La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell'Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo Indagine teorico-empirica Rapporto finale

Autore: 
Pellerey M.
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
193
Codice: 
978-88-95640-86-0
M. pelleRey La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’istruzione e formazione a livello di secondo ciclo Indagine terorico-empirica RAppoRto FinAle Anno 2015 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 1 Coordinamento scientifico: Dario nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’AnDReA: Segretario nazionale settore Automotive. Dalila DRAzzA: Sede nazionale CnoS-FAp – Ufficio Metodologico-tecnico-Didattico. FiAt GRoUp Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AliqUò, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGlià, egidio CiRiGliAno, luciano ClinCo, Domenico FeRRAnDo, paolo GRoppelli, nicola MeRli, Roberto pARtAtA, lorenzo piRottA, Antonio poRzio, Roberto SARtoRello, Fabio SAVino, Giampaolo Sintoni, Dario RUBeRi. ©2015 By Sede nazionale del CnoS-FAp (Centro nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 2 SOMMARIO PRESENTAZIONE.............................................................................................................. 5 PREMESSA ..................................................................................................................... 7 INTRODUZIONE Verso la presenza delle tecnologie informatiche mobili nei processi istruttivi e formativi................................................ 9 PRIMO CAPITOLO Rassegna critica orientativa di pubblicazioni riferibili al rapporto tra tecnologie, in particolare digitali, e educazione ......................................................................... 17 SECONDO CAPITOLO la competenza digitale nel quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente ............................................................................. 31 TERZO CAPITOLO Alcuni apporti da ricerche internazionali................................................................. 47 QUARTO CAPITOLO Uno sguardo alla situzione italiana .......................................................................... 61 QUINTO CAPITOLO Alcuni fondamentali orientamenti concettuali e operativi emergenti...................... 77 SESTO CAPITOLO il mobile learning e i problemi metodologici connessi ........................................... 91 SETTIMO CAPITOLO l’integrazione delle tecnologie mobili nella progettazione educativa e didattica... 109 3 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 3 OTTAVO CAPITOLO la progettazione delle lezioni o dell’attività didattica ............................................ 123 NONO CAPITOLO Fase di avvio e di sviluppo dell’attività didattica .................................................... 137 DECIMO CAPITOLO Fase conclusiva delle lezioni e valutazione delle competenze digitali.................... 151 CONCLUSIONE................................................................................................................. 163 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI......................................................................................... 169 GLOSSARIO ESSENZIALE ................................................................................................ 173 INDICE ..................................................................................................................... 185 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 4 5 PRESENTAZIONE il progetto di ricerca è stato ideato a partire da alcune considerazioni previe che è bene richiamare. la diffusione delle tecnologie mobili nella vita quotidiana sta influenzando in maniera sempre più massiccia e incisiva sia i processi di interazione sociale e di apprendimento dei giovani, in particolare per quanto riguarda il loro approccio allo studio e alla vita scolastica, sia il mondo del lavoro nel quale emergono nuove caratterizzazioni delle competenze richieste. negli anni passati si è assistito alla faticosa conquista da parte della scuola, come della Formazione professionale, di un uso valido e produttivo del computer e in genere dell’informatica. il computer, in particolare, ha costituito da una parte un laboratorio di studio e di ricerca, oltre che un mezzo fondamentale di esplicazione della propria professionalità; dall’altra, è diventato sempre più un formidabile e agevole strumento per raccogliere ed elaborare informazioni e conoscenze culturali e professionali. questo patrimonio di esperienza e di professionalità tuttavia non è di immediata e agevole traduzione nell’ambito delle tecnologie digitali mobili. Anzi, in molti casi emergono non piccole difficoltà, se non impossibilità, di trasferimento di metodologie e pratiche didattiche e formative dall’ambito dei tradizionali computer, anche nella loro versione più personale e portatile come i notebook e i netbook, tanto che in alcune delle più significative sperimentazioni italiane si è preferito, anche per ragioni economiche, limitarsi all’uso didattico di quest’ultimo tipo di computer personali. tuttavia, la diffusione di strumenti cosiddetti mobili, cioè più facilmente trasportabili e disponibili ovunque con agevoli e veloci collegamenti con il web, ha certamente incrementato l’interconnessione sociale a livello multimediale. tuttavia, nei giovani ciò sembra aver costituito più la base di uno sviluppo della loro rete di interscambi a livello sociale e la disponibilità di un facile e variopinto parco giochi, anche collettivi. la sfida che si pone al sistema istruttivo e formativo è verificare le potenzialità di questi strumenti, a esempio tablet e smartphone, al fine di un miglioramento della qualità dei processi gestionali propri delle istituzioni scolastiche e formative e dei processi formativi e didattici sia individuali, sia collettivi, oltre, ma non in contrapposizione, all’uso dei computer nell’insegnamento. la ricerca in oggetto si propone di sviluppare, a un adeguato livello di profondità di analisi e di plausibilità delle conclusioni operative, uno studio attento delle potenzialità e dei limiti, che queste tecnologie offrono a livello di apprendimento scolastico, soprattutto per il secondo ciclo di istruzione e Formazione. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 5 6 A questo fine nel corso dell’indagine doveva essere esaminata la documentazione disponibile sia italiana, sia straniera, in merito a una possibile valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica della scuola e della Formazione professionale. per questo si dovevano prendere in considerazione: a) le politiche europee in merito; b) le politiche italiane; c) la valorizzazione delle tecnologie digitali mobili nella vita scolastica a partire dall’esperienza italiana e da quella internazionale; d) la gestione dei processi di apprendimento tramite tecnologie mobili, tenendo conto dell’esperienza italiana e di quella internazionale; e) le tecnologie digitali e la loro valorizzazione nei differenti insegnamenti scolastici, sempre considerando il quadro che si evidenzia in italia e all’estero. in sintesi, nel corso del 2013 si doveva sviluppare un’analisi critica della documentazione internazionale e italiana in merito all’inserimento delle tecnologie mobili nella pratica didattica e l’elaborazione di alcune piste di loro sperimentazione nell’attività di insegnamento sia di materie umanistiche, sia di materie scientifiche, che fanno parte dei curricoli italiani del secondo ciclo di istruzione e Formazione in vista dello sviluppo delle competenze ivi previste. nel corso del 2014 si dovevano esaminare alcune pratiche didattiche che, sulla base della sperimentazione sviluppata, si presentano come valide ed efficaci nel raggiungimento delle competenze previste nell’impianto del secondo ciclo di istruzione e Formazione, al fine di elaborare alcuni principi di riferimento per lo sviluppo di una progettazione didattica che integri nella pratica di insegnamento l’utilizzo delle tecnologie mobili. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 6 7 PREMESSA Maria Ranieri e Antonio Calvani (Raineri, Calvani, 2011) in un testo pubblicato nel 2011 mettevano in guardia da alcuni miti nei riguardi delle tecnologie digitali. Eccoli in sintesi: 1) Una più diffusa utilizzazione della tecnologia e dei media digitali nella vita quotidiana portano a una più accentuata competenza digitale. 2) Una più diffusa e pervasiva utilizzazione delle tecnologie e dei media digitali nella scuola favorisce l’apprendimento. 3) Una più diffusa utilizzazione della tecnologia e dei media digitali significa innovazione. Naturalmente, gli Autori, mettendo in guardia da tali miti, lo fanno con adeguate argomentazioni. In maniera, ritengo, sufficientemente documentata e critica, questo lavoro tenta di chiarire quali possano essere oggi le finalità, le metodologie e le condizioni fondamentali per un’integrazione nel contesto scolastico e formativo delle tecnologie digitali, in particolare mobili. Nello stesso testo essi propongono anche alcune linee guida che possono aiutare a un valido e corretto modo di procedere nell’integrare nell’attività didattica le tecnologie digitali. Il primo passaggio riguarda una chiarificazione del perché s’intende prendere in considerazione tale possibilità, precisando non solo le finalità che si ritiene dover perseguire, ma anche come verrà verificato se ciò che si spera di ottenere viene effettivamente raggiunto. D’altra parte, non è tanto l’inserimento di tecnologie digitali, specialmente se ci si concentra su una specifica particolare tecnologia, che fa la differenza, bensì il come ciò avviene, con quale impostazione metodologica. E non basta dire che esse hanno di per sé forza motivante e che la multimedialità favorisce l’apprendimento. Inoltre, nel testo vengono richiamate alcune constatazioni derivanti dalla ricerca didattica per favorire una valido apprendimento: chiarire bene agli studenti gli obiettivi d’apprendimento intesi; tener conto delle problematiche derivanti dal carico cognitivo; perseguire lo sviluppo di percezione di autoefficacia, tramite lo sviluppo guidato dell’autoregolazione nell’apprendimento. Da questo punto di vista, il presente studio può essere considerato come un aggiornamento di tali tesi, sia nella direzione di una loro possibile falsificazione, sia in quella di una loro verifica positiva, magari con qualche più o meno profondo aggiustamento, oppure mediante eventuali precisazioni e sviluppi. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 7 9 INTRODUZIONE Verso la presenza delle tecnologie informatiche mobili nei processi istruttivi e formativi 1. Una prospettiva storica a volo d’uccello la presenza delle tecnologie informatiche nella scuola non è una novità; anche a livello di scuola media o secondaria di primo grado. Già negli Anni ottanta e novanta del secolo passato erano state realizzate significative esperienze.1 in particolare la presenza dei computer si era diffusa nelle istituzioni scolastiche sotto forma di laboratori. occorre comunque ricordare come già negli Anni Sessanta la presenza di computer da tavolo, in particolare della programma 101 dell’olivetti, nella pratica didattica era stata studiata a livello di scuola media in italia e addirittura di scuola elementare in inghilterra, con significativi risultati.2 Anche nella scuola secondaria superiore italiana la presenza della programma 101 dell’olivetti era stata sperimentata dalla fine degli Anni Sessanta. poi, si era passati a forme di time-sharing in collegamento con computer di buona potenza, valorizzando il linguaggio Basic. Significative esperienze di formazione degli insegnanti delle scuole professionali erano state realizzate dal CnoS-FAp dal 1976 al 1980, introducendo il sistema p6060 prima poi p6040 dell’olivetti nella pratica formativa. in quegli stessi anni è stato realizzato un corso di formazione misto, a distanza e in presenza (blended), per l’iSFol sull’uso del computer nella Formazione professionale.3 l’inizio degli Anni ottanta vedono uno sviluppo diffuso della valorizzazione dei computer nei processi lavorativi sia sotto la forma del controllo numerico dei processi di produzione meccanica attraverso macchine utensili sia, nell’ambito del produzione grafica, con lo sviluppo della fotocomposizione. in questo stesso periodo si sviluppavano le prime macchine da scrivere elettroniche e i primi computer appositamente progettati per la didattica, come il Compis svedese. questi ultimi strumenti ben presto manifestarono i loro limiti, in quanto per sua natura un computer doveva essere concepito come uno strumento universale, il cui adattamento alla varie sue possibili utilizzazioni dipendeva dal software predisposto. Così nel- 1 M. pelleRey (a cura di), L’informatica nella scuola media. Come e perché, torino, Sei, 1989. Si tratta dei risultati di una ricerca finanziata dalla iBM italia. 2 Cfr. oliVetti, I ragazzi e il calcolatore, a cura di tullia Savi, 1969. la Fondazione nuffield che ha promosso l’esperienza ha pubblicato in merito una serie di volumetti anche tradotti in italiano. 3 iSFol, Verso un sistema di orientamento e formazione a distanza. quaderni di formazione, 6, novembre-dicembre 1983. la ricerca era stata curata per l’iSFol da Michele pellerey. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 9 10 l’ambito istruttivo vennero progettati e realizzati i primi software didattici, in gran parte ispirati a quella che in quegli anni era ancora una metodologia assi diffusa: l’istruzione programmata. questa nelle sue forme più tradizionali era ispirata alla psicologia comportamentistica di B. Skinner. Molte proposte, anche basate su forme ludiche accattivanti, riguardavano attività di recupero, di consolidamento o di veri e propri esercizi destinati a soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento scolastico. Ma i programmi che si rivelarono più validi ed efficaci furono, e sono tuttora in molti casi, quelli di natura tutoriale. Ciò che era emerso in quegli anni come centrale dal punto di vista dello sviluppo cognitivo dei soggetti era la necessità di rappresentare in maniera simbolica astratta, tramite forme algoritmiche e linguaggi di programmazione, processi non solo cognitivi, ma anche di natura pratica, come il funzionamento di una macchina utensile; la capacità poi di trasformare secondo necessità le rappresentazioni elaborate, essendo capaci di interpretarne gli effetti sul piano operativo, anche pratico. in termini matematici si tratta dei processi di matematizzazione, che però in questo caso sono più estesi e comprensivi, perché riguardano spesso attività di tipo professionale. l’esempio più evidente era dato dalle macchine utensili a controllo numerico. l’evoluzione delle tecnologie a base informatica portò anche alla predisposizione di software specialistici non solo sul piano applicativo didattico, ma anche su quello della elaborazione di ambienti di lavoro e di ricerca legati alle varie aree disciplinari. programmi come Mathematica costituivano strumenti per molti versi indispensabili per chi faceva matematica. Ma i programmi di elaborazione testi, di organizzazione di basi di dati, di elaborazione statistica, i fogli di calcolo, ecc., diventarono normali strumenti non solo di lavoro, ma anche d’insegnamento e di pratica didattica. A questi ben presto si accompagnarono modalità di comunicazione e di presentazione sotto forma di slides per power point. nelle scuole le tecnologie informatiche divennero presenti sia con laboratori di computer, sia come computer collegati a videoproiettori a fini comunicativi di aula. tutto ciò ha dato origine a numerose ricerche che possono essere considerate secondo tre filoni fondamentali. il primo riguardava l’introduzione all’informatica, alla struttura dello strumento universale, considerato anche nella sua storia sia concettuale, sia tecnologica, ai linguaggi di programmazione e di gestione dei programmi, alla progettazione di software applicativi. Ciò, soprattutto nei primi decenni, ha costituito una premessa indispensabile per valorizzare le risorse via via rese disponibili sul piano tecnologico. il secondo filone concerneva, invece, la valorizzazione nell’insegnamento dei diversi software didattici che progressivamente venivano messi in commercio, ma anche degli stessi programmi costituenti la base di utilizzo nello scrivere, nell’elaborare dati, nel costituire archivi, nel disegnare, ecc. il terzo filone mirava a costituire micro-mondi o ambienti di apprendimento sufficientemente ricchi si potenzialità di esplorazione e di costruzione concettuale. il mondo logo creato da Seymour papert è certamente stato un esempio di tali micro-mondi, ma molti altri vennero sviluppati. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 10 11 Una svolta importante è stata data da una parte dallo sviluppo del sistema di comunicazione internet e dall’altra dalla disponibilità di basi informative e formative di grandi dimensioni. Wikipedia ne è l’esempio più significativo, ma a partire da esso sono stati costituiti numerosissime risorse per la didattica. tutto ciò passava attraverso l’utilizzo di sistemi fissi. la trasformazione successiva è stata data dall’avvento di sistemi mobili, non solo telefoni cellulari , ma soprattutto smartphone e tablet. la presente ricerca s’innesta quindi sulla questione, oggi assai presente sia nella pratica, sia nella ricerca didattica, circa il valore che possiamo attribuire ai fini del miglioramento delle attività educative scolastiche a un uso, più o meno sistematico, di tali tecnologie mobili. Ciò può essere esaminato da molteplici punti di vista. il primo e più evidente è quello relativo ad una verifica dei possibili miglioramenti dei risultati dell’apprendimento nelle discipline d’insegnamento. Una seconda prospettiva tiene conto più in generale delle finalità formative della scuola e si ricollega a quelle che a livello europeo sono state definite come competenze chiave per l’apprendimento permanente. tra queste è esplicitamente citata la competenza digitale. Una terza strada di riflessione critica riguarda i possibili effetti di trasformazione dell’organizzazione scolastica e delle metodologie didattiche, indotti dalla presenza di tali tecnologie. 2. Una riflessione sul passato Una riflessione critica sulla storia del rapporto tra tecnologie dell’informazione e della comunicazione e insegnamento scolastico porta ad una conclusione fondamentale: non è la presenza o meno delle tecnologie nelle aule scolastiche, qualunque esse siano, che deve caratterizzare i processi di insegnamento-apprendimento, bensì è la qualità dell’apprendimento e delle formazione degli studenti. la questione da porre è dunque: tale apprendimento può essere migliorato nella sua qualità e la capacità di autoregolazione da parte degli studenti può essere potenziata facendo leva su una valorizzazione attenta e funzionale delle tecnologie mobili? questa domanda deve costituire il perno sul quale svolgere l’indagine in corso. Ciò è particolarmente necessario, dal momento che ben poche e modeste sono state le tecnologie nate e sviluppate nel contesto della scuola e quindi per loro natura coerenti con tale attività formativa. tra queste si può citare la lavagna tradizionale e l’uso del gesso per scrivere su di essa, con la facilità di una loro utilizzazione ripetuta, data dalla possibilità di cancellare. Gran parte delle tecnologie, invece, sono nate al di fuori delle aule scolastiche. Come fa notare Diana laurillard: “Scrivere, uno dei più importanti strumenti per lo sviluppo dell’umana civilizzazione, non fu inventato per la scuola, ma per il commercio. i libri furono usati inizialmente per diffondere la parola della religione non per l’educazione scolastica. questa le ha adottate entrambe, ma essa ha avuto poca influenza nel loro sviluppo.[...] persino la presentazione mediante slides è stata inventata dalla comunità degli affari. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 11 12 Dobbiamo riconoscere che, tipicamente, l’educazione scolastica non presiede all’invenzione tecnologica. Al contrario ci appropriamo d’invenzioni utili, provenienti dalle industrie economiche e del tempo libero” (laurillard, 2012, 12). Richard Mayer (Mayer, 2010, 182) ha osservato come negli Anni Venti del secolo passato le tecnologie didattiche sollecitavano l’introduzione delle immagini in movimento. edison aveva predetto che “l’immagine in movimento è destinata a rivoluzionare il nostro sistema educativo” e “i libri ben presto saranno nelle nostre scuole obsoleti” (Cuban, 1986, 9-11)4. Ma nei decenni seguenti la presenza di filmati nelle aule è rimasta abbastanza rara. negli Anni quaranta e Cinquanta era la radio che avrebbe portato il mondo a scuola, ma anche in questo caso non si ebbe un’invasione di programmi radiofonici. Dal 1950 è stato il turno della televisione, che secondo alcuni avrebbe promosso una nuova rivoluzione didattica. poi, negli Anni Sessanta è stato ritenuto che l’avvento dei computer e dell’istruzione programmata avrebbe trasformato profondamente l’attività d’insegnamento. Si può anche ricordare l’attività pionieristica di Seymour papert e la sua teorizzazione sui metodi d’insegnamento orientati al cosiddetto “costruzionismo”, basati cioè sulla produzione di artefatti cognitivi: oggetti o dispositivi che facilitano lo sviluppo di specifici apprendimenti.5 Ma come molti di noi hanno sperimentato, tutto ciò non ha cambiato molto nella pratica scolastica quotidiana dalla primaria all’università. “l’introduzione delle tecnologie dell’informazione nelle scuole nei due decenni passati non ha portato né alla trasformazione dell’insegnamento e dell’apprendimento, né i guadagni produttivi, che una coalizione di dirigenti industriali, pubblici ufficiali, genitori, accademici ed educatori avevano sognato” (Cuban 1986, 195). nella nostra indagine, quindi, non si devono prendere in considerazione in primo luogo le tecnologie oggi disponibili, bensì i processi di apprendimento che occorre promuovere nei nostri studenti e poi verificare se l’uso di certe tecnologie nella pratica scolastica ne favorisce lo sviluppo e il potenziamento. quindi, il 4 A Cuban fanno anche riferimento M. Raineri e A. Calvani nel secondo capitolo del volume di A. CAlVAni et alii, Valutare la competenza digitale, trento, erickson, 2011. in tale testo viene citato il lavoro di n. Rushby e J. Seabrook (2008) Understanding the Past - Illuminating the Future, che evidenzia la tendenza nelle adozioni di una innovazione a procedure prima lentamente, poi in maniera accelerata per poi rallentarsi sia per saturazione, sia per la presenza di nuove soluzioni e nuove strumentazioni. Viene, infine, citato un passaggio significativo: “innovazioni dirompenti provengono dall’introduzione di tecnologia radicalmente nuove, come l’introduzione stessa del computer nell’apprendimento negli anni Cinquanta, l’avvento di internet, dei dispositivi mobili e più recentemente del Web 2.0, che sta producendo un’inondazione costruttivista in educazione. parallelamente, i tecnologi dell’educazione più acuti hanno compreso che è dispendioso gettare le precedenti tecnologie nella spazzatura della storia se sono ancora adeguate allo scopo e possono essere combinate efficacemente per apprendere” (ibidem, 201). 5 S. pApeRt, Mindstorms. Children, Computers, and Powerful Ideas, new york, Basic Books, 1980; S. pApeRt, The Children’s Machine. Rethinking School in the Age of Computer, new york, Basic Books, 1993. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 12 13 discorso implica una prima esplorazione degli obiettivi formativi e didattici che non solo l’attuale normativa scolastica propone per le istituzioni scolastiche, bensì anche un’attenta rilettura della domanda educativa presente nella società suggerisce; poi, una verifica delle opportunità e difficoltà che la pratica didattica corrente manifesta in questa direzione, per poi raccogliere le esperienze positive che eventualmente sono disponibili per superare le difficoltà riscontrate e migliorare le opportunità individuate mediante un uso appropriato di tecnologie mobili. A questo fine sono sempre più disponibili i risultati di indagini, studi e ricerche sia internazionali, sia nazionali.6 occorre comunque anche fare attenzione a non volere utilizzare la loro introduzione come grimaldello per trasformare, un po’ ideologicamente, i processi messi in atto dagli insegnanti, indicando come uniche vere forme di apprendimento quelle proposte da alcune correnti di ricerca. le vie dell’apprendimento sono molteplici, come le vie della ragione e, inoltre, ciascuno di noi manifesta le sue preferenze. Un buon progettista di processi di apprendimento a scuola deve saper prevedere una molteplicità di approcci, in modo da garantire il più possibile e per la maggior parte degli studenti il raggiungimento degli obiettivi posti ai vari livelli scolastici.7 l’uso della lavagna e del gesso, come quella dei libri di testo, nel promuovere l’apprendimento degli studenti, è stata una valida esperienza di introduzione di tecnologie non sofisticate, alla portata di tutti e che hanno avuto un ruolo positivo nel favorire l’apprendimento. nel tempo sono stati anche evidenziati alcuni limiti di tali strumenti. Da una parte era presente una certa passività degli studenti nel seguire le lezioni espositive del docente; ma insegnanti attenti avevano valorizzato piccole lavagne per ogni studente, o per gruppetti di studenti, sulle quali sviluppare le loro attività e le loro ricerche. il libro favoriva la riproduzione di quanto letto senza particolari approfondimenti e comprensioni, anche se insegnanti intelligenti riuscivano a introdurre i loro studenti nel mondo delle biblioteche e favorire una cultura scritta di notevole spessore culturale. D’altra parte, il passaggio dalla lavagna di ardesia e gessetti, a quella bianca di plastica con pennarelli, alla lavagna luminosa e oggi alla liM (lavagna interattiva Multimediale), può segnalare sia un miglioramento nella capacità comunicativa del docente, favorendo una positiva interazione con gli studenti, sia un irrigidimento nelle forme di presentazione dei contenuti disciplinari e quindi riproduzione spesso meccanica e poco significativa di essi.8 6 A questo proposito si può citare il volume di z. l. BeRGe, l. y. MUilenBURG (eds.) Handbook of Mobile Learning (new york, Routledge, 2013), che raccoglie numerosissime esperienze realizzate in tutte la parti del mondo. 7 È l’assunto del volume di Diana laurillard del 2012 già citato e a cui spesso faremo riferimento (laurillard, 2012). 8 Sull’uso della liM nella pratica di insegnamento è utile leggere gli articoli del numero di dicembre 2012 della Rivista RicercAzione (vol.4, 2, 2012). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 13 14 Credere, come molti nel passato (e nel presente), che la presenza di tecnologie aggiornate sia quasi automaticamente portatrice d’innovazioni metodologiche, e che essa modifichi profondamente il modo di insegnare, mostra una certa ingenuità di fronte a un sistema sociale complesso come è la scuola, che nel tempo si è dovuto riconoscere come altamente resistente a ogni cambiamento.9 e ciò nonostante che per più secoli i pedagogisti abbiano invocato la necessità di mettere in atto forme più dinamiche e personali di apprendimento. 3. La presenza delle tecnologie mobili nei processi d’insegnamento a livello di secondo ciclo di Istruzione e Formazione nello sviluppo dei risultati della nostra ricerca si è giunti ad alcune conclusioni fondamentali. esse guidano tutta l’argomentazione sviluppata nel testo. eccole in sintesi: a) nel prospettare un’integrazione delle tecnologie mobili nell’attività concreta dei docenti, occorre considerare come i responsabili dell’attivazione di un processo di apprendimento orientato a conseguire gli obiettivi formativi previsti dalla normativa vigente siano al loro livello l’insegnante singolo, il consiglio di classe, il collegio docente. in questo quadro, occorre sottolineare il ruolo centrale e particolarmente decisivo del singolo docente. Risulta, infatti, assai pericoloso e poco produttivo pensare di poter in qualche modo condizionarlo dall’esterno, senza che egli abbia sviluppato sufficienti motivazioni, conoscenze e competenze per affrontare una innovazione, soprattutto se impegnativa, nel suo procedere educativo e didattico. b) Al fine di garantire una progressiva presenza delle tecnologie mobili nell’attività istruttiva e formativa, sembra utile e fecondo sia dal punto di vista formativo, sia da quello didattico, assumere come prospettiva fondamentale un’impostazione che potremmo definire ibrida, nel senso che tende a valorizzare modalità comunicative molteplici, dirette e mediate, in un contesto conversazionale che rispetta le opportunità e i condizionamenti tipici di ogni situazione concreta. 9 questa resistenza all’innovazione può essere considerata sia negativamente, sia positivamente, a seconda di specifici assunti teorici o ideologici. più in generale si fa spesso notare come di fronte ai cambiamenti istituzionali formali, quali quelli derivati in europa e in italia a seguito del trattato di Amsterdam, la situazione istituzionale informale, quella della vita quotidiana delle istituzioni, manifesta ben poco dinamismo. