di vicepresidente del Consiglio, mentre nei successivi Governo D’Alema II e Governo Amato
II è stato Ministro della Difesa. Nel 2001 viene rieletto alla Camera dei deputati nelle liste della Margherita.
Alle elezioni politiche del 2006 è riconfermato deputato per la lista dell’Ulivo. Nel 2011 è stato
eletto Giudice della Corte costituzionale.
182 GERARDO BIANCO (1931) è un politico italiano, esponente della Democrazia Cristiana, del Partito
Popolare Italiano, della Margherita e della Rosa per l’Italia; è stato deputato in diverse Legislature
(V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XIV) dal 1968 al 2006. È stato inoltre Ministro della Pubblica Istruzione,
di cui occupò il Ministero nel Governo Andreotti VI. Nel 1994 venne eletto deputato europeo a Strasburgo
del Partito Popolare Italiano. Bianco ha guidato il Partito Popolare per tre anni contribuendo alla
nascita dell’Ulivo e all’elezione di Romano Prodi alla carica di Presidente del Consiglio. Per le elezioni
politiche 2006 è stato rieletto alla Camera dei deputati nella lista dell’Ulivo. Nel 2008 ha aderito al progetto
centrista della Rosa per l’Italia, svincolato dai poli.
183 RICCARDO MISASI (1932-2000) è stato deputato DC e Ministro della Pubblica Istruzione (1970-
1972) e tra il 1991 ed il 1992 e Ministro degli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno durante il
Governo Andreotti VI.
184 Vedi D.M. 24 aprile 1992.
185 Vedi D.M. 15 aprile 1994.
186 Accanto a questi due progetti, va poi ricordato il vasto movimento verso l’innovazione che si è
espresso negli Anni ’80 e ’90 principalmente attraverso due canali: a) le sperimentazioni autonome di
ordinamento e struttura (maxisperimentazioni); b) le sperimentazioni nazionali assistite promosse dalla
Direzione generale dell’Istruzione tecnica, da quella dell’Istruzione classica, scientifica e magistrale e
dall’Ispettorato dell’istruzione artistica. Su un piano più limitato si pongono, infine, le cosiddette minisperimentazioni
consistenti spesso nel prolungamento dello studio della lingua straniera o in altri microinterventi
di modesta entità.
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tutto hanno entrambi operato una drastica riduzione della frammentazione dei percorsi
(rispettivamente quinquennali e triennali), privilegiando una formazione più
equilibrata ed omogenea (meno pratico-applicativa come quella prevista negli Istituti
Professionali prima del “Progetto ’92”). Il Prospetto 11 mette a confronto, a titolo
esemplificativo, la gamma dei vecchi e dei nuovi indirizzi in un settore importante
come quello degli studi di tipo economico-amministrativo sia nell’Istruzione
Tecnica che in quella Professionale.
La differenza tra i due progetti sta soprattutto nel diverso grado di terminalità
dei titoli e di interfacciamento con il mondo del lavoro che essi presentano:
a) i percorsi quinquennali (biennio più triennio) del Progetto Brocca hanno una
vocazione e un impianto di tipo liceale, nel senso che preparano:
- alla prosecuzione degli studi in un canale accademico (corsi universitari di
Diploma e di Laurea);
- alla prosecuzione della formazione in un canale non accademico a carattere
applicativo (corsi post secondari teorico-pratici del tipo di quelli largamente
diffusi in quasi tutti gli altri Paesi dell’area OCSE, ma assenti in Italia);
- ad attività di lavoro, in posizioni professionali intermedie, fortemente intrecciate
con iniziative di Formazione Professionale Continua;
187 Il Progetto Brocca prevedeva nella sua versione iniziale (1991) un solo indirizzo nell’area economica.
Successivamente, in sede di redazione dei programmi del triennio (1992), la maggioranza
della Commissione ha ritenuto tale soluzione troppo drastica ed ha optato per due indirizzi: l’economico-
aziendale e il linguistico aziendale. Un compromesso continuistico. Nel 1994 è stato reintrodotto
anche l’indirizzo turistico.
Prospetto n. 11 - Confronto tra indirizzi del vecchio ordinamento e quelli del Progetto Brocca e
del Progetto ’92
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144
b) i percorsi triennali e quinquennali dell’Istruzione professionale (triennio più
biennio post qualifica) del Progetto ’92 hanno una vocazione e un impianto professionalizzanti
e preparano:
- ad una rapida transizione al lavoro, in ruoli professionali di tipo esecutivo,
con uscite alla fine del terzo e del quinto anno;
- alla prosecuzione della Formazione Professionale, pur senza escludere
quella accademica, lungo itinerari essenzialmente legati all’attività di lavoro,
nella prospettiva della Formazione Continua.
3.8.2.Gli Istituti Professionali e il Progetto ‘92: dall’antagonismo all’interazione
con la FP
a) Il Triennio
Il Progetto ’92, relativamente al triennio dell’Istruzione Professionale, è diventato
nuovo ordinamento, come già ricordato, dopo una sperimentazione di quattro
anni, con il D.M. 24 aprile 1992188 ed è stato esteso a regime a tutte le classi iniziali
dei corsi di qualifica a partire dall’anno scolastico 1995-96189. I risultati della sperimentazione
sono stati adottati da tutte le Scuole e da tutte le classi nell’a.s. 1997-98
(cfr. Tab. n. 7).
188 Cfr. G.U. 21.5.1992 Supplemento Ordinario n. 77.
189 Il nuovo ordinamento è stato adottato con questa progressione: a) a.s. 1992-93 - Tutti i corsi nei
quali già è attuata la sperimentazione “Progetto ’92” seguiranno i nuovi programmi; b) a.s. 1993-94 -
L’attuazione dei nuovi programmi ed orari interessa almeno il 40% di tutte le prime classi dei corsi di
qualifica funzionanti in ciascuna scuola; c) a.s. 1994-95 - L’attuazione dei nuovi programmi ed orari
sarà estesa alla totalità delle prime classi dei corsi funzionanti.
Figura n. 29 - Struttura dell’Istruzione Tecnica (Progetto Brocca) e dell’Istruzione Professionale
(Progetto ’92)
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145
Il giorno precedente, il 23 aprile, il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione190
aveva espresso parere positivo per la sua messa a regime, rilevando che “la
trasformazione proposta è innovazione opportuna”.
Il percorso formativo triennale si articola in un biennio unitario ed un terzo
anno (definito monoennio) a scelta dell’allievo destinato al conseguimento di un Diploma
statale di qualifica professionale di primo livello.
Conseguito il biennio i giovani possono iscriversi:
a) direttamente ad un terzo anno dell’Istruzione professionale per il conseguimento
del Diploma di qualifica;
b) direttamente ai corsi triennali affini di altro ordine di studi;
c) con esami integrativi, al terzo anno di qualsiasi Scuola Secondaria di II grado.
Il triennio comprende tre aree di apprendimento (cfr. Fig. n. 31):
• un’area comune con finalità formative di base a carattere umanistico e scientifico:
“[…] l’area comune si riferisce a quegli insegnamenti che anche a seguito
del dibattito della riforma dell’istruzione secondaria sono stati individuati
come indispensabili per garantire l’acquisizione, a prescindere dall’ordine e
dal tipo di studi seguiti, di quel bagaglio culturale di base da ritenere imprescindibile
per un corso di studi di ordine superiore alla scuola media”191. Le ore
settimanali complessive di quest’area sono 22;
190 Creato dal DPR n. 416 del 31 maggio 1974, il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione,
organo consultivo del Ministero, ha ereditato parte delle funzioni precedentemente svolte dal Consiglio
superiore della Pubblica Istruzione (istituto nel 1847 e confermato dalla Legge Casati nel 1859),
dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti (istituito nel 1907) e dal Consiglio di disciplina
(istituito nel 1947). I suoi ruoli furono riperimetrati dall’articolo 25 del D.lgs. 297/1994, il “testo
unico” delle norme in materia di istruzione.
191 Circolare Ministeriale 23 giugno 1992, n. 206, Nuovi programmi ed orari d’insegnamento
negli istituti professionali di Stato.
Tabella n. 7 - Adozione del nuovo ordinamento relativo al triennio di qualifica da parte delle
Scuole e delle classi dell’Istruzione professionale
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146
• un’area di indirizzo differenziata nei settori tecnologici fondamentali e operativi
per 14 ore complessive settimanali;
• un’area di approfondimento di 4 ore settimanali complessive, obbligatorie per
tutti gli allievi, finalizzata prioritariamente al perseguimento del recupero culturale
del gruppo classe nel primo anno. In II e III classe, tale area che è la novità
di maggior rilievo, può essere utilizzata per approfondimenti professionali specifici,
sia mediante lo svolgimento di appositi moduli didattici, sia mediante apporti
esterni all’Istruzione scolastica (interventi di rappresentanti altamente
qualificati che esercitano la professione nei rispettivi settori produttivi – attività
di pubbliche relazioni – stages aziendali in convenzione con le imprese, ecc.).
Al termine del triennio lo studente, se vuole continuare la sua formazione, ha
davanti due possibilità (cfr. Fig. n. 30): l’accesso al biennio terminale dell’Istituto
tecnico o continuare il percorso nell’Istruzione professionale frequentando un corso
post-qualifica che si conclude con un Diploma di qualifica. Tali corsi erano stati previsti
dalla L. n. 754, del 27 ottobre 1969 (ex Legge F. Sullo), con lo scopo primario
di consentire anche a chi avesse frequentato l’Istruzione professionale di poter accedere
all’Università. Ma questi corsi rappresentano una istituzione obsoleta.
Per veder riconosciuto in via ordinamentale detto biennio occorre attendere il
D.M. 15/4/94 “Programmi e orari di insegnamento per i corsi post-qualifica degli
istituti professionali di Stato”.
Il curricolo dei nuovi corsi post-qualifica è peraltro strutturato in maniera identica
a quella prevista in via sperimentale: un biennio caratterizzato da due pacchetti
formativi, l’uno di organizzazione scolastica, l’altro di competenza regionale coerentemente
integrati. Più precisamente sono organizzate in sede scolastica 900 ore
annuali: l’area delle discipline comuni di formazione umanistica e scientifica 15 ore
settimanali; l’ area delle discipline di indirizzo.
Figura n. 30 - Possibilità di accessi per chi ha conseguito il Diploma di Qualifica Professionale
di primo livello
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147
Infatti, la revisione dei programmi del triennio impongono al corso di qualifica
un ribaltamento dei vecchi equilibri formativi (a tali corsi, infatti, era stato affidato il
compito di ampliare la formazione culturale per sopperire alle carenze dei corsi di
qualifica e cercare in questo modo di rendere meno difficile l’impatto con l’Università).
Inoltre, un percorso formativo a spiccata vocazione professionale pone problemi
di riparto di competenze con il sistema regionale.
La C.M. 21/5/91 n. 135, in alternativa ai vecchi corsi post-qualifica, propone un
nuovo percorso come oggetto di sperimentazione: “Gli Istituti Professionali presso i
quali si concluda nel presente anno la sperimentazione assistita possono chiedere per
l’attivazione dal 1991/92 il biennio post qualifica sperimentale”192.
b) Il biennio post-qualifica e la terza area
Per veder riconosciuto in via ordinamentale il biennio post-qualifica occorre attendere
il D.M. 15/4/94 “Programmi e orari di insegnamento per i corsi post-qualifica
degli istituti professionali di Stato”.
Il curricolo dei nuovi corsi post-qualifica è peraltro strutturato in maniera identica
a quella prevista in via sperimentale: un biennio caratterizzato da due pacchetti
formativi, l’uno di organizzazione scolastica, l’altro di competenza regionale coerentemente
integrati. Più precisamente: sono di competenza scolastica 900 ore annuali:
1- l’area delle discipline comuni di formazione umanistica e scientifica (15
ore sett.); 2- l’ area delle discipline di indirizzo (15 ore sett.). È invece di competenza
regionale l’area di professionalizzazione (da 300 a 450 ore) detta terza area
(cfr. Fig. n. 31). L’attività didattica della prima e seconda area si svolge in cinque
giorni settimanali. La quota di curricolo relativa all’intervento regionale si svincola
dalle logiche organizzative della scansione settimanale del tempo-scuola. Ad essa
resta riservato, di norma, un giorno di ciascuna settimana e moduli intensivi da svolgere
nei modi e nei tempi definiti in sede progettuale, tenuto anche conto delle scadenze
connesse all’effettuazione degli esami di maturità. L’area di professionalizzazione193
è svincolata dalle logiche organizzative degli orari settimanali ed è articolata
in moduli intensivi incentrati sulla pratica lavorativa e su esperienze maturate in
stage (almeno 120 ore) presso aziende e/o attività produttive. I percorsi che caratterizzano
la terza area in via principale si attuano attraverso convenzioni con le Re-
192 In effetti la C.M. in questione prevedeva anche una quarta opzione definita “Corsi surrogatori”.
La circolare descriveva i corsi surrogatori in questi termini: “si tratta più che di una alternativa,
di una offerta surrogatoria da attivare in casi di difficoltà di realizzazione di corsi biennali integrati. Il
sistema scolastico ovvierà all’assenza di offerte regionali con interventi di integrazione, anche, ove
possibile, d’intesa con organismi produttivi. Per gli interventi formativi della terza area si farà ricorso a
consulenti esterni alla scuola, ovvero si farà ricorso a docenti particolarmente competenti: in tal caso le
ore di lezione verranno retribuite in eccedenza all’orario di cattedra, per rendere di fatto possibili flessibilità
ed articolazioni degli interventi”.
193 Le attività di professionalizzazione di cui sopra vanno recepite nell’ambito della programmazione
annuale degli Istituti Professionali e fanno parte dei Piani dell’offerta formativa, in quanto curricolari
e concorrenti a determinare le valutazioni in itinere e finali degli alunni. Circolare Ministeriale
23 giugno 1992, n. 206.
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gioni. Al termine del biennio post-qualifica, si consegue il diploma di Scuola Secondaria
superiore e una qualifica professionale regionale. Il biennio post-qualifica rappresenta
nella dinamica delle vicende istituzionali che stiamo ricostruendo una
tappa fondamentale. L’Istruzione e la Formazione Professionale non si rapportano
più solo in termini antagonisti e concorrenziali, ma di collaborazione. Il termine “interazione”,
che tanta fortuna conoscerà nei decenni a seguire, viene qui declinato per
la prima volta.
La Circolare Ministeriale n. 135 del 1991 parla di:
“superamento del parallelismo conflittuale dei rapporti tra istruzione professionale e formazione
regionale, sulla base del rispetto delle diverse vocazioni istituzionali e quindi
della programmazione di un’offerta formativa integrata”.
4. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE (1994)
4.1. I Memorandum sull’Istruzione e la Formazione (1991)
Nel 1991, tra novembre e dicembre, la Commissione presenta al Consiglio tre
Memorandum sulla Formazione; più precisamente sull’Istruzione194, sull’insegnamento
aperto e a distanza195 e sulla Formazione Professionale196.
Tutti e tre i documenti prendono le mosse da questa constatazione: negli Anni
’90 tendono ad accentuarsi i mutamenti (profondi) che hanno segnato il decennio
precedente: la mondializzazione delle attività economiche, la ristrutturazione delle
194 COM (91) 349 def. del 5 novembre 1991, Memorandum sull’istruzione superiore nella Comunità
Europea.
195 COM (91) 388 def. del 12 novembre 1991, Memorandum sull’insegnamento aperto e a distanza
nella Comunità Europea.
196 COM (91) 397 def. del 18 dicembre 1991, Memorandum sulla Formazione Professionale nella
Comunità Europea per gli anni ’90.
Figura n. 31 - La struttura dell’Istruzione Professionale dopo il Progetto ’92
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149
imprese e l’accentuazione della dimensione tecnologica. I progressi della scienza e
della tecnologia e la loro applicazione nelle imprese, nelle amministrazioni e nella
vita quotidiana costituiscono il maggiore incentivo a rafforzare il differenziale competitivo
europeo attraverso gli investimenti sul capitale umano. Pertanto, oltre a costituire
un volano per lo sviluppo e la competitività europea sul mercato globale, la
valorizzazione delle risorse umane è tanto più importante e urgente se si prendono in
considerazione tre fattori chiave che costituiscono il principale oggetto di osservazione
dei tre Memorandum: la carenza di manodopera qualificata; il trend di invecchiamento
medio della popolazione attiva; la necessità di una politica di coesione
economica e sociale in cui l’Istruzione e la Formazione Professionale giocano un
ruolo decisivo di sviluppo solidale sia nel sostegno delle categorie svantaggiate sia
nella convergenza della politica regionale.
Sebbene ricorra a più riprese l’idea che le politiche di Istruzione e Formazione
Professionale possono costituire una leva importante nella lotta contro la disoccupazione
e l’emarginazione sociale, il problema della disoccupazione nei Memorandum
non riveste ancora carattere di assoluta e urgente priorità. L’accento, infatti, è sull’importanza
del “ruolo crescente del capitale intangibile”.
Il contesto socioeconomico degli Anni ’90 sarà contraddistinto decisamente dal
ruolo crescente di quello che può essere definito il “capitale intangibile” – senza il
quale il capitale fisico (le macchine e le attrezzature) non può essere efficace – vale a
dire non solo le qualifiche professionali e le competenze tecnologiche, ma anche le
capacità di organizzazione e la cultura imprenditoriale197.
4.2. Il Libro bianco di Delors
Ma di lì a poco lo scenario sociale ed economico dell’Europa stava drasticamente
mutando.
Nell’estate del 1993 erano ormai palesi i segni di una congiuntura economica ristagnante:
la recessione, che colpiva le economie dei Paesi europei più deboli già dal
1991, non risparmiava ormai neppure Paesi come la Germania, alle prese con il processo
di ricostruzione avviato nei nuovi Lánder.
Le ricorrenti crisi monetarie avevano dato vita a svalutazioni e attacchi speculativi
alle valute europee198, tali da minacciare la crisi del Sistema Monetario Europeo
197 Cfr. par. 15,9. Il testo continua così: “Il ‘capitale umano’ europeo costituisce pertanto una forza
di creatività e di dinamismo dello spazio comunitario e deve essere considerato come una risorsa comune
che deve essere sviluppata attraverso la mobilità, lo scambio e la collaborazione. Lo spazio europeo
deve essere costruito come uno spazio concorrenziale, un mercato, ma anche come uno spazio di
valorizzazione e di mobilitazione delle competenze di tutti i suoi protagonisti”.
198 Il fenomeno speculativo dell’estate 1992 coinvolse la Lira italiana e la Sterlina britannica. Il
Governo italiano, retto da Amato, il 13 settembre decise di svalutare il cambio di riferimento della valuta
nazionale complessivamente del 7%, in particolare la Lira in sé fu svalutata del 3,5%, mentre le
altre valute furono rivalutate del 3,5%. Zd. Il 16 settembre dello stesso anno il Governo britannico decise
di far uscire la moneta nazionale dallo SME. Il giorno dopo la medesima decisione fu presa dal
Governo italiano.
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proprio alla vigilia dell’entrata in vigore della seconda fase dell’Unione economica.
Il ristagno finanziario produceva un pesantissimo riflesso sull’occupazione che nel
1993 arriva a contare 16 milioni di disoccupati.
Nonostante il protagonismo politico e le ambizioni “federali” di Delors cominciassero
nel 1993 ad essere malviste da più Paesi membri, le fosche previsioni economiche
inducevano i Capi di Stato e di Governo a dare mandato alla Commissione
di presentare per la fine di quell’anno un “Libro Bianco” su una strategia a medio
termine per la crescita, la competitività e l’occupazione.
La Commissione Delors199 rispondeva all’incarico con un vero e proprio programma
politico di costruzione europea, volto a promuovere l’attuazione di un modello
di sviluppo europeo alternativo a quello consolidato. Dopo un’approfondita
analisi delle diverse forme della disoccupazione congiunturale (connessa al rallentamento
della crescita), tecnologica (dovuta alla sfasatura tra velocità del progresso
tecnico e la capacità di anticipare e prevedere le nuove esigenze), strutturale (derivante
dall’alto costo del lavoro poco qualificato, dalla scarsa flessibilità del mercato
del lavoro, da strutture occupazionali superate in relazione alla concorrenza da parte
dei nuovi paesi in via di industrializzazione), il Libro bianco indica che:
“[…] l’attuale modello di sviluppo della Comunità sta portando ad una combinazione
subottimale di due delle sue grandi risorse, e cioè lavoro e natura. È necessario che la
Comunità analizzi come promuovere la crescita economica in condizioni sostenibili, in un
modo cioè che comporti una maggiore intensità occupazionale e una minore intensità di
energia e un minor consumo di risorse naturali” (COM (93) 700 def. 169).
La doppia sfida disoccupazione/inquinamento, può ricevere risposte non contraddittorie
valorizzando le ricchezze immateriali dell’Europa e creando le condizioni
per uno sviluppo sostenibile.
I legami tra protezione dell’ambiente e crescita dell’occupazione non si limitano
allo sviluppo della cosiddetta industria verde, ritenuta peraltro uno dei futuri
bacini di occupazione insieme a quello dei nuovi servizi sociali, ma mirano soprattutto
ad avviare congiuntamente una trasformazione strutturale del sistema economico
europeo mediante una riduzione del prelievo obbligatorio sul fattore lavoro, finanziata
attraverso un aumento delle tasse che gravano sull’utilizzo delle risorse naturali
e sui processi produttivi ad alto impatto ambientale. In tal senso le indicazioni
199 Non era un momento facile per la Commissione guidata da Delors in quel momento. Cfr.
DASTOLI P.V., MAJOCCHI A., SANTANIELLO G., Prospettive Europa, Bologna 1996, pp. 34-35: “In occasione
del negoziato sull’Atto Unico, l’autorevolezza della Commissione come centro di analisi e proposta
non fu messa in discussione da alcun governo e infatti la maggior parte degli emendamenti ai
Trattati di Roma fu adottata a partire dai documenti della Commissione europea. Cinque anni dopo,
l’autorevolezza della Commissione non fu soltanto messa in discussione, ma la grande maggioranza
dei governi [...] dichiarò esplicitamente che l’unione politica era affare degli Stati membri e non certo
di un centro di analisi e di proposta sovranazionale. Iniziò, così, l’opera di demolizione della Commissione
europea diretta in primo luogo contro l’eurocrazia di Bruxelles e quindi contro il potere di iniziativa
ed esecutivo della Commissione”.
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del Libro bianco mirano a tracciare un progetto di sviluppo solidale e sostenibile
teso a rendere compatibili la crescita di un’economia competitiva nel nuovo contesto
mondiale, la lotta alla disoccupazione e la protezione dell’ambiente.
Inoltre, la necessità di trarre i massimi benefici dal completamento del mercato
unico e soprattutto l’esigenza di rispondere alla sfida concorrenziale imposta dalla
globalizzazione hanno bisogno di essere supportati da una serie di investimenti infrastrutturali
nei trasporti e nell’energia, oltre che nelle comunicazioni, per incrementare
la razionalizzazione della distribuzione energetica e la dimensione europea
degli scambi.
Il Libro bianco, presentandosi come un programma di rinnovamento del modello
di sviluppo europeo inteso a orientare persino l’impianto delle politiche fiscali
e di investimento degli Stati membri, imponeva, di fatto, un ripensamento complessivo
in chiave europea di interessi economici e politici nazionali, mettendo in discussione
storici equilibri di sovranità delle politiche nazionali e di organizzazione e
produzione dei sistemi economici.
Questo presupposto si scontrava con una ormai generalizzata indisponibilità da
parte degli Stati membri a procedere oltre sulla via dell’integrazione. Da allora l’Europa
segnava una significativa battuta di arresto, non senza conseguenze per il suo
futuro: il Consiglio europeo di Bruxelles, ridimensionando lo spirito dì fondo del
progetto politico presentato dalla Commissione, preferiva mettere l’accento sulle
priorità d’azione degli Stati membri in favore dell’occupazione secondo le “specificità
istituzionali, legislative e contrattuali proprie a ciascuno”.
4.3. Il Trattato di Maastricht (1992)
Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) firmato il 17 febbraio 1992 ed entrato in
vigore il 5 novembre 1993 ha costituito in misura significativa un approfondimento
del processo di integrazione della Comunità, passando da un coordinamento limitato
di particolari settori di politiche nazionali ad una vera e propria politica europea di
coesione economica e sociale.
L’importanza che questo evento ha rivestito nella storia della costruzione europea
può essere considerata pari a quella dei Trattati istitutivi delle tre Comunità.
Un risultato questo che, seppure non privo di inevitabili parzialità e compromessi,
premiava il lavoro e il dinamismo delle Commissioni Delors.
Tra le novità più importanti, spiccano la ratifica del principio di sussidiarietà200 e
200 Il principio di sussidiarietà mira a stabilire il livello d’intervento più pertinente nei settori di
competenza condivisa tra l’UE e gli Stati membri. L’UE può intervenire solo se è in grado di agire in
modo più efficace rispetto agli Stati membri. Il protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà
e di proporzionalità cita tre criteri intesi a confermare o meno l’opportunità di un intervento a livello
europeo: l’azione presenta aspetti transnazionali che non possono essere risolti dagli Stati membri?
Un’azione nazionale o l’assenza di azioni sarebbero contrarie alle prescrizioni del trattato? L’azione a
livello europeo presenta evidenti vantaggi?
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l’introduzione del diritto di cittadinanza europea201, il rafforzamento dei poteri delle
Istituzioni europee202, il completamento dell’unione monetaria203 e l’estensione delle
competenze politiche delegate dagli Stati membri204 alla ribattezzata Unione Europea,
a significare che l’obiettivo economico originale della Comunità, cioè la realizzazione
di un mercato comune, è superato in quanto si intende affermare la sua
vocazione politica.
Nello specifico il quadro giuridico di riferimento in materia di Istruzione e Formazione
subisce dei cambiamenti sostanziali in forza della centralità strategica che
queste politiche erano venute assumendo nel disegno politico di integrazione e
sviluppo economico e sociale della Comunità. L’aver inserito nel Trattato un apposito
capo (Titolo VIII, numero 3) rende possibile il rafforzamento dell’azione comunitaria
in questi settori e l’integrazione dell’Istruzione e della Formazione all’interno
di un disegno comprensivo delle politiche di sviluppo delle risorse umane. Il
cambiamento investe eminentemente la funzione che la Formazione e l’Istruzione
sono chiamate a svolgere, passando da un impegno accessorio e compensativo a un
ruolo organico e attivo nei processi di sviluppo sociale, economico e politico del-
201 Chiunque abbia la nazionalità di uno Stato membro dell’Unione Europea (UE) è cittadino europeo.
La cittadinanza dell’UE integra quindi quella nazionale senza sostituirla. Parte integrante del
trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la cittadinanza dell’UE prevede per i cittadini degli
Stati membri una serie di diritti, fra cui il diritto di ricorso al Mediatore, il diritto di presentare proposte
legislative (iniziativa dei cittadini) e il diritto di votare e di essere eletti alle elezioni municipali ed europee.
I cittadini dell’Unione godono anche della libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio
dell’UE nonché della protezione diplomatica e consolare al di fuori dell’UE da parte di qualsiasi
Stato membro.
202 Il trattato di Maastricht potenzia il ruolo del Parlamento europeo. Il campo d’applicazione della
procedura di cooperazione e della procedura di parere conforme viene esteso a nuovi settori. Inoltre, il
trattato crea una nuova procedura di codecisione, che consente al Parlamento europeo di adottare atti
insieme al Consiglio. Questa procedura comporta maggiori contatti tra il Parlamento e il Consiglio per
giungere a un accordo. Inoltre, il trattato associa il Parlamento alla procedura d’investitura della Commissione.
Viene riconosciuto il ruolo svolto nell’integrazione europea dai partiti politici europei, che
contribuiscono alla formazione di una coscienza europea e all’espressione della volontà politica degli
europei. Per quanto riguarda la Commissione, la durata del suo mandato passa da quattro a cinque anni
per uniformarsi a quella del Parlamento europeo.
203 Il mercato unico viene completato dall’instaurazione dell’UEM. La politica economica comporta
tre elementi. Gli Stati membri devono garantire il coordinamento delle loro politiche economiche
ed istituire una sorveglianza multilaterale di tale coordinamento, e sono soggetti a norme di disciplina
finanziaria e di bilancio. La politica monetaria mira ad istituire una moneta unica e a garantirne la stabilità
grazie alla stabilità dei prezzi e al rispetto dell’economia di mercato. Il trattato prevede l’instaurazione
di una moneta unica in tre fasi successive: la prima fase, che liberalizza la circolazione dei capitali,
inizia il 1º luglio 1990; la seconda fase, che incomincia il 1º gennaio 1994, permette la convergenza
delle politiche economiche degli Stati membri; la terza fase deve iniziare entro il 1º gennaio
1999 con la creazione di una moneta unica e la costituzione di una Banca Centrale Europea (BCE). La
politica monetaria poggia sul Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), costituito dalla BCE e
dalle banche centrali nazionali. Tali istituzioni sono indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie.
204 Il trattato instaura politiche comunitarie in sei nuovi settori: reti trans europee, politica industriale,
tutela dei consumatori, Istruzione e Formazione Professionale, gioventù, cultura.
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l’Unione, anche se venivano salvaguardate l’autonomia e le responsabilità
nazionali nelle scelte dei programmi e dell’organizzazione della formazione205.
Per quanto attiene la Formazione Professionale, il Trattato (art. 127) recuperando
e approfondendo la missione che le era già propria nell’Atto Unico Europeo,
rafforza la politica di formazione orientandola a integrare le azioni degli Stati
membri nel perseguimento di cinque grandi obiettivi:
• l’adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione
e la riconversione industriale;
• il miglioramento della formazione iniziale e continua, allo scopo di facilitare
l’inserimento e il reinserimento sul mercato del lavoro;
• la promozione dell’accesso alla FP e alla mobilità dei formatori e delle persone
in formazione, in particolare dei giovani;
• il sostegno alla cooperazione in materia di formazione tra Istituti di insegnamento
e di formazione e le aziende;
• lo sviluppo dello scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni
dei sistemi di formazione degli Stati membri.
4.4. Il “Secondo Pacchetto Delors” e il Consiglio di Edimburgo (1992)
Dopo la firma del Trattato, la Commissione presentava un documento “Dall’Atto
Unico al dopo Maastricht: i mezzi per realizzare le nostre ambizioni” che conteneva
un insieme di misure strutturali e finanziarie per il periodo 1993-97. Il documento,
ricordato con il nome di “Secondo Pacchetto Delors”, si incentrava su tre
priorità (cfr. Fig. n. 32):
• le relazioni esterne con i Paesi in via di sviluppo e con l’Europa centro-orientale;
• la concentrazione degli interventi sulle regioni comunitarie in ritardo di sviluppo,
per favorire la coesione economica e sociale - la grande finalità della riforma
iniziata nel 1988;
• un maggiore impegno di ricerca e sviluppo per competere con l’industria americana
e giapponese.
205 Per quanto concerne le politiche educative, in forza del nuovo Trattato (art. 126), la Comunità
assume la responsabilità di contribuire al miglioramento della qualità dell’Istruzione in particolare attraverso:
1) lo sviluppo della dimensione europea dell’Istruzione, segnatamente attraverso l’apprendimento
e la diffusione delle lingue degli Stati membri; 2) la mobilità di studenti e insegnanti e il riconoscimento
accademico dei diplomi e dei periodi di studio; 3) la cooperazione tra Istituti di insegnamento;
4) lo scambio di informazioni e di esperienze su problemi comuni dei sistemi di Istruzione
degli Stati membri; 5) lo sviluppo di scambi di giovani e di animatori di attività socio-educative; 6) lo
sviluppo dell’Istruzione a distanza. L’estensione della competenza comunitaria alle politiche educative
segna una tappa storica fondamentale: la procedura di codecisione pone fine all’approccio intergovernativo
che aveva dominato, fino ad allora, la politica di Istruzione a livello comunitario, avvicinandola
nella posizione giuridica e nella sinergia programmatoria al settore della Formazione Professionale.
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Le proposte presentate dalla Commissione per la realizzazione di questi obiettivi
erano:
• raddoppiare la dotazione finanziaria della Comunità nel 1997 rispetto al 1992,
per ottimizzare le relazioni esterne con i Paesi in via di sviluppo;
• aumentare di 2/3 le risorse assegnate attraverso ifondi strutturali alle Regioni
comunitarie in ritardo;
• aumentare del 50% le risorse destinate agli altri obiettivi;
• istituire un Fondo di coesione, peraltro già deciso a Maastricht.
In sintesi, la Commissione proponeva un aumento delle risorse proprie della
Comunità corrispondente ad un aumento annuo del bilancio del 5%, aumentando il
massimale delle risorse proprie dall’1,20% all’1,37% del prodotto interno comunitario
per il periodo 1992-97. Le proposte furono discusse durante il Consiglio europeo
di Edimburgo del dicembre 1992. Il Consiglio europeo ridimensiona la proposta
della Commissione, limitando la progressione dall’1,37% all’1,27% nel periodo
1993-1999, ma accoglie la ripartizione tra le macrocategorie di spesa. Risultato
importante se si tiene conto della difficile situazione politica e monetaria di quei
mesi.
Sulla base delle Conclusioni del Consiglio di Edimburgo sono state previste,
per gli impegni dei Fondi strutturali e dello SFOP, le risorse della Tabella 8, espresse
a prezzi 1992. Convertito in prezzi 1999, l’importo totale della dotazione prevista
per i Fondi strutturali nel periodo 1994-1999 è pari a 163 miliardi di euro.
Figura n. 32 - Le tre priorità del secondo Pacchetto Delors
Tabella n. 8 - Stanziamenti per il periodo 1994-1999 (MECU)
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4.5. La revisione dei Fondi strutturali
Se nel 1988, più che una delle ordinarie riforme previste ogni cinque anni dal
Trattato di Roma, vi è stata una radicale ridefinizione della filosofia e delle modalità
di funzionamento dei fondi, quella del 1993 si configura come una riforma di “aggiustamento”
e di “perfezionamento” volta essenzialmente a portare a regime i meccanismi
introdotti cinque anni prima206.
Una revisione che non può però non tenere conto di alcuni elementi il cui peso è
stato rilevante nell’ispirare il dibattito e le scelte strategiche della Comunità negli ultimi
anni.
Facciamo riferimento, in particolare al fatto che il quinquennio 1988-93 è stato
quello della transizione dall’Atto unico europeo al Trattato di Maastricht e che, nel
campo della formazione, ha visto una ridefinizione politica comunitaria che ne ha
ribadito la centralità; ciò è avvenuto e attraverso il varo di numerosi programmi miranti
a sviluppare la dimensione europea della formazione, ad incentivare iniziative
particolarmente significative o innovative, a favorire la qualità degli interventi.
Di conseguenza, l’impostazione data dalla Commissione alla riforma dei fondi
strutturali è duplice: in primo luogo, conferma la validità e ribadisce i principi cardine
su cui era imperniata la riforma del 1988: la partnership, la concentrazione delle
risorse per favorire la coesione economica e sociale, l’addizionalità e la valutazione.
Tali principi si sono dimostrati validi e funzionali; la loro prima applicazione ha
semmai evidenziato l’opportunità di migliorarli, nel senso di semplificare l’iter della
programmazione, rendere più forte ed operativo il partenariato a tre (Commissione,
Stato, Regioni) coinvolgendo le parti sociali, mantenere e rafforzare la concentrazione
delle risorse nelle Regioni maggiormente in ritardo di sviluppo, rendere più
efficace la valutazione.
Il secondo elemento che caratterizza l’impostazione data alla riforma dalla Commissione
è quello che recepisce gli aspetti di novità, frutto del dialogo sociale, dell’esperienza
acquisita con i programmi comunitari FORCE, PETRA, COMETT, EUROTECNET,
LINGUA, del Trattato di Maastricht; tali aspetti hanno come conseguenza:
– l’allargamento e la ridefinizione delle tipologie d’intervento del Fondo (che
avviene sia attraverso l’introduzione di tipologie d’azione del tutto nuove, sia
attraverso l’eliminazione di vincoli quali la distinzione tra età superiore o inferiore
a 25 anni o la riserva degli interventi dell’ex Obiettivo 3 ai soli disoccupati
da più di 12 mesi);
– una maggiore responsabilizzazione, anche in attuazione del principio di sussidiarietà,
degli Stati membri, ma anche una maggiore “collegialità” attraverso
l’allargamento della compartecipazione alle parti sociali ed economiche.
206 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997, F. Angeli, Milano 1993, pp. 108-110. Sull’impostazione
della revisione del 1993 vedi: ISFOL (a cura di DI STEFANO A.), Guida all’utilizzo del FSE, 1994 e
CLES, Glossario analitico sul Fondo Sociale Europeo, Roma 1995.
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4.5.1. Il quadro regolamentare
Il negoziato di revisione dei Fondi strutturali, seguito al Consiglio di Edimburgo,
si concludeva il 20 luglio 1993 con l’adozione di sei Regolamenti (cfr. Fig.
n. 33)207:
– Regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il
Regolamento (CEE) n. 2052/88 relativo alle missioni dei Fondi a finalità strutturali,
alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della
Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti;
– Regolamento (CEE) n. 2080/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, recante disposizioni
di applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda
lo strumento finanziario di orientamento della pesca;
– Regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il
Regolamento (CEE) n. 2052/88 relativo alle missioni dei Fondi a finalità strutturali,
alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della
Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti;
– Regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il
Regolamento (CEE) n. 4253/88 recante disposizioni di applicazione del Regolamento
(CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il coordinamento tra gli interventi
dei vari Fondi Strutturali, da un lato, e tra tali interventi e quelli della
Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti,
dall’altro;
– Regolamento (CEE) n. 2083/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il
Regolamento (CEE) n. 4254/88 recante disposizioni di applicazione del Regolamento
(CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il Fondo europeo di sviluppo regionale;
207 Tutti pubblicati in G.U.C.E. n. L 193 del 31/07/1993.
Figura n. 33 - Quadro regolamentare della Riforma dei Fondi strutturali del 1993
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– Regolamento (CEE) n. 2084/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il
Regolamento (CEE) n. 4255/88 recante disposizioni d’applicazione del Regolamento
(CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il Fondo Sociale Europeo;
– Regolamento (CEE) n. 2085/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il
Regolamento (CEE) n. 4256/88 recante disposizioni d’applicazione del Regolamento
(CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il FEAOG, sezione orientamento.
4.5.2. Gli Obiettivi prioritari, i criteri di ammissibilità e i Fondi strutturali
Il Regolamento quadro n. 2081 lasciava immutato il principio della concentrazione
dell’azione comunitaria su 5 Obiettivi prioritari, in parte rivisti e adattati, nel merito:
• l’Obiettivo 1 (cui veniva destinato il 70% delle risorse dei Fondi) era finalizzato
a promuovere l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo;
• l’Obiettivo 2 era finalizzato a contribuire alla riconversione delle regioni o delle
aree colpite dal declino industriale;
• l’Obiettivo 3, riservato a tutti i territori dell’Unione esclusi dall’Obiettivo 1,
aveva la finalità prioritaria di contrastare e prevenire la disoccupazione di lunga
durata;
• l’Obiettivo 4, anch’esso riservato a tutti i territori dell’Unione esclusi dall’Obiettivo
1, era inteso a sostenere la formazione continua dei lavoratori occupati;
• l’Obiettivo 5b era finalizzato a favorire lo sviluppo delle zone rurali.
L’Atto di adesione dell’Austria, della Finlandia e della Svezia nel 1994 ha,
inoltre, fissato un nuovo obiettivo:
• l’Obiettivo 6finalizzato a promuovere lo sviluppo delle regioni a bassa densità
demografica.
Come si può notare la novità più rilevante è rappresentata dall’introduzione dell’Ob.
4, coerente con l’affermazione del nuovo Trattato che, nel già citato art. 127 attribuisce
al Fondo Sociale Europeo l’obiettivo di “facilitare l’adeguamento alle
trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare
attraverso la formazione e la riconversione professionale”208.
L’allegato 1 al Regolamento generale, il 2081/93, riportava l’elenco delle regioni
ammissibili all’Obiettivo 1 per il periodo 1994-1999 sulla base del criterio generale
del PIL pro capite che, con l’eccezione di alcune deroghe, doveva essere inferiore
al 75% della media comunitaria.
Per quanto riguarda l’Italia continuano a far parte di questo Obiettivo tutte le
Regioni del Meridione e l’Abruzzo, però, solo per il biennio 1994-1996. All’elenco
iniziale è stato aggiunto il Burgenland austriaco per il periodo 1995-1999.
L’Atto di adesione alla UE di Finlandia e Svezia conteneva l’elenco delle zone
ammissibili all’Obiettivo 6 per il periodo 1995-1999.
208 Quello col Trattato di Maastricht è un legame politico, non dichiarato, perché il Trattato entra
in vigore il 5 novembre 1993.
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Per quanto riguarda l’ammissibilità agli Obiettivi 2 e 5b c’è un cambio di procedure.
L’uso eccessivamente rigido di dati statistici aveva rappresentato nella precedente
programmazione un impedimento all’individuazione di tutte le zone effettivamente
colpite da fenomeni di declino industriale, rurale e del settore della pesca.
Alla rigidità di criteri di ammissibilità basati esclusivamente sui dati statistici il Regolamento
generale indica una nuova impostazione che consentiva alla Commissione,
di concerto con gli Stati membri, un certo margine di valutazione.
In linea generale, comunque, per essere ammesse all’Obiettivo 2 le regioni dovevano
rispondere ai tre criteri seguenti:
• Tasso di disoccupazione superiore alla media comunitaria;
• Percentuale di posti di lavoro nell’industria superiore alla media comunitaria;
• Declino di questa categoria di posti di lavoro.
Una serie di criteri secondari consentiva di estendere l’ammissibilità a certe
zone contigue, ad aree urbane e a zone minacciate o colpite da un forte aumento
della disoccupazione, da problemi di recupero di siti industriali degradati o dall’impatto
della ristrutturazione della pesca.
Il criterio generale di ammissibilità all’Obiettivo 5b era un basso livello di sviluppo
socioeconomico (valutato sulla base del PIL pro capite). A questo si aggiungevano
altri tre criteri principali, due dei quali dovevano necessariamente essere soddisfatti:
• Tasso elevato di occupazione agricola;
• Basso livello del reddito agricolo;
• Bassa densità di popolazione e/o considerevole tendenza allo spopolamento.
L’ammissibilità poteva essere estesa ad altre zone situate al di fuori dell’Obiettivo
1 e caratterizzate da un basso livello di sviluppo, nonché da uno o più dei seguenti
criteri secondari: la situazione periferica, la sensibilità all’evoluzione del settore
agricolo, l’impatto della ristrutturazione della pesca, la struttura delle aziende
agricole, la struttura della popolazione agricola attiva, l’ambiente.
L’Obiettivo 1 potenzialmente coinvolgeva un quarto della popolazione comunitaria,
quanto quella residente in zone dell’Ob. 2 e dell’Ob.5 (cfr. Tab. n. 9).
Il Regolamento n. 2081/93 prevede:
• tre Fondi strutturali: il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), il Fondo
Sociale Europeo (FSE), la sezione orientamento del Fondo Europeo Agricolo di
Orientamento e di Garanzia (FEAOG-O);
• e uno strumento finanziario: lo Strumento Finanziario di Orientamento della
pesca (SFOP).
Quest’ultimo, pur non essendo un Fondo Strutturale a pieno titolo, finanzia azioni
strutturali nel settore della pesca nell’ambito dei programmi dei Fondi Strutturali.
Come si può notare dal Prospetto 12 il FSE è l’unico Fondo Strutturale che finanzia
o cofinanzia tutti gli Obiettivi.
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159
Figura n. 34 - Aree ammissibili ai Fondi strutturali 1994-99
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160
Tabella n. 9 - Popolazione ammissibile agli Obiettivi
Prospetto n. 12 - Obiettivi e Fondi Strutturali e SFOP che li finanziano
4.5.3. Risorse finanziarie
Il Regolamento stabilisce lo stanziamento annuale per l’Obiettivo 1, mentre per
gli Obiettivi 2, 3, 4 e 5b la Commissione ha stabilito una ripartizione indicativa dell’assegnazione
disponibile per ciascuno Stato membro (cfr. Tab. n. 10) secondo i criteri
seguenti:
• la popolazione interessata;
• la prosperità nazionale;
• la prosperità regionale;
• la gravità relativa dei problemi strutturali, in particolare della disoccupazione.
(1) L’Abruzzo solo per il biennio 1994-96 – (2) L’Austria per il periodo 1995-99 – (3) Solo per il periodo 1995-99
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161
Per l’Obiettivo 5b la ripartizione è stata dettata principalmente da un criterio di
continuità rispetto all’utilizzo degli stanziamenti nel periodo precedente, nonché sui
bisogni strutturali specifici riscontrati per i settori dell’agricoltura e della pesca.
4.5.4. Processo programmatorio
Tra gli elementi di riforma più importanti che hanno caratterizzato la Programmazione
1994-1999, c’è quello della semplificazione della Programmazione.
Infatti, accanto alla procedura classica in tre fasi (Piano di sviluppo presentato
dallo Stato membro; Quadro Comunitario di Sostegno stabilito dalla Commissione
sulla base del piano e in concertazione con lo Stato membro e le regioni interessate;
Intervento sul campo, generalmente sotto forma di programma operativo (PO), ma
anche di grande progetto o di sovvenzione globale) è stata introdotta una procedura
semplificata in due fasi: Piano di sviluppo presentato dallo Stato membro e Documento
unico di programmazione (DOCUP) (cfr. Fig. n. 35).
Cambia anche, rispetto alla riforma del 1988, la durata della programmazione
comunitaria.
La normativa del 1988 prevedeva un periodo di cinque anni per i diversi Obiettivi,
eccetto per l’Obiettivo 2, la cui programmazione era di durata triennale (1989-
1991).
Il Regolamento n. 2082/93 prolunga invece il periodo di programmazione a sei
anni (1994-1999), facendo così coincidere la fine della programmazione delle azioni
strutturali con la scadenza delle previsioni finanziarie decise nel vertice di Edimburgo.
Più specificamente:
Tabella n. 10 - Ripartizione indicativa dell’assegnazione per Obiettivo e per Paese secondo i
QCS e i DOCUP (in milioni di ECU 1994)
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162
• per gli Obiettivi 1, 3 e 5b: i Quadri Comunitari di Sostegno saranno decisi per
sei anni;
• per l’Obiettivo 2: sono previste due fasi di tre anni;
• per l’Obiettivo 4: è suggerita l’adozione di Quadri Comunitari di Sostegno per
due fasi triennali.
4.5.5. Campo di intervento
La normativa riveduta, pur confermando nelle linee essenziali i campi di applicazione
di ciascun Fondo, già definiti con precisione dai Regolamenti del 1988, apporta
per tutti e tre i Fondi strutturali, alcune innovazioni. Ma per il FSE le modifiche
sono molto ampie.
Il nuovo Regolamento n. 2084/93 definisce, all’articolo 1, ben nove finalità
politiche del FSE:
Figura n. 35 - Procedura di programmazione per QCS e DOCUP
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163
1. agevolare l’inserimento occupazionale dei disoccupati di lunga durata;
2. agevolare l’inserimento occupazionale dei giovani in cerca di lavoro;
3. promuovere l’inserimento di persone a rischio di esclusione dal mercato del lavoro;
4. promuovere la parità di opportunità per uomini e donne sul mercato del lavoro;
5. agevolare l’adeguamento dei lavoratori, in particolare di quelli a rischio di
disoccupazione, al cambiamento industriale e ai cambiamenti nei sistemi di
produzione;
6. sostenere la crescita e la stabilità dell’occupazione;
7. rafforzare il potenziale umano nella ricerca, nella scienza e nella tecnologia;
8. rafforzare e migliorare i sistemi di insegnamento e formazione;
9. contribuire allo sviluppo mediante la formazione dei funzionari.
Le prime quattro finalità del FSE sono relative all’Obiettivo 3 e interessano
l’intera Comunità; la quinta riguarda l’Obiettivo 4 e l’intera Comunità; la sesta e la
settima finalità sono relative agli Obiettivi 1, 2 e 5b infine, le ultime due finalità afferiscono
all’Obiettivo 1. Per quanto concerne le azioni finanziabili dal FSE a titolo
dell’Obiettivo 3, le più rilevanti novità riguardano:
– i disoccupati di lunga durata: non viene specificata né la durata né l’età;
– aiuti all’assunzione: non compare il massimale settimanale dei contributi e la
determinazione temporale è lasciata agli Stati membri;
– persone a rischio di esclusione dal mercato del lavoro: viene ampliata l’utenza
potenziale anche ai portatori di handicap, ai rifugiati, agli immigrati, oltre che a
tutte le persone ad alto rischio;
– le azioni rivolte all’integrazione ed al reinserimento delle donne nel mercato del
lavoro.
Con riferimento alle azioni finanziate dal FSE a titolo dell’Obiettivo 4, occorre
rivolgere l’attenzione in particolare alle azioni di:
– anticipazione delle tendenze del mercato del lavoro e dei futuri bisogni di competenze;
– prevenzione degli effetti del mutamento industriale attraverso l’aggiornamento
e la riqualificazione dei lavoratori;
– riorientamento della forza lavoro minacciata dalla disoccupazione;
– assistenza per lo sviluppo di sistemi di formazione.
Infine, anche per quanto concerne le azioni del FSE ammissibili a titolo degli
Obiettivi 1, 2 e 5b, il Regolamento CEE n. 2084/93 amplia il precedente quadro di
riferimento, prevedendo espressamente azioni di Formazione Continua, contributi
allo sviluppo di adeguati sistemi di formazione (ivi compresa quella dei formatori),
nonché azioni di accrescimento delle risorse umane in materia di ricerca, scienza e
tecnologia. In definitiva l’elenco (per difetto) di azioni realizzabili con l’intervento
del FSE comprende: la Formazione Professionale (di base, aggiornamento, preformazione);
la formazione postuniversitaria; la formazione dei formatori/docenti; la
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164
formazione di funzionari pubblici; i sussidi all’occupazione; le azioni di sostegno; i
servizi di assistenza a persone a carico; l’orientamento; il trasferimento di knowhow;
lo sviluppo di strutture di formazione, occupazione, sostegno a Sistemi di
Istruzione e Formazione; l’informazione; l’assistenza tecnica (cfr. Fig. n. 36).
4.5.6. Valutazione ex ante, sorveglianza e valutazione ex post
Modifiche di notevole rilievo sono state introdotte dalla normativa del 1993 per
quanto concerne le fasi di valutazione e sorveglianza che, se pur previste nei precedenti
Regolamenti CEE del 1988, avevano bisogno di una più precisa e puntuale disciplina.
L’esigenza, sempre più avvertita a livello comunitario, di una maggior valutazione
sia sull’efficacia delle azioni (vale a dire sulla loro implementazione e
razionalità, nonché sull’adeguatezza delle risorse ad esse destinate), sia sull’efficienza
degli interventi (rapporto co sti/risultati), ha portato al rafforzamento in primo
luogo della valutazione ex ante, la cui attuazione ovviamente facilita in misura
notevole quella ex post.
Al riguardo, l’articolo 26 del nuovo Regolamento di coordinamento introduce
una fondamentale novità: gli aiuti comunitari, per il periodo 1994-1999, saranno assegnati
agli Stati membri soltanto se dalla valutazione ex ante emergeranno vantaggi
socio-economici a medio termine in funzione delle risorse messe a disposizione.
Inoltre, i Piani di sviluppo e le domande di contributo presentate dagli Stati
membri per il medesimo periodo dovranno contenere obiettivi specifici quantificati
per le azioni proposte.
Per questo nei QCS e nei DOCUP sono richieste informazioni e dati relativi a
tre indicatori (cfr. Fig. n. 37):
– indicatori di situazione, relativi alle caratteristiche salienti del contesto in cui si
situano gli interventi (mercato del lavoro, istruzione e formazione, sistema produttivo);
Figura n. 36 - Principali azioni del Fondo Sociale Europeo
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165
– indicatori di risultato, che illustrano le realizzazioni delle azioni di ciascun asse
prioritario;
– indicatori di impatto, per segnalare gli effetti delle azioni sui contesti specifici a
cui sono rivolte (tasso di partecipazione della popolazione alla formazione ed
altri).
Gli indicatori vengono quantificati nei QCS/DOCUP in termini di:
– valore attuale, riferito all’ultimo dato disponibile (indicatori di situazione) o al
precedente periodo di programmazione (indicatori di risultato e di impatto);
– valore atteso, riferito alle previsioni per il periodo 1994-1999 (per tutti gli indicatori).
La lista degli indicatori presentata nei QCS/DOCUP viene ulteriormente ampliata
a livello di Programma operativo. L’insieme di questi indicatori semplificherà
la valutazione ex post che consisterà sostanzialmente nella verifica a posteriori della
realizzazione degli obiettivi inizialmente prefissati e concordati di tutti gli indicatori.
Con riferimento, invece, alle problematiche relative alla sorveglianza, la Comunità,
muovendo da una logica di sussidiarietà, ha disposto il rafforzamento delle
competenze dei Comitati di sorveglianza. Infatti, pur non potendo modificare l’importo
totale del contributo comunitario concesso i comitati avranno la possibilità di
adeguare, in caso di necessità, le modalità del contributo stesso. Gli eventuali adeguamenti
dovranno essere tempestivamente notificati alla Commissione e allo Stato
membro interessato, divenendo poi applicabili previa conferma da parte della Commissione
e dello Stato, nel termine massimo di venti giorni dalla notifica.
4.5.7. Partnership
Il principio del partenariato, introdotto dalla Riforma del 1988, aveva rappresentato,
una profonda innovazione delle politiche strutturali della Comunità. La
nuova normativa non soltanto ribadisce come esso implichi la stretta concertazione
tra la Commissione e tutte le competenti Autorità nazionali, regionali o locali designate,
ma prevede anche, all’articolo 4 del Regolamento quadro, l’estensione della
partnership agli organismi competenti, ivi comprese le parti economiche e sociali,
Figura n. 37 - Informazioni richeste nei QCS e nei DOCUP
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166
designate dallo Stato membro. Coinvolgimento da effettuarsi, però, aggiunge l’articolo
(recependo l’esplicita richiesta del Regno Unito e della Spagna), secondo le
modalità e le prassi proprie di ciascuno Stato membro209.
4.6. La programmazione del FSE in Italia
4.6.1. Piani di sviluppo, QCS e DOCUP, Programmi operativi e risorse finanziarie
La programmazione del Fondo Sociale Europeo è stata proposta dall’Italia mediante:
• Piani regionali per gli Obiettivi 1, 2 e 5b, in cui la programmazione è presentata
in maniera congiunta per i tre Fondi strutturali (FSE, FESR, FEAOG) e gli altri
strumenti finanziari;
• Piani nazionali per gli Obiettivi 3 e 4, di pertinenza esclusiva del Fondo Sociale
Europeo, riguardanti in maniera separata le Regioni del Centro-Nord e quelle
del Mezzogiorno, le cui risorse finanziarie vengono quantificate in maniera aggregata
nel piano per l’Obiettivo 1.
Nel nostro Paese sono state utilizzate tutte e due le procedure di programmazione:
quella che prevede il Quadro Comunitario di Sostegno e quella che prevede il
DOCUP (cfr. Fig. n. 38). I QCS/DOCUP adottati per la programmazione FSE con
decisione della Commissione sono i seguenti:
– per l’Obiettivo 1: QCS per lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni
in ritardo di sviluppo 1994-1999, che riguarda l’insieme dei Fondi Strutturali e
degli altri strumenti finanziari disponibili210;
– per l’Obiettivo 2 (plurifondo): DOCUP 1994-1996 per ciascuna area NUTS II
(Regione) e NUTS III (Provincia) ammissibile;
209 L’estensione della partnership ha avuto un travagliato iter. Il testo, inizialmente proposto dalla
Commissione CEE, prevedeva un vero e proprio coinvolgimento delle parti economiche e sociali nelle
diverse fasi di preparazione, finanziamento e valutazione delle politiche strutturali. Successivamente il
Consiglio, nella riunione del 2 luglio 1993, ha raggiunto un accordo sostanzialmente difforme dalla
proposta della Commissione. Le conclusioni emerse in seno al suddetto Consiglio, infatti, prevedevano
la facoltà, per gli Stati membri, di consultare o meno i partners economici e sociali, nell’ambito di una
loro piena discrezionalità. In occasione, poi, della riunione di concertazione del 12 luglio fra Parlamento
(sul punto in sostanziale identità di vedute con la Commissione), Consiglio e Commissione è
stato raggiunto un accordo in tema di partenariato, nel senso della condivisione dell’ampliamento della
partnership alle parti sociali nelle fasi di programmazione, finanziamento e valutazione delle politiche
strutturali. Come ultima fase dell’articolato e travagliato iter dell’articolo 4, il Parlamento europeo, il
14 luglio 1993, ha votato in seconda lettura i regolamenti modificati e successivamente il Consiglio ha
prov veduto alla loro adozione definitiva, confermando il principio dell’estensione del partenariato
come proposto dalla Commissione e ribadito con vigore dal Parlamento europeo, sia pure nel quadro
delle regole istituzionali e delle pratiche proprie di ciascuno Stato membro. Questa formulazione ha
consentito di giungere alla definitiva approvazione del delicato articolo 4, con il contemperamento dell’affermazione
del principio richiesto dalle parti sociali alle prassi na zionali.
210 Approvato dalla Commissione il 29 luglio 1994.
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167
– per l’Obiettivo 3: QCS per l’intervento del Fondo Sociale Europeo nelle Regioni
italiane non interessate dall’Obiettivo 1211;
– per l’Obiettivo 4: DOCUP 1994-1999 per gli interventi strutturali comunitari
nelle Regioni italiane non interessate dall’Obiettivo l212. All’interno del DOCUP
sono previsti 13 sottoprogrammi a carattere regionale (cui si aggiunge
l’Abruzzo a partire dal 1997) e 3 programmi a livello multi regionale;
– per l’Obiettivo 5b (plurifondo): DOCUP 1994-1999 per ciascuna Regione o
Provincia al cui interno sono presenti aree NUTS III ammissibili.
Infine, la programmazione del FSE è stata realizzata:
– per l’Obiettivo 1, nell’ambito di ciascuno degli 8 Programmi operativi regionali
plurifondo e, nell’ambito del sottoquadro multi regionale, da 6 Programmi operativi
multi regionali;
– per l’Obiettivo 3, nell’ambito di ciascuno dei 13 Programmi operativi regionali
e delle Province Autonome cui si aggiunge l’Abruzzo per il triennio 1997-99 e,
nell’ambito del sottoquadro multiregionale, da 3 Programmi operativi multi regionali.
L’ammontare delle risorse comunitarie e dei costi totali relativi all’intervento
del Fondo Sociale Europeo in Italia è riportato nella Tabella 11.
211 Approvato dalla Commissione il 5 agosto 1994.
212 Approvato dalla Commissione il 2 dicembre 1994.
Figura n. 38 - Procedura di programmazione per QCS e DOCUP in Italia
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168
Nella Tabella 12 le risorse comunitarie vengono ripartite, per ciascun Obiettivo,
tra interventi di competenza regionale e interventi di natura multiregionale.
4.6.2. La struttura degli Obiettivi e la partecipazione finanziaria del FSE
a) Obiettivo 1
L’Obiettivo 1 si articola in 8 Assi, di cui sei riguardano uno specifico settore
economico (Comunicazioni, Industria artigianato e servizi, Turismo, Risorse agricole
e sviluppo rurale, Pesca e Infrastrutture di supporto). Dal punto di vista finanziario
(cfr. Tab. n. 13) il FSE è presente:
– nell’Asse 7 in cui vengono finanziate le azioni prioritarie da 7.1 a 7.4;
– nell’Asse 8, in cui cofinanzia gli interventi di assistenza tecnica, pubblicità e
monitoraggio;
– negli Assi 2, 3, 4, 5, 6, di natura settoriale, in cui vengono distribuite le risorse
stanziate per l’azione prioritaria 7.5.
Le risorse finanziarie del FSE, che ammontano a 2.739 miliardi, arrivano alle
Regioni del Meridione attraverso 8 Programmi Operativi Regionali213 e 6 Multiregionali
(questi ultimi a titolarità del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero
dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica) (cfr. Prosp. n. 13); risorse
proprie dell’Obiettivo 1 ma anche degli Obiettivi 3 e 4.
213 Approvati tutti nei mesi di novembre e dicembre 1994, ad esclusione di quello della Sicilia approvato
il 20 marzo 1995 e della Puglia il 22 maggio 1995.
Tabella n. 11 - Risorse e costi totali 1994-1999 (1994-96 per Ob. 2)
(1) Comprensivo degli Obiettivi 3 e 4 nel Mezzogiorno
Tabella n. 12 - Risorse FSE per interventi regionali e multi regionali
(1) Comprensivo degli Obiettivi 3 e 4 nel Mezzogiorno
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Tabella n. 13 - Ob.1: Distribuzione negli Assi delle risorse FSE
Prospetto n. 13 - Ob. 1: Distribuzione negli Assi delle risorse FSE
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170
I programmi multiregionali menzionati nel prospetto sono:
a) Promozione nuova imprenditorialità (Asse 2), a titolarità del Ministero dell’Industria,
Commercio e Artigianato. Il programma riguarda un insieme di servizi
formativi (formazione, tutoraggio, sensibilizzazione al territorio, ecc.) destinati
alla creazione di imprenditorialità con effetti di consolidamento e sviluppo nelle
aree ad alta natalità d’impresa e di sostegno alla domanda di impresa nelle aree a
bassa natalità o ad alta mortalità. Tali interventi costituiscono anche un ampio terreno
di sperimentazione di nuovi modelli per la promozione di imprenditorialità;
b) Alta Formazione e Ricerca (Assi 6 e 7.1), a titolarità del Ministero dell’Università
e della Ricerca Scentifica e Tecnologica (MURST). Il PO avvia interventi
per: rafforzare l’indirizzo tecnico-scientifico; per potenziare la formazione di
capitale umano qualificato per i settori strategici allo sviluppo del Mezzogiorno,
promuovendo percorsi innovativi di dottorato di ricerca e borse di perfezionamento
post laurea e post dottorato; intervenire nella struttura del mercato
del lavoro locale tramite interventi di professionalizzazione di profili deboli e di
accompagnamento di giovani qualificati verso l’accesso alle libere professioni
e/o al lavoro autonomo attraverso borse di studio; per sostenere l’inserimento
professionale di giovani laureati anche in contesti internazionali e stimolare la
partecipazione di una più ampia platea di destinatari dell’offerta universitaria
attraverso un potenziamento dei laboratori linguistici e dei consorzi universitari
per la formazione a distanza;
c) Ministero Pubblica Istruzione (asse 7.1), a titolarità dell’omonimo Ministero.
Raccoglie interventi funzionali alla implementazione delle innovazioni introdotte
nell’ordinamento didattico degli Istituti Professionali di Stato per la formazione
di curricoli polivalenti attraverso la specializzazione post qualifica. Il
PO è inoltre incentrato su una vasta azione di formazione ai docenti;
d) Azioni innovative e assistenza tecnica (assi 7.2, 7.4 e 8), a titolarità del Ministero
del Lavoro e della Previdenza Sociale. Il PO si propone di contribuire al
cambiamento e consolidamento del Sistema formativo delle Regioni dell’Obiettivo
1: le azioni innovative comprendono interventi di sperimentazione ed innovazione,
rivolte a diverse tipologie di utenti, per migliorare la qualità dei Sistemi
di Formazione Professionale iniziale e continua; l’assistenza tecnica comprende
azioni di sostegno alla realizzazione delle attività previste dal QCS e si
propone di contribuire alla creazione di un Sistema di Formazione Continua, e
di supportare l’attività operativa del sistema esistente;
e) Emergenza occupazionale (assi 7.2 e 7.3), a titolarità del Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale. Obiettivi del PO sono quelli di utilizzare strumenti
formativi coordinati che intervengono: sulle situazioni di emergenza occupazionale
collegata a fenomeni di riorganizzazione e di riconversione di grandi strutture
produttive, pubbliche e private; sulle situazioni critiche acute che potranno
manifestarsi – in relazione alla combinazione non prevedibile di fattori diversi
di tipo economico e sociale – anche territorialmente concentrati;
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171
f) Formazione migranti (asse 7.2), a titolarità del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale. Il PO interviene a favore dei lavoratori migranti italiani e
dei loro figli per: facilitare l’ingresso dei giovani – figli di migranti italiani residenti
all’estero – nel mondo del lavoro; sostenere l’adeguamento professionale
dei lavoratori migranti, a fronte dei cambiamenti della domanda di lavoro nei
paesi ospitanti; promuovere l’integrazione delle attività formative rivolte ai lavoratori
migranti italiani e alle loro famiglie nei Sistemi scolastici e formativi
dei paesi ospiti;
g) Formazione formatori e funzionari P.A. (asse 7.4), a titolarità del Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale. Il PO è mirato al miglioramento dell’efficienza
e dell’efficacia della Pubblica Amministrazione ed ha come obiettivi: accrescere
le competenze individuali; immettere elementi di cambiamento sugli
assetti organizzativi; sviluppare un sistema di interazioni, formali ed informali,
tra i diversi attori; favorire il cambiamento ed il miglioramento qualitativo dei
Sistemi di Formazione regionali.
La ripartizione delle risorse FSE stanziate per l’Obiettivo 1 tra i diversi PO è illustrata
nel Grafico 20. Come già detto nei QCS sono esplicitati gli indicatori214 che
rendono possibile la valutazione ex ante ed ex post, ulteriormente arricchiti nei Programmi
operativi215.
214 A Livello di QCS gli indicatori dell’Ob. 1 sono: Livello di istruzione della popolazione in età
lavorativa (25-64 anni); Percentuale occupata in rapporto alla popolazione in età lavorativa; Occupazione
e figure professionali; Tasso di disoccupazione (popolazione in età attiva, giovani con meno di
25 anni); Tasso di disoccupazione per livello di istruzione della popolazione attiva (15-64 anni); Spesa
pubblica in Istruzione e Formazione; Tassi di partecipazione all’istruzione; Allievi degli IPS e ITS formati
con il FSE (in % degli allievi totali in formazione); Laureati in materie scientifiche (in % sul totale
dei diplomi di laurea); Adulti disoccupati (25-64 anni) che hanno seguito un programma di formazione
(in % sui disoccupati di lunga durata); Giovani disoccupati (15-24 anni) che hanno seguito un
programma di formazione (in % sui giovani disoccupati). Gruppi svantaggiati che hanno seguito un
programma di formazione; Giovani occupati (15-24 anni) che usufruiscono della formazione (in % sui
giovani occupati), Adulti occupati (25-64 anni) che usufruiscono della formazione (in % sugli adulti
occupati); Funzionari dipendenti da Enti locali territoriali che fruiscono della Formazione Continua
(in % sui funzionari della P.A.); Docenti della formazione regionale o convenzionata che fruiscono
della Formazione Continua (in % sui formatori).
215 A livello di misura dei Programmi operativi gli indicatori sono: Suddivisione delle attività di
formazione per settori economici; Corsi/interventi per tipologia realizzati su programmati; Percentuale
di beneficiari su popolazione di riferimento; Numero di iscritti su programmati; Numero di formati su
iscritti; Percentuale dei corsi che rilasciano la certificazione; Durata media effettiva rispetto al programmato;
Costo medio orario per allievo realizzato rispetto al programmato; Placement realizzato a 6
mesi e ad 1 anno corrispondente alla formazione ricevuta o in mestieri diversi dalla formazione ricevuta;
Lavoratori formati che hanno mantenuto il posto di lavoro; CFL o altri incentivi temporanei
trasformati in assunzioni a tempo indeterminato a 6 e ad 1 anno dalla fine del periodo di formazione/lavoro.
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b) Obiettivo 2
Nel caso dell’Obiettivo 2 gli assi prioritari di sviluppo vengono individuati da
ciascuna amministrazione responsabile dei DOCUP e sono riconducibili, comunque,
ai seguenti: ambiente, sviluppo e rafforzamento PMI; riqualificazione del territorio;
turismo; innovazione tecnologica; valorizzazione delle risorse umane; rafforzamento
dei sistemi. La programmazione FSE è presente sia negli assi di natura settoriale,
a supporto ed integrazione degli interventi del FESP, sia negli assi “valorizzazione
delle risorse umane” e “rafforzamento dei sistemi”, con interventi di natura
orizzontale miranti al rafforzamento del Sistema formativo e interventi trasversali a
supporto dei settori. La ripartizione delle risorse FSE stanziate per l’Obiettivo 2, sia
per domanda di contributo (corrispondenti alle singole Regioni e Province Autonome),
che per assi prioritari è riportata nelle Tabelle 14 e 15.
Grafico n. 20 - Ob. 1: Ripartizione risorse FSE per programmi operativi, regionali e multiregionali
(MECU)
Tabella n. 14 - Ob. 2: Ripartizione risorse FSE per domande di contributo
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c) Obiettivo 3
Gli assi prioritari individuati sono i seguenti:
• Asse 1:inserimento o reinserimento di disoccupati di lunga durata o esposti alla
disoccupazione di lunga durata;
• Asse 2:rafforzamento della formazione iniziale ed inserimento dei giovani nel
mercato del lavoro;
• Asse 3: integrazione o reintegrazione delle persone esposte al rischio di esclusione
sociale;
• Asse 4: promozione della pari opportunità tra uomini e donne sul mercato del
lavoro;
• Asse 5: rafforzamento dei Sistemi di formazione e di impiego.
I cinque assi si articolano in misure. I destinatari e le azioni di ciascuna misura
sono riportati nel Prospetto 14.
La ripartizione delle risorse FSE tra gli Assi prioritari, in valori assoluti e relativi,
è quella del Grafico 21; mentre gli stanziamenti per domande di contributo, che
includono i programmi regionali e quelli multiregionali e che ammontano a 19.745
miliardi di lire circa (1.316,3 MECU) sono quelli del Grafico 22.
Tabella n. 15 - Ob. 2: Ripartizione risorse FSE per domande di contributo per asse prioritario e
per l’assistenza tecnica
Grafico n. 21 - Ob. 3: ripartizione risorse FSE per asse prioritario (V.A e V.%)
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I programmi multiregionali, con una dotazione finanziaria pari a 441.150 miliardi
(294,1 MECU) e tutti a titolarità del Ministero del Lavoro, sono tre:
a) Azioni innovative: riguarda, interventi di carattere esemplare e innovativi per
contenuti proposti e metodi applicati nella formazione. Tali interventi costituiscono
dei punti di riferimento per una possibile moltiplicazione delle esperienze
nei diversi contesti regionali e pertanto deve essere assicurata una adeguata diffusione
dei risultati conseguiti;
b) Interventi per la formazione e l’occupazione: raccoglie gli interventi a carattere
multiregionale proposti dagli organismi di formazione consorziati che promuovono
la costituzione di reti integrate e dagli Enti pubblici o privati attivi su scala
nazionale;
c) Rafforzamento dei sistemi: raccoglie gli interventi a carattere orizzontale intesi
a consolidare e/o qualificare l’intervento formativo globale nonché i raccordi
con l’insieme delle politiche del lavoro. Tale PO rappresenta quella parte dell’Asse
5 che, per sua natura, deve essere gestita a livello centrale. In particolare,
riguarderà: assistenza tecnica a livello centrale, attività di certificazione, attività
di monitoraggio e valutazione ex-post.
Come da regolamentazione quadro il QCS216 e i Programmi operativi217 specificano
gli indicatori, necessari per le operazioni di monitoraggio e valutazione.
216 Indicatori del QCS: Livello di istruzione della popolazione in età lavorativa (25-64 anni); Percentuale
occupata in rapporto alla popolazione in età lavorativa (15-64 anni); Tasso di disoccupazione;
Disoccupati di lunga durata che hanno seguito un programma di formazione; Tasso di partecipazione
all’istruzione; Giovani che hanno seguito un corso di formazione; Gruppi svantaggiati che hanno seguito
un programma di formazione; Donne formate; Docenti e operatori della formazione regionale o
convenzionata che fruiscono della Formazione Continua.
217 Gli indicatori contenuti nei Programmi operativi sono: Suddivisione delle attività di formazione
per settori economici; Corsi/interventi per tipologia realizzati su programmati; Percentuale di be-
Grafico n. 22 - Ob. 3; ripartizione risorse FSE per domande di contributo (regionali e multiregionali)
(MECU)
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175
neficiari su popolazione di riferimento; Numero di iscritti su programmati; Numero di formati su
iscritti; Durata media effettiva rispetto al programmato; Costo medio orario per allievo realizzato rispetto
al programmato; Placement realizzato a 6 mesi e ad 1 anno corrispondente alla formazione ricevuta
o in mestieri diversi dalla formazione ricevuta; Corsi/interventi che hanno dato luogo a certificazione.
Prospetto n. 14 - Ob. 3: soggetti destinatari e tipologia di azioni del FSE
(Segue)
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176
d) Obiettivo 4
La programmazione FSE per l’Obiettivo 4, di cui è titolare il Ministero del Lavoro,
avviene in maniera distinta nel caso delle Regioni del Centro-Nord.
Gli assi prioritari individuati sono i seguenti:
– Asse 1: anticipazione (conoscenza all’interno delle imprese delle evoluzioni
(Segue)
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177
economiche, tecnologiche ed organizzative), supporto alla programmazione e
gestione di un Sistema di Formazione Continua;
– Asse 2: interventi di accompagnamento/adeguamento delle risorse umane in relazione
ai cambiamenti strutturali del sistema economico e produttivo ed all’impatto
del mercato interno;
– Asse 3: assistenza tecnica (azioni di carattere orizzontale per il coordinamento ed
il potenziamento degli interventi effettuati nell’ambito dell’asse 1 e dell’asse 2).
I soggetti destinatari degli interventi previsti per ciascun asse e le tipologie di
azioni finanziabili dal FSE sono esplicitati nel Prospetto 15.
La ripartizione delle risorse FSE tra gli assi prioritari è rappresentata nel Grafico
23.
Le Regioni del Centro-Nord e le due Province Autonome si ripartiscono le risorse
stanziate dal FSE, pari a 598,2 miliardi di lire (398,8 MECU): in questa
somma sono comprese le risorse per realizzare i 12 programmi regionali e delle Province
Autonome e quello dell’Abruzzo (solo il triennio 1997-99) nonché i pro-
Prospetto n. 15 - Ob. 4: soggetti destinatari e tipologia di azioni del FSE
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178
grammi multi regionali. La Lombardia si assicura la quota maggiore con 108 miliardi
di lire (72,2 MECU), pari al 18,1% del volume complessivo del Fondo, seguita
dall’Emilia Romagna con 86,7 miliardi (57,8 MECU) equivalenti, in termini percentuali,
al 14,5%. (cfr. Graf. n. 24). I programmi multiregionali sono 3:
1. Azioni innovative. Si prevede la realizzazione di interventi finalizzati alla definizione
e sperimentazione di nuove metodologie formative, la progettazione di
nuove strutture formative o l’adeguamento di quelle esistenti e la predisposizione
di modelli di intervento per l’innovazione tecnologica e per l’innovazione
nell’organizzazione aziendale; particolare attenzione viene rivolta alla diffusione
nell’ambito del Sistema formativo, tramite l’implementazione di progetti
pilota e dimostrativi, dei principali risultati ottenuti;
2. Riconversione/riqualificazione. Il sottoprogramma è finalizzato ad affinare la
conoscenza del mercato del lavoro e quindi di anticipare i mutamenti
quali/quantitativi nella domanda e i corrispondenti fabbisogni formativi nell’offerta
di lavoro; un’attenzione particolare viene rivolta alle emergenze occupazionali
e alle problematiche relative all’imprenditorialità;
3. Rafforzamento sistemi. Gli interventi previsti sono prevalentemente finalizzati
ad aumentare l’efficacia e l’efficienza sia della Pubblica Amministrazione locale
e dei Sistemi della Formazione Professionale regionale, sia dell’implementazione
degli stessi interventi cofinanziati dai Fondi strutturali. In particolare,
sono previsti interventi quali la predisposizione di modelli organizzativi per la
realizzazione, il monitoraggio e la valutazione del Sistema di Formazione Continua,
la creazione di una rete per lo scambio di informazioni fra gli Osservatori
locali del mercato del lavoro, collegando la domanda delle imprese con l’offerta
esistente a livello multiregionale e in generale le azioni che possano facilitare
una maggiore integrazione fra la Formazione Professionale, gli organismi amministrativi
e il mondo delle imprese.
La ripartizione delle risorse del FSE sui singoli assi prioritari e tra le Regioni
avviene in funzione della presenza a livello regionale dei potenziali beneficiari e
della capacità di spesa delle singole Regioni.
Grafico n. 23 - Ob. 4: ripartizione risorse FSE per asse prioritario (V.A. e V.%)
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179
Il peso finanziario degli assi è rapportato alle esigenze della situazione italiana;
poiché in Italia non esiste un vero e proprio Sistema di Formazione Continua, il QCS ha
accolta la proposta di articolazione finanziaria, la quale si distribuisce su due periodi:
– nel triennio 1994/96 di devono mettere a fuoco le tematiche e le strutture operative
necessarie alla Formazione Continua;
– nel successivo triennio 1997/1999 si devono realizzare gli interventi di formazione.
Il DOCUP specifica gli indicatori di situazione218, di realizzazione219, gli obiettivi
attesi220 e gli indicatori di impatto221.
218 Numero delle imprese con meno di 500 addetti, distinti in PMI e altre; Numero degli addetti
nell’industria e nel servizi, distinti in PN 1I e altri; Numero totale imprese in fase di trasformazione e
relativi addetti (investimento per unità di lavoro, valore aggiunto per unità di lavoro, numero dei lavoratori
in CIG ordinaria industria, numero di assunti e licenziati, numero di imprese che hanno avviato
processi di internalizzazione; Indicatori di offerta (centri di formazione professionali, osservatori,
strutture di orientamento).
219 Numero di indagini e ricerche sui fabbisogni formativi; Numero di osservatori del mercato del
lavoro e delle professioni; Numero di lavoratori che beneficiano di azioni di formazione; Numero di
imprese che attuano programmi di formazione; Numero di azioni formative; Percentuale di azioni con
innovazioni nelle metodologie didattiche; Strutture fisiche attuate (organismi bilaterali, strutture di
analisi del mercato del lavoro e delle professioni, strutture di orientamento, altre strutture); Numero addetti
alla formazione formati o riqualificati.
220 Numero di lavoratori che beneficeranno di azioni formative in % dei lavoratori delle PMI;
Strutture fisiche da realizzare (organismi bilaterali, strutture di analisi del mercato del lavoro e delle
professioni, strutture di orientamento, altre strutture); Numero di ricerche e indagini dei fabbisogni professionali
da realizzare.
221 Effetti delle ricerche sulla progettazione delle azioni formative e sui piani di formazione aziendale;
Numero di lavoratori che hanno mantenuto il posto di lavoro; Numero dei contatti delle imprese
con i Centri di Formazione e con gli organismi creati.
Grafico n. 24 - DOCUP Ob. 4: ripartizione risorse FSE Regioni, Province Autonome e programmi
multiregionali
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180
e) Obiettivo 5b
Nel caso dell’Obiettivo 5b gli assi prioritari di sviluppo vengono individuati da
ciascuna delle 13 Regioni e Province Autonome responsabili dei DOCUP e sono comunque
riconducibili ai seguenti: agricoltura; ambiente; sviluppo e rafforzamento
PMI; riqualificazione del territorio; turismo e beni culturali; valorizzazione delle risorse
umane.
Le risorse del FSE sono distribuite fra le Regioni che abbiano zone rientranti in
questo Obiettivo nella misura illustrata nella Tabella 16 e distribuite per assi prioritari
e per l’assistenza tecnica come da Tabella 17.
4.6.3. Parametri di costo
Affinché le spese per le azioni di formazione di uno stesso tipo non evolvano in
maniera divergente, la Commissione determina per ciascuno Stato membro, congiuntamente
ad esso, gli importi medi indicativi delle spese di ogni tipologia formativa.
Quest’ultimo aspetto, insieme alla natura e all’articolazione delle spese ammissibili
e delle entrate è stato oggetto di approfondimento nel quadro del partenariato
nella fase di programmazione. Sono stati quindi fissati, per ciascun Obiettivo, i costi
unitari massimi delle attività formative per l’intero periodo di programmazione, secondo
la Tabella 18.
Tabella n. 16 - Ob. 5b: ripartizione risorse FSE per domande di contributo
Tabella n. 17 - Ob. 5b: ripartizione risorse FSE per asse prioritario e per l’assitenza tecnica
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181
222 Nella Decisione che istituisce il Programma, al decimo “considerando” si afferma “considerando
che, nel proprio documento di lavoro sugli orientamenti dell’azione comunitaria in materia di
istruzione e di formazione, la Commissione ha preannunciato il proprio obiettivo di razionalizzazione
e di semplificazione dei programmi d’azione in materia di Formazione Professionale in un programma
unico, potenziando gli aspetti più promettenti in termini di valore aggiunto e d’impulso europeo”.
Tabella n. 18 - Costi unitari massimi delle attività formative per il periodo 1994-1999 - Costo
ora/allievo (in ECU)(1) (2)
5. I Programmi e le Iniziative comunitarie
5.1. Programmi comunitari del periodo 1995-99
Al paragrafo 2.2. abbiamo passato in rassegna i Programmi comunitari del periodo
1990-94. È indubbio il valore e l’interesse dei risultati raggiunti da ognuno dei
programmi; il loro alto livello di specializzazione comportava, però, il rischio della
frammentazione, nel senso che le innovazioni rimanevano nel segmento formativo
dove erano state sperimentate senza che ci fossero benefici diretti nel sistema e comunque
mancava un ruolo di regia complessiva che facesse sintesi dei benefici di
ciascuno.
Per ottimizzare gli aspetti positivi di questi interventi comunitari e per eliminare
o comunque ridimensionare i rischi che la loro settorializzazione comportava, nel
dicembre 1994, la Commissione vara un Programma, denominato LEONARDO DA
VINCI.
LEONARDO nasce con l’intento dichiarato222 di costituire un’amalgama dei diversi
programmi che l’hanno preceduto negli Anni ’80 e ’90, o meglio di compendiare
e superare: COMETT I (1986-1989) e II (1990-1994), per la promozione della
cooperazione tra Università e Industria, EUROTECNET (1990-1994) per la promozione
dell’innovazione nella formazione, FORCE (1991-1994) per lo sviluppo della
Formazione Continua, PETRA I (1987-1991) e II (1990-1994) per la Formazione
Professionale dei giovani. In LEONARDO viene anche compendiato e superato un
(1) L’importo per ciascun Obiettivo si intende come il risultato della media degli assi che lo compongono.
(2) Nel caso degli Obiettivi 1, 2, 4 e 5b il costo unitario è al netto del reddito degli allievi occupati.
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182
programma comunitario LINGUA per la promozione delle competenze linguistiche,
che aveva operato agli inizi del decennio: 1990-94. Prima di entrare nel merito di
LEONARDO facciamo un rapido accenno a LINGUA, in quanto ha interessato
anche il Sistema formativo regionale.
5.1.1. LINGUA - Promozione della conoscenza delle lingue straniere
Il Programma comunitario LINGUA è stato istituito con una decisione del Consiglio
delle Comunità europee del 28 luglio 1989 e riguarda la promozione della conoscenza
delle lingue per sviluppare le capacità di comunicazione all’interno della
Comunità223.
Gli ambiti interessati dal Programma comprendono sia i Sistemi di Formazione
Professionale che la Scuola ed il mondo del lavoro, promuovendo la Formazione e
l’aggiornamento degli insegnanti e dei formatori e l’innovazione nei metodi e nei
supporti all’insegnamento.
Beneficiano del programma tre tipi di aree di utenza:
– l’area dell’Istruzione tecnica e professionale e quella degli insegnanti di lingue
che lavorano in Istituti di Istruzione e di Formazione sostenuti dai singoli Stati;
– gli Istituti di Istruzione post-secondaria;
– le imprese e le organizzazioni professionali.
Il programma si articola in 5 Azioni (cfr. Fig. n. 40):
223 ISFOL, Seconda lingua, società e strategie formative (Contributi di COLELLA M.R., GILLI D.,
GRIMALDI A., LANDI F., NARDI E., ROZERA M., MALARICO E.), 1992.
Figura n. 39 - Il Programma LEONARDO razionalizza e semplifica i Programmi comunitari
preesistenti
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183
– Azione I. Riguarda essenzialmente la formazione degli insegnanti di lingue straniere,
mediante borse destinate alla mobilità ed aiuti ai programmi di cooperazione
a livello europeo (detti Pec) tra istituzioni per la formazione degli insegnanti224;
– Azione II. Riguarda le borse di mobilità degli studenti e del personale docente e
amministrativo di tutti i tipi di Istruzione superiore finanziati o riconosciuti
dalle autorità nazionali e locali225;
– Azione III. Promuove lo sviluppo dell’apprendimento delle lingue in particolar
modo nelle piccole e medie imprese226;
– Azione IV. Vengono concessi aiuti finanziari per sostenere lo sviluppo della mobilità
studentesca (almeno due settimane all’estero) nelle scuole di istruzione
224 Il referente italiano era la Biblioteca di documentazione pedagogica di Firenze.
225 L’Azione si rivolge innanzitutto agli studenti che si formano per diventare insegnanti di lingue
straniere e a quelli che frequentano corsi sulle lingue comunitarie (specialmente le meno insegnate), ma
interessa anche chi studia una lingua straniera in collegamento con altre discipline. Il referente nazionale
era il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, Dipartimento Relazioni
Internazionali.
226 La Commissione sponsorizza visite di studio per rappresentanti di imprese e organizzazioni
professionali oltre che per formatori di lingue in diversi settori professionali ed economici; promuove
progetti innovativi e pilota relativi a: lo sviluppo e la diffusione di tecniche di diagnostica e di analisi
dei fabbisogni linguistici (audit linguistici) nelle organizzazioni professionali o di lavoratori e nelle imprese;
progetti pilota per lo sviluppo di materiale didattico per l’insegnamento delle lingue, con attenzione
particolare alle lingue meno diffuse; un sistema di scambi e di mobilità dei rappresentanti delle
organizzazioni professionali interessate alla formazione di lingue straniere, per le esigenze relative ai
diversi spaccati della vita economica.
Figura n. 40 - Programma LINGUA: Quadro delle Azioni
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184
generale, tecnica e professionale e nei Centri di Formazione Professionale.
Sono inoltre previste sovvenzioni per visite di studio dei responsabili delle
scuole e dei centri, allo scopo di avviare un progetto educativo comune che dia
luogo agli scambi di giovani;
– Azione V. Comprende aiuti alle strutture che coordinano il Programma; aiuti
alle associazioni e ai consorzi a livello europeo che supportano gli obiettivi di
LINGUA; aiuti per la creazione e lo scambio di materiali didattici per lo studio
delle lingue straniere227.
Relativamente alle Azioni III e IV è stato designato l’Isfol come Agenzia di riferimento
per l’Italia, con funzioni di coordinamento scientifico e tecnico a livello nazionale.
La partecipazione degli studenti e allievi italiani è stata progressivamente crescente.
Focalizziamo l’attenzione sulla partecipazione al programma LINGUA da
parte della Formazione Professionale regionale. Potevano beneficiare degli aiuti
previsti dell’Azione IV tutti i Centri, regionali o convenzionati, che realizzavano interventi
corsali almeno biennali. L’azione IV era destinata a giovani tra i 16 e i 25
anni. Da un punto di vista operativo l’attivazione di borse era preceduta da visite
preparatorie dei docenti presso le istituzioni partner.
L’analisi della partecipazione italiana all’azione mette in rilievo questi fenomeni:
una crescita numerica delle iniziative di oltre il 300% in tre anni, la durata
media degli scambi di allievi è di due settimane e mezzo per visita; il gruppo medio
è costituito da 12 allievi, la maggioranza degli allievi partecipanti è rappresentata da
ragazze (65% di femmine e 35% di maschi) e l’età media degli allievi partecipanti è
di 17 anni e mezzo; la distribuzione su base nazionale, che in un primo momento era
fortemente sbilanciata a favore del Centro Nord si è progressivamente equilibrata,
tanto che nel 1994 circa la metà dei progetti era stato presentato dalle Regioni meridionali.
Il numero dei ragazzi italiani in visita all’estero è stato in tutti i tre anni superiore
a quello dei loro coetanei di paesi esteri che venivano in Italia (cfr. Graf. n. 25).
“La Formazione Professionale ha registrato, in seguito allo sviluppo del programma
Lingua in Italia un significativo processo di riorientamento sia metodologico che di contenuto;
processo che può essere sintetizzato nella nuova attenzione con cui ormai si
guarda alla competenza in lingue straniere sia nel campo della formazione iniziale che in
quello della formazione aziendale”.
Questo giudizio è il giudizio su LINGUA dell’Isfol, basato su una ricerca sulle
lingue straniere nel Sistema della FP (come studio di base per l’avvio in Italia di un
“Piano nazionale per le lingue straniere”) e che esplora e quantifica gli effetti “moltiplicatori”
del programma. Effetti che hanno riguardato sia la diffusione ormai ge-
227 Il referente nazionale era il Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale per
Scambi Culturali, Divisione II.
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185
neralizzata dell’insegnamento di almeno una lingua straniera nella maggioranza dei
corsi di Formazione Professionale regionale, sia la nuova attenzione con cui si
guarda a tale competenza nel mondo delle imprese, sia l’aumento dei corsi per l’acquisizione
di competenze linguistiche nei piani regionali di Formazione.
Per il periodo 1996-1999 LINGUA diventerà un’azione trasversale del Programma
SOCRATES228.
5.1.2. LEONARDO DA VINCI - Programma d’azione per lo sviluppo di una politica
di Formazione Professionale della Comunità europea (1995-99)
LEONARDO DA VINCI229, adottato dal Consiglio dei Ministri il 6 dicembre
del 1994230 è stato il primo programma integrato di azione comunitaria per la Formazione
Professionale, in attuazione dell’articolo 127 del “Trattato di Maastricht”, che
stabiliva che la Comunità attuasse una politica di Formazione Professionale pur
escludendo l’armonizzazione delle norme e dei regolamenti degli Stati membri.
228 Vedi 5.4.
229 Per quanto riguarda la scelta del nome cfr. Reference: IP/95/203 del 02/03/1995 “Ispirandosi
all’esempio di quel genio del Rinascimento che è stato Leonardo da Vinci, il quale combinava spirito
inventivo, immaginazione, sensibilità artistica e visione scientifica, il programma LEONARDO ha
l’ambizione di apportare un nuovo impulso alla formazione professionale in Europa, senza peraltro
voler sostituirsi alle responsabilità degli Stati membri in questo settore. Evocare Leonardo vuol dire
anche ricordare un’epoca in cui l’apprendimento non era compartimentato da frontiere”.
230 Cfr. 94/819/CE: Decisione del Consiglio, del 6 dicembre 1994, che istituisce un programma
d’azione per l’attuazione di una politica di Formazione Professionale della Comunità europea, in
Gazzetta Ufficiale n. L 340 del 29/12/1994 pag. 0008-0024.
Grafico n. 25 - Programma LINGUA: Flusso di allievi italiani all’estero e di allievi stranieri in
Italia
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186
Il programma LEONARDO DA VINCI nasce in un clima culturale comunitario
particolarmente favorevole alla Formazione Professionale (come peraltro abbiamo
notato nella ricostruzione delle vicende che hanno portato alla riforma del 1988 e
alla revisione del 1993 dei Fondi strutturali) e il cui apporto viene ritenuto indispensabile
per superare la congiuntura sociale ed economica di quegli anni.
Il comunicato stampa che accompagna l’evento di avvio del Programma, a
Tours (Francia) il 2 e 3 marzo 1995, dà il senso delle aspettative che si nutriva nei
confronti del “sistema” della Formazione Professionale:
“Fra i vari difetti all’origine della disastrosa situazione occupazionale in Europa, l’inadeguatezza
dei sistemi di formazione professionale rispetto all’evoluzione dei bisogni
delle nostre società occupa purtroppo un posto di rilievo. Insieme con la ricerca e l’istruzione,
la Formazione Professionale, che si tratti di formazione iniziale o di formazione su
tutto l’arco della vita attiva, è comunque parte integrante di quell’indispensabile “investimento
immateriale” di cui il Libro Bianco della Commissione europea su crescita, competitività
e occupazione ha dimostrato tutta l’importanza. Orbene, il tempo stringe: la rivoluzione
tecnologica, ed in particolare l’avvento annunciato della società dell’informazione,
rischiano di ingigantire irrimediabilmente il ritardo europeo rispetto ai concorrenti
qualora i sistemi di formazione non vengano rapidamente aggiornati”231.
Il Programma contava su una dotazione finanziaria, prevista nella decisione per
il periodo dal primo gennaio 1995 al 31 dicembre 1999, che ammontava a 620 milioni
di ECU (930 miliardi di lire, circa).
LEONARDO non era aperto solo agli Stati membri dell’Unione Europea, ma
anche ai Paesi dello Spazio economico europeo (Norvegia, Islanda e Liechtentein) a
quelli dell’Europa centrale e orientale che avevano concluso accordi di associazione
con l’Unione Europea (Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica
Slovacca, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia), a Malta e Cipro.
A livello comunitario il programma è stato gestito dalla Commissione mediante
la Direzione generale XXII: Istruzione, Formazione e gioventù, che si avvaleva di
un Ufficio di Assistenza Tecnica (BAT, Bureau Assistence Technique)232. La Decisione
prevedeva la costituzione di un Comitato Leonardo da Vinci presieduto dalla
Commissione e composto di due rappresentanti per ciascuno Stato membro, di
norma funzionari delle amministrazioni federali o regionali. Rappresentanti delle
parti sociali partecipavano in qualità di osservatori. La funzione del Comitato era di
assistere la Commissione nell’attuazione del programma, all’occorrenza con l’aiuto
di sottocomitati. Il Comitato era un organismo consultivo emanante pareri sulle mi-
231 Reference: IP/95/del 2/03/1995.
232 In seguito a un pubblico appalto la Commissione ha selezionato Agenor, una società privata di
diritto belga. Il principale azionista di Agenor era l’organizzazione francese CESI. Nell’assetto societario
figurava anche Sistemi Formativi Confindustria dell’Italia. La Commissione e il BAT hanno sottoscritto
un contratto quinquennale di servizi (dall’1/06/1995 al 31/05/2001) rinnovabile annualmente.
Il costo del contratto era di 9,1 milioni di Euro per il 1995/1996, con una riduzione graduale annua. La
Commissione ha deciso di non rinnovare il contratto all’inizio del 1999 a causa della gestione, dell’organizzazione
e del controllo insoddisfacenti.
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187
sure da adottarsi ad opera della Commissione e, allo stesso tempo e conformemente
alla Decisione, era un Comitato di gestione con poteri di voto.
L’attuazione del programma in Italia competeva al Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale (Ufficio centrale per l’orientamento e la Formazione Professionale)
e al Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione generale per l’Istruzione
Professionale), mentre l’assistenza tecnica è stata affidata all’Isfol, che ha costituito
una INC, Istanza Nazionale di Coordinamento, operante nel quadro di un piano di
attività concordato con la Commissione233.
Il programma perseguiva una gamma di 19 obiettivi234. Tra di essi vi era la pro-
233 L’istanza nazionale di coordinamento lavora su alcune direttrici principali: a) la coerenza con
gli altri programmi, attraverso l’individuazione e la realizzazione di azioni comuni in materia di informazione,
valutazione, monitoraggio e confronto dei risultati raggiunti; b) l’informazione sul programma,
sia verso i potenziali promotori di progetto e fruitori, sia verso le istituzioni che lo promuovono
o ne sono responsabili; c) la valutazione, ex ante, in itinere ed ex post, collaborando con esperti
indipendenti nazionali e comunitari; d) la razionalizzazione e la diffusione dei risultati. Cfr. a tale proposito
i prodotti Isfol, Leonardo da Vinci. Progettazione e presentazione richieste di contributo: un
percorso in più tappe.
234 Cfr. art 4 della Decisione che istituisce il Programma: a) migliorare la qualità e la capacità innovativa
dei sistemi e dei dispositivi di Formazione Professionale degli Stati membri; b) sviluppare la
dimensione europea nella formazione e l’orientamento professionali; c) promuovere la formazione nell’arco
della vita allo scopo di favorire un adattamento permanente delle competenze inteso a rispondere
alle esigenze dei lavoratori e delle imprese, di contribuire alla riduzione della disoccupazione, nonché
di facilitare il pieno sviluppo della persona; d) dare la possibilità a tutti i giovani della Comunità che lo
desiderino di effettuare un anno o, se possibile, due anni o più di Formazione Professionale iniziale che
si aggiungano alla frequenza scolastica obbligatoria a tempo pieno e sfocino in una qualifica professionale
riconosciuta dalle autorità competenti dello Stato membro in cui è rilasciata; e) incoraggiare misure
specifiche di Formazione Professionale destinate ad adulti privi di qualifiche professionali adeguate,
e soprattutto ad adulti privi di istruzione adeguata; f) migliorare lo status e l’attrattiva dell’insegnamento
e della formazione professionali e favorire una parità di valori tra titoli accademici e qualifiche
professionali; g) promuovere la Formazione Professionale dei giovani e la preparazione dei giovani
alla vita adulta e professionale in vista delle esigenze della società e del mutamento tecnologico;
h) incoraggiare azioni particolari di Formazione Professionale a favore dei giovani svantaggiati privi di
formazione adeguata e in particolare dei giovani che escono dal Sistema scolastico senza una formazione
adeguata; i) promuovere la parità di accesso alla Formazione Professionale iniziale e permanente
a favore delle persone svantaggiate per esempio a motivo di fattori socioeconomici, geografici o etnici
ovvero a causa di menomazioni fisiche o mentali; una speciale attenzione dev’essere riservata alle persone
soggette a rischi diversi suscettibili di determinare la loro esclusione sociale ed economica; j) sostenere
le politiche di Formazione Professionale nel senso che ogni lavoratore della Comunità possa
avere accesso alla Formazione Professionale permanente senza alcuna forma di discriminazione durante
tutta la sua vita attiva; k) promuovere la pari opportunità di donne e uomini per l’accesso e la partecipazione
effettiva alla Formazione Professionale, in particolare per aprire loro nuovi settori professionali
e per favorire la ripresa di un’attività professionale dopo un’interruzione; l) promuovere la pari
opportunità dei lavoratori migranti, dei loro figli e dei minorati per l’accesso nonché per la partecipazione
effettiva alla Formazione Professionale; m) promuovere la cooperazione per quanto riguarda le
esigenze in materia di competenze e le necessità di formazione e incoraggiare l’acquisizione e la trasparenza
delle qualifiche e la comprensione delle competenze chiave adeguate allo sviluppo tecnologico,
al funzionamento del mercato interno, ivi comprese la libera circolazione di beni, servizi, persone
e capitali alla competitività delle imprese e alle esigenze del mercato del lavoro; n) promuovere la Formazione
Professionale tenuto conto dei risultati dei programmi di ricerca e di sviluppo tecnologici, in
particolare attraverso la cooperazione tra le Università e le Imprese nel settore della formazione alle
storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 187
188
mozione della qualità e dell’innovazione nei Sistemi nazionali di formazione, la promozione
dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, la formazione per persone
svantaggiate, l’accesso alla formazione, l’apprendimento delle lingue, le pari opportunità
nella formazione, la trasparenza delle qualifiche, l’apprendimento aperto e a
distanza, l’orientamento professionale e la cooperazione tra Università e Industria.
La struttura del Programma si articola in tre momenti: settori (strand), azioni, e
misure (cfr. Prosp. n. 16). Più in particolare, gli ambiti d’intervento del programma
sono ripartiti in settori, che si propongono rispettivamente di: I) migliorare la qualità
dei sistemi e dei dispostivi di Formazione Professionale negli stati membri; II) migliorare
le azioni di Formazione Professionale riguardanti le imprese e i lavoratori,
inclusa la cooperazione tra Università; III) favorire lo sviluppo delle competenze
linguistiche, delle conoscenze e della diffusione delle innovazioni nella Formazione
Professionale. Il quarto settore riguarda la funzionalità del Programma (reti tra stati
membri, interventi di informazione monitoraggio e valutazione).
All’interno di ciascun settore il programma individua le tipologie di azioni (cfr.
Pros. n. 16) che possono essere intraprese: progetti pilota transnazionali, programmi
di collocamenti e scambi (per tutti e tre i settori, dei primi sono beneficiari
giovani in formazione iniziale o in transizione alla vita attiva, anche di livello universitario;
giovani in cerca di prima occupazione o in inserimento nel mondo, gli
scambi, invece, riguarda personale impegnato in processi formativi o nel governo
del Sistema formativo) e progetti di indagine ed analisi (solo per il III settore).
Nell’ambito di ciascuna azione il Programma si articola in specifiche aree di intervento
o misure: 9 nel primo settore, 7 nel secondo, 6 nel terzo.
L’accesso al Programma da parte di soggetti, pubblici e privati, era regolamentato
da Avvisi a presentare proposte pubblicati annualmente. Avvisi nei quali erano
comunicati: le modalità di presentazione delle proposte, i criteri di ammissibilità e di
qualità e le priorità.
Le proposte dovevano essere presentate e valutate secondo due diversi tipi di
procedura (cfr. Fig. n. 42). La prima procedura riguardava i progetti con un legame
ed un impatto diretto con sistemi e dispositivi di formazione iniziale e continua degli
Stati membri. I diversi passaggi delle due procedure sono schematicamente riprodotti
nel Prospetto 17.
tecnologie, alla loro applicazione e al loro trasferimento; o) promuovere lo sviluppo progressivo di uno
spazio europeo aperto della formazione e delle qualifiche professionali, in particolare mediante lo
scambio di informazioni e di esperienze sugli ostacoli all’applicazione della libera prestazione dei servizi
degli organi di formazione; p) sostenere le attività volte a sviluppare le competenze linguistiche
nelle azioni di Formazione Professionale; q) promuovere lo sviluppo dei dispositivi di orientamento
professionale per dare ad ognuno la possibilità, nell’arco della vita, di un orientamento professionale di
qualità; r) favorire lo sviluppo dei metodi di autoformazione sul luogo di lavoro e dei metodi di apprendimento
e di formazione aperti e a distanza, in particolare per facilitare l’accesso alla Formazione Professionale
permanente; s) incoraggiare lo sviluppo e l’integrazione delle competenze chiave nelle
azioni di Formazione Professionale per promuovere l’acquisizione di qualifiche flessibili e di competenze
personali, necessarie alla mobilità dei lavoratori e alle esigenze delle imprese.
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189
Prospetto n. 16 - Programma LEONARDO: Settori, Azioni e Misure
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190
Figura n. 41 - Programma LEONARDO: Tipologie di azioni
Figura n. 42 - Programma LEONARDO: Tipi di procedura per la presentazione e valutazione dei
progetti
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191
235 Va notato che i progetti sono presentati soltanto in una sola gara d’appalto nazionale e che gli
altri operatori associati alla proposta pertinente da uno o più paesi partecipanti, non devono presentare
parallelamente la proposta. Tuttavia ai fini di una migliore trasparenza della procedura, gli altri partner
associati alla proposta dovranno inviarne per conoscenza una copia all’INC del loro paese, che dovrà
convalidare la loro partecipazione.
236 Il Progetto veniva giudicato in merito a: a) innovazione (miglioramento di contenuti, metodologie,
prassi e strumenti esistenti nella formazione); b) transnazionalità; c) partenariato di più tipologie
di operatori; d) il rispetto del principio di pari opportunità; e) la partecipazione attiva delle parti sociali
nel processo di gestione dell’iniziativa, compreso quello dell’utilizzo dei suoi risultati e prodotti; f) la
coerenza e la compatibilità del Progetto con le linee di programmazione dello sviluppo locale e settoriale;
g) sinergie evidenti e giustificate tra progetti Pilota e progetti di Scambi e Collocamenti; h) modo
in cui i progetti sostengono e completano le azioni dei Paesi partecipanti rivolte alle imprese e ai lavo-
Prospetto n. 17 - Programma LEONARDO: Fasi delle procedure di presentazione e selezione dei
progetti
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192
Come si può notare LEONARDO DA VINCI è un programma ampio per tipologia
di misure e di azioni, organico per aree di intervento e con iter procedurali, per
la presentazione e la valutazione, complessi. Nei Prospetti 18, 19, 20 ne proponiamo
una sintesi in schede.
ratori, esaminando in particolare gli aspetti seguenti: il cofinanziamento da parte delle autorità pubbliche
o delle fonti private; gli effetti attesi in termini di impatto sulle azioni di formazione per i lavoratori
e le imprese; la capacità di demoltiplicazione ulteriore dei risultati del progetto; la capacità di sperimentazione
mediante scambi, per esempio nel contesto di ulteriori inviti a presentare proposte.
Prospetto n. 18 - Programma LEONARDO: Scheda di sintesi delle misure ed azioni del settore 1
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193
Prospetto n. 19 - Programma LEONARDO: Scheda di sintesi delle misure ed azioni del settore II
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194
Abbiamo già accennato al fatto che negli Avvisi venivano anche precisate delle
priorità.
Nell’Avviso della Commissione del 1995, ad esempio, le priorità erano basate
sui cinque principali ambiti di azione identificati nel Libro bianco della Commissione
“Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva”237 (cfr. Prosp. n. 21).
Successivamente alla pubblicazione del bando comunitario gli Stati membri, se ne
ravvisavano l’opportunità, potevano pubblicare un bando in cui erano individuate
delle priorità nazionali specifiche. Quelle del 1995 definite dall’Italia sono quelle riportate
nel Prospetto 22.
237 1. Favorire l’acquisizione di nuove conoscenze; 2. Avvicinare lo scuola e l’impresa; 3. Lottare
contro l’emarginazione - offrire una seconda opportunità tramite la scuola; 4. Possedere tre lingue comunitarie;
5. Trattare sullo stesso piano l’investimento a livello fisico e l’investimento a livello di formazione.
Prospetto n. 20 - Programma LEONARDO: scheda di sintesi delle misure ed azioni del settore III
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195
Dopo la selezione dei progetti i contratti venivano stipulati da parte della Commissione.
In molti casi, soprattutto nei primi anni del programma, ciò ha comportato
la necessità di adattare la configurazione originaria dei progetti, a causa della richiesta
degli Stati membri di aumentare il numero di progetti finanziati. L’accettazione
di tale richiesta comportava la riduzione dei budget dei singoli progetti che si
sono tradotte in contributi comunitari inferiori rispetto a quanto previsto dai candidati.
Una volta completato tale processo, la Commissione stipulava un contratto di
diritto privato “belga” direttamente con ciascun promotore. I pagamenti per questi
progetti venivano effettuati dalla Commissione previa approvazione delle relazioni
valutative, intermedia e finale, presentate dai promotori del progetto. Per le misure
di mobilità decentrate, la parte contrattuale, il pagamento e il follow-up dei progetti
sono stati assicurati dalle Unità nazionali di coordinamento conformemente ai criteri
stabiliti a livello comunitario.
Per rimanere all’interno dell’arco cronologico di questo volume ci limitiamo ad
analisi e considerazioni relativi agli avvisi del 1995 e del 1996.
Nel primo anno i progetti presentati in Europa sono stati 4.542, di cui 749 ammessi
a finanziamento (non sono compresi quelli relativi a scambi e collocamenti).
La distribuzione dei progetti finanziati per tipologia viene illustrata nel Grafico 26.
Prospetto n. 21 - Programma LEONARDO: priorità comunitarie relative al bando del 1995
Prospetto n. 22 - Programma LEONARDO: priorità nazionali relative al bando del 1995
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196
In Italia, invece nel 1995 sono stati presentati 371 progetti.
– I.1.1.a - Miglioramento della qualità della Formazione Professione iniziale e la
transizione dei giovani alla vita attiva. È la misura che, in assoluto, ha registrato
la massima concentrazione di candidature. Hanno risposto prevalentemente
soggetti provenienti dal mondo dell’Istruzione tecnica e professionale e
gli organismi di formazione, sviluppando proposte che si sono concentrate pre-
Grafico n. 26 - Programma LEONARDO: progetti approvati per tipologia (Avviso 1995 -
Europa)
Tabella n. 19 - Progetti Pilota, di Analisi e di Demoltiplicazione (Anni 1955 e 1996 - Italia)
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197
valentemente su Ambiente238, Beni Culturali e Turismo239, alternanza Scuola-
Lavoro240, trasparenza della certificazione241;
– I.1.1.b - Miglioramento della qualità dei dispositivi di Formazione Professionale
Continua. Il numero di candidature relativamente basso (rispettivamente
13,5% e 14,5% del totale dei progetti presentati nei due anni considerati) è sintomo
dell’opacità di tale sistema a livello nazionale e indice della scarsa tradizione
nella progettazione di interventi su tale settore. Difficile trovare denominatori
comuni ai pochi progetti approvati (5 e 7), che possono comunque essere
distinti tra quelli che fanno riferimento a settori specifici242 e quelli, invece, che
hanno per oggetto metodologie e dispositivi per la Formazione Continua243;
– I.1.1.c - Informazione e orientamento professionale. Pochi sono i progetti pervenuti
e approvati (8 nel biennio 1995-96), concentrati principalmente sulla necessità
di dotare il sistema di operatori244 e strutture245, ricorrendo massicciamente
alle nuove tecnologie246;
– I.1.1.d - Promozione delle pari opportunità tra uomini e donne nella Formazione
Professionale. La situazione nazionale rispecchia fedelmente la perfor-
238 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di ITIS “P. Scalcerle” (Padova) Inquinamento e città, IPSIA Dalmazio
Birago (Torino), Pollunvirontech, definizione di un diploma di tecnico europeo dell’ambiente e
quello del 1996 della Regione Campania Agri-eco-form.
239 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: IAL (Torino) Traveltrain, ITG “G. Galilei” (Benevento),
Aresleo, recupero del patrimonio culturale, e quelli del 1996 di IPSAR/S. Pellegrino Terme (BG), Les
jeunes e l’entreprise; ENDO-FAP Fano (PS) Turismatica multimediale.
240 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di IPSIA di Settimo Torinese Patterns of alternance, IPSIA Dalmazio
Birago (Torino) Pollunvirontech, Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Bolzano,
L’apprentissage, IPSSCT Datini (Prato) Tifs, tutoraggio globale dii aziende della rete di imprese formative
simulate; e quelli del 1996 di SCIENTER (Bologna) Dosy relativo a un modello per la formazione
alternata dei giovani con CFL; di INFORCOOP (Roma) Alterneuropa che propone una metodologia
dell’alternanza nella formazione dei formatori e di SEC Sistemi Formativi Confindustria (Roma)
Valorizzare l’apprendistato.
241 Cfr. ad es. il progetto del 1995 del Consorzio di Istituti Professionali pubblici e privati dell’Emilia
Romagna, Trasparency of certification e quelli del 1996 dell’Organismo bilaterale nazionale
(Roma) Trasparency e della Regione Molise F.P.B .relativo alla certificazione della formazione di base.
242 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: ITSOS M. Curie (Cernusco sul Naviglio, MI) Sofia, elaborazione
di materiale in autoistruzione per il settore elettrotecnico elettronico, Unione nazionale industria
conciaria (Milano) Logiciel por le correct emploi, utilizzo di prodotti chimici nelll’industria conciaria,
CERTAM (Roma) Air traffic controllers, e i progetti del 1996 di ENEA (Roma) che riguarda le nuove
competenze professionali nella lotta biologica integrata; AECA Associazione emiliana centri autonomi
(Bologna) metodologie per la formazione iniziale e continua del turismo e della ristorazione.
243 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: Unioncamere C.C.C.T. Certification of Competence and
Credit Transfer, UILTUCS (Roma) Safety skills, formazione dei rappresentanti sindacali in materia di
tutela della salute e sicurezza sul lavoro; e quello del 1996 di ISF Istituto Superiore per la Formazione
(Roma) che ha per oggetto il ruolo delle parti sociali nella Formazione Continua.
244 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di IPSSAR Carre advising, cioè il docente consigliere di carriera.
245 Cfr. i progetti del 1996 di Consorzio Scuola Lavoro (Roma) Athena ‘96, e della Regione
Emilia-Romagna per la gestione integrata dei servizi per l’impiego.
246 Cfr. ad es. i progetti di: Regione Emilia-Romagna, Multimedia, Università Cattolica del Sacro
Cuore (Brescia) TISOP.
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mance europea rispetto a questa misura: uno scarsissimo numero di progetti
presentati. I progetti approvati (4 per ciascun avviso) sono rappresentativi di situazioni,
momenti e contesti differenti: pari opportunità nella formazione iniziale247,
che significa migliorare l’accessibilità da un lato e la sensibilità sul
tema in questione dall’altro, nella vita lavorativa, affrontando i temi della innovazione248
e delle nuove professionalità249, nella cultura del cittadino europeo,
come attenzione al rispetto reciproco e alla valorizzazione delle differenze250;
– I.1.1.e - Miglioramento della qualità nella Formazione Professionale a favore
degli svantaggiati. Anche in questo caso, l’Italia si allinea su una tendenza europea:
scarso interesse mostrato dai promotori ad intervenire sul tema della
marginalità e basso numero di progetti considerati eccellenti. I progetti approvati
(6) si distribuiscono tra quelli relativi a soggetti con disabilità psichiche e
motorie251 e quelli relativi a soggetti con criticità socioeconomiche252.
È possibile che nel fenomeno della scarsa partecipazione alle ultime due misure
considerate abbia giocato un ruolo dissuasivo il lancio e scadenza del bando di due
“volet” dell’iniziativa Occupazione Horizon nel 1995; entrambi centrati sulle tipologie
di destinatari finali considerati anche dalle misure di LEONARDO, ma con un
budget finanziario più consistente.
– II.1.1.a - Innovazione nella formazione. I 25 progetti del biennio considerato,
che coniugano innovazione tecnologica e Formazione Professionale, possono
essere sistematizzati all’interno di due categorie: a) la costruzione di materiali
didattici multimediali per la Formazione Professionale: in settori specifici –
247 Cfr. il progetto di Cooperativa Cultura e Professionalità (Roma) Youth gender education
gender mentoring workshop per la creazione di unità permanenti per le pari opportunità all’interno
delle scuole.
248 Cfr. il progetto del 1995 del Comune di Carpi (Modena) Aquita per supportare i cambiamenti
nel settore tessile e quello del 1996 di FOPRI Telework for Woman e di Fondazione Marisa Bellisario
sul telelavoro, di TIconuno (Milano) Waccis che studia i diversi comportamenti di genere nel confronti
dell’uso delle tecnologie.
249 Cfr. il progetto CID CGIL (Roma) Water analisi e comprensione delle opportunità occupazionali
di nuovo tipo presenti nei contesti urbani.
250 Cfr. il progetto di ECAP (Ravenna) Luce nera per la imprenditorialità di donne appartenenti a
minoranze etniche.
251 Cfr. ad esempio il progetto del 1995 di: ENFAP-UIL Mida, studio di esperienze europee per
l’inserimento di disabili in situazioni di apprendimento comuni e quello del 1996 di ENEA (Roma)
TED relativo ad un sistema, per disabili, di insegnamento scolastico e di Formazione Professionale a
distanza con l’impiego di tecnologie informatiche; e quelli del 1996 di ASPHI Associazione per lo Sviluppo
di Progetti Informatici per Handicappati (Bologna) TEAMNET per l’elaborazione di un modello
organizzativo comune per l’erogazione di prestazioni professionali in telelavoro e del Comune di
Roma Dipartimento Ufficio Speciale Formazione Professionale SMILE g.h. realtivo alla sperimentazione
di metodologie per l’inserimento lavorativo ed educativo di giovani handicappati.
252 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: CSEA Europa (Torino) Soglia, per soggetti adulti con basso livello
di scolarità, IPS Giordani (Parma) Rimotivazione mobilità e adattamento dei giovani alle realtà
del mondo del lavoro, IRES-CGIL (Roma) Child labour as a cause of social exclusion sulle problematiche
del lavoro minorile; e quelli del 1996 di: IPSCTP T. Confalonieri (Roma) Transform per un miglioramento
ed innovazione delle metodologie didattiche.
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agroalimentare253, costruzioni254, ambiente255, industria chimica256, industria dell’acqua257
e della moda258 – o per funzioni specifiche – formatori259, attori del dialogo
sociale260, operatori della pianificazione locale261 – o per temi di interesse
generalizzato – sicurezza262, sistemi qualità263; b) la predisposizioni di reti264;
– II.1.1.b - Investimento in Formazione Continua. I progetti non presentano delle
concentrazioni particolari su alcuni temi. Talora si muovono su spazi interstiziali,
che possono riguardare la elaborazione di materiali didattici per fund raising
nel settore no profit265 o per imprenditori e dipendenti di dealer (microimprese
che vendono motocicli e motoscooter)266. Altre volte hanno come beneficiari
finali ampie platee: ad esempio i neo-assunti di imprese di produzione267,
ruoli professionali medio-alti nel settore della distribuzione e cooperazione di
consumo268, impiegati nel front line delle imprese turistiche269, imprenditori e titolari
di PMI270, operatori medici e paramedici271. Altre volte i progetti si occu-
253 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di AISCRIS (Roma) ECOCOMPTE per la elaborazione di moduli
didattici disponibili su rete internet per il settore agroalimentare; di CISITA PARMA ALIMENFORM
per l’elaborazione di moduli di formazione a distanza per figure dell’agroalimentare.
254 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di AISCRIS (Roma) ECOCOMPTE per la elaborazione di moduli
didattici disponibili su rete internet per il settore delle costruzioni.
255 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di: ASSOENERGIA RTN-AMIANTO per lavoratori addetto alla
decontaminazione e bonifica dei rifiuti tossici e nocivi e dell’amianto.
256 Cfr. ad es. il progetto del 1996 di FEDERCHIMICA FORCHIM elaborazione di un manuale
sulla Formazione Continua per le imprese chimiche.
257 Cfr. ad es. il progetto del 1996 di HYDROCONTROL FORMAQUAPILOT.
258 Cfr. ad es. il progetto del 1996 dell’ACCADEMIA ITALIANA (Firenze) ECO-FORM per progettista
designer specialista in materiali ecologici.
259 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di: FILCAMS-CGIL (Roma) Formazione formatori, CONSORZIO
MIP (Milano) Onthejob.
260 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: IESS-AE (Roma) Au-dela du dialogue sociale elaborazione di
moduli formativi per negoziatori delle parti sociali in materia di FPC e Dialogo sociale; FIM-FIOMUILM
(Roma) JOINTNESS per lo sviluppo di un modello che supporti la crescita delle competenze dei
membri dei comitati sindacali congiunti; e i progetti del 1996 di FIM-FIOM-UILM (Roma) FORMGROUP.
261 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di ECOSFERA PROLODE per lo sviluppo di un pacchetto formativo
per problemi legati allo sviluppo urbano e locale.
262 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: CONFCOMMERCIO (Roma) SAFEMEDIA per la realizzazione
di un manuale e CBT multimediale in materia di sicurezza sul lavoro.
263 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di Consorzio aziende metalmeccaniche piemontesi (Torino)
Qualcert e CESFO (Padova) CERT-QUALITE’
264 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: SMILE (Roma) TULIP per la costruzione di una rete fra organizzazioni
sindacali e FILCAMS-CGIL Formazione formatori che prevede la creazione di una rete sindacale
europea sulla Formazione.
265 Cfr. il progetto del 1996 del CERFE (Roma) RASING NPOs.
266 Cfr. il progetto del 1996 dell’ISVOR-FIAT Cash.
267 Cfr. il progetto del 1996 della Federpiemonte BRAIN TEST.
268 Cfr. il progetto del 1996 dell’INIPA CReSI.
269 Cfr. il progetto del 1996 dell’Ente Bilaterale del Turismo Magellano.
270 Cfr. il progetto del 1995 dell’Ente Bilaterale toscano per la formazione professionale e l’ambiente.
271 Cfr. il progetto del 1995 dell’Azienda ospedaliera Ospedale San Carlo (Potenza).
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pano dello sviluppo e degli operatori272 e delle metodologie273 della Formazione
Continua. Un numero cospicuo di progetti verte su tematiche di interesse trasversale
a settori e tipologie di aziende, quali la qualità e la sicurezza sul lavoro274;
– II.1.1.c - Cooperazione tra Imprese e Università per la Formazione Continua.
Anche i 16 progetti di questa misura possono essere distinti a seconda che provvedano
alla elaborazione di dispositivi tecnici: per la Formazione Continua in
generale a prescindere dai contesti lavorativi (modello di open learning275, software
di autovalutazione276 qualità277 sicurezza278 o, invece, per la Formazione
Continua in specifici settori – automazione industriale279, ecologia280 – o per specifiche
funzioni aziendali (gestione manageriale e innovazione tecnologica)281;
– II.1.1.d - Pari opportunità. I pochissimi progetti di questa misura vanno a coprire
i bisogni più diversi: quelli legati all’acquisizione di competenze professionali
per ruoli (donne sindacaliste impegnate in processi di negoziazione)282,
figure specifiche (educatrice d’infanzia)283e specifiche funzioni (marketing e
promozione d’impresa)284, o quelli finalizzati a fornire una dotazione di competenze
trasversali a cui far ricorso in un mercato del lavoro flessibile285 o una cultura
d’impresa286o per la costituzione di reti con cui veicolare informazioni e
prodotti formativi287;
272 Cfr. il progetto del 1996 dell’Associazione Impresa & Management Tunes.
273 Cfr. i progetti del 1996 del CLP Centro Ligure per la Produttività CREAFIRM e dell’Istituto di
Formazione “F. Santi” (Genova) e quello del 1995 dello IAL Nazionale per la elaborazione di un software
di valutazione e autovalutazione delle competenze.
274 Cfr. il progetto del 1996 ACPA RISK MANAGEMENT.
275 Cfr. il progetto del 1995 di: SIAV (Mestre) AN OPEN LEARNING.
276 Cfr. il progetto del 1995 di Università di Salerno.
277 Cfr. il progetto del 1995 di Consorzio Milano Ricerche Multimedia system for training in qualità
certification.
278 Cfr. il progetto del 1996 Consorzio Milano Ricerche Multimedia training paths in the field of
safety and health.
279 Cfr. il progetto del 1995 FILSE (Genova).
280 Cfr. il progetto del 1995 della Scuola di amministrazione aziendale dell’Università di Torino
Laboratoire experimental pour l’eco-formation multimediatique e quello del 1996 del Consorzio per la
ricerca e l’educazione permanente c/o Politecnico di Torino TRUE.
281 Cfr. il progetto del 1995 di SINTESI (Palermo) Training Local Community Staff to Innovative
Service Organizations.
282 Cfr. il progetto del 1995 di CERTAM (Roma).
283 Cfr. il progetto del 1996 dell’Associazione centro nascita Montessori (Roma) Educatrici d’infanzia.
284 Cfr. il progetto del 1995 ASTER Marketing co-manager.
285 Cfr. il progetto del 1996 della Fondazione regionale Pietro Severo (Milano) E-Quality.
286 Cfr. il progetto del 1996 ANGA Associazione Nazionale Giovani Agricoltori (Catania) Bio-
Women.
287 Cfr. il progetto del 1995 di SCIENTER (Bologna) Development of a european clearing house
to facilitate cross-country exchange of open and distance learning e quelli del 1996 di GISIG LEONETWORK
GISIG e SINTESI BACONE.
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– III.1.a - Sviluppo di competenze linguistiche. Destinati a particolari categorie di
lavoratori (formatori e responsabili della gestione di Risorse umane nelle PMI),
i progetti afferenti tale misura ricorrono massicciamente alle nuove tecnologie e
alla Formazione a Distanza (FaD)288; notevole è anche l’utilizzo delle reti telematiche
per veicolare moduli di formazione e feed-back valutativi289. Le lingue
oggetto dei corsi programmati restano prioritariamente l’inglese, il francese, il
tedesco e lo spagnolo;
– III.2.a - Sviluppo delle conoscenze nel settore della Formazione Professionale.
Si tratta di una misura che ha attratto un numero considerevole di candidature la
cui qualità media è stata piuttosto elevata. I temi sviluppati vanno dall’analisi di
bisogni formativi all’interno di settori produttivi specifici290 al problema della
trasparenza delle qualifiche291, ai metodi di miglioramento dell’accessibilità e
fruibilità delle occasioni formative per particolari categorie di utenti292, alle modalità
di costituzione e gestione di reti locali per l’analisi e l’anticipazione dei
bisogni formativi di un territorio293, alla valutazione dei processi formativi294;
– III.3.a - Sviluppo della diffusione delle innovazioni nel settore della Formazione
Professionale. Le azioni di disseminazione dei risultati di iniziative
precedenti rappresentano l’obiettivo di questa misura295. Molti dei progetti presentati
hanno allargato il partenariato originario, includendo Paesi recentemente
entrati a far parte dell’UE; altri hanno adattato e migliorato il prodotto realizzato
aumentandone il potenziale di trasferibilità e diffusione (ad esempio,
sviluppando i glossari e traducendo in più lingue il materiale, che è stato trattato
anche per essere inserito e utilizzato attraverso le reti telematiche).
5.1.3. SOCRATES (1995-99)
Per completezza informativa menzioniamo il programma d’azione comunitaria
SOCRATES anche se tocca marginalmente la Formazione Professionale regionale296.
288 Cfr. ad es. i progetti di: AGILIT (Frascati, RM), ENAIP CEP (Torino) Ali.
289 Cfr. ad es. i progetti di IPSIA L. Montini (Campobasso) Planning and fulfilment of multiprocessing
module in English… CISL (Roma) Multimedia English, SINFORM Telematic network for
remote learning.
290 Cfr. ad es. il progetto di Federgasacqua (Roma), Forma-aqua.
291 Cfr. ad es. il progetto di IPSIA Cimino (Cremona).
292 Cfr. ad es. il progetto di IMED Way of Access per la formazione di immigrati.
293 Cfr. ad es. il progetto di CENSIS (Roma) Cooperation at the local level among economic institutional.
294 Cfr. ad es. il progetti di CESOS (Roma) Valutazione.
295 Il progetto di GISIG (Genova) ha diffuso i risultati di un progetto di formazione per “Sviluppatori
comunitari”, quello di OSR (Osservatorio Sindacale Regionale) (Sassari) i risultati di una precedente
iniziativa il Force Regional Standard, l’ITIS Trafelli di Nettuno ha promosso metodologie, prodotti
e risultati di un intervento per Coordinatore Tecnico Europeo (PETRA II), l’Assopiastrelle (Sassuolo)
ha diffuso prodotti e sistemi di certificazione della formazione dei posatori di piastrelle di ceramica
e infine l’IPSIA Fiocchi (Lecco) ha messo in una rete di formatori materiali innovativi nel campo
delle tecnologie della formazione industriale.
296 Decisione n. 819/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 1995, che istituisce
il Programma d’azione comunitaria SOCRATES in G.U.C.E. L 87 del 20.4.1995, pp. 10-24.
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SOCRATES è “destinato a contribuire allo sviluppo di una istruzione e una formazione
di qualità e di uno spazio europeo aperto di cooperazione nel settore dell’istruzione”
297. Gli obiettivi di SOCRATES sono:
– sviluppare la dimensione europea dell’Istruzione a tutti i livelli, valorizzando il
patrimonio culturale di ogni Stato membro;
– promuovere un miglioramento quantitativo e qualitativo della conoscenza della
conoscenza delle lingue dell’Unione Europea, nonché promuovere la dimensione
interculturale dell’istruzione;
– promuovere una cooperazione intensiva di ampio respiro tra le istituzioni degli
Stati Membri a tutti i livelli di istruzione, migliorandone il potenziale intellettuale
e docente;
– incoraggiare la mobilità degli insegnanti al fine di migliorare qualitativamente
le loro competenze; incoraggiare la mobilità degli studenti;
– incoraggiare i contatti fra allievi nell’Unione Europea;
– incoraggiare il riconoscimento accademico di diplomi, periodi di studio ed altre
qualifiche;
– incoraggiare l’istruzione aperta e a distanza nel contesto del programma;
– promuovere scambi di informazioni ed esperienze.
Comprende tre settori d’intervento (cfr. Fig. n. 43):
– per l’insegnamento superiore (con il programma ERASMUS);
– per l’insegnamento scolastico (con il programma COMENIUS);
– azioni trasversali per: a) le competenze linguistiche (LINGUA); b) l’istruzione
aperta e a distanza (IAD); c) gli scambi di informazioni e di esperienze
(EURYDICE e ARION).
L’azione a) del terzo settore, dedicata alla promozione dell’apprendimento linguistico,
è la trasposizione in SOCRATES delle azioni 1, 3 e 4 del precedente programma
LINGUA (azione 1 formazione degli insegnanti, azione 3 formazione linguistica
nel mondo del lavoro e azione 4 scambi tra giovani nell’area tecnico professionale
e nella scuola). L’azione si articola in una serie di sottoazioni298, tra cui quella
relativa a “progetti europei congiunti per l’apprendimento linguistico”299. È in
questo particolare segmento operativo che hanno operato alcuni CFP.
297 Ibidem, art. 1.
298 “Progetti di cooperazione per la formazione di insegnanti di lingue straniere”, “Formazione ed
aggiornamento delle competenze di lingue di docenti di lingue”, “Formazione iniziale per futuri insegnanti
di lingue”, “Sviluppo di strumenti didattici innovativi per la didattica e la valutazione”, “Progetti
europei congiunti per l’apprendimento linguistico”.
299 Autorità responsabili del programma per il nostro Paese erano il Ministero dell’Università e
della Ricerca Scientifica e Tecnologica ed il Ministero della Pubblica Istruzione rispettivamente per la
sezione prima e per le sezioni seconda e terza. Il Ministero della Pubblica Istruzione si è avvalso come
Agenzia nazionale della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze per le attività relative
alle azioni di COMENIUS e delle misure orizzontali. L’Isfol, in considerazione delle competenze istituzionali
in materia di Formazione Professionale e dell’esperienza maturata nel coordinamento del prostoriaFORMAZ3-
2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 202
203
gramma Lingua per la Formazione Professionale, ha svolto attività di informazione ed assistenza tecnica
per le azioni relative allo svolgimento dei progetti educativi congiunti.
300 Obiettivo dei Libri verdi comunitari è quello di lanciare un processo di consultazione a livello
europeo su specifici argomenti. Alla pubblicazione del Libro verde segue spesso quella di un Libro
bianco in cui le consultazioni effettuate si traducono in concrete proposte d’azione.