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 14 15 c) Da tale premesse e da tutta la letteratura esaminata, come dalle esperienze prese in considerazione, deriva la centralità della progettazione educativa e didattica che ai vari livelli, ma soprattutto a livello di singoli curricoli d’apprendimento, l’istituzione formativa deve attuare. essa deve tenere conto degli obiettivi generali e specifici che la normativa vigente indica per i vari canali istruttivi e formativi, delle caratteristiche peculiari degli studenti convolti e del loro effettivo stato di preparazione in vista del raggiungimento di tali obiettivi, delle risorse disponibili in termini di spazi, tempi, strumenti comunicativi effettivamente disponibili, competenze metodologiche, che i docenti sono in grado di attivare nella quotidianità del loro lavoro. d) Urgenza di promuovere negli studenti lo sviluppo di quelle competenze digitali che sono state indicate a livello europeo e richiamate nelle indicazioni italiane, competenze che comprendono dimensioni tecnologiche, etiche e cognitive. in questa prospettiva, occorre da una parte considerarne la trasversalità rispetto ai vari insegnamenti e apprendimenti, dall’altra la necessità di svilupparne una fruizione funzionale ai processi di studio e di lavoro e non solo di comunicazione sociale e di divertimento. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 15 17 Primo capitolo Rassegna critica orientativa di pubblicazioni riferibili al rapporto tra tecnologie, in particolare digitali, e educazione Questo primo capitolo è dedicato a una rassegna critica delle pubblicazioni più recenti riguardanti l’impatto che le nuove tecnologie, soprattutto mobili, possono avere non solo sul contesto sociale, ma anche su quello culturale e personale, in particolare educativo. Certamente, molte pubblicazioni sono più di natura divulgativa, se non giornalistica, ma altre sono dovute a ricerche serie e assai approfondite come quelle del premio Nobel Daniel Kahneman o quella dell’Accademia Francese delle Scienze. Tale panoramica permette di giungere a una conclusione fondamentale: oggi la prospettiva formativa da adottare si presenta come di natura ibrida, nel senso che non può privilegiare una sola forma comunicativa, tra le molte che ormai sono presenti nel contesto di vita dei giovani. Inoltre, il dialogo, la parola viva, l’incontro faccia a faccia, rimangono al cuore di ogni autentica azione educativa e formativa. 1. Introduzione leggendo la letteratura più significativa presente nella pubblicistica attuale italiana e in parte straniera, si può essere presi da un certo senso di disorientamento: le contrapposizioni sono troppo evidenti: si va da un apprezzamento deciso dell’impatto che le nuove tecnologie, soprattutto mobili, possono avere sullo sviluppo personale, sociale, culturale e professionale dei giovani e di conseguenza si sollecita una loro valorizzazione diffusa nei processi di insegnamento e apprendimento; a una profonda preoccupazione per gli effetti che da esse derivano, ritenuti in gran parte distorsivi di un corretto sviluppo di quelle stesse dimensioni formative. A questo proposito il rapporto dell’oeCD Connected minds (oeCD, 2013) classifica molte delle indagini come opera di missionari, catastrofisti o scettici.10 10 nel terzo capitolo esamineremo più in dettaglio il contributo di questo rapporto. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 17 18 per questa ragione in primo luogo ho ritenuto utile passare in rassegna un certo numero di testi che affrontano l’argomento da molteplici punti di vista, al fine di contestualizzare la problematica e poterne cogliere con più puntualità e consapevolezza l’importanza e l’urgenza, soprattutto in vista delle esigenze di un’azione educativa scolastica e formativa valida ed efficace. Certo le conclusioni che potremmo trarre da questa panoramica non potranno essere del tutto conclusive, ma motiveranno più fortemente l’urgenza di affrontare uno studio sistematico e sensibile alla molteplicità delle varie scienze dell’educazione, per un primo orientamento operativo sufficientemente meditato e fondato. 2. Il difficile rapporto tra l’uomo, l’educazione e la tecnologia la questione posta dalla presenza sempre più diffusa e invadente delle tecnologie, in particolare mobili, induce anche i loro creatori a riflessioni critiche che possono aiutare a prendere una giusta posizione nel considerarne il ruolo nella società e soprattutto nei processi educativi scolastici e formativi. Federico Faggin è forse il più illustre informatico italiano, in quanto ideatore e costruttore del primo microchip al mondo, ancora usato dopo quasi quarant’anni dall’ottanta per cento dei circuiti integrati. in un’intervista al Corriere della Sera pubblicata il 9 ottobre 2014 affermava, dopo aver cercato per una vita di costruire un computer in grado di imparare da solo: “era una sfida interessante. Ma dopo vent’anni ho capito che no, non è possibile. la consapevolezza va al di là del meccanismo. È un fenomeno primario. È una proprietà irriducibile della realtà. [...] più che rassicurarmi questa certezza mi ha aiutato a capire fino in fondo quanta più profondità ci sia in un uomo. o perfino in un animale. Un bambino che sbatte su un albero da quel momento sa che si farà un bernoccolo sbattendo contro ogni albero, alto, basso, giovane, vecchio, verde o spoglio, che sia pino, abete o baobab: il computer no. Devo fargli immagazzinare tutte le variabili perché da solo non ci arriva. [...] la società ‘scientista’ ci ha fatto il lavaggio del cervello spingendoci a pensare che tutto è macchina. l’universo è una macchina, noi siamo macchine... Assurdo. l’uomo si sta sottovalutando. e lo diciamo non sulla base di un dogma ma di quanto abbiamo potuto accertare. Un neoumanesimo digitale necessario in quanto se non stiamo attenti la macchina ci imprigiona invece che liberarci. io ho sempre visto la macchina come una cosa liberatoria. Che mi deve aiutare ad avere la vita più facile. più tempo libero. più spazio per me. Una macchina che «deve stare al suo posto» senza invadere la mia vita”.11 Faggin sembra quasi evocare quanto negli Anni Settanta ha scritto il francese 11 G. A. StellA, intervista a Federico Faggin, Corriere della sera, 9 ottobre 2014, 39. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 18 19 Jaques ellul sul progressivo dominio della tecnica che tende a modellare, trasformare, controllare l’uomo e la società (ellul, 2009). Un sistema auto-generativo che però è cieco e fa sparire ogni fine. non sa dove va, non ha alcun disegno. non cessa di crescere, di artificializzare l’uomo e l’ambiente, di portarci verso un mondo sempre più imprevedibile e alienante. Senza correggere i propri errori. Ma non potendo tornare a una società pretecnica, occorre promuovere un esercizio di senso critico, cercando di comprendere tale sistema e tentare di agire su di esso. il primo passo verso la libertà consiste nel prendere coscienza della proprie catene, delle proprie alienazioni. È certamente una visione assai pessimistica della condizione umana segnata dall’invadenza della tecnica, visione che però ha trovato nei filosofi non pochi seguaci. Forse molte resistenze da parte dei docenti italiani di avvalersi nell’attività docente di strumenti di comunicazione tecnologici, soprattutto di natura informatica mobile, può leggersi come la volontà di mantenere in vita quanto più possibile un sistema di interazione e di interscambio immediato, di rapporto direttamente interpersonale, senza schermi che si frappongano. eppure gran parte della strumentazione didattica che viene quotidianamente valorizzata in classe è anch’essa di natura tecnologica, come la scrittura stessa e il libro, ma questa forma di tecnologia è stata ormai interiorizzata fino diventare invisibile, inconsapevolmente, ma universalmente presente. eppure imparare a leggere è scrivere è e rimane un lungo tirocinio, condizione comunque di valorizzazione adeguata di ogni tecnologia digitale. nello stesso periodo, fine Anni Settanta – inizio Anni ottanta dell’altro secolo, analoghe considerazioni erano state sviluppate da neil postman nel volume pubblicato in origine nel 1979 e tradotto in italiano due anni dopo (postman, 1981). Si era ancora agli albori dell’invadenza della tecnica informatica nella società e l’autore intendeva mettere in guardia da quella che egli definiva la “tesi tecnica”, cioè il credere nella tecnologia come ancora di salvezza per l’umanità, fino al punto di sovrapporsi, fino a negarle, alle fondamentali finalità umane, in particolare a quelle proprie della scuola. questa in qualche modo deve aiutare e riequilibrare una tale invadenza, evitando di esserne vittima, anche perché “la scuola si è sempre mostrata facilmente accessibile alle influenze della tesi tecnica”.12 egli precisa: “non ho nulla da dire contro l’uso razionale della tecnica per raggiungere finalità umane. [...] Così la mia argomentazione non è contro la tecnica, senza la quale noi saremmo meno umani; è contro il trionfo della tecnica, ossia contro una tecnica che subordini, giungendo fino ad obliterarla, la finalità umana: una tecnica che ci induca a servire i suoi scopi, non i nostri” (Ibidem, 78). postman non ha cambiato opinione nel corso dei decenni successivi, tanto che recentemente in un contributo a un volume collettivo ha ribadito la sua tesi fondamentale: la scuola deve riequili- 12 Ivi, 88. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 19 20 brare l’invadenza di una cultura e di una strumentazione tecnologica che tende a oscurare se non a far scomparire una visione umanistica dell’uomo e delle società. D’altra parte i numerosi saggi presenti nel volume mirano a scoraggiare un uso incondizionato della tecnologia in ambito educativo senza offrire adeguato spazio al pensiero morale, alle competenze sociali e a una consapevolezza critica (Clough, olson, niederhauser, 2013). occorre comunque osservare che spesso si ha l’impressione che la tesi di ellul sul dominio della tecnica, sostenuto dal potere economico, trovi ampi spazi nella politica europea e nella pubblicistica. Valutare la qualità delle scuole europee sulla base del numero delle liM disponibili o del numero di studenti per computer o per computer portatile, senza tener conto di altre variabili cruciali, sembra oscurare le finalità fondamentali dell’educazione scolastica per assegnare a esse il ruolo di diffusori di tale dominio.13 oggi si tende a evitare una contrapposizione così netta tra una cultura umanistica e una cultura tecnico-scientifica, quasi rievocando un dibattito di alcuni decenni fa sulle due culture innestato dal saggio di Charles percy Snow. Anche perché nel mondo contemporaneo si ha la compresenza di tre culture: quella tecnico- scientifica, quella umanistica e quella antropologico-sociale. Jerome Kagan ha insistito nel delineare la necessità di preservare un equilibrio tra le tre culture, anche se si deve combattere l’eccessivo potere della cultura scientifica e tecnologica all’interno del sistema formativo e di ricerca (Kagan, 2013). Ruggero eugeni, citando appunto Kagan, insiste nell’evocare i richiami odierni circa il valore educativo della cultura umanistica, in particolare ricordando l’apporto di Martha nussbaum e il rapporto dell’Accademia Americana delle Arti e delle Scienze del 2013. quest’ultimo rapporto: “afferma con decisione la necessità di preservare il ruolo delle scienze umanistiche e di quelle sociali al fine di salvaguardare non solo una consapevolezza dei principi democratici della nazione, ma anche la sua capacità di innovazione e competitività globale” (eugeni, 2014). eugeni dopo aver esaminato la tesi che “i saperi operazionali implementati dai nuovi media digitali e sociali sembrerebbero a prima vista rivendicare anch’essi uno spazio per i saperi umanistici e sociali rispetto a quelli scientifico-tecnologici: grazie ad essi, la rete perde il suo carattere puramente tecnologico e si fa strumento di apprendimento e di maturazione collettiva”, contrappone una sua ipotesi che tali saperi operazionali “non risultino da una riaffermazione della cultura umanistica e sociale all’interno dei nuovi media, quanto piuttosto una riproposizione in forma velata e indiretta di alcuni valori chiave della cultura tecnologico-scientifica (efficienza, funzionalità, operatività, divisione del lavoro, ecc.)” (Ibidem, 54-55). 13 Cfr. a esempio Il sole24ore supplemento Nòva24 del 3 settembre 2014 su dati ocse, della Commissione europea e del MiUR. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 20 21 Di conseguenza occorre “non dismettere pratiche formative che per loro natura non si possono uniformare al modello operazionale: pratiche legate dunque a una temporalità lunga e articolata [...], alla valutazione ponderata delle scelte operative, alla narrazione argomentata del sé e delle proprie avventure relazionali” (Ibidem). 3. L’impatto delle tecnologie informatiche Si è così passati decisamente dalla considerazione della tecnologia come sistema in generale alla più diretta attenzione verso le tecnologie informatiche e quelle mobili digitali in particolare. Ciò è importante perché attraverso di esse si sta sviluppando quella che lo stesso eugeni definisce naturalizzazione dell’esperienza tecnologica data anche l’estrema pervasività di tali media. Ma la questione è ancor più delicata. infatti, si insiste nel dire che, a differenza delle tecnologie di produzione e dirette a risolvere aspetti pratici e operativi, quelle attuali si basano su flussi immateriali di dati e informazioni. ne deriva una natura assolutamente diversa, che si manifesta anche nella loro progressiva invisibilità fisica di fronte alla fruizione di quanto messo a disposizione in testi e immagini. Così si può giungere ad affermare che in fondo le tecnologie mediali attuali rendono un servizio alla cultura, anche umanistica e antropologico-sociale, assai più forte, incidente e pervasivo di quello che poteva essere offerto dalle passate tecnologie, in particolare dalla stampa tradizionale. quanto suggerisce eugeni tende a falsificare, almeno in parte, questo assunto. Rimanendo sul versante della riflessione teorica nell’aprile del 2013 è stato pubblicato un volumetto da parte di Giovanni Reale, recentemente scomparso, dal titolo emblematico: “Salvare la scuola nell’era digitale” (Reale, 2013). l’Autore afferma che: “personalmente non solo amo i computer, ma sostengo fermamente la necessità di introdurre sistematicamente nelle scuole l’“alfabetizzazione informatica”. però: “la cultura del computer e dei mezzi di comunicazione multimediale non può e non deve sostituirsi alla cultura della scrittura, ma deve collaborare con questa in modo costruttivo” (Ibidem, 59-60). Di conseguenza il libretto è un’appassionata difesa delle cultura umanistica basata sul libro e una critica spietata per chi crede in una nuova cultura che deriverebbe dalla valorizzazione intensa, se non esclusiva, delle tecnologie informatiche. in realtà la tesi del volumetto mira a trovare un nuovo equilibrio tra quanto le diverse modalità comunicative (orali, scritte, multimediali, ecc,) presenti nelle nostra società possono dare alla crescita personale, culturale, sociale e professionale dei giovani. il pericolo denunciato è che l’influenza pervasiva delle tecnologie mobili possa fare perdere di vista il cuore di un’educazione scolastica integrale. Da questo punto di vista occorre anche precisare che diversa è la situazione formativa nella quale si trovano gli studenti degli istituti professionali, rispetto a quella degli istituti tecnici, a quella dei licei, in particolare dei licei a base umanistica. l’equilibrio da trovare evidentemente deve LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 21 22 tener conto della natura e delle finalità istituzionali dei diversi canali formativi. A meno che non ci si voglia dirigere verso quel tipo di civiltà che è stata definita “post-umana”. la tesi generalmente condivisa da molti pensatori è che nel processo formativo occorre trovare un nuovo equilibrio tra le diverse sollecitazioni culturali e operative, rimanendo attenti a non lasciarsi dominare da due diversi atteggiamenti: uno proiettato alla valorizzazione immediata e diffusa delle tecnologie digitali fisse e mobili senza adeguata riflessione critica; l’altro decisamente orientato a preservare il mondo scolastico dal dominio incontrastato della cultura e dell’operazionalità tecnologica digitale, considerate come alienanti rispetto alle fondamentali finalità educative scolastiche. tale contrapposizione trova un riscontro sociale in quella che nell’ambito educativo scolastico e famigliare è la contrapposizione tra le nuove generazioni (bambini, ragazzi, giovani) e in genere gli adulti di fronte al loro uso. Si è insistito, a volte esageratamente, sulla distinzione di presky tra nativi e immigrati digitali. tuttavia, è certamente vero che una generazione che si è formata attraverso quasi esclusivamente la fruizione di testi stampati, o al massimo con la televisione, si trovi in difficoltà a basarsi quasi esclusivamente, come fanno molti giovani, sull’interazione con i social media. Ciò è tanto più vero di fronte alle presenza pervasiva di molte forme tradizionali di insegnamento scolastico. tuttavia, anche nei riguardi della strumentazione didattica sembra necessario adottare un approccio pluralistico e integrato: non si tratta di contrapporre strumenti obsoleti come la lavagna, l’aula tradizionale, il libro stampato con nuovi strumenti, tecnologie mobili (tablet e smartphone), audiovisivi, aule virtuali, ebook, quanto di valorizzare le risorse disponibili in maniera valida ed efficace secondo una progettazione didattica attenta ai contenuti da apprendere e allo stato di preparazione degli studenti. eugeni insiste sulla cosiddetta “orizzontalizzazione degli strumenti di apprendimento” (non esistono più strumenti specifici dedicati alla formazione) propria della condizione “post-mediale” in cui ci troviamo, che porta a dover assumere due atteggiamenti complementari: “Da un lato si tratta di progettare e costruire percorsi di formazione radicalmente plurilocalizzati e trans-mediali, che passino fluidamente dalla formazione faccia a faccia a quella mediata nelle sue varie possibilità. Dall’altro lato, occorre introdurre nella formazione una robusta consapevolezza metodologica. Costruendo un patto con il discente che contempli la differenza e le opportunità (ma anche i limiti) offerte da ciascuno dei numerosi strumenti a sua disposizione” (eugeni, 2014, 54). Marc prensky negli ultimi anni ha orientato le sue riflessioni su una prospettiva di lavoro diretta a proporre una nuova forma di saggezza da lui definita “digitale” (prensky, 2013). egli si è posto una precisa domanda: la tradizionale forma di considerazione della saggezza umana è ancora adeguata alla realtà di una “mente aumentata”? Cioè: la constatazione che la mente umana, grazie alle nuove tecnologie, è di fatto migliorata, estesa, affinata, amplificata (e liberata) consente di ritenere ancora attuale l’impostazione aristotelica che indica la saggezza come “la capacità di discernere la cosa migliore da fare in ogni situazione che affrontiamo, per raggiungere le nostre LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 22 23 mete più meritevoli”? “la saggezza digitale – egli afferma – consiste nell’utilizzare la tecnologia, e soprattutto le nuove tecnologie digitali della nostra epoca, per migliorare le nostre menti”. la sua affermazione deriva dal fatto, a suo giudizio, che il “nostro cervello sta crescendo esternamente, tramite una nuova simbiosi con la nostra tecnologia, grazie alla quale la mente umana, cioè il cervello che usiamo tutti i giorni, sta rapidamente acquistando in potenza e capacità”. in altre parole “la cultura e il contesto umano stanno mutando in maniera esponenziale praticamente per noi tutti. e tutti, per adattarci e prosperare in questo contesto, abbiamo bisogno di ampliare le nostre abilità. la tecnologia sta già facendo succedere tutto ciò: sta estendendo e «liberando» le menti in tanti modi efficaci e vantaggiosi. e continuerà a renderci migliori e più liberi, ma solo se la svilupperemo e la utilizzeremo in modo saggio” (prensky, 2013, passim). Di conseguenza una persona digitalmente saggia sa utilizzare le tecnologie per potenziare la sua intelligenza, per trovare le risposte più efficaci a problemi complessi; ma è importante che impari a farlo con consapevolezza, con senso critico, con rispetto del proprio limite e responsabilità nei confronti degli effetti che dall’uso di queste tecnologie potrebbero derivare per gli altri. 4. Tecnologie digitali e processi cognitivi l’impatto culturale e personale con le tecnologie digitali deve comunque essere esaminato da una molteplicità di punti di vista, tra questi oggi tende a essere preso in attenta considerazione quello neuropsicologico. il neurobiologo lamberto Maffei ha esaminato l’effetto dell’interazione del cervello con strumenti digitali e afferma: “quando si legge o si sente parlare di pensiero digitale, non può trattarsi che di una estrapolazione, dato che il pensiero digitale non esiste e neppure può esistere, perché il pensiero ha una sua continuità e non è fatto di eventi discreti che si susseguono” (Maffei, 2014, 71). l’espressione “pensiero digitale [...] si riferisce invece al recente sviluppo della tecnologia e che è un vero e proprio pensiero mediato dallo strumento, e che ha come conseguenza le caratteristiche di sintesi e di rapidità del linguaggio che lo esprime. All’origine sta lo strumento o la sua influenza, come fosse avvenuto un processo di ibridazione tra strumento e cervello. il meccanismo cerebrale che ne è alla base è simile a quello per cui, a un certo punto dell’apprendimento di una lingua straniera, ci si scopre a formulare pensieri in quella lingua. Analogamente il pensiero di chi usa abitualmente strumenti digitali non segue il percorso temporale derivato dal linguaggio, ma procede in stretta interazione con la macchina, che corregge, propone, annulla ripensamenti e interviene con i suoi ritmi anche spaziali nell’espressione dei pensieri dell’autore. [...] È facile notare, in particolare nei giovanissimi, dove la plasticità del cervello è assai alta, una ristrutturazione del linguaggio fonetico e della scrittura, divenuti più sintetici e rapidi, come volessero accorciare spazio e tempo” (Ibidem, 71-72). in questa prospettiva l’Autore vuole: “avanzare la proposta che un’eccessiva prevalenza dei meccanismi rapidi del pensiero, che chiameremo ‘pen- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 23 24 siero rapido’ o digitale, possa comportare soluzioni o comportamenti errati, danni all’educazione e in generale al vivere civile, innescando nella mente umana sogni di un dominio sulla natura e sull’uomo stesso quasi soprannaturale, il quale, per evidenti limitazioni biologiche, non può esistere. il mio è un invito a riconsiderare le potenzialità del cosiddetto ‘pensiero lento’ basato principalmente sul linguaggio e sulla scrittura, anche al livello dell’educazione scolastica” (Ibidem, 16). in qualche modo l’argomentazione di Maffei riecheggia, e l’Autore lo riconosce, quanto ha elaborato il premio nobel per l’economia Daniel Kahneman in vari suoi scritti ma soprattutto nel ponderoso volume dal titolo in italiano “pensieri lenti e veloci” (Kahnemann, 2012); dove il pensiero lento è quello di tipo argomentativo, discorsivo, analitico, critico, in gran parte collegato alla parola, in particolare scritta; mentre quello veloce è più di tipo intuitivo, più vicino alla sensazione visiva, uditiva, alle immagini. il primo tipo di razionalità è quella propria del cosiddetto Sistema2 di pensiero, mentre il secondo è caratteristico del Sistema1. le due tipologie di intelligenza non devono porsi però in contrapposizione, bensì cooperare tra loro in modo produttivo. in questo ambito sembra potersi collocare una finalità fondamentale della scuola, soprattutto in un mondo che è sempre più dominato dalle immagini, dalla frammentazione, dalla rapidità, dalla velocizzazione dei processi: promuovere la capacità di riflettere, di approfondire, di argomentare, di discutere, di mettere ordine, di dare continuità all’ininterrotto fluire, spesso caotico, delle sensazioni, delle immaginazioni, delle intuizioni. la questione implica, però, anche prospettiva educative più generali: essere capaci di pagare in termini di tempo e di sforzo personale quanto il pensiero lento proprio del sistema2 richiede. e qui entrano in gioco due dimensioni fondamentali del processo formativo: quella che si innesta sulla prospettive motivazionale relativa a come si vive il tempo passato, presente e futuro (nuttin, 1992; zimbardo, Boyd, 2009) e quella che fa riferimento alla capacità di perseverare nei propri impegni, nonostante parziali insuccessi, frustrazioni, fatica psicologica e fisica.14 Giuseppe Riva, uno psicologo sociale che si è dedicato particolarmente allo studio dell’impatto delle nuove tecnologie, soprettutto mobili, sui giovani, ha esaminato le conseguenze di un uso continuo dei media digitali sui processi cognitivi e affettivo- emozionali, identificando i cosiddetti “nativi digitali” più che sulla base della loro età, una sorta di “discontinuità generazionale”, su quella di una immediatezza di interazione con i nuovi media che supera la barriera linguistica: essi “sono in grado di percepire e attuare le opportunità offerte dai media digitali in maniera immediata”. tale interazione tende a modificare gli schemi cognitivi di organizzazione e di attuazione dell’azione, influenzando la nostra percezione del corpo e dello spazio e ad alterare la capacità di percepire ed esprimere emozioni (Riva, 2014). Da quest’ultimo 14 Verso la fine del secolo passato sotto l’influsso degli studi di H. Heckhausen si è riaperto lo studio filosofico e psicologico sui processi volitivi e sul loro possibile sviluppo fin dall’infanzia (pellerey, 1993). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 24 25 punto di vista l’Autore afferma in distinti paragrafi che: a) i nuovi media producono emozioni forti ma disincarnate, “pur provandole io, non sono mie, ma sono lo specchio delle emozioni degli altri”; b) i nuovi media riducono la capacità di riconoscere le emozioni proprie e altrui, “favorendo l’analfabetismo emotivo” (Ibidem, 79-85). Data anche la caratterizzazione disciplinare dello studioso, egli esplora in particolare la questione dell’identità sociale di tali soggetti e quella delle loro relazioni sociali, esaminando l’influenza delle cosiddette reti sociali digitali. 5. Tesi contrapposte e polemiche roventi nel settembre del 2014 è stato pubblicato negli USA un ulteriore volume critico nei riguardi dell’invadenza tecnologica informatica da parte di nicholas Carr dal titolo The Glass Cage (la gabbia di vetro) (Carr, 2014).15 l’argomentazione di Carr parte dalla constatazione che certamente la rete e le nuove tecnologie ci facilitano la vita e ci offrono una quantità enorme di informazioni, ma contemporaneamente tendono a impoverire, se non a bloccare, molte nostre fondamentali capacità cognitive. e non è solo questione di memoria, nel senso che non sentiamo più il bisogno di ricordare dal momento che possiamo facilmente recuperare le informazioni che ci servono. più profondamente tendiamo ad affidarci in maniera eccessiva alla macchina, come quando poniamo poca attenzione alla correttezza della scrittura (“tanto c’è il correttore automatico”), oppure accettiamo l’informazione raggiunta, senza controllarla o confrontarla con altre fonti conoscitive. nei libri precedenti aveva insistito sul fatto che la frequentazione di tali risorse informatiche ci fa sacrificare la nostra abilità nel leggere e nel pensare in modo approfondito, rendendoci superficiali, senza concentrazione e senza capacità di ragionamento discorsivo.16 15 in precedenza era stato pubblicato dello stesso Autore in italiano Internet ci rende stupidi? (Milano, Carocci, 2011). nello stesso anno in inglese era apparso: The Shallows: What the internet is doing to our brains (new york, norton, 2011). 16 non mancano altre prese di posizione problematiche o decisamente critiche nei riguardi della presenza, ritenuta invadente e colonizzante, delle tecnologie informatiche, in particolare mobili. Si possono citare a esempio: R. CASAti, Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere libri (Bari, laterza, 2013); M. SpitzeR, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi (Milano, Corbaccio, 2013. Sulla scia di Spitzer è anche il libro della baronessa e neuro-scienziata SUSAn GReenFielD, Mind changes: How digital technologies are leaving their marks on our brains (london, ebury, 2014). il suo paradigma centra l’attenzione sul cambiamento mentale, non meno dannoso di quello climatico, i cui segnali sono: riduzione della durata dell’attenzione, riduzione delle prestazioni scolastiche, costruzione di false identità personali, riduzione della capacità di empatia, sindrome di tipo autistico. D’altra parte c’è chi, invece, tende a contrastare tali posizioni, manifestando assunzioni molto più positive di fronte a questa diffusa presenza: p. FeRRi, i nuovi bambini. Come educare i figli all’uso delle tecnologia, senza diffidenze e paure (Milano, BUR varia, 2014). Ferri, d’altra parte, ha pubblicato numerose opere sul tema, tra le quali: p. FeRRi, Nativi digitali (Milano, Bruno Mondadori, 2011). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 25 26 naturalmente c’è chi invece assume posizioni più sfumate e tendenzialmente favorevoli a una presenza significativa delle tecnologie mobili e di internet nella nostra vita come Howard Rheingold nel suo volume tradotto in italiano con il titolo Perché la rete ci rende intelligenti (Rheingold, 2013). in questo caso l’Autore insiste sulla necessità di sviluppare un’adeguata alfabetizzazione digitale, promuovendo le competenze utili o necessarie a valorizzare l’abbondanza di informazioni che la rete ci propone, senza lasciarci sommergere da esse. non è solo un arricchimento individuale, ma un potenziamento che ha risonanze sociali e collettive. ne può derivare infatti una società più seria e responsabile che si sviluppa ulteriormente a partire dalla costituzione di un patrimonio di beni comuni che può favorire un miglioramento dei singoli e di tutta la comunità umana. il volume di Rheingold contiene una serie di indicazioni orientative per imparare a usare in maniera produttiva la rete, esse sono denominati alfabeti. il primo di questi riguarda la capacità di gestire la propria attenzione e si basa su un assunto preciso: i social media favoriscono la distrazione, ma con l’esercizio si può imparare a essere attenti. Segue una serie di consigli su come favorire la concentrazione. in particolare si insiste sull’intenzionalità (“avere ben chiari i propri scopi e le proprie priorità”), sul sapere dire dei no (“sappiate scegliere bene a cosa dire no e sappiate perché lo fate”), sull’esercizio continuo a controllare la propria attenzione fin da piccoli e dal piccolo (“per stabilire buone abitudini riguardo all’attenzione, cominciate dal piccolo”. Seguono la capacità di rilevare le “bufale” presenti nella rete, la cultura e la competenza partecipativa e quella collaborativa, lo sviluppo di una intelligenza a misura di rete. Sul piano pedagogico è utile prendere in considerazione due ulteriori contributi di riflessione. il primo deriva da una decennale frequentazione degli adolescenti che trovano nella fruizione dei mezzi di comunicazione sociale l’ambiente nel quale possono esprimersi e condividere con altri le proprie esperienze (Boyd, 2014). Danah Boyd, infatti, ha condensato in un volume i risultati di osservazioni ripetute dei loro comportamenti, di conversazioni con loro, ascoltando quanto essi hanno da dire delle loro vite on line e off line, di discussioni con genitori e insegnanti, di analisi delle tracce che essi lasciano nella frequentazione dei vari siti dei social network, ecc. ne emerge un mosaico che tende a evidenziare come gran parte delle paure e dei giudizi degli adulti circa il grande impegno degli adolescenti nel fruire dei media sociali sono eccessive. Certo esistono casi di uso distorto, se non perverso dei media. Ma il discorso pubblico che intrecciano tra loro i giovani e giovanissimi è più che altro un voler vivere all’interno di comunità giovanili che spesso nella comunicazione virtuale trovano un prolungamento o un rinforzo delle interazioni faccia a faccia. in contrapposizione con la posizione simpatetica della Boyd, lo sviluppo del volume di Howard Gardner e Katie Davis (Gardner, Davis, 2014) si colloca su un piano di forte critica verso la generazione le cui fonti informative e comunicative si basano sull’uso delle cosiddette applicazione; per tablet o smartphone, le app. Sem- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 26 27 brerebbe dalle loro ampie indagini, per alcuni versi simili a quelle della Boyd, che il più diffuso effetto delle tecnologie mobili sia quello di diventare loro dipendenti, non solo, ma di passare tutto il tempo in costante interazione tramite esse, senza considerare le altre opportunità di attività, anche di tipo ludico. Certo “la vita è senza dubbio più della somma delle app a nostra disposizione. Ma la loro influenza è sempre più penetrante e, così crediamo, potenzialmente più dannosa”. questo perché sembra che “la mentalità app plasmi, e probabilmente limiti, i modi di affrontare le principali sfide dell’adolescenza o dell’inizio dell’età adulta” (Ibidem, 149) e ciò sia sul piano dell’identità personale, dell’intimità e dell’immaginazione. “C’è un altro punto che vogliamo chiarire e ribadire con forza: molto di quanto abbiamo scritto potrebbe essere letto come una critica alla presente generazione. Abbiamo fatto ampio uso di espressioni come ‘avversione al rischio’, ‘dipendenza’, superficialità’ e ‘narcisismo’; pur senza sminuire la validità di simili categorie, vogliamo però sottolineare il fatto che esse non contengono alcuna accusa nei confronti della Generazione app. Se queste caratterizzazioni effettivamente definiscono i giovani d’oggi, le ragioni risiedono, almeno in gran parte, nel modo in cui le generazioni precedenti [...] li hanno (o non li hanno) educati” (Ibidem, 154). 6. Visioni più meditate e documentate Un’analisi sistematica degli studi e ricerche riferiti all’impatto che le tecnologie comunicative attuali hanno su bambini, ragazzi e adolescenti disponibili entro il 2013 è stata condotta da parte dell’Accademia delle Scienze francese, che ha pubblicato un testo rivolto al governo: un’informativa e un monito dell’Accademia delle Scienze rivolto ai ministri competenti in materia (Bach, Houdé, léna, tisseron, 2013). tra le varie prese di posizione una appare particolarmente interessante sul piano dei processi educativi scolastici e formativi professionalmente: l’analisi di quella che è stata definita la cultura del libro in contrapposizione a quella definita cultura digitale (in francese numérique). Di qui la prima e fondamentale raccomandazione: “le pratiche di alternanza tra queste due culture sono essenziali. Ma, nello steso tempo, un meticciato tra la tradizionale cultura del libro e la più recente cultura degli schermi è possibile ed è suscettibile di ampliare le qualità dell’una e dell’altra” (Ibidem, 18). nel testo vengono evidenziate analiticamente le caratterizzazioni di una cultura del libro rispetto a quelle di una cultura dello schermo. la prospettiva delineata sembra privilegiare come strumento di riferimento lo schermo, che diventa prospettivamente anche un supporto per il libro sempre più simile al tradizionale supporto cartaceo. Ma si è anche attenti a possibili evoluzioni future: la morte dello schermo attuale in favore di ologrammi e di immagini in tre dimensioni (da cogliere senza occhialetti specifici), sollecitando ulteriormente il gesto e la senso-motricità. in secondo luogo, viene approfondito il concetto di virtuale e se ne trae una se- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 27 28 conda fondamentale raccomandazione: “la sua presenza richiede riflessione e presa in carico da parte di ciascuno e in particolare da parte dei genitori, degli educatori e degli operatori sanitari a causa del ruolo che essi svolgono, essendo per i giovani riferimenti e modelli nel loro sviluppo psico-affettivo. tutti devono considerare che gli strumenti digitali, le relazioni che essi consentono e le immagini che trasportano, così potentemente seduttive e accessibili ai giovani, richiedono una riflessione nuova sull’apprendimento della libertà responsabile, della sessualità e del rispetto della vita privata di ciascuno” (Ibidem, 19). in questa stessa direzione si insiste sulla necessità di sviluppare un processo educativo progressivo dei giovani fin dalla prima infanzia al fine di “prepararli a gestire bene la loro relazione cognitiva, sociale ed emozionale con il mondo digitale. questa capacità d’autoregolazione sarà per loro preziosa anche nell’età adulta” (Ibidem, 20). nel rapporto si giunge a una conclusione interessante nei riguardi in particolare della scuola. Di fronte alla constatazione che l’interazione con gli strumenti digitali sollecita soprattutto il pensiero rapido, fluido, che può essere superficiale e disordinato, si afferma: “Ciò che resta fondamentale è una educazione proposta e inquadrata da esseri umani, genitori, docenti, ecc., che utilizza gli schermi e internet e identifica i loro aspetti positivi, ma anche negativi (pratica eccessiva, mancanza di ripensamento, di sonno, rischio di fatica visuale, etc.). Ma preservando anche forme e momenti di pensiero «senza schermi e internet», più lenti, profondi, lineari e cristallizzati – periodi di calma e «riposo digitale», necessari alle sintesi cognitive personali e alla memorizzazione” (Ibidem, 180-181). Da questo rapporto ben documentato si possono trarre due importanti indicazioni per quanto riguarda l’attuale situazione scolare. in primo luogo promuovere in maniera equilibrata una integrazione funzionale e formativa tra la valorizzazione di quella che è stata definita la cultura del libro e la cultura dello schermo e digitale e ciò rimanda a una sollecitazione specifica: l’importanza di una progettazione didattica che tenga conto in maniera consapevole: a) dei soggetti presenti e del loro stato di preparazione sia culturale, sia cognitivo, sia affettivo; b) dei contenuti conoscitivi da promuovere e della loro specifica natura epistemologica; c) delle risorse disponibili sia quanto a preparazione del personale docente, sia quanto a strumenti e materiali effettivamente utilizzabili in classe (sia personali, sia istituzionali). la seconda istanza sottolinea ancor più fortemente il compito della scuola di promuovere nel corso degli anni una progressiva competenza auto-regolativa del proprio apprendimento e dei processi cognitivi, affettivi e motivazionali che ne stanno alla base. 7. Verso una conclusione orientativa tenendo conto delle varie posizioni sembra che le indicazioni che si fondano su elementi documentati e controllabili siano soprattutto quelle che provengono dalla neuropsicologia, anche grazie alla possibilità di esplorare, tramite le immagini LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 28 29 raccolte per mezzo di opportune tecnologie, le parti effettivamente attivate del cervello durante i differenti processi. l’interazione con le tecnologie mobili e di rete tende a sollecitare il sistema nervoso centrale, e in particolare le cellule neuronali e le loro interconnessioni presenti nel cervello, sotto il profilo di quello che è stato definito il Sistema1, quello che presiede ai pensieri rapidi, automatici e intuitivi. questo si svilupperebbe in maniera notevole a scapito, sembra, di un parallelo sviluppo del Sistema2, cioè della parte che presiede al pensiero lento, alla riflessione, al ragionamento, al controllo critico. Ciò è particolarmente significativo dal punto di vista dello sviluppo umano, in quanto tenendo conto della plasticità presente soprattutto nell’età infantile potrebbe manifestarsi nel tempo uno squilibrio deleterio nell’intreccio necessario tra Sistema1 e Sistema2. l’indicazione che ne deriverebbe sarebbe non tanto quella di evitare a scuola l’utilizzazione di tecnologie mobili e di rete, quanto di favorirne progressivamente un uso consapevole, critico e produttivo, sollecitando confronti critici con fonti alternative, riflessione attenta personale e collettiva a riguardo della qualità delle informazioni raggiunte, elaborazione di progetti nei quali si cerca di valorizzare in maniera sistematica e controllata le fonti informative utilizzate. questa prospettiva sembrerebbe appoggiare quella che è stata definita la “teoria del medium” cioè, come esplicita pier Cesare Rivoltella, una teoria che assume come riferimento quanto intuito da Marshal Macluhan nel proporre la massima “il mezzo è il messaggio”. Viene spostata l’attenzione dal contenuto della comunicazione all’influenza che il mezzo comunicativo ha sui processi mentali. Si tratta di quello che è stato anche definito approccio psico-tecnologico, una forma di determinismo che isola “la capacità del medium di organizzare la nostra mente e la nostra cultura prescindendo da altre variabili” (Rivoltella, 2014, 67). Ma un approccio opposto, che ignora l’influenza che possono avere i mezzi comunicativi sulla nostra maniera di pensare e di agire può essere criticato per le stesse ragioni. Sembra quindi ragionevole tener conto della molteplicità dei mezzi comunicativi e della maniera con cui influiscono sullo sviluppo della persona e della sua cultura, ma anche di ciò che attraverso di essi viene proposto, interiorizzato e progressivamente rinforzato e delle modalità con le quali i differenti soggetti durante il loro sviluppo interagiscono con essi. D’altra parte il rapporto del 2014 di Demos17 su “Gli italiani e l’informazione” descrive l’affermarsi di una sistema di comunicazione e di fruizione che può definirsi “ibrido” (Chadwick, 2013), in quanto il ricorso ai nuovi media non esclude quelli tradizionali. Metà dei cittadini si informa ogni giorno attraverso internet, ma quelli che ricorrono alla televisione sono molti di più, circa l’80%. quelli poi che 17 il documento completo è reperibile su www.agcom.it LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 29 30 ricorrono solo alla rete per informarsi sono una netta minoranza, il 6%. D’altra parte quasi due terzi di coloro che utilizzano internet lo fanno per leggere i quotidiani. inoltre è possibile valorizzare la rete per accedere alle principali reti televisive e radiofoniche. e ciò per mezzo delle tecnologie mobili: tablet e smartphone. ilvo Diamanti su la Repubblica ha scritto: “la stagione della ‘democrazia del pubblico’, [...] fondata sulla televisione in italia non sembra dunque finita. Ma si contamina con la diffusione della Rete. Così delinea la cornice della ‘democrazia ibrida’ del nostro tempo. Abitata da un ‘cittadino ibrido’, critico e scettico verso la politica e le istituzioni”18. in realtà ciò che accomuna molti dei fruitori dei nuovi media è lo schermo, sia che esso serva per controllare o scrivere mail e sms, sia per connettersi con la Rete e leggere i giornali o vedere la televisione. l’attrazione per lo schermo del proprio strumento è tale che si perde il contatto con i propri interlocutori, o al più essi vengono inclusi nel proprio raggio di connessioni. per questa dipendenza dallo schermo si è introdotto in inglese un termine specifico “phubbing”, cioè l’atto di snobbare qualcuno in un contesto sociale guardando il proprio cellulare anziché prestare attenzione all’altro. Beppe Severgnini19 ha proposto il temine “compuservo”, dicendo “chi non sa staccare gli occhi dallo smartphone, in fondo, è uno schiavo elettronico. A nome della categoria, chiedo un’attenuante. la narrazione là dentro, è maledettamente interessante. ogni app è una miniera, ogni mail una svolta nella trama, ogni messaggio una microdose di adrenalina. non è facile rinunciare a tutto ciò e prestare attenzione”, agli altri che sono fuori dallo schermo in un contatto diretto. questa constatazione ci riporta a quanto indicava Rheingold circa lo sviluppo della capacità di gestione della propria attenzione e alla problematica che dovremmo affrontare circa l’introduzione delle tecnologie mobili nella pratica didattica. Sullo sfondo delle molte prese di posizione e di queste constatazioni che sembrano caratterizzare i nostri tempi, la questione che si pone alla base del nostro studio può essere così riassunta: quale ruolo possono, o devono, avere le tecnologie mobili nei processi di insegnamento e di apprendimento che si svolgono nel contesto della scuola, tenendo conto delle sue fondamentali finalità educative e formative? Rimane comunque una constatazione fondamentale: nei processi educativi l’incontro tra persone, il dialogo diretto, la conversazione protratta nel tempo sono la base fondamentale anche per imparare a valorizzare le tecnologie digitali nel proprio apprendimento. e in particolare: “nell’imparare a pensare, a esercitare un giudizi critico e ponderato, a esprimere un’opinione con ragionevolezza e rigore scientifico [...] a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, e mostrare ai giovani la bellezza di relazioni umane dirette” (lamarca, 2014, 37). 18 i. DiAMAnti, L’informazione liquida, la Repubblica, 9 dicembre 2014, 36-37. 19 B. SeVeRGnini, Siamo iphone dipendenti, cercate di capirci. Supplemento Sette del Corriere della Sera del 12 dicembre 2014, 11. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 30 31 Secondo capitolo La competenza digitale nel Quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendimento premanente Nel quadro delle riflessioni precedentemente delineato circa l’influenza delle tecnologie, informatiche, e mobili in particolare, sulla mente e sulla cultura dei cittadini di oggi, occorre riconoscere che la presenza di tali tecnologie e della digitalizzazione di testi e immagini porta a una diffusione capillare della loro presenza sia nel mondo delle comunicazioni, sia più in generale nel mondo del lavoro e della produzione di beni e di servizi. La consapevolezza di ciò ha sollecitato l’Unione Europea a sviluppare una serie di politiche in vista di uno sviluppo diffuso di quella che è stata definita la “competenza digitale” che il cittadino e il lavoratore europeo dovrebbero sviluppare nel corso della sua esistenza per poter partecipare attivamente e consapevolmente alla vita sociale e produttiva. 1. Il Quadro europeo delle competenze chiave nel corso degli stessi Anni novanta, e poi all’inizio del nuovo millennio, nei documenti europei si può notare una trasformazione profonda, che trova le sue ragioni in una visione assai differente dei processi di Formazione permanente. i documenti riferibili agli interventi di Formazione lungo tutto l’arco della vita sono stati redatti mettendo al primo posto i processi di apprendimento diretti all’acquisizione della capacità di agire autonomamente e responsabilmente ed evidenziando alcune competenze fondamentali: a) difendere e affermare i propri diritti, interessi, responsabilità, limiti e bisogni: essa permette di fare scelte come cittadino, membro di una famiglia, lavoratore, consumatore, ecc.; b) definire e realizzare programmi di vita e progetti personali: essa permette di concepire e realizzare obiettivi che danno significato alla propria vita e si conformano ai propri valori; c) agire in un quadro d’insieme, in un contesto ampio: essa consente di capire il funzionamento del contesto generale, la propria collocazione, la posta in gioco e le possibili conseguenze delle proprie azioni. in questa prospettiva il gruppo di esperti che ha elaborato la base teorica di tali documenti ha utilizzato l’espressione “competenze chiave”, invece di quella tradizionale di competenze di base, per sottolineare il fatto che esse devono essere acquisite per poter raggiungere tre obiettivi fondamentali: a) permettere ad ognuno di perseguire degli obiettivi di vita personali, mosso dai propri interessi personali, LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 31 32 dalle proprie aspirazioni e dal desiderio di continuare ed imparare durante tutta la vita; b) permettere ad ognuno di svolgere un ruolo di cittadino attivo nella società; c) permettere ed ogni persona di ottenere un impiego decente nel mercato del lavoro. la nozione di competenza sviluppata è detta spesso di natura ibrida, perché ricopre allo stesso tempo conoscenze, saper fare e disposizioni interne. D’altra parte, essa si può acquisire in ogni specie di contesto, in modo formale, informale o non formale, e in modo intenzionale o non intenzionale. Una competenza chiave, d’altronde, deve rispondere ad alcuni criteri: deve essere trasferibile, quindi applicabile a un gran numero di situazioni e contesti; polivalente, nel senso in cui può essere messa in opera per raggiungere degli obiettivi diversi, risolvere differenti tipi di problemi e compiere delle mansioni di diverse nature. essa deve dare una risposta soddisfacente alle esigenze legate a una situazione o a un dato compito ed è, per ognuno, la condizione preliminare di una prestazione personale pertinente nella vita, nel lavoro e nell’apprendimento che ne segue. in altri termini, è utile per prevedere la prestazione effettiva di ogni individuo. Anche se è impossibile garantire che le competenze chiave permettano a un individuo di portare sempre a buon fine i suoi progetti quali siano le circostanze, si può tuttavia affermare che l’assenza di queste competenze può condurre a un insuccesso personale, nel senso in cui l’interessato non raggiunga i tre obiettivi sopra precisati. Da questa impostazione sono derivate alcune prospettive ulteriori: alcune competenze chiave devono essere sviluppate fin dall’inizio della propria esistenza e per tutto il resto della vita. non è più questione di aumentare il tempo scolastico, i contenuti, le discipline. È più importante collegare le attività formative con gli apprendimenti successivi, con le esperienze esterne alla scuola, con il mondo del lavoro e delle professioni, con un progetto di vita personale e professionale aperto al futuro, con l’elaborazione di molteplici sé possibili. oggi il mondo della scuola si dedica alla trasmissione di una forma di conoscenza che non è più adatta ai bisogni della maggioranza della gente. il concetto di competenza chiarisce bene la tendenza alternativa: che cosa siamo in grado di fare con quello che sappiamo. più specificamente: ciò che possediamo come patrimonio di conoscenze, abilità e atteggiamenti, quanto ci permette di agire in maniera autonoma e responsabile nel contesto della vita personale, sociale e lavorativa? in questo è l’insieme della persona con tutte le sue caratteristiche che viene coinvolto. quali dunque le competenze fondamentali che dovrebbero essere sviluppate nel corso di tutta la propria esistenza? ne sono state indicate otto. quattro riguardano ambiti di conoscenza tradizionalmente presenti nei processi formativi: ambito della comunicazione nella lingua madre, ambito della comunicazione in lingua straniera, ambito della matematica e scienza di base, ambito delle tecnologie digitali. quattro rispondono a caratteristiche generali della persona. Vale la pena richiamarle, perché sembra che esse siano rimaste quasi nascoste nelle indicazioni ufficiali mentre, soprattutto in riferimento alla propria vita e al proprio lavoro, esse sono centrali. occorre anche segnalare che si sottolinea in tali ambiti soprattutto la LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 32 33 “disponibilità a”, che evoca lo sviluppo di atteggiamenti favorevoli a impegnarsi in tali ambiti. Ambito dell’apprendere ad apprendere. Comprende la disponibilità e l’abilità a organizzare e regolare il proprio apprendimento, sia individualmente, sia in gruppo. include l’abilità a gestire il proprio tempo produttivamente, a risolvere problemi, ad acquisire, elaborare, valutare e assimilare nuove conoscenze e ad applicare queste e le abilità in un varietà di contesti (a casa, nel lavoro, nella scuola e nella formazione). più in generale, essa contribuisce fortemente alla gestione del proprio percorso di carriera. Ambito delle competenze interpersonali e civiche. Si tratta di tutte le forme di comportamento che occorre padroneggiare per partecipare in maniera efficiente e costruttiva alla vita sociale e per risolvere i conflitti, quando necessario. le abilità interpersonali sono essenziali per una effettiva interazione personale e di gruppo e sono da valorizzare sia in pubblico, sia in privato. in questo contesto entra in gioco anche una cultura della legalità e dell’etica pubblica e deontologica. Ambito dell’imprenditorialità. Ha una componente attiva e una passiva in quanto comprende sia la propensione a indurre cambiamenti in prima persona, sia ad accogliere, appoggiare e adattarsi alle innovazioni sollecitate da fattori esterni. l’imprenditorialità coinvolge il prendersi la responsabilità delle proprie azioni, positive e negative, sviluppando una visione strategica, ponendosi degli obiettivi e raggiungendoli ed essendo motivati ad avere successo. Ambito dell’espressione culturale. Si tratta di apprezzare l’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni secondo uno spettro di forme, che includono musica, espressione corporale, letteratura e arti plastiche. la cultura propria di una istituzione formativa dovrebbe elaborare riferimenti precisi alla dimensione spirituale dell’esistenza, una reale apertura ai beni spirituali: il bene personale e sociale, il vero, il bello. probabilmente sono queste quattro competenze chiave, insieme con alcuni aspetti della competenza digitale, che formano la griglia di lettura e interpretazione delle prime quattro; per questo motivo è opportuno rileggere tali indicazioni in maniera intrecciata, anche per evitare di isolarle tra loro. Ad esempio, la competenza digitale, centrale nel nostro studio, come d’altra parte ciascuna delle altre competenze, non può essere considerata separatamente dalle altre, in quanto essa può permearle tutte, mentre la sua stessa qualità di competenza chiave può derivare solo se essa emerge nel contesto delle altre. in parole diverse, essa è di sua natura trasversale e per questo favorisce lo sviluppo delle altre competenze chiave (a es. lingua madre, matematica, apprendere ad apprendere, espressione e consapevolezza culturale) ed è riferibile quindi a molte delle competenze necessarie ai cittadini per poter partecipare attivamente alla vita sociale e allo sviluppo economico. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 33 34 2. Natura e articolazione delle competenze chiave digitali la competenza digitale secondo il quadro europeo, consiste nel “saper utilizzare, con dimestichezza e spirito critico, le tecnologie della società dell’informazione (tSi) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. essa è supportata dalle abilità di base nelle tiC (tecnologie di informazione e di Comunicazione): l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite internet”. tale ambito di competenza è caratterizzato da conoscenze, abilità e atteggiamenti specifici. Conoscenze. la competenza digitale presuppone una salda consapevolezza e conoscenza della natura, del ruolo e delle opportunità delle tSi nel quotidiano: nella vita personale e sociale come anche al lavoro. in ciò rientrano le principali applicazioni informatiche come trattamento di testi, fogli elettronici, basi di dati, memorizzazione e gestione delle informazioni oltre a una consapevolezza delle opportunità offerte da internet e dalla comunicazione tramite i media elettronici (email, network tools) per il tempo libero, la condivisione di informazioni e le reti collaborative, l’apprendimento e la ricerca. le persone dovrebbero anche essere consapevoli di come le tSi possono coadiuvare la creatività e l’innovazione e rendersi conto delle problematiche legate alla validità e affidabilità delle informazioni disponibili e ai principi etici che si pongono nell’uso interattivo delle tSi. Abilità. le abilità necessarie comprendono: la capacità di cercare, raccogliere e trattare le informazioni e di usarle in modo critico e sistematico, accertandone la pertinenza e distinguendo il reale dal virtuale pur riconoscendone le correlazioni. le persone dovrebbero anche essere capaci di usare strumenti per produrre, presentare e comprendere informazioni complesse ed essere in grado di accedere ai servizi basati su internet, farvi ricerche e usarli; esse dovrebbero anche essere capaci di usare le tSi a sostegno del pensiero critico, della creatività e dell’innovazione. Atteggiamenti. l’uso delle tSi comporta un atteggiamento critico e riflessivo nei confronti delle informazioni disponibili e un uso responsabile dei media interattivi; anche un interesse a impegnarsi in comunità e reti a fini culturali, sociali e/o professionali serve a rafforzare tale competenza. nel 2010 la Direzione Generale europea per la Cultura e l’educazione ha lanciato un progetto tramite l’Unità per la Società dell’informazione al fine di contribuire a una migliore comprensione dello sviluppo di tale competenza in europa. il progetto, denominato DiGCoMp, è stato sviluppato tra il 2011 e il 2012 e il rapporto finale è stato pubblicato alla fine del 2013. le finalità specifiche del progetto erano: 1) identificare gli elementi chiave in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti necessari per essere considerati digitalmente competenti; 2) sviluppare descrittori della competenza digitale che consentano la messa a punto di un quadro concettuale e di linee guida che possano essere convalidate a livello europeo, tenendo conto dei framework attualmente disponibili; 3) proporre una tabella di marcia per un LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 34 35 eventuale uso e revisione del framework messo a punto e dei descrittori della competenza digitale ai vari livelli in cui si trovano i discenti. 3. Una mappa delle competenze digitali prima di giungere alla pubblicazione del rapporto finale20, sono stati diffusi altri rapporti preparativi.21 È utile ripercorrere il cammino che ha portato al rapporto finale, in quanto esso sintetizza e sviluppa sul piano descrittivo e operativo quanto esplorato nei precedenti rapporti. il primo di essi, denominato Mapping Digital Competence: Towards a Conceptual Understanding, presenta i risultati di un sondaggio svolto presso esperti internazionali al fine di rispondere alla necessità di giungere a un linguaggio condiviso e a un significato comune del concetto di competenza digitale e dei suoi costituenti.22 i dati raccolti sono stati integrati in un quadro di insieme assai ricco e articolato che mira a identificare le qualità di una persona che può essere definita digitalmente competenze (Cfr. Fig. n. 1). i dodici ambiti o aree che vengono a costituire la competenza digitale di una persona sono stati poi descritti in maniera sintetica. A. Aspetti generali della conoscenza e delle competenze funzionali la persona digitalmente competente conosce i principi fondamentali (terminologia, navigazione, funzionalità) dei dispositivi digitali e sa usarne di diversi (ad esempio, desktop pC, laptop, tablet, smartphone). possiede competenze informatiche generali (digitalizzazione, utilizzo del computer, ingresso in un nuovo programma) e capisce la differenza tra hardware e software. Ha familiarità con il significato dei termini comunemente usati nei manuali utente per il funzionamento di un hardware, l’installazione e la configurazione del software. Conosce l’esistenza di diversi sistemi operativi. 20 A. FeRRARi, Digital competence in practice: An analysis of frameworks: http://ipts.jrc.ec.europa.eu/publications/pub.cfm%3Fid%3D5099 21 K. AlA-MUtKA, Conceptual mapping of digital competence in the academic and policy literature: http://ipts.jrc.ec.europa.eu/publications/pub.cfm?id=4699. A. FeRRARi, Analysis of case studies for the development of digital competence: http://ipts.jrc.ec.europa.eu/publications/pub.cfm?id=5099. J. JAnSSen, S. StoyAnoV, Opinions of experts collected during an online consultation: http://ipts.jrc.ec.europa.eu/publications/pub.cfm?id=5339. 22 in questa presentazione valorizziamo in parte il contributo di Stefania Carioli, alla quale si deve la traduzione dei contenuti delle 12 aree che costituiscono la competenza digitale (Carioli, 2014). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 35 36 B. Utilizzo nella vita quotidiana È in grado di integrare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle attività della vita di ogni giorno. in particolare, sa eseguire download e accedere a diversi tipi di informazione in internet; utilizza le applicazioni per modificare e creare contenuti (testuali, numerici, iconici). È in grado di cercare, raccogliere, elaborare, valutare, condividere, memorizzare i dati e le informazioni utilizzando vari dispositivi, applicazioni, servizi cloud. Sa effettuare operazioni on line di varia natura (ad esempio, pagare fatture, effettuare una domanda di lavoro, presentare una dichiarazione, completare moduli, prenotare un hotel, interagire con servizi locali o governativi, effettuare acquisti on line, ecc.). Consulta le risorse digitali come una procedura routinaria (per notizie, salute, sport, viaggi, intrattenimento, ecc.). C. Competenze avanzate e specializzate per il lavoro e per l’espressione creativa È in grado di usare le tiC per migliorare la qualità delle proprie prestazioni professionali o, a livello superiore, padroneggia competenze digitali specialistiche necessarie per il proprio settore lavorativo. Crea rappresentazioni della conoscenza (usando, ad esempio, mappe e diagrammi) e utilizza una varietà di linguaggi per esprimersi in maniera creativa (testo, immagini, audio e filmati). È in grado di modificare un contenuto esistente trasformandolo in un nuovo prodotto. D. Comunicazione e collaborazione mediata dalla tecnologia la persona competente digitale è in grado di collegarsi, condividere, comunicare e collaborare con gli altri efficacemente in ambienti digitali. in particolare, sa Figura n. 1 - Mappa delle 12 aree che costituiscono la competenza digitale (Cfr. Carioli, 2014) A. Conoscenze e abilità funzionali E. Elaborazione e gestione delle informazionie F. G. Aspetti legati Privacy e sicurezza ed etici L. Utilizzo ottimale (efficace ed efficente) J. Apprendimento su e con le tecnologie digitale K. Decisioni informate sulle tecnologie appropriate H. Un atteggiamento equilibrato I. Comprensione e consapevolezza del ruolo delle ICT nella società B. Utilizzo nella vita di tutti i giorni Persona Digitalmente Competente C. Competenze specialistiche e avanzate per il lavoro e l’espressione creativa D. Comunicazione e collaborazione mediata dalle tecnologia Possiede Dimostra Sviluppa Applica Gestisce Rispetta Possiede Ha Dimostra Sa prendere Raggiunge È competente in LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 36 37 usare le tiC per il lavoro di gruppo (collaborazione, co-costruzione del contenuto) e per il lavoro a distanza. Sa comunicare attraverso e-mail, instant messaging, video conferenza, ecc.; è in grado di utilizzare i social media e la tecnologia partecipativa e sa utilizzare i media digitali per far parte di una comunità. È capace di trarre i vantaggi offerti dalla tecnologia digitale sia sul piano della collaborazione e della partecipazione a reti, che su quello dell’apprendimento per scopi sia personali che professionali. e. Gestione ed elaborazione delle informazioni Utilizza la tecnologia per migliorare la propria capacità di raccogliere, organizzare, analizzare, valutare la pertinenza e lo scopo delle informazioni digitali. È in grado di giudicare la validità di un contenuto presente su internet, di trovare materiali appropriati e di valutare ciò che può essere considerato attendibile. Sa integrare le informazioni, metterne insieme di diversa tipologia, confrontarle con informazioni provenienti da fonti diverse (triangolazione delle informazioni) prima di utilizzarle in un processo conoscitivo. È capace di strutturare, classificare e organizzare le informazioni/contenuti digitali secondo uno schema. F. privacy e sicurezza Ha la capacità di proteggere i dati personali e di adottare opportune misure di sicurezza. Comprende i rischi associati all’uso dell’on line e all’incontro con persone sconosciute. È consapevole dei problemi di privacy implicati nell’utilizzo di internet/ internet mobile ed è in grado di agire con prudenza. Sa proteggere se stesso dalle minacce del mondo digitale (frode, malware, virus, ecc.), comprende il rischio del furto di identità e delle proprie credenziali di accesso ed è in grado di adottare misure per ridurre tali rischi. Sa che molti servizi interattivi utilizzano le informazioni fornite per filtrare messaggi commerciali in modi più o meno espliciti. G. Aspetti legali ed etici Si comporta adeguatamente e in modo socialmente responsabile, dimostrando conoscenza e consapevolezza delle regole e degli aspetti etici connessi all’uso delle tiC e dei contenuti digitali. nello specifico, è in grado di comunicare e collaborare on line con gli altri adottando un codice di comportamento adeguato al contesto. tiene in considerazione le normative e i principi etici connessi all’utilizzo e alla pubblicazione delle informazioni. Comprende le norme sul copyright e sulle regole di licenza e sa che ci sono diverse modalità di distribuzione di un’opera e diverse licenze che tutelano la proprietà intellettuale e la cessione dei diritti d’autore; capisce le differenze tra l’utilizzo del diritto d’autore, le licenze di dominio pubblico, il copyleft e/o le licenze Creative Commons. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 37 38 H. Atteggiamento equilibrato verso la tecnologia Dimostra un atteggiamento equilibrato (positivo ma realistico) nei confronti dei benefici e dei rischi connessi con le tecnologie dell’informazione. Si informa, esplora e usufruisce delle possibilità offerte, guardando ai media digitali come fattori di agevolazione e non di inibizione e considerandoli strumenti che dovrebbero essere al servizio del miglioramento della vita degli esseri umani (e non il contrario). È in grado di valutare e ridurre/evitare le minacce tecnologiche che riguardano la salute. i. Comprensione e consapevolezza del ruolo delle tiC nella società Comprende il più ampio contesto di utilizzo e sviluppo delle tiC, il loro ruolo nella vita quotidiana, sociale e nel lavoro, in un’era caratterizzata dalla globalizzazione e dalle reti. È a conoscenza delle tendenze generali all’interno dei nuovi media, anche se non li usa. Si rende conto che dietro alle tecnologie ci sono aziende di produzione, ci sono sviluppatori e ci sono anche degli scopi. È consapevole dei problemi ambientali connessi con il loro uso. J. Apprendimento sulle e tramite le tecnologie digitali la persona con competenza digitale esplora attivamente e costantemente le tecnologie emergenti, vi si adatta agevolmente, le integra nel proprio ambiente e le usa per l’apprendimento permanente (formale o informale). È capace di utilizzare le risorse tiC per espandere in modo sicuro le proprie conoscenze e per connettersi con il mondo circostante. È in grado di imparare a lavorare con qualsiasi nuova tecnologia digitale che trova esternamente ma anche di attingere alle proprie risorse interiori. K. Scegliere in maniera informata la tecnologia più appropriata È consapevole di quali sono le tecnologie più rilevanti e comuni ed è in grado di scegliere quella più appropriata a seconda dello scopo o del bisogno in esame. È in grado di utilizzare i servizi digitali senza dipendere completamente da essi. l. Uso efficace ed efficiente Adopera con dimestichezza e creatività le tecnologie digitali per aumentare l’efficacia e l’efficienza personale e professionale. Sa utilizzare diverse tiC in modo da raggiungere risultati migliori, più rapidamente, o più facilmente. È capace di avvalersi delle apparecchiature digitali più efficienti e convenienti sul piano dei costi. È in grado di risolvere un problema teorico o pratico, individuale o di interesse collettivo con l’ausilio di strumenti digitali. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 38 39 4. Un quadro di riferimento che proviene dall’analisi di pratiche significative Un secondo rapporto, denominato Digital competence in practice: An analysis of frameworks, mirava a raccogliere elementi informativi derivanti dalle cosiddette buone pratiche nel promuovere quella che può essere definita una “alfabetizzazione informatica”. A questo fine sono stati raccolti i dati relativi a quindici esperienze e al relativo quadro di riferimento adottato. Una loro analisi comparativa ha permesso di proporre una definizione generale e comprensiva di digital competence come: l’insieme delle conoscenze, competenze, atteggiamenti, abilità, strategie e della consapevolezza necessari quando si utilizzano le ICT e i media digitali per svolgere compiti, risolvere problemi, comunicare, gestire informazioni, collaborare, creare e condividere contenuti e costruire conoscenze in modo efficace, efficiente, appropriato, critico, creativo, autonomo, flessibile, eticamente corretto, con riflessi positivi nel lavoro, nel tempo libero, nella partecipazione, nell’apprendimento, nella socializzazione, nel consumo, e nell’empowerment. il quadro che viene così delineato, che integra quanto indicato dalla Competenza chiave europea del 2006, considera sette aree fondamentali che caratterizzano la competenza digitale. 1) Gestione delle informazioni: si riferisce alle conoscenze, alle abilità e ai comportamenti necessari per identificare, localizzare, accedere, recuperare, archiviare e organizzare le informazioni. 2) Collaborazione: si riferisce alle conoscenze, alle abilità e ai comportamenti necessari per collegarsi con altri utenti, per partecipare a reti e comunità on line, per interagire in modo costruttivo e con senso di responsabilità. 3) Comunicazione: si riferisce alle conoscenze, alle abilità e ai comportamenti necessari per comunicare attraverso strumenti on line, tenendo conto della privacy, della sicurezza e della “netiquette”. 4) Creazione di contenuti e di conoscenze: prende in considerazione l’espressione della creatività e la costruzione di nuove conoscenze attraverso la tecnologia e i media, ma anche integrazione e rielaborazione delle conoscenze e dei contenuti e loro diffusione attraverso mezzi online. 5) Etica e responsabilità: include gli atteggiamenti, le conoscenze e le abilità necessari per comportarsi in modo eticamente corretto, responsabile e consapevole delle cornici legali. 6) Valutazione e problem solving: è intesa generalmente come l’identificazione della giusta tecnologia e/o dei giusti media per risolvere un problema o per completare un compito e come valutazione sia delle informazioni recuperate che del prodotto mediatico consultato. 7) Operatività tecnica: si riferisce alle conoscenze, alle abilità e ai comportamenti necessari per un uso efficace, efficiente, sicuro e corretto delle tecnologie e dei media. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 39 40 le aree di competenza individuate si riferiscono a conoscenze, abilità e atteggiamenti, ma allo stato attuale l’attenzione è concentrata principalmente sulle conoscenze e sulle abilità, mentre gli atteggiamenti sembrano giocare un ruolo secondario a causa del forte intreccio con le altre due componenti che li rende difficili da isolare in ambito valutativo o certificativo. i livelli sono stati sviluppati secondo tre criteri: a) età degli studenti; b) ampiezza o profondità del contenuto; c) complessità cognitiva. tutti e tre i criteri hanno la loro importanza e, allo stesso tempo, essi non dovrebbero essere considerati trasversalmente, ma essere differenziati tra le aree di competenza. in sostanza, colui che apprende dovrebbe essere incoraggiato a lavorare a diversi livelli e in ciascuna delle aree di competenza. 5. I risultati dello studio: un’articolazione analitica delle competenze digitali e delle loro componenti il rapporto finale del progetto DiGCoMp, denominato A Framework for Developing and Understanding Digital Competence in Europe,23 descrive i risultati del lavoro svolto specificando gli aspetti fondamentali della competenza digitale attraverso una lista di 21 competenze descritte in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti, raggruppate secondo cinque aree fondamentali. 1) Informazione: identificare, localizzare, recuperare, conservare, organizzare e analizzare le informazioni digitali, giudicando la loro rilevanza e finalità. in questa area sono comprese tre competenze specifiche. 1.1. Esplorare, cercare e selezionare le informazioni: accedere e cercare informazioni on line, articolare i bisogni informativi, trovare le informazioni rilevanti, selezionare le risorse in maniera efficace, navigare tra le risorse on line, sviluppare strategie personali per trovare informazioni. 1.2. Valutare le informazioni: raccogliere, elaborare, comprendere e valutare criticamente le informazioni. 1.3. Conservare e recuperare le informazioni: manipolare e conservare le informazioni e i contenuti per essere poi recuperati, organizzare le informazioni e i dati. 2) Comunicazione: comunicare nel contesto digitale, condividere risorse attraverso strumenti on line, collegarsi con gli altri e collaborare attraverso strumenti digitali, interagire nelle comunità, nelle reti, partecipando con consapevolezza interculturale. in questa area sono comprese sei competenze specifiche. 23 A. FeRRARi, DIGCOMP: A Framework for Developing and Understanding Digital Competence in Europe, http://ipts.jrc.ec.europa.eu/publications/pub.cfm%3Fid%3D6359 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 40 41 2.1. Interagire per mezzo di tecnologie: interagire attraverso una varietà di strumenti e applicazioni, comprendere come la comunicazione digitale è distribuita, presentata e gestita, comprendere la vie appropriate per comunicare attraverso i mezzi digitali, far riferimento ai differenti formati di comunicazione, adattare i modi e le strategie del comunicare alle differenti audience. 2.2. Condividere informazioni e contenuti: condividere con gli altri le locazioni e i contenuti delle informazioni trovate, volere ed essere capace di condividere la conoscenza, i contenuti e le risorse, agire come un intermediario, essere proattivo nel diffondere notizie, contenuti e risorse, conoscere le pratiche di citazione e integrare le nuove informazioni nell’insieme delle conoscenze esistenti. 2.3. Impegnarsi in una cittadinanza on line: partecipare nella società attraverso impegni on line, cercare opportunità di sviluppo di sé e di empowerment nell’usare le tecnologie e gli ambienti digitali, essere consapevole del potenziale delle tecnologie per la partecipazione dei cittadini. 2.4. Collaborare attraverso canali digitali: usare le tecnologie e i media per lavorare in team, per processi collaborativi, e per la co-costruzione e cocreazione di risorse, conoscenza e contenuti. 2.5. Netiquette (comportarsi bene in rete): avere la conoscenza e il sapere pratico delle norme di comportamento nelle interazioni on line e virtuali, essere consapevole dei diversi aspetti culturali, essere abile nel proteggere se stesso e gli altri da possibili pericoli on line (es. cyber bullying), sviluppare strategie attive per scoprire comportamenti inappropriati. 2.6. Gestire l’identità digitale: creare, adattare e gestire una o molteplici identità digitali, essere capace di proteggere la propria reputazione; gestire sia dati che prodotti attraverso molteplici accounts e applicazioni. 3) Creazione di contenuti: creare ed editare nuovi contenuti (da testi elaborati digitalmente a immagini e video), integrare e rielaborare conoscenze precedenti e contenuti, produrre espressioni creative, prodotti multimediali e programmi, tener conto e applicare le questioni di proprietà intellettuale e le licenze. questa area comprende quattro competenze specifiche. 3.1 Sviluppare contenuti: creare contenuti di diverso formato, inclusi i multimediali, editare e migliorare contenuti creati da sé o dagli altri, esprimersi creativamente attraverso i media digitali e le tecnologie. 3.2 Integrare e rielaborare: modificare, rifinire e integrare risorse esistenti per sviluppare nuovi, originali e rilevanti contenuti e conoscenze. 3.3 Copyright e licenze: comprendere come si applicano al caso dell’informazione e del contenuto copyright e licenze. 3.4 Programmazione: utilizzare installazioni, modifiche dei programmi, utilizzo dei programmi, del software, degli strumenti per capire i principi della programmazione, comprendere che cosa c’è dietro un programma. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 41 42 4) Sicurezza: protezione personale, protezione dei dati, protezione dell’identità digitale, misure di sicurezza, usi sicuri e sostenibili. questa area comprende quattro competenze specifiche. 4.1 Proteggere gli strumenti: proteggere i propri strumenti e capire i rischi e le minacce on line, conoscere le misure da adottare per la sicurezza. 4.2 Proteggere i dati personali: comprensione dei termini comuni di un servizio; attiva protezione dei dati personali; comprensione dell’altrui privacy; proteggere se stessi dalle frodi on line, dalle minacce e dal bullismo informatico (cyber). 4.3 Proteggere la salute: evitare i rischi per la salute nell’uso della tecnologia in termini di minacce al benessere fisico e psicologico. 4.4 Proteggere l’ambiente: essere consapevoli dell’impatto delle iCt sull’ambiente. 5) Problem solving: identificare bisogni e risorse digitali, prendere decisioni informate su quali siano i più adatti strumenti digitali sulla base delle finalità e dei bisogni, risolvere questioni concettuali mediante strumenti digitali, uso creativo delle tecnologie, risolvere problemi tecnici, aggiornare le proprie e altrui competenze. questa area comprende quattro competenze specifiche. 5.1 Risolvere problemi tecnici: identificare possibili problemi e risolverli (da piccole disfunzioni a problemi più complessi) con l’aiuto di mezzi digitali. 5.2 Identificare bisogni e risposte tecnologiche: valutare i propri bisogni in termini di sviluppo di risorse, strumenti e competenze, collegare bisogni e possibili soluzioni, adattare strumenti ai bisogni personali, valutare criticamente possibili soluzioni e strumenti digitali. 5.3 Innovare e usare creativamente le tecnologia: realizzare innovazioni con le tecnologie, partecipare attivamente e collaborativamente nella produzione digitale e multimediale, esprimere creativamente se stessi attraverso i media e le tecnologie digitali, creare conoscenza e risolvere problemi concettuali con l’aiuto di strumenti digitali. 5.4 Identificare le carenze di competenza digitale: comprendere in che cosa le proprie competenze hanno bisogno di essere migliorate o aggiornate, come aiutare gli altri nello sviluppo delle loro competenze digitali, tenersi aggiornati con i nuovi sviluppi. 6. Una declinazione sotto forma di rubrica Viene a conclusione del lavoro proposto un quadro di valutazione del progressivo sviluppo delle aree di competenza digitale secondo tre livelli: di base, intermedio, avanzato (Cfr. Fig. n. 2). tale quadro può essere valorizzato anche ai fini di una autovalutazione personale. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 42 Livello di base Livello intermedio Livello avanzato 43 Comunicazione Informazione posso fare qualche ricerca on line per mezzo di motori di ricerca. So come salvare e immagazzinare file e contenuti (testi, immagini, musica, video, pagine web). So come recuperare ciò che ho salvato. So che non tutta l’informazione on line è affidabile. posso esplorare internet per informazioni e so cercare informazioni on line. So selezionare le informazioni che trovo. So confrontare le differenti fonti di informazione. So come salvare, immagazzinare e taggare file, contenuti e informazioni e ho le mie strategie di conservazione. So come recuperare e gestire le informazioni e i contenuti da me salvati e conservati. Sono in grado di usare una grande varietà di strategie per cercare informazioni ed esplorare internet. Sono critico nei riguardi delle informazioni che trovo e so verificarne validità e credibilità. So filtrare e monitorare le informazioni che ricevo. Uso differenti metodi e strumenti per organizzare file, contenuti e informazioni. So valorizzare varie strategie per recuperare e gestire i contenuti che io o altri hanno organizzato e conservato. So chi seguire negli ambienti di condivisione delle informazioni (micro-blog). posso interagire con gli altri utilizzando gli elementi essenziali degli strumenti di comunicazione (telefoni mobili, Voip, chat, e-mail). Conosco le fondamentali norme di comportamento che si usano quando si comunica con strumenti digitali. posso condividere con gli altri file e contenuti attraverso semplici mezzi tecnologici. So che la tecnologia consente di interagire con servizi e li utilizzo passivamente. Sono in grado di comunicare con le tecnologie tradizionali. Sono consapevole dei benefici e dei rischi relativi all’identità digitale. Sono in grado di usare molteplici mezzi digitali, anche avanzati, per interagire con gli altri: conosco i principi dell’etichetta digitale e sono capace di utilizzarli nel mio contesto. posso partecipare nei siti di reti sociali e nella comunità on line, dove comunico o scambio conoscenze, contenuti e informazioni. posso attivamente valorizzare alcune delle principali caratteristiche dei servizi on line. posso creare e discutere risultati in collaborazione con altri usando semplici mezzi digitali. posso forgiare la mia identità digitale on line e tenere traccia dei miei passi digitali. Sono impegnato nell’uso di un ampio spettro di mezzi per la comunicazione on line (e-mail, chat, sms, instant messages, blog, micro-blog, sns,...).Sono in grado di applicare i vari aspetti dell’etichetta on line ai vari ambiti e contesti della comunicazione digitale. Ho sviluppato strategie per scoprire comportamenti inappropriati. posso adottare modalità e strade digitali di comunicazione nel migliore dei modi. posso configurare il formato e la via comunicativa in funzione della mia audience. Riesco a gestire i differenti tipi di comunicazione che ricevo. Sono in grado di scambiare attivamente informazioni, contenuti e risorse con gli altri attraverso comunità on line, reti e piattaforme comunicative. partecipo attivamente ad ambienti on line. So come impegnarmi attivamente nella partecipazione on line e so usare molteplici differenti servizi online. Frequentemente e con fiducia utilizzo molti mezzi e vie di collaborazione per la produzione e condivisione di risorse, conoscenze e contenuti. Sono in grado di gestire molteplici identità digitali a seconda dei contesti e delle finalità, posso monitorare informazioni e dati da me prodotti attraverso l’interazione on line. So come proteggere la mia reputazione digitale. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 43 Livello di base Livello intermedio Livello avanzato Creazione Problem solving Sicurezza di contenuti Sono in grado di produrre semplici contenuti digitali (testi, tabelle, immagini, audio, ..). Sono capace di modificare in maniera essenziale quanto prodotto da altri. So modificare qualche semplice funzione del software (applicare setting essenziali). So che alcuni contenuti trovati sono coperti da copyright. posso produrre contenuti digitali di differente formato (testi, tabelle, immagini, video,..). posso editare, rifinire e modificare i contenuti che io o altri hanno prodotto. Ho le conoscenze fondamentali circa le differenze tra copyright, furto di copyright e creative commons e posso valorizzare alcune licenze nei contenuti che creo. posso eseguire varie forme di modifica del software e delle applicazioni (installazione avanzate, modifiche di programma essenziali,...). posso produrre contenuti digitali secondo differenti formati, piattaforme a ambienti. posso usare una varietà di mezzi digitali per creare prodotti multimediali originali. Sono in grado di integrare elementi di contenuto esistenti per crearne di nuovi. Conosco come i differenti tipi di licenze si applicano alle informazioni e risorse che uso o creo. posso interagire con programmi (aperti) modificandoli, cambiandoli o scrivendo codici sorgente. Sono in grado di codificare e programmare in diversi linguaggi. Capisco i sistemi e le funzioni che stanno alla base dei programmi. So prendere le fondamentali misure per proteggere i miei strumenti (antivirus, password). So che posso condividere solo alcune tipologie di informazioni su me stesso e gli altri in ambienti on line. So come evitare cyber bullying. So che la tecnologia può influenzare la mia salute, se la uso male. prendo le misure di base per risparmiare energia. So come proteggere i miei strumenti digitali, aggiorno le mie strategie di sicurezza. posso proteggere la mia e l’altrui privacy on line. Ho una comprensione generale dei problemi di privacy e una conoscenza base di come i mei dati sono raccolti e usati. So come proteggere me e gli altri da cyber bullying. Comprendo i rischi per la salute collegati all’uso delle tecnologie (da problemi di ergonomia a dipendenza). Comprendo gli aspetti positivi e negativi dell’uso delle tecnologie nei riguardi dell’ambiente. Aggiorno frequentemente le mie strategie di sicurezza. So come agire quando i miei strumenti sono minacciati. Cambio spesso le forme di garanzia della privacy per proteggere la mia privacy. Ho una comprensione informata e ampia dei problemi della privacy e so come i mei dati sono raccolti e usati. Sono consapevole di come usare le tecnologie per evitare problemi di salute. So come trovare una buon bilanciamento tra mondo on line e off line. Ho una posizione informata sull’impatto delle tecnologie sulla vita quotidiana, sui consumi online e sull’ambiente. So ricorrere ai giusti aiuti e assistenze quando le tecnologie non funzionano o uso nuovi strumenti, programmi o applicazioni. So usare alcune tecnologie per risolvere compiti di routine. So scegliere strumenti digitali per attività di routine. So che le tecnologie e gli strumenti digitali possono essere usati creativamente e riesco qualche volta a farlo. Ho alcune conoscenza, ma sono consapevole dei miei limiti nell’usare le tecnologie. So come risolvere semplici problemi che emergono quando le tecnologie non funzionano. So quali tecnologie fanno al mio caso e quali no. Riesco a rilevare compiti non di routine esplorando le possibilità tecnologiche. So selezionare un appropriato mezzo in base alle finalità e posso valutarne l’efficacia. posso usare le tecnologie per fini creativi e posso usarle per risolvere problemi. Collaboro con gli altri nella creazione di prodotti innovativi. So come apprendere d far qualcosa di nuovo con le tecnologie. So come risolvere un ampio spettro di problemi emergenti nell’uso di tecnologie. So prendere decisioni informate per scegliere mezzi, strumenti, applicazioni, software o servizi per compiti non familiari. Sono consapevole dei nuovi sviluppi tecnologici. Comprendo come i nuovi strumenti lavorano e operano. posso valutare criticamente quale è il miglior strumento che ci serve. posso risolvere questioni concettuali avvantaggiandomi di strumenti tecnologici e digitali. posso contribuire allo sviluppo della conoscenza e a partecipare ad azioni innovative per mezzo di tecnologie. Collaboro proattivamente con gli alti per produrre risultati creativi e innovativi. Di frequente aggiorno i miei bisogni di competenza digitale. Figura n. 2 - Quadro di valutazione del progressivo sviluppo delle aree di competenza digitale LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 44 45 7. Una sintesi operativa Antonio Calvani (Calvani, 2010) sulla base della Raccomandazione europea e degli studi e delle ricerche da lui condotti o diretti, nonostante la consapevolezza della “rapidità di cambiamento che caratterizza il mondo della tecnologia”, ha ritenuto valido elaborare un modello di competenza digitale per tener conto di “un ragionevole equilibrio tra componenti diverse”. tale modello si appoggia su tre dimensioni – tecnologica, cognitiva, etica – che possono integrarsi tra di loro soprattutto nelle situazioni più complesse e impegnative. la dimensione tecnologica include un insieme di abilità e nozioni di base, in particolare quelle che consentono di valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni, integrate con la capacità di scegliere tecnologie opportune per affrontare problemi reali. occorre comunque tener presente come “in questo quadro in costante divenire si fanno sempre più importanti atteggiamenti, modi di porsi, più che specifiche padronanze di nozioni e abilità” (p. 50). la dimensione cognitiva riguarda la capacità di leggere, selezionare, interpretare e valutare dati, costruire modelli astratti e valutare informazioni considerando la loro pertinenza e affidabilità. Vengono segnalati tre indicatori principali: capacità di reperimento e selezione dell’informazione; valutazione critica; organizzazione, sistematizzazione. la dimensione etica evoca la responsabilità sociale nel sapersi porre nei rapporti con gli altri, rispettandone i diritti e comportandosi in maniera positiva nel cyberspazio anche tenendo conto della tutela personale. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 45 47 Terzo capitolo Alcuni apporti da ricerche internazionali Naturalmente la problematica connessa con l’introduzione delle tecnologie informatiche, soprattutto mobili, è stata affrontata negli anni passati da più punti di vista. In particolare si è cercato di capire se la loro presenza e il loro utilizzo nei processi d’insegnamento-apprendimento potevano portare a miglioramenti significativi dei risultati ottenuti. Dal momento che i dati raccolti erano un po’ contraddittori, si è cercato di attribuire tale constatazione alle metodologie didattiche inadeguate o antiquate. Altri hanno sottolineato che la questione era più complessa e impegnativa, perché la presenza diffusa e penetrante delle nuove tecnologie conduce a dover rivedere le stesse finalità educative delle istituzioni scolastiche e formative e di conseguenza il tipo di risultati che ci si possono attendere. Probabilmente tutte queste osservazioni hanno un loro fondamento. Nella prospettiva di una rielaborazione dello stesso curricolo di studi è però assai utile fare tesoro di quanto via via la ricerca tende a mettere in luce. 1. Sul rapporto tra introduzione delle tecnologie informatiche e processi di apprendimento Dal punto di vista assunto in questo paragrafo un apporto assai significativo è costituito dal lavoro di M. Raineri pubblicato nel 2012 (Raineri, 2012). la questione che stiamo qui approfondendo è stata ampiamente trattata nel terzo capitolo dal titolo significativo: “la tecnologia migliora l’apprendimento?”. l’argomentazione segue un modello ben consolidato nei passati millenni: partire dalle opinioni più diffuse o credenze circa il fatto che le tecnologie digitali favoriscano, migliorano e accrescono l’apprendimento, per metterle a confronto con i risultati delle indagini empiriche e con una riflessione critica razionalmente condotta. in questo impegno dialettico entra in gioco anche un’analisi delle assunzioni riguardanti teorie dell’apprendimento scolastico che spesso vengono collegate a tale presenza. l’Autrice passa in rassegna alcune indagini raccogliendone le conclusioni secondo alcune frasi riassuntive. in primo luogo essa nota come l’introduzione delle tecnologie informatiche non comporti un significativo miglioramento negli apprendimenti, mentre molte indagini danno risultati ampiamente contraddittori. Ci si sofferma in particolare su quanto rilevato da Hattie nel 2009, che conferma quanto evidenziato da recenti ricerche sull’apprendimento della matematica: qualche ef- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 47 48 fetto di miglioramento si ha se tali tecnologie sono integrate in maniera attenta e consapevole in un processo di insegnamento-apprendimento valido e produttivo. in particolare vengono segnalate alcune condizioni di efficacia: 1) lo strumento tecnologico viene proposto come risorsa integrativa e non sostitutiva, lasciando al docente la responsabilità non solo progettuale ma anche gestionale dell’apprendimento; 2) gli insegnanti ricevono un’adeguata formazione in merito all’utilizzo efficace della strumentazione; 3) vengono ampliate le opportunità di apprendimento, in particolare se le risorse tecnologiche propongono attività guidate di forma tutoriale e di esercitazione pratica progressiva; 4) viene favorito un controllo del proprio apprendimento da parte dello studente e ciò è più agevole con programmi di natura tutoriale e di esercitazione pratica guidata e controllata; 5) si valorizza l’apprendimento tra pari e quindi anche un uso a coppie sembra più valido che un uso delle tecnologie solo individuale; 6) si fornisce con regolarità un feedback informativo e correttivo.24 Alcuni di questi suggerimenti sono confermati da una serie di meta-analisi delle ricerche sul ruolo delle tecnologie informatiche nei processi di apprendimento della matematica. tali indagini hanno messo in luce il fatto che solo in alcune modalità di loro valorizzazione si riescono ad ottenere assai modesti incrementi nelle conoscenze e competenze degli studenti. in altre parole sembra che la scelta di una congruente metodologia di insegnamento possa dare una mano all’insegnante nel promuovere una cultura matematica. l’utilizzo più proficuo, anche se modesto, si realizza mediante l’integrazione dell’uso degli strumenti digitali nel lavoro scolastico più per consolidare con l’esercizio e la pratica progressiva concetti e procedure spiegate dal docente e disponibili in validi manuali, che per una loro introduzione significativa. in altre parole invece di avere una semplice relazione tra docente, libro e studente, si costituisce una relazione più complessa, ma funzionale, tra docente, libro, studente e strumento tecnologico. Gran parte di questi orientamenti derivano da una serie di meta-analisi compiute su una massa impressionante di ricerche da J. A. Hattie e pubblicate nel 2009 (Hattie, 2009).25 Un ulteriore apporto agli orientamenti emersi dalle indagini di Hattie si deve a p. Reimann e A. Aditomo (Reimann, Aditomo, 2013) che nel 2013 hanno preso in esame ulteriori dati.26 la conclusione a cui giungono gli Autori nell’ambito della valorizzazione delle tecnologie informatiche nell’apprendimento dal punto di vista della loro efficacia è la seguente: l’uso delle tecnologie iCt sem- 24 Si tratta delle conclusioni che ha proposto Hattie nel suo lavoro di indagine: A. HAttie, Visible learning. A Synthesis of over 800 meta-analyses Relating to Achievement, new york, Routledge, 2009, 2-232. 25 J.A. HAttie, Visible learning. A Synthesis of over 800 meta-analyses Relating to Achievement, new york, Routledge, 2009. 26 p. ReiMAnn e A. ADitoMo, technology-Supported learning and Academic Achievement, in J. HAttie, e.M. AnDeRMAn, International Guide to Student Achievement. new york, Routledge, 2013, 399-401. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 48 49 brano avere un modesto impatto positivo in alcuni ambiti di studio e mediante l’utilizzo di alcune di esse. Ma i dati non danno alcuna garanzia che una particolare tecnologia di per sé possa portare a un diffuso impatto migliorativo dei risultati di apprendimento. occorre però anche concludere contemporaneamente che non si evidenziano neanche effetti negativi. l’utilizzo delle iCt sembra particolarmente valido quando gli studenti interagiscono tra di loro e con il contenuto d’apprendimento. la questione cioè non è tanto se la tecnologia viene usata, bensì come essa viene usata. Un ulteriore apporto problematico deriva dalla pubblicazione dei risultati dell’indagine oCSe-piSA 2012, che ha rilevato le prestazioni dei quindicenni di 65 paesi per la matematica, la lettura e le scienze. i risultati di tale indagine hanno suscitato notevoli perplessità a causa di alcuni dati raccolti, che in qualche modo hanno dato conferma a quanto osservato da A. Calvani e M. Raineri. la rilevazione relativa all’uso di internet e degli e-book in classe, infatti, ha fornito indicazioni non certo favorevoli alla fruizione di tali risorse tecnologiche rispetto alle più tradizionali risorse cartacee. “l’uso delle tecnologie per la didattica poi non sembra favorire l’apprendimento. nelle scuole dove la maggior parte degli studenti usa internet durante le ore di lezione i risultati deludono le aspettative, laddove invece internet non si usa affatto o si usa con il contagocce le cose vanno meglio. Stesso discorso per i tablet e gli e-book”.27 i dati che vengono riportati sono i seguenti. 1. % di studenti che usano internet durante le lezioni e risultati rispetto al punteggio medio. matematica lettura scienze Meno del 10% 492 496 502 10-25% 487 492 496 26-50% 485 491 493 51-75% 481 489 486 più del 75% 488 486 493 2. % di studenti che usano e-book. la domanda era: per l’utilizzo a scuola hai a disposizione un lettore di e-book? matematica lettura scienze Sì, e le suo 423 403 425 Sì, ma non lo uso 453 447 458 no 494 502 503 27 S. intRAVAiA su La Repubblica del 6 dicembre 2013, 27. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 49 50 3. la differenze tra chi usa e chi non usa il tablet in classe. matematica lettura scienze Sì, le usa 436 422 439 no, non lo usa 494 502 503 naturalmente una corretta interpretazione dei dati dovrebbe esaminare con più cura che cosa è stato chiesto, quali correlazioni esistono con i metodi di insegnamento, i contenuti specifici presi in considerazione, ecc. Ma ai fini del nostro lavoro è sufficiente raccogliere questi elementi di problematicità per esaminare con più attenzione alcuni risultati di ricerche che possono aiutare in un bilancio complessivo Calvani (Calvani, 2013), facendo riferimento alla rassegna di Raineri28 e citando dati dell’oCSe del 200929, si è posto una domanda comprensiva su che cosa sappiamo circa l’efficacia delle iCt sugli apprendimenti curricolari, affermando: “le correlazioni tra uso del computer e miglioramento dei risultati rimane positiva fino a un certo livello per poi decrescere; da una certa soglia in avanti quanto più il computer è usato a scuola, tanto più gli alunni peggiorano. Come sintetizza Gui: “questi risultati suggeriscono grande cautela nel sostituire didattica tradizionale con didattica basata sui nuovi media”. [...] questi dati [...] sono congruenti con osservazioni avanzate sin dai primordi del computer nella scuola e con l’affermazione che sono le metodologie (e gli insegnanti che le utilizzano), e non le tecnologie, a fare la differenza”. l’attenzione poi si sposta alla considerazione del contesto educativo e di obiettivi formativi più generali e personali. la conclusione generale oltre a richiamare quanto affermato circa gli apprendimenti curricolari, prende in considerazione il contesto da promuovere e suggerisce di “definire specifici obiettivi/ target, conseguibili in tempi brevi o medi, verificarne la conseguibilità, dimostrando i vantaggi in termini costi/benefici”. infine, quanto a una visione più generale dell’impatto delle tecnologie sulla società e l’ecologia della mente, occorre tener presente come le trasformazioni delle istituzioni a livello informale sono “assai più lente di quelli immaginati da chi lavora con le nuove tecnologie”. naturalmente tali dati possono indurre altri modelli di lettura e interpretazione e portare a conclusioni diverse. elena Mosa e leonardo tosi hanno fornito nel 2014 un quadro di riferimento interessante circa i risultati delle ricerche disponibili soprattutto in ambito europeo (Mosa, tosi, 2014). Gli Autori hanno esaminato sia il rapporto tra le nuove tecnologie e l’innovazione, e tra queste e le competenze digitali, i contenuti digitali e gli ambienti di apprendimento. nel concludere quanto 28 M. RAineRi, Le insidie dell’ovvio. Tecnologie educative e critica della retorica tecnocentrica, etS, pisa, 2011. 29 M. GUi, Uso di internet e livelli di apprendimento. Una riflessione sui sorprendenti dati dell’indagine piSA 2009. Media education, 3 (2012), 1, 29-42. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 50 51 esaminato circa il rapporto tra iCt e innovazione essi affermano che le ricerche condotte fino al 2008 per valutare l’impatto di tali tecnologie sull’apprendimento avevano segnalato: “come l’ambizione di far corrispondere in modo deterministico alla diffusione di tecnologie effetti univoci sugli apprendimenti scolastici sia ormai tramontata”. i rapporti finali avevano evidenziato effetti positivi su alcuni aspetti generali come motivazione e competenze trasversali, ma avevano messo in chiaro come gli esiti positivi dipendessero da alcune condizioni fondamentali, come la competenza dei docenti. l’ambito disciplinare e il livello scolastico. e concludono: “l’idea che l’introduzione di tecnologie digitali e connettività nelle scuole possa migliorare gli apprendimenti individuali dei nostri studenti incondizionatamente è un’utopia che vorremmo ormai achiviare assieme alla stagione degli impact studies che hanno segnato una fase importante del percorso di maturazione della comunità scientifica e degli enti incaricati di orientare o promuovere processi di riforma a livello nazionale”. in seguito gli Autori giungono ad affermare: “l’idea che vede nelle tecnologie per la didattica la panacea per la risoluzione dei problemi della scuola del terzo millennio è tramontata insieme all’idea, altrettanto illusoria, che si possa ridurre la rilevazione dell’impatto delle iCt nei processi di apprendimento alla misurazione dello scarto migliorativo degli esiti dei risultati negli ambiti disciplinari”. Da questa constatazione consegue che la presenza di tali tecnologie dovrebbe essere il “volano per l’innovazione e la modernizzazione dei sistemi educativi”. in sostanza occorre verificare: “in che modo l’introduzione delle tecnologie digitali è in grado di supportare un’innovazione nelle pratiche didattiche e a quali condizioni l’innovazione può essere estesa su larga scala e non rimanere un’esperienza legata a un singolo contesto”. Sembra, sulla base di quanto elaborato dalla europea Schoolnet, che cinque siano le aree di riferimento: la leadership, le infrastrutture e le risorse, la progettazione curricolare, la qualità e lo sviluppo, la gestione e la comunicazione. 2. Libri stampati versus libri digitali Fin qui studi abbastanza generali. Se ci si sposta più sullo specifico è utile scorrere alcuni rapporti di ricerca. Ad esempio, prendere in considerazione il confronto tra quanto acquisito attraverso la lettura di libri stampati e quanto può essere fatto proprio utilizzando libri digitali e in genere testi letti attraverso uno schermo informatico. nel numero di aprile 2013 della rivista Scientific American è stato pubblicato un articolo di Ferris Jahr dal titolo: “il cervello che legge al tempo del digitale”.30 il Direttore Generale della Casa editrice zanichelli commentando tale 30 F. JAHR, The Reading Brain in the Digital Age: The Science of Paper versus Screens, Scientific American, 11 aprile 2013, 39. Un sottotitolo dice: “e-readers and tablets are becoming more popular as such technologies improve, but research suggests that reading on paper still boasts unique advantages”. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 51 52 contributo31 riprendeva una delle sue conclusione fondamentali: “Mentre leggiamo il nostro cervello costruisce una rappresentazione mentale del testo come se fosse un passaggio fisico e quando cerchiamo di farci tornare alla mente un episodio, spesso ricordiamo dove era nella pagina. questo avviene nei libri, ma non negli ebook. […] più di cento ricerche negli ultimi vent’anni dicono che capiamo e ricordiamo il testo sulla carta meglio che sullo schermo”. l’articolo è stato pubblicato ora in italiano sulla rivista le Scienze32 ed è interessante rileggerne le principali conclusioni: “la tecnologia riscuote sempre più successo via via che diventa più user friendly; eppure la maggior parte degli studi pubblicati a partire dai primi anni novanta confermano le conclusioni precedenti: come mezzo per la lettura, la carta continua a offrire vantaggi rispetto allo schermo. esperimenti di laboratorio, sondaggi e rapporti sulle abitudini dei consumatori indicano che gli apparecchi digitali impediscono una navigazione efficiente dei testi lunghi, il che incide negativamente sulla capacità di comprensione. poiché sembrano richiedere maggior impegno mentale rispetto alla carta, gli schermi rendono anche più difficile ricordare che cosa abbiamo letto una volta arrivati alla fine. inoltre gli e-reader non sono in grado di riproporre le sensazioni tattili tipiche della lettura su carta, di cui alcuni sentono la mancanza. infine, anche se non ce ne rendiamo conto, spesso ci poniamo di fronte a un computer o a un tablet con un’impostazione mentale meno aperta all’apprendimento rispetto a un libro” (Jahr, 2014). l’articolo di Jahr tiene conto in particolare di uno studio pubblicata all’inizio dell’anno da parte di alcuni ricercatori norvegesi (Mengen, Walgermo, Brønnick, 2013). questi avevano confrontato i risultati in termini di comprensione del testo da parte di alunni di 15-16 anni di due scuole norvegesi che leggevano testi in pdf presentati sullo schermo di un computer con alunni della stessa età e delle stesse scuole che leggevano gli stessi testi stampati su carta. l’indagine prendeva spunto da un insieme di ricerche che segnalavano il carico cognitivo in termini di decisioni da prendere e di elaborazione visiva da compiere richieste dalla lettura di ipertesti, da cui derivava una riduzione di prestazioni sul piano della comprensione. Ma non tutti i testi da leggere sono di tipo ipertestuale. in prevalenza nella scuola sono di tipo lineare, narrativi e non narrativi. le ricerche da quest’ultimo punto di vista non sono molte ma tendono a evidenziare migliori prestazioni quanto a ricordo e comprensione. Data la diffusione anche in norvegia dell’uso di testi digitalizzati nella scuola occorreva verificare eventuali effetti di tali sviluppi. 31 Il sole 24ore, domenica 17 dicembre 2013, 34. 32 le Scienze è l’edizione italiana delle rivista statunitense Scientific American: F. JAHR, Carta contro pixel, le Scienze, 545, gennaio 2014, 66-71. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 52 53 i risultati sono stati significativamente diversi tra i due gruppi a chiaro favore dei lettori di testi lineari stampati sia che fossero narrativi, sia non narrativi. le evidenze raccolte, secondo Mengen e collaboratori, portano a segnalare che: “Chi ha letto il libro cartaceo ricorda meglio la trama e riesce più facilmente a mettere gli eventi in giusta sequenza. l’effetto potrebbe essere correlato alla necessità di tenere il filo di ciò che leggiamo: su carta abbiamo molti indizi fisici ad aiutarci, a esempio possiamo ricordare che un fatto si è compiuto quando eravamo quasi all’inizio o a circa metà del volume. il testo elettronico, invece, ci fa perdere di più tra le righe: non percepiamo quanto manca alla fine o a che punto siamo, il testo appare sempre uguale. Sembra anche che la lettura on line renda incapaci di attenzione a lungo temine e quindi di affrontare lettura impegnative di testi lunghi e complessi. Gli Autori si dilungano sull’analisi delle possibili cause di tale diversità. Valorizzando tale analisi, Jahr ricorda come nello studio, a differenza della sola lettura, occorre non solo capire ma anche ricordare le cose fondamentali, per questo occorre concentrazione e capacità di controllo di tipo metacognitivo, spesso si deve tornare indietro, sottolineare e segnare a margine, ecc. tutto ciò è più impegnativo quando si usano testi letti su schermi digitali. tuttavia, nel caso di soggetti con disturbi specifici di apprendimento, come i dislessici le cui difficoltà dipendono soprattutto da problemi di riconoscimento visivo, molte ricerche evidenziano il vantaggio di avere schermi che permettono di scegliere sia il tipo di carattere, sia le spaziatura tra le parole, cosa che non è possibile con i libri stampati. l’aggiustamento del testo a seconda delle possibilità di decodificazione dei singoli soggetti è una della caratteristiche positive non solo per i dislessici, ma in genere per ogni persona che ha qualche problema di tipo visivo. Meno evidente è la valenza positiva dello schermo per i dislessici che presentano problematiche legate ai processi più direttamente di natura linguistica. 3. Scrivere a mano in corsivo versus scrivere al computer Una questione ancora più specifica, ma di grande rilevanza nella pratica scolastica, riguarda l’apprendimento della scrittura realizzata a mano, in particolare quella calligrafica che implica una notevole competenza nel gestire la mano, in quanto si tratta di forme di motricità fine che implicano un coordinamento generale dell’arto coinvolto. in Finlandia a partire dal 2015 è stato eliminato l’apprendimento del corsivo. in un articolo33 pierangelo Soldavini riportava la notizia che 33 p. SolDAVini, Una scrittura senza fine, Domenicale del Sole 24ore, 24 novembre 2013, 12. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 53 54 negli Stati Uniti: “i nuovi standard federali per i nuovi curricula scolastici hanno abolito l’obbligo di insegnamento del corsivo, a favore della scrittura su tastiera”. A questo proposito veniva citato uno studio coordinato da laura H. Dinehart dell’Università della Florida che concludeva, collegando la propria ricerca a un rassegna critica di numerose altre indagini: “la scrittura manuale appare associata alla capacità di autocontrollarsi, di frenare le proprie emozioni e di memorizzare il lavoro svolto” (Dinehart, 2013). Karin James (James, 2012) ha messo in luce, con le sue ricerche, come nei bambini lo scrivere a mano una lettera attivi determinate aree del cervello, mentre digitarla su una tastiera non fa altrettanto. prendere la penna attiva aree motorie cerebrali sollecitate anche dalla lettura in una sinergia positiva. e la scrittura su un foglio di carta insegna a leggere meglio, perché contribuisce a rinforzare le aree del cervello dove si riconosce la forma delle lettere o in cui si associano i suoni alle parole. quanto allo sviluppo della competenza nello scrivere utilizzando tecnologie informatiche, si possono segnalare alcune constatazioni positive: a) gli studenti tendono a scrivere molto di più su supporti digitali rispetto a quanto fanno normalmente su carta; b) la qualità dello scritto appare in genere migliore, soprattutto nel caso di studenti che hanno difficoltà nello scrivere; c) aumenta la probabilità di una revisione accurata del testo e quindi di fare meno errori; d) gli studenti sembrano meglio motivati a produrre testi scritti. queste constatazioni riguardano l’utilizzo del computer fisso con programmi di videoscrittura, occorrerebbe verificare se ciò permane quando si tratta di tecnologie mobili, soprattutto tablet e smartphone, date le abitudini comunicative tra pari mediante tali tecnologie. quanto sopra richiamato in breve intende favorire un approccio consapevole di ciò che si può conseguire con l’introduzione sistematica di risorse di natura digitale e ciò che, eventualmente, potrebbe essere perduto. probabilmente una prima conclusione orientativa mette in guardia da forme ingenue e precipitose di innovazione, senza un adeguato senso di responsabilità. Sembra potersi concludere che, sulla base di quanto finora constatato, l’introduzione delle tecnologie informatiche e, in particolare, delle tecnologie mobili, non possa costituire di per sé un’occasione di miglioramento degli apprendimenti curricolari. Ciò può essere raggiunto se esse vengono opportunamente integrate nel contesto di una progettazione didattica che valorizza sia testi stampati, sia testi digitali, e che introduce le risorse digitali come ulteriore forma o di attivazione dell’impegno di apprendimento dello studente o di consolidamento di quanto acquisito sotto la guida esplicita dell’insegnante. inoltre, sulla base di quanto affermato nel primo capitolo, l’utilizzazione sistematica delle tecnologie informatiche e in particolare di quelle mobili non può essere esaminata solo a partire dai risultati conseguibili dal punto dell’apprendimento generalizzato delle differenti discipline. la questione dello sviluppo delle competenze digitali deve essere sempre presa in attenta considerazione. quindi, se i risultati in termini di apprendimento disciplinare possono essere considerati, come sembra emergere da altre ricerche, paragonabili, senza particolari vantaggi da parte LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 54 55 di un approccio basato su libri e carta stampata o, viceversa, di un approccio basato su testi digitali, allora vanno prese in considerazione questioni formative di natura più generale. 4. Ricerche sull’introduzione delle tecnologie mobili a scuola nel 2012 è stato pubblicato dall’oeCD, in italiano l’oCSe, un rapporto intitolato Connected Minds: Technologies and Today’s Learners (oeCD, 2012). Una sistematica analisi delle ricerche condotte nei vari paesi industrializzati ha portato gli estensori di tale rapporto a presentare alcune conclusioni significative. in primo luogo si è constatata una certa riluttanza degli studenti a utilizzare nei loro impegni scolastici gli stessi strumenti comunicativi che essi quotidianamente valorizzano nell’essere connessi con i loro amici e compagni. Ciò può derivare da molti fattori, tra i quali non poco influsso ha la percezione di docenti e studenti della natura stessa dell’ambiente di apprendimento cui essi sono abituati e del tipo di richieste di attività di studio in esso presenti. Una seconda conclusione raggiunta riguarda il fatto che non sono emerse evidenze adeguate e affidabili circa l’influsso positivo che un loro utilizzo sistematico e diffuso può avere sul piano congnitivo e degli apprendimenti più impegnativi. Da queste conclusioni, certamente provvisorie, deriva la necessità di un’esplorazione più diffusa e sistematica circa la natura e le modalità di valorizzazione dei modelli di integrazione che sono risultati i più validi ed efficaci nel raggiungere gli obiettivi di apprendimento propri delle istituzioni scolastiche e formative. Ciò è tanto più necessario, in quanto la letteratura di ricerca e divulgativa degli ultimi anni (fino al 2012) può esser così distribuita. in primo luogo si evidenziano quelli che possono essere definiti i missionari (o evangelici) delle tecnologie digitali e della connessione continua. essi partono dalla considerazione delle opportunità (affordances), che i sistemi d’interconnessione offrono ai fini dell’informazione, della documentazione e dell’interazione, e ne traggono la conclusione di un potenziamento mai raggiunto prima delle capacità di lavoro e di apprendimento. la loro presenza diffusa nella pratica didattica non può che migliorare le prestazioni sia dei docenti, sia degli studenti. Diversamente si collocano in tale quadro i catastrofisti. questi mettono in evidenza gli influssi deleteri non solo sui processi cognitivi, ma anche sulle stesse possibilità di apprendimento. in particolare l’attenzione viene frammentata e destabilizzata, con la conseguenza di impedire approfondimenti e organizzazioni concettuali adeguate. Superficialità e instabilità delle conoscenze ne sono la conseguenza più evidente, ma anche il patrimonio culturale ne rimane decisamente impoverito. Si realizza qualcosa di analogo a quanto denunciava platone nel Fedro per bocca dl re thamus circa l’invenzione della scrittura. Una terza categoria è quella degli scettici. questi rimangono perplessi sia di fronte a quanto affermano i primi come a quanto lamentano i secondi in mancanza di elementi conoscitivi adeguatamente pertinenti e affidabili. quindi l’unica via di uscita LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 55 56 è quella di condurre sistematiche ricerche empiriche al fine di sbrogliare un poco la matassa delle affermazioni più o meno gratuite degli uni come degli altri. È stato pubblicato verso la fine del 2014 un interessante volume che prende in considerazione specificatamente la questione della diffusione internazionale del mobile learning (Raineri, pieri, 2014). nel sesto capitolo esploreremo più specificatamente la natura e le problematiche connesse con l’uso delle tecnologie mobili nell’apprendimento. ora è importante considerare quanto è emerso finora dalle ricerche in merito alla sua validità ed efficacia nell’apprendimento scolastico e formativo, nel contesto di quella che è stata definita dal rapporto precedentemente ricordato, come la permanente connessione mediale delle menti giovanili. in questa rassegna si può cogliere un aggiornamento delle contrapposizioni, precedentemente registrate. Di fronte alla “diffusione crescente e ubiquitaria dei dispositivi mobili tra i bambini e gli adolescenti” dall’indagine Project Tomorrow pubblicata nel 2012 risulta che buona parte dei genitori ritiene tali dispositivi utili sia fuori, sia dentro l’aula ai fini dell’apprendimento. D’altra parte, le scuole in vari casi stanno “introducendo le tecnologie mobili in modo acritico, dettato dalle logiche di mercato e da un desiderio talvolta naïve di stare al passo con i tempi [...], senza far precedere questa innovazione da un’attenta analisi del contesto socio-culturale e degli eventuali benefici e problemi che le tecnologie mobili possono apportare nella specifica situazione d’uso”. Viene quindi citato l’esempio di quanto spesso suggerito per poter disporre di tali tecnologie: che gli studenti portino a scuola i loro dispositivi (modello ByoD: Bring Your Own Device): “i dispositivi mobili posseduti dagli studenti sono, nella migliore delle ipotesi, strumenti poco adatti all’apprendimento. questi dispositivi sono tutti diversi tra di loro e vengono sostituiti spesso con nuovi modelli ...” (Ibidem, 130-131). Constatazioni di questo tipo sono state registrate anche in varie delle esperienze condotte in italia. emergono così studiosi che mettono in luce le “criticità legate alla realizzazione di progetti di mobile learning a scuola”. tra queste vengono citate: mancanza di supporto tecnico, problemi organizzativi, mancanza di formazione dei docenti, sottovalutazione delle rappresentazioni implicite dei docenti e degli studenti circa l’uso di tali tecnologie, mancanza di condivisione e comunicazione tra i diversi attori, mancata analisi del contesto specifico (Ibidem, 134). Altri, più legati a progetti di diffusione delle tecnologie innovative spingono nella direzione di una presenza diffusa, penetrante e sistematica di tablet e smartphone nella pratica scolastica. in questa direzione viene citata l’affermazione del fondatore di qualcomm: “il fatto di essere nelle mani degli studenti sempre accesi, sempre connessi, i dispositivi mobili hanno le potenzialità di migliorare drammaticamente i risultati educativi scolastici” (West, 2103, 1).34 per dimostrare questo as- 34 D.M. WeSt, Mobile learning. Transforming Education. Engaging Students, and Improving Outcomes, Center for technology innovations at Brookings, September 2013, 1. Cfr.: http://www.brookings.edu/research/papers/2013/09/17-mobile-learning-education-engaging-studentswest (consultato il 30 dicembre 2014). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 56 57 sunto l’Autore dello studio cita la diffusione ormai al 68% di dispositivi mobili tra gli studenti degli Stati Uniti e l’accesso pari a 70% delle famiglie a una rete wi-fi veloce. Ciò induce la possibilità di adattare i contenuti d’apprendimento sui singoli studenti. non solo, ma pensare ad attività educative individualizzate e sviluppantesi lungo tutto il giorno e tutto l’anno solare. il fatto poi che i giovani sono consapevoli di nuovi strumenti d’apprendimento come testi, illustrazioni, registrazioni audio e video permette lo sviluppo di esperienze di natura olistica e un più agevole adattamento ai bisogni e stili d’apprendimento di ciascuno. quanto alla verifica degli apprendimenti, questi possono essere incorporati facilmente nel materiale didattico, ad esempio con prove di comprensione e conoscenza. Si facilita così anche l’effetto di un immediato feedback sia agli studenti, sia ai genitori. Alcuni studi pilota condotti da associazioni nazionali hanno evidenziato i benefici di tale approccio allo sviluppo delle conoscenze in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Com’è evidente, questo studio si basa soprattutto sul concetto di nuove e seducenti opportunità per l’insegnamento e l’apprendimento e sulla disponibilità diffusa dei dispositivi che consentono di approfittarne. Si tratta, come è evidente, del tipico approccio tecnologico già a suo tempo messo in discussione da neil postman e Jacques ellul ed esaminato nelle sue manifestazioni ogni volta che diveniva disponibile una nuova tecnologia comunicativa. Dal punto di vista formativo, soprattutto in quanto riferibile allo sviluppo delle competenze digitali implicate nella occupabilità presente e futura dei giovani, è interessante tener conto degli studi che evidenziano non solo la presenza delle tecnologie mobili sul posto di lavoro, ma anche la loro valorizzazione nei processi di Formazione professionale non tanto iniziali, quanto continui e comunque estesi a tutto l’arco della vita. A questo proposito un buon rapporto è stato pubblicato nel giugno del 2014 dall’organizzazione Towards Maturity (Upside learning) dal titolo Mobile learning in the workplace.35 la conclusione di una indagine assai accurata nel mondo del lavoro statunitense ha portato alla seguente conclusione: “i tablet stanno dimostrando di essere un dispositivo effettivamente utile al fine di sviluppare un apprendimento collegato al posto di lavoro. Di conseguenza, si appoggia un rapido incremento nell’adozione e nell’utilizzo di questo strumento da parte delle organizzazioni. le ragioni di ciò stanno proprio nella sua mobilità e portabilità; ciò consente di intervenire anche in posti di lavoro isolati e/o distanti”.36 Dall’indagine risulta che il 43% degli intervistati ritiene che l’accesso all’apprendimento sul posto di lavoro per mezzo del proprio dispositivo mobile sia o essenziale o veramente utile. Rispetto poi ad altri strumenti, come il laptop o il pC, il tablet ha una durata delle batterie maggiore, è più leggero e maneggevole, è multi-funzione (include la possibilità di registrare immagini, di vedere video, ascoltare audio, interagire in voce e video, ecc.), favorisce il lavoro in gruppo, può essere sempre acceso. 35 http://www.towardsmaturity.org/shop/wp-content/uploads/2014/06/in-Focus-2014-Report-Mobile- learning-in-the-Workplace.pdf (consultato il 1° dicembre 2014). 36 Ibidem, 2. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 57 58 5. La situazione nei processi formativi: come è descritta nei rapporti Horizon 2014 Sono stati pubblicati i rapporti Horizon europa 2014 elaborati dal new Media Consortium. Dei tre disponibili interessa la nostra ricerca soprattutto quello denominato Horizon Report europe 2014 Schools edition che è stato sviluppato in collaborazione con la Direzione generale della Commissione europea per l’educazione e la Cultura e altri organismi legati all’Unione europea. il rapporto si articola secondo tre grandi aree di interesse: le tendenze in atto, le sfide che tendono a impedire l’adozione delle tecnologie da parte delle scuole, gli sviluppi più importanti da prevedere per i prossimi anni. Si può anche notare come gli altri due rapporti riguardanti il livello terziario o universitario e la scuola non europea (soprattutto nord-americana) si presentino del tutto analoghi, evidenziando simili opportunità, rischi e necessità di sviluppo. Dal nostro punto di vista due affermazioni secche appaiono assai significative: entro un anno l’uso del Cloud e del tablet sarà comunemente presente nelle scuole europee, mentre prospetticamente lo saranno Computer games e ambienti virtuali. Citando la popolarità di servizi basati sulla valorizzazione del Cloud, come Dropbox o Google Drive si afferma: “Cloud computing è ormai ampiamente riconosciuto come uno strumento per migliorare la produttività ed espandere la collaborazione nei processi educativi”. D’altra parte: “il numero di applicazioni disponibili che si basano sulle tecnologie cloud è talmente aumentato che ben poche istituzioni non ne fanno uso, sia ciò parte della politica scolastica o meno”. questa constatazione è collegata anche con l’adozione diffusa di tablet, per i quali sono ormai disponibili più di 115.000 applicazioni educative gratis o a costi modesti”. il potenziale offerto dalla presenza del tablet nelle scuole sta diventando oggetto di studio in molti casi: “per valorizzare tale opportunità gli insegnanti devono conoscere come usarli nelle loro attività didattiche e nell’apprendimento basato su progetti”. quanto ai cosiddetti “computer games”, questi vengono riletti nella loro potenzialità formativa in quanto avvio allo sviluppo delle conoscenze e abilità proprie della computer science: essi, infatti, possono richiedere ai giocatori di “usare abilità di programmazione per affrontare le sfide del mondi virtuali” e in quanto tali la loro presenza si svilupperà notevolmente nei prossimi anni. quanto ai laboratori virtuali, anch’essi sono destinati a diventare più comuni nei prossimi anni. essi diventeranno luoghi nei quali gli studenti potranno fare pratica tecnica e sviluppare competenze operative in un ambiente sicuro prima di usare veri e propri strumenti produttivi. Si avranno così anche laboratori remoti utilizzabili in collegamento internet attraverso una interfaccia virtuale al fine di aiutare le scuole che mancano di adeguate attrezzature per realizzare esperimenti e attività laboratoriale. quanto alle metodologie d’integrazione delle tecnologie digitali nella progettazione didattica il rapporto è molto chiaro. lo sviluppo dei processi di apprendimento basati su tali tecnologie ha sollecitato un ripensamento relativo alle modalità LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 58 59 tradizionali di impostazione dell’attività di insegnamento che in genere erano basate soprattutto su modelli “face to face”. la progettazione cosiddetta ibrida, cioè basata su una integrazione tra modalità di insegnamento dirette e modalità indirette, tradizionali e virtuali, dovrebbe diventare comune nei prossimi due o tre anni ed è già presente nelle attività formative dei docenti meno formali. le ricerche disponibili portano a concludere che la combinazione di un apprendimento virtuale e di uno face to face sia la prospettiva più produttiva. il rapporto sembra alludere inizialmente a forme di insegnamento on line (a distanza) integrate con forme di insegnamento in presenza. Ma il concetto di didattica ibrida o mista viene poi sviluppato in maniera più vasta, tanto da includere sia forme tradizionali di insegnamento diretto, sia forme di insegnamento indiretto (come progetti di ricerca, lavori di gruppo), ambedue valorizzanti tecnologie mobili; ma anche modalità di insegnamento che non utilizzano direttamente tecnologie digitali e modalità che ne fanno una base di lavoro. tutto ciò aprendosi alla collaborazione tra classi diverse anche di diverso livello scolare. la formula utilizzata è mescolare il meglio delle forme di istruzione di classe con il meglio di quanto disponibile in rete, dando più enfasi nel tempo di scuola alla collaborazione tra studenti e alle interazioni studenti-docenti. A questo proposito viene anche richiamata la modalità di insegnamento flipped o rovesciata. più analiticamente il rapporto segnala lo sviluppo ubiquitario dei social media e della relativa permanente connessione dei giovani tra di loro e con risorse informative e conoscitive disponibili in rete. Si suggerisce di incoraggiare sia nel contesto scolastico, sia famigliare forme di dialogo reciproco tra studenti, insegnanti, genitori, associazioni informali. per questo a esempio valorizzare gruppi in WhatsApp per connettersi tra di loro e informarsi su ciò che avviene a scuola. Vanno anche identificate politiche educative adeguate per prevenire usi impropri della rete come cyberbullying. in tale contesto occorre ripensare il ruolo dei docenti e delle pratiche didattiche, tenendo conto della disponibilità on line di risorse educative aperte. Viene sottolineato l’uso nei processi formativi dell’apprendimento on line e le opportunità che la raccolta di dati digitalizzati permette al fine di personalizzare di più non solo l’apprendimento, adattandolo alle manifestazioni individuali di competenza, ma soprattutto la valutazione, valorizzando la raccolta strutturata di tali manifestazioni tramite e-portfolio (o portfolio digitale). tra le sfide che possono in qualche modo ridurre o bloccare l’impatto delle tecnologie digitali nell’attività scolare se non adeguatamente affrontate vengono segnalate: l’integrazione delle iCt nella formazione degli insegnanti; la modesta competenza digitale degli studenti; l’integrazione tra apprendimento formale e non formale; la creazione di autentiche opportunità di apprendimento. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 59 61 Quarto capitolo Uno sguardo alla situazione italiana Le sollecitazioni europee unite a una tradizione abbastanza diffusa di sperimentazioni nell’introduzione delle tecnologie informatiche nella scuola hanno portato a sviluppare alcune indicazioni normative sia per il primo ciclo di Istruzione, sia per il secondo ciclo di Istruzione e Formazione. Inoltre negli ultimi anni, anche su progetti ministeriali, sono state condotte interessanti iniziative di natura sperimentale e sviluppati progetti innovativi più legati alle singole istituzioni formative. Tra queste, lo sviluppo di un approccio più attivo e produttivo nei riguardi delle tecnologie digitali. Infine, occorre tener conto del problema dei testi scolastici digitali. 1. La normativa italiana e gli indirizzi nazionali in italia l’influenza del documento europeo sulle competenze chiave e in particolare sulle competenze digitali si può cogliere a vari livelli di scolarità. qui si prendono in considerazione i documenti relativi al primo ciclo scolastico e all’obbligo di istruzione. le indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione – 14 anni – nel profilo finale delle competenze, che dovrebbe avere raggiunto ciascuno studente, così si esprimono in merito: “lo studente ha buone competenze digitali, usa con consapevolezza le tecnologie della comunicazione per ricercare e analizzare dati e informazioni, per distinguere informazioni attendibili da quelle che necessitano di approfondimento, di controllo e di verifica e per interagire con soggetti diversi nel mondo”. in provincia di trento la scheda relativa alla certificazione delle competenze conseguite alla fine del primo ciclo di istruzione e approvata in via provvisoria in attesa del modello nazionale, ne indica tre specifiche. lo studente: a) utilizza le tiC per comunicare con altri e scambiare informazioni e materiali, rispettando le regole della rete; b) utilizza le tiC per ricercare informazioni e supporto della sua attività di studio, ne valuta pertinenza e attendibilità; c) produce, tramite tiC, relazioni e presentazioni relative ad argomenti di studio. Alla fine dell’obbligo istruttivo – 16 anni – il modello nazionale di certificazione delle competenze include alcuni aspetti della competenza digitale: a. nella premessa all’asse dei linguaggi viene posto come obiettivo “un adeguato utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e si afferma LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 61 62 che la competenza digitale “arricchisce la possibilità di accesso ai saperi, consente la realizzazione di percorsi individuali di apprendimento, la comunicazione interattiva e la personale espressione creativa”; b. nell’elenco delle competenze base a conclusione dell’obbligo di istruzione relative all’asse dei linguaggi, si ricollega la competenza digitale a “l’utilizzare e produrre testi multimediali”; c. nei medesimi elenchi riferiti agli altri assi culturali, si ritrovano competenze di base palesemente riferibili alla competenza digitale (asse matematico: analizzare e interpretare dati usando “le potenzialità offerte da applicazioni specifiche di tipo informatico”, asse scientifico-tecnologico: “essere consapevole delle potenzialità delle tecnologie”) . in definitiva, la competenza digitale da conseguire al termine dell’obbligo scolastico viene legata all’uso delle principali applicazioni informatiche e alla consapevolezza delle loro potenzialità, per cui rispetto a quella definita nella Raccomandazione europea, la competenza nell’obbligo si riferisce ad un sotto-ambito legato solo alle elaborazioni e alle comunicazioni telematiche essenziali. 2. Le indicazioni provenienti dall’Agenda digitale la cabina di regia dello sviluppo dell’Agenda digitale nell’ambito istruttivo ha proposto alcune linee di azione, che vengono qui riassunte.37 esse fanno riferimento al cosiddetto pillar Vi (obiettivi da 57 a 68) della Agenda Digitale europea (Enhancing e-skills). “premesso che le competenze digitali rappresentano un fattore strategico di inclusione sociale, di alfabetizzazione, di innovazione, di cittadinanza attiva e di competitività del paese, si è ritenuto prioritario perseguire i seguenti obiettivi: 1) estendere le azioni del piano nazionale “la scuola digitale” (banda larga per la didattica nelle scuole; cloud per la didattica; contenuti digitali e libri di testo/adozioni; formazione degli insegnanti in ambiente di blended e-learning; liM - e-book ... con l’obiettivo di trasformare gli ambienti di apprendimento); 2) affrontare il problema dell’inclusione sociale (diversamente abili, stranieri, minori ristretti, ospedalizzati, anziani...) anche attraverso soluzioni di telelavoro; 3) incentivare il target femminile all’uso delle tiC; 4) sensibilizzare all’uso critico e consapevole dei contenuti e dell’infrastruttura della rete; 37 http://www.agenda-digitale.it/agenda_digitale/index.php/strategia-italiana/cabina-di-regia/77- competenze-digitali. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 62 63 5) promuovere l’uso delle tiC nei vari settori professionali, del mondo del lavoro pubblico e privato, per garantire la riqualificazione e la Formazione professionale continua; 6) promuovere la standardizzazione dei beni e dei servizi da acquistare, favorendo l’utilizzazione dell’e-procurement pubblico; 7) sostenere attraverso campagne di comunicazione istituzionale l’utilizzo delle tecnologie e la promozione delle conoscenze”. Gli strumenti presi in considerazione per quanto riguarda il mondo scolastico sono richiamati sotto la titolazione: Cloud e banda larga nelle scuole. Ci si propone di sviluppare l’infrastruttura a supporto della produzione, della fruizione e della circolazione delle competenze digitali per la didattica, collegando al cloud tutte le scuole attraverso la rete in banda larga. l’obiettivo è quello di fornire la banda larga a tutte le scuole, affinché possano accedere a connessioni veloci, superiori a 30 Mbps e, in futuro, superveloci fino a 100 Mbps. Si intende promuovere la creazione di un cloud per la didattica dedicato ad insegnanti e studenti facilitando l’accesso e l’uso di contenuti digitali di qualità forniti dalle case editrici, creati dagli stessi insegnanti o attinti da altre fonti autorevoli. in tal senso è indispensabile sviluppare l’editoria digitale, rendendo progressivamente disponibili nel paese contenuti digitali in tutti i settori dell’editoria, favorendone l’adozione e la creatività.38 Si tratta di un servizio sicuro e tutelato che mette al riparo da qualsiasi forma di abuso, in quanto tra gli scopi dell’Agenda Digitale c’è anche quello di sensibilizzare alla sicurezza e all’uso critico e consapevole dei contenuti e dell’infrastruttura della rete. in un’ottica di lungo periodo, occorre inoltre promuovere la trasformazione degli ambienti di apprendimento, riorganizzando lo spazio e il tempo della scuola grazie alle potenzialità, offerte dalle tiC, anche attraverso la costruzione di nuovi modelli di scuola. Dal punto di vista delle soluzioni tecnologiche possiamo suddividere in due grandi aree lo sviluppo del sistema: un livello che potremmo definire “di scuola” che comprende i device individuali degli studenti, quelli di classe (liM) e tutte le soluzioni hardware e software per l’interconnessione, l’organizzazione delle attività, il supporto alla didattica, alle attività di collaborative learning, etc. Un livello “nazionale” caratterizzato da un cloud dove risiedano “spazi attrezzati” dedicati a ciascun insegnante, aree destinate ai contenuti proposti dall’editoria e quindi acquistabili on line, aree dedicate ai contenuti sviluppati dagli insegnanti, servizi destinati agli studenti, alla formazione in modalità di blended e-learning degli insegnanti etc. Sempre a livello nazionale anche i canali della tV digitale rappresentano uno strumento importante sia per lo sviluppo di contenuti digitali per gli studenti che per la formazione in servizio dei docenti. 38 occorre ricordare come tutto quanto previsto da questo documento è già realtà da vari anni in Svizzera e disponibile in tedesco, francese e italiano. Basta consultare il portale: www.educa.ch/it. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 63 64 per quanto riguarda i contenuti da promuovere essi sono raggruppati secondo tre aree: 1) Digital policy literacy, che prende in considerazione non solo conoscenze legate all’uso di linguaggi e strumenti digitali ma anche, in maniera crescente, opportunità e sfide legate ad accesso, produzione e distribuzione e identità in una società trasparente, information-intensive e in rete. 2) E-participation, incoraggiando lo sviluppo di competenze digitali come motore di partecipazione alla società della conoscenza e base fondamentale per esercitare una cittadinanza attiva attraverso la rete. 3) Campagne di comunicazione istituzionale, devono essere opportunamente sfruttate per promuovere l’utilizzo di ausili e tecnologie assistite per le persone con disabilità. le iCt possono rappresentare una possibilità di inclusione sociale senza precedenti, ma spesso non si conoscono le potenzialità di queste nuove tecnologie che permettono alle persone con disabilità di svolgere la propria quotidianità e la propria attività lavorativa senza discriminazione. in coerenza con quanto già definito nel Contratto di servizio RAi, la cabina di regia ha definito una campagna di comunicazione su tutti i canali sia televisivi sia radiofonici, nonché sulla piattaforma internet, volta a far conoscere ai soggetti coinvolti le possibilità offerte dalle nuove tecnologie capaci di migliorare e semplificare la loro vita, permettendo così la diffusione di una cultura dell’integrazione a tutti i livelli. 3. Iniziative ministeriali e locali il succedersi di vari Ministri della pubblica istruzione ha indotto molti a chiedersi se esiste una politica nazionale in merito all’integrazione delle nuove tecnologie, in particolare mobili, nella vita scolastica. Anche perché certe disposizioni hanno manifestato una notevole difficoltà attuativa sia per l’impossibilità pratica di attuarle, sia per la scarsità dei mezzi messi a disposizione. Un esempio è stato dato dalla direttiva riguardante l’introduzione dei libri di testo in formato digitale in sostituzione di quelli cartacei. l’idea poteva essere interessante, ma da una parte la dotazione tecnica disponibile in molte delle scuole italiane era inadeguata, dall’altra le case editrici non erano in grado di rispondere in tempi così stetti a tale disposizione, inoltre i conti fatti in tasca alle famiglie non erano molto chiari (il risparmio nell’acquisto dei libri cartacei poteva permettere di investire nelle tecnologie mobili). la questione sembra ora risolta alla radice, in quanto in base al Regolamento sull’autonomia scolastica il Ministero non può imporre un tipo di testo scolastico. la questione verrà esaminata in dettaglio nel quinto paragrafo di questo capitolo. Maggiormente significative sono state iniziative più meditate che si sono succedute a partire dall’inizio del nuovo millennio. inizialmente, ha avuto un certo spazio la diffusione della cosiddetta patente europea del Computer (eCDl: European Computer Driving Licence). Si trattava di un sistema definito e coordinato a LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 64 65 livello europeo dalla Federazione delle associazioni informatiche europee (CepiS) e promosso in italia dall’AiCA (Associazione italiana per l’informatica e il Calcolo Automatico). esso prevedeva tre ambiti di competenza: uno generale per tutti i cittadini (e-Citizen); uno specificatamente dedicato alla certificazione di competenza nell’uso del Computer e di internet a differenti livelli di competenza (eCDl); un terzo per la certificazione delle competenze dei professionisti di informatica (eCDl Specialised). l’ambito eCDl è articolato secondo tre livelli: Core, Gold, Advanced. il livello di certificazione Core comprende sette moduli e attesta la capacità di utilizzare il pC nelle applicazioni più comuni. i sette moduli per i quali la certificazione implica il superamento di sette esami riguardano: Concetti base; Uso e gestione dei file; elaborazione testi; Foglio elettronico; Uso delle basi di dati; Strumenti di presentazione; navigazione e comunicazione in rete. il livello Gold riguardava la capacità di utilizzare il Computer nel contesto delle materia scolastiche degli ultimi tre anni della secondaria superiore. in partica ci si era concentrati sull’alfabetizzazione informatica a tutti i livelli e così insegnanti e allievi sono stati sollecitati a prepararsi e a superare le prove proposte. per i nuovi assunti, a partire dal 2002, per alcuni anni è stato attivato un sistema di formazione cosiddetto blended, in parte a distanza, in parte in presenza; contemporaneamente venivano formati e convolti numerosi tutor e un certo numero di dirigenti scolastici. Si deve a queste iniziative una certa diffusione di competenze nell’uso delle tecnologie nella pratica didattica. Dal 2007, anche a causa delle politiche europee in materia, si pensa non più alle tecnologie come strumenti/sussidi ma a una loro integrazione in ambienti di apprendimento degli studenti. Così si propongono varie iniziative e progetti come Digiscuola e Scuola Digitale lavagne. Si giunge così ai progetti Classi 2.0 e poi Scuola 2.0. l’obiettivo è ora quello di sperimentare e verificare quanto l’uso della tecnologie nella quotidianità del lavoro formativo trasformi l’ambiente di apprendimento e favorisca l’innovazione. Gli effetti di queste iniziative a livello nazionale, di quelle a livello regionale (come nel caso della lombardia), come di quelle a livello locale, hanno permesso una certa diffusione di istituzioni che hanno cercato di creare in primo luogo le condizioni per un uso sistematico e non occasionale delle tecnologie mobili assicurando i collegamenti web via wifi e favorendo l’iniziativa di docenti aperti e competenti nel diffonderne un uso integrato nel loro insegnamento. in questo quadro occorre inserire quanto, a partire dalla fine degli Anni Settanta, è stato sperimentato nei processi di Formazione professionale sia in merito alla formazione dei docenti, sia in merito alla valorizzazione non solo della strumentazione tecnologica, ma anche di quello che viene ora definito il pensiero computazionale. Basti qui ricordare le trasformazioni indotte non solo nel campo della tecnologia, ma anche della formazione culturale e professionale, dalle parallele innovazioni profonde nel campo dell’industria grafica come in quella della produzione meccanica. quanto alla diffusione locale dell’innovazione basata sull’introduzione nella LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 65 66 pratica didattica, oltre che amministrativa, delle tecnologie digitali, in particolare mobili, una buona panoramica è stata offerta a partire dall’anno scolastico e formativo 2012-2013 dalla rivista Tuttoscuola. nel suo dossier mensile Tecnologie ha raccolto interviste a responsabili delle strutture scolastiche regionali, a dirigenti di istituzioni scolastiche statali e paritarie, a docenti particolarmente competenti e impegnati, fornendo così un quadro di quanto si sta sviluppando non solo a livello di progetto nazionale Scuola Digitale, ma anche di Regioni particolarmente coinvolte come la lombardia, di singole istituzioni o di consorzi tra di esse. in genere si tratta di persone convinte della validità dell’impresa, che si muovo nonostante difficoltà di varia natura, dalla difficile disponibilità di collegamenti web a banda larga e veloce alla carenza di dotazioni per l’uso individuale di tecnologie mobili. Sul piano metodologico sembra prevalere l’opinione che la presenza in classe di questo tipo di tecnologie implichi cambiamenti anche radicali nel modo di promuovere l’apprendimento degli studenti. i dossier sono ora disponibili in rete presso il sito www.tuttoscuola.com/scuoladigitale/. Analoga impressione si ha seguendo il supplemento domenicale Nova del Sole 24ore e del relativo sito www.nova.sole24ore.it, Uno dei meriti fondamentali di questo tipo di pubblicazioni sta nell’informare puntualmente sulle evoluzioni della normativa e sullo sviluppo di iniziative pubbliche o private e di protocolli di intesa tra MiUR e Associazioni, imprese, enti pubblici o provati. A esempio si cita la messa in rete della vetrina digitale Protocolli in rete in cui il Ministero dell’istruzione inserirà tutti i protocolli siglati sul digitale. Uno strumento nuovo per consentire alle scuole di migliorare la loro dotazione tecnologica, aderendo agli accordi siglati dal Ministero con aziende, associazioni, enti e fondazioni, che offrono gratuitamente alle scuole beni o servizi in materia. 4. Alcuni punti di riferimento per la ricerca e l’innovazione l’istituto per le tecnologie Didattiche, uno degli istituti di Ricerca del Consiglio nazionale delle Ricerche, si dedica allo studio dell’innovazione educativa legata all’uso delle tecnologie dell’informazione e della Comunicazione (tiC). le ricerche svolte hanno per oggetto: l’integrazione delle tiC nei differenti contesti di apprendimento (Scuola, Università, impresa); le problematiche di differenti ambiti disciplinari e tematici (educazione linguistica, educazione scientifica, educazione ambientale...); alcune problematiche educative di rilevanza sociale (disabilità, difficoltà di apprendimento, svantaggio, intercultura...); lo studio delle tecnologie innovative come risorsa per l’apprendimento. la ricerca dell’istituto ha come principali riferimenti le scienze cognitive, l’informatica e le differenti pedagogie disciplinari. l’istituto pubblica dal 1993 la rivista Tecnologie didattiche che documenta lo sviluppo delle ricerche condotte nel corso degli anni. in occasione del ventesimo “compleanno” della rivista è stato pubblicato come supplemento al volume 21, nu- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 66 67 mero 3, un’opera che presenta un quadro di sintesi sulle seguenti tematiche direttamente riferibili all’integrazione delle risorse digitali nel contesto scolastico e formativo: partecipazione e condivisione; risorse digitali per l’apprendimento; potenzialità emergenti per l’apprendimento; nuovi contenuti per la società digitale; impatto delle tecnologie didattiche sulla scuola. Ciascuna di tali sezioni comprende a sua volta singoli contributi che fanno il punto sullo stato di avanzamento della ricerca su specifiche questioni da parte dei migliori esperti italiani. Ad esempio, paolo Ferri tratta dei contenuti digitali per l’apprendimento, pier Cesare Rivoltella delle piattaforme che consentono di gestire contenuti personali d’apprendimento, Marco Arrigo si concentra sull’apprendere con le tecnologie mobili, luciano Galliani sulla formazione universitaria dei docenti, Donatella persico sulla partecipazione nella progettazione didattica, ecc. Seguire la rivista dell’istituto aiuta non solo ad aggiornarsi sul mondo delle tecnologie didattiche digitali, ma anche a farlo in modo consapevole e critico. essa è disponibile anche on line (www.tdjournal.itd.cnr.it). Ad esempio il numero dell’aprile 2014 è dedicato al complesso rapporto che nel contesto scolastico viene a stabilirsi tra uso delle tecnologie e innovazione educativa. Viene ad esempio constatato come in Gran Bretagna il grande investimento realizzato in tecnologie per la scuola non abbia prodotto sostanziali cambiamenti nella pratica didattica, né miglioramenti nei risultati scolastici. in un articolo, Collins e Halversons si sono posti la seguente domanda: l’innovazione educativa mediata dall’uso della tecnologia digitale può avvenire in continuità con una trasformazione del sistema scolastico o solamente al di fuori di tale sistema e/o in rottura con esso? Un’ulteriore fonte di informazioni e orientamento viene da quanto è reperibile nel sito dell’indire: (www.indire.it). Si tratta di un sito istituzionale che ha avuto il compito in passato di seguire i progetti di formazione dei nuovi assunti presso il sistema istruttivo italiano, come quelli relativi alle Classi 2.0, Scuola 2.0, Scuola digitale, Scuola Digitale lavagne e simili. l’indire (istituto nazionale di Documentazione, innovazione e Ricerca educativa) ha il compito di accompagnare l’evoluzione del sistema scolastico italiano investendo in formazione e innovazione e sostenendo i processi di miglioramento della scuola. in ambito internazionale fa parte del Consorzio eUn - european Schoolnet composto da 31 Ministeri dell’educazione dei paesi europei, che promuove l’innovazione nei processi educativi in una dimensione transnazionale. il Centro Studi Impara Digitale è un’associazione nata nel marzo 2012 per promuovere lo sviluppo di una modalità didattica innovativa, che permetta alla scuola italiana ed europea di beneficiare significativamente del potenziale offerto dall’introduzione della tecnologia digitale. Ha come obiettivo sviluppare un metodo di didattica per competenze per una scuola inserita nell’attuale contesto digitale, attraverso l’utilizzo di tecnologie personali e mobili. l’associazione ricerca, sperimenta, condivide e insegna quanto imparato dalla reciproca collaborazione, mediante un network di riferimento a livello nazionale: www.imparadigitale.it. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 67 68 A questo fine intende: promuovere lo sviluppo e diffondere l’utilizzo di didattiche per la scuola digitale; analizzare l’efficacia di diverse tecnologie per la didattica; studiare e realizzare strumenti e piattaforme software di supporto alla scuola digitale; organizzare e gestire manifestazioni a carattere tecnico, seminari e corsi di formazione; preparare e diffondere materiale informativo relativo alle didattiche per la scuola digitale; favorire tutte le iniziative che possano contribuire alla promozione delle didattiche, costituendo un luogo privilegiato di scambio di esperienze e di informazioni. esistono, poi, numerosi siti che mettono a disposizione unità didattiche, veri e propri corsi formativi, materiali di riferimento, video e audio, ecc., al fine di aiutare i docenti nel loro lavoro quotidiano e gli studenti nel loro apprendimento. il materiale offerto a docenti e studenti può essere considerato come un insieme di risorse, che, con quanto offrono gli altri siti della rete, inclusi Wikipedia, youtube, e altri siti più specializzati, danno al docente la possibilità di costituire una propria base di risorse didattiche, organizzata in base alle esigenze del suo insegnamento. Ad esempio un docente di fisica, che intende affrontare il principio di Archimede, può trovare in tali siti ottimi spunti da spiegazioni orali, testi, video, esperimenti reali e simulati. può anche assegnare agli studenti, come impegno individuale e collettivo, recuperare dalla rete il file i file che a loro avviso esprime meglio e con più chiarezza e precisione tale principio. Oilproject è una community on line, promossa dalla tiM, che offre lezioni sulle materie più disparate. ogni corso è una raccolta di video, testi ed esercizi raggiungibili in modo gratuito, sui tablet, smartphone e pC. Ha avuto origine nel 2004 da parte di un gruppo di ragazzi che decisero di farsi da soli una scuola non convenzionale in cui ognuno potesse raccontare quello che sa a chi lo vuol stare ad ascoltare. la comunità è composta da migliaia di utenti di tutte le età decisi a condividere le proprie conoscenze e imparare dalle esperienze altrui sfruttando le tecnologie più dinamiche. Dal gennaio 2013 ha stipulato un accordo con Impara Digitale al fine di migliorare la qualità dei contenuti didattici offerti dal sito, e renderli sempre più vicini alle concrete necessità e alle nuove sfide del mondo dell’insegnamento. la Khan Academy è un’organizzazione no-profit che ha l’obiettivo di migliorare il sistema educativo fornendo materiali didattici, in generale video, sia in inglese, sia in italiano, sia in inglese con sottotitoli italiani, in gran parte riferibili ai vari argomenti di matematica. tali materiali spesso sono utilizzati per attivare esperienze di classi rovesciate (www.it.khanacademiy.org). Apprendereinrete (www.apprendereinrete.it) è un portale dedicato ai docenti e agli studenti e supportato da Microsoft. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 68 69 5. Una “Buona scuola” digitale nelle linee guida del governo denominate “la buona scuola” sono richiamati sia i limiti dell’attuale situazione circa la digitalizzazione delle scuole, sia alcuni orientamenti operativi. in primo luogo si riconosce la necessità di promuovere una più diffusa e capillare connessione ad internet con rete veloce: “Ad oggi, solo il 10% delle nostre scuole primarie, e il 23% delle nostre scuole secondarie, è connesso ad internet con rete veloce”. e poi in “quasi una scuola su due (46%), la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette quell’innovazione didattica che la Rete può abilitare”. inoltre si è investito quel poco che era disponibile in modo non congruo, “ingombrando con le liM le nostre classi e spaventando alcuni docenti”. “la tecnologia non deve spaventare. Deve essere invece leggera e flessibile, adattandosi alle esigenze di chi la usa, allo stile dei nostri docenti, alla creatività dei nostri ragazzi”. essa “deve essere abilitante, diffusa, personale, discreta. Rispettosa del valore umano dell’educazione, del valore sociale della didattica, e infine il più sostenibile per le nostre risorse pubbliche”. A parte un giudizio un pò troppo sbrigativo sull’introduzione delle liM in classe, in questa presa di posizione si nota una notevole dose di ragionevolezza, tanto più importante di fronte alla massa di docenti cosiddetti “precari” che dovrebbe essere assunta entro il 2015 e che presumibilmente non ha potuto sviluppare adeguate competenze digitali nell’insegnare. Certamente ciò può derivare sia dalla loro età, sia dalla loro precaria esperienza docente, priva di stabilità e di possibilità di realizzare esperienze didattiche con continuità e a lungo termine. tuttavia una presa di posizione di questo tipo può tranquillizzare un po’ troppo i docenti di fronte alle esigenze di sviluppo di quelle competenze digitali che costituiscono uno degli obiettivi chiave dell’apprendimento permanente. Certo, occorre ribadire con chiarezza che al cuore del processo di apprendimento sollecitato dai docenti deve porsi in primo luogo una comprensione sufficientemente profonda dei concetti e dei procedimenti proposti. Molti studiosi hanno ben chiarito che un apprendimento attivo dello studente si ha quando egli si impegna in un’appropriata attività cognitiva, ad esempio selezionando informazioni rilevanti, integrando le nuove conoscenze con quelle già possedute e organizzando in maniera coerente quanto acquisito; mentre un apprendimento passivo si ha quando tale attività non ha luogo e si ha solo una semplice recezione di quanto proposto, non integrato nella propria struttura conoscitiva, quindi non compreso e non ricordato adeguatamente. A una didattica attiva solo esternamente, nella quale gli studenti sono coinvolti in un’attività pratica, come ricerca di informazioni, di soluzioni a un problema o di discussione in gruppo, non corrisponde necessariamente un apprendimento attivo di questo tipo. Mentre esso può essere presente, per mezzo di appropriati processi cognitivi, anche attraverso forme di insegnamento che esternamente appaiono passive. la conseguenza è chiara: non basta mettere in moto gli studenti mediante l’utilizzo di strumenti digitali mobili, ciò che è importante è coinvolgerli cognitivamente in un apprendimento significativo, stabile e fruibile. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 69 70 per sollecitare tale apprendimento attivo sono state individuate non poche strategie positive. tra queste assume un ruolo decisivo il cosiddetto feedback, o retroalimentazione, da parte dell’insegnante verso lo studente, ma anche quello da parte dello studente verso il suo docente e quello che proviene dai compagni. in altre parole si sviluppa una forma di conversazione nella quale al centro dell’interesse è proprio la comprensione adeguata di quanto proposto e poi la sua valorizzazione nell’applicarlo a situazioni e problemi al fine di sollecitarne il consolidamento, il ricordo e la fruibilità. Se la tecnologia favorisce questa conversazione tra docente e studenti e riesce a sollecitare in questi un apprendimento attivo, allora essa diventa veramente uno strumento didattico significativo. e ciò vale anche sul piano della stessa competenza digitale. per questo è importante riportare una altro passo delle linee guida: “la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie. A non limitarsi ad essere ‘consumatori di digitale’. A non accontentarsi di utilizzare un sito, una app, un videogioco, ma a progettarne uno. perché programmare non serve solo agli informatici. Serve a tutti, e serve al nostro paese [...]. pensare in termini computazionali significa applicare la logica per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere i problemi e cogliere le opportunità che la società già oggi ci offre.” A parte il tono un po’ enfatico, analoghe considerazioni erano già presenti quando fu sviluppato il piano nazionale per l’informatica, e molte delle sperimentazioni degli Anni ottanta e novanta dell’altro secolo andavano in questa direzione. quanto alla disponibilità di reti e di strumenti digitali si afferma: “non saremo soddisfatti fino a quando l’ultima scuola dell’ultimo comune d’italia non avrà la banda larga veloce, un wifi programmabile per classe (con possibilità di disattivazione quando necessario) e un numero sufficiente di dispositivi mobili per la didattica”; privilegiandone la proprietà personale (“le istituzioni intervengono solo per fornirle a chi non se lo può permettere”). Si tratta di una prospettiva che va poi calibrata istituto per istituto al fine di rendere il tutto coerente e praticabile. non è possibile, infatti, pensare a una classe nella quale gli studenti hanno strumenti con differenti sistemi operativi oppure strumenti che visualizzano le informazioni in modi non compatibili tra loro. 6. La questione dei libri di testo digitali il passaggio ai libri digitali può portare a qualche difficoltà ed evidenziare alcune condizioni di fattibilità. a) talora i libri di testo digitali proposti sono riproduzioni in pdf dei testi stampati con modeste possibilità di utilizzazione (sottolineature, note, …). in particolare, in alcuni casi vi è una certa difficoltà nello scorrimento delle pagine. Migliore la situazione se si tratta di ebook. tuttavia, a parte l’avere a disposizione il testo sul tablet, non sembra che queste soluzioni tecnologiche offrano grandi miglioramenti rispetto all’uso del testo stampato. la possibile soluzione ad alcune di questa problematicità LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 70 71 viene in genere data dall’uso contemporaneo di un quaderno che diventa la forma normale di accompagnamento del libro digitale. b) libri digitali e ebook più interattivi, con immagini, anche in movimento, occupano spazi di memoria non indifferenti. in qualche caso le case editrici riescono con vari accorgimenti a limitare tale occupazione di memoria, ma comunque diventa assai problematico scaricare da parte degli studenti i molti libri di cui hanno bisogno per le diverse discipline di insegnamento. c) Se la fruizione dei libri e materiali didattici offerti dalle case editrici vengono fruiti on line, occorre tener presente che a regime i collegamenti wifi contemporanei potrebbero essere assai numerosi e, se si devono scaricare immagini o filmati, le linee potrebbero congestionarsi e rallentare o addirittura interrompere i collegamenti. la normativa ministeriale, dopo molte tergiversazioni e oscillazioni, ha riconosciuto le conseguenze dell’entrata in vigore del Regolamento sull’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche e formative relativamente all’adozione dei libri di testo. Ricordiamo a questo proposito come da molti veniva considerato assai problematico che il Ministero potesse continuare a imporre l’adozione di testi sia cartacei, sia digitali, stante le disposizioni derivanti dal Regolamento sull’autonomia scolastica del 1999. l’obbligo di adottare testi scolastici (stampati o digitali) per la varie discipline di insegnamento risultava, infatti, assai poco coerente con i principi sanciti circa l’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. oggi viene affermato che: “il collegio dei docenti può adottare, con formale delibera, libri di testo oppure strumenti alternativi, in coerenza con il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento scolastico e con il limite di spesa stabilito per ciascuna classe di corso”. inoltre la norma prevede che: “nel termine di un triennio, a decorrere dall’anno scolastico 2014-2015, [...] gli istituti scolastici possono elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento; l’elaborazione di ogni prodotto è affidata ad un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell’opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare nel corso dell’anno scolastico. l’opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell’anno scolastico, al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell’ambito di progetti pilota del piano nazionale Scuola Digitale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per l’azione editoria Digitale Scolastica”. il progetto Book In Progress, promosso dall’itiS Majorana di Brindisi, che ne rimane il capofila, coinvolge ormai decine di scuole e centinaia di docenti nella preparazione di libri di testo: segue ormai tale normativa, anche se l’ha anticipata.39 39 www.bookinprogress.org. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 71 72 tale impresa deriva dalla convergenza di alcuni fattori fondamentali. in primo luogo, la sempre più accentuata diffusione delle comunicazioni tramite la rete web, che consentono la condivisione di testi, video, audio, immagini, ecc. tra le persone, indipendentemente dalla loro collocazione geografica e dal tempo di utilizzo della rete. in secondo luogo, la possibilità di collocare tali artefatti in un deposito accessibile in ogni momento da parte degli interlocutori, con possibilità non solo di fruirli passivamente online, ma di scaricarli, di interagire on line con essi, ecc. Ma, soprattutto, l’interesse e la disponibilità di molti docenti distribuiti su tutto il territorio nazionale a partecipare a una impresa collettiva nella redazione di libri di testo per le scuole. quindi, se l’iniziativa Book In Progress si colloca nella prospettiva ormai prevista dalla normativa nazionale, ma in qualche misura la supera, perché estende la partecipazione all’impresa comune a scuole e docenti di tutta la penisola e non solo a docenti del proprio istituto. Viene prevista, poi, la responsabilità di una scuola e di un coordinatore per ogni progetto di testo disciplinare da produrre, mentre la collaborazione alla sua redazione è aperta a tutti quelli che intendono partecipare. Un regolamento chiarisce tutta una serie di problematiche connesse con i diritti d’autore, con la questione della gratuità della prestazione, ecc. l’importanza di questa impresa può essere considerata da molti punti di vista. Credo interessante sottolinearne solo due. Si è molto insistito in questi ultimi decenni sull’importanza di una co-costruzione del sapere, sulla collaborazione nella produzione di artefatti, sul valore di una conoscenza distribuita, che si possa valorizzare nelle varie esigenze operative. il progetto sembra proprio corrispondere a una verifica della bontà di tali prospettive di lavoro. tradizionalmente i libri di testo venivano elaborati da uno i più autori (due o tre) in collaborazione con una casa editrice. Avendo nel tempo collaborato con più case editrici in questa direzione, posso testimoniare le ampie discussioni in merito alla redazione finale dei testi. Anche perché gli autori sviluppano un progetto e lo realizzano sulla base della loro esperienza didattica e delle assunzioni epistemologiche e metodologiche che li caratterizzano. Basti citare due celebri esempi di testi scolastici per la matematica: quelli di F. enriques e U. Amaldi e di e. Castelnuovo. le case editrici sono più sensibili alla loro commercializzazione e diffusione. testi molto interessanti dal punto di vista contenutistico e metodologico furono adottati da ben pochi insegnanti. l’impresa Book In Progress può confermare, o falsificare, l’assunzione che il prodotto collettivo di un libro di testo, indipendentemente da una casa editrice, può offrire risultati migliori e più funzionali rispetto a quelli tradizionalmente realizzati. la seconda prospettiva interessante riguarda la possibilità di cogliere, esaminando i risultati finali di tale impresa, cioè i vari libri di testi prodotti, qual è l’impianto epistemologico e metodologico che emerge come il più gettonato da parte di docenti distribuiti sul territorio nazionale e che manifestano interesse, impegno e dedizione particolare al loro lavoro didattico. Già, perché la natura stessa dell’im- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 72 73 presa, che non consente diritti d’autore significativi, come è stato nel passato in alcuni dei casi per testi particolarmente diffusi, implica passione per il proprio lavoro e desiderio di rispondere meglio alle attese di famiglie e studenti, anche dal punto di vista economico. Data la mia età, ho potuto cogliere a partire dagli Anni Cinquanta e Sessanta del secolo passato non poche evoluzioni, sia sul piano della stessa concezione della disciplina scolastica, sia su quello delle metodologie didattiche da adottare per insegnarla. inoltre, tra il livello della ricerca, e delle proposte operative che ne derivano, e quello della effettiva diffusione nella pratica quotidiana si è sempre manifestato un ampio divario. e ciò non può essere considerato sempre come negativo. Anzi. Raffinati studi, come quelli realizzati da John Hattie (Hattie, 2009), hanno messo in evidenza come molte idee, anche assai interessanti, non hanno avuto risposte sul campo analogamente positive. 7. Le prospettive in atto: dal consumo alla produzione la riflessione pedagogica attuale, richiamata anche nel documento “la buona scuola”, porta a identificare nell’ambito delle competenze digitali due prospettive: una consumistica e una produttiva. in tale documento si dice: “la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie. A non limitarsi ad essere ‘consumatori di digitale’. A non accontentarsi di utilizzare un sito, una app, un videogioco, ma a progettarne uno. perché programmare non serve solo agli informatici. Serve a tutti, e serve al nostro paese […]. pensare in termini computazionali significa applicare la logica per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere i problemi e cogliere le opportunità che la società già oggi ci offre”. negli Stati Uniti presso il Mit (Massachusetts Institute of Technology) è stato sviluppato, in collaborazione con Google, un progetto di laboratorio scolastico per studenti di scuola secondaria (12-18 anni), che seguono qualsiasi filiera formativa, al fine di metterli in grado di progettare e realizzare App per tablet o smartphone (della serie Android). il progetto iniziato nel 2011 ha avuto un largo successo nel mondo di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna) e nel contesto orientale (Hong Kong, Singapore) e ne è nato dal 2012 un servizio sistematico per aiutare docenti e studenti nell’attività laboratoriale. Chi è interessato a utilizzare il materiale, le guide del progetto e la relativa assistenza a titolo gratuito, può collegarsi al sito http://appinventor.mit.edu. in questo ultimo anno è stata sviluppata anche una seconda versione di tale progetto (http://ai2.appinventor.mit.edu). l’ipotesi formativa che sta alla sua base è quella di favorire un’esperienza diretta dell’uso della tecnologia per la realizzazione di nuovi prodotti e non solo per consumare quelli già disponili. proprio per favorire un’iniziazione agevole e coinvolgente al mondo della programmazione, il progetto non richiede nessuna esperienza previa di programmazione informatica al fine di realizzare le proprie applicazioni per strumenti infor- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 73 74 matici mobili. nel sito vengono anche descritti sommariamente numerosi casi di scuole che hanno adottato tale risorsa e i risultati ottenuti. esperienze di questo tipo, anche se non finalizzate a sviluppare specifiche competenze tecnico-professionali, a mio parere sono essenziali per accostare il mondo della tecnologia informatica mobile in maniera più consapevole, ma soprattutto per porre le basi di un atteggiamento verso la tecnologia non solo di tipo banalmente consumistico, ma anche per quanto possibile aperto a una sua valorizzazione per realizzare i propri progetti, adattando lo strumento utilizzato alle proprie esigenze ed evitando di diventarne totalmente dipendente. Certo i giovani spesso hanno già molto familiarizzato con le tecnologie mobili, ma ciò avviene soprattutto nella comunicazione informale e nel gioco, assai poco e solo occasionalmente in attività più sistematiche e ben finalizzate, sia di studio, sia di lavoro. inoltre, emerge l’importanza di sviluppare adeguate competenze connesse con la programmazione o la riprogrammazione degli strumenti utilizzati fino, come nel caso citato, alla produzione di veri e propri oggetti informatici. Recentemente anche in italia sono state avviate iniziative in questa direzione rivolte non solo a studenti degli istituti tecnici e professionali, ma anche del primo ciclo di istruzione e dei licei (esempio: progetto ministeriale Programmailfuturo). Ciò in continuità con quanto già realizzato sia negli Stati Uniti, sia in Gran Bretagna. l’idea è che il coding, cioè l’usare un codice informatico nella programmazione di un artefatto informatico, come un videogioco, ha un valore educativo da riscoprire. l’idea è che imparare a programmare non serve solo a creare futuri programmatori, di cui pure c’è bisogno, ha sviluppare quello che è stato definito il pensiero computazionale: il pensare in maniera algoritmica nel trovare e sviluppare la soluzione di un problema. Si racconta che Barack obama abbia esortato gli studenti americani in questo modo: «non comprate un nuovo videogioco, fatene uno. non scaricate l’ultima app, disegnatela». il coding dovrebbe dare una “forma mentis” che permette progressivamente di affrontare problemi complessi. insomma imparare a programmare aprirebbe la mente. per questo si può cominciare già in tenera età. quando i bambini si avvicinano al coding diventano soggetti attivi della tecnologia. i risultati sono immediati. in poco più di un’ora si può creare un piccolo videogioco, funzionante; così, si insiste, li rendiamo produttori di tecnologia. e i ragazzi via via maturano anche una specifica presa di coscienza. in questi anni l’insistenza sull’importanza del collegare conoscenze a competenze, cioè il sapere acquisito alla capacità di valorizzarlo per leggere, interpretare e valutare la realtà per potersi inserire in essa attivamente, ha alimentato un ulteriore sviluppo del concetto di occupabilità, collocandolo al centro dei processi istruttivi e formativi. Ricerche sia internazionali, sia italiane hanno indicato, ad esempio, che è più agevole inserirsi nel mondo del lavoro se è stata sviluppata precedentemente una qualche esperienza significativa di attività lavorativa. Da ciò le molteplici insistenze per accompagnare la formazione scolastica e universitaria con forme di alternanza studio-lavoro. più profondamente, occorrerebbe promuovere LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 74 75 una vera cultura del lavoro non solo come conoscenza e comprensione della sua complessità ed evoluzione, ma anche come iniziale sviluppo di competenze specificatamente implicate da esso. Si tratta di un potenziamento della persona necessario per affrontare la sfide attuali, ma anche una verifica delle proprie aspirazioni e possibilità. Serie forme di certificazione potrebbero contribuire a sviluppare progressivamente le varie componenti della propria occupabilità, attivando risorse interne ben relazionate con le esigenze evolutive del contesto occupazionale presente, ma soprattutto futuro. più che formare per un posto di lavoro specifico, infatti, occorre far crescere la persona in quelle dimensioni culturali e operative che le consentano scelte e adattamenti il più possibile validi e soddisfacenti al fine di “muoversi autonomamente nel mondo del lavoro per realizzare il proprio potenziale”. ora il mondo del lavoro, come in generale il mondo sociale, è sempre più segnato dalla presenza non solo della “tradizionali” tecnologie informatiche, ma soprattutto di quelle mobili, che tendono a essere presenti con le loro potenzialità in ogni sviluppo sia professionale, sia sociale. Certo i giovani spesso hanno già molto familiarizzato con tali tecnologie, ma ciò avviene soprattutto nella comunicazione informale e nel gioco, assai poco e solo occasionalmente in attività più sistematiche e ben finalizzate, sia di studio, sia di lavoro. inoltre, emerge l’importanza di sviluppare adeguate competenze connesse con la programmazione o la riprogrammazione degli strumenti utilizzati come nel caso citato, fino, alla produzione di veri e propri oggetti informatici. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 75 77 Quinto capitolo Alcuni fondamentali orientamenti concettuali e operativi emergenti Dalla documentazione esaminata nei capitoli precedenti derivano alcuni orientamenti che possono costituire un quadro di riferimento per l’azione educativa da svolgere in contesti nei quali le tecnologie mobili entrano in maniera valida e produttiva. In primo luogo si tratta di ambienti di lavoro di natura ibrida, nei quali la parola orale, quella scritta, la comunicazione mediata tramite tecnologie sono valorizzate secondo le loro potenzialità e funzionalità formative. Ciò implica una competenza specifica dei docenti: quella di saper progettare ambienti di apprendimento che tengano conto di tutte le variabili in gioco. In particolare tale progettazione assume come nuovi obiettivi comuni le competenze digitali necessarie oggi sia per lo studio, sia per il lavoro, anche una prospettiva di più chiara occupabilità. In questa prospettiva deve essere più chiaramente favorito lo sviluppo della capacità di auto-regolazione di sé sia nello studio, sia nel lavoro. Infine, occorre considerare anche le caratteristiche della competenza professionale del docente in un contesto segnato dalla presenza della tecnologie digitali. 1. Verso una prospettiva ibrida Sempre più dalla ricerca si hanno indicazioni a supporto di un’utilizzazione delle tecnologie di rete e mobili secondo una prospettiva ibrida o mista. Sul numero di settembre-ottobre della rivista Educational Techology due studiosi italiani insistevano sulla validità di una integrazione tra modalità formative on line e on-site, cioè tra forme di intervento didattico sviluppate valorizzando tecnologie di comunicazione mobili, ad esempio mediante modalità di insegnamento a distanza o gruppi di ricerca on line, e forme cosiddette faccia a faccia, cioè legate a una interazione diretta quale è possibile in una classe. non solo, viene anche considerata l’integrazione tra attività di studio individuale e di tipo collaborativo, tra attività che si svolgono in classe e attività che posso essere realizzate fuori dalla classe, a per esempio a casa propria. in altre parole la presenza delle tecnologie di comunicazione mobili e la disponibilità di una rete a supporto di tale comunicazione non vanno intese come sostituzione di forme più tradizionali di attività didattica, ma come nuove opportunità da combinare tra loro validamente ed efficacemente secondo una pluralità di approcci metodologici (trentin, Bocconi, 2014). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 77 78 in effetti il concetto di modalità di insegnamento ibrida, o blended (mista), va intesa secondo un ampio spettro di possibili attuazioni sul campo. Si tratta infatti di mescolare, meglio di integrare, tra loro differenti approcci di insegnamento, secondo le molteplici combinazioni possibili, al fine di promuovere un reale processo di apprendimento in vista del conseguimento di obiettivi formativi fondamentali. Un’integrazione non solo di metodi, ma anche di strumenti e materiali, che possano favorire al meglio tale processo. l’accettazione di tale approccio comporta dunque anche l’esigenza di riconsiderare in maniera aggiornata la stessa progettazione dell’attività didattica ed educativa, tenendo conto da un lato dello stato di preparazione degli studenti effettivamente presenti nelle classi sulla base non solo del grado scolastico, ma anche delle loro caratteristiche individuali; e, dall’altra, degli obiettivi da raggiungere nei vari ambiti di studio e di apprendimento (anche all’interno delle stesse discipline scolastiche o in contesti multidisciplinari). in questa prospettiva è anche necessario esaminare con cura la natura e l’apporto ai processi di apprendimento che le varie tecnologie della comunicazione possono dare se usate in maniera consapevole e il ruolo stesso dell’incontro e del dialogo interpersonale tra docente a studenti e degli studenti tra di loro. la giustificazione teorica di tale approccio ha come fondamento quanto sintetizzato al termine della rassegna critica sviluppata nel primo capitolo. Si era constatato come le indicazioni che si fondano su elementi documentati e controllabili siano soprattutto quelle che provengono dalla neuropsicologia, anche grazie alla possibilità di esplorare, tramite le immagini raccolte per mezzo di opportune tecnologie, le parti effettivamente attivate del cervello durante i differenti processi. i dati raccolti indicano come l’interazione con le tecnologie mobili e di rete tende a sollecitare il sistema nervoso centrale, e in particolare le cellule neuronali e le loro interconnessioni presenti nel cervello, sotto il profilo di quello che è stato definito il Sistema1, quello che presiede ai pensieri rapidi, automatici e intuitivi. questo si svilupperebbe in maniera notevole a scapito, sembra, di un parallelo progresso del Sistema2, cioè della parte che presiede al pensiero lento, alla riflessione, al ragionamento, al controllo critico. Ciò è particolarmente significativo dal punto di vista dello sviluppo umano, in quanto tenendo conto della plasticità presente soprattutto nell’età infantile potrebbe manifestarsi nel tempo uno squilibrio deleterio nell’intreccio necessario tra Sistema1 e Sistema2. l’indicazione che ne deriverebbe sarebbe non tanto quella di evitare a scuola l’utilizzazione di tecnologie mobili e di rete, quanto di favorirne progressivamente un uso consapevole, critico e produttivo, sollecitando confronti critici con fonti alternative, riflessione attenta personale e collettiva a riguardo della qualità delle informazioni raggiunte, elaborazione di progetti nei quali si cerca di valorizzare in maniera sistematica e controllata le fonti informative utilizzate. questa constatazione più che appoggiare in maniera esclusiva quella che è LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 78 79 stata definita la “teoria del medium”, cioè una teoria che assume come riferimento quanto intuito da Marshal Macluhan nel proporre la massima “il mezzo è il messaggio”, sollecita una presa di consapevolezza dell’influenza del mezzo di comunicazione nel proporre i contenuti della comunicazione, favorendone un’interpretazione tanto più che si sta sviluppando la tendenza a concentrare l’attenzione sullo schermo, il quale diventa quasi il nostro interlocutore privilegiato. Sembra quindi ragionevole tener conto della molteplicità dei mezzi comunicativi e della maniera con cui influiscono sullo sviluppo della persona e della sua cultura, ma anche di ciò che attraverso di essi viene proposto, interiorizzato e progressivamente rinforzato e delle modalità con le quali i differenti soggetti durante il loro sviluppo interagiscono con essi. in altre parole le finalità educative che presiedono i processi messi in atto dalle varie agenzie istruttive e formative devono tener conto da una parte della molteplicità dei canali comunicativi presenti nel contesto culturale e sociale attuale e del loro influsso sui processi cognitivi sollecitati da ciascuno di essi e, quindi, di un’azione equilibratrice laddove l’influenza di alcuni appare eccessiva da un punto vista di uno sviluppo armonico e integrato; ma anche dei contenuti formativi essenziali che devono costituire il patrimonio conoscitivo e competenziale e che attraverso tali canali comunicativi devono essere proposti e favoriti nei processi di apprendimento individuali. Deve comunque rimanere forte la presenza di un dialogo, di un rapporto diretto, di un incontro personale tra il docente e i suoi allievi e di questi ultimi tra di loro. nella conversazione educativa che si viene sviluppando rimane centrale la figura dell’educatore che rimane il principale responsabile di quanto viene attuato, ma soprattutto dei risultati che attraverso tale conversazione possono essere raggiunti. 