301 COMMISSIONE CEE, Futuro delle iniziative comunitarie nel quadro dei Fondi strutturali, COM
(93) 282 def, Bruxelles 1993.
302 La Commissione pertanto provvide ad un’ampia diffusione del Libro verde e stabilì il 30 settembre
1993 come data ultima per l’inoltro di osservazioni e proposte.
Figura n. 43 - Articolazione di SOCRATES
5.2. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali del 1993
La Commissione in data 16 giugno 1993 ha approvato un Libro verde300 sul “futuro
delle iniziative comunitarie nell’ambito dei Fondi strutturali”301. Il documento,
proposto come oggetto di dibattito (Stati membri, Parlamento, Comitato economico
e sociale, Regioni ed Enti locali) 302 non presenta proposte formali ma, come abitualmente
fa un documento di questa natura, suggerisce un quadro per il futuro, basato
sull’esperienza positiva maturata; esperienza positiva sotto più versanti: innanzitutto,
le iniziative comunitarie possono includere azioni la cui portata va al di là dei
confini nazionali, offrendo una piattaforma per incoraggiare la cooperazione transnazionale
e lo sfruttamento congiunto delle conoscenze disponibili in settori che
hanno problemi comuni; in secondo luogo esse costituiscono un elemento fondamentale
delle politiche strutturali aventi una vera e propria dimensione comunitaria
rispetto agli strumenti finanziari della Comunità che si limitano a sovvenzionare le
storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 203
204
politiche nazionali; in terzo luogo, esse sono particolarmente importanti per intervenire
con più vigore nei settori e a favore dei lavoratori maggiormente penalizzati dai
mutamenti dei sistemi produttivi, che spesso sfuggono ad ogni previsione nella fase
programmatoria; infine, le iniziative comunitarie possono contribuire all’innovazione
in quanto consentono di sperimentare nuove soluzioni. In caso di successo,
queste ultime potranno far parte degli orientamenti di base per il finanziamento dei
Quadri Comunitari di Sostegno.
Con quest’ultima osservazione il Libro verde configura le iniziative comunitarie
come una sorta di laboratorio di innovazioni da trasferire, una volta validate,
nell’ambito delle attività che fanno riferimento ai QCS. Sulla base delle reazioni suscitate
e dei pareri pervenuti nel giugno 1994 la Commissione ha adottato gli orientamenti
definitivi per ciascuna iniziativa, definendo i settori d’intervento, le zone
geografiche ammissibili, la ripartizione degli stanziamenti per programmi e Stati
membri303. In particolare sono state individuate 7 tematiche di interventi (cooperazione
e reti transfrontaliere, transnazionali e interregionali; sviluppo rurale; regioni
ultraperiferiche; occupazione e sviluppo delle risorse umane; gestione delle trasformazioni
industriali; politica urbana; pesca) da realizzare attraverso 13 iniziative, alcune
completamente nuove, altre, invece, un prolungamento, uno sviluppo o un
completamento di azioni già avviate (cfr. Prosp. n. 23).
303 COMMISSIONE CEE, Futuro delle iniziative comunitarie nel quadro dei Fondi strutturali, COM
(94) 46 def, Bruxelles 1994.
304 Da assegnare nel corso del periodo finanziario 1994-1999.
Prospetto n. 23 - Iniziative comunitarie rientranti nella Programmazione dei Fondi Strutturali
1994-1999
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205
5.3. OCCUPAZIONE e sviluppo delle risorse umane
In tale contesto è stata varata un’iniziativa per l’occupazione e lo sviluppo delle
risorse umane, articolata in tre gruppi di interventi (“volet”). Il primo gruppo è la
continuazione dell’iniziativa NOW, che promuove l’occupazione femminile. Il secondo
riprende l’iniziativa HORIZON, rivolta ai problemi dei disabili e delle categorie
sociali più deboli (per cui si distingue in due settori: HORIZON-handicap e
HORIZON-svantaggio) mentre il terzo gruppo di interventi, inteso a prevenire la
disoccupazione dei giovani al di sotto dei 20 anni, è costituito dal programma
YOUTHSTART, proposto dalla Commissione nel Libro bianco305 sulla crescita, la
competitività e l’occupazione. Il 6 gennaio del 1995 viene approvato il Programma
Operativo a favore dell’Italia, con una dotazione finanziaria totale pari a circa 348,7
MECU306, a favore di un numero di destinatari pari a circa 123.000, distribuiti per
“volet” come da Tabella 20.
Con i finanziamenti privati e nazionali l’importo totale di OCCUPAZIONE ammonta
a 589,1 MECU. Questa dotazione iniziale verrà successivamente aumentata.
Nel 1996 è stata fatta una riorganizzazione di HORIZON: i due settori diventano
due programmi: HORIZON-handicap prende il nome semplicemente di
HORIZON e HORIZON-svantaggio prende il nome di INTEGRA.
Distinti i “volet”, ma identici i principi operativi e le misure, cinque sono i principi
su cui si basa OCCUPAZIONE (cfr. Fig. n. 44):
305 A differenza dei Libri verdi (cfr. nota 2) i Libri bianchi sono documenti che contengono proposte
per azioni comunitarie in campi specifici. Quando un Libro bianco è accolto favorevolmente dal
Consiglio potrebbe sfociare in un programma d’azione dell’Unione nel settore di cui trattasi.
306 Per la distribuzione tra i Paesi comunitari sono stati adottate tre criteri per NOW, HORIZON e
YOUTHSTART: la popolazione femminile totale in età da lavoro, la popolazione totale e il livello
d’occupazione giovanile, per ADAPT, invece, il numero totale di dipendenti, dal quale va sottratto il
numero di dipendenti dell’amministrazione pubblica, nonché il livello di disoccupazione misurato
rispetto alla media comunitaria. Gli stanziamenti per OCCUPAZIONE e ADAPT sono stati adattati
verso l’alto nei quattro paesi beneficiari del Fondo di coesione (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda),
in modo da tener conto della loro densità di popolazione sensibilmente meno elevata.
Tabella n. 20 - Iniziativa OCCUPAZIONE: risorse finanziarie (MECU) e persone coinvolte
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206
1. transnazionalità: i progetti devono essere associati con progetti dell’iniziativa
OCCUPAZIONE in altri Stati membri incentrati su priorità simili o complementari;
2. innovazione: nel contesto delle prassi e delle priorità nazionali e regionali, si
prevede la sperimentazione di nuove idee o nuovi metodi, o di nuove combinazioni
di idee, di metodi e di collaborazioni già in atto;
3. partecipazione locale: i progetti dovranno coinvolgere un vasto numero di individui
ed organizzazioni locali, pubbliche e private, in modo che questa combinazione
di conoscenze e di esperienze possa dar luogo allo sviluppo di servizi
appropriati di orientamento, formazione o offerte di lavoro;
4. effetto moltiplicatore: le esperienze maturate durante il programma dovranno
essere verificate, valutate e ampiamente disseminate all’interno di reti di esperti
e di professionisti e nei riguardi di un più vasto pubblico;
5. complementarietà con programmi ed iniziative correlate dell’UE. In altri termini
gli obiettivi specifici di OCCUPAZIONE costituiscono un’estensione e
sono complementari alla gamma di azioni previste dai Quadri Comunitari di
Sostegno.
Esistono, inoltre, quattro misure nell’ambito di OCCUPAZIONE, ognuna delle
quali persegue gli obiettivi dell’Iniziativa in modo diverso, relative ai sistemi, alla
formazione, all’occupazione, alla informazione.
Il Programma operativo comprende tre sottoprogrammi:
– interventi nelle zone dell’Obiettivo 1;
– interventi nelle zone fuori dell’Obiettivo 1;
– assistenza tecnica.
I compiti dell’assistenza tecnica si distribuiscono secondo due grandi funzioni:
assistenza ai promotori dei progetti e alla dimensione transnazionale del programma
e assistenza alla dimensione nazionale. Queste funzioni realizzate nei singoli Stati
Figura n. 44 - Iniziativa OCCUPAZIONE: i cinque principi
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207
membri da Strutture Nazionali di Sostegno (SNS); nel nostro Paese questo ruolo è
stato svolto dall’Isfol307. La Commissione Europea ha inoltre creato un ufficio di assistenza
tecnica a livello europeo, chiamato EUROPS.
307 L’attività di assistenza tecnica si caratterizza per l’esperienza dell’animazione. L’attività di
animazione dei progetti, così come definita nell’ambito della programmazione della struttura nazionale
di supporto, si dispiega su vari livelli: a) l’animazione al progetto, intesa come supporto informativo e
tecnico ai promotori e di collegamento tra questi e il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale;
b) l’animazione territoriale, tesa a mettere in relazione progetti che insistono su un medesimo territorio,
agevolare sinergie tra promotori, Enti pubblici ed imprese in relazione con i piani di sviluppo locale,
identificare eventuali risultati e prodotti da condividere; c) l’animazione tematica, volta all’aggregazione
degli interventi sulla base di aree di lavoro comuni individuate e sulla base del contenuto
degli interventi, dell’impatto sulle politiche del settore a livello locale e nazionale, delle connessioni
tra le attività realizzate e le relative politiche comunitarie.
308 I dati riportati nel Rapporto Isfol degli anni 1995-1997 sono divergenti.
OCCUPAZIONE prevede due fasi: 1995-97 e 1997-99, con due serie di avvisi
pubblici. Gli Stati membri selezionano ed approvano le candidature ricevute a seguito
di un bando per la presentazione dei progetti. Gli Stati membri operano nell’ambito
di una struttura comune di criteri di selezione; possono tuttavia avere anche
specifici criteri di selezione nazionali che rispettino le loro priorità. Per essere ammissibile
al finanziamento, un progetto deve poter dimostrare di essere innovativo,
di avere un programma di lavoro transnazionale e deve avere uno, o preferibilmente
due, partner transnazionali. Nella prima fase l’Italia ha presentato complessivamente
1.131 progetti, nella seconda 2.738308 (cfr. Tab. n. 21). Per rimanere all’interno
dell’arco temporale del volume ci occupiamo solo della prima fase. I progetti
avviati nel nostro Paese durante la prima fase sono stati 231 con un budget complessivo
impegnato di circa 340 miliardi di lire (comprensivo di risorse comunitarie e
italiane). La durata dei progetti è di 2-3 anni e sono stati coinvolti oltre quindicimila
soggetti appartenenti come si diceva nel lessico del tempo alle “fasce deboli” del
mercato del lavoro.
Figura n. 45 - Iniziativa OCCUPAZIONE: misure
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208
Tabella n. 21 - Iniziativa OCCUPAZIONE: progetti presentati e approvati (I e II fase)
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Consedin
Grafico n. 27 - Iniziativa OCCUPAZIONE: Costo medio impegnato per progetto distinto per
“volet” (I fase)
Prospetto n. 24 - Iniziativa OCCUPAZIONE: Organismi di attuazione
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209
Il costo medio dei progetti (si tratta di impegni di spesa e non di erogazioni)
varia da settore a settore: i progetti HORIZON-svantaggio hanno un costo medio
inferiore a quelli degli altri settori (circa un miliardo e trecentomilioni), mentre i
progetti più costosi sono quelli appartenenti al settore HORIZON-handicap, che
impegnano una media di oltre un miliardo e seicentosettanta milioni di lire (cfr.
Graf. n. 27). Costi assolutamente non paragonabili a quelli delle attività formative
regionali “ordinarie”. Gli organismi di attuazione sono di diversa estrazione e provenienza
e possono essere distinti tra quelli che possono partecipare a tutti i bandi
di tutti i “volet” e quelli che possono partecipare a bandi di un solo programma.
5.3.1. HORIZON
a) HORIZON-handicap
Nel giugno 1996 è stata ultimata la procedura di selezione dei progetti presentati
per l’Iniziativa Occupazione HORIZON - prima fase. I progetti HORIZONhandicap
che a tale data risultavano ammessi a finanziamento erano 71, di cui 60 regionali
e 11 multiregionali (cfr. Tab. n. 22). I progetti regionali risultano equamente
distribuiti sul territorio nazionale; si rileva infatti un 52% di progetti approvati nel
Centro-Nord ed un 48% di progetti per le Regioni dell’Obiettivo 1.
I destinatari finali sono 8.745, mentre i beneficiari intermedi ammontano a
5.289 unità. I Grafici 28 e 29 illustrano la distribuzione per Regione dei 31 progetti
regionali del Centro Nord e dei 29 del Meridione.
Il 32% circa dei progetti considerati inserisce, fra i propri soggetti, portatori di
handicap motori. Si attestano su una percentuale di poco inferiore (circa il 26%) i
progetti rivolti ad handicappati psichici e mentali. Molto meno rappresentati risultano,
invece, gli altri gruppi bersaglio. Il 93% dei progetti inserisce fra i destinatari
del progetto i beneficiari intermedi (formatori, operatori, attori del sistema, responsabili
dello sviluppo delle risorse umane, consiglieri d’orientamento, operatori di
Centri di Formazione…); solo il 6% dei progetti finanziati è comunque rivolto
esclusivamente a questa categoria.
Tabella n. 22 - Volet HORIZON-handicap (Ia fase): ripartizione progetti regionali e multiregionale
per aree
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Ministero del Lavoro
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210
Per quanto riguarda il contenuto delle azioni la maggior parte dei progetti del
Centro-Nord si concentra sulla formazione e sull’inserimento nel mercato del lavoro.
In particolare, nel 74% dei progetti compaiono azioni di formazione e/o di sperimentazione
formativa di carattere innovativo309; nel 48%, azioni di inserimento lavorativo,
job matching e creazione di impresa310; e nel 25%, invece, anche azioni di in-
309 Cfr. ad esempio i progetti di: Fondazione Don Carlo Gnocchi TIME multiregionale (formazione
a distanza ), ASPHI Associazione per lo Sviluppo di Progetti Informatici per gli Handicappati,
Emilia Romagna, (job coaching, teleformazione).
310 Cfr. ad esempio i progetti di: Comune di Genova, Employment Link Europe (Liguria) (disabili
mentali e motori), Comune di S. Michele di Ganzaria (Sicilia) AIRONE (disabili psichici) Consorzio
per l’Impresa Sociale di Trieste (Friuli Venezia Giulia) Progetto Marienthal (disabili psichici), Service
COOP Processo di integrazione dei lavoratori nel mercato del lavoro, multiregionale (disabili psichici
e motorio).
Grafico n. 28 - Volet HORIZON-handicap (Ia fase) distribuzione progetti per Regioni
Centro/Nord
Grafico n. 29 - Volet HORIZON-handicap (Ia fase) distribuzione progetti per Regioni Ob.1
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211
formazione e networking specificamente delineate311. Una menzione merita la rilevante
presenza di azioni finalizzate all’attivazione di servizi locali di informazione
ed orientamento al lavoro per categorie disabili, che nel Centro-Nord interessa il 45%
dei casi. Nel Mezzogiorno, la tendenza da parte dei promotori a concentrare l’attenzione
sull’intervento formativo e l’inserimento lavorativo viene confermata dal fatto
che il 72% degli interventi è mirato alla formazione ed il 62% dei progetti finanziati è
rivolto all’inserimento lavorativo. Sono presenti in misura contenuta le ipotesi di
creazione di servizi stabili di orientamento lavorativo sul territorio312; solamente il
27% circa delle proposte contiene infatti una tale ipotesi. Circa il 34% dei progetti finanziati
nelle Regioni dell’Obiettivo 1 prevede la creazione di impresa313; tale percentuale
sale di poco (38%) nel caso di progetti finanziati nel Centro-Nord. La presenza
di un grande numero di progetti, circa 1/3 del totale fra Centro-Nord e Mezzogiorno,
che intendono perseguire l’integrazione economica degli handicappati per
mezzo della creazione di impresa, indica nella costituzione di cooperative314 una strategia
privilegiata per raggiunger l’obiettivo dell’inserimento lavorativo. Questo
orientamento può esser compreso, nel contesto della lunga tradizione della cooperazione
italiana che negli ultimi decenni si era consolidata anche in campo sociale315.
b) HORIZON-svantaggio
I progetti selezionati, 36 regionali e 6 multiregionali (cfr. Tab. n. 23) nella prima
fase dell’iniziativa (bando 1995) hanno iniziato la loro attività solo nel 1996316 e l’hanno
conclusa nel 1998. I progetti Horizon Svantaggio operano su due livelli di utenza: i
gruppi-bersaglio (3.577 unità)317 e le figure di operatori ad essi collegati (1.108)318.
311 Cfr. ad esempio i progetti di: IRECOOP Veneto, Arcobaleno (costituzione di un centro servizi
per le cooperative sociali).
312 Cfr. ad esempio i progetti di Comunità di Capodarco Nazionale, multiregionale (due strutture
territoriali informativi orientativi e di programmazione di percorsi d’inserimento lavorativo dei disabili).
313 Cfr. ad esempio i progetti di Comunità di Capodarco Nazionale, multiregionale (avvio e supporto
di un’impresa sociale).
314 Cfr. ad esempio i progetti di: Service COOP Processo di integrazione dei lavoratori nel mercato
del lavoro, multi regionale.
315 I progetti menzionati nelle note 110-115 sono descritti in ISFOL (a cura di TURRINI O., PEPE D.,
RUGGERI V., CHECCUCCI P.), La valorizzazione dei progetti di qualità I FASE - Rapporto di monitoraggio
dell’Iniziativa Occupazione Roma, 1999.
316 Questo avvio ritardato è dovuto al processo di riformulazione dei progetti approvati; riformulazione
che ha comportato un notevole ridimensionamento dei progetti multiregionali, una forte
riduzione delle ore di formazione, una leggera riduzione del numero dei beneficiari finali e una forte
variazione dei partenariati internazionali.
317 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997, Angeli, Milano 1997, p. 499. Il dato sulle unità è diverso da
quello riportato in ISFOL, La valorizzazione dei progetti di qualità, op. cit. che è di 3.988. La differenza
probabilmente è dovuta ai tempi diversi di elaborazione: i dati del Rapporto sono del 1977,
mentre quelli del saggio menzionato sono aggiornati a “febbraio 1999”. Ciò che risulta di difficile comprensione
invece sono le differenze nella composizione del target, per cui nel Rapporto gli immigrati
(439) rappresentano il 27,5% mentre nel saggio (2507) costituiscono il 62,9% dell’utenza complessiva
di HORIZON-svantaggio.
318 Analoghe considerazioni a quelle della nota precedente vanno fatte anche per il numero degli
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212
Per quanto riguarda il primo livello, la maggior parte dei progetti (cfr. Graf. n.
30) è indirizzata agli immigrati (439), cui seguono gli ex-tossicodipendenti (321) i
detenuti ed ex-detenuti (308). Gli andamenti italiani non sono dissimili da quelli europei.
Nelle graduatorie dei gruppi-bersaglio relative a tutti i Paesi dell’UE troviamo
ai primi tre posti le categorie che occupano le stesse posizioni nelle classifiche italiane,
anche se con valori diversi (ma con una forbice contenuta). Il 32% dei progetti
(in Italia il 27,5%) si rivolge a immigrati considerati in tutta Europa il target più vulnerabile
e quello maggiormente a rischio di esclusione, in conseguenza soprattutto
di barriere di tipi culturale e linguistico, che generano razzismo, discriminazione e
xenofobia. Importanti anche la seconda e terza posizione, rispettivamente dei tossicodipendenti
ed ex-tossicodipendenti e dei detenuti ed ex detenuti, per i quali l’Inioperatori.
Le differenze tra le due fonti sono notevoli: il Rapporto conta 1.108 operatori (di cui 286 formatori
pari al 26%), il saggio 4.608 (di cui 2.805 formatori pari 60,9%).
Tabella n. 23 - Volet HORIZON-svantaggio (Ia fase) ripartizione progetti regionali e multiregionali
per aree
Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys ed Europs
Grafico n. 30 - Volet HORIZON-svantaggio (Ia fase) gruppi-bersaglio destinatari di progetti in
Italia e nella UE (valori %)
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213
319 Vedi ISFOL, Rapporto Isfol 1997, Angeli, Milano, 1997 p. 501.
320 Cfr. ad esempio i progetti di AGEFORM (Emilia Romagna) Euro T.R.A.M.P. per persone sieropostive,
che prevede azioni di ricerca, formazione, progettazione e implementazione banca dati e rete
telematica regionale, produzione di CD-rom e ipertesto, di sensibilizzazione e diffusione dei risultati;
Arcisolidarietà (Lazio) Andrea per il reinserimento di persone detenute ed ex detenute che prevede attività
di orientamento, di formazione, di accompagnamento, in azienda, di addestramento per la costituzione
e gestione di una impresa sociale.
321 Cfr. ad esempio i progetti di: CRESM (Sicilia) Dentro e fuori dal carcere per il reinserimento
di detenuti che vede il coinvolgimento in organismi periferici dell’Amministrazione penitenziari, il Tribunale
di sorveglianza, l’amministrazione comunale e provinciale; IS.FOR.COOP (Liguria) per migliorare
la competitività delle cooperative sociali di svantaggiati e disabili che ha attivato la Federazione
regionale solidarietà e lavoro, Consorzio progetto Liguria e lavoro, Consorzio delle cooperative
liguri.
ziativa rappresenta un’opportunità per l’inclusione lavorativa non solo per motivi
economici ma anche per un riscatto sociale. Il secondo livello di utenza comprende
quelle figure che operano a favore delle categorie più a rischio di esclusione sociale
e dal mercato del lavoro. Tra questi i progetti selezionati in Italia privilegiano soprattutto
i formatori (286) e gli operatori sociali (196), mentre attenzione minore è
rivolta alle agenzie formative primarie, come quelle scolastiche (57 insegnanti, cfr.
Graf. n. 31).
I progetti hanno per la maggior parte come attività prevalente la formazione e
nel Sud dell’Italia spesso il progetto si realizza con i paradigmi “scolastici” della
Formazione Professionale regionale319. L’esigenza di approcci integrati320, di interventi
a rete coinvolgenti le realtà di sviluppo locale appare comunque condivisa
dalla maggior parte dei promotori321.
Le modalità di realizzazione della dimensione transnazionale sono state quelle
più tradizionali: scambio di visita tra beneficiari intermedi (operatori) e tra utenti finali.
Grafico n. 31 - Volet HORIZON - svantaggio (Ia fase) operatori destinatari dei progetti in Italia
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5.3.2. NOW
Nel 1995 risultano complessivamente presentati 553 progetti tra regionali e
multiregionali, dei quali sono stati approvati 67: 55 progetti regionali e 12 progetti
multi regionali (cfr. Tab. n. 24). La maggior parte dei progetti approvati risultano
presentati nelle Regioni meridionali ed in particolare Sicilia, Puglia, Campania e Calabria;
fra le Regioni Centro-Nord risulta un maggiore coinvolgimento dell’Emilia
Romagna e del Piemonte.
Rispetto agli assi di attività (sistemi, formazione, occupazione, informazioni)322
i progetti NOW, sia quelli presentati che quelli approvati, nella maggior parte dei
casi hanno previsto un’azione integrata che coinvolga tutti e quattro gli assi (34%);
nel 50% dei casi, infatti, le attività progettuali prevedono interventi di Formazione
Professionale e di supporto all’avvio d’impresa. In minoranza sono i progetti che riguardano
un solo asse.
Il settore economico prevalente risulta essere il terziario, soprattutto per le Regioni
meridionali. Le aree maggiormente interessate sono: turistica alberghiera, ristorazione,
promozionale e pubblicitaria, distribuzione commerciale, informatica e
telematica, istruzione e formazione. Le beneficiarie finali, 31.299 donne, hanno
un’età media compresa prevalentemente tra i 18 ed i 40 anni. Sono prevalentemente
in possesso di Diploma di scuola media superiore oppure di Laurea e sono soprattutto
disoccupate (51,6%), occupate (11%), rientranti al lavoro dopo periodi di lunga
assenza (14,8%) (cfr. Graf. n. 32). Se si incrocia il dato relativo alle “destinatarie finali”
con quello relativo alla “distribuzione territoriale” per macrocircoscrizioni si
scopre che la categoria “donne disoccupate” (media nazionale 51,6%) è più rappre-
322 Il PO così declina per il “volet” NOW: Asse A, Sistemi: riguarda lo sviluppo della cooperazione
e delle reti fra Enti pubblici della formazione e dell’occupazione; Asse B, Formazione: riguarda
la messa a punto, in un approccio integrato, di misure personalizzate e flessibili di formazione e di altre
misure concomitanti in materia d’informazione, orientamento, consulenza, formazione nelle imprese e
sostegno sul luogo di lavoro; Asse C, Occupazione: riguarda la creazione di posti di lavoro e di sostegno,
in particolare tramite la cooperazione transnazionale, all’avvio di piccole imprese e cooperative
femminili; Asse D, Informazione: riguarda le azioni di diffusione delle informazioni e di sensibilizzazione
in particolare tramite la cooperazione transnazionale.
Tabella n. 24 - Volet NOW (Ia fase) progetti regionali ripartiti per aree e multiregionali
Fonte: Elaborazione Isfol su dati del Ministero del Lavoro
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215
sentata al Meridione (62,2%), le tipologie di “donne occupate” e “immigrate”
(media nazionale rispettivamente di 11% e 1,6%) sono più presenti nel Nord-Est
(con il 16,7% per le prime e 3,7% per le seconde) mentre la classe “rientranti nel
mercato del lavoro” (media nazionale 14,8%) ha una maggiore rilevanza nel Centro
(22,2%)323. I profili professionali in uscita riguardano prevalentemente: le neo-imprenditrici,
le operatrici di servizi nel terziario e i tecnici di gestione. Nel 30% dei
casi viene rilasciata anche la qualifica professionale.
Per quanto riguarda i destinatari intermedi si registra questa gradatio (per i valori
assoluti e relativi vedi Graf. n. 33): al primo posto i formatori, seguiti con una forbice
di 24 punti percentuali da operatori sindacali. In terza posizione gli operatori di organizzazioni
datoriali, seguiti con valori identici o molto vicini da responsabili di risorse
umane, operatori di orientamento e operatori sociali. Chiudono questa classifica gli
operatori di servizi per l’occupazione appaiati agli operatori dei Centri di formazione e,
ultimi (con un distacco dai formatori di 24,3 punti percentuali), gli insegnanti.
La maggior parte delle partnership relative ai progetti NOW sono state attivate
con la Spagna, la Francia, la Germania e la Grecia.
In linea con gli altri volet del programma OCCUPAZIONE le innovazioni
NOW riguardano la progettazione formativa supportata da ricerche e analisi sui fabbisogni324,
l’uso delle metodologie non-tradizionali nei processi formativi325, ma so-
323 ISFOL (a cura di TURRINI O., PEPE D., RUGGERI V., CHECCUCCI P.) La valorizzazione dei progetti
di qualità op. cit., p. 90.
324 Cfr. ad esempio i progetti di: IFOLD (Sardegna) Anfitrite, COSPE (multiregionale) Impresa-
Hirundo, CEIS (Sicilia) Le donne fanno impresa in Europa.
325 Cfr. ad esempio i progetti di: ISTUD (Lombardia) Wemp che ha sperimentato tecnologie telematiche
per lo sviluppo di distance learning e distance consulting nei processi di creazione d’impresa,
Unione Industriale del Fermano (Marche) che ha predisposto software di autoistruzione e ha utilizzato
formazione a distanza.
Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys
Grafico. n. 32 - Volet NOW (Ia fase) destinatari finali (valori assoluti e %)
storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 215
216
prattutto l’integrazione tra percorsi formativi e percorsi per l’entrata nella vita attiva326,
le interazioni tra soggetti, istituzionali e funzionali, operanti nel territorio327 e
la creazione di strutture stabili di informazione assistenza e consulenza328.
5.3.3. YOUTHSTART
Se il problema della disoccupazione negli Anni ’90 continuava ad essere uno
dei maggiori problemi negli Stati membri dell’Unione Europea, che faceva registrare
un tasso medio dell’11,1%329, quello della disoccupazione giovanile, con un
tasso del 20% circa, rappresentava un problema nel problema330. Tra i giovani più
326 Cfr. ad esempio i progetti di: COSPE (multiregionale) Impresa-Hirund, ISTUD (Lombardia)
Wemp, IFOLD (Sardegna) Anfitrite che articolano le loro attività in: ricerca, formazione in presenza e
in alternanza, assistenza allo start-up d’impresa.
327 Cfr. ad esempio i progetti di: ISTUD (Lombardia) Wemp che ha coinvolto l’Assolombarda, la
Regione, le istituzioni femminili, le consigliere di parità, le Camere di Commercio, Istituti bancari, Comune
di Bologna Incubator and business growth network sorretto da CNA, Lega delle Cooperative,
Cassa di Risparmio di Bologna.
328 Cfr. ad esempio i progetti di: Arcidonna (Sicilia) Eurodonna in progress, CEIS (Sicilia) Le
donne fanno impresa in Europa, che prevede uno sportello per la consulenza a donne che intendono diventare
imprenditrici, ISTUD (Lombardia) Wemp che prevede la creazione di un Centro servizi nelle
imprese per le donne, per realizzare ricerca, formazione, consulenza e servizi per la valorizzazione del
potenziale femminile e per la gestione della diversità nelle organizzazioni; Comune di Bologna Incubator
and business growth network finalizzato alla costruzione di un incubatore d’impresa femminile.
329 Molto più alto di quello dei maggiori partner commerciali: infatti era il doppio rispetto a quello
dell’America e il quadruplo rispetto a quello del Giappone.
330 Nel 1996 il Forum Europeo della Gioventù (European Youth Forum il cui obiettivo è quello di
migliorare le condizioni di vita dei giovani in Europa e di dar loro la possibilità di partecipare attivamente
nella costruzione dell’Europa e della società) ha lanciato una campagna europea della durata di
Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys
Grafico n. 33 - Volet NOW (Ia fase) destinatari intermedi (valori assoluti e %)
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217
esposti a rischio di disoccupazione erano quelli che abbandonavano gli studi senza
qualifiche formalmente riconosciute o senza essere riusciti a completare il percorso
per il riconoscimento. Il loro tasso di disoccupazione era infatti quattro volte superiore
ai coetanei con qualifica. In questo contesto e sull’onda delle proposte e sollecitazioni
dei diversi Consigli europei331 nasce e si sviluppa una nuova iniziativa comunitaria,
YOUTHSTART dedicata ai giovani che si trovano nella fase che va dalla
prima alla tarda adolescenza, ossia quella dai 14 ai 19 anni. Il target di YOUTHSTART
nei confronti di questo universo, ampio e composito, è rappresentato dalle
categorie che più di altre avevano un accesso problematico al mercato del lavoro,
quelle gravate da una situazione di svantaggio sociale e cioè giovani immigrati, nomadi,
minoranze etniche, religiose e linguistiche nonché giovani appartenenti a
famiglie monoparentali, ex-tossicodipendenti, ex-detenuti, minori a rischio, senzatetto
(cfr. Fig. n. 46).
un anno contro la disoccupazione giovanile, denominata “Chiediamo un futuro”, per sottolineare il
fatto che 12 milioni di giovani devono avere la possibilità di ottenere un impiego duraturo e soddisfacente.
La campagna è culminata nella Giornata internazionale di azione contro la disoccupazione svoltasi
durante la presidenza irlandese. Il Forum ha chiesto alla classe politica di “adottare, durante la conferenza
intergovernativa, provvedimenti concreti per combattere la crisi della disoccupazione giovanile”.
331 I Consigli europei che si sono succeduti negli ultimi anni avevano progressivamente perfezionato
e finalizzato la lotta contro la disoccupazione nell’Unione e, in particolare, contro le difficoltà dei
gruppi maggiormente a rischio: i disoccupati di lungo periodo, le donne e i giovani. L’idea centrale di
YOUTHSTART, che cioè gli Stati membri e l’Unione devono concentrare i loro sforzi per meglio soddisfare
le esigenze dei giovani alle prese con la disoccupazione, era stata definita per la prima volta nel
Libro bianco della Commissione “Crescita, Competitività, Occupazione” (1993). Essa era poi stata inglobata
in un Piano d’Azione per l’Occupazione, che chiedeva lo sviluppo dei Sistemi di Istruzione e
Formazione degli Stati membri, unitamente ad un miglioramento significativo del mercato del lavoro.
Il Piano proponeva misure specifiche per i giovani che abbandonano gli studi senza una formazione
adeguata. Il Consiglio Europeo di Essen nel 1994 ha sottolineato l’importanza di dedicare maggiore attenzione
ai bisogni specifici dei giovani, migliorando l’accesso alla Formazione Professionale e producendo
sforzi particolari per chi abbandona la scuola con scarse qualifiche. Il Consiglio ha individuato
cinque settori chiave nei quali agire: a) qualificare gli investimenti nel settore della Formazione Professionale;
b) aumentare il coefficiente occupazionale del lavoro, soprattutto mediante azioni a livello locale;
c) ridurre i costi non salariali del lavoro; d) migliorare l’efficacia delle politiche passando da provvedimenti
passivi a provvedimenti attivi riguardanti il mercato del lavoro; e) rafforzare le misure in favore
dei gruppi maggiormente colpiti dalla disoccupazione. Alla fine del 1995 il Consiglio di Madrid
ha deciso di adottare una serie di proposte specifiche a favore di chi è più colpito dalla disoccupazione
e, riguardo ai giovani, ha proposto che “gli Stati membri, le classi dirigenti e il mondo del lavoro garantiscano
adeguate vie di accesso per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. A tutti i giovani
dovrebbe essere offerto un livello di istruzione, di formazione e di esperienza lavorativa che li renda
idonei al mercato del lavoro”. Nel giugno del 1996 il Consiglio di Firenze ha richiesto: a) un’iniziativa
congiunta da parte dei partner sociali per l’integrazione dei giovani, compresa una migliore combinazione
fra l’avvio della vita lavorativa e forme innovative di organizzazione del tempo di lavoro (quali le
temporanee sospensioni dell’attività professionale, il pensionamento graduale, l’orientamento professionale);
b) uno sviluppo più efficace degli strumenti basati sui programmi, in particolare YOUTHSTART
e LEONARDO.
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218
L’iniziativa, inoltre, considerava meritevole di attenzione particolare la situazione
di svantaggio che derivava ai giovani dalla loro appartenenza ad alcuni territori.
Tali erano considerati le zone urbane a rischio, le zone rurali spopolate e le regioni
in declino industriale. Nel corso della prima fase, è stato privilegiato un approccio
indiretto; cioè sono state attivate azioni destinate prevalentemente ai formatori,
agli operatori dell’orientamento, agli assistenti sociali e a tutte le categorie di
operatori a contatto con il mondo giovanile. All’avviso pubblico del 1995 erano stati
presentati 207 progetti di cui 169 regionali e 38 multiregionali. Ne furono approvati
solo il 25%, pari a 54 progetti, di cui 8 multiregionali (cfr. Tab. n. 25). I 25 progetti
delle Regioni meridionali hanno avuto a disposizione 41 miliardi e 624 milioni (di
cui solo la Sicilia 11 miliardi e mezzo) rispetto ai 23 miliardi e 91 milioni dei progetti
del Centro-Nord. Ai multiregionali sono stati riservati 16 miliardi e 227 milioni.
I giovani destinatari finali sono stati 13.979. Di questi, per quanto riguarda la prima
priorità (categorie), il gruppo più numeroso è rappresentato dai giovani a bassa scolarità
(16,9%), tutti gli altri gruppi presentano valori molto bassi che in termini relativi
non superano l’1%.
Per quanto riguarda, invece, la priorità “zone” i più rappresentati sono i 2.072
giovani che abitano in aree urbane svantaggiate (14,8%), che precedono i coetanei
delle aree industriali in declino (4,9%) e delle zone rurali spopolate (2,7%).
Il problema del reclutamento dei giovani svantaggiati, non intercettabili con i
canali tradizionali, è stato superato facendo ricorso a modalità inusuali, quali i contatti
con leader informali, la realizzazione di assemblee cittadine, incontri con sin-
Figura n. 46 - Volet YOUTHSTART: Priorità
Tabella n. 25 - YOUTHSTART (Ia fase) progetti regionali ripartiti per aree e multiregionali
Fonte: Elaborazione Isfol su dati Ministero del Lavoro
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219
daci. Una modalità, laboriosa ma efficace, è stata quella del contatto diretto dei giovani
drop-out identificati attraverso elenchi di nominativi forniti dalle scuole.
I destinatari intermedi sono stati 2.234, il 63% appartenenti al mondo dell’Istruzione
e della Formazione (35% formatori, 17% operatori dei Centri di formazione
e 11% insegnanti), il 7% al mondo del lavoro (operatori datoriali e sindacali
3% ciascuno e responsabili risorse umane 1%) e il 21% all’area dei servizi (sociali
10%, orientativi 8%, per l’impiego 3%).
Interessante l’esame delle tipologie dei soggetti impegnati nella realizzazione
dei progetti (titolari, attuatori e partner locali).
La maggior parte dei progetti sono gestiti (titolari) o realizzati (attuatori) da
Enti privati (circa 1’88% contro il 12% di Enti pubblici), nella maggioranza dei casi
associazioni senza fini di lucro.
La presenza degli Enti pubblici appare invece molto più consistente (121 a
fronte di 128 appartenenti al settore privato), se si considera la tipologia ed il numero
dei partner locali dei progetti, mediante i quali si attua l’approccio bottom-up.
Forte è tra i partner locali l’incidenza dei soggetti appartenenti agli Enti locali
(53), alle associazioni di categoria e alle parti sociali (65). Significativa, ma probabilmente
inferiore alle aspettative, è la partecipazione del mondo scolastico e universitario,
rappresentato da 35 partner locali (di cui 10 Università).
È poi da segnalare la partecipazione del mondo imprenditoriale (27 imprese),
pari a quella del cosiddetto privato sociale (26 soggetti).
Tuttavia l’elevato numero di partner locali sostenitori dei progetti non si traduce
sempre in una partecipazione significativa alle attività progettuali332.
Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys
Grafico n. 34 - Volet YOUTHSTART (Ia fase) destinatari finali
332 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997 op. cit., p. 510.
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220
Per quanto riguarda la transnazionalità i progetti hanno avviato 140 partenariati,
prevalentemente (82) con Paesi del bacino mediterraneo: 35 Spagna, 29 Francia, 18
Grecia.
Se dovessimo puntare sull’aspetto innovativo più importante di YOUTHSTART
possiamo senz’altro individuarlo nella sperimentazione e nella validazione
di un percorso formativo che si muove, salvo variazioni anche significative, su
questo paradigma: orientamento, formazione di base, formazione alla professione ed
inserimento lavorativo333.
Va segnalato, però, che questo modello era già stato adottato in alcuni Enti di
Formazione Professionale. Il valore aggiunto di YOUTHSTART sta nella validazione
del modello e nel processo successivo di mainstreaming.
5.3.4. Analisi e valutazione di OCCUPAZIONE
Una lettura “tipologica” dei progetti OCCUPAZIONE ci suggerisce una distinzione
in due grandi gruppi, trasversali ai “volet” e ai target:
– progetti mirati a favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro dipendente;
– progetti finalizzati alla creazione di nuovo lavoro.
Da un lato ci sono quindi i progetti che, particolarmente nelle aree dove il tessuto
economico e sociale è in grado di offrire delle prospettive occupazionali, mirano
ad elaborare, sperimentare, affinare strumenti di avvicinamento tra il mercato
ed i soggetti in cerca di occupazione. In particolare si punta sul supporto individuale
nella transizione verso il mercato del lavoro dipendente mediante l’accompagnamento
all’inserimento lavorativo. Esso punta a minimizzare quelle diversità responsabili
di dinamiche di esclusione ed autoesclusione in ambienti lavorativi già strutturati.
Strategia vincente solo a condizione che si attivino interventi per il mutamento
dell’ambiente sociale (modificando stereotipi negativi su target specifici
come, ad esempio, quello dei detenuti) e lavorativo in senso logistico (predisposizione
delle postazioni e del contesto organizzativo all’accoglienza dello svantaggiato
come, ad esempio, nel caso di un invalido)334.
Dall’altro lato si muovono gli interventi mirati all’inserimento professionale dei
target group dell’Iniziativa attraverso lo sviluppo dell’imprenditorialità. Il modello
trova il suo spazio in contesti socio-economici nei quali la creazione di lavoro risulta
una strada più facilmente percorribile rispetto alla competizione con gli altri gruppi
333 Cfr. ad esempio i progetti di: Cooperativa animazione Valdocco (Piemonte) Proteo che si articola
in formazione degli operatori, orientamento, livellamento, formazione in alternanza, creazione di
cooperativa, Tecnova (Molise) Youthstart multimedia che prevede le fasi di pre-orientamento, formazione
teorico-pratica, primo inserimento in attività lavorativa, orientamento ex-post, strat-up d’impresa;
MCG (Sicilia) Une Europe des jeunes en mouvement vers l’emploi strutturato nei momenti di
formazione alla professionalità (4 figure) anche in alternanza, cosituzione di una impresa, orientamento
per la definizione di percorsi individuali di accesso al mercato del lavoro per quanti non interessati
alla imprenditorialità.
334 La strategia specifica del modello si muove prevalentemente sulle azioni di accompagnamento
in azienda da parte di un tutor, job-coatcher in qualità di facilitatori del processo di transizione.
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221
di lavoratori nell’ambito dell’incontro domanda/offerta335. In questo gruppo rientrano
anche i progetti finalizzati alla promozione e al rafforzamento dell’impresa sociale,
che si muovono nella logica di rafforzare, in termini di servizi, le imprese sociali
esistenti e promuovere la germinazione di nuove imprese. L’interesse per l’impresa
sociale non è casuale nell’ambito dell’Iniziativa: essa infatti costituisce, per
particolari target, il principale canale di accesso al lavoro336. L’uno e l’altro percorso
spesso prevedono servizi di orientamento in grado di offrire ai gruppi svantaggiati la
possibilità di accesso alle informazioni relative ai servizi territoriali, alle normative
che possono agevolare l’inserimento per specifici target, alle dinamiche del mercato
locale anche in termini di disponibilità di iniziative formative e di attività di stage,
ma anche per avere un supporto alle scelte personali337.
I progetti OCCUPAZIONE vanno però soprattutto letti nell’ottica della innovazione.
Questa era la funzione loro attribuita nell’economia dei sistemi di formazione,
del lavoro e dell’inclusione.
Che l’obiettivo prioritario dell’Iniziativa fosse proprio la ricerca e la sperimentazione
di innovazioni capaci di suscitare cambiamenti nelle politiche formative ed
occupazionali è dimostrato anche dalla particolare rilevanza delle dotazioni finanziarie
dei progetti. I due miliardi stanziati, ad esempio, per un progetto NOW,
non servono, come è ovvio, soltanto ad occupare le 30 beneficiarie del progetto. Un
costo così alto non sarebbe infatti giustificato da un risultato numericamente così
poco rilevante. Il budget stanziato per il progetto dovrà invece permettere l’elaborazione
e la sperimentazione di un modello che, per dimostrarsi efficace, dovrà, è
vero, occupare le 30 beneficiarie del progetto, ma anche dimostrare di essere
sostenibile (apportatore, cioè, di effetti positivi permanenti nel tempo) e riproducibile
(applicabile, cioè, in altre situazioni e contesti).
Una volta elaborato e sperimentato il prototipo innovativo ed una volta appurata
la sua efficacia, sostenibilità e riproducibilità, risulterà necessario realizzare una
335 Dapprima il modello offre al target un bagaglio informativo sul mercato, sulle normative e sui
servizi territoriali e inoltre curare la dimensione motivazionale. Segue il momento formativo per acquisire
conoscenze ed abilità spendibili sul mercato nei settori tradizionali e nei nuovi bacini di
impiego e competenze necessarie per la creazione e gestione della neo-impresa (in forma singola o associata)
nonché capacità organizzativa e di autopromozione. Il successivo passaggio verso la creazione
di impresa prevede l’assistenza nel momento della transizione verso la libera attività imprenditoriale,
che può esplicarsi con interventi di consulenza erogati da parte di operatori appositamente preparati;
incubatori di impresa; tutorschip da parte di altre imprese.
336 I servizi in oggetto si riferiscono ad analisi di fattibilità, analisi di mercato, analisi dei fabbisogni
di impresa nonché consulenze per la elaborazione di piani di impresa.
337 I servizi di orientamento sperimentati dai progetti si presentano fortemente individualizzati.
Questa personalizzazione caratterizza sia i progetti che hanno previsto il servizio di orientamento professionale,
per indirizzare il destinatario verso la professione maggiormente vicina al suo curriculum,
sia quelli che hanno previsto “servizi di orientamento integrati”, a servizi orientativi più mirati alla
“mediazione sociale”, ovvero l’interpretazione del problema e la individuazione delle soluzioni e, in alcuni
casi, una azione di bilancio delle competenze. Sovente l’utente riceve un sostegno psicologico
nonché un rafforzamento della personalità attraverso un counselling di tipo motivazionale.
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222
serie di azioni finalizzate al trasferimento del modello all’interno del sistema di
riferimento (sistema formativo, dell’inserimento al lavoro ecc.) per una sua applicazione
su vasta scala.
Ma in cosa consistono gli aspetti maggiormente innovativi dei progetti OCCUPAZIONE
della prima fase? Prima di individuarli occorre affermare con molta chiarezza
che le innovazioni di cui parleremo non sono state prodotte nell’ambito di progetti
OCCUPAZIONE. Certamente, però, in questa Iniziativa trovano una sintesi,
una maturazione, un tasso di utilizzazione e una tematizzazione mai precedentemente
riscontrati. Le innovazioni a cui facciamo riferimento, e che presentano un
grande livello di trasferibilità nel sistema formativo, riguardano l’integrazione secondo
una duplice accezione: l’integrazione delle azioni e degli attori. I progetti si
presentano come interventi integrati secondo una duplice accezione del termine, in
quanto l’integrazione riguarda le azioni e gli attori.
OCCUPAZIONE sviluppa percorsi integrati di azioni complementari finalizzate
all’inserimento professionale. Queste azioni sono di diversa natura, riconducibili
a 7 macroaree: ricerca, orientamento, formazione, creazione di impresa, inserimento
lavorativo, supporto all’inserimento lavorativo e alla creazione di impresa,
informazione e diffusione. L’utilizzo di azioni afferenti alla maggioranza delle 7 macroaree
appare un elemento costante nei progetti appartenenti a tutti e quattro i settori
dell’Iniziativa OCCUPAZIONE. Infatti il 68% dei progetti svolge azioni relative
a 6 o 7 delle aree descritte, il 22% dei progetti ne considera da 4 a 5 mentre soltanto
il 10% delle proposte progettuali si concentra su meno di 4 aree di attività. Ciò
testimonia la crescente consapevolezza da parte degli operatori che l’inserimento
socio-lavorativo del soggetto svantaggiato è un processo per il quale è necessario attivare
un insieme di misure in grado di rispondere ai diversi aspetti nei quali si manifesta
il disagio. In concreto, la soluzione consiste nell’inserire i beneficiari in un percorso
che li accompagni dall’accoglienza fino all’inserimento lavorativo proseguendo
le azioni di supporto oltre l’inserimento stesso. L’Iniziativa OCCUPAZIONE
si configura come il luogo deputato per eccellenza a realizzare questo tipo di
percorsi sperimentali, sia per la varietà e tipologie di azioni finanziabili (cfr. Fig. n.
47), sia per il carattere esplicitamente richiesto agli interventi sia, infine, per la rilevante
dotazione finanziaria dei progetti.
In pratica, nei percorsi integrati, l’elemento formativo, considerato il principale
strumento di sviluppo di risorse umane, ma spesso utilizzato come unico mezzo di
qualificazione, viene a caratterizzarsi come uno degli elementi del percorso, sia pure
di valenza fondamentale. La formazione, cioè, non è più l’unica strategia. Pur rimanendo
una risorsa fondamentale viene affiancata, nel percorso verso l’inclusione
socio-lavorativa, da altre azioni.
Il percorso tipico si articola in queste tappe:
– presa in carico del soggetto (pubblicizzazione degli interventi e reclutamento
dei beneficiari);
– azioni e servizi per favorire la permanenza del soggetto nel percorso e a garantirne
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un esito positivo (tutoraggio, supporto psicologico, counselling motivazionale,
sensibilizzazione dell’ambiente sociale che ruota attorno ai destinatari);
– esame delle competenze del soggetto, del suo potenziale e delle prospettive che
il mercato ed il territorio gli offrono (orientamento al mercato, bilancio delle
competenze);
– qualificazione e preparazione del beneficiario (sviluppo delle competenze tecniche
e trasversali);
– sperimentazione delle competenze acquisite dal soggetto (formazione in alternanza,
stage, inserimento lavorativo in imprese di transizione, incubatori d’impresa);
– inserimento lavorativo (come lavoratore dipendente o come lavoratore autonomo
o imprenditore);
– azioni e servizi per supportare il beneficiario nella fase iniziale dell’inserimento,
quella maggiormente a rischio (servizi di consulenza ai singoli soggetti
ed alle neo imprese, prosecuzione del tutoraggio individuale o di impresa).
L’integrazione delle azioni non rappresenta solo una operazione di tecnica ingegneristica
ma anche una operazione culturale. Infatti, se prima il focus, l’attenzione
del sistema formativo era sull’intervento, ora si sposta sul soggetto, sulla persona
del beneficiario.
La prospettiva dell’uniformità lascia il posto a quella della personalizzazione.
Non si parte dall’offerta, peraltro standardizzata e preconfezionata, buona per
tutte le situazioni ma dai bisogni del singolo inserito in un determinato contesto. Un
percorso formativo per ex detenuti può aver avuto esiti didattici positivi: tutti hanno
Figura n. 47 - Azione OCCUPAZIONE: tipologie di attività presenti nei progetti
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224
acquisto le competenze professionali obiettivo dell’intervento. Ma se non ci sono
servizi che promuovono presso il mondo aziendale una cultura dell’accoglienza degli
ex detenuti e se questi non sono “accompagnati” nella prima fase del loro ingresso nel
mercato del lavoro, l’intervento formativo probabilmente risulterà fallimentare. E ancora:
un progetto può rispondere ad un’analisi del fabbisogno territoriale puntuale e
pertinente e usufruire di un programma didattico di tecnologie e di docenti ottimi, ma
se non viene destinato alle persone “giuste”, perché è mancato un processo di informazione
e di orientamento, è destinato all’insuccesso. Come rischia la “mortalità infantile”
una neo azienda o un’impresa in gestazione se non viene sottoposta all’assistenza,
alla consulenza e al sostegno di un “incubatore d’impresa” così un allievo con
un bagaglio di competenze ancora non ben strutturato ha maggiori chances di successo
se lo si fa transitare per un breve periodo in un “laboratorio d’impresa”, ambiente
composto da piccole aziende produttive strettamente legate all’Ente di Formazione.
All’integrazione delle azioni viene a sommarsi nei progetti OCCUPAZIONE
l’interazione degli attori. La costituzione di reti territoriali, caratteristica distintiva
dell’Iniziativa (“approccio bottom-up”) ha portato al coinvolgimento di attori chiave
nei territori di realizzazione dei progetti. Enti locali, parti sociali, Enti di Formazione,
Enti del privato sociale, Imprese, Asl, provveditorati, agenzie per l’impiego,
si sono ritrovati a colloquiare anche in aree dove il loro tradizionale scollamento costituiva
uno dei principali ostacoli alla inclusione delle fasce deboli. Quanto sperimentato
per alcuni target vale per i percorsi d’inserimento lavorativo destinati a tutti.
Il grande merito dell’approccio bottom-up di OCCUPAZIONE è stato quello di far
prendere consapevolezza che un progetto per l’inserimento lavorativo debba necessariamente
coinvolgere più attori. In altri termini, il richiamare attorno ad un progetto
soggetti diversi non dà solo un valore aggiuntivo all’iniziativa, non rappresenta
solo un approccio più “adeguato”, non è una ottimizzazione di qualcosa che
già in sé è completo, ma è un percorso “obbligato” perché la sua complessità esige
soluzioni che rinviano a competenze e skills dei diversi soggetti che costituiscono il
tessuto sociale e istituzionale del territorio. Dall’analisi delle buone pratiche sperimentate
all’interno dei progetti si evince la tendenza alla trasformazione delle
agenzie educative e formative in vere e proprie agenzie di servizi per l’informazione,
l’orientamento e l’inserimento lavorativo. È l’affermazione del modello agenziale
delle strutture formative, tema caro alla pubblicistica del settore e alla legislazione
della Formazione Professionale di seconda generazione. Le strutture formative,
cioè, non si connotano più solo come luogo e soggetto di percorsi formativi, ma
come servizi che precedono e seguono la formazione strictu senso. E d’altra parte la
formazione stessa, sempre più, esce dai confini ristretti dell’aula e dalla modalità
face to face. Oltre alla prassi (ormai generalizzata) della formazione in alternanza si
diffonde, grazie allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
la formazione a distanza. La diversificazione dei prodotti delle agenzie formative
esige acquisizione di competenze nuove da parte del personale che in esse
opera. Per questo molti progetti hanno puntato alla definizione e alla formazione
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delle diverse figure di operatori impegnati nell’erogazione dei nuovi servizi: operatori
dell’orientamento, tutors, mediatori culturali.
5.4. ADAPT - Adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e al miglioramento
del mercato del lavoro
L’iniziativa comunitaria ADAPT nasce con l’intento di sperimentare azioni innovative
che introducano in Europa un Sistema di Formazione Professionale Continua338.
Finora non erano mancati interventi formativi di aggiornamento, riqualificazione
o riorientamento nel mercato dal lavoro. Si trattava però, almeno nel nostro
Paese, di azioni estemporanee, occasionali e contingenti. Era mancato un sistema organico,
cioè un insieme strutturato e coordinato. Tale iniziativa era fortemente suggerita
dalla necessità di rispondere a fabbisogni formativi per far fronte ad una pluralità
di fenomeni che negli ultimi anni si erano progressivamente manifestati in maniera
più evidente e generalizzata: l’accelerazione delle trasformazioni industriali,
l’emergere di una società dell’informazione, l’innovazione dei sistemi di produzione,
i cambiamenti tecnologici nei diversi settori339. Un’attenzione particolare
viene riservata da ADAPT alle piccole e medie imprese, sia per la loro rilevanza
nelle economie nazionali della Comunità sia per la scarsa cultura e per le difficoltà
di queste a progettare e gestire processi formativi340. Attenzione più che giustificata
anche dalla situazione del nostro Paese. Si consideri infatti, che il censimento generale
del 1991 dell’ISTAT341 dimostrava che la struttura produttiva italiana si fondava
sulle PMI. Rispetto a quelle di grandi dimensioni che rappresentavano lo 0,1%
del totale, le imprese di piccole dimensioni costituivano il 94,1% del totale e quelle
medie il 5,8%342. Sono beneficiari dell’iniziativa343:
338 Comunicazione agli Stati membri del 1 luglio 1994 (in G.U.C.E. C 180 dell’1.7.1994).
339 Cfr. Reference IP/95/501 del 24 maggio 1995. Nel lanciare i nuovi programmi operativi di
ADAPT il Commissario Flynn ha affermato che le industrie europee si trovano di fronte a nuovi metodi
di produzione e di lavoro: “Ad esempio, circa l’80% delle tecnologie produttive attuali saranno obsolete
alla fine del secolo, mentre l’80% dei lavoratori che saranno chiamati a gestire le nuove tecnologie
sono già entrati nel mondo del lavoro; dobbiamo raccogliere la sfida dei mutamenti tecnologici e i programmi
ADAPT forniranno assistenza in questo processo”.
340 Le PMI, infatti, costituiscono a livello comunitario una priorità, per due diverse ragioni: da un lato
si era constatato che da circa venti anni esse rappresentavano il vero motore dell’innovazione e dell’occupazione
e parallelamente si accentuavano le difficoltà delle grandi imprese ad adattarsi alle procedure
lunghe e difficili del cambiamento (proprio in un momento in cui l’ambito di intervento delle imprese si
globalizzava a livello mondiale); dall’altro lato tale vitalità delle PMI, come pure la loro flessibilità nell’organizzazione
interna, appariva controbilanciata dalla difficoltà di accesso alle fonti di finanziamento
per la formazione ed ai vari strumenti finanziari, compresi quelli comunitari e dalla scarsa capacità nella
previsione di propri bisogni di competenze nuove e nella gestione dei relativi processi formativi.
341 ISTAT, 7° Censimento generale dell’industria e dei servizi, ISTAT, Roma 1991.
342 La maggior parte di queste erano unilocalizzate e solo il 5,8% svolgeva l’attività in due o più
unità. La natura giuridica prevalente riguardava le imprese individuali (71,7%), mentre le società erano
il 27,5% e le altre forme giuridiche lo 0,8%.
343 Il processo di definizione del concetto di Formazione Professionale Continua nel tempo si è polarizzato
in due filoni che raggruppano i diversi tentativi di chiarificazione. Un primo gruppo tende a
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– i lavoratori occupati nelle imprese. La categoria più importante delle persone coinvolte
da ADAPT è quella dei lavoratori e delle lavoratrici minacciati di disoccupazione
nel quadro delle imprese sottoposte alle trasformazioni industriali;
– i lavoratori che hanno appena perduto il loro lavoro a causa di una ristrutturazione
dell’impresa o di un settore, per favorire la creazione di posti di lavoro indipendenti;
– i lavoratori temporaneamente disoccupati per una situazione di sospensione
temporanea del loro contratto in seguito a problemi legati ai mutamenti industriali;
– i lavoratori che prestano la loro opera a tempo parziale, in seguito ad una riorganizzazione
comprendente una modifica dell’orario di lavoro; i lavoratori potenzialmente
occupabili nei nuovi posti di lavoro creati dopo un riorientamento ed
una riqualifica professionale.
Alle criticità di un target così composito ADAPT risponde con misure articolate
in quattro assi (cfr. Fig. n. 48)344. In considerazione dell’importanza che ciascun
definire in maniera ampia e a maglie larghe la Formazione Professionale Continua, utilizzando un criterio
ad excludendum: Formazione Professionale Continua è tutto ciò che non rientra nella Formazione
Professionale Iniziale; un secondo filone tende ad individuare una definizione molto più restrittiva: i
beneficiari della Formazione Professionale Continua sono i lavoratori occupati. L’uno e l’altro filone
effettuano un’operazione di selezione e riduzione della complessità che questa tematica presenta e che
si manifesta nel percorso normativo che il nostro Paese ha realizzato in materia dall’art. 35 della Costituzione
(cfr. CEDEFOP, Glossarium della formazione professionale, 1994; ISFOL, La formazione continua
in Italia, F. Angeli, Milano 1995; GALLINA V., LICHTNER M. (a cura di), L’educazione in età
adulta. Primo rapporto nazionale, F. Angeli, Milano 1994; LION C., Formazione continua in Italia:
Nodi critici e prospettive di sviluppo in Professionalità, n. 48, 1998, pp. 13-20).
344 Asse 1 - Azioni di formazione, consulenza e orientamento. Tale asse prevede azioni di ricerca
e studio; azioni per lo sviluppo di nuove qualifiche e competenze professionali; azioni di orientamento;
azioni di assistenza tecnica e di formazione; nel dettaglio potranno essere finanziate le seguenti
misure: a) il sostegno sotto forma di consulenza per gruppi di imprese per assisterle nella identificazione
delle conseguenze dei mutamenti industriali, nella definizione ed elaborazione di piani
commerciali e delle corrispondenti azioni formative; b) il sostegno allo sviluppo ed alla realizzazione
di programmi formativi per nuove qualifiche e competenze migliorando la collaborazione tra organismi
formativi, Centri di ricerca, Enti di sviluppo e le imprese; c) lo sviluppo e la diffusione di sistemi
di orientamento e consulenza per lavoratori colpiti dalle trasformazioni economiche ed in particolare
quelli minacciati di disoccupazione o quelli delle PMI; d) l’assistenza alle PMI per l’elaborazione
e l’attuazione di programmi formativi; e) formazione per migliorare le capacità degli imprenditori
e dei dirigenti ad adattarsi alle trasformazioni e ad elaborare i relativi piani commerciali. Asse 2 -
Anticipazione, promozione dei collegamenti in rete e nuove opportunità di lavoro. All’interno di tale
asse, le misure riguardano: a) l’anticipazione delle tendenze del mercato del lavoro e delle esigenze
connesse con le trasformazioni dell’ambiente nell’industria e nei servizi, attraverso la creazione e lo
sviluppo a livello europeo di reti settoriali e regionali incaricate di analizzare le tendenze dei mercati,
dei sistemi di produzione, dell’organizzazione delle imprese, delle relazioni industriali, dell’occupazione
e delle necessarie qualifiche; lo sviluppo a livello locale di strutture di sostegno e di servizio offerti
alle imprese; b) l’incoraggiamento alla collaborazione ed alla formazione di attività economiche
per creare nuove opportunità di lavoro; c) il sostegno alle iniziative locali di sviluppo dell’occupazione.
Asse 3 - Adattamento delle strutture e dei sistemi di sostegno: a) la promozione della collaborazione
e degli scambi fra imprese e centri di ricerca nel settore del trasferimento delle tecnologie per i
mercati locali del lavoro e per i settori economici più colpiti dalle trasformazioni e formazione destistoriaFORMAZ3-
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gruppo di azioni riveste nell’economia generale dell’iniziativa, a ciascun asse è
stata assegnata dal programma operativo italiano una quota percentuale delle risorse
finanziarie disponibili: 40% al primo, 35% al secondo, 15% al terzo e 10% al
quarto. L’Isfol è stato incaricato dal Ministero del Lavoro quale Struttura Nazionale
di Supporto (SNS). L’iniziativa prevede due periodi di programmazione: un primo
bando di gara nel secondo semestre 1995345 ed un secondo bando all’inizio del
1997.
nata alle imprese ed Enti di formazione professionale; b) sostegno ai programmi di formazione dei
formatori in materia di adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e alle trasformazioni dei sistemi
produttivi; c) il sostegno alle azioni che promuovono la collaborazione tra imprese a livello regionale,
interregionale e transnazionale, in particolare la formazione alla creazione di strutture per la
fornitura di servizi (ricerca, progettazione, marketing, ecc.). Asse 4 - Azioni di informazione, di diffusione
e di sensibilizzazione: a) sviluppo di banche dati sull’occupazione; b) diffusione delle migliori
prassi produttive e scambio di esperienze sulla base di una strategia interregionale e transnazionale; c)
studi relativi ai mutamenti industriali, considerando in particolare la gestione, l’organizzazione, le innovazioni
tecnologiche, le nuove prassi ed i nuovi sistemi produttivi, i sistemi di comunicazione e di
informazione, i fattori ambientali ed il loro impatto sull’occupazione e le competenze/qualifiche della
forza lavoro, connessi con impatto sull’occupazione e le competenze/qualifiche della forza lavoro,
connessi con i metodi ed i risultati della formazione, della formazione dei formatori e delle attività di
orientamento professionale; b) le azioni per accrescere la consapevolezza dei vari settori economici,
dei servizi di formazione e dell’occupazione, degli istituti di ricerca, delle camere di commercio e dell’industria,
delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e dei pubblici poteri, in particolare
attraverso uno specifico scambio di seminari e la pubblicazione di manuali sulle prassi migliori; sostegno
ai servizi di informazione e alle strutture di supporto come le reti per la diffusione delle informazioni.
Cfr. ISFOL Cd Rom Uno sguardo su ADAPT.
345 Circolare del Ministero del Lavoro e P.S. n. 77/95 del 28 giugno 1995 in GU, serie generale n.
158 dell’8 luglio 1995.
Figura n. 48 - Iniziativa ADAPT: assi
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I soggetti che hanno titolo a presentare iniziative sono: le imprese, le amministrazioni
pubbliche, i rappresentanti delle parti sociali ed economiche, con preferenza
per gli organismi bilaterali, gli organismi pubblici e privati di Formazione Professionale,
gli istituti di insegnamento superiore pubblici e privati, i servizi per l’impiego,
gli istituti di ricerca.
Quanto alla parte finanziaria (cfr. Tab. n. 26), circa 530 miliardi di lire il Fondo
Sociale Europeo interverrà con un cofinanziamento del 35% per le azioni svolte
nelle Regioni dell’Obiettivo 1 e del 45% per le azioni svolte nelle Regioni del
Centro-Nord.
È prevista, inoltre, una partecipazione finanziaria dei privati alle azioni di almeno
il 15% nelle Regioni dell’Obiettivo 1 e del 25% nelle Regioni del Centro-Nord.
Ai progetti di interesse multiregionale (per rispondere a fabbisogni formativi
del personale di strutture formative o aziende dislocate su più sedi) è riservata una
quota pari al 20% dell’ammontare complessivo previsto.
Il processo di selezione dei progetti segue questa procedura: ciascuna Regione
valuta e sceglie i progetti “regionali” di propria competenza, il Ministero seleziona i
“multiregionali”346 sui quali, precedentemente, le Regioni interessate hanno espresso
un parere sulla esigibilità e fornito indicazioni di priorità. Il passaggio regionale risponde
alla necessità di evitare eventuali sovrapposizioni tra azioni finanziate da
ADAPT e quelle a carico del FSE (Obiettivo 4).
Come già detto la transnazionalità era la condizione sine qua non per l’approvazione
dei progetti, al fine di organizzare tra gli Stati membri il trasferimento di
know-how e la diffusione delle prassi migliori, in particolare verso le Regioni dell’Obiettivo
1. I partenariati devono essere formati da almeno 3 partners attivi347 di
Stati membri diversi.
346 Il Comitato di valutazione dei multiregionali si è avvalso di una scheda per l’identificazione e
la valutazione dei progetti articolata in otto parti, di cui l’ottava appositamente rivolta alla qualità dell’Iniziativa
e nella quale sono rinvenibili elementi qualitativi fondati su: livello di definizione del progetto,
presenza di strumenti di valutazione in itinere ed ex-post; presenza di elementi di certificazione,
presenza di azioni di pubblicizzazione e di diffusione.
347 Per attivi si intendono i partner il cui progetto abbia ricevuto l’approvazione ufficiale presso il
rispettivo Stato membro.
Tabella n. 26 - Iniziativa ADAPT: sintesi finanziaria 1995-1999 (importi in ECU)
Fonte: ISFOL
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L’avviso di gara del 1995 (prima fase) ha fatto registrare la presentazione di 482
proposte progettuali di cui 375 progetti regionali e 107 multiregionali348; nel mese di
maggio del 1996 ne sono stati approvati rispettivamente 141 e 41 (cfr. Tab. n. 27).
I 182 progetti (regionali e multiregionali) approvati si distribuiscono per asse e
per Regione come ilustrato nei grafici sottostanti
Come si può notare nel Grafico 35 la percentuale di distribuzione dei progetti
del primo asse (67%) ha superato la quota prevista (40%) dal Programma Operativo.
Per rientrare nei limiti prefissati, nella seconda fase, gli altri assi verranno dotati di
maggiori risorse.
Alcuni dati quantitativi349: i progetti regionali approvati si distribuiscono tra
Nord, Centro e Meridione rispettivamente con i valori percentuali di 42%, 28% e
30% (cfr. Graf. n. 36). Cinque Regioni hanno più di 10 progetti: una del Sud (Campania),
una del Centro (Lazio) e tre del Nord (Piemonte, Lombardia e Veneto).
348 ISFOL (a cura di DI STEFANO A., FRACCAROLI F., NICOLETTI P.), ADAPT e la realtà italiana,
Grafica 891 S.r.L., Roma 1996.
349 ISFOL, Rapporto Isfol 1996, F. Angeli, Milano 1996, p. 579.
Tabella n. 27 - Iniziativa ADAPT. Quadro progetti presentati e approvati (Ia fase 1995-1997)
Grafico n. 35 - Iniziativa ADAPT. Distribuzione progetti approvati per assi - valori assoluti e
percentuali (Ia fase 1995-1997)
Fonte: CONSEDIN
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350 Sono 29 i progetti su questo tema, pari a circa il 16% del totale. Ricordiamo, a titolo esemplificativo
i progetti della Provincia di Como (Lombardia), ASSEFOR (Campania), SYS-DAT Consulenze
(Provincia di Trento), LASER (Valle d’Aosta), DAEMETRA (Veneto e Lombardia), CONFINDUSTRIA
Siracusa e Ragusa (Sicilia), FITA-CONFINDUSTRIA (multiregionale Toscana, Lazio, Friuli
Venezia Giulia e Basilicata), MACROSISTEMI (multiregionale: Emilia Romagna, Marche e Toscana).
351 Su tali aspetti 48 progetti pari al 26% del totale. Cfr. tra gli altri i progetti di: IRES (Friuli
Venezia Giulia) osservatorio sulle trasformazioni professionali e sulle imprese, COSVIFOR (Piemonte)
sviluppo strumenti innovativi in campo gestionale, Consorzio Formazione Industriale Treviso (Veneto)
Grafico n. 36 - Iniziativa ADAPT. Distribuzione progetti approvati per Regione – valori assoluti
e percentuali - (Ia fase 1995-1997)
Sul piano gestionale si registra una buona presenza di organismi che operano a
livello nazionale (Enti sindacali, associazioni industriali, Enti di Formazione) ed una
buona presenza di imprese e consorzi di impresa ed Enti pubblici.
Quanto ai beneficiari, si osserva una presenza di lavoratori occupati pari a quasi
il 60% per i progetti regionali, 62% per i progetti multiregionali, 25% di minacciati
di disoccupazione per i progetti regionali e 36% multi regionali. I progetti finanziati
a livello multiregionale e regionale hanno globalmente coinvolto 524 partner transnazionali
che hanno riguardato tutti i Paesi dell’Unione Europea, in modo particolare
la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e la Germania. L’Isfol ha sistematizzato
i progetti approvati all’interno di sette aree tematiche che spesso si sovrappongono
e spesso presentano significative interconnessioni tra loro (cfr. Fig. n. 49):
– Interventi a favore delle PMI. Fanno riferimento a questa prima categoria i progetti
per l’introduzione di sistemi di qualità e di certificazione nelle PMI per adeguarle
alle nuove normative in materia e per diffondere fra i dirigenti e gli operatori
la “cultura della qualità”350. Insistono su questo ambito anche gli interventi
mirati a rinnovare e qualificare i sistemi di gestione delle PMI, che proprio perché
di piccole dimensioni, hanno notevoli difficoltà nel favorire l’innovazione gestionale,
amministrativa e organizzativa e la formazione del personale351;
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Sempre in quest’area si collocano i progetti che intendono far fronte al problema
della globalizzazione dei mercati e ai processi di internazionalizzazione
e che mirano ad incrementare la competitività di imprese che per le loro caratteristiche
strutturali sono ancora prevalentemente orientate al prodotto e non al
mercato352. Altro tema riguarda l’adeguamento dei sistemi tecnologici, produttivi
ed organizzativi alle nuove norme sulla sicurezza353. Infine vanno menzionati
i progetti che perseguono interventi strutturali di carattere settoriale, riferiti
quindi a gruppi omogenei di aziende che sono presenti su di un determinato
territorio354;
– Interventi su nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni. Rientrano
in questa categoria gli interventi che si propongono di fronteggiare i cambiamenti
indotti dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Si tratta di un’area strettamente connessa con la precedente (molto spesso
infatti tali interventi sono mirati all’innovazione nelle PMI). Considerata, però,
la specificità e la rilevanza del problema, l’Isfol ne fa una trattazione autonoma355.
Alcuni interventi riguardano l’adeguamento strutturale e professionale
di interi settori produttivi356, altri, intervengono in contesti altamente innovativi
realizzazione di una rete transnazionale per il supporto alla direzione strategica delle PMI, Istituto Tagliacarne
(Lazio, Veneto, Basilicata) per il miglioramento dell’accesso e della gestione delle informazioni
strategiche da parte delle PMI, FEDERINDUSTRIA (Marche) creazione di network di supporto
alle imprese, Centro Sviluppo (Valle d’Aosta) interventi integrati di assistenza consulenza e formazione,
CEFOPA (Sicilia) formazione e consulenza, Centro Regionale per la PMI (Friuli Venezia Giulia) rete
transnazionale per il supporto alla direzione strategia delle PMI, CRUED (Umbria) Centro servizi per
PMI, ISIDE (Lazio) aggiornamento nel settore agricolo su gestione d’impresa, IPI (Veneto) controllo di
gestione nelle PMI, ISFOR (Puglia) sviluppo di una rete per informazione e consulenza su aspetti economici
commerciali finanziari e fiscali, Associazione Professionisti Sardi (Sardegna) aggiornamento in
materia di organizzazione e gestione aziendale ENEA (multi regionale: Friuli, Lazio, Piemonte e Molise)
rete multifunzionale per l’informazione, la formazione, la consulenza ed il “follw-up” alla PMI.
352 Sono 19 progetti pari al 10% del totale. Cfr. ad esempio i progetti di: SYNECTICS (Campania),
CAVITAL (Marche), Commercialisti e Legali Associati (Umbria), Centro per lo Sviluppo e la
Diffusione della Cultura d’Impresa (Molise), CUOA (Veneto), Consorzio Piemontese di Formazione
per il Commercio Estero (Piemonte), IRES (multi regionale: Basilicata e Emilia Romagna), COREP
(multi regionale: Piemonte e Puglia), CONFINDUSTRIA (multi regionale: Veneto, Piemonte, Bolzano,
Emilia Romagna e Marche).
353 L’Italia si è adeguata alle normative comunitarie inerenti la sicurezza e la prevenzione sul lavoro
con il D.L. 19/9/1994 n. 626. Cfr. i progetti di: CONSORZIO SCUOLA LAVORO (Lazio).
354 Cfr. ad esempio i progetti di: HIDROCONTROL (Sardegna) per aziende impegnate nella gestione
di risorse idriche, TEXILIA (multi regionale: Piemonte, Lombardia, Toscana, Puglia) e
ASCONTEX (Lombardia) settore tessile, CCIAA (Lombardia) commercio al dettaglio, ISVILAT (Basilicata)
settore lattiero caseario, Provincia di Livorno, trasporto marittimo, Consorzio Lecole (Campania)
biotecnologia e agricoltura biologica, FEDERGASACQUA (Lazio) industria dell’acqua, TESI
(Lombardia) sistema bancario, Comune di Pescia (Toscana) settore florovivaistico, CERTAM (multi
regionale Emilia Romagna, Lazio e Campania), gestione servizi aeroportuali.
355 Circa 15 azioni sono state progettate su tale versante (pari all’8% del totale).
356 Cfr. ad esempio il progetto di Assindustria Pistoia settore della moda, SIGMA TRAVEL
SYSTEM (multi regionale: Calabria, Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Piemonte, Puglia
e Sardegna) settore delle agenzie di viaggi, FILIS-CGIL, FIS-CISL, UILSIC-UIL (multi regionale:
Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Sicilia) nel settore della moda.
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e di rilevanza sociale come quello medico-sanitario357, altri ancora affrontano lo
sviluppo delle risorse umane e i mutamenti nelle qualifiche indotte dall’inserimento
di nuove tecnologie come, ad esempio, le reti telematiche, l’automazione
d’ufficio, gli strumenti multimediali per l’istruzione e il telelavoro358;
– Interventi a favore del settore turistico. Una terza “famiglia” di interventi riguarda
lo sviluppo del settore turistico specie in aree del Mezzogiorno d’Italia359. Tali
proposte si pongono l’obiettivo prevalente di far crescere la cultura dell’accoglienza
turistica in strutture ricettive di dimensioni medio-piccole. Alcuni
progetti sono strettamente legati alla tematica dell’innovazione tecnologica360,
ma la maggior parte è mirata a far crescere la qualità dei servizi di ricezione, in-
357 Cfr. ad esempio i progetti di: Associazione ASTRAFE (Sicilia) e Regione Toscana.
358 Cfr. ad esempio i progetti di: Istituto per la Matematica Applicata-CNR (Liguria) indagine sulle
qualità cognitive in relazione all’uso di tecnologie informatiche e elaborazione modello formativo, Associazione
Amitiè (Emilia Romagna) analisi di fabbisogni derivati dalle tecnologie dell’informazione,
IFOA (Lombardia) formazione per tecnici e utilizzatori di sistemi multimediali, DATOR (Provincia di
Bolzano) sensibilizzazione PMI all’uso di tecniche multimediali, ERFAPI-Ente Bilaterale Regionale
toscano per la Formazione Professionale e l’ambiente (multi regionale: Toscana e Umbria) formazione
su sistemi informatici di gestione.
359 Si tratta, nel complesso, di circa 17 interventi (9% del totale).
360 Cfr. ad esempio il progetto di ICI - Istituto Culturale Italiano (Marche).
Figura n. 49 - Iniziativa ADAPT: connessioni tra le aree tematiche
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crementando la professionalità del personale361. Altri progetti prevedono, invece,
la creazione di imprese nel settore turistico legate allo sviluppo del cosiddetto
turismo ambientale362;
– Interventi di tutela ambientale. Si tratta di iniziative363 che, in alcuni casi, sono
strettamente legate allo sviluppo del settore turistico (creazione e sviluppo di
parchi naturali intesi come opportunità di crescita del territorio; sfruttamento
turistico di zone altamente qualificate dal punto di vista culturale ed ambientale)
364 e nelle quali è presente un ulteriore filone di intervento che agisce sulle
PMI per sensibilizzarle alle tematiche emergenti dello “sviluppo compatibile”
(trattamento di rifiuti e scorie; sistemi produttivi eco-compatibili; procedure di
eco-audit; riduzione dell’inquinamento, ecc.)365;
– Interventi a favore dell’occupazione. Numerosi sono i progetti con tali finalità
generali, anche se i casi in cui vi è un’effettiva ed esplicita priorità in questo ambito
si limitano a circa una dozzina. Si tratta di interventi rivolti ad imprese collocate
in aree territoriali in fase di declino industriale, di azioni rivolte a lavoratori
espulsi o in fase di espulsione da processi produttivi, da iniziative che intendono
promuovere nuove opportunità di occupazione e lo sviluppo di “nuove
professioni”366;
361 Cfr. ad esempio i progetti di: ESSENTHIA (Piemonte) per operatori del turismo termale, IRES
(Liguria) sviluppo in rete delle capacità di accoglienza turistica, Centro Interdipartimentale di Ricerca -
Università di Napoli, creazione della figura del responsabile locale della promozione turistica, SIB (Lazio)
per agenti di sviluppo turistico locale, DAEMETRA (Veneto) formazione per operatori dell’accoglienza,
Consorzio Lecole (Basilicata) formazione per imprenditori, quadri e personale, Regione Toscana
riqualificazione operatori commerciali dei centri storici, INNOVA formazione per operatori e “classe
politica”, ARCIDONNA (Sicilia) formazione formatori e operatori, IAL Nazionale (multiregionale
Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto e Abruzzo) borsa di
formazione-lavoro per lavoratori stagionali del turismo.
362 Cfr. i progetti di: Società Cooperativa Apice (Basilicata) turismo rurale, CESCOT NAZIONALE
(multiregionale Toscana, Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio e Sardegna) agriturismo.
363 Sulla tematica ambientale intervengono in modo diretto, esplicito e prioritario circa 13 progetti
(7% del totale).
364 Cfr. ad esempio il progetto di API (Sardegna) formazione per operatori di parchi regionali, UIL
(Puglia) formazione su vecchie professioni per salvaguardare territorio montuoso, WWF (multi regionale:
Campania, Calabria, Sardegna, Basilicata) trasferimento di modelli gestionali di aree protette e
provessi formativi a formatori.
365 Cfr. ad esempio i progetti di: Provincia di Biella, per la formazione di ecomanegers, Parco
Scientifico e Tecnologico di Salerno e Aree Interne della Campania per la formazione di restauratori nel
settore edilizio, Regione Toscana per la riqualificazione di operatori commerciali dei centri storici, Consorzio
Lavoro e Ambiente (Molise) creazione di uno sportello per la consulenza in tema di sviluppo
ecocompatibile, CSEA (multi regionale: Emilia Romagna, Piemonte e Umbria), creazione di un osservatorio
sulle professioni ambientali, Associazione Atelier (Sicilia) costruzione di reti di telelavoro specializzate
nella gestione delle risorse umane delle PMI operanti nel recupero del patrimonio edilizio.
366 Cfr. ad esempio i progetti di: SIMKI (Lombardia) per la creazione di sportelli per la mobilità,
CILO (Piemonte) formazione in settori tecnici e di gestione aziendale e per formatori di istituzioni formative,
Fondazione LABOS (Lazio) promozione di opportunità lavorative nei servizi zonali di assistenza,
Consorzio Impresa Sociale (Friuli Venezia Giulia) nuove figure professionali nel campo dei servizi
alla persona.
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– Interventi a favore dell’economia sociale. È l’area che interessa le imprese di
produzione e servizi che agiscono senza scopo di lucro e con spiccate finalità di
carattere sociale367. Un primo raggruppamento è rivolto all’offerta di servizi nell’ambito
del terzo settore, del volontariato sociale e dei servizi a carattere socioassistenziale
alla persona368 (si tratta di un comparto economico interessato da
profonde trasformazioni connesse prevalentemente con la crisi dei sistemi di
welfare e con il parziale e progressivo “ritiro” del settore pubblico da alcune
aree di intervento), un secondo raggruppamento di interventi riguarda invece il
settore della cooperazione369;
– Interventi per lo sviluppo del sistema formativo. Infine, l’ultima area di intervento370
riguarda le azioni centrate sul tema della Formazione Professionale
Continua intesa sia come sistema pubblico-privato di iniziative371, sia come insieme
di tecniche e di strumenti operativi per favorire l’apprendimento di competenze
professionali372.
367 Si tratta di un numero limitato di progetti (circa 10 pari al 5% del totale).
368 I progetti sono finalizzati ad incrementare la capacità di gestione delle imprese private e a formare
il personale di tali strutture che spesso è costituito da lavoratori con bassa qualificazione. Cfr. ad
esempio i progetti di Consorzio Solco Camunia (Lombardia), CNCA Coordinamento nazionale Comunità
di Accoglienza (multi regionale: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Emilia Romagna,
Friuli, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto) formazione di managers dell’impresa
sociale.
369 Cfr. ad esempio i progetti di: Consorzio fra cooperative sociali ELPENDÙ (Puglia), Federazione
Trentina delle COOPERATIVE (Provincia di Trento), EFESO (Emilia Romagna), IRECOOP
(Veneto), AGCI (Emilia Romagna), Compagnia FINANZIARIA INDUSTRIALE (Multi regionale),
CeIS (multi regionale: Lazio, Lombardia, Umbria).
370 È costituita da 14 progetti pari all’8% del totale.
371 Cfr. ad esempio i progetti di: Akademia (Marche) formazione di tutors e quadri, FORMAPER
(Lombardia) ricerca sui modelli gestionali e i bisogni di formazione nella piccola impresa, APDAI
(Piemonte) riqualificazione dirigenti industriali, ENFIND (Basilicata) indagine sui fabbisogni formativi
e percorsi formativi PMI, De Lorenzo Formazione (Calabria, Campania) strutturazione di un nucleo
locale per supportare formazione continua, Associazione di Rappresentanza Imprenditoriale (Piemonte)
reti informative, materiale per autoformazione, piani di formazione, FEDERAPI (Piemonte)
osservatorio sui profili professionali emergenti, Regione Emilia Romagna rete europea per la gestione
dell’innovazione economica e sociale, Regione Calabria servizi integrati di assistenza consulenza e
formazione continua a neo imprese, Confartigianato Emilia Romagna avvio di un sistema di formazione
permanente, Excellent (Lombardia) progettare e sperimentare un sistema di formazione a distanza
individuale e assistita, EUROBIC ABRUZZO E MOLISE (Abruzzo) osservatorio sulle costruzioni
e sui fabbisogni formativi e moduli di formazione, ECIPAR CNA (Emilia Romagna) analisi di
fabbisogni formativi, CENSIS (Lazio) sperimentazione di una metodologia per lo sviluppo di “training
plans”, Provincia di Rieti (Lazio) costruire una struttura di servizi per la FP, BOFFIN (Liguria) formazione
formatori e responsabili delle risorse umane, Associazione Campo (multi regionale: Basilicata,
Campania, Bolzano, Lazio e Liguria) formazione formatori aziendali, Daemetra (multi regionale: Sardegna,
Lombardia e Lazio) formazione a distanza per riqualificazione personale PMI, Connet Formazione,
(multi regionale: Abruzzo, Campania, Molise, Puglia e Lazio) osservatorio permanente dell’innovazione
professionale, Sinform (multi regionale: Emilia Romagna, Toscana, Piemonte e Lombardia)
servizi telematici per la formazione continua e la sua certificazione.
372 Cfr. ad esempio i progetti di: Federindustria (Marche) sperimentazione di tecnologie telematiche
per distance learning e distance consulting. Federlombarda sviluppo di una offerta di prodotti formativi
e strumenti gestionali, FOSVI (Campania) analisi dei fabbisogni, elaborazione di software forstoriaFORMAZ3-
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Tra i meriti di ADAPT va senz’altro annoverato quello di aver portato a maturazione
il concetto che la formazione di lavoratori occupati di fronte ai cambiamenti
continui e in ogni campo (tecnologico,organizzativo, di mercato, ecc.) rappresenti
un bene comune per il lavoratore e per l’azienda. Infatti, in quanto strumento di
manutenzione della professionalità, rappresenta per il lavoratore un antidoto contro
la sua obsolescenza e per il sistema aziendale uno strumento per aumentarne il tasso
di competitività.
Anche ADAPT contribuisce al superamento della visione “scolasticistica” che
identifica la Formazione Professionale, in questo caso continua, con il percorso formativo.
Adottando una logica che non parte dal prodotto (e che quindi mette l’accento
su un tipo di intervento standardizzato) ma dal mercato (portatore di una pluralità di
bisogni) ADAPT mette in campo una grande varietà di strategie e strumenti: ricerca,
analisi di fabbisogni, formazione (in presenza, a distanza, ecc.), orientamento, tutoring,
assistenza e consulenza, monitoraggio e valutazione, sistemi informativi,
elaborazione di prodotti e software multimediali, costruzione di data base, reti e osservatori,
centri specialistici, servizi per l’infanzia (micronidi, ludoteche, ecc.) centri
d’incontro per l’età evolutiva, sportelli informativi, convegni e workshop.
Quindi non più solo formazione, non più solo il “corso” ma una pluralità di opportunità
per la soluzione di un problema che spesso non è solo formativo.
A volte, ad esempio, prima della formazione si tratta di individuare e analizzare
nuove figure professionali ed elaborare nuovi percorsi e strumenti formativi, altre
volte è necessario attivare un processo di autodiagnosi organizzativa assumendo
come riferimento pratiche organizzative e gestionali eccellenti precedentemente individuate
e sistematizzate in un data base; oppure si ritiene opportuno creare uno
sportello di consulenza per gruppi di imprese per la formulazione di piani di aggiornamento
professionale.
Tra i meriti di ADAPT, pertanto, va annoverato il suo contributo alla
definizione dello statuto epistemologico della Formazione Professionale.
Di contro, va segnalato un uso eccessivo o sproporzionato di alcune di queste
strategie o strumenti. Si pensi, ad esempio, quanti progetti ADAPT hanno previsto la
costruzione di osservatori (“sull’occupazione nel settore cooperativo”, “per il monitoraggio
delle relazioni sindacali”, “sugli aspetti teconologici, normativi e di mercato
delle PMI”, “sulle professioni ambientali”, “sulle PMI”, “nel settore editoriale”.
Un osservatorio, per sua natura, si configura come uno strumento “pesante”,
destinato a durare nel tempo e prodotto da operazioni complesse per la definizione
mativo e teledidattica, Comerint (Campania) creazione di un centro per l’erogazione di servizi formativi,
IAT (Lazio) creazione di un centro per l’occupazione e la formazione nell’audiovisivo, Pragma
(Provincia di Trento) percorsi di formazione a carattere pilota, HKE (Lombardia) standardizzazionne
di un sistema di programmazione dei fabbisogni formativi nelle PMI.
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236
di un sistema informativo e per la costruzione del software informatico, da attività
impegnative e onerose per la raccolta e la sistematizzazione dei dati e da azioni continue
per l’alimentazione del sistema e la diffusione dei dati e delle informazioni.
Caratteristiche queste che mal si conciliano con il carattere “episodico” e “contingente”,
anche se “esemplare”, di un progetto e, spesso, con la struttura e le finalità
dei soggetti attuatori e che invece si adattano alle finalità e alla struttura di un Ente
pubblico territoriale.
Considerazioni analoghe possono essere fatte per quelle strutture, definite di
volta in volta “sportelli” o “centri servizi” (di informazione, di consulenza, di assistenza),
prospettati come permanenti.
6. La normativa regionale in materia di Formazione Professionale
6.1. Il quadro normativo nel periodo 1990-97
Il corpus normativo delle Regioni e Province Autonome in materia di Formazione
Professionale è composta da 223 leggi. Ricordiamo che ad alcune Regioni
Autonome373 le competenze statali in materia di Formazione Professionale sono state
trasferite in tempi diversi: alla Valle d’Aosta nel 1978374, alla Sardegna nel 1975375,
alle Province Autonome di Trento e Bolzano nel 1972376.
Il tasso di maggiore produzione legislativa appartiene all’Abruzzo con 33
provvedimenti, mentre quello minore alla Provincia Autonoma di Trento (cfr. Graf.
n. 37).
Nel periodo considerato da questo volume (1990-1997) sono state emanate 10
leggi organiche o ordinamentali (nel senso che regolamentano tutti gli aspetti del
sistema formativo-professionale) e 49 leggi che si configurano: a) come leggi di
modifica o di interpretazione autentica di precedenti provvedimenti (21 leggi); b)
come leggi che prorogano o derogano da impegni assunti con precedenti normative
373 La principale differenza tra lo statuto di una Regione a statuto speciale rispetto ad una a statuto
ordinario, detto (statuto di diritto comune), è che mentre lo statuto ordinario è adottato e modificato con
legge regionale, lo statuto speciale è adottato e modificato con Legge Costituzionale. Le Regioni a statuto
speciale sono state costituite con queste Leggi Costituzionali: Regione Siciliana, Regio Decreto n.
455 del 15 maggio 1946, convertito nella Legge Costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma
della Sardegna, Legge Cost. n. 3 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma Valle d’Aosta, Legge
Cost. n. 4 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, Legge Cost. n. 5 del 26 febbraio
1948; Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Legge Cost. n. 1 del 31 gennaio 1963.
374 L. 16 maggio 1978, n. 196 Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d’Aosta e
DPR 22 febbraio 1982, n. 182 Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta
per la estensione alla regione delle disposizioni del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa
agli enti soppressi con l’art. 1 bis del D.L. 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella L. 21 ottobre
1978, n. 641.
375 DPR 22 maggio 1975, n. 480.
376 DPR 01.11.1973, n. 689 Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino -
Alto Adige concernente addestramento e Formazione Professionale.
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(5); c) come leggi con uno spettro normativo limitato: agli aspetti finanziari (11),
alle strutture formative (2), al personale (2), all’istituto della delega (5) ad un’offerta
formativa particolare (1) al personale (2).
La Regione che ha approvate più leggi, con 10 provvedimenti varati, è
l’Abruzzo, mentre la Toscana e la Provincia Autonoma di Trento non modificano il
quadro legislativo precedente (cfr. Prosp. n. 25). Nel 1990 è stato approvato il maggior
numero di leggi, 11 (cfr. Graf. n. 38).
Grafico n. 37 - Numero di leggi in materia di Formazione Professionale emanate dalle Regioni e
Province Autonome dal trasferimento delle competenze statali
Grafico n. 38 - Numero di leggi regionali relative alla Formazione Professionale approvate per
anno nel periodo 1990-97
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238
Prospetto n. 25 - Leggi relative alla Formazione Professionale dal dopoguerra al 1997 (in neretto
le leggi organiche)
(Segue)
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239
(Segue)
(Segue)
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240
NOTE:
Valle d’Aosta
I L. reg. 01.06.1982, n. 12, Promozione di una fondazione per la FP agricola e per la sperimentazione
agricola e contributo regionale alla fondazione medesima.
II L. reg. 05.05.1983, n. 28, Disciplina della Formazione Professionale in Valle d’Aosta.
III L. reg. 24.08.1992, n. 53, Modificazione della legge regionale 1° giugno 1982, n. 12, concernente
Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione
agricola e contributo regionale alla fondazione medesima.
IV L. reg. 22.05.1997, n. 18, Modificazioni alla legge regionale 1° giugno 1982, n. 12, Promozione
di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione
agricola e contributo regionale alla fondazione medesima, già modificata dalla legge regionale
24 agosto 1992, n. 53.
Piemonte
I L. reg. 25.02.1980, n. 8, Disciplina delle attività di formazione professionale.
II L. reg. 03.09.1984, n. 50, Modificazioni dell’art. 14, 1° comma della L. r. 25 febbraio 1980,
n. 8 Disciplina delle attività di formazione professionale.
III L. reg. 19.04.1995, n. 63, Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale.
IV L. reg. del 19 dicembre 1995, n. 88, Proroga dell’entrata in vigore di alcune norme della
legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 “Disciplina delle attività di formazione e orientamento
professionale”.
V L. reg. 30.04.1996, n. 21, Modificazione dell’articolo 22 della legge regionale 13 aprile
1995, n. 63 Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale.
VI L. reg. 17.06.1997, n. 34, Modifiche alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 (Disciplina
delle attività di formazione e orientamento professionale).
VII L. reg. n. 44 del 04.08.1997 Sostituzione dell’articolo 25 bis della legge regionale 25 febbraio
1980, n. 8 (Disciplina delle attività di formazione professionale), richiamato in vigore
dall’articolo 2 della legge regionale 3 luglio 1996, n. 36 (Modifiche ed integrazioni alla
legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 “Disciplina delle attività di formazione e orientamento
professionale”).
(Segue)
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241
Liguria
I L. reg. 07.08.1979, n. 27, Disciplina delle attività di formazione professionale.
II L. reg. 05.11.1993, n. 52, Disposizioni per la realizzazione di politiche attive del lavoro.
III L. reg. 06.09.93, n. 43, Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia
di formazione professionale.
IV L. reg. 14.08.1995, n. 41, Disposizioni in materia di promozione occupazionale.
V L. reg. 23.01.1996, n. 4, Modifica dell’articolo 2 della legge regionale 6 settembre 1993 n.
43 “Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale”.
VI L. reg. 04.09.1997 n. 37, Modificazioni alla legge regionale 5 novembre 1993 n. 52 (disposizioni
per la realizzazione di politiche attive del lavoro).
Lombardia
I L. reg. 17.07.1972, n. 21, Norme provvisorie sullo svolgimento di funzioni in materia di formazione
professionale di cui al D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10.
II L. reg. 04.09.1973, n. 44, Proroga della legge regionale 17 luglio 1972, n. 21 contenente
“Norme provvisorie sullo svolgimento di funzioni in materia di formazione professionale di
cui al D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10”.
III L. reg. 09.09.1974, n. 60, Proroga della legge regionale 17 luglio 1972, n. 21 contenente
“Norme provvisorie sullo svolgimento di funzioni in materia di formazione professionale di
cui al D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10”.
IV L. reg. 16.06.1975, n. 93, Ordinamento della formazione professionale in Lombardia.
V L. reg. 07.06.1980, n. 95, Disciplina della formazione professionale in Lombardia.
VI L. reg. 04.06.1981, n. 27, Modifiche e aggiunte alla L. reg. 07.06.1980, n. 95.
VII L. reg. 10.06.1981, n. 31, Norme di riordino di disposizioni di spesa previste da leggi regionali,
in conformità con le disposizioni della L. reg. 31.3.1978, n. 34, artt. 11-16.
VIII L. reg. 27.08.1983, n. 68, Modifiche ed aggiunte alla L. reg. 7.6.1980, n. 95.
IX L. reg. 08.05.1990, n. 35, Sostituzione del nono comma dell’art. 19 della L.R. 7 giugno
1980, n. 95 concernente la disciplina della formazione professionale in Lombardia, già modificato
dall’articolo unico della L.R. 4 giugno 1981, n. 27 e poi sostituito dall’art. 5 della
L.R. 27 agosto 1983, n. 68.
X L. reg. 19.09.1992, n. 31, Deroga agli artt. 10, 11 e 12 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina
della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni.
XI L. reg. 12.08.1993, n. 25, Modifica alla Legge Regionale 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina
della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni.
XII L. reg. 27.10. 1993, n. 31, Attribuzione dell’indennità di funzione ai docenti della formazione
professionale ai sensi dell’accordo nazionale di lavoro per il triennio 1988-1990.
XIII L. reg. 09.04.1994, n. 9, Modifica dell’art. 48 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina
della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni.
XIV L. reg. 12.12.1994, n. 42, Interventi per lo sviluppo della formazione professionale superiore,
anche in raccordo con le università.
XV L. reg. 05.01.1995, n. 1, Norme transitorie in materia di formazione professionale finalizzate
allo sviluppo del processo di delega alle province.
Provincia Autonoma di Trento
I L. prov. 04.07.1959, n. 9, Provvedimenti a favore dell’istruzione professionale.
II L. prov. 03.03.1987, n. 21, Ordinamento della formazione professionale.
Provincia Autonoma di Bolzano
I L. prov. 27.08.1962, n. 9, Addestramento professionale dei lavoratori.
II L. prov. 05.09.1964, n. 14, Modifica alla legge provinciale 27 agosto 1962, n. 9.
III L. prov. 12.11.1992, n. 40, Ordinamento della formazione professionale.
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242
Veneto
I L. reg. 25.01.1974, n. 8, Contributi della Regione a favore di istituzioni di formazione professionale
di interesse regionale.
II L. reg.13.06.1975, n. 81, Provvedimenti urgenti in materia di formazione professionale.
III L. reg. 28.01.1977, n. 3, Rifinanziamento legge regionale 25 gennaio 1974, n. 8, concernente
contributi della Regione a favore di istituzioni di formazione professionale di interesse regionale.
IV L. reg. 13.09.1978, n. 59, Ordinamento della formazione professionale.
V L. reg. 21.03.1983, n. 13, Integrazioni e modifiche alla legge regionale 13 settembre 1978, n.
59, concernente l’ordinamento della formazione professionale.
VI L. reg. 30.01.1990, n. 10, Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione
delle politiche regionali del lavoro.
VII L. reg. 30.04.1990, n. 34, Instaurazione rapporti a collaborazione professionale con personale
esperto di formazione professionale.
VIII L. reg. 07.05.1991, n. 10, Modifiche alla legge regionale 30 gennaio 1990, n. 10 “Ordinamento
del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del
lavoro”.
Friuli Venezia Giulia
I L. reg. 31.12.1965, n. 35, La formazione professionale dei lavoratori nella Regione Friuli
Venezia Giulia.
II L. reg. 29.07,1969, n. 23, Disposizioni transitorie relative alla legge regionale 31 dicembre
1965, n. 35 concernente la formazione professionale dei lavoratori nella Regione Friuli
Venezia Giulia.
III L. reg. 10.01.1977, n. 1, Interventi in materia di formazione professionale.
IV L. reg. 18.05.1978, n. 42, Ordinamento della formazione professionale.
V L. reg. 21.05.1979, n. 21, Attribuzione all’Istituto regionale per la formazione professionale
della gestione dei corsi merletti.
VI L. reg. 05.11.1979, n. 62, Rifinanziamento della legge regionale 18 maggio 1978, n. 42, concernente
l’ordinamento della formazione professionale.
VII L. reg. 09.07.1980, n. 22, Rifinanziamento dell’ articolo 9 della legge regionale 18 maggio
1978, n. 42, concernente l’ordinamento della formazione professionale.
VIII L. reg. 3.11.1980, n. 59, Assunzioni di personale a tempo determinato per lo svolgimento dei
corsi nei centri di formazione professionale dell’IRFoP.
IX L. reg. 08.04.1982 Interventi urgenti per la riqualificazione professionale di lavoratori dipendenti
da aziende in crisi.
X L. reg. 08.04.1982, n. 26, Interventi per il potenziamento dei centri di formazione professionale
IRFoP.
XI L. reg. 16.11.1982, n. 76, Ordinamento della formazione professionale.
XII L. reg. 20.05.1982, n. 29, Interpretazione autentica dell’art. 4 recante: Disciplina delle attività
di formazione professionale nella regione Abruzzo.
XIII L. reg. 01.06.1987, n. 16, Norme integrative e modificative della legge regionale 16 novembre
1982, n. 76.
XIV L. reg. 26.08.1991, n. 35, Modifiche ed integrazioni all’ordinamento della formazione professionale.
XV L. reg. 30.10.1995, n. 41, Norme finanziarie in materia di formazione professionale.
Emilia Romagna
I L. reg. 24.07.1979, n. 19, Riordino, programmazione e deleghe della formazione alle professioni.
II L. reg. 10.04.1984, n. 17, Acquisizione di strutture pubbliche e private di formazione professionale
da parte della regione Emilia Romagna.
III L. reg. 06.05.1985, n. 19, Prime norme sulla ristrutturazione dei Centri di formazione professionale
della Regione Emilia Romagna.
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243
IV L. reg. 31.01.1987, n. 5, Modifiche alla legge regionale 24.07.1979 concernente “Riordino,
programmazione e deleghe della formazione alle professioni”.
V L. reg. 07.11.1995, n. 54, Riordino della funzione di gestione delegata ai comuni in materia
di formazione professionale.
Toscana
I L. reg. 17.01.1976, n. 6, Interventi per la FP e delega delle relative funzioni agli enti locali.
II L. reg. 15.11.1980, n. 86, Esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale.
III L. reg. 21.02.1985, n. 16, Disciplina degli interventi in materia di formazione professionale.
IV L. reg. 31.08.1994, n. 70, Nuova disciplina in materia di formazione professionale.
Marche
I L. reg. 23.08.1976, n. 24, Ordinamento della formazione professionale e delega delle funzioni.
II L. reg.03.09.1978, n. 17, Modificazioni e integrazioni della L. reg. 23.08.1976, n. 24 recante
norme sull’ordinamento della formazione professionale e delega delle funzioni
III L. reg. 26.03.1990, n. 16, Ordinamento del sistema regionale di formazione professionale.
IV L. reg. 28.03.1990, n. 18, Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento del personale
addetto alle attività di formazione professionale.
V L. reg. 28.01.1991, n. 4, “L. R. 28 marzo 1990, n. 18 “Istituzione del ruolo regionale speciale
ad esaurimento del personale addetto alle attività di formazione professionale”.
VI L. reg. 18.01.1996, n. 2, Delega alle Province delle funzioni amministrative relative alle attività
formative cofinanziate dall’Unione Europea.
Umbria
I L. reg. 25.08.1978, n. 47, Norme in materia di formazione professionale.
II L. reg. 01.03.1980, n. 16, Disciplina dei corsi liberi a carattere professionale.
III L. reg. 11.11.1980, n. 69, Piano di attività di formazione professionale.
IV L. reg. 23.12.1980, n. 76 Disciplina temporanea delle assunzioni a termini nei centri regionali
di formazione professionale.
V L. reg. 21.10.1981, n. 69, Norme sul sistema formativo regionale.
VI L. reg. 11.08.1983, n. 30, Modificazioni e integrazioni alla legge regionale 21 ottobre 1981,
n. 69.
VII L. reg. 12.03.1984, n. 16, Modificazione della L. reg. 21 ottobre 1981, n. 69, recante norme
sul sistema formativo regionale, così come modificata e integrata dalla legge regionale 11
agosto 1983.
VIII L. reg. 26.04.1985, n. 33, Ulteriori modificazioni della legge regionale 21 ottobre 1981, n.
69, recante norme sul sistema formativo regionale.
IX L. reg. 28.05.1991, n. 14, Ulteriori modificazioni ed integrazioni della l.r. 21/10/81, n. 69 -
norme sul sistema formativo regionale - atto quarto.
Lazio
I L. reg. 30.01.1973, n. 4, Norme per l’esercizio provvisorio delle funzioni amministrative relative
all’istruzione artigiana e professionale, trasferite alla Regione dal DPR 15-1-1972, n.
10.
II L. reg. 06.04.1978, n. 14, Disciplina delle attività di formazione professionale.
III L. reg. 18.12.1979, n. 99, Riconoscimento dei corsi di formazione professionale gestiti dai
privati.
IV L. reg. 17.11.1979, n. 86, Istituzione del ruolo del personale della formazione professionale
della regione Lazio.
V L. reg. 23.07.1983, n. 50, Norme per l’istituzione dell’albo regionale degli operatori della
formazione professionale.
VI L. reg. 05.09.1983, n. 57, Definizione dei rendiconti di spesa dei corsi di formazione professionale
gestiti da enti terzi e finanziati dalla Regione Lazio.
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244
VII L. reg. 03.07.1984, n. 36, Modificazioni alla legge regionale 23 luglio 1983, n. 50, concernente:
Norme per l’istituzione dell’albo regionale degli operatori della FP.
VIII L. reg. 25.02.1991, n. 23, Ordinamento della formazione professionale.
Molise
I L. reg. 16.02.1972, n. 4, Integrazione dell’assegno giornaliero, di cui all’articolo 4 della
Legge 2 aprile 1968, n. 424, in favore dei lavoratori disoccupati che frequentano i corsi di
addestramento professionale in preparazione dell’insediamento FIAT nel Molise.
II L. reg. 05.08.1972, n. 9, Fondo per l’addestramento professionale dei lavoratori.
III L. reg. 13.09.1974, n. 15, Proroga delle norme di cui alla legge regionale 16 febbraio 1972,
n. 4, a favore dei lavoratori disoccupati che frequentano i corsi di addestramento professionale
in preparazione dell’insediamento FIAT nel Molise nell’anno 1974.
IV L. reg. 02.06.1973, n. 12, Proroga delle norme di cui alla legge regionale 16 febbraio 1972,
n. 4, a favore dei lavoratori disoccupati che frequentano i corsi di addestramento professionale
in preparazione dell’insediamento FIAT nel Molise nell’anno 1973.
V L. reg. 17.11.1983, n. 3, Disciplina della formazione professionale nel Molise.
VI L. reg. 19.04.1985, n. 8, Disposizioni integrative alla legge regionale 17 gennaio 1983, n. 3
recante norme sulla disciplina della formazione professionale in Molise.
VII L. reg. 28.10.1987, n. 14 Modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 3 del 17 gennaio
1983 ed abrogazione della legge regionale n. 8 del 19 aprile 1985.
VIII L.reg. 29.05.1990, n. 27, Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali nn. 3/83 e 14/87 in
materia di Formazione Profesionale.
IX L. reg. 30.05.1995, n. 10, Nuovo ordinamento della formazione professionale.
Abruzzo
I L. reg. 16.10.1972, n. 22, Norme per l’esercizio delle funzioni o delegate alla Regione con
D.P.R. 15.1.1972, n. 10, in materia di Istruzione Artigiana e Professionale.
II L. reg. 13.03.1973, n. 11, Modifiche e integrazioni alla L. Reg. 16.10.1972, n 22 concernente
norme per l’esercizio delle funzioni trasferite delegate alla Regione con D.P.R.
15.1.1972, n. 10, in materia di Istruzione Artigiana e Professionale.
III L. reg. 06.06.1975, n. 56, Delega alle Prov.delle funzioni amministrative in materia di beneficenza
pubblica, istruzione artigiana e professionale, assistenza scolastica, viabilità, caccia
e pesca nelle acque interne.
IV L. reg. 25.11.1976, n. 63. Interventi straordinari per la riqualificazione professionale dei lavoratori.
V L. reg. 05.12.1979, n. 63, Disciplina delle attività di formazione professionale nella Regione
Abruzzo.
VI L. reg. 02.06.1980, n. 44, Ruolo del personale addetto alle attività di Formazione Professionale
gestite dalla Regione Abruzzo.
VII L. reg. 15.09.1981, n. 48, Erogazione agli Enti gestori dei corsi di FP dei maggiori oneri ad
essi derivanti dalla applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro degli operatori
del settore, per le attività ricadenti nel periodo 1° ottobre 1980/30 settembre 1982.
VIII L. reg. 20.05.1982, n. 29, Interpretazione autentica dell’art. 4 recante “Disciplina delle attività
di formazione professionale nella regione Abruzzo”.
IX L. reg. 27.08.1982, n. 63, Modifiche ed integrazioni alla legge n. 63 del 5 dicembre 1979 recante:
“Disciplina delle attività di formazione professionale nella Regione Abruzzo”.
X L. reg. 14.01.1983, n. 4, Acquisizione e/o costruzione di strutture immobiliari per l’attività
dl formazione professionale nella Regione Abruzzo.
XI L. reg. 06.12.1983, n. 76, Conferimento di incarichi e supplenze presso i Centri Regionali di
Formazione Professionale.
XII L. reg. 26.04.1984, n. 33, Modifica della legge regionale 5 dicembre 1979, n. 63, recante Disciplina
delle attività di Formazione Professionale nella Regione Abruzzo.
XIII L. reg. 07.05.1985, n. 29, Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 1979, n.
63, recante Disciplina delle attività di FP nella regione Abruzzo.
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245
XIV L. reg. 16.09.1987, n. 61, Erogazione agli Enti gestori dei corsi di FP dei maggiori oneri ad
essi derivanti dall’applicazione del CCNL 1983/86 degli operatori del settore convenzionato,
per le attività ricadenti nel periodo 1° ottobre 1983 - 31 agosto 1984.
XV L. reg. 01.12.1987, n. 81, Norme integrative per l’inquadramento del personale proveniente
dagli ex CFP.
XVI L. reg. 12.01.1988, n. 3, Ulteriori norme integrative per l’inquadramento nel ruolo organico
regionale del personale insegnante presso i Centri di Formazione Professionale.
XVII L. reg. 12.01.1988, n. 6, Norme in materia di erogazione dei fondi agli enti di Formazione
Professionale.
XVIII L. reg. 30.03.1988, n. 37, Estensione dei benefici di cui alle LL.RR. 1.12. 87 n. 81 e 12.1. 88
n. 3 riguardanti: “Norme integrative per l’inquadramento del personale proveniente dagli ex
CFP.
XIX L. reg. 28.12.1988, n. 101, Norme integrative alle disposizioni di cui alle leggi regionali 5
dicembre 1979, n. 63, e 27 agosto 1982, n. 63, in materia di Formazione Professionale.
XX L. reg. 13.07.1989, n. 56, Provvedimenti urgenti in materia di Formazione Professionale.
XXI L. reg. 07.09.1989, n. 80, Proroga alle disposizioni di cui agli articoli 9,10,11,12 e 13 della
L. R. 28.12.88, n. 101, “Norme integrative alle disposizioni in materia di FP”.
XXII L. reg. 06.12.1990, n. 94, Istituzione della scuola per le professioni della montagna, presso il
Centro Regionale di Formazione Professionale di Sulmona.
XXIII L. reg. 18.12.1990, n. 96, Proroga delle disposizioni di cui alle Leggi regionali 28 Dicembre
1988, n. 101 e 7 Settembre 1988, n. 80, in materia di formazione professionale.
XXIV L. reg. 28.12.1992, n. 101, Rifinanziamento dell’art. 14 della LR 28.12.1988, n. 101, in materia
di Formazione Professionale.
XXV L. reg. 02 06 1993, n. 20, Proroga e modificazione degli artt. 9, 10, 11 e 12 della legge regionale
28 dicembre 1988, n. 101 e successive, concernenti la formazione professionale.
XXVI L. reg. 12.04.1994, n. 96. L. reg. 12.01.1988, n. 6, “Norme in materia di erogazione dei fondi
agli Enti di Formazione Professionale”. Modifica dell’art. 2 lettera.
XXVII L. reg. 17.01.1995, n. 2, Proroga delle LL.RR. 28.12.1988, n 101 e 2.6.1993, n 20 concernenti
la FP.
XXVIII L. reg. 07.11.1995, n. 54 Riordino della funzione di gestione delegata ai comuni in materia
di Formazione Professionale.
XXIX L. reg. 17 .05.1995, n 111, Formazione Professionale.
XXX L. reg. 29.10.1996, n. 107, Interventi urgenti in materia di formazione professionale.
XXXI L. reg. 09.04.1997, n. 34, Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione
professionale degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo.
XXXII L. reg. 23.05.1997, n. 47, Proroga della l. reg. 28.12.88, n.101 e successive modificazioni e
proroghe concernenti la FP.
XXXIII L. reg. 17.12.1997, n. 139, Modifiche ed integrazioni alle LL.RR. 9.4.97, n. 34 e 22.4.97 n.
38 “Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione professionale
degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo”.
Puglia
I L. reg. 07.05.1975, n. 38, Norme sullo svolgimento delle funzioni trasferite alla Regione, ai
sensi del DPR n. 10 del 15.1.1972, in materia di Consorzi provinciali per l’istruzione tecnica.
II L. reg. 21.03.1977, n. 9, Commissione consultiva regionale per la formazione professionale.
III L. reg. 17.10.1978, n. 54, Formazione professionale.
IV L. reg. 12.08.1981, n. 44, Costituzione di una Commissione di indagine sulla formazione
professionale.
V L. reg. 15.04.1982, n. 18, Proroga dei termini fissati dalla legge regionale 12 agosto 1981, n.
44 “Costituzione di una Commissione di indagine sulla formazione professionale”.
VI Scioglimento dell’Associazione CIAPI in Puglia e trasferimento alla gestione diretta della
formazione. professionale dei CIAPI di Bari e Foggia.
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VII L. reg. 19.11.1982, n. 33, Modifica alla legge regionale approvata dal Consiglio regionale
con deliberazione n. 268 del 21 settembre 1982 “Scioglimento dell’Associazione CIAPI in
Puglia e trasferimento alla gestione diretta della formazione professionale dei CIAPI di Bari
e Foggia”.
VIII L. reg. 17.06.1983, n. 9, Normativa per l’utilizzazione del personale della formazione professionale.
IX L. reg. 10.12.1983, n. 21, Disposizioni per la formazione professionale in aziende di medio -
grande dimensione.
X L. reg. 25.01.1984, n. 8, Interpretazione autentica art. 4 legge regionale 17 giugno 1983, n. 9.
XI L. reg. 25.02.1986, n. 5, Modifica agli artt. 1 e 6 della legge regionale 17 giugno 1983, n. 9
“Normativa per l’utilizzazione del personale della formazione professionale”.
XII L. reg. 18.01.1987, n. 8, Normative per l’utilizzazione del personale della formazione professionale.
Modifica legge regionale 17 giugno 1983, n. 9 e legge regionale 25 febbraio
1986, n. 5.
XIII L. reg. 08.09.1988, n. 26, Misure urgenti per il finanziamento delle attività di formazione
professionale. Modifiche ed integrazioni alla vigente legislazione regionale.
XIV L. reg. 19.07.1994, n. 28, Integrazioni e modifiche alla legge regionale n. 18 del 23 agosto
1993.
XV L. reg. 28.03.1997, n. 11, Misure urgenti per la formazione professionale.
XVI L. reg. 28.03.1997, n. 12, Modifiche della legge regionale “Misure urgenti per la formazione
professionale”.
XVII L. reg. 12.12.1997, n. 20, Modifica della legge regionale 28 marzo 1997, n. 11 “Misure urgenti
per la formazione professionale”.
Basilicata
I L. reg. 01.03.1980, n. 13, Disciplina del servizio di formazione e orientamento professionale
in Basilicata.
II L. reg. 24.01.1989, n. 3, Istituzione dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro.
III L. reg. 02.03.1990, n. 7, Ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale.
IV L. reg. 13.04.1996 n. 22, Modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7 ordinamento e disciplina
del sistema formativo regionale e sue successive modificazioni ed integrazioni.
V L. reg. 11.11.1996 n. 55, Interpretazione autentica dell’art. 4, comma 2, della l.r. 13.4.1996,
n. 22, recante modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7, concernente l’ordinamento e
la disciplina del sistema formativo regionale.
Campania
I L. reg. 09.11.1974 n. 63, Istituzione di botteghe - scuola nel territorio della Regione Campania.
II L. reg. 28.04.1975, n. 21, Svolgimento provvisorio delle funzioni di cui all art. 3 DPR 15
gennaio 1972, n. 10, in materia di Consorzi Provinciali per l’Istruzione Tecnica.
III L. reg. 01.09.1976, n. 17, Modifica alla legge regionale 9 novembre 1974, n. 64, concernente:
“Istituzione del titolo di maestro artigiano e dell’albo dei maestri artigiani della Campania”.
IV L. reg. 30.07.1977, n. 40, Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione
professionale, in B.U.R., n. 34 del 06.08.1977.
V L. reg.19.11.1977 n. 62, Istituzione di corsi di aggiornamento per riconversione delle attività
formative destinati a personale docente e non docente occupato in attività di FP alla data di
entrata in vigore della l. reg. 30 luglio 977, n. 40.
VI L. reg. 09.08.1978, n. 22, Scioglimento dell’Associazione CIAPI - Chiusura del CFP “A.
Marino” di S. Nicola la Strada( CE) ed inquadramento, ai sensi dell’art. 26 della L. reg. 30
luglio 1977, n. 40, del personale in servizio nel ruolo del personale della Giunta regionale
della Campania.
VII L. reg. 04.05.1979, n. 29, Modifica della legge regionale 30 luglio 1977, n. 40, relativa alla
normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale.
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247
VIII L. reg. 17.03.1981, n. 19, Normativa per il pagamento al personale degli Enti di FP di cui
alle lettere b) e c) dell’art. 6 della legge regionale 0 luglio 1977, numero 40.
IX L. reg. 28.08.1981, n. 62, Modifiche alla legge regionale 30 luglio 1977 n. 40. Normativa
per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale.
X L. reg. 25.01.1982, n. 5, Inquadramento nel ruolo del personale della Giunta regionale della
Campania del personale dei disciolti Consorzi provinciali per la Istruzione tecnica.
XI L. reg. 22.04.1982, n. 20, Integrazione della legge regionale 17 marzo 1981, n. 19 concernente:
“Normativa per il pagamento al personale degli Enti di FP di cui alle lettere B) e C)
dell’art. 6 della legge regionale 30 luglio 1977, n. 40”.
XII L. reg. 22.04.1982, n. 24, Istituzione dell’Albo regionale degli operatori della formazione
professionale.
XIII L. reg. 26.04.1985, n. 33, Modifiche all’art. 79 della legge regionale 30 luglio 1977 n. 40.
Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale.
XIV L. reg. 02.08.1982, n. 35, Indirizzi e direttive fondamentali per l’esercizio delle funzioni delegate
agli enti locali in materia di botteghe scuola.
XV L. reg. 06.10.1982, n. 62, Utilizzo in attività formativa ordinaria del personale già impegnato
nel progetto speciale per 4.000 disoccupati della città di Napoli.
XVI L. reg. 09.07.1984, n. 32, Istituzione del ruolo speciale della Giunta regionale ad esaurimento
del personale della formazione professionale.
XVII L. reg. 21.01.1985, n. 9, Norme per l’esercizio delle funzioni in materia di orientamento professionale.
XVIII L. reg. 08.03.1985, n. 18, Istituzione dei Centri Pilota.
XIX L. reg. 28.03.1985, n. 25, Modifiche all’art. 9 della L. Reg. 30 luglio 1977, n. 40, concernente
“Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale”.
XX L. reg. 26.04.1985, n. 33, Modifiche all’art. 7 della L. reg. 28 agosto 1981, n. 62 concernente
“Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale”.
XXI L. reg. 16.03.1986, n. 10, Osservatorio regionale del Mercato del Lavoro.
XXII L. reg. 28.03.1985, n. 21, Modifiche all’art. 9 della legge regionale 30 luglio 1977 n. 40.
Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale.
XXIII L. reg. 28.03.1987, n. 19, Riconoscimento dei corsi di formazione professionale autofinanziati.
XXIV L. reg. 18.07.1991, n. 14, Modifiche ed integrazioni alla L. Reg. 9.07.84, n. 32 concernente:
Istituzione del ruolo speciale della Giunta Regionale ad esaurimento del Personale della Formazione
professionale.
Calabria
I L. reg. 16.05.1980, n. 8, Ordinamento del personale addetto al settore della formazione professionale.
II L. reg. 22.11.1984, n. 35, Scioglimento dell’Associazione CIAPI Centri Interaziendali di
Addestramento Professionale per l’Industria - di Catona e Crotone.
III L. reg. 19.04.1985, n. 18, Ordinamento della formazione professionale in Calabria.
IV L. reg. 26.08.1986, n. 40, Rettifica della tabella dell’art. 47 della legge regionale 19 aprile
1985, n. 18.
V L. reg. 12.04.1988, n. 12, Centri Interaziendali Addestramento Professionale per l’Industria
(C.I.A.P.I.) di Catona e Crotone. Personale a tempo indeterminato. Modificazioni della legge
regionale 22 novembre 1984, n. 35.
VI L. reg. 16.03.1990, n. 15, Istituzione di un ruolo speciale ad esaurimento della Giunta regionale
per il personale della formazione professionale convenzionata.
VII L. reg. 05.05.1990, n. 35, Sostegno all’attività dell’Istituto superiore per il turismo - Corsi di
formazione per lo svolgimento di attività turistica.
VIII L. reg. 21.03.1994, n. 10, Interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, della legge regionale
16 marzo 1990, n. 15.
IX L. reg. 13.04.1996 n. 22, Modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7 ordinamento e disciplina
del sistema formativo regionale e sue successive modificazioni ed integrazioni.
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248
Sicilia
I L. reg. 06.03.1976, n. 24, Addestramento professionale dei lavoratori.
II L. reg. 18.06.1977, n. 45, Aggiunte e modifiche alla L. reg. 6.3.1976, n. 24.
III L. reg. 13.08.1979, n. 201, Norma aggiuntiva all’art. 9 della L. reg. 6.3.1976, n. 24.
IV L. reg. 12.03.1986, n. 12, Misure urgenti a favore dei lavoratori disoccupati nel settore edile.
Modifiche all’art. 4 della L. reg. 13.12.1983, n. 120, all’art. 6 della L. reg. 27.12.1969, n. 52
e all’art. 12 della L. reg. 6.3.1976, n. 24, art. 7.
Sardegna
I L. reg. 26.01.1976, n. 3, Esercizio delle funzioni amministrative delegate dallo Stato in materia
di istruzione artigiana e professionale.
II L. reg. 13.05.1976, n. 26, Assunzione a tempo determinato di personale insegnante per lo
svolgimento dei corsi di formazione professionale.
III L. reg. 29.11.976, n. 65, Norme integrative alla legge regionale 26 gennaio 1976, n. 3, esercizio
delle funzioni delegate dallo Stato in materia istruzione artigiana e professionale nel
Centro interaziendale sardo per l’addestramento professionale nell’industria (CISAPI).
IV L. reg. 16.06.1977, n. 20, Assunzione a tempo determinato di personale insegnante per lo
svolgimento dei corsi di formazione professionale programmati per l’anno 1976-1977.
V L. reg. 24.05.1979, n. 41, Assunzione a tempo determinato di personale insegnante per lo
svolgimento dei corsi di formazione professionale programmati per l’anno 1978-1979.
VI L. reg. 01.06.1979, n. 46, Scioglimento dell’Associazione CISAPI (Centro Interaziendale
sardo addestramento professionale industria) ed inquadramento, ai sensi della legge regionale
17.08.1978, n. 51, del personale in servizio nel ruolo speciale regionale della formazione
professionale.
VII L. reg. 01.06.1979, n. 47, Ordinamento della formazione professionale in Sardegna.
VIII L. reg. 23.12.1981, n. 40, Ulteriori disposizioni transitorie per l’applicazione della legge regionale
1º giugno 1979, n. 47, recante norme sull’ordinamento della formazione professionale.
IX L. reg. 02.03.1982, n. 7, Inquadramento nel ruolo unico regionale del personale del ruolo
speciale della formazione professionale e modifiche ed integrazioni delle leggi regionali 17
agosto 1978, n. 51, e 1º giugno 1979, n. 47.
X L. reg. 27.08.1982, n. 20, Norme transitorie per l’applicazione della legge regionale 1º
giugno 1979, n. 47, riguardante l’ordinamento della formazione professionale in Sardegna.
XI L. reg. 31.01.1983, n. 6, Norme transitorie per l’assunzione con contratto a termine di personale
docente della formazione professionale per l’anno formativo 1982-1983.
XII L. reg. 11.08.1983, n. 17, Disposizioni transitorie per l’applicazione della legge regionale 1°
giugno 1979, n. 47, recante: “Ordinamento della formazione professionale in Sardegna”.
XIII L. reg. 11.08.1983, n. 18, Modifica all’articolo 7 della legge regionale 1° giugno 1979, n. 47.
Recante: “Ordinamento della formazione professionale in Sardegna”.
XIV L. reg. 06.04.1984, n. 10, Norme transitorie per l’assunzione con contratto a termine di personale
docente della formazione professionale per l’anno 1983-1984.
XV L. reg. 23.03.1985, n. 4, Disposizioni transitorie per l’applicazione della legge regionale 1° giugno
1979, n. 47, recante norme sull’ordinamento della formazione professionale in Sardegna.
XVI L. reg. 13.06.1989, n. 42, Assunzione di personale docente presso i centri degli enti privati e
presso i centri regionali di formazione professionale - Modifica degli articoli 5, 6 e 7 della
legge regionale 2 marzo 1982, n. 7.
6.2. La legislazione organica
Le dieci leggi organiche appartengono a Regioni che: o rivedono la loro normativa
emanata prima della Legge quadro (Veneto e Marche nel 1990, Provincia Autonoma
di Bolzano e Lazio nel 1992, Liguria nel 1993); o provvedono ad emanare
una nuova legge (Basilicata nel 1990, Toscana nel 1994, Piemonte, Abruzzo e
Molise nel 1995) pur avendo già regolamentato il settore dopo la L. n. 845/78.
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249
377 In B.U.R. VENETO, n. 8/1990.
378 Cfr. vol. II, p. 112.
Di queste dieci leggi forniamo una rapida informazione, seguendo l’ordine
cronologico di emanazione.
Regione Veneto - La L. reg. 30.01.1990, n. 10 Ordinamento del sistema di formazione
professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro377 può
essere definita la prima legge di seconda generazione, secondo l’espressione utilizzata
dall’Isfol378. La prima perché vi si ritrovano insieme tutti gli elementi che caratterizzano
questa tipologia di legislazione regionale, (la programmazione unitaria
delle politiche attive del lavoro, la messa a regime dei sistemi di valutazione ex ante,
in itinere ed ex post, il modello agenziale del CFP, ecc.) e che in leggi degli Anni ’80
cominciano a comparire a livello embrionale o comunque in forma non compiuta.
La struttura della legge si muove su due traiettorie: la previsione di una programmazione
unitaria di tutte le componenti della politica del lavoro e la regolamentazione
di ciascuna componente. La Regione adotta un programma triennale, che stabilisce:
a) gli obiettivi degli interventi rispetto al programma regionale di sviluppo; b) le tipologie
di intervento della Formazione Professionale, della informazione e dell’orientamento
al lavoro, della politica del lavoro e delle iniziative non ricorrenti dell’Osservatorio
del mercato del lavoro e della professionalità; c) l’ammontare delle
risorse e la ripartizione tra i vari interventi. La Giunta regionale attua il programma
triennale attraverso la predisposizione di piani annuali. Al termine di ogni triennio,
la Giunta regionale presenta al Consiglio con la nuova proposta di programma una
relazione sui risultati di quello precedente.
Nella formazione del Programma triennale un ruolo strategico è rappresentato
da un Comitato interassessorile, denominato Gabinetto economico, composto da assessori,
chiamato a garantire il coordinamento di tutti gli interventi e la congruità
con il Programma Regionale di Sviluppo. Spetta al Gabinetto economico elaborare
la proposta del Programma triennale e di sovrintendere alla sua attuazione. Spetta,
invece, al servizio di programmazione e valutazione per le politiche formative “predisporre
gli elementi utili alla elaborazione del programma triennale”.
Inoltre, per assicurare al Piano triennale una base conoscitiva tecnico-scientifica,
l’Osservatorio Regionale del Mercato del Lavoro e della professionalità, con
un’attività sistematica, rileva dati, svolge analisi, proiezioni e previsioni e diffonde
informazioni relative alle dinamiche della domanda e dell’offerta e del sistema produttivo
e formativo..
Le norme che riguardano i soggetti che possono realizzare interventi formativi
riproducono la distinzione classica tra gestione diretta (Giunta regionale nei propri
CFP) e gestione convenzionata (gli Enti od organismi della L. n. 845/78, le associazioni
di impresa, le imprese e loro consorzi, gli istituti di Istruzione Secondaria superiore).
Per interventi destinati a ruoli apicali o a professioni innovative la Regione
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379 In B.U.R. BASILICATA, 7 marzo 1990.
250
ha la possibilità di convenzionarsi o di consorziarsi con Università, Centri di ricerca,
Istituti di formazione, Camere di commercio, Enti di promozione settoriale, associazioni
di imprese e loro consorzi. Regione ed Enti operano normalmente attraverso i
CFP che non sono solo luogo di realizzazione dell’intervento formativo ma anche
sede in cui si erogano una pluralità di servizi connessi alle politiche del lavoro. La
Legge elenca tutte le possibili azioni formative che praticamente riguardano tutti gli
utenti e tutte le posizioni rispetto al mercato del lavoro. Ogni azione formativa,
anche quelle di carattere ricorrente, deve essere predisposta mediante l’elaborazione
di un apposito progetto (cfr. Fig. n. 50) che indichi: a) il raccordo con la domanda
formativa del territorio e le relative possibilità occupazionali; b) i requisiti di partecipazione,
le modalità di selezione e le eventuali azioni di orientamento richieste; c)
gli obiettivi che si intendono raggiungere; d) le risorse necessarie, anche in terrmini
di personale; e) le attività didattiche e valutative (continue e finali) e la loro articolazione;
f) le eventuali forme di alternanza formazione-lavoro; g) il piano dei costi.
La Giunta regionale può promuovere la costituzione di Centri polo per la ricerca
e la sperimentazione.
Regione Basilicata - Le scelte che caratterizzano la L. reg. n. 7 del 2 marzo 1990
Ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale379 possono essere così sintetizzate:
a) necessità di introdurre un sistema di valutazione di efficienza ed efficacia
delle attività formative, per realizzare il quale viene creato un’apposita unità operati-
Figura n. 50 - Struttura del Progetto (L. reg. 10/90 Veneto)
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251
va, alla quale spetta anche l’elaborazione degli ordinamenti didattici; b) la riproposizione
classica del processo programmatorio articolato in piano pluriennale ed annuale;
c) la possibilità da parte della Regione di sostenere finanziariamente moda lità formative
anche non legate ad una strutturazione corsuale o anche non realizzate nel territorio
regionale; d) il superamento del modello di Centro di Formazione Professionale
come sede logistica di mera erogazione corsuale, per l’assunzione di un modello
organizzativo che valorizzi il CFP nel ruolo di terminale-territoriale delle politiche
attive del lavoro di competenza regionale. In questa accezione il Centro di Formazione
Professionale si connota per una pluralità di funzioni che vedono come referenti o
la Regione stessa (partecipazione alla rilevazione sistematica del mercato del lavoro)
o il sistema produttivo (consulenza e assistenza tecnica nella progettazione e gestione
di fenomeni formativi) o una utenza “territoriale” (servizi di orientamento, come da
Fig. n. 51). È evidente la logica sottesa da questa impostazione: rompere l’autarchica
situazione di isolamento della Formazione Professionale, per reinserirla in un circuito
di produttivi rapporti istituzionali e funzionali; e) la riaffermazione della impostazione
“ideologica” della Legge quadro in merito al problema della gestione (convenzione
con soggetti culturalmente e tecnicamente parametrati) ma nello stesso tempo
recupero della logica “funzionale” (per l’attività di alta qualificazione la possibilità
di convenzionarsi o costituire appositi consorzi con imprese, organismi di ricerca,
Università...); f) la delega alle Comunità montane solo della gestione dei Centri regionali;
g) la regolamentazione di servizi e attività di orientamento, da realizzarsi nei
CFP, collegati in rete con una struttura centrale di documentazione (vedi Fig. n. 51 ).
L’articolato, poi, contiene molte norme di dettaglio che regolamentano la quotidianità
della vita del sistema (relative al controllo sociale dei CFP, come posizioni e commissioni
di esami, struttura delle convenzioni…).
Figura n. 51 - Attività e servizi del sistema di orientamento (L. reg. 7/90 Basilicata)
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Regione Marche - La L. reg. 26 marzo 1990 n. 16 Ordinamento del sistema regionale
di formazione professionale380 sostituisce una vecchia legge del 1976, la n. 24.
È un provvedimento che recepisce alcune istanze della nuova cultura della Formazione
Professionale, ma in parte rimane ancorato a posizioni degli Anni ’70. Una delle
novità più rilevanti è il nuovo soggetto di delega: non più i Comuni con il vincolo di
associazione, ma la Provincia. Alla Regione spettano funzioni strategiche e alla Provincia
quelle attuative. Per questo viene affidata alla Provincia la predisposizione del
Piano annuale e alla Regione quello triennale (determinazione degli obiettivi, delle risorse
finanziarie e dei criteri della loro ripartizione tra la Regione e gli Enti delegati e
tra le varie attività). La Provincia nella formazione del Piano annuale si avvale di un
comitato tecnico consultivo (composto da rappresentanti delle Istituzioni locali, delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, del mondo della Scuola).
Spetta alla Provincia anche la stipula delle convenzioni, l’erogazione dei finanziamenti,
la vigilanza e il controllo sulle attività degli Enti, ma anche la realizzazione degli
interventi per l’orientamento professionale. Grande centralità viene riservato al
concetto di progetto e alla prassi della progettazione. I soggetti attuatori presentano le
proprie proposte di intervento sotto forma di progetto formativo e le Province provvedono
alla costituzione di appositi uffici di progettazione. Per quanto riguarda la gestione
vengono riproposte le previsioni della Legge quadro, relativamente sia ai soggetti
che ai requisiti che debbono possedere. I CFP pubblici sono chiamati Scuole regionali
e sono governate da un Consiglio di amministrazione, mentre nei CFP degli
Enti opera un Comitato di controllo sociale che esprime pareri su tutti gli aspetti della
vita del centro: bilanci preventivi e consuntivi; proposte di attività da inoltrare all’Ente
delegato; programmi didattici adottati dagli organi dei docenti e le verifiche periodiche
e finali; piani di utilizzazione del personale docente e non docente. Sono queste
le ultime previsioni che ci richiamano la cultura di democrazia diretta degli Anni ’70.
Provincia Autonoma di Bolzano - La L. prov. 12.11.1992, n. 40 Ordinamento
della formazione professionale sostituisce la L. reg. n. 9 del 1962381. Essa si caratterizza
per un impianto essenziale, che detta principi e disegna a grandi linee il sistema
programmatorio (pluriennale e annuale) e quello gestionale, (strutture organizzative
provinciali della Formazione Professionale o di terzi: privati, Enti pubblici, Istituti
ed Università mediante convenzione, che possono ricevere contributi, fino ad un
massimo dell’80% delle spese di gestione); entra più in dettaglio nella declinazione
delle tipologie formative (di breve durata, annuali, pluriennali o a cicli modulari).
Grazie all’autonomia legislativa “esclusiva” in materia di addestramento-formazione
di cui beneficia la Provincia, la L. n. 40/92 prospetta soluzioni non proponibili
in Regioni a statuto ordinario. Infatti, prevede interventi formativi utili per conseguire:
a) “l’adempimento dell’ultima fase dell’obbligo scolastico in alternativa alla
380 In B.U.R. MARCHE, 30 marzo 1990, n. 43.
381 In B.U.R. BOLZANO (Prov.), del 18 settembre 1962.
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frequenza di una scuola secondaria superiore”; b) “diplomi previsti per specifiche
aree professionali, ai sensi e per gli effetti della normativa comunitaria”. Segnaliamo
due caratteristiche ulteriori, tipiche del mondo formativo tedesco: l’insistenza sull’alternanza
formazione-lavoro in azienda (“durante l’anno scolastico; durante le
ferie scolastiche; a conclusione dei corsi”) e una standardizzazione dei percorsi didattici
e relative prove d’esame.
Regione Lazio - Con la legge di Bolzano, la L. reg. n. 23 del 25 febbraio 1992382
della Regione Lazio ha in comune quasi solo il nome: Ordinamento della formazione
professionale. Tanto era snella quella (quasi una Legge “quadro”) quanto è
strutturata questa. La Legge provinciale si occupava solo di Formazione Professionale,
quella della Regione Lazio dell’Orientamento e della Formazione Professionale
(sia finanziata sia solo autorizzata) ma come “settori d’intervento” di un “sistema
unitariamente programmato”, quello delle politiche formative. La Legge introduce
nel sistema laziale la delega alle Province e alla Città metropolitana. Alla
Regione, oltre ai rapporti con le autorità nazionali comunitarie ed internazionali,
spettano le funzioni di programmazione (predisposizione dei piani pluriennali ed annuali)
e di indirizzo (definizione dello schema-tipo delle convenzioni, degli indirizzi
di programmazione didattica e dei requisiti per il riconoscimento dell’idoneità delle
strutture e delle attrezzature) la vigilanza e il controllo delle attività. Alle Province,
di fatto, veniva delegata solo la gestione dei Centri di Formazione Professionale regionali,
dei Centri dei Comuni in convenzione con la Regione, degli interventi formativi
in agricoltura svolti dall’Ente regionale di sviluppo agricolo nel Lazio
(ERSAL). La Legge prevedeva anche la possibilità di delegare alle Province competenze
relative ai piani di FSE, trascorso un triennio dalla emanazione della Legge
stessa. Tra i soggetti attuatori, individuati sulla falsariga di quanto prevede la L. n.
845/78, vengono esplicitamente previsti gli enti bilaterali (costituiti sulla base di accordi
nazionali tra associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali dei lavoratori
maggiormente rappresentative).
I soggetti attuatori operano in Centri di Formazione Professionale, in strutture
aziendali o in altre strutture idonee. La Legge, poi, dettaglia norme relative alla vita
dei Centri di Formazione (collegio dei docenti, comitato di partecipazione sociale) ai
rapporti tra Regione e soggetti/strutture operative (convenzioni, finanziamenti, rendicontazione),
che più opportunamente potevano figurare in un Regolamento attuativo.
Regione Liguria - La Legge n. 52 del 5 novembre 1993, Disposizioni per la realizzazione
di politiche attive del lavoro383, prevede un unico atto programmatorio di
tutti gli strumenti che attuano la politica del lavoro: a) il monitoraggio dell’attività
produttiva e dell’occupazione; b) l’Orientamento professionale; c) la Formazione
Professionale; d) la promozione occupazionale.
382 In B.U.R. LAZIO, 10 marzo 1992, n. 7.
383 In B.U.R. LIGURIA, 24 novembre 1993 n. 24.
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384 Rispetto a quella convenzionata, dove le spese (definite in relazione a parametri prefissati) sono
completamente coperte, nella “sovvenzionata” si eroga solo un “contributo”, definito in sede di Piano
triennale.
Per realizzare il monitoraggio dell’attività produttiva e dell’occupazione la
Legge istituisce l’Osservatorio del Mercato del Lavoro come struttura organizzativa
regionale, la cui attività tecnico-scientifica è indirizzata e coordinata da un apposito
Comitato. L’Orientamento professionale, svolto dalle Province, tramite strutture
pubbliche o soggetti privati convenzionati, è rivolto a tutte le utenze, giovanili ed
adulte, inserite nel mondo della Scuola o in stato di disoccupazione e inoccupazione,
e si realizza mediante attività informative e formative, che si concretizzano in interventi
all’interno di percorsi formativi, nella diffusione di materiali informativi e
nella consulenza individuale.
La Formazione Professionale (“insieme organico di attività teoriche, pratiche e
di esperienze di lavoro finalizzate al conseguimento di un definito livello professionale),
accompagna tutti gli snodi dei processi di transizione: dalla scuola al lavoro,
dalla disoccupazione al lavoro e dal lavoro al lavoro (l’elenco delle tipologie dei destinatari
degli interventi prevede, tra gli altri, quanti abbiano concluso il biennio iniziale
di Scuola Secondaria superiore). Spetta alla Provincia la definizione del Piano
annuale degli interventi. All’atto della prima iscrizione ad un corso ogni allievo viene
munito di un libretto formativo personale nel quale viene registrato il suo curriculum
formativo. Le soluzioni prospettate per i soggetti che possono proporre-realizzare attività
formative si muovono rigorosamente all’interno delle previsioni della Legge
quadro: a) strutture pubbliche (che con la delega alle Province diventano Centri provinciali
per la Formazione Professionale); b) Enti, iscritti in un Albo regionale a seguito
dell’accertamento di requisiti predefiniti e che sostanzialmente sono quelli della
L. n. 845/1978; c) imprese. La Legge prevede per gli Enti di formazione, oltre alla
possibilità di un’attività convenzionata, anche un’attività “sovvenzionata”384 in pre-
Figura n. 52 - Gli strumenti per la politica attiva del lavoro (L. reg. n. 52/93 Liguria)
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senza di un accordo tra le parti sociali che garantisca l’occupazione dei partecipanti al
termine dell’intervento formativo. Sono regolamentate anche le attività realizzate da
privati con fini di lucro.
Il regime di delega alle Province (relativo alla programmazione attuativa e alla
gestione della Formazione Professionale e dell’Orientamento), introdotto con questa
Legge, ha inizio con il 1° gennaio 1994, data in cui vengono trasferiti i beni mobili e
immobili e il personale dei Centri di Formazione Professionale e delle strutture di
orientamento, gestiti, fino ad allora dalla Regione.
Regione Toscana - La L. reg. n. 70/94 Nuova disciplina in materia di formazione
professionale385 sostituisce una norma di 9 anni prima. La nota di fondo di
questa Legge va forse ravvisata nell’idea di integrazione e partecipazione allargata.
Viene richiamata l’espressione europea del “dialogo sociale” con le parti sociali per
la loro partecipazione all’osservazione del mercato del lavoro e alla programmazione
e verifica di efficacia ed efficienza degli interventi relativi a contratti a causa
mista o alla Formazione Continua o ai lavoratori in situazione critica. Vengono usate
le espressioni “collaborazione, reciproco coordinamento delle attività e idonee
forme di integrazione operativa” con l’ordinamento scolastico statale e con le Università,
da realizzarsi mediante intese, accordi anche di programma e convenzioni.
In particolare, possono essere programmati e realizzati progetti integrati di orientamento
e formazione curricolare e professionale: a) per la prevenzione o recupero
della dispersione scolastica e universitaria; b) per gli allievi della Scuola Secondaria
superiore e dei corsi universitari, per favorire ed accelerare l’inserimento lavorativo
al termine del ciclo di studi; c) per il recupero e consolidamento di conoscenze e
competenze per soggetti adulti. L’idea dell’integrazione tocca anche i centri di interesse
regionale, una novità rispetto alla legislazione precedente.
Questi centri sono organismi o moduli organizzativi, partecipati o riconosciuti
dalla Regione; operano in riferimento a specifici comparti di attività economiche o a
gruppi omogenei di professionalità e svolgono attività a carattere formativo o ad
esse connesse (studio, ricerca applicata, sperimentazione, documentazione, consulenza
ed assistenza tecnica). Nei centri di interesse regionale è garantito l’apporto
integrato di almeno una agenzia formativa, l’Università, almeno una impresa o consorzio
o associazione di imprese dell’area tematica di riferimento del centro.
L’individuazione dei centri di interesse regionale e la partecipazione o il riconoscimento
della Regione è di competenza del Consiglio regionale.
Per quanto riguarda gli altri soggetti gestionali la Legge toscana va al di là della
Legge quadro. Infatti, oltre ai soggetti menzionati nella Legge quadro (pubblici e del
privato sociale) la norma si spinge ad includere “altri soggetti, costituiti senza fini di
lucro”. La Legge riserva un particolare rilievo ai corsi riconosciuti o “assentiti”.
Gli interventi e le attività sono programmati ed attuati in rapporto di reciproco
385 In B.U.R. TOSCANA, n. 60, parte prima del 7 settembre 1994.
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coordinamento con le attività di osservazione e di governo del mercato del lavoro, di
Orientamento e di Istruzione professionale, di promozione e sostegno del diritto allo
studio e di aiuto all’occupazione.
La nuova norma cambia il soggetto di delega: non le Comunità montane ma le
Province. Questo configura un nuovo iter programmatorio, di cui parleremo più diffusamente
nella scheda riservata alla Regione. Molto spazio è riservato alla valutazione,
monitoraggio e controllo di gestione. Tutti gli interventi sono soggetti a valutazione,
preventiva, in corso di attuazione e successiva, da parte della Regione o
delle Province. Le Province redigono ed approvano, contestualmente alla rendicontazione
finale degli interventi previsti nel programma annuale, una relazione sull’attività.
La Regione attua il monitoraggio degli interventi programmati mediante la rilevazione
e la raccolta, l’elaborazione e la valutazione di informazioni e dati significativi,
nell’ambito di apposito sistema informativo. I dati di sintesi risultanti dall’attività
di monitoraggio sono raccolti annualmente in apposito documento corredato
da una relazione esplicativa, valutativa e propositiva; tale documento è poi inoltratato
alla Giunta e al Consiglio.
Regione Piemonte - La L. n. 63/95386 del Piemonte, come quella laziale, si occupa
dell’Orientamento e Formazione Professionale, come rivela chiaramente il titolo
Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale. All’inizio
sono elencati i criteri con cui si intende organizzare il sistema: a) organicità (gli
obiettivi formativi mettono in relazione i fattori tecnologici, economici, sociali, culturali
e informativi con la produzione di beni e servizi e la partecipazione allo sviluppo
sociale ed economico); b) progettualità (le azioni sono ricondotte ad obiettivi
386 In B.U.R. PIEMONTE, 19 aprile 1995, suppl. al n. 16.
Figura n. 53 - I Centri di interesse regionale (L. reg. n. 70/94 Toscana)
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espliciti e coerenti); c) flessibilità (rispondenza alle esigenze delle singole persone e
alle dinamiche del sistema economico e produttivo); d) continuità (le azioni sono organizzate
per l’intero arco della vita); e) concertazione con le parti sociali; f) pluralismo
(valorizzazione delle proposte formative presenti sul territorio); g) integrazione
con il sistema scolastico e con il mondo produttivo; h) distinzione delle competenze
tra Regione e Province387.
Le diverse attività formative, che riguardano tutto l’arco della vita, sono caratterizzate
da una pluralità di azioni formative integrate. In particolare, esse si caratterizzano
per la differenziazione didattica di modalità e strumenti di attuazione e
comprendono, tra le altre, azioni di individuazione ed accoglienza degli utenti, di
orientamento e rimotivazione, di docenza in aula e di esercitazioni in laboratorio,
di formazione aperta, di autoistruzione assistita, di apprendimento esperienziale
guidato.
Le azioni di Orientamento professionale (supporti informativi sulle opportunità
formative e lavorative; unità didattiche, moduli e stages di orientamento nei percorsi
scolastici e di Formazione Professionale; consulenza e azioni di supporto decisionale
individuali e collettive) sono realizzate dai Comuni, dalle Comunità montane,
dalle Province che provvedono sia direttamente o tramite Enti da essi costituiti o
partecipati o mediante convenzione con Enti con finalità statutaria di Orientamento
professionale e dalle agenzie di Formazione Professionale.
La Legge prevede la delega alle Province in materia: di individuazione dei fabbisogni
formativi (secondo le specifiche tecniche definite dalla Giunta Regionale),
formulazione di proposte e pareri obbligatori sui Programmi triennali e sulle diret-
387 Alcuni dei criteri erano presenti anche nella L. n. 8/80 (progettualità, flessibilità, pluralismo) altri
presenti nella vecchia Legge sono presenti nella nuova con denominazioni nuove (programmazione
prima e organicità ora, apertura prima e concertazione ora), altri ancora compaiono solo nella nuova
Legge (delega e integrazione).
Figura n. 54 - Criteri di organizzazione del sistema regionale (L. reg. 63/95 Piemonte)
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tive annuali, approvazione e di progetti territoriali e dei piani Provinciali di politica
del lavoro, riconoscimento dei corsi “liberi”, nomina delle commissioni di esame.
Il processo programmatorio si realizza mediante tre tipi di documenti: Programma
triennale (riguarda gli obiettivi e le strategie), Direttive annuali (riguarda
modalità attuative del Programma triennale), Piano annuale (definisce interventi e
soggetti attuatori). Soggetti attuatori e relativi requisiti sono, sostanzialmente, quelli
previsti dalla Legge quadro. Cambia il nome delle loro strutture operative: non più
Centri di Formazione, ma Agenzie formative. Grande rilevanza ha il tema della valutazione.
Regione Abruzzo - La L. reg. n. 111/95 è la seconda legge che la Regione approva
dopo l’emanazione della Legge quadro nazionale. La precedente, la n. 63 del
1979, viene esplicitamente abrogata. Naturalmente l’una e l’altra normativa rimangono
sulla scia della Legge quadro, ma nella Legge n. 111/95 si avverte il peso del
dibattito e delle acquisizioni culturali dei decenni ’80 e ’90. Segnaliamo le differenze
più importanti.
Nella nuova Legge: a) non si parla più di delega, precedentemente affidata alle
Comunità montane e non montane; b) vengono regolamentati sia la Formazione
Professionale (iniziale, superiore e continua) che l’Orientamento professionale, le
cui attività (formazione, informazione e consulenza), almeno sul versante pubblico,
sono attuate dai Centri Regionali di Formazione Professionale; c) si insiste con particolare
enfasi su “un sistema integrato”, nel senso che viene valorizzata la partecipazione
(scambio di informazioni e conoscenze ma anche di progettazione comune
di interventi) delle organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro, delle amministrazioni
del Sistema Scolastico, delle Università, dei Centri di ricerca, degli
attori della Formazione Professionale. Per promuovere il sistema integrato, la
Legge prevede momenti di coordinamento e di gestione specifici. Infatti, per favorire
e coordinare le interazioni di questa rete di soggetti si istituiscono e si riorganizzano
specifici “Organismi tecnici regionali”: l’Osservatorio del Mercato del La-
Figura n. 55 - Organismi tecnici regionali (L. reg. n. 111/95 Abruzzo)
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voro, l’Ufficio regionale per la gestione amministrativa e contabile, il Comitato tecnico
di valutazione e controllo (monitoraggio, valutazione ex ante, in itinere ed ex
post, controlli di efficacia e di efficienza) e il Coordinamento regionale delle attività
di Orientamento professionale (indirizzo e coordinamento dei centri pubblici di
orientamento e di quelli organizzati da operatori e strutture private, cfr. Fig. n. 55).
Sul piano gestionale, invece, si danno vita a Centri di interesse regionale per realizzare
interventi di elevata qualità; Centri composti, anche in forma temporanea, almeno,
da un’agenzia formativa, da un’Università, da un’impresa o associazione di
imprese.
Regione Molise - La L. reg. n. 10/1995 Nuovo ordinamento della formazione
professionale388 abroga e sostituisce la normativa emanata 12 anni prima, la n.
3/1985 Disciplina della formazione professionale nel Molise. In linea con le leggi
regionali di “seconda generazione” la n. 10/95 prevede una programmazione unitaria
delle politiche del lavoro: orientamento, formazione, osservazione del mercato
del lavoro e misure per l’occupazione e l’imprenditorialità. Per le attività di orientamento,
il Piano annuale stabilirà la possibilità di utilizzare i CFP pubblici e convenzionati.
L’Osservatorio del Mercato del Lavoro viene costituito come sezione dell’Assessorato
regionale alla formazione. A differenza dell’Abruzzo che recede dalla
delega delle funzioni a soggetti sub-regionali, il Molise la introduce per la prima
volta, affidandola alle due Province. Gli ambiti di competenza della Regione vengono
così delimitati: oltre ai rapporti con autorità nazionali e internazionali, le spettano
le funzioni relative alla programmazione, regolamentazione, indirizzo, coordinamento
e valutazione, mentre alle Province sono riservate la gestione dei Centri di
Formazione Professionale ex regionali, la vigilanza tecnica ed amministrativa sulle
attività formative convenzionate, la nomina delle commissioni d’esame, la stipula e
la revoca delle convenzioni con i soggetti attuatori.
Particolarmente dettagliate risultano le procedure per la pianificazione annuale
delle attività: il processo inizia con l’emanazione di direttive sugli obiettivi (ripartizioni
finanziarie per settori/aree produttive, per tipologie formative definite in relazione
alle utenze e ai livelli professionali per provincia) e sulle modalità con le quali
gli interventi formativi devono essere progettati ed attuati. Segue la proposta delle
iniziative da parte dei soggetti attuatori mediante progetti, elaborati su formulari
predefiniti dalla Regione, e la loro valutazione per accertarne la rispondenza agli
obiettivi programmatici e alle specifiche esigenze socio-economiche territoriali, l’adeguatezza
e fattibilità tecnica, la conformità alle direttive regionali e la congruità
dei costi previsti. Le risultanze di tale processo valutativo costituiranno il Programma
annuale. Per l’acquisizione di competenze imprenditoriali e manageriali, di
alte specializzazioni o di ruoli professionali avanzati si può fa ricorso a imprese,
Università, organismi di ricerca e di formazione, anche mediante la costituzione di
388 In B.U.R. MOLISE, del 01/04/95 n. 7.
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appositi consorzi o società miste o società consortili. La legge allarga ulteriormente
il panel di soggetti attuatori includendo anche gli istituti scolastici, da soli o in consorzio,
anche insieme ad Enti e aziende per azioni formative destinate agli alunni ancora
inseriti nella scuola media superiore o qualificati o diplomati. La L. n. 10/95 assume
il modello di CFP agenziale, cioè di una struttura che non si limita alla erogazione
degli interventi formativi, ma è anche in grado di realizzare sperimentazioni
didattiche, attività di formazione a distanza, servizi per l’Orientamento professionale
e per l’osservazione di fenomeni attinenti al mercato del lavoro, attività di progettazione
formativa e di informazione, assistenza e consulenza sulle politiche formative
ed occupazionali delle piccole imprese. La Legge, infine, prevede la costituzione
di un consorzio aperto alla partecipazione delle Province e dei soggetti attuatori,
per attività di studio ed erogazione di servizi nel campo delle politiche formative
ed occupazionali. La quota di partecipazione della Regione non può essere inferiore
al 51% del capitale iniziale.
6.3. Lettura sinottica della legislazione organica
Se si escludono la Legge della Provincia di Bolzano e quella delle Marche, gli
altri provvedimenti esaminati possono essere considerati come leggi della “seconda
generazione”389. Con questa espressione l’Isfol definisce un modello normativo delle
389 Cfr. volume II, p. 112.
Figura n. 56 - Servizi erogabili dal CFP (L. reg. n. 10/95 Molise)
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leggi regionali, che pur rifacendosi necessariamente alla Legge quadro del 1978,
tiene presente le acquisizioni del dibattito della seconda metà degli Anni ’80 e dei
primi Anni ’90 (in particolare, come vedremo più avanti, una programmazione unitaria
di tutto l’arco delle politiche attive del lavoro, la previsione di un’attività sistemica
di monitoraggio-valutazione, la configurazione del CFP come sede di
erogazione di una pluralità di servizi attinenti le politiche del lavoro). Non comprendiamo
in questo gruppo di normative la legge marchigiana per la sua posizione singolare:
acquisisce alcuni elementi della nuova cultura, ma per altri ripropone posizioni,
a nostro avviso, “più attardate” e comunque nell’insieme non presenta in
maniera sistematica gli elementi caratterizzanti le leggi di seconda generazione. Non
includiamo in questa tipologia di leggi nemmeno quella Toscana. È vero che dà
molto spazio al processo di valutazione, ma, per quanto riguarda quello di programmazione
si limita a prevedere un blando “reciproco coordinamento” tra attività formativa
e l’osservazione del mercato del lavoro, l’orientamento e l’aiuto all’occupazione.
Un’annotazione preliminare importante, che vale per la produzione normativa,
in genere, per quella della Formazione Professionale, in particolare. Nel corpus
legislativo della Formazione regionale si verifica, in misura considerevole, uno scollamento
tra norma e la sua effettiva applicazione. La Legge prevede comportamenti,
procedure e istituzioni che non riscontriamo nella struttura e nella prassi delle Regioni.
D’altra parte la stessa Legge quadro presenta ampie zone normative a cui non
si è dato mai seguito. Alcuni esempi: la configurazione nuova dei CFP come erogatori
di una pluralità di servizi afferenti le politiche del lavoro, presenti nei provvedimenti
di Basilicata e Molise, ha avuto parziali ed effimere realizzazioni; i Centri di
interesse regionale per realizzare interventi di elevata qualità dell’Abruzzo sono rimasti
sulla carta.
6.3.1. Il rapporto Formazione Professionale e politiche attive del lavoro
La prima acquisizione riguarda il rapporto della Formazione Professionale nei
confronti delle politiche attive per il lavoro, le politiche cioè che tendono a prevenire
la disoccupazione mediante iniziative da parte delle istituzioni pubbliche per promuovere
l’occupazione e l’inserimento lavorativo, inteso sia come lavoro dipendente
sia come auto-impiego e quindi creazione di nuova imprenditorialità390.
390 BAGLIONI P., Il ragno e la ragnatela: le politiche attive del lavoro a livello locale, F. Angeli, Milano
1985; BORZAGA C., BRUNELLO G., L’impatto delle politiche attive del lavoro in Italia, Edizioni
Scientifiche Italiane, Roma 1997; MONTANINO A., Dalle politiche passive alle politiche attive del lavoro:
il ruolo della formazione professionale, Centro studi Confindustria, Roma 1998; GRASSELLI P., MONTESI
C. (a cura di), Le politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune, F. Angeli, Milano
2010; CANTALUPI M., DEMURTAS M., Politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e valutazione:
esperienze e percorsi in Italia e in Europa, Il Mulino, Bologna 2009; ALTIERI L., TOGNI D., Valutazione
e politiche attive del lavoro: esperienze in Emilia Romagna, F. Angeli, Milano 2005; FANELLI N., Le
politiche attive del lavoro: analisi sociologico-giuridica di un caso di decentramento amministrativo,
Editrice Montefeltro, Urbino 1999.
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In questa definizione i potenziali destinatari delle politiche attive sono tutti
coloro che non sono ancora nella vita attiva391.
Per meglio comprendere l’importanza di un approccio preventivo e quindi attivo,
occorre, in primo luogo differenziarlo dal cosiddetto approccio curativo,
quello, cioè delle politiche passive per l’occupazione. In modo particolare, nei decenni
precedenti, nel nostro Paese, ma anche in altri Stati membri dell’UE, le politiche
del mercato del lavoro si sono concentrate soprattutto sui sistemi di protezione
sociale e sui meccanismi di sicurezza contro le perdite del reddito, mettendo in moto
un meccanismo che alleviava i danni della disoccupazione per coloro che perdevano
il lavoro, ma che tuttavia produceva inevitabilmente una situazione di disoccupazione
a lungo termine. In questo modo, le risorse finanziarie erano destinate in maniera
predominante, attraverso sussidi, alle politiche passive di sostegno della disoccupazione.
Quindi politiche dispendiose e che comunque non intervenivano sulle
cause prime, cioè i cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro. Progressivamente,
però l’atteggiamento dell’Unione europa cambia e nel Trattato di Amsterdam392,
del giugno 1997, inserisce il nuovo capitolo “Occupazione”, al fine di coordinare
le politiche nazionali in tale materia393.
391 Altre definizioni sono più selettive in quanto i destinatari esclusivi sono persone con particolari
esigenze e difficoltà. In una parola gli “svantaggiati”, cioè quelli che sono portatori di criticità occupazionali
relative al loro status o al tempo trascorso di attesa del lavoro o all’età, cosi come apprezzati dalle
diverse normative nazionali e regionali: LOMBARDI M. (a cura di), Percorsi di integrazione degli immigrati
e politiche attive del lavoro, F. Angeli, Milano 2005; CHIAMBRETTO M.L., GENOVESE L., Cooperazione
sociale e politiche attive del lavoro: il diritto al lavoro per le persone svantaggiate, Atti del
Convegno svoltosi a Torino il 29 febbraio e il 1 marzo 1997 promosso da Regione Piemonte e Comune
di Torino, F. Angeli, Milano 1998.
392 I trattati sull’Unione Europea sono un insieme di trattati internazionali tra gli Stati membri che
pongono le basi dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Essi danno vita alle varie istituzioni dell’Unione,
alle loro procedure e agli obiettivi dell’Unione. Il Trattato che istituisce la Comunità Economica
Europea (Trattato di Roma, effettivo dal 1958) ed il Trattato sull’Unione Europea (Trattato di Maastricht,
effettivo dal1993), costituiscono congiuntamente la base legale dell’UE. Essi sono pertanto conosciuti
come trattati fondativi o trattati istitutivi; questi due trattati sono stati modificati diverse volte a
partire dalla loro approvazione, per mezzo di trattati emendativi. Quello di Amsterdam si configura,
quindi, come un Trattato emendativo.
393 La piena occupazione è sempre stata uno degli obiettivi della Comunità, già presente nel Trattato
di Roma. Sin dal principio il Fondo Sociale Europeo (FSE) è stato uno strumento di sostegno volto
a promuovere l’occupazione e la mobilità dei lavoratori. Tuttavia, prima del 1997, la cooperazione fra
gli Stati membri consisteva soprattutto nella tradizionale collaborazione fra governi in seno a organizzazioni
internazionali come l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e
l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) piattaforme multilaterali di cooperazione europea e
internazionale soprattutto in materia di mercato del lavoro. I problemi strutturali e le difficoltà macroeconomiche
degli Anni ’90 hanno fatto emergere l’esigenza di una risposta coordinata a livello europeo.
Il “Libro bianco Delors” del 1993 sulla crescita, la concorrenzialità e l’occupazione ha costituito il
primo passo verso una vera cooperazione a livello europeo. Sulla base di tale Libro bianco, il Consiglio
europeo di Essen identifica cinque obiettivi chiave che gli Stati membri si impegnano a perseguire:
“sviluppo delle risorse umane tramite la formazione professionale”, “sostegno agli investimenti produttivi
per mezzo di politiche salariali moderate”, “miglioramento dell’efficacia delle istituzioni del
mercato del lavoro”, “individuazione di nuove risorse di occupazione attraverso iniziative locali e promozione
dell’accesso al mercato del lavoro per alcune categorie specifiche come i giovani, i disoccustoriaFORMAZ3-
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Su questa base i capi di Stato e di Governo avvieranno la Strategia Europea per
l’Occupazione (SEO)394, nel corso del vertice di Lussemburgo395.
La SEO, dal punto di vista delle politiche attive, ha rappresentato una vera e propria
svolta, perché ha posto come principio politico l’obiettivo della prevenzione e dell’attivazione
precoce nelle politiche occupazionali e l’importanza di aiutare le persone
pati di lunga durata e le donne”. Tuttavia gli obiettivi al centro della “strategia di Essen” erano di difficile
realizzazione senza un fermo impegno da parte degli Stati membri. In tale contesto il nuovo capitolo
relativo all’occupazione del Trattato di Amsterdam, pur preservando la competenza degli Stati
membri nel settore della politica dell’occupazione, rafforza l’approccio comunitario in maniera globale
per tutti gli Stati membri dà l’avvio ad una strategia coordinata per l’occupazione. La promozione di
una manodopera qualificata e di un mercato del lavoro più reattivo ai mutamenti economici diventa una
“questione di interesse comune”. Il trattato costituisce anche il fondamento giuridico per l’istituzione di
un comitato dell’occupazione e introduce il voto a maggioranza qualificata nei settori relativi all’occupazione,
il che agevola il processo decisionale.
394 L’obiettivo della SEO è ridurre la disoccupazione in maniera significativa a livello europeo in
cinque anni. La SEO istituisce un quadro di sorveglianza multilaterale che comprende in particolare
una relazione congiunta annuale sull’occupazione, linee direttrici per l’occupazione che fungeranno da
base per i Piani di Azione Nazionali (PAN) elaborati dagli Stati membri e le raccomandazioni del Consiglio
dei Ministri destinate ai diversi Stati membri. Il coordinamento delle politiche nazionali in materia
di occupazione è volto essenzialmente ad impegnare gli Stati membri in una serie di obiettivi comuni
incentrati su quattro pilastri, ossia l’idoneità al lavoro, l’imprenditorialità, l’adattabilità e le pari
opportunità: a) l’idoneità al lavoro: la lotta alla disoccupazione di lunga durata e la disoccupazione dei
giovani, la modernizzazione dei Sistemi di Istruzione e Formazione, un monitoraggio attivo dei disoccupati
proponendo loro un’alternativa nel campo della formazione o dell’occupazione (prima di raggiungere
i sei mesi di disoccupazione per i giovani disoccupati e i 12 mesi per i disoccupati di lunga durata),
la riduzione del 50% dell’abbandono scolastico, nonché l’attuazione di un accordo quadro fra i
datori di lavoro e le parti sociali finalizzato all’apertura delle imprese alla formazione e all’acquisizione
di un’esperienza; b) l’imprenditorialità: l’applicazione di regole chiare, stabili e affidabili volte
alla creazione e alla gestione di imprese e la semplificazione degli obblighi amministrativi per le piccole
e medie imprese (PMI). La strategia propone una significativa riduzione del costo derivante dall’assunzione
di personale aggiuntivo, una semplificazione del passaggio al lavoro indipendente e della
creazione di micro-imprese, lo sviluppo di mercati del capitale di rischio per facilitare il finanziamento
delle PMI e la riduzione degli oneri fiscali che gravano sul lavoro entro il 2000; c) l’adattabilità: la modernizzazione
dell’organizzazione, la flessibilità del lavoro, la predisposizione di contratti adattabili ai
diversi tipi di lavoro, il sostegno alla formazione in seno alle imprese eliminando ostacoli fiscali e mobilitando
aiuti statali per migliorare le competenze della popolazione attiva, la creazione di posti di lavoro
duraturi e il funzionamento efficiente del mercato del lavoro; d) le pari opportunità: la lotta alle
disparità uomo-donna e un maggiore tasso di occupazione femminile da raggiungere con l’attuazione
di politiche in materia di interruzione della carriera, congedo parentale, lavoro part-time, servizi di qualità
di custodia dei figli. Inoltre la SEO propone agli Stati membri di facilitare il ritorno al lavoro, nello
specifico per le donne. In modo particolare, la Strategia europea occupazionale, ha invitato gli Stati
membri a coordinare le loro politiche in materia di lavoro intorno a quattro pilastri d’azione prioritaria
(occupabilità, imprenditorialità, adattabilità, pari opportunità).
395 Il Consiglio Europeo Straordinario di Lussemburgo, tenutosi nel novembre 1997, ha sancito
definitivamente la Strategia Europea rendendola operativa e dando il via ad una serie di indicazioni per
gli Stati membri al fine di realizzare in ogni Paese un ciclo annuo di programmazione e controllo delle
politiche occupazionali, noto come “processo di Lussemburgo”. Questi elementi, nell’insieme, hanno
permesso in concreto di avviare in Italia un modo diverso di fare politica per l’impiego, promovendo
diversi strumenti, strategie, programmi e soluzioni innovative per attuare una politica preventiva. Sono
da richiamare, a questo proposito, la riforma dei Servizi per l’impiego (decreto legislativo 469/97), il
primo Piano d’Azione Nazionale per l’occupazione (NAP) del 1998 predisposto secondo i principi del
procedimento lussemburghese, l’avvio della programmazione FSE 2000-2006.
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prima che siano disoccupate o al momento in cui lo diventano, piuttosto che occuparsi
delle loro esigenze solo quando sono prive di lavoro per un certo periodo di tempo.
In che maniera le leggi regionali della seconda generazione fanno propria la
prospettiva delle politiche attive del lavoro? Non tanto perché considerano la Formazione
Professionale uno strumento di tali politiche. Infatti, questa visione era già
presente nella Legge quadro, quanto perché allargano il loro spettro normativo
anche agli altri strumenti delle politiche del lavoro, sia quando parlano di programmazione
degli interventi sia quando parlano delle strutture chiamate a realizzare
questi interventi. In questo secondo caso viene chiamata in ballo un’altra acquisizione
del dibattito degli ultimi anni; acquisizione per la quale i CFP da struttura di
erogazione di interventi formativi dovrebbero diventare strutture che erogano servizi
anche relativi alle politiche attive del lavoro.
Ricordiamo che le leggi in esame individuano come strumenti delle politiche
del lavoro, oltre alla Formazione Professionale, anche l’Orientamento e le misure incentivanti
l’occupazione e la imprenditorialità. Qualche Regione annovera tra
queste politiche l’osservazione del mercato del lavoro; qualche altra, più correttamente,
considera la raccolta e l’analisi dei dati sulla domanda e sull’offerta di lavoro
realizzata da appositi osservatori una operazione tecnica preliminare e funzionale
alla adozione delle politiche attive.
Come evidenzia il Prospetto 26 tutte le leggi di seconda generazione di questo periodo
prevedono che la programmazione, strategica e pluriennale o attuativa e annuale,
comprenda interventi e attività sia della Formazione che dell’Orientamento professionale;
Veneto, per prima, Liguria e Molise, poi, allargano lo spettro programmatorio
regionale anche alle misure per la occupazione e l’imprenditorialità e l’osservazione
del mercato del lavoro. La Legge veneta esplicita questo disegno già dal primo articolo
“Gli interventi […] sono adottati in un quadro programmatico unitario”.
La Legge laziale apre con dichiarazioni solenni di principio sulle strategie della
politica attiva del lavoro, considerate “quali settori d’intervento di un sistema unitariamente
programmato”, ma poi regolamenta solo procedure e struttura dei piani
della Formazione e Orientamento professionale.
Prospetto n. 26 - Politiche attive considerate nella programmazione regionale
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Per quanto riguarda, invece i soggetti che realizzano gli interventi di politica attiva,
la situazione prospettata dalle leggi regionali è più eterogenea. Il Veneto mantiene
uno spettro molto ampio: i CFP possono realizzare anche attività di “informazione
e orientamento al lavoro e di osservazione del mercato del lavoro”, “di assistenza
e consulenza a favore delle imprese e di terzi” e per quanto riguarda più propriamente
la Formazione Professionale anche la “sperimentazione didattica ed organizzativa”.
Su questa scia si pone il Molise: i CFP possano realizzare oltre che interventi
di formazione anche attività per l’Orientamento professionale, per l’osservazione
di fenomeni attinenti al mercato del lavoro, ma anche di consulenza alle
aziende sulle politiche formative ed occupazionali; il Lazio, più prudentemente, prevede
la possibilità di affidare ai CFP interventi formativi e orientativi (ma mediante
convenzione anche ad Enti pubblici e altri soggetti professionalmente idonei). Prima
del Lazio si era messa su queste posizioni la Basilicata.
6.3.2. La valutazione del Sistema
Un’altra grande acquisizione del dibattito di quegli anni viene recepita nelle
Leggi che stiamo esaminando: la valutazione del Sistema della Formazione Professionale.
Il Veneto lega il tema a quello del programma triennale, da un punto di vista
concettuale: “Nel processo di programmazione, la Regione adotta come modalità ordinaria
la valutazione dell’efficacia ed efficienza degli interventi […]” e da un punto
di vista operativo-procedurale: “Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale presenta
al Consiglio regionale con la nuova proposta di programma una relazione sui
risultati di quello precedente” (cfr. Fig. n. 57).
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la Basilicata che prevede la “valutazione
di efficacia e di efficienza” dei “progetti organici” contenuti nei programmi triennali
ed annuali. Per espletare tali compiti la legge lucana istituisce una apposita unità
operativa.
Il Lazio negli articoli iniziali dichiara di voler disciplinare “il processo di programmazione-
valutazione”. Di fatto, però, la normativa si limita a parlare di valuta-
Prospetto n. 27 - Politiche attive realizzate nei CFP
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zione: a) negli articoli relativi al Piano pluriennale, quando prevede a carico del
Piano la individuazione di “criteri, metodi e parametri per la valutazione dell’efficienza
e dell’efficacia delle iniziative formative[…]” (art. 4) e b) nell’articolo che si
occupa di definire le “attività di formazione e studio” a supporto della qualità del sistema
regionale, dove si prevedono “studi e ricerche per la definizione di criteri, metodi,
parametri per la valutazione della efficienza e dell’efficacia delle iniziative formative”
da realizzare da parte di soggetti pubblici ed Enti di ricerca (art. 11).
La Regione Liguria, sulla scia del Veneto, pone a carico di ogni Programma
triennale l’operazione di valutazione del “precedente funzionamento del Sistema regionale
di Formazione Professionale”, e in particolare “della corrispondenza tra risultati
ottenuti e le esigenze del sistema economico”.
La Legge della Regione Piemonte riserva al tema maggiore rilevanza, dichiarando
la valutazione un asse portante dell’azione regionale (“L’azione di valutazione
è centrale per il governo del sistema di formazione e orientamento professionale a
tutti i suoi livelli”), stabilendone con chiarezza la prospettiva (“La valutazione assume
come criterio fondamentale quello della qualità”) e specificandone gli oggetti
(progetti, azioni, processi, strutture e professionalità operanti), individuandone le
fasi con le relative finalità (“preventiva, con finalità di selezione-accertamento di
prerequisiti; in corso di attuazione, con finalità di monitoraggio e vigilanza; successiva
immediata, con finalità di verifica; successiva di medio periodo, con finalità di
valutazione di impatto”).
Figura n. 57 - Il processo di valutazione (L. reg. n. 63/95 Veneto)
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La L. reg. n. 63/95, però non si limita a dichiarazioni di principio e di massima,
ma avanza soluzioni operative organiche ed innovative: prevede, infatti, un soggetto
che periodicamente provveda all’elaborazione dei modelli valutativi (il Comitato
Guida per la qualità), sulla base dei criteri stabiliti dal Programma triennale e un
soggetto che realizzi le operazioni di valutazione (il Nucleo regionale di valutazione).
Il prodotto finale di questo laborioso processo di predisposizione di modelli,
concettuali ed operativi, di raccolta di informazioni e di operazioni valutative è rappresentato
dal Rapporto triennale sullo stato del sistema di formazione e orientamento
professionale.
Anche la Legge abruzzese, L. n. 111/95, si preoccupa di individuare un soggetto
che si occupi della valutazione del Sistema Formativo regionale. Ma, mentre la normativa
piemontese affida il compito di elaborare i modelli valutativi e il compito di
realizzare la valutazione a due strutture diverse, la L. reg. dell’Abruzzo individua
nel Comitato tecnico di valutazione e di controllo il soggetto che svolge l’una e
l’altra funzione. Funzione che riguarda tutto ciò che concerne “monitoraggio, valutazione
ex ante, in itinere ed ex post, nonché quelle relative ai giudizi di qualità e ai
controlli di efficacia e di efficienza”. Il Comitato è presieduto da un dirigente della
Regione, ed ha una struttura articolata in nuclei specializzati in relazione alle aree
programmate di intervento.
Annualmente il Comitato redige, insieme all’Osservatorio Regionale del Mercato
del Lavoro, un rapporto che valuta i risultati del Programma annuale. Tutta l’attività
del Comitato ha come orizzonte di riferimento “gli indirizzi generali per la valutazione
degli interventi formativi” definiti dal Piano pluriennale e i “criteri uniformi
specifici e le modalità uniformi per la valutazione dei progetti e la verifica
delle attività e dei risultati” specificati dal Capitolato d’oneri, un documento tecnico-
operativo, che accompagna il Piano Triennale.
Anche la L. n. 10 della Regione Molise dà rilevanza al tema (art. 11). Prevede,
infatti, dopo un periodo di sperimentazione, “una sistematica ed organica attività di
monitoraggio sull’attuazione delle iniziative formative programmate e valutazione
degli esiti delle attività formative” specificandone la prospettiva “sotto il profilo dell’efficacia,
intesa come raggiungimento degli obiettivi prefissati e, come efficienza,
intesa come rapporto tra obiettivi raggiunti e risorse impegnate”. La Legge abbozza
anche un modello concettuale della valutazione di efficacia: “riguarderà gli esiti occupazionali,
la utilizzazione delle competenze acquisite durante la formazione nella
prestazione lavorativa, le competenze professionali acquisite anche se non ancora
esercitate”. A questa precisione concettuale non corrisponde, però, un’individuazione
chiara dei compiti delle strutture chiamate dalla Legge ad occuparsi di valutazione.
Infatti, in allegato alla Legge viene menzionato, nel nuovo organigramma del
Settore Formazione Professionale, un Ufficio Valutazione e monitoraggio, ma senza
che ne siano declinati i compiti (Allegato A) e tantomeno vengono definiti i rapporti
funzionali tra questo Ufficio e il costituendo Consorzio, a prevalente capitale, regionale,
a cui la Legge affida competenze in ordine a “valutazione delle proposte forstoriaFORMAZ3-
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mative, monitoraggio sull’attuazione delle iniziative e valutazione dei risultati ottenuti
anche in relazione alle risorse impegnate”.
Se disponiamo le posizioni espresse dalle leggi regionali nelle varie macrofasi
in cui si articola un processo idealtipico della valutazione (definizione di criteri e parametri
di valutazione, elaborazione di modelli di valutazione, attività di monitoraggio
e valutazione, risultati prodotti (cfr. Fig. n. 58) si può notare i diversi livelli di
maturazione del tema, almeno sul piano normativo, da parte delle Regioni che si
sono dotate nel periodo considerato di una legge organica (cfr. Prosp. n. 28).
Alcune, infatti, provvedono ad individuare il soggetto che realizza i compiti di
tutte le fasi (Piemonte e Abruzzo), altre invece si limitano a far carico alla Giunta
Regionale, nella predisposizione del Programma pluriennale, della definizione dei
Figura n. 58 - Fasi di un processo di valutazione di sistema
Prospetto n. 28 - Soggetti che intervengono nel processo di valutazione del sistema
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criteri e a successive attività di ricerca la elaborazione di metodologie e strumenti di
valutazione (Lazio), altri prevedono solo l’output finale del processo (Liguria), altri
(Molise e Basilicata), infine individuano i soggetti senza specificarne con chiarezza
le competenze.
Nonostante queste eterogeneità tutte le Leggi esaminate parlano di valutazione.
E ne parlano per la prima volta. Le Leggi precedentemente in vigore nelle Regioni
che stiamo considerando non utilizzavano mai il termine valutazione, (né la n. 27/79
della Liguria, né la n. 63/79 dell’Abruzzo, né la n. 8/80 del Piemonte), o lo usavano
con significati e per contesti diversi (come la n. 10/90 del Veneto, che la riferisce ai
processi didattici396 o la n. 14/79 del Lazio che la usa per connotare una relazione di
fine attività da parte degli Enti)397, né termini o concetti che contenessero l’idea di un
esame e di un giudizio “complessivo” delle attività realizzate e delle strutture utilizzate
(cioè del sistema nella sua interezza) assumendo come criteri l’efficacia e l’efficienza.
7.Caratterizzazioni e connotazioni strutturali e funzionali del Sistema di
Formazione Professionale regionale
7.1. I macrofenomeni che caratterizzano gli Anni ’90
Per gli Anni ’80 avevamo individuato due fenomeni come quelli che più hanno
caratterizzato la Formazione Professionale di quel decennio: le diversità regionali
che si sono consolidate in sistemi regionali e il processo di adultizzazione delle
utenze.
Se cerchiamo di individuare i macrofenomeni maggiormente rappresentativi dei
cambiamenti della cultura e della prassi della Formazione Professionale degli Anni
’90, li ravvisiamo: nella importanza decisiva del FSE per la Formazione Professionale
italiana tanto che si può parlare di una sua dipendenza culturale e finanziaria
e nella nascita e prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua per
occupati.
7.2. La dipendenza culturale e finanziaria della Formazione Professionale italiana
dalla Ue
La Formazione Professionale vive in questo decennio una situazione di fecondo
travaglio. Una cosa è certa: la Formazione Professionale delineata dalla Legge
quadro 845 non c’è più: o c’è sempre di meno. È, infatti, in forte evoluzione soprat-
396 Art. 22 “Nel certificato di frequenza dovrà essere indicato il tipo di iniziativa formativa di cui
trattasi, la durata, le caratteristiche essenziali e la valutazione di profitto”.
397 Art. 25 “Entro il mese di gennaio di ogni anno i suddetti enti presentano una relazione economico-
finanziaria sull’attività dei propri centri, che comprenda: la valutazione generale dell’attività formativa
svolta”.
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tutto a causa delle opportunità-sollecitazioni-condizionamenti del FSE, sempre più
presente nelle attività e nella regolamentazione del sistema formativo professionale,
tanto da poter parlare di una dipendenza (finanziaria e culturale) del nostro Paese nei
confronti dell’Unione Europea.
7.2.1. La dipendenza finanziaria
Tale situazione di “dipendenza” della Formazione Professionale italiana dalla
UE non è determinata da necessità istituzionali né prioritariamente da scelte di carattere
politico-formative; ma è dovuta soprattutto a motivazioni di ordine tecnicofinanziario.
Le Regioni, infatti, per poter aumentare il volume delle iniziative e diversificarne
le tipologie, in misura crescente utilizzano le loro risorse (peraltro rimaste
sostanzialmente invariate nel corso degli anni) come sponda pubblica, accanto a
quelle messe a disposizione dal Fondo di Rotazione398, per poter utilizzare il cofinanziamento
dell’Unione Europea.
In altri termini: aumentando le risorse del FSE le Regioni aumentavano la loro
quota di cofinanziamento, attingendo alle risorse proprie o a quelle che derivavano
loro dal Fondo di Rotazione
Ma se le risorse regionali sono utilizzate in maniera consistente, spesso in maniera
prevalente, talvolta in maniera esclusiva come sponda al cofinanziamento in
tutte le tipologie di offerta formativa, allora la formazione programmata e realizzata
con il contributo del FSE diventa consistente, prevalente esclusiva. In altri termini il
FSE non interviene solo su alcuni segmenti del volume di attività realizzato dalle
Regioni, come avveniva nel passato, ma almeno nella maggior parte di esso.
Per misurare il fenomeno descritto si può ricorrere all’indice di dipendenza399, calcolato
misurando l’incidenza delle attività dal FSE (e relativa quota di finanziamento
regionale) sul totale delle attività approvate dalle amministrazioni responsabili.
L’indice di dipendenza del sistema di FP italiano dal FSE per quanto riguarda le
azioni e i costi, assumendo come anno di riferimento il 1995, è illustrato nei Grafici
39 e 40.
Tale indice per l’intero Paese è pari al 61,3% in termini di azioni, e al 68,3% in
termini di spesa; i valori salgono, però, al 69,6% e al 73,2% se si include anche la
quota relativa ai POM.
La dipendenza dai finanziamenti comunitari presenta una variabilità non rilevante
tra circoscrizioni geografiche, mentre differenze più marcate appaiono dal
confronto tra le singole Regioni.
398 Il Fondo di Rotazione, istituito dalla Legge 183/87, è lo strumento con il quale lo Stato garantisce
la copertura della quota parte nazionale degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali. Le risorse
del Fondo – gestito dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica – sono
ripartite tra le Regioni (ognuna intestataria di un conto corrente presso la Ragioneria Generale dello Stato)
per la copertura delle rispettive quote di cofinanziamento.
399 Cfr. ISFOL, Rapporto nazionale di valutazione del FSE (1994-1995) F. Angeli, Milano 1977.
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L’analisi con esclusione dei POM mette in evidenza i seguenti fenomeni:
– in 11 Regioni il grado di dipendenza dal FSE in termini finanziari è superiore al
90% ed in 4 di queste (tutte del Mezzogiorno) è pari al 100%;
– le Regioni (o Province) in cui il grado di dipendenza risulta più contenuto sono
in prevalenza quelle a statuto autonomo o speciale, con eccezione della Lombardia
che, ancora nel 1995, non aveva attivato se non in minima parte il FSE;
– il Mezzogiorno appare più «dipendente» dal FSE rispetto al Centro-Nord in termini
di spesa (rispettivamente 71,8% e 65,8%).
Se escludiamo la Lombardia, i cui valori bassissimi stanno ad indicare il perdurare
di una fase di difficoltà amministrativa, seguita a vicende giudiziarie, le altre
Grafico n. 39 - Indici di dipendenza dal FSE delle Regioni del Centro-Nord (valori % calcolati
su azioni e costi)
Grafico n. 40 - Indici di dipendenza dal FSE delle Regioni del Sud, della circoscrizione Centro-
Nord, della circoscrizione Sud e dell’Italia senza o con POM (valori % calcolati su azioni e
costi)
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Regioni o Province Autonome possono essere collocate in quattro categorie, che
potremmo denominare “consistente”, se l’attività realizzata con il concorso del FSE
si colloca nella fascia percentuale 30-50; “prevalente” per la fascia percentuale 50-
75; “molto prevalente” nella fascia 75-99 e “esclusiva” per le Regioni che realizzano
con il FSE tutta la loro attività.
Come illustra il Grafico 41 A) e B): 3 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche e
Sicilia) e la Provincia Autonoma di Bolzano rientrano nella prima categoria; 3 Regioni
(Veneto, Emilia Romagna e Lazio) e la Povincia Autonoma di Trento rientrano
nella categoria “prevalente”; la maggior parte delle Regioni, invece, si colloca nella
terza (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Campania e Sardegna) e
infine, nella categoria “esclusiva” troviamo Molise, Basilicata, Puglia e Calabria.
7.2.2. La dipendenza culturale
Naturalmente il FSE non eroga solo risorse finanziarie, ma indica precise scelte
programmatiche e impartisce disposizioni regolamentari, o meglio lega le prime alle
seconde. Il cofinanziamento è concesso, infatti, subordinatamente al rispetto di vincoli
programmatici e procedurali.
L’insieme delle decisioni assunte con la riforma dei Fondi Strutturali del 1988 e
con la sua revisione del 1993 nonché e i programmi e le iniziative comunitarie operative
negli Anni ’90, non rappresenta solo la politica di Formazione Professionale
della Comunità/Unione, ma costituisce un riferimento decisivo per il nostro Paese a
tal punto da configurarsi sostanzialmente come il quadro programmatico-regolamentare
da cui si fanno derivare le più importanti scelte di carattere contenutistico e
procedurale che connotano i sistemi formativi regionali. Per questo abbiamo parlato
di dipendenza culturale. Locuzione impropria se si tiene presente sia il contributo
determinante dei paesi membri nella elaborazione dei Piani e dei programmi, sia la
condivisibilità sostanziale delle scelte effettuate dalla UE; connotazione corretta,
però, si constata, su un piano meramente fenomenologico, che le Regioni, alle quali
Grafico n. 41 A) e B) - Distribuzione delle Regioni e Province in quattro categoria di indici di
dipendenza. (A = V.A; B = V.%)
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il nostro ordinamento costituzionale affida la competenza in materia di Formazione
Professionale, hanno disegnato e debbono necessariamente disegnare le proprie programmazioni
di attività ed i propri assetti sulle decisioni della Comunità, per cui
mutamenti profondi e organici, anche se condivisi e partecipati, sono stati e sono indotti
da sollecitazioni esogene alle Regioni stesse. Per misurare l’impatto della politica
del FSE nei confronti del processo e di coinvolgimento nei conronti dei destinatari
dei nostri sistemi regionali si possono utilizzare due tipi di analisi:
– osservare la presenza di disposizioni comunitarie che intervengono nelle diverse
fasi del processo produttivo della Formazione Professionale (programmazione,
orientamento, gestione, monitoraggio valutazione);
– rilevare le tipologie di destinatari delle offerte formative promosse con risorse
finanziarie comunitarie.
La prima analisi (cfr. Prosp. n. 29) rileva la presenza di disposizioni del FSE e
del Programma LEONARDO DA VINCI, anche se con diseguale insistenza, per
tutte le fasi del ciclo, a dimostrazione della pervasività della normativa comunitaria
Prospetto n. 29 - Presenza di disposizioni del FSE nei processi e fasi del ciclo della Formazione
Professionale
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Prospetto n. 30 - Tipologie di utenze destinatarie di attività realizzate con il cofinanziamento del
FSE
(Segue)
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275
nei confronti di tutti i processi e fasi dei sistemi regionali. Abbiamo più volte sottolineato
che la Formazione Professionale si sia nel tempo configurata come un sistema
aperto a tutti i fabbisogni formativi, di giovani ed adulti, in qualsiasi momento si trovino
del processo di transizione. Nel Prospetto 30 si dimostra come tutte le tipologie
di utenza della Formazione Professionale regionale siano coinvolte in attività cofinanziate
dal FSE, dai giovanissimi della formazione di prima qualificazione postobbligo
agli occupati, dagli studenti degli Istituti Professionali di Stato e degli Istituti
tecnici ai disoccupati di lunga durata, dai portatori di handicap o comunque con
svantaggi ai managers. Questa pervasività e onnipresenza del FSE rappresentano per
i nostri sistemi regionali un fattore di innovazione radicale e organica. Come esempi
della capacità di incidere e cambiare in profondità le logiche e le modalità di intervento
della Formazione Professionale italiana analizziamo due ambiti, quello della
tipologia di azione e quello del modello programmatorio, prima e dopo le riforme
del 1988 e 1993 del FSE.
a) Un modo nuovo di fare formazione: dalla visione “corsuale” alla visione
“pluriservizi”
Per anni si è lamentata la subalternità, in termini di cultura ed in termini di riferimento,
del sistema formativo regionale rispetto a quello scolastico. Le origini di
una tale situazione (almeno se si circoscrivono gli avvenimenti all’arco temporale
che inizia dal dopoguerra), possono essere collocate nei primi Anni ’50, quando
l’“addestramento professionale” si apre all’utenza giovanile.
(Segue)
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276
Inizia in questo periodo quel processo di omologazione dell’addestramento professionale
sulla scuola e, in particolare, su quella più vicina per finalità e struttura:
gli Istituti professionali di Stato.
Un processo per cui, con il tempo, le “monografie dei profili professionali” del
Ministero del Lavoro sembrano una editio minor dei “programmi” della Direzione
generale dell’Istruzione Professionale del Ministero della Pubblica Istruzione.
Il primo CCNL degli operatori della Formazione Professionale convenzionata
(1971) contribuisce in maniera determinante alla “scolasticizzazione” del Sistema di
Formazione Professionale (locuzione che sostituisce quella di addestramento, senza
dubbio meno corretta, ma che soprattutto aveva il torto di avere una connotazione
“plebea”) sia istituendo la “carriera del formatore” (non più un esperto del settore
prestato alla formazione, ma un tecnico disciplinare in pianta stabile), sia regolamentando
l’attività didattica secondo paradigmi organizzativi tipicamente scolastici
(orari settimanali delle lezioni, ecc.).
Ne derivava l’immagine di un CFP come di una piccola scuola, con un organigramma
che vedeva al vertice il direttore e sotto, a pettine, i formatori.
Negli Anni ’80 si registra una inversione di tendenza; appaiono, infatti, i primi
fermenti – deboli peraltro – di segno contrario al processo di scolasticizzazione. Un
primo segnale possiamo coglierlo nella contrattualistica degli operatori della Formazione
Professionale dove l’impegno dei formatori non poggia più su orari settimanali
ma si realizza all’interno di un monte ore annuo.
Un altro segno è rappresentato dalla forte insistenza sulla pubblicistica dello
stage come momento di recupero della dimensione operazionale e rottura dei ritmi
della formazione d’aula.
Va registrato però che le sollecitazioni culturali e le previsioni contrattuali
hanno avuto una scarsa incidenza sulla prassi formativa quotidiana, segnata, ancora,
pesantemente da ritmi scolastici e dalla formazione d’aula.
Figura n. 59 - Innovazioni apportate dal FSE
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277
Al di là dei risultati ottenuti, però, è palese l’insufficienza culturale per una fondazione
epistemologica della Formazione Professionale; si intuisce che non è
scuola, ma si stenta a riconoscervi una autonoma fisionomia.
La riforma dei Fondi Strutturali del 1988 porta un contributo determinante per
una nuova impostazione del problema:
– quello che è definito Sistema di Formazione Professionale è chiamato ad erogare
non solo formazione ma anche orientamento e aiuto all’occupazione;
– le prospettiva non indica solo un allargamento di opportunità-servizi ma
cambia i punti di riferimento di costruzione del sistema stesso: la centralità non
è più il corso, ma l’utente che deve entrare nella vita attiva e che può avere necessità:
di formazione, di orientamento (nella duplice accezione di “rimotivazione”
o come conoscenza delle “opportunità”), di un aiuto finanziario (al datore
di lavoro) per ammortizzare l’improduttività di un rapporto di lavoro iniziale,
di azioni di orientamento/accompagnamento per l’inserimento lavorativo,
di azioni di start-up per iniziative di autopromozione o creazione di impresa, di
aiuti finanziari per la job creatio (cfr. Figg. n. 59 e n. 60).
La formazione, inoltre, non è solo processo didattico d’aula ma è anche formazione
a distanza, è tutoring, è stage. Questa visione, che riscatta l’immagine di una
formazione identificata solo con un processo didattico e le dà uno spettro operativo
meno circoscritto, rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione di una cultura
autonoma della formazione e per la destrutturazione dei precedenti assetti del sistema
formativo-professionale esemplati su quelli scolastici.
Se si coniugano tutte queste possibilità relative al “prodotto” erogabile si ha un
quadro della gestione del sistema ben lontano dall’immagine del CFP-facsimile di
una scuola.
Figura n. 60 - Pluralità di servizi erogabili da un CFP
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278
Questo, che forse è l’aspetto più dirompente della normativa UE, rappresenta
anche l’aspetto meno “recepito” inizialmente dalla nostra Formazione Professionale
degli Anni ’90: i programmi operativi a titolarità regionale approvati in sede UE, infatti,
rivelano una drastica riduzione del range delle opzioni possibili previste dai
Quadri Comunitari di Sostegno e dai Documenti Unici di Programmazione, in termini
di tipologia di azioni.
b) Un modo nuovo di programmare: dall’“allocazione amministrativa delle
risorse” alla “programmazione per obiettivi”
In secondo luogo, le procedure per l’accesso al FSE hanno proposto un modo
nuovo di fare programmazione. Il FSE accetta di cofinanziare attività formative solo
se queste rientrano in macro-obiettivi precedentemente definiti sotto il profilo tipologico,
territoriale e finanziario. Questo modo nuovo progressivamente soppianta
concettualizzazioni presenti nella legislazione e procedure utilizzate nelle prassi
delle Regioni (concettualizzazioni e procedure, peraltro, contradditorie).
Le concettualizzazioni che vengono superate nella normativa regionale, sono
quelle che affidano alla Regione la responsabilità dell’intero processo programmatorio,
sia nella fase della pianificazione strategica (analisi macro dei fabbisogni regionali
e conseguente fissazione degli obiettivi), sia in quella della programmazione
attuativa (analisi micro dei fabbisogni e conseguente definizione degli interventi da
realizzare, dove e da chi...). Ma in effetti mancando un quadro generale di riferimento
entro il quale proporre iniziative formative, le procedure adottate dalle Regioni
si limitano a selezionare e ad erogare le risorse finanziarie all’offerta formativa
proposta dai soggetti gestori in base a criteri discrezionali e contingenti, per i quali
spesso la titolarità di chi propone conta più della qualità della formazione richiesta.
Il modello programmatorio “per obiettivi” adottato dal FSE, per le esigenze di
carattere tecnico-finanziario prima richiamate tende progressivamente a diventare
l’unico modello di processo programmatorio regionale. La sua adozione comporta
cambiamenti a catena: cadono, infatti, sia la tradizionale distinzione delle attività in
base alle diverse fonti finanziarie, sia la diversità delle tipologie (formazione a carattere
consolidato e a carattere progettuale), sia la diversità degli atti programmatici
(piano ordinario e piano di FSE).
Il nuovo modello di programmazione tende anche a far cadere o comunque
mette in crisi l’organizzazione del governo regionale in materia di politiche del lavoro
da una parte e delle politiche formative dall’altra senza interazioni o collegamenti
tra loro.
Le sollecitazioni che vengono dall’Europa, infatti, sono per una programmazione
unica o comunque unitaria (cfr. Fig. n. 61).
Le considerazioni precedenti riguardano il soggetto pubblico; ma notevoli
anche gli input che gli atti comunitari forniscono circa il ruolo dei soggetti attuatori
al processo programmatorio.
Questi non vengono visti solo come realizzatori dell’intervento, ma anche come
soggetti in grado, per la loro presenza sul territorio, di leggere e rappresentare necesstoriaFORMAZ3-
2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 278
279
sità formative di realtà economiche e sociali quotidianamente contattate e condivise.
Tale logica, presente, soprattutto, nel programma operativo dell’iniziativa comunitaria
OCCUPAZIONE, si pone in aperto contrasto con la visione classica della Formazione
Professionale del nostro Paese, per la quale alla Regione spettava, in esclusiva,
la programmazione, e all’Ente di Formazione la gestione. Il FSE, infatti, riconosce
a tali Enti una valenza anche programmatoria che si concretizza nell’analisi
del fabbisogno a livello locale e nella progettazione formativa.
7.3. Nascita e prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua
L’apporto del FSE è intervenuto anche nel far sì che la Formazione Professionale
abbia potuto nel tempo allargare il suo spettro operativo a nuove utenze oltre
quella tradizionale della prima formazione post-obbligo. È stato così negli Anni ’70
ed avviene così anche negli Anni ’90. Negli Anni ’70 il FSE contribuisce a sostenere
la riqualificazione del personale occupato coinvolto in processi di ristrutturazione e
riconversione. Nella prima metà degli Anni ’80 il FSE consente l’espansione della
formazione per diplomati e laureati, in conseguenza di una nuova consapevolezza
che la formazione rappresenti un fattore strategico dello sviluppo del sistema produttivo.
Nella seconda metà del decennio il FSE favorisce la formazione per le fasce
più a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, a seguito soprattutto dell’acquisizione
di una cultura di pari opportunità.
Con la regolamentazione comunitaria 1994-99 (Ob. 4 e ADAPT) il FSE, negli
Anni ’90, consente lo spostamento del focus dell’attenzione sulla Formazione Continua;
si rivolge, infatti, ai lavoratori già occupati presso le imprese, con particolare
Figura n. 61 - Innovazioni apportate dal FSE per il processo programmatorio
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280
attenzione alle piccole e medie, sia perché esse rappresentano la parte maggiore del
tessuto produttivo italiano, sia perché appaiono oggi più distanti dalla logica e dalla
pratica dei processi di formazione continua.
7.3.1. “L’anello mancante della formazione continua”
Nel 1992, il Censis, nel suo Rapporto annuale400, titolava un paragrafo della sezione
dedicata ai Processi formativi “L’anello mancante della formazione continua”
401.
In effetti ciò che mancava in Italia non erano gli interventi di Formazione Continua.
Infatti, negli Anni ’80 e all’inizio del decennio si poteva registrare un numero
significativo di attività formative professionalizzanti per occupati realizzate da una
pluralità di soggetti quali le imprese, le Università, le società di consulenza ma
400 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1992, F. Angeli, Milano 1992, p. 107.
401 In materia di Formazione Continua, tra gli altri, cfr. AA.VV., Educazione permanente. Orientamenti
concettuali, operativi e istituzionali, Quaderni Regione Lombardia, nn. 54-55; AMBROSINI M., Le
risorse umane, in AA.VV., L’impresa condivisa, Ipsoa, Milano 1990; AMIETTA P.L., Learning organisation.
Che cosa deve apprendere l’organizzazione, in Rivista Aif, n. 7, 1989; Atti del convegno nazionale,
L’Educazione degli adulti: prospettive per gli anni novanta, Firenze 1989; BOBBA L., TAMBORLINI
A., BOCCA G., Transizione, orientamento, formazione. permanente, in Osservatorio Isfol, n. 3, 1990; DE
MASI D. (a cura di), Verso la formazione post-industriale, F. Angeli, Milano 1993; FORTER-CONFCOMMERCIO,
La formazione professionale continua nel commercio al dettaglio in Italia, Tipografia
Settevene, Roma 1994; INFELISE L., La formazione in Impresa: nuove frontiere in Europa, F. Angeli,
Milano 1994; INFELISE L., La formazione continua in Italia: esigenze e prospettive di sviluppo, in Professionalità,
n. 9, 1992; ISFOL, Formazione professionale contrattata e politiche delle risorse umane,
F. Angeli, Milano 1990; ISFOL, Offerta di formazione professionale per adulti, F. Angeli, Milano
1990; OSBAT L., Tendenze innovative nella formazione continua, F. Angeli, Milano 1985; PELLEGRINI
C. (a cura di), Analisi della politica contrattuale nel campo della formazione continua, F. Angeli, Milano
1994.
Figura n. 62 - Espansione delle utenze della Formazione Professionale regionale favorita dal
FSE dagli Anni ’70 agli Anni ’90
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281
anche dal Sistema Formativo regionale. Infatti, secondo le rilevazioni Isfol sulle attività
programmate dalle Regioni nel 1990-91 gli adulti coinvolti in azioni di qualificazione
riqualificazione aggiornamento specializzazione erano circa 130.000 (quasi
il 35% di tutti gli allievi di quell’anno) la maggior parte dei quali persone occupate402.
Ciò che mancava quindi nel nostro Paese non erano le attività, ma un Sistema di
Formazione Continua, intendendo per sistema “un insieme coordinato e intenzionalmente
orientato di parti che si muovono verso determinati obiettivi comuni all’interno
di un quadro normativo di riferimento unitario”403.
Perchè un insieme di attività costituisca un sistema occorrono, dunque, almeno
due elementi:
– obiettivi comuni raggiungibili solo se si ha una stessa identità espressa da una
definizione chiara per cui quell’insieme di interventi non è confondibile e
riducibile ad altri;
– un quadro normativo, che prima di essere un fenomeno che ne regolamenta il
funzionamento, rappresenti una legittimazione sociale.
Nei primi anni del decennio, nonostante un ricco e articolato panel di iniziative,
la Formazione Continua non ha né una definizione certa e condivisa nè una normativa
di riferimento.
Non è ancora chiaro che cosa essa sia: incerta la sua definizione e confusi i confini
con altri sistemi formativi. In un testo di quegli anni404 si legge:
Oggi, in Italia, non è possibile parlare di un unico fondamento concettuale al termine formazione
continua: su questi aspetti è in corso una discussione e le opinioni non sono ancora
concordi. Infatti si assiste ad una progressiva diffusione del termine, utilizzato però
con significati contrastanti negli stessi testi normativi405, mentre risultano carenti gli sforzi
per una sua chiarificazione. Si tratta, in ogni caso, del normale processo che precede la
sintesi e traduzione in “idee e linguaggi condivisi” di prassi e culture che hanno origini
diverse. Il tempo per questo sembra essere maturo.
402 Cfr. ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale
1991, Roma 1991, p. 11 e 18. L’Isfol fa riferimento alla categoria “adulti” senza fare distinzione tra occupati
e non. E in effetti gli allievi in percorsi di qualificazione (30.000) potrebbero essere occupati e
non, ma i 100.000 dei percorsi di riqualificazione aggiornamento e specializzazione sono senz’altro nella
quasi totalità occupati.
403 ISFOL, La formazione continua in Italia, F. Angeli, Milano 1994, p. 20.
404 Ibidem, p. 33.
405 Nel DPR 616/77, art. 35. “[...] i servizi e le attività destinate [...] al perfezionamento, alla riqualificazione
[...] professionale, per qualsiasi attività professionale, per qualsiasi finalità, compresa la formazione
continua, permanente, ricorrente [...]”; nella L. 845/78 art. 2 “(attività) finalizzate alla diffusione
delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per svolgere ruoli professionali e rivolti al primo
inserimento, alla qualificazione, alla riqualificazione, all’aggiornamento e alla specializzazione, in un
quadro di formazione permanente”; nella L. n. 236/93 “Interventi di formazione continua a lavoratori
occupati (...), interventi di riqualificazione o aggiornamento professionali per dipendenti [...] nonché
interventi di formazione professionale destinati ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità”.
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282
Per il Censis, nel 1992, il termine Formazione Continua comprendeva tutte
quelle attività formative che non si collocavano nella formazione iniziale (post-obbligo,
post-diploma, post-laurea) e che avevano come potenziale utenza i lavoratori
occupati, i disoccupati e per alcuni versi, i soggetti al primo inserimento occupazionale406.
E la L. n. 36/93, che, come vedremo, avrà un grande ruolo nello sviluppo
della Formazione Continua, la definirà ancora come un’offerta formativa destinata
ad occupati, occupati a rischio (lavoratori in CIGS) e non occupati (già impegnati in
Lavori Socialmente Utili); ma aggiunge una specificazione importante: la Formazione
Continua non è solo quella promossa dalle aziende, ma anche quella a cui il lavoratore
partecipa per autonoma scelta. Acquisizione culturale fondamentale,
perché configura la Formazione Continua non più come opportunità per le aziende,
ma anche come risorsa personale del lavoratore, non più (solo) come formazione
aziendale, ma (anche) come un segmento della formazione lungo l’arco della vita di
ogni persona. Da questa definizione, comunque, che comprendeva occupati e disoccupati,
progressivamente si va verso l’accezione francese di Formazione Continua
come formazione di soli occupati. Accezione che si consolida progressivamente fino
a stabilizzarsi nel dibattito e nella letteratura del nostro Paese verso la fine degli
Anni ’90. Per quanto riguarda la mancanza di una legislazione specifica, occorre notare
che una legge è frutto di una maturazione culturale condivisa di alcuni valori.
Nel nostro caso il valore è quello precedentemente enunciato: la Formazione Continua
è una risorsa e un fattore di sviluppo per il sistema produttivo e per le persone e
quindi è un fenomeno in cui convergono interessi tra sistema sociale (i singoli o le
famiglie) e sistema economico (le imprese). E in Italia questo valore ha tardato ad
affermarsi per diversi fattori407:
– la separazione (non solo di fatto ma anche dal punto di vista normativo, istituzionale
e concettuale) tra la formazione promossa e realizzata dagli organi pubblici
(principalmente dalle Regioni) e quella realizzata dalle imprese;
– la sostanziale posizione di disinteresse (in alcuni casi pregiudiziale), sino a tutti
gli Anni ’70 e primi Anni ’80, da parte del sindacato per il tema della formazione
degli occupati;
– la sostanziale resistenza delle imprese ad un approccio positivo alla formazione
e sviluppo del proprio personale e la netta e teorizzata distinzione operata tra
formazione (quella manageriale e quella tecnico-specialistica) e addestramento;
– le linee-guida che hanno caratterizzato le politiche pubbliche del lavoro sino
alla fine degli Anni ’80, principalmente preoccupate di far fronte ai problemi di
disoccupazione giovanile e tecnologica.
Sempre nei primi anni del decennio è evidente il gap tra l’Italia e i principali
partners europei (Germania, Francia, Spagna e Regno Unito) dove lo sviluppo e
406 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1992, op. cit., p 110.
407 ISFOL, La formazione continua in Italia, op. cit., p. 21.
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il consolidamento di un Sistema di Formazione Continua poteva contare sul protagonismo
dei soggetti pubblici, che si proponevano nel doppio ruolo di soggetti
regolatori del negoziato tra le parti sociali e di attori nella definizione delle strategie
d’azione (secondo la triangolazione Stato-impresa-rappresentanze degli occupati).
Il Prospetto 31 descrive l’insieme degli strumenti normativi adottati dai 5
grandi Paesi della Comunità Europea, fornendone una comparazione sinottica secondo
tre diverse prospettive:
Prospetto n. 31 - Quadro legislativo e accordi sui diritti alla FC in cinque Paesi comunitari
Fonte: Commissione delle Comunità Europee - Task Force, risorse umane, 1992
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284
– i diritti acquisiti su base normativa;
– la struttura dei diversi quadri di negoziato, descrivendo come la normativa
viene tradotta nella contrattazione delle parti;
– la definizione reale dei diritti derivanti dall’impatto della normativa esistente
sul sistema di contrattazione e sugli accordi di settore e categoria.
Come si può constatare l’Italia è l’unico tra i Paesi considerati a non garantire
una regolamentazione della materia, rinunciando, così, a quel ruolo propulsore che il
soggetto pubblico può svolgere nell’indirizzare promuovere e sostenere la funzione
strategica della FC.
7.3.2. “Verso un sistema di formazione continua”
Abbiamo citato in apertura del paragrafo precedente un titolo del Rapporto
Censis del 1992 che connotava la Formazione Continua come un “anello mancante”.
Cinque anni più tardi, l’Isfol titola un paragrafo sul suo Rapporto annuale
“verso un sistema di formazione continua”.
Cosa avviene in questo lasso di tempo per cui si va dalla constatazione di un sistema
mancante all’annuncio di una sua “iniziale” implementazione, come il termine
usato dall’Isfol (“verso”) lascia supporre?
In questi anni si è assistito ad un tentativo di riorientamento di tutti i singoli
pezzi di un potenziale Sistema di Formazione Continua, e ciò si deve in particolare a
tre fattori innovativi:
– il primo proviene dal mondo dell’impresa. In questo ambito, infatti, il processo
di innovazione dell’organizzazione del lavoro e di ristrutturazione dei processi
produttivi dovuti sia a motivi di carattere strutturale (innovazione tecnologica,
automazione degli impianti di produzione), sia all’introduzione di nuove normative
(adeguamento alla legge sulla tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro
D.Lgs. 626/96, esigenze di certificazione di qualità dei prodotti in base a direttive
comunitarie) inducono verso una maggiore attenzione alla Formazione
Continua;
– il secondo nasce dal contesto politico-istituzionale. A partire dal protocollo di
intesa fra Governo e parti sociali sulla politica dei redditi siglato nel luglio del
1993408 (che chiede tra l’altro la finalizzazione delle risorse finanziarie alla For-
408 Accordo Governo-Sindacati del 23 luglio 1993 Presidenza del Consiglio dei Ministri - Protocollo
sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e
sul sostegno al sistema produttivo (3 luglio 1993) a- L’accordo ha dedicato una specifica attenzione alle
innovazioni da introdurre nella gestione del mercato del lavoro e alle linee di riforma della Formazione
Professionale. Sul versante delle innovazioni in materia di Istruzione e FP l’accordo fissa alcune linee
guida dell’azione di governo, quali: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione; la valorizzazione degi degli
apporti della Formazione Professionale con funzioni di prevenzione e recupero della dispersione scolastica;
la valorizzazione del ruolo delle parti sociali nella definizione di orientamenti delle politiche formative,
nella valutazione e controllo sia a livello nazionale che a scala regionale,la promozione di raccordi
tra scuola e lavoro; il conseguimento di un maggiore coordinamento tra le diverse istituzioni competenti
in materia di formazione la revisione della Legge quadro sulla Formazione Professionale.
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285
mazione Continua) e dalla Legge n. 236/93 del 19 luglio, da considerarsi come
il primo momento normativo su cui poter sviluppare la Formazione Continua,
divengono palesi alcuni indirizzi ormai intrapresi da organi di Governo e parti
sociali;
– un volume importante di risorse finanziarie, comunitarie e nazionali, destinate
alla Formazione Continua.
a) Le basi normative della Formazione Continua: la L. n. 236/93
“Con il varo della Legge 236/93 Interventi urgenti a favore dell’occupazione si
pongono le basi per la nascita e lo sviluppo, nel nostro Paese, di un Sistema di Formazione
Continua cofinanziato da risorse nazionali”409, osserva il maggiore esperto
Isfol in questa materia.
Quindi è una Legge che rappresenta una tappa importante nella storia della Formazione
Continua. Ma occupa un posto di rilievo, anche, nella storia della Formazione
Professionale in genere, perché: “mette ordine” nelle fonti di finanziamento
della Formazione Professionale, cioè riporta ad un quadro unitario il disorganico e
frammentario insieme di norme che disciplinavano la materia dei flussi finanziari.
Infatti, la L. 236 costituisce il Fondo unico per la formazione professionale, dove
vengono fatte affluire le risorse finanziarie:
– del fondo di rotazione (art. 25 della L. 845/78; nel 1993 ammontava a 802 miliardi).
La dotazione di tale Fondo era costituita dai due terzi delle maggiori entrate
derivanti dall’aumento del contributo per l’assicurazione obbligatoria
contro la di disoccupazione involontaria, ovvero due terzi dello 0,30 delle retribuzioni
soggette a tale obbligo;
– destinate a progetti formativi avviati in casi di rilevanti squilibri locali tra domanda
e offerta di lavoro (art. 26 L. 845/78 art. 26; per il 1993 sono stati stanziati
973 miliardi) e all’insieme delle attività connesse all’attuazione delle competenze
dello Stato, previste dagli artt. 18 e 22 della L. n. 845/78;
– della L. n. 40/87, destinate agli Enti di Formazione Professionale convenzionati;
– del Fondo per la mobilità della manodopera (art. 26 della 1.675/77).
In complesso il Fondo per la Formazione Professionale riunisce risorse, secondo
il bilancio preventivo relativo al 1993, del Ministero del Lavoro, per un ammontare
di oltre 1.800 miliardi di lire di cui 938 miliardi derivanti da fondi residui
non spesi nel 1992.
Non vengono fatte confluire nel Fondo per la Formazione Professionale:
– le risorse della L. 492/88 che prevede misure in favore di programmi di innovazione
dell’intero Sistema di Formazione;
409 ISFOL (a cura di FRIGO F.), La formazione continua nella L. 236/93 L’esperienza della circolare
n. 174/96, F. Angeli, Milano 2001, p. 5.
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286
– il Fondo comune disciplinato dalla L. n. 281/70 (art. 8) destinato a finanziare le
attività formative per giovani che abbiano terminato il percorso scolastico, ovvero
attività di Formazione Iniziale.
Il quadro delle fonti, dopo questo intervento della L. n. 236, sembra rispondere
ad un disegno di semplificazione e ragionevolezza (cfr. Fig. n. 63): all’innovazione
del sistema formativo si provvede con le risorse della L. n. 40/87, per la Formazione
Iniziale dei giovani c’è il Fondo comune, per le azioni a favore dei disoccupati e occupati
c’è il Fondo per la Formazione Professionale. L’importanza di questa Legge
per la Formazione Continua, invece, sta nelle previsioni dei commi 3 e 3 bis dell’articolo
9, là dove si prevede che il Ministero del Lavoro, Regioni e Province Autonome
possono finanziare interventi formativi in favore dei lavoratori occupati del
settore privato in posizione di lavoro dipendente, o di lavoratori appartenenti a specifiche
categorie. Più in particolare possono essere finanziati:
– interventi di Formazione Continua, di aggiornamento o riqualificazione, per
operatori della Formazione Professionale, quale che sia il loro inquadramento
professionale, dipendenti (in base alla Legge n. 40/87) dagli Enti di Formazione
Professionale;
– interventi di Formazione Continua per lavoratori occupati in aziende beneficiarie
dell’intervento straordinario di integrazione salariale;
– interventi di riqualificazione o aggiornamento professionali per dipendenti da
aziende che contribuiscono in misura non inferiore al 20% del costo delle attività;
Figura n. 63 - Fonti finanziarie per la Formazione Professionale a seguito delle disposizioni
della L. n. 36/93 art. 9
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287
– interventi di Formazione Professionale destinati a lavoratori iscritti nelle liste di
mobilità, formulate congiuntamente da imprese e gruppi di interesse e dalle organizzazioni
sindacali, anche a livello aziendale.
La destinazione del Fondo per la Formazione Professionale è decisa dal Ministro
del Lavoro, di concerto con il Ministro del Tesoro per quanto attiene ai due terzi
del fondo stesso, da destinare al cofinanziamento degli interventi formativi per i
quali è richiesto il contributo del Fondo Sociale Europeo. La destinazione della restante
quota (un terzo) viene decisa “dal Ministro del lavoro, d’intesa con le Regioni,
acquisendo il preventivo parere della Commissione centrale per l’impiego”.
Ai fini di assicurare l’effettiva prassi di concertazione la Legge istituisce un Sottocomitato
per la Formazione Professionale nel quale siano rappresentati Regioni e parti
sociali. Una struttura normativa, questa dell’art. 9, tutto considerato fragile. Ma su
questo gracile humus normativo prenderà l’avvio il Sistema di Formazione Professionale
Continua nel nostro Paese.
b) Un Piano per la Formazione Continua: la Circolare n. 174/96 del Ministero
del Lavoro
Ciò che la L. n. 236 prevede come possibilità, la Circolare Ministeriale 174/96
attua. Infatti, la circolare “Disposizioni per la gestione dei fondi relativi all’art 9,
comma 3 della L. 236/93 per interventi di formazione continua” promuove un piano
di attività chiamato anche, con una certa enfasi, “la via italiana alla formazione continua”
410 e dove, tra l’altro, il Ministero del Lavoro è chiamato ad un insolito protagonismo
operativo.
Le attività sono:
“finalizzate a creare un sistema nazionale di formazione professionale continua rivolte a
soggetti adulti, occupati o disoccupati con particolare riferimento alle attività cui il lavoratore
partecipa per autonoma scelta, al fine di adeguare o di elevare il proprio livello
professionale, ad altri interventi formativi promossi dalle aziende, in stretta connessione
con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo”.
Complessivamente il Piano del Ministero del Lavoro prevede un impegno finanziario
pari a 207 miliardi, destinati a tre linee di lavoro:
– azioni di sistema, finalizzate a realizzare i presupposti di una cultura e di una
strumentazione omogenea e diffusa relativamente alle attività di Formazione
Continua. In questo quadro sono comprese azioni per la personalizzazione e la
flessibilizzazione dei percorsi formativi, attraverso meccanismi e strumentazioni
ad hoc (come ad esempio il tutoraggio). Immediatamente collegato a
questo punto troviamo l’attivazione di percorsi individuali di orientamento, rimotivazione,
outplacement, anche attraverso l’utilizzo di congedi per lavoratori.
Queste azioni, che avevano una dotazione finanziaria di 80 miliardi, sono
410 ISFOL (a cura di FRIGO F.), La formazione continua nella L. 236/93 L’esperienza della circolare
n. 174/96, op. cit., p. 11.
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programmate dalle Regioni, sulla base di criteri e indirizzi individuati dal Ministero
del Lavoro;
– azioni di riqualificazione e riconversione degli operatori degli enti ex Legge n.
40/87 art. I. Su queste azioni (65 miliardi di dotazione) si concentra l’intenzione
di avviare un radicale processo di trasformazione delle strutture chiamate
ad erogare gli interventi formativi. Le azioni sono programmate dalle Regioni;
– azioni formative aziendali. Nell’ambito di questa terza linea di attività trovano
esplicitazione i progetti più esemplari e sperimentali in quanto a procedure, organizzazione,
contenuti e finalità. Esempi in questo senso possono essere:
Prospetto n. 32 - Linee di lavoro previste dalla Circolare del Ministero del lavoro n. 174/96
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azioni che istituiscano reti interaziendali su necessità o esuberi di professionalità;
azioni dedicate alla formazione di tutor aziendali, di responsabili di orientamento,
di outplacement, di Formazione Continua; sperimentazione di nuove
professionalità e dei relativi percorsi formativi. Sulle azioni formative proposte
dalle aziende le Regioni svolgono funzioni di selezione, approvazione e finanziamento.
Per quanto riguarda le azioni di sistema l’Isfol distribuisce i 61 progetti approvati
in 18 aree tematiche (cfr. Tab. n. 28). La maggior concentrazione di progetti –
10 – si ha per la formazione a distanza, mentre 8 sono i progetti relativi alla tematica
della certificazione/crediti formativi, 6 quelli della Formazione Continua in settori
rilevanti (telecomunicazioni, turismo, informatica, ambiente, servizi idrici, edilizia,
commercio…) e delle problematiche relative ai Sistemi territoriali di Formazione
Continua.
Gli altri 31 progetti si distribuiscono nelle altre aree tematiche (Sistemi territoriali
di FC, Qualità della/nella FC, Reti di FC, Diffusione della FC presso imprese,
in particolare PMI, FC e sicurezza, Valutazione e monitoraggio delle competenze,
FC e distretti industriali, Integrazione della FC nei sistemi di FP, Nuove metodologie
e modelli per i sistemi di FC, Cooperazione tra scuola e impresa, FC e previdenza
integrativa, Formazione e contratti a causa mista, Orientamento e ricollocamento
adulti, Nuova imprenditorialità e auto imprenditorialità, Formatori per la FC).
Tabella n. 28 - Distribuzione dei progetti e relative risorse finanziarie ricadenti nelle Azioni di
sistema (Circ. Min. Lav. n. 174/96)
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La decisione di destinare 65 miliardi di lire alla riqualificazione e alla riconversione
di formatori (nonché di personale non docente) – una cifra superiore a quanto
destinato per il primo anno all’insieme degli interventi per la formazione aziendale –
è stata presa sull’abbrivio di una lettura a dir poco drammatica dello stato di difficoltà
in cui versavano alcuni Enti nazionali di Formazione Professionale riconosciuti
dalla Legge n. 40 del 1987 come soggetti di utilità sociale, perché hanno dato
vita a quella specifica area del Sistema formativo che viene chiamata del “privato
sociale”. I numeri che sono stati evocati per esprimere la situazione difficile alla
quale occorreva far fronte indicavano almeno 2500 “esuberi potenziali”, sul totale
dei circa 16.000 dipendenti, che si doveva cercare di collocare in altre posizioni,
nello stesso Sistema formativo o al di fuori di esso. Numeri eccessivi se si considera
che, al termine delle varie fasi del difficile negoziato tra Enti e Regioni, siano stati
elaborati progetti per “accompagnare” non più di 500 dipendenti. Il fatto poi che i
500 fossero più aggiornati che riconvertiti411 la dice lunga sulle possibilità di incidere
su quel personale, su cui, generose, ma ingenue (e dispendiose) politiche regionali
avevano tentato di intervenire già negli Anni ’80412.
Per la terza tipologia di Azioni viene previsto uno stanziamento di 62 miliardi di
lire, ripartiti tra le Regioni e Province Autonome nella misura indicata dal Grafico
42 A) e B).
Nonostante che l’art. 9 della L. n. 236, all’art. 3 e 3bis, comprendesse, come abbiamo
già notato, nella dizione “formazione continua” sia gli occupati che i disoccupati,
la circolare riserva i 62 miliardi per interventi formativi destinati solo ad occupati
allo scopo di promuovere la prassi della formazione aziendale, in particolar
modo presso le PMI.
411 Cfr. ISFOL (a cura di FRIGO F.), La formazione continua nella L. 236/93 L’esperienza della circolare
n. 174/96, op. cit., p. 17.
412 Cfr. volume II, pp. 223-24.
Grafico n. 42 A) e B) - Ripartizione tra Regioni e Province Autonome delle risorse finanziarie
(milioni di lire) per le azioni di formazione aziendale (A = Centro Nord; B = Sud)
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291
La priorità attribuita alle piccole e medie imprese, oltre che enunciata nel testo
della circolare, viene concretamente fatta valere nella delimitazione dell’ammontare
del contributo a non più di 50 milioni per la singola impresa e a non più di 200 milioni
per progetto interaziendale.
L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere progetti sperimentali, che favoriscano
l’innovazione nella formazione aziendale e che possano dar luogo alla diffusione
su larga scala dei modelli di maggior successo.
c) Le risorse per la Formazione Continua
Perché si possa parlare di Sistema di Formazione Continua, abbiamo detto, occorrono
due elementi: una definizione chiara che la distingua da altre offerte formative
e una base normativa che rappresenti anche un fenomeno di legittimazione sociale.
In effetti c’è un ulteriore elemento indispensabile: la disponibilità di risorse finanziarie
adeguate per quantità e continue nel tempo.
Una cosa è certa: la nascente Formazione Continua gode di un volume finanziario
straordinario. Nel 1997, ad esempio, poteva contare a livello nazionale su
oltre 679 miliardi e 349 milioni circa.
Infatti ai 207 miliardi di provenienza nazionale, ex L. 236/97 e Circolare
174/96, vanno sommati almeno 339 miliardi e 496 milioni per le Regioni del
Centro-Nord provenienti dall’Ob.4 e ulteriori 132 miliardi e 852 milioni provenienti
da due POM del Meridione: il POM “Emergenza occupazione Sud”, che stanzia nel
corso dell’anno 1997 L. 30.983.177.808 per interventi di Formazione dei formatori e
il POM “Formazione dei formatori e funzionari della pubblica amministrazione”,
basato su una medesima tipologia di interventi e che prevede, sempre per il 1977, lo
stanziamento di 101.869.553.098 (cfr. Tab. n. 29).
Ai 679 miliardi e 349 milioni, inoltre, andrebbero aggiunte, per l’Obiettivo 1, la
quota annua del FSE che alimenta il sub-asse 7.3 “Formazione continua per occupati”
nelle Piccole medie e grandi imprese e che alimenta gli interventi per occupati
negli assi settoriali. Una somma annua ingente che per essere gestita necessita di una
Fonte: ISFOL
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292
regia, centrale e regionale, perché non è difficile evitare fenomeni di concorrenza e
di sovrapposizioni, dati i molti punti di convergenza tra il Piano della Circolare 174
e le politiche perseguite dal FSE sia nell’Obiettivo 4 che nell’Obiettivo 1.
I rischi di concorrenza si presentano soprattutto nell’area degli interventi destinati
agli utenti occupati (le azioni di formazione aziendale, per quanto riguarda la
L. 236, le azioni di “adeguamento delle risorse umane” per quanto riguarda l’Obiettivo
4 per le Regioni del Centro-Nord e le azioni di Formazione Continua ricadenti
nell’Asse 7 sub-asse 3 e negli assi settoriali). Mentre i rischi di sovrapposizione e di
parallelismo riguardano le azioni di sistema della L. n. 236 e dell’Obiettivo 4 e i
POM.
Senz’altro quindi la Formazione Continua può contare su risorse finanziarie
adeguate. Adeguate però contingenti, in quanto derivate da fonti finanziarie a termine
mentre la Formazione Continua, per essere un vero sistema e non un fenomeno
episodico, deve contare su fonti di finanziamento stabili nel tempo.
L’Accordo per il lavoro del 1996 trova una soluzione, facendo propria una proposta,
nata negli ambienti sindacali e che verrà ripresa dal pacchetto Treu413, “sviluppare
la formazione continua con l’attribuzione graduale ed integrale del contributo
dello 0,30”414.
7.4. Gli aspetti strutturali del Sistema formativo regionale
Sui dati strutturali del sistema relativi alle attività (e alla loro distribuzione per
tipologia formativa e settori economici) e agli allievi abbiamo tre fonti statistiche:
una dell’Istat e due dell’Isfol, di cui la prima censisce le attività realizzate annualmente,
la seconda, invece quelle programmate.
La fonte Istat, utilizzata tra l’altro nei Rapporti Isfol dei primi Anni ’80 e ripresa
nel Rapporto Isfol del 1996 e 1997, basa la sua raccolta di informazioni sugli Enti
413 Per pacchetto Treu si intende quell’insieme di misure “contro la disoccupazione” ideate principalmente
da Tiziano Treu, Ministro del Lavoro del Governo Dini e presentate da questi il 12 aprile 1995
ed emanate con la Legge 24 giugno 1997 n. 196.
414 Patto per il lavoro - 24 settembre 1996 - Presidenza del Consiglio.
Tabella n. 29 - Risorse nazionali e comunitarie disponibili per le attività di Formazione Continua
(anno 1997)
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293
che promuovono e gestiscono le attività in maniera ricorrente (il cosiddetto consolidato
storico). Metodo rischioso, perché rivolgendosi agli Enti che abitualmente
fanno formazione, sfugge all’indagine quelli di nuova costituzione o quelli che realizzano
interventi formativi in maniera occasionale o discontinua. Il quadro informativo
che ne deriva è senz’altro incompleto e i dati proposti sottodimensionati.
La prima indagine Isfol ha come referenti le Regioni e le Province Autonome
alle quali viene richiesta la compilazione di una scheda con un layout predefinito
dall’Isfol. Ha il grande pregio di rilevare dati di consuntivo. Ma, almeno nella prima
metà degli Anni ’90, molte sono le criticità che ne rendono problematico l’uso; le
prime serie di dati figurano nel Rapporto Isfol 1997 (e sono definiti provvisori) e in
quello del 1998. La prima criticità è rappresentata dall’attualità dei dati: il fatto che
le attività programmate in un anno siano avviate nell’anno successivo o attuate a cavallo
di due anni costringe il rilevatore a lavorare su dati di due anni prima. La seconda
criticità è rappresentata dalla completezza e copertura dell’indagine. Infatti i
referenti regionali spesso non seguono i modelli di rilevazione inviati dall’Isfol e
trasmettono dati parziali (solo interventi finanziati con fondi regionali o solo con il
FSE) o utilizzando sistemi classificatori diversi e quindi offrendo dati poco omogenei
con quelli richiesti415.
La seconda indagine Isfol prende in considerazione le attività programmate
dalle singole Regioni e Province Autonome nei Piani annuali. Gli aspetti negativi di
un simile tipo di indagine, come abbiamo più volte sottolineato, sono legati al fatto
di dover ragionare sul programmato e quindi su dati di preventivo, alla diversa struttura
e al differente livello di organicità di dettaglio dei Piani regionali416. Aspetti negativi
ampiamente compensati da quelli positivi, individuabili anzitutto nel fatto che
in realtà, tra programmato e realizzato vi è uno scarto minimo e, in secondo luogo,
nell’autorevolezza delle fonti, nell’attualità temporale dei dati così raccolti, nella
possibilità di copertura dell’intero territorio nazionale. C’è poi da sottolineare che
l’esperienza maturata dall’Isfol in materia (la prima serie di dati ha riguardato l’a.f.
1984-85) ed il progressivo miglioramento e perfezionamento della rilevazione e del
trattamento dei dati portano a ritenere soddisfacentemente attendibili i risultati di
questa indagine; attendibilità il cui livello aumenta se si fa riferimento non tanto al
dato quantitativo in sé considerato (cioè ai valori assoluti e al semplice raffronto fra
anni), quanto alla situazione strutturale che tale dato evidenzia (e cioè alla composizione
percentuale).
Con le cautele che suggeriscono le annotazioni precedenti, in questa sede utilizziamo
tutte e due le fonti Isfol.
415 Nonostante il progressivo affinamento della impostazione e degli strumenti operativi di questo
tipo di indagine la sua debolezza strutturale sta nel fatto che, tra la programmazione e l’avvio di una attività,
può esserci uno scarto, anche consistente, tanto che un corso programmato in un determinato anno
può essere realizzato l’anno successivo.
416 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1995, op. cit., p. 191.
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294
7.4.1. Le attività
L’indagine Isfol sulle attività programmate dai Piani regionali utilizza due sistemi
classificatori: uno per le tipologie di offerte formative e un altro per settori di
attività economica.
Nella prima classificazione, l’Isfol riconduce gli interventi programmati a tre
macrocategorie:
– formazione al lavoro, che comprende la prima qualificazione e il secondo livello
(nel quale confluiscono le attività post diploma, post-laurea, quelle connesse
ai diplomi universitari e quelle di “raccordo” con la scuola);
– Formazione Continua, che comprende “disoccupati adulti” ed occupati;
– formazione per utenze specifiche, che comprende, oltre alle attività per categorie
sociali del disagio e per le donne, anche gli interventi formativi previsti da
leggi statali e/o regionali.
Tale classificazione ingloba sostanzialmente anche quella utilizzata dal Quadro
comunitario di sostegno Italia dell’Obiettivo 3 e dal Documento unico di programmazione
dell’Obiettivo 4 del Fondo Sociale Europeo417. Quanto alla classificazione
delle attività corsuali per settore di attività economica, le Regioni ricorrono ai sistemi
più diversi: si va infatti da macro-categorie (quali “primario”, “secondario”,
“terziario”), a sistematizzazioni molto dettagliate. Al riguardo l’indagine Isfol ha
elaborato una specifica classificazione articolata in 28 settori a loro volta suddivisi
in 127 aree professionali L’indagine Isfol fornisce dati per tutto il periodo considerato
da questo volume, ad esclusione degli anni formativi 1993-94 e 1994-95 (cfr.
Tab. n. 30). Il numero dei corsi è in costante aumento, passando dai 18.532 del 1989-
90 a 26.251 del 1996-97; unica eccezione è l’anno 1992-93 dove si verifica una flessione.
La causa prima degli aumenti negli ultimi anni è senz’altro dovuta alla maggiore
dotazione e utilizzazione del FSE, dopo la riforma del 1993. Importante è considerare
come negli anni cambino i rapporti percentuali tra le diverse offerte formative
e, soprattutto, se è corretta la tesi dell’“esplosione della formazione continua”,
con cui abbiamo titolato questo volume.
Se analizziamo i dati del Grafico 43 constatiamo come la Formazione Continua
guadagni, nel 1996-97, rispetto all’anno di riferimento iniziale, 14 punti percentuali,
facendo registrare il 44,5% di tutto il volume corsuale programmato rispetto al
30,2% di sei anni prima. È opportuno considerare che nel sistema classificatorio dell’Isfol
la formazione per adulti è sinonimo di Formazione Continua, in quanto comprende,
come ancora avveniva anche nella letteratura del settore, sia la formazione
per occupati che quella per disoccupati adulti. I corsi per i primi erano comunque
molto più numerosi che gli interventi per i secondi. I dati disaggregati per il 1995/96
417 Le correlazioni sono in particolare le seguenti: Prima qualificazione: asse 2 sub-assi 1 e 2, obiettivo
3. Secondo livello: asse 2 sub-assi 3 e 4, obiettivo 3. Adulti disoccupati: asse 1 obiettivo 3; occupati:
asse 2 ob. 4, Corsi specifici: assi 3 e 4 obiettivo 3.
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e 1996-97 parlano di un rapporto di 3 a 1 (esattamente 7.822 corsi per occupati e
2.178 per disoccupati per il primo anno e 8.623 per occupati e 3.317 per disoccupati
nel secondo anno)418. Se si tiene conto che la maggior parte degli utenti della categoria
dei corsi speciali per utenze specifiche sono adulti, si può concludere che la
formazione iniziale, comprendente il primo e secondo livello, è diventata nel 1996-
97 nel Paese minoritaria. Rispetto a questi scenari possiamo reiterare la constatazione
fatta per gli Anni ’80. Allora era il secondo livello ad acquisire posizioni importanti
sulla scena della Formazione Professionale regionale. Ora è la formazione
destinata ad utenze adulte e prevalentemente occupate. Ulteriore testimonianza della
capacità e duttilità della Formazione Professionale a connotarsi potenzialmente
come sistema di formazione ricorrente, inteso come sistema aperto a tutti i fabbisogni
formativi di giovani ed adulti, in qualsiasi momento questi si trovino del processo
di transizione dalla scuola al lavoro, dalla disoccupazione al lavoro, dal lavoro
al lavoro. In un panorama di istituzioni formative immobili, la Formazione Professionale
regionale ha raccolto le sollecitazioni di una domanda di formazione diversificata
e si è strutturata in una offerta formativa tipologicamente articolata. Ma tanta
letteratura non se ne accorge e continua anche quegli anni a recitare la falsa litania di
una Formazione Professionale regionale immobile e passata soprattutto nella prima
formazione. La prima formazione che passa da 7.733 corsi dell’inizio del decennio a
6.156 (1.577) dell’a.f. 1996-97, ma dopo avere raggiunto, nell’anno precedente, gli
8.559 interventi (cfr. Tab. n. 30). Quindi valori assoluti oscillanti e non stabilizzati,
ma certamente valori percentuali in progressiva diminuzione. Dal primo all’ultimo
anno di riferimento la prima qualificazione perde 18 punti percentuali. Dal 41,7%
del 1989-90 al 23,2% del 1996-97, dopo, però, avere fatto registrare il 37% nei
quattro anni formativi intermedi. L’importanza di peso, però, non dipende solo da
418 Cfr. SISTAN (Sistema statistico Nazionale) e ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche
della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1996-97, Roma 1998,
p. 11.
Grafico n. 43 - Evoluzione del numero di corsi dall’a.f. 1989-90 all’a.f. 1996-97 (V.A.)
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una diminuzione consistente delle attività riservate ai giovani post-obbligo, ma
anche dall’aumento della altre offerte formative, che stanno godendo di un trend
particolarmente positivo. Trend positivo non solo della formazione per adulti, ma
anche per il secondo livello, che nel 1996-97 arriva al 22% circa di tutta l’attività
programmata per quell’anno.
La media nazionale, però, ha il torto di omologare e appiattire le differenze territoriali.
Per restituire rilievo a tali differenze, verifichiamo l’incidenza percentuale
delle tipologie corsuali nella programmazione delle attività delle Regioni nel 1995-
96. Assumiamo i dati di questo anno formativo, perché più in linea con quelli che
l’hanno preceduto e quindi particolarmente rappresentativo di questo periodo:
– Primo livello (media nazionale 37,2%): 7 Regioni (Piemonte, Valle d’Aosta,
Lombardia, Veneto, Lazio, Puglia, Sicilia) fanno registrare valori che si collocano
sopra il 40%; 8 (Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di
Bolzano, Emilia Romagna, Marche, Campania, Calabria, Sardegna e Basilicata)
tra il 20 e il 40%. La Regione con la maggiore percentuale di corsi di
prima qualificazione rispetto alle altre offerte formative è la Sicilia con il
73,9%; l’Umbria ha, invece, la percentuale più bassa.
– Secondo livello (media nazionale 10,2%): undici Regioni superano la media nazionale.
Qualcuna con percentuali molto alte: la Basilicata con il 42,7% e il Molise
con il 39,3%. Sono le Regioni del Nord ad abbassare la media. La spiegazione
più plausibile di questo fenomeno sta nel fatto che, come succede per i
percorsi scolastici, al Sud anche un percorso di Formazione Professionale costituisce
un’alternativa ad un mercato del lavoro che non c’è; un percorso peraltro
reso appetibile anche (spesso soprattutto) da un sussidio economico.
La Formazione Continua (media nazionale 45,1%) disaggregata in 11,1% di corsi
per disoccupati e 34,0% per occupati. Nella maggior parte delle Regioni (14) la per-
Tabella n. 30 - Attività programmate (aa.ff. 1989-90, 1990-91, 1991-92, 1992-93, 1995-96, 1996-
97; V.A. e V.%)
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297
centuale più alta è quella degli interventi per occupati. Da segnalare il valore record
della Liguria (79,6%) per il segmento degli occupati e quello della Calabria (59,7%)
per il segmento dei disoccupati. In tutte le Regioni del Centro-Nord (ad esclusione del
Veneto e del Lazio) la Formazione Continua rappresenta l’offerta formativa più consistente;
nel Meridione, solo in Calabria e in Sardegna gli interventi per un’utenza adulta,
occupata o disoccupata, ha la meglio sul primo o sul secondo livello.
Tabella n. 31 - Corsi programmati dalle Regioni nel 1995-96 per Regione e tipologia formativa
(V.%)
Grafico n. 44 - Evoluzione del numero di corsi dall’a.f. 1989-90 all’a.f. 1996-97(V.%)
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298
I corsi per utenze speciali (media nazionale 7,5%): tutte le Regioni si discostano
poco dal valore medio nazionale, ad esclusione della Toscana (39,7%) e della Campania
(36,5%). E, in entrambi i casi, gli interventi che danno una dimensione così rilevante
a questa offerta formativa sono quelli previsti da specifiche normative regionali
o nazionali, in particolare quelli per l’iscrizione al registro degli esercenti del
commercio o per agenti del commercio.
La distribuzione dei corsi programmati nelle Regioni rispetto ai settori economici
ci consegna queste evidenze (cfr. Tab. n. 32):
– il 58,1% dei corsi programmati riguarda attività lavorative che ricadono nel
macro-settore del terziario; il 37,2% nel macrosettore dell’industria ed artigianato
e, invece, una quota residuale (4,7%) nell’agricoltura;
– nell’ambito del terziario le percentuali maggiori dei corsi si riscontrano, nei lavori
d’ufficio (19,1%), nei servizi socio educativi (11,40%) e nell’informatica
(7,8%). La distribuzione negli altri settori o aree professionali non supera il 5%;
– nell’ambito dell’industria e dell’artigianto i corsi della meccanica e quelli dell’elettronica
occupano saldamente le prime due posizioni rispettivamente con il
16,2% e il 7,6%;
– la maggiore concentrazione di corsi finalizzati alla prima qualificazione si verifica
nel comparto professionale dei Lavori d’ufficio (21,4%), della meccanica
(15,4%) e dell’elettricità elettronica (14,3%). I corsi di questi tre settori rappresentano
il 51% del volume corsuale programmato nel 1995-96;
– il 78% dei corsi di II livello riguardano qualifiche o certificazioni relative ad attività
del terziario; fanno registrare la presenza più numerosa nel comparto dei
Lavori d’ufficio (25,7%). Di rilievo anche i valori percentuali nell’informatica
(14,7%), nei servizi socio-educativi (12,8%) e nel turismo (8,75%);
– anche i corsi della Formazione Continua si collocano prevalentemente nei settori
del terziario (rispettivamente con il 63,7% e il 51,8%). E anche per i corsi
per disoccupati i Lavori d’ufficio rappresentano l’area di maggiore concentrazione,
mentre gli interventi per occupati fanno registrare una cospicua presenza
nel settore della meccanica 25,6%;
– il settore della distribuzione commerciale e l’area dei servizi socio-educativi
raccolgono oltre il 60% degli interventi per utenze speciali.
I risultati dell’altra fonte Isfol che censisce l’attività realizzata appaiono nel
Rapporto Isfol del 1998 e sono relativi all’anno solare 1996 (cfr. Tab. n. 33)419.
Il sistema classificatorio delle offerte formative utilizzato prevede queste tipologie
di attività: I livello, II livello, Disoccupati, Occupati, Occupazione critica,
Soggetti a rischio di esclusione, altri interventi non classificabili.
L’attività formativa realizzata nel 1996 risulta fortemente concentrata nelle Regioni
del Nord, nelle quali viene attuato più della metà (53,6%) del volume corsuale
419 ISFOL, Rapporto Isfol 1998, F. Angeli, 1998, p. 351 e ss.
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annuo; in particolare l’Emilia Romagna con 3.281 corsi e la Lombardia con 2.949
corsi realizzati, sono le Regioni con la maggiore attività formativa.
Nel Centro sono Toscana (1.582) e Lazio (1.435) a svolgere ben il 75,4% dell’attività
dell’area; nel Sud la distribuzione è piuttosto uniforme fatta eccezione della
Sicilia (2.524) in cui l’attività formativa è più rilevante.
Analizzando le distribuzioni percentuali nelle varie tipologie formative, si osserva
che complessivamente l’offerta formativa maggiore è indirizzata ai lavoratori
occupati (28,1%), in particolare nel Nord (40,0%); nel Centro invece è più concentrata
sul secondo livello (26,6%) e al Sud sul primo livello (42,5%).
Tabella n. 32 - Corsi programmati dalle Regioni per settori economici e tipologia formativa (a.f.
1996-97)
Fonte: ISFOL
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La maggior parte dell’attività formativa è finanziata dai fondi comunitari, in
particolare nel Nord questi ricoprono il 71,5% dell’attività e nel Centro il 76,3%.
Nel Sud mancano i dati di Sicilia e Sardegna. La Provincia Autonoma di Bolzano
300
Tabella n. 33 - Corsi realizzati per tipologia formativa e Regioni (V.A. e V.%) (1) Non disponibile;
(2) Dati stimati
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301
(63,5%), il Veneto (68,6%) e il Friuli Venezia Giulia (59,8%) mostrano un impegno
finanziario maggiore dei fondi regionali; cinque Regioni hanno utilizzato solo fondi
comunitari (Lombardia, Umbria, Molise, Campania, Basilicata e Calabria) o più
correttamente hanno utilizzato le risorse regionali solo come sponda al finanziamento
del FSE (cfr. Graf. n. 45).
a) Un linguaggio e un’offerta nuova: l’integrazione tra sistemi
Nella Tabella 30 che riferiva il numero delle attività programmate dall’a.f.
1988-89 all’a.f. 1995-96 abbiamo seguito l’evoluzione, in valori assoluti e relativi,
del II livello. In quelle percentuali, accanto a quelle per i corsi del post-diploma e del
post laurea, c’erano anche i cosi detti corsi di raccordo o di integrazione Scuola-Formazione
Professionale.
È un’offerta formativa che non nasce in questo periodo; l’avevamo rilevata
anche nei decenni precedenti, ma era ancora a livello embrionale. In questo decennio
si sviluppa, però, fino a costituire quantitativamente e tipologicamente una
nuova offerta formativa, anche se di dimensioni ridotte. Con la crescente presenza di
questa offerta prendono piede, nel linguaggio corrente, termini che non avremmo
mai sospettato di usare qualche anno addietro: integrazione, interazione, collaborazione
intersistemica.
Mentre assistiamo allo stallo sul piano politico-parlamentare nei confronti della
riforma della Scuola Media superiore e della Formazione Professionale, sempre annunciate
e mai effettuate, i sistemi formativi procedono se non ad un’autoriforma almeno
a ridisegnare e reimpostare i rapporti vicendevoli, perché le innovazioni culturali
spesso vanno più veloci delle riforme per via legislativa.
Le elaborazioni concettuali maturate in questi anni parlano chiaro, parlano di
interazioni e non di steccati, di collaborazione e non di conflittualità. Non per un im-
Grafico n. 45 - Il peso percentuale del FSE nella realizzazione delle attività (a. 1996)
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302
provviso buonismo ma per nuove consapevolezze che nascono dalla costatazione
che il ritmo delle trasformazioni tecnologiche ha stravolto i ritmi e i tempi della formazione
ed il mix cultura di base - cultura specialistica - professionalizzazione - cultura
organizzativa sono ormai componenti inscindibili. Anzi costituiscono una dotazione
personale che ciascuno dovrebbe possedere, riaggiornare e ricombinare per
tutto l’arco della propria vita attiva, a prescindere dalla posizione lavorativa che ricopre
o ricoprirà (cfr. Fig. n. 64).
Pertanto, una scuola per chi studierà ancora e una scuola per chi lavorerà non
serve più. E di conseguenza non si giustifica più, e non è funzionale, lasciare che un
elevato grado di rigidità, di non permeabilità, impedisca di fatto quell’osmosi che
aprirebbe le strade per una loro fruizione più dinamica da parte delle differenti
utenze.
Dunque, i sistemi sono ancora bloccati dalle morse di mancate riforme o normative
quadro, ma, al loro interno, non sono così asfittici come si potrebbe supporre.
Esistono molteplici e significativi interventi ed esperienze, nate proprio nell’intento
di favorire un raccordo tra il Sistema Istruzione, compresa l’Università, e
quello della Formazione Professionale (e spesso, tra questi ultimi ed i rappresentanti
delle parti sociali) e che si esprime soprattutto in queste forme:
– interventi per giovani tra i 14 e i 16 anni, per favorire i reciproci passaggi tra sistema
scolastico e Sistema di Formazione Professionale, sulla base della valorizzazione
dei crediti formativi, contro la dispersione scolastica;
– moduli integrativi dei curricola scolastici realizzati nell’ambito della Formazione
Professionale regionale attraverso attività di stage, laboratori, in particolare
rivolti ad alunni del 4° e 5° anno della scuola superiore;
– corsi post-diploma e post-qualifica, realizzati congiuntamente da Scuola e Formazione
Professionale regionale;
Figura n. 64 - Dotazione personale in continuo riaggiornamento e ricombinazione
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303
– attività in collaborazione tra Università, Formazione Professionale e aziende
per la realizzazione dei diplomi universitari, attività dei consorzi Università/imprese
nell’ambito del programma Comett;
– interventi per adulti privi della licenza dell’obbligo scolastico e con bisogni di
qualificazione/riqualificazione (cfr. Fig. n. 65).
Come si può notare dal Grafico 46 questa tipologia di attività conosce un trend
positivo, tanto che nel 1988-89 rappresentava l’1,1% di tutto il volume corsuale programmato
per quell’anno formativo; nell’a.f. 1995-96, invece, con 591 interventi e
circa 14.000 allievi faceva registrare un peso percentuale pari al 2,6%.
Figura n. 65 - Tipologie di attività realizzate in interazione Scuola-Formazione Professionale
Grafico n. 46 - Evoluzione quantitativa delle attività di integrazione (V.% dal 1988-89 al
1995-96)
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304
Cercando di scandagliare più in profondità questi dati, scopriamo che la distribuzione
per macrosettore vede la netta prevalenza del terziario (con 469 interventi),
seguito dall’industria-artigianato (115) e dall’agricoltura (7).
La ripartizione geografica rileva una netta prevalenza del Nord-Est (338 interventi)
con il 67%, che distanzia il Nord-Ovest (128) di 45 punti percentuali. Chiudono
il Centro e il Meridione con 29 e 36 attività che rappresentano il 5% e il 6% di
tutti gli interventi programmati rientranti un questa offerta formativa420.
La Regione cui spetta il primato è l’Emilia Romagna con 274 interventi. Questo
trend positivo è in gran parte merito di una consistente produzione di documenti ufficiali
di impegno reciproco tra le parti, quali convenzioni, protocolli d’intesa, accordi.
A partire dal 1989, con una costante accelerazione si è assistito ad un’attivazione
di accordi tra le maggiori istituzioni per promuovere una vera integrazione tra
i diversi sistemi formativi.
Il Ministero della Pubblica Istruzione ed, in particolare, la Direzione Generale
dell’Istruzione Professionale (DGIP), si è particolarmente attivato nei confronti dei
sistemi formativi regionale e imprenditoriale. D’altro canto le Regioni ed il mondo
imprenditoriale hanno risposto con particolare disponibilità. Quasi tutte le Regioni
hanno stipulato una convenzione con il MPI, come analoghe intese sono state firmate
con le più rappresentative organizzazioni imprenditoriali (Confindustria, Confapi,
Associazioni artigianali). Molte anche le convenzioni tra le singole aziende o
gruppi di aziende con le Regioni ed il MPI. È frequente inoltre una partecipazione a
livello locale di tutti e tre i soggetti interessati (Istituzione scolastica, Ente regionale,
azienda o associazione territoriale di aziende)421. La molteplicità degli accordi stipulati,
di cui si riassumono i contenuti principali, evidenziano il tentativo delle diffe-
420 ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività
programmata dalle Regioni nel 1996-97, Roma 1998, p. 29.
421 ISFOL, Rapporto Isfol1995, F. Angeli, Milano 1995, pp. 303-304.
Grafico n. 47 - Ripartizione geografica delle attività di raccordo-integrazione (a.f. 1995-96, V.%)
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305
renti istituzioni di proporre soluzioni alle pressanti esigenze di integrazione, in mancanza
di un quadro normativo chiarificatore.
Obiettivi comuni a tutte le convenzioni, sia pure con differenti formulazioni
(sempre un po’ enfatiche come è tipico di questo tipo di letteratura), sono:
– la realizzazione di programmi di integrazione e raccordo per migliorare e coordinare
l’offerta formativa nel territorio regionale anche per il tramite di innovazioni
metodologico-didattiche e modifica dei programmi;
– la realizzazione di attività formative post-diploma e post-qualifica al fine anche
di un doppio riconoscimento della qualifica (titolo di studio e qualifica professionale
riconosciuta dalla Regione);
– la riorganizzazione degli insediamenti delle strutture di Formazione Professionale
statali e regionali presenti sul territorio;
– l’utilizzo reciproco delle strutture, delle attrezzature e del personale nell’ambito
di un programma coordinato di interventi;
– la creazione di comitati di consultazione permanente.
Su questo versante è particolarmente importante il protocollo d’intesa stipulato
nel febbraio del 1994 tra Ministero della Pubblica Istruzione e Conferenza dei Presidenti
delle Regioni per la conclusione di accordi regionali e provinciali.
Tra tante esperienze in materia d’integrazione tra sistemi ne proponiamo alcune
particolarmente significative che hanno riguardato il biennio della Formazione Professionale
(il progetto Promos in Lombardia e quello per la riqualificazione della
formazione di base in Provincia di Trento), il post-secondario (Progetto SFI della
Regione Umbria e Progetto attività formative integrate dell’Emilia Romagna) e la
Formazione Continua.
a) Il progetto Promos in Lombardia. La sperimentazione formativa di Promos, avviata
nel 1993, riguarda corsi di primo livello per giovani in possesso della licenza
dell’obbligo, nei settori amministrativo ed elettrico-elettronico, arricchiti
con contenuti del biennio secondario superiore dei nuovi programmi della
Commissione Brocca (260 ore aggiuntive per ciascun anno formativo). Il progetto
ha l’obiettivo di far conseguire agli allievi un attestato di qualifica regionale
di I° livello, e crediti formativi, valutabili per una prosecuzione degli studi
in percorsi dell’Istituto Tecnico Industriale Statale o dell’Istituto Professionale
di Stato ad indirizzo coerente. Per prevenire l’abbandono scolastico sono state
utilizzate metodologie didattiche di sostegno e motivazione allo studio. La possibilità
di spendere i crediti per un rietro nel circuito scolastico avviene in base
ad appositi accordi tra Sistema scolastico e Sistema regionale.
b) Progetto per la riqualificazione della formazione di base della Provincia Autonoma
di Trento. A partire dall’anno formativo 1994/95 è stata avviata in tutti i
Centri di Formazione Professionale della Provincia di Trento la sperimentazione
di un percorso formativo innovativo, di durata triennale, strutturato in un biennio
di orientamento e polivalente per aree monoprofessionali (industria e artigianato,
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306
terziario, alberghiero-ristorazione, abbigliamento, servizi), più un terzo anno di
specializzazione, al cui termine si ottiene l’attestato di qualifica. Il biennio di base
è strutturato in area comune e area di monosettore per un monte di 36 ore settimanali.
Nell’area comune (17 ore settimanali) viene impartito l’insegnamento di
italiano, storia, matematica e lingua straniera. Nelle restanti 19 ore settimanali
vengono impartiti insegnamenti di scienze, linguaggi e comunicazione, modelli
organizzativi, tecnologie e processi operativi riferiti alla monoarea settoriale. Il
biennio, oltre a consentire l’accesso al terzo anno di qualifica, permette anche di
entrare nel mondo del lavoro, mediante l’istituto dell’apprendistato e, avendo rafforzato
l’area delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, offre un’altra opportunità:
il rientro al terzo anno della scuola media superiore (cfr. Fig. n. 66).
Nel segmento post-secondario da tempo si sperimentano forme di integrazione
tra Scuola, Formazione Professionale ed imprese, tanto da poter affermare che rappresenta
probabilmente un osservatorio privilegiato per la rilevazione delle possibili
forme di raccordo tra sistemi. In questi anni, in particolare, due fenomeni, i progetti
di post-qualifica (ex progetto ’92) e l’avvio di alcuni diplomi universitari, specie
nell’area ingegneristica, stanno imprimendo all’area del post-secondario una spiccata
caratterizzazione di “formazione integrata”.
Infatti, per i corsi post-qualifica degli Istituti Professionali di Stato, si prevede
un biennio integrato Scuola-Formazione Professionale422; per i diplomi universitari
sono state realizzate esperienze di collaborazione tra Università, imprese e sistema
formativo regionale. A titolo esemplificativo ne proponiamo due:
c) Progetto SFI della Regione Umbria. Nato negli Anni ’90, il progetto SFI (Sistema
Formativo Integrato) attua sinergie formative tra Regione, Scuola e sistema
delle imprese nel post-diploma presso Istituti Tecnici e Professionali. La
422 Cfr. paragrafo 3.8.2.b. Il biennio post-qualifica e la terza area.
Figura n. 66 - Possibilità di percorsi formativi o formativo-lavorativi dopo il biennio
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gestione congiunta dei corsi pilota prevede: responsabile del corso (nominato
dalla Regione); tutor di Formazione Professionale (nominato dalla Regione);
tutor di scuola (docente nominato dalla scuola); tutor d’impresa (nominato dagli
imprenditori); équipe tecnico scientifica composta da tecnici di tutti i sistemi interessati.
I punti forti del processo sono costituiti da: integrazione totale tra FP
regionale, scuola e impresa in ogni fase del processo formativo; innovazione
metodologica nella progettazione formativa; flessibilità delle figure professionali
proposte che, configurandosi come figure di area e di processo, sono adattabili
alle modificazioni del mercato del lavoro.
d) Progetto attività formative integrate nella Regione Emilia-Romagna. Il progetto,
attuato d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione, è stato predisposto
per la gestione dei corsi post-qualifica. I principi guida sono: gli Istituti
Professionali di Stato interessati al progetto, che normalmente attuano un programma
composto da un biennio di qualifica (un anno di specializzazione ed un
biennio terminale) definiscono in accordo con la Regione una progettazione
formativa che integri le esperienze di alternanza scuola-lavoro e la metodologia
maturata nei CFP regionali alla normale programmazione ministeriale. Questa
integrazione, mirata nel biennio di qualifica alla prevenzione contro la dispersione
scolastica, deve svolgersi il più possibile nei tempi scolastici come percorso
didattico a tutti gli effetti e non “aggiuntivo”; i corsi integrati sono percorsi
scolastici realizzati congiuntamente dalla Scuola, dalla FP con la collaborazione
delle imprese e caratterizzati, sul piano didattico, da una globale coerenza
ed unitarietà; la progettazione delle attività, nel rispetto delle direttive regionali
in materia di FP, deve essere effettuata per moduli e congiuntamente per
l’intero percorso, l’individuazione di due coordinatori di progetto, rispettivamente
per la Scuola e per la FP, responsabili dell’integrazione tra tutti i moduli
del progetto stesso. Al termine del ciclo formativo i giovani diplomati acquisiranno,
oltre al titolo di studio statale, le corrispondenti qualifiche professionali
riconosciute dalla Regione.
Lo sviluppo di un sistema integrato riguarda anche la Formazione Continua. Un
caso interessante su questo versante è costituito da un progetto di formazione per
adulti privi dell’obbligo.
e) Progetto di formazione di base e preprofessionale della Regione Piemonte. Il
progetto, nato dall’intesa tra il MPI e Regione Piemonte, realizza interventi di
formazione di base e pre-professionali rivolti ad adulti (oltre i 16 anni), privi della
licenza dell’obbligo, con particolare attenzione per i soggetti a rischio di emarginazione
dal mercato del lavoro. Al termine dei corsi si prevede il conseguimento
della licenza media e la possibilità di proseguire l’iter formativo nei corsi di
qualificazione professionale. In tali corsi sperimentali di scuola media è prevista
l’integrazione con moduli formativi della durata di 50 ore, destinati ad attività
pre-professionali; tali moduli sono strutturati sia per il trasferimento di competenstoriaFORMAZ3-
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308
ze specializzanti sia per l’esercizio delle competenze nelle aree disciplinari previste
dai curricoli scolastici per questo tipo di corsi sperimentali. Per i modelli
pre-professionali, la programmazione, lo svolgimento e la gestione d’aula
prevede un lavoro d’équipe tra i docenti della scuola ed i formatori della FP.
Le esperienze illustrate, e proposte solo a titolo di esempio di una realtà che sta
diventando anche quantitativamente un fenomeno non trascurabile, rappresentano
percorsi formativi efficienti, in quanto ottimizzano l’utilizzo delle strutture e delle
risorse, evitando inutili sovrapposizioni e competitività, e arricchiscono l’offerta
formativa di nuove opportunità con particolare attenzione alle tendenze del mercato
e ai bisogni delle utenze.
Ma queste esperienze testimoniano, anche, una evoluzione nei rapporti tra il Sistema
scolatico statale e quello formativo regionale, perché superano concettualmente
ed operativamente storiche barriere, ridefinendo le finalità educative e
l’“identità” dei sistemi anche sul piano pragmatico, confermando al Sistema scolastico
la sua funzione di formazione di base ed al Sistema di FP la sua funzione professionalizzante.
Naturalmente si sente la mancanza di un quadro normativo di più ampio respiro
che ne sostenga lo sviluppo.
7.4.2. Le qualifiche
La qualifica professionale, sulla base della normativa vigente, nel nostro Paese
si acquisisce con l’attestato che le Regioni rilasciano, secondo quanto prescrive l’art.
14 della Legge quadro n. 845/78, con un diploma degli Istituti Professionali di Stato,
con l’attestazione di un’impresa (ad esempio, a seguito di contratti a causa mista di
apprendistato e formazione/lavoro) e con l’accertamento di professionalità, ai sensi
dell’art. 14 della L. n. 56/87423 (cfr. Fig. n. 67).
423 Cfr. L. 56/87 “Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro”, Art. 14 Accertamento della
professionalità. “Ai fini dell’iscrizione nelle liste di collocamento, la sezione circoscrizionale per l’impiego
ha facoltà di effettuare l’accertamento della professionalità del lavoratore avvalendosi delle strutture
e degli organismi di formazione professionale competenti, previsti dalla Legge 21 dicembre 1978,
n. 845, ovvero delle attrezzature messe a disposizione dalle imprese”.
Figura n. 67 - Certificazioni di qualifica professionale
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309
a) La incomunicabilità tra sistemi formativi e mondo del lavoro
La contrattazione collettiva utilizza delle declaratorie che indicano in maniera
generica le mansioni e le competenze richieste ai lavoratori e quindi offrono pochi
input al mondo della Formazione che deve elaborare percorsi di acquisizione delle
conoscenze e competenze professionali. I titoli rilasciati dagli Istituti Professionali
di Stato, per preoccupazioni di polivalenza didattica, rispondono più al concetto di
area professionale che di qualifica, senz’altro non utilizzabile nel mondo del lavoro.
Il mondo della Formazione Professionale regionale, infine, non ha solo problemi
di dialogo con gli altri sistemi che producono qualifiche, ma addirittura li ha al proprio
interno, cioè non solo non dialoga con gli IPS e con il mondo della contrattualistica
del lavoro, ma su questo versante le Regioni non dialogano tra loro. Abbiamo,
infatti, dimostrato, nel secondo volume, che nei Sistemi regionali per quanto riguarda
le qualifiche (il traguardo più importante della Formazione Professionale) e i percorsi
per raggiungerle si viva una situazione di totale deregulation. Beninteso non perché le
Regioni non regolamentino in materia (anche se succede pure questo), quanto perché
ciascuna regolamenta per sé e nessuno per tutte. Per cui la qualifica di operatore contabile
raggiungibile in Molise con un percorso di 900 ore, nel vicino Abruzzo si ottiene
con un corso che dura 1600 e nella Calabria addirittura con uno di 2400 ore. Se
consideriamo che l’esempio riportato non rappresenta la patologia ma la fisiologia del
sistema, si deve concludere che la possibilità di comunicazione tra i sistemi regionali è
molto problematica, perché ciascuno crea prodotti non riconoscibili dagli altri.
Il Ministero del Lavoro che, in questa materia, dovrebbe avere una qualche funzione
regolatrice424 o comunque essere di riferimento per tutti, si limita a pubblicare
da anni un elenco alfabetico di denominazioni delle occupazioni (circa 5.000) che,
nonostante gli aggiornamenti, si presenta obsoleto, sia per l’impianto metodologico
che per i contenuti, e parziale, perché elenca solo occupazioni dipendenti, tralasciando
il lavoro autonomo425.
Conseguenza di questo stato di cose: convivenza di tre sistemi non dialoganti
tra loro perché basati su criteri e categorie diversi. Dialogo che non c’è perché la
storia di ciascuno è molto diversa, ma anche perché non lo si vuole, come insegna il
progetto Fasce di Professionalità.
b) Tentativi per la certificazione e riconoscibilità delle qualifiche
Questo progetto426, nato da una previsione della Legge quadro realizzato dal -
l’Isfol è stato il tentativo più importante, nel nostro Paese, per arrivare alla
“definizione delle qualifiche professionali, dei loro contenuti tecnici, culturali ed
operativi e delle prove di accertamento per la loro attribuzione”.
424 Va ricordato che il Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, attuativo della
delega di cui all’art. 1 della Legge 22 luglio 1975, n. 382, e che all’art. 4 attribuisce allo Stato la funzione
di indirizzo e coordinamento nelle materie trasferite o delegate, tra le quali l’istruzione artigiana e
professionale.
425 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1994, F. Angeli, Milano 1994, p. 145.
426 Cfr. Volume II, pp. 183-187.
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310
Le difficoltà incontrate nella decretazione dei risultati del Progetto, che pur
aveva incontrato larghi consensi dal punto di vista tecnico-metodologico, erano dovute
non tanto alla sua utilità, quanto al fatto che le intenzioni della L. n. 845 che legavano
il tema della Formazione (e la conseguente qualificazione e certificazione)
ad altre due questioni di importanza cruciale, quali l’avviamento al lavoro e l’inquadramento
contrattuale in azienda, incontravano l’ostilità ferma dei sindacati, dei lavoratori
e dei datori, che ritenevano queste due materie di loro pertinenza esclusiva.
Se buttiamo uno sguardo al di là dei nostri confini per vedere come abbiano regolamentato
la materia i nostri principali partners europei, rileviamo la presenza di
due modelli, rappresentati da Germania427 e Francia428, dove nel primo c’è continuità
tra qualifica appresa in formazione e qualifica esercitata sul lavoro, mentre nel secondo
modello non c’è da parte del mondo del lavoro un automatico riconoscimento
della qualifica erogata dal Sistema formativo.
Ma nei primi Anni ’90 tutti i partners europei, a prescindere dai modelli di erogazione
e riconoscimento delle qualifiche che hanno adottato, avevano a che fare
con una scadenza, 1° gennaio 1993, quando entra in vigore il Trattato di Maastricht e
prende concretamente avvio la fase più ambiziosa del processo di unificazione e di
integrazione europea: la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Naturalmente
il concetto di “libera circolazione” delle persone non sta ad indicare solo lo
spostamento fisico da un Paese all’altro, ma anche quello, ben più significativo, di
reale collocazione professionale a livelli analoghi a quelli del Paese di provenienza.
Pertanto il mercato del lavoro unico europeo che si configura ha bisogno di regole
chiare e concordate che permettano un riconoscimento reciproco delle qualifiche,
per evitare penalizzazioni ed azzeramenti di bagagli professionali acquisiti nei Paesi
d’origine. Questa preoccupazione era stata da tempo avvertita dalla Comunità che,
già con decisione del 16 luglio 1985429, avviava la corrispondenza delle qualifiche di
Formazione Professionale tra gli Stati membri della Comunità europea. L’obiettivo
del progetto era quello di predisporre gli strumenti tecnici su cui fondare, se non un
427 In Germania sono circa 370 le professioni basate su una formazione riconosciuta; esse coprono
l’intero spettro dell’occupazione specializzata. Per ciascuna di esse vengono stabilite dal Bibb (Istituto
federale per la Formazione Professionale) tutte le specifiche: qualifiche, profilo, contenuti e durata della
formazione, prova di verifica; tali specifiche vengono approvate da una commissione tripartita a livello
nazionale, e varate con decreti governativi. Il sistema di qualificazione professionale è quindi in
Germania fortemente centralizzato per ciò che concerne la definizione delle qualifiche e degli standard
relativi; è invece caratterizzato da un progressivo decentramento relativamente all’autonomia degli organismi
che erogano formazione. La qualifica professionale in Germania è di tre tipi (relativamente al
settore industriale, al terziario e all’arte e mestieri) ed è sostanzialmente un titolo valido a livello nazionale;
la sua acquisizione rappresenta il riconoscimento sociale di un percorso formativo, in quanto il certificato
conseguito è accettato sia sul mercato del lavoro che dalle imprese.
428 In Francia esiste un sistema nazionale di definizione delle qualifiche professionali, il “Rome”
(Repertorio operativo dei mestieri e delle occupazioni), elaborato dall’Anpe (Agenzia nazionale per
l’impiego) per la gestione del mercato del lavoro; in tale repertorio non vengono indicati né il percorso
formativo relativo, né standard formativi e di durata. Le qualifiche indicate sono 460, e vengono definite
secondo le competenze tecniche di base della professione relativa.
429 Cfr. volume II, p. 189 e ss.
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311
reciproco riconoscimento di qualifiche professionali e diplomi di qualifica, almeno
una loro “corrispondenza”, come recita testualmente la decisione, che garantisce sul
livello qualitativo della formazione ricevuta. Con questo progetto si intendeva contribuire
alla chiarezza fornendo informazioni reciprocamente accettate che, pur non
rappresentando il terreno per un automatico riconoscimento delle qualifiche a livello
aziendale, consentissero al datore di lavoro di operare scelte non al buio.
Sulla base di questa logica di fondo il Cedefop, su mandato della Comunità,
aveva attivato una serie di analisi settoriali per definire le caratteristiche professionali,
oltre che le denominazioni formali, delle più importanti professioni riconducibili
al livello II della griglia elaborata in sede comunitaria430. La metodologia di lavoro
seguita prevedeva, sulla base di studi preparatori, messi a punto dal Cedefop e
dai suoi esperti, riunioni plenarie dei dodici Paesi della Comunità per definire e meglio
precisare l’apporto e le caratterizzazioni nazionali delle professioni indagate;
ogni delegazione era costituita da un membro istituzionale e da due membri in rappresentanza
dei datori di lavoro e dei sindacati. Come detto nel volume II il progetto
iniziale che prevedeva la corrispondenza delle qualifiche per 19 settori431 non è stato
mai concluso (cfr. Prosp. n. 33).
Ad un certo punto si è avuta la sensazione che si stava costruendo una cattedrale
nel deserto dato lo scarso, se non nullo, impatto del progetto a livello nazionale.
Nell 1992 l’Europa cambia prospettiva, con la Direttiva 92/51/CEE del Consiglio
del 18 giugno 1992 relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento
della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE432. La Direttiva
introduce un sistema generale di riconoscimento dei diplomi professionali rilasciati
dopo il completamento di studi d’Istruzione Superiore o post secondari di almeno un
anno, oppure al termine di alcuni tipi di Formazione Professionale post secondaria
breve.
430 Cfr. volume II, p. 192: LIVELLO 2: Formazione che dà accesso a questo livello: Istruzione obbligatoria
e Formazione Professionale (compreso in particolare l’apprendistato). Questo livello corrisponde
ad una qualifica completa per l’esercizio di una attività ben definita con la capacità di utilizzare
i relativi strumenti e tecniche. Si tratta principalmente di un lavoro esecutivo che può essere autonomo
nei limiti delle tecniche ad esso inerenti. Per quanto concerne il nostro Paese è il caso di ricordare che
queste professioni ricadono a cavallo tra le attività di tipo qualificato e quelle di tipo specialistico, a seconda
dei settori indagati.
431 Horeca (albergazione e ristorazione), Riparazione veicoli a motore, Edilizia, Agricoltura, Elettrico/
elettronico Abbigliamento, Tessile, Metallurgico, Lavori amministrativi (banche / assicurazioni),
Chimica, Commercio, Trasporti, Agro-alimentare, Turismo, Lavori in legno, Lavorazioni in ferro / acciaio,
Lavorazioni in cuoio; Industria agroalimentare.
432 In G.U. n. L. 209 del 24/07/1992 p. 25-45. Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1994, op. cit., p. 124:
“l’elemento fortemente innovativo di tale direttiva va ravvisato nella istituzione di nuovi criteri identificativi
delle professionalità e delle competenze intese come una sorta di “bene di scambio prioritario”
nel mercato unico europeo. Tali criteri identificativi sono sostanzialmente espressi dai concetti di: attività
professionale regolamentata; standardizzazione autocertificata dei percorsi di qualificazione per
ciascuna figura o professione regolamentata; costruzione di sistemi di trasferibilità dei titoli e delle
competenze certificate”.
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Dove sta il cambio di prospettiva rispetto al progetto della Corrispondenza delle
qualifiche?
Nell’abbandono dei meccanismi di validazione ex ante dei titoli e delle qualifiche
per l’adozione di meccanismi di validazione ex post delle competenze acquiste
la termine di un percorso d’istruzione o di formazione. No alla standardizzazione
preliminare unica, sovranazionale e transnazionale, dei percorsi che fanno acquisire
competenze, ma costruzione di un modello standard di descrizione e trasmissione
delle informazioni sulle competenze possedute ed offerte dai soggetti in ingresso su
altri mercati del lavoro. Il datore di lavoro e/o l’autorità pubblica ospitante saranno
liberi di valutare caso per caso l’idoneità e la coerenza delle competenze ascritte nel
curriculum personale con i propri fabbisogni.
La filosofia della risoluzione del Consiglio del 1992 e che cambia radicalmente
l’impostazione del dibattito può essere così sintetizzata:
– mettere in condizione gli individui che lo desiderano di presentare le loro qualifiche
professionali, la loro formazione, le esperienze lavorative in modo chiaro
ed efficace ai potenziali datori di lavoro in tutto il territorio comunitario;
– aiutare gli imprenditori ad avere un facile accesso a descrizioni delle qualifiche
e delle principali esperienze lavorative, al fine di stabilire la rilevanza delle
competenze dei candidati provenienti da altri Paesi membri rispetto ai lavori offerti.
In questa prospettiva il problema diventa quali informazioni siano necessarie a
livello comunitario perché sia possibile per un individuo mettere in risalto le proprie
conoscenze e competenze in un contesto diverso da quello nazionale, e quali indicatori
sintetici di descrizione, omogenei e concordati a livello europeo, siano in grado
di cogliere gli aspetti fondamentali di una qualifica espressi in termini di conoscenze
Prospetto n. 33 - Elenco delle professioni esaminate nei settori tessile e metallurgico
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313
e competenze. Occorre, però, che tali informazioni siano veicolate a livello europeo
da uno strumento con un codice di comunicazione di comune interpretazione.
Questo strumento viene abitualmente chiamato “Portfolio”; ad un suo prototipo ha
lavorato una équipe formata da rappresentanti degli Stati membri. Lo schema base
di portfolio prevede una sorta di questionario tematico aperto; le variabili prese in
considerazione sono: dati anagrafici, informazioni e dati sul percorso d’Istruzione e
Formazione, informazioni e dati sulle qualifiche conseguite, informazioni e dati sull’esperienza
lavorativa, dati sulla conoscenza delle lingue straniere, informazioni su
esperienze di soggiorno, studio e lavoro all’estero, informazioni sulle conoscenze e
competenze integrative in vario modo conseguite, per le quali non si dispone di una
certificazione433.
Come, di consueto, l’iniziativa comunitaria mette in moto interventi analoghi
nei Paesi membri.
In Italia, dopo una gestazione laboriosa, il Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale emana, il 12 marzo 1996, un Decreto dal titolo: “Adozione degli indicatori
minimi da riportare negli attestati di qualifica professionale rilasciati dalle Regioni
e Province Autonome, con allegato modello di attestato”. Gli indicatori minimi
sono:
– dati anagrafici del titolare del certificato;
– denominazione e durata del corso frequentato;
– profilo professionale di riferimento;
– struttura presso la quale l’esperienza formativa è stata realizzata;
– requisiti di accesso al corso;
– elementi atti a rendere comprensibili i contenuti educativi del corso, la loro
estensione in ore, l’eventuale presenza di tirocini in imprese o stages;
– tipo di prova della valutazione finale.
Tutti questi elementi sono raccolti in un modello che viene allegato al Decreto
Ministeriale (cfr. Prosp. n. 34). L’art. 1 ne specifica lo scopo:
“favorire l’adozione di criteri comuni per la certificazione dei percorsi formativi e per armonizzare,
a livello nazionale, il formato degli attestati in coerenza con le indicazioni e le
priorità individuate dalla UE”
e le premesse al testo normativo e all’allegato, per scongiurare equivoci che, in passato,
avevano compromesso l’esito del Progetto fasce di qualifica, si affretta a precisare
che:
433 Le opzioni significative adottate dal gruppo di lavoro sembrano essere le seguenti: a) il percorso
di Istruzione-Formazione di base prevede una logica unitaria e paritetica tra carriera scolastica e
carriera di Formazione Professionale; b) le qualifiche conseguite nel percorso formativo rappresentano
gli output formali e certificati raggiunti al termine di ciascuna fase o momento del percorso educativo
e per ogni qualifica si richiede anche l’indicazione delle applicazioni lavorative cui può dare accesso
nel proprio Paese; c) le competenze comunque acquisite sono sostanzialmente riferibili a quanto noto
come core skills o competenze trasversali conseguite dal soggetto nella sua esperienza complessiva di
vita e di lavoro.
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“i problemi della trasparenza delle certificazioni formative sono separati dai problemi dell’accesso
alla vita attiva da parte dei titolari, in quanto materia soggetta alla contrattazione
con le parti sociali”.
Questo strumento, che certifica i percorsi formativi e armonizza i modelli regionali
di attestati di qualifica preesistenti dovrebbe divenire la vera carta di identità professionale
di ogni persona. In alcune Regioni l’idea del portfolio era già stata introdotta,
prima dell’emanazione del D.M., nella normativa per la Formazione Professionale
anche se con denominazioni diverse: “libretto professionale” in quella del Veneto
(1990), “passaporto formativo” nella Legge della Provincia di Bolzano (1992);
“libretto formativo personale” in quella della Regione Lazio (1992); “libretto personale
di certificazione professionale” nei testi della Liguria (1993) e del Molise (1995)
e infine “libretto formativo individuale” nella normativa del Piemonte (1995).
Da notare che il modello di attestato allegato al D.M. articola le competenze in
tre tipologie: di base, tenico-professionali e trasversali. Dietro questa classificazione
c’è una precedente abbondante attività di ricerca, internazionale e italiana, in primis
dell’Isfol, sul c.d. sistema delle Unità formative capitalizzabili. La filosofia che sottostà
a questo sistema è quella della massima valorizzazione dei percorsi formativi e
professionali individuali, e quindi della capitalizzazione dei risultati anche parziali
che via via i soggetti acquisiscono nel corso della loro esperienza, a qualunque
punto la interrompano. Ciò implica, per essere praticabile, che:
– i diversi subsistemi formativi siano articolati in segmenti (unità) singolarmente
certificabili e reciprocamente riconoscibili,
– che la stessa esperienza di lavoro sia certificabile e riconoscibile per segmenti
in termini di competenze acquisite, a loro volta corrispondenti a determinate
unità formative.
L’unità capitalizzabile sarebbe quindi il denominatore comune che metterebbe, finalmente,
in dialogo sistemi autoreferenziali. Da queste premesse muove l’approccio
“per unità di competenza”, la cui idea base è quella di definire un “repertorio di competenze”,
da parte di una apposita istanza nazionale, che copra l’insieme delle attività
su cui si basano le professioni, distinguendo fra competenze di base, tecnico-professionali
e trasversali. Con questa impostazione l’Italia si mette sulla scia di esperienze
estere, soprattutto quella delle “unités capitalisables” e del “Réferéntiel” francesi434 e
434 Nel novembre 1996, su iniziativa del Ministro del Lavoro Jacques Barrot, è stato predisposto
un rapporto (1996 - Dare un nuovo slancio alla formazione professionale), il cui punto focale è il riconoscimento
dell’esigenza di riconoscere le competenze professionali comunque acquisite e la conseguente
proposta di costruire un Référentiel nazionale delle qualifiche e delle competenze, che viene definito
come una «griglia unica di definizione e di composizione delle competenze». Il Référentiel
dovrà essere costruito per ambiti professionali e per livelli, e costituito di elementi (unità) semplici ma
capitalizzabili, che corrispondano alle competenze professionali di base. Questi elementi saranno specifici
per un ambito professionale o comuni per più ambiti o a più livelli e potranno avere un contenuto
teorico, o pratico, o combinato. Caratteristica comune è che dovranno essere trasferibili (spendibili) all’impresa
(nel lavoro). Il Référentiel sarà costruito e aggiornato da una Struttura tripartita nazionale
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315
quella degli “occupational standards” definiti dal NCVQ inglese435. In merito l’Isfol afferma
che:
“la certificazione centrata sulle competenze rappresenta […] un passaggio ‘storico’ necessario
per operare un decisivo salto di qualità, passando dalla certificazione dei percorsi
frequentati a quella delle competenze ‘effettivamente acquisite’”.
(costituita da rappresentanti degli imprenditori, dei lavoratori e dei formatori). I diplomi, i titoli omologati,
i CQP dovranno trovare tutti la loro collocazione rispetto al Référentiel nazionale, corrispondendo
ciascuno ad un gruppo organizzato di unità capitalizzabili. Così l’insieme delle possibili certificazioni
si esprimerà in un linguaggio comune e rappresenterà delle realtà comparabili.
435 In Francia esiste un sistema nazionale di definizione delle qualifiche professionali, il “Rome”
(Repertorio operativo dei mestieri e delle occupazioni), elaborato dall’Anpe (Agenzia nazionale per
l’impiego) per la gestione del mercato del lavoro; in tale repertorio non vengono indicati né il percorso
formativo relativo, né standard formativi e di durata. Le qualifiche indicate sono 460, e vengono definite
secondo le competenze tecniche di base della professione relativa.
Prospetto n. 34 - Struttura del modello di attestato e note di compilazione (il modello allegato al
D.M. è compilato in italiano, inglese, francese e tedesco)
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316
Naturalmente qui non è in ballo la definizione di uno strumento, ma la revisione
complessiva dell’intero Sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale
nel Paese. Ciò richiede evidentemente processi politici e tecnici di analisi, progettazione,
verifica e legittimazione di portata nazionale e un forte coinvolgimento delle
parti sociali. In questo senso va l’istituzione, con D.P.C.M. del 18 novembre 1996,
di un “Comitato di Ministri per le politiche della formazione connesse con le politiche
del lavoro” a cui, tra l’altro viene conferito il compito di “definire un sistema di
certificazione quale strumento idoneo a conferire unitarietà e visibilità ai percorsi
formativi di ogni persona lungo tutto l’arco della vita, nonché a promuovere il riconoscimento
dei crediti formativi comunque maturati ed a documentare le competenze
effettivamente acquisite”436.
7.4.3. Gli allievi
Dall’indagine Isfol sulle attività di Formazione Professionale realizzate da Regioni
e Province Autonome nell’anno 1996, gli allievi iscritti risultano 406.920437; la parallela
indagine Isfol sull’attività programmata per l’a.f. 1995-96 ne prevedeva 407.175438.
Si può notare una maggiore affluenza soprattutto in Emilia Romagna (97.294) e
in Lombardia (63.975) dove si concentra rispettivamente il 23,9% e il 15,7% della
popolazione totale iscritta ai corsi di formazione. Come, del resto intuibile, la concentrazione
maggiore è localizzata nel Nord Italia (62.5% del totale) segue il Sud
con 88.607 allievi (21,8%) e infine il Centro con 63.872 allievi (15,7%). Nel Sud
emerge indubbiamente la Sicilia con 39.595 allievi che costituiscono il 44,7% dell’attività
formativa svolta nel Meridione.
Osservando la distribuzione degli iscritti fra le diverse tipologie formative (cfr.
Graf. n. 48) si rileva che gli allievi complessivamente sono più numerosi nei corsi
per occupati (33,6%), seguiti dal I e II livello, rispettivamente al 21,9% e 21,8%.
436 In G.U. serie generale n. 290 dell’11.12.1996.
437 ISFOL, Rapporto Isfol 1998, F. Angeli, Milano 1998, p. 357.
438 ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività
programmata dalle Regioni nel 1996-97, Roma 1998, p. 19.
Grafico n. 48 - Allievi iscritti per tipologia corsuale (V.%)
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317
Distinguendo però le varie realtà territoriali notiamo che, mentre nell’Italia
settentrionale si registra un 45,1% di allievi iscritti a questa tipologia di corsi,
nell’Italia centrale si registra una concentrazione nei corsi di secondo livello
(28,7%), mentre nel Meridione è il primo livello ad essere più frequentato (43,7%).
Rapportando gli allievi ai corsi si nota che la densità è crescente man mano che
si sale dal Mezzogiorno al Nord, si passa infatti dai circa 15 allievi per corso nel
Sud, ai 16 allievi per corso nel Centro per arrivare nel Nord dove si registrano oltre
22 allievi per corso.
Abbiamo un’ulteriore serie di dati, derivata dall’analisi dei Programmi di attività
regionali, circa il peso percentuale della utenza della Formazione regionale sul
totale della popolazione attiva di ciascuna Regione (cfr. Graf. n. 49).
Se distribuiamo i valori del Grafico 49 in quattro categorie – incidenza irrilevante
(meno dello 0,5%), incidenza poco significativa (dall’1,5% allo 0,7%), incidenza
apprezzabile (dal 2 al 3%) e incidenza importante (sopra il 3%) – abbiamo la
situazione che segue:
– 4 Regioni, due del Centro-Nord (Liguria ed Umbria) e due del Meridione (Calabria
e Campania) si collocano nella categoria con valori più bassi;
– 9 Regioni, il gruppo più numeroso, presenta dei valori compresi nell’intervallo
della categoria che abbiamo denominato “poco significativa” e sono, in ordine
decrescente, Emilia Romagna, Sicilia, Piemonte, Veneto, Marche, Abruzzo,
Lazio, Toscana, Sardegna;
– 4 Regioni, Basilicata, Molise, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e la Provincia
Autonoma di Bolzano fanno registrare una “incidenza apprezzabile”;
Grafico n. 49 - Peso percentuale dell’utenza della Formazione Professionale nei confronti della
popolazione attiva di ciascuna Regione/Provincia Autonoma
Nostra elaborazione su dati ISFOL e ISTAT
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– la Provincia Autonoma di Trento e la Regione Valle d’Aosta superano la soglia
del 3% e quindi vanno inserite nella prima categoria, quella della “incidenza
importante”.
a) Gli allievi della Formazione Iniziale
La Formazione Continua è diventata nel nostro Paese la prima offerta del Sistema
Formativo regionale e, naturalmente, quella più frequentata. Gli allievi della
Formazione Continua (quasi 176.000), ormai, sono quasi il doppio dei giovani della
Formazione Iniziale (89.009). Giovani che fino a 20 anni prima rappresentavano l’utenza
unica del Sistema regionale, che veniva per questo motivo connotato come
“giovanilistico”. Sono in tanti, in questo periodo, sull’onda lunga della espansione
delle attività per adulti, che teorizzano le equazioni “formazione professionale = formazione
continua” e “giovani = scuola”.
Ma chi sono questi giovani che frequentano corsi del Sistema regionale? Cerchiamo
di dare “un volto” a questi 89.000 giovani che si sono iscritti alla Forma-
Tabella n. 34 - Allievi iscritti per tipologia formativa e per Regione (anno 1996)
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319
zione Iniziale nel 1996, per capire se ha ancora un senso, come lo ha avuto per i decenni
passati, che il Sistema regionale continui ad interessarsi di questo segmento
giovanile. Un’indagine di qualche anno dopo (1999), ma le cui conclusioni in larga
misura sono applicabili anche ai giovani del 1996, fa questa identikit439:
– gli allievi sono prevalentemente concentrati (55% del totale) nella fascia di età
15-16 anni; consistente la presenza di ragazzi di nazionalità extracomunitaria
(13%);
– un terzo degli allievi proviene da famiglie di operai o di braccianti; il 20% da famiglie
di piccoli imprenditori e lavori autonomi, mentre circa il 17% deriva da
famiglia impiegatizia. Comunque la metà appartiene a famiglie monoreddito.
Nei casi in cui lavora anche la mamma si registra un 30% occupato nell’area
tecnico-impiegatiza, oltre un quarto operaia o bracciante e all’incirca la stessa
percentuale si riscontra relativamente alle professioni quali alti dirigenti o imprenditori;
un numero significativo, pari al 13%, sono insegnanti o dell’area
socio-sanitaria;
– il titolo di studio posseduto dai genitori è in larga misura rappresentato dall’obbligo
scolastico; di questi il 30% dei padri e il 25% delle madri è a livello della
scuola elementare o non possiede alcun titolo;
– la carriera scolastica relativa all’obbligo si è svolta per quasi il 70% dei maschi
e per l’80% delle ragazze senza bocciature. Alcuni (circa 18%) hanno frequentato
altri corsi di formazione;
– di quanti hanno lasciato la scuola media superiore (40,1% ) meno del 20% ha
proseguito per oltre due anni. I motivi dell’abbandono della scuola media superiore
possono essere ricondotti a quattro ordini: emergere di altre scelte e caduta
delle motivazioni iniziali (45%), l’insuccesso (15%), problemi relazionali
(10%) e problemi personali (20%);
– il mondo del lavoro è un pianeta pressoché sconosciuto. Poche e poco significative
le esperienze fatte (solo il 7% aveva un’occupazione fissa). Più della metà
degli intervistati considerano il lavoro come fonte per soddisfare esigenze materiali,
poco più di un terzo vede nel lavoro una opportunità di gratificazione personale;
– oltre un terzo del totale ha scelto il corso di formazione “per trovare il lavoro” o
“perché qui si fa molta pratica”;
– un quarto si è iscritto al corso a seguito dei consigli dei genitori o insegnanti;
mentre il 16% dichiara che “non aveva altro da fare”.
L’identikit dell’allievo della Formazione Iniziale regionale, come ricostruito
nelle sue connotazioni di fondo, presenta tratti comuni e caratteristiche diverse
439 VANNINI I., Prima dell’innalzamento dell’obbligo. Un’indagine empirica tra gli iscritti alla
FP, in “Professionalità”, n. 56 (2000) pp. 93-91; cfr. anche CATANI M., Target e bisogni della formazione
professionale iniziale, Ibidem, pp. 69-82.
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dall’“allievo tipo” di fine Anni ’70. In comune ha la derivazione da famiglie di estrazione
socio-economica medio, medio-bassa e le aspettative nei confronti del percorso
formativo come chance per entrare nel mercato del lavoro.
Di diverso gli allievi di fine Anni ’90 hanno la composizione del gruppo classe
che fa registrare presenze di compagni extracomunitari, la poca o quasi nulla conoscenza
del mondo del lavoro (mentre i loro coetanei di venti anni prima avevano già
fatto esperienze di lavoro significative 44%, o le stavano facendo in concomitanza
con la formazione 39%), ma soprattutto un numero maggiore (41% rispetto al 15%)
hanno tentato, senza successo, la Scuola Secondaria superiore.
Il dato che emerge maggiormente è il rapporto dell’allievo della Formazione
Professionale iniziale con la scuola: infatti se al 41% di drop out della Scuola Secondaria
superiore si somma il 30% dei maschi e il 20% delle femmine che sono stati
bocciati almeno una volta nella scuola dell’obbligo si arriva a 61-71% di allievi che
hanno avuto rapporti problematici con la scuola.
Il commento lo affidiamo all’Isfol, che a proposito della tendenza di riservare
alla Formazione Professionale regionale solo le offerte formative che partono dal
post-diploma, nel 1990 afferma:
“[…] La constatazione di partenza è che l’utenza della formazione professionale di base è
rappresentata per i due terzi dai giovani che escono dalla scuola media dopo un percorso
scolastico, se non accidentato, certo non soddisfacente, e per un terzo dai giovani che abbandonano
durante il biennio la scuola media superiore. In entrambi i casi si tratta di una
popolazione che ha avuto rapporti o traumatici o comunque non sereni con l’istituzione
scolastica. In questa ottica la abusata e logora espressione della formazione professionale
come scuola di serie B dovrebbe essere cambiata in quella meno folcloristica ma più corretta
di scuola per cittadini che il sistema della pubblica istruzione considera cittadini di
serie B. Rimane il fatto che a questi giovani o si prospetta un prematuro e dequalificato inserimento
nel lavoro o si offre loro una “scuola” che formi […] utilizzando metodologie
non scolastiche, ma empirico-induttive, volte a risalire dall’esperienza concreta alla concettualizzazione
astratta […]. In altri termini la giustificazione della formazione professionale
di base passa solo attraverso la “pedagogia” che esprime”440.
Un’ulteriore informazione su questo segmento del Sistema regionale ci viene
mettendo in relazione il numero degli allievi della prima qualificazione con il numero
dei loro coetanei della fascia di età 14-16 anni. La conclusione, come sempre
quando si parla di Regioni, è l’estrema eteogenità delle situazioni (cfr. Graf. n. 50):
nel 1970-71 a Trento un ragazzo su quattro va in un Centro di Formazione Professionale;
in Friuli Venezia Giulia, quasi 14 su 100; in Sicilia quasi il 10% e in Lombardia
quasi il 9%. Ma in Toscana solo 7 su 1000 e in Umbria appena poco più di uno su
cento.
440 ISFOL, Caratterizzazioni regionali del sistema di formazione professionale, F. Angeli, Milano
1990.
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321
7.4.4. Le strutture e il personale
Abbiamo già esaminato il dibattito, cominciato negli Anni ’80441, sulla nuova
configurazione dei Centri di Formazione Professionale442. Condivisa l’analisi di partenza:
i Centri di Formazione Professionale hanno subìto una involuzione tipica
degli apparati burocratico-istituzionali, in quanto tendono a sviluppare servizi che
perdono di vista il referente principale della propria attività (l’utenza) e si concentrano
sempre più sulle necessità degli operatori che gestiscono il servizio e tendono
ad interpretare in senso normativo il controllo sulle attività di servizio, finendo
quindi per privilegiare le procedure sui risultati. È anche condiviso il modello alternativo
al CFP tradizionale e che terminologicamente viene reso con l’espressione
“agenzia formativa”, cioè un CFP potenzialmente in grado di:
– realizzare anche servizi non formativi, quali attività a carattere informativo per
l’orientamento professionale, attività di consulenza alle PMI in ordine alla progettazione
di interventi formativi, ecc.;
– realizzare tutte le funzioni del ciclo formativo: analisi del fabbisogno, progettazione,
programmazione formativa e valutazione.
Il modello agenziale, quindi, provvede ad un allargamento dello spettro operativo
(non più solo Formazione Professionale) e ad un ampliamento delle attività relative
alla Formazione Professionale (funzioni a monte e a valle della gestione corsuale).
I CFP sono vissuti in un regime di mercato protetto, grazie all’equazione per
cui il possesso di personale dipendente a tempo indeterminato si traduceva in autorizzazione
pressoché automatica ad effettuare corsi di formazione. Il nuovo processo
di programmazione e selezione, di cui parleremo in seguito, rompe questa logica.
441 Cfr. Volume II, p. 230.
442 Cfr. AA.VV., L’innovazione organizzativa nelle strutture di FP, in Professionalità 15 (1993),
pp. 37-97.
Grafico n. 50 - Peso percentuale degli allievi della prima qualificazione post-obbligo nella fascia
d’età 14-16 anni (a.f. 1970-71)
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322
Ciò significa che i CFP, per assicurare la loro sopravvivenza, devono essere competitivi
mediante l’acquisizione o il consolidamento di capacità progettuali e strutturarsi
con competenze interne di carattere prevalentemente metodologico (analisi del
fabbisogno, progettazione, ecc...) ed utilizzare per le competenze disciplinari risorse
esterne. Su questa tematica gli Anni ’90 continuano e affinano le intuizioni degli
Anni ’80443. Il problema è che, dopo tanto parlare e legiferare, non si vedono realizzazioni
significative. O meglio: il modello non trova applicazione generalizzata
nella parte che prevede l’erogazione di servizi anche non formativi, ma viene progressivamente
e da tutti realizzato nella parte che prevede l’arricchimento delle funzioni,
in particolare quelle relative all’analisi del fabbisogno, della progettazione e
della programmazione formativa. In altri termini il vecchio CFP continuerà ad occuparsi
di Formazione Professionale (raramente anche di orientamento) quasi mai di
altri servizi (eccetto in casi sporadici come l’APOF, l’Agenzia Provinciale dell’Orientamento
e della Formazione in Basilicata), ma svilupperà capacità progettuali
perché cambiano le regole del gioco. Si passerà, infatti, da un tipo di programmazione
in cui le proposte di attività venivano discrezionalmente scelte dal decisore
politico, ad un tipo di programmazione per bando e selezione mediante comparazione
tecnica dei progetti.
Ma quanti sono i CFP in Italia? L’Isfol, nella sua indagine ricorrente Statistiche
della Formazione Professionale, censisce, sulla base dei Piani di attività annuali
elaborati da ogni Regione, le sedi formative a seconda della natura della titolarità
gestionale (diretta, delegata, convenzionata con Enti pubblici o Enti privati) e la tipologia
di strutture. Quest’ultima distingue le sedi formative in CFP (sedi destinate
alla Formazione Professionale e quindi abitualmente utilizzate a tale scopo) sedi
occasionali (sedi normalmente non destinate ad attività di Formazione Professionale,
ma solo occasionalmente) e sedi nominali (i Piani regionali non indicano la
localizzazione degli interventi ma solo il soggetto che li realizzerà). Nell’a.f. 1992-
93 i CFP rilevati dall’Isfol erano 1.527 (cfr. Tab. n. 35), di cui più di un terzo concentrati
in Sicilia (cui spetta il primato con 304 sedi) e in Lombardia (cfr. Graf. n.
51). Il rapporto tra CFP convenzionati e Centri pubblici, direttamente gestiti dalla
Regione o delegati (normalmente) alle Province è di 80 a 20. Nel 1991 il Censis ha
condotto un’indagine su 500 CFP del Mezzogiorno raccogliendo le opinioni degli
operatori, che hanno manifestato una esigenza diffusa dell’innovazione del prodotto444.
Tale esigenza si manifesta tanto nell’aspirazione a poter disporre di attrezzature
più aggiornate (65.5% del campione) e di personale docente maggiormente
qualificato (54.9% sul totale), quanto nella necessità di realizzare sperimentazioni e
di introdurre tecnologie e metodologie didattiche innovative (segnalata dal 45.1%
degli intervistati).
443 PACELLA G., MARTUFI S., PASCAZI D. e altri, Il nuovo ruolo del CFP come agenzia dei servizi,
in Formazione e lavoro, nn. 138-139, 1992.
444 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1991, F. Angeli, Milano 1991, p. 205.
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Al di là delle opinioni degli operatori, riferite ad un possibile futuro, afferma il
Censis, emergono comunque, in ciascuna delle Regioni esaminate, alcuni Centri di
Formazione che possono essere considerati come veri e propri “poli di vitalità” del
Tabella n. 35 - Strutture formative per tipologia di sede e per Regione (a.f. 1992-93)
Grafico n. 51 - CFP distribuiti per Regione (a.f. 1992-93)
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sistema: “Questi centri si caratterizzano per un rapporto continuo di scambio e di interazione
con la realtà scolastica ed economica circostante; per la presenza di personale,
docente e non, qualificato e motivato; per la continua ricerca di soluzioni innovative
nella programmazione e nella realizzazione dell’attività didattica. Si tratta,
per lo più, di esperienze isolate all’interno di un contesto disorganico e deteriorato
…”. Un’indagine effettuata nel 1996-1997 dall’Isfol, nell’ambito delle attività di assistenza
tecnica al Ministero del Lavoro per la realizzazione dei programmi di
FSE445, rileva che il Sistema Formativo regionale impiega complessivamente circa
25.700 addetti, di cui il 44% nelle Regioni meridionali e il 56% in quelle del Centro-
Nord (cfr. Graf. n. 52 e Tab. n. 36).
Come per i CFP, le Regioni con il numero più elevato di personale sono la Sicilia
e la Lombardia che impiegano, rispettivamente, circa 5.300 e 3.800 addetti.
445 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997, F. Angeli, Milano 1997, pp. 477-478.
Grafico n. 52 - Personale del sistema formativo regionale (a.f. 1996-97)
Tabella n. 36 - Obiettivi ritenuti prioritari per il potenziamento del proprio Centro di Formazione
Professionale da parte di operatori (V %) (Totale maggiore di 100 perché era possibile dare più
di una risposta)
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325
Sul totale complessivo degli operatori, circa il 63% è rappresentato da formatori,
cioè personale impegnato nella progettazione e nella docenza. Il resto degli addetti
si occupa di attività di gestione e amministrazione.
Le Regioni centro-settentrionali presentano un’incidenza percentuale dei Formatori
sul personale complessivo leggermente superiore a quella delle Regioni del
Sud.
Dall’analisi dei dati storici emerge una progressiva riduzione del personale del
Sistema Formativo: dal 1990446 il numero degli addetti è complessivamente diminuito
di circa 1’8%, passando da circa 28.000 a 25.000 unità. Tale processo non ha
interessato le figure professionali operanti nella gestione e amministrazione che
sono aumentate del 10%, ma solo i formatori impegnati in attività diretta, per i quali
si evidenzia una riduzione del 16%. In particolare, la riduzione è più vistosa nelle
Regioni dell’Ob. 1 e nei CFP regionali, che registrano rispettivamente il 30% e il
20% in meno di formatori.
Una riduzione, peraltro, in linea con la filosofia della flessibilità organizzativa
di quegli anni, che chiedeva uno snellimento dell’organico, soprattutto nell’area
della docenza, per far spazio ad apporti consulenziali.
Occorre ricordare che a partire dal 1994 grazie alle risorse del FSE per l’innovazione
dei sistemi e alle risorse della L. n. 136 - Circolare Ministero del Lavoro n.
174/96, vegono attivati molti interventi formativi per il personale del Sistema regionale447.
7.4.5. La spesa e i costi
a) La spesa
La spesa per la Formazione Professionale può essere esaminata secondo tre diverse
modalità di classificazione: sulla base dei piani di previsione di spesa da parte
della Regione; sulla base degli impegni di spesa che la Regione ha deliberato e sulla
base dei pagamenti effettivi erogati ai soggetti attuatori. Queste tre variabili riflettono
i tre momenti istituzionali entro cui viene decisa e destinata la spesa per la formazione,
infatti:
– i dati dei piani previsionali sono il risultato di una contrattazione politica tra Regioni,
Stato e Unione Europea: sono, quindi, strettamente connessi ai rapporti
tra queste Istituzioni;
– le decisioni che portano all’individuazione delle modalità di assegnazione dei
finanziamenti (“impegni”) risentono, invece, prevalentemente delle dinamiche
interne alle amministrazione regionali;
446 Vedi Volume II, p. 212.
447 Fra i progetti di formazione-formatori si sottolineano quello dell’Isfol “FADOL, Progetto sperimentale
di formazione a distanza” avviato nel 1989, veicolato in un primo momento per via postale e
poi attraverso la rete telematica Seva-Fortel. FADOL ha fatto registrare “una resa piuttosto elevata, nel
complesso superiore a quello di corsi di aggiornamento di tipo tradizionale”. Vedi ISFOL, Rapporto
Isfol 1991, op. cit., p. 331.
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– i pagamenti effettivi, infine, danno un quadro dell’efficienza di spesa delle Regioni
nell’attuazione dell’intervento.
In linea teorica i valori delle tre variabili dovrebbero essere vicini; in realtà, problematiche
diverse fanno sì che i valori siano estremamente diversi.
Tutti i dati relativi alle tre variabili hanno una fonte unica: l’Isfol che li ha ricavati
dall’analisi dei bilanci regionali, previsionali e consuntivi. Lo stato dell’informazione,
però, è diverso. Infatti, l’Isfol ha ricostruito la spesa sui bilanci di previsione
fin dagli Anni ’80448, per cui disponiamo di una serie storica che ci dà informazioni
sulle variazioni di risorse finanziarie disponibili ogni anno da parte di ciascuna
Regione. Per quanto riguarda, invece, i bilanci consuntivi, che forniscono informazioni
sui flussi finanziari reali, le prime elaborazioni Isfol riguardano l’anno 1995.
Reiteratamente l’Isfol sottolinea la grande eterogeneità della struttura dei bilanci regionali
e quindi la loro comparabilità.
Il Grafico 53 presenta l’evoluzione della spesa prevista per la Formazione Professionale
del nostro Paese dal 1990 al 1997. Nell’ultimo anno considerato, le risorse finanziarie
sono più che raddoppiate rispetto agli inizi del decennio passando da circa
due mila e 300 miliardi di lire del 1990 a quattro mila e 800 miliardi di lire del 1997.
In questo intervallo di anni si assiste ad una crescita continua, ad esclusione del
1994; crescita più contenuta nel triennio 1990-93 e più consistente nel triennio
1995-97.
Il contenimento della spesa stanziata nel 1994 è dovuto soprattutto al ritardo di
adeguamento delle Regioni nella fase di transizione tra il sessennio del FSE 1988-
1994 e il sessennio 1994-99. La lievitazione annuale delle risorse, però, non significa
necessariamente aumento reale delle disponibilità finanziarie. Il tasso di inflazione
spesso annulla o comunque ridimensiona gli aumenti.
448 Cfr. vol. II, pp. 234-236.
Grafico n. 53 - Evoluzione della spesa stanziata per la FP in Italia (1990-1997)
Fonte: Elaborazione Isfol sui bilanci regionali di previsione
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327
Ad esempio: nel triennio 1990-93, si rileva un incremento globale del 41,2%
concentrato, però, prevalentemente nel biennio 1990-91 (31,3%, mentre nel 1992 e
1993 l’aumento percentuale è rispettivamente del 2% e del 5,4%). Se analizziamo,
però, la serie storica dei dati in base ai valori calcolati in lire costanti (cfr. Tab. n. 37)
la crescita nel 1991 rispetto all’anno precedente è solo del 10,9% e non del 31,3%,
nel 1992 si verifica una flessione dell’1,9% e non un aumento dello 0,5% e, infine,
nel 1993 si registra un incremento appena dell’1,2% e non del 5,4%.
Quindi nel periodo considerato c’è un potenziamento dell’impegno regionale a
favore della Formazione Professionale molto più contenuto (20,9%) di quanto la
serie storica dei dati in lire correnti potrebbe far pensare (41%).
L’evoluzione nel tempo dell’ammontare degli stanziamenti finanziari si presenta
a livello regionale in modo estremamente diversificato (cfr. Tab. n. 38).
Per quanto riguarda il periodo 1990-93 si può segnalare che la Regione nella
quale si presenta una crescita notevolmente superiore alla media generale del 27,0%
è l’Abruzzo (+ 355,6)449.
Crescite più contenute, ma superiori al 50%, si riscontrano in Liguria (79,3%),
Veneto (59,2%), Sicilia (55,3%), Friuli Venezia Giulia (54,3%) e Lombardia
(52,5%): in tutte queste Regioni (eccetto la Lombardia)450 sull’aumento ha influito
449 Un così elevato incremento è generato prevalentemente: dalle assegnazioni a due capitoli di spesa
che nel 1990 ancora non erano stati istituiti, e riguardanti: il primo, i corsi di Formazione Professionale
previsti dall’art. 26 della Legge 845/78 (59,4 miliardi), il secondo, la realizzazione di corsi a carico del
Fondo di Rotazione (9,2 miliardi); dalla rimarchevole espansione degli stanziamenti per le attività formative
da attuare con l’intervento del Fondo Sociale Europeo, che si espandono da 15,0 a 60,4 miliardi.
450 Per la Lombardia, i maggiori stanziamenti sono da imputare, oltre che ad un generalizzato aumento
di assegnazioni alla quasi totalità delle voci di spesa, anche al nuovo capitolo riguardante le
competenze fisse del personale di ruolo della Formazione Professionale dei Centri pubblici.
Tabella n. 37 - Spesa regionale per la FP in lire correnti e in lire costanti (1990-1993)
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328
l’istituzione solo nel 1991 di quei capitoli che riguardano le spese finanziate dalla
CEE e cofinanziate dallo Stato e dalla Regione conseguenti alla riforma dei fondi
strutturali.
Aumenti superiori alla media generale si registrano anche in Umbria e Marche,
in Calabria (47-48%), in Piemonte e nella Provincia Autonoma di Bolzano (41%), in
Emilia-Romagna (36,5%) e nella Provincia Autonoma di Trento (33,2%).
Tra le Regioni che presentano una flessione figura la Toscana, i cui stanziamenti
scendono da 86,5 a 32,8 miliardi (–62,1%)452.
Per quanto riguarda, invece, il periodo 1995-97, se analizziamo i dati per circoscrizioni
geografiche rileviamo risultati diametralmente opposti tra Nord e Centro-
Sud: l’Italia nord-occidentale e quella orientale presentano delle diminuzioni nella
previsione della spesa complessiva: rispettivamente dell’8,7% e del 12,7%; al con-
451 Nel Rapporto Isfol 1994, p. 86, da cui è tratta la tabella, le somme del 1990 e 1992 sono erroneamente
indicate in 2.599,9 (invece che 2.336,7) e 3.252,0 (invece che 3.130,3).
452 Tale ridimensionamento è dovuto in gran parte alla sensibile contrazione delle somme iscritte
ai capitoli collegati all’attuazione dei programmi operativi degli Obiettivi 2, 3 e 4 di cui al regolamento
CEE 2052/88.
Tabella n. 38 - Evoluzione della spesa stanziata per la FP nelle singole Regioni (anni 1990-1997)
Fonte: Elaborazione Isfol su bilanci regionali451
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329
trario nelle Regioni del Centro c’è stato un aumento di stanziamenti del 23,1% e nell’Italia
meridionale un incremento ancora più marcato del 34%. In quest’ultimo caso
pesa la situazione “anomala” della Campania che fa registrare un incremento da
23,6 miliardi del 1995 ai 394,7 del 1997.
Indicatori importanti per verificare quanto conti la Formazione Professionale
per le Regioni sono: la spesa effettivamente sostenuta (e non solo stanziata) per le
attività e i Sistemi formativo-professionali in relazione agli abitanti e in relazione
alla forza lavoro. Abbiamo preso a tale proposito i dati del 1995.
Per quanto riguarda la prima variabile (cfr. Tab. n. 39 prima colonna) le posizioni
della Regioni possono essere ricondotte a tre tipologie:
– nella prima rientrano le Regioni che hanno speso oltre 200.000 lire per abitante:
è il caso della Basilicata (che sfiora quasi le 400.000 lire!), della Valle d’Aosta e
delle due Province Autonome;
– nella seconda sono comprese le Regioni che hanno speso tra le 100 e le 200.000
lire: sono quattro del Meridione (Molise, Sicilia, Abruzzo e Sardegna), una del
Centro (Umbria) e due del Nord-Est;
Tabella n. 39 - Spesa delle Regioni rispetto agli abitanti, la forza lavoro e il totale della spesa regionale
(bilanci consuntivi 1995)
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330
– nella terza sono incluse le Regioni che spendono meno di 100.000 lire: nell’ordine
decrescente sono Calabria, Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Piemonte,
Campania, Lazio, Marche, Toscana e Puglia che chiude la classifica con
appena 42.834 lire spese.
La media italiana, pari a 93.951 lire, segmenta le Regioni quasi a metà: 11 spendono
di più (anche molto di più) e 10 spendono di meno (anche molto di meno). Ai
due opposti ci sono due Regioni, meridionali e confinanti, la Basilicata e la Puglia.
Tra le due ci sono 341.440 lire di differenza!
Per quanto riguarda la spesa delle Regioni per la Formazione Professionale rispetto
alla forza lavoro (persone occupate o in cerca di occupazione, secondo la definizione
Istat) possiamo notare che le variazioni rispetto alla situazione precedentemente
descritta non sono sostanziali. A ridosso delle posizioni di testa (Bolzano,
Trento, Valle d’Aosta e Basilicata), tutte al di sopra delle 300.000 lire, si collocano
la Sardegna e la Sicilia (cfr. Tab. n. 39 seconda colonna).
Seguono, ma con oltre 100.000 lire di differenza Friuli, Molise, Liguria ed
Emilia Romagna. Tutte le altre sono al di sotto delle 100.000 lire e della media nazionale
(99.534). Maglia nera la Calabria con appena 27.748 lire.
Ma quanto incide la spesa per la Formazione Professionale sul bilancio delle
Regioni? In media l’1,39% (cfr Tab. n. 39 terza colonna). Ma è una media che mette
insieme il 5,14% della Basilicata con lo 0,46% della Puglia. Nei primi quattro posti
Tabella n. 40 - Posizioni di classifica delle Regioni rispetto agli indicatori della Tabella 39
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331
figurano quattro Regioni del Meridione (oltre la Basilicata menzionata, la Sicilia,
l’Abruzzo, la Campania) seguite dalle due Province Autonome: tutte con valori superiori
al 2%. Il gruppo delle Regioni che hanno fatto registrare spese comprese tra
l’1% e il 2% dell’intero bilancio consuntivo è quello più numeroso. In ordine decrescente
di percentuale di spesa figurano: Molise, Sardegna, Umbria, Piemonte, Valle
d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli, Calabria, Lazio, Emilia Romagna e Marche.
Hanno valori sotto l’l% la Liguria, la Toscana e la già ricordata Puglia.
Qual è il livello di efficienza amministrativa delle Regioni? Un indicatore per
misurarle è dato dalla quantità di impegni assunti e di pagamenti effettuati rispetto
alle previsioni di competenza dell’anno. Gli indici ricavati per il triennio 1995-97
sono riportati nella Tabella 41.
Tabella n. 41 - Indicatori sulla spesa per la Formazione Professionale da parte delle Regioni (%)
(Segue)
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332
Nei tre anni considerati il totale delle risorse impegnate rispetto a quelle programmate
non ha mai superato i due terzi (precisamente 65% nel 1995, 66,3% nel
1996 e, in regresso nel 1997, con il 60,3%). Di contro, i pagamenti effettivi sono cresciuti
molto rispetto alla competenza e, soprattutto, rispetto agli impegni annuali di
spesa: segnale che sono stati pagati molti dei residui pregressi.
Nel Nord-Ovest d’Italia, il volume degli impegni di spesa rispetto alle spese
previste per competenza è cresciuto nel tempo (passando dal 54,3% del 1995 al
72,2% del 1997), allo stesso modo sono cresciuti i pagamenti effettivi rispetto alle
cifre programmate ed impegnate di 14,3 punti percentuali passando dal 41,2% al
56,4% alla fine del triennio (cfr. Graf. n. 54a).
Tutte le Regioni della circoscrizione non hanno fatto registrare progressioni lineari,
ma andamenti discontinui. Le migliori performances rispetto alle previsioni di
competenza della Valle d’Aosta sono state nel 1997 con l’82,7% di impegni assunti
e nel 1996 con il 67,3% di pagamenti effettuati; quelle del Piemonte rispettivamente
del 1996 e 1997 con il 72,9% e il 67,4%. La Liguria ha una regressione negli impegni
per cui passa dall’86,2% del 1995 al 68,3% del 1997. Anche il Veneto fa registrare
un decremento negli impegni (dal 78,2% nel primo anno al 68,0% nel terzo),
(Segue)
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333
ma un andamento altalenante nei pagamenti (rispettivamente con 26,8% nel 1995 e
66,1% e 63,5% negli anni successivi). La Lombardia fa registrare sul versante impegni
un deciso incremento 39,3% nel 1995, 59,2% nel 1996 e 69,8% nel 1997, non
abbiamo dati completi per quanto riguarda i pagamenti, ma quelli disponibili sono
decisamente bassi.
Nell’Italia nord-orientale gli impegni di spesa sono sempre stati molto alti ed
alta è stata la percentuale dei pagamenti rispetto alle risorse programmate ed impiegate;
in particolare nel 1996 il totale dei pagamenti effettuati è stato addirittura superiore
del totale delle risorse impegnate (cfr. Graf. n. 54b). Nello specifico, a parte il
Friuli Venezia Giulia che registra valori percentuali al di sotto del 50%, in tutte le
altre Regioni del Nord-Est la percentuale di impegni sulle previsioni di competenza
Grafico n. 54a - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del
Nord-Ovest (1995-97; V.%)
Grafico n. 54b - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del
Nord-Est (1995-97; V.%)
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334
è stata molto alta (con valori che sfiorano il 100% nelle due Province Autonome di
Trento e di Bolzano). La percentuale dei pagamenti sulla competenza e sugli impegni
è stata molto alta – nei tre anni – nelle due Province Autonome, in Emilia Romagna
ed in Friuli Venezia Giulia. Il Veneto ha avuto un deciso salto percentuale dal
1995 al 1996, passando dal 26,8% al 66,1%, mentre nell’anno successivo ha fatto registrare
un decremento di 2,6 punti.
Riguardo all’Italia centrale (cfr. Graf. n. 54c), le cifre sono complessivamente
molto inferiori rispetto alle due circoscrizioni del Nord: gli impegni non sono mai
superiori al 70% delle risorse programmate (nel 1995 e nel 1997 addirittura meno
della metà); anche i pagamenti effettivi non sono stati alti. Di contro, le Marche e la
Grafico n. 54c - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del
Meridione (1995-97; V.%)
Grafico n. 54d - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del
Meridione (1995-97; V.%)
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335
Grafico n. 55 - Capacità realizzativa (periodo 1995-98)
Toscana hanno riportato buone percentuali sia sul versante impegni (arrivando la
prima all’85,0% nel 1997 e la seconda al 90,4% nel 1996) sia sul versante pagamenti
(raggiungendo la Regione tirrenica il valore massimo di 69,6% nel 1997 e il 70,6%
quella adriatica nel 1996). Cauto un giudizio sulle Regioni del Sud a causa della incompletezza
dei dati. Comunque, Regioni come il Molise, la Basilicata e la Sardegna
hanno registrato percentuali medio-alte di impegni sulle previsione di competenza.
La Sardegna presenta buoni risultati anche sul versante dei pagamenti. L’Abruzzo,
invece, è abbondantemente al di sotto della media nazionale e della circoscrizione
sia per i pagamenti (22,3% nel 1995) che per gli impegni (26,7% nel
1995).
Il Grafico 55 riporta quanto le Regioni siano riuscite a spendere delle risorse
impegnate in un arco di tempo triennale. Più precisamente, nel grafico in esame è riportato
il rapporto, per ogni Regione, tra il totale degli impegni di spesa assunti tra il
1995 e il 1997 e la spesa effettuata dal 1995 (solo quella per competenza) la spesa
totale (competenza e residui) pagata nel 1998. Questi dati possono dare un’idea
della capacità relizzativa delle Regioni, in quanto ci dicono quanti impegni di spesa
sono riusciti a portare a termine nell’arco di tempo considerato. Complessivamente,
tra il 1995 e il 1998, le Regioni italiane sono riuscite a portare in pagamento il
77,1% degli impegni di spesa assunti nel triennio 1995-97. Diversi, naturalmente,
gli andamenti delle singole circoscrizioni. Se disponiamo i risultati in ordine decrescente
abbiamo la situazione seguente: Nord-Est 86,3%, Nord-Ovest 80,6%, Centro
74,6% e Meridione 70,9%. Una classifica che in questo periodo si ripropone quasi
sempre identica anche per altri indicatori, economici e non economici.
Riguardo alle singole Regioni: nel Nord solo la Liguria (62,6%) e il Veneto
(75,2%) hanno mancato la soglia dell’80% di pagamenti. Eccellente la prestazione
della Provincia Autonoma di Trento (90,4%) e primato all’Emilia-Romagna (94,1%)
che si distanzia di 17 punti percentuali dalla media nazionale.
(Segue)
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336
Nel Centro, dove pesa il dato negativo del Lazio con il 64,5% (–12,6 rispetto
alla media dell’Italia), buone le prestazioni di Toscana (che sfiora il 90%) e Marche
(84,6%).
Nel Meridione spiccano i risultati di Sardegna (95,3%) e Puglia (91%) soprattutto
rispetto ai deludenti dati di Molise (55,9%) e Campania (23%).
b) I costi
Quanto costa la formazione di un allievo di un intervento di primo o secondo livello?
quanto l’aggiornamento di un occupato?
L’interrogativo solleva tre ordini di problemi che riguardano la conoscibilità,
la standardizzazione, la congruità dei costi della Formazione Professionale. Il
primo ordine di problemi attiene alla sfera della trasparenza (necessità di carattere
amministrativo, sociale e politico di conoscere i costi e i fattori che li determinano);
il secondo, a quello della omogeneità (necessità di sostenere spesa analoga per analogo
servizio); il terzo, a quello della economicità (necessità di assicurare un rapporto
congruo tra costo sostenuto e servizio reso). Per conoscere il costo delle diverse
offerte formative occorre conoscerne la durata oraria e il parametro finanziario
orario.
(Segue)
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337
Il prodotto delle due variabili, infatti, fornisce il costo per allievo che rappresenta
l’indicatore finanziario più adeguato per una valutazione di congruità, economicità
ed omogeneità dei costi.
Di fatto, però, le diverse impostazioni delle Regioni determinano carenze conoscitive
relative all’una o all’altra variabile. Difficoltà che rende problematica la ricostruzione
di un quadro organico e comparabile dei costi di tutta la Formazione Professionale.
Ad esempio, alcune Regioni non hanno definito la durata oraria dei singoli
segmenti formativi; altre non hanno fissato parametri finanziari orari ma solo
parametri di alcune voci di costo; altre, infine, si limitano a stabilire progetto per
progetto la congruità tra costi reali e qualità delle proposte.
Pur in assenza di un tale quadro complessivo gli elementi a disposizione è possibile
rilevare diverse difformità, anche consistenti. In particolare:
– le differenze per gli stessi segmenti formativi raggiungono in alcuni casi valori
abnormi come nel caso ad esempio, tra la Formazione per allievi degli Istituti
Tecnici e degli Istituti Professionali di Stato e la Formazione Professionale di
primo livello (cfr. Prosp. n. 35);
– il costo del personale docente non interno varia per la stessa fascia di tipologia
di prestazioni professionali fino a toccare il rapporto di 2 a 1, ad esempio, dalle
200.000 lire orarie nelle Marche si va alle 100.000 in Sicilia (cfr. Prosp. n. 36);
– le indennità di frequenza, genericamente previste in alcune Regioni, sono invece
fortemente limitate in termini di categorie di beneficiari in altre (cfr. Prosp.
n. 37);
– le spese per i progetti sono escluse in alcune Regioni mentre vengono riconosciute,
fino ad un ordine di 15 milioni di lire, in altre;
– all’interno della stessa Regione, poi, si rilevano differenze di costo per gli stessi
interventi, a seconda della natura della gestione o delle fonti finanziarie.
Tali differenze sono frutto di sedimentazioni gestionali più che di plausibili
scelte tecnico-politiche; esse, da qualche tempo, hanno fatto ingrossare le fila di coloro
che reclamano la “standardizzazione” dei costi su base nazionale. In parte il
problema era conosciuto anche dalla Commissione Europea che, in una nota al Ministero
del Lavoro e della Previdenza Sociale453, ha sollecitato un’analisi dei costi
medi ora/allievo, dei programmi operativi 1994/99. L’assenza di una risposta sul
versante italiano ha indotto i servizi comunitari a predisporre una indicazione di
base costruita tenendo conto dei valori medi dichiarati dalle Regioni che avevano
già presentato le schede finanziarie nei programmi operativi.
453 Commissione Europea, Direzione Generale V, nota n. 013193 del 24.06.94.
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338
Prospetto n. 35 - Comparazione dei parametri regionali di costo (Regioni: Liguria, Lazio e
Marche)
(Segue)
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339
A questo ha fatto seguito la richiesta da parte della CEE ai titolari dei programmi
operativi, di adeguare i dati finanziari inseriti nel sistema telematico ed il
formale invito alle Regioni a verificare, ed eventualmente correggere, le schede finanziarie
già presentate.
Le indicazioni di parametrazione finanziaria definita dalla Commissione Europea,
per il loro carattere vincolante ai fini del riconoscimento delle spese in sede
di rendicontazione al FSE, hanno determinato un riadeguamento dei parametri regionali.
A tale proposito va, però, osservato che, data la loro competenza costituzionale
in materia di Formazione Professionale, la Regione e la Provincia Autonoma
hanno la piena autonomia nel determinare i parametri di costo. Pertanto
qualsiasi tentativo, nazionale o europeo, di omologare i parametri deve necessariamente
prevedere il loro consenso. La UE può determinare dei limiti parametrali,
ma sono limiti di riconoscimento della sua parte di cofinanziamento, che non rappresentano
per la Regione/Provincia Autonoma uno standard di costo da adottare
necessariamente nei suoi rapporti con i soggetti gestionali, ma solo la quota di finanziamento
che la Comunità mette a disposizione. In altri termini, la Regione o
Provincia Autonoma può utilizzare anche parametri di costo superiori a quelli previsti
dalla Comunità.
Rimane il problema della plausibilità dei costi parametrali.
(Segue)
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340
Prospetto n. 36 - Comparazione dei parametri regionali relativi al compenso per il personale con
rapporto professionale (Regioni: Lombardia, Abruzzo, Provincia Autonoma di Trento, Marche,
Sicilia)
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341
7.5. I soggetti di governo e di attuazione
7.5.1. Gli Assessorati regionali
Il Sistema di Formazione Professionale regionale si è sempre caratterizzato per
un interesse prevalente per la dimensione “gestionale”; l’attenzione, cioè, è stata riservata,
per lo più, al prodotto (il corso), piuttosto che al processo.
Di conseguenza anche il modello organizzativo della struttura di governo del sistema,
cioè l’Assessorato regionale è costruito attorno a due momenti: la pianificazione
(intesa nell’accezione amministrativo-politica di allocazione di risorse) e la
gestione-controllo dei fondi.
Inesistenti le funzioni di analisi del fabbisogno, di ricerca e sviluppo; marginali
o marginalizzati gli uffici che si occupavano di didattica, di valutazione di efficaciaefficienza.
Situazione imputabile a carenze di ordine culturale, ma anche di ordine finanziario.
Infatti, tutte le disponibilità economiche erano fagocitate dalla gestione e pertanto
non c’erano risorse per finanziare sia processi di ricerca per l’elaborazione di
cultura, modelli, procedure, strumenti operativi innovativi, sia processi di formazione,
di acquisizione di competenze tecniche da parte di un funzionariato la cui professionalità
si muove quasi esclusivamente su paradigmi amministrativi nei livelli
bassi, e giuridico-amministrativi nei livelli alti.
Le cospicue risorse finanziarie messe a disposizione dagli assi degli obiettivi
dei Fondi Strutturali relative al rafforzamento del sistema rappresentano uno stru-
Prospetto n. 37 - Comparazione dei parametri regionali relativi alla indennità di frequenza (Regioni:
Provincia Autonoma di Trento, Lombardia, Liguria, Lazio, Umbria, Marche, Sicilia)
Prospetto n. 38 - Comparazione dei parametri regionali relativi alla preventivazione delle spese
progettuali (Regioni: Provincia Autonoma di Trento, Lombardia, Liguria, Lazio, Trento, Umbria,
Marche, Sicilia)
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342
mento importante per supportare tali processi. Ma quella che può essere un’occasione
straordinaria di riforma dei sistemi di regia della Formazione regionale deve
fare i conti con diversi condizionamenti, ritardi e criticità tradizionali. In particolare
ciò che può compremettere la riforma dei sistemi è una pluralità di fattori: a) la mancanza
di una ricerca sui modelli gestionale dei Sistemi di Formazione Professionale;
b) la carenza di disegni strategici unitari di riforma; c) la tradizionale struttura organizzativa
per compartimenti stagni degli Assessorati; d) le modalità con cui formare
i funzionari regionali impegnati nel settore.
a) Il primo condizionamento è rappresentato dalla mancanza di una ricerca di tipo
modellistico-gestionale. La ricerca del settore, infatti, arriva a questo appuntamento
non sufficientemente attrezzata, a causa soprattutto della qualità e della
tipologia della sua produzione precedente che appare: o di valore mediocre
(buona parte della ricerca finanziata con i fondi del MLPS ex art. 18 Legge
845/78) o interessata a tematiche lontane dalla gestione della Formazione Professionale
e quindi con bassi livelli di spendibilità operativa nel settore (come è
il caso di molta attività di indagine dell’Isfol). Per molti anni l’ambiente della
“ricerca”, disdegnando per una sorta di aristocrazia intellettuale, la “quotidianità”
della gestione del settore, si limitava a diagnosticarne e a giudicarne la criticità,
senza proporre modelli alternativi. Si diceva cioè ciò che la Formazione
Professionale doveva essere, ma mai come operativamente poteva diventarlo.
Questo ordine di insufficienza segna anche l’azione dei consulenti, cresciuti numericamente
negli ultimi tempi a ritmi vertiginosi (insieme ai soldi messi a disposizione
del FSE) e promossi tali sul campo con sbrigativi processi di selezione.
b) La riforma dei sistemi aveva la necessità, come ogni riforma, di un “progetto
strategico complessivo” che orientasse le diverse linee operative, del disegno di
un mosaico dove posizionare le tessere. L’area operativa in cui possono intervenire
i fondi messi a disposizione per il rafforzamento del sistema riguardano
tutte le fasi del ciclo produttivo della Formazione Professionale (analisi del fabbisogno,
programmazione delle attività, gestione degli interventi, valutazione di
efficacia ed efficienza). Spesso la riforma di ciascuna di queste aree o segmenti
di aree viene affidata a consulenze diverse (anche per la necessità di muoversi
in contemporanea su più fronti per spendere le risorse disponibili entro i tempi
definiti dai documenti della programmazione comunitaria). In tale situazione,
se non è stato definito un quadro strategico complessivo, all’interno del quale si
colloca l’operatività di ciascun soggetto consulenziale, si rischia di innestare
politiche centrifughe e contrapposte; in altri termini, o la Regione ha una strategia
o rischia di introitarne diverse. Si va incontro a quella che, per le riunioni
di lavoro, la letteratura definisce “sindrome dell’animale a molte teste”: mancando
un filo comune, ciascuno segue il proprio filo del discorso per cui ci si
trova a discutere contemporaneamente di aspetti diversi sullo stesso tema o addirittura
di temi diversi.
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343
c) È nota la situazione di segmentazione a compartimenti stagni dell’organizzazione
degli Assessorati; tale condizionamento, se non rimosso, rischia di isterilire
ogni processo di riforma, che è complessivo ed ha successo solo se coinvolge
tutte le funzioni. Aver adottato, ad esempio, sistemi di valutazione ex ante
che consideravano la qualità dei progetti di Formazione Professionale proposti,
ma non essere intervenuti nelle culture e nella strumentazione operativa dei funzionari
addetti al controllo della gestione, significa vanificare ogni sforzo innovativo.
d) Soprattutto nel primo quinquennio si sono moltiplicate le iniziative di Formazione
del personale degli Assessorati. Iniziative indispensabili. Le formule didattiche
utilizzate, però, ancora molto basate sulla Formazione e sul tutoring
d’aula, difficilmente riescono a rimuovere cultura e procedure di tipo burocratico-
amministrativo e a far acquisire competenze di ordine tecnico. La formula
più efficace è quella di un tutoring on the job (formatori e funzionari costruiscono
insieme la strumentazione operativa) nella quale si coniugano competenze
metodologiche (formatore) e competenze disciplinari (funzionari).
7.5.2. La delega ai soggetti sub-regionali
Tra i soggetti di governo del Sistema Formativo dobbiamo includere anche i
soggetti sub-regionali, almeno per quelle Regioni dove si sia proceduto alla delega
di funzioni programmatorie e amministrative e non solo relative alla gestione dei
CFP, ereditati dalle Regioni negli Anni ’70 da INAPLI, ENALC, INIASA454.
Su questa materia dobbiamo tenere in considerazione tre questioni: a) se l’Istituto
della delega sia stato previsto e, se previsto, sia stato effettivamente attivato; b)
a quale soggetto sia stato conferita la delega; c) l’ampiezza delle competenze delegate.
Se si escludono la Valle d’Aosta (in cui Regione e Provincia coincidono) e le due
Province Autonome, le Regioni che non hanno previsto questo Istituto sono quattro:
il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, l’Abruzzo e la Sicilia. Singolare la posizione dell’Abruzzo:
con la L. reg. n. 63/79 affidava la delega alle Comunità montane e non
montane, ma con la successiva L. reg. 111/95 non prevedeva più nessuna delega.
Tra quante hanno previsto questo Istituto cinque non l’hanno attivato, almeno
nel nostro periodo di riferimento e sono: il Lazio, il Molise, la Puglia, la Basilicata,
la Campania e la Calabria.
Pertanto solo sette Regioni hanno effettivamente attivato la delega: Piemonte,
Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Sardegna.
Tutte le 13 Regioni che hanno previsto questo Istituto hanno scelto come soggetto
di delega la Provincia. Rispetto ai decenni precedenti, quando era stato privilegiato
il soggetto amministrativo a livello territoriale più basso, il Comune, anche se,
454 VERGANI A., La delega alle Province in materia di formazione professionale: il quadro complessivo,
Informazioni Cisem, 1-4, pp. 2-20.
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 343
344
Prospetto n. 39 - Soggetti di delega e funzioni trasferite
il più delle volte, nella forma associativa di Consorzi di Comuni o Comunità montane,
si verifica una generalizzata inversione di tendenza che vede nella Provincia il
soggetto di delega più adeguato.
(Segue)
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 344
345
(Segue)
Notavamo già precedentemente che, a parte alcune rare eccezioni, l’affidamento
della delega non aveva fatto registrare un bilancio esaltante, anzi che era stato
proprio il livello di delega quello che aveva creato più problemi alla funzionalità
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 345
455 Cfr. volume II, p. 121.
456 Cfr. G.U., Supplemento Ordinario n. 135 del 12.06.1990.
457 Cfr. Capo V La Provincia Art. 14. (Funzioni). “Spettano alla provincia le funzioni amministrative
di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nei
seguenti settori: …) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla Formazione
Professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale”.
458 Ibidem.
346
complessiva del sistema. La Formazione Professionale, annotavamo455, è un fenomeno
complesso che implica, per coloro che se ne occupano, conoscenze e capacità
metodologiche multidisciplinari (di carattere didattico, sociologico, giuslavoristico,
giuridico, amministrativo, contabile, ecc.). La rarità, però, di tale competenze nella
Pubblica Amministrazione fa sì che queste siano inversamente proporzionali al livello
di decentramento realizzato. In questo senso vanno lette le prese di posizione
normative delle Regioni, e di cui daremo conto nelle schede riservate alle singole
Regioni, che, rivedendo le precedenti soluzioni, hanno spostato la delega a livelli
più alti, trasferendola dalle Comunità montane e associazioni intercomunali alle
Province.
Un impulso forte in questo senso è venuto dalla Legge 142/90, “Ordinamento
delle autonomie locali”456 che individua nella Provincia il soggetto sub-regionale destinatario
di delega457.
Abbiamo precedentemente sostenuto458 che in materia di delega le Regioni presentino
due architetture fondamentali (cfr. Fig. n. 68): la prima si caratterizza per un
forte accento sul momento sub-regionale con una dilatazione dell’Istituto sia sul
versante della programmazione sia sul versante gestionale sia su quello amministrativo-
procedurale; la seconda mantiene alla Regione la regia dell’intero sistema: le
deleghe sono per lo più limitate alla gestione dei centri pubblici, mentre i soggetti
sub-regionali partecipano all’elaborazione della programmazione, soprattutto in termini
di pareri e proposte.
Figura n. 68 - Modelli di delega delle funzioni nella legislazione sulla Formazione Professionale
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 346
347
È evidente che, spostando le responsabilità della delega, si amplia anche il
panel delle competenze, per cui il modello più adottato è il secondo. Va comunque
osservato che i testi normativi su questa materia non presentano livelli di chiarezza e
comprensione immediate: per indicare le funzioni delegate, infatti, talvolta elencano
dettagliatamente le competenze trasferite, altre volte usano espressioni sintetiche
(“funzioni amministrative” o “funzioni amministrative non regionali).
7.5.3. Gli Enti di Formazione
La Legge quadro aveva assunto, sul problema dei soggetti che gestiscono le attività,
posizioni nette e conclusive rispetto al dibattito che si era aperto qualche anno
prima, in coincidenza col trasferimento delle competenze in materia di Formazione
Professionale alle Regioni. Secondo la Legge n. 845/78 hanno titolarità gestionale:
le strutture pubbliche; le strutture di Enti emanazione delle organizzazioni democratiche
e nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori,
di imprese e loro consorzi, del movimento cooperativo o di associazioni con finalità
formative e sociali; le imprese e i loro consorzi. Tale soluzione rispondeva ai
tipi di offerta formativa allora erogati dalla Formazione Professionale per i giovani
post obbligo (il segmento più consistente del sistema ereditato dal Ministero del Lavoro)
e i lavoratori occupati di aziende in ristrutturazione (un’area quantitativamente
ridotta, ma che beneficiava del cofinanziamento del FSE). Rispetto al dibattito, la
soluzione prospettata (priorità del soggetto pubblico, soggetto privato “culturalmente”
connotato e “tecnicamente parametrato”) rappresentava una mediazione tra i
fautori della “pubblicizzazione” (si legga “regionalizzazione delle strutture formative
con relativo personale” e non “regionalizzazione del personale senza le relative
strutture”, soluzione adottata negli Anni ’80 dalle Regioni Calabria, Campania e
Marche) e quanti invece propendevano per assetti più “liberistici”, mentre il ruolo di
soggetto formativo assegnato all’impresa rappresentava una affermazione “ideologica”
importante. Il modello gestionale delineato dalla Legge quadro veniva, in
parte, trasformato negli anni successivi; infatti le strutture pubbliche, per le quali la
Legge prevedeva una valorizzazione, si ridimensionano sotto il profilo del volume
corsuale erogato e si impoveriscono sotto il profilo formativo (si disperde così il patrimonio
dell’INAPLI, ENALC e INIASA costruito in circa 50 anni). Le strutture
degli Enti consolidano una presenza (già significativa grazie soprattutto ad una programmazione
delle attività, da parte delle Regioni, attenta a non sconvolgere i livelli
occupazionali esistenti, con scelte d’interventi formativi che spiazzassero la professionalità
degli operatori presenti nei CFP degli Enti), e di fatto diventano l’unico
soggetto gestionale ad occupare la scena della formazione al lavoro. Ma questo modello,
con la presenza egemone degli Enti entra progressivamente in crisi con la differenziazione
graduale dell’offerta formativa. Come più volte segnalato, il Sistema
Formativo-Professionale ha allargato nel tempo i suoi target di riferimento mediante
un processo di sedimentazioni successive. Infatti, senza eliminare, né sostanzialmente
ridimensionare in termini assoluti, le offerte formative precedenti, la Formazione
Professionale si è aperta prima ad un’utenza qualificata (metà Anni ’80), sucstoriaFORMAZ3-
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348
cessivamente ai soggetti coinvolti in fenomeni di nuove povertà ed emarginazioni
(fine Anni ’80) e infine alla manutenzione della professionalità di soggetti occupati
(primi Anni ’90). Tali aperture, come abbiamo a più riprese osservato, promosse e
rese possibili dalle risorse messe a disposizione del FSE hanno sollecitato e favorito
l’ingresso nel settore di nuovi soggetti gestionali. Si consideri peraltro che, mentre la
normativa italiana, nazionale e regionale, è attenta al soggetto gestionale (e quindi
alla sua fisionomia giuridica), la Comunità è più attenta all’azione formativa (e
quindi alla tipologia ed alla qualità dell’intervento). L’ingresso di nuovi soggetti,
però, non ha risolto la presenza degli Enti che, nel frattempo, si sono posizionati in
termini diversi: qualcuno infatti è rimasto ancorato alla Formazione di base e quindi
ad un paradigma organizzativo basato sulla ricorrenza; qualcun altro, invece, si è
aperto alle nuove offerte formative e quindi si è più spostato sulla dimensione progettuale.
Nonostante la tenuta delle posizioni, sta di fatto, però, che l’Ente non è più
il soggetto esclusivo della Formazione al lavoro; e se per qualche Regione è ancora
una risorsa su cui puntare, per altre è una presenza da contenere, per altre ancora non
è più una presenza caratterizzante, ma solo una opportunità accanto ad altre. Queste
tre posizioni sono espresse dalla legislazione regionale di questo periodo; si trovano
emblematicamente nelle normative prodotte dal Piemonte (L. reg. n. 63/95), dalla
Basilicata (L. reg. n. 22/96) e dall’Abruzzo (L. reg. n. 111/95). Le tre Leggi assumono
rispetto al problema degli Enti di Formazione tre diverse posizioni politiche:
denominabili rispettivamente come politica di “valorizzazione” “da riserva indiana”,
e “di dissolvenza” (cfr. Fig. n. 69). La politica della valorizzazione degli Enti
da parte della Legge piemontese si esprime:
– in alcune declaratorie: “il principio del pluralismo” inteso come molteplicità dei
soggetti attuatori e diversità di proposte formative è una connotazione essenziale
del Sistema di Formazione Professionale;
– nella parità di condizioni riservate a soggetti pubblici o privati per cui ciò che
conta non è la natura del soggetto ma la qualità della formazione da erogare:
“nessun ente pubblico o privato può vantare verso la Regione posizioni di privilegio
o preferenza per l’attuazione della politica regionale di formazione professionale”;
– nella previsione delle azioni di formazione rivolte agli operatori;
– nella messa a disposizione di contributi per un adeguamento tecnologico delle
attrezzature didattiche.
La politica da “riserva indiana” della Regione Basilicata consiste nel perimetrare
la sfera operativa degli Enti tradizionali entro e non oltre specifiche tipologie
formative predefinite in sede di Piano. Ma se l’Ente tradizionale fosse portatore di
fabbisogni formativi reali e di un progetto qualitativamente valido perché non dovrebbe
competere su un piano di pari condizioni con altri soggetti? La politica di
dissolvenza espressa dalla Regione Abruzzo consiste nell’azzerare le posizioni consolidate
e nell’omologare l’Ente di FP ad altri soggetti, tutti ricompresi sotto la generica
espressione “agenzia” e tutti certificati ed iscritti in apposito elenco. Per essere
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349
iscritto in tale elenco delle agenzie formative regionali, l’Ente (è scomparsa la connotazione
“senza scopo di lucro”) deve positivamente superare i controlli da parte di
un comitato tecnico di valutazione (artt. 14 e 24).
Figura n. 69 - Tipologie di politiche espresse nella legislazione regionale degli Anni ‘90 nei confronti
degli Enti gestori della L. 845/78
Prospetto n. 40 - Posizioni di alcune Leggi regionali sugli Enti di Formazione della L. n. 845/78
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350
7.6. I processi
7.6.1. I modelli di programmazione
I modelli di programmazione di fatto utilizzati dalle Regioni possono essere ricondotti
a tre idealtipi (cfr. Fig. n. 70).
Nel primo modello la programmazione è vista sostanzialmente come atto amministrativo
di allocazione di risorse finanziarie: il suo presupposto sta nell’identificazione
dell’azione politica nell’azione amministrativa; l’implicazione principale
sta nella oculata regolazione di flussi finanziari in modo tale che il livello di mediazione
raggiunto sia sufficiente a garantire il mantenimento di equilibri e di pacificazione
sociale tra governo regionale e operatori della Formazione Professionale. I limiti
riguardano: l’assoluta discrezionalità del responsabile politico tendenzialmente
portato a favorire la titolarità più che la qualità della formazione proposta; la
preoccupazione delle logiche interne al sistema più che la rispondenza del sistema
alle logiche del mercato del lavoro; la debolezza della Regione che si limita ad accettare
o rifiutare una proposta formativa in assenza di un quadro programmatico di
riferimento; la sopravvalutazione del ruolo degli operatori che si trovano a rilevare
e segnalare dei bisogni formativi senza nessun altro riferimento che la propria
cultura.
Nel secondo modello la programmazione è vista come definizione degli interventi
ed allocazione ottimale delle risorse; il presupposto sta nella connotazione
forte dell’azione amministrativa; l’implicazione principale sta nella disponibilità di
strumenti di lettura dell’ambiente. I limiti riguardano: l’ingenua convinzione che sia
l’osservazione del mercato del lavoro a rendere trasparenti i bisogni di competenze
professionali, a decifrare la complessità dei mercati territoriali sub-regionali fornendo
scenari realistici in termini di previsione di fabbisogni formativi per singoli
ruoli/figure professionali. La criticità fondamentale di questo modello è il caricare la
Regione di eccessive responsabilità affidandole tutto; dalla elaborazione delle poli-
Figura n. 70 - Modelli di programmazione
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 350
351
tiche alla individuazione dei fabbisogni e alla successiva definizione di cosa fare
(quali qualifiche e a quale livello) e dove fare.
Nel terzo modello la programmazione è intesa come strumento per la definizione
di linee guida per l’azione amministrativa e per l’orientamento degli attori del
Sistema formativo: il presupposto sta nella razionalità debole dell’azione amministrativa;
l’implicazione principale sta nel connotare l’azione programmatoria della
Regione come un’azione di indirizzo forte attraverso l’enunciazione di obiettivi e
nella valorizzazione del ruolo degli operatori per i quali viene positivamente prevista
una capacità propositiva. È questo il modello del FSE che valorizza il ruolo
proprio della Regione come soggetto di indirizzo e il ruolo dei soggetti gestori come
rilevatori dei fabbisogni formativi per la loro condizione strutturale di rappresentare
necessità formative di realtà quotidianamente vissute. Il paradigma procedurale di
tale modello si articola nei seguenti passaggi fondamentali:
– alla Regione spetta la fissazione degli obiettivi a seguito di una “macro-analisi”
del suo sistema socioeconomico;
– ai soggetti promotori spetta la proposta di interventi che rispondano agli obiettivi
regionali a seguito di una “micro analisi” effettuata sul proprio territorio
(fabbisogno economico), su particolari fasce di utenza (fabbisogno sociale), su
specifici contesti produttivi (fabbisogno aziendale);
– la Regione valuta la proposta dei soggetti promotori, mediante l’analisi degli
esiti delle edizioni precedenti per quanto riguarda le attività a carattere ricorrente
e mediante l’analisi del progetto per quanto riguarda le attività a carattere
progettuale.
Nel modello programmatorio precedentemente descritto il soggetto promotore
non ha solo una valenza gestionale ma anche una valenza programmatoria; viene assunto
non solo per la sua capacità di realizzare interventi corsuali ma anche nella sua
potenzialità di rilevare bisogni formativi.
Tale impostazione recupera una delle due motivazioni forti che hanno determinato
la scelta pluralistica della Legge quadro per quanto riguarda i soggetti promotori:
essi sono scelti non solo per la loro capacità di esprimere diverse visioni culturali-
metodologiche formative, ma, come precedentemente accennato, per la loro
condizione genetica di rappresentare necessità formative.
D’altra parte la segnalazione del bisogno formativo da parte dei soggetti promotori
non può avere un valore assoluto ma deve essere riportato e misurato con le
linee di priorità che la Regione, unico soggetto di programmazione territoriale, si è
data; questa filosofia istituzionale ha delle ricadute operative evidenti sugli attuali
assetti: il soggetto gestore riceve dalla Legge la titolarità, non il diritto, a realizzare
interventi formativi. I soggetti gestori possono cioè “fare formazione” in quanto è ritenuta
dalla Regione “utile” (funzionale agli obiettivi socio-economici predefiniti),
“efficace” (per il raggiungimento degli obiettivi) e “fattibile” (sotto il profilo delle
risorse), e non automaticamente per il solo fatto di avere i requisiti giuridici e tecnici
previsti dalla Legge. In altri termini, se è la natura del soggetto a dargli la potenziale
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352
titolarità gestionale, è la qualità del progetto formativo a consentirgli di fatto l’autorizzazione
a gestire.
7.6.2.Analisi del fabbisogno
L’analisi dei fabbisogni è solitamente indicata come quel momento del processo
formativo nel quale vengono rilevate e analizzate le necessità professionali e formative
proprie del contesto territoriale, settoriale e/o aziendale nel quale si agisce.
Quindi l’analisi dei fabbisogni è l’elemento fondamentale del raccordo, strutturale e
funzionale, tra Sistema formativo e Sistema produttivo ed è il momento cronologicamente
e strategicamente fondante l’intero Sistema formativo459. Sul tema si registra,
in questo periodo, una vivacità di proposte e di sperimentazioni di modelli
come, ad esempio, quello presentato sul piano teorico dall’Isfol e le sue successive
applicazioni, a carattere sperimentale, intraprese dalla Regione Piemonte e dalla
Provincia di Ravenna460, le esperienze della Provincia Autonoma di Bolzano e l’indagine
dell’Associazione degli industriali (curata da N. Schiavone) nel Veneto461.
Sul tema della rilevazione dei fabbisogni, insiste lo stesso “Protocollo di intesa
sulla formazione professionale e sugli organismi paritetici bilaterali” siglato a Roma
nel Gennaio 1993 dalla Confindustria e da CGIL, CISL e UIL. In esso viene stabilito
che gli organismi paritetici bilaterali (riconosciuti formalmente e coordinati da una
struttura paritetica nazionale) esercitino un ruolo attivo nei confronti delle istituzioni
preposte alla programmazione della Formazione attraverso la predisposizione di un
sistema permanente di rilevazione dei fabbisogni formativi (in termini di fabbisogni,
critici, emergenti fragili e in declino), promosso e gestito dalle parti sociali.
Le sollecitazioni del Protocollo sono state infine recepite anche a livello legislativo,
laddove la L. 236/93 all’articolo 9 comma 1 stabilisce che Regioni e Province
Autonome “possono stipulare convenzioni con organismi paritetici istituiti in attua-
459 Cfr. TEZZA E., Fabbisogno formativo e domanda di formazione, in Professionalità 23 (1994), pp.
31-36; BRIVIO E., L’analisi dei fabbisogni formativi in azienda, in Professionalità 24 (1994) pp. 58-67.
460 Cfr. ISFOL e Studio Meta, Lineamenti per un modello di rilevazione dei fabbisogni professionali
a livello locale, presentato alla Conferenza europea sulle Metodologie di analisi dei fabbisogni di
formazione (Roma, dicembre 1991) e pubblicato in Osservatorio Isfol, n. 6, 1992. Le sperimentazioni
(effettuate a Faenza relativamente al comparto della ceramica e nel comprensorio Canavese per il comparto
dello stampaggio a caldo) sono state presentate a Roma nel maggio del 1993.
461 L’indagine sui fabbisogni formativi promossa dall’Associazione Industriali di Vicenza ha utilizzato
il sistema di rilevazione “Federveneto-Spin” recepito nell’accordo Confindustria-Sindacati del
20 gennaio 1993 e nel successivo protocollo di intesa con il Governo (23 luglio 1993). L’indagine,
svolta nel primo trimestre del 1996, ha riguardato i settori manifatturieri presenti nella Provincia e l’edilizia.
Sono state intervistate 401 aziende, pari al 20% delle aderenti all’Associazione, per un totale di
41.000 addetti (44% degli occupati di dette imprese). Per tutte le figure, settore per settore è stata ricavata
una scheda che raccoglie le indicazioni e le descrizioni fornite dalle imprese, nella media e nelle
diverse classi dimensionali. Ogni scheda contiene: il tasso di presenza (% imprese); il tasso di ricorso a
risorse esterne (% imprese); l’indice di tensione “Spin” (variabile tra –100 e +100), che misura il livello
di interesse in una prospettiva di medio termine (due anni); il peso attribuito alle diverse competenze
(scala da zero a 10); il livello di istruzione ritenuto adeguato (% imprese); la modalità di formazione ritenuta
più adeguata (% imprese).
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353
zione di accordi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
maggiormente rappresentative sul piano nazionale” con il finanziamento a carico
del Fondo per la Formazione Professionale.
Sotto il termine di analisi si comprendono tre operazioni diverse (cfr. Fig.
n. 71): rilevazione, analisi e anticipazione dei fabbisogni (quest’ultima dimensione
molto comune quale obiettivo comunitario):
– la rilevazione è la raccolta/sistematizzazione di esigenze espresse in modo
esplicito dal sistema produttivo;
– l’analisi è un concetto più ampio del precedente in quanto, oltre a rilevare i bisogni
espressi, individua, interpreta e sistematizza anche quelle esistenti allo
stato latente, ma non ancora espressi;
– l’anticipazione è un approccio che tende a prefigurare bisogni che oggi non esistono
ma che domani potrebbero esistere se si verificassero certe condizioni.
La rilevazione è l’approccio più oggettivo, mentre l’anticipazione è quello più
incerto, in quanto si basa sulla prefigurazione di scenari che dipendono da molte variabili
non controllabili.
Negli Anni ’80 si riteneva che tale funzione fosse appieno realizzata dagli osservatori
del mercato del lavoro; negli Anni ’90, invece, si è ritenuto maggiormente
produttivo il ricorso alle parti sociali.
L’assunto di fondo che ha guidato la progettazione e lo sviluppo degli osservatori
è che il governo efficace del Sistema di Formazione Professionale è garantito
dalla capacità di acquisire il maggior numero possibile di informazioni e dati sulle
dinamiche del mercato del lavoro; tale assunto, in sé del tutto ragionevole, ha trovato
nell’esperienza concreta forti ostacoli attuativi. Il primo ostacolo, di carattere
generale, riguarda la leggibilità del mercato del lavoro, resa opaca dalla complessità,
mutevolezza e, in parte, imprevedibilità dei fenomeni legati all’evoluzione dei sistemi
produttivi territoriali. Un secondo ostacolo riguarda gli osservatori: spesso, i
Figura n. 71 - Tipologie di analisi
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354
loro programmi di indagine non tengono in considerazione le esigenze programmatorie
della Formazione Professionale. Un terzo ostacolo interessa il versante formativo:
in particolare si fa riferimento all’incapacità, da parte di chi programma la Formazione,
di tradurre i dati forniti dagli osservatori in fabbisogni formativi. Da ultimo
va considerata, come ulteriore ostacolo, la difficoltà degli imprenditori di leggere
i fabbisogni formativi delle proprie imprese462.
Nel 1994 l’Isfol ha studiato questo fenomeno463, arrivando alla conclusione che
ricorrere alle imprese per acquisire, in forma diretta, orientamenti e indirizzi programmatici,
è una via poco percorribile. Per valutare la consapevolezza da parte
delle aziende dei propri fabbisogni di risorse umane, l’Isfol ha sottoposto ad un
panel di esperti (imprenditori managers e quadri d’azienda, amministratori di enti
locali, sindacalisti, ecc.) un’ipotesi preformulata, richiedendo di esaminarla ed eventualmente
modificarla464.
Questa ipotesi (cfr. Graf. n. 56) suddivide le consapevolezza da parte delle
aziende dei propri fabbisogni in tre livelli gerarchici: a) programmare lo sviluppo
delle risorse umane e definirne livelli e percorsi formativi (livello più alto); b) prevedere
i propri fabbisogni di manodopera secondo orizzonti temporali differenti e scalati
(livello intermedio); c) stimare i fabbisogni attuali (livello più basso).
462 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1995, F. Angeli, Milano 1995, p. 128 “D’altra parte le aziende sono
più propense e abituate ad indirizzare i loro sforzi verso la comprensione del mondo esterno, vedi il mercato,
che non a far emergere, interpretare, sistematizzare le necessità e le potenzialità espresse dall’ambiente
interno”.
463 Ibidem, pp. 124-126.
464 L’ipotesi di base è stata formulata tenendo conto dei dati del Censimento dell’Industria 1991 riguardanti
le classi dimensionali delle imprese e le suddivisioni per settori delle imprese stesse.
Grafico n. 56 - Consapevolezza dei propri fabbisogni di risorse umane da parte delle aziende
italiane
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355
Le conclusioni (le opinioni degli intervistati sono sostanzialmente in linea con
le ipotesi formulate dai ricercatori Isfol) mettono in rilievo come il 75% delle imprese
non sia in grado di vedere il proprio sviluppo organizzativo oltre il breve termine.
Più precisamente il 51,5% valuta solo il fabbisogno quali-quantitativo immediato
e il 24,5% è in grado di prevedere il fabbisogno di risorse umane (quali e
quante) a 4 mesi.
I modelli di analisi in questo periodo particolarmente utilizzati sono lo SPIN e
l’EXCELSIOR.
Il modello SPIN è stato sviluppato dal 1992 da parte della Confindustria (in Veneto
ed Emilia-Romagna) e dalla Regione Piemonte; una prima sperimentazione era
stata effettuata nel 1992/93 nell’area del Canavese465. La finalità generale è quella di
pervenire ad un sistema strutturato (a livello regionale) di rilevazione e monitoraggio
dei fabbisogni formativi dei Sistemi professionali locali. L’obiettivo del modello
è fornire, al Sistema della Formazione Professionale, un flusso sistematico di
informazioni sulla domanda espressa dalle imprese, attendibili e gestibili. La metodologia
è articolata in due aree: esplicitazione della domanda dei fabbisogni professionali
da imprese; misurazione del grado di interesse di queste rispetto alla gamma
delle professionalità individuate. L’espressione della domanda si articola nelle seguenti
fasi:
– analisi del ciclo produttivo ideale relativo al settore prescelto e delle innovazioni
tecnologiche/organizzative ipotizzabili a breve termine (l’analisi è effettuata
con l’ausilio di esperti dei settori);
– individuazione delle modalità formative necessarie (archetipi) da parte di
esperti;
– sondaggi con le imprese del settore per verificare le ipotesi degli esperti sugli
archetipi;
– revisione e completamento del quadro degli archetipi, che verrà successivamente
sottoposto ad indagine campionaria per verificarne e misurarne l’interesse.
La misurazione del grado di interesse da parte delle imprese per gli archetipi
delle modalità formative è effettuata attraverso un’indagine campionaria basata su
un modello qualitativo in grado di fornire previsioni di tipo strutturale sui fabbisogni
delle imprese sulla base di tre variabili: a) la presenza in azienda delle figure individuate;
b) la previsione di sviluppo in azienda; c) la reperibilità sul mercato.
Il modello EXCELSIOR è sviluppato dal 1992, rappresenta una sorta di specificazione
o sviluppo ulteriore (con inserimento di variabili qualitative) del sistema di
465 Regione Piemonte, Ass. lavoro e occupazione, ORML, Assoc. industriali del Canavese: La domanda
di formazione nel comparto dello stampaggio a caldo nell’area del Canavese (1993); Regione
Piemonte: Messa a punto di una rete di monitoraggio dei fabbisogni formativi delle imprese del Piemonte
(1996); Confindustria/Federazione dell’Industria del Veneto: La domanda di formazione dell’industria
del Veneto, seconda rilevazione (1994); Confindustria/Federazione dell’industria Emilia-Romagna:
Progetto per un sistema di rilevazione dei fabbisogni formativi dell’industria dell’E milia-Romagna
(1996).
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356
rilevazione SIRPEL utilizzato dall’IReR della Lombardia466. L’obiettivo è generale e
duplice:
– individuare il grado di saturazione di manodopera dei diversi bacini territoriali,
in modo da fornire supporto informativo ai soggetti interessati, allo scopo di
agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
– orientare le scelte dei decisori istituzionali e degli operatori del settore in materia
di politiche della Formazione Professionale.
Le variabili rilevate sono costituite dalle imprese/unità locali e dagli addetti, distinti
in dipendenti ed indipendenti. Le informazioni hanno significatività a livello
locale (regionale e provinciale). Lo schema del processo di generazione dei dati è il
seguente: ricostruzione della struttura dell’occupazione, per comune, dimensione,
attività economica delle unità locali; indagine campionaria sulla struttura dell’occupazione
e del lavoro prevista per sostituzione o ampliamento.
7.6.3. La progettazione
Il problema della titolarità gestionale, finora diversamente risolto dalle Regioni,
esplode come problema nazionale quando si apre il dibattito se le procedure di appalto-
concorso previste dalla Direttiva CEE 50/92467 si dovessero applicare anche
alle attività di Formazione Professionale. La Direttiva era stata emanata in funzione
dell’instaurazione del mercato interno, previsto entro il 31 dicembre 1992. Il mercato
interno comportava la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi
e dei capitali e questo implicava, tra l’altro, l’adozione di procedure per la aggiudicazione
degli appalti pubblici di servizi su tutto il territorio comunitario. Di fatto sul
problema dell’applicabilità delle procedure concorsuali anche alle attività formative
si registrano posizioni diverse:
– il Consiglio di Stato si esprime per l’applicabilità della direttiva: allorché la
prestazione del servizio viene disciplinato da atti latu sensu contrattuali, la direttiva
trova applicazione, anche nell’ipotesi in cui leggi e regolamenti prevedono
un obbligo ovvero una facoltà di stipulare convenzioni o in genere schemi
pattizi comunque denominati. Tale posizione viene motivata con la considerazione
che: “se l’ordinamento interno ritiene che certe prestazioni di servizi debbano
essere effettuate da entità senza fini di lucro, non si possono escludere
dalla partecipazione alle gare le imprese di altri Stati membri per avere esse
una ordinaria causa lucrativa. La partecipazione degli Enti non lucrativi, se
ammessa accanto alle imprese lucrative, deve svolgersi sullo stesso piano di
parità”.
466 Unioncamere, Min. del Lavoro e Previdenza Sociale, Nuove imprese e domanda di lavoro nella
Provincia di Lucca (1994); Unioncamere, Min. del lavoro e previdenza sociale, Imprese, occupazione,
domanda di formazione nelle province di Modena, Ascoli Piceno e L’Aquila (1994).
467 Direttiva 92/50 CEE del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi.
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– Per il Coordinamento interregionale, invece, la FP esula dal campo di applicazione
della norma comunitaria: secondo il coordinamento, infatti, la direttiva
disciplina la prestazione di servizi che si fonda su contratti di appalto, cioè contratti
a titolo oneroso e sostanzialmente di natura privatistica; la FP costituisce
invece, a tutti gli effetti, un servizio di interesse gestito secondo lo schema della
“concessione traslativa” che, avendo ad oggetto una funzione pubblica e non
l’adempimento di un’obbligazione civilistica “strictu sensu” intesa, assolve
compiti pubblicistici ed, in ragione di ciò, su di essa può esercitarsi legittimamente
potere di autotutela della pubblica amministrazione.
– Il Garante della concorrenza e del mercato468 si allinea di fatto sulle posizioni
del Consiglio di Stato: l’autorità, in assenza di una definizione rigorosa delle organizzazioni
“no profit”, ritiene preferibile, sotto il profilo della concorrenza,
una selezione degli operatori sulla base di centri di qualità e prezzo piuttosto
che sulla base della natura delle imprese.
– La Commissione Varesi469 incaricata della predisposizione delle linee di riforma
della Legge n. 845/78 inserisce una prospettiva nuova nel dibattito, in quanto
non parte da considerazioni meramente giuridiche, ma dalla diversità dell’offerta
formativa dei sistemi regionali.
Possono essere operate distinzioni tra le attività di Formazione Professionale di
base e le attività di alternanza, Formazione Continua e Formazione Superiore.
Queste ultime potrebbero essere affidate con la procedura dell’appalto concorso, riproponendo
le parti inattuate della Legge quadro: standard qualitativi, qualificazione
dei controlli, capacità di elaborazione e determinazione dei fabbisogni. Di
fatto la linea che risulterà vincente è quella dell’appalto.
Questo implica una precisa procedura, del tutto nuova per il Sistema formativo
e che prevede questi macro-passaggi: avviso pubblico da parte della Regione o del
soggetto delegato, risposta all’avviso mediante un progetto da parte dei soggetti
aventi titolo a presentarli, selezione dei progetti da parte dell’amministrazione pubblica
che ha emanato l’avviso mediante valutazione comparativa e pianificazione
(elenco dei progetti ammessi e finanziabili).
In questa fase è evidente la centralità del progetto che da l’incipit a tutto il processo
programmatorio. Ma la centralità del progetto riguarda anche la fase della ge-
468 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, meglio nota come Antitrust, è stata istituita
in Italia nel 1990. È un’Istituzione indipendente, che prende le sue decisioni sulla base della Legge,
senza possibilità di ingerenze da parte del Governo né di altri organi della rappresentanza politica. L’Autorità
garantisce il rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali tra imprese, gli abusi di
posizione dominante e le concentrazioni in grado di creare o rafforzare posizioni dominanti dannose per
la concorrenza, con l’obiettivo di migliorare il benessere dei cittadini.
469 VARESI PIER ANTONIO (1950), professore ordinario di Diritto del Lavoro presso la Facoltà di
Economia dell’Università Cattolica, sede di Piacenza. Dal 1986 al 2009 è stato Presidente dell’Agenzia
del lavoro della Provincia Autonoma di Trento. È direttore scientifico della collana “Politiche del lavoro”
pubblicata presso F. Angeli. Dal 2013 è Presidente dell’Isfol.
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stione, dove viene realizzato il percorso formativo descritto nel progetto e con le risorse
umane strumentali logistiche finanziarie indicate dal progetto.
Inoltre, la centralità del progetto è riscontrabile anche nel processo di monitoraggio
che misura il rispetto e gli scostamenti tra quanto previsto dal progetto e
quanto effettivamente realizzato e le risorse effettivamente utilizzate rispetto a
quelle previste. Infine, il progetto è centrale anche nel processo di valutazione
perché per verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti (efficacia) in relazione alle
risorse disponibili (efficienza) occorre far riferimento a quanto prevedeva il progetto
(cfr. Fig. n. 72).
I progetti sono predisposti sulla base di formulari predefiniti dalle Regioni. E,
agli inizi degli Anni ’90, presentano, nella maggior parte dei casi, carenze ed inadeguatezze
in ordine allo spettro (minimalista) e alla natura (prevalentemente amministrativa)
delle informazioni che veicolano.
Nel periodo considerato da questo volume si assiste ad una progressivo abbandono
da parte delle Regioni di formulari con una fisionomia quasi esclusivamente
“amministrativa” per l’adozione di formulari a “struttura complessa” che rendono
ragione degli aspetti motivazionali, professionali, didattici, strumentali e finanziarii
di un progetto formativo.
Infatti, se il progetto rappresenta il disegno che verrà realizzato nella prassi formativa,
questo deve essere compiutamente e dettagliatamente definito in tutte le sue
parti, perché obiettivi, percorsi e risorse siano chiari a chi eroga (soggetto
gestore/docente), a colui cui è destinato (allievi), a chi ha il compito di monitorare e
valutare sotto il profilo della efficacia ed efficienza (la Regione).
Per essere completo un progetto non può limitarsi né all’esposizione di un problema,
né all’elaborazione di una risposta: non è solo analisi e non è solo proposta. E
l’uno e l’altro aspetto, non sono giustapposti ma interrelati.
Figura n. 72 - Funzione del “progetto formativo” nei diversi processi con cui si realizza un percorso
formativo
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Non esiste un formulario ideale. Esistono però formulari ben costruiti e altri no.
Quelli ben costruiti sono quelli che rispondono, in successione logico-cronologica a
questi interrogativi:
– Qual è il problema che dà origine alla richiesta di attivazione di un intervento
formativo? È un problema per la soluzione del quale occorre formare nuovo
personale (formazione al lavoro o per inoccupati e disoccupati) o aggiornare o
specializzare personale in compiti nuovi o innovativi (formazione sul lavoro)?
– Quali sono le competenze da acquisire per realizzare i compiti necessari alla soluzione
del problema?
– Qual è l’itinerario formativo per acquisire tali competenze?
– Quali sono le condizioni di fattibilità in termini di prerequisiti da parte dei soggetti
che verranno avviati al percorso formativo e in termini di risorse strutturali
dotazionali umane necessarie per realizzare tale itinerario?
– Quante risorse finanziarie occorrono per realizzare tale intervento?
Ciascuno di questi interrogativi diventa un’area tematica e può dar luogo a sezioni
diverse del formulario (cfr. Fig. n. 73):
– analisi del fabbisogno, per esplicitare la rilevanza e l’entità del problema che sta
all’origine della richiesta di attivazione di un intervento formativo;
– analisi della professionalità, per individuare, mediante l’analisi dei compiti, le
competenze che rappresentano gli obiettivi formativi;
– struttura del programma formativo, per elaborare un percorso didattico, articolato
secondo l’ingegneria ciclico-modulare, idoneo a far raggiungere gli obiettivi/
competenze individuate nella fase 2);
Figura n. 73 - Sezioni di un formulario base per la presentazione di progetti formativi
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– definizione delle condizioni di fattibilità, con l’esplicitazione delle risorse logistiche,
strutturali, dotazionali e umane;
– preventivazione finanziaria.
7.6.4. La selezione e il monitoraggio dei progetti
Negli Anni ’90 non solo nasce “il progetto”470, come sopra descritto, ma nasce
anche “la selezione dei progetti” con l’uso di sistemi parametrati, cioè con l’attribuzione
di punteggi, secondo scale predefinite, alle diverse variabili del progetto per
poter compilare delle graduatorie in base alle quali determinare i progetti accettabili471.
Quanto più gli strumenti sono standardizzati e il numero delle variabili considerate
è maggiore tanto più si riduce la discrezionalità del valutatore, a beneficio sia
della trasparenza e sia della efficienza della valutazione. Diversi sono i modelli adottati
in quegli anni, perché diversi erano i formulari utilizzati per predisporre il progetto.
Ma soprattutto c’era una cultura, ormai condivisa ed urgente, di adottare sistemi
prescrittivi che coniugassero efficacia programmatoria e trasparenza valutativa.
Una cultura che venne presto meno, tanto che ripresero le vecchie abitudini.
Tecnicamente non era difficile: bastava diminuire le variabili da giudicare e aumentare
la possibilità di giudizi discrezionali.
Si tornava così alle vecchie prassi, ma con un’aggravante: l’ipocrisia.
Ma, a parte questi fenomeni che toccano l’etica politica, il sistema elaborato,
anche se applicato correttamente, aveva dei rischi. C’era, infatti, il rischio di premiare
il progetto non l’intervento migliore. Di qui la necessità di introdurre come
prassi quotidiana il monitoraggio delle attività472, cioè la verifica puntuale ed organica
dell’effettiva realizzazione del progetto in tutte le sue componenti: didattiche,
strutturali, dotazionali, umano-professionali, finanziarie.
7.7. La valutazione ex post dei progetti
La valutazione ex post473 ha oggetti diversi in relazione alle diverse tipologie
formative; infatti: per le attività a carattere progettuale la valutazione verte soprattutto
sul raggiungimento degli obiettivi occupazionali (quanti allievi hanno trovato
occupazione coerente con la formazione ricevuta), e professionali (quantità e tipo-
470 Cfr. ISFOL (a cura di MONTEDORO C.), Elementi di progettazione integrata per la formazione
di qualità, Roma 2000.
471 Sulla materia cfr. GHERGO F., Esperienze regionali di valutazione della f.p.: filosofie istituzionali,
modelli e strumenti, in Osservatorio Isfol n. 6, 1995, Numero monografico; VERGANI A., La valutazione
ex ante dei progetti formativi, in Professionalità 37 (1997), pp. 11-17.
472 Cfr. TEZZA E. e VERNA G., Il monitoraggio della formazione professionale in Professionalità 17
(1993), pp. 17-24; VERNA G., Il monitoraggio dei PIC, documento di lavoro Ministero del Lavoro, febbraio
1993.
473 Cfr. VERGANI A., Una applicazione di indicatori descrittivi ad un sistema di formazione professionale,
in Professionalità 12 (1992), pp. 52-58. E Valutazione dell’efficacia degli interventi formativi
in Professionalità 30 (1995), pp. 19-29; L’efficacia occupazionale di interventi di fp in Professionalità
34 (1996) pp. 15-24; CARDUCCI P., PUGLIESI R., La valutazione economica della formazione in Professionalità
26 (1955), pp. 13-22.
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logia di formazione ricevuta ed effettivamente utilizzata nella performance lavorativa);
per le attività a carattere ricorrente verte anche sul raggiungimento degli obiettivi
formativi (competenze trasversali, non disciplinari, acquisite nel corso e spendibili
in qualsiasi processo lavorativo).
Ma la valutazione ex post e, in generale la valutazione, è una tematica in cui la
cultura e la prassi della Formazione Professionale degli Anni ’90 ha fatto progressi
rilevanti e, perciò, merita un approfondimento particolare.
7.8. L’attività di ricerca in materia di valutazione nei primi Anni ’90
7.8.1. Dalla valutazione docimologica a quella sugli effetti della Formazione
Solo alla fine degli Anni ’80 e agli inizi degli Anni ’90 la Formazione Professionale
regionale ha cominciato a porsi in maniera significativa il problema della valutazione.
Fino ad allora l’attività scientifica sulle tematiche attinenti la valutazione
della formazione era sempre stata in Italia alquanto limitata e comunque circoscritta
agli interventi e alle problematiche di tipo scolastico, ed orientata soprattutto alle verifiche
dei livelli di apprendimento, con i contributi soprattutto di Visalberghi474,
(1955) di Vertecchi (1984)475 e Gattullo (1988)476 e la così detta valutazione formativa,
ovvero l’attività di valutazione di competenza dei formatori, svolta dagli stessi
al fine di migliorare sia i contenuti che le metodologie di insegnamento e per adeguare
la Formazione alle specifiche caratteristiche dei gruppi-utenti.
A partire dagli Anni ’90 si è assistito ad un certo sviluppo della ricerca e delle
sperimentazioni anche relativamente ad altri segmenti della Formazione: prima del
segmento della Formazione aziendale, poi di quello della Formazione Professionale
regionale.
Sul versante aziendale l’investimento in formazione assumeva, sempre prima
degli Anni ’90, caratteri di episodicità, ed anche se in alcune grandi aziende esso assumeva
una certa consistenza ed era strettamente vincolato al raggiungimento di
precisi obiettivi di sviluppo, nel suo insieme non era coordinato nell’ambito di una
“politica” della formazione aziendale, non costituiva insomma un sistema, cioè un
insieme organico di obiettivi e mezzi. Contrariamente a quanto avveniva in alcuni
Paesi europei477, i processi di valutazione riguardavano pertanto, quando esistevano,
474 VISALBERGHI A., Misurazione e valutazione nel processo educativo, Comunità, Milano 1955.
475 VERTECCHI B., Manuale della valutazione. Analisi degli apprendimenti, Editori Riuniti, Roma
1984 (II ed. 1998).
476 GATTULLO M., Didattica e docimologia. Misurazione e valutazione nella scuola,Armando Editore,
Roma 1988.
477 In Paesi come la Germania e soprattutto la Francia l’esistenza di una politica organica per la
Formazione degli occupati (Formazione Continua) ed il coinvolgimento anche finanziario delle
aziende ha provocato, negli ultimi 20 anni, esigenze di valutazione dell’efficienza e della redditività
degli interventi e ciò ha, in ricaduta, stimolato la ricerca e la sperimentazione in questo settore (ad
esempio sviluppo di metodi di audit della formazione, analisi dell’investimento in formazione come investimento
sul capitale immateriale delle imprese, etc.).
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solo segmenti molto limitati di intervento. L’assenza, inoltre, di incentivi pubblici
per la formazione degli adulti occupati478 faceva sì che non esistessero in Italia né i
soggetti né i vincoli o gli stimoli per un consistente e sistematico impegno nella valutazione
della formazione delle e nelle imprese.
Da ultimo (fine Anni ’80 ma soprattutto inizi Anni ’90) la valutazione non strettamente
attinente la didattica, ma riguardante gli effetti anche di natura economica
della Formazione ed il controllo organizzativo degli interventi investe anche il segmento
della Formazione Professionale regionale. Tale ritardo è stato, in parte, determinato
dall’assetto istituzionale della Formazione Professionale nel nostro Paese.
Infatti, la Formazione che si attua al di fuori delle istituzioni scolastiche non dà
luogo a certificazioni formali standardizzate e non si basa su programmi-tipo che
possano essere considerati tali ai fini delle verifiche dei risultati e dell’efficacia degli
interventi in essi inscritti. Anche le modalità di finanziamento non vincolavano, se
non in rari casi, gli organismi a dimostrare l’utilità, sia essa economica che sociale,
degli interventi che realizzano.
L’interesse in questi anni per la valutazione si concretizza in studi e ricerche che
nel giro di qualche anno daranno al tema non solo una buona base teorica, ma anche
buoni strumenti. Nell’arco di qualche anno, alcune ricerche produrranno modelli
teorici e modelli operativi che rimarranno un punto fermo per il Sistema Formativo
regionale.
In questa sede esamineremo alcune ricerche che hanno avuto una indubbia importanza
nel far crescere una cultura e una prassi valutativa nella Formazione Professionale
regionale. Tali indagini sono state realizzate dalla Fondazione Brodoloni
(1993), dalla Provincia di Trento - Fondazione Clerici (1989), dal CRPL e dalla Regione
Veneto (1990), dall’Isfol (1993), dall’ENAlP (1989), dall’IPALMO(1991).
7.8.2. Quadro di sintesi dell’attività di ricerca
Uno sguardo di sintesi su questo complesso di attività di studio ed elaborazione
rivela le connotazioni che seguono.
a. La maggior parte delle ricerche tratta la valutazione della Formazione in quanto
valutazione ex post. Pochi sono gli studi che affrontano i problemi ed i metodi
della valutazione ex ante mentre analisi e proposte metodologiche per la valutazione
in itinere, e dunque per il monitoraggio delle azioni, sono presenti in vari
studi.
b. Si nota in queste ricerche un tentativo propedeutico di razionalizzare il tema
“valutazione”, forse proprio per il fatto che questi studi sono, per l’Italia, “studi
di prima generazione”479, e che quindi non trovano in esperienze e riflessioni
478 Ricordiamo che la formazione per occupati finanziata con risorse pubbliche fa il suo ingresso
con la regolamentazione dei Fondi Strutturali 1994-1999 (Ob. 4).
479 Cfr. a tale proposito ISFOL-CEE (a cura di BULGARELLI A.), La valutazione nel FSE - metodologia
di valutazione ex-post dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1992.
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363
precedenti un alveo di riferimento. Razionalizzazione che consiste nel “creare
un linguaggio” ed una tassonomia di categorie logiche per inquadrare i diversi
aspetti e momenti della valutazione, e per situare contributi di riflessione e di
proposta metodologica “in funzione” delle diverse esigenze valutative che possono
esprimersi, sia da parte di chi gestisce la Formazione (es. Enti ed organismi),
sia da parte di chi ne costituisce il garante o l’istituzione di tutela e finanziamento
(es. i decisori pubblici) sia, infine, da parte dei “protagonisti diretti
della formazione” (es. i formatori).
c. Se lo sviluppo di tali riflessioni è comune a tutti i lavori sul tema, non certo analoghe
sono le scelte che vengono compiute.
c1 La differenza principale dei diversi approcci consiste nel “livello” in cui
vengono situati gli obiettivi della Formazione. Alcuni degli studi analizzati
pongono in premessa ed in termini di scelta strategica, proprio il problema
della definizione della scala gerarchica degli obiettivi, e il problema dell’individuazione
dei livelli pertinenti di tale scala a seconda delle finalità specifiche
delle attività di valutazione. Se, infatti, nel caso della valutazione della
formazione strettamente intesa come attività didattica, è relativamente semplice
fissare il livello degli obiettivi di riferimento (in quanto in tal caso l’obiettivo
è “l’apprendimento”) ben diverso è fissare obiettivi pertinenti alla
valutazione di efficienza di una “entità di formazione” (struttura, organismo,
ecc.) e particolarmente complesso è fissare gli obiettivi della Formazione intesa
come strumento di crescita economica e socia1e di un gruppo di individui
o addirittura di una collettività (ad esempio al livello regionale). Su tali
argomenti è interessante quanto sviluppato in IPALMO ed in Fondazione
Brodolini sia rispetto alle esigenze della valutazione ex ante della Formazione
(analisi, ranking e selezione di progetti), sia rispetto alle verifiche del
suo impatto su micro e su macro-contesti.
c2 Altro elemento che contraddistingue alcuni degli studi menzionati rispetto
ad altri è la presa in considerazione o meno delle “risorse” della Formazione
intese sia come potenzialità che come costi rispetto ai quali verificare gli effetti
o i benefici. In alcuni casi gli autori si orientano a considerare la Formazione
come un processo di implementazione delle competenze e della spendibilità
sul mercato (anche in termini di mobilità oltre che di inserimento) da
parte dei soggetti. Da cui deriva l’opzione per una valutazione degli effetti
netti delle azioni in termini di vantaggi relativi acquisiti attraverso la formazione.
Nell’analisi delle risorse impiegate nel processo di formazione e rispetto
alle quali valutare gli effetti, in alcuni studi si prendono in considerazione
soltanto le risorse fisiche, in altri anche le risorse finanziarie, in altri
ancora tra le risorse utilizzate (o previste) viene incluso anche il patrimonio
iniziale degli allievi in termini di prerequisiti (culturali, professionali e comportamentali).
c3 Per quanto riguarda la valutazione dei risultati e degli effetti della FormastoriaFORMAZ3-
3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 363
364
zione gli approcci sono tanti quanti i livelli a cui vengono situati gli obiettivi
della Formazione. Come prima detto per alcuni autori il risultato è la “riuscita”
in termini di acquisizione della qualificazione (con tutto ciò che essa
comporta), per altri il risultato consiste nel vantaggio relativo acquisito in
termini di probabilità di accesso e progressione nel lavoro, per altri ancora il
risultato o l’effetto della Formazione, consiste nel suo contributo alla crescita
economica di una determinata collettività. Le diverse scelte concettuali,
in termini di definizione delle risorse richieste o impiegate, e degli effetti attesi
o conseguiti, porta gli autori alla costruzione di tipologie differenziate di
strumenti valutativi.
c4 Alcune delle ricerche esaminate, infine, analizzano l’intervento formativo
come un processo consequenziale di programmazione, gestione e verifica
degli esiti ed affrontano, pertanto, il tema della valutazione in maniera integrata
prendendo in conto tutti i vari momenti in cui esso si esplicita.
Per concludere si può notare come in quasi tutte le ricerche siano presenti: riflessioni
di tipo semantico e tassonomico, allestimento di strumenti per la rilevazione
e l’analisi dei diversi fenomeni attinenti, costruzione di indici ed indicatori,
nonché verifiche applicative su specifici segmenti di attività formative o studi di
casi.
7.8.3 Rassegna delle ricerche
a. La ricerca realizzata dalla Fondazione Brodolini, commissionata dal Ministero
del Lavoro, riguarda prevalentemente le problematiche e le metodologie della
valutazione ex ante dei progetti. In proposito viene proposta una griglia per la
selezione delle variabili caratterizzanti un progetto di Formazione ed una matrice
per l’elaborazione di indicatori complessi. Tali indicatori vengono raggruppati
in quattro tipologie: indicatori di adeguatezza mezzi-obiettivi, indicatori
di coerenza pedagogico didattica, indicatori di funzionalità rispetto all’utenza,
indicatori di compatibilità organizzativa (cfr. Fig. n. 74).
Figura n. 74 - Indicatori della valutazione ex ante nel modello della Fondazione Brodolini
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365
Per il ranking dei progetti ai fini della selezione degli stessi (da parte dei decisori)
viene proposta una verifica in due tempi, l’una basata sul controllo della
compatibilità tra obiettivi e mezzi fisici (compresa strumentazione didattica e
curriculum), l’altra sul calcolo del rendimento della Formazione tenuto conto
dei costi preventivati e degli effetti, anche indotti, attesi.
Lo studio si conclude con un esercizio di verifica applicato ad alcuni interventi
realizzati in Italia per la qualificazione dei giovani disoccupati di lungo periodo
in settori ad alta intensità di innovazione tecnologica.
b. La ricerca, commissionata dalla Provincia Autonoma di Trento alla Fondazione
Clerici si articola in 4 parti. La parte introduttiva propone le definizioni e la tipologizzazione
delle diverse finalità e dei diversi approcci alla valutazione della
Formazione Professionale. La seconda parte articola la struttura di un intervento
di Formazione in quattro aree principali ed in 22 sub-aree nell’ambito
delle quali vengono individuate le variabili principali di osservazione ai fini
della valutazione. Nella terza sezione i ricercatori elaborano una serie di indici
ed indicatori di efficacia (sbocchi occupazionali, utilizzazione delle competenze,
appetibilità aziendale, miglioramento economico, soddisfazione) e di efficienza
(strutturale e gestionale). L’ultima parte individua alcuni fattori di ponderazione
ai fini di una relativizzazione del valore degli indici rispetto al contesto
socio-economico in cui si attua la Formazione e rispetto ad alcune caratteristiche
specifiche attinenti la stessa azione formativa (es. l’utilizzazione o
meno di supporti e tecnologici e didattici). Vengono infine proposti due questionari
per la rilevazione sistematica dei dati, sia di una struttura che di un intervento
di formazione.
c. Il risultato della ricerca effettuata dal CRPL480/Regione Veneto481 è rappresentato
da un modello (definito ‘semplice’) che si articola in cinque azioni valutative,
tra loro integrate482: valutazione differenziale, interna, dell’apprendimento, degli
effetti e degli impatti, monitoraggio (cfr. Fig. n. 75).
480 Il Centro regionale per le politiche del lavoro era stato istituito con la denominazione Centro per
la promozione dell’occupazione ai sensi dell’art. 8 della Legge regionale 6 maggio 1985, n. 51. Era una
unità organizzativa operante nell’ambito della Segreteria regionale per le attività produttive. Il Centro
svolgeva, tra l’altro, le funzioni di progettazione degli interventi di politica del lavoro, la verifica dell’efficacia
delle leggi nazionali e regionali per l’occupazione, la verifica dei risultati a esse conseguenti
e la prospettazione di nuovi campi di intervento; l’effettuazione di indagini, studi e ricerche rilevanti per
gli interventi regionali di politica del lavoro. Successivamente con L. n. 31. del 16.12.1998 le funzioni
svolte dal Centro regionale delle politiche sono attribuite all’Ente Veneto Lavoro.
481 Regione Veneto Centro Regionale per le politiche della formazione - Un modello semplice per
la valutazione dei progetti formativi, Venezia 1990.
482 Ibidem, p. 7 “Lo spunto originario può essere ricondotto alle seguenti considerazioni: a) Qualsiasi
attività formativa é riconducibile ad un progetto ed in questo senso assume tutti gli elementi cardine
che identificano un progetto: obiettivi, azioni, tempi e costi. b) Qualsiasi attività formativa in
quanto attuata in una situazione di ‘risorse limitate’ si configura come un progetto di investimento, ed
in questo senso assume tutti gli elementi che identificano un progetto di investimento, sia organizzativi
che valutativi. c) Qualsiasi attività formativa, in quanto progetto di investimento, deve fornire un listoriaFORMAZ3-
3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 365
366
vello di redditività che non può esimersi dall’essere rappresentato in termini quantitativi. d) Qualsiasi
attività valutativa implica la progettazione delle azioni: appare, infatti, necessario, più che verificare gli
effetti di una attività con un’azione separata e finale, accompagnare la progettazione delle azioni con
un parallelo processo valutativo onde accertare fin dalle prime fasi del progetto la coerenza degli obiettivi,
la congruenza delle risorse e la fattibilità delle azioni, monitorandone lo stato di avanzamento. e)
Qualsiasi attività di formazione al lavoro, intendendo per formazione professionale la ‘comunicazione
organizzata per l’apprendimento di un ruolo lavorativo.
483 Rilevanza (l’importanza del fatto formativo commisurata agli effetti desiderati) che concerne il
giudizio sul metodo seguito, sugli obiettivi individuati e sul contenuto del progetto; l’adeguatezza della
formulazione, che riguarda le modalità di formulazione del programma formativo sotto il profilo dei
contenuti e dell’organizzazione didattica: la congruenza, la relazione cioè tra risorse richieste e quelle
necessarie; la coerenza, vale a dire la continuità logica delle fasi progettuali; lo sforzo sostenuto, la relazione
tra sforzi finanziari e obiettivi intermedi; l’avanzamento, l’analisi del grado di attuazione delle
attività; l’efficacia, confronto fra obiettivi raggiunti e quelli prefissati; l’efficienza, relazione tra risorse
e risultati.
484 Da segnalare che il modello propone degli indicatori particolarmente sensibili al fenomeno formativo
come quello sul risparmio per allievo e quello sullo spreco delle ore per allievo
Figura n. 75 - Azioni valutative previste nel modello CRPL - Regione Veneto
La valutazione differenziale si basa sulla distinzione del progetto formativo in
fasi (analisi dei bisogni, progettazione, realizzazione, rendicontazione). La valutazione
di ogni fase consente di migliorare i risultati finali, poiché i risultati intermedi
di ogni singola fase sono input della fase successiva. Le componenti della
valutazione differenziale sono: la rilevanza, l’adeguatezza della formulazione,
la congruenza, lo sforzo sostenuto, l’avanzamento, l’efficacia, l’efficienza483.
La valutazione interna è un giudizio che riguarda l’efficienza dei progetti. Vengono
fissati degli indicatori finanziari e si compie il confronto fra il preventivo
ed il rendiconto evidenziando la percentuale di variazione. L’innovazione più significativa
é quella di aver individuato delle rappresentazioni grafiche (nomogrammi)
che consentono di capire l’andamento di un corso con un solo colpo
d’occhio484.
Per la valutazione dell’apprendimento occorre stabilire gli obiettivi formativi
secondo l’impostazione data da Bloom misurando, prima e dopo, la variazione
del “cambiamento”.
Infine la valutazione degli effetti e degli impatti è realizzata mediante la verifica
di alcuni indicatori di conseguimento (numero di occupati, percentuale di occustoriaFORMAZ3-
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367
pati coerenti con la formazione seguita, tempo di attesa medio, indici di miglioramento
salariale); verifica realizzata attraverso delle indagini telefoniche assistite
da computer. Il monitoraggio consente di calibrare il progetto utilizzando
diversamente le risorse se lo stato di avanzamento manifesta delle devianze rispetto
agli obiettivi previsti485. L’adozione dei criteri di efficacia e di efficienza
comporta necessariamente una ripartizione delle risorse pubbliche ancorata alla
produttività delle azioni, all’ammissione cioè dei progetti più meritevoli. Per
questo il modello in esame suggerisce l’adozione di un sistema ripartizionale,
che ripartirsca territorialmente le risorse secondo la ricchezza delle aree considerate
privilegiando quelle con reddito minore; riconosca una proporzionalità
alla produttività (efficacia-efficienza) degli operatori che offrono il servizio
nelle aree oggetto degli interventi pubblici.
d. Il modello applicativo di valutazione dell’ENAIP si compone di 16 parametri
afferenti a tre categorie di variabili: “tecniche” attinenti alle relazioni che intercorrono
tra risorse ed effetti caratterizzanti l’azione formativa; “sociali” attinenti
alle relazioni che intercorrono tra azione formativa e suo contesto ambientale
e culturale; “economiche” attinenti alle relazioni tra costi e rendimento qualitativo
(tecnico e sociale) dell’azione.
I parametri vengono inoltre raggruppati secondo due fattori: l’azione formativa
ed i rapporti tra questa ed il suo contesto. I parametri utilizzati, di primo e di secondo
livello (sintesi di quelli di primo livello), sono categorie valutative circoscritte
da definizioni convenzionali. La descrizione qualitativa o la misurazione
quantitativa di ogni parametro rispetto alle varie fasi dell’intervento è: di tipo
previsionale (ipotesi valutative preventive); di tipo consuntivo (dati rilevati per
ogni fase); di tipo sommario (dati di consuntivo di tutte le fasi). I parametri di secondo
livello riguardano (nella Figura 76 sono in maiuscolo neretto): la “convenienza”
(punto di vista economico); la “utilità”, la “opportunità”, la “fattibilità”
(punto di vista sociale); la “validità” e la “trasferibilità” (punto di vista tecnico).
La valutazione di ogni parametro di secondo livello è definita dalla valutazione
congiunta in termini ponderati dei parametri di primo livello (nella figura sono in
corsivo). Ogni parametro è misurato da alcuni indicatori. Ad esempio, il parametro
di primo livello, Rilevanza sociale (importanza dell’iniziativa formativa
correlata all’importanza del problema a cui l’iniziativa stessa intende rispondere),
è misurato da sette indicatori. Uno di questi è rappresentato dal grado di univocità
sociale e/o scientifica del problema; ad esso si può attribuire 5, 3 o 1 punto
a seconda che “il problema ha una definizione non ambigua e definita”, la definizione
del problema è accettabile ma non completa, la definizione del problema
è carente. L’approccio proposto dall’ENAIP è un approccio di tipo “audit”
485 La struttura del monitoraggio viene derivata dalla esperienza degli Organismi internazionali,
primo fra tutti la Banca Mondiale che introdusse questa ‘continua sorveglianza` nei progetti formativi
verso la metà degli Anni ’70.
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368
dove viene analizzato tutto il processo formativo dalla fase di progettazione a
quella delle valutazioni di tipo differito. I parametri, e dunque il percorso valutativo,
possono essere selezionati secondo le caratteristiche dell’azione formativa
e le esigenze di valutazione anche a fini decisionali.
e. Strettamente metodologico, ma molto vicino alle esigenze valutative delle amministrazioni
regionali, appare lo studio effettuato dall’Isfol sull’applicazione
dell’analisi multicriteri.
Le potenzialità del metodo risiedono nella sua adeguatezza ad effettuare “sintesi
valutative” ovvero a sottomettere i progetti di Formazione ad un’analisi che
prende in conto simultaneamente più criteri di giudizio. Il metodo appare,
inoltre, particolarmente idoneo ad agevolare le scelte del decisore in quanto permette
di effettuare scenari alternativi accordando peso differenziato o variabile
ai diversi criteri di giudizio. Lo studio effettuato dall’Isfol definisce, ai fini dell’utilizzazione
dell’analisi multicriteri, una serie di indicatori o criteri valutativi
idonei per la valutazione, sia ex ante, sia ex post dei progetti di formazione e
permette, inoltre, di compiere valutazioni separate per tipologia di progetti (settori,
utenti, aree territoriali).
f. Un’ulteriore ricerca dell’Isfol, elaborata con la collaborazione dello IARD486,
mette a punto un modello (cfr. Fig. n. 77) che presenta queste peculiarità: ha
un carattere modulare, utilizzabile nei corsi di prima qualificazione e nei corsi
486 La sintesi del rapporto di ricerca è rinvenibile in ISFOL, Formazione. un sistema a rischio. Carta
delle priorità per la qualità e l’integrazione della formazione professionale, Roma 1991, pp. 66-105.
Figura n. 76 - Schema riassuntivo del modello ENAIP
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di perfezionamento, in attività rivolte al mercato come in quelle orientate al
posto, in iniziative di routine e in iniziative esplicitamente programmate; temporalmente
si colloca, in linea di massima, entro una prospettiva ex-post. L’unità
di analisi è costituita, usualmente, dalla singola azione formativa; il soggetto
dalla cui prospettiva si effettua la valutazione, è il soggetto responsabile
della programmazione e del controllo (a livello di Centro, di Sistema regionale
e di Sistema nazionale); l’opzione valutativa è centrata, in gran parte, sull’output
formativo e fa perno su tre categorie di valutazione: efficacia, efficienza
e soddisfazione. L’efficacia si misura con indicatori relativi a tre ambiti:
i prerequisiti di carattere generale (i relativi indicatori misurano la dotazione di
risorse – competenze culturali, capacità di autoapprendimento, conoscenze e
abiti comportamentali – con le quali il soggetto affronta la sua imminente
esperienza professionale); i prerequisiti di atteggiamento (verso il lavoro e autoconsapevolezza
delle risorse personali con cui affrontare il lavoro) gli esiti
occupazionali (i relativi indicatori misurano la capacità della Formazione Professionale
di favorire la concreta presenza dei suoi frequentanti sul mercato del
lavoro e la loro effettiva assunzione) e professionali (gli indicatori verificano
le attività lavorative nelle quali gli allievi sono impegnati, e le competenze
specifiche e organizzative apprese in formazione e abitualmente utilizzate sul
lavoro). L’efficienza, invece, si misura con indicatori di produttività e quelli
costi/efficacia. Gli indicatori di produttività sono: di tipo strutturale (considerati
quando si fa riferimento al Centro, possono essere distinti in indicatori di
prodotto e di processo: i primi utilizzano al denominatore il numero degli allievi,
i secondi il numero dei formati), di selezione (confrontando numero di
iscritti con quelli dei frequentanti e dei qualificati gli indicatori, misurano il
grado di dispersione formativa e il grado di selettività del corso) di tipo gestionale
(sono indicatori utilizzati per razionalizzare la spesa: costo per allievo,
costo orario, tasso di utilizzo finanziario, etc.). Gli indicatori costi/efficacia
misurano il costo per allievo occupato, coerentemente al percorso formativo
frequentato e quindi sono in grado di offrire “l’indice di spreco”. Infine la soddisfazione
degli allievi riguarda l’auto percezione del corsista sui risultati pro-
Figura n. 77 - Categorie valutative del modello Isfol-IARD
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370
dotti dal processo formativo ed è riconducibile a due giudizi: il primo sulla gestione
dell’intervento formativo, il secondo sulla congruenza fra Formazione
ricevuta e collocazione lavorativa.
g. Lo studio487, commissionato dalla Direzione Generale Cooperazione allo sviluppo
del Ministero degli Affari Esteri e condotto dall’IPALMO, Istituto per le
relazioni tra Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo
Oriente)488, ha come finalità specifica la valutazione dei progetti di formazione
realizzati nei Paesi in via di sviluppo e nell’ambito della cooperazione bilaterale.
Tuttavia le definizioni e le metodologie proposte risultano in gran parte valide
anche nel caso della valutazione ex post dei progetti realizzati in Italia soprattutto
quando essi beneficino di finanziamenti appositi, quali quelli del
Fondo Sociale Europeo. Lo studio propone metodologie e parametri di valutazione
differenziati per tipologie di progetti, classificati secondo un’apposita tassonomia
che tiene conto del grado di “estensione” degli obiettivi dell’intervento,
ovvero sia dei cambiamenti che si intendono conseguire in un determinato
contesto (Regione, azienda, etc.), sia dei fabbisogni del committente o utilizzatore
della Formazione (il singolo allievo, un ulteriore progetto di sviluppo,
un’azienda, etc.). Dal momento che la ricerca dell’IPALMO è focalizzata sulla
valutazione ex post degli interventi, vengono proposte prevalentemente metodologie
di rilevazione e di costruzione di indicatori riguardanti gli effetti della
Formazione. A seconda della tipologia del progetto, ovvero del livello dei suoi
obiettivi (definiti secondo le tipologie accennate), gli effetti analizzati riguardano
in alternativa o in integrazione tra loro: l’apprendimento, la spendibilità
effettiva delle competenze acquisite da parte dei formati, il contributo che 1’utilizzazione
di tali competenze fornisce a determinati obiettivi di sviluppo, siano
essi attinenti a specifici contesti produttivi o più genericamente attinenti allo
sviluppo/progresso di una collettività.
Vanno menzionate, infine, le diverse ricerche e sperimentazioni applicative
condotte attraverso sistemi di tipo “audit”, certo non idonei ad effettuare valutazioni
di sintesi su un grande numero di attività o progetti, ma sicuramente opportune qualora
si desideri effettuare analisi e soprattutto diagnosi in profondità di strutture o Sistemi
di Formazione.
Strumentazioni di tipo audit possono essere efficacemente utilizzate, ad esempio,
per l’individuazione dei problemi di attivazione connessi con i programmi operativi.
Con analisi di tipo “audit” è possibile, infatti, fare emergere i problemi attinenti
487 IPALMO, Valutare lo sviluppo: metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti,
Volume I, F. Angeli, Milano 1991.
488 L’IPALMO di Roma è un istituto internazionalistico nato agli inizi degli Anni ’70 con la mission
di sensibilizzare il panorama politico, economico e culturale italiano sui temi di politica internazionale,
i rapporti Nord-Sud, la cooperazione allo sviluppo.
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371
alle procedure, ai ruoli dei diversi attori istituzionali, alla condivisione o meno delle
strategie formative connesse con le diverse misure di intervento.
Le metodologie di tipo audit appaiono particolarmente idonee a valutare gli interventi
cofinanziati, in quanto gli elementi di sfondo rispetto ai quali mettere a raffronto
la messa in opera effettiva delle azioni sono in gran parte contenuti nei regolamenti
comunitari, nei Programmi Operativi, nei Quadri Comunitari di Sostegno, etc.
La messa a punto delle metodologie di tipo “audit” è stata effettuata dall’Isfol e
dalla Regione Emilia Romagna, con sperimentazioni effettuate sia in dipartimenti di
sviluppo delle risorse umane di grandi imprese, sia presso strutture formative a gestione
pubblica o consortile.
L’attività di ricerca menzionata ha costituito un substrato efficace ai fini dell’elaborazione
di strumenti e metodologie operative anche da parte dei soggetti direttamente
coinvolti nelle attività di programmazione, gestione e controllo delle attività
di formazione.
Attingono infatti a tale background conoscitivo sia la Guida operativa per la valutazione
elaborata dal Ministero del Lavoro, sia i progetti formulati da diverse amministrazioni
regionali al fine di dar vita a dispositivi permanenti di controllo e valutazione
della Formazione al livello locale.
La Guida operativa del Ministero del Lavoro costituisce uno strumento pragmatico
per la valutazione di tutte le attività progettuali che direttamente o indirettamente
traggono finanziamenti da fondi comunitari, regionali ed in genere pubblici.
La Guida propone una metodologia di valutazione con connotazioni abbastanza originali
in quanto include indicatori idonei all’apprezzamento dell’organizzazione didattica
e costituisce una soluzione “aperta”: è, infatti, potenzialmente complementare
sia alle metodologie di valutazione già adottate al livello comunitario in riferimento
ai Quadri Comunitari di Sostegno finanziario ed ai programmi operativi, sia
alle metodologie eventualmente adottate al livello regionale o da parte di organismi
di Formazione che seguano approcci o criteri diversi o più sofisticati.
La metodologia di valutazione proposta rispetta esigenze di sperimentalità e di
progressività, finalizzate ad una graduale integrazione della valutazione nell’ambito
della programmazione degli interventi formativi.
La guida si caratterizza per un’articolata griglia di indicatori utili per la valutazione
sia ex ante che ex post dei progetti di Formazione, finalizzati alla verifica sia
dell’efficienza che dell’efficacia. L’iter valutativo è basato su indicatori economici
derivanti da dati statistici regionali e nazionali, e su dati ottenuti con studi analitici
descrittivi e con analisi di tipo qualitativo. La Guida propone di sottoporre a valutazione
(cfr. Fig. n. 78):
– obiettivi di efficienza, analizzabili attraverso criteri di natura prettamente finanziaria
(riferiti ai soggetti), ed economica (riferiti alla collettività nel suo insieme);
– obiettivi di efficacia data dalla capacità dell’intervento formativo di raggiungere
gli obiettivi dichiarati al momento della progettazione dell’intervento;
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372
– obiettivi di pertinenza, riferiti alla capacità di sviluppare azioni formative consonanti
con i requisiti strategici, metodologici e tecnici definiti dall’attore della
valutazione;
– obiettivi di rispondenza, riferiti alla capacità del prodotto formativo di aderire
alle necessità degli utenti diretti (individui) e indiretti (imprese). Nel caso di Sistemi
formativi di natura pubblica, si definisce come presenza di particolari requisiti
di priorità associati all’intervento;
– obiettivi di rilevanza dati dalla capacità dell’azione formativa di evidenziarsi,
all’interno della specifica classe di interventi, per il tono più marcato delle innovazioni
(organizzative, tecnologiche, metodologiche). La rilevanza è specificata
in relazione all’importanza dei problemi a cui la Formazione Professionale
deve far fronte, al risultato cui essa mira ed al contesto in cui si intende realizzare
l’azione formativa;
– obiettivi di effetto moltiplicatore dato dalla capacità dell’azione formativa di
dare vita ad un circuito positivo nel contesto di riferimento consentendo la riproducibiltà
della stessa azione a condizioni più favorevoli. La trasferibilità in
tal senso può riguardare la dimensione strategica, il progetto nel suo insieme, le
singole parti dell’azione formativa.
La Guida si compone di quattro parti:
– la prima costituita da un “Glossario” comprendente i principali termini della valutazione;
– la seconda denominata “Strumento” tratta gli indicatori relativi alla valutazione
dei progetti di Formazione. Tale parte si articola in due sezioni. La prima sezione
contiene istruzioni per l’uso della Guida e propone un inquadramento di
tutti gli indicatori in diverse tipologie progettuali, in modo che il valutatore sia
in grado di fornire risposte mirate rispetto alle diverse situazioni progettuali che
si possono presentare. L’individuazione di queste diverse tipologie progettuali,
Figura n. 78 - Obiettivi da sottoporre a valutazione nella Guida del Ministero del Lavoro
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373
a cui sono stati assegnati indicatori particolari, tendono ad individuare le esigenze
differenziate dei diversi utilizzatori/valutatori ed a fare in modo che i risultati
possano essere utilmente confrontati nell’ambito delle esperienze valutate.
La seconda sezione definisce i criteri di individuazione di valori standard e
di soglia. L’insieme degli indicatori è ripartito in: indicatori finanziari, economici,
didattici ed organizzativi;
– la terza parte denominata “Base informativa” comprende un’introduzione sugli
archivi di dati esistenti presso le amministrazioni regionali e sulla costruzione
di tali archivi che ancora non esistono ma che costituiscono la base indispensabile
di qualsiasi azione valutativa;
– la quarta parte della Guida è composta da una serie di schede facilmente utilizzabili
per la raccolta e l’organizzazione dei dati e delle informazioni necessarie
alla costruzione degli indicatori.
La Guida è stata presentata agli utilizzatori potenziali nel corso di un Seminario
tenutosi a Torino nell’aprile 1992. Sulla base di alcune considerazioni, sia di ordine
metodologiche operativo, espresse dalle amministrazioni regionali, sono state apportate
alcune modifiche ed è stato selezionato, in via sperimentale, un set di indicatori
di base che mira a dare una certa comparabilità ed omogeneità alle attività di valutazione
che si effettuano ai diversi livelli locali.
8. Organizzazione, attività e politiche della Formazione Professionale nelle
Regioni e Province Autonome
8.1. Premessa
Nel secondo volume abbiamo messo in forte evidenza come la Formazione Professionale
del nostro Paese, dopo il trasferimento delle competenze in materia dallo
Stato alle Regioni, progressivamente si sia differenziata da Regione a Regione in
maniera così peculiare da poter parlare non più di Sistema ma di Sistemi regionali
della Formazione Professionale. Con un’ espressione un po’ ad effetto, ma senz’altro
vera, possiamo affermare che non esiste un Sistema nazionale di Formazione Professionale,
ma esistono 19 Sistemi regionali e due provinciali (di Bolzano e Trento).
Questo fatto ci induce, come peraltro abbiamo proceduto per gli Anni ’80, a ricostruire
le vicende legislative-regolamentari e il quadro delle attività e delle risorse
(strutturali e finanziarie) di ciascuna Regione e Provincia Autonoma.
In questa ricostruzione facciamo riferimento a questa traccia tematica:
a. esame delle Leggi del settore approvate nel periodo di riferimento;
b. analisi del processo programmatorio e gestionale (nel caso sia stata emanata un
nuova legge organica);
c. approfondimenti su alcune iniziative sperimentali o regolamentazioni, che abbiano
una valenza paradigmatica per il settore o anticipino soluzioni che verstoriaFORMAZ3-
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ranno prese a livello nazionale (come, ad esempio, il Progetto di riqualificazione
della Formazione di base della Provincia di Trento o la disciplina sull’accreditamento
delle strutture delle sedi formative dell’Emilia Romagna). Una
particolare attenzione viene riservata al tema della valutazione;
d. confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio
(a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il confronto riguarda il numero
dei corsi previsti dai Piani sia per tipologia formativa sia per macro settore e per
settore o area professionale;
e. ricostruzione delle sedi formative, operanti all’inizio del decennio (a.f. 1990-
91) distinte per tipologia di struttura (CFP, sede occasionale o sede nominale) e
per natura della gestione (pubblica: diretta o delegata; convenzionata: con soggetti
pubblici o privati) e rassegna delle principali presenze di Enti convenzionati;
f. ricostruzione della spesa per la Formazione Professionale secondo i bilanci di
previsione (di competenza).
Le fonti utilizzate per i dati quantitative sono dell’Isfol:
– i dati quantitativi relativi alle attività e alle sedi formative sono tratti dai volumi
Statistiche della formazione professionale - anno formativo 1990-91489 e anno
formativo 1995-96490;
– le informazioni sugli Enti dal volume Distribuzione dei Centri di formazione
professionale in Italia - anno formativo 1992-93491.
Le une e le altre fonti costituiscono una sintesi dei risultati dell’indagine Struttura
tipologica della formazione professionale che l’Isfol realizzava annualmente
sulla base dei Piani di attività elaborati dalle singole Regioni e dalle due Province
Autonome:
– i dati sulla spesa sono tratti dall’indagine sui bilanci di previsione di competenza
regionali e riportati ogni anno nel Rapporto Isfol.
489 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale - Attività
programmata dalle regioni nel 1989-91, Roma, novembre 1991.
490 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata dalle regioni nel 1995-96, Roma, novembre 1998.
491 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, Roma
1994.
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375
8.2. Regione Valle d’Aosta
Il riferimento legislativo della Formazione Professionale della Regione Valle
d’Aosta492 è sempre la Legge n. 28 del 5 maggio 1983 Ordinamento della FP in Valle
d’Aosta.
Come abbiamo già osservato, Legge e Sistema formativo molto spesso corrono
parallelamente. La Valle d’Aosta è un esempio di Regione in cui si manifesta questo
fenomeno. La norma del 1983, infatti, cercava di importare in Regione il modello
programmatorio-gestionale presente nelle altre Regioni: forte presenza di Enti, pubblici
e privati, esclusivamente dedicati alla Formazione, come soggetti sia di proposta
sia di realizzazione delle attività.
E la Regione, invece, continua ad utilizzare, per la programmazione e per l’attuazione
degli interventi, il modello tradizionale in cui, da una parte gli Assessorati
segnalano al Servizio di formazione e orientamento professionale (istituito con l’art.
17 della Legge menzionata e posto alle dirette dipendenze della Presidenza della
Giunta) le necessità di interventi formativi connessi alle politiche settoriali di propria
competenza o delle aziende che rientrano nei comparti di propria pertinenza,
dall’altra l’Agenzia del lavoro propone interventi, prevalentemente, a favore dell’offerta
di lavoro.
Gli interventi che entreranno nel Piano annuale sono realizzati o dagli Assessorati
(anche mediante due fondazioni di cui parleremo) o dalle aziende o dall’Agenzia
del lavoro.
Più in particolare l’elaborazione del Piano annuale segue questo iter:
a) il Servizio di formazione e orientamento professionale ripartisce indicativamente
tra gestione convenzionata e diretta e tra gli Assessorati e l’Agenzia del
lavoro le risorse finanziarie – definite dal Piano regionale pluriennale e dai Programmi
operativi degli Obiettivi 3 e 4 del FSE – sulla base del peso relativo dei
differenti settori economici e delle loro prospettive di sviluppo;
b) gli Assessori e l’Agenzia del lavoro presentano al Servizio le loro proposte di
intervento e quelle delle aziende dei settori di loro pertinenza nell’ambito di uno
o più obiettivi fissati dal Programma regionale pluriennale;
c) il Servizio procede alla selezione delle proposte basata su modalità analiticocomparative
e sull’utilizzazione di sistemi di valutazione parametrati.
La selezione si articola in tre fasi successive concettualmente ed operativamente
distinte (cfr. Fig. n. 79):
492 Nel periodo considerato da questo volume in Valle d’Aosta ci sono state due Legislature – parte
della IX (1988-93) e tutta la X (1993-97) – e si sono succeduti 4 giunte, presiedute da Augusto Rollandin
(UV) 1988-1990, Gianno Bondaz (DC) 1990-92, Ilario Lavin (AL) 1992-93 e Dino Vierin (1993-98).
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– verifica di ammissibilità del progetto, che rileva la rispondenza delle attività
progettate agli obiettivi predeterminati; naturalmente, se viene rilevata una
“non-corrispondenza”, il progetto non viene accolto;
– verifica di accettabilità tecnica dei progetti, effettuata sulla base di una griglia di
valutazione che analizza per ciascun progetto variabili relative: a) pertinenza e
rilevanza socio-economica delle motivazioni della richiesta di finanziamento;
b) completezza e correttezza metodologico-formale nella definizione del ruolo
professionale e nella individuazione delle competenze; c) compatibilità delle
competenze da acquisire con la tipologia delle utenze coinvolte anche sotto il
profilo di eventuali prerequisiti richiesti; d) plausibilità dei risultati previsti
(esiti occupazionali degli allievi da qualificare, o implicazioni economico-contrattuali
per le persone occupate da specializzare); e) congruità del programma
didattico-formativo e della durata complessiva dell’intervento rispetto alle competenze
da acquisire; f) adeguatezza del rapporto tra volume di attività del personale
docente e quello del personale non docente; g) ammissibilità ed adeguatezza
delle spese preventivate;
– definizione del grado di priorità di ciascun progetto, nell’ambito di quelli ritenuti
accettabili, mediante l’attribuzione di un punteggio assegnato ad alcune variabili
che connotano il progetto formativo sotto il profilo dell’efficacia (rispondenza
agli obiettivi formativi e tipologia dell’intervento) e dell’efficienza (dimensione
dell’utenza coinvolta ed entità del finanziamento).
Figura n. 79 - Fasi della selezione dei progetti
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377
Da notare che il sistema utilizzato per stabilire la graduatoria non è solo parametrato,
ma anche obiettivo, in quanto utilizza solo indicatori quantitativi.
Per le tre fasi della valutazione la Regione si è dotata di specifiche griglie; per la
presentazione dei progetti ha utilizzato invece un formulario che favorisce l’evidenziazione
dei risultati dell’analisi del fabbisogno e della professionalità, ma che dà
poco rilievo alla programmazione didattico-formativa.
Su questo tema sono da sottolineare i meriti storici della Valle d’Aosta: la Regione,
infatti, non solo è stata la prima ad aver adottato nella valutazione ex ante dei
progetti il sistema parametrato, ma lo ha adottato in un periodo nel quale la cultura
della trasparenza, e quindi la necessità di procedure prescrittive non rappresentava
ancora dei valori e delle istanze condivise e nel quale, comunque, sembrava utopistico
sottrarre la formazione del programma delle attività alla discrezionalità del
soggetto politico, per riservarla esclusivamente alla valutazione tecnica di funzionari
ed esperti.
Abbiamo accennato sopra al fatto che gli Assessorati possono realizzare interventi
formativi anche con Fondazioni. La Regione, infatti, persegue delle formazioni
settoriali, per l’agricoltura e per il turismo, utilizzando due fondazioni493 chiamate
a gestire, contemporaneamente, attività di formazione e di istruzione professionale.
La Tabella 42 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi,
all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il
confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia
per macro settore e comparto professionale.
Nel 1995-96 sono stati programmati 308 corsi, mentre nel 1990-91 solo 192494.
Gli allievi del 1990-91 erano 2.811 e quelli dell’a.f. 1995-96 erano 5.975 pari rispettivamente
al 3,7% e al 7,8% della popolazione in età attiva (15-60 anni)495. Si consideri
la rilevanza di quest’ultimo valore: infatti, realizzando questo volume corsuale
per 5 anni, la metà circa dei residenti in età di lavoro della Valle d’Aosta poteva beneficiare
di una opportunità formativa.
Se si osserva la distribuzione degli interventi per tipologia corsuale è immediato
dedurre che gran parte del maggiore volume corsuale dell’a.f. 1995-96 rispetto al
1990-91 (116 corsi in più) sia stato appannaggio dei corsi di prima qualificazione,
prima qualificazione che nel 1990-91 rappresentava solo il 17% di tutti i corsi pro-
493 La fondazione è un ente costituito da un patrimonio preordinato al perseguimento di un determinato
scopo. È creata dalla persona fisica o giuridica (fondatore) che destina il patrimonio allo scopo;
i fondatori possono essere più d’uno. La disciplina giuridica delle fondazioni è contenuta principalmente
nel Libro I, Titolo II, Capo II del Codice civile.
494 ISFOL (a cura di GHERGO F., RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale - Attività
programmata dalle Regioni nel 1989-91, op. cit., p. 40 e SISTAN (Sistema Statistico Nazionale) e
ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata
dalle Regioni nel 1996-97, op. cit., p. 58.
495 La popolazione in età lavorativa (15-60 anni) ammontava a 75.943 unità nel 1991 e a 76.540
nel 1996. Cfr. ISTAT Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio -
Anni 1992-2001 e Anni 1982-1991.
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grammati mentre nel 1995-96 arriva addirittura al 41%. Notavamo nel II volume496
che negli Anni ’80 la Formazione di base era sottodimensionata rispetto alla media
nazionale. Ora addirittura, considerando che la media nazionale è pari a 34,6%, la
Valle d’Aosta sopravanza il valore nazionale di quasi 6 punti!
Verosimilmente tale nuova situazione è il frutto di un maggior peso riservato
nel Programma annuale alle proposte dell’Agenzia del Lavoro, chiamata ad intercettare
e a rappresentare soprattutto i fabbisogni dell’offerta, giovanile ed adulta.
Il valore relativo raggiunto dalla formazione di prima qualificazione nel 1995-
96 comporta un abbassamento dei valori dei corsi del II livello (che passano dall’8%
al 4%, aumentando il gap con il valore medio nazionale di circa 10 punti) e di quelli
per adulti che subiscono una forte flessione passando dal 71% al 45%.
496 Cfr.Volume II, p. 239.
Tabella n. 42 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
Fonte: ISFOL
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In valori assoluti, invece, le due offerte formative mantengono sostanzialmente
la consistenza dell’inizio decennio: 15 corsi di II livello e 136 per adulti rispetto ai
13 e ai 133 del 1995-96.
Se disaggreghiamo497 i dati grezzi del numero dei corsi della Tabella 42 veniamo
a conoscenza (cfr. Graf. n. 57) che:
– dei 126 corsi di prima qualificazione 14 hanno una durata annuale, 89 biennale
e 23 triennale;
– i 13 percorsi di II livello sono tutti destinati a diplomati e 2 rientarno nella tipologia
delle integrazione;
– la dizione “adulti” mette insieme 18 corsi per disoccupati e 115 per occupati;
– dei 36 “corsi speciali”, 13 sono destinati alle categorie “deboli” e 23 sono previsti
da leggi, nel senso che per esercitare certe attività la legislazione prevede
un apposito percorso formativo.
497 Cfr. Tav. III. 4 in SISTAN (Sistema statistico Nazionale) e ISFOL (a cura di GHERGO F. e
MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1989-
91, op. cit., p. 80.
Rispetto al decennio precedente il dato più rimarchevole è la perdita della centralità
della Formazione per soggetti adulti; fenomeno in controtendenza rispetto
alle altre Regioni dove, proprio in questi anni, si assiste ad un suo rilevante sviluppo.
Per quanto riguarda i macrosettori le variazioni tra il 1990-91 e 1995-96 non riguardano,
per usare un gergo ciclistico, le posizioni di classifica (che vedono in tutti e
due gli anni presi a riferimento il settore industriale precedere quello Terziario ed
Agricolo), quanto l’entità dei distacchi. Nel 1995-96 il volume corsuale programmato
dell’Industria e artigianato con l’81% aveva un differenziale di 24,3 punti sul
Terziario (19%) e di 78 sull’Agricoltura (3%). Nel 1990-91 i divari erano un po’
Grafico n. 57 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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380
meno sensibili: l’Industria con il 56,7% precedeva il Terziario (36%) di 20,7% e l’Agricoltura
di quasi 50 punti. All’interno dei macrosettori si possono notare andamenti
non stabili tra i due anni presi a riferimento: nell’Industria, ad esempio, nel
1990-91 gli interventi programmati più numerosi erano quelli del settore dell’abbigliamento
e calzature con 29 corsi. Nel 1995-96 il primato spetta a quelli del settore
meccanica e metallurgia con 20 interventi. Dinamiche analoghe si verificano nel
terziario: rispetto al 1990-91 il comparto turistico passa da 0 a 13 corsi, la ristorazione
da 9 a 25, i servizi socio-educativi da 4 a 27, l’informatica da 2 a 12 corsi
mentre i trasporti da 14 ad 1. Sempre nel Terziario assistiamo all’esplosione dei
corsi raggruppati sotto la dizione “lavori d’ufficio”: 155 mentre all’inizio del decennio
erano solo 26. Questa area professionale sembra intercettare il maggior numero
dei 129 corsi programmati in più nel 1995-96 rispetto al 1990-91. La spiegazione
più plausibile di questo fenomeno sta nel fatto che i fabbisogni di alcuni settori,
date le ridotte dimensioni del mercato del lavoro valdostano, vengono saturati
nel giro di qualche anno e pertanto è opportuno rivolgere le attenzioni ai fabbisogni
di altri settori ed aree professionali.
La Tabella 43 sulla tipologia di gestione e tipologia di struttura delle sedi formative
ci consegna queste evidenze:
– la Formazione Professionale della Valle d’Aosta, da un punto di vista logistico,
è un Sistema destrutturato. Lo dimostra il rapporto percentuale tra CFP (8,3%)
da una parte e Sedi occasionali (69,4%) e nominali (19,4%) dall’altra;
– la Regione, per la realizzazione delle attività formative si avvale in misura prevalente
di soggetti privati. Lo attesta il rapporto percentuale tra sedi utilizzate
direttamente dalla Regione (19,4%) e da Enti pubblici (19,4%) da una parte, e
sedi utilizzate da soggetti privati dall’altra (61,1%);
Grafico n. 58 - Corsi programmati dalla Valle d’Aosta nell’a.f. 1995-96 per tipologia (valori %;
100 = tot. Corsi)
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381
I tre CFP dell’area pubblica che figurano in tabella sono rispettivamente dell’Agenzia
del Lavoro, della Fondazione Institut Agricole Régional498 e della Fondazione
per la Formazione Professionale turistica499.
498 Il corpus legislativo che riguarda la fondazione è il seguente: Legge regionale 1° giugno 1982, n.
12, Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione
agricola e contributo regionale alla fondazione medesima cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 30 giugno 1982,
n. 7, modificata con: a) Legge regionale 24 agosto 1992, n. 53 Modificazione della legge regionale 1°
giugno 1982, n. 12, concernente “Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola
e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima”; cfr. B.U.R.
VALLE D’AOSTA, 1° settembre 1992, n. 38; b) Legge regionale 22 maggio 1997, n. 18 Modificazioni alla
legge regionale 1° giugno 1982, n. 12 Promozione di una fondazione per la formazione professionale
agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima, già modificata
dalla legge regionale 24 agosto 1992, n. 53. Cfr B.U.R. VALLE D’AOSTA, 3 giugno 1997, n. 25.
Nel 1951 l’Amministrazione Regionale affidava alla Casa Ospitaliera del Gran San Bernardo, tenuta dai
Canonici Regolari della Congregazione Ospedaliera del Gran San Bernardo, l’incarico di fondare e gestire
“L’école pratique d’agriculture”, per fornire conoscenze e competenze pratiche ai giovani destinati
ad essere piccoli imprenditori agricoli. Nel tempo l’ècole cambia la struttura del percorso formativo,
tanto da configurarsi prima come Centro di Formazione Professionale e poi come Istituto professionale:
inizialmente, infatti, il percorso è articolato in tre semestri, poi diventa biennale e infine triennale nell’anno
formativo 1960/1961. Dall’anno 1978/1979 l’ècole assume un piano formativo nuovamente
biennale, con modificazioni tali da consentire la presentazione degli alunni, in qualità di privatisti, presso
Istituti Professionali di Stato ad indirizzo agrario per il conseguimento di un diploma di qualifica.
Nello stesso periodo, l’Amministrazione Regionale affidava all’école l’incarico di svolgere attività di
ricerca e sperimentazione nel settore agronomico, economico, frutticolo, vitivinicolo e zootecnico. Nel
1982, con la legge regionale 1 giugno 1982 n. 12 il patrimonio umano e materiale dell’école pratique
d’agriculture confluisce in una fondazione denominata Institut Agricole Régional. Scopo della fondazione,
recita l’art. 2, “è lo svolgimento, in Valle d’Aosta, di attività di istruzione tecnico-professionale e
di formazione professionale, nonché di ricerca e sperimentazione in campo agricolo, anche in riferimento
alle esigenze di tutela ambientale e di difesa del territorio proprie dell’ambiente di montagna”.
Progressivamente si avvertirà l’esigenza di prolungare il corso di studi (anno scolastico 1993/1994), con
l’attivazione di un corso di studi quinquennale previsto per gli Istituti Professionali statali e con l’iter
per il riconoscimento legale, terminato nel 1997, anno a partire dal quale gli alunni conseguono in sede
il diploma di Agrotecnico. A decorrere dall’anno scolastico 2001/2002 all’Institut Agricole Régional è
stato altresì riconosciuto lo status di scuola paritaria. La stretta connessione tra formazione, ricerca applicata
e collegamento con le aziende agricole valdostane farà raggiungere all’Institut successi considerevoli.
Nei campi di selezione sono allevati molti vitigni autoctoni valdostani, recuperati nelle vecchie
vigne con un paziente lavoro di ricerca. Questo ha consentito la nascita di alcuni tra i grandi vini valdostani.
La Fondazione era finanziata dalle rette degli allievi della Scuola, dai proventi delle attività produttive
e dai contributi regionali, spesso anche di derivazione comunitaria.
499 Il corpus legislativo che riguarda la fondazione è il seguente: Legge regionale 28 giugno 1991,
Tabella n. 43 - Sedi di Formazione nell’anno 1990-91
Fonte: ISFOL
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382
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 59.
Gli stanziamenti più bassi e più alti sono sono quelli del 1991 (18,8 miliardi di lire) e
del 1996 (28,6 miliardi); la media del periodo è pari a 23 miliardi e 65 milioni di lire.
Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97): è di 81,7% superiore alla media italiana
(77,1%).
Nel 1995 la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 293.998
e quella rispetto alla forza lavoro è di 364.383. In entrambi i casi i valori sono superiori
rispetto alla media italiana che si ferma a 93.951 lire e 99.534 lire.
La spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione
è pari all’1,42%. Anche in questo caso superiore alla media nazionale che fa
registrare l’1,39%.
n. 20 Promozione di una fondazione per la formazione professionale turistica, cfr. B.U.R. VALLE
D’AOSTA, 9 luglio 1991, n. 30; modificata da: a) Legge regionale 24 agosto 1992, n. 52 Modificazione
della legge regionale 28 giugno 1991, n 20, concernente: “Promozione di una fondazione per la formazione
professionale turistica”, cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 1 settembre 1992, n. 38; b) Legge regionale
14 gennaio 1994, n. 2 Finanziamenti di spesa nei diversi settori regionali di intervento e rideterminazione
delle autorizzazioni di spesa di leggi regionali in vigore, assunti in coincidenza con l’approvazione
del bilancio di previsione per l’anno finanziario 1994 e pluriennale 1994/1996 (Legge finanziaria
per gli anni 1994/1996), cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 27 gennaio 1994, n. 6; c) Legge regionale
18 gennaio 2001, n. 4 Integrazioni alla legge regionale 28 giugno 1991, n. 20 (Promozione di una fondazione
per la formazione professionale turistica), già modificata dalle leggi regionali 24 agosto 1992,
n. 52 e 14 gennaio 1994, n. 2 cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 30 gennaio 2001, n. 6); d) Legge regionale 28
aprile 2011, n. 7 Modificazioni alla legge regionale 28 giugno 1991, n. 20 (Promozione di una fondazione
per la formazione professionale turistica) cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, del 10 maggio 2011, n. 19.
Nel 1956 ad Etroubles è stata fondata la prima “Scuola alberghiera”. Ospitava a regime convittuale, 25
giovani (solo maschi) per corsi della durata di sei mesi. Attraverso tappe successive le sedi divennero
due, rispettivamente per maschi e femmine, sempre in strutture alberghiere in locazione e per periodi
semestrali. Una svolta decisiva avvenne nell’anno 1973: la durata del percorso venne portata ad un
primo periodo di otto mesi (da ottobre a maggio), seguito da un apprendistato obbligatorio di tre mesi
da compiere esclusivamente in Valle d’Aosta. Successivamente i corsi divennero “modulari” tanto che,
nell’arco del triennio, un giovane poteva frequentare tutte le specializzazioni (cucina, sala-bar, ricevimento).
Nell’anno 1989 viene inaugurata una nuova sede a Châtillon, ideata per 80 allievi, sempre a regime
convittuale. Nel 1991, viene istituita con la L. reg. n. 20 del 28/06/1991 la “Fondazione per la formazione
professionale turistica” di cui fa parte integrante la “Scuola Alberghiera”. La Fondazione, con
il supporto economico della Regione, ha per finalità la realizzazione di attività formative articolate in
corsi di diverso livello e la gestione di percorsi di formazione e riqualificazione rivolte agli operatori
del settore turistico. Nel 2001, con la Legge Regionale n. 4 del 18 gennaio 2001, alla Fondazione verrà
anche riconosciuta la possibilità di svolgere attività di istruzione tecnico-professionale mediante l’istituzione
e la gestione di corsi di studi quinquennali ad indirizzo turistico-alberghiero in armonia con la
normativa vigente in materia. Nasce così l’Istituto Professionale Regionale Alberghiero, anch’esso a
regime convittuale Sempre nel 2001, con L. reg. n. 7, la Fondazione diventerà di totale proprietà regionale.
Nel 2001, con la Legge Regionale n. 4 del 18 gennaio 2001, alla Fondazione verrà anche riconosciuta
la possibilità di svolgere attività di istruzione tecnico-professionale mediante l’istituzione e la
gestione di corsi di studi quinquennali ad indirizzo turistico-alberghiero in armonia con la normativa
vigente in materia. Nasce così l’Istituto Professionale Regionale Alberghiero, anch’esso a regime convittuale.
Sempre nel 2001, con L. reg. n. 7, la Fondazione diventerà di totale proprietà regionale.
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In una ipotetica classifica regionale rispetto a questi tre valori la Valle d’Aosta
si pone nella parte alta, rispettivamente al secondo posto per la spesa per abitante, al
terzo per quella rispetto alla forza lavoro, al tredicesimo per la spesa del settore rispetto
al totale della spesa regionale.
Grafico n. 59 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
Fonte: ISFOL
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384
8.3. Regione Piemonte
Le connotazioni generali del Sistema formativo piemontese degli Anni ’80500, in
larga misura, sono rintracciabili anche nel decennio successivo: assetto organizzativo
strutturato, peso consistente degli Enti storici, distribuzione geografica dei CFP
abbastanza correlata alla struttura e alle vocazioni produttive locali, una cultura e
una prassi della valutazione consolidati501.
L’evento più rilevante degli Anni ’90 è l’adozione di una nuova Legge organica
regionale, che sostituisce quella del 1980. Infatti, nel 1995, il Consiglio approva la
L. reg. n. 63 Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale,
che subirà numerose modifiche nel corso degli anni; modifiche che non incideranno,
però, nella struttura portante del provvedimento502. Le caratteristiche della nuova
normativa possono essere rintracciate:
– sotto un profilo formale, nella declaratoria dei criteri-valori adottati per la programmazione-
gestione del Sistema (organicità, progettualità, delega, flessibilità,
continuità, concertazione, pluralismo, integrazione);
– sotto un profilo sostanziale, nella perimetrazione delle competenze (tra Regione
e Province), e nella promozione di interazioni e collaborazioni tra soggetti istituzionali
(mediante intese, accordi di programma e convenzioni quadro con il
500 Cfr. vol. II, p. 245.
501 I presidenti della giunta regionale, dal 1970 al 1999, erano eletti dal consiglio regionale. In seguito
alla Riforma del 1999, l’elezione del Presidente della Regione avviene per suffragio universale e
diretto. L’elenco dei Presidenti vede: a) per la V Legislatura: Gian Paolo Brizio (DC) guida dal 25 luglio
1990 al 22 febbraio1994 un pentapartito (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI; assessore alla Formazione Professionale
il DC Cerchio). Gli succede Sergio Marchisio (PLI) che il 22 febbraio viene eletto Presidente,
ma si dimette subito perché la sua Giunta non ottiene la fiducia. Ritorna Brizio, dal 25 febbraio
1994 al 7 giugno 1994 alla guida di “un governo tecnico e istituzionale” e dal 7 giugno 1994 al 8
marzo1995 un governo appoggiato da DC, PCI-PDS, Socialisti, Verdi, Indipendenti socialisti, Pensionati,
Laburisti, Antiproibizionisti (Assessore con delega alla Formazione Professionale il PCI-DS Luciano
Marengo); per la VI legislatura Enzo Ghigo (F. I. dal 23 aprile 1995- 15 aprile 2000 a capo di una
Giunta di Centrodestra).
502 Legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 Disciplina delle attività di formazione e orientamento
professionale, cfr. B.U. 19 aprile 1995, suppl. al n. 16; modificata da: a) Legge regionale n. 88 del 19
dicembre 1995 Proroga dell’entrata in vigore di alcune norme della legge regionale 13 aprile 1995, n.
63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’ cfr. B.U. 27 Dicembre 1995,
n. 52; b) Legge regionale n. 21 del 30 aprile 1996 Modificazione dell’articolo 22 della legge regionale
13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’; cfr. B.U.
08 Maggio 1996, n. 19; c) Legge regionale n. 36 del 3 luglio 1996 Modifiche ed integrazioni alla legge
regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’
cfr. B.U. 10 Luglio 1996, n. 28; d) Legge regionale n. 34 del 17 giugno 1997 Modifiche alla legge regionale
13 aprile 1995, n. 63 (Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale) cfr.
B.U. 25 Giugno 1997, n. 25; d) Legge regionale n. 44 del 4 agosto 1997 Sostituzione dell’ articolo 25
bis della legge regionale 25 febbraio 1980, n. 8 (Disciplina delle attività di Formazione Professionale),
richiamato in vigore dall’articolo 2 della legge regionale 3 luglio 1996, n. 36 (Modifiche ed integrazioni
alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento
professionale’) cfr. B.U. 13 Agosto 1997, n. 32.
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385
Ministero della Pubblica Istruzione e gli organi periferici da esso dipendenti o
collegati) e tra soggetti funzionali (collaborazione e consorziamento tra le
Agenzie formative);
– nella rilevanza del tema della valutazione (a cui la Legge dedica l’intero titolo
IV), per cui vengono previsti due soggetti e due documenti specifici: a) il Comitato
guida per la qualità elabora un Piano regionale per la qualità (cfr. Fig. n.
80) che definisce requisiti e standard – di progetti, azioni, processi, strutture e
operatori – sulla base dei quali si realizza la valutazione in tutte le sue fasi temporali:
preventiva (con finalità di selezione-accertamento di prerequisiti), in
corso di attuazione (con finalità di monitoraggio e vigilanza); successiva immediata
(con finalità di verifica); successiva di medio periodo (con finalità di valutazione
di impatto); b) il Nucleo regionale di valutazione verifica annualmente
il raggiungimento degli obiettivi contenuti nel Piano regionale per la qualità e
realizza un Rapporto triennale sullo stato del Sistema di Formazione e Orientamento
professionale.
Nell’ambito dell’attività di valutazione di qualità un ruolo centrale è rivestito
dalla misurazione e valutazione dei risultati formativi e dalla loro certificazione.
Il processo programmatorio si concretizza in due documenti:
– il Programma triennale delle azioni di Formazione e Orientamento professionale,
che indica gli obiettivi e la strategia dell’intervento regionale, nell’ambito
delle indicazioni definite dall’Unione europea e dalle Autorità nazionali, e le ri-
Figura n. 80 - Piani regionali per la qualità (L. reg. Piemonte n. 63/95 art. 11)
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386
sorse che si prevede di destinare, in base agli stanziamenti del bilancio pluriennale
della Regione503;
– le direttive annuali che determinano le modalità attuative del programma triennale
(cfr. Prosp. n. 41). Sono approvate dalla Giunta Regionale su proposta del
Segretariato per la formazione e l’orientamento professionale (presieduto dall’Assessore
è composto dal responsabile del Settore Formazione Professionale
della Regione e da esperti in rappresentanza delle associazioni dei datori di lavoro
e delle organizzazioni dei lavoratori), una volta acquisito il parere delle
Province tramite apposite conferenze di servizio.
503 Esso pertanto contiene: a) la stima dei fabbisogni di Formazione Professionale; b) gli obiettivi
specifici da conseguire con riferimento alle peculiarità presenti nei diversi contesti territoriali e all’andamento
dei diversi comparti economico-produttivi; c) gli orientamenti generali ai quali deve ispirarsi la
programmazione didattica e i criteri per la formulazione dei progetti di formazione e di ricerca; d) gli
indirizzi dell’attività di ricerca e sperimentazione; e) i criteri con i quali la Regione sostiene l’attività degli
Enti gestori; f) i criteri di priorità per gli investimenti finalizzati allo sviluppo delle risorse professionali
del sistema e all’adeguamento e allo sviluppo delle dotazioni tecnologiche dei Centri di Formazione
Professionale e delle sedi formative; g) i criteri per la valutazione e certificazione delle azioni di formazione
e orientamento professionale; h) i criteri per la ripartizione e l’impiego delle risorse finanziarie,
comprensive dei fondi comunitari, nazionali e propri, in relazione agli obiettivi indicati; i) i criteri per la
implementazione e gestione del sistema informativo regionale in materia di formazione e orientamento
professionale. Il programma triennale indica anche le attività formative che, previste in leggi specifiche
o direttamente connesse a politiche settoriali regionali, sono gestite dagli Assessorati titolari delle relative
competenze.
Figura n. 81 - Piano annuale (L. reg. Piemonte n. 63/95 art. 19)
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387
È un nuovo paradigma programmatorio quello proposto dalla L. reg. n. 637/95.
Prima la sequenza prevedeva: Piano pluriennale (a carattere strategico), Proposta
di attività (avanzata dai soggetti attuatori), valutazione “discrezionale” delle
proposte e Piano Annuale (contiene l’elenco delle proposte accolte). Ora, invece, si
articola in Piano pluriennale, Direttive, Bandi o Avvisi pubblici, Presentazione Progetti,
Valutazione comparativa “obiettiva” delle Proposte.
Nuovo paradigma anche nei rapporti tra Regione e soggetti delegati. Nella L.
reg. n. 8/80 soggetti di delega erano i Consorzi dei Comuni, ora le Province. Nella
Prospetto n. 41 - Struttura delle Direttive annuali
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388
vecchia normativa l’oggetto delegato riguardava “le funzioni amministrative” (cioè
funzioni amministrative strictu sensu e quelle attuative); in altri termine era “l’intero
sistema formativo” ad essere delegato. Ora, invece, i rapporti sono definiti secondo
schemi più complessi: spetta alla Regione la funzione di governo (che si esprime,
soprattutto, nella definizione dei Programmi pluriennali e direttive annuali, dei criteri
e delle modalità di attuazione del sistema di valutazione e monitoraggio, degli
standard formativi e delle modalità di certificazione degli esiti formativi) e la funzione
di vigilanza e controllo. La Provincia, invece, concorre a questa funzione di
governo nel processo di programmazione (individuando i fabbisogni formativi e formulando
proposte e pareri obbligatori sui Programmi triennali e sulle Direttive annuali);
inoltre, si occupa dell’approvazione e vigilanza sui c.d. corsi liberi e del coordinamento
delle azioni di orientamento professionale e scolastico in collaborazione
con gli organi della Pubblica Istruzione.
Per quanto riguarda la rilevazione dei fabbisogni professionali e formativi dal
1995 vige una convenzione tra l’Assessorato alla Formazione Professionale regionale
e le Province; in base alla quale spetta alla Regione, mediante il Segretariato per
la Formazione Professionale e l’orientamento professionale il ruolo di coordinamento.
Tale coordinamento si espime nella definizione delle specifiche tecniche per
rendere omogenei i criteri di raccolta delle informazioni effettuata dalle Province
con proprie modalità. L’approccio metodologico adottato è quello del «modello
Spin»504.
E i Centri Regionali di Formazione Professionale? L’art. 15 della L. reg. n.
63/95 prevede:
“La Regione promuove la costituzione di società consortili senza scopo di lucro composte
in forma congiunta da Enti pubblici e soggetti privati a livello locale, cui affidare la gestione
dei propri centri di Formazione Professionale”.
E al personale di ruolo, che opera presso i Centri di Formazione Professionale, è
assicurata la facoltà di opzione, tra la permanenza alle dipendenze della Regione ed
il trasferimento alle dipendenze delle società consortili citate505.
La titolarità dei Centri regionali rimane alla Regione fino alla costituzione delle
società consortili o come stabilisce la L. reg. n. 36/96, non oltre il 31 agosto 1998506.
504 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1996, op. cit., p. 185.
505 “Il personale che opta per la permanenza alle dipendenze della Regione viene collocato in un
ruolo organico ad esaurimento ed è assegnato funzionalmente alle società citate, fatti salvi i diritti alla
mobilità interna e al trattamento giuridico, economico, previdenziale e pensionistico riconosciuti alla
generalità dei dipendenti dell’Ente Regione. Il personale medesimo può altresì essere trasferito alle
Province, in applicazione dell’articolo 10, comma 3. Il personale che opta per il trasferimento alle dipendenze
delle societa’ consortili, continua a rimanere in servizio presso la Regione fino alla data del
trasferimento conservando fino a tale data lo stato giuridico ed economico di dipendente regionale”.
506 Un’altra L. reg., la 13/98 Modifica alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle
attività di formazione e orientamento professionale’, come da ultimo modificata dalla legge regionale
4 agosto 1997, n. 44, (cfr. B.U. 27 Maggio 1998, n. 21), garantisce il completamento delle attività formative
di durata biennale iniziate nell’anno formativo 1998/1999.
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389
A parte questa rilevantissima novità che sopprime la forma gestionale con cui
avevano operato prima lo Stato, attraverso i suoi Enti nazionali (Enalc, Inali, Iniasa),
e poi la Regione, la normativa della L. reg. n. 63/95 sui soggetti attuatori, o meglio
sulle Agenzie formative, come le chiama, sostanzialmente non si discosta dalla L. n.
845/78.
Le tipologie di soggetti sono quelle previste dalla Legge quadro: a) Enti pubblici
che svolgano attività di Formazione Professionale; b) Enti senza fini di lucro
che siano emanazione o delle organizzazioni democratiche e nazionali dei lavoratori
dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, del movimento cooperativo,
o di associazioni con finalità statutarie formative e sociali; c) consorzi e società consortili
con partecipazione pubblica, (che abbiamo precedentemente considerato);
d) imprese e loro consorzi (cfr. Fig. n. 82).
Ciò che c’è di singolare nella Legge piemontese e che non si trova in altre normative
regionali è la dichiarazione dell’assoluta parità tra soggetti pubblici e soggetti
privati:
“Nessun ente pubblico o privato può vantare verso la Regione posizioni di privilegio o
preferenza per l’attuazione della politica regionale di Formazione Professionale. Il principio
del pluralismo, inteso come molteplicità dei soggetti attuatori e diversità di proposte
formative è una connotazione essenziale del sistema di Formazione Professionale”.
Ciò che determinerà la differenza e farà sì che sia preferito un soggetto, pubblico
o privato, sarà la valutazione di ogni singola proposta riferita ad ogni singolo
progetto formativo507.
Nel corso del decennio progressivamente si arriva a modelli di valutazione per
la selezione dei progetti formativi, fortemente strutturati508. Modelli diversi perché
diverse sono le tipologie di progetto che possono riguardare: a) azioni formative
per l’occupazione; b) azioni formative per specifiche occasioni di occupazione;
c) azioni formative per occupati.
Rientrano nella prima tipologia le azioni formative e orientative seguenti:
– Corsi di Formazione Professionale finalizzati al mercato del lavoro.
– Corsi pluriennali di I livello (post obbligo scolastico).
– Percorsi integrati post qualifica con gli Istituti Professionali di Stato (terza area
regionale di professionalizzazione).
– Percorsi integrati post diploma con gli Istituti Tecnici di Stato (ITS) o con gli
Istituti Professionali di Stato (IPS).
507 In applicazione della L. reg. 27/94, entro 60 giorni dalla data di presentazione, il Settore Formazione
Professionale invia agli operatori che hanno presentato domanda, la comunicazione di avvio del
relativo procedimento di istruttoria. La comunicazione indicherà l’ufficio responsabile del procedimento,
le modalità di informazione e di visione degli atti connessi e i termini di presentazione di eventuali
documenti integrativi e di conclusione del procedimento.
508 Regione Piemonte Direzione Formazione Professionale - Lavoro Direttiva annuale sulla
Formazione Professionale finalizzata alla lotta contro la disoccupazione (Mercato del Lavoro) Anno
Formativo 1998-99.
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Figura n. 82 - Agenzie formative (L. reg. Piemonte n. 63/95 art. 11)
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– Rientri Formativi con gli ITS.
– Progetti sperimentali o di interesse regionale.
– Corsi di Formazione Professionale permanente.
Le azioni orientative509, legate a specifiche metodologie sono Orientamento Retravailler
e orientamento che prevede l’utilizzo dello strumento Bilancio delle competenze510.
Invece, rientrano nella seconda tipologia le azioni formative per disoccupati
previste dall’asse 3 Lotta alla disoccupazione511 e all’asse 5b Promozione delle zone
a economia rurale512 del FSE 1993-99. Rientrano nella terza tipologia le azioni formative513
per occupati previste da alcuni assi e sub-assi dell’Ob.2 Riconversione
delle regioni gravemente colpite dal declino industriale 514, dell’Ob. 4 Adattamento
delle competenze dei lavoratori e delle lavoratrici ai mutamenti industriali e all’evoluzione
dei sistemi di produzione515 e dell’Ob. 5b516, destinate a lavoratori impie-
509 La durata di ognuna delle azioni di orientamento non dovrà essere inferiore a 20 ore o superiore
a 100 ore. Le azioni di orientamento dovranno essere strettamente collegate ad interventi formativi e/o
di stage della durata di almeno tre mesi.
510 Il bilancio delle competenze è un percorso finalizzato alla migliore conoscenza e valorizzazione
delle proprie risorse. Consente all’individuo di: conoscere e diventare consapevole delle proprie
risorse personali per potersi orientare e gestire nella proprie scelte professionali; aumentare la fiducia
in se stesso e potenziare l’autostima; narrare la propria storia per mettere in luce esperienze di vita,
competenze acquisite, capacità inespresse, sogni da realizzare e aspirazioni spesso sconosciute allo
stesso soggetto.
511 Asse che prevede azioni destinate a: a) disoccupati adulti sopra i 25 anni con titolo di studio
inadeguato, b) disoccupati giovani, sotto i 32 anni già assunti con CFL, sotto i 25 anni con qualifica o
diploma, sotto i 27 anni laureati c) donne disoccupate: senza titolo di studio, che intendendono reinserirsi
nel mercato del lavoro, con titolo di studio inadeguato.
512 Asse che prevede azioni destinate a disoccupati del settore agricolo, artigianato e PMI, turistico,
ambientale.
513 Queste azioni formative sono realizzabili con 2 modalità : a) mediante un corso di formazione
strutturato per gruppi di allievi con caratteristiche omogenee, comprensivo di progetto didattico ed operativo,
indicazione preventiva di strutture e strumenti, sistema di verifica dei risultati; tale modalità è denominata
“corso strutturato”; b) mediante un percorso formativo destrutturato, a carattere individuale,
comprensivo di progetto di massima, previsione temporale ed organizzativa di esecuzione, sistema di rilevazione
in itinere dello sviluppo del percorso; modalità denominata “percorso individuale”.
514 Asse 1 - “Sviluppo e rafforzamento del tessuto delle piccole e medie imprese”: Subasse 1 -
“Formazione per occupati”; Asse 2 - “Turismo”: Subasse 1 - “Formazione per occupati”; Asse 3 -
“Promozione e diffusione dell’innovazione tecnologica nelle P.M.I.”; Subasse 1 - “Formazione per occupati”
;Asse 4 - “Ambiente”: Subasse 1 - “Formazione per occupati”;Asse 7 - “Valorizzazione delle
risorse umane” Subasse 1 - “Riqualificazione della grande impresa”; Subasse 2 - “Riqualificazione
degli Enti pubblici economici”.
515 Asse 1 - “Anticipazione e attività di supporto alla programmazione”: Subasse 1 - “Interventi
formativi”;Asse 2 - “Interventi di accompagnamento / adeguamento delle risorse umane in relazione ai
mutamenti strutturali del sistema economico - produttivo”: Subasse 1 - “Interventi in aree di occupazione
critica”; Subasse 2 - “Sviluppo delle competenze dei lavoratori e dei responsabili delle PMI”.
516 Asse 1 - “Formazione Professionale nel settore agricolo”: Subasse 2 - “Formazione per occupati”;
Asse 2 - “Formazione Professionale nel settore artigiano e della PMI”: Subasse 2 - “Formazione
per occupati delle piccole e medie imprese”; Asse 3 - “Formazione Professionale nel settore turistico”:
Subasse 2 - “Formazione per occupati”; Asse 4 - “Formazione Professionale nel settore ambientale”:
Subasse 2 - “Formazione per occupati”.
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392
gati in ruoli esecutivi e/o privi di livelli di qualificazione di base, lavoratori impiegati
in ruoli di responsabilità e/o funzioni specialistiche, quadri e dirigenti, agenti517,
titolari e amministratori di piccole e medie imprese, inclusi i coadiuvanti, operatori
di organismi di formazione, funzionari e operatori di organismi rappresentativi delle
parti sociali, lavoratori posti in cassa integrazione guadagni ordinaria.
Torniamo ai modelli di valutazione per la scelta dei progetti da finanziare e passiamo
ad esaminare quello utilizzato dalla Regione Piemonte per la valutazione ex
ante dei progetti relativi alla prima delle tre tipologie considerate: azioni formative
per l’occupazione (cfr. Prosp. n. 42).
I criteri di valutazione sono raggruppati in cinque classi:
– due classi riguardano il soggetto che propone l’azione formativa; il soggetto
verrà giudicato sulle attività pregresse (max 270 punti) relativamente agli esiti
occupazionali conseguiti, alla capacità di realizzazione dimostrata e alla mancanza
di irregolarità amministrativo-contabili e sull’adeguatezza della struttura
e delle dotazioni (180 punti);
– tre classi riguardano il progetto, che viene valutato per la congruenza (260
punti) tra profilo professionale e contenuti, strumenti e modalità attuative, per la
rispondenza (200 punti) ai fabbisogni formativi rilevati dalla Regione o segnalati
dalle aziende o connessi a delle priorità predefinite, per la innovazione nelle
strategie e metodologie formative (90 punti).
517 Sotto la dizione “Agenti” si intendono compresi i lavoratori sotto elencati, nei confronti dei quali
l’operatore proponente abbia stipulato un contratto nelle forme previste dalle rispettive norme legislative
di riferimento: agenti di commercio e/o rappresentanti, agenti di affari in mediazione, agenti di assicurazione
e broker, agenti di prodotti finanziari.
Prospetto n. 42 - Quadro sinottico dei criteri per la valutazione finalizzata alla selezione dei progetti
formativi
(Segue)
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393
518 Il punteggio di questo criterio (G1) sarà azzerato in presenza di corsi che non richiedono l’utilizzo
di strumenti e il suo valore sarà ripartito percentualmente fra i criteri F e H.
I punteggi riferiti ai criteri sono assegnati mediante elaborazione informatizzata
di dati certificati e già in possesso dell’Amministrazione regionale; i punteggi riferiti
ai restanti criteri sono assegnati a seguito di esame di merito.
Non sono in ogni caso da considerarsi finanziabili attività formative che abbiano
ottenuto un punteggio inferiore a 400 punti.
Lo schema di valutazione esaminato costituisce una sorta di modello paradigmatico;
nel senso che i modelli utilizzati per le altre tipologie rappresentano delle
declinazioni, degli adattamenti, delle contestualizzazioni di questo modello base.
La Regione ha provveduto ad una sistematica opera di standardizzazione dei
percorsi formativi al termine dei quali si possono conseguire 6 tipi di certificazione:
(Segue)
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394
frequenza, frequenza con profitto, qualifica, specializzazione, abilitazione professionale,
patente di mestiere.
Le direttive del 1997-98 contengono un primo elenco di qualifiche e specializzazioni,
distribuite in 6 settori: industria, artigianato, terziario, socio-sanitario e pubblica
amministrazione, turistico-alberghiero, agricoltura. Ciascun settore si articola
in comparti, all’interno dei quali si collocano le denominazioni e la durata oraria
delle qualifiche e delle specializzazioni, che a loro volta possono avere uno o più indirizzi
(cfr. Prosp. n. 43). Le Direttive contengono anche:
– l’elenco delle qualifiche/specializzazioni e relativi indirizzi ancora in sperimentazione.
Le qualifiche/specializzazioni, in fase di valutazione, entreranno a far
parte del primo elenco, una volta validate519;
519 Settore Industria: A) comparto metalmeccanico manutentore stampi per materie plastiche, operatore
di saldocarpenteria leggera (1100 qu), tecnico sicurezza e qualità del prodotto (1000 sp) operatore
di saldatura/sistemi mig-mag, carpenteria, elettrodo rivestito, tig, disegnatore meccanico/01 con sistemi
cad, particolarista, meccanico generico (1000 - 1200 qu) operatore collaudo e controllo (600 qu),
tecnico di stampi per lamiere (600 sp); B) comparto elettromeccanico addetto manutenzione impianti
elettrici industriali e plc (800 qu) impianti elettrici civili, cablatore impianti industriali (1200 qu), montatore
cablatore di impianti frigoriferi (600 qu) operatore su impianti elettrici L. 46/90, installatore (2400
qu)/impianti telefonici, tecnico installatore (1200 sp) impianti di automazione civile, impianti telefonici;
C) comparto elettronico tecnico sistemi elettronici, tecnico trattamento segnali analogico digitali, tecnico
sistemi radiomobili (500 sp)/periferiche hardware e firmware, operatore sistemi di telecomunicazione
(600 SP); D) comparto abbigliamento tecnico dell’abbigliamento (800 - 1200 sp)/modellista cad,
modellistica industriale, costumistica teatrale, operatore delle confezioni (600 - 1200 qu)/riparatore, cucitore,
biancheria intima, confezioni per bambini; E) comparto grafico: tecnico di editoria per la stampa
(500 sp), tecnico di produzione editoria multimediale (1000 sp); F) comparto informatica industriale:
tecnico progettista con sistemi cad (1200 sp), edile-architettonico, industrial design, stampi; G) comparto
automazione industriale: tecnico progettista di impianti automatici (1200 sp), operatore impianti automatici
(300 sp) per linee di produzione e controllo di qualita, per magazzini automatizzati, operatore
meccanico (400 - 600 sp)/con sistemi cad-cat, con sistemi cad-cam, sistemi flessibili di produzione; H)
comparto edilizio costruzioni: muratore strutturista (2400 qu), operatore di cantiere, tecnico d’impresa
edile, tecnico procedure edilizie italiane e francesi, costruttore installatore di componenti architettonici
(1200 qu)/serramenti in alluminio; I) comparto alimentare: tecnico lattiero caseario (1200 sp); L) comparto
energetico tecnico ambiente energia e sicurezza (1000 sp)/auditing e normative, cicli produttivi e
riutilizzo materiali; M) comparto collaudo e controllo qualità: tecnico del sistema di qualità (1000 sp),
tecnico collaudo e controllo qualità (1100 sp), tecnico della programmazione e del controllo di qualità
(1000 sp); N) comparto abbigliamento: operatore moda (1200 sp), stilista (500 sp); O) comparto edilizio
costruzioni: restauratore edile, muratore strutturista (2400 qu), operaio edile (1200 qu), operatore del
colore e arredo urbano (1200 qu); P) comparto legno e affini: addetto manutenzione manufatti lignei antichi
(2400 qu), operatore manutenzione manufatti lignei antichi (800 sp), falegname (2400 qu)/ebanista,
ebanista intagliatore, mobiliere, restauratore arredo ligneo; P) comparto alimentare: pasticciere (1000
qu); Q) comparto artistico e tipico: tecnico orologiaio (1200 qu)/riparatore, tappezziere in stoffa; R)
comparto servizi: manutentore generico civile (1200 qu), installatore manutentore (1200 qu)/impianti
idraulici civili, impianti di refrigerazione, montatore manutentore di sistemi videotecnici (1200 sp) manutentore
di elettronica automobilistica (1200 sp). Settore Terziario: A) comparto servizi amministrativi:
tecnico gestione commesse aziendali, operatore su macchine/elettroniche e computerizzate (600 qu),
tecnico contabile analista e fiscale (600 sp), tecnico gestione aziendale (600 sp)/contabilità, bilancio e
controllo, commercio internazionale, creazione d’impresa, impresa cooperativa, sistemi informativi,
analisi e intermediazione finanziaria, contabilità generale, ufficio commerciale, marketing e vendite,
tecnico gestione dell’impresa edile (400 sp), operatore settore assicurativo (600 sp)/produttore; B) comstoriaFORMAZ3-
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395
– l’elenco delle denominazioni per cui è previsto l’attestato di frequenza520;
parto servizi di informatica gestionale: tecnico di produzione elettronica testi e stenotipia michela (1200
sp), operatore d’ufficio automatizzato (1000 - 1200 qu), tecnico gestione aziendale informatizzata (1000
sp)/(la qualifica è standard, i seguenti indirizzi non sono standard contabilità industriale, analisi finanziaria,
pianificazione e controllo, marketing, agenzia viaggi, tecnico linguaggio di programmazione
(300 sp) 01 c/cobol, pascal, progettista software (2400 sp)/applicativi gestionali, di sistema, su sistemi
telematici, applicativi, interfacce grafiche, sistemi distribuiti, sistemi informativi aziendali, di sistema
ed applicativi distribuiti, elaborazione interfacce grafiche bi e tridimensionali; C) comparto servizi ambientali
tecnico certificazione qualità agroalimentare (1200 sp), tecnico normative ambientali (400 sp),
tecnico in sistemi informativi territoriali (1000 sp); D) comparto servizi commerciali: tecnico marketing
e comunicazione (1000 sp) operatore marketing e comunicazione (600 qu), tecnico sviluppo relazioni
commerciali internazionali (1000 sp), tecnico vendita mercato estero (1000 sp)/area francese, area inglese,
segretario direzione commerciale (600 sp), redattore tecnico professionale (500 sp), tecnico pubbliche
relazioni e ufficio stampa (1000 sp) arrangiamento e programmazione musicale; F) comparto della
cultura, comunicazione, informazione: tecnico organizzazione meetings e congressi (1000 sp); G)
comparto servizi grafici e multimediale: tecnico di computer graphics (1000 sp)/disegno e animazione,
tecnico di archiviazione multimediale (900 sp). Settore Socio Sanitario e Pubblica Amministrazione: A)
comparto servizi amministrativi: esperto in diritto nella pubblica amministrazione informatizzata (2400
sp), operatore pubblica amministrazione (600 sp)/contabilità stato ed enti locali; B) comparto attività
educative e culturali: tecnico per il rilievo grafico e fotografico dei beni (800 sp)/architettonici, artistici,
storici, archeologici; C) comparto attività di erogazione servizi sanitari: meccanici ortopedici ernisti
(1500 qu), tecnico delle apparecchiature biomediche (1400 sp); D) comparto attività di erogazione di
servizi socioassistenziali: animatore professionale (2400 sp) D.C.R. 31/7/95 n. 17 - educatore prima infanzia
art. 17 L.r. 3/73; art. 1 L.r. 16/80 e D.G.R. conseguenti. Settore Turistico Alberghiero: A) comparto
attività turistiche: tecnico di agenzia viaggi (1200 sp); B) comparto servizi ristorazione: tecnico
gestione ristorazione collettiva (800 sp). Settore Agricoltura: A) comparto colture e giardinaggio: operatore
di giardinaggio (500 qu)/floricoltura, ortocoltura, frutticoltura, operatore agricolo (450-600
qu)/ortofrutticoltura biologica, vivaista, vivaista (800 sp), addetto garden center (800 sp), operatore addetto
alla sistemazione e manutenzione delle aree verdi (600 qu); B) comparto agroalimentare: tecnico
gestione sistemi agricoli integrati (900 sp), operatore controllo di qualità (600 sp)/processi agroindustriali,
ambiente e alimenti; C) comparto forestazione: operatore valorizzazione risorse territoriali (600
sp)/agricole collinari, forestali e montane. Settore Commercio: A) comparto piccola distribuzione: commesso
addetto alle vendite (1200 qu)/vetrinista, addetto vendite (400 - 600 qu)/piccola distribuzione; B)
comparto grande distribuzione: addetto vendite (400 - 600 qu)/grande distribuzione, operatore distribuzione
commerciale (400 qu), aiuto banconiere (600 qu)/spaccio carne.
520 Preparazione al lavoro/01 pasticceria, 02 gelateria, 03 acconciatura, 04 tintostireria, 05 vendita,
06 servizi di agenzia, 07 elettromeccanica , 08 meccanica, 09 serramentistica, 10 macchine tessili, 11
restauro in legno, 12 lavorazione legno, 13 florovivaismo, 14 modellistica in legno, 15 motoristica, 16
carrozzeria, 17 riparazioni auto, 18 servizi alberghieri, 19 maglieria, 20 abbigliamento, 21 lattoniere,
22 gommista, 23 elettrauto, 24 riparazioni auto cicli motocicli, 25 tappezzeria, 26 carpenteria, 27 manutenzione
civile, 28 installazione impianti elettrici, 29 banco bar e tavola fredda, 30 serigrafia - tipografia,
31 idraulica, 32 avicoltura, 33 decorazione ambienti, 34 servizi domestici, 35 macchine utensili,
36 panificazione, 37 manutenzione elettroidraulica, 38 pulizie industriali, 39 montaggio componenti,
40 servizi alla distribuzione, 42 confezioni, 43 servizi di ristorazione orientamento retravailler; conduzione
di gru/primo modulo; restauro edile/primo modulo; operai edili in c.f.l.; gestione d’ufficio amministrativo
di impresa edile, paghe e contributi, posa in opera piastrelle ceramica/primo modulo, alto
perfezionamento musicale/01 viola, 02 violoncello, 03 contrabbasso, 04 pianoforte, 05 violino, 06
corno, 07 tromba, 08 percussioni, 09 flauto, 10 fagotto, 11 clarinetto, 12 oboe, introduzione al
cad/3d/cam, 2d, conduzione/01 macchine utensili a c.n., 02 di robot, 03 di sistemi cam, 04 di impianti
automatizzati; automazione di base; gestione della produzione; elementi operativi/01 alle m.u., 02 alle
m.u. a c.n., 03 di officina meccanica, 04 di p.l.c., 05 linee di produzione; fondamenti di costruzioni
meccaniche/01 serramentistica, 02 carpenteria, 03 saldatura, 04 montaggio macchine, 05 saldatura
tubi; meccanica di base; fondamenti di manutenzione; elementi di costruzione e manutenzione arredo
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396
– l’elenco dei moduli standard521;
– l’elenco delle denominazioni dei corsi di preparazione alle patenti di mestiere522;
– l’elenco delle attività di formazione per portatori di handicap (lieve medio e
medio grave)523 e per l’integrazione di portatori di handicap lieve e medio-lieve
nei corsi ordinari524.
urbano; metodologia controllo qualità meccanica; strumenti per la qualità aziendale; gestione qualità
aziendale; elementi lavorazione legno; installazione impianti/01 elettrici civili, 02 telefonici interni;
aggiornamento tecniche lavorazione carni suine; saldatura/01 elettrica, 02 mig – mag, 03 tig; controlli
non distruttivi; fondamenti degli impianti elettrici/01 civili, 02 industriali; manutenzione degli impianti
elettrici/01 civili, 02 industriali, manutenzione civile/01 impianti idraulici, termoidraulica, elettronica
di base (componentistica relativa), aggiornamento tecnologico/01 settore tessile, 02 controllo e garanzia
della qualità, 03 elettronica aggiornamento nel ruolo/01 assistente capo reparto,confezioni/01
modellismo su computer, tecniche di editoria elettronica per la stampa, tecnologie cad/01 elettrico, 02
edile, 03 modellazione solida e rendering, 05 meccanico, 06 architettonico, 07 2d; tecnologie meccaniche/
01 con sistemi cad-cat, 02 con sistemi cad-cam, 04 con sistemi a c.n.; presentazione dinamica di
modelli/01 3d studio; progettazione meccanica/01 con sistemi cad; manutenzione impianti/01 automatizzati,
02 p.l.c.; tecnologie per sistemi con p.l.c.; tecnologie per impianti elettropneumatici; introduzione
al sistema di qualità/01 piccola media impresa, programmazione/01 di m.u. a c.n., 02 software
p.l.c.; elettronica auto; manutenzione di bruciatori; taglio cucito/01 costumista tradizionale; tappezzeria
mobili antichi; schedatura tessili antichi; manutenzione impianti ascensori e montacarichi; montaggio
e riparazione di biciclette; aggiornamento sul restauro di orologeria storica; tecniche settore assicurativo/
01 produzione, lingua inglese/01 livello base. 02 livello avanzato, 03 tecnico; aggiornamento
/ 01amministrativo, 02 tecnico commerciale, 03 diritto del lavoro, 04 linguistico, 05 contabilità,
06 bilancio, 07 gestione sistemi multitastiera reti locali, 10 macchine tessili, tecniche certificazione di
prodotto, gestione cooperative; sviluppo competenze aziendali/01 analisi di bilancio, 02 contabilità industriale,
03 controllo del budget, 04 controllo di gestione, 05 contabilità azienda artigiana, 06 gestione,
elementi operativi su p.c.; master pianificazione territoriale e mercato immobiliare; elementi di
informatica/01 automazione d’ufficio, 02 elaborazione testi, utilizzo di pacchetti applicativi su p.c./01
editoria da tavolo, 02 automazione d’ufficio, 03 contabilità, 04 ambiente windows, 05 controllo di gestione,
06 progettazione e design d’interni, 07 elaborazione grafica, 08 elaborazione dati, 09 archiviazione
dati, gestione trattamento rifiuti aziendali; master in ingegneria ambientale; linguaggi di programmazione/
01 c, 02 clipper, 03 ambiente windows, 04 visual basic, 05 object oriented; gestione e organizzazione
d’ufficio con sistemi informatici, aggiornamento professionale per danzatori/01 classico,
02 contemporaneo, 03 jazz; formazione per attori; cucina per mense scolastiche; manutenzione macchine
agricole; giardinaggio e floricoltura; autocertificazione c.e. macchine industriali.
521 Utilizzo di pacchetti applicativi su p.c. / fogli elettronici (150 ore), elaborazione testi (200 ore),
data base (150 / 200 ore), fatturazione (150 ore)
522 Saldatore patentato/01 su lamiera (UNI 4634), 02 su tubi (UNI 4633), 04 su tubi (UNI 6918),
05 su tubi (OSSIGAS - UNI 5770/66), 06 su tubi INOX (TIG - UNI 6917/71), 07 su tubi (TIG - UNI
6548/69), 08 su lamiera (MAG - UNI 7710) 10 EN 287; conduttore generatori di vapore/II grado, I
grado; conduttore impianti termici.
523 Formazione specifica rivolta a soli portatori di handicap lieve, medio e medio-grave: corso per
disabili con scuola di stato (800 Qualifica o Frequenza con profitto), propedeutico alla Formazione
Professionale (500 - 800 Frequenza), prelavorativo (2400 Frequenza o Frequenza con profitto) formazione
al lavoro (1200 - 2400 Frequenza con profitto) avvio al lavoro (800 - 1200 Frequenza con profitto).
Le tre “Frequenze con profitto” prevedono i seguenti indirizzi: 01 Aiutante idraulico, 02 Aiuto
magazziniere impiantista, 03 Saldatore al banco, 04 Aiutante meccanico d’auto, 05 Aiutante di segreteria,
06 Aiuto magazziniere con mansioni operative e contabili, 07 Aiutante centro stampa, 08 Aiuto
operatore di macchine utensili, 09 Aiutante manutentore di aree verdi, 10 Cucitore, 11 Ausiliario della
confezione, 12 Aiutante servizi bar e ristorazione, 13 Aiutante servizi di pulizia, 14 Addetto ai servizi
preparatori alla vendita.
524 Tali allievi possono conseguire la qualifica relativa al corso in cui sono inseriti o in subordine
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397
Nello scorrere le innumerevoli denominazioni si ha l’idea della grande pervasività
della FP. Specularmente vi ritroviamo tutte le tipologie di operazioni professionali
del sistema produttivo.
La Tabella 44 propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi,
all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (1995-96). Il confronto
riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macro
settore e comparto professionale. Nel 1995-96 sono stati realizzati 181 corsi in più
rispetto al 1990-91. Forti le variazioni tra macro settori: l’agricoltura passa da 467
corsi a 33, facendo registrare un decremento di 434 interventi, mentre l’industria aumenta
di 225 unità e il terziario di 390. Questa variazioni determinano anche un
forte cambiamento nel peso di ciascun comparto: il settore agricolo passa dal 36,6%
ad un irrilevante 0,2; l’industria e l’artigianato aumentano di 10 punti, mentre il terziario
addirittura di oltre 23 punti percentuali. I cambiamenti tra macrosettori si riflettono
anche nel cambiamento dei rapporti tra comparti, ma con evidenze minori:
nei due anni formativi presi in considerazioni, infatti, se non si tiene conto dell’agricoltura,
le prime quattro posizioni sono sempre mantenute dagli stessi comparti.
Nell’ordine: meccanica e metallurgia, elettricità ed elettronica, lavori d’ufficio e informatica.
Insieme nel 1990-91 erano 718 e rappresentavano il 55% dell’intero volume
corsale, nel 1995-96 diventano 955 pari al 65% dell’intero volume corsuale
programmato. Tra gli altri comparti gli aumenti più significativi sono registrati dall’artigianato
artistico (da 9 a 75) dai servizi socio-educativi (da 4 a 68) da acconciatura
estetica (da 0 a 41) dal turismo (da 3 a 44) dall’edilizia (da 3 a 41). Il comparto
che ha fatto registrare il maggiore aumento è stato quello dei lavori d’ufficio; aumento
in valori assoluti di 137 corsi, in valori relativi del 189%. Comunque anche
gli altri comparti nell’a.f. 1995-96 fanno registrare aumenti, anche se contenuti. Infatti,
tutti aumentano, ad esclusione dell’agricoltura. Per quanto riguarda, invece, la
variabile “tipologia formativa” gli aumenti riguardano sia il primo (+29) che il secondo
livello (+33), ma soprattutto le attività destinate agli adulti (+ 595). L’unico
saldo negativo riguarda i corsi speciali che diminuiscono nel 1995-96 rispetto al
1990-91 di 472 unità.
una delle frequenze con profitto previste dal corso stesso, come da elenco seguente: A) Denominazione
qualifica: Impiantista termoidraulico, Costruttore di carpenteria e saldatura, Costruttore al banco con
ausilio di M.U., costruttore su M.U., Meccanico d’auto, Addetto al settore grafico, Addetto lavori d’ufficio
ind. Automazione d’ufficio. Addetto lavori d’ufficio, Giardiniere, Operatore dell’abbigliamento
ind. Confezioni artigianali, Operatore dell’abbigliamento ind. Confezioni industriali, Addetto sala/bar;
B) Denominazione frequenza con profitto Aiutante idraulico, Aiuto magazziniere impiantista, Saldatore
al banco, Saldatore al banco, Aiuto operatore su macchine utensili, Aiuto operatore su macchine
utensili, Aiutante meccanico d’auto Aiutante centro stampa, Aiutante di segreteria, Aiuto magazziniere
con mansioni operative contabili, Aiutante manutentore di aree verdi, Cucitore, Ausiliario della confezione,
Aiutante servizi bar e ristorazione.
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Tabella n. 44 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e
1995-96)
* Per n. 1 corso non è desumibile dai Piani la tipologia formativa
Prospetto n. 43 - Quadro delle qualifiche/specializzazioni e relativi indirizzi
(Segue)
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(Segue)
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A seguito di questi spostamenti in valori assoluti, il peso delle singole tipologie
si modifica come da Grafico 61. Mentre il primo e il secondo livello mostrano delle
variazioni contenute (–3,5% I livello, +0,5% II livello) la Formazione per adulti fa un
balzo impressionante di circa 40 punti a detrimento, soprattutto, dei corsi speciali che
invece regrediscono di circa 37 punti. Tra i 1476 corsi dell’a.f. 1995-96 occorre menzionare
anche 13 corsi programmati per varie qualifiche e nei diversi comparti pro-
(Segue)
Figura n. 83 - Certificazioni rilasciate al termine degli interventi formativi
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403
duttivi da realizzarsi in collaborazione tra Scuola e Formazione Professionale. Secondo
quanto stabilito dall’intesa del luglio 1992 tra Direzione tecnica del MPI e Regione
Piemonte, questi corsi sono destinati a persone adulte, occupate o disoccupate, prive
di qualificazione o con bassi livelli di scolarità, a forte rischio emarginazione a causa
delle nuove dinamiche del mercato del lavoro. L’integrazione con il sistema scolastico
prevede la possibilità, al termine del biennio di formazione, sia di ottenere la qualifica
di primo livello, sia di proseguire gli studi inserendosi al terzo anno degli istituti tecnici.
Tali corsi sono caratterizzati da contenuti innovativi, con interventi di orientamento
e di rimotivazione, riconoscimento di crediti maturati in esperienze formative o
lavorative, flessibilità organizzativa nella creazione di moduli525. La distribuzione dei
corsi per Provincia riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna; una parziale
discrepanza tra la Provincia di Torino, che da sola conta la metà della popolazione
regionale e il numero dei corsi assegnati (poco più del 40%).
525 Cfr. Rapporto Isfol.
Grafico n. 60 - Variazione del peso delle tipologie formative
Grafico n. 61 - Distribuzione corsi e allievi per Provincia
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I 32.440 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,08% della popolazione attiva
(14-60); i 12.907 allievi della prima qualificazione rappresentano l’8,7% della leva
dei 14-16enni526.
Il numero dei CFP (93) sta ad indicare un livello di strutturazione del settore; il
rapporto tra CFP e sedi occasionali (18 a 82%), invece ci consegna l’immagine di
una Formazione Professionale regionale molto delocalizzata nella struttura.
Il 12% dei CFP sono regionali; del restante 88% tre su quattro sono del privato
sociale. Un privato soviale che può contare su tutti gli Enti maggiori su scala nazionale,
sia di estrazione sindacale che di ispirazione cristiana. L’Ente con il maggior
526 La popolazione attiva ammontava a 2.839.209, i 14-16enni a 159.372. Cfr. Geo-demoista.it,
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio -Anni 1982-1991.
Tabella n. 45 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
Grafico n. 62 - Spesa per la Formazione Professionale secondo i bilanci regionali di previsione
(di competenza; aa. 1990-1997)
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numero di CFP è l’ENAIP delle ACLI con 13 sedi; seguono il CIOFS delle Salesiane
con 11, il CNOS-FAP dei Salesiani e lo IAL della CISL con 7. Per quanto riguarda
il volume di corsi assegnato la classifica precedente subisce delle variazioni.
L’ENAIP è sempre l’Ente più presente con 144 corsi, seguito dallo IAL con 115, il
CNOS-FAP con 59 e il CIOFS con 54. Considerevole la presenza della Casa di Carità
Arti e Mestieri che pur disponendo di sole tre sedi527 realizza un volume corsule
elevato (73 corsi assegnati) e, anche se in minor misura, dell’ENGIM dei Padri Giuseppini
del Murialdo (2 CFP con 19 corsi).
527 Negli Anni ’90 l’Ente si espanderà anche nelle sedi di Torino “Città dei Ragazzi” (1995), di
Ivrea e Novi Ligure (1997) e di Susa (1998), oltre quelle di Torino, Corso Brin e Grugliasco.
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406
528 Che verrà sostituita, almeno per quanto riguarda la Formazione Professionale, con la L. reg. n.
28 dell’11 maggio 2009 Sistema educativo regionale di istruzione, formazione e orientamento, B.U.R.
LIGURIA, n. 8 del 20 maggio 2009.
529 Composto dall’assessore regionale e dagli assessori provinciali competenti, da rappresentanti
della Commissione regionale per l’impiego e da esperti designati dal Consiglio.
530 Cfr. art. 18, “Piani annuali di formazione professionale 1. Sulla base del programma triennale e
dei suoi eventuali aggiornamenti […] la provincia elabora e approva sentite preventivamente le organizzazioni
rappresentative degli imprenditori e dei lavoratori il piano annuale di formazione professionale.
2. Il piano contiene: a) l’elenco dei corsi con l’indicazione di quelli al termine dei quali viene rilasciato
l’attestato di qualifica; b) la definizione dei corsi e la durata dei cicli formativi; c) l’indicazione
per i corsi che proseguono oltre l’esercizio finanziario dei fondi necessari alla prosecuzione distinguendo
quelli che fanno carico al bilancio in corso da quelli che devono trovare allocazione nel bilancio
successivo; d) i programmi di attività formative svolte in collaborazione con la scuola pubblica;
e) i programmi per l’aggiornamento e la riqualificazione del personale; f) il programma delle iniziative
8.4. Regione Liguria
Fino al novembre del 1993 la legge organica di riferimento del settore rimane la
L. reg. n. 27/79.
Una longevità normativa sorprendente se si considera che la n. 27 è stata approvata
prima della Legge quadro nazionale. La nuova norma sul sistema formativo regionale
è contenuta nel titolo terzo di un provvedimento legislativo, la L. reg. n. 52
del 5 novembre 1993, che non tratta solo di Formazione Professionale ma di tutti gli
strumenti della politica attiva del lavoro, come peraltro lascia intuire la denominazione
del provvedimento stesso: Disposizioni per la realizzazione di politiche attive
del lavoro528.
Gli strumenti che attuano la politica del lavoro (il monitoraggio dell’attività
produttiva e dell’occupazione, l’orientamento professionale, la Formazione Professionale,
la promozione occupazionale) hanno un’unica gestazione programmatoria
che si concretizza in un unico atto: il Piano triennale delle politiche del lavoro, da
approvarsi entro il 31 marzo precedente la scadenza del triennio ed aggiornabile annualmente
in tutto o in parte in relazione alla verifica dei risultati raggiunti e/o degli
eventuali mutamenti socio economici e/o delle risorse finanziarie disponibili.
La Giunta regionale nell’elaborazione del Piano si avvale del Comitato regionale
per la formazione529 che ha il “compito di formulare proposte e pareri sul programma
triennale sui suoi aggiornamenti e sui piani annuali delle singole Province
nonché quando necessario su problemi che emergono nel corso dell’attuazione degli
stessi”. Nel processo programmatorio è importante anche il ruolo della Provincia.
Infatti, per quanto riguarda il Piano triennale, fornisce alla Regione “analisi di valutazione”,
frutto di consultazioni con le Organizzazione Sindacali, datoriali e dei lavoratori
e delle Camere di Commercio e, per l’orientamento, dei Distretti scolastici e
delle Università. Mentre l’elaborazione e l’approvazione del Piano annuale (entro il
30 giugno di ogni anno) sono di pertinenza della Provincia, sentite preventivamente
le Organizzazione Sindacali imprenditoriali e dei lavoratori530. La Legge, inoltre, per
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407
dare un supporto scientifico alla programmazione prevede “il monitoraggio dell’attività
produttiva e dell’occupazione”, realizzato da un Osservatorio regionale sul
mercato del lavoro531. Gli articoli della Legge che parlano di questa struttura rappresentano
una riscrittura della L. reg. n. 20/84 che istituiva tale organismo tecnico
quasi dieci anni prima532. L’Osservatorio del mercato del lavoro è una “struttura organizzativa
regionale”, la cui attività tecnico-scientifica è indirizzata e coordinata da
un apposito Comitato (presieduto dall’Assessore regionale competente e composto
da rappresentanti dell’Unione regionale delle camere di commercio, dell’ISTAT,
dell’INPS dal direttore dell’Ufficio regionale del lavoro da esperti competenti in discipline
economiche-statistiche e in discipline giuridiche del lavoro indicati dall’Università
ed esperti designati dalle organizzazioni rappresentative degli imprenditori
e dei lavoratori. Entro il 15 novembre di ogni anno la Giunta regionale approva il
piano di lavoro dell’Osservatorio relativo all’anno successivo ed entro il 31 marzo
presenta al Consiglio regionale una relazione sull’attività svolta nell’anno precedente
e su quella prevista nel piano di lavoro per l’anno in corso. Abbiamo affermato
che i modelli di Osservatorio del mercato del lavoro si possono distinguere a seconda
del tipo di programmazione che sono chiamati a supportare dalla Legge che li
istituisce. In altri termini, la raccolta, sistematizzazione e analisi dei dati e delle informazioni
è funzionale alla programmazione della Formazione Professionale e
orientamento (primo modello), o alla programmazione delle politiche del lavoro (secondo
modello) o della programmazione socio economica? Quello della Regione
Liguria appartiene senz’altro alla seconda tipologia. Per quanto riguarda il processo
gestionale la nuova Legge ligure non presenta novità. Le soluzioni prospettate per i
soggetti che possono proporre-realizzare attività formative si muovono rigorosadi
sperimentazione e di innovazione didattica. 3. Nella definizione dei profili si tiene conto dei contratti
collettivi di lavoro e delle disposizioni comunitarie. 4. La provincia può contribuire con proprie risorse
al finanziamento delle iniziative corsualii contemplate dal programma triennale e può finanziare ulteriori
corsi inseriti nel piano annuale. 5. Il piano può essere modificato nel corso dell’anno cui si riferisce
per sopravvenute esigenze. 6. Entro novanta giorni dall’approvazione del programma triennale le
province approvano il piano annuale. I successivi piani annuali compresi nel triennio sono approvati
dalle province entro il 30 giugno. Entro novanta giorni dall’approvazione degli aggiornamenti o delle
modificazioni del piano triennale le Province approvano le corrispondenti modifiche al piano annuale.
Il piano annuale ed i suoi aggiornamenti immediatamente dopo l’approvazione sono inviati alla Regione
per gli adempimenti di competenza”.
531 Cfr. art. 8, comma 1 (Compiti dell’Osservatorio). L’Osservatorio ha i seguenti compiti: a) svolgere
analisi sullo stato e sulle tendenze dei diversi settori della produzione e dei servizi in relazione al
volume ed alle tipologie dell’assorbimento di occupazione nel breve, medio e lungo periodo anche con
particolari approfondimenti sulle aree produttive particolarmente importanti per l’economia regionale;
b) individuare i mutamenti in atto o prevedibili nelle professionalità e nella composizione quantitativa
e qualitativa della forza lavoro anche con riguardo al Mercato unico Europeo; c) accertare ed aggiornare
costantemente l’andamento delle iscrizioni e della conclusione dei corsi nella Scuola dell’obbligo
nella Scuola Media superiore e nell’Università; d) studiare, promuovere e gestire specifici progetti di
ricerca su particolari aree del mercato del lavoro.
532 Cfr. L. reg. n. 20 del 28 marzo 1984 Istituzione dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro,
in B.U.R. LIGURIA, n. 16 del 18.4.1984. Non si comprende perché la L. reg. n. 52/93 parla di “istituzione”
(cfr. art. 7) di un Osservatorio, quando questo era stato “istituito” (cfr. art. 2) con la L. reg. n. 20/84.
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408
mente all’interno delle previsioni della Legge quadro (cfr. Fig. n. 84): a) strutture
pubbliche (che, con la delega alle Province, diventano Centri provinciali per la Formazione
Professionale); b) Enti, iscritti in un Albo regionale a seguito dell’accertamento
di requisiti predefiniti e che sostanzialmente sono quelli della L. n. 845/1978;
c) imprese. La maggiore novità introdotta dalla L. reg. n. 52/93 è l’istituto della delega.
Il soggetto delegato è la Provincia. Nella legislazione regionale ci sono due
tendenze rispetto all’ampiezza della delega533. Una prima prospettiva si caratterizza
per un forte accento sul momento sub-regionale con una dilatazione dell’istituto sia
sul versante della programmazione, sia sul versante gestionale, sia su quello amministrativo-
procedurale. Un secondo orientamento limita le deleghe alla gestione dei
Centri di Formazione Professionale pubblici, mentre i soggetti sub-regionali destinatari
delle delega partecipano al processo di programmazione soprattutto in termini
di pareri e proposte.
In quale delle due tendenze si colloca la L. reg. n. 52/93? Senz’altro nella prima
se consideriamo il ruolo della Provincia nei processi programmatorio, gestionale ed
amministrativo (cfr. Fig. n. 85).
Abbiamo già preso atto di quanto competa alla Provincia nella programmazione
delle attività di Formazione Professionale. In quella a carattere strategico, che si
concretizza nel Piano triennale, la Provincia è chiamata a fornire, non un semplice
parere su un documento elaborato dalla Regione, ma degli input e delle indicazioni
operative da cui quel documento prenderà il via; input e informazioni, peraltro supportate
dalle attività dell’Osservatorio e partecipate e condivise con una pluralità di
soggetti che operano nell’economia (Organizzazioni Sindacali datoriali e dei lavoratori)
o nelle istituzioni (Camere di Commercio, Università, Distretti scolastici) del
territorio. La programmazione attuativa, invece, quella annuale, abbiamo già visto è
un’incombenza esclusivamente provinciale. Inoltre (e siamo al processo gestionale)
533 Cfr. paragrafo 7.5.2.
Figura n. 84 - Soggetti gestionali (L. reg. n. 52/93)
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409
Figura 85 - Processo programmatorio (L. reg. n. 52/93)
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410
viene delegata alla Provincia la gestione pubblica della Formazione Professionale e
quindi trasferiti i Centri regionali e il relativo personale e le attività di orientamento,
da realizzarsi tramite strutture pubbliche o soggetti privati con i quali la Provincia si
convenziona.
Sul Piano amministrativo sono molte le funzioni delegate: il recepimento dei
progetti di Formazione presentati da parte dei soggetti proponenti (art. 20); la nomina
delle commissioni di esami (artt. 25 e 41); il rilascio degli attestati (art. 19);
l’adozione di misure per far conseguire agli allievi che ne sono sprovvisti l’obbligo
scolastico (art. 26); la stipula di convenzioni con l’Università per attività di livello
elevato (art. 35); la disciplina delle modalità di funzionamento del collegio dei formatori,
istituito presso ogni Centro Provinciale di Formazione Professionale (art.
33); la determinazione del personale dei Centri (art. 34); la concessione dei contributi
per le attività sovvenzionate (art. 40); i provvedimenti di istituzione di corsi che
dovranno essere svolti direttamente dai Centri Provinciali e i provvedimenti di attribuzione
di corsi che verranno realizzati dagli enti e da imprese o gruppi di imprese
(art. 42); l’attività ispettiva per la verifica del possesso dei requisiti di idoneità da
parte delle sedi formative (art. 43); la predisposizione di piani di aggiornamento e di
riqualificazione del personale della Formazione Professionale (art. 45); la redazione
della relazione alla Regione delle attività realizzate (art. 49); la deliberazione di approvazione
del rendiconto necessario per il rimborso CEE (art. 50). Da questa data
entrano in vigore anche nuovi assetti organizzativi dell’Assessorato della Formazione
Professionale regionale dove viene istituito il Servizio per le politiche attive
del lavoro534 in sostituzione dei Servizi lavoro ed occupazione e Servizio Formazione
Professionale535.
Oltre alla Legge organica n. 52/93, in questi anni la Liguria emana tre Leggi,
tutte di natura gestionale e tutte riferite a problematiche finanziarie. Le prime due (la
n. 43/93 e la n. 4/96) riguardano il finanziamento agli Enti536, la terza (la n. 25/96) il
534 Cfr. L. reg. 52/93 Tabella B (art. 60 comma 1) Competenze del servizio per le politiche attive
del lavoro “Attività di osservazione analisi della produzione e dell’occupazione programmazione degli
interventi compresi quelli comunitari della produzione e dell’occupazione in raccordo con gli altri Servizi
regionali interessati. In tema di formazione e di orientamento professionale: indirizzi generali coordinamento
monitoraggio dell’attività formativa studi e ricerche documentazione controllo dell’efficacia
e dell’efficienza dei corsi professionali assistiti dagli interventi finanziari della Regione e della Comunità
Europea attività ispettive studio ed impostazione di progetti formativi speciali indicazioni e criteri
per la sperimentazione l’aggiornamento e la riqualificazione del personale della formazione professionale.
Rapporti con la Commissione Europea il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale l’Isfol e
il coordinamento delle Regioni. Rapporti con la Commissione regionale per l’impiego e l’Agenzia regionale
per l’impiego. Affari di competenza regionale in materia di emigrazione di collocamento e della
cooperazione”.
535 Previsti dalla tabella G allegata alla L. reg. 27 agosto 1984 n. 44.
536 Cfr. L. reg. n. 43 del 6 settembre 1993 Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento
in materia di formazione professionale in B.U.R. LIGURIA, n. 20 del 22 settembre 1993 e L. reg.
n. 4 del 23.01.1996 Modifica dell’articolo 2 della legge regionale 6 settembre 1993 n. 43 “Disposizioni
per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale” in B.U.R.
LIGURIA, n. 3 del 14 febbraio 1996.
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411
compenso per le commissioni d’esami537. Particolarmente importante la prima che,
contrariamente a quanto suggerisce il titolo (Disposizioni per accelerare le procedure
di finanziamento in materia di formazione professionale), non tratta solo di anticipazioni
e acconti, ma anche del ripianamento dei bilanci: un problema che allora
assillava gli Enti, soprattutto quelli di maggiori dimensioni, non solo in Liguria, ma
in tutta Italia. Una situazione debitoria determinata sia dagli interessi passivi maturati
con le banche alle quali gli Enti ricorrevano necessariamente per far fronte alle
spese di gestione correnti, dati i ritardi (talora considerevoli) nei pagamenti da parte
della Regione sia, spesso, per i parametri finanziari insufficienti a coprire tutte le
spese. Le soluzioni prospettate dalla Liguria si muovono su due traiettorie. La prima
tende a scongiurare per il futuro situazioni debitorie, nel caso di carenza di liquidità
da parte della Regione, da cui derivi l’impossibilità di corrispondere gli acconti previsti
dalla normativa, la Giunta regionale può stipulare una convenzione con istituti
bancari per l’apertura di una linea di credito a favore degli Enti gestori. L’apertura di
credito è concessa nei limiti delle rate trimestrali già maturate e le condizioni di interesse
applicate alla linea di credito non dovranno essere superiori a quelle previste
dal tesoriere regionale per le anticipazioni di tesoreria. Comunque gli interessi passivi
connessi all’utilizzo delle aperture di credito sono a carico della Regione. La seconda
soluzione tende effettivamente a sanare la situazione debitoria pregressa: la
Giunta regionale può erogare agli Enti gestori un contributo per il ripianamento
delle documentate passività commisurato all’entità delle passività certificate entro
sei mesi dall’entrata in vigore della legge. Contestualmente la Giunta regionale ri-
537 L. reg. n. 25 del 4 giugno 1996 Nuova Disciplina dei Compensi ai Componenti di Collegi Commissioni
e Comitati operanti presso la Regione. Modifiche alla Legge Regionale 28 Giugno 1994 n. 28
(Disciplina degli Enti Strumentali della Regione) e alla Legge Regionale 5 Aprile 1995 n. 20 (Norme
per l’Attuazione dei Programmi di Investimento in Sanità per l’Ammodernamento del Patrimonio Immobiliare
e Tecnologico) in B.U.R. LIGURIA, n. 13 del 19 giugno 1996 n. 13. Il compenso per le commissioni
d’esame viene fissato in 50.000 lire a giornata per ciascun membro e 60.000 per i presidenti.
Grafico n. 63 - Distribuzione allievi per Provincia
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412
solve anche attraverso transazioni le pendenze in corso fra la Regione e gli Enti di
Formazione Professionale. La seconda Legge, la L. reg. n. 4/96, che riguarda solo le
passività maturate negli anni 1990-91, specifica i casi in cui può essere erogato il
contributo: canoni di locazione e interessi bancari passivi538.
Il regime di delega alle Province ha inizio con il 1 gennaio 1994, data in cui
vengono trasferiti i beni mobili e immobili e il personale dei Centri di Formazione
Professionale e delle strutture di orientamento, gestiti, fino ad allora, dalla Regione.
I CFP trasferiti alle Province sono 10 (6 a Genova, 1 ad Imperia, 2 a La Spezia, 1 a
Savona) e il personale pari a 208 unità (cfr. Tab. n. 46 e Graf. n. 64). I dipendenti trasferiti
conservano la posizione giuridica ed economica e l’anzianità maturata. Il profilo
professionale di “docente”, che assume la denominazione di “formatore”, è spalmato
nella VI e VII qualifica funzionale.
Un confronto con i dati del 1984 evidenzia cambiamenti quantitativi e qualitativi
importanti: innanzitutto l’organico della Formazione Professionale della Regione
nel 1993 diminuisce di 119 unità, pari al 36,4 % di tutti i dipendenti del 1984;
nel 1984 i formatori erano 220 pari al 67% di tutto il personale; nel 1993 erano 148
pari al 71%; i docenti con laurea nel 1984 rappresentavano solo il 13,6%; dieci anni
538 Cfr. art. 1 “La Giunta regionale nei limiti dello stanziamento del bilancio può concedere agli Enti
gestori di cui all’articolo 5 della Legge 21 dicembre 1978 n. 845 un contributo ‘una tantum’ a fronte dei seguenti
oneri derivanti dall’applicazione dei rapporti convenzionali stipulati con la Regione: a) canoni di
locazione corrisposti per l’utilizzazione dei locali ove si sono svolte attività formative ammesse ai contributi
comunitari negli anni 1990 e 1991; b) interessi passivi bancari derivanti da linee di finanziamento
aperte al fine di sopperire alle necessità conseguenti l’applicazione dei rapporti convenzionali stessi”.
Grafico n. 64 - Personale regionale trasferito alle Province - distribuzione per qualifica (v.%.)
Tabella n. 46 - Personale regionale trasferito alle Province - distribuzione provinciale per qua -
lifica (v.a.)
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413
539 Non è possibile fare la comparazione tra a.f. 1990-91 e 1995-96 perché per quest’ultimo anno
formativo, l’Isfol rileva 3483 corsi programmati, un dato non in linea con il volume corsuale abitualmente
pianificato dalla Liguria. Pertanto ogni comparazione risulterebbe viziata dalla eccezionalità di
questo dato.
dopo sono l’81%. Quest’ultimo dato in particolare dà il senso e le dimensioni dei
cambiamenti intervenuti; non sono solo cambiati l’offerta formativa (II livello e
Formazione Continua) e i suoi destinatari (più adulti e più istruiti) sono cambiati
anche i docenti (con titoli di studio più alti e, forse, con una minore esperienza lavorativa).
Nell’anno formativo 1990-91539 la Liguria ha programmato 355 corsi (cfr. Tab.
n. 47): il 54,9% sono della macroarea Industria e Artigianato, il 44,5%, del Terziario,
mentre l’Agricoltura, con appena due corsi, non va oltre un irrilevante 0,6%. I corsi
più numerosi sono quelli dei settori Meccanico metallurgico (101 interventi) ed Elettricità
elettronico (59). Il primo settore del terziario per numerosità di interventi è Lavori
d’ufficio (59).
Tabella n. 47 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91)
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414
Grafico n. 65 - Variazione della dotazione organica dal 1984 al 1993
Grafico n. 66 - Settori con numero di corsi più numerosi (a.f. 1990-91)
Tabella n. 48 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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415
Per quanto riguarda la tipologia formativa abbiamo, in sintesi, la situazione seguente:
i corsi di qualificazione di base (205) fanno registrare il 57,7% del volume
corsuale complessivo: un valore superiore di oltre 20 punti alla media nazionale
(37%); il secondo livello (58 interventi) si allinea al dato nazionale (16,3%); i corsi
per adulti, occupati e disoccupati (73, pari al 20,6%) sono di 14,5 punti sotto il valore
nazionale (35,1); i corsi speciali (19) fanno registrare un peso percentuale pari a
5,4 rispetto alla media italiana di 111,3.
Nell’anno formativo 1992-93, l’anno che precede l’attivazione delle deleghe
alle Province, i rapporti di forza tra gestione diretta e gestione convenzionata vede la
seconda in netta prevalenza con una gap di 16 punti percentuali: 14% la diretta e
86% convenzionata540. Tra le presenze più rilevanti nell’area convenzionata spicca
su tutte l’ENAIP con 9 CFP distribuiti in tutte le Province liguri; segue la Scuola
Edile con 4 (Genova, La Spezia, Imperia, Legino prov. Savona). Da segnalare la
storia541 di questo Ente: opera dal 1946 a seguito di un accordo tra i rappresentanti
dell’Associazione Imprenditoriale e delle Organizzazioni Sindacali di categoria, che
stabilì la creazione e il finanziamento di una scuola professionale per l’aggiornamento
e la formazione delle maestranze del settore. È quindi da considerarsi antesignano
degli Enti bilaterali542. Lo IAL ha tre sedi (a Genova, Sampierdarena, Carcare
prov. Savona), il CIPA della CIA (Confederazione Italiana Agricoltura) ne ha due
(Sanremo e Bordighera). Altri enti storici (il CNOS-FAP dei Salesiani, il CIOFS
delle Salesiane, l’ENDO - FAP della Piccola Opera della Divina Providenza di don
Orione, i Pavoniani, l’ECIPA della Confederazione Nazionale dell’Artigianato) ne
hanno solo una. Da segnalare, per la numerosità dei corsi realizzati, la SOGEA della
Confindustria (Genova) e il Villaggio del ragazzo dell’Opera diocesana Madonna
(Cogorno prov. Genova). I tre Enti convenzionati pubblici sono i comuni di Varazze,
Lavagna e Imperia. Per quanto riguarda le risorse finanziarie per il periodo 1990-97,
il Grafico 67 evidenzia il 1990 come l’anno in cui vengono previste le risorse minori
(112,5 miliardi di lire) e il 1996 quelle maggiori (342,9 miliardi). La media annua si
aggira sui 199 miliardi. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realiz-
540 SISTAN-ISFOL (Sistema statistico nazionale) (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione
dei Centri di formazione professionali in Italia - anno formativo 1992-93, Roma 1994.
541 Dalla nascita le numerose iniziative formative sono state realizzate direttamente nei cantieri
produttivi, dove gli allievi acquisisivano le conoscenze e competenze tecniche professionali attraverso
la realizzazione di vere proprie opere edili e in muratura. Con gli Anni ’80 viene abbandonata l’organizzazione
di “impresa edile” per proporsi come Ente Formativo.
542 Ricordiamo che gli Enti bilaterali sono Enti privati costituiti dai sindacati e dai datori di lavoro
per disposizioni di legge o contrattuali nell’ambito di determinati settori di lavoro. Sono paritetici
perché i rappresentanti dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro sono in numero eguale tra loro. Cfr. lo
Statuto della Scuola edile genovese del 20 novembre 1976, art. 6 “L’Ente è retto da un Consiglio di
Amministrazione composto da 12 Consiglieri, dei quali: 6 designati dalla Sezione Edili dell’Associazione
Industriale della provincia di Genova; 6 designati dalle Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori
stipulati e firmatari del presente Statuto (Sindacati Provinciali della FILLEA, FILCA e FeNEAL), in
misura paritetica tra loro, salvo quanto verrà diversamente concordato fra le rispettive Federazioni Nazionali.
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416
zata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di
cui al Grafico 67. Gli stanziamenti più bassi e più alti sono sono quelli del 1990 (263
miliardi di lire) e del 1997 (524,4 miliardi di lire); la media del periodo è pari a
353,76 miliardi di lire. Scarsa la capacità realizzativa della Regione (pagamenti
entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 62,6%, inferiore di
quasi 11 punti percentuali alla media italiana (77,1%). Nel 1995 la spesa della Formazione
Professionale per abitante è pari a 81.883 lire e quella rispetto alla forza lavoro
è di 109.087. Nel primo caso è inferiore alla media italiana (93.951 lire) di
quasi 12.000 lire, nel secondo è superiore (99.534 lire) di quasi 10.000 lire. Il peso
della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è
pari allo 0,88. Anche in questo caso inferiore alla media nazionale che fa registrare
l’1,39%. In una ipotetica classifica regionale rispetto a questi tre valori la Lombardia
si pone al quindicesimo posto per la spesa per abitante, al nono per quella rispetto
alla forza lavoro, al diciannovesimo per la spesa del settore rispetto al totale della
spesa regionale.
Grafico n. 67 - Spesa per la Formazione Professionale Secondo i bilanci regionali di previsione
(di competenza; aa. 1990-97)
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 416
417
543 Da segnalare che nel 1992, a seguito di indagini da parte del PM De Pasquale su corsi FSE mai
realizzati, scoppia uno scandalo giudiziario a carico dei vertici politici e amministrativi della Regione e
di amministratori di enti di Formazione Professionale.
544 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 19, 2º suppl. ord. del 11 Maggio 1990.
545 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 39, 1º suppl. ord. del 24 Settembre 1992.
546 Cfr. volume II.
547 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 32, 1º suppl. ord. del 14 Agosto 1993.
548 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 15, 1º suppl. ord. del 14 Aprile 1994.
8.5. Regione Lombardia
Avevamo presentato negli Anni ’80 la Lombardia come una Regione che “per
un lungo periodo era stato un autorevole punto di riferimento per la Formazione Professionale
del nostro Paese”.
Purtroppo lo stesso giudizio non si può reiterare per gli Anni ’90, nei quali la
sua leadership culturale appare appannata543.
In questo periodo il riferimento normativo organico per la Formazione Professionale
lombarda rimane la L. reg. n. 95/80, abbondantemente modificata da provvedimenti
emessi in questo periodo:
– L. reg. 8 maggio 1990, n. 35 Sostituzione del nono comma dell’art. 19 della
L.R. 7 giugno 1980, n. 95 concernente la disciplina della formazione professionale
in Lombardia, già modificato dall’articolo unico della L.R. 4 giugno 1981,
n. 27 e poi sostituito dall’art. 5 della L.R. 27 agosto 1983, n. 68544, riguarda l’elevazione
dei compensi per le commissioni di esami.
– L. reg. 19 settembre 1992, n. 31 Deroga agli artt. 10, 11 e 12 della L.R. 7
giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e
successive modificazioni545. Autorizza, per il triennio 1993-96, la Giunta regionale,
mediante il Comitato interassessorile, ad elaborare una proposta di Piano
triennale dopo aver consultato le Province. Nel testo modificato, invece, le procedure
si svolgevano secondo questo iter: le Province elaborano una Proposta di
Piano triennale provinciale, sulla base di un Schema redatto dalla Regione,
mentre il Comitato interassessorile elabora la Proposta di Piano regionale546.
– L. reg. 12 agosto 1993, n. 25 Modifica alla Legge Regionale 7 giugno 1980, n.
95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni547:
sopprime il Registro provinciale dei soggetti promotori di attività
libere di Formazione Professionale.
– L. reg. 9 aprile 1994, n. 9 Modifica dell’art. 48 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95
“Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni548.
Riguarda i Centri alberghieri. La Regione può dare in comodato strutture
di proprietà regionale ai Centri di Formazione Professionale convenzionati.
Può anche affittare tali strutture ai privati che, però, in base a delle convenzioni,
dovranno garantire gli spazi per la convittualità. La norma fa evidentemente ristoriaFORMAZ3-
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418
ferimento a strutture logistiche grandi, in parte utilizzabili per attività albergihiere
private e in parte, almeno in alcuni mesi dell’anno, per l’attività di Formazione
Professionale alberghiera.
– L. reg. 5 gennaio 1995, n. 1 Norme transitorie in materia di formazione professionale
finalizzate allo sviluppo del processo di delega alle province549.
La L. reg. n. 95/80 prevedeva un regime di doppia delega: la gestione dei Centri
di Formazione Professionale, dipendenti dalla Regione, era delegata ai Comuni, alle
loro associazioni o alle comunità montane, ad eccezione di quelli la cui rilevanza tecnico-
formativa o utenza particolare richiedessero la gestione diretta da parte della
Regione; alcune funzioni amministrative erano affidate alle Province. Più in particolare
spettava loro: a) la vigilanza e tutela degli enti, istituzioni e organizzazioni locali
operanti nel settore; b) la nomina dei componenti degli organi collegiali degli enti,
delle istituzioni e delle organizzazioni; c) l’accertamento del possesso dei requisiti
per il riconoscimento di idoneità dei CFP; d) la vigilanza, di concerto con la Regione,
sull’attività, funzionalità e rispondenza delle iniziative formative svolte dai Centri di
Formazione Professionale pubblici o convenzionati; e) il riconoscimento dei corsi liberi
di Formazione Professionale; f) l’assegnazione dei contributi ai CFP per le attività
complementari; g) la nomina dei comitati di controllo sociale dei centri.
Con il provvedimento in esame anche la gestione dei Centri dipendenti dalla
Regione viene delegata alle Province e il personale, che prima era posto in posizione
di comando presso i Comuni o Comunità montane, ora viene messo alle dipendenze
funzionali delle Province, conservando il ruolo organico regionale. Dopo questa
Legge il quadro complessivo delle competenze delegate alle Province è quello illustrato
nella Figura 86.
Una norma finale precisa, però che le disposizioni esaminate “hanno efficacia
fino all’adozione di una nuova legge organica di settore […] che porti a compimento
il processo di delega”.
Si dovrà aspettare anni…
Altre due leggi sono approvate, nel periodo di riferimento di questo volume,
che non costituiscono delle modifiche alla L. reg. n. 95/80:
– L. reg. 27 ottobre 1993, n. 31 Attribuzione dell’indennità di funzione ai docenti
della formazione professionale ai sensi dell’accordo nazionale di lavoro per il
triennio 1988-1990550. Ai docenti che svolgono un’attività non inferiore alle 800
ore annue nei Centri di Formazione Professionale regionali viene riconosciuta
una indennità di funzione, pari a 850.000 lire.
– La L. reg. 12 dicembre 1994, n. 42 Interventi per lo sviluppo della formazione
professionale superiore, anche in raccordo con le università551, che si occupa
549 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 2, 1º suppl. ord. del 10 Gennaio 1994.
550 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 32, 1º suppl. ord. del 14 Agosto 1993.
551 In B.U.R LOMBARDIA, n. 50, 3º suppl. ord. del 16 Dicembre 1994.
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419
della formazione dei diplomati universitari e dei laureati. Per questi giovani
vengono previsti corsi sperimentali ed “altre attività specifiche”, attuati in via
diretta dalla Regione o con la collaborazione, regolatata da convenzione, con le
Università. Questa collaborazione non si limita agli interventi formativi, ma si
estende anche ad una attività di ricerca sul fabbisogno di formazione superiore
per “individuare aree di maggiore prospettiva occupazionale”. Su questi due
versanti, quello degli interventi corsuali e quello dell’analisi dei fabbisogni, la
giunta regionale, annualmente approva un programma annuale. La normativa
dichiara di mirare all’“obiettivo della graduale costituzione di poli formativi regionali
operanti nell’area della formazione professionale superiore regionale, in
raccordo con le università nonché con istituti scolastici ed imprese”. Per questo
obiettivo la Legge prevede anche “opere di riqualificazione ed adeguamento
delle strutture adibite alla formazione”. È la prima volta che compare in una
legge l’espressione di “poli per la formazione superiore”, espressione ed idea
che avranno una loro fortuna nella seconda metà del decennio successivo.
Per avere una base dati di tipo mercatolavoristico per orientare la programmazione
regionale della attività formative, l’Osservatorio sul Mercato del Lavoro552 ha
attivato a partire dal 1992 un sistema di rilevazione permanente sulla domanda di lavoro
(progetto “Sirpel”). Tale iniziativa svolge indagini, con cadenza periodica annuale,
caratterizzate da:
552 Cfr. volume II, p. 272.
Figura n. 86 - Funzioni delegate alle Province dopo la L. reg. 1/95
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 419
420
– informazioni annuali qualitative, ma anche quantitative e statisticamente significative,
sulla struttura della domanda di lavoro e sugli occupati – dell’anno di
riferimento e quelli previsti per il biennio successivo;
– campo di osservazione allargato all’intero mercato del lavoro (a partire dal 1996
è stato inserito nell’universo di osservazione: l’artigianato, il commercio al dettaglio
e le imprese di servizi di piccole dimensioni);
– riferimento ai mercati locali del lavoro, con significatività a livello provinciale.
Le indagini sono effettuate attraverso un questionario inviato all’intero universo
delle imprese (101.000 sono state le unità locali interessate nel 1994). La previsione
delle assunzioni per il biennio successivo avviene per qualifiche professionali, classificate
secondo l’area funzionale, il livello di inquadramento, ed indicando anche i
requisiti scolastici e formativi richiesti. L’utilizzazione dei risultati è affidata in particolare
all’Assessorato regionale, per la programmazione delle attività formative ed
ai CITE (Centri per l’Innovazione Tecnologica Educativa della Lombardia) per l’orientamento
scolastico e professionale553.
La Tabella 49 propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi,
all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (1995-96). Il confronto
riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macro
settori e settori o aree professionali.
Nell’a.f. 1995-96 sono stati realizzati 211 corsi in meno rispetto all’a.f. 1990-
91. Forti le variazioni tra macrosettori: l’Agricoltura passa da 349 corsi a 137, facendo
registrare un decremento di 212 interventi, quanti, grosso modo, ne guadagna
l’Industria che passa da 1.098 a 1.315. Flette, vistosamente, il Terziario che perde
216 corsi. Queste variazioni determinano anche cambiamenti nel peso di ciascun
macrosettore: quello agricolo dimezza la sua incidenza percentuale, passando dal
10,7% al 4,5%; l’industria e l’artigianato aumentano quasi di 10 punti, mentre il terziario
ne perde 3,5.
Nei due anni formativi presi in considerazione, per il macrosettore Industria e
Artigianato le prime due posizioni sono occupate da Meccanica ed Elettricità ed
elettronica (che insieme rappresentavano rispettivamente il 65% e il 57% di tutto il
macrosettore). Nel Terziario, invece, all’inizio dei decennio i corsi più numerosi
sono quelli dell’Informatica e dei Servizi socio educativi, invece, a metà Anni ’90
Lavori d’ufficio e Servizi socio-educativi. Il fattore di maggiore cambiamento intersettoriale
è rappresentato dall’offerta formativa per le utenze adulte.
Tra gli altri comparti gli aumenti più significativi sono registrati dall’Artigianato
artistico (86 corsi in più) e dalla Grafica fotografia cartotecnica (76) per
quanto riguarda il Secondario. Mentre i Lavori d’Ufficio e l’area dei Servizi socioeducativi,
rispettivamente con un aumento di 347 e 220 interventi, fanno registrare i
maggiori incrementi per il Terziario. Le diminuzioni maggiori si verificano nel set-
553 Cfr. volume II, p. 267.
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421
tore dell’Abbigliamento e calzature (–18 corsi) e in quello del Legno (–15), per
quanto riguarda i settori dell’industria; quello dei Trasporti (–29) e quello dello
Spettacolo (–11) sono i più penalizzati del Terziario, dove però il dato delle Varie
(–366) rappresenta un fattore di grande disturbo per la leggibilità delle situazioni.
Per quanto riguarda invece la variabile “tipologia formativa” il primo livello
perde in valori assoluti 318 corsi e in valori relativi circa 7 punti percentuali (da
47,4% a 40,3%); ma sono in decremento anche il secondo livello con 219 corsi, che
si traducono in una incidenza percentuale più che dimezzata (da 10,8% a 4,4%) e i
corsi speciali (–74) che ridimensionano il loro peso da 7,7%, a 5,9%. Da segnalare
nel secondo livello che dei 135 corsi programmati rilevati dall’Isfol, 105 sono interventi
di raccordo-integrazione con il sistema scolastico.
Tabella n. 49 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
* Di cui 11 non classificabili
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422
L’unica offerta formativa ad aumentare è quella destinata ad utenze adulte, disoccupate
ed occupate; con 414 interventi in più diventa la tipologia formativa con il
maggior numero di corsi, superando la prima qualificazione di base, e fa lievitare il
suo peso relativo da 33,5% a 49,4%.
L’exploit della Formazione Continua è dovuto soprattutto alla componente
degli occupati con 1.216 corsi rispetto ai 293 per disoccupati. La maggiore concentrazione
di corsi per occupati si verifica nell’area dei Servizi socio educativi; area
dove c’è una presenza massiccia anche dei corsi speciali554. Se confrontiamo i dati
del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri: la prima formazione in
Lombardia è al di sopra della media italiana (34,6%) di oltre 6 punti percentuali; il
secondo livello, con il suo ridotto 4,4% è inferiore di oltre 8 punti; le attività per
adulti (49,4%) si distanziano dal valore nazionale (45,1%) di oltre 4 punti in più e
infine i corsi speciali, che rappresentano il 5,9%, sono superiori al dato medio nazionale
che si ferma al 7,5%.
554 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata dalle Regioni nel 1995-96 op. cit. p. 60.
Grafico n. 68 - Variazioni numero corsi dei settori e aree professionali negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96
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423
Nell’a.f. 1995-96 gli allievi di tutte le tipologie formative previsti nei Piani di
attività ammontavano a 57.297. I 64.750 allievi previsti per l’a.f. 1990-91 rappresentano
il 2,4% della popolazione attiva (14-60); i 31.587 allievi della prima qualificazione
rappresentano l’8,8% della leva dei 14-16enni555. La distribuzione per Provincia
dei corsi (e dei relativi allievi) rispecchia sostanzialmente la demografia di
ciascuna (cfr. Graf. n. 70).
Al di là degli aspetti quantitativi che, come si conviene ad un settore di una Regione
popolosa, si esprime con grandi numeri, menzioniamo alcune iniziative sperimentali
realizzate in Lombardia in questi anni:
555 La popolazione attiva ammontava a 2.688.720; i 14-16enni a 356.881. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 69 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
Grafico n. 70 - Distribuzione dei corsi e relativi allievi per Provincia
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424
a) Il progetto D. Progetto di pronto intervento nell’area dei disagio giovanile, che
vede la collaborazione dell’Assessorato all’Istruzione e alla Formazione Professionale
della Regione Lombardia e ELFAP (Ente Lombardo Formazione Addestramento
Professionale). Il progetto si pone l’obiettivo di favorire il reinserimento
sociale e formativo di giovani disagiati adottando strategie educative e
didattiche personalizzate. Il target è costituito da giovani che presentano: difficoltà
nell’iter scolastico e abbandono della scuola, precedenti esperienze di lavoro
precario, insuccessi ed insoddisfazioni personali. Il progetto si articola in
quattro fasi: accoglienza, orientamento, formazione personalizzata e integrazione
scolastica, o formativa, o lavorativa secondo le opzioni maturate dal giovane.
b) Il progetto Promos. La sperimentazione, avviata nel 1993 per i corsi di primo livello,
è rivolta a giovani in possesso della licenza dell’obbligo, nei settori amministrativo
ed elettrico-elettronico. Obiettivi del progetto sono: l’acquisizione
da parte degli allievi di un attestato di qualifica regionale di 1° livello, cui si aggiunge
l’acquisizione di crediti formativi nei confronti del sistema scolastico,
valutabili ai fini di una prosecuzione degli studi in percorsi ad indirizzo coerente
(Istituo Tecnico Industriale o Istituto Tecnico Commerciale); la prevenzione
dell’abbandono scolastico, utilizzando metodologie didattiche, sperimentate
nella Formazione Professionale, di sostegno e motivazione allo studio. Il
programma prevede l’insegnamento di aree professionali e di aree comuni desunte
dai programmi della Commissione Brocca; l’attività didattica si svolge in
un piccolo gruppo-classe; il percorso formativo è preceduto da moduli di orientamento
e di counseling a rinforzo della motivazione. Il progetto viene attuato
con la collaborazione dell’Assessorato all’Istruzione e alla Formazione Professionale
della Regione Lombardia, dell’ELFAP e l’ENAIP (Ente Nazionale Acli
Istruzione Professionale)556.
c) Il progetto Metti in luce il tuo futuro, realizzato in collaborazione tra Ministero
della Pubblica Istruzione, Regione Lombardia e Provincia di Milano, riguarda i
rientri formativi nell’area del post obbligo, con l’obiettivo di favorire la ripresa
degli studi e migliorarne l’inserimento nel mondo del lavoro. Il percorso è strutturato
in un biennio al termine del quale è possibile ottenere una qualifica regionale
di primo livello e l’idoneità all’iscrizione al terzo anno di un istituto tecnico
in un indirizzo coerente con il percorso seguito nel biennio. Il target di
utenza è costituito da giovani che compiano i diciassette anni nell’anno solare,
che abbiano abbandonato la Secondaria superiore o la Formazione Professionale
di base da almeno due anni o che abbiano interrotto gli studi dopo la licenza
media. Sono riconosciuti i crediti formativi maturati attraverso esperienze
di lavoro o formative, in base a criteri stabiliti dal comitato scientifico e
556 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1995, op. cit., p. 306.
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425
del Consiglio di classe. Il percorso sperimentale, attivo già da un quinquennio,
prevede un biennio strutturato su 25 ore settimanali, di cui 10 dedicate all’area
d’indirizzo professionale, suddivise in cinque giorni; lo svolgimento dei corsi
può avere luogo in orario pomeridiano o serale, in funzione delle esigenze
espresse dall’utenza. Sono previste inoltre alcune ore extra curricolari per il recupero
di conoscenze di base o per rafforzare le competenze in funzione del
proseguimento degli studi. Per quanto riguarda la docenza, l’area generale è affidata
ai docenti degli Istituti tecnici e l’area tecnico-professionale ai docenti
della Formazione Professionale; il Consiglio di classe è presieduto alternativamente
dal preside o dal direttore del centro di formazione. L’integrazione tra i
due Sistemi formativi si concretizza in più fasi: nella definizione dei profili culturali-
professionali, a cui partecipano tutti i docenti in base alle competenze
specifiche di ognuno, e nella programmazione annuale, per individuare gli
obiettivi trasversali alle diverse aree disciplinari e nella realizzazione dei percorsi
congiuntamente definiti.
Per l’a.f. 1992-93 l’Isfol ha censito 472 sedi operative557, di cui 246 (pari al
52%) CFP, definiti dalla L. reg. 95/89 “strutture didattiche polivalenti destinate stabilmente
alla formazione professionale”.
557 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia op. cit.,
pp. 31-53.
Tabella n. 50 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
Da ricordare che nel 1992-93 è ancora operativa la delega ai Comuni o loro consorzi
o alle Comunità montane. I CFP dell’area pubblica (delegati e regionali) rappresentano
il 26,8% e l’area convenzionata il 73,2%. Gli 89 CFP sviluppano un volume
di attività pari a 692 corsi; la media corsi per CFP è pari a 9,9. I centri pubblici
fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 10,1, leggermente inferiore il valore
dei CFP convenzionati pari a 9,8.
Questi ultimi, come sempe sono di estrazioni culturali diverse. Ne tentiamo un
elenco non esaustivo e in ordine sparso: ELFAP è un consorzio di enti (Como, Clu-
Nostra elaborazione su base Isfol.
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426
sone, Treviglio, Bergamo, Remedello, Brescia, Mompiano, Vismara, Monza, Milano,
Carate, Desio, Mantova, Stiviere, Saronno); ELFAP – Istituto Suore Canossiane
(Milano, Cuggiono, Lodi), Pro Juventute Don C. Gnocchi (Milano), ENFAPI
(Brescia, Caccivio, Lenno, Erba, Cremona), Fondazione Luigi Clerici (Merate,
Lecco, Abbiategrasso, Milano, S. Giuliano Milanese, Parabiago, Rho, Brugherio,
Mortara, Pavia), IAL della CISL (Gravedona, Cremona, Milano, Viadana, Porto
Mantovano), ACIST (Milano), ENAIP delle ACLI (Romano di Lombardia, Dalmine,
Almè, Botticino Sera, Costa Volpino, Bergamo, Treviglio, Lomazzo, Mornasco,
Como, Cantù, Milano, Melzo, Mantova, Sondrio Varese, Busto Arsizio),
ENFAP (Milano), Scuola Andrea Fantoni, Scuola Rodolfo Vantini (Rezzato), Scuola
Addestramento Roè Volciano (Salò), Scuola d’arti e mestieri G. Castellini (Como)
Associazione Scuole Professionali G. Mazzini (Cinisello Balsamo), CAPAC (Milano),
CIFAP (Centro Interprovinciale Formazione Addestramento professionale:
Sesto S. Giovanni), EMIT (Ente Morale Istruzione Tecnica Feltrinelli (Milano),
ESEM (Ente Scuola Edile milanese (Milano), Istituto per la formazione al giornalismo
(Milano), Istituto ricerche farmacologiche “Mario Negri” (Milano), Istituto
Rizzoli Insegnamento Arti Grafiche (Milano), Scuola agraria del Parco di Monza,
Sociaetà Incoraggiamento arti e mestieri, (Milano), Teatro alla Scala (Milano),
Unione Artigiani della Provincia di Milano (Milano, Lodi, Monza, Saronno).
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 71.
Gli stanziamenti più bassi e più alti sono sono quelli del 1990 (263 miliardi di lire) e
del 1997 (524,4 miliardi); la media del periodo è pari a 353,76.
Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97): è di 80,1% superiore alla media italiana
(77,1%), ma nel Nord solo la Liguria e il Veneto hanno valori più bassi.
Grafico. n. 71 - Spesa per la Formazione Professionale secondo i bilanci regionali di previsione
(di competenza; aa. 1990-1997)
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La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 82.323 lire e
quella rispetto alla forza lavoro è di 72.677 lire. Nel primo caso è inferiore alla
media italiana (93.951 lire) di 11.660 lire, nel secondo (99.534 lire) di oltre 26.000
lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è pari all’1,29%. Anche in questo caso inferiore alla media nazionale
che fa registrare l’1,39%.
In una ipotetica classifica regionale rispetto a questi tre valori la Lombardia si
pone nella parte medio bassa, rispettivamente al quattordicesimo posto per la spesa
per abitante e per quella rispetto alla forza lavoro, all’undicesino per la spesa del settore
rispetto al totale della spesa regionale.
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558 Cfr. vol. II, p. 287.
559 Cfr. B.U.R. TRENTINOALTO-ADIGE, n. 48 del 24.11.1992.
8.6. Provincia Autonoma di Bolzano
Abbiamo già evidenziato nel volume precedente558 come la presenza nel territorio
della Provincia Autonoma di Bolzano di più comunità linguistiche e culturali si
rifletta anche nell’organizzazione del Sistema di Formazione Professionale: sia a livello
di governo che delle strutture che erogano formazione (cfr. Fig. n. 87). Pertanto
c’è un dipartimento per l’Istruzione e Formazione tedesca e ladina e uno per
l’Istruzione e Formazione italiana: l’uno e l’altro mediante le rispettive “aree” governano
le scuole professionali che operano sul territorio. Ma c’è anche un terzo dipartimento
che si occupa di Formazione Professionale: quello per l’Agricoltura e foreste,
che promuove e organizza una capillare rete di scuole “agrarie”, “fruttivicole”
e di “economia domestica”.
Questo sistema è stato regolato dalla L. prov. n. 9, Addestramento professionale
dei lavoratori del 1962 fino al 1992, quando la Provincia, con L. prov. 12 novembre
1992, n. 40 Ordinamento della formazione professionale559 si dota di una nuova normativa
organica.
Figura. n. 87 - Struttura organizzativa che governa la Formazione Professionale nella Provincia
Autonoma di Bolzano
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429
Si consideri, peraltro, che secondo lo statuto di autonomia del 1972, la Formazione
Professionale risulta una competenza esclusiva della Provincia Autonoma560,
che è quindi legittimata a dotarsi in modo autonomo ed esclusivo di leggi e regolamenti
che disciplinino tale settore.
La L. prov. n. 40/92 si caratterizza per un impianto essenziale, che detta principi
e disegna a grandi linee sia il sistema programmatorio sia quello gestionale (cfr. Fig.
n. 88).
La Provincia adotta un Piano pluriennale “al fine di assicurare la coerenza tra
gli interventi formativi e quelli di politica del lavoro, in riferimento agli indirizzi
delle Comunità Europee ed in accordo con il sistema scolastico generale”, che rappresenta
il quadro di riferimento per la programmazione annuale degli interventi in
materia di Formazione Professionale.
Gli uffici provinciali competenti in materia di Formazione Professionale, predispongono
annualmente i Programmi operativi, che contengono un elenco dei corsi
annuali e pluriennali, ed indicano il profilo professionale, le modalità di iscrizione,
di gestione e di realizzazione, nonché la durata ed i contenuti dei corsi stessi. Sia per
l’elaborazione del Piano pluriennale che per i Programmi operativi l’unico soggetto
interpellato per la Formazione Professionale561 è la Commissione Provinciale.
560 Cfr. vol. II, p. 287, nota n. 387.
561 Istituita nell’ambito della Commissione provinciale per l’impiego che ne definisce la composizione
e le modalità di funzionamento. Ne fanno parte di diritto: gli assessori provinciali aventi competenza
in materia di apprendistato e di Formazione Professionale, di cui uno con funzioni di presidente e
i direttori delle ripartizioni provinciali competenti in materia di Formazione Professionale e di apprendistato.
Figura n. 88 - Processo programmatorio pluriennale ed annuale (L. prov. n.40/92)
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430
Quanto mai essenziali e sommarie le previsioni relative ai soggetti attuatori
(artt. 4 e 8; cfr. Fig. n. 89): la declaratoria si limita a individuare la tipologia di soggetti,
senza mai precisare, soprattutto per quelli non pubblici, quali debbano essere i
requisiti per poter essere dichiarati idonei a proporre e realizzare attività formative.
Recita l’art. 8:
“Per l’attuazione delle attività formative la Provincia si avvale: delle proprie strutture,
scuole o centri di formazione professionale; di sedi e mezzi didattici delle scuole a carattere
statale, previa intesa con l’autorità scolastica competente; di strutture appartenenti a
terzi, enti pubblici o privati”.
Si noti il termine “privati”, usato per designare gli attuatori “non pubblici”.
Espressione corretta sotto un profilo strettamente giuridico, ma quanto mai non
idonea a identificare la tipicità di tali soggetti, almeno come li ha connotati il dibattito
prima, durante e dopo l’elaborazione della Legge quadro.
Dibattito che tutt’al più usava il termine “privato sociale”; espressione che coniuga
e l’aspetto giuridico-formale e l’identità sociologica-sostanziale. Ente privato,
sì, ma chiamato a svolgere funzioni pubbliche. Ente privato, ma espressione delle
realtà sociali, e nello stesso tempo, da una parte, radicato nel territorio, di cui è in
grado di intercettare i bisogni professionali e tradurli in progetti formativi e dall’altra,
portatore di una “proposta formativa” e quindi potenzialmente adeguato sotto
il profilo tecnico e educativo.
Il testo è essenziale, si è detto, quasi scarno nelle previsioni che riguardano il processo
programmatorio e gestionale, ma dà indicazioni di dettaglio sulle tipologie di
Figura n. 89 - Soggetti gestionali (L. prov. n. 40/92)
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431
Formazione che il sistema può erogare, riconducibili a quattro categorie: azioni di formazione
e di orientamento al lavoro; azioni di formazione sul lavoro; corsi di preparazione
agli esami per l’abilitazione all’esercizio delle professioni ed ai concorsi pubblici;
azioni di formazione e di cooperazione con l’impresa (cfr. Prosp. n. 44).
Segnaliamo due caratteristiche ulteriori, tipiche del mondo formativo tedesco:
lo stretto rapporto tra struttura di formazione e sistema produttivo e la forte standardizzazione
della struttura didattica dei corsi. Per quanto riguarda l’intensità del rapporto
Scuole-CFP e aziende, la L. reg. 40/92 prevede: a) la stipula di “protocolli di
intesa o convenzioni, con disciplina dei relativi oneri, per l’uso di attrezzature, di locali
e di risorse umane, al fine di erogare azioni di formazione adeguate ai fabbisogni
formativi del mercato del lavoro” (art. 9 comma 2); b) un’alternanza formazione-
lavoro in azienda sistematica (“durante l’anno scolastico; durante le ferie scolastiche;
a conclusione dei corsi” per fare acquisire agli allievi “esperienze pratiche
nell’ambito produttivo”, per “avvicinarli progressivamente al mondo del lavoro” e
per “favorire il miglioramento della conoscenza delle lingue”) (art. 9 comma 1).
La standardizzazione dei percorsi didattici riguarda i programmi e le relative
prove d’esame. Contrariamente a quanto avviene, normalmente, negli altri sistemi
formativi dove la preoccupazione è la standardizzazione delle qualifiche (cioè il traguardo
del percorso formativo) nella Provincia Autonoma di Bolzano c’è anche la
preoccupazione di definire il percorso (“il programma”) e i modi per accertare se
l’allievo effettivamente arrivi al traguardo (“articolazione e contenuti delle prove
d’esame per il conseguimento delle qualifiche e dei diplomi professionali e di abilitazione”)
(artt. 10, 11, 12).
L’art. 12 prevede l’emanazione di un regolamento, entro un anno dall’entrata in
vigore della Legge, che disciplini dettagliatamente gli aspetti organizzativi e proce-
Prospetto n. 44 - Tipologie di interventi
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432
durali interni della scuola562. In effetti i regolamenti saranno tre: il primo563 riguarda i
programmi delle Scuole agrarie, fruttivicole e di economia domestica, gli altri due
l’organizzazione didattica delle altre scuole professionali564.
Per l’a.f. 1990-91 l’Isfol ha censito 66 sedi operative, di cui 22 (pari al 33%)
strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale (cfr. Tab. n. 51).
Nella legislazione e nei documenti amministrativi tali strutture vengono denominate
Scuole professionali (mai CFP).
Tra le 15 scuole direttamente gestite vanno menzionate: le due scuole alberghiere
provinciali di Merano, in lingua italiana e tedesca, e le scuole professionali di
lingua tedesca di Silandro, Bressanone, Merano, Bolzano, Brunico e quelle di lingua
italiana di Merano, Bressanone, Bolzano (una per l’industria e l’artigianato e l’altra
per il commercio e il turismo) e, sempre in lingua italiana la scuola provinciale in
agricoltura di Vadena.
Vanno però menzionate, anche se non sono comprese nella tabella, le strutture
formative di competenza del Dipartimento agricoltura e foresta: le scuole provinciali
agrarie “Fürstenburg” a Burgusio/Malles, “Mair am Hof” a Teodone/Brunico,
“Salern” a Varna; la scuola provinciale fruttiviticola “Laimburg” a Vadena; le scuole
562 L’art. 12 precisa le tematiche del regolamento: la durata delle unità di lezione; le valutazioni,
promozioni, ripetizioni dell’anno scolastico e le misure disciplinari; le modalità di giustificazione delle
assenze; l’utilizzo dei beni prodotti e dei servizi resi dalle officine o dai laboratori della scuola, nell’ambito
delle esercitazioni pratiche; le competenze degli organi collegiali.
563 Decreto del Presidente della Giunta provinciale 9 settembre 1993, n. 35 Approvazione del regolamento
di esecuzione dell’articolo 5 della legge provinciale 12 novembre 1992, n. 40, concernente l’ordinamento
della formazione professionale in B.U.R. TRENTINO-ALTO ADIGE, 28 settembre 1993, n. 46.
5641) Decreto del Presidente della Giunta provinciale 22 dicembre 1994, n. 63 Regolamento concernente
gli aspetti organizzativi della scuola - legge provinciale 12 novembre 1992, n. 40: Ordinamento
della formazione professionale in B.U.R. TRENTINO-ALTO ADIGE, nel B.U. 11 aprile 1995, n. 16.
3) Decreto del Presidente della Giunta provinciale 25 novembre 1996, n. 45 Programmi ed orari di insegnamento
per il biennio per i servizi alberghieri e della ristorazione e per il biennio tecnico artigianale
nelle scuole professionali provinciali in lingua tedesca e ladina in Suppl. n. 1 al B.U.R. TRENTINOALTOADIGE,
18 marzo 1997, n. 13.
Tabella n. 51 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
Fonte: ISFOL
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433
565 La Confesercenti è un’associazione di categoria che rappresenta le piccole e medie imprese italiane
del commercio, del turismo e dei servizi. È stata fondata a Roma nel 1971. Nel 2008 rappresentava
oltre 270.000 imprese che occupano oltre 800.000 persone; è suddivisa in 75 associazioni di categoria e
in 21 federazioni regionali.
Tabella n. 52 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
provinciali di economia domestica a Corces, la “Frankenberg” a Tesimo, Teodone a
Brunico, “Griesfeld” a Egna, ad Aslago di Bolzano, la “Bühlerhof” a Sarnes/Bressanone.
I due CFP che compaiono in tabella sono dell’ENAIP di Bolzano e del CESCOT
della Confesercenti565.
Nella Tabella 52, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia
formativa e settore economico negli anni formativi 1990-91 e 1995-96. Un
confronto tra le due annualità è reso problematico dal numero dei corsi censiti dall’Isfol
per l’a.f. 1995-96 (solo 100), sottodimensionato rispetto alla media degli altri
anni del decennio.
Non desumibile dai Piani la tipologia formativa
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434
Da un punto di vista settoriale, sia nella prima che nella seconda annualità considerata,
il settore prevalente è il Terziario: pesa il 67% all’inizio degli Anni ’90 e
addirittura il 72% a metà decennio.
I corsi programmati più numerosi nel settore e nelle aree professionali dell’Industria
sono, in ordine decrescente: elettricità ed elettronica, meccanica e metallurgia,
edilizia. In quelle del Terziario, nel 1990-91, l’informatica (il 27% dei corsi
di tutto il Terziario), i lavori d’ufficio e la ristorazione e nel 1995-96 i servizi socioeducativi
e i lavori d’ufficio.
Per quanto riguarda l’evoluzione tra le due annualità prese a confronto, il dato
più rilevante è l’espansione delle attività per adulti, e in particolare per i disoccupati,
ai quali sono destinati 49 interventi (agli occupati 28)566.
I 7.337 allievi previsti per l’a.f. 1990-91 rappresentano l’1,08% della popolazione
attiva (14-60enni); i 556 allievi della prima qualificazione rappresentano il 3%
della leva dei 14-16enni567.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni e delle Province Autonome,
realizzata all’Isfol, la spesa provinciale per ciascun anno del periodo in esame
è quella di cui al Grafico 73. Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono
quelli del 1990 (44,7 miliardi di lire) e del 1997 (137 miliardi); la media del periodo
è pari a 76,95 miliardi.
Buona la capacità realizzativa della Provincia (pagamenti entro il 1998 degli
impegni assunti nel triennio 1995-97): è 89,6% superiore alla media italiana (77,1%)
e del Nord dove viene preceduta solo dalla Provincia di Trento (90,45%).
566 SISTAN (Sistema statistico nazionale-Isfol).
567 La popolazione attiva ammontava a 292.340; i 14-16enni a 18.461. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - anni 1982-1991.
Grafico n. 72 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 271.134 lire (solo
Basilicata, Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Trento fanno registrare valori più
alti) e quella rispetto alla forza lavoro è di 481.059 lire (la più alta di tutto il Paese).
Nell’uno e nell’altro caso la spesa della Provincia è superiore alla media italiana di
177.183 e di 381.525 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto
alla spesa totale della Provincia è pari al 2,49%. Solo la Sicilia ha un valore
percentuale maggiore (3,15%) mentre la media italiana si ferma a 1,39%.
Grafico n. 73 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (aa. 1990-97)
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436
8.7. Provincia Autonoma di Trento
Nel periodo considerato la Provincia di Trento non emana nessuna Legge sulla
Formazione Professionale e quindi la L. prov. n. 21/87 rimane la normativa di riferimento.
È importante segnalare il livelli di eccellenza raggiunti dal Sistema di Formazione
Professionale di quegli anni tanto che, “appannata” la leadership culturale
della Lombardia (particolarmente prestigiosa durante il lungo assessorato di Filippo
Hazon), assurge ad un ruolo di riferimento per tutte le Regioni. Le politiche della
Formazione Professionale (elaborate dall’Assessorato provinciale) e quelle del lavoro
(elaborate dall’Agenzia provinciale del lavoro)568 diventano patrimonio comune
anche a livello nazionale.
La Formazione Professionale della Provincia può contare su un’ottima base informativa
prodotta dall’Osservatorio del mercato del lavoro (all’interno dell’Agenzia
del lavoro) che provvede all’analisi della domanda e dei fabbisogni occupazionali
e formativi del territorio, con due tipi di indagine.
La prima è l’Indagine previsionale di manodopera, attivata nel 1987, realizzata
mediante un questionario postale inviato ad un campione delle imprese con meno di
4 dipendenti ed all’universo di quelle con almeno 4 dipendenti. La rilevazione consente
di avere dati relativamente:
– all’andamento ed alla composizione dell’occupazione, per ramo di attività e per
categoria professionale (apprendisti, operai, impiegati, dirigenti, quadri, con indicazione
dei CFL);
– alla previsione dell’occupazione per figure professionali (le indicazioni delle
imprese sono tradotte in codici Istat), con l’indicazione della difficoltà o meno
per il reperimento sul territorio.
La seconda indagine ricorrente, attivata dal 1986 con periodicità trimestrale ed
annuale, è uno studio sulle figure professionali richieste dal mercato del lavoro locale,
condotto utilizzando le autorizzazioni dei contratti di formazione lavoro, gli
annunci pubblicati sulla stampa locale, i bandi di concorso. I risultati vengono integrati
ed analizzati insieme con quelli provenienti dall’indagine previsionale prima
descritta.
Tutte le informazioni vengono poi trasferite ai servizi per l’orientamento professionale
e per le iniziative formative; questi effettuano una verifica telefonica delle
indicazioni fornite dalle imprese, approfondendo anche una serie di dati suppletivi,
quali i titoli di studio ed altri requisiti eventualmente richiesti.
568 Istituita con la Legge Provinciale n. 19/83, è la struttura che idea e realizza gli interventi di politica
attiva del lavoro.
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437
La base informativa necessaria per una buona programmazione delle attività
formativa proviene alla Provincia anche da un’attività ricorrente di valutazione,
degli esiti e di sistema569.
A queste acquisizioni del decennio precedente si aggiunge, a metà degli Anni
’90, una radicale innovazione della Formazione di base, che contiene, addirittura,
anticipazioni delle riforme che verranno realizzate dopo il 2000. Ne facciamo una
trattazione dettagliata in considerazione della capacità di raccogliere e metabolizzare
quanto di meglio c’era in questo periodo nella cultura della Formazione Professionale,
dando vita ad un’offerta organica di prima qualificazione, in cui sono
coniugati aspetti innovativi di architettura istituzionale (anche intersistemici come,
ad esempio, la possibilità di transizione dalla Formazione alla scuola media superiore
e viceversa) con nuovi aspetti operativo-procedurali (ad esempio, gli strumenti
per la valutazione degli apprendimenti e delle competenze acquisite). Per
comprendere il valore di quanto progettato, sperimentato e messo a regime dalla
Provincia in particolare per quanto attiene i rapporti Scuola e Formazione Professionale
si consideri le discussioni estenuanti (e inconcludenti) in Parlamento, sul
problema della possibilità di assolvere l’obbligo d’Istruzione anche nella Formazione
Professionale.
Il Progetto per la riqualificazione della formazione di base570 è stato avviato nel
1994, con una metodologia di ricerca-intervento che ha consentito di progettare,
sperimentare, realizzare azioni di supporto e accompagnamento, monitorare, correggere
le criticità, verificare i risultati, senza mai interrompere i processi, l’organizzazione
del servizio, il rispetto delle scadenze e degli impegni verso l’utenza. Prende
l’avvio da un Protocollo d’intesa sottoscritto dalla Provincia con le forze sociali con
l’intento dichiarato, tra gli altri, di “mettere il sistema in grado di posizionarsi adeguatamente
a fronte ad una ventilata riforma del sistema scolastico che prefigurava
l’innalzamento dell’obbligo a 16 anni e rispetto al quale si volevano creare le condizioni
per poterlo assolvere anche nella formazione professionale”.
L’impianto iniziale, definito, progettato e sperimentato nel triennio 1994-97, è
stato adattato (senza mai stravolgere la filosofia e l’impianto di base) ai cambiamenti
del quadro normativo nazionale e degli indirizzi politici e culturali emergenti
a livello europeo571.
La scelta di fondo, già operata nel Protocollo d’intesa, è stata quella di prolungare
da due a tre anni il percorso formativo e di articolare il biennio orientativo e po-
569 Cfr. volume II, p. 304 e ss. Con periodicità ricorrente l’Osservatorio ha prodotto la ricerca Esiti
occupazionali dei qualificati dei centri di formazione professionale.
570 Per la descrizione del progetto ci rifacciamo “abbondantemente” a TURRINI O., Apprendimento
permanente e dintorni in Professionalità n. 32 annuario 2012-2013.
571 Il progetto, oltre alla fase iniziale che stiamo descrivendo, viene rivisto una prima volta alla
luce dell’avvento della “cultura delle competenze”, della riforma Berlinguer, dell’innalzamento dell’obbligo
a 15 anni e dell’introduzione dell’obbligo formativo (1998-2002) e una seconda, a seguito del
progetto di innovazione del sistema, della riforma Moratti (2003-2005) e degli accordi Stato-Regioni.
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438
livalente su aree macro professionali, seguito da un terzo anno per il conseguimento
dell’attestato di qualifica.
La filosofia che sottosta a questo impianto è quella di arricchire culturalmente il
biennio ed al tempo stesso di migliorare la qualificazione professionale in uscita dal
percorso, che potrà beneficiare di una maggiore consapevolezza dei fondamenti
scientifici e tecnologici della professionalità e quindi di un’identità professionale
culturalmente fondata.
Inoltre, il biennio ha una forte valenza orientativa che favorisce una progressiva
e guidata presa di coscienza delle scelte possibili da parte degli allievi, che a 14 anni
scelgono solo il macrosettore di riferimento, mentre a 16 anni optano per una precisa
qualifica o per il rientro nella scuola o nel lavoro. Infatti, il progetto trentino si muoveva
nell’ottica che la Formazione Professionale fosse un sottosistema del più
ampio sistema formativo o, come si dirà nel primo decennio del 2000, di Istruzione e
Formazione. Nel ridefinirne l’intelaiatura si è dunque tenuto conto del fatto che bisognava
garantire, dopo il biennio:
– la possibilità di entrare o rientrare nel canale dell’Istruzione agli allievi che intendessero
proseguire gli studi;
– la possibilità di acquisire la qualifica mediante l’apprendistato a chi invece volesse
entrare nel mondo del lavoro.
I macrosettori previsti per il biennio sono 6 – industria e artigianato, terziario,
alberghiero e della ristorazione, abbigliamento, servizi alla persona, grafico (cfr.
Fig. n. 91) – mentre i percorsi di qualifica sono 18.
Figura n. 90 - Struttura triennale della formazione di base nella Provincia Autonoma di Trento
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439
Nel bienno il percorso formativo si articola in aree disciplinari comuni ed aree
disciplinari di indirizzo. L’area comune (17 ore settimanali) è uguale per tutti i settori
formativi572, in modo da consentire agli allievi del biennio di raggiungere uno
standard di “apprendimenti culturali di base” che garantisca anche una pari dignità
rispetto al biennio scolastico e quindi la spendibilità ai fini dell’eventuale assolvimento
dell’obbligo.
L’introduzione delle discipline rappresenta un novità rispetto al passato ed avviene
secondo una logica di maggiore comunicazione con la scuola. Nel tradizionale
corso biennale di qualifica le materie culturali venivano affrontate prevalentemente
in un’ottica funzionale e strumentale al settore di qualifica. Il nuovo impianto intende
invece garantire il dialogo tra l’area comune e di indirizzo, che concorrono insieme
a creare una cultura professionale.
Nell’area di indirizzo ci sono 4 ambiti disciplinari con una denominazione
uguale in tutti i macrosettori: scienze, linguaggi e comunicazione, modelli organizzativi,
tecnologie e processi operativi, per complessive 19 ore settimanali. I quattro
ambiti disciplinari si differenziano all’interno di ciascun macrosettore per finalità,
contenuti e durata. La denominazione individuata per queste aree è funzionale non
solo ad un’omogeneità d’impianto, ma anche a dare un segnale di cambiamento sostanziale
del percorso, per evitare che, dietro un apparente rinnovamento ci fosse
una riproposizione diluita delle vecchie materie e dei vecchi contenuti.
Nel corso della progettazione si è passati, previo accordo sindacale, ad un’impostazione
dell’orario che da settimanale è diventata annuale, per complessive 1100
ore, suddivise come da figura. Il terzo anno di qualifica, articolato in moduli, acquista
una particolare flessibilità, in quanto le qualifiche attivate sono rese costantemente
coerenti con la dinamica del mondo del lavoro e del territorio, sia quanto a
specializzazioni previste, sia quanto a specifiche competenze professionali promosse.
La sua progettazione è stata realizzata attraverso questi tre passaggi:
– la rilevazione e l’analisi del fabbisogno espresso dal sistema produttivo, che ha
visto il coinvolgimento e la testimonianza di 230 imprese dei vari comparti economici;
– l’individuazione delle caratteristiche, in termini di conoscenze e competenze,
dei profili professionali che hanno portato ad identificare 18 qualifiche professionali
approvate dal Comitato provinciale di Programmazione della Formazione
Professionale;
– la definizione, sulla base dei profili professionali di riferimento, degli obiettivi e
dei contenuti dei singoli percorsi di qualifica a partire da quelli previsti nei
primi due anni.
572 L’area comune comprende: italiano, storia, diritto ed economia, matematica, lingua straniera,
oltre a educazione fisica e religione.
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 439
440 Figura n. 91 -
Struttura del Biennio della Formazione di base nella Provincia Autonoma di Trento
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441
L’articolazione del terzo anno prevedeva tre aree:
a) un’area di “cultura professionale e contesto organizzativo”, la cui durata poteva
variare, a seconda delle qualifiche, dalle 100 alle 200 ore annue, che comprendeva
6 moduli obbligatori per tutte le qualifiche573;
b) un’area “professionale” (la cui durata poteva variare a seconda delle qualifiche
da 700 a 800 ore annue), costituita da un’area tecnico-scientifica ed un’area
operativa che prevedevano moduli obbligatori per tutte le qualifiche574;
c) lo stage (della durata minima di 200 ore, aumentabili in relazione alle esigenze
di ciascuna qualifica ed articolabili anche in più momenti) da collocare nelle diverse
fasi del percorso formativo del terzo anno.
I lavori si sono svolti con questi tempi575. Si è progettato il primo anno (1994),
l’anno successivo lo si è sperimentato in forma generalizzata (1994-95) e contemporaneamente
si è progettato il secondo anno. Nel 1995-96 si è sperimentato il secondo
573 I moduli erano legislazione sociale e del lavoro, cultura d’impresa e autoimprenditorialità, comunicazione
e comportamenti professionali, igiene e sicurezza del lavoro, preparazione e rielaborazione
dei risultati dello stage, ricerca attiva del lavoro.
574 I moduli erano: la conoscenza del processo produttivo, l’antinfortunistica in riferimento alla
particolare qualifica professionale, la conoscenza tecnica della lingua straniera.
575 Tutto il ciclo del progetto è stato supervisionato da una Commissione istituzionale presieduta
dall’Assessore alla Formazione Professionale e composta da rappresentanti della Provincia, degli Enti
gestori, del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero del Lavoro. Per la progettazione del
percorso sono state costituite commissioni tecniche, composte da insegnanti, da rappresentanti delle associazioni
imprenditoriali e professionali, esperti.
Prospetto n. 45 - Qualifiche acquisibili al terzo anno
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442
anno e si è progettato il terzo. La progettazione del terzo anno ha comportato una
consistente fase di analisi dei fabbisogni che ha messo a diretto confronto il mondo
della formazione con le imprese, ai fini della definizione delle nuove qualifiche e del
profilo professionale. Nel 1996-97 si è sperimentato il terzo anno. A giugno 1997
sono usciti i primi qualificati col nuovo sistema.
Il progetto si è caratterizzato per una pluralità di fattori, di natura didattica e organizzativa:
– l’adeguamento organizzativo e strumentale. Tutta la macchina organizzativa
del Sistema della Formazione Professionale ha dovuto adeguarsi al nuovo impianto,
dall’organizzazione dei rapporti con l’utenza e le famiglie alla gestione
delle aule e dei laboratori;
– l’orientamento come processo continuo. Esso è stato ripensato e dotato di strumenti
coerenti. Per l’orientamento, sono state individuate una serie di tappe, che
contrassegnano il percorso del triennio (cfr. Fig. n. 92):
1. La fase che precede l’iscrizione al Centro, nella quale vengono stabiliti i
rapporti con la scuola media o con le scuole superiori nel caso di riorientamento
degli allievi verso la Formazione Professionale, al fine di favorire
una conoscenza e scelta consapevole del percorso della Formazione Professionale.
2. L’accostamento al Centro di famiglie ed allievi in vista dell’iscrizione, visto
come fonte informativa dei bisogni di apprendimento ma anche di orientamento.
3. La fase dell’accoglienza nei primi giorni, volta a favorire i processi di identificazione
con la scelta fatta; ad elaborare un bilancio iniziale delle risorse
in termini di apprendimento professionale; nonché a sviluppare una corretta
immagine nei confronti dei processi di Formazione Professionale ed in particolare
di quello scelto.
4. La progettazione di percorsi di recupero e di rimotivazione per casi problematici,
sia dal punto di vista dell’apprendimento, sia da quello personale
(disorientamento) e familiare.
5. L’inserimento nel corso dell’attività formativa (con diversa valenza e calibratura
nel biennio e nel terzo anno) di moduli o unità didattiche a valenza
orientante576.
576 I moduli mirano a promuovere: a) una cultura del lavoro, sia come comprensione dei processi
produttivi e dei sistemi organizzativi, sia come comprensione del territorio e delle opportunità di inserimento
e di carriera lavorativa; b) una maturazione del senso di responsabilità (rispetto degli ambienti e
delle attrezzature, sicurezza) e di ricerca del benessere (salute, buone relazioni) sul posto di lavoro; c) la
comprensione e preparazione a un ruolo professionale vissuto in maniera positiva e partecipativa; d) lo
sviluppo di valori e motivi che guidino e sostengano la scelta lavorativa (onestà, solidarietà, coscienza
ecologica e sociale, apertura alla Formazione Continua); e) sviluppo di un atteggiamento proattivo aperto
al protagonismo nella vita professionale (imprenditorialità, mobilità).
storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 442
443
6. La registrazione alla fine del primo anno dell’emergere di un chiaro indirizzo
nella scelta da compiere nel secondo anno, oppure di una fase ancora
di incertezza e la progettazione di piani di intervento conseguenti.
7. L’individuazione di metodologie e strumenti per aiutare gli allievi nel corso
del secondo anno a formulare realistiche e consapevoli scelte di percorso
formativo.
8. L’elaborazione, alla fine del secondo anno, di un giudizio di orientamento,
che dovrebbe avere un carattere vincolante sia per quelli che possono inserirsi
nel contesto scolastico, sia per quelli che scelgono la qualifica, sia per
quelli che possono venire indirizzati verso un percorso di apprendistato.
9. La fase dedicata a far emergere, nel corso del terzo anno, ulteriori problematiche
riguardanti l’inserimento nel mondo del lavoro e l’acquisizione di
una cultura professionale.
10. La fase delle azioni di sostegno e assistenza all’inserimento nel mondo del
lavoro, dopo il conseguimento della qualifica.
– La costruzione di un nuovo processo di valutazione degli apprendimenti e delle
competenze. La valutazione è stata completamente reimpostata, sia metodologicamente
sia per quanto riguarda la strumentazione specifica. Sono stati definiti i
criteri per la valutazione (in ingresso, in itinere e finale), gli strumenti di certificazione
e le modalità per l’esame di qualifica dove, anticipando la riforma della
scuola, è stata introdotta la valutazione in centesimi. Si è cercato di introdurre
Figura n. 92 - Tappe del percorso di orientamento nel triennio
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444
una concezione della valutazione che aiutasse il sistema ad essere più promozionale
che selettivo, soprattutto temendo il pericolo che l’introduzione di una
più forte dimensione culturale comportasse maggiori difficoltà per un’utenza
tradizionalmente debole, e quindi un aumento di ritiri e bocciature. Perciò la valutazione
degli apprendimenti si connota come un processo basato sull’integrazione
di tre fattori: i risultati delle prestazioni, l’osservazione da parte del docente,
l’autovalutazione da parte dell’allievo. Tale processo parte dal bilancio
iniziale delle risorse personali in termini di apprendimento professionale, si sviluppa
durante il percorso formativo attraverso metodologie di osservazione e di
raccolta di documentazione in un dossier per ciascun allievo, coinvolgendo l’allievo
stesso nella sua costruzione e gestione, e consente di esprimere la valutazione
finale mediante un supporto di documentazione che costituisca la base di
un bilancio conclusivo e della comunicazione alle famiglie. In sostanza si è anticipato
il concetto di portfolio, ora generalizzato anche nella scuola.
Si è introdotta la distinzione tra diversi documenti di valutazione e le differenti
funzioni che essi assumono (cfr. Fig. n. 93): la pagella (certifica pubblicamente
e periodicamente i risultati conseguiti durante il percorso, sulla base di format e
descrittori formalmente approvati dalla Giunta Provinciale - cfr. Prosp. n. 46)577;
l’attestato di qualifica (per il quale si è adottato il format, a titolo sperimentale,
dal Ministero del Lavoro)578; i documenti interni579; il portfolio (cartella che
comprende una selezione dei lavori svolti dall’allievo e la loro valutazione)580.
577 Nel biennio, viene dato un giudizio relativamente alle aree disciplinari e un giudizio complessivo
dell’area comune e dell’area d’indirizzo. Nel secondo anno la pagella include anche un giudizio di
orientamento (verso il proseguimento degli studi o verso il percorso di qualifica o verso l’apprendistato)
che diventa vincolante ai fini della possibilità di rientrare nel percorso scolastico. Particolarmente innovativa
è stata la pagella del terzo anno. Coerentemente con l’impostazione progettuale, che ha rotto lo
schema tradizionale delle discipline o ambiti disciplinari (che invece caratterizza il biennio e le relative
pagelle), per il terzo anno si è adottata un’impostazione basata sulle competenze. Essa ha una notevole
valenza comunicativa verso il mondo del lavoro; inoltre, ha implicato una diversa organizzazione delle
procedure valutative degli insegnanti, poiché al conseguimento di determinate competenze concorrono
contenuti che fanno riferimento a più docenti.
578 La definizione del nuovo attestato di qualifica ha comportato la messa in atto di una serie di
strategie per valorizzarlo, in modo da fornire un valore aggiunto all’allungamento del percorso. A
questo proposito sono state stipulate intese con il Ministero dell’Industria, con la Commissione Provinciale
per l’Artigianato, con la Camera di Commercio, con le Ferrovie, con la Telecom che, di fatto,
hanno equiparato l’attestato di qualifica rilasciato dalla Provincia di Trento al diploma dell’Istruzione
professionale, ai fini dell’inserimento lavorativo.
579 In essi vengono riportati giudizi relativi ai risultati conseguiti da ciascuno e dai vari gruppi
sulla base del processo formativo attivato, al fine di regolare meglio l’azione formativa del Centro e dei
singoli docenti.
580 Il portfolio o dossier, inteso sia come strumento di valutazione, che di autovalutazione ha valenza
più o meno ufficiale a seconda di come è organizzato e gestito; può essere progettato, organizzato
e valutato dal docente stesso, o dal docente e dall’allievo in collaborazione, o dall’allievo in maniera
più autonoma. Il portfolio può essere inteso come portfolio di lavoro, riferito a singole discipline, utilizzato
durante il quadrimestre e facilmente accessibile agli studenti; oppure come dossier permanente,
riferito a singole discipline o a tutte le discipline, che include una parte significativa della documentazione
raccolta e che è base di riferimento per la valutazione di fine quadrimestre o di fine anno.
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445
– La programmazione di Centro. Si è introdotto il concetto (anch’esso anticipatore
del POF: Piano dell’Offerta Formativa) di una programmazione a livello di
Centro di Formazione Professionale, verificabile da parte della Provincia, con il
Figura n. 93 - Documenti per la valutazione e certificazione degli apprendimenti e competenze
Prospetto n. 46 - Struttura della pagella del terzo anno
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446
compito di adattare e concretizzare il programma formativo in base alle specificità
del Centro581.
– L’introduzione di una funzione organizzativa nuova: il coordinatore della sperimentazione,
con il compito di accompagnare e supportare le équipes di docenti
sia per l’aspetto didattico che per quello organizzativo, tenendo i rapporti con i
coordinatori degli altri CFP e con gli eventuali esperti esterni.
– La formazione dei formatori. Consistenti attività formative sono state organizzate
per mettere tutti i docenti in grado di conoscere e condividere il nuovo impianto
e i nuovi programmi (ordinamenti didattici).
Un ulteriore elemento innovativo è stato il collegamento con il Sistema scolastico.
In Provincia di Trento, prima del Progetto di riqualificazione, veniva attivato
da parte del Sistema della Formazione Professionale un anno cosiddetto “di raccordo
con la scuola”, successivo al conseguimento della qualifica biennale, che consentiva,
previo esame, il rientro nel quarto anno degli Istituti Tecnici. Durante la progettazione
del secondo anno della Formazione Iniziale (1995) si è constatato che
l’articolazione del biennio, così come si andava a configurare, presentava caratteristiche
tali da poter garantire, pur nella specificità dei metodi e dei contenuti della
Formazione Professionale, l’acquisizione di competenze valide, come “credito formativo”
(a quel tempo non era ancora usuale il termine di credito formativo), sul
versante del Sistema scolastico, e quindi valide per prevedere il rientro nell’Istruzione
Secondaria superiore, rispetto a quegli indirizzi che avevano analoga strutturazione
di corso di studi (un biennio ed un triennio). Per verificare questa possibilità di
passaggio è stata costituita, su richiesta della Provincia, con decreto del Ministero
della Pubblica Istruzione (Direzione generale Istruzione Tecnica), una commissione
paritetica Provincia-Ministero, che ha effettuato uno studio comparato sui programmi
ed un’indagine specifica sulla preparazione degli allievi della Formazione
Professionale e dell’Istruzione Tecnica.
Sono state elaborate delle prove, a cura dell’IPRASE (Istituto Provinciale Ricerca
e Sperimentazione Educativa), che sono state somministrate agli allievi delle
prime classi del settore industria e artigianato e dell’istruzione tecnica industriale.
Dall’indagine è emerso che il 25% degli allievi della Formazione Professionale
aveva ottime probabilità di inserimento positivo nella scuola, avendo le stesse capacità
degli allievi dell’istruzione tecnica.
Su queste basi si è pervenuti alla sottoscrizione nell’ottobre del 1995 del Protocollo
d’intesa tra la Provincia Autonoma di Trento ed il MPI - Direzione Generale
Istruzione tecnica, che prevedeva la possibilità di transitare dal secondo anno del
581 Per consentire una reale contestualizzazione del progetto formativo nell’ambito del CFP, le migliori
condizioni didattiche nella realizzazione del percorso, la possibilità di personalizzare l’intervento
rispetto alle caratteristiche e al bilancio delle risorse dei ragazzi, viene assegnato un ulteriore budget di
risorse, in termini di monte ore annuo aggiuntivo (piuttosto consistente) per ogni CFP, che può essere
utilizzato in modo flessibile, modulare, in base alle necessità che si presentano in corso d’anno, secondo
criteri didattici ed organizzativi definiti nella programmazione del Centro.
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biennio del macrosettore dell’industria e artigianato al terzo anno degli Istituti Tecnici
Industriali e degli Istituti Tecnici per Geometri. Nel novembre 1996 è stato sottoscritto
un secondo protocollo tra le stesse parti, che prevedeva di allargare la possibilità
di transito dal macrosettore terziario agli Istituti Tecnici Industriali582.
La realizzazione sperimentale del passaggio dalla Formazione Professionale all’Istruzione
Tecnica in attuazione dei Protocolli d’Intesa ha visto lo sforzo congiunto
di individuare modalità operative, che ne cogliessero appieno e ne valorizzassero lo
spirito: modalità nuove per cui il passaggio non avveniva più tramite un esame, ma
un colloquio583. Gli allievi transitati all’Istruzione Tecnica si aggiravano intorno
all’8% degli iscritti al secondo anno della Formazione Professionale di base.
Pur non essendo esplicitamente previsto nei Protocolli d’Intesa nella fase attuativa
si è introdotto il principio della reciprocità, ossia sono stati definiti, in accordo con la
Provincia e la Sovrintendenza scolastica, dei criteri per favorire la transizione dal Sistema
scolastico a quello della Formazione Professionale. Tali criteri, ispirati alla filosofia
del bilancio delle competenze, sono stati definiti con una circolare a firma congiunta
dell’Assessore alla Formazione Professionale e del Sovrintendente scolastico
provinciale. Ciò valorizza la pari dignità dei due Sistemi e consente di superare la tradizionale
e negativa definizione di “drop-out”, recuperandola in positivo nella logica
dei crediti formativi. Gli allievi transitati dalla Scuola Secondaria superiore alla For-
582 La possibilità di rientro non è generalizzata, ma è condizionata da alcuni vincoli: a) gli allievi
devono risultare promossi ed avere formalizzato nella pagella un giudizio di orientamento favorevole al
rientro scolastico; b) gli allievi devono superare positivamente un colloquio, con cui si effettua un bilancio
dei livelli di apprendimento già documentati nella propria cartella personale (portfolio). Non un
esame di ammissione, quindi, ma un momento di verifica complessiva. Il colloquio è effettuato presso il
Centro di Formazione Professionale dell’allievo alla presenza di una commissione paritetica costituita
dal Preside e da un docente dell’Istituto Tecnico di destinazione, designati dalla Sovrintendenza scolastica
provinciale e dal Direttore e da un docente del CFP di provenienza, designati dalla Provincia.
583 Ciò ha significato affrontare due ordini di problemi, uno culturale, per superare le diffidenza
dall’una e dall’altra parte, l’altro tecnico, per configurare il colloquio che consente la transizione in
modo tale che diventasse un momento di verifica dell’effettivo orientamento e non un esame. Per risolvere
il primo problema si è avviata una nuova fase di dialogo e collaborazione tra Sistemi, non abituati
a confrontarsi. A questo fine sono stati organizzati diversi incontri a valenza informativa/formativa con
Direttori e docenti della FP e Presidi e docenti degli Istituti Tecnici, con la partecipazione dei componenti
della commissione paritetica MPI e Provincia Autonoma di Trento, rappresentanti del Ministero
della Pubblica Istruzione ed il Sovrintendente Scolastico Provinciale. Per il secondo problema è stato
avviato un percorso che prevede un programma di incontri tra i docenti dei CFP ed i docenti degli Istituti
Tecnici interessati, per un esame congiunto dei dossier degli allievi. Ciò avviene nel secondo quadrimestre,
dopo che si è individuato il gruppo di allievi potenzialmente interessato al rientro nella
scuola. Tali incontri consentono anche di individuare eventuali necessità di rinforzo o di approfondimento,
da effettuare durante la seconda metà dell’anno formativo nella fase finale, secondo le necessità
riscontrate. Questo percorso fornisce gli elementi necessari ai docenti del CFP per formulare un giudizio
finale di orientamento, che risulta vincolante per l’ammissione al colloquio, come risultato di un
processo di accompagnamento gestito in comune accordo tra CFP e Istituto Scolastico di destinazione
dell’allievo. Il colloquio finale con la commissione paritetica, secondo le modalità previste dai Protocolli
sottoscritti, ha di conseguenza prevalentemente la funzione di esplicitare la scelta e le motivazioni
di rientro nel Sistema scolastico, attraverso un’autopresentazione ed un’autovalutazione da parte dell’allievo.
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mazione Professionale sono stimabili in circa il 20%. Conseguentemente, le modalità
operative adottate nei CFP prevedono un colloquio di verifica delle motivazioni e dell’orientamento
dell’allievo, che ha intenzione di inserirsi in un determinato macrosettore,
o in una determinata qualifica professionale e la realizzazione di un bilancio delle
sue risorse personali e delle sue conoscenze (utilizzando eventualmente anche strumenti
quali test, prove pratiche, ecc.) al fine di individuare il livello di inserimento e le
eventuali condizioni di ingresso (ad es. moduli specifici di recupero).
In base ai risultati del colloquio con l’allievo, che risulta formalizzato in una apposita
relazione del CFP, il Direttore decide l’inserimento in un particolare anno di
corso e classe ed il tipo di supporto/integrazione eventualmente necessario per accompagnare
l’inserimento nel processo formativo intrapreso. Il colloquio costituisce
anche la modalità operativa per consentire il reingresso dei giovani che hanno maturato
esperienze lavorative e che analogamente a coloro che interrompono gli studi
secondari superiori maturano l’esigenza di proseguire nella formazione: in questo
caso l’esperienza lavorativa fa parte del bilancio delle risorse personali del soggetto.
Anche nell’ambito dell’ammissione di candidati privatisti all’esame di qualifica
professionale viene assunto il principio del bilancio delle risorse e la valorizzazione
delle esperienze di lavoro e di formazione per quanto concerne la parte di valutazione
del percorso formativo pregresso, accanto alla realizzazione di un colloquio
orale integrativo, che ha la finalità di accertare la conoscenza degli elementi fondamentali
del profilo professionale della qualifica, e che viene effettuato prima della
partecipazione alle prove d’esame previste per tutti i candidati (esterni ed interni).
Nella Tabella 53, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia
formativa e settore economico (articolato in comparti/aree professionali) negli
anni 1990-91 e 1995-96. Da un punto di vista macrosettoriale, nei due anni formativi
presi a riferimento, i corsi più numerosi sono quelli del terziario, seguiti da quelli
dell’industria-artigianato e in terza posizione, ma con dimensioni molto contenute,
l’agricoltura. Il peso dell’industria-artigianato e del terziario aumenta di circa tre
punti dall’inizio del decennio al 1995-96, a discapito dell’agricoltura; anche se tutti
e tre i macrosettori diminuiscono in valori assoluti (agricoltura –39 corsi; industriaartigianato
–60; terziario –105).
Le prime due posizioni del settore industria e artigianato sono occupate da Meccanica
e metallurgia (71 corsi) ed Elettricità ed elettronica (44 corsi) nel 1990-91, da
Edilizia (71 corsi) e Meccanica (59 corsi) nella programmazione 1995-96. Anche nel
terziario accade lo stesso fenomeno: la prima posizione è tenuta in tutte e due gli anni
dall’area Lavori d’ufficio (rispettivamente con 91 e 74 interventi), cambia il secondo
posto, dove l’area dell’Informatica (66 corsi) sostituisce il settore della Ristorazione.
Se analizziamo le variazioni più importanti a livello di settori e aree professionali rileviamo
la situazione descritta dal Grafico 75. Nel macrosettore industria e artigiantao
la maggior parte di loro subiscono dei decrementi, alcuni (Elettricità ed elettronica
e Abbigliamento) molto accentuati. Solo l’artigianto artistico fa registrare
un’impennata con un +53 corsi. Più equilibrata la situazione del settore terziario,
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dove però i dati vengono in qualche modo “inquinati” dal collasso totale dei corsi
precedentemente registrati sotto la voce Varie. Notevoli, comunque, gli aumenti dell’Informatica
(+37 corsi) e dell’area dei Servizi socio-educativi (+29 corsi).
La formazione per l’utenza adulta ha il primato sia all’inizio che a metà degli
Anni ’90, rispettivamente con 49,7% e il 47,6% (cfr. Graf. n. 76). Quest’ultimo dato
si scompone in 41,7% di occupati e 5,9% di disoccupati. Nel 1995-96 la prima qualificazione
guadagna 2 punti percentuali rispetto a cinque anni prima, mentre il secondo
livello regredisce in maniera vistosa, passando da circa il 9% ad un residuale
2%. Raddoppia il suo peso la categoria dei corsi speciali (grazie soprattutto ai corsi
per l’acquisizione di patenti di mestiere o comunque previsti da particolari norme
nazionali o regionali, che rappresentano il 12,2% rispetto allo 0,4% dell’altro seg-
Tabella n. 53 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
* 10 corsi non sono classificabili (la tipologia formativa non è desumibile dai Piani)
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450
mento di questa tipologia, costituito da interventi a favore di categorie deboli). In
Provincia di Trento la Formazione Continua (in questi anni, nel lessico comune,
comprende sia occupati che disoccupati adulti) è sempre superiore alla media nazionale:
49,7% nel 1990-91 rispetto a 45,1% del dato nazionale e 47,6% nel 1995-96
rispetto al 45,1%.
Grafico n. 74 - Variazioni del peso percentuale dei macrosettori nella programmazione 1990-91 e
1995-96
Grafico n. 75 - Variazioni del numero di corsi in alcuni settori e aree professionali dell’Industria
e artigianato e terziario
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451
Nel 1990-91 gli allievi previsti ammontavano a 11.610 e rappresentavano il
3,9% della popolazione attiva (14-60); i 4.457 allievi della prima qualificazione costituivano
il 24,8 % della leva dei 14-16enni584.
Ad inizio decennio le rilevazioni Isfol dai Piani di attività censivano 53 sedi, di
cui 34 CFP (cfr. Tab. n. 54). Il rapporto tra CFP a titolarità pubblica e quelli di soggetti
convenzionati-privati è di 14,7% e 85,3%, mentre la media regionale del rapporto
CFP/corsi si attesta sul 9,95 (12,5 area pubblica e 8,55 area convenzionata privata).
Tra questi ultimi l’ENAIP fa registrare di gran lunga la presenza più consistente
e capillare (Tesero, Ossana, Varone di Riva, Villazzano, Tione, Cles, Arco, Valsugana,
Fiera di Primero e Trento). Degni di menzione sono: l’Istituto Agrario “San
584 La popolazione attiva ammontava a 293.700; i 14-16enni a 17.949. Cfr. Geo-demoista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 76 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa. ff. 1990-91 e
1995-96
Tabella n. 54 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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452
Michele Alto Adige”585 e l’Università Popolare Trentina586 (Arco, Trento, Tione,
Cles), la Cassa e Scuola Edile e l’ANNFAS (con una disseminazione di laboratori
nelle sue strutture di accoglienza per portatori di handicap). Espressione dell’impegno
cattolico sono: l’Istituto Pavoniano degli Artigianelli (Trento), l’Opera A. Barelli587
(Rovereto e Levico), l’Istituto Suore Canossiane (Trento), l’Istituto Beata
Vergine Maria (Rovereto).
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 77
gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1990 (66,2 miliardi di
lire) e del 1997 (127,6 miliardi); la media del periodo è pari a 92,8 miliardi.
Ottima la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97) pari al 94,1%: la migliore performance del nostro
Paese; superiore alla media italiana (77,1%) di ben 17 punti.
585 L’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (IASMA), oggi “Fondazione Edmund Mach”
(FEM) è stato fondato dal Parlamento della Regione austro-ungarica del Tirolo, con sede a Innsbruck, il
12 gennaio 1874. L’Istituto aveva lo scopo di promuovere una rinascita dell’agricoltura tirolese ed ebbe
come primo direttore Edmund Mach. Nel 1990 è stato costituito come Ente provinciale con L. prov. n.
28 del 5 novembre 1990.
586 Il Centro di Formazione Professionale dell’Università Popolare Trentina nasce nel 1982 nell’ambito
dell’Università Popolare Trentina, un’associazione culturale operante fin dal secondo dopoguerra
e che ancor oggi organizza e propone corsi destinati per lo più ad adulti.
587 Ha le sue origini nell’Associazione “Opera per l’assistenza e la preparazione professionale
della donna” che, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, avvia a Rovereto una “scuola-laboratorio”
con lo scopo di offrire un’occupazione e un punto di riferimento a giovani donne in precarie condizioni
economiche e familiari. La piccola scuola, presto supportata da una Casa Alloggio, cresce rapidamente
in dimensioni e qualità. Nel 1952 è riconosciuta “Centro di Addestramento” dal Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale. Nel 1964, l’Associazione privata si trasforma in Ente Pubblico di Assistenza
e Beneficienza. Nel 1968 viene inaugurata l’attuale sede di Rovereto, con annesso convitto, e nel 1975
è aperta la sede distaccata di Levico Terme.
Grafico n. 77 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (1990-97)
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La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 275.421 lire e
quella rispetto alla forza lavoro è di 427.020 lire. Nel primo caso è superiore alla
media italiana (93.951 lire) di oltre 333.000 lire, nel secondo è superiore al dato nazionale
(99.534 lire) di 327.000 lire.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è pari a 2,4%, superiore alle media nazionale che fa registrare
l’1,39%.
In una classifica delle “prestazioni” regionali rispetto a questi tre indicatori la
Provincia di Trento si posizionerebbe rispettivamente al terzo posto per la spesa per
abitante, al secondo per la spesa rispetto alla forza lavoro e al quinto posto per la
spesa della FP rispetto alla spesa totale.
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8.8. Regione Veneto
Il Veneto è una delle nove Regioni che nel periodo considerato da questo volume
si dotano di una nuova Legge organica: L. reg. 30 gennaio 1990, n. 10 - Ordinamento
del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali
del lavoro588 (cfr. Fig. n. 94).
Legge paradigmatica di quelle concepite ed emanate tra la fine degli Anni ’80 e
la prima metà degli Anni ’90 e che rientrano nelle cosiddette Leggi di seconda generazione
che si caratterizzano, rispetto a quelle emanate a ridosso della Legge quadro,
per una considerazione della Formazione Professionale come parte integrante del sistema
delle politiche del lavoro e interagente con le altre componenti di questa politica
(informazione, orientamento al lavoro e misure per la promozione dell’occupazione).
Come alcune Leggi di seconda generazione, la L. reg. n. 10/90 si presenta con
questa struttura: a) Previsione di una programmazione unitaria di tutte le componenti
della politica del lavoro; b) Regolamentazione di ciascuna componente589.
La Regione adotta un programma triennale che stabilisce: a) gli obiettivi degli
interventi rispetto al programma regionale di sviluppo; b) le tipologie di intervento
della Formazione Professionale, dell’informazione e dell’orientamento al lavoro,
della politica del lavoro e delle iniziative non ricorrenti dell’Osservatorio del mercato
del lavoro e della professionalità; c) l’ammontare delle risorse e la ripartizione
tra i vari interventi (cfr. Fig. n. 95).
588 Cfr. B.U.R. VENETO, n. 8/1990.
589 Al Titolo II ordinamento della formazione professionale, al Titolo III informazione e orientamento
al lavoro, al Titolo IV interventi regionali di politica del lavoro e di promozione.
Figura n. 94 - Componenti della politica del lavoro (L. reg. 10/90)
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455
La Giunta regionale attua il programma triennale attraverso la predisposizione
di piani annuali all’interno dei quali può prevedere variazioni che non incidano sulle
scelte fondamentali del programma. Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale
presenta al Consiglio regionale con la nuova proposta di programma una relazione
sui risultati di quello precedente.
Nella formazione del Programma triennale entrano in gioco due soggetti: uno
politico e l’altro tecnico.
Quello politico è rappresentato da un Comitato interassessorile, denominato
Gabinetto economico590, chiamato a garantire il coordinamento di tutti gli interventi
e la congruità con il Programma Regionale di Sviluppo, opera all’interno della
Giunta regionale e si avvale della consulenza di un comitato tecnico scientifico composto
da un numero non superiore a 7 esperti nominati dalla Giunta regionale. La
Legge specifica che spetta al Gabinetto economico elaborare la proposta del Programma
triennale e di sovrintendere alla sua attuazione (art. 3, comma 4).
Il soggetto tecnico, invece, è rappresentato dal Servizio di programmazione e
valutazione per le politiche formative, istituito all’interno del Dipartimento per il coordinamento
delle attività formative. Ad esso spetta “predisporre gli elementi utili
alla elaborazione del programma triennale” (art. 4).
Inoltre, per assicurare al Piano triennale una base conoscitiva tecnico-scientifica
l’Osservatorio regionale del mercato del lavoro e della professionalità, con
un’attività sistematica, rileva dati, svolge analisi, proiezioni e previsioni e diffonde
informazioni relative alle dinamiche della domanda e dell’offerta e del sistema produttivo
e formativo591. Tale struttura opera sulla base dei programmi indicati dal Gabinetto
economico, ed è inserita nel Dipartimento Piani e Programmi.
Se si considera il numero di soggetti che partecipano alla formazione del Programma
e la diversa loro collocazione nell’organigramma del Governo regionale si
può affermare che la programmazione triennale, nella Regione Veneto, è un atto collegiale
della Giunta.
Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale
con la nuova proposta di programma una relazione sui risultati di quello precedente.
590 È presieduto dal Presidente della Giunta regionale ed è composto dagli assessori ai quali sono
affidate le materie: bilancio e programmazione, formazione professionale, lavoro.
591 Cfr. Art. 5 - Osservatorio del mercato del lavoro e della professionalità. “All’Osservatorio sono
attribuite le seguenti funzioni: a) rilevazione ed elaborazione dei dati sulle unità produttive e l’attività
economica, sullo stato dell’occupazione e della disoccupazione, sui flussi delle forze di lavoro e della
popolazione; b) rilevazione ed elaborazione dei dati sulla popolazione scolastica e universitaria e sui
connessi flussi al lavoro e alle attività di formazione professionale; c) rilevazione ed elaborazione dei
dati sulle attività in materia di informazione e orientamento al lavoro, formazione professionale e interventi
di sostegno all’occupazione; d) raccolta dei dati sulle dinamiche di domanda e offerta rilevabili
presso le sedi delle sezioni circoscrizionali per l’impiego; e) svolgimento di analisi, proiezioni e previsioni
sull’andamento del mercato del lavoro e sulla dinamica delle professioni, anche al fine di fornire
elementi per la definizione delle politiche regionali in tema di occupazione, formazione professionale e
sostegno all’occupazione; f) pubblicazione e diffusione di dati informativi, nonché di studi e ricerche
sulle materie previste nelle lettere precedenti”.
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456
La predisposizione del piano annuale, attuativo del programma triennale, spetta
alla Giunta regionale, che interpella per un parere la Commissione consiliare competente;
il piano può prevedere variazioni che non incidano sulle scelte fondamentali
del programma.
Le norme che riguardano i soggetti che possono realizzare interventi formativi
(art. 9) riproducono la distinzione classica tra gestione diretta (Giunta regionale nei
propri CFP) e gestione convenzionata.
Figura n. 95 - Processo programmatorio (L. reg. 10/90)
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457
In questa seconda categoria rientrano gli Enti od organismi della L. n. 845/78
(che possono avvalersi anche degli apporti delle imprese), le associazioni di impresa,
le imprese e loro consorzio (che possono avvalersi degli apporti degli Enti),
gli Istituti di Istruzione Secondaria superiore.
La Legge, inoltre, prevede per la Regione la possibilità di convenzionarsi o di
consorziarsi con Università, Centri di Ricerca, Istituti di Formazione, Camere di
Commercio, Enti di promozione settoriale, associazioni di imprese e loro consorzi
per interventi formativi rivolti a coloro che intraprendono un’attività di imprenditoria,
o per l’acquisizione di capacità manageriali o di professionalità orientate all’innovazione
(cfr. Fig. n. 96). Regione ed Enti operano normalmente attraverso i
CFP. E come in ogni Legge di seconda generazione che considera la FP come strumento
della politica del lavoro, programmata secondo una visione unitaria insieme
agli altri strumenti e in interazione con essi, nella L. reg. 10/90 il CFP non è solo
luogo di realizzazione dell’intervento formativo ma è sede in cui si erogano una pluralità
di servizi connessi alle politiche del lavoro: informazione e orientamento al lavoro,
osservazione del mercato del lavoro, assistenza e consulenza a favore delle imprese
e di terzi.
Anche per quanto riguarda l’intervento formativo, nella visione del CFP delle
Leggi di seconda generazione, non ci si limita al momento attuativo (il corso), ma si
realizzano tutti i processi che precedono e seguono la realizzazione del percorso for-
Figura n. 96 - Soggetti gestionali (L. reg. 10/90)
storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 457
592 Cfr. vol. II, p. 230 e ss.
458
mativo: in particolare quelli legati alla progettazione dell’intervento e alla verifica
del risultati. Tutti questi elementi che connotano il nuovo modello di CFP, denominato
“agenziale”592 si ritrovano nell’art. 10:
“Nell’ambito di tali azioni i centri possono essere sede di sviluppo dell’offerta formativa,
di sperimentazione didattica e organizzativa, di progettazione formativa, di assistenza e
consulenza a favore delle imprese e di terzi, di verifica delle azioni intraprese. I centri
possono svolgere compiti di informazione e orientamento al lavoro e di osservazione del
mercato del lavoro, anche al fine di realizzare una equilibrata distribuzione territoriale
dei propri servizi”.
Il testo parla di progettazione formativa. Infatti, ogni azione formativa, anche
quelle di carattere ricorrente, deve essere predisposta mediante l’elaborazione di un
apposito progetto che indichi: a) il raccordo con la domanda formativa del territorio
e le relative possibilità occupazionali; b) i requisiti di partecipazione, le modalità di
selezione e le eventuali azioni di orientamento richieste; c) gli obiettivi che si intendono
raggiungere; d) le risorse necessarie, anche in termini di personale; e) le attività
didattiche e valutative (continue e finali) previste e la loro articolazione; f)
eventuali forme di alternanza formazione-lavoro presenti; g) il piano dei costi.
Prospetto n. 47 - Tipologia di attività formative ed utenti previsti dalla legislazione veneta
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L’unica legge che il Veneto emana nel periodo di riferimento di questo volume,
oltre naturalmente alla n. 10/90, è la L. reg. 30 aprile 1990, n. 34593 che prevede per i
CFP pubblici la possibilità “in caso di assoluta necessità e per specifiche esigenze
didattiche e organizzative, di instaurare rapporti di collaborazione professionale
con esperti, esterni all’amministrazione regionale; rapporti che non potranno avere
una durata superiore alle singole attività formative di riferimento”.
Nella Tabella 55, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia
formativa e settore economico (articolato in comparti/aree professionali) negli
anni 1990-91 e 1995-96. Il sistema classificatorio delle tipologie formative utiliz-
593 Legge regionale 30 aprile 1990, n. 34 Instaurazione rapporti a collaborazione professionale
con personale esperto di formazione professionale in B.U.R. VENETO, n. 34/1990.
Tabella n. 55 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e
1995-96)
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460
zato dall’Isfol, almeno per l’annualità 1991, ha una articolazione molto sintetica
(primo e secondo livello, attività per adulti e corsi speciali, comprensivi di attività a
favore di disabili e corsi per il conseguimento di patenti di mestiere o certificati di
abilitazioni, regolati dalla normativa).
Da un punto di vista macrosettoriale nella prima annualità il settore prevalente è
l’agricoltura a causa di un numero di corsi per adulti (e quindi di breve durata) eccezionale
(633 pari al 40,6% del volume corsuale complessivo), seguita dal terziario
(32,7%) e dall’industria e artigianato o terziario (26,7%).
Nel 1995-95, che riflette andamenti più in linea con i valori medi di quegli anni,
il macrosettore industria e artigianato fa registrare i valori più alti (53,4%) distanziando
il terziario (45,7%) di quasi 8 punti mentre l’agricoltura fa registrare un residuale
0,8%.
Più significativo del dato precedente è quello che scaturisce dal confronto tra le
due annualità prese a riferimento per quanto riguarda i settori. Nell’uno e altro anno
le prime due posizioni del settore industria e artigianato sono occupate da meccanica
e metallurgia e elettricità ed elettronica. Insieme rappresentano l’80% dei corsi del
settore secondario nel 1990-91 e il 66,6% del 1995-96. In questa seconda annualità,
dove l’industria e artigianato aumenta in valori assoluti di 110 corsi, si verifica una
espansione considerevole del settore dell’artigianato artistico (+51 corsi, 34 in più
nella prima qualificazione e 23 destinati ad un’utenza adulta) della grafica cartografica
e cartotecnica (+23 soprattutto, a causa dell’incremento di interventi per adulti).
Più fluida la situazione tra le due annualità nel settore terziario, che aumenta in
valori assoluti di 239 corsi, passando da 300 a 539, e che fa registrare aumenti quasi
generalizzati da parte dei comparti ed aree professionali che lo compongono; infatti
flettono solo il comparto attività promozionali e pubblicità e cooperazione, in maniera
contenuta (rispettivamente da 20 a 17 e da 4 a 0) ed ecologia e ambiente, in modo
più rilevante (da 10 a 2). Discreti gli aumenti delle aree professionali lavori d’ufficio
(da 163 a 198) e informatica (da 18 a 53) grazie ad un incremento delle attività formative
destinate ad un’utenza adulta e del comparto della ristorazione (da 32 a 46 corsi)
determinato soprattutto da un maggior numero di corsi di prima qualificazione. Eccezionale
nelle dimensioni e per la tipologia formativa l’aumento del comparto acconciatura
ed estetica. Infatti passa da 5 a 101 corsi di cui 82 in più nel primo livello. Cospicuo
anche l’aumento del comparto socio-educativo (da 2 a 59) per un notevole apporto
sia dei corsi di prima qualificazione (da 0 a 21) che dei corsi speciali (da 0 a 36).
Per quanto riguarda la distribuzione dei corsi per tipologia formativa, le variazioni
tra le due annualità riguardano sia le posizioni in classifica, per usare un’immagine
calcistica, che i distacchi (cfr. Graf. n. 78).
Nell’anno formativo 1990-91 in prima posizione ci sono i corsi per adulti con il
45%. Ma qui il dato è fortemente condizionato dai 633 interventi a favore degli
adulti che lavorano nell’agricoltura (che verosimilmente si esaurivano in qualche
decina di ore). Nonostante questa “presenza ingombrante” i 644 corsi di prima qualificazione
rappresentano il 41%.
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461
In terza posizione troviamo i corsi speciali (patenti di mestiere e abilitazioni
professionali regolati da norme e interventi per le c.d. fasce deboli) con l’8% e, infine,
le attività formative per diplomati e laureati con il 6%.
L’anno formativo 1995-96, che, come già detto, ci consegna una situazione più
in linea con le altre annualità degli Anni ’90, presenta questo ordine decrescente: la
qualificazione di base raggiunge il 70% di tutto il volume dei corsi programmati, seguita,
con 51 punti percentuali di distacco, dai corsi per adulti che si fermano al
19%, dai corsi speciali al 10% e, fanalino di coda con appena l’1%, dai corsi di secondo
livello (cfr. Graf. n. 78).
In valori assoluti rispetto al 1990-91 si prospetta questa evoluzione: hanno avuto
un incremento solo i corsi di base (+167), mentre sono diminuiti: di poco, i corsi speciali
(–2); molto quelli del secondo livello (–81); quelli per adulti crollano da 693 a
228 (da ricordare, però, la presenza “anomala nel 1990-91 dei corsi agricoli).
Le statistiche dell’Isfol ci consentono per questa annualità di dettagliare i dati
(cfr. Graf. n. 79): tra gli 831 interventi di prima qualificazione l’80% dei corsi ha una
durata biennale, quasi il 12% sono triennali o corsi post qualifica, mentre appena
meno dell’1% sono annuali. Tutte le attività di II livello sono riservate a giovani diplomati,
nessuna fa raggiungere una qualifica ma rappresenta solo una opportunità
di acquisizione di competenze; un solo intervento è finalizzato al raccordo tra Formazione
Professionale e Istruzione. Dei 228 interventi per utenza adulta, 88 sono
per discoccupati (di cui 14 di qualificazione o riqualificazione e 74 di aggiornamento
o specializzazione) e 140 per occupati (81 di qualificazione o riqualificazione
e 59 di aggiornamento o specializzazione). Sotto la dizione “corsi speciali”, infine,
sono compresi 75 corsi destinati a persone appartenenti alle cosiddette categorie deboli
(portatori di handicap, detenuti, ecc.) e 37 sono finalizzati all’acquisizione di
patenti di mestieri o abilitazioni professionali.
Se confrontiamo questi ultimi dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo
questi riscontri: la prima formazione in Veneto è al di sopra della media italiana
(34,6%) di oltre 35 punti percentuali; il secondo livello, con il suo sparuto 1% è infe-
Grafico n. 78 - Variazioni del peso percentuale dele tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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riore di quasi 12 punti; le attività per adulti (19%) si distanziano dal valore nazionale
(45,1%) di circa 26 punti e infine i corsi speciali, che rappresentano il 10% sono superiori
al dato medio nazionale che si ferma al 7,5%.
I 30.644 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,6% della popolazione attiva (14-
60 anni); i 12.951 allievi della prima qualificazione rappresentano lo 0,7% della leva
dei 14-16enni594.
Per quanto riguarda le sedi formative operanti in Regione abbiamo due serie di
informazioni, entrambe di fonte Isfol; la prima è quella che censisce da Piani di attività
il numero e la tipologia di struttura e fa riferimento all’a.f. 1990-91595; l’altra
elenca tutti i CFP dell’a.f. 1992-93596.
I risultati della prima indagine dell’Isfol sono riportati nella Tabella 56, da cui si
possono trarre queste considerazioni:
– la forte prevalenza delle sedi usate solo occasionalmente (85%) sulle sedi utilizzate
in maniera continua ed esclusiva per le attività formative sta ad indicare un
sistema abbastanza destrutturato e poco consolidato. Ma su questo dato pesano i
633 corsi del settore agricolo. Infatti, gli interventi in agricoltura sono di breve
durata, con un carattere informativo e normalmente utilizzano sedi non destinate
ad attività formative (alberghi, sedi di associazioni, ecc.);
– la netta prevalenza della gestione convenzionata (81,6%) per quanto riguarda i
CFP.
594 La popolazione attiva ammontava a 2.880.190; i 14-16enni a 181.392. Cfr. Geo-demo istat.it
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
595 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
596 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
Grafico n. 79 - Corsi programmati per tipologia formativa (a.f. 1995-96)
Fonte: ISFOL
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463
L’altra fonte di indagine (relativa all’a.f. 1992-93) censisce 89 CFP, di cui 17 regionali597
e 72 dell’area convenzionata. Gli 89 CFP sviluppano un volume di attività
pari a 692 corsi; la media corsi per CFP è pari a 7,75. I centri regionali fanno registrare
un rapporto corsi/CFP pari a 7,41; leggermente superiore il valore dei CFP
convenzionati pari a 7,86.
Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP sono la
FICIAP598 con 24 e l’ENAIP con 22 sedi. Seguono a grande distanza lo IAL della
CISL, il CNOS-FAP dei Salesiani e l’ANFFAS (Associazioni Nazionale Fanciulli e
Adulti Subnormali) con 3 sedi, il CIF (Centro Italiano Femminile) e il CIOFS delle
Salesiane con 2. Meritano una menzione, anche se hanno un solo CFP: l’IRPEA
(Istituti Riuniti Padovani di Educazione e Assistenza)599, la Provincia Padovana Frati
Minori conventuali, l’Associazione la Nostra Famiglia a Conegliano (TV), l’Associazione
Lepido Rocco a Motta di Livenza (TV), la Congregazione poveri Servi
della Divina Provvidenza a Verona600, l’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo.
Come si può dedurre anche dalle sigle la presenza di soggetti d’ispirazione e
cultura cattolica sono di gran lunga la componente più consistente.
597 Situati a: Fonzaso (BL), Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (2), Chioggia, Mestre,
San Donà di Piave (VE), Chiampo, Lonigo, Bassano del Grappa (VI), Vicenza, Bovolone, Zevio (VR),
Verona.
598 È una federazione di Enti d’ispirazione cristiana. La sua origine risale nel Veneto al 1959 diffondendosi,
in seguito, in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Basilicata e Abruzzo.
599 IRPEA istituto di ispirazione cristiana. Nasce nel 1985 come IPAB, con Decreto regionale n.
385 del 24 aprile 1985, dalla fusione di altre 3 IPAB, già antiche Opere Pie. “I Pii Conservatori, Soccorso
e Gasperini” (1576), “I Pii Istituti San Rosa e Vanzo” (1598-1743) e l’“Istituto Camerini Rossi”
(1869). Per salvaguardare l’integrità dei patrimoni e il proseguimento delle finalità istituzionali, il Vescovo
di Padova era il Presidente. È diventata IPAB a seguito della Legge Crispi del 1890. L’Istituto si
trasformera in Fondazione (il nuovo statuto è del 2003).
600 I Poveri Servi della Divina Provvidenza, o Opera Don Calabria, sono un istituto religioso maschile
con Sede a Verona. La congregazione trae origine dalla Casa Buoni Fanciulli, fondata proprio a
Verona nel 1907 dal sacerdote Giovanni Calabria (1873-1954), per l’assistenza all’infanzia povera e
abbandonata. L’istituto è stato approvato definitivamente dalla Santa Sede il 15 dicembre 1956. Il fondatore,
beatificato nel 1988, è stato proclamato santo il 18 aprile 1999 da Papa Giovanni Paolo II.
Tabella n. 56 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 80.
Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1990 (142,5 miliardi
di lire) e del 1995 e 1996 (542 miliardi); la media del periodo è pari a 265 miliardi e
475 milioni di lire. Mediocre la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro
il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 75,2%, inferiore, anche se
di poco, alla media italiana (77,1%) e, in maniera marcata, alle Regioni del Nord
(82,2%) dove solo la Liguria ha una performance peggiore (62,6%).
Dai bilanci consuntivi del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 111,196 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di
69.102 lire. Nel primo caso la spesa del Veneto è superiore alla media italiana di
circa 17.000 lire, nel secondo è inferiore di circa 30.000 lire. Il peso della spesa per
la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Provincia è pari
all’1,25% rispetto al valore medio italiano di 1,39%.
Grafico n. 80 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (1990-97)
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465
601 Vol. II, p. 108 e p. 324.
602 L. Reg. 26 agosto 1991, n. 35 Modifiche ed integrazioni all’ordinamento della formazione professionale
in B.U.R. 27/08/1991, n. 108, relativa all’erogazione del 90% dei contributi ai corsi di prima
qualificazione ad approvazione del Piano avvenuta.
603 L. reg. 30 ottobre 1995, n. 41 Norme finanziarie in materia di formazione professionale in
B.U.R. 08/11/1995, n. 45.
604 Vol. II, p. 322.
8.9. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Il Sistema di Formazione Professionale della Regione Friuli Venezia Giulia
anche negli Anni ’90 continua ad avere come riferimento normativo più importante
la L. reg. n. 76/82 Ordinamento della formazione professionale601.
Nel periodo considerato da questo volume registriamo solo due Leggi che contengono,
peraltro, solo norme di natura finanziaria: l’una riguarda la prima qualificazione602
e l’altra interessa l’I.R.Fo.P. l’Istituto Regionale di Formazione Professionale603
che rappresenta la componente pubblica nella gestione delle attività formative.
Infatti, mentre nelle altre Regioni i CFP dell’INAPLI, ENALC ed INIASA sono
diventati uffici periferici regionali, il Friuli ha adottato una soluzione diversa: ha trasferito
il patrimonio degli enti nazionali disciolti, con contratto di comodato, ad un
nuovo soggetto l’I.R.Fo.P. L’istituto, fino alla sua soppressione nel 2001, ricopre un
ruolo importante nel Sistema formativo del Friuli Venezia Giulia per numero dei
CFP, per numero di corsi e anche per qualità gestionale. Non sappiamo se questa
qualità gestionale sia merito della formula organizzativo-istituzionale messa in
campo dalla Regione, certo è che in Friuli registriamo una migliore performance
della componente pubblica rispetto alla maggior parte delle altre Regioni.
Dato questo ruolo è opportuno ripercorrere, in sequenza cronologica604, le vicende
legislative che hanno interessato l’IRFoP, tenendo presente il contesto istituzionale
particolare a causa dello statuto autonomo di questa Regione:
– 1963: lo Statuto speciale prevede la potestà legislativa del Friuli Venezia Giulia
in materia di “istruzione artigiana e professionale successiva alla scuola obbligatoria”;
– 1965: la Regione esercita questa potestà emanando la L. reg. n. 35 che prevede
la possibilità da parte della Regione di concorrere alle iniziative formative promosse
dal Ministero del lavoro con l’erogazione di propri finanziamenti e contributi;
– 1975: il D.P.R. n. 902 “trasferisce anche alla Regione Friuli Venezia Giulia le
funzioni amministrative ed i compiti in materia di istruzione artigiana e professionale,
già trasferiti alle Regioni a statuto ordinario”. E così il Friuli eredita
anche il patrimonio di INAPLI, ENALC ed INIASA, rappresentato da 20 centri
con circa 620 postazioni e più di 300 operatori;
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– 1978: viene approvata la L. reg. n. 42605. È una normativa con preoccupazioni
prevalentemente amministrativo-gestionali; un terzo dell’articolato fa riferimento
alla costituzione e al funzionamento dell’I.R.Fo.P. L’istituto ha personalità
giuridica di diritto pubblico (art. 27) “è strumento di attuazione del piano regionale
della formazione professionale” (art. 29) ed ha come organi il consiglio
di amministrazione (in cui sono rappresentati, secondo uno modello di relazioni
industriali molto comune in quel periodo: l’istituzione regionale, le forze sociali,
la componente tecnica e quella in rappresentanza del personale; cfr. Fig. n.
97), il presidente e il collegio dei revisori (art. 30);
– 1978: la L. reg. n. 77606 inquadra il personale già dipendente dall’ENALC,
INAPLI ed INIASA con effetto dal 1 luglio 1976, nel ruolo unico regionale;
– 1982: la nuova Legge organica, la n. 76/82 incrementa il personale
dell’I.R.Fo.P. di ulteriori 120 unità, reclutate tra il personale a tempo determinato
(art. 48 e tabella).
L’I.R.Fo.P. ha una presenza capillare sul territorio: ha CFP a Gorizia e Provincia
(Grado e Gradisca d’Isonzo, a Pordenone (tre) e Provincia (Arba e Azzano Decimo)
a Trieste (3), a Udine (una sede plurisettoriale con 70 corsi) e Provincia (Lignano
605 L. reg. n. 42, del 18 maggio 1978, Ordinamento della formazione professionale, in B.U.R.
FRIULI-VENEZIA GIULIA, n. 40, del 19 maggio 1978. In attesa di un provvedimento organico come si
configurava la n. 42, nel 1977, era stata approvata la L. reg. n. 1, del 10 gennaio 1977, Interventi in materia
di formazione professionale, in B.U.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, n. 1, dell’11 gennaio 1977.
606 L. reg. Inquadramento nel ruolo unico regionale di personale in posizione di comando e trasferito
alla Regione Friuli - Venezia Giulia, in B.U.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, del 27/06/1978, n. 056.
Figura n. 97 - CdA dell’IRFOP
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Sabbiadoro, Piano d’Arta, Paularo, Paluzza, Cervignano del Friuli, San Pietro
Na.)607.
La cura da parte della Regione della componente pubblica della gestione non va
a scapito della componente privata. Lo dichiara apertamente la L. reg. n. 76/82
quando afferma di ispirarsi al “pluralismo istituzionale sociale e culturale” e lo dimostra
la situazione rilevata dall’Isfol sulle sedi operative del Friuli nell’a.f. 1990-
91 (cfr. Tab. n. 57). Su 73 sedi il 71% appartiene all’area privata-convenzionata e su
49 CFP 36 sono degli Enti (73%).
L’altra rilevazione Isfol sulla distribuzione CFP in Italia nell’a.f. 1992-93 censisce
44 CFP. Consistente la presenza di Enti, nazionali o locali, emanazione di sindacati
o di soggetti che operano nel mondo del lavoro: lo IAL della CISL con 4 CFP a
Pordenone e Aviano (PN), a Gemona e Codroipo (UD); l’ENAIP con 4 CFP, e normalmente,
tutti con numerose attività: a Pasian di Prato (UD) con 88 corsi, due a
Trieste (uno con 79 corsi e l’altro con 35) e a Pordenone; l’ENFAP della UIL con due
sedi a Gorizia e Monfalcone. Rientra in questo gruppo anche la Scuola di Qualificazione
per gli operai edili di Trieste608 e il CFP paritetico dell’ESMEA Ente Scuola
Maestranze Edili ed Affini609. Ben rappresentata anche l’area di ispirazione cristiana
607 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 81-84.
608 È stata fondata nel 1960 con lo scopo di formare i ragazzi attraverso i percorsi di prima formazione.
In una prima fase questa attività, finanziata dalla Regione, ha rappresentato l’unico ambito di
azione dell’Ente. Successivamente la Scuola, per adeguare la formazione dei lavoratori alle normative
in materia di ambiente e di sicurezza nei luoghi di lavoro, ha ampliato l’offerta avviando anche i percorsi
per i liberi professionisti iscritti agli Ordini e ai Collegi collegati al settore.
609 Nel luglio 1949 viene costituita ad Udine la Cassa Edile di Mutualità ed Assistenza; tra gli scopi
statutari dell’Ente rientrava anche l’Istruzione professionale delle maestranze edili che venne allora affidata
ad un settore della Cassa, appunto la Scuola Maestranze Edili, che godeva di un’informale autonomia,
ristretta alla sola gestione degli interventi formativi. Nel 1983, le Parti Sociali hanno riconosciuto la
necessità di dare ai problemi della Formazione Professionale un ruolo centrale e svincolato rispetto ai
compiti istituzionali della Cassa: viene così costituita l’ESMEA - Ente Scuola Maestranze Edili ed Affini
della Provincia di Udine. Nel 2008 si è integrata con il Comitato Paritetico per la Prevenzione degli Infortuni
e ha cambiato la propria sigla in C.E.F.S. - Centro Edile per la Formazione e la Sicurezza.
Tabella n. 57 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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con 4 CFP di Casa Serena (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine) e con 1 dell’Opera
Villaggio del Fanciullo (Trieste), della Fondazione Opera Sacra Famiglia610, del
CNOS-FAP dei Salesiani (Udine), del CIOFS delle Suore salesiane (Trieste), della
Casa dell’Immacolata (Udine). Da menzionare infine, due enti a carattere locale, ma
con un forte radicamento nel territorio, come l’Ente friulano di assistenza a Cividale
(con 43 corsi)611 o di servizio alla popolazione residente di lingua slovena612 come l’Istituto
Regionale Sloveno Istruzione Professionale a Gorizia e a Trieste.
Molto alto il rapprto CFP/corsi; la media regionale si attesta, infatti, sul 19,04%
(20,27% I.R.Fo.P e 18,2% i CFP dell’area convenzionata).
Nella Tabella 58, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia
formativa e settore economico negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96.
Tra i due anni di riferimento c’è un aumento di 126 corsi: dell’incremento se ne
avvantaggia soprattutto il terziario, che passa da 121 a 633 e che incamera anche le
perdite del settore agricolo che flette da 141 a 150. Sostanzialmente invariato il numero
dei corsi dell’industria e artigianato.
Se disponiamo in ordine decrescente i 10 settori/aree professionali con più corsi
del 1995-96 abbiamo il Grafico 81, da cui ricaviamo queste evidenze: solo due settori
dell’industria rientrano in questa classifica, il meccanico e l’elettrico-elettronico;
tra i primi tre (lavori d’ufficio, meccanica e informatica) e il quarto (elettricità
ed elettronica) c’è una differenza di più o quasi 100 corsi.
Rispetto al 1990-91 gli aumenti più sensibili sono rappresentati dalle aree professionali
del lavoro d’ufficio (+103) e dell’informatica (+29) e dai settori meccanico-
metallurgico e distribuzione commerciale (+27) e grafico (+14). Le diminuzioni
più marcate sono costituite dai settori dell’elettricità-elettronica (–10), del tessile
e dell’abbigliamento e calzature (–9).
610 La fondazione sviluppa le attività iniziate nel 1945 dall’Opera Sacra Famiglia Società di
Mutuo Soccorso, Istruzione ed Assistenza Sociale.
611 Nel 1948 la Provincia cedette gli immobili di Cividale all’“Ente friulano Assistenza” di Udine,
con l’incarico dell’educazione e dell’istruzione degli “orfani del Friuli e degli orfani dei profughi delle
zone del confine orientale italiano”. Il numero dei giovani ospitati, orfani di guerra, orfani di lavoratori,
ragazzi in situazione di disagio economico e psicologico, il cui ricovero era finanziato dal Ministero
dell’Assistenza postbellica e dal Ministero degli Interni, arrivò in quegli anni a superare il migliaio. Accanto
alla scuola elementare, la scuola di avviamento professionale e tecnica a indirizzo agrario, vennero
istituiti anche dei nuovi corsi biennali per la qualificazione professionale di meccanici, elettricisti
e falegnami, riconosciuti dal Consorzio provinciale per l’istruzione tecnica di Udine e alcuni anni
dopo, nel 1955, venne fondato il Centro Addestramento Professionale. Nel 1970 cambiò per l’ennesima
volta nome, diventando “Istituto Friulani per la Gioventù”. Gli allievi iscritti al C.A.P., a partire
dal 1965, potevano alloggiare gratuitamente nell’istituto.
612 Lo sloveno è diffuso nella parte orientale della Regione a ridosso del confine con la Slovenia
(circa 61.000 parlanti e possiede il riconoscimento del suo uso in sede amministrativa ufficiale nei 6
Comuni della Provincia di Trieste e in 8 Comuni su 25 della Provincia di Gorizia, nei quali vi sono
scuole statali di ogni ordine e grado in lingua slovena (l’italiano viene studiato a parte, ma alla pari) e
viene fornita la Carta d’identità bilingue. È inoltre riconosciuta in 18 Comuni su 136 della Provincia di
Udine. La lingua slovena è tutelata dalla Legge statale 482/99 e dalla L. 38/01 del 23 febbraio 2001
Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli Venezia Giulia e dalla L. reg. n.
26 del 16.11.2007 Norme regionali per la tutela della minoranza linguistica slovena.
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469
Tabella n. 58 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e
1995-96)
Grafico n. 81 - Settori ed aree professionali con maggior numero di corsi (a.f. 1995-96)
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470
Importanti le variazioni tra le due annualità prese a riferimento per quanto riguarda
la tipologia di formazione (cfr. Graf. n. 82). I corsi destinati agli “adulti”
(420 occupati e 171 disoccupati) aumentano in valori assoluti (passando da 462
corsi a 591) e relativi (dal 50% al 57% di tutto il volume di attività del 1995-96). Diminuiscono
sensibilmente gli interventi di I livello: da 293 a 181 e in valori percentuali
dal 32% al 17%. Il decremento determina uno scostamento notevole dalla
media nazionale (34,6%). Anche nel 1990-91 si registrava un gap con la media italiana,
ma era più contenuto: 32% il dato regionale rispetto al 37% di quello nazionale.
I 181 corsi del 1995-96 sono per lo più biennali (145); solo 7 gli annuali e 29 i
triennali o post-qualifica. Il primo livello viene superato per numero di corsi anche
dal II livello (dizione che comprende, lo ricordiamo, interventi per diplomati, per
laureati e corsi di raccordo-integrazione) che fa un balzo da 38 a 188 interventi,
grazie soprattutto ai corsi di raccordo (ben 114). Nessun intervento per i laureati.
Degli 84 interventi del 1995-96 che sono registrati sotto la dizione “corsi speciali”,
35 sono destinati alle “categorie deboli” e 54 per esercitare attività per cui le leggi
settoriali richiedono uno specifico percorso formativo.
Grafico n. 82 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
Grafico n. 83 - Distribuzione del numero dei corsi e dei relativi allievi tra le Province
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I 18.438 allievi del 1990-91 rappresentano il 2,4% della popolazione attiva (14-
60 anni); i 5.981 allievi della prima qualificazione rappresentano il 13,8% della leva
dei 14-16enni613.
Sempre per quell’a.f. la distribuzione provinciale dei corsi614 e di conseguenza il
coinvolgimento del numero degli allievi riflette sostanzialmente il numero della popolazione
attiva (14-60 anni) di ciascuna delle 4 Province del Friuli: Gorizia 2,3;
Pordenone 2,4; Trieste 2,8 e Udine 2,1. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle
Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in
esame è quella di cui al Grafico 84. Gli stanziamenti più bassi e più alti sono quelli
del 1994 (49,3 miliardi di lire) e del 1995 (110,1 miliardi); la media del periodo è
pari a 85 miliardi e 325 milioni di lire. Buona la capacità realizzativa della Regione
(pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 89,3%.
Supera la media italiana (77,1%) di oltre 12 punti e quella del Nord (82,2%) di 7
punti circa.
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 112.645 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di
113.046. Nell’uno e nell’altro caso la spesa del Friuli Venezia Giulia è superiore alla
media italiana, rispettivamente di 28.694 lire e di 13.512 lire. Il peso della spesa per
la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari all’1,16%
rispetto al valore medio italiano di 1,39%.
613 La popolazione attiva regionale ammontava a 778.233; i 14-16enni a 43.345. Cfr. Geo-demo
ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
614 La popolazione attiva di ciascuna Provincia ammontava a: Gorizia 90.226, Pordenone 181.450,
Trieste 164.053, Udine 342.504.
Grafico n. 84 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (1990-97)
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615 Nel periodo considerato da questo volume le Giunte regionali sono state formate con coalizioni
di sinistra presiedute da Enrico Boselli (PSI) 1987-90, Pier Luigi Bersani (PDS) 1990-93 e 1995-
96 e Antonio La Forgia (PDS) 1996-99.
8.10. Regione Emilia Romagna
La L. reg. n. 19 del 1979 Riordino, programmazione e deleghe della formazione
alle professioni, la Legge organica di riferimento del Sistema formativo dell’Emilia
Romagna615, rimane in vigore anche negli Anni ’90. Occorre ricordare che la n. 19
procedeva ad una doppia delega (cfr. Fig. n. 98):
– alle Province e al Coordinamento di Rimini alcune funzioni amministrative: la
formulazione ed approvazione di programmi pluriennali e dei piani annuali, la
vigilanza, la promozione e la pianificazione degli interventi per l’occupazione
giovanile, l’orientamento professionale, la stipula delle convenzioni, l’autorizzazione
all’istituzione e gestione dei corsi liberi, l’erogazione dei contributi, la
nomina delle commissioni d’esame, il rilascio dell’attestato di qualifica;
– ai Comuni, invece, la gestione dei Centri di Formazione Professionale della Regione;
l’istituzione e la nomina dei consigli di gestione sociale dei centri pubblici
e convenzionati e la stipula delle convenzioni con le autorità scolastiche.
Figura n. 98 - Il sistema delle deleghe nella L. reg. n. 19/79
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L’unica Legge degli Anni ’90, la L. reg. 7 novembre 1995 n. 54 Riordino della
funzione di gestione delegata ai comuni in materia di formazione professionale616
entra in questa materia apportando considerevoli modifiche:
1) i Centri di Formazione Professionale della Regione cessano di essere strutture
organizzative regionali e passano alla competenze dei Comuni, individuati dalla
Giunta Regionale in relazione all’ubicazione dei CFP;
2) i CFP trasferiti ai Comuni possono essere trasformati, secondo quanto prevede
la Legge sull’Ordinamento delle autonomie locali (L. n. 142/90)617, in diverse
forme di gestione (cfr. Fig. n. 99):
- enti pubblici di gestione: aziende speciali618 e istituzioni619;
- società per azioni o a responsabilità limitata620.
I Comuni e le Province, per una gestione associata dei CFP, possono costituire
un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali. Al consorzio
possono partecipare altri Enti pubblici;
3) la scelta delle forme di gestione avviene in un Accordo tra la Regione, i Comuni
delegati e la Provincia competente. L’Accordo stabilisce anche il contingente di
personale necessario ai nuovi soggetti;
616 In B.U.R. EMILIA ROMAGNA, n. 164 del 10 novembre 1995.
617 L. 8 giugno 1990 n. 142 Ordinamento delle autonomie locali in G.U. 12 giugno 1990 n. 135
S.O. La L. reg. n. 54/95 esclude che i Comuni possano adottare come modalità gestionali quelli previsti
dai commi a e b dell’art. 23 cioè la forma in economia e in concessione.
618 L’azienda speciale, utilizzabile per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale,
è Ente strumentale dell’Ente locale. È dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale
e di proprio statuto, da approvarsi da parte del consiglio comunale. Organi dell’azienda sono il
consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale.
Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dal proprio statuto.
619 L’istituzione, utilizzabile per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale, è organismo
strumentale dell’ente locale. È dotato di autonomia gestionale. Organi dell’istituzione sono il
consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale.
Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell’ente locale.
620 Sono a prevalente capitale pubblico costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio.
Sono adottate se si ritiene opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio
la partecipazione di più soggetti pubblici o privati.
Figura n. 99 - Forme gestionali previste dalla Legge sulle Autonomie locali (L. n. 142/90)
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4) i Comuni procedono alla costituzione delle forme gestionali entro un anno dalla
entrata in vigore della Legge;
5) i beni, immobili e mobili, di proprietà della Regione vengono assegnati in comodato
agli Enti pubblici di gestione..Nei casi in cui la gestione venga realizzata
tramite SpA pubblica o mista pubblico-privato i beni vengono assegnati in
comodato ai Comuni delegati che provvedono, mediante convenzioni, alla loro
assegnazione in uso alle società;
6) il Presidente della Giunta regionale, entro un anno dalla costituzione delle forme
gestionali e comunque non oltre il 31 dicembre 1996, trasferisce il personale
delle “soppresse strutture organizzative denominate Centri di formazione
professionale”, ai Comuni e agli Enti pubblici di gestione, che lo inseriscono
nelle proprie piante organiche (e parallelamente la Regione riduce la propria in
misura corrispondente). Se gli Enti di gestione sono società per azioni pubbliche
o società per azioni miste pubblico-privato, il trasferimento è effettuato nei
confronti del Comune che provvede, mediante convenzione, all’assegnazione in
distacco di questo personale alla società. Il personale che, a seguito dell’Accordo,
risulti eccedente rispetto alle esigenze della gestione comunale può essere
trasferito “agli Enti locali destinatari della delega nella medesima materia”. Il
personale trasferito conserva la posizione giuridica ed economica in godimento
all’atto del trasferimento e usufruisce delle incentivazioni alla mobilità621;
7) in ogni forma di gestione devono essere presenti le funzioni “di direzione, di coordinamento
della progettazione e della gestione formativa, di ricerca e sviluppo
e di amministrazione”, da realizzarsi con il personale trasferito dalla Regione,
il personale assunto dalle forme gestionali, le collaborazioni esterne, il
personale posto in mobilità dagli Enti di Formazione, tramite convenzione da
stipularsi tra gli Enti datori di lavoro del personale interessato e le forme gestionali;
8) tra la Regione, i Comuni delegati ricompresi in un medesimo ambito provinciale
e la Provincia competente si perviene, con cadenza triennale, ad un Accordo:
strumento con il quale la Regione e gli Enti delegati definiscono in particolare,
previa verifica dei risultati conseguiti, obiettivi ed impegni reciproci per
la gestione della funzione delegata.
La L. reg. n. 19/79 prevedeva all’art. 13 che la Giunta emanasse delle Direttive
agli Enti delegati (sulla base degli Indirizzi programmatici poliennali del Consiglio).
Con il sistema delle Direttive, la Regione realizza un’efficace regia dell’intero sistema,
nonostante che la delega, ampia e nota a molti soggetti, rappresentasse un rischio
per dinamiche centrifughe. Sta di fatto che l’Emilia Romagna, anche grazie a
questo strumento, realizza un modello di governance che assicura equilibrio tra le
competenze della Regione e quelle delle autonomie.
621 Previste all’art. 23 della L. reg. 9 agosto 1993, n. 28.
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475
Un modello dove la Regione elabora le strategie e le regole del sistema, la Provincia
e il Circondario di Rimini programmano e i Comuni gestiscono. Un modello
dove la necessaria “rigidità” delle regole, che assicurano la certezza del diritto, si coniuga
alla opportuna “flessibilità” in grado di tener conto delle situazioni e dei contesti
specifici.
Tra le Direttive particolarmente importanti sono quelle del 1997-99 (cfr. Prosp.
n. 48) per tre ordini di considerazioni.
Perché, per la prima volta in un documento unico vengono raggruppati i testi
applicativi relativi alla formazione prevista in più Leggi (L. reg. 19/79, L. reg. 39/83
e L. reg. 45/96).
Perché si raccolgono, in un testo unico, normative che in passato facevano riferimento
a direttive separate (direttive sui piani e le attività di formazione, direttive
sulle commissioni d’esame, ecc.).
Perché il campo di applicazione delle Direttive riguarda l’insieme dei piani e
dei progetti approvati dalla Regione e dalle Province nei vari settori della Formazione
e dell’Orientamento: piani provinciali di Formazione e Orientamento, piani
regionali e progetti sperimentali, progetti comunitari a titolarità regionale, progetti
multiregionali facenti riferimento ad una approvazione da parte della Regione (L.
236, Parco progetti, ecc.).
C’è un quarto motivo per cui queste Direttive sono particolarmente importanti:
perchè l’Emilia Romagna, prima fra tutte le Regioni, definisce la disciplina dell’ac-
Prospetto n. 48 - Indice delle Direttive per il triennio 1997-99
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creditamento delle sedi formative e orientative. L’accreditamento è un atto con cui la
Regione riconosce un organismo idoneo a proporre e realizzare attività formative e
orientative e viene concesso dopo che la Regione abbia verificato che l’organismo
possieda tutti i requisiti precedentemente definiti dalla Regione stessa. Le Direttive
menzionate, al Cap. III, con il titolo “Criteri e procedure per l’accreditamento degli
organismi attuatori di iniziative formative e di servizi di orientamento” contengono
l’insieme di tali requisiti. Con questo atto l’Emilia Romagna non solo disciplina questa
materia prima delle altre Regioni, ma condiziona tutto il processo normativo successivo.
Il modello di accreditamento adottato, infatti, influenzerà in maniera determinante,
la stesura dell’Allegato A dell’Accordo Stato-Regione del 18 febbraio del
2000622, da cui scaturirà il Decreto del Ministero del Lavoro n. 165/2001, che rappresenterà
la norma nazionale di riferimento per tutte le regolamentazioni regionali
successive. La procedura di accreditamento prevista dalle Direttive (cfr. Fig. n. 100):
a) intende favorire una selezione dinamica a monte tra i soggetti che si candidano
per la gestione di attività formative, senza creare situazioni monopolistiche e
senza disincentivare la candidatura di nuovi soggetti qualificati che intendono
concorrere nell’ambito dei bandi;
b) viene richiesta ai soggetti che si propongono di realizzare attività formative in
regime di concessione, comprese le scuole, quando esse si candidano per acqui-
622 Conferenza Stato-Regioni Seduta del 18 febbraio 2000, Oggetto: Accordo tra il Ministro del lavoro
e della previdenza sociale, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano per l’individuazione
degli standards minimi delle qualifiche ALLEGATO A (Accreditamento delle strutture formative).
Figura n. 100 - Modello di accreditamento delle strutture formative dell’Emilia Romagna
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477
sire la cotitolarità diretta di progetti e ai soggetti che richiedono il riconoscimento
di “corsi liberi”623; non viene richiesta ai soggetti che svolgono servizi di
assistenza tecnica e alle imprese singole che attuano direttamente iniziative formative
in modo occasionale per il proprio personale624;
c) è esteso sia alle attività a carattere corsuale, sia alle attività erogate con modalità
“aperte” e personalizzate (formazione a distanza; open learning; tirocini; percorsi
individuali di formazione continua), sia allo svolgimento di singole fasi
del processo formativo nell’ambito di progetti integrati;
d) si applica all’“unità locale” presso la quale viene realizzata la formazione; unità
locale che può usufruire pienamente delle risorse messe a disposizione dal proprio
sistema più ampio di appartenenza, a patto che si tratti di risorse chiaramente
identificate, reperibili con continuità presso la sede attuativa;
e) riguarda due tipi di requisiti: generali (natura giuridica, situazione economica,
locali dedicati alla formazione, dotazione minima trattamento e competenze del
personale; cfr. Prosp. n. 49/A) e specifici, relativa ai seguenti ambiti:
- Formazione Iniziale (cfr. Prosp. n. 49/B),
- Formazione Superiore (cfr. Prosp. n. 49/C),
- Contratti per causa mista (apprendistato e CFL)625,
- Formazione Continua/permanente (cfr. Prosp. n. 49/D),
- Progetti integrati d’area.
Per gestire progetti integrati che ricomprendono attività formative relative a due
o più tra i sopra richiamati ambiti, occorre essere in possesso degli accreditamenti
corrispondenti.
Per i Progetti integrati d’area626 occorre disporre dei requisiti specifici relativi
agli ambiti di formazione che compongono il progetto integrato627.
623 Cfr. Art. 10 della L. reg. n. 19/79.
624 Non viene richiesta la procedura di accreditamento ai soggetti coinvolti occasionalmente dalla
Regione e dalle Province per l’attuazione di iniziative sperimentali altamente innovative o per progetti
particolari in attuazione di nuove norme o nuovi programmi, possono essere incaricati anche in assenza
di accreditamento. In tale caso, l’accertamento dei requisiti avviene di volta in volta in concomitanza
con la valutazione dei progetti.
625 Per i Contratti per causa mista (CFL e apprendistato) mancando la definizione delle condizioni
di attuazione dei CFL e dell’apprendistato riformati secondo quanto previsto dall’accordo sul lavoro del
settembre 1996, le attività formative corrispondenti rientreranno nell’ambito di progetti sperimentali regionali
e provinciali e non prevedono, per ora, forme prestabilite di accreditamento degli organismi.
626 Il Progetto Integrato è un complesso di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate
tra di loro che convergono verso un comune obiettivo di sviluppo del territorio e giustificano un approccio
attuativo unitario.
627 Inoltre, per essere soggetto gestore “capo fila” di un progetto integrato d’area in Emilia Romagna,
occorre dimostrare di possedere i seguenti requisiti aggiuntivi: a) competenze del personale:
disporre di un progettista/coordinatore con competenze socio-economiche e con competenze metodologiche
sulla progettazione integrata formazione/sviluppo socio economico; b) solidità del sistema di
relazioni e radicamento sul territorio: b1) conoscere l’area mediante una esperienza precedente significativa
e qualificata di intervento di almeno un anno nell’area; b2) collaborazione diretta e formalizzata
con gli Enti locali responsabili dello sviluppo sociale ed economico dell’area.
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Con i 5 ambiti specifici le Direttive prevedono un possibile intreccio di 5 ambiti
“speciali” con accreditamento “aggiuntivo”:
– Formazione rivolta ai portatori di handicap ed altre utenze “speciali” (tossicodipendenti
- ristretti - migranti - giovani “a rischio”)628;
– Settore Socio assistenziale629;
– Percorsi individuali di reinserimento lavorativo per disoccupati di lunga durata630
e per lavoratori in CIG631;
– Area informazione, consulenza e formazione orientativa632;
– Aree coperte da Scuole regionali specializzate633.
628 In aggiunta rispetto ai requisiti generali e ai requisiti per i singoli ambiti di accreditamento, si
richiede: a) Competenze del personale: disporre di almeno 1 coordinatore didattico e 2 docenti con
preparazione metodologica specifica (acquisita nell’ambito dei progetti sperimentali regionali, dell’università,
di esperienze lavorative equivalenti); b) Sistema delle relazioni: fare parte di una o più reti
locali finalizzate per il supporto all’inserimento lavorativo delle persone in difficoltà (con enti locali,
associazioni imprenditoriali, sindacali, associazioni del volontariato, altre associazioni di tutela di singole
categorie, laboratori per il reinserimento lavorativo, ecc.).
629 Competenze del personale: tutto il personale didattico (progettisti, coordinatori, docenti) deve
essere in possesso di una preparazione contenutistica e di una formazione metodologica e psico-pedagogica
adeguata. In particolare, i docenti dovranno possedere accertata esperienza nell’ambito dei servizi
sociali e sanitari.
630 L’art. 9 della L. reg. n. 45/96 prevede la concessione di contributi per le spese d’inserimento e
tutoraggio alle imprese che assumono a tempo indeterminato nell’ambito di percorsi formativi e di riqualificazione
i seguenti soggetti di età superiori ai 40 anni: lavoratori iscritti nelle liste di mobilità; lavoratori
ammessi al trattamento di integrazione salariale; lavoratori iscritti alle liste di prima classe da
almeno 12 mesi.
631 In aggiunta rispetto ai requisiti generali e ai requisiti per la Formazione Continua, si richiede:
competenze del personale (disporre di almeno un esperto in bilancio di competenze e funzioni di tutoring
ad adulti in fase di reinserimento).
632 Competenze del personale: i soggetti che intendono candidare progetti nelle aree dell’orientamento
devono poter disporre di personale le cui competenze professionali rispondano ai requisiti definiti
nei documenti della Regione Emilia Romagna: “analisi della professionalità dei servizi di orientamento”
(1996) e “unità formative e capitalizzabili per l’orientamento” (1997). Sistema delle relazioni:
dimostrare rapporti di collaborazione con la rete dei servizi di orientamento di emanazione provinciale,
regionale e nazionale e con la rete dei servizi per l’impiego.
633 Per i settori nell’ambito dei quali operano scuole specializzate (“Ristorazione”, “Polizia municipale”,
ecc.) l’eventuale accreditamento di altri organismi formativi al di fuori delle scuole medesime
potrà avvenire, previo confronto tra i soggetti interessati (Regione Emilia Romagna, Scuola specializzata,
Amministrazione Provinciale interessata) ed esclusivamente per particolari fabbisogni formativi
tali da richiedere una presenza territoriale strutturata.
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634 Le imprese singole possono richiedere l’accreditamento regionale per attività interne. Tale accreditamento
non le abilita a svolgere attività formative al di fuori delle propri esigenze.
635 Conforme a quanto indicato nel regolamento per la “Rendicontazione attraverso il bilancio”.
636 Ed i quadri di raccordo previsti dal suddetto regolamento.
637 Personale che svolge docenze per più di 30 ore nell’ambito dei singoli corsi/attività.
Prospetto n. 49 - Quadro sinottico dei requisiti per l’accreditamento degli organismi di formazione
(Segue)
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(Segue)
(Segue)
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481
(Segue)
(Segue)
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Prima di spostare l’attenzione sulle attività programmate, vorremmo menzionare
due iniziative che riguardano la prima fase del processo programmatorio: l’osservazione
sistematica del mercato del lavoro. La prima riguarda l’Osservatorio sul
mercato del lavoro della provincia di Bologna. Negli Anni ’80 l’Osservatorio faceva
una Rilevazione periodica dei fabbisogni formativi con interviste dirette ad aziende.
Visti la limitata efficacia dimostrata ed il livello insoddisfacente dei risultati ottenuti,
la Provincia di Bologna ha deciso di percorrere una strada del tutto diversa proponendo
una Indagine sulla domanda di formazione professionale delle imprese bolognesi
nella quale, in sostanza, veniva sottoposto alle aziende della Provincia con più
di 10 dipendenti – escluse quelle pubbliche e agricole – il piano della Formazione
Professionale nella parte relativa alla formazione specifica per lavoratori ed imprenditori;
le aziende esprimevano il loro interesse per le singole proposte corsuali e davano
indicazioni sull’attività formativa svolta nell’anno precedente attraverso la
compilazione di un questionario semiaperto.
Obiettivi dichiarati di questa nuova procedura erano: fornire informazioni alle
aziende sulla programmazione formativa pubblica; riconoscimento delle esigenze
aziendali in un’ottica di Formazione Continua; fornire supporto ai CFP nel raccordo
con le aziende per l’interpretazione delle esigenze interne alle strutture produttive.
L’Osservatorio del mercato del lavoro della Regione Emilia Romagna, che operava
all’interno dell’Assessorato alla FP, ha invece scelto nel 1991 la strada della
482
(Segue)
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collaborazione con altre iniziative regionali, aggiungendo ai loro questionari altre
domande, per avere dati di tipo qualitativo sui profili professionali richiesti e per i
quali si ha difficoltà di reperimento sul mercato del lavoro regionale.
A partire dal 1993 la collaborazione avviene con la sola CNA (Confederazione
Nazionale Artigianato), con cadenza annuale. L’indagine è basata su un campione
piuttosto ampio di imprese artigiane (era di oltre 1.550 unità nel 1994), distribuite in
undici settori di attività; la rilevazione viene effettuata con intervista diretta.
Tale iniziativa si poneva due obiettivi principali: verificare i rapporti tra la domanda
e l’offerta di manodopera, ai diversi livelli di scolarità e di Formazione Professionale
e fornire informazioni per la programmazione provinciale delle attività di
formazione e di orientamento professionale, giacché i dati sulle mansioni e sui profili,
quando la significatività lo permette, sono su base provinciale.
Va comunque sottolineato il fatto che viene effettuata un’operazione di postclassificazione,
rispetto ai dati forniti dalle imprese sui profili, sulla base di aree di
qualificazione professionale, in modo da facilitare le attività di programmazione formativa.
A questa indagine si accompagnano, quali strumenti di ampliamento della
conoscenza, altre due iniziative di ricerca: l’una sulle caratteristiche dell’offerta giovanile,
l’altra sullo sviluppo demografico regionale.
La Tabella 59 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi,
all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il
confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia
per macrosettore e comparto professionale.
Nel 1995-96 sono stati realizzati 495 corsi in più rispetto al 1990-91. A livello
di macrosettori diminuisce l’agricoltura che passa da 410 corsi a 188, facendo registrare
un decremento di 222 interventi; consistente l’aumento dell’industria con 133
unità; eccezionale quello del terziario con 584 (grazie soprattutto all’exploit dei servizi
socio-educativi: + 470).
Queste variazioni determinano anche delle variazioni, più o meno rimarchevoli,
nel peso di ciascun macrosettore (cfr. Graf. n. 85): quello agricolo passa dal 18,9%
ad un modesto 7%; l’industria e l’artigianato aumentano di appena 0,4 punti, mentre
il terziario di oltre 12 punti percentuali. Nel macrosettore industria e artigianato,
nelle annualità prese a riferimento, le prime due posizioni sono occupate dalla meccanica
e dall’elettricità elettronica, anche se subiscono delle variazioni di segno opposto:
la prima cresce (+91) la seconda flette (–20).
Dalla terza posizione si registrano dinamiche non omogenee: aumentano l’edilizia
(+34), l’artigianato artistico (+42) e la grafica (+41); diminuiscono i settori dell’alimentare
e dell’abbigliamento (rispettivamente con –51 e –6). Nel macrosettore terziario,
invece, i comparti o le aree professionali che crescono in maniera esponenziale sono:
i Servizi socio educativi, che passano dalle 50 attività dell’inizio del decennio alle
530 di metà Anni ’90 e i Lavori d’Ufficio con 267 corsi in più (da 286 a 553 interventi).
Più contenuti gli aumenti di Spettacolo (+32) e Turismo (+15). Gli altri comparti in territorio
positivo, Credito e assicurazioni e Beni culturali non superano le dieci unità.
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484
Tabella n. 59 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
Grafico n. 85 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e
1995-96
1) Un corso non è classificabile (la tipologia formativa non è desumibile dai Piani ); 2) n. 3 corsi non sono classificabili (la tipologia
formativa non è desumibile dai Piani); 3) Un corso non è classificabile (il comparto/area professionale non è desumibile dai Piani);
4) Un corso non è classificabile (il comparto/area professionale non è desumibile dai Piani).
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485
Grafico n. 86 - Aumenti e decrementi dei comparti e delle aree professionali del Terziario nella
programmazione delle attività negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96
Grafico n. 87 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
Fanno, invece, registrare decrementi: consistenti (–124) la Distribuzione Commerciale
(soprattutto a causa del minor numero dei percorsi formativi per le abilitazioni
REC e RAC), più contenuti il comparto della Ristorazione (–24). Di minore
entità le diminuzioni dell’Acconciatura (–11) e dell’Ecologia e ambiente (–8).
Per quanto riguarda le tipologie formative (cfr. Graf. n. 86) c’è un avanzamento
in valori assoluti quasi generalizzato: aumentano i corsi di prima qualificazione,
quelli di secondo livello e quelli destinati ad utenza adulta, rispettivamente con 105,
203 e 106 interventi. Solo i corsi speciali regrediscono di 140 attività. Questa situazione
determina nuovi equilibri tra le tipologie formative, perché necessariamente è
cambiato il loro peso percentuale (cfr. Graf. n. 87): la prima qualificazione passa dal
50% al 46%, il secondo livello dal 17% al 22%, i corsi speciali dal 17% al 22% e
quelli per utenze adulte si riducono di un punto (da 22% a 21%).
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Come detto per altre Regioni, l’Isfol per la seconda annualità, quella dell’a.f.
1995-96, fornisce informazioni più dettagliate per ciascuna offerta formativa638; dei
566 corsi di primo livello l’82% sono biennali, il 7% annuali e l’11% triennali.
Per l’utenza più giovane e più critica del sistema regionale è stato ideato e realizzato
un Progetto Giovani in stato di disagio sociale da parte dell’AECA (Associazione
Emiliana Centri Autonomi) e l’Assessorato regionale alla Formazione Professionale.
Obiettivo del progetto è quello di reinserire il giovane nel tessuto sociale attraverso
una serie di azioni integrate quali: a) recupero delle capacità di analisi del
contesto socio-ambientale; b) completamento dell’iter scolastico obbligatorio; c) acquisizione
di capacità professionali spendibili nel mercato del lavoro; d) raggiungimento
della qualifica professionale. La realizzazione del progetto è stata preceduta
da un’intensa azione di formazione dei formatori, finalizzata a fornire strumenti di
natura sociologica e psico-pedagogica per agevolare gli insegnanti nella conduzione
del gruppo classe.
Riprendiamo l’analisi della Tabella 59: invece dei 563 corsi di II livello, 260
sono destinati a diplomati, 28 a laureati e ben 274 a corsi in integrazione tra Scuola e
Formazione Professionale.
A questo proposito va segnalato un progetto, di cui abbiamo già parlato, attuato
d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione, per la gestione dei corsi postqualifica
degli Istituti Professionali. I principi guida sono:
– gli Istituti Professionali di Stato interessati al progetto, con la Regione, definiscono
una progettazione formativa che integri le esperienze di alternanza
scuola-lavoro e la metodologia maturata nei CFP regionali alla normale programmazione
ministeriale;
– questa integrazione, mirata nel biennio di qualifica alla prevenzione contro la
dispersione scolastica, deve svolgersi il più possibile nei tempi scolastici come
percorso didattico a tutti gli effetti e non come percorso “aggiuntivo”;
– i corsi integrati sono percorsi scolastici realizzati congiuntamente dalla Scuola,
dal Sistema Formativo regionale con la collaborazione delle imprese, e caratterizzati,
sul piano didattico, da una globale coerenza ed unitarietà;
– la progettazione delle attività, nel rispetto delle direttive regionali in materia di
FP, deve essere effettuata per moduli e congiuntamente per l’intero percorso;
– l’individuazione di due coordinatori di progetto, rispettivamente per la Scuola e
per il Sistema Formativo regionale, responsabili dell’integrazione tra tutti i moduli
del progetto stesso.
Al termine del ciclo formativo i giovani diplomati acquisiranno, oltre al titolo
di studio statale, le corrispondenti qualifiche professionali riconosciute dalla Regione.
638 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata dalle Regioni nel 1995- 96, op. cit., p. 94.
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487
I corsi destinati, secondo la dizione dell’Isfol, ad un’utenza adulta, comprendono
percorsi formativi (di qualificazione, riqualificazione, orientamento al lavoro,
aggiornamento, specializzazione, perfezionamento) per occupati (1.186 interventi) e
disoccupati (221).
La Tabella 59 ci segnala che nell’a.f. 1995-96 sono stati previsti 129 corsi speciali:
97 interventi per categorie deboli e 36 per interventi richiesti dalla legislazione
nazionale e regionale per potere esercitare delle attività.
Se confrontiamo i dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri:
la prima formazione in Emilia Romagna è al di sotto della media italiana
(34,6%) di oltre 12 punti percentuali; il secondo livello, invece, supera il valore nazionale
(12,6%) di quasi 9 punti e mezzo: le attività per adulti (150%) si distanziano
dal valore nazionale (45,1%) di quasi 5 punti e infine i corsi speciali, che rappresentano
circa il 12%, sono superiori al dato medio nazionale che si ferma al 7,5%.
I 38.582 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,5% della popolazione attiva (14-
60 anni); gli 8.321 allievi della prima qualificazione rappresentano il 6% della leva
dei 14-16enni639.
La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi
coinvolti (cfr. Graf. n. 88) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna.
Nell’a.f. 1990-91, su un totale di 430 sedi i CFP sono 141, pari al 32,8% (cfr.
Tab. n. 60). Il rapporto tra CFP e sedi è un dato importante perché misura il livello di
strutturazione del Sistema. Nel caso dell’Emilia Romagna siamo sotto la media italiana
(40,1%) di 7 punti.
639 La popolazione attiva ammontava a 2.530.620; i 14-16enni a 137.891. Cfr. Geo-demo ista.it
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 88 - Distribuzione dei corsi e relativi allievi per Provincia
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488
Sempre per quanto riguarda i CFP, il rapporto tra gestione pubblica (23 delle
Province e 5 di altri Enti pubblici) e gestione convenzionata privata è di 19,8% e
80,2%.
L’altra indagine Isfol relativa all’a.f. 1992-93640 rivela che la componente più
rappresentata nell’ambito dei CFP privati convenzionati è quella di matrice sindacale
o ad essa vicina. Tra gli altri menzioniamo: lo IAL della CISL con 15 CFP
(Imola, Bologna 2, Castrocaro Terme, Forli, Cesena, Cesenatico, Carpi, Pavullo,
Serramozzi, Piacenza, Pinarella di Cervia, Parma, Ravenna e Reggio Emilia); l’ENAIP
delle ACLI con 10 CFP (Bologna 2, Ferrara 2, Rimini, Forlì, Cesena, Fidenza,
Parma, Reggio Emilia); l’ECAP della CGIL con 5 CFP (Bologna, Imola, Forli, Salita
San Giuliano, Ravenna); l’ENFAP della UIL con 3 CFP (Bologna, Forli, Ferrara);
l’Ente bilaterale IIPLE, Istituto per l’Istruzione Professionale dei Lavoratori
Edili (Bologna)641; l’EFAL del MCL Movimento Cristiano Lavoratori (San Lazzaro
di Savena, Bologna); IFOA della Camera di Commercio (Bologna).
640 SISTAN-ISFOL (a cura di RUBERTO A. e GHERGO F.), Distribuzione dei Centri di Formazione
Professionale in Italia - anno 1992-93. op. cit., pp. 85-97.
641 Fondato nel 1947.
Tabella n. 60 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
Importante anche la presenza di soggetti d’ispirazione cristiana, associati nell’AECA:
A.L.F.A OPERA DIOCESANA “Giovanni XXIII”; CEFAL (Ravenna);
CIOFS/FP delle Salesiane (Bibbiano, Bologna, Parma); CNOS-FAP dei Salesiani
(Bologna e Forlì); EDSEG “Città dei agazzi” (Modena); ENAC - Istituto Canossa
(Fidenza, PR); ENDO-FAP “Don Orione” (Borgonovo Val Tidone, PC); ENGIM dei
Padri Giuseppini del Murialdo “Istituto Lugaresi” (Cesena, Ravenna); FOMAL
Fondazione Opera Madonna del Lavoro (Bologna e San Giovanni in Persiceto);
NAZARENO (Carpi); OPERA DELL’IMMACOLATA (Bologna); OPERA DON
CALABRIA “Città del Ragazzo” (Ferrara); OSFIN (Rimini), SACRO CUORE
(Lugo); SAN GIUSEPPE (Cesta).
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Nel complesso le prestazioni di questi soggetti sono buone, in risposta anche ad
un atteggiamento positivo nei loro confronti da parte della Emilia Romagna, unica
delle Regioni governate da coalizioni di sinistra a non aver mai perseguito politiche
di pubblicizzazione degli enti o di regionalizzazione del personale della Formazione
Professionale convenzionata.
La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sul 5,08% (3,6% area pubblica
e 7,5% area convenzionata privata).
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 89.
Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono quelli del 1990 (158,3 miliardi di
lire) e del 1997 (323,3 miliardi); la media del periodo è pari a 246,84 miliardi.
Ottima la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97): è di 94,1%. La migliore performance del nostro
Paese; superiore alla media italiana (77,1%) di ben 17 punti.
La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 86.937 lire e
quella rispetto alla forza lavoro è di 103.358 lire. Nel primo caso è inferiore alla
media italiana (93.951 lire) di 10 mila e 800 lire, nel secondo è superiore al dato nazionale
(99.534 lire) di circa 3.880 lire.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è pari all’1,6% inferiore alla media nazionale che fa registrare
l’1,39%.
Grafico n. 89 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (1990-97)
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490
8.11. Regione Toscana
Dal trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni fino agli Anni ’90
la Toscana emana quattro Leggi sul Sistema formativo regionale (la n. 6/76, la n.
86/80, la n. 16/85 e infine la n. 70 del 1994) e tutte e quattro sono Leggi organiche.
La novità più importante dell’ultima, L. reg. 31.08.1994, n. 70, Nuova disciplina
in materia di formazione professionale642 è l’individuazione di un nuovo soggetto
di delega e di una nuova configurazione dei rapporti tra Regione e soggetti
sub-regionali destinatari della delega.
In precedenza soggetti delegati erano i Comuni in forma associata e le Comunità
montane. A loro spettava la predisposizone del Piano di attività relativo al proprio
territorio e l’attuazione degli interventi, direttamente o mediante terzi con lo
strumento della convenzione; alla Provincia, invece, spettava l’approvazione dei
Piani di attuazione dei Comuni e delle Comunità Montane, il supporto tecnico-didattico
e organizzativo per l’attuazione del programma e il coordinamento delle iniziative
di orientamento professionale e la verifica di efficienza.
La n. 70/94 invece concentra tutte le deleghe nella Provincia (cfr. Fig. n. 101).
Nella nuova ripartizione delle funzioni alla Regione spettano: a) i rapporti con le
altre Regioni, con gli organi centrali e regionali dello Stato e con l’Unione Europea;
b) l’autorizzazione per la presentazione di progetti relativi a programmi di interesse
nazionale o comunitario; c) la vigilanza ed il rilascio delle certificazioni ed attestazioni
prescritte da disposizioni statali e dall’Unione europea; d) attività di ricerca,
studio e documentazione, incluse quelle di osservazione del mercato del lavoro di
interesse regionale; e) attività a carattere sperimentale e progetti innovativi; f) formazione
degli operatori del sistema regionale; g) l’istituzione di borse di studio per
la frequenza di corsi per particolari specializzazioni; h) iniziative e interventi che, in
relazione agli obiettivi formativi, alla tipologia dell’utenza ed alla molteplicità delle
sedi formative, risultino di interesse di più Provincie.
642 In B.U.R. TOSCANA, n. 60, parte prima del 7 settembre 1994.
Figura n. 101 - Funzioni delegate alla Provincia
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491
Ma è di competenza della Regione anche la regolamentazione del Sistema formativo
sia nella fase della progettazione, che in quella della gestione amministrativa,
della rendicontazione, del riconoscimento della idoneità delle sedi, della spendibilità
delle qualifiche643.
Alle Province, invece, spetta la pianificazione e l’attuazione degli interventi del
proprio territorio, direttamente o mediante affidamento ad altri soggetti idonei. Ma
alle Province sono conferite anche competenze, di natura consultiva, su materie proprie
della Regione e relative:
– alle funzioni programmatorie (definizione dello schema di programma);
– alle funzioni di regolamentazione del sistema (definizione delle procedure e
modalità per l’elaborazione, la presentazione e l’istruttoria amministrativa dei
progetti, per la gestione degli interventi e per la rendicontazione delle attività);
– alle funzioni di valutazione (criteri specifici e modalità uniformi per la valutazione
dei progetti e la verifica delle attività e dei risultati; la pubblicizzazione
degli interventi e la predisposizione degli archivi e dei flussi informativi su basi
informatiche).
Su altre competenze regionali (vigilanza, valutazione, monitoraggio, controllo)
le Province sono chiamate ad un rapporto di collaborazione.
Alla luce di queste modifiche necessariamente cambia anche il processo programmatorio,
sia quello strategico pluriennale, sia quello attuativo annuale. Mentre
la competenza sul primo rimane della Regione, fermo restando le consultazioni e i
pareri delle Province, nel Programma annuale, invece, confluiscono le attività programmate
dalle Province e gli elenchi delle attività autorizzate, riconosciute ed assentite
dalla Regione (cfr. Fig. n. 102).
Il Piano Triennale Regionale, in linea peraltro con la maggior parte delle Regioni,
non si limita ad indicare obiettivi e a ripartire le risorse finanziarie, ma contiene
anche indicazioni e criteri relativi alla gestione delle attività.
Gli articoli della Legge che riguardano i soggetti attuatori ruotano attorno a tre
concetti giurici: l’autorizzazione, il riconoscimento e l’assenso.
a) Nella prima categoria rientrano le agenzie formative: “le strutture e le articolazioni
organizzative per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione pro-
643 Più in particolare: la definizione delle procedure e modalità per l’elaborazione, la presentazione
e l’istruttoria amministrativa dei progetti, per la gestione degli interventi e per la rendicontazione
delle attività; le disposizioni per i requisiti di idoneità e la definizione dei criteri per l’organizzazione
ed il funzionamento dei Centri di Formazione Professionale e delle sedi formative; l’individuazione
dei requisiti, condizioni e criteri per l’accreditamento dei soggetti attuatori degli interventi e per la certificazione
della qualità delle iniziative; le disposizioni per la riconoscibilità e spendibilità sul mercato
del lavoro delle qualifiche e l’elaborazione dei programmi essenziali per il loro conseguimento e gli
eventuali moduli capitalizzabili; la definizione dei requisiti minimi di ammissione ai relativi corsi, lo
svolgimento delle prove di selezione e di esame, la nomina ed il funzionamento delle commissioni di
esame, i contenuti e le modalità di redazione dei relativi verbali, lo svolgimento degli stages applicativi
e dei tirocini pratici, l’accertamento e la documentazione dei risultati, i modelli dei certificati di frequenza
e degli attestati di qualificazione e di specializzazione.
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492
Figura n. 102 - Piano regionale triennale per la Formazione Professionale e Programma annuale
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493
fessionale”. Sotto questa definizione amplissima rientrano i Centri di interesse
regionale: “organismi o moduli organizzativi” partecipati o riconosciuti dalla
Regione; operano in riferimento a specifici comparti di attività economiche o a
gruppi omogenei di professionalità, e svolgono attività a carattere formativo o
ad esse connesse (studio, ricerca applicata, sperimentazione, documentazione,
consulenza ed assistenza tecnica). Nei Centri di interesse regionale è garantito
l’apporto integrato di almeno un’agenzia formativa, l’Università, almeno una
impresa o consorzio o associazione di imprese dell’area tematica di riferimento.
L’individuazione dei Centri di interesse regionale e la partecipazione o il riconoscimento
della Regione è di competenza del Consiglio regionale. Sono
agenzie formative anche i Centri di Formazione Professionale della Provincia e
le altre strutture da essa istituite e tutte le altre sedi formative dei soggetti previsti
dalla legge quadro. Rispetto alla n. 845/78, la norma toscana aggiunge due
nuovi tipi di soggetti: uno sul versante pubblico e uno su quello privato (cfr. Fig.
n. 103). Infatti, sul versante pubblico, oltre la Provincia sono previsti “le amministrazioni,
gli enti e gli organismi pubblici o di diritto pubblico interno od internazionale
con specifiche finalità di formazione” e, sul versante privato, oltre
gli Enti, emanazione di associazioni e fondazioni con finalità formative, “altri
soggetti, costituiti senza fini di lucro”. Anche i requisiti richiesti alle agenzie
Figura n. 103 - I soggetti attuatori (L. reg. n. 70/94)
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494
formative sono quelli contemplati dalla Legge nazionale del 1978. Rientrano
nella categoria delle agenzie formative anche le “imprese” “per interventi formativi
rivolti al personale interno o direttamente finalizzati all’inserimento lavorativo
sulla base di accordi sindacali”.
b) La categoria del riconoscimento invece riguarda le attività di Formazione Professionale
per la cui frequenza viene richiesta una retta.
c) Mentre quella dell’assenso riguarda “le attività volontarie di formazione professionale”
realizzate da Enti pubblici644.
644 Cfr. art. 41, terzo comma del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
Tabella n. 61 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
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Nella Tabella 61, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia
formativa e settore economico negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96. Tra i due anni di
riferimento c’è un diminuzione di 318 corsi. Le perdite sono concentrate nel settore
agricolo (–97 corsi) e nell’industria artigianato (–152 corsi) e non sono compensate
dagli aumenti del terziario (+70). Queste variazioni determinano anche delle modifiche
rilevanti nel peso di ciascun macro-settore: quello agricolo passa dal 9,5% ad
un residuale 0,4%; l’industria e l’artigianato fanno un balzo in avanti di 43 punti,
mentre il terziario subisce un vistoso decremento di 33,9 punti percentuali. Se disponiamo
in ordine decrescente i 10 settori che nel 1995-96 avevano più corsi, abbiamo
la situazione illustrata dal Grafico 90, da cui ricaviamo queste evidenze: a) solo tre
settori dell’industria rientrano in questa classifica, il Meccanico, l’Artigianato artistico
e l’Edilizia; b) il settore della Distribuzione commerciale, da solo rappresenta il
40% di tutti gli interventi formativi; risultato determinato dai corsi per l’iscrizione al
Registro Esercenti Commerco (REC) o al Registro Agenti Commercio (RAC).
Questo dato (considerata la brevissima durata dei corsi e il numero degli interventi,
particolarmente elevato solo in questo anno) può rappresentare un fenomeno distorsivo
per la ricostruzione del quadro delle attività programmate nel 1995-96.
Rispetto al 1990-91 gli unici settori che incrementano corsi (non considerando
la Distribuzione commerciale) sono l’Artigianato Artistico (+10) e l’Acconciatura
ed estetica (+74); le diminuzioni più sensibili sono quelle della Meccanica (–50),
dei Lavori d’ufficio (–61), dell’Elettricità-elettronica (–30), del Tessile e della Ristorazione
che azzerano la loro presenza (passando rispettivamente da 19 e 30 corsi a
0). Importanti le variazioni tra le due annualità prese a riferimento per quanto riguarda
la tipologia di formazione (cfr. Graf. n. 91). Nel 1995-96 i corsi destinati agli
“adulti” (190 per occupati e 107 per disoccupati) diminuiscono in valori assoluti (da
552 corsi a 301) e relativi (dal 52,6% al 41,1% di tutto il volume di attività programmato
per quell’anno). Diminuiscono gli interventi di I livello: da 142 a 130, ma au-
Grafico n. 90 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e
1995-96
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mentano in valori percentuali dal 13,5% al 17,8%. Valori molto lontani dalla media
nazionale sia a metà Anni ’90 (dato italiano 34,6%) che all’inizio del decennio
(37%). I 130 corsi del 1995-96 sono per lo più biennali (119); solo 11 quelli triennali
o di post-qualifica. Eccezionale il decremento del II livello (dizione che comprende,
lo ricordiamo, interventi per diplomati e per laureati e corsi di raccordo-integrazione)
che passa da 230 interventi a 10, facendo registrare una diminuzione del proprio
peso percentuale da 21,1% ad un irrilevante 1,4%. Solo 2 i corsi per diplomati,
8 di integrazione con il sistema scolastico e nessuno per laureati. Dei 290 interventi
del 1995-96 che sono registrati sotto la dizione “corsi speciali” nessuno è destinato
alle “categorie deboli”; tutti infatti riguardano interventi formativi previsti dalla normativa
per esercitare delle attività. È in questa categoria che si colloca il fenomeno
dei corsi per l’iscrizione al REC e RAC, che per dimensioni rappresenta un fenomeno
alterante il quadro complessivo dei dati sul volume corsuale programmato nel
1995-96.
Grafico n. 91 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
Grafico n. 92 - Settori e Aree professionali con il maggior numero di corsi (a.f. 1995.96)
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497
I 16.524 allievi previsti nel 1990-91 rappresentano lo 0,73% della popolazione
attiva (14-60 anni); i 2.398 allievi della prima qualificazione rappresentano l,9%
della leva dei 14-16enni645.
La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi
coinvolti (cfr. Graf. n. 93) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna
Provincia.
L’Isfol646 ha censito, per l’anno 1992-93, 64 sedi (cfr. Tab. n. 62): 30 CFP e 34
strutture occasionalmente utilizzate per interventi formativi. I 30 CFP sviluppano un
volume di attività pari a 266 corsi; la media corsi per CFP è pari a 8,8. I Centri regionali
fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 10,5; decisamente inferiore il valore
dei CFP convenzionati, pari a 2,3.
In questi numeri c’è la politica di decenni della Regione Toscana nei confronti
dei soggetti attuatori.
645 La popolazione attiva ammontava a 2.260.257; i 14-16enni a 128.582. Cfr. Geo-demo ista.it
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
646 SISTAN-ISFOL (a cura di RUBERTO A. e GHERGO F.) Distribuzione dei Centri di Formazione
Professionale in Italia - anno 1992-93, op. cit., pp. 99-104.
Tabella n. 62 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1992-93)
Grafico n. 93 - Distribuzione dei corsi e relativi allievi per Provincia
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498
La Regione non ha mai parlato di pubblicizzazione delle strutture o di regionalizzazione
del personale degli Enti del privato sociale. Non ne ha avuto bisogno,
perché da tempo gli Enti di Formazione non ci sono più, almeno in maniera significativa.
Non sono stati mai tenuti presenti come possibili risorse. Se si leggono le
norme toscane su questo tema si possono rilevare le stesse posizioni delle altre Regioni.
Ma la prassi è stata completamente diversa: in Toscana, infatti, nel tempo si è
sedimentato una posizione di monopolio da parte dei CFP pubblici.
La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sul 4,9.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 94.
Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono rispettivamente quelli del 1992 (27,3
miliardi di lire) e del 1997 (200,2 miliardi); la media del periodo è pari a 78,9 miliardi.
Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97): 89,5%, superiore alla media italiana (77,1%) di
ben 17 punti.
La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 45.749 lire e
quella rispetto alla forza lavoro è di 55.110 lire. Nel primo caso è inferiore alla
media italiana (93.951 lire) di 48.000 lire, nel secondo (99.534 lire) di circa 44.000
lire.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è pari allo 0,55%. Anche in questo caso siamo sotto la media nazionale,
che fa registrare l’1,39%.
Grafico n. 94 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (1990-97)
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499
647 Per il periodo di riferimento la Regione è stata sempre retta da Giunte di centrosinistra.
648 In B.U.R. MARCHE, 30 marzo 1990, n. 43.
649 Ibidem.
650 In B.U.R. MARCHE, 9 febbraio 1991, n. 12.
651 In B.U.R. MARCHE, 25 gennaio 1996, n. 7.
652 In B.U.R. MARCHE, 13 marzo 1997, n. 19.
653 Cfr. paragrafo, 2.
8.12. Regione Marche
Nel periodo 1990-97 le Marche647 emanano cinque Leggi:
– la prima e la più importante è la L. reg. 26 marzo 1990, n. 16 Ordinamento del
sistema regionale di formazione professionale648, una Legge organica che sostituisce
la vecchia normativa approvata prima della Legge quadro nazionale del
1978, n. 24/76;
– la seconda, che attua la politica di regionalizzazione del personale degli Enti di
Formazione Professionale prevista nella L. reg. n. 16/90, è la L. reg. 28 marzo
1990, n. 18 “Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento del personale
addetto alle attività di formazione professionale”649;
– la terza, che si limita ad apportare delle modifiche numeriche alla tabella del
personale contenuta nella L. reg. n. 16/90, è la L. reg. 28 gennaio 1991, n. 4
“L. reg. 28 marzo 1990, n. 18 “Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento
del personale addetto alle attività di formazione professionale”650;
– la quarta, che amplia lo spettro delle competenze delegate alle Province, è la
L. reg. 18 gennaio 1996 n. 2 “Delega alle Province delle funzioni amministrative
relative alle attività formative cofinanziate dall’Unione Europea”651;
– la quinta, che provvede ad erogare rimborsi agli Enti gestori per spese sostenute
e non coperte dal finanziamento ordinario, è la L. reg. 3 marzo 1997, n. 22
“Rimborso agli Enti gestori di formazione professionale - Legge Regionale 24
maggio 1980, n. 39”652.
Sulla struttura della L. n. 16/1990 abbiamo già riferito in altra parte del volume653.
Qui ci limitiamo a ricostruire il processo programmatorio e il quadro dei
soggetti che possono attuare iniziative formative. Come vedremo successivamente,
nella ripartizione delle competenze tra Regione e soggetti delegati, la prima ha riservato
a se stessa le funzioni strategiche. Tra queste l’elaborazione del programma
pluriennale che stabilisce gli obiettivi, definisce le risorse finanziarie e specifica i
criteri per la loro ripartizione tra Regione e Province e tra attività.
Il Programma annuale, invece, spetta alle Province (cfr. Fig. n. 104). In effetti il
processo comincia dalle Comunità Montane. Sono loro ad avanzare proposte “in ordine
agli indirizzi ed alle attività di formazione professionale da privilegiare nell’ambito
del territorio comunitario”. Gli Enti delegati tengono conto delle proposte
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500
delle Comunità montane e sulla base delle indicazioni del Piano triennale e delle direttive
che annualmente la Giunta impartisce (obiettivi, risorse e disposizioni tecnico-
amministrative) predispongono il Programma annuale, che:
Figura n. 104 - Processo programmatorio (L. reg. n. 16/1990)
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501
a) determina indirizzi e criteri specifici: per le attività di progettazione finalizzate
all’elaborazione dei curricoli formativi, per le attività formative, per le attività
di orientamento professionale;
b) indica l’ammontare delle risorse finanziarie a disposizione, distinte in base alla
loro provenienza e alla loro destinazione, ai diversi tipi di attività, ai settori o
comparti economici ed alle aree territorali.
I soggetti che in base alle previsioni del Programma annuale intendono attuare
interventi presentano il “progetto formativo”, la cui struttura viene minuziosamente
specificata (cfr. Prosp. n. 50).
I soggetti che possono presentare progetti formativi sono sostanzialmente quelli
della Legge quadro. Accanto alla gestione diretta da parte della Regione, che in regime
di delega viene trasferita alle Province, è prevista una gestione in convenzione
o con strutture di enti o con aziende: per gli uni e per le altre i requisiti richiesti sono
quelli della L. n. 845/78 (cfr. Fig. n. 105).
Prospetto n. 50 - Struttura del Progetto formativo
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502
La L. reg. n. 16/90 ridisegna il rapporto tra Regione ed Enti delegati. Viene ampliato
lo spettro di competenze delegate e viene individuato un nuovo soggetto di
delega: non più solo la gestione degli ex CRFP, ma anche funzioni amministrative,
non più i Comprensori ma le Province.
Ampliamento della delega e cambio del soggetto sono naturalmente interrelati,
nel senso che se si delegano anche funzioni amministrative è nella logica delle cose
che si punti ad un soggetto che abbia competenze istituzionali su un territorio più
vasto di quello del comprensorio.
Figura n. 105 - Soggetti gestionali (L. reg. n. 16/1990, art. 9)
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503
La ripartizione delle competenze tra Regione e Province effettuata dalla L. reg.
n. 16/90 è quella illustrata nella Figura 106: alla Regione spetta la programmazione
strategica e tutte le attività ad essa preliminari e funzionali (come l’osservazione e
l’analisi dei fabbisogni), la regolamentazione amministrativa e contabile per assicurare
regole omogenee a tutti gli attori del sistema, la progettazione formativa (intesa
dalla Legge come analisi delle dinamiche evolutive e dei processi di trasformazione
del sistema produttivo e dei ruoli professionali, la predisposizione di curricula formativi
per acquisire le competenze di tali ruoli), l’aggiornamento e la riqualificazione
degli operatori, gli studi e le ricerche che possono contribuire ad alzare la qualità
del sistema, il coordinamento delle attività orientative (di studio, di elaborazione
e diffusione materiali informativi, cartacei e multimediali, di consulenza)654.
Figura n. 106 - Ripartizione delle competenze tra Regione e Province (LL. regg. 16/90 e 2/96)
654Art. 20. Le attività di orientamento professionale comprendono tra l’altro: a) la realizzazione di
attività di ricerca sulla situazione e sulle prospettive del mercato del lavoro; b) la raccolta sistematica
delle informazioni utili ai fini dell’attività di orientamento; c) la diffusione delle informazioni nelle
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504
Alla Provincia, invece, compete la programmazione annuale e tutte le operazioni
successive che attuano i piani annuali: la raccolta e la selezione di proposte di
attività, la stipula delle convenzioni, l’erogazione dei finanziamenti, la vigilanza
sullo svolgimento delle attività degli Enti, la gestione degli ex CRFP (denominati
Scuole regionali), la nomina delle commissioni di esame e la rendicontazione. Accanto
alla Formazione Professionale, spetta alla Regione l’autorizzazione, il controllo
e la nomina delle commissioni di esame delle c.d. “attività libere” e la realizzazione
degli interventi dell’orientamento.
Nel 1996, con la nuova la L. reg. n. 2, la Regione trasferisce agli Enti delegati
anche la gestione del FSE. In questo modo le Marche si conformano alla cultura istituzionale
di quegli anni che prevede per le Regioni solo ruoli prevalentemente strategici,
di programmazione, controllo e valutazione (presente anche se poco accentuata)
e per i soggetti delegati, ruoli prevalentemente attuativi.
Quasi contestualmente all’approvazione del nuovo ordinamento del sistema
viene emanata la Legge che provvede alla regionalizzazione del personale della formazione
convenzionata.
Due giorni dopo la L. n. 16/90, viene approvata la n. 18, che istituisce il ruolo
regionale speciale ad esaurimento degli operatori della Formazione Professionale. Il
ruolo speciale ha una dotazione complessiva di 350 posti, che la L. reg. n. 4/91 porterà
a 365, ripartiti in qualifiche funzionali (cfr. Graf. n. 95). Può essere immesso nel
ruolo speciale il personale non di ruolo della Regione e il personale con contratto a
tempo indeterminato degli Enti, iscritto all’Albo regionale655.
Per l’immissione in ruolo occorre aver superato un concorso riservato per titoli
ed esami, dopo aver partecipato a corsi di aggiornamento e riqualificazione.
Abbiamo già parlato degli obiettivi di questa politica656 (portata avanti esclusivamente
da giunte regionali di sinistra): alleggerire il peso del consolidato storico
corsuale di prima qualificazione, dove lavoravano questi operatori, per spostare il
fulcro del sistema a favore di iniziative destinate ad utenze più adulte e, nello stesso
tempo, utilizzare questo personale in funzioni vicine alla Formazione Professionale
(osservatorio del mercato del lavoro, orientamento professionale).
scuole, …, e negli ambienti di lavoro, …; d) la diffusione delle informazioni, anche attraverso apposite
pubblicazioni e la produzione di materiale informativo multimediale; e) la consulenza e l’assistenza a
favore degli insegnanti delle scuole statali e non statali e dei Centri di Formazione Professionale,
anche attraverso la messa a disposizione di materiale di documentazione e di informazione.
655 L’albo, previsto dalla L. reg. 10 novembre 1981 n. 34 Disciplina per il personale addetto all’attività
di formazione professionale, in B.U.R. MARCHE, 12 novembre 1981, n. 116, si articolava in tre
sezioni suddivise in graduatorie distinte per mansioni e discipline d’insegnamento: 1) Personale dipendenti
dagli Enti privati di Formazione Professionale con contratto a tempo indeterminato alla data
dell’8.9.1976; 2) personale dipendente dagli Enti privati di Formazione Professionale con contratto a
tempo indeterminato dal 9.9.1976 fino all’entrata in vigore della L. reg. 16/81; 3) nuovi aspiranti in
possesso dei requisiti professionali richiesti.
656 Cfr. volume II, par. 5.5.3.
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505
Ma occorre far presente la difficoltà di utilizzare, per compiti che prevedono
competenze disciplinari di livello superiore, un personale che in larga misura ha un
livello d’istruzione medio (solo il 12,9% è laureato).
La nuova configurazione che ha determinato l’allargamento della delega (in
particolare per le attività di orientamento), la centralità riservata alla progettazione e
ai processi di riqualificazione e aggiornamento del personale determinano una riorganizzazione
delle strutture regionali che hanno competenza in materia; il Servizio
Formazione Professionale e problemi del lavoro si articola in 4 uffici (cfr. Fig. n.
107): progettazione formativa, orientamento professionale, aggiornamento e riqualificazione
personale FP, problemi del lavoro e dell’occupazione.
Grafico n. 95 - Dotazione del ruolo speciale ad esaurimento distinta per qualifiche funzionali
(L. reg. 4/91)
Figura n. 107 - Struttura organizzativa regionale che governa la Formazione Professionale
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La L. reg. n. 16/90 stabilisce una distinzione tra i CFP della Regione e delegati
alle Province e i CFP degli Enti. Una distinzione di nome ma anche di configurazione
giuridica.
I CFP pubblici si chiamano Scuole regionali di Formazione Professionale, sono
dotate di autonomia amministrativa e hanno 4 “organi di governo” (cfr. Fig. n. 108):
il consiglio di amministrazione (organo deliberante nominato dal soggetto delegato)
657, il direttore (nominato dall’Ente delegato presiede il C.d.A. e ne esegue le
delibere), il consiglio dei docenti della scuola, il collegio dei docenti di corso.
Le scuole regionali sono quelle elencate in allegato alla L. reg. 16/90 (Ancona,
Pesaro, Jesi, Urbino, Macerata, S. Elpidio a Mare, San Benedetto del Tronto, Ascoli
Piceno 2, e alberghiere a Senigallia, Tolentino, Ascoli Piceno).
I CFP sono “unità organizzative di base costituite con carattere di stabilità e di
continuità per lo svolgimento delle attività formative”. Gli organi di governo del
Centro sono: il direttore, il consiglio degli operatori del Centro, il collegio dei docenti
di corso (cfr. Fig. n. 108). Per il controllo sociale della gestione dei Centri di
657 Ed è composto, oltre che dal direttore della scuola: da un rappresentante designato dall’ente
delegato; da un rappresentante designato unitariamente dalle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentantive dei lavoratori dipendenti; da un rappresentante designato dalle organizzazioni maggiormente
rappresentative dei lavoratori autonomi; da un rappresentante designato dalle organizzazioni
maggiormente rappresentative dei datori di lavoro; da un rappresentante dei portatori di handicaps
o delle loro famiglie, da un rappresentante designato dal personale docente della scuola, da un
rappresentante designato dal personale non docente della scuola, da un rappresentante degli studenti.
Figura n. 108 - Organi di governo delle Scuole Regionali e dei CFP degli Enti
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507
Formazione Professionale è istituito in ciascun centro un comitato658 nominato dall’ente
delegato. Le scelte operate dalle Marche sono decisamente controtendenza:
quando il dibattito a livello nazionale metteva l’accento sulla funzionalità e sulle
competenze strategiche delle strutture formative (analisi dei fabbisogni, progettazione
formativa, valutazione in itinere ed ex post) e prospettavano modelli di CFP
proiettati all’esterno, le Marche insistono sui loro assetti interni, proponendo modelli
di rappresentanza burocratici (come il Consiglio di Amministrazione per le
Scuole regionali) o ideologici da Anni ’70 (come il controllo sociale per le strutture
convenzionate) e peraltro con delle composizioni pletoriche (9 membri per il C.d.A.
e 7 per il Comitato di controllo sociale).
Sempre a proposito di sedi formative nella Tabella 63 vengono riportati i dati
dell’indagine Isfol sulle strutture formative, relativa all’anno formativo 1990-91659,
dalla quale possiamo trarre queste considerazioni:
– la netta prevalenza delle sedi utilizzate per attività occasionali e non ripetitive
(80,3%) sulle Scuole regionali e sui CFP (19,7%), cioè sulle sedi utilizzate in
maniera continua ed esclusiva per le attività formative, dà un’immagine del Sistema
formativo abbastanza destrutturato. Ma è un’immagine che non rende
pienamente la situazione reale. In quell’anno, infatti, è stato programmato un
numero molto alto di corsi agricoli (cfr. Tab. n. 64) che, normalmente, avendo
un carattere informativo e di aggiornamento, sono di breve durata e realizzati in
ambienti abitualmente non destinati ad attività formative (alberghi, sedi di associazioni)
che sono facilmente raggiungibili dall’utenza;
658 Composto da: un rappresentante designato dall’ente delegato, un rappresentante designato
dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, un rappresentante designato dalle organizzazioni
dei lavoratori autonomi; un rappresentante designato dalle organizzazioni degli imprenditori; un
rappresentante designato dal consiglio degli operatori del centro; due rappresentanti designati dall’assemblea
degli allievi dei corsi.
659 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
Tabella n. 63 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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– per quanto riguarda i CFP, cioè le strutture dedicate esclusivamente alla formazione,
si verifica una contenuta prevalenza di quelli della gestione convenzionata
(23, pari al 56,1%) su quelli della gestione pubblica (3, pari a 43,9%).
Un’altra indagine Isfol, relativa all’a.f. 1992-93660, censisce 32 CFP, di cui 15
Scuole regionali661 e 17 dell’area convenzionata privata. I 32 CFP sviluppano un volume
di attività pari a 267 corsi; la media corsi per CFP è pari a 8,3. I Centri regionali
fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 8,1. Leggermente superiore il valore
del rapporto nei CFP convenzionati, pari a 8,5.
660 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
661 Situati a: Fonzaso (BL), Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (2), Chioggia, Mestre,
San Donà di Piave (VE), Chiampo, Lonigo, Bassano del Grappa (VI), Vicenza, Bovolone, Zevio (VR),
Verona.
Tabella n. 64 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e
1995-96)
Fonte: ISFOL
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Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP sono l’ENAIP
con 4 sedi (Ancona, Fabriano, Fermo e Pergola) e lo IAL della CISL con 3 (Osimo,
Falconara, San Benedetto). Tutti gli altri Enti, la maggior parte dei quali espressione
della cultura cattolica, hanno una sola sede: il CNIPA, Consorzio Nazionale Istruzione
Professionale Artigiana, ex OSFIN Opera S. Filippo Neri della Confartigianato
(Ancona), gli Artigianelli (Fermo), la Comunità di Capodarco (Fermo), l’Isituto
delle Canossiane (Porto San Giorgio), l’Istituto Stella maris (Porto Civitanova) e
l’ENAP Don Orione (Fano).
Nel 1980 la L. reg. 24 maggio n. 39662 “allo scopo di favorire la maggiore qualificazione
delle proposte formative provenienti da organismi diversi dagli enti delegati”
concedeva contributi agli Enti di Formazione. In effetti il provvedimento, al di
là delle finalità dichiarate, rappresentava un modo per sanare le passività che gli enti
avevano maturato nelle gestioni precedenti. Passività dovute a due fattori: l’insufficienza
del parametro finanziario a coprire le spese sostenute e gli interessi passivi
maturati per prestiti bancari resisi necessari per far fronte alle spese correnti, in particolare
del personale, dato che i finanziamenti regionali abitualmente venivano erogati
con molto ritardo.
Agli Enti destinatari di quei contributi, la L. reg. 3 marzo 1997663 “autorizza ad
erogare, […], un rimborso integrativo a parziale copertura dei maggiori oneri di
carattere finanziario da essi sostenuti e non contemplati in occasione dei precedenti
provvedimenti di finanziamento”.
Il rimborso per quell’anno ammontava a 1.860 milioni. Nell’elenco delle voci
di spesa per le quali gli Enti possono richiedere i rimborsi figura anche una generica
espressione “oneri finanziari sostenuti dagli Enti suddetti per la gestione dell’attività
formativa autorizzata e finanziata”.
È il linguaggio faticoso della burocrazia quando vuole realizzare qualcosa senza
dichiararlo apertamente.
La Tabella 64 ci offre un confronto tra corsi programmati nel 1990-91 e quelli
del 1995-96.
Nella prima annualità gli interventi sono 545, nella seconda 411. Il decremento
si spiega soprattutto con una flessione di tutti i macrosettori (Industria e artigianato
–2 e Terziario –33) ma soprattutto di quello agricolo che passa da 100 a 9 corsi.
Si consideri, peraltro, che i 100 corsi in questione erano destinati ad adulti, ed erano
di brevissima durata. Comunque la diminuzione è abbastanza generalizzata: su 22
settori/aree professionali presenti nella Tabella 64 ben 13 fanno registrare un decremento,
talora contenuto (l’Alimentare, i Beni culturali, l’Abbigliamento e calzature,
lo Spettacolo), talora più marcato (Grafica, Ecologia ed Ambiente, Cooperazione,
662 Qualificazione delle proposte formative degli organismi diversi dagli enti delegati gestori
delle attività di formazione professionale in B.U.R. MARCHE, 26 maggio1948.
663 Rimborso agli Enti gestori di formazione professionale - Legge Regionale 24 maggio 1980, n.
39 in B.U.R. MARCHE, 13 marzo 1997, n. 19.
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Distribuzione Commerciale), talora molto accentuato (Lavori d’Ufficio, Elettricità,
Informatica).
Segnaliamo, invece, in territorio positivo, i settori con il maggior aumento: Servizi
socio-educativi (+32) e Artigianato artistico (+23).
La classificazione per le tipologia corsuali utilizzata dalle Marche664 (cfr. Prosp.
n. 51) tiene conto solo delle attestazioni e certificazioni da raggiungere e prescindere
dalla tipologia di utenze (giovani o adulti) e dalla loro scolarità di partenza (I e II livello).
664 Cfr. Regolamento Regionale 5 agosto 1992, n. 33 Disciplina Amministrativa e contabile delle
attività di formazione professionale in B.U.R. 6 agosto 1993, n. 68-bis, art. 4.
Grafico n. 96 - Evoluzioni quantitative dei settori tra il 1990-91 e il 1995-96
Prospetto n. 51 - Sistema classificatorio delle tipologie corsuali
Fonte: Regolamento Disciplina Amministrativa e contabile delle attività di formazione professionale
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Il sistema utilizzato dall’Isfol nell’indagine sulle attività programmate negli
anni formativi 1990-91 e 1995-96 offre queste informazioni (cfr. Graf. n. 97):
– diminuiscono in valori assoluti sia il primo che il secondo livello che passano
rispettivamente da 193 a 119 (–74) e da 83 a 39 (–44) corsi;
– diminuisce anche il loro peso percentuale: il primo livello passa da 35,4% a
28,9%. In entrambe le annualità, comunque, i valori sono inferiori alle medie
nazionali che erano, rispettivamente, 37% nel 1990-91 e 34,6% nel 1995-96. Il
secondo livello flette da 15,2% a 9,2%.
Subiscono un decremento anche le altre due tipologie: quelle rivolte ad utenze
adulte e i corsi speciali. Più contenuto per le prime (–6) e più marcato per i secondi
(–10). Ma, mentre i corsi per adulti aumentano il loro peso di ben 12 punti percentuali,
i corsi speciali mantengono sostanzialmente il loro che si attesta tra il 5% e il
6% circa.
Per il 1995-96 l’Isfol ci fornisce un quadro di maggiore dettaglio, da cui rileviamo
che la gran parte dei 119 corsi di primo livello sono di durata biennale; sono
solo 5 i corsi che i ragazzi frequentano dopo la qualifica. I corsi di secondo livello
sono quasi esclusivamente destinati a diplomati. Nessun corso è riservato a laureati
e solo 5 sono di integrazione con la scuola.
Delle 238 attività per adulti 125 hanno come allievi persone occupate e 108 allievi
che cercano una collocazione nel mercato del lavoro. Infine, nel composito raggruppamento
dei corsi speciali, 14 avranno come utenti persone che rientrano nelle
“categorie deboli” e 6 quelli finalizzati al conseguimento di una certificazione che li
abiliti a specifiche professioni o compiti.
I 9.199 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,5% della popolazione attiva (14-
60enni); gli 8.321 allievi della prima qualificazione rappresentano il 6% della leva
dei 14-16enni665.
665 La popolazione attiva ammontava a 903.510; i 14-16enni a 54.655. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991
Grafico n. 97 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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La distribuzione dei corsi nella programmazione dell’a.f. 1995-96 e di conseguenza
quella degli allievi tra le 4 Province marchigiane non riflette il numero della
loro popolazione residente (cfr. Graf. n. 98). Infatti, Macerata, con 49,5%, precede
Pesaro con il 27,5%, Ascoli Piceno con il 12,7% ed Ancona con solo il 12,1%. Se si
fosse seguito il criterio dell’attribuzione dei corsi in relazione alla popolazione, l’ordine
decrescente sarebbe stato completamente rovesciato: più corsi alla Provincia di
Ancona che vanta il 30,6% della popolazione regionale, poi Ascoli Piceno con il suo
25,2%, Pesaro con il 23,5% e, infine, Macerata con il 20,6%.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 99.
Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1994 (43,8 miliardi di
lire) e del 1993 (136,5 miliardi); la media del periodo è pari a 82.112 miliardi.
Grafico n. 98 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
per l’a.f. 1990-91
Grafico n. 99 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (1990-97)
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Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97): 84,6% superiore alla media italiana (77,1%) di
7,5 punti.
Per l’ a.f. 1995-96 la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a
46,359 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 50.200 lire. Nel primo caso è inferiore
alla media italiana (93.951 lire) di circa 47.000, nel secondo si discosta dal dato
nazionale (99.534 lire) di circa 53.000 lire.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è pari all’1,03%, inferiore alla media nazionale che fa registrare
l’1,39%.
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8.13. Regione Umbria
Nel periodo considerato l’Umbria emana una sola Legge la n. 14 del 28.05.1991
Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 21 ottobre 1981, n. 69
“Norme sul sistema formativo regionale”. La modifica più importante riguarda il
soggetto di delega.
La n. 69 individuava nelle Associazioni intercomunali il destinatario delle deleghe
regionali. In effetti l’istituto è stato attivato solo nel 1987. Ma non ci volle
molto a capire che l’averla affidata ad un soggetto sub-provinciale non era la scelta
giusta. E pertanto come già avevano fatto la Toscana, l’Emilia Romagna e le
Marche, anche l’Umbria alza il livello di decentramento scegliendo la Provincia.
Con la sostituzione del soggetto si amplia anche l’oggetto della delega. Mentre
le Associazioni intercomunali avanzavano alla Regione una Proposta di Piano annuale,
ora sono le Province ad “adottare” il piano di iniziative da assumere nel proprio
territorio. I due piani provinciali vengono poi assunti dal Piano attuativo annuale
regionale e tale inserimento equivale alla loro approvazione.
Con queste modifiche il quadro della ripartizione di competenze tra i due soggetti
può essere così sintetizzato: alla Regione i rapporti con le autorità nazionali e
comunitarie e le funzioni della programmazione strategica e del controllo sull’attuazione
dei piani annuali, alle Province “le funzioni amministrative relative all’organizzazione,
gestione e vigilanza degli interventi di formazione, orientamento professionale,
promozione educativa ed educazione permanente”.
La Regione, però, può attuare direttamente iniziative “di rilevante interesse”
che non risultino realizzabili da parte degli Enti delegati, e attività e servizi di documentazione,
studio, progettazione, sperimentazione e aggiornamento.
Per la predisposizione del Piano del 1993666, la Regione e le due Amministrazioni
provinciali di Perugia e di Terni hanno sperimentato un nuovo modello di programmazione
fondato su un percorso procedurale, che ha trovato un riconoscimento
formale in un apposito protocollo di intesa. L’idea, che è alla base del nuovo approccio
operativo, si ispira ad una metodologia che prevede momenti di confronto
interni ed esterni, tra le Amministrazioni e gli altri soggetti sia pubblici che privati.
Il primo passo è stato quello di costituire un Gruppo di lavoro667 con il compito
di governo tecni co di tutto il processo. Il Gruppo di lavoro ha proceduto alla elaborazione
di un primo documento di carattere preliminare. Si tratta di Lineamenti pro-
666 CALISTRI F. e DE VINCENZI R., Una metodologia operativa di programmazione e di valutazione
ex ante degli interventi formativi cofinanziati dal F.S.E. in Osservatorio Isfol, 1994, n. 2, pp. 43-62.
667 Composto da: il dirigente dell’Area formazione e lavoro della Regione, il responsabile della
Programmazione della FP della Regione; il responsabile dell’Osservatorio regionale del mercato del lavoro;
i dirigenti degli Uffici FP delle Province; i consulenti del CRAS. La CRAS Spa è una società di
consulenza fondata nel 1983, che svolge attività di ricerca, progettazione, formazione, monitoraggio,
valutazione e assistenza tecnica in ambito nazionale e internazionale.
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515
grammatici che tracciano un quadro abbastanza dettagliato della situazione socio
economica regionale e prospettano le opzioni strategiche che si intendeva perseguire
(tenendo anche presente i vincoli e le opportunità offerte dal FSE).
Sulla base di questo documento si è passati ad un tavolo regionale di Dialogo
Sociale con gli attori economici più significativi, con un duplice obiettivo: da una
parte aprire una discussione e raccogliere elementi di consenso e di dissenso rispetto
alle linee strategiche delineate, dall’altro raccogliere, in assenza di un sistema a regime
di analisi territoriale del mercato del lavoro, informazioni circa i fabbisogni
formativi necessari allo sviluppo del sistema produttivo regionale, utilizzando
quindi i diversi partecipanti quali testimoni privilegiati.
Figura n. 109 - Struttura del Piano attuativo annuale regionale (LL. regg. n. 69 e n. 14/91 art. 7)
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516
Operativamente il Dialogo Sociale è stato organizzato attraverso dei forum668.
Durante lo svolgimento dei primi tre forum sono state distribuite delle schede di
rilevazione, nelle quali si chiedeva un giudizio sulle attività formative svolte in passato
e l’indicazione, sia generale che specifica, sul fabbisogno formativo e su quello
di manodopera e professionalità.
La raccolta delle schede è avvenuta al quarto e ultimo incontro, nel quale oltre
alle indicazioni richieste nelle schede, sono stati registrati tutti gli spunti, i suggerimenti
e i consigli forniti dai partecipanti.
Successivamente è stato organizzato un incontro con i rappresentanti delle Aree
operative della Regione (Industria, Artigianato, Beni culturali, Turismo, ecc.) ai
quali è stato chiesto di esprimere sia una considerazione sull’andamento occupazionale
del settore di appartenenza, sia un giudizio di merito sulle indicazioni e i suggerimenti
raccolti nei forum.
In base alle indicazioni emerse nei forum e successivamente analizzate e confrontate
con le informazioni disponibili circa l’attività formativa pregressa, si è
giunti alla definizione conclusiva del Documento di Programmazione delle attività
formative per il 1993.
Nel documento sono stati individuati i profili professionali prioritari verso cui
indirizzare la Formazione di secondo livello (post-diploma e post-laurea), che rappresentano
la traduzione e la selezione delle indicazioni (anche in termini di fabbisogni)
emerse nei forum.
Sulla base del Documento di programmazione delle attività formative per il
1993 le Amministrazioni provinciali hanno provveduto a predisporre appositi Documenti
di programmazione provinciale, approvati dai rispettivi Consigli, nei quali venivano
sviluppate, le indicazioni contenute nel documento regionale. Successivamente
le Amministrazioni provinciali provvedevano ad elaborare dei Bandi pubblici
dove venivano indicate le aree professionali o le professionalità specifiche per le
quali i soggetti proponenti potevano presentare progetti.
Contemporaneamente alla realizzazione dei forum, il Gruppo di lavoro ha
messo mano alla elaborazione di una nuova modulistica, sia per la presentazione dei
progetti (formulari) sia per la loro valutazione (schede di valutazione).
Il nuovo formulario chiedeva informazioni circa le attività pregresse, la disponibilità
delle attrezzature didattiche, la descrizione del programma didattico (obiet-
668 Ai forum hanno partecipato: le Associazioni di categoria (dell’Industria, dell’Artigianato, del
Commercio e dell’Agricoltura) e le Organizzazioni Sindacali; i Centri di Formazione pubblici, gli Enti
di Formazione (quali emanazione delle Associazioni di categoria) e le principali Agenzie formative
private, che rappresentano il mercato della formazione operante in Umbria; le Agenzie giovani e le
Agenzie per l’impiego, quali «soggetti esperti» dei processi in atto nel mercato del lavoro locale e regionale;
le Istituzioni pubbliche e private direttamente coinvolte nelle dinamiche sociali, economiche e
aziendali quali: i Comuni e le Comunità montane più importanti, i Provveditorati agli studi, l’Istituto
per il Commercio estero e la Unioncamere; altri soggetti operanti sul territorio, quali, ad esempio, il
Centro Pari Opportunità e la Legambiente.
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517
tivi e contenuti), il curriculum del coordinatore e le caratteristiche dei docenti (cfr.
Prosp. n. 52).
La revisione della modulistica di presentazione dei progetti formativi ha dunque
rappresentato il passaggio propedeutico fondamentale alla progettazione e alla
messa a punto delle schede di valutazione nelle quali fosse possibile attribuire un
punteggio numerico ad ogni progetto presentato.
Le schede di valutazione sono schede informatizzate, composte da alcuni indicatori,
desumibili direttamente dalla modulistica di presentazione delle domande, e
da alcuni indici ricavati a partire da tali informazioni. Le schede sono state testate attraverso
una simulazione del processo valutativo di alcuni progetti presentati negli
anni passati. La sperimentazione effettuata ha evidenziato la necessità di ricorrere a
tre differenti schede:
– scheda di valutazione dei progetti di Formazione post-diploma dell’Area tecnica;
– scheda di valutazione dei progetti di Formazione post-diploma dell’Area gestionale
(in questi primi due tipi di valutazione sono stati utilizzati gli stessi indicatori,
ma è stato attribuito loro un peso differente);
– scheda di valutazione dei progetti di qualificazione e di riqualificazione aziendale.
Prospetto n. 52 - Struttura del formulario per la presentazione dei progetti
Figura n. 110 - Struttura della valutazione di progetti di Formazione
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518
Non sono state redatte schede per la valutazione della Formazione di base (realizzata
nei Centri pubblici).
La valutazione dei progetti del post-diploma, è stata operata raggruppando i
progetti confrontabili, relativi cioè ad uno stesso profilo professionale e utilizzando
una serie di indicatori e indici di carattere quantitativo e qualitativo, riguardanti la
struttura e il progetto.
In generale la valutazione della struttura ha inciso per il 20% sul totale del punteggio
attribuibile, il rimanente 80% è dipeso dalle informazioni relative al progetto
presentato.
Ad ogni indicatore è stato attribuito un peso specifico (compreso tra 0,4 e
2,5)669; in fase di valutazione, ad ogni indicatore viene dato un punteggio (da 0 a 10),
nella sua imputazione esso viene automaticamente moltiplicato per il peso specifico.
La somma dei valori che ne deriva contribuisce a determinare il punteggio finale del
progetto formativo esaminato.
Infine, nel caso in cui il progetto risulti presentato in consorzio con altri soggetti,
al punteggio finale viene sommato un valore aggiuntivo, poiché il consorziamento
e la collaborazione era una delle scelte strategiche del Documento di programmazione.
Per quanto riguarda, invece, la scheda di valutazione dei progetti di qualificazione
e di riqualificazione aziendale la valutazione dei progetti non può essere effettuata
confrontando tra loro più progetti. Dunque, per ogni progetto analizzato è stata
compilata una scheda dove oltre ad attribuire i punteggi agli indicatori è sembrato
opportuno dare una indicazione analitica sul progetto. Solo al termine delle analisi
di tutti i progetti presentati, i punteggi ottenuti sono stati confrontati analiticamente.
La valutazione dei progetti è stata effettuata da appositi Nuclei di valutazione provinciali670.
Ultimata la fase valutativa e individuati i soggetti cui affidare le attività, le Province
hanno provveduto ad adottare il Piano attuativo e, come abbiamo visto esaminando
il processo programmatorio, ad inviarlo successivamente alla Regione per
l’inserimento nel Piano attuativo annuale regionale.
Rispetto agli anni precedenti due sono le novità di maggiore rilievo nel percorso
programmatorio fatto dall’Umbria. La prima è rappresentata dal fatto che il processo
di selezione degli interventi da realizzare non parte più dalle indicazioni dei soggetti
attuatori, ma dalle priorità definite dalla Regione e dalle Province.
La seconda novità è costituita dal fatto che si arriva a definire le priorità attraverso
un processo governato da Regioni e Province ma che coinvolge una pluralità
669 Viene attribuito sulla base della capacità riconosciutagli di individuare alcuni elementi che definiscono
la qualità di un progetto formativo e l’affidabilità della struttura richiedente.
670 Ognuno dei quali composto dal Responsabile dell’Ufficio EP. della Provincia e dai diversi
componenti dell’Ufficio (responsabile della programmazione, del monitoraggio e controllo, della rendicontazione
e della didattica), nonché da un esperto del Cras con il compito di gestire le schede di valutazione.
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di soggetti che operano sul territorio, a diverso titolo interessati alla Formazione
Professionale671.
671 Vedi il giudizio sui comportamenti di alcuni soggetti partecipanti ai forum “[…], c’è da registrare
che le forze sociali invitate a partecipare ai diversi incontri (dai Sindacati alla Confindustria),
sono risultate poco attrezzate al Dialogo Sociale: più orientate a salvaguardare l’attività formativa consolidata,
svolta dai loro Enti formativi, e meno inclini a interagire con l’Amministrazione sulle dinamiche
in atto nel mondo del lavoro e della produzione” in CALISTRI F. e DE VINCENZI R., Una metodologia
operativa di programmazione e di valutazione ex ante degli interventi formativi cofinanziati dal
F.S.E. in Osservatorio Isfol, op. cit., p. 66.
672 Formula: n. di ore di teoria a contenuto x/n. di ore totali di teoria x 10.
673 Formula: n. di ore di pratica/n. di ore tot/2 o 3 x 10. Il presupposto di fondo è che il punteggio
max si avrà solo quando il numero di ore dedicate alla pratica corrisponde a 1/2 del monte ore per il
profili dell’Area Tecnica e a 1/3 per i profili dell’Area gestionale.
674 Formula: Spesa personale docente/ (Spesa tot./2) x 10. Il punteggio massimo si avrà quando la
spesa per il personale docente corrisponde al 50% della spesa totale.
675Aprescindere dall’esame finale.
Prospetto n. 53 - Scheda di valutazione per i Progetti Post-diploma Area tecnica e Gestionale
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520
La Tabella 65 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi,
all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il
confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia
per macrosettore e comparto professionale.
Nel 1995-96 sono stati realizzati 362 corsi in più rispetto al 1990-91. A livello
di macrosettori aumenta l’Agricoltura che passa da 28 corsi a 57; consistente l’aumento
dell’Industria con 95 unità, eccezionale quello del Terziario con 362 (grazie
soprattutto all’exploit del settore dei Servizi socio-educativi + 70, dell’Informatica
+37 e dell’area professionale Lavori d’ufficio +115).
Queste variazioni non determinano rilevanti spostamenti del peso percentuale
dei tre macrosettori. (cfr. Graf. n. 100). Il settore agricolo rimane intorno all’8%,
l’Industria oscilla tra il 32,8% e il 29,3%, mentre il Terziario guadagna nel 1995-96
quasi 4 punti rispetto all’inizio del decennio. Nel macrosettore Industria e artigianato,
nelle annualità prese a riferimento, le prime due posizioni sono occupate dalla
Meccanica e dall’Elettricità elettronica, (in entrambi i casi aumento il loro volume
corsuale rispettivamente di 21 e 33 corsi).
Dalla terza posizione si registrano dinamiche generalmente positive: aumentano
l’Edilizia (+15) l’Alimentare (+9) e la Grafica (+16); l’unica diminuzione la fa registrare
la Chimica che azzera la propria presenza. Nel macrosettore terziario invece i
comparti o le aree professionali che crescono in maniera esponenziale sono: i Servizi
socio educativi, che passano dalle 6 attività dell’inizio del decennio, a 79 di metà
Anni ’90 e i Lavori d’ Ufficio con 117 corsi in più (da 45 a 162 interventi). Cresce in
misura significativa l’area professionale dell’Informatica (da 26 a 53).
676 Formula: n. di ore di teoria/(n. di ore tot. /2) x 10. 11, punteggio massimo, si avrà solo quando
il numero di ore di teoria coprirà il 50% dell’intera durata del corso.
Prospetto n. 54 - Scheda di valutazione per i Progetti di qualificazione e riqualificazione aziendale
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Più contenuti gli aumenti di Ecologia (+9) e Turismo (+4). In territorio negativo
troviamo la Cooperazione (–5) e tutti gli altri settori che sono compresi nella categoria
Varie (–59).
Per quanto riguarda le tipologie formative (cfr. Tab. n. 65) c’è un avanzamento
in valori assoluti dei corsi di prima qualificazione (+20), dei corsi speciali (+12) ma
soprattutto di quelli destinati ad utenza adulta (+340). Solo i corsi di II livello regrediscono
di 10 attività. Questa situazione determina nuovi equilibri tra le tipologie
formative, perché necessariamente è cambiato il loro peso percentuale (cfr. Graf. n.
101): la prima qualificazione passa dall’11,9% all’8,5%, il secondo livello dal
18,1% al 9,6%, i corsi speciali dal 14,7% al 22% e quelli per utenze adulte dal 50%
al 73,1%!
Grafico n. 100 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e
1995-96
Grafico n. 101 - Aumenti e decrementi dei comparti e delle aree professionali del Terziario nella
programmazione delle attività negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96
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Se confrontiamo i dati dell’Umbria del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo
questi riscontri: la prima formazione è al di sotto della media italiana (34,6%) di
oltre 26 punti percentuali; il secondo livello è inferiore al valore nazionale (12,6%)
di 4 punti: le attività per adulti sopravanzano il valore nazionale (45,1%) di 28 punti
e infine i corsi speciali, sono leggermente superiori al dato medio nazionale che si
ferma al 7.5%.
Come detto per altre Regioni, l’Isfol per la seconda annualità (a.f. 1995-96) fornisce
informazioni di maggiore dettaglio per ciascuna offerta formativa677.
Dei 59 corsi di primo livello 46 sono biennali e 13 annuali. Invece, dei 66 corsi
di II livello, 26 sono destinati a diplomati, 29 a laureati e 11 a corsi in integrazione
677 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata dalle Regioni nel 1995- 96, op. cit., p. 94.
Tabella n. 65 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
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tra Scuola e Formazione Professionale. L’Umbria è la Regione con il numero di corsi
di II livello in cui le attività per laureati sono più numerose di quelle per diplomati.
I corsi destinati, secondo la dizione dell’Isfol, ad un’utenza adulta, comprendono
percorsi formativi per occupati nella misura di 363 interventi e per disoccupati
nella misura di 125. Da notare infine che, dei 60 corsi speciali, 50 riguardano la Formazione
per l’iscrizione al R.E.C. e al R.A.C. (Registro Esercenti Commercio e Registro
Agenti Commercio).
Nel 1990-91, gli allievi previsti ammontavano a 1.720 e rappresentavano lo
0,26% della popolazione attiva (14-60enni); i 410 allievi della prima qualificazione
costituivano l’1,35 % della leva dei 14-16enni678.
La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi
coinvolti (cfr. Graf. n. 103) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna.
678 La popolazione attiva ammontava a 509.418; i 14-16enni a 30.312. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 102 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96 (valori approssimati)
Grafico n. 103 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
per l’a.f. 1990-91
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Nella Tabella 66 vengono riportati i dati dell’indagine Isfol sulle strutture formative,
relativa all’anno formativo 1990-91679 e dalla quale possiamo trarre queste
considerazioni:
– la netta prevalenza delle sedi usate utilizzate per attività occasionali e non ripetitive
(80,3%) sulle Scuole regionali e sui CFP (19,7%), cioè sulle sedi utilizzate
in maniera continua ed esclusiva per le attività formative dà un’immagine
del Sistema formativo abbastanza destrutturato. Ma è un’immagine che deve
tener conto del peso percentuale dei corsi per adulti e speciali, normalmente di
breve durata e frequentemente realizzati in ambienti occasionalmente usati per
la Formazione Professionale.
– per quanto riguarda i CFP, cioè le strutture dedicate esclusivamente alla Formazione,
si verifica una situazione di parità tra quelli della gestione convenzionata
e quelli della gestione pubblica.
Tra i soggetti convenzionati menzioniamo il CNOS dei Salesiani con 3 sedi (Perugia,
Foligno e Marsciano), l’ENAIP (Perugia, Terni) con 2 sedi, ITER della Confcommercio680,
la Scuola Operaia Bufalini (Città di Castello)681 e la Scuola edile
(Terni e Orvieto), il CST “Centro Italiano di Studi Superiori sul Turismo e sulla Promozione
Turistica” (Assisi).
Per una comprensione del quadro dei soggetti attuatori si rammenta che l’Umbria
con L. reg. n. 30/81 aveva istitutito “il ruolo unico speciale ad esaurimento del
personale operante nel sistema formativo regionale” nel quale sono confluiti tutti gli
operatori a tempo indeterminato della gestione convenzionata682.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 104.
679 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
680 Operativo dal 1995.
681 Nata nel 1909.
682 Cfr. vol. II, p. 378.
Tabella n. 66 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (27,7 miliardi di lire) e quelli
più alti sono sono quelli del 1997 (98,1 miliardi di lire); la media del periodo è pari a
circa 50 miliardi. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998
degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con un modesto 71,6%, inferiore alla
media italiana (77,1%) si colloca, nella classifica regionale, nella 15ma posizione.
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 143.147 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 79.534.
Nel primo caso il valore abruzzese supera di molto quello nazionale (93.951 lire),
nel secondo invece (media nazionale 99.534 lire) è più basso. Il peso della spesa per
la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale dell’Umbria è di 1,65%, un
dato che la colloca, tra le Regioni, in nona posizione.
Grafico n. 104 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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8.14. Regione Lazio
Nel 1992, il Lazio683 approva la L. reg. 25 febbraio 1992, n. 23 Ordinamento
della Formazione Professionale684 che sostituisce la n. 14/78.
Abbiamo già illustrato, anche se sommariamente, la struttura generale del provvedimento.
In questa sede ci limitiamo a ripercorre il processo programmatorio e a
ricostruire il quadro dei soggetti attuatori.
La L. n. 23 è un provvedimento che si inserisce nella categoria di leggi regionali
di “seconda generazione”, la cui caratteristica fondamentale è la regolamentazione
nella stessa normativa di tutte le politiche del lavoro o di alcuni suoi segmenti. È
questo il caso della legge laziale che, in apertura (art. 1) dichiara di voler disciplinare
il processo di programmazione-valutazione dei settori orientamento e Formazione
Professionale.
La procedura per la formazione del Piano pluriennale è abbastanza lineare (cfr.
Fig. n. 111): spetta alla Giunta regionale proporre il Piano pluriennale, dopo aver
sentito la Consulta Regionale per la Formazione Professionale e la Commissione regionale
per l’impiego.
I riferimenti documentali del Piano sono le indicazioni dell’Osservatorio regionale
del mercato del lavoro, il programma regionale di sviluppo e i piani settoriali
regionali.
In sostanza, il Piano pluriennale indica: a) i fabbisogni, gli obiettivi, le priorità e
le previsioni finanziarie, a livello regionale e provinciale, delle attività formative e
dei progetti di Orientamento professionale, b) i criteri, i metodi ed i parametri per la
valutazione dell’efficienza e dell’efficacia delle iniziative.
Oltre queste indicazioni, che costituiscono la struttura portante di ogni documento
programmatico di natura strategica, il Piano pluriennale deve offrire, anche e
più in particolare, indicazioni su: a) modalità e criteri per le attività di Formazione
ed aggiornamento del personale, b) previsioni finanziarie per l’acquisto, la costruzione,
l’adeguamento e la trasformazione delle strutture immobiliari e per l’acquisto
delle attrezzature tecnico-didattiche, c) modalità, criteri e procedure per il finanziamento,
la rendicontazione e la gestione degli interventi.
La proposta di piano pluriennale è accompagnata da una relazione sulle iniziative
formative realizzate nell’ambito del piano pluriennale precedente.
L’approvazione del Piano pluriennale spetta al Consiglio regionale, mentre la
predisposizione e l’approvazione del Piano annuale, attuativo di quello pluriennale,
683 Nel periodo 1990-97 il Lazio è stato governato prevalentemente da governi di centrosinistra,
guidati da B. Landi PSI (1987 - luglio ’90), R. Gigli DC (luglio ’90 - agosto ’92), G. Pasetto DC
(agosto ’92 - febbraio ’94), C. Proietti PSI (febbraio ’94 - gennaio ’95), A. Osio (gennaio - giugno ’95)
alla guida di una composita maggioranza tra Popolari, Partito della Sinistra, Verdi e altri partiti laici; P.
Badaloni (l’Ulivo) (1995-2000).
684 In B.U.R. LAZIO, 10 marzo 1992, n. 7.
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è di competenza della Giunta, che dovrà consultarsi con la Consulta regionale per la
Formazione Professionale, la Commissione regionale per l’impiego e la Commissione
consiliare competente.
Le previsioni relative ai soggetti attuatori si muovono sulla linea tracciata dalla
Legge quadro (cfr. Fig. n. 112). Di singolare c’è la posizione relativa ai soggetti che
possono realizzare interventi di qualificazione di base per i giovani che abbiano assolto
l’obbligo scolastico. La Legge li “sottrae” al mercato della Formazione Professionale
e li riserva esclusivamente o agli Enti delegati o agli Enti che già avevano
operato, in regime di convenzione, attività formative per giovani, previste dalla L.
reg. n. 14/78.
Figura n. 111 - Processo programmatorio triennale (L. reg. n. 23/1992, art 3)
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La L. reg. n. 14/78 prevedeva l’Istituto della delega. Destinatari erano i soggetti
amministrativi più decentrati sul territorio: i Comuni (che potevano associarsi in
Consorzi comprensoriali) e le Circoscrizioni per quanto riguarda la città di Roma.
La materia delegata riguardava “la gestione amministrativa dei centri di Formazione
Professionale a gestione diretta della regione685 e ogni proposta utile alla redazione
dei piani di intervento annuale” (art. 20).
La L. reg. n. 23/92 individua nuovi soggetti, le Province e la Città metropolitana686,
amplia l’oggetto della delega gestionale e attribuisce competenze in materie
anche non gestionali.
I soggetti delegati gestiranno i Centri regionali di Formazione Professionale687, i
685 Art. 20, comma 2 “Nella gestione amministrativa si comprende tra l’altro: 1) la vigilanza tecnica
ed amministrativa sullo svolgimento delle attività; 2) la formulazione di proposte alla Regione per
l’acquisto, la locazione, la costruzione, l’ampliamento di centri di Formazione Professionale ivi comprese
le relative attrezzature”.
686 La Città metropolitana è uno degli Enti locali territoriali previsti nella Costituzione italiana, all’articolo
114: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle
Regioni e dallo Stato”.
687 Cfr. Art. 32: “Il personale di ruolo della Regione in servizio presso i centri viene assegnato funzionalmente
alle province ed alla città metropolitana, resta inserito nel ruolo regionale della Formazione
Professionale che si trasforma in un ruolo ad esaurimento e conserva integralmente lo stato giuri-
Figura n. 112 - Soggetti attuatori (L. reg. n. 23/1992, art. 18-19)
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corsi in agricoltura svolti dall’ERSAL688 Ente regionale per lo sviluppo dell’agricoltura
laziale e i CFP di alcuni Comuni e possono essere autorizzati dalla Regione a rilevare
i Centri di Formazione Professionale di Enti che ne dismettano la gestione
anche esercitando il diritto di prelazione nel caso in cui qualche altro Ente avanzi la
propria candidatura.
Ma i soggetti delegati possono essere autorizzati dalla Regione anche per attività
di studio, di ricerca, di documentazione, di sperimentazione, per l’elaborazione
Figura n. 113 - Le competenze riservate alla Regione e ai soggetti delegati (L. reg. n. 23/1992,
art. 5-33)
dico ed economico del restante personale regionale e la retribuzione complessiva percepita al momento
dell’assegnazione. I beni mobili ed immobili costituenti le strutture dei centri regionali di Formazione
Professionale sono ceduti in uso alle Province ed alla città metropolitana nel cui territorio sono situati,
con apposito provvedimento della Giunta regionale”.
688 Ente di diritto pubblico strumentale della Regione con il compito di promuovere, applicare e
diffondere le innovazioni tecnologiche di interesse agricolo e zootecnico e valorizzare le produzioni tipiche
laziali con particolare attenzione al settore enogastronomico.
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di specifici progetti formativi nell’ambito del territorio di competenza, e per la organizzazione
e gestione di corsi di Formazione per gli operatori della Formazione Professionale
e dell’orientamento.
In tutto il periodo considerato la configurazione organizzativo-istituzionale
della Formazione Professionale di questa Regione è quella ereditata dal decennio
precedente e si articola in due aree: la n. 29 “Formazione Professionale di base” e la
n. 30 “interventi formativi specifici”689.
Ciò che rende plausibile tale distinzione non è tanto la differenza di fonti finanziarie
né la natura dei soggetti gestionali che peraltro possono operare nell’una e nell’altra
area, quanto la tipologia di competenza delle due aree organizzative: da una
parte una Formazione più a carattere strutturale, più orientata al mercato, dall’altra
una Formazione più a carattere congiunturale e più orientata ad occasioni lavorative
specifiche. Anche il Lazio, nella redazione del piano annuale e del programma operativo
per gli Obiettivi n. 3 e 4 del FSE relativi a partire dal 1994, ha adottato il sistema
di programmazione per obiettivi, la progettazione processuale e multifattoriale
e il sistema di valutazione parametrata.
Il paradigma del modello di programmazione per obiettivi, calato nell’iter procedurale
previsto dalla L. reg. n. 23/92, dà origine a questa sequenza:
1) redazione del Piano annuale che assume come obiettivi gli assi e i sub-assi del
Programma Operativo e che specifica le tipologie di azioni, finanziabili solo
con risorse regionali o cofinanziabili con risorse statali/comunitarie;
2) pubblicizzazione degli obiettivi/assi/subassi con l’indicazione delle relative risorse;
3) richiesta di finanziamento di attività rientrante negli obiettivi/assi/subassi mediante
una scheda progetto;
4) valutazione delle schede-progetto e attribuzione di un punteggio che determini
una graduatoria all’interno di ciascun subasse;
5) definizione delle iniziative finanziabili.
689 Cfr. vol. II, p. 386.
Prospetto n. 55 - Sistemi di programmazione progettazione e valutazione ex ante
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531
I formulari utilizzati per la richiesta del contributo finanziario per l’attivazione
degli interventi presentano delle connotazioni originali per struttura, spettro
informativo e modello di progettazione690. Analizzando la struttura, tradizionalmente
le Regioni utilizzano un formulario unico per tutte le tipologie formative. Il
Lazio è la prima Regione che partendo da un paradigma comune predispone più
formulari in risposta a differenziate tipologie di intervento691. Nel caso dello
spettro informativo, i formulari abitualmente usati si limitavano ad indicazioni generiche
sulla programmazione didattica e sul preventivo finanziario. Il formulario
laziale, invece, si occupa dell’analisi del fabbisogno, della professionalità, della
programmazione formativa e di tutti gli aspetti della gestione (logistica, strutture,
dotazioni e personale). Quindi da informazioni relative ad una fase (quella della
gestione didattica), si passa ad una informazione su tutte le fasi; di qui il nome di
progettazione processuale. Da informazioni di natura quasi esclusivamente didattica
e amministrativo-finanziaria, si passa ad informazioni anche di natura mercato
lavoristico e sulla struttura professionale; di qui il nome di progettazione multifattoriale
(cfr. Prosp. n. 56).
Originale per modello di progettazione. I formulari tradizionali si limitavano ad
una progettazione di massima. Il modello laziale richiede una progettazione di dettaglio.
Per la compilazione dei primi occorrevano un po’ di competenze didattiche e
amministrative. Per redigere un formulario laziale occorrono competenze anche di
natura mercato lavoristico. Se prima era sufficiente un docente o un addetto all’amministrazione
ora occorre chi sappia fare ricerca. Comprensibile quindi l’impatto
traumatico che l’adozione di tali formulari ha determinato sulla platea dei soggetti
attuatori.
690 Ibidem, Osservatorio, p. 22.
691 Vd. Osservatorio, p. 18.
Prospetto n. 56 - Progettazione multifattoriale
(Segue)
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532
(Segue)
(Segue)
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533
I formulari sono accompagnati da una Guida che, per ciascuna delle schede
nelle quali si articolano, precisa la finalità, specifica la struttura, esplicita il significato
della terminologia tecnica utilizzata e offre indicazioni procedurali. È uno strumento
che nello stesso tempo è un manuale per l’uso, finalizzato alla corretta compilazione
dei formulari e una guida alla progettazione, finalizzata alla acquisizione di
(Segue)
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534
cultura e competenze operativo-procedurali per la elaborazione di progetti di Formazione
Professionale.
La selezione dei progetti si articola in tre fasi concettualmente ed operativamente
diverse e cronologicamente successive:
a. verifica di ammissibilità, finalizzata a rilevare la rispondenza delle attività progettate
agli obiettivi predefiniti dalla Regione;
b. verifica di accettabilità tecnica, finalizzata a rilevare:
- la rispondenza agli standard di durata degli interventi previsti dalla Regione,
- la rilevanza del problema che dà origine alla richiesta e il fatto che per la sua
soluzione la Formazione Professionale è opportuna o necessaria,
- la correttezza metodologica nella analisi dei compiti e nella individuazione
delle competenze,
- la individuazione degli obiettivi formativi finali,
- l’adeguatezza del percorso formativo elaborato,
- l’adeguatezza e la congruità delle risorse logistiche, strutturali, rotazionali;
c. definizione del grado di priorità dei progetti ritenuti accettabili, nell’ambito del
subasse di riferimento, mediante un punteggio che rappresenta la sommatoria di
punteggi parziali attribuiti a numerose variabili (fino a 85!).
Tutte e tre le fasi sono realizzate utilizzando una griglia che, similmente al formulario,
contiene parti comuni utilizzabili per tutte le tipologie formative e parti differenziate
per ciascuna di esse. Nella Tabella 67, di fonte Isfol, sono quantificati i
corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico (articolato in comparti/
aree professionali) negli anni 1990-91 e 1995-96. Nella seconda annualità i
corsi programmati (1.430) sono 102 in più della prima (1.328), grazie soprattutto all’aumento
notevole degli interventi del terziario (+167) che compensano il decremento
sensibile dell’industria e artigianato (–68). I settori e le aree professionali che
subiscono gli aumenti (cfr. Graf. n. 105) sono, in ordine decrescente: il turismo che
fa un exploit (+113), l’informatica (+56), l’elettricità e i lavori d’ufficio (+41) le attività
promozionali e la pubblicità (+31) e infine l’edilizia e l’ecologia (+26). Sull’altro
versante, quello delle diminuzioni, a parte i servizi socio educativi che flettono
di 82 corsi passando da 105 a 23 interventi, i decrementi che toccano gli altri
settori sono al di sotto dei 10 corsi.
Dalla Tabella 67 si ricava che quasi tutte le tipologie aumentano in valori assoluti.
Aumentano in misura contenuta i corsi speciali (+20, da 15 a 40). Aumentano in
misura notevole i corsi di prima qualificazione (+57 ) che passano da 621 a 678. Aumentano
in maniera eccezionale le attività per adulti (+272; da 542 a 267). L’unica
sorpesa viene dal II livello che nel 1995-96 perde 240 corsi rispetto all’inizio del decennio.
Queste variazioni determinano anche diversi equilibri percentuali. La prima formazione,
che nel 1990-91 rappresentava il 46,7% (superiore alla media nazionale che
faceva registrare il 37%) si porta a 47,4% (aumentando la forbice rispetto al valore nastoriaFORMAZ3-
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535
zionale che si ferma al 34,6%). Gli interventi per adulti aumentano in termini relativi
di quasi 18 punti: passano dal 20% al 37,9% (ma in entrambi i casi non raggiungono la
media italiana, che era del 35,1% nel 1990-91 e di 45,4% nel 1995-96). I corsi speciali
raddoppiano il loro peso passando dall’1,1% al 2,8% (media nazionale 11,3 % nel
primo anno di riferimento al 7,3% al secondo). Il secondo livello sprofonda da un’iniziale
30,8% (valore italiano 16,3%) a 11,8% (media nazionale 12,7%); le defezioni si
verificano in quei settori che nel 1990-91 avevano fatto registrare il numero dei corsi
più alto (elettricità-elettronica, lavori d’ufficio e informatica).
L’indagine Isfol sulle attività programmate nel 1995-96 ci offre maggiori informazioni
su ciascuna offerta formativa.
Tra i corsi di prima qualificazione (678) 401 sono biennali e 277 annuali; non si
registrano corsi post-qualifica. Solo 13 interventi di II livello, sui 170 programmati,
sono finalizzati all’ottenimento di una qualifica; tutti gli altri si configurano come
percorsi formativi per acquisire competenze. 144 interventi sono destinati a diplomati
e 144 a laureati.
La maggior parte dei 542 corsi destinati ad una popolazione adulta è riservata ai
disoccupati (il 64% degli interventi di questa tipologia formativa e quasi un quarto
di tutti i corsi programmati quell’anno). Sia per i disoccupati che per gli occupati la
maggior parte delle attività (437) è finalizzata alla qualificazione o riqualificazione.
Tutti i corsi speciali sono riservati a persone che rientrano nella categoria allora
denominata delle “fasce deboli”.
Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 29.983; di questi
quanti non erano mai entrati nella vita attiva, cioè gli inoccupati, e quanti avevano
perso un’occupazione, cioè i disoccupati, erano 25.066.
Grafico n. 105 - Settori e aree professionali che subiscono le maggiori variazioni tra 1990-91 e
1995-96
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536
Tabella n. 67 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
1) Per un corso non è possibile individuare dai Piani la tipologia formativa; 2) Per n. 4 corsi non è possibile individuare dai Piani la
tipologia formativa; 3) Per n. 7 corsi non è possibile individuare dai Piani la tipologia formativa
Grafico n. 106 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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537
Gli allievi del 1990-91, 25.611, rappresentano lo 0,5% della popolazione attiva
(14-60enni); gli allievi della prima qualificazione, 12.453, rappresentano il 5,7%
della leva dei 14-16enni692. La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza
il numero degli allievi coinvolti (cfr. Graf. n. 107) riflette sostanzialmente il numero
di abitanti di ciascuna.
Nell’anno formativo 1990-91 sono state utilizzate 404 sedi: 250 solo occasionalmente
impiegate per attività formative e 154 strutture esclusivamente dedicate
alla Formazione Professionale. Nel computo non teniamo in considerazione le voci
“sede nominale” e “altro-non indicato”693.
Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del
Sistema formativo, è di 62 a 38. Mentre il rapporto tra i 35 CFP pubblici (16 Centri
regionali che rappresentano la gestione diretta e 19 di Enti pubblici) e i 119 di Enti di
Formazione o soggetti privati è di 22.8 a 77,2.
692 La popolazione attiva ammontava a 3.443.123; i 14-16enni a 217.298. Cfr. Geo-demo ista.it
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
693 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della Formazione Professionale 1991,
op. cit., p. 104.
Tabella n. 68 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
Grafico n. 107 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
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538
L’indagine Isfol sulla distribuzione dei CFP, relativa all’a.f. 1992-93694, censisce
96 CFP, di cui 18 gestiti dalle Amministrazioni Comunali di Cassino (2), Pontecorvo,
Alatri, Albano, Tivoli, Anzio e Roma (11). La cospicua dotazione dell’Amministrazione
capitolina è dovuta in parte all’acquisizione di CFP dell’ENAIP, dell’ENAP
e del CNIPA. Nell’area convenzionata posto di assoluto rilievo ha lo IAL della
CISL con 34 sedi, di cui 6 a Roma e 28 nelle altre Province (Cassino, Veroli, Frosinone,
Terracina, Sezze, Latina (3), Anzio, Aprilia, Cecchina, Priverno, Civitavecchia,
Montelibretti, Guidonia, Sora, Tivoli, Albano, Marino, Pomezia, Rieti, Colleferro,
Passo Corese, Rocca Priora, Tarquinia, Viterbo (2), Montefiascone). Rilevante
anche la presenza di un altro Ente di emanazione sindacale, l’ENFAP della UIL, che
vanta 14 CFP, 3 a Roma e 11 nelle altre Province (Ripi, Anagni, Latina, Aprilia, Rieti,
Velletri, Monterotondo, Pomezia, Fiumicino-Torrimpietra, Viterbo, Tarquinia). Il
terzo Ente per numero di CFP è il CIOFS delle Salesiane con 9 centri: a Roma (6),
Colleferro, Civitavecchia, Ladispoli. Completano il quadro degli Enti d’ispirazione
cristiana: il CNOS-FAP dei Salesiani con 3 Centri (tutti a Roma), e sempre nella capitale:
l’Elis dell’Opus Dei, l’ENDO degli orionini (2), l’ENGIM dei Padri giuseppini
del Murialdo, le Suore Domenicane, sul versante della formazione per portatori
di handicap il don Guanella e l’Istituto S. Alessio - Margherita di Savoia695. In Pro-
694 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.) Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
695 Il Centro nasce nell’aprile del 1988 dalla fusione di due IPAB preesistenti, la cui presenza nella
realtà cittadina risale agli anni immediatamente a ridosso dell’unificazione del Paese. L’“Istituto dei
Ciechi di S. Alessio” si fondava sulla particolare iniziativa del Pontefice Pio IX che intendeva in tal
modo dare una risposta ai primari bisogni manifestati dai giovani minorati della vista: “... pel ricovero e
per la educazione de’ poveri fanciulli ciechi dello Stato Pontificio” come recita testualmente il documento
ufficiale vaticano. Dalla sede originaria sull’Aventino, presso l’Istituto dei Padri Somaschi, la
struttura si trasferì, negli Anni ’40, nella sede di servizio di Viale Carlo Tommaso Odescalchi.
L’“Ospizio Margherita di Savoia per i poveri ciechi” assolse, invece, alla specifica necessità, colta dalla
Regina d’Italia, di assicurare un ricovero a persone disabili, soprattutto di sesso femminile e in età
avanzata, bisognose di cura e assistenza.
Grafico n. 108 - Enti con maggior numero dei CFP nel Lazio (a.f. 1992-93)
Fonte: ISFOL
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539
vincia di Roma merita una particolare menzione il CFP S. Girolamo Emiliani dei Padri
Somaschi di Ariccia. Fuori dall’area sindacale e della cultura cattolica vanno ricordati:
il Consorzio Alto Lazio che opera nel viterbese (Tarquinia, Civita Castellana,
Viterbo), il CNIPA Consorzio Nazionale Istruzione Professionale Artigiana
(Poggio Mirteto e Viterbo), l’ANAPIA - Associazione Nazionale Professionale
Istruzione e Addestramento (Roma).
La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sull’8,6% (10,5 area pubblica
e 8,2 area convenzionata privata).
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 109.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1994 (63 miliardi) e quelli più alti
sono quelli del 1996 (357,6 miliardi di lire); la media del periodo è pari a 218 miliardi
e 462 milioni.
La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97) è scarsa: è di 64,5%. Il dato peggiore delle Regioni del
Centro. Inferiore alla media italiana (77,1%) di oltre 12 punti.
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 57.282 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di
67.604 lire. Nell’uno e nell’altro caso i valori sono molto lontani da quelli nazionali;
rispettivamente di 36.669 lire in meno per quanto riguarda la spesa per abitante
(spende di meno solo la Toscana) e di 31.930 in meno per quanto riguarda la spesa
rispetto alla forza lavoro (spendono di meno solo la Campania, la Calabria, le
Marche e la Toscana). Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto
alla spesa totale della Regione è di 1,09%. Anche in questo caso il Lazio è lontano
dal valore medio nazionale che si attesta sull’1,39%.
Grafico n. 109 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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540
8.15. Regione Abruzzo
La L. reg. n. 111/95 è la seconda Legge che la Regione approva dopo l’emanazione
della Legge quadro nazionale. La precedente, la n. 63 del 1979, viene esplicitamente
abrogata.
La n. 111 può essere annoverata tra le normative di II generazione e come le
Leggi di questo gruppo, non si limita a regolamentare la Formazione Professionale
(iniziale, superiore e continua) ma anche l’Orientamento professionale (formazione,
informazione e consulenza).
Abbiamo già riscontrato casi regionali degli Anni ’90 in cui si cambiava il soggetto
delegato (vedi ad es. Lazio e Marche), passando dalle istituzioni più vicine al
territorio, quali i Comuni (anche se chiamati ad operare in associazione con altri Comuni),
a soggetti istituzionali con competenze su aree geografiche più vaste, quali le
Province. È uno dei tanti segni dei cambiamenti della cultura istituzionale dell’epoca.
Se negli Anni 70-80 l’idea vincente era quella della massima partecipazione
che ben si coniugava con il massimo del decentramento, negli Anni ’90 prevale
l’idea dell’efficacia amministrativa che è più garantita da un soggetto che governa
una porzione del territorio regionale consistente.
Nel caso dell’Abruzzo, che nella Legge del 1979 aveva scelto come soggetto
delegato le Comunità montane e non montane, si assiste ad un fenomeno diverso:
l’abbandono dell’Istituto della delega. Scelta non traumatica dal momento che, di
fatto, la Regione non aveva mai provveduto a rendere operativa la delega.
Se si vuole rintracciare un filo conduttore della nuova Legge la si può trovare
nell’idea di rete. La Legge, infatti, insiste con particolare enfasi su “un sistema integrato”,
nel senso che viene valorizzata la partecipazione (scambio di informazioni e
conoscenze ma anche di progettazione comune di interventi) delle organizzazioni
rappresentative del mondo del lavoro, delle amministrazioni del Sistema scolastico,
delle Università, dei Centri di ricerca, degli attori della Formazione Professionale.
Ma per far funzionare un sistema integrato dei soggetti attuatori, occorre un’azione
di governo coordinata. Di qui l’esigenza di istituire o riorganizzare specifici “Organismi
tecnici regionali”: l’Osservatorio del Mercato del Lavoro, l’Ufficio regionale
per la gestione amministrativa e contabile, il Comitato tecnico di valutazione e controllo
(monitoraggio, valutazione ex ante, in itinere ed ex post, controlli di efficacia
e di efficienza) e il Coordinamento regionale delle attività di Orientamento professionale
(indirizzo e coordinamento dei centri pubblici di orientamento e di quelli organizzati
da operatori e strutture private).
Il processo programmatorio ha come output tre documenti: il Piano triennale, a
carattere strategico, il Programma annuale a carattere attuativo e tra l’uno e l’altro il
Capitolato d’oneri, che sulla base del triennale detta procedure, modalità e offre
strumenti per la pianificazione annuale e per la sua attuazione.
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541
I contenuti del Piano triennale possono essere ricondotti a tre ambiti (cfr. Fig.
n. 114):
– quello della programmazione delle attività (distribuzione della quantità e tipologia
degli interventi e relative risorse finanziarie per settori produttivi);
– quello della definizione dei criteri (per gli investimenti in materia di adeguamento
e sviluppo delle sedi operative di FP, per la revisione del sistema delle
qualifiche e della certificazione, per il riconoscimento delle attività libere, per il
monitoraggio e il controllo dei risultati delle attività, per la progettazione formativa
e gli indirizzi per la programmazione didattica e per l’attività di ricerca e
sperimentazione);
– quello delle prescrizioni indirizzi e direttive (in generale per la Giunta e le agenzie
formative circa l’attuazione del Programma annuale, in particolare per la valutazione
degli interventi formativi; per la struttura base della convenzione).
Figura n. 114 - Processo programmatorio triennale (L. R. n. 111/1995)
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542
Nell’iter per la formazione-autorizzazione del Piano vengono coinvolti una pluralità
di soggetti, con ruoli e funzioni diverse: l’Osservatorio del Mercato del Lavoro
fornisce i dati, i centri di interesse regionale e il comitato tecnico di valutazione offrono
la loro consulenza, le parti sociali prestano il loro concorso e la Commissione
regionale esprime pareri (ma il testo utilizza il mitico verbo del lessico normativo
istituzionale “sentita”).
La Giunta regionale contestualmente alla predisposizione della proposta di
piano ed “al fine generale di informazione e garanzia dell’imparzialità e del buon
andamento, omogeneità e trasparenza delle procedure di pianificazione annuale e
di gestione attuativa dei piani”, formula un Capitolato d’oneri e lo approva entro 30
gg. dall’approvazione del piano triennale. Il Capitolato contiene disposizioni e direttive
per tutte le fasi del processo, dalla elaborazione e selezione dei progetti, fino
alla definizione dei modelli di certificazione ed attestazioni (cfr. Fig. n. 115).
La procedura che porta alla formazione del Piano annuale prevede come operazione
iniziale la redazione dello Schema di Piano annuale da parte della Giunta, Schema di
Piano che, in buona sostanza, specifica la ripartizione per obiettivi e assi prioritari di intervento
delle risorse finanziarie, articolata secondo le varie tipologie. Su questa base le
agenzie formative e gli altri soggetti interessati, presentano, entro luglio, alla Giunta regionale,
i progetti di interventi formativi, per i quali è richiesto il finanziamento.
Entro il mese di settembre la Giunta approva il Piano annuale che contiene:
a) i piani di dettaglio degli interventi promossi dalle Agenzie formative e dagli
altri soggetti realizzatori;
b) le attività promosse dalle imprese in favore dei propri dipendenti;
Figura n. 115 - Contenuti del Capitolato d’oneri (L. R. n. 111/1995)
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543
c) l’indicazione dei progetti promossi dalla Regione;
d) l’indicazione dei progetti relativi a programmi di interesse comunitario o nazionale.
Il Piano prevede anche il finanziamento da riservare ad appalto concorso, “che
non può essere comunque inferiore al 40% delle risorse disponibili, salvo gli obblighi
derivanti dall’applicazione della normativa comunitaria”.
Poche le innovazioni rispetto alla legislazione delle altre Regioni e più che altro
di carattere formale e linguistico per quanto riguarda i soggetti attuatori. La L. reg.
n. 111/95 istituisce l’elenco ufficiale delle agenzie formative regionali. Con tale
nome si connota qualsiasi struttura pubblica o privata organizzata sul territorio, destinata
alla realizzazione delle iniziative di Formazione e Orientamento professionale
e di quelle connesse. Sono considerate tali:
a) i Centri regionali di Formazione Professionale;
b) le strutture organizzate da: b1) amministrazioni, Enti e organismi pubblici o di
diritto pubblico interno o internazionale con specifiche finalità di Formazione;
b2) Enti, comunque denominati, costituiti anche congiuntamente da organizzazioni
democratiche rappresentative a livello nazionale o regionale dei lavoratori
dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori o del movimento cooperativo;
b3) Enti in qualsiasi forma costituiti da associazioni o fondazioni con finalità
formative o sociali; b4) imprese e loro consorzi.
L’elenco ufficiale delle agenzie formative regionali è adottato per ciascun periodo
di riferimento del piano triennale. Ai fini dell’iscrizione e del mantenimento
nell’elenco ufficiale spetta al comitato tecnico di valutazione accertare la sussistenza
dei requisiti e delle condizioni prescritti (cfr. Fig. n. 116). Per attività connesse agli
interventi formativi e di orientamento, (studio, ricerca applicata, sperimentazione,
documentazione, consulenza e assistenza tecnica) la n. 111/95 prevede una nuova figura:
i Centri di interesse regionale, “organismi specializzati in grado di fornire prestazioni
di elevato livello qualitativo”. Nei Centri di interesse regionale deve essere
garantito l’apporto integrato di tre componenti: a) almeno un’agenzia formativa con
esperienza nella specializzazione di riferimento; b) almeno un’università, o ente di
ricerca di interesse nazionale con sede nella Regione; c) almeno un’impresa o una
struttura associativa di imprese afferenti alla specializzazione di riferimento.
Ma la L. n. 111/95 non è l’unica Legge che l’Abruzzo emana tra il 1990 e il
1997. La più importante, ma non l’unica. Vanno, infatti, menzionate:
– la n. 94/90696 che dà vita, presso il CRFP di Sulmona, ad una Scuola per le professioni
di montagna;
696 L. reg. n. 94 del 06 giugno 1990 Istituzione della scuola per le professioni della montagna,
presso il Centro Regionale di Formazione Professionale di Sulmona in B.U.R. ABRUZZO, 27 dicembre
1990 n. 19.
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544
– la n. 96/90697, la n. 20/93698, la n. 2/95699 e 47/97700 che prorogano alcune norme di
leggi precedenti che consentivano l’utilizzazione di personale in quiesenza per
la revisione dei rendiconti arretrati e per le commissioni di esame;
697 L. reg. n. 96 del 18 dicembre 1990 Proroga delle disposizioni di cui alle Leggi regionali 28 Dicembre
1988, n. 101 e 7 Settembre 1988, n. 80, in materia di formazione professionale in B.U.R.
ABRUZZO, 27 dicembre 1990 n. 19.
698 L. reg. n. 20 del 02 giugno 1993 Proroga e modificazione degli artt. 9, 10, 11 e 12 della legge
regionale 28 dicembre 1988, n. 101 e successive, concernenti la formazione professionale in B.U.R.
ABRUZZO, 11 giugno 1993 n. 21.
699 L. reg. n. 2 del 17 gennaio 1995 Proroga delle LL.RR. 28.12.1988, n 101 e 2.6.1993, n 20 concernenti
la Formazione Professionale.
700 L. reg. n. 47 del 23 maggio 1997 Proroga della legge regionale 28 dicembre 1988, n.101 e successive
modificazioni e proroghe concernenti la formazione professionale.
Figura n. 116 - Sedi e soggetti di attuazione (L. R. n. 111/1995)
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545
– la n. 1/94701 e la n. 74/94702 a favore del Centro Internazionale di Addestramento
Professionale nell’Industria (CIAPI) di Chieti-Pescara, di cui la Regione è socio
di maggioranza; la prima autorizza a contrarre un mutuo decennale per il ripianamento
della situazione debitoria; la seconda eroga un contributo per le spese
correnti;
– la n. 54/95703 che autorizza il finanziamento (1.298 milioni di lire) di un programma
straordinario triennale di Formazione Professionale nel Settore Artigianato
a favore di giovani da avviare ad attività formative presso botteghe scuola
della Regione;
– la L. reg. 101/92704, che eroga 915 milioni di lire agli Enti di Formazione per
concorrere al ripianamento o alla riduzione delle passività dall’anno formativo
1982-1983, derivanti dai maggiori oneri sostenuti per la retribuzione del personale
e relativi oneri riflessi, in conseguenza dei ritardati pagamenti da parte
della Regione;
– la L. n. 26/94705 e la L. 107/96703 finalizzate alla tempestività nelle procedure di
erogazione delle risorse finanziarie. La prima modifica una norma precedente
portando al 100% invece che al 90% la copertura delle previsioni di spesa del
personale mediante accredito da parte della Regione sul conto corrente bancario
dell’istituto tesoriere intestato all’ente gestore ed utilizzato esclusivamente per
le retribuzioni del personale e gli oneri riflessi. La seconda prevede delle anticipazioni
per le spese del personale dipendente iscritto nell’Albo;
– la L. reg. n. 134/96707, che istituisce l’Osservatorio sul mercato del lavoro;
– la L. reg. n. 34/97708 e la L. reg. 139/97709 che prevedono misure per la riqualificazione
la riconversione e la ricollocazione professionale degli operatori del Sistema
formativo.
701 L. reg. n. 1 del 04 gennaio 1994 Interventi urgenti a favore del CIAPI di Chieti - Pescara in
B.U.R. ABRUZZO, 18 gennaio 1994 n. 2.
702 L. reg. n. 74 del 2 novembre 1994 Contributo alla Associazione CIAPI di Chieti - Pescara.
703 L. reg. 19 aprile 1995, n 54 Intervento straordinario per la Formazione Professionale nel Settore
Artigianato.
704 L. reg. n. 101 del 28 dicembre 1992 Rifinanziamento dell’ art. 14 della LR 28-12-1988, n. 101,
in materia di Formazione Professionale in B.U.R. ABRUZZO, 29 dicembre 1992, n. 44
705 L. reg. n. 26 del 12 aprile 1994 LR 12-1-1988, n. 6 “Norme in materia di erogazione dei fondi
agli Enti di Formazione Professionale”. Modifica dell’art. 2 lettera A in B.U.R. ABRUZZO, 27 aprile
1994, n. 13.
706 L. reg. 29 ottobre 1996, n. 107 Interventi urgenti in materia di formazione professionale.
707 L. reg. 17 dicembre 1996, n. 134 Norme sull’Osservatorio regionale del mercato del lavoro in
B.U.R. ABRUZZO, n. 24 del 23.12.1996.
708 L. reg. n. 34 del 9 aprile 1997 Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione
professionale degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo.
709 L. reg. n. 139 del 17 dicembre 1997 “Modifiche ed integrazioni alle LL.RR. 9.4.97, n. 34 e
22.4.97 n. 38”. “Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione professionale
degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo”.
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Un’attenzione particolare merita l’ultimo gruppo di normative citate. Normative
che, per “evitare che i processi di trasformazione e flessibilizzazione in atto nel
sistema erogatore dell’offerta formativa si risolvano nella traumatica espulsione
degli operatori dipendenti dagli enti” (art. 1, L. n. 34) si propongono due obiettvi per
due tipologie di operatori: quelli che possono continuare a lavorare nel Sistema formativo
e quelli invece per i quali non sussistano possibilità di permanervi. Per i
primi si procede ad un riposizionamento degli operatori all’interno del comparto formativo:
a) adeguandone le competenze mediante programmi di riqualificazione, riconversione
ed aggiornamento professionale; programmi elaborati dagli Enti e autorizzati
dal Piano annuale; b) applicando i meccanismi di flessibilità dell’orario di lavoro
(part-time). Per la ricollocazione dei lavoratori “in esubero”710 si prevedono dotazioni
finanziarie: a) per la creazione di nuove imprese, in forma societaria o cooperativistica711,
che operino a1) nell’indotto al sistema formativo712, a2) o in qualsiasi
altro settore; b) per il il reimpiego in attività autonome individuali713; c) per sostenere
programmi di lavoro socialmente utili.
Per quanto riguarda, invece, l’Osservatorio del Mercato del Lavoro, abbiamo
già rilevato714 che già dal 1982 con la L. reg. n. 74, l’Abruzzo si era dotato di questa
struttura.
Cosa cambia con la legge n. 34 del 1997 che ha per titolo Norme sull’Osservatorio
del mercato del lavoro? Non cambiano le finalità. In entrambe l’attività scientifica
di raccolta, sistematizzazione, analisi e documentazione delle informazioni intende
supportare la programmazione socioeconomica, la programmazione dell’orientamento
e Formazione Professionale e le misure per la massima occupazione. Non cambiano,
sostanzialmente, gli ambiti di indagine; anche se la Legge del 1982 usa espressio-
710 Destinatari dei benefici previsti per le situazioni di cui a2) b) c) sono gli operatori degli enti e
del CIAPI che versino nelle seguenti condizioni, intese cumulativamente: a) siano iscritti all’albo istituito
b) siano destinatari di provvedimenti di licenziamento per riduzione di personale divenuti definitivi
in data successiva al 1.1.1995; c) non maturino i requisiti di Legge per la corresponsione del trattamento
di quiescenza entro 18 mesi successivi al licenziamento.
711 I contributi accordati non possono eccedere l’importo del contributo “de minimis”, pari a
100.000 ECU nel triennio. Le agevolazioni consistono in: contributo a fondo perduto per spese di costituzione
della società o cooperativa, per spese di impianto ed attrezzature, per spese di gestione relative
al primo anno di attività; prestito quinquennale senza interessi fino a concorrenza dei 2/3 delle spese di
investimento eccedenti il contributo a fondo perduto, fatto salvo il valore soglia del regime “de minimis”.
712 Destinatari dei benefici sono gli operatori degli Enti e del CIAPI che versino nelle condizioni
a) e c) della nota n. 646. La Regione finanzia progetti mirati alla realizzazione di piccole imprese a
struttura collettiva interessate a rilevare porzioni di servizi di supporto alla formazione, consistenti nell’organizzazione
di stages e tirocini pratici, di attività di orientamento, amministrative, operative in
senso lato, comunque connesse alle necessità dell’ente. Il progetto, di durata almeno triennale, deve essere
supportato da intese tra i lavoratori rappresentanti dalle OO.SS. del comparto e l’Ente di appartenenza.
Una volta che la Regione abbia assicurato il finanziamento i lavoratori interessati rassegnano le
dimissioni dal rapporto d’impiego con l’Ente.
713Atal fine è corrisposto un incentivo non superiore a L. 60 milioni per spese di impianto, attrezzature,
locazione della sede dell’attività.
714 Cfr. vol. II, p. 131.
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ni onnicomprensive, mentre quella del 1997 ne fa un elenco dettagliato. Naturalmente
non cambiano nemmeno le modalità di lavoro che sono quelle tipiche della ricerca sociologica
e documentale. Cambia, invece, la configurazione organizzativa.
Infatti, l’Osservatorio della Legge 74/82 era “una unità operativa regionale
flessibile, affidata alla direzione di un comitato intersettoriale formato dai Componenti
la Giunta regionale preposti ai Settori Formazione Professionale, Programmazione
e Lavoro e presieduto da quest’ultimo”. Invece, l’Osservatorio della L.
34/97 è “una struttura articolata risultante dal concorso di un apparato amministrativo715,
innestato sul Servizio lavoro ed emigrazione (n.d.r. del Settore formazione
professionale, lavoro ed emigrazione), e di un comitato tecnico scientifico
(n.d.r. 5 membri) composto da esperti altamente qualificati, esterni all’amministrazione
regionale716.
715 Art. 1 comma 3 “Il supporto amministrativo dell’O.R.M.L. ha natura giuridica ed organizzativa
di Ufficio, cui è preposto un dirigente regionale; esso è articolato in due Unità Operative denominate
rispettivamente: U.O. Assistenza tecnica; U.O. Segreteria amministrativo-contabile.
716 Art. 3, comma 4 “Il comitato tecnico-scientifico si compone di 5 membri, tutti da individuare
tra soggetti dotati di elevata qualificazione scientifica e professionale nei settori della ricerca di base ed
applicata, nelle tecniche avanzate di elaborazione e diffusione dati, in possesso altresì di una documentabile
conoscenza delle problematiche relative alla formazione professionale ed alle politiche attive del
lavoro”. Comma 5. “Ai fini della costituzione del comitato, nel termine decadenziale di gg. 20 dalla richiesta
del competente servizio regionale, ciascuno dei sott’elencati soggetti prospetta alla Giunta regionale
tre nominativi in possesso di documentati requisiti coerenti con le indicazioni del comma precedente:
Facoltà di Economia e Commercio della Università “D’Annunzio” di Chieti; Facoltà di
Scienze Politiche della Università di Teramo; Agenzia regionale per l’impiego; Confederazioni sindacali
dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale; Confindustria, Confapi, Confagricoltura,
Confcommercio, Confesercenti, C.N.A., Lega delle Cooperative.
Figura n. 117 - Struttura ambiti tematici e finalità dell’Osservatorio regionale del Mercato del
Lavoro (L. reg. n. 34/97)
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Inoltre, nella normativa del 1982 si prevedevano degli Osservatori territoriali, a
livello comprensoriale e intercomprensoriale. Nella nuova normativa, invece, non ce
n’è traccia.
Nelle more della ridefinizione delle piante organiche regionali, le risorse umane
necessarie ad assicurare l’ordinario funzionamento dell’Ufficio possono essere reperite
tra i dipendenti degli Enti di Formazione Professionale (a tempo indeterminato
entro la data del 2.10.1985 e “già impegnati con esito soddisfacente” presso
l’O.R.M.L) mediante una convenzione con l’Ente di provenienza.
Nel Regolamento di attuazione della Legge 111/95 l’Abruzzo adotta il sistema
classificatorio delle attività, con il titolo “aree di intervento”, riprodotto nel Prospetto
57. Nella Tabella 69 viene riportato il numero dei corsi programmati, all’inizio
e a metà decennio, 1990-91 e 1995-96, classificati secondo il sistema Isfol-
Orfeo. Molte le sintonie tra le due classificazioni.
Nel 1995-96 sono stati programmati 154 interventi in meno rispetto all’inizio
del decennio. I decrementi sono generalizzati, nel senso che investono tutti i macrosettori.
Infatti l’Agricoltura perde 35 interventi (soprattutto sul versante delle attività
destinate agli adulti, –38) e l’Industria e l’Artigianato rispettivamente 67 e 35 (a
causa di un vistoso collasso della prima qualificazione con –75 e –55). Nella diminuzione
dei corsi nel Terziaro influiscono in maniera decisiva i corsi speciali che
passano da 66 a 0.
Tra i due anni di riferimento si assiste anche a delle variazioni molto consistenti
nel peso delle diverse tipologie formative.
717 Regolamento di attuazione della legge regionale sulla formazione professionale del 17 maggio
1995, n. 111, in B.U.R. ABRUZZO, n. 30 gennaio 1996, n. Speciale.
Prospetto n. 57 - Aree di intervento (Regolamento n. 12/95, art. 3)
Fonte: Deliberazione CR. REGOLAMENTO 7 novembre 1995, n. 12/95717
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Si consideri che il primo livello, che faceva registrare il 47,4% (mentre il dato
nazionale si fermava al 37%), precipita, nell’a.f. 1995-96, al 17,5%, distante dalla
media nazionale (34,6%) di circa 17 punti. In quell’anno dei 64 corsi di prima qualificazione
48 sono biennali e 16 annuali.
Tabella n. 69 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
Grafico n. 110 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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Il secondo livello, invece, da un iniziale 14,2% del 1990-91, inferiore alla
media nazionale (16,3%) sale al 22,4% nella composizione percentuale Del 1995-
96, aumentando anche rispetto al dato nazionale (12,8%). Da notare che nel 1995-96
tutti i corsi (82) di questa offerta formativa erano destinati solo a diplomati, ad esclusione
di 3 interventi di integrazione Formazione Professionale - Scuola.
Sensibile l’aumento delle attività destinate ad utenze adulte (197 corsi per occupati
e 20 per disoccupati) che fanno lievitare il peso percentuale dal 23,7% a quasi il
60% (59,4%)! L’azzeramento dei corsi speciali del terziario (corsi per agenti ed
esercenti di commercio) comporta anche la quasi scomparsa di questa offerta formativa
nel 1995-96, quando fa registrare un irrilevante 0,5%.
Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due
anni assunti a riferimento? Dei 20 settori (più la categoria “varie”) considerati nella
Tabella 69, 15 subiscono delle perdite; tra questi 10 perdono più di due corsi (cfr.
Graf. n. 111). In ordine decrescente registriamo le perdite consistenti dei settori Elettricità-
elettronico (–45) Abbigliamento (–25) Acconciatura (–21) Distribuzione
commerciale (–17) Ristorazione (–14). Perdite che si concentrano soprattutto nel
primo livello ad esclusione della Distribuzione commerciale che flette nei corsi speciali.
Gli altri settori o aree professionali che diminuiscono (Edilizia, Alimentare,
Grafica, Artigianato artistico, Spettacolo, Servizi socio educativi) mantengono le
perdite di interventi sotto le 10 unità (ma occorre anche tener presente il dato del
1990-91, talora, come per esempio nel caso dell’Alimentare e dello Spettacolo,
molto basso, per cui una diminuzione corrisponde ad un dimezzamento o ad un azzeramento).
In territorio positivo spicca il valore dell’area professionale Lavori d’ufficio
che balza da un iniziale 55 corsi a 121. Gli altri settori (Meccanica, Grafica,
Artigianato Artistico, Turismo, Attività Promozionali e Pubblicità) fanno registrare
incrementi molto contenuti.
Grafico n. 111 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il 1995-96
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Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 6.708; di questi
quanti non erano mai entrati nella vita attiva, cioè gli inoccupati, e quanti avevano
perso un’occupazione, cioè i disoccupati, erano 2.955.
Gli allievi del 1990-91, 7.947, rappresentano l’1,0% della popolazione attiva
(14-60enni); gli allievi della prima qualifica, 3.800, rappresentano il 7,2% della leva
dei 14-16enni718.
La distribuzione dei corsi per Provincia riflette sostanzialmente la classifica per
numero di abitanti di ciascuna che vede al primo posto Chieti, seguite da L’Aquila,
Pescara e Teramo.
Nell’anno formativo 1990-91 sono state utilizzate 158 sedi: 110 solo occasionalmente
dedicate alla Formazione e 48 strutture esclusivamente utilizzate per la
Formazione Professionale719 (cfr. Tab. n. 70). Il rapporto tra sedi occasionali e CFP,
che indica il grado di strutturazione del Sistema formativo, è di 30 a 70. Mentre il
rapporto tra gli 11 CFP pubblici (10 Centri regionali che rappresentano la gestione
diretta e 1 di un Ente pubblico) e i 37 di Enti di Formazione o soggetti privati è di 23
a 77. L’indagine Isfol sulla distribuzione dei CFP, relativa all’a.f. 1992-93720, censisce
49 CFP, di cui 8 direttamente gestiti dalla Regione (Avezzano, Tagliacozzo,
718 La popolazione attiva ammontava a 785.194; i 14-16enni a 52.494. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
719 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
720 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
Grafico n. 112 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
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L’Aquila, Sulmona, Francavilla, Montesilvano, Pescara, Teramo). Nell’area convenzionata,
l’Ente con il maggior numero di CFP è l’ENAP con 10 CFP (Civitella Rovereto,
Carsoli, Pescina, Sulmona, Lanciano, Chieti, Pescara, Torre dè Passeri, Roseto,
Atri) che strappa il primato all’ENAIP delle ACLI con 9 (L’Aquila, Lanciano, Ortona,
Sulmona, Chieti, Pescara (2), Teramo e Alba Adriatica). Posto di rilievo ha lo
IAL della CISL con 5 sedi (Giulianova, S. Egidio, Teramo Pescara (2). Meno rilevante
la presenza dell’altro Ente sindacale, l’ENFAP della UIL che opera in tre sedi
(Lanciano, Teramo, Torricella). Nell’area d’ispirazione cattolica rileviamo queste
presenze: CNOS dei Salesiani (L’Aquila, Vasto, Ortona), CIOFS delle Salesiane
(L’Aquila e Catignano), l’Opera Juventutis (Pescara e Chieti)721, l’Istituto Padre
Kolbe (Vasto)722 l’A.F.G.P., Associazione Formazione Giovanni Piamarta emanazione
della Congregazione “Sacra Famiglia di Nazareth” (Roseto degli Abruzzi),
l’ENDO degli orionini. Chiude l’elenco degli Enti il CNIPA, Consorzio Nazionale
Istruzione Professionale Artigiana (Castiglion Messer Marino e Vasto) e il CIAPI,
Centro Interaziendale Addestramento Professionale Integrato (Chieti scalo). La
media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sull’7,1% (9,0% area pubblica e
6,5% area convenzionata privata). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni,
realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame
è quella di cui al Grafico 113. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990
(40,7) e quelli più alti sono quelli del 1997 (209,2 miliardi di lire); la media del periodo
è pari a circa 151 miliardi. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti
entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con l’85,8% (media italiana
77,1%) si colloca all’ottava posizione. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ri-
721 È un Ente morale con personalità giuridica fondato dal Vescovo di Penne - Pescara Mons. Antonio
Jannucci. Negli Anni ’80 si è specializzato nella formazione dei portatori di handicap per facilitarne
l’inserimento nel mercato del lavoro nei diversi settori dell’artigianato artistico, dell’ecologiaverde,
dell’editoria.
722 Il CFP Padre Massimiliano Kolbe “Ente per la Formazione e l’Addestramento Professionale”
opera nel campo della Formazione Professionale dal 1982. In Abruzzo l’Ente si caratterizza per una
consolidata esperienza formativa per giovani portatori di handicap, avendo alle spalle l’Istituto S. Francesco
d’Assisi ed annessa Casa di Cura e Riabilitazione Psichiatrica e una Cooperativa Lavoro attiva
anche nel settore agricolo e artigianale.
Tabella n. 70 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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cava che la spesa della FP per abitante è pari a 164.991 lire e quella rispetto alla
forza lavoro è di 95.826. Nel primo caso il valore abruzzese supera di molto quello
nazionale (93.951 lire), nel secondo invece (media nazionale 99.534) è più basso. Il
peso della spesa per la FP rispetto alla spesa totale della Regione è di 2,62%, un dato
che la colloca dietro solo alla Basilicata e Sicilia.
Grafico n. 113 Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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723 Pubblicata in B.U.R. MOLISE, del 01/04/95 n. 7.
8.16. Regione Molise
Nel 1995 il Molise vara la L. reg. n. 10/1995 Nuovo ordinamento della formazione
professionale723 che abroga e sostituisce la normativa emanata 12 anni prima,
la n. 3/1985 Disciplina della formazione professionale nel Molise.
La nuova normativa del Molise è una Legge di “seconda generazione”. Come le
altre che sono collocabili in questa categoria, la n. 10/95 non si limita solo a regolamentare
la Formazione Professionale, ma amplia il suo spettro normativo anche all’orientamento
professionale, all’osservazione del mercato del lavoro e alle misure
per l’occupazione e l’imprenditorialità.
Naturalmente la prospettiva non è quella di una regolamentazione dei segmenti
della politica attiva del lavoro in un unico contenitore normativo, ma una legiferazione
in un’ottica di sistema che tratti, cioè, ognuno di questi segmenti come interrelato
ed interagente con gli altri.
Per questo la Legge molisana tende ad assicurare l’unitarietà delle politiche attive
del lavoro in un unico processo e in un unico documento programmatorio: il
Piano triennale delle politiche attive del lavoro.
Il piano triennale contiene: a) un’analisi dello stato e delle tendenze del mercato
del lavoro regionale e delle misure pubbliche con impatto sulla struttura occupazionale;
b) la determinazione delle priorità espresse in progetti-obiettivi relativi a ciascuna
delle tre politiche menzionate e dell’osservazione del mercato del lavoro; c) la
determinazione di interventi per l’adeguamento e/o l’acquisizione di strutture, arredi,
attrezzature; d) l’individuazione delle risorse professionali da utilizzare e gli
eventuali fabbisogni formativi da soddisfare; e) la previsione di spesa per ciascun
progetto-obiettivo e le relative fonti di finanziamento (cfr. Fig. n. 118).
Da un punto di vista procedurale la predisposizione della proposta di piano
triennale spetta all’Assessorato al lavoro e alla Formazione Professionale, dopo aver
consultato le forze sociali ed imprenditoriali e dopo aver acquisito proposte e pareri
delle Province, in qualità di soggetti delegati.
Al termine di ogni triennio la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale,
con la nuova proposta di piano, una relazione sui risultati di quello precedente.
Particolarmente dettagliate risultano le procedure per la pianificazione annuale
delle attività: il processo inizia con l’emanazione di direttive sugli obiettivi (ripartizioni
finanziarie per settori/aree produttive, per tipologie formative, per Provincia) e
sulle modalità con le quali gli interventi formativi devono essere progettati, proposti
ed attuati. Segue la proposta delle iniziative da parte dei soggetti attuatori mediante
progetti, elaborati su formulari predefiniti dalla Regione, e la loro valutazione per
accertarne la rispondenza agli obiettivi programmatici e alle specifiche esigenze socioeconomiche
territoriali, l’adeguatezza e fattibilità tecnica; la conformità alle distoriaFORMAZ3-
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rettive regionali e la congruità dei costi previsti. Le risultanze di tale processo valutativo
costituiranno il Programma annuale.
Per quanto riguarda i soggetti gestionali la L. n. 10/95 inserisce in un paradigma
consolidato (gestione diretta, delegata, indiretta) anche delle innovazioni. Oltre ai
soggetti “tradizionali” (Regione, Province, Enti, imprese e loro consorzi) la Legge
include tra i soggetti attuatori anche le associazioni di categoria e gli ordini professionali
per i propri associati.
Figura n. 118 - Contenuti del Piano triennale (L. reg. n. 10/95)
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Per l’acquisizione di competenze imprenditoriali e manageriali, di alte specializzazioni
o di ruoli professionali avanzati si può fare ricorso a imprese, Università,
organismi di ricerca e di formazione, anche mediante la costituzione di appositi consorzi
o società miste o società consortili. La Legge allarga ulteriormente il panel di
soggetti attuatori includendo anche gli Istituti scolastici, da soli o in consorzio, o
anche insieme ad Enti e aziende per azioni formative destinate agli alunni ancora inseriti
nella Scuola media superiore o qualificati o diplomati.
A supporto del processo programmatorio opera l’Osservatorio del Mercato del
Lavoro, costituito come sezione dell’Assessorato regionale alla Formazione
La n. 10/ 95, per la prima volta introduce l’Istituto della delega, affidandola alle
due Province. In base a tale innovazione gli ambiti di competenza della Regione
vengono così delimitati: oltre ai rapporti con autorità nazionali e internazionali, le
spettano le funzioni relative alla programmazione, regolamentazione, indirizzo, coordinamento
e valutazione, mentre alle Province sono riservate la gestione dei
Centri di Formazione Professionale ex regionali, la vigilanza tecnica ed amministrativa
sulle attività formative convenzionate, la nomina delle commissioni d’esame, la
stipula e la revoca delle convenzioni con i soggetti attuatori. Secondo la cultura istituzionale
del tempo alla Regione spettano le funzioni considerate strategiche, alla
Provincia quelle di natura attuativa.
Figura n. 119 - Soggetti attuatori (L. reg. n. 10/95)
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In relazione a questi mutamenti istituzionali la L. n. 10/95 provvede anche ad
una diversa organizzazione degli Uffici dell’Assessorato alla Formazione Professionale
(cfr. Fig. n. 120).
La L. reg. n. 10/95 assume il modello di CFP agenziale, cioè di una struttura che
non si limita alla erogazione degli interventi formativi, ma è in grado anche di realizzare
sperimentazioni didattiche, attività di Formazione a Distanza, servizi per
l’Orientamento professionale e per l’osservazione di fenomeni attinenti al mercato
del lavoro, attività di progettazione formativa e di informazione, assistenza e consulenza
sulle politiche formative ed occupazionali anche delle piccole imprese. La
Figura n. 120 - Organizzazione degli uffici dell’Assessorato alla FP (L. reg. n. 10/95, all. A)
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Legge, infine, prevede la costituzione di un consorzio aperto alla partecipazione delle
Province e dei soggetti attuatori, per attività di studio ed erogazione di servizi nel
campo delle politiche formative ed occupazionali. La quota di partecipazione della
Regione non può essere inferiore al 51% del capitale iniziale.
Per la predisposizione del Piano di attività 1994 il Molise ha adottato per la
prima volta sia il modello di programmazione per obiettivi sia la valutazione parametrata724,
applicati non solo alle attività formative a carattere progettuale, ma anche
al consolidato storico di formazione post-obbligo. Per l’occasione la Regione ha
adottato un nuovo formulario per la presentazione dei progetti. Il nuovo formulario,
che per alcune parti recepisce la versione lucana, rappresenta un superamento dei
modelli abitualmente utilizzati dalle Regioni sia nella filosofia che nell’architettura:
– nella filosofia, giacché se il progetto rappresenta il disegno che verrà realizzato
nella prassi formativa, esso deve essere compiutamente e dettagliatamente definito
in tutte le sue parti affinché obiettivi, percorsi e mezzi siano chiari a chi
eroga (soggetto gestore/docente) il servizio formativo, a chi questo è destinato
(allievi) ed a chi ha il compito di monitorarlo e valutarlo sotto il profilo dell’efficacia
e dell’efficienza (la Regione);
– nell’architettura, perché si abbandona la fisionomia «amministrativa» dei formulari
tradizionali per adottare una struttura complessa che renda ragione degli
aspetti motivazionali, professio nali, didattici, strumentali e finanziari implicati.
In particolare, il nuovo formulario si articola in alcune parti logicamente e sequenzialmente
con nesse:
– analisi del fabbisogno, volta ad esplicitare la rilevanza del problema che sta all’origine
della richiesta di attivazione di un intervento formativo;
– analisi della professionalità, volta a definire, mediante l’individuazione dei
compiti, le competenze che rappresentano l’ambito entro il quale verranno
scelti gli obiettivi formativi;
– struttura del programma formativo, finalizzato alla elaborazione del percorso
didattico ed articolato secondo l’ingegneria ciclico-modulare;
– condizione di fattibilità, finalizzata all’esplicitazione delle risorse logistiche,
strutturali, dotazionali e umane necessarie per la realizzazione del progetto.
Per la valutazione è stata predisposta una griglia a maglie molto strette, che attribuisce
un punteggio a ciascuna delle tante variabili (indicatori ed indici) che concorrono
a definire la rilevanza, la rispondenza, la fattibilità formativa. L’applicazione
del sistema di valutazione parametrata anche alle attività di prima qualificazione
suscita più di una perplessità. Usare gli stessi strumenti di valutazione anche
per la Formazione di base significa mettere sullo stesso piano un’attività a carattere
ricorrente con una a carattere progettuale: è una contraddizione in termini.
724 Vedi la scheda della Regione Lazio.
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559
La Tabella 71 ci offre un confronto tra corsi programmati nel 1990-91725 e quelli
del 1995-96726. Nella prima annualità gli interventi sono 422, nella seconda 247. Il
decremento si spiega soprattutto con una flessione di tutti i macrosettori (Agricoltura
–4, Industria e artigianato –69 e Terziario –102) a causa di una dèbacle dei corsi
destinati ad adulti, che passano dai 201 dell’inizio del decennio ai 64 di metà decennio.
Comunque la diminuzione è abbastanza generalizzata: su 24 settori/aree
professionali presenti nella Tabella 71 ben 20 fanno registrare un decremento, talora
molto contenuto (Minerali non metalliferi, Legno, Tessile, Attività promozionali e
pubblicitarie), talora più marcato (Chimica, Edilizia, Turismo, Spettacolo, Ecologia,
Beni culturali, Grafica, Ecologia ed ambiente, Cooperazione, Distribuzione com-
725 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 74.
726 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71.
Tabella n. 71 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
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560
merciale), talora molto accentuato (Meccanica, Abbigliamento e calzature, Artigianato
artistico, Distribuzione commerciale, Informatica e varie). L’unico valore positivo
è quello del settore turistico (+7).
Tra i due anni di riferimento si assiste anche a delle variazioni molto consistenti
nel peso delle diverse tipologie formative. Si assiste a dei veri smottamenti, dovuti
al fatto che a metà decennio, in controtendenza rispetto alla dinamica nazionale, il
numero di attività destinate agli adulti subisce un decremento notevole: da 261 corsi
a 64.
Si consideri che il primo livello, che faceva registrare il 18% (mentre il dato nazionale
era del 37%), sale nell’a.f. 1995-96 al 34,4% eguagliando, sostanzialmente,
la media nazionale (34,6%).
Grafico n. 114 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il 1995-96
Grafico n. 115 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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Il secondo livello, invece, da un iniziale 10,1% del 1990-91, inferiore alla
media nazionale (16,3%) arriva al 39,3% nella composizione percentuale del 1995-
96, aumentando a dismisura anche rispetto al dato nazionale (12,8%). Da notare che
nel 1995-96 tutti i corsi (97) di questa offerta formativa erano destinati solo a diplomati.
Molto sensibile la diminuzione delle attività destinate ad utenze adulte (19
corsi per disoccupati e 45 per occupati) che fanno precipitare il peso percentuale dal
61,8% al 25,9%! Ed è una diminuzione che tocca sia l’industria-artigianato (–84) sia
il terziario (–110). Il quasi azzeramento dei corsi speciali comporta anche la riduzione
del loro peso relativo nella composizione dell’offerta formativa molisana del
1995-96 ad un irrilevante 0,4% (un solo corso per categorie deboli). Gli allievi previsti
dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 3.904; di questi quanti non erano
mai entrati nella vita attiva (inoccupati), e quanti avevano perso un’occupazione
(disoccupati), erano 2.510; ad inizio decennio, invece, erano 4.830 e rappresentavano
il 2,3 % della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione,
796, rappresentano il 7,9% della leva dei 14-16enni727. La distribuzione dei
corsi per Provincia riflette sostanzialmente i rapporti tra le stesse per numero di abitanti.
Nell’anno formativo 1992-93 sono state utilizzate 151 sedi (cfr. Tab. n. 72):
111 solo occasionalmente impiegate per attività formative e 40 strutture esclusivamente
dedicate alla Formazione Professionale728.
727 La popolazione attiva ammontava a 204.293; i 14-16enni a 10.044. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
728 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
729 Diversamente da quanto fatto finora con altre Regioni, assumiamo i dati del 1991-92 (SISTANISFOL,
a cura di GHERGO F. e RUBERTO A., Statistiche della formazione professionale Attività programmate
nel 1991-92, p. 77); perché quelli del 1990-91 contengono dei refusi che li rendono non utilizzabili.
Cfr. ISFOL, a cura di GHERGO F. e RUBERTO A., Statistiche della formazione professionale 1992-
93, op. cit., p. 162.
Di queste, 3 sono Istituti scolastici, 2 sono Centri di Formazione Professionale
regionali e 35 CFP di Enti. Tra questi il primato spetta allo IAL della CISL con 7
sedi (Campobasso, Larino, Termoli, Busso, Riccia, S. Agapito, Venafro), seguito
Tabella n. 72 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1991-92729)
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dall’ENFAP della UIL con 6 (Trivento, Campobasso, Termoli, Larino, Agnone,
Isernia) e l’ENAIP delle ACLI con 4 (Campobasso, Trivento, Termoli, Isernia). Altri
Enti presenti con loro strutture e che hanno una diffusione multi regionale sono
l’ANAPIA (Campobasso) e lo IAROS (Campobasso). Lungo è l’elenco di Enti solo
a carattere locale: INTERHOTEL (Campobasso e Termoli), FOMEA (Campobasso
e Termoli), CENTRO STUDI (Campobasso e Isernia), ENIFORM (Campobasso),
Magistero sperimentale del Molise, Iniziative turistiche Molisane (Campitello Matese).
Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del
Sistema formativo, è di 26,0 a 74. Mentre il rapporto tra le 5 strutture pubbliche e i
35 CFP di soggetti privati è di 12,5 a 87,5%.
La media di corsi per ogni CFP è pari a 5,6. Da un’analisi dei bilanci di previsione
delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo
in esame è quella di cui al Grafico 117. Gli stanziamenti più bassi sono quelli
dell’anno 1994 (20,4 miliardi) e quelli più alti sono sono quelli del 1997 (63 miliardi
di lire); la media del periodo è pari a circa 44 miliardi.
La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97) con l’85,8% (media italiana 77,1%) si colloca all’ottava
posizione.
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 173.657 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di
146.435. In entrambi i casi i valori molisani superano la media nazionale (rispettivamente
di 93.951 e 99.534 lire) e posizionano la Regione al quinto e al settimo posto
tra le Regioni con una maggiore spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è di 1,88 %, un dato che la colloca dietro a Basilicata, Valle d’Aosta e
le due Province Autonome.
Grafico n. 116 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
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Grafico n. 117 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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730 L. reg. n. 14 del 18/07/1991 Modifiche ed integrazioni alla Legge Regionale 9 luglio 1984, n.
32 concernente: Istituzione del ruolo speciale della Giunta Regionale ad esaurimento del Personale
della Formazione professionale, in B.U.R. CAMPANIA, n. 2 del 22/07/1991.
8.17. Regione Campania
Abbiamo raccontato nel volume II l’evento che ha caratterizzato profondamente
il Sistema formativo campano: la regionalizzazione di 3.780 operatori dei
CFP dei Comuni, Comunità montane ed Enti di Formazione Professionale con rapporto
di lavoro a tempo indeterminato alla data del 29 settembre 1984, che venivano
inseriti “in un ruolo speciale della Giunta regionale ad esaurimento”. Il processo era
stato messo in moto da una Legge del luglio di quell’anno, la n. 32/84, che destinava
questo personale:
– alle attività corsuali dei Centri Regionali di Formazione Professionale,
– alle attivtà di ricerca-sperimentazione-diffusione dei Centri Pilota,
– alle attività di ricerca-informazione-consulenza dei Centri di orientamento (62,
uno per ogni distretto scolastico),
– e alle attività di raccolta sistematizzazione e analisi di dati da parte degli Osservatori
territoriali sul mercato del lavoro.
Naturalmente il personale prima di essere utilizzato in tali mansioni usufruiva
di un periodo di aggiornamento (per il quale era previsto un impegno finanziario di
circa 21 miliardi e 500 milioni).
Disegno ineccepibile sulla carta. In realtà era un’operazione destinata al fallimento,
per una convergenza di cause.
Primo: erano sbagliate le motivazioni reali (non quelle dichiarate): garantire
l’occupazione degli operatori mediante la loro pubblicizzazione. La preoccupazione
prima non era quella di avviare servizi (di orientamento, di osservazione del mercato
del lavoro, di sperimentazione didattica) di cui c’era una grande necessità o di una
riqualificazione del settore, di cui si avvertiva un vero bisogno, ma di mettere al sicuro
con un contratto pubblico più di tre mila persone!
Secondo: non erano sufficienti dei (brevi) percorsi di aggiornamento per mettere
il personale, peraltro con bassi livelli di scolarità complessiva (solo il 6,8% era
laureato), in condizione di lavorare per compiti specialistici e che esigevano specifiche
competenze disciplinari.
Terzo: per avere un qualche successo le operazioni previste dovevano avere una
tempistica e una sincronia precise (istituzione per via legislativa dei nuovi servizi,
realizzazione dei servizi, aggiornamento degli operatori, prove concorsuali e assegnazione
del personale alle nuove funzioni). Le operazioni, invece, si sono accavallate
e tutto è andato avanti in una grande confusione.
Nel periodo preso in esame da questo volume la Campania emana una sola
Legge: la n. 14/91730 che modifica la n. 32 di sette anni prima.
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Non si tratta di una Legge che corregge solo in alcuni punti la normativa precedente
ma ne sovverte in gran parte l’architettura. Infatti, la modifica principale consiste
nell’abrogazione dell’art 5 della L. n. 32 che destinava il personale inserito nel
ruolo regionale ad esaurimento “anche ad altre strutture del settore quali: i centri pilota,
l’orientamento professionale, l’osservatorio sul mercato del lavoro, […]” e parallelamente
il personale “è utilizzato per le attività di formazione professionale nei
centri di cui alle lettere a), b), e c) dell’articolo 6 della legge regionale 30 luglio
1977, n. 40”, cioè nei CFP della Regione, dei Comuni e degli Enti!
È una dichiarazione di fallimento; è la sconfessione della politica di regionalizzazione
del personale perseguita negli Anni ’80: 3.714 “docenti e non docenti”,
come li chiama la Legge, tornano nei CFP da dove erano venuti, ma da dipendenti
pubblici regionali, a tutti gli effetti. Infatti, la L. reg. n. 14/91 li toglie dal ruolo speciale
ad esaurimento e li colloca definitivamente nel ruolo della Giunta regionale.
731 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 74.
732 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71.
Grafico n. 118 - Organico, livello funzionale e qualifica funzionale
I dati relativi alle attività programmate, sia dell’a.f. 1990-91731 sia del 1995-
96732, danno l’idea di un sistema che funziona a scappamento ridotto.
Si consideri che, ad inizio decennio, i corsi programmati dalla Campania (5 milioni
e 600 mila abitanti) sono 582, come la confinante Basilicata (610.000 abitanti)
e quasi la metà del vicino Abruzzo (che conta un milione e 200 mila residenti).
VIII Direttore laureato - Direttore diplomato; VII: Docente laureato - Docente diplomato - Direttore non diplomato - Segretario laureato;
VI: Docente diplomato - Docente non diplomato - Segretario diplomato - Segretaruo non diplomato Collaboratore Amministrativo
diplomato - Direttore non diplomato; V: Docente non diplomato - Segretario non diplomato - Collaboratore Collaboratore
amministrativo diplomato - Collaboratore amministrativo non diplomato, IV: Operatore Tecnico ed Operatore Amministrativo, II:
Ausiliario Servizi Generali Tot. 3714
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Tra i due anni di riferimento non esistono grandi differenze nel numero di corsi
programmati: 582 nel 1990-91 e 536 nel 1995-96 (cfr. Tab. n. 73). I rapporti percentuali
tra i macrosettori si mantengono sostanzialmente gli stessi: l’Industra oscilla tra
il 25,9% e il 27,2% e il Terziario tra il 74,1% e il 71,2%. I corsi in Agricoltura, presenti
solo nel 1995-96 si attestano su un marginale 1,6%.
Variano in maniera evidente i rapporti percentuali tra le diverse offerte formative. Il
primo livello, che nel 1990-91 con il 45% faceva registrare valori superiori alla media
nazionale (37%) di 8 punti, nella seconda annualità, con il 29,6% si pone al di sotto del
dato italiano di 5 punti. In cinque anni, la prima qualificazione ha perso in valori assoluti
103 interventi e in peso percentuale 15,4 punti. Le perdite si registrano sia nel macrosettore
industria-artigianato (–47, concentrate soprattutto nei corsi di Meccanica ed
Elettricità elettronica) sia nel macrosettore terziario (–59 a causa soprattutto del tracollo
dei corsi dell’area Lavori d’ufficio: –53 attività). Nel 1995-96 il II livello aumenta di
132 corsi e quindi il suo peso percentuale subisce una balzo in avanti dal 4% al 29%.
Nell’uno e nell’altro caso i valori sono molto distanti dalla media nazionale, che nel
Tabella n. 73 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
Fonte: ISFOL
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567
1990-91 si attestava sul 16,3% e nel 1995-96 sul 12,7%: quasi –12 punti all’inizio del
decennio e quasi +17 a metà decennio in quest’ultima annualità (cfr. Graf. n. 119).
Del tutto anomala la situazione dei corsi per adulti rispetto agli andamenti nazionali.
Quando nel 1990-91 il valore percentuale italiano per questa offerta formativa
era del 35,1% la Campania rimaneva a zero; quando nel 1995-96 il dato nazionale
era del 45,4% quello campano faceva registrare un modesto 4,6% (che in valori
assoluti si concretizzava in 25 corsi, 14 per disoccupati e 11 per occupati). Storia a
parte fanno i corsi speciali. Gli altissimi numeri del 1990-91 (296 corsi) e quelli alti
del 1995-96 (196) sono determinati dalla gran quantità di interventi per esercenti e
per agenti del commercio. A metà decennio dei 196 corsi raggruppati sotto questa
categoria, 108 erano finalizzati all’acquisizione di patenti e certificati richiesti
espressamente dalla normativa, nazionale o regionale, per poter esercitare specifiche
attività, 88 erano destinati per le cosiddette “fasce deboli”.
Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-95 ammontavano a 7.560; di questi
quanti non erano mai entrati nella vita attiva, cioè gli inoccupati, e quanti avevano
perso un’occupazione, cioè i disoccupati, erano 7.395. Ad inizio decennio invece erano
11.119 e rappresentavano lo 0,2 % della popolazione attiva (14-60); gli allievi della
prima qualificazione, 4.759 rappresentano il 1,6% della leva dei 14-16enni733. Quali
sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due anni assunti
a riferimento? Dei 21 settori (più la categoria “varie”) considerati nella Tabella
73, 6 subiscono delle perdite (cfr. Graf. n. 120). In ordine decrescente registriamo:
– il decremento eccezionale (–136) del comparto della Distribuzione Commerciale
(abbiamo già accennato al fatto che il fenomeno è imputabile alla diminuzione
drastica dei corsi per esercenti ed agenti del commercio),
– i decrementi consistenti dell’Industria estrattiva (–16) e dell’Abbigliamento e
calzature (–11),
– i decrementi più contenuti di Meccanica e Acconciatura (–7) e Edilizia e Lavoro
d’Ufficio (–4).
733 La popolazione attiva ammontava a 3.635.215; i 14-16enni a 297.990 Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 119 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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In territorio positivo spiccano i valori dei comparti dei Servizi socio-educativi e
dell’Informatica con 37 corsi in più rispetto al 1990-91. Altri settori (Turismo, Ristorazione,
Attività promozionali e pubblicità, Artigianato artistico) fanno registrare
incrementi cospicui. Tra i 14 e i 18 corsi in più rispetto al 1990-91. Più modesti gli
aumenti del settore Legno (+8) dell’Ecologia e ambiente (+7).
La distribuzione dei corsi per Provincia (cfr. Graf. n. 119) riflette sostanzialmente
i rapporti tra le cinque Province campane per numero di abitanti.
Nell’anno formativo 1990-91 sono state utilizzate 59 sedi (cfr. Tab. n. 74): 12
solo occasionalmente impiegate per attività formative e 47 strutture esclusivamente
dedicate alla Formazione Professionale734. Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che
indica il grado di strutturazione del sistema formativo, è di 20 a 80. Mentre il rapporto
tra le 45 strutture pubbliche e i 2 CFP di soggetti privati è di 96 a 4.
734 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
Grafico n. 120 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il
1995-96
Tabella n. 74 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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569
Tra i CRFP menzioniamo quelli con un maggior volume corsuale: il Pacinotti di
Napoli (79 corsi), il Galotta di Salerno (53 corsi), il Lorenzo de Medici di Napoli
(42), il Torricelli di Pomigliano d’Arco (32), il Barsanti di Benevento (31), il S. Giovanni
Bosco di Piano Sorrento (18), il Pastore di Caserta (22) e l’Antonio Marino di
S. Nicola la Strada (17)735. La media di corsi per ogni CRFP è pari a 16,2.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 121.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1995 (23,6 miliardi) e quelli più alti
sono quelli del 1997 (394,7 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 189
miliardi di lire.
La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97) con l’85,8% (media italiana 77,1%) si colloca all’ottava
posizione.
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che:
– la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 59.277 lire (oltre
34.000 lire più bassa della media italiana);
– e quella rispetto alla forza lavoro è di 14.755 (–84.779 lire rispetto al dato nazionale).
Questi valori posizionano la Regione al diciassettesimo e all’ultimo posto tra le
Regioni con una maggiore spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è di 1,88 % un dato che la colloca dietro a Basilicata, Valle d’Aosta, le
due Province Autonome e Molise.
735 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Distribuzione dei Centri di Formazione
Professionale in Italia - anno formativo 1995-96, Roma, 1998, pp. 245-248.
Grafico n. 121 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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570
736 Cfr. paragrafo 6.2.
737 Art. 8 (Valutazione delle iniziative). 1. Al fine di verificare la coerenza con gli obiettivi programmatici,
l’attuazione dei progetti organici di Formazione Professionale contenuti nei programmi
triennali e annuali è sottoposta a valutazione di efficienza e di efficacia. 2. È istituita presso l’Ufficio
Formazione Professionale una unità operativa per l’espletamento dei compiti di cui al presente articolo
e di quelli previsti dai successivi art. 10 punto 3 ed art. 28.
738 L. reg. 13 aprile 1996 n. 22 Modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7 ordinamento e disciplina
del sistema formativo regionale e sue successive modificazioni ed integrazioni in B.U.R. BASILICATA,
20 aprile 1996 n. 20.
739 Cfr. paragrafo 7.6.3.
740 Cfr. paragrafo 7.6.1.
8.18. Regione Basilicata
Il 2 marzo 1990, con la Legge n. 7, redatta con l’assistenza tecnica dell’Isfol, la
Regione si dota di una nuova normativa organica, che va a sostituire la n. 13 del
1980 e rimarrà in vigore fino al 2003. Si tratta, come abbiamo annotato in un paragrafo
precedente736, di una Legge di seconda generazione. Ne contiene i tre elementi
caratterizzanti: una programmazione che non si limita solo alle attività di Formazione
Professionale ma anche all’orientamento (art. 6 lett. h); l’importanza riservata
al tema della valutazione (art. 8)737 e la configurazione del CFP in senso “agenziale”
(art. 18).
La L. reg. 7/90 viene modificata, qualche anno dopo, dalla L. reg. 22/96738. Nell’esposizione
delle previsoni normative terremo conto anche delle modifiche e delle
integrazioni.
Il processo programmatorio strategico (cfr. Fig. n. 121) si muove con linearità
procedurale. È stato eliminato il Comitato consultivo regionale, sostituito dalla
Commissione Regionale per l’impiego. Il Programma triennale presenta una struttura
semplice e organica: riguarda le scelte politiche prioritarie, le attività formative
e di orientamento da realizzare, le strutture e il personale che erogano i servizi e gli
aspetti finanziari.
Prima che si adottassero le procedure concorsuali previste dalla Direttiva CEE
50/92739 la Basilicata ha adottato, per la selezione dei progetti, la valutazione comparativa.
Il progetto si articola in tre parti costitutive: il programma didattico; i curricola
dei tutor, docenti, ed esperti; l’indicazione delle strutture e delle dotazioni didattiche.
La prospettazione di tali elementi deve essere effettuata secondo uno
schema dettagliatamente previsto. Il progetto non conteneva l’analisi del fabbisogno
e quindi le motivazioni che davano luogo alla richiesta di interventi formativi,
perché, prima della riforma dei Fondi strutturali del 1993, la Basilicata aveva scelto
per la predisposizione dei programmi di attività a carattere non ricorrente un modello
di programmazione “a razionalità forte”740. È, infatti, la Regione a stabilire non
solo gli obietivi e le tipologie formative (primo, secondo livello, disoccupati) ma
anche le figure professionali (di cui viene definito lo standard, la durata oraria, i
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costi e la sede di svolgimento). Resta solo da decidere il soggetto gestionale cui affidare
l’attività di formazione: questo, come detto sopra, viene scelto mediante la valutazione
comparativa di progetti esecutivi che esplicitano, come detto, il programma
e le risorse umane e logistico-dotazionali che intendono seguire.
L’aggiudicazione della gara è appannaggio del progetto con il massimo punteggio
ottenuto sommando i punteggi parziali relativi, oltre alle tre parti di cui sopra,
anche all’attività formativa pregressa del soggetto proponente e all’offerta economica
(per ogni 0,20 di ribasso sull’importo base viene assegnato un punto, fino ad
un massimo di 20). Questa impostazione (a parte il sistema pianificatorio dall’alto –
viene voglia di chiamarlo di “tipo sovietico” – che determina anche il corso di qualifica
da realizzarsi nel più sperduto paese lucano) ha grandi meriti.
Tra tutti va segnalato lo schema proposto per l’elaborazione del programma didattico
che, per correttezza metodologica e per organicità dei contenuti, rappresenta
Figura n. 121 - Processo programmatorio pluriennale (L. reg. 7/90)
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Per quanto riguarda il processo gestionale (cfr. Fig. n. 122) nessuna novità da
parte della L. reg. 7/90 per quanto riguarda la tipologia dei soggetti attuatori. La titolarità
potenziale:
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un paradigma da assumere come necessario riferimento da chiunque intenda predisporre
formulari per la presentazione di progetti formativi; è grazie a tale schema
(unitamente alla norma che esclude i progetti che non conseguano almeno i 70/100
del punteggio massimo previsto per ciascuna delle parti valutate) che in Basilicata si
è raggiunto, complessivamente, un livello di elaborazione progettuale di gran lunga
superiore a quelli abitualmente presenti in sistemi formativi di altre Regioni. Ci
sono, però, anche delle perplessità riguardanti: da un lato i soggetti gestionali,
giacché sono state erroneamente identificate le imprese di cui parla la Legge 845/78
(art. 5) con le imprese di formazione; dall’altro, alcune scelte tecniche relative ai
punteggi. A quest’ultimo riguardo, ad esempio, il ribasso economico, oltre che essere
uno strumento inadeguato di selezione perché dà vita ad un ribasso generalizzato
da parte di tutti i soggetti, inserisce una prassi mercantile che mal si concilia
con la cultura della Formazione Professionale; sarebbe stato più opportuno, in
questa logica, premiare chi, a parità di condizioni economiche, avesse offerto più o
migliori opportunità formative e non decurtare le risorse finanziarie, con il rischio di
depauperare la qualità della docenza e/o la tipologia e la quantità delle risorse strutturali-
dotazionali. Riservare, poi, come prevede il sistema lucano, la valutazione
massima al possesso di titoli universitari da parte dei docenti significa privilegiare
una cultura accademica in un luogo formativo che ha soprattutto, e nel Mezzogiorno
in particolare, necessità di cultura aziendale.
Figura n. 122 - Soggetti gestionali (L. reg. 7/90)
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– è della Regione se decide di operarare direttamente, come peraltro fa con i CFP
di Bella, Tricarico e Tursi;
– degli Enti come individuati e connotati dall’art. 5 della L. n. 845/78 o delle imprese
o loro consorzi, se la Regione decide di operare indirettamente;
– di soggetti pubblici territoriali, se decide il trasferimento di competenze mediante
l’istituto della delega.
Se le previsioni in questa materia non si discostano da quelle della Legge
quadro, novità importanti ci sono per quanto riguarda la delega e la configurazione
del CFP e l’affidamento delle attività.
Sul primo versante interviene la L. n. 22/96: la delega relativa alla gestione dei
CFP di Brienza, Lauria, Avigliano, Rionero in Vulture, S. Arcangelo e Senise, delegate
alle rispettive Comunità Montane741, con la L. reg. 13/80, viene trasferita “con
decorrenza dalla approvazione del Programma Triennale di Formazione Professionale
1997/99 alle Province di Potenza e Matera competenti per territorio”. I CFP di
Potenza e di Matera potranno essere utilizzati quali Centri Pilota per l’Innovazione
Formativa o messi a disposizione degli Enti delegati742.
741 Comunità montane del Melandro, del Vulture, dell’Alto Basento, del Medio Sinni, del Medio
Agri Sauro e del Lagonegrese.
742 La L. 22/96 precisa: 4. Le modalità di trasferimento ed esercizio delle funzioni delegate nonchè
i poteri d’indirizzo, coordinamento e vigilanza riservati al Consiglio ed alla Giunta regionale ed i relativi
limiti saranno fissati con Legge regionale successiva. Con la medesima Legge, da emanarsi entro
120 giorni dall’entrata in vigore della presente Legge, saranno regolati i rapporti finanziari, conseguenti
alla delega, tra la Regione e le Province di Matera e Potenza ed il trasferimento alle stesse del
personale di ruolo e di quello a tempo indeterminato in servizio, alla data di approvazione del Programma
Triennale di FP 1997/99, nei Centri Regionali di FP della Regione e nei Centri di Formazione
Professionale delle Comunità montane di cui al precedente punto 1, anche mediante la costituzione di
Organismi specifici per la Formazione Professionale partecipati da Enti pubblici e privati.
Figura n. 123 - Servizi potenziali del CFP (L. reg. n. 7/90)
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Sul secondo versante, invece, la L. 7/90 ripropone il modello di CFP multi servizi.
Oltre alle funzioni (eventuali beninteso) relative all’orientamento, all’osservazione
del mercato del lavoro o a servizi di progettazione formativa d’informazione,
di assistenza e consulenza sulle politiche formative e occupazionali anche a favore
di terzi, il modello lucano del CFP agenziale include anche la sperimentazione didattica
e la formazione a distanza (cfr. Fig. n. 123). Per quanto riguarda, invece, l’affidamento
delle attività, la L. 22/96, fa una distinzione tra Enti:
– a quelli che continuativamente per almeno tre anni alla data del 31.12.1992
hanno realizzato corsi “in strutture operative per la formazione possedute stabilmente
e ininterrottamente nello stesso triennio” verranno affidate attività in relazione
alla consistenza numerica del personale a tempo indeterminato (alla
data del 31.12.1992);
– a quelli che non hanno maturato queste situazioni, l’affidamento delle attività
avviene “mediante valutazione dei progetti presentati”.
La Legge intende, in maniera palese, salvaguardare il personale a tempo indeterminato
che poteva perdere il posto di lavoro nel caso di attività affidate per via
concorsuale. Scatta l’equazione, che abbiamo più volte rilevato, per cui la difesa del
personale coincide con la difesa dell’Ente. Ma dove l’obiettivo è la difesa dei lavoratori
e la difesa degli Enti solo il mezzo per perseguire l’obiettivo. Un tipo di personale
per il quale “vanno adottate tutte le misure di salvaguardia dei livelli occupazionali”;
tipo di personale, peraltro, in via di estinzione, se si considera che la Legge
prevede che la loro sostituzione avvenga con personale a prestazione professionale.
Ma prima che la L. reg. 22/96 configurasse la situazione come sopra descritta il
quadro dei soggetti gestori sostanzialmente è quello rilevato dall’Isfol all’inizio del
decennio, nell’a.f. 1990-91, quando le attività programmate venivano realizzate in
24 sedi (22 CFP e 2 occasionali). L’alto numero di strutture permanentemente dedicate
alla formazione rispetto a quelle utilizzate solo occasionalmente suggerisce
l’immagine di un sistema molto strutturato (cfr. Tab. n. 75). Ricordiamo che la dizione
“sede nominale” indica che nel Piano viene menzionato solo il soggetto dell’attività
e non la sede di svolgimento. Le 14 sedi (di cui una occasionale) dell’area
convenzionata sono dell’ENAIP, delle suore Canossiane, dei Padri Trinitari e delle
Salesiane del CIOFS.
Tabella n. 75 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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I dati relativi ai corsi programmati negli aa.f.f. 1990-91743 e 1995-96744 confermano
quanto constatato per gli Anni ’80: il Sistema formativo lucano vanta un volume
corsuale rilevante.
Si consideri che, ad inizio decennio, se la Lombardia (8.850.000 abitanti)
avesse avuto lo stesso rapporto corsi/popolazione della Basilicata (750 corsi circa
per 610.000 abitanti) avrebbe dovuto programmare oltre 11.000 corsi!
Tra i due anni di riferimento non esistono grandi differenze nel numero di interventi
programmati: 774 nel 1990-91 e 742 nel 1995-96 (cfr. Tab. n. 76). I rapporti
percentuali tra i macrosettori, però, cambiano in maniera consistente: le variazioni
maggiori si registrano per l’agricoltura che passa da un peso percentuale di 32,4
punti a 6,3 e dell’industria-artigianato che in parallelo aumenta da 7,8% a 38,7%. Il
terziario sostanzialmente ha lo stesso peso nell’uno (59,8%) e nell’altro anno
(55,0%). Variano anche, e in maniera evidente, i rapporti percentuali tra le diverse
743 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 74.
744 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71.
Tabella n. 76 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
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offerte formative. Il primo livello, che nel 1990-91 con il 29,8% – valore inferiore
alla media nazionale (37%) di 7,2 punti – nella seconda annualità scende al 20%, aumentando
il gap dalla media italiana (34,6%) di oltre 14 punti.
In cinque anni la prima qualificazione ha perso in valori assoluti 72 interventi e
in peso percentuale quasi 10 punti. Le perdite sono tutte concentrate in agricoltura.
Nel 1995-96 il II livello aumenta di 197 corsi e quindi il suo peso percentuale su -
bisce un balzo in avanti dal 15,5% al 42,7%. Nel primo anno lo scostamento negativo
dal valore medio nazionale (16,3%) è di appena un punto (–0,8). Nel secondo
anno, quando la media italiana si attesta a 12,7% il gap positivo raggiunge i 30 punti
percentuali. In quell’anno, infatti, i corsi per giovani diplomati/laureati con 317 interventi
diventano la prima offerta del Sistema regionale.
Del tutto anomala la situazione dei corsi per adulti rispetto all’andamento nazionale.
Quando nel 1990-91 il valore percentuale italiano per questa offerta formativa
era del 35,1% la Basilicata faceva registrare il 50,9%; quando nel 1995-96 il dato nazionale
era del 45,4%, quello lucano faceva registrare un modesto 19,5% (che in valori
assoluti si concretizzava in 227 corsi, 82 per disoccupati e 145 per occupati). Storia
a parte fanno i corsi speciali, che rappresentano il 5,2% del volume corsuale programmato
all’inizio del decennio e il 6,6% cinque anni dopo. La composizione interna
a questa offerta formativa vede la prevalenza degli interventi a favore delle categorie
deboli rispetto agli interventi previsti da normative nazionali o regionali. Gli allievi
previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 11.936; di questi quanti non
erano mai entrati nella vita attiva (inoccupati) e quanti avevano perso un’occupazione
(disoccupati) erano 1,251. Ad inizio decennio, invece, erano 10.151 e rappresentavano
il 2,6% della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione
2.923 rappresentavano il 10% della leva dei 14-16enni745.
745 La popolazione attiva ammontava a 386.485 abitanti; i 14-16enni a 29.305 Geo-demo ista.it
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 122 - Variazione del peso percentuale delle tipologie formative negli anni 1990-91 e
1995-96
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La distribuzione dei corsi e dei relativi allievi tra le due Province lucane appare
sbilanciato a favore della Provincia di Potenza (cfr. Graf. n. 123). Il capoluogo di Regione
contava circa 402.000 abitanti, quasi il doppio di Matera (208.000). Ma la distribuzione
dei corsi privilegia Potenza riservandole quasi il 90% degli interventi. Almeno
in questo caso l’accusa rivoltale di proporsi come Città-Regione sembra avere qualche
fondamento.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 124.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1993 (106,7 miliardi) e quelli più
alti sono quelli del 1995 (198,1 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa
146 miliardi di lire. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998
degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con l’82,9% supera la media italiana
(77,1%) di 5,8 punti. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: la spesa della
Formazione Professionale per abitante è pari a 384.274 lire (oltre 290.000 lire più
bassa della media italiana); quella rispetto alla forza lavoro è di 357.622 (258.000
lire in più rispetto al dato nazionale).
Grafico n. 123 - Distribuzione provinciale dei corsi e degli allievi
Grafico n. 124 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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Questi valori posizionano la Regione al primo e al quarto posto tra le Regioni
con una maggiore spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro. Il peso della
spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di
5,14%, un dato che la colloca al primo posto fra tutte le Regioni e Province Autonome.
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746 L. reg. n. 15 del 16 marzo 1990, Istituzione di un ruolo speciale ad esaurimento della Giunta
regionale per il personale della formazione professionale convenzionata, (data della legge modificata
con errata corrige B.U.R., n 33/1990), in B.U.R., 23 marzo 1990, Art. II.
747 ECAP CGIL, IAL CISL, ENFAP UIL, ENAIP ACLI, ANAPIA, CIPA, Padri Giuseppini del
Murialdo, IRIPA, CENASCA CONDOFURI, CENASCA Regionale, ENAPRA, ISPATA, ENIPLA,
ERCAPAICA, OIERMO, Padri Catechisti Rurali, CIF Catanzaro, CIF Regionale, CIOFS, CIFAP,
EFAL, ANAP, ESAC - Corsi Alberghieri FLORENS.
748 Cfr. Art. 4 “Il personale di cui alla presente legge è utilizzato nelle attività formative previste
dall’art. 31 della legge regionale 19 aprile 1985, n. 18 e, per la parte eccedente le esigenze dei piani
formativi annuali, nelle strutture da istituire a livello regionale e provinciale in attuazione degli artt. 36,
37, 38, e 39 della legge regionale 19 aprile 1985, n. 18” nonché presso gli uffici dell’innovazione tecnologica
di cui all’art. 28, settore 69, della legge regionale 21 aprile 1987, n. 11 ed ancora, ove necessario,
presso gli Enti locali destinatari delle deleghe regionali”.
8.19. Regione Calabria
L’unica Legge che viene approvata dalla Calabria nel periodo preso in considerazione
è la n. 15/90746, che “regionalizza” il personale degli Enti di Formazione Professionale.
Tale personale, infatti, può presentare domanda per l’ammissione ad un
concorso riservato per essere inserito nel ruolo organico regionale in una apposita
sezione speciale ad esaurimento.
Gli operatori interessati a questa operazione sono quelli:
– assunti prima della entrata in vigore della Legge organica (19 aprile 1985);
– con un’anzianità di almeno 5 anni;
– con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
– in servizio presso gli Enti della gestione convenzionata, elencati nell’allegato747.
Tutta l’operazione prende le mosse da una giudizio sostanzialmente negativo
sul personale. Per i decisori politici, infatti, gli operatori ai quali è destinato il provvedimento
rappresentano un elemento di rigidità del Sistema formativo. Il loro livello
medio di istruzione, il tipo di competenze disciplinari possedute e di mansioni
espletate lo rendono difficilmente utilizzabile per i nuovi interventi formativi, dei
quali si riteneva ci fosse bisogno.
In considerazione, peraltro, che la Regione ne sosteneva anche se indirettamente
i costi, si riteneva più opportuna e produttiva una sua utilizzazione all’interno
dell’amministrazione regionale.
In quale area operativa dell’Amministrazione? Si ripercorre la strada tracciata
da altre Regioni.
Infatti, muovendosi sulla scia dei modelli normativi già sperimentati dalla legislazione
umbra e, soprattutto, campana, la Calabria decide di impiegare gli operatori
provenienti dagli Enti convenzionati in attività formative a titolarità regionale, ma
anche in attività di orientamento e di osservazione del mercato del lavoro presso
“strutture da istituire a livello regionale e provinciale” nonché presso gli uffici dell’innovazione
tecnologica748 (cfr. Fig. n. 124).
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L’elenco delle destinazioni possibili per gli operatori corrisponde ai momenti
operativi previsti dall’Ordinamento degli Uffici del 1987749, che articolava le aree
funzionali in settori.
Nell’area A/15 Lavoro, emigrazione e Formazione Professionale rientravano
anche i settori 68 Formazione Professionale e 69 Orientamento Professionale, Mercato
del Lavoro, Innovazione tecnologica. Al settore 68 spettava :
“la trattazione degli affari riguardanti i piani pluriennali ed annuali dei corsi di formazione
professionale; la cura dei rapporti con la gestione convenzionata; la vigilanza e
controllo sulle attività formative anche per la verifica del corretto utilizzo dei finanziamenti
erogati; l’impostazione di progetti ed interventi formativi speciali; la cura dei rapporti
con gli organismi comunitari”.
Al settore 69 competeva:
“l’elaborazione di studi e programmi degli interventi formativi; iniziative di sperimentazione
e di progettazione didattico - metodologico; elaborazione e sperimentazione di programmi,
sussidi didattici ed audiovisivi; promozione di convegni e seminari; aggiornamenti, qualificazione
e riqualificazione del personale docente ed amministrativo; osservazione del mercato del
lavoro; orientamento professionale; educazione permanente”.
Oltre a espletare i compiti nelle attività formative, di orientamento, di osservazione
sul Mercato del Lavoro, di studio, ricerca, sperimentazione ed elaborazione di
sussidi didattici ed educazione permanente gli operatori potevano anche essere impiegati
presso gli “Enti locali destinatari delle deleghe regionali”.
Con un panel di opportunità così vasto non doveva essere problematico “sistemare”
650 persone (l’Isfol per l’a.f. 1989-90 parla di 440 docenti e 203 non docenti).
749 Legge Reg. 21 aprile 1987, n. 11 Ordinamento degli uffici regionali, in B.U.R. CALABRIA, n.
24 del 27 aprile 1987.
Figura n. 124 - Personale degli Enti di Formazione Professionale “regionalizzato” (L. Reg.
15/90)
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Anzi si attivavano servizi ancora non operativi o attività ancora non sviluppate
e si rendevano più efficienti gli uffici delle Province alle quali la L. n. 18 delegava
alcune funzioni amministrative.
Abbiamo citato come modelli di riferimento l’Umbria e la Campania. Replichiamo
le critiche fatte all’una e all’altra.
Ci troviamo di fronte ad un piano che presenta, all’apparenza, un alto livello di
plausibilità.
Al contrario quanto normato ha un grado di fattibilità molto basso. Infatti, bastava
porsi alcuni interrogativi per capire che questa manovra presentava rischi evidenti
di fallimento:
– Perché mai un personale giudicato, almeno in gran parte, con competenze obsolete
e inadeguate per la formazione può far fronte a compiti nuovi per i quali occorrono
competenze disciplinari specifiche?
– Perché mai un personale degli Enti convenzionati ritenuto inadatto per una
nuova Formazione risulta abile ed arruolato per la Formazione realizzata dalla
Regione nelle sue sedi?
– Per acquisire un bagaglio di competenze mancanti è sufficiente, come fa la
Legge, prevedere un intervento di aggiornamento, di cui non si stabilisce la durata,
ma soprattutto non ha un modello organizzativo cui fare riferimento? In
altri termini il personale che verrà avviato ad attività di orientamento e osservazione
sul mercato del lavoro quali competenze dovrà acquisire se ancora non
solo le strutture devono essere istituite ma non esiste nemmeno un progetto
sulla loro organizzazione e funzionamento?750
750 La legge, infatti afferma che “A tal fine, il regolamento di attuazione della legge regionale 19
aprile 1985, n. 18, da emanare entro 6 mesi dall’entrata in vigore di questa legge, provvederà, con specifica
e dettagliata normativa, all’articolazione degli uffici dell’Osservatorio sul mercato del lavoro e
dell’orientamento professionale e determinerà il personale, per numero e qualifica, da assegnare a ciascun
ufficio”.
Figura n. 125 - Aree e settori del sistema formativo (L. reg. n. 11/87)
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È la logica approssimativa che crede che basti una Legge per creare un’organizzazione
delle competenze e una funzionalità accettabile.
L’importante è fare una norma che, in questo caso, soddisfa i diretti interessati
che diventano pubblici dipendenti, con tutto ciò che questo significa in termini di
sicurezza occupazionale e di status, soddisfa i politici che rivendicano il merito
dell’operazione per incassare consensi elettorali e, cosa strana, soddisfa anche gli
Enti.
Mentre, infatti, in Umbria e in Campania la “regionalizzazione” del personale si
è tradotta, di fatto, in una eliminazione degli Enti convenzionati, in Calabria, invece,
gli Enti continuarono ad operare, non più nelle attività consolidate, ma su interventi
di carattere progettuale e utilizzando personale con rapporto di collaborazione professionale.
Peraltro questo precisa la Legge (e questo era il progetto originario) che modifica
l’art. 34 della L. reg. 19 aprile 1985, n. 18, sostituendolo con il seguente:
“Qualora gli interventi di formazione professionale prevedano l’insegnamento di specifiche
materie richiedenti parti colare esperienza o specializzazione tecnico-scientifica, la
Regione e gli altri soggetti che svolgono corsi di formazione professionale con finanziamenti
pubblici, possono ricorrere mediante collaborazioni professionali ad esperti provenienti
dal mondo delle imprese, dei servizi, delle libere professioni, degli istituti scientifici,
universitari e di ricerca”.
Occorre precisare peraltro che la soddisfazione degli Enti proveniva dal fatto
che, trasferendo alla Regione il personale a tempo indeterminato (quasi tutto impegnato
nella qualificazione di base) si privavano di operatori il cui costo, spesso, non
era completamente coperto dai parametri finanziari. Liberati da questo “pesi” gli
Enti potevano proporsi per la realizzazione di altre attività utilizzando contratti a
prestazione professionale.
Grafico n. 125 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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Che la manovra portasse di fatto ad un ridimensionamento del I e del II livello
lo dimostra in maniera inequivocabile la Tabella 77 che compara il numero dei corsi
programmati nel 1990-91751 con quelli del Piano annuale del 1995-96752. A metà decennio
sono stati previsti 178 interventi in meno dell’inizio degli Anni ’90. E le perdite
sono tutte concentrate nel I e II livello, che flettono rispettivamente di 60 e 135
corsi.
Queste variazioni determinano anche diversi equilibri percentuali. La prima
Formazione, che nel 1990-91 rappresentava il 28,5% (valore inferiore di 8,5 punti
alla media nazionale che faceva registrare il 37%) scende al 24,5% (aumentando la
forbice di circa 10 punti rispetto al valore nazionale che si ferma al 34,6%). Il secondo
livello sprofonda da un iniziale 36,2% al 6%. Se nel primo caso il dato calabrese
sopravanzava il valore medio nazionale (16,3%) di quasi 20 punti, nel secondo
751 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 78.
752 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71.
Tabella n. 77 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a. f. 1990-91 e
1995-96)
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caso rimane sotto la media italiana (12,7%) di oltre sette punti. In cinque anni il peso
del secondo livello in Calabria è sceso di 30 punti percentuali.
Gli interventi per adulti (disoccupati ed occupati) aumentano in termini relativi
di quasi 33 punti: passano dal 32,8% al 65,79%. Ma se nel primo anno non raggiungono
la media italiana del 35,1%, nel secondo, invece, la surclassano: il valore
medio italiano infatti nel 1995-96 si ferma al 45,4%. I corsi speciali sono pochi in
termini assoluti e contano poco in termini relativi sia nel 1990-91 (8% e 1,9%) sia
nel 1995-96 (9% e 3,8%).
Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due
anni assunti a riferimento? Dei 26 settori (compresa l’agricoltura e la categoria
“varie”) considerati nella Tabella 77 subiscono delle perdite superiore ai due corsi
(cfr. Graf. n. 126).
In ordine decrescente registriamo:
– il decremento eccezionale (–73) dell’area dell’Informatica (le perdite si concentrano
soprattutto nel II livello e negli interventi per gli adulti);
– decrementi consistenti nell’Agricoltura ed Elettricità-elettronica (–22) nell’Acconciatura
(–14) ed Abbigliamento e Calzatura (–11);
– decrementi più contenuti nelle Attività promozionali e pubblicità (–7), nella Cooperazione
e nei Beni culturali (–6) , nella Ristorazione e nello Spettacolo (–5).
In territorio positivo aumenta di 25 corsi l’Artigianato artistico (da 12 a 37 interventi)
e la Meccanica (10 corsi in più) grazie soprattutto ad un aumento dei corsi
di aggiornamento per adulti,
La distribuzione su base provinciale dei corsi programmati nel 1990-91 e la
conseguente ripartizione degli allievi viene illustrata dal Grafico 127.
Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 5.402 (meno
della Valle d’Aosta e della Provincia di Trento che in quell’anno prevedevano ri-
Grafico n. 126 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il
1995-96
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spettivamente 5.975 e 8.060 allievi); di questi quanti non erano mai entrati nella vita
attiva (inoccupati) e quanti avevano perso un’occupazione (disoccupati) erano
3.955.
Ad inizio decennio invece erano 5.881 e rappresentavano lo 0,4 % della popolazione
attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione, 1.711, rappresentavano
il 1,6% della leva dei 14-16enni753.
Per quanto riguarda le sedi formative operanti in Regione abbiamo due serie di
informazioni, entrambe di fonte Isfol: la prima è quella che censisce dai Piani di attività
il numero e la tipologia di struttura delle sedi e fa riferimento all’a.f. 1990-91754;
l’altra elenca tutti i CFP dell’a.f. 1992-93755. Entrambe possono essere assunte come
rappresentative della situazione che precede e che segue l’emanazione e l’applicazione
della L. reg. n. 15/90.
I risultati della prima indagine dell’Isfol sono riportati nella Tabella 78, da cui si
possono trarre queste considerazioni:
– la prevalenza (58,6%) di sedi utilizzate in maniera continua ed esclusiva per le
attività formative sulle sedi usate solo occasionalmente (41,4%), sta ad indicare
un sistema abbastanza strutturato e consolidato;
– la prevalenza (87,7%) della gestione convenzionata, comprensiva di CFP e sedi
occasionali, su quella pubblica (12,35), indica un sistema che fa abbondante ricorso
al privato sociale.
753 La popolazione attiva ammontava a 1.308.678; i 14-16enni a 103.678 Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
754 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
755 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
Grafico n. 127 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
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586
L’altra fonte di indagine (relativa all’a.f. 1992-93) censisce 58 CFP, di cui 19 regionali756
e 39 dell’area convenzionata. I 58 CFP sviluppano un volume di attività
pari a 296 corsi; la media corsi per CFP è pari a 5,1. I centri regionali fanno registrare
un rapporto corsi/CFP pari a 5,5; inferiore il valore dei CFP convenzionati pari
a 4,9. I CRFP in Provincia di Cosenza sono 9 (4 nel capoluogo e a Longobucco,
Mendicino, Bisignano, Camigliatello, Castrovillari), 3 in Provincia di Catanzaro
(Vibo Valentia, Crotone, Lamezia Terme) e 7 in Provincia di Reggio Calabria (2 nel
Capoluogo e a Roccella Jonica, Bagnara Calabra, Catona, Lureana di Borrello,
Locri).
Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP (3) sono l’ENAIP
delle ACLI (Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria), lo IAL della CISL (Cosenza,
Reggio, Lamezia) e il CIOFS delle Salesiane (Reggio, Soverato, Spezzano
Albanese). Tra gli Enti a carattere interregionale, con meno di tre CFP, ricordiamo: il
CIFAP Centro Interprovinciale Formazione e Addestramento Professionale (Cosenza
e Reggio Calabria), l’ANAPIA (Catanzaro), l’ENFAP della UIL (Reggio Calabria),
il CENASCA Centro Nazionale Associazionismo Sociale Cooperazione Autogestione
promosso dalla CISL757 (Condofuri), il CIF (Reggio Calabria), e
l’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo (Rossano Scalo). Sono Enti a carattere
regionale: l’Unitas Catholica (Reggio Calabria) l’IRACEB Istituto Regionale per le
Antichità Calabresi Classiche e Bizantine”758 (Rossano). Da menzionare anche
l’Ente bilaterale Scuola Edile di Reggio Calabria759.
756 Situati a: Fonzaso (BL), Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (2), Chioggia, Mestre,
San Donà di Piave (VE), Chiampo, Lonigo, Bassano del Grappa (VI), Vicenza, Bovolone, Zevio (VR),
Verona.
757 Il CENASCA ha lo scopo di promuovere il lavoro nel campo dell’economia sociale, del nonprofit,
dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione, dell’autogestione e di tutte le forme
di lavoro associato, atipico e innovativo, promuovendo ed organizzando iniziative e attività in tutti i
settori economici e sociali e realizzando specifici progetti.
758 Istituito con Legge regionale 9 novembre 1989, n. 6 «Norme per la costituzione dell’istituto regionale
per le antichità calabresi Classiche e Bizantine (IRACEB).
759 L’Ente Bilaterale per l’Edilizia della Provincia di Reggio Calabria nasce il 29 febbraio 1960
con la denominazione di “Centro per la Formazione delle maestranze edili ed affini della provincia di
Reggio Calabria”. Nel marzo 2001 prenderà il nome di “Ente Scuola Edile per l’Industria Edilizia ed
Affini della provincia di Reggio Calabria”. Nell’ottobre 2002 con l’accorpamento del “CPT - Comitato
Tabella n. 78 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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587
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 128.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (67,7 miliardi di lire) e quelli
più alti sono sono quelli del 1995 (180,9 miliardi di lire); la media del periodo è pari
a circa 118 miliardi di lire.
La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97) è dell’85,4% (media italiana 77,1%). Sotto questo
aspetto nel Meridione meglio della Calabria fanno solo la Sardegna (95,3%) e la Puglia
(91%).
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 87.485 lire, inferiore alla media italiana (93.951) di
quasi 6.500 lire; quella rispetto alla forza lavoro è di 27.748 distante dal dato nazionale
(99.534 lire) di quasi 72.000 lire (per la precisione 71.786).
Questi valori posizionano la Regione al dodicesimo e al sedicesimo posto tra le
Regioni relativamente alla spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale nei confronti della spesa totale
della Regione è di 1,10%. Anche in questo caso la Regione si pone al di sotto del
valore medio nazionale (1,39%).
Paritetico Provinciale per la prevenzione infortuni, l’igiene e l’ambiente di lavoro di Reggio Calabria e
provincia”, Ente fondato nel 1998, prende la denominazione di ESEFS - “Ente Scuola Edile per la Formazione
e la Sicurezza della Provincia di Reggio Calabria”. L’Ente è un istituto paritetico bilaterale,
senza scopo di lucro, costituito secondo quanto previsto dal Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori
Edili ed Affini.
Grafico n. 128 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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588
8.20. Regione Puglia
Nel periodo considerato da questo volume vengono emanate solo Leggi di modifica
ed integrazioni alla legislazione precedente. Questo complesso di norme (5
Leggi) possono essere ricondotte a due gruppi: il primo è formato dalla L. reg. 18/93
e dalla Legge di modifica, il secondo dalla L. 11/97 e dalle 2 Leggi di modifica.
Apre l’elenco la L. reg. n. 18 del 23.08.1993 Misure urgenti per il finanziamento
delle attività di formazione professionale. È una Legge omnibus, una miscellanea
di previsioni su tematiche gestionali diverse: riconoscimento di spese sostenute,
durata del piano annuale, tempi di pagamenti, liquidazioni di oneri derivanti
da disposizioni precedenti, disciplina della mobilità di personale, assunzioni di
nuovo personale con CTD o modifiche di alcuni commi della Legge organica della
Formazione Professionale, la n. 54/78 (durata dell’anno formativo, erogazione dei
finanziamenti agli enti, rendicontazione, mobilità del personale, sistemi di controlli…).
Isoliamo in questa sommatoria di previsioni normative alcuni commi che riguardano
il personale. Avevamo segnalato760 che, nel biennio 1985-1986, 500 operatori
avevano partecipato ad una attività di riqualificazione di 1.152 ore per essere avviati
a nuove attività nell’Osservatorio del Mercato del Lavoro (nella struttura regionale
e in quelle provinciali, denominate osservatori territoriali) in servizi per l’orientamento
e in Centri-pilota (individuati tra CRFP e CFP di Enti convenzionati e con
la funzione di elaborare prototipi formativi e di erogare formazione settoriale-specialistica).
La L. n. 18/93 sembra mutare il progetto originario, in quanto prevede:
– che sia la Regione a realizzare “le attività relative alla progettazione formativa,
all’orientamento professionale ed alla osservazione del mercato del lavoro e
delle professioni”761;
– che per questi compiti si avvalga della collaborazione delle Amministrazioni
provinciali;
– che le Province possono utilizzare “funzionalmente” gli operatori che hanno
partecipato ai percorsi di riqualificazione, “ferma restando la dipendenza giuridica
ed economica dagli Enti di appartenenza”.
La L. reg. 19.07.1994, n. 26 Integrazioni e modifiche alla legge regionale n. 18
del 23 agosto 1993 allarga la programmazione regionale delle attività anche “a
quelle autonomamente finanziate”, regolamenta le commissioni d’esami di qualifica
760 Cfr. volume II, p. 448.
761 Cfr. art. 10 comma 5 “Le attività relative alle progettazioni formative, all’orientamento professionale
e alle osservazioni del mercato del lavoro e delle professioni sono approvate dalla Giunta regionale,
sentita la competente Commissione consiliare, previa verifica della finanziabilità dei progetti da
parte della CEE e del Fondo Nazionale della Formazione Professionale”.
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589
762 Art. 26 (Albo regionale degli operatori della Formazione Professionale). Presso l’Assessorato
alla Pubblica Istruzione, che lo costituisce e lo aggiorna annualmente sono istituiti l’Albo regionale dei
docenti della Formazione Professionale dei lavoratori il quale si compone di tre parti e l’elenco del
personale non docente. Agli effetti della presente Legge per docente si intende sia l’insegnante teorico
che l’insegnante pratico. Nell’ambito di ciascuna parte, le iscrizioni nell’Albo dei docenti avvengono
in ordine alfabetico per provincia e per gruppo di insegnamenti. Nella prima parte vi sono iscritti, di
ufficio, i docenti dipendenti dall’Ente Regione e comandati (Ndr. Alle Province e ai Consorzi di Enti
locali). Nella seconda parte vi sono iscritti, a domanda, i docenti assunti dagli Enti gestori alla data del
30/9/1977. Nella terza parte sono iscritti i docenti che aspirano a partecipare a concorsi per l’assunzione
banditi dagli Enti delegati o convenzionati, ovvero i docenti che desiderino essere utilizzati come
supplenti presso i vari Centri.
763 Il provvedimento poi detta norme: a) per la decorrenza finanziaria e contabile del piano di formazione
professionale 1997; b) attività formative per utenze particolari: la Regione assume a proprio
carico gli oneri non finanziati dalla Unione Europea e dallo Stato in riferimento ad attività formative
destinate ad utenze particolari: tossicodipendenti, portatori di handicaps, ristretti in istituti di pena, minori
interessati da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, minori ad alto rischio; c) attività formativa
autonomamente finanziata: la Regione riconosce le attività formative autonomamente realizzate nell’anno
1996 che abbiano ottemperato ad alcune condizioni.
764 Non è possibile fare la comparazione tra aa.ff. 1990-91 e 1995-96, come abbiamo fatto per le
altre Regioni, perché per quest’ultimo anno formativo l’Isfol rileva solo 608 corsi programmati (cfr. SISTAN-
ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività
programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71), un dato non in linea con il volume corsuale abitualmente
pianificato dalla Puglia. Pertanto ogni comparazione risulterebbe viziata dalla eccezionalità di questo
dato.
765 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 74.
per estetista, definisce la decorrenza finanziaria e contabile del Piano annuale 1993-
94, e specifica che la mobilità del personale avviene tra Enti di Formazione e tra
Ente e soggetti delegati.
Il secondo blocco di normative è rappresentato dalla L. reg. 28.03.1997, n. 11
Misure urgenti per la formazione professionale e dalle Leggi di modifica: a) L. reg.
del 28.03.1997, n. 12 Modifiche della legge regionale “Misure urgenti per la formazione
professionale”; b) L. reg. 12.1.2.1997, n. 20 Modifica della legge regionale 28
marzo 1997, n. 11 “Misure urgenti per la formazione professionale”. La L. n. 11
detta nuove procedure di programmazione:
a) il 40% delle risorse finanziarie disponibili nelle singole annualità del sottoprogramma
del Programma Operativo Plurifondo (POP) Puglia 1994-1999, è assegnato
sulla base di avvisi;
b) il restante 60% è “assegnato con procedura di selezione che privilegi interventi
formativi che possano essere attuati utilizzando gli operatori di cui all’albo ed
all’elenco762 previsti dall’art. 26 della lr 54/ 1978”763.
La soluzione proposta intende rispondere alle sollecitazioni dell’UE di adottare
procedure di tipo concorsuale, ma anche alla preoccupazione di difendere i livelli
occupazionali maturati dal personale con CTI.
Nel 1990-91764 sono stati programmati 1.417765 corsi (cfr. Graf. n. 129): il 47,6%
sono del Terziario, il 30,9% dell’Industria e Artigianato, mentre l’Agricoltura
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590
(grazie soprattutto ad un numero consistente di interventi, 438, destinati ad un’utenza
adulta, di solito, lo rammentiamo, di breve se non brevissima durata) fa registrare
il 21,5%. Questo numero di corsi nel primario eccezionalmente alto va tenuto
sempre presente nell’analisi, in quanto fattore altamente condizionante il quadro
Tabella n. 79 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91)
Grafico n. 129 - Numero di corsi del settore Industria e Artigianato
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591
complessivo dei dati. I corsi programmati più numerosi dell’Industria sono quelli
del settore Elettricità elettronica (95 interventi) e Meccanica metallurgia (81 interventi).
Il primo settore del terziario per numerosità di interventi è l’Informatica (206
interventi) e l’area professionale Lavori d’ufficio (145 interventi): insieme rappresentano
oltre la metà del volume corsuale programmato nel macrosettore Terziario.
Per quanto riguarda la tipologia formativa abbiamo, in sintesi, la situazione seguente:
– i corsi di qualificazione di base (323) fanno registrare il 22,8%, del volume corsuale
complessivo; un valore inferiore di circa 14 punti alla media nazionale
(37%);
– il secondo livello (230 interventi) con il 16,2% si allinea al dato nazionale
(16,3%);
– i corsi per adulti, occupati e disoccupati (749, di cui 417 in agricoltura, pari al
52,9%) sopravanzano il valore nazionale (35,1%) di quasi 18 punti;
– i corsi speciali (19) fanno registrare un peso percentuale pari all’8%, inferiore di
3 punti rispetto alla media italiana di 11,3%.
Grafico n. 130 - Numero di corsi dei settori del Terziario
Grafico n. 131 - Peso percentuale delle tipologie formative (a.f. 1990-91)
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592
La distribuzione dei corsi per le 5 Province pugliesi (e di conseguenza la ripartizione
degli allievi previsti) riflette sostanzialmente il numero degli abitanti di ciascuna
Provincia (cfr. Graf. n. 132).
Gli allievi erano 23.570 e rappresentano lo 0,9 % della popolazione attiva (14-
60enni); gli allievi della prima qualificazione, 5.517, rappresentano il 2,6% della
leva dei 14-16enni766.
Nell’a.f. 1990-91, su un totale di 146 sedi i CFP sono 122, pari all’83,6% (cfr.
Tab. n. 80). Il rapporto tra CFP e sedi è un dato importante perché misura il livello di
strutturazione del sistema (un numero maggiore di CFP dà l’idea del consolidamento
e della ricorrenza, mentre più sedi occasionali danno l’idea della prevalenza
della dimensione progettuale e della flessibilità). Nel caso della Puglia siamo ben al
di sopra della media italiana (40,1).
Sempre per quanto riguarda i CFP, il rapporto tra gestione pubblica (19 delle
Province e 2 della Regione) e gestione convenzionata privata è di 17,3% e 82,7%. Il
rapporto CFP/corsi è di 7,8. Migliore (8,1) il valore dei CFP degli Enti rispetto a
quelli pubblici (7,8).
766 La popolazione attiva ammontava a 2.606.594 abitanti; i 14-16enni a 215.084 Geo-demo ista.it
Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
Grafico n. 132 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
Tabella n. 80 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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593
Dall’altra indagine Isfol relativa all’a.f. 1992-93767 si ricava: sono solo due gli
Enti con un numero di CFP superiore a 10: l’ENAIP (con 19) e l’EPCPEP (Ente Pugliese
per la Cultura Popolare e l’Educazione Professionale, con 15). L’Ente delle
ACLI è presente in tutte le Province (Bari, Modugno, Andria, Acquaviva delle Fonti,
Ruvo di Puglia, Monopoli, Molfetta, Barletta, Brindisi, Orto Nova, San Severo,
Foggia, Lucera, Lecce, Novoli, Tricase, Taranto, Martina Franca). L’EPCPEP ha una
diffusione capillare in Provincia di Bari (Rutigliano, Alberobello, Trani, Molfetta,
Terlizzi, Andria, Gravina, Bitonto, Conversano, Turi, Gioia del Colle, Bari) e una
presenza a Brindisi e Foggia; tutti gli altri Enti non arrivano a 5 CFP. Tra questi lo
IAL della CISL con 3 (Taranto, Casarano, IIP Istituto Istruzione Professionale); 3
(Brindisi, Modugno, Trani) l’IFAP Istituto per la Formazione e l’Addestramento
Professionale dell’IRI; 3 (Brindisi, Bari, Foggia) l’IRAPL Istituto Regionale Addestramento
Perfezionamento Lavoratori; 3 (Manfredonia, San Severo, Lucera), TECNOPOLIS
C.S.A.T.A. 1 (Valenzano), il CNIPA Consorzio Nazionale Istruzione Professionale
Artigianato 1 (Bari), il CEFME Centro per la formazione delle maestranze
edili 1 (Andria). Cospicua la presenza di Enti di cultura cattolica: oltre i Salesiani
con il CNOS-FAP (Lecce) e le Salesiane con il CIOFS (Fragagnano, Martina
Franca, Taranto, Ruvo di Puglia, Bari) segnaliamo l’Istituto Maschile S. Pietro Apostolo
(Cagnano Varano, San Menajo, Vico del Grgano), l’ITCA Istituto Terziario
Cappuccini dell’Addolorata (S. Severo, S. Giovanni Rotondo, Lecce), l’Ente Diocesano
D’apostolato sociale (Taranto).
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 133.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1996 (38,9 miliardi di lire) e quelli
più alti sono sono quelli del 1991 (264,8 miliardi di lire); la media del periodo è pari
a 154 miliardi di lire circa.
Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni
assunti nel triennio 1995-97) con il 91% (media italiana 77,1%).
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 42.834 lire, inferiore alla media italiana (93.951 lire)
di oltre 50.000 lire; e quella rispetto alla forza lavoro è di 85.477 lire, distante dal
dato nazionale (99.534 lire) di quasi 14.000 lire.
Questi valori posizionano la Regione al ventunesimo e al dodicesimo posto tra
le Regioni relativamente alla spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale nei confronti della spesa totale
della Regione è di 0,46%. Anche in questo caso la Regione si pone al di sotto del
valore medio nazionale (1,39%).
767 SISTAN-ISFOL (a cura di RUBERTO A. e GHERGO F.), Distribuzione dei Centri di Formazione
Professionale in Italia - anno 1992-93, op. cit., pp. 85-97.
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Grafico n. 133 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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8.21. Regione Sicilia
La Sicilia è l’unica Regione a mantenere, anche negli Anni ’90, una Legge regionale
sulla Formazione Professionale (la n. 24/76) emanata prima della Legge
quadro del 1978, addirittura due anni prima, lontana, quindi, anche da quel clima
culturale molto fecondo da cui è scaturita la norma nazionale. A questa incapacità di
dare regole più aggiornate al Sistema formativo fa riscontro la capacità di promuovere
un volume di attività consistente, tanto da connotarsi come “Regione erogatrice”
piuttosto che “Regione regolatrice”. Quando si parla degli aspetti quantitativi
la Sicilia si colloca sempre nelle prime posizioni nelle classifiche regionali per numero
di corsi, di allievi, di sedi operative e di risorse finanziarie a disposizione.
Numeri importanti se si considera che nell’a.f. 1995-96 i corsi programmati
erano 2.516 pari all’11% di tutto il volume corsuale nazionale (di questi 1.859 di
primo livello corrispondente al 23,3% del dato italiano), gli allievi previsti 39.473
(9,7% di tutti gli allievi dei sistemi regionali di tutte le Regioni) e 511 le sedi formative
di cui 251 CFP (rispettivamente pari al 13,2% e al 9,7% su base nazionale).
Inoltre la Regione ha avuto a disposizione una ingente quantità di risorse finanziarie.
Nel periodo 1990-97, in media ogni anno, poteva impegnare 518 miliardi e 65 milioni
di lire, toccando punte, come nel 1997, di quasi 800 miliardi (precisamente
796,1 miliardi di lire).
Naturalmente, l’immobilismo sul piano culturale-regolamentare da un lato e
l’entità delle attività dall’altro, un’offerta formativa quasi esclusivamente per i giovani
e un sistema gestionale quasi monopolizzato dagli Enti, possono indurre il sospetto
che il Sistema formativo siciliano vada avanti per inerzie e interessi gestionali,
con scarsa o nulla attenzione alle esigenze dell’utenza. Sospetto che è diventato
spesso aperta condanna nella letteratura del settore quando si parla di “formazione di
assistenza” invece che “formazione per il mercato” 768.
Per dare una valutazione del fenomeno Sicilia partendo dai fatti, ci avvaliamo di
una indagine769 che ha riguardato l’utenza dei Corsi di Formazione di base nell’anno
formativo 1991-92 gestiti dagli Enti confederali (ECAP della CGIL, IAL della CISL
ed ENFAP della UIL) e dal CNOS-FAP dei Salesiani nei 9 capoluoghi di Provincia
della Regione. L’indagine ha raggiunto un numero complessivo di 1.112 unità770
chiamate ad esprimere, in un’intervista telefonica, una valutazione sul grado di produttività
/ efficacia delle attività frequentate.
768 PITRUZZELLA G., La formazione professionale in Sicilia. Profili giuridico istituzionali, F. Angeli,
2000.
769 PINO E., Attività formative e tendenze occupazionali in Sicilia, in Osservatorio Isfol 1994, n. 2
marzo aprile, pp. 74-94.
770 Se si assume come base di calcolo il totale degli utenti per le sedi cittadine dei Centri di Formazione
che risultano previsti in 11.360 unità si tratta di una percentuale pari al 9,9% del totale.
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Il campione è rappresentato dal 71,2% di ragazze (801) e dal 28,8% di ragazzi
(321).
Questo dato offre indicazioni su due fenomeni che caratterizzano gli assetti del
sistema formativo siciliano; fenomeni tra loro correlati:
– la femminilizzazione della Formazione Professionale, peraltro speculare alle
caratteristiche generali della disoccupazione in Sicilia, dove esiste il più alto
tasso di disoccupazione femminile;
– la progressiva crescita di attività formative nei settori sociali e terziari, più appetibili
per le donne, a scapito dei percorsi formativi nell’industria e nell’agricoltura,
tradizionalmente più richiesti dagli uomini771.
L’età dei soggetti coinvolti nell’inchiesta converge (per quasi l’80%) nelle fasce
15-20 anni e 20-25. La polarizzazione indica un concentrazione dei processi formativi
nelle fasce giovanili dove peraltro è possibile rilevare il massimo di disoccupazione,
mentre sono del tutto marginali le attività formative rivolte a soggetti adulti e
in condizione lavorativa. Si tratta di due blocchi di utenti di pari consistenza che si
collocano rispettivamente nei processi formativi successivi all’obbligo e al diploma.
Infatti, il 66% del campione (15-20 anni) ha frequentato solo la scuola dell’obbligo e
il 70% dei 20-25enni possiede un titolo superiore all’obbligo. In particolare i titoli di
studio in ingresso sono quelli del Grafico 134. Delle 801 donne il 55,5% possiede almeno
il diploma; mentre dei 321 maschi il 49,9%.
Il campione ha frequentato 78 differenti tipi di profili; i dieci più frequentati
sono quelli del Grafico 135 che hanno visto la partecipazione di 635 allievi.
771 PINO E. e CARNESI F. (a cura di), Analisi dei processi formativi in Sicilia, Palermo 1991; Coop
Progetto Meridione Messina La disoccupazione in Sicilia; PINO E., Condizione femminile e mercato
del lavoro, Rivista Segno, 1991; PINO E. (a cura di), Caratteristiche della offerta formativa e tipologia
dell’utenza in Sicilia, 1992, ciclost.
Grafico n. 134 - Livelli di studio del campione
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597
Gli altri utenti (411) sono distribuiti nell’ambito di 68 profili professionali con
una dispersione molto larga. Si noti l’assenza di profili connessi all’Industria, all’Agricoltura,
al Turismo.
L’unico corso che fuoriesce dal settore commercio, così come classificato dal
Piano regionale 1991-92, è la qualificazione per assistenti agli anziani nell’ambito
sociale. Se volessimo rag gruppare diversamente le attività per aree professionali più
ampie ed omogenee ne risulterebbe che:
1) l’area informatica coprirebbe il 25,3% delle attività formative;
2) l’area del lavoro di ufficio comprensiva dei profili tradizionali (dattilografo e
steno) e di quelli innovativi (stenotipisti e operatori di ufficio automatizzati) si
attesterebbe complessivamente al 16%;
3) quella estetica, anche qui tradizionale (come i parrucchieri) od innovativa
(come gli estetisti) sfiorerebbe il 12% (11,6%);
4) l’area di intervento sociale rimarrebbe al 5%.
Si tratta quindi di una utenza cui si offre (e che in qualche modo ricerca):
a) una competenza in materia informatica come veicolo per uno sviluppo professionale
più adeguato;
b) una competenza nelle professioni dipendenti tradizionalmente rivolte alle
donne come le aree del lavoro di ufficio;
c) una qualificazione di quegli ambiti, come l’estetica, che possono sempre permettere
con riferimento esclusivo al target femminile delle rapide possibilità di
immissione nel lavoro in forma autonoma o alle dipendenze;
d) una qualificazione nel sociale per i lavori di assistenza agli anziani nel cui ambito
l’istituzione regionale ha stanziato risorse importanti e notevoli possibilità
di occupazione (anche se non continuativa).
Grafico n. 135 - I corsi più frequentati dal campione
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598
Se incrociamo i dati relativi all’attività di qualificazione con quelli del sesso si
scopre che nel Sistema formativo regionale opera un meccanismo di differenziazione
che assegna agli uomini una possibilità di accesso ai profili di più alto contenuto
tecnologico (informatica: per la qualifica di programmatore) mentre posiziona
le donne nelle tradizionali collocazioni del lavoro operativo/subalterno d’ufficio
(con una presenza dell’89%), nelle attività di cura all’aspetto della persona (99%) e,
infine, nelle attività di accudimento dei soggetti deboli (87%).
Il 19,3% degli intervistati ha frequentato più di un corso (il 16,3%, corrispondente
a 184 unità, ha partecipato a due interventi; il 3,1%, pari a 35 giovani, a 3 interventi
e lo 0,3%, equivalente a 4 intervistati, 4 interventi). Le motivazioni che sono
state addotte si dividono al 50% tra quelli che hanno reiterato l’attività formativa per
“interesse al corso” e quelli invece che hanno partecipato a due o più corsi “perché
non avevano trovato lavoro” (41%) o “per l’indennità di frequenza” (8%). In effetti
le ultime due risposte si equivalgono; nel senso che la seconda esplicita quello che
non ha il coraggio di dire la prima. Chi non ha trovato lavoro dopo la frequenza di un
primo corso crede opportuno frequentarne un secondo se non un terzo o addirittura
un quarto perché almeno si assicura una qualche fonte di reddito. Si consideri, infatti,
che dal 1991-92 si è provveduto a determinare una indennità di frequenza fortemente
rivalutata rispetto agli anni precedenti.
Se si guarda all’impatto occupazionale dell’attività formativa rilevata a distanza
di un anno dalla sua conclusione si ricava che la percentuale generale di coloro che
hanno dichiarato di possedere una occupazione risulta pari al 25,2%. Si tratta, infatti, di
283 unità su un totale di 1.122; 176 sono le donne e 107 gli uomini. Se scomponiamo
questo tasso generale per sesso rileviamo che le donne, che rappresentano il 71,4% degli
intervistati, risultano occupate nella misura del 22%; mentre i maschi che costituiscono
il 28,6% del campione, risultano occupati nella misura del 33,3%.
Si tratta indubbiamente di un andamento tipico delle condizioni del mercato del
lavoro in Sicilia che confermano i fenomeni di esclusione lavorativa riferita alle
donne; esclusione che in questa Regione raggiunge la percentuale più alta del Paese.
Se si distribuiscono gli occupati (almeno 5) per qualifica, abbiamo i risultati resi
dal Grafico 136 dove i percorsi formativi con maggior successo risultano quelli dell’Informatica
con il 26% (programmatore con il 15% e operatore PC con l’11%).
In questa classifica rientrano 158 ex allievi, gli altri 115 risultano distribuiti in
34 profili formativi.
Come si deduce dal Grafico 137 non vi è una correlazione assoluta tra numero
di partecipanti ai vari tipi di processi di qualificazione e il numero di occupati; infatti,
compaiono qui alcune qualifiche dei settori Industria e Turismo, che non erano
comprese nella graduatoria dei primi 10 corsi più frequentati.
Il Grafico 138 restituisce, invece, il rapporto tra allievi frequentanti e allievi occupati
nelle 11 qualifiche che hanno contribuito a far conseguire almeno 5 posti di
lavoro. In quale tipo di lavoro hanno trovato collocazione i 289 allievi che si sono
occupati? La grande maggioranza, 73,7%, nel lavoro dipendente; l’11,6% nel lavoro
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599
autonomo artigianale; il 4,2% nel lavoro autonomo commerciante; il 5,5% esercita
la professione libera. Un restante 3,8% non è classificato.
Grafico n. 136 - Distribuzione degli allievi/allieve occupati per percorsi di qualifica (collocazione
= 0 < a 5 unità)
Grafico n. 137 - Rapporto tra frequentanti e occupati
Grafico n. 138 - Occupati per tipo di lavoro
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600
Da tutto ciò deriva una serie di ipotesi interpretative per cui:
– il lavoro dipendente è quello che assicura circa i 2/3 di sbocco lavorativo ai soggetti
in formazione. In esso trovano accesso tutte le principali qualifiche dei diversi
settori, ivi compreso quelle del settore industriale e turistico (che risultano
minoritarie nell’ambito delle attività formative) e trovano sbocco prevalente
anche le nuove qualifiche del terziario (stenotipisti);
– nel lavoro autonomo commerciale ed artigiano si polarizzano le professionalità
di tipo estetico che permettono probabilmente l’avvio di attività a basso costo
fisso.
Tutto ciò dà l’idea di un sistema connotato per un mercato del lavoro tradizionale
con una organizzazione del lavoro arretrata in cui cominciano a trovare alcuni profili
più moderni ed innovativi corrispondenti alle esigenze emerse in particolare nel settore
privato convenzionato (assistenti agli anziani, stenotipisti). Uno degli elementi finali
che l’indagine ha rilevato è la percezione della utilità del processo formativo ai fini
dell’occupazione. La richiesta è stata avanzata a quanti hanno dichiarato di essere occupati.
Le risposte sono sorprendenti: formulano un giudizio positivo sulla efficacia
occupazionale dei percorsi “solo” il 48%; peraltro la maggioranza di questi (32,7%) si
attesta su un tiepido “abbastanza”, solo l’11,6% esprime un convinto “molto” e una
quota residuale arriva ad un “moltissimo” (cfr. Graf. n. 139).
Considerando la sostanziale attendibilità dei risultati della ricerca (anche se gli
intervistati sono solo frequentanti di CFP delle città capoluogo), possiamo affermare
che questa indagine ci consegna queste caratteristiche di fondo del Sistema formativo
della Regione Sicilia (cfr. Graf. n. 126):
– l’utenza è prevalentemente giovanile (80% rientra nella fascia 15-25 anni), sia
sul versante del post-obbligo che di quello del post-diploma;
Grafico n. 139 - Valutazioni sulla utilità della formazione ricevuta da parte di chi ha trovato
lavoro
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601
– il target è soprattutto femminile (70% di tutti gli allievi); fenomeno che tendenzialmente
sposta l’offerta di corsi dai settori dell’industria e dell’agricoltura,
tradizionalmente più richiesti dai maschi, a quelli del terziario e del sociale sentiti
come più congeniali dalle donne;
– le donne si iscrivono soprattutto a percorsi formativi finalizzati all’acquisizione
di competenze di tipo operativo mentre i maschi in interventi per profili con più
alto contenuto tecnologico;
– l’offerta formativa si frastaglia in innumerevoli qualifiche e profili professionali;
l’informatica è l’unica area che riesce a intercettare una quota d’utenza vicina
al 25%;
– un numero considerevole di allievi (quasi il 20%) frequenta in successione più
corsi, ma la metà di loro, lo fa per assicurarsi una fonte di reddito mediante l’indennità
di presenza;
– dopo un anno dal conseguimento della qualifica un allievo su quattro entra nel
mercato del lavoro (le allieve femmine una su cinque, i maschi uno su tre), soprattutto
nel lavoro dipendente (2 su 3 allievi);
– più della metà degli allievi occupati esprime una valutazione negativa sulla utilità
della formazione ricevuta.
La Tabella 81 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi,
all’inizio del decennio (a.f. 1990-91)772 e cinque anni dopo (a.f. 1995-96)773.
Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia
per macrosettore e comparto professionale.
772 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 779.
773 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 76.
Figura n. 126 - Connotazioni del sistema formativo siciliano
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602
Nel 1995-96 sono stati realizzati 100 corsi in più rispetto al 1990-91. A livello
di macrosettori: l’Agricoltura aumenta in maniera quasi impercettibile (da 170 a
173), consistente il decremento dell’Industria (–86), rilevante l’aumento del Terziario
(+183, dovuto soprattutto all’exploit dei Lavori d’ufficio).
Tabella n. 81 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
Grafico n. 140 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e
1995-96
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603
Queste variazioni determinano anche dei cambiamenti, più o meno rimarchevoli,
nel peso di ciascun comparto: il settore agricolo passa dal 7% al 6,8%; l’industria
e l’artigianato diminuiscono di 4,4 punti, a vantaggio del Terziario che ne guadagna
4,6. Nel macrosettore Industria e artigianato, nelle annualità prese a riferimento,
le prime due posizioni sono occupate dalla Meccanica e dall’Elettricità elettronica,
anche se subiscono delle variazioni di segno opposto: la prima decresce
(–26 corsi), la seconda cresce anche se leggermente (+4).
Dalla terza posizione si registrano dinamiche non omogenee: aumentano l’Edilizia
(+16), l’Artigianato artistico (+76) e la Grafica (+41); diminuiscono i settori
dell’Alimentare, della Grafica e soprattutto dell’Abbigliamento (rispettivamente
con –8, –17 e –117). Nel macrosettore Terziario invece i settori o le aree professionali
che crescono sono: i Lavori d’ufficio (in maniera esponenziale, da 490 a 736), i
Servizi sociali ed educativi (da 146 a 156) e il Turismo (da 72 a 127).
Fanno, invece, registare decrementi consistenti l’Informatica –211 (soprattutto
a causa della drastica riduzione dei percorsi formativi di primo e secondo livello,
non compensata dal maggior numero di interventi destinati ad una utenza adulta) e
l’Ecologia –42, (per l’azzeramento dei corsi di questo settore nelle attività per gli
adulti). Di minore entità le diminuzioni dell’Acconciatura (–23), dei Beni culturali e
della Ristorazione (cfr. Graf. n. 141).
A proposito di settori ed aree professionali, l’indagine menzionata metteva in
luce una caratteristica negativa del sistema siciliano: la frantumazione dell’offerta
formativa in un numero impressionante di qualifiche e profili professionali. Va ricordato
che per l’anno formativo 1993-94 si è proceduto ad una riclassificazione e
semplificazione delle denominazioni delle qualifiche da conseguire al termine dei
corsi. In effetti, si è trattato di una razionalizzazione minima: le tipologie di qualifi-
Grafico n. 141 - Aumenti e decrementi dei settori e delle aree professionali del Terziario nella
programmazione delle attività negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96
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604
cazione sono passate da 550 a 320. Erano esageratamente troppe prima, sono rimaste
troppe dopo.
Per quanto riguarda le tipologie formative (cfr. Graf. n. 142) c’è un exploit in
valori assoluti dei corsi di prima qualificazione (+623) a fronte di una consistente
flessione del II livello (–158) e dei corsi speciali (–65) e di una una débacle dei corsi
per occupati e disoccupati adulti (–196). Questa situazione determina nuovi equilibri
tra le tipologie formative, perché necessariamente è cambiato il loro peso percentuale:
la prima qualificazione fa un impressionante balzo da 54% a 74%. Tale
exploit fa regredire il peso percentuale delle altre offerte formative: il secondo livello
dal 25% al 18%, i corsi speciali dall’8% al 3% e quelli per utenze adulte dal
13% al 5%.
I 40.153 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,3% della popolazione attiva (14-
60enni); i 22.932 allievi della prima qualificazione rappresentano il 9,4% della leva
dei 14-16enni774.
Come detto per altre Regioni, l’Isfol per la seconda annualità, quella dell’a.f.
1995-96, fornisce informazioni di maggiore dettaglio per ciascuna offerta formativa775.
Dei 1.859 corsi di primo livello “solo” il 43,8% sono biennali e il 54% annuali
(il valore più alto tra tutte le Regioni). Invece, dei 452 corsi di II livello, la quasi totalità,
450, sono destinati a qualificare i diplomati, 2 sono corsi in integrazione tra
Scuola e Formazione Professionale; nessun corso per laureati.
774 La popolazione attiva ammontava a 3.139.845; i 14-16enni a 243.539 Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione
Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
775 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata dalle Regioni nel 1995- 96, op. cit., p. 94.
Grafico n. 142 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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605
I corsi destinati, secondo la dizione dell’Isfol, ad un’utenza adulta, comprendono
percorsi formativi (di qualificazione, riqualificazione, orientamento al lavoro,
aggiornamento, specializzazione, perfezionamento) per occupati (79 interventi) e
disoccupati (39 interventi). Infine, gli 87 corsi speciali sono tutti riservati alle categorie
deboli. Se confrontiamo i dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi
riscontri: la prima formazione in Sicilia è al di sopra della media italiana (34,6%) di
oltre 39 punti percentuali; il secondo livello invece, pur avendo una flessione importante,
supera il valore nazionale (12,6%) di più di 5 punti: le attività per adulti che si
attestano su un mediocre 4,7% si distanziano addirittura di oltre 40 punti dal valore
nazionale (45,1%) e infine i corsi speciali, che rappresentano il 3,4% sono molto inferiori
al dato medio nazionale (7,5%).
La distribuzione dei corsi e relativi allievi per le 9 Province della Sicilia viene
riportata nel Grafico 143. È una distribuzione che sostanzialmente rispecchia il numero
di abitanti di ciascuna di esse.
Nella Tabella 82 vengono riportati i dati Isfol sulle strutture formative, relativi
all’anno formativo 1990-91776, dai quali possiamo trarre queste considerazioni:
– la prevalenza delle sedi utilizzate per attività occasionali e non ripetitive (407,
pari al 70,1% di tutte le sedi della Regione) sui CFP, cioè sulle sedi utilizzate in
maniera continua ed esclusiva per le attività formative (261, equivalenti al
31,9%), dà l’immagine di un Sistema formativo capillarmente distribuito sul
territorio, ma anche parcellizzato. Non c’è paese che non abbia la sua “piccola
sede”;
776 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
Grafico n. 143 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
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606
– c’è un regime quasi monopolistico della gestione convenzionata. La ridottissima
presenza pubblica era, infatti, rappresentata solo dai CFP dei CIAPI nei
quali peraltro la Regione era socio di maggioranza e dava una quota corsuale
quasi simbolica realizzata da Comuni ed Amministrazioni provinciali in sedi
occasionali e per attività non ricorrenti.
Contrariamente infatti a quanto avvenuto per altre Regioni, l’INAPLI, l’INIASA
e l’ENALC, una volta trasferite alle Regioni, hanno cessato l’attività formativa e
il personale è stato impegnato negli Uffici regionali (prevalentemente) e negli Uffici
ed Ispettorati provinciali del lavoro (in Sicilia dipendenti dalla Regione).
Un’altra indagine Isfol relativa all’a.f. 1992-93777, censisce 309 CFP, tutti di Enti
convenzionati (solo 2 del CIAPI)778 (cfr. Graf. n. 144). L’Ente con il maggior numero
di CFP è l’ENAIP con 47 sedi. Tutti nelle prime posizioni sono gli Enti di emanazione
sindacale: ECAP della CGIL (34), IAL della CISL (26) ed ENFAP della UIL
(21). Nell’alta classifica troviamo anche il CE.FO.P.779 (34 sedi) e il CIOFS delle Salesiane
(28). I CFP di questi sette Enti, tutti al di sopra delle 20 sedi, rappresentano il
61,5% di tutti i CFP disseminati nella Regione. Nella fascia da 20 a 10 CFP troviamo
solo l’ENAP (13). Più affollata la classe 10-5 corsi, dove rileviamo, in ordine decrescente:
l’IRECOOP della Confederazione cooperative italiane780 e l’ANFE Associazione
nazionale famiglie migranti (8)781, il CNOS-FAP dei Salesiani, l’IRFAP e il
777 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
778 La differenza tra la prima e la seconda indagine sul numero dei CFP censiti è dovuto prevalentemente
al fatto che alcune sedi distaccate vengano considerate come CFP invece che sedi occasionali.
779 Il CE.FO.P, nato nel 1978 come emanazione della Comunità Braccianti.
780 La Confederazione cooperative italiane, meglio conosciuta con la sigla Confcooperative, è una
delle principali associazioni di cooperative italiane. Fondata nel 1919, si basa sui principi dell’Alleanza
cooperativa internazionale e sulla dottrina sociale della Chiesa. La sede centrale è a Roma e ha un’organizzazione
che si articola orizzontalmente in 22 unioni regionali, 81 unioni provinciali e 7 unioni interprovinciali.
781 È un’associazione senza fini di lucro fondata nel 1947, con sede nazionale a Roma. La Delegazione
Regionale Sicilia opera dagli Anni ’50.
Tabella n. 82 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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607
CESIFOP Centro siciliano per la Formazione Professionale (6), l’Enapra Ente nazionale
per la ricerca e la formazione in agricoltura della Confagricoltura (7)782, il
CRSRT Centro regionale siciliano radio e televisione e l’ACS Associazione cultura
e sport. Nell’ultima fascia notiamo la presenza di Enti a diffusione nazionale:
l’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo, il CIF del Centro Italiano Femminile e
l’ENDO della congregazione fondata da Don Orione. Il rapporto tra CFP e corsi è
pari a 6.5.
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 145.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (353,4 miliardi di lire) e quelli
più alti sono quelli del 1997 (796,1 miliardi di lire); la media del periodo è pari a
circa 568 miliardi. Mediocre la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro
il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): con il 70,9% (media italiana
77,1%) si colloca alla sedicesima posizione tra tutte le Regioni. Dal bilancio consuntivo
del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è
pari a 172.216 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 259.92788. Nel primo e nel
secondo caso i valori siciliani superano di molto quelli nazionali (rispettivamente di
93.951 lire e di 99.534 lire). In una classifica regionale la Sicilia si pone in quinta
posizione per spesa per abitante e in sesta per spesa rispetto alla forza lavoro. Il peso
della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è
di 3,9%, un dato che la colloca dietro solo alla Basilicata e lontano dalla media nazionale
di 1,71%.
782 La Confagricoltura (Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana) è una delle principali
organizzazioni degli agricoltori in Italia, oltre che la più antica per data di costituzione. Si articola in
18 sezioni regionali e 95 provinciali, oltre che per Federazioni di prodotto.
Grafico n. 144 - Numero di CFP per Enti di formazione
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Grafico n. 145 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
(di competenza)
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783 Alla Regione Autonoma della Sardegna vengono “delegate” le funzioni amministrative dello
Stato in materia di “istruzione artigiana e professionale” solo nel 1975, con il D.P.R. n. 480.
784 Cfr. vol. II, p. 462.
785 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale
- Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 77.
786 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 80.
Grafico n. 146 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e
1995-96
8.22. Regione Autonoma della Sardegna
Nel periodo considerato da questo volume la Regione Sardegna non ha emanato
nessuna legge in materia di Formazione Professionale.
La normativa organica di riferimento rimane pertanto la L. reg. n. 47 Ordinamento
della formazione professionale in Sardegna del 1 giugno 1979, emanata a ridosso
della Legge quadro del 1978 e quattro anni dopo aver ricevuto la delega dallo
Stato783.
Nel decennio 1980-1990 sono state varate numerose Leggi, che apportano modifiche
alla n. 47 o dettano disposizioni relative al personale (inquadramento e assunzioni).
La più importante è la L. n. 42/89 che propone un nuovo paradigma di
programmazione784.
Nel frattempo, nel 1988 la Regione, con la Legge n. 33, si era dotata di un Osservatorio
sul Mercato del Lavoro, come settore operativo dell’Agenzia del lavoro.
Nel 1995-96785 la Regione ha programmato 225 interventi in più rispetto all’inizio
del decennio786. Gli aumenti sono generalizzati, nel senso che investono tutti i
macrosettori. Infatti, l’Agricoltura guadagna 9 interventi, l’Industria e l’artigianato
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610
118 e il Terziaro 92. In tutti e tre i casi gli incrementi sono dovuti all’aumento dei
corsi destinati ad adulti (disoccupati e occupati) che passano da 121 del 1990-91 ai
358 del 1995-96 (cfr. Tab. n. 83). La composizione percentuale del 1995-96 muta rispetto
agli inizi del decennio: l’Agricoltura regredisce di 2,5%, il Terziario, nonostante
gli aumenti in valori assoluti, diminuisce di 3,9 punti, mentre l’Industria sale
del 5,3%. Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono
nei due anni assunti a riferimento? Dei 20 settori (più la categoria “Varie”) considerati
nella Tabella 83, 3 subiscono delle perdite (l’Abbigliamento-calzaturiero, il Credito
e i Beni culturali) mentre tutti gli altri aumentano. In territorio positivo e oltre i
20 corsi in più, spiccano i valori dei Servizi socio educativi (68) dell’Artigianato Artistico
(46), della Informatica (22) della Meccanica (30), della Elettricità e della
Distribuzione commerciale (20). Gli altri settori o aree professionali fanno registrate
aumenti cospicui (Grafica e Turismo rispettivamente con 19 e 16 interventi in più) o
più contenuti (Pubblicità e Acconciatura).
Tabella n. 83 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e
1995-96)
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611
Tra i due anni di riferimento si assiste anche a delle variazioni molto consistenti
nel peso delle diverse tipologie formative (cfr. Graf. n. 148). Si consideri che il primo
livello, che faceva registrare il 44% (mentre il dato nazionale si fermava al 37%),
scende, nell’a.f. 1995-96, al 29,1%, distante dalla media nazionale (34,6%) di circa
5,5 punti. In quell’anno dei 257 corsi di prima qualificazione 256 sono biennali e 1
annuale. Il secondo livello, invece, da un iniziale 25,3% del 1990-91, superiore la
media nazionale (16,3%), flette al 19,5% nella composizione percentuale del 1995-
96, pur rimanendo sopra al dato nazionale (12,8%). Da notare che nel 1995-96 dei
145 corsi di questa offerta formativa 134 erano destinati a diplomati e 11 a laureati.
Sensibile l’aumento nell’a.f. 1995-96 delle attività destinate ad utenze adulte (123
corsi per occupati e 235 per disoccupati) che fanno lievitare il peso percentuale dal
23,2% al 48,1%. I corsi speciali (24 per il conseguimento di patenti ed abilitazioni, mentre
1 per categorie a rischio di emarginazione) passano da una percentuale di 8,5 a 3,4.
Grafico n. 147 - Aumenti e decrementi dei settori e delle aree professionali nella programmazione
delle attività nell’a.f. 1995-96 rispetto al 1990-91
Grafico n. 148 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e
1995-96
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612
Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-95 ammontavano a 11.275; di questi
quanti non erano mai entrati nella vita attiva (inoccupati) e quanti avevano perso
un’occupazione (disoccupati) erano 8.881. Gli allievi dell’inizio del decennio, invece,
ammontavano a 5.027 e rappresentano il 4,6% della popolazione attiva (14-
60); i 3.444 allievi della prima qualificazione rappresentano il 4% della leva dei 14-
16enni787. Il Grafico 145 illustra la distribuzione su base provinciale dei corsi programmati
nell’a.f. 1990-91 e la conseguente ripartizione degli allievi.
Sempre all’inizio del decennio per la realizzazione delle attività formative sono
state utilizzate 245 sedi (cfr. Tab. n. 84): 145 solo occasionalmente impiegate per attività
formative e 102 strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale788.
787 La popolazione attiva ammontava a 1.093.197 abitanti; i 14-16enni a 85.08. Cfr. Geo-demo
ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991.
788 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991,
op. cit., p. 104.
Grafico n. 149 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti
nell’a.f. 1990-91
Tabella n. 84 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91)
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613
Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del
Sistema formativo, è di 40 a 60. Mentre il rapporto tra i 16 CFP regionali e gli 86
CFP di Enti di Formazione è di 16 a 84. L’indagine Isfol sulla distribuzione dei CFP,
relativa all’a.f. 1992-93789, censisce 45 CFP di cui 6 direttamente gestiti dalla Regione
(2 a Cagliari, Nuoro, Tonara, Sassari e Oristano). Nell’area convenzionata gli
Enti con il maggior numero di CFP sono l’ENAIP con 7 (Selargius, Demomannu,
Ales, San Gavino Monreale, Cagliari, Lanusei, Chilivani) e l’ENAP con 6 (Anna
Arresi, Ghilarza, Morgongiori, Orosei, Nuoro, Tempio Pausania). Seguono lo
IAROS Istituto Addestramento e Ricerche Organizzazione Sistemi con 5 CFP (Cagliari,
Nuoro, Sassari 2, Oristano) e lo IAL con 4 (S. Elena, Oristano, Alghero 2). Il
CIOFS delle Salesiane è presente a Cagliari, Giuspini e Macomer. Il CIF, Centro Italiano
Femminile, associazione collocabile sul versante della cultura cattolica, opera
a Sassari, Olbia e Iglesias. Infine, da menzionare il CNOS-FAP dei Salesiani che ha
una sede a Selargius e l’ANAP, Associazione Nazionale Addestramento Professionale
(a Pratosardo e S. Giusta).
La media regionale del rapporto CFP/corsi è molto bassa, pari a 2,0 (2,0 area
pubblica e 2,0 area convenzionata privata).
Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la
spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 150.
Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1994 (207,4 miliardi di lire) e quelli
più alti sono quelli del 1990 (290,7 miliardi di lire); la media del periodo è pari a 235
miliardi e 325 milioni. Mediocre la capacità realizzativa della Regione (pagamenti
entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): con il 70,9% (media italiana
77,1%) si colloca alla sedicesima posizione tra tutte le Regioni.
789 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit.,
pp. 67-77.
Grafico n. 150 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione
di competenza (a.f. 1990-1997)
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614
Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale
per abitante è pari a 123.454 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di
293.464 lire. Nel primo e nel secondo caso i valori siciliani superano quelli nazionali
(rispettivamente di oltre 29,500 e di 193.930 lire). Rispetto alle altre Regioni la Sicilia
si pone in nona posizione per spesa per abitante e in quinta per spesa rispetto
alla forza lavoro.
Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale
della Regione è di 1,76%, poco sopra alla media nazionale (1,71%), percentuale che
colloca la Sardegna come ottava in una ipotetica classifica delle Regioni che spendono
di più nella Formazione Professionale rispetto alla spesa totale.
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615
8.23. Quadri sinottico-comparativi di indicatori finanziari e gestionali
Tabella n. 85 - Quadro sinottico di indicatori finanziari e gestionali dei Sistemi regionali della
Formazione Professionale (lo sfondo azzurro indica che il valore è superiore alla media nazionale;
lo sfondo verde indica che il valore è inferiore alla media nazionale)
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Tabella n. 86 - Posizioni di classifica delle Regioni rispetto agli indicatori finanziari e gestionali
della Tabella 85. (lo sfondo azzurro indica che il valore in base al quale è stata stilata la classifica
è superiore alla media nazionale; lo sfondo verde indica che il valore è inferiore alla media
nazionale)
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617
B. Formazione Professionale e occupazione
B.1 FORMAZIONE PROFESSIONALE E OCCUPAZIONE GIOVANILE
1. I contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione e lavoro
1.1. Un tentativo di revisione della formazione in alternanza: l’Accordo sulla politica
dei redditi (1993)
Il 3 luglio 1993 viene raggiunto, con il protocollo di mediazione del Ministro
del Lavoro on.le Scotti1, un accordo sulla politica dei redditi2 frutto di contrattazione
trilaterale. È il primo, tentativo di combinare l’uso della spesa pubblica per contenere
il conflitto sociale e gli sforzi per combattere la disoccupazione.
La pattuizione riguarda misure in tre diverse aree di intervento: il costo del lavoro,
la regolamentazione del mercato del lavoro, le relazioni industriali3.
Nella seconda area, Governo e parti sociali si sono impegnati ad introdurre una
serie di innovazioni in materia di: a) apprendistato e b) contratti di formazione e lavoro.
a) Per l’apprendistato, le innovazioni sono finalizzate a:
- riqualificare l’Istituto, in senso duale, attuando la Formazione complementare
intesa come elemento modulare di rinforzo;
- tener conto della prospettata elevazione dell’età dell’obbligo scolastico nella
1 On.le ENZO SCOTTI (1933). Dal 1954 al 1958 è stato responsabile del Centro di Ricerca della
CISL, occupandosi delle politiche di sviluppo in Italia e in particolare nel Mezzogiorno. Nel 1968
viene eletto deputato per la DC. Dal 1978 al 1992 ricopre la carica di Ministro in diversi dicasteri, varcando
anche le soglie del Viminale e della Farnesina. Nel 1984 è stato eletto Sindaco di Napoli. Nel
1989 è capogruppo DC alla Camera. Nel 1991, da Ministro degli Interni, con il decreto-legge 345/91,
istituisce la Direzione Investigativa Antimafia. Nel periodo del suo dicastero (1990-92) sono state promulgate
le leggi più importanti che hanno permesso alle forze dell’ordine ed ai magistrati di agire
contro l’organizzazione mafiosa. Aderisce all’MPA con cui è candidato alle elezioni del 2008 venendo
nominato dal segretario e leader Raffaele Lombardo presidente nazionale del partito. Il 22 gennaio
2010, dopo essere stato espulso dal MPA, diventa Presidente nazionale del nuovo partito Noi Sud.
2 Presidenza del Consiglio dei Ministri - Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione,
sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (3 luglio 1993).
3 La prima parte, il costo del lavoro, riguarda la revisione delle basi per il calcolo dell’indicizzazione
del costo della vita e la fissazione del tetto massimo di aumenti salariali). La seconda parte, regolamentazione
del mercato del lavoro, tratta della introduzione procedure di assunzione più flessibili, riduzione
orario di lavoro, maggiore utilizzo tempo parziale. La terza, infine, relazioni industriali, ha
come oggetto l’introduzione di misure per ridurre i conflitti a livello locale.
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determinazione dei limiti di età inferiore e superiore per accedere all’apprendistato;
- procedere all’individuazione di qualifiche specifiche, con gli opportuni
rinvii alla contrattazione collettiva;
- introdurre più stringenti modalità di certificazione dei risultati formativi
conseguiti.
b) Quanto ai contratti di formazione e lavoro, le innovazioni riguardano:
- l’innalzamento della fascia di età per l’accesso al contratto di formazione e
lavoro;
- la previsione di specifici assetti del contratto in relazione al tipo di qualificazione
da conseguire (bassa/media/elevata), ed alle finalità (di formazione e
di adattamento al lavoro, prevedendo una minor durata e una formazione off
the job ridotta);
- possibilità alle imprese di reclutare nuovi contrattisti solo dopo verifica che
almeno il 60% dei contratti stipulati in precedenza sia stato trasformato in
rapporti di lavoro stabile;
- la previsione della certificazione dei risultati formativi;
- la definizione di criteri uniformi sul territorio nazionale per i progetti di CFL
inseriti nei programmi operativi regionali di FSE.
Di tutti questi punti, molti (tra questi tutti quelli che riguardano l’apprendistato)
sono rimasti dichiarazioni d’intenti; alcuni (solo dei contratti formazione e lavoro)
sono stati tradotti in iniziative legislative.
1.2. Il contratto di formazione e lavoro
Parte dell’Accordo viene recepito con la L. n. 451/94 . Ma già all’inizio del decennio
l’impianto normativo della L. n. 863/864 aveva subito modifiche ed integrazioni
da parte della L. n. 407/19905.
Due le previsioni di particolare rilievo di questo provvedimento:
– la prima: i datori di lavoro non possono procedere a nuove assunzioni con il
contratto di formazione e lavoro se non hanno mantenuto in servizio almeno il
50% dei giovani contrattualizzati negli ultimi 24 mesi (art. 8, comma 6);
– la seconda impedisce la stipula di contratti di formazione e lavoro per l’acquisizione
di “professionalità elementari, connotate da compiti generici o ripetitivi”
(art. 8, comma 5).
L’una e l’altra norma rappresentano giusti correttivi ad un uso affaristico e speculativo
di questo contratto. Al di là della indiscutibile plausibilità e opportunità
4 Cfr. volume II, par. B. 2.2.3.
5 Legge 29 dicembre 1990, n. 407 Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza
pubblica 1991-1993 in G.U. 31 dicembre 1990, n. 303.
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della norma non si può non constatare il suo carattere limitativo in una fase espansiva
nella utilizzazione di questo contratto.
Secondo un paradigma abituale, però, quando il trend diventa negativo come
succede a partire dall’anno 1991, le norme diventano più flessibili e a maglie meno
strette.
È quanto si verifica con i decreti relativi alle pattuizioni dell’Accordo del 3 luglio
1993 e i relativi provvedimenti normativi che, se da una parte alzano il limite da
50% a 60% di contrattisti stabilizzati a tempo indeterminato per potere procedere a
nuove assunzioni con il contratto di formazione e lavoro, dall’altra abbassano ulteriormente
i limiti minimi della formazione formale, dei processi di apprendimento
off the job.
L’Accordo del 3 luglio 1993 trova una prima sistemazione legislativa nel Decreto
Legge n. 178/93 riguardante interventi di politica del lavoro. Il decreto, in scadenza,
è stato fatto proprio dal nuovo Governo (Presidente del Consiglio on.le Berlusconi,
Ministro del Lavoro on.le Mastella) che lo ha reiterato subito dopo il suo insediamento
con il Decreto Legge n. 299 del 17 maggio 1994, convertito con Legge
19 luglio 1994, n. 4516.
Il provvedimento (art. 16 comma 2) modifica aspetti portanti il contratto di formazione
e lavoro:
a) lo rende accessibile ai giovani della fascia di età 16-32 anni;
b) prevede due tipologie di contratto: tipo A e tipo B.
Il tipo A, di durata massima di 24 mesi, è finalizzato all’acquisizione di professionalità
medie ed elevate; la formazione teorica prevista è fissata rispettivamente
in 80 e 130 ore. Per questa tipologia contrattuale continua a valere il regime
vigente di riduzione dei contributi previdenziali modulato territorialmente;
viene prevista la certificazione della professionalità del lavoratore al termine
del contratto di formazione e lavoro.
Il tipo B, di durata massima fissata in 12 mesi, prevede un impegno formativo
off the job limitato (20 ore complessive sulla disciplina del rapporto di lavoro,
l’organizzazione del rapporto di lavoro e la prevenzione ambientale e antinfortunistica).
Per questa seconda tipologia contrattuale “d’inserimento” i benefici
contributivi sono concessi ex post, in regime di compensazione degli oneri dovuti
all’INPS, subordinatamente all’avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro
a tempo indeterminato; per il contratto di tipo B è previsto che il datore di
lavoro rilasci al lavoratore un semplice attestato sull’esperienza di lavoro svolta7.
6 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, recante
disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali” in G.U. 19 luglio
1994, n. 167.
7Alcuni, con la nuova normativa in materia di contratti di formazione e lavoro (art. 16 della Legge
n. 451/94) che ha introdotto il contratto di tipo B “di inserimento professionale”, avevano ritenuto implicitamente
abrogata la sopraccitata norma (art. 8, comma 5, legge n. 407/90). Il Ministero del Lavoro
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con la circolare n. 20/97 “ha chiarito” (con un artificio letterario) che il contratto di tipo B è applicabile
a tutte le professionalità in genere con esclusione di quelle indicate dall’art. 8, comma 5, della Legge n.
407/90.
8 Sono poi da segnalare le semplificazioni procedurali che si aggiungono a quelle già previste per
i contratti ex accordo tra le parti sociali, e riguardanti: a) la verifica di conformità dei contratti, ora effettuata
dagli uffici del lavoro in luogo delle Commissioni regionale per l’impiego; b) le prescrizioni
ministeriali (introduzione della clausola del silenzio/assenso) ed il sostegno alla contrattazione collettiva
in materia di formazione e responsabilizzazione delle parti sociali nella fissazione degli standard
Figura n. 127 - Tipologie di CFL previste dalla L. n. 451/94
Nella L. n. 451/94, inoltre, sono contenute due previsioni di portata generale:
– l’ampliamento delle categorie di datori di lavoro che possono ricorrere ai contratti
di formazione e lavoro. Agli imprenditori, ai consorzi di imprese, agli Enti
pubblici economici ed ai liberi professionisti già previsti si aggiungono ora
gruppi d’imprese per un contratto di formazione lavoro “multimpresa”, associazioni
professionali, socioculturali e sportive, fondazioni;
– la possibilità di stabilire, nei contratti collettivi di lavoro, un inquadramento iniziale
del giovane di livello inferiore a quello previsto al termine del contratto di
formazione e lavoro.
Appaiono di un qualche rilievo: la diversa caratterizzazione degli incentivi dei
due contratti, l’estensione delle tipologie di datori di lavoro che possono farvi ricorso,
la possibilità di organizzare un contratto formazione lavoro “multimpresa”
(anche se va ricordato che la responsabilità resta ad un unico datore di lavoro che
funge da general contractor)8. L’abbassamento ulteriore, invece, del limite minimo
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dei processi di apprendimento off the job (nel contratto di tipo B addirittura 20 ore,
pari a mezza settimana lavorativa, cioè l’1,04% della durata del contratto) rappresenta
un depotenziamento ulteriore della dimensione formativa del contratto, già assolutamente
precaria.
Viene quasi la tentazione di concludere che durate così ridotte servono solo
come pretesto per giustificare il nome di contratto di formazione e lavoro.
Il decennio precedente si era chiuso con 529.297 giovani contrattisti; il valore
più alto registrato da questo istituto. Dall’anno successivo (1990), infatti, comincia
un trend negativo che durerà fino al 1993. In quattro esercizi (1990-1993) il contratto
di formazione e lavoro perde il 58,4% del suo target, passando da più di
529.000 giovani a poco meno di 190.000. Dal 1994, si verifica una inversione di
tendenza e inizia un andamento progressivo per tutto il quadriennio 1994-97 che
non riuscirà però a recuperare le perdite. Nel 1997, infatti, i giovani avviati con
questo contratto saranno quasi 282.000, il 53,3% del 1989.
1.3. L’apprendistato
Nel periodo 1990-1997 l’apprendistato, rimasto nella sua struttura normativa di
base quello disegnato dalla L. n. 25/1955, subisce una costante e progressiva erosione
quantitativa, tanto da perdere in questo volgere di pochi anni più di 136.000
giovani, quasi un quarto della sua dotazione complessiva (cfr. Graf. n. 152).
La causa va individuata anche nella concorrenza del contratto di formazione e
relativi ai profili professionali e formativi; la considerazione dei dipendenti in contratto di formazione e
lavoro nel computo dei dipendenti ai fini dell’applicazione della normativa sulle assunzioni obbligatorie
e la regola secondo cui gli imprenditori possono procedere a nuove assunzioni con contratto di
formazione e lavoro solo se hanno proceduto a stabilizzare una parte di “ex-contrattisti”.
Grafico n. 151 - Numero di giovani avviati con contratto di formazione e lavoro (anni 1990-97)
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622
lavoro ma non solo. Il fatto che tutti e due i contratti a causa mista (cfr. Graf. n. 153)
nei primi quattro anni facciano registrare decrementi (nel 1993, rispetto al 1990 si
contano circa 370.000 giovani in meno) rimanda come possibile causa all’andamento
negativo dell’economia in genere e del mercato del lavoro, in particolare.
A partire dal 1994 quando inizia la ripresa economica i diversi andamenti (negativo
quello dell’apprendistato, positivo quello del contratto di formazione) si spiegano,
invece con il maggior gradimento di quest’ultimo da parte del mondo imprenditoriale,
che sembra aver valutato positivamente le revisioni apportate dalla L. n.
451/94.
Grafico n. 152 - Numero avviati con contratto di apprendistato (anni: 1990-1997)
Grafico n. 153 - Numero avviati con apprendistato e CFL (anni 1990-97)
Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro M.L.P.S.
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623
Per quanto riguarda la distribuzione degli apprendisti per circoscrizione geografica
(cfr. Graf. n. 154) rileviamo che alle spalle del Nord-Ovest, che occupa sempre
la prima posizione con valori percentuali che oscillano tra il 38% e il 43%, si posiziona
il Centro che, ad esclusione del 1990, supera sempre il Nord-Est (con valori
attorno al 20-22%) e il Sud (che si muove tra un massimo di 19,6% e uno minimo di
12,7%).
Per quanto riguarda il genere i rapporti sono quasi sempre nell’ordine di 62%
(uomini) e 38% (donne) (cfr. Graf. n. 155). Solo in tre attività economiche Commercio
turismo alberghi e pubblici esercizi e Credito, Assicurazioni e Gestioni finanziarie
e Attività e servizi vari le donne hanno una rappresentanza superiore agli uomini.
In tutte le altre tipologie di attività, specie nelle industrie (estrattive, manifatturiere
e delle costruzioni) la superiorità quantitativa degli uomini è netta9.
9 OSSERVATORIO DEL MERCATO DEL LAVORO del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
News-Informazioni statistiche del lavoro nn. 1-2 febbraio 1998, p. 10.
Grafico n. 154 - Numero apprendisti per circoscrizione geografica
Grafico n. 155 - Apprendisti per genere (%)
Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro M.L.P.S.
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624
L’apprendistato anche negli Anni ’90 rimane essenzialmente uno strumento tipico
dell’Industria, soprattutto quella delle costruzioni e quella manifatturiera (in
particolare la meccanica e l’abbigliamento). Importante, comunque, risulta l’utilizzazione
dell’apprendistato da parte del Commercio e Turismo. Tutti gli altri settori,
considerati insieme, hanno una dotazione di apprendisti che mediamente supera di
poco il 10% del totale10.
Nell’Italia settentrionale si concentra (cfr. Graf. n. 156a) la maggioranza dei
contratti. Se prendiamo in esame l’ultimo anno considerato, il 1997, rileviamo che
nel Nord sono stati stipulati 249.254 contratti su 393.138 stipulati in tutto il Paese,
pari quindi al 64%. Risultato ottenuto grazie soprattutto ai dati di Lombardia e Veneto,
uniche Regioni a superare e con largo margine le 50.000 unità e che da sole rappresentano
il 36% del totale nazionale e il 57% del totale dell’Italia settentrionale.
10 Ibidem.
Tabella n. 87 - Apprendisti per settori economici (anni: 1990-1997)
Grafico 156a - Distribuzione regionale di apprendisti e stabilimenti che hanno impegnato apprendisti
- Italia settentrionale (anno 1977)
Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro M.L.P.S.
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625
Un dato interessante è fornito dal rapporto, a livello di ciascuna Regione, tra numero
di apprendisti e numero di stabilimenti che li hanno utilizzati. Questo rapporto
a livello nazionale è di 1,4 (393.138 apprendisti in 274.448 aziende). In altri termini,
mediamente le imprese italiane che hanno fatto ricorso all’apprendistato nel 1997
hanno stipulato contratti con 1,4 giovani. Nel Nord abbiamo i rapporti seguenti: 2 il
Veneto; 1,8 l’Emilia Romagna; 1,6 il Friuli Venezia Giulia; 1,4 la Lombardia, seguono
le altre con valori minori.
Nel 1997, nel Centro sono attivi 83.532 contratti di apprendistato, pari al 21,2%
del totale nazionale (cfr. Graf. n. 156b). Di questi nella sola Toscana ne sono stati attivati
più di 53.000 (che rappresentano il 13,6% del totale nazionale e il 64,2% del
totale della circoscrizione) da parte di quasi 16.000 aziende e quindi con un rapporto
apprendisti/stabilimenti di 3,3.
Grafico n. 156c - Distribuzione regionale di apprendisti e stabilimenti che hanno impegnato apprendisti
- Italia meridionale e insulare (anno 1977)
Grafico n. 156b - Distribuzione regionale di apprendisti e stabilimenti che hanno impegnato apprendisti
- Italia centrale (anno 1977)
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Più modesti i valori delle altre Regioni: nell’ordine Marche, Lazio e Umbria.
In Italia meridionale e insulare nel 1997 ci sono 60.352 apprendisti, pari al
15,3% del totale nazionale; di questi quasi un terzo sono impiegati in aziende della
Puglia che fa registrare un rapporto apprendisti/stabilimenti di 1,5. Seguono la Campania
e la Sicilia i cui apprendisti rappresentano rispettivamente il 14,5% e il 13,3%
del Sud del nostro Paese.
Infine il dato relativo alla tipologia di impresa: le aziende artigiane che nel 1997
ospitano apprendisti sono 134.255 e quelle non artigiane 140.193 (cfr. Graf. n. 157).
1.4. Il costo dei contratti a causa mista
Due sono le componenti da tenere in considerazione nella stima dei costi per i
contratti a causa mista: quella relativa alla Formazione e quella relativa al sostegno
per l’inserimento nel mondo del lavoro.
Sul primo versante occorre tenere presente le differenze tra l’apprendistato e il
contratto di formazione e lavoro.
Le attività di Formazione complementare realizzate per gli apprendisti, nei pochissimi
casi in cui esistono, sono finanziate con le risorse regionali e conteggiate
nella spesa regionale per la Formazione Professionale. I costi della formazione complementare
dei giovani avviati con contrattti di formazione e lavoro (nei pochi casi
in cui viene attuata anche questa parte della legge) sono invece completamente supportati
dall’impresa, anche se è prevista la possibilità di richiedere sussidi.
Sul secondo versante occorre mettere in luce l’apporto finanziario dello Stato
che si traduce in una minore entrata dovuta alle agevolazioni contributive connesse
ai due istituti.
Una ricerca dell’Isfol del 199711 ha stimato che, se nel 1995 i datori di lavoro
11 ISFOL, Formazione in alternanza: situazione ed esperienze in atto in Osservatorio Isfol, n. 1-2,
1997.
Grafico n. 157 - Tipologia di imprese
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627
avessero corrisposto i normali contributi ad apprendisti e contrattisti, lo Stato
avrebbe incassato circa 3.300 miliardi di lire. Infatti, considerando un salario medio
mensile di L. 800.000 per ogni apprendista e L. 1.000.000 per un contrattista di formazione
e lavoro, il mancato gettito è quantificabile in 1.894 miliardi per l’apprendistato12
e 1.440,5 miliardi di lire per il contratto di formazione e lavoro.
Questo mancato introito da parte dello Stato (e che naturalmente ha rappresentato
per le spese un “risparmio”) viene però in parte recuperato con la tassazione sul
reddito; pertanto, la somma netta non incassata dallo Stato ammonterebbe a circa
2.000 miliardi, di cui 1.250 per l’apprendistato e 750 per i CFL.
Ai benefici contributivi riconosciuti dallo Stato, vanno poi aggiunti ulteriori benefici
riconosciuti dalle Regioni. Numerose risultano infatti le normative regionali
che offrono incentivi alle aziende per l’assunzione di apprendisti, la stabilizzazione
della loro posizione professionale ed il reintegro dei costi di formazione sostenuti
dalle imprese.
1.5. E la Formazione?
A fronte di un tale investimento finanziario da parte dello Stato, pochi risultano
gli interventi di Formazione complementare realizzati dalle Regioni (per l’apprendistato)
e dalle aziende (per il contratto di formazione e lavoro).
1.5.1. Apprendistato
Com’è noto nei primi anni di vita della Legge il Ministero del Lavoro tentò di
attuare anche la parte relativa alla Formazione complementare, nonostante difficoltà
dovute a lacune normative e carenze organizzative. Tale impegno è progressivamente
venuto meno e, con il passaggio delle competenze in materia di Formazione
Professionale alle Regioni, si è assistito all’estinzione di fatto dei corsi complementari.
Nessuna Regione ha avviato un programma strutturato di formazione complementare
per apprendisti.
In questo deserto formativo rappresenta un’oasi la Provincia Autonoma di Bolzano,
dove esiste un Sistema di Formazione complementare dal 1955, divenuto obbligatorio
per tutti gli apprendisti dal 1981. Sicuramente su questa particolarità pesa
l’influenza della cultura austriaca e tedesca. Il 7 aprile 1997 con Legge provinciale
n. 6 è stato emanato il nuovo Ordinamento dell’apprendistato che non ha introdotto
rilevanti modifiche. In questa Provincia solo le aziende appositamente autorizzate
possono assumere apprendisti. L’autorizzazione è divenuta con la nuova Legge di
durata illimitata (è sempre prevista la possibilità di revoca) ed è subordinata all’accertamento
che il datore di lavoro possegga i necessari requisiti professionali e pedagogici
e che l’azienda abbia caratteristiche tecniche ed organizzative adeguate. Le
attività professionali oggetto dell’apprendistato sono state individuate dalla com-
12 Non sono conteggiate le agevolazioni contributive concesse in caso di trasformazione del contratto
di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.
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missione provinciale per l’apprendistato nei settori della produzione e dei servizi.
Sono stati descritti circa 120 profili professionali e, di concerto con le parti sociali, i
relativi “piani di insegnamento”. Questi contengono un’elencazione delle tecniche e
delle nozioni che l’azienda è tenuta a impartire agli apprendisti.
I giovani apprendisti di Bolzano devono obbligatoriamente frequentare la
Scuola Professionale, generalmente per tre anni, secondo quanto previsto dal piano
di insegnamento. L’insegnamento è impartito in corsi annuali, con un giorno di frequenza
alla settimana nel periodo settembre-maggio, o in corsi a tempo pieno di pari
durata. Per gli apprendisti che presentano lacune o criticità di apprendimento, le
scuole professionali possono organizzare corsi di recupero. La Provincia e le associazioni
di categoria possono organizzare Corsi di Formazione extraziendale per
colmare eventuali carenze formative e avvicinare gli apprendisti alle nuove tecnologie.
Entrambi questi tipi di corsi sono facoltativi. L’attività formativa si concentra
in maniera prioritaria sull’acquisizione delle abilità professionali. All’interno dell’impresa
l’imprenditore ha l’obbligo di istruire l’apprendista secondo il piano formativo
relativo all’attività professionale oggetto dell’apprendistato. Il periodo di apprendistato
può durare fino a cinque anni: dopo i primi tre anni in cui è obbligatoria
la frequenza della scuola professionale, l’apprendista riceve solo l’insegnamento in
azienda. Al termine del periodo di apprendistato i giovani che abbiano superato positivamente
la scuola sono ammessi a sostenere un esame sia teorico che pratico.
Con il superamento di tale esame viene rilasciato un attestato di qualifica con indicazione
del voto ottenuto per ciascuna delle due parti d’esame e di un giudizio complessivo
(cfr. Fig. n. 128).
Nel 1996 sono stati 1.696 i giovani che hanno sostenuto tale esame e 1.445
hanno conseguito l’attestato finale.
Un’altra iniziativa significativa, anche se non ugualmente sistematica, è stata
attivata dall’Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Trento, che dal 1988
organizza Corsi di Formazione complementare per apprendisti e per giovani avviati
con CFL. I corsi per apprendisti si rivolgono agli apprendisti artigiani. Il progetto
formativo è triennale e si sviluppa in 400 ore annue di Formazione, di cui 240 svolte
in azienda e le restanti 160 ore nei Centri di Formazione Professionale.
La Formazione in azienda segue un modello generale definito consensualmente
tra le associazioni artigiane e l’Agenzia del lavoro e un programma particolare concordato
con il datore di lavoro negli obiettivi, modalità, strumenti di sostegno e
tempi. Periodicamente, l’insegnante dei corsi teorici insieme all’artigiano effettua
verifiche dell’apprendimento in azienda in riferimento agli obiettivi individuati.
I corsi teorici si sviluppano lungo due direttrici: fornire agli apprendisti le conoscenze
scientifiche e le abilità tecnico-operative di base relative al profilo professionale
di riferimento; approfondire le capacità socio-relazionali dei giovani utenti che,
nel momento dell’ingresso nella vita adulta, consentano loro di sviluppare una più
solida identità professionale. L’esperienza acquisita dai datori di lavoro viene valorizzata
attraverso l’utilizzo degli artigiani in qualità di docenti, con interventi occastoriaFORMAZ3-
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sionali o inserimento a tempo pieno nei corsi teorici. È prevista la possibilità per i
giovani che abbiano completato il triennio, previo esame, di accedere al terzo anno
dell’Istruzione professionale per conseguire il diploma di qualifica13.
13 La prima edizione dei corsi si è tenuta nel 1988 ed ha interessato tre settori: meccanico, legno e
autoriparazioni. Negli anni successivi si sono aggiunti interventi nei settori idraulico, elettrico e grafico,
dell’acconciatura, dell’edilizia e carrozzeria. Sono in corso di attivazione anche le prime offerte
sul versante del commercio, che riguardano i commessi del settore abbigliamento e alimentare. I giovani
partecipanti sono cresciuti in maniera costante: da 43 della prima edizione fino a 170 dell’edizione
1995-96.
Figura n. 128 - L’apprendistato nella Provincia Autonoma di Bolzano
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La Regione Valle d’Aosta ha iniziato nel 1987 la sperimentazione di un intervento
formativo per apprendisti artigiani denominato “Apprendistato come chance”.
Il percorso formativo dura generalmente 2 anni. Il I anno si articola su 180 ore raggruppate
in blocchi settimanali; si propone di offrire una “piattaforma” di abilità
propedeutiche all’esercizio della professionalità in qualsiasi contesto lavorativo ed è
quindi uguale per tutti i settori. Nel II anno, che prevede 200 ore di insegnamento, il
curricolo è mirato allo specifico settore d’impiego, per poi specializzare ad un solo
profilo professionale. Per profili professionali, il cui contenuto presenta particolari
complessità, è previsto un terzo anno di corso.
Il progetto ha coinvolto 361 giovani nella prima edizione. Successivamente un
calo dell’utenza, in gran parte spiegato da una riduzione degli incentivi agli imprenditori
artigiani14, ha spinto l’Agenzia del lavoro valdostana a elaborare un progetto di
integrazione della proposta formativa per gli apprendisti con quella rivolta ai contrattisti
di formazione e lavoro. Per consentire il raggiungimento di volumi di utenza
tali da rendere possibile l’attivazione di una gamma di corsi differenziata in relazione
alle specifiche necessità dell’utenza l’offerta formativa è stata divisa in moduli15,
variamente combinati in un percorso formativo della durata massima di tre
anni.
Al di là dell’impegno più o meno sistematico da parte delle due Province Autonome
e dell’Ente strumentale della Valle d’Aosta, non si registrano iniziative di rilievo
da parte dei soggetti territoriali competenti in materia di Formazione Professionale.
Vanno segnalate solo sporadiche iniziative formative da parte delle rappresentanze
sindacali datoriali e dei lavoratori, come quella dell’Esem di Milano16 o
l’attività a carattere innovativo a cura della Confederazione Nazionale dell’Artigianato
(CNA) e successivamente dell’Artigianform (Consorzio formato da CNA,
14 Si è assistito ad un netto calo della partecipazione a partire dal 1992 quando da un rimborso agli
imprenditori di tre milioni annui per ogni apprendista in formazione si è passati ad un rimborso proporzionale
alla frequenza, che si aggira intorno a L. 600/700.000, tanto che nel 1995 gli apprendisti coinvolti
sono stati solo 140. Nel 1996 non è stata avviata la prima annualità dei corsi.
15 I moduli riguardano: l’acquisizione di abilità di comportamento organizzativo; la conoscenza
delle normative e delle istituzioni riguardanti il lavoro; l’acquisizione di competenze di comparto di
qualifica di specializzazione.
16 Alcune associazioni sindacali e datoriali del comparto edile hanno raggiunto un accordo sulla
Formazione complementare per apprendisti già nel 1984. I corsi sono stati affidati all’Ente scuola edile
milanese (ente paritetico tra gli imprenditori edili, Assimpredil e ANCE, e le organizzazioni sindacali
dei lavoratori delle costruzioni, Feneal-UIL, Filca-CISL, Fillea-CGIL) e durano quattro anni, articolati
in 160 ore per i primi tre anni (pari a quattro settimane l’anno) e 128 ore l’ultimo anno. I profili professionali
sono due: muratori e verniciatori. La formazione impartita è di natura sia teorica che pratica. È
previsto un rimborso forfettario alle aziende a carico della Cassa edile. Nei primi anni di attività i corsi
hanno raccolto un’utenza consistente, che è andata via via scemando soprattutto a causa dell’assenza
delle associazioni artigiane tra i firmatari dell’accordo costitutivo. Nel 1996 si sono tenuti sei corsi, con
circa 100 partecipanti.
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Confartigianato, CGIL, CISL e UIL) due progetti, il primo nel 199217 e il secondo
nel 199518.
L’innovatività di queste sperimentazioni sta nel ricorso alla formazione a distanza
mediante strumenti multimediali accanto alla tradizionale formazione in aula.
L’uso di particolari software per la formazione in autoapprendimento ha agevolato e
stimolato l’approccio dei giovani apprendisti, consentendo di superare la diffidenza
dei giovani per il ritorno in formazione.
1.5.2. Contratti di formazione e lavoro
Nei primi Anni ’80 l’istituzione dei CFL rilanciava in generale la discussione
sul tema della formazione in azienda e stimolava le parti sociali a raggiungere accordi
su specifici percorsi formativi. Da allora le associazioni sindacali e datoriali si
sono alacremente attivate per costituire Enti bilaterali con il compito, tra gli altri, di
progettare e realizzare percorsi formativi, prevedendo forme di rimborso dei costi
sostenuti a carico di appositi “Fondi formazione”.
Le associazioni sindacali più attive erano quelle degli artigiani. Le iniziative
sono per lo più sperimentali, non obbligatorie e con una utenza ridotta. I contenuti
formativi sono spesso essenziali, limitati alle 20 ore di formazione generale sulla
contrattualistica e sulle norme di sicurezza sul lavoro.
È il caso, ad esempio, degli Enti bilaterali delle associazioni artigiane costituiti
in Piemonte e Lombardia, dove i corsi complementari per i CFL avvengono per formazione
a distanza19. In Toscana invece le 20 ore di formazione si attuano per lezione
in aula.
L’Ente bilaterale dell’Emilia Romagna (Eber) realizza attività formative in aula
dal 1992 che hanno coinvolto 10.000 giovani, prevalentemente in possesso di sola
17 Il primo progetto, “Progetto innovativo di formazione a distanza” ha coinvolto circa 150 apprendisti
artigiani di due settori: autoriparazioni e editoria grafica. Sono stati organizzati 15 interventi
corsuali in 7 Regioni, della durata di 300 ore ognuno, articolati in formazione in aula, formazione in
azienda e 50 ore in autoistruzione. La presenza di tutor specificamente formati, assicurava il collegamento
fra i tre momenti formativi e il supporto e la verifica della formazione in autoapprendimento. I
contenuti, individuati attraverso una indagine sui fabbisogni formativi per operatori dei settori interessati,
sono stati ripartiti in tre aree tematiche: formazione al sociale, formazione all’impresa e formazione
tecnico-professionale.
18 Il secondo progetto un ampliamento del primo, di cui mantiene la metodologia, ha interessato le
stesse Regioni, coinvolgendo, accanto agli apprendisti artigiani, anche una parte di giovani con CFL
per un totale di circa 1.000 partecipanti. Sono stati realizzati circa 50 corsi in otto settori: autoriparazione,
edilizia, installazione di impianti tecnici, tac, estetica/acconciatura, tipografico, legno, meccanica
di riproduzione. La formazione in aula (200 me) così articolata: 50 ore di formazione al sociale, 50
ore di formazione all’impresa, 35 ore di alfabetizzazione informatica e 65 ore di formazione tecnico
professionale distinta per i diversi settori coinvolti. Le ore di formazione in azienda prevedono 30 ore
di visite-studio ad aziende leader del settore finalizzate ad una verifica dei contenuti appresi e 20 ore
destinate alla verifica in azienda sotto la guida del datore di lavoro e l’assistenza del tutor.
19 Sono state predisposte delle dispense di 20 ore forfettarie di autoapprendimento uguali per tutti i
settori, con schede di autovalutazione. Non c’è alcuna forma di monitoraggio da parte dell’Ente. Il giovane
«formato» rilascia all’azienda una dichiarazione di aver effettuato la formazione.
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licenza media. Mediamente più del 50% dei contrattisti avviati nella Regione viene
coinvolto nella formazione extra-aziendale.
Accanto a queste esperienze minimali, si registrano iniziative più consistenti sotto
il profilo dei contenuti formativi. L’Istituto Veneto per il Lavoro (I.V.L.) organizza
corsi per giovani contrattisti. L’attività è iniziata nel 1990 in seguito a un accordo tra
associazioni datoriali e sindacali dell’artigianato rinnovato il 22.6.1995. Il primo accordo
prevedeva un Corso di Formazione della durata di 40 ore destinato a tutti i CFL
del settore artigiano e tenuto a livello provinciale. Con il nuovo accordo sono stati diversificati
i percorsi formativi. Nel 1996 le tipologie offerte sono 3 differenziate per
titolo di studio e tipologia contrattuale. La prima tipologia prevede solo un corso base
di 20 ore, è destinato a giovani in possesso della sola licenza media impiegati con
CFL di tipo B20. La seconda tipologia formativa si rivolge a giovani in possesso di diploma
o qualifica, inquadrati nel livello tecnico o come operai specializzati21. Infine
la terza tipologia si rivolge a giovani laureati e prevede un corso di 160 ore22. Per sostenere
il costo del corso è previsto un rimborso alle aziende da parte dell’Ente bilaterale
dell’artigianato veneto che può arrivare fino al 50% della spesa.
La partecipazione dei giovani contrattisti di formazione-lavoro è quasi totale,
tanto che nel 1996 sono stati realizzati 276 corsi con la partecipazione di 4.900 allievi.
Oltre il 90% dei corsi era della seconda tipologia (60 ore).
In Provincia di Milano, un accordo fra API (Associazione Piccole e Medie Industrie)
e CGIL-CISL-UIL ha dato vita al progetto “Milanolavora” nel cui ambito si
organizzano anche corsi di formazione complementare per giovani assunti con CFL.
L’esperienza è stata avviata nel 1992 con 2 tipologie di corso di 60 ore ognuna destinate
alla formazione di operatori d’ufficio e operatori polivalenti della produzione di
qualità; successivamente si è aggiunta una terza tipologia formativa di sole 20 ore,
concepita come corso “base” per tutti i contrattisti23.
L’Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Trento propone “corsi a catalogo”,
di durata variabile fra le 80 e 130 ore, completamente gratuiti, che riguardano
l’informatica, marketing e tecniche di vendita, contabilità e antinfortunistica. Le
aziende con almeno 6 contrattisti possono organizzare i corsi nella propria sede sempre
in forma gratuita. I percorsi formativi sono strutturati in moduli, componibili secondo
le esigenze peculiari delle aziende. Nel 1996 i giovani coinvolti sono stati 585.
La Regione Basilicata ha realizzato due progetti finanziati dal FSE denominati
20 La formazione verte sulla legislazione del lavoro, i contratti, norme di sicurezza sul lavoro, illustrazione
della busta paga.
21 Il corso si compone del modulo base più un modulo tecnico di 40 ore dedicate a una formazione
differenziata per settori e per qualifica. Sono stati individuati 5 macrosettori rilevanti per l’economia
veneta.
22Al modulo base di 20 ore, si aggiunge un modulo tecnico ampliato a 120 ore e 20 ore di stage in
azienda con formazione per affiancamento.
23 In poco tempo il corso breve è diventato nettamente dominante sugli altri: nel 1996 su 22 corsi
realizzati, 19 erano di 20 ore. Dal 1992 sono stati realizzati 67 corsi, per un totale di 1.225 partecipanti
e 1.058 aziende interessate.
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“Agrippa 1” e “Agrippa 2”. Il primo progetto si rivolge a giovani destinati ad essere
assunti con CFL. In una fase preventiva sono state raccolte le richieste di assunzione
da parte delle aziende della Regione, in tutti i settori produttivi, che assommavano a
circa 600. La Regione si è quindi assunta il compito di effettuare la formazione, mediante
Enti convenzionati, prima che il contratto di lavoro venisse stipulato e in presenza
comunque di un impegno formale all’assunzione da parte delle imprese. L’intervento
formativo consiste in 700 ore, articolate in 300 ore di formazione teorica in
aula e le restanti dedicate alla parte applicativa da svolgersi in azienda in formazione
per affiancamento. In azienda, la Regione garantisce il tutoraggio da parte degli Enti
convenzionati che hanno svolto la parte teorica.
Il secondo progetto “Agrippa” si rivolge a giovani già assunti dalle aziende,
prevalentemente con CFL, ma anche con contratti di apprendistato. Il progetto dà la
possibilità alle aziende di piccole dimensioni, che sono la maggior parte in Basilicata,
di uno stesso comparto, di consorziarsi in Associazioni Temporanee di Imprese
(ATI) e di richiedere un finanziamento regionale per effettuare la formazione. Il percorso
formativo viene delineato dalla stessa ATI, ed è articolato in una parte teorica
uguale per tutti i giovani delle aziende associate e una parte pratica da realizzarsi
nell’azienda datrice di lavoro. Il tutoraggio previsto viene realizzato attraverso le associazioni
di categoria o le stesse ATI. La Regione ha posto vincoli limitatissimi: durata
massima di 600 ore, massimali di costo e copertura dei soli costi della formazione
teorica per gli apprendisti.
2. Nuovi sistemi di alternanza: work experiences
2.1. Premessa
Il Patto per il Lavoro del 24 settembre 1996 tra Governo (Presidente del Consiglio
Romano Prodi e Ministro del Lavoro, Tiziano Treu) e parti sociali, impegna i
contraenti a “diffondere l’esperienza dello stage, prevedendo forme di incentivazione
per le imprese che offrano tali opportunità formative”.
La ratio della previsione è quella di “favorire l’inserimento professionale mediante
la conoscenza diretta del mondo del lavoro”.
Ci troviamo di fronte, quindi, ad una nuova categoria di strumenti delle politiche
attive: non alternanza lavoro-formazione, ma alternanza studio-lavoro, o alternanza
disoccupazione-lavoro; non le tradizionali finalità dei contratti a causa mista
(promozione dell’occupazione e della Formazione) ma finalità oltre che formative
anche orientative.
In questa categoria saranno compresi il tirocinio formativo24 e la borsa di lavoro.
24 Il termine tirocinio è spesso affiancato o sostituito da stage; vocabolo francese che, per attitudine
anglofona, è correntemente pronunciato all’inglese: significa pratica. In inglese invece si dice
training: anche qui, naturalmente, sta per pratica, allenamento.
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L’uno e l’altra previsti dalla L. n. 196/97 (rispettivamente all’art. 18 e 26) si
concretizzano in una esperienza lavorativa che rappresenta sia una occasione di formazione
(on the job) sia una opportunità orientativa, perché, al giovane grazie alla
conoscenza diretta del mondo del lavoro, viene facilitata la scelta professionale.
Ma in questa categoria va incluso anche un istituto varato nel 1994: il Piano d’inserimento
professionale. Per una comparazione tra i tre istituti vedi il Prospetto n. 58.
2.2. Il piano d’inserimento professionale
Con l’art. 15 della Legge n. 451/1994 modificato dalla Legge 608/1996, viene
attivato un nuovo istituto di politica attiva del lavoro: il Piano d’Inserimento Professionale
(PIP).
25 Appartengono alla prima classe: i lavoratori disoccupati in cerca di prima occupazione; i lavoratori
disoccupati ma avviati a tempo parziale con orario non superiore a 20 ore settimanali e i lavoratori
con un contratto a tempo determinato che non superi i quattro mesi all’anno; i lavoratori da lungo
tempo in cassa integrazione o iscritti nelle liste di collocamento da lungo periodo (comma aggiunto
dell’art. 8 della Legge n. 407/90).
Prospetto n. 58 - Quadro sinottico-comparativo dei PIP, Tirocini formativi e Borse di lavoro
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L’istituto, però, rimarrà in incubazione per 4 anni, fin quando non saranno definite,
con un intervento ministeriale, le procedure amministrative di attivazione26.
Proposto ai giovani di età compresa tra i 19 e i 32 anni (fino ai 35 per i disoccupati
di lunga durata) del Meridione o delle aree interessate da processi di deindustrializzazione
(Ob. 2 dei Fondi strutturali), il piano è attuato attraverso due tipologie
di progetti:
a) progetti che prevedono lo svolgimento di lavori socialmente utili e la partecipazione
ad iniziative formative finalizzate al recupero dell’istruzione di base, alla
formazione di secondo livello per giovani già in possesso del diploma;
b) progetti che prevedono periodi di formazione e lo svolgimento di una esperienza
lavorativa per figure professionalmente qualificate.
I PIP possono essere utilizzati da singole aziende iscritte alle Associazioni o da
singoli professionisti iscritti agli Ordini o ai Collegi Professionali che hanno promosso
i Piani stessi nel territorio della Provincia27.
L’ impegno di lavoro può essere di 80 ore mensili (per la durata massima di 12
mesi) o di 160 ore mensili (per la durata massima di 6 mesi).
Per ogni ora di formazione svolta e di attività prestata al giovane é corrisposta
un’indennità pari a lire 7.500; di queste, quelle relative alla formazione sono recuperate
dal datore di lavoro come credito INPS, quelle relative all’attività lavorativa
nella misura del 50% sono a carico del datore, l’altra metà viene recuperato come
credito INPS.
L’utilizzazione dei giovani (iscritti ad apposite liste di disponibilità presso i
Centri per l’Impiego) da parte delle aziende28:
– non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro,
– non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento,
– non preclude al datore di lavoro la possibilità di assumerli, al termine dell’esperienza,
con contratto di formazione e lavoro, relativamente alla stessa area professionale.
26 Intervento che si concretizzerà con la Circolare MLPS del 19.8.1977.
27 Non sono ammessi ai Piani quei soggetti utilizzatori che: 1) abbiano licenziato negli ultimi dodici
mesi per riduzione di personale, o che abbiano in corso sospensioni o riduzioni di orario, per personale
in possesso delle medesime qualifiche professionali oggetto del Piano stesso; 2) singole Amministrazioni
pubbliche sia pure appoggiandosi ad un’Associazione firmataria di una convenzione quadro
ed all’interno di un progetto esecutivo. Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale determina i
limiti del ricorso all’istituto in rapporto al numero dei dipendenti del soggetto presso cui é svolta l’esperienza
lavorativa.
28 L’assegnazione del giovane avviene a cura delle sezioni circoscrizionali per l’impiego, sulla
base dei criteri dettati dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale; per quanto riguarda aree ad
altro tasso di disoccupazione sulla base di criteri fissati dalle Commissioni Regionali per l’impiego.
Sempre relativamente a queste ultime aree il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale può disporre,
in considerazione della specificità, anche territoriale, dell’emergenza occupazionale, modalità
straordinarie, ivi compresa l’adozione di criteri quali il carico familiare, l’età anagrafica e il luogo di
residenza (Art. 9. octies).
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Come abbiamo già detto i PIP saranno operativi solo nel 1998, quindi fuori dall’ambito
temporale di questo volume. Per offrire, però, una dimensione del fenomeno,
forniamo i dati finanziari relativi alle quote del Fondo per l’occupazione stanziate
nel 1997 alle Regioni nelle tre Circoscrizioni: 180 sono i miliardi stanziati per
un coinvolgimento stimato di 50.000 unità. La quota maggiore è spettata alle Regioni
del Mezzogiorno (69,1% del totale). In questa circoscrizione la concentrazione
maggiore si verifica per la Sicilia29 e la Campania, entrambe con un importo pari a
circa 28 miliardi di lire, seguite dalla Calabria e dalla Puglia, rispettivamente con
25,7 e 14,0 miliardi.
29 Per questa Regione, oltre all’utilizzo del Fondo per l’Occupazione, è stato previsto il ricorso al
cofinanziamento europeo per far fronte ad un elevato numero di richieste (per circa 50.000 giovani) da
parte delle aziende e dei professionisti iscritti agli Ordini e Collegi professionali.
Grafico n. 159 - Stanziamenti alle Regioni del Centro per i PIP (milioni di lire) Anno 1997
Grafico n. 158 - Stanziamenti alle Regioni del Nord per i PIP (milioni di lire) - Anno 1997
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Fra le due rimanenti circoscrizioni alle quali è destinato il 30,8% delle risorse,
pressoché, equamente distinte, emerge la somma assegnata al Lazio che, con 20,5
miliardi, assorbe l’11,4% del totale nazionale.
3. Formazione ed imprenditorialità
3.1. Il quadro normativo
Negli Anni ’80 avevamo segnalato la buona valutazione riservata dalla letteratura
del settore alla Legge n. 44/86 che promuoveva l’occupazione giovanile, intrecciando
servizi consulenziali e percorsi formativi30. Il tema formazione e imprenditorialità
viene declinato anche negli Anni ’90, replicando la formula della L. n. 44 che,
in questo decennio, viene rifinanziata e in parte riconfiguarata da due leggi:
– la L. n. 275/199131, che prevede 600 miliardi di lire per il biennio 1992-93 e
pone le premesse per un’Agenzia che si occupi di promozione della cultura
d’impresa;
30 Naturalmente prendiamo in esame solo i provvedimenti che intendono promuovere la imprenditorialità
anche mediante la previsione di percorsi formativi. Per questo non prendiamo in considerazione
altri tipi di leggi ad esempio la L. n. 236 che favorisce l’imprenditorialità giovanile in particolare
la nascita di nuove società o cooperative formate prevalentemente da giovani tra i 18 ed i 35 anni. Ma
prevedendo solo agevolazioni di natura finanziaria.
31 Legge 11 agosto 1991, n. 275 Modifiche ed integrazioni al decreto-legge 30 dicembre 1985, n.
786, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1986, n. 44, recante Misure straordinarie
per la promozione e lo sviluppo della imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno, in G.U. 27 agosto
1991, n. 200.
Grafico n. 160 - Stanziamenti alle Regioni del Meridione per i Piani d’inserimento professionale
(milioni di lire) Anno 1997
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– la L. n. 95/199532, terminale di una serie di decreti legge ripetutamente reiterati33,
che:
a) prevede finanziamenti per gli anni 1994 (100 miliardi), 1995 (100 miliardi),
1996 (300 miliardi);
b) allarga l’ambito territoriale in cui può operare la L. 44; ambito prima limitato
al Meridione ora anche alle aree del Centro Nord interessate da processi
di deindustrializzazione (Ob. 2 dei Fondi strutturali) e da ritardi di sviluppo
(Ob. 5b);
c) autorizza il Presidente del Comitato per la imprenditorialità giovanile “a costituire
una società per azioni, denominata Società per l’imprenditorialità
giovanile, cui è affidato il compito di produrre servizi a favore di organismi
ed enti anche territoriali, imprese ed altri soggetti economici, finalizzati alla
creazione di nuove imprese e al sostegno delle piccole e medie imprese, costituite
prevalentemente da giovani tra i 18 e i 29 anni, ovvero formate
esclusivamente da giovani tra i 18 e i 35 anni”.
32 Legge 29 marzo 1995, n. 95 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio
1995, n. 26, recante disposizioni urgenti per la ripresa delle attività imprenditoriali.
33 Decreti legge: 31 maggio 1994, n. 331, 30 luglio 1994, n. 478, 30 settembre 1994, n. 559, e 30
novembre 1994, n. 658. Dato che sulla base di questi decreti erano stati adottati atti e provvedimenti,
l’art 1 comma 2 della L. n. 95/1995 ne dispone la validità e ne fa salvi gli effetti prodottisi e rapporti
giuridici da essi originati. Tra gli effetti, il più importante è senz’altro la costituzione della Società per
l’imprenditorialità giovanile nel luglio del 1994.
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INDICE
SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
PREFAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Capitolo V
GLI ANNI ’90. LA CRESCENTE DIPENDENZA DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
DALL’EUROPA. VERSO UN SISTEMA DI FORMAZIONE CONTINUA . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
INTRODUZIONE. Gli eventi e i fenomeni del decennio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
A. Il Sistema di Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1988 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.2. Le riforme dei Fondi strutturali del 1988 e del 1994 e la coesione economica
e sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.3. La riforma dei Fondi strutturali del 1988 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.3.1. Il quadro regolamentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
1.3.2. I principi fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
1.3.3. Gli obiettivi prioritari e le risorse finanziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
1.3.4. I tassi del contributo comunitario, gli impegni e i pagamenti . . . . . . 39
1.3.5. La sorveglianza e la valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
1.4. Il regolamento 4255/88 del FSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
1.4.1. Le azioni ammissibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
1.4.2. Campo di applicazione e destinatari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
1.4.3. Forme di intervento e modalità di presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.4.4. Il processo programmatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
1.5. Il FSE in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
1.5.1. La programmazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
1.5.2. Considerazione valutative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
2. I Programmi e le Iniziative comunitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
2.1. I Programmi e le Iniziative: due diversi strumenti comunitari . . . . . . . . . . . . 62
2.2. I Programmi comunitari del periodo 1990-94 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
2.2.1. COMETT II (1990-94) - Cooperazione fra le Università e le imprese
in materia di formazione nell’ambito delle tecnologie . . . . . . . . . . . . 63
2.2.2. EUROTECNET II (1990-94) - Innovazione nella Formazione Professionale
derivante dal mutamento tecnologico nella Comunità europea 66
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2.2.3. FORCE (1991-94) - Sviluppo della Formazione Professionale Continua
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
2.2.4. PETRA II (1992-94) - Formazione Professionale dei giovani . . . . . . 74
2.3. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali
(1990-93) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
2.3.1. Le Iniziative comunitarie: filosofia, caratteristiche e aspetti procedurali
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
2.3.2. Le Iniziative comunitarie del gruppo “Risorse Umane” . . . . . . . . . . 79
2.3.3. EUROFORM (1991-94) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
2.3.4. NOW (1991-94) - Iniziativa per la promozione delle pari opportunità
per le donne nel settore dell’impiego e della Formazione Professionale 83
2.3.5. HORIZON (1991-94) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
3. La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale 95
3.1. Convergenze, divergenze e schieramenti politici in materia di riforma della
Secondaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
3.2. I dati del problema del prolungamento dell’obbligo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
3.3. Il cuore del problema: l’identità specifica della Scuola e della Formazione
Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
3.4. Un problema antico: giudizi e pregiudizi sulla Formazione Professionale . . 104
3.5. Tentativi di riforma della Secondaria nella decima Legislatura (1987-92) . . 107
3.5.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PCI, PSI,
PRI, MSI-DN) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
3.5.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo d’Istruzione anche con la
Formazione Professionale regionale (DC) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
3.5.3. La proposta di mediazione del DDL Mezzapesa . . . . . . . . . . . . . . . . 119
3.5.4. Il dibattito sul DDL Mezzapesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
3.6. Tentativi di riforma della Secondaria nell’undicesima Legislatura (1992-94) 124
3.6.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PSI, PDS,
MSI-DN) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
3.6.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo anche con la Formazione
Professionale regionale (Testo Unificato della VII Commissione) . . . 127
3.7. Tentativi di riforma della Secondaria nella dodicesima Legislatura (1994-96) 131
3.7.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PRC) . . . . . . 134
3.7.2. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo anche nella Formazione
Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136
3.8. La via amministrativa alle riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
3.8.1. Le innovazioni sperimentali: il Progetto Brocca e il Progetto ’92 . . . 141
3.8.2. Gli Istituti Professionali e il Progetto ’92: dall’antagonismo all’interazione
con la FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144
4. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148
4.1. I Memorandum sull’Istruzione e la Formazione (1991) . . . . . . . . . . . . . . . . 148
4.2. Il Libro bianco di Delors . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149
4.3. Il Trattato di Maastricht (1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
4.4. Il “Secondo Pacchetto Delors” e il Consiglio di Edimburgo (1992) . . . . . . . 153
4.5. La revisione dei Fondi strutturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
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4.5.1. Il quadro regolamentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
4.5.2. Gli Obiettivi prioritari, i criteri di ammissibilità e i Fondi strutturali 157
4.5.3. Risorse finanziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160
4.5.4. Processo programmatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
4.5.5. Campo di intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162
4.5.6. Valutazione ex ante, sorveglianza e valutazione ex post . . . . . . . . . . . 164
4.5.7. Partnership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
4.6. La programmazione del FSE in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166
4.6.1. Piani di sviluppo, QCS e DOCUP, Programmi operativi e risorse
finanziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166
4.6.2. La struttura degli Obiettivi e la partecipazione finanziaria del FSE . 168
4.6.3. Parametri di costo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
5. I Programmi e le Iniziative comunitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
5.1. Programmi comunitari del periodo 1995-99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
5.1.1. LINGUA – Promozione della conoscenza delle lingue straniere . . . . 182
5.1.2. LEONARDO DA VINCI - Programma d’azione per lo sviluppo di
una politica di Formazione Professionale della Comunità europea
(1995-99) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
5.1.3. SOCRATES (1995-99) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201
5.2. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali del 1993 203
5.3. OCCUPAZIONE e sviluppo delle risorse umane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205
5.3.1. HORIZON . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
5.3.2. NOW . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214
5.3.3. YOUTHSTART . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 216
5.3.4. Analisi e valutazione di OCCUPAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 220
5.4. ADAPT – Adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e al miglioramento
del mercato del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225
6. La normativa regionale in materia di Formazione Professionale . . . . . . . . . . . 236
6.1. Il quadro normativo nel periodo 1990-97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236
6.2. La legislazione organica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 248
6.3. Lettura sinottica della legislazione organica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260
6.3.1. Il rapporto Formazione Professionale e politiche attive del lavoro . . 261
6.3.2. La valutazione del Sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265
7. Caratterizzazioni e connotazioni strutturali e funzionali del Sistema di Formazione
Professionale regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269
7.1. I macrofenomeni che caratterizzano gli Anni ’90 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269
7.2. La dipendenza culturale e finanziaria della Formazione Professionale italiana
dalla Ue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269
7.2.1. La dipendenza finanziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 270
7.2.2. La dipendenza culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272
7.3. Nascita e prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua . . 279
7.3.1. “L’anello mancante della formazione continua” . . . . . . . . . . . . . . . . 280
7.3.2. “Verso un sistema di formazione continua” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284
7.4. Gli aspetti strutturali del Sistema formativo regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292
7.4.1. Le attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294
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7.4.2. Le qualifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 308
7.4.3. Gli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 316
7.4.4. Le strutture e il personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321
7.4.5. La spesa e i costi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325
7.5. I soggetti di governo e di attuazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341
7.5.1. Gli Assessorati regionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341
7.5.2. La delega ai soggetti sub-regionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343
7.5.3. Gli Enti di Formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347
7.6. I processi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350
7.6.1. I modelli di programmazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350
7.6.2. Analisi del fabbisogno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 352
7.6.3. La progettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 356
7.6.4. La selezione e il monitoraggio dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
7.7. La valutazione ex post dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
7.8. L’attività di ricerca in materia di valutazione nei primi Anni ’90 . . . . . . . . . 361
7.8.1. Dalla valutazione docimologica a quella sugli effetti della Formazione 361
7.8.2. Quadro di sintesi dell’attività di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362
7.8.3. Rassegna delle ricerche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 364
8. Organizzazione, attività e politiche della Formazione Professionale nelle
Regioni e Province Autonome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373
8.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373
8.2. Regione Valle d’Aosta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375
8.3. Regione Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384
8.4. Regione Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 406
8.5. Regione Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 417
8.6. Provincia Autonoma di Bolzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428
8.7. Provincia Autonoma di Trento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 436
8.8. Regione Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 454
8.9. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 465
8.10. Regione Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 472
8.11. Regione Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 490
8.12. Regione Marche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499
8.13. Regione Umbria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514
8.14. Regione Lazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526
8.15. Regione Abruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 540
8.16. Regione Molise . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 554
8.17. Regione Campania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 564
8.18. Regione Basilicata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 570
8.19. Regione Calabria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 579
8.20. Regione Puglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 588
8.21. Regione Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 595
8.22. Regione Autonoma della Sardegna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 609
8.23. Quadri sinottico-comparativi di indicatori finanziari e gestionali . . . . . . . . . 615
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643
B. Formazione Professionale e occupazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617
B.1. Formazione Professionale e occupazione giovanile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617
1. I contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione e lavoro . . 617
1.1. Un tentativo di revisione della formazione in alternanza: l’Accordo sulla
politica dei redditi (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617
1.2. Il contratto di formazione e lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 618
1.3. L’apprendistato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 621
1.4. Il costo dei contratti a causa mista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 626
1.5. E la Formazione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627
1.5.1. Apprendistato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627
1.5.2. Contratti di formazione e lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631
2. Nuovi sistemi di alternanza: work experiences . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633
2.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633
2.2. Il piano di inserimento professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634
3. Formazione ed imprenditorialità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 637
3.1. Il quadro normativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 637
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Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP
“STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE”
ISSN 1972-3032
Sezione “Studi”
2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione
della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002
2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professionale
per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003
CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi
orientativi, 2003
MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI
secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003
2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e
formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004
CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di
Catania, Noto, Modica, 2004
CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don
Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004
MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione
professionale, 2004
RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004
2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professionale
fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005
D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di
istruzione e formazione professionale, 2005
PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida
per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005
2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema
di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione
delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona,
2006
NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di
istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006
2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione
e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007
COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo,
2007
DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto
finale, 2007
MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione
professionale. II edizione, 2007
MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del
CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007
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MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del
CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007
MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi
e prospettive, 2007
MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007
NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i
percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007
NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007
PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e
prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007
RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007
2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a
confronto, 2008
COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli
obiettivi di Lisbona, 2008
DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine
conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008
MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale,
2008
MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi
triennali sperimentali di IeFP, 2008
PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie
di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008
2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009
2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione
professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010
NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010
PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010
PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010
ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010
2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani,
in 150 anni di storia, 2011
GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2
2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012
NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la
progettazione formativa, 2012
MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012
CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012
2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide
attuali, 2013
PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere
se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per
favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio
e nel lavoro, 2013
DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali.
Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità,
2013
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Sezione “Progetti”
2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003
CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003
CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio
metodologico e proposte di strumenti, 2003
CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte
di strumenti, 2003
CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e
guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003
COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa.
Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003
FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003
GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003
MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003
TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003
VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui
percorsi formativi, 2003
2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale alimentazione, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale estetica, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale tessile e moda, 2004
CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione
di una buona pratica, 2004
CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale grafica e multimediale, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale meccanica, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004
NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del -
l’istruzione e della formazione professionale, 2004
NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel
sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004
2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto:
le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inserimento
Lavorativo, 2005
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale legno e arredamento, 2005
CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale.
Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005
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NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il
percorso quadriennale, 2005
POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005
VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005
2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza
triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006
CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e
guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006
2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007
GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per
la creazione di impresa. II edizione, 2007
MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007
NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello
sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume,
2007
RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007
RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi
di Istruzione e Formazione Professionale, 2007
2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003.
La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi
della FPI, 2008
CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008
MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi
mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008
NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008
NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte
e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008
RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008
RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008
2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale meccanica, 2009
MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi
triennali del diritto-dovere, 2009
2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze
strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della
persona. Rapporto di ricerca, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale grafica e multimediale, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale automotive, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010
2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo
dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/
allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011
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TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica
nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011
TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione
e Formazione Professionale, 2011
MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011
NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra
casi internazionali e nazionali, 2011
BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo
di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011
2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione
alla cittadinanza, 2012
FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di
opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere
i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e
Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012
Sezione “Esperienze”
2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodologico
condiviso e proposte di strumenti, 2003
CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003
CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento
in itinere, 2003
CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento
finale, 2003
CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello
stage, 2003
2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi.
Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo,
2005
TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore
delle attività educative del CFP, 2005
2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel
Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006
CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia
16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006
COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i
percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006
MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei
percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte
2002-2006. Rapporto finale, 2006
2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi
sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007
2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra
buone pratiche e modelli di vita, 2008
2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione
2010, 2010
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2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione
2011, 2011
2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione
2012, 2012
NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione
Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici,
monitoraggio, 2012
2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013
CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione
2013, 2013
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Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma
Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it
Dicembre 2013
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