2. Centralità della progettazione educativa e didattica questa impostazione oggi tende a sposarsi con una visione della progettazione didattica che valorizza una specie di circolo virtuoso tra scelta della metodologie di insegnamento e risultati di apprendimento ottenuti. questi costituiscono una fonte informativa di ritorno, feedback, essenziale per calibrare con continuità la propria azione didattica. Un impulso assai forte è venuto dalle ricerche sul rapporto tra metodologie didattiche e risultati di apprendimento avviate negli Anni ottanta da molti studiosi, che si avvalgono di metodologie cosiddette di meta-analisi. Un esempio ben conosciuto è quello di John Hattie, a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. l’impostazione prevalente del movimento evidence based education, cioè istruzione basata su prove di efficacia, ha favorito tale orientamento, anche se certe posizioni estremiste possono far perdere di vista alcune questioni educative di LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 79 80 fondo. infatti, la natura e qualità dei risultati da prendere in considerazione deriva da assunzioni di tipo educativo che stanno alla base dell’identità stessa delle istituzioni formative. inoltre, ricerche ormai consolidate hanno evidenziato come lo stato di preparazione con cui gli studenti affrontano un percorso di apprendimento è responsabile almeno della metà del successo che si può raggiungere. È quanto già a suo tempo aveva segnalato D. p. Ausubel sul piano del patrimonio conoscitivo già posseduto in maniera stabile e significativa. Ma accanto a ciò vanno tenute presenti le variabili affettive, motivazionali e volitive. Secondo gli studi considerati da B. Bloom si può attribuire soltanto il 40% dell’influsso che hanno sui risultati di apprendimento le metodologie didattiche adottate (Bloom, 1979). proprio per questo la scelta metodologica insita nel processo di progettazione didattica deve rapportarsi con chiarezza allo stato di preparazione dei soggetti da una parte, agli obiettivi educativi e didattici da conseguire dall’altra, alla natura stessa dei contenuti di apprendimento e al loro statuto epistemologico riletto dal punto di vista educativo. la scelta delle tecnologie informatiche mobili rientra in tale processo e certamente su di essa influiscono tutti gli elementi presi in considerazione. Circa lo stato di preparazione degli studenti risulta chiaro non solo l’apporto da tenere presente e derivante dalla qualità delle conoscenze già possedute in uno specifico ambito del sapere, ma anche lo sviluppo raggiunto nelle capacità di gestire tali tecnologie in maniera produttiva sul piano degli apprendimenti piuttosto che soltanto su quello del divertimento e della comunicazione informale. più profondamente riguarda il livello di competenza raggiunto nell’autoregolarsi nell’attività di studio e di lavoro, di collaborare in maniera valida e produttiva con i propri compagni, nel concentrarsi a un livello adeguato di focalizzazione sui compiti ai quali si deve attendere. Sul piano degli obiettivi educativi e didattici emerge accanto all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze intese sul piano dei contenuti lo sviluppo delle conoscenze e competenze connesse proprio con tali tecnologie informatiche. tutto ciò influisce sulle scelte che il docente, o il gruppo dei docenti, è chiamato a privilegiare, integrando le tecnologie mobili e la valorizzazione tramite esse della rete e della comunicazione mediale con le forme tradizionali di insegnamento. tenendo conto di questo quadro di riferimento, le modalità di attivazione di sperimentazioni nel secondo ciclo di istruzione e formazione possono, a volte devono, seguire strade diverse. A questo proposito si può delineare un continuo che va da due estremi. il primo comprende forme di presenza delle tecnologia mobili di tipo occasionale e chiaramente finalizzate nel processo didattico. tali modalità prevedono attività collaterali alle lezioni tradizionali, che si basano sull’uso di testi stampati o digitali in pdf, promuovendo gruppi di approfondimento, di recupero, di consolidamento o di ricerca, organizzati intorno a tematiche o argomenti precisi oppure diretto alla realizzazione di prodotti chiaramente delineati. All’altro estremo si collocano modalità didattiche che prevedono la eliminazione di testi stampati e che si basano esclusivamente su testi digitali, quaderni di lavoro digitali, interazioni insegnante-studenti basata su comunicazioni digitali, valutazione che racco- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 80 81 glie su dossier o portfolio digitali gli elaborati e i risultati delle prove di valutazione dei singoli, ecc. Si tratta di un ambiente di apprendimento che in una presentazione giornalistica è stato definito: “qui solo lezioni hi-tech”. tra questi due estremi si possono collocare le scelte possibili degli insegnanti, che devono tener conto da una parte delle suggestioni e buone pratiche a disposizione e, dall’altra, dei reali progressi nell’apprendimento degli studenti. il pericolo è quello di centrare l’attenzione solo sulla presenza diffusa e penetrante delle tecnologie, più che sui processi di apprendimento fondamentali che l’istituzione deve promuovere che certo comprende le competenze digitali, ma queste al servizio delle altre conoscenze e competenze che devono costituire il quadro di riferimento formativo. partendo da queste osservazioni possono essere individuati alcuni principi di riferimento che possono aiutare nella scelta di un contesto di apprendimento, che si ispira a una concezione ibrida o blended, ma che mantengono come focus fondamentale del suo lavoro progettuale la qualità e la produttività dell’azione educativa e didattica da sviluppare. Primo principio generale: le istanze provenienti dalla presenza di una, o più, tecnologia comunicativa nel contesto formativo non devono prevalere sulla prospettiva pedagogica fondamentale di una istituzione educativa, ma essere integrate in modo valido e produttivo in essa sulla base di una attenta analisi dei rischi e delle opportunità che essa (o esse) presenta. in particolare, in coerenza con questo principio possiamo considerarne alcune conseguenze. a) occorre garantire la prevalenza di un rapporto diretto tra docente e discenti e tra questi ultimi in modo di favorire una conversazione educativa e formativa protratta nel tempo e sensibile alle caratteristiche personali degli interlocutori. Gli ambienti educativi scolastici e formativi sono per loro natura ambienti di socializzazione. essi devono favorire lo sviluppo di quelle competenze relazionali e comunicative dirette faccia a faccia che stanno alla base della vita sociale e comunitaria. D’altra parte il dialogo educativo e il rapporto interpersonale rimangono al cuore di ogni realtà di natura pedagogica. b) nello sviluppo di una rete di rapporti interpersonali e sociali quale è possibile promuovere nel contesto del gruppo studentesco l’accostarsi di una rete virtuale basata su sistemi di comunicazione agevoli, come oggi WhatsApp o Instagram, può favorirne il consolidamento e la permanenza nel tempo. questo vale non solo per le interazioni tra studenti, ma anche per quelle tra docenti e discenti e tra docenti. c) il conteso culturale e comunicativo attuale comprende una molteplicità di tecnologie comunicative che si collocano accanto, e qualche volte si sovrappongono eccessivamente, alla comunicazione diretta e interpersonale faccia a faccia. occorre che gli studenti vengano formati a valorizzarle nei loro processi di studio e di lavoro, andando oltre la tendenza a valorizzarle solo per divertimento, per comunicazioni informali tra amici, esplorazioni occasionali e talora pruriginose. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 81 82 Secondo principio generale: le sollecitazioni attuali nei riguardi dell’integrazione delle tecnologie comunicative informatiche, in particolare di quelle mobili, nel contesto scolastico e formativo ripropongono in maniera particolarmente urgente lo sviluppo di competenze progettuali didattiche da parte della comunità docente e del singolo insegnante. progettare un ambiente di apprendimento e di lavoro collettivo formativo, che integri tra loro le esigenze di una conversazione educativa diretta, con quelle dello sviluppo della capacità di valorizzazione delle diverse tecnologie disponibili nel processo di apprendimento, implica la ricerca di una equilibrata soluzione tra sollecitazioni spesso contrastanti. la ricerca di una giusta integrazione di tali diverse esigenze non è sempre una impresa agevole. più che dipendere da modelli presentati spesso in maniera seducente, occorre cercare soluzioni direttamente collegate con la realtà istituzionale ed educativa presente. in questo vale ancora quanto suggeriva a suo tempo Aristotele parlando di saggezza pratica: occorre cercare la giusta soluzione tra due o più estremi. l’esempio più calzante da lui proposto diceva che tra una scarpa di 30 cm e una scarpa di 20 cm quella giusta non è una scarpa di 25 cm, ma quella che si adatta bene al piede, senza essere né troppo larga, né troppo stretta. il progetto deve adattarsi alla situazione e alle circostanze concrete con cui si ha a che fare, più che ad astratte prescrizioni metodologiche. queste possono suggerire possibili soluzioni, ma rimangono sempre come elementi che ci aiutano ad allargare le nostre conoscenze progettuali. Vale sempre un principio di realtà al quale occorre rimanere sempre fedeli. non è possibile imporre una soluzione preconfezionata a una situazione problematica specifica. 3. Promuovere le competenze strategiche necessarie per una buona capacità di autoregolazione nello studio e nel lavoro le caratteristiche fondamentali delle tecnologie mobili portano a rileggere le finalità fondamentali di azione educativa. Se l’educazione alla libertà è stato uno dei paradigmi fondamentali di ogni impresa formativa, ora la questione si pone in maniera più drammaticamente urgente. lo sviluppo della capacità di gestire se stessi nel contesto comunicativo che ci circonda viene costantemente messo in rilievo dalle ricerche. Come abbiamo prima visto nel primo capitolo l’Accademia delle Scienze francese ha insistito sul compito della scuola nel promuovere nel corso degli anni una progressiva competenza auto-regolativa del proprio apprendimento e dei processi cognitivi, affettivi e motivazionali che ne stanno alla base. D’altra parte, molte sollecitazioni sia internazionali, sia nazionali, provenienti dal mondo sociale, culturale e produttivo hanno orientato politici e amministratori a una rilettura degli obiettivi fondamentali dei propri sistemi educativi scolastici e formativi. Soprattutto in italia, emerge un’urgente riconsiderazione dell’identità del sistema, in quanto il futuro dei nostri giovani è segnato da incertezze e difficoltà sia sul piano lavorativo, sia sul piano sociale, sia sul piano culturale, sia su quello più propriamente LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 82 83 dell’identità personale. in parte ciò è dovuto alle molte inadeguatezze del processo educativo famigliare, nel quadro di situazioni altamente evolutive, che risultano non collegate ad adeguate esperienze educative presenti e influenti nell’ambito di vita dei giovani. le forme comunicative che avvolgono e sollecitano i giovani fin da un’età ancora assai precoce, spesso non sono adeguatamente prese in considerazione da parte degli adulti, oppure essi non riescono a gestirle positivamente. il giovane fin da molto piccolo vive in permanente collegamento mediale con altri, spesso compagni, ma anche talora presunti tali. Sui vari social network si presentano immagini, testi, giudizi, alla ricerca di risposte da parte di interlocutori più o meno conosciuti. il feedback che ricevono dagli altri conferma, o depotenzia, quanto esposto e orienta i propri comportamenti futuri. la ricerca del conforto altrui può alterare in modo anche profondo quanto sollecitato dai processi educativi famigliari. l’immersione in un sistema comunicativo permanente (computer, internet, smartphone, tablet, ... ) viene vissuto in un contesto informale e di vita sociale, anche se mediato da tecnologie. per contro l’esperienza scolastica sembra spesso segnata solo da forme comunicative dirette, esposizioni orali, comunicazione scritta, in un contesto formale, segnato da valutazioni e sottoposto a regole e abitudini comportamentali abbastanza statiche. la giornata scolastica è strutturata in maniera rigida, con ore scolastiche che si succedono spesso numerose e senza spazi adeguati di transizione tra un contenuto disciplinare e un altro. inoltre le modalità organizzative privilegiano la rotazione dei docenti, rispetto a quella degli studenti. per cui da una parte il docente non può organizzare autonomamente secondo le sue metodiche l’aula, dall’altra gli studenti sono costretti nei loro banchi per molte ore di seguito.40 il contrasto tra l’ambiente di vita informale segnato dalla presenza di tecnologie informative e comunicative e quello formale della scuola è evidente, anche se la presenza di computer, spesso raccolti in un’aula laboratorio, sembra segnalare un’apertura all’suo delle tecnologie. la questione è che i processi di apprendimento che caratterizzano l’esperienza scolastica sono segnati da chiara finalizzazione e sistematicità, mentre quelli che segnano l’esperienza quotidiana sono occasionali, caotici, spesso poco formativi, non controllati e non controllabili nella loro qualità. la tensione tra esperienza vissuta in un contesto formale come quello scolastico e quello informale proprio della vita sociale quotidiana si accentua se si considera il contesto del lavoro e delle professioni. Già la presenza del computer aveva segnato, spesso profondamente, l’attività lavorativa in molti settori professionali e per conseguenza era essenziale promuovere almeno fino a un certo livello la capa- 40 in gran parte dei paesi europei l’insegnante di una disciplina scolastica rimane nella propria aula dedicata a tale insegnamento e sono gli studenti che passano da un’aula all’altra durante l’attività didattica. in italia alcuni istituti stanno sviluppando analoghe organizzazioni logistiche sulla base delle esigenze di utilizzo delle tecnologie digitali. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 83 84 cità di lavorare a scuola utilizzando tale tecnologia. oggi però la questione investe in maniera globale sia la vita, sia il lavoro, sia la comunicazione, sia la formazione permanente e quindi la carriera professionale. la permeazione della strumentazione informatica e dei sistemi di comunicazione digitali in tutti i contesti vitali è tale che spesso si rimane bloccati senza un adeguato sviluppo in quello che a livello europeo viene definito ambito della competenza digitale. Di qui l’esigenza di sviluppare un sufficiente contesto permeato di tecnologie dell’informazione e della comunicazione al fine di promuovere la capacità di studio e di lavoro in un contesto di tale natura. in questo quadro il primo e più assoluto obiettivo formativo che si evidenzia è quello di aiutare ciascuno a sviluppare la capacità fondamentale di progettare, gestire e valutare se stesso. Si tratta dell’autonomia personale e quindi della capacità di autodeterminazione e di autoregolazione di sé, secondo un adeguato senso di responsabilità verso se stessi, verso gli altri, verso la comunità, verso l’ambiente sociale e naturale. e ciò nello studio, nell’apprendimento, nel lavoro, nei rapporti sociali. per rispondere a tale esigenza è stato realizzato un questionario per rilevare a quale grado di consapevolezza e di capacità di gestione dei processi e delle strategie di apprendimento siano giunti gli alunni sia all’inizio, sia durante la scuola secondaria superiore o la formazione professionale. il questionario è stato denominato “questionario sulle Strategie di Apprendimento”, in breve qSA. esso è attualmente disponibile on line collegandosi al sito www.competenzestrategiche.it. Rispondendo al questionario si può ottenere un profilo dello studente riferito a dieci tipologie di competenze strategiche. Un recente volume (ottone, 2014) aiuta a non solo interpretare tali profili, ma anche a impostare un percorso di sviluppo da parte del singolo docente o del consiglio di classe. in generale gli studi sull’autoregolazione in contesti tecnologici da una parte segnalano la necessità di progettare attività che offrano opportunità pratiche per sviluppare la loro capacità di autoregolazione; dall’altra suggeriscono di fornire loro forme di supporto (scaffolding) a tale sviluppo come ambienti funzionali a tale scopo, guide alla gestione di sé in tali ambienti, strategie di apprendimento coerenti. in un progetto diretto a elaborare un forma di verifica della qualità di un progetto elaborato in tale direzione sono state indicate quattro grandi aree di possibile supporto: a orientarsi nell’ambiente; a pianificare il proprio lavoro; a portarlo a termine, monitorando la propria attività; a valutarlo nella sua qualità. per ognuna di queste aree sono state poi indicati aspetti particolarmente importanti per aiutare lo studente a gestire se stesso in maniera valida e produttiva (Gianetti, 2006). 4. Competenze digitali e sviluppo dell’occupabilità nel contesto dell’attuale orientamento verso la promozione nei giovani di quanto si riferisce alle quattro capacità fondamentali per presentarsi adeguatamente LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 84 85 preparati nel mondo del lavoro e delle professioni, e cioè l’imprenditorialità, l’adattabilità, le pari opportunità e l’occupabilità o idoneità al lavoro, è a quest’ultimo pilastro che occorre fare riferimento.41 l’occupabilità inizialmente è stata intesa come “la capacità delle persone di essere occupate, di cercare attivamente un impiego e di mantenerlo”. essa è stata definita più esaustivamente da Hillage e pollard: “l’occupabilità è la capacità di trovare e conservare un lavoro soddisfacente. più ampiamente l’occupabilità è la capacità di muoversi autonomamente nel mondo del lavoro per realizzare il proprio potenziale attraverso un lavoro sostenibile. per l’individuo l’occupabilità dipende dalle capacità, conoscenze e competenze di cui è in possesso, dal modo in cui utilizza queste qualità nel mondo del lavoro e dal contesto (ad esempio circostanze personali, contesto occupazionale [...] in cui cerca un impiego” (Hillage, pollard, 1998). il concetto di occupabilità, o idoneità a entrare e permanere nel mondo lavoro, può essere adeguatamente approfondito se si considera una concettualizzazione della competenza professionale più ampia e profonda. il pericolo segnalato da molti studi recenti è quello di pensare che ciò possa essere descritto a partire da una diretta conoscenza della domanda presente nel mercato del lavoro. Una rassegna delle ricerche relative al legame tra mondo del lavoro e processi educativi è stata condotta da R. Wilson (Wilson, 2013). Riportando gli esiti di una ricerca sistematica internazionale europea egli evidenziava l’importanza dal punto di vista della preparazione a entrare nel mondo del lavoro, oltre che delle competenze di base (lingua e matematica), delle competenze nell’uso di internet e delle iCt, dell’apertura all’apprendimento permanente anche sul posto di lavoro, dello sviluppo della capacità di apprendimento autodiretto e dell’apertura alle altre culture e alle diversità personali. il quadro delineato dalle competenze chiave per l’apprendimento permanente ne indica una direzione di lavoro, e in questo contesto va preso in specifica considerazione l’ambito delle competenze digitali. Spencer e Spencer (Spencer, Spencer, 1995) hanno favorito una prospettiva più comprensiva e relativa alla persona considerata nella sua totalità, visione che è coerente con quanto delineato nella conclusione del secondo capitolo, riportando la sintesi offerta da Antonio Calvani. le componenti fondamentali di ogni competenza, e in particolare di quella digitale possono essere così descritte. a) Ad un livello più generale, personale e profondo si possono riscontrare le qualità che stanno alla base di tutte le azioni messe in atto sia nel contesto sociale, sia in quello professionale di appartenenza e la cui importanza e livello dipende dal tipo di attività professionale. Spesso tali qualità personali sono definite “trasversali”, in quanto influenti in modo diffuso sui comportamenti messi 41 la Strategia europea per l’occupazione (Seo), avviata nel 1997 in attuazione del trattato di Amsterdam, è stata collegata dal processo di lussemburgo alla considerazione di quattro pilastri: l’imprenditorialità, l’adattabilità, le pari opportunità e, appunto, l’occupabilità o idoneità al lavoro. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 85 86 in atto e sulle attività svolte. Se si considerano, a esempio, le competenze relazionali e comunicative, queste sono sempre importanti, ma quando si considera il contesto comunicativo e relazionale indotto dalla rete informatica e telematica esse si specificano ulteriormente. nei documenti europei s’insiste soprattutto su due di queste qualità: la capacità di agire autonomamente e con senso di responsabilità, qualità che devono caratterizzate i livelli di sviluppo di tutte le forme di competenza e che devono essere esplorate profondamente e dettagliatamente per poterle individuare come obiettivi formativi e dimensioni valutative. nella sintesi di Calvani questo livello è considerato nella dimensione etica della competenza digitale. a) Ad un livello intermedio si possono evocare le competenze riferibili all’ambito culturale e tecnologico generale. Ci si riferisce al possesso e all’integrazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti che permettono di leggere, interpretare e adattare la propria azione professionale ai contesti lavorativi e alle sfide presenti. la considerazione degli atteggiamenti posseduti è cruciale perché implica l’apertura al cambiamento in genere e all’innovazione tecnologica e organizzativa in particolare. Gran parte di queste capacità sono di tipo cognitivo e nella sintesi di Calvani sono incluse appunto nella dimensione cognitiva della competenza digitale. c) Ad un livello più direttamente riferibile a un posto di lavoro e/o alla competenza tecnico-pratica posseduta si possono considerare le conoscenze e le abilità che un operatore è in grado di attivare e coordinare livello di integrazione in un processo lavorativo specifico e in particolare nell’attività lavorativa presente nel proprio posto di lavoro. nel caso delle competenze digitali gran parte di esse sono incluse nella dimensione tecnologica della sintesi di Calvani. qualcosa di analogo avevano proposto Spencer e Spencer, distinguendo competenze di superficie considerate più suscettibili di modifica e di sviluppo, e di valutazione, da quelle più profonde come motivi, concezione di sé, tratti personali, di più complessa rilevazione e sviluppo. queste ultime costituiscono come l’iceberg della persona. Di qui la proposta di descrivere quanto sopra descritto attraverso un sistema di cerchi concentrici (Cfr. Fig. n. 1). il cerchio più esterno comprende le competenze tecniche e pratiche generali, soprattutto se collegate a uno specifico posto di lavoro. il cerchio intermedio fa riferimento a quelle culturali e tecnologiche. quello più interno, che costituisce come l’iceberg sommerso del soggetto include le qualità più personali. tenendo conto della complessità della competenza digitale, quale è stata descritta nel secondo capitolo ci si rende conto che un suo sviluppo costituisce un percorso abbastanza impegnativo e disteso nel tempo. Favorire un processo di autovalutazione del livello raggiunto nelle varie componenti di tale competenza diventa una condizione anche di promozione della capacità di autoregolazione nel suo apprendimento e sviluppo. il quadro riportato nel secondo capitolo può aiutare in tale processo. Vedremo nel decimo capitolo come anche la valutazione esterna può contribuire in tale direzione. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 86 87 5. La competenza didattica dei docenti in un contesto segnato dalla presenza delle tecnologie digitali Alcuni studiosi hanno accentuato il carattere soggettivo della competenza suggerendo l’espressione “competenza personale” ed evidenziando la natura in qualche modo irripetibile di ogni competenza, quanto è irripetibile ogni persona. A sostegno di tale posizione si critica la tendenza a prefigurare quasi una loro reificazione: “l’idea che la competenza indichi «qualcosa» da apprendere; un «oggetto» precostituito e altro rispetto al soggetto che lo deve poi incontrare e assumere [...]. impadronirsi di una «competenza» significherebbe, dunque, anzitutto, trovarla in un luogo e in un tempo determinati che sarebbero altri da noi” (Bertagna, 2010, 6-7). e viene prospettato: “un discorso affatto diverso, tuttavia, se la «competenza» non è più concepita come reificata o reificabile, ma da qualità di un «oggetto» che avrebbe una sua consistenza autonoma («qualcosa» di diverso separato dal «soggetto» che quest’ultimo sarebbe chiamato ad acquisire o vedere o cogliere fuori di sé per poterlo portare in sé), si presentasse, invece, come lo stesso modo di essere di un «soggetto autonomo», cioè libero e responsabile, nell’affrontare i problemi della sua vita umana personale e sociale («qualcuno in azione»)” (Ibidem, 12-13). Da questa premessa deriverebbe come conseguenza l’impossibilità di definire riferimenti generali per le competenze personali, perché queste non possono essere formulate a priori e quindi diventare né obiettivi formativi comuni, né oggetto di valutazione sulla base di standard prefissati: “Dato il carattere sempre contestuale, situato e distribuito delle competenze [...] certificare il raggiungimento di competenze uguali per tutti [...] vuol dire, quindi, trascurare questa circostanza e procedere a semplificazioni inaccettabili della complessità dell’esperienza di ciascuno” (Bertagna, 2004, 48). Se però il carattere relazionale, che emerge tra soggetto e situazione specifica che lo sfida, si rapporta con la pratica vissuta nella propria attività didattica, pratica che è soggetta, soprattutto oggi, a forti sollecitazioni di innovazioni sia di natura tecnologica, sia metodologica, si evidenzia un quadro relazionale nel quale si debbono individuare competenze tecniche e pratiche competenze culturali e tecnologiche competenze generali e personali Figura n. 1 - Un quadro comprensivo delle competenze professionali di natura digitale LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 87 88 almeno tre grandi riferimenti e relative relazioni reciproche: il docente che agisce, le tecnologie digitali, la pratica didattica. il carattere soggettivo della competenza rimane, soprattutto al suo livello centrale, quello valoriale e motivazionale, ma se ne deve riconoscere anche l’aspetto oggettivo e intersoggettivo, che può essere descritto e valutato attraverso le manifestazioni esterne, sia per quanto riguarda le componenti cognitive, sia per quelle tecniche. docente tecnologie digitali pratica didattica Figura n. 2 - Sistema relazionale che sta alla base della natura della competenza professionale tale prospettiva relazionale aiuta a precisare molti aspetti fondamentali del concetto di competenza professionale del docente nel quadro di una integrazione delle tecnologie digitali nell’insegnamento (Cfr. Fig. n. 2). La prima relazione è tra il soggetto e l’attività didattica da svolgere tenendo, conto sia del contenuto d’insegnamento, sia delle caratteristiche peculiari dei suoi studenti. Si attiva in tale relazione il processo che il soggetto deve essere in grado di gestire, nel quale entrano in gioco sia le sue caratteristiche personali, sia quelle del compito da svolgere, sia quelle della situazione presente. Si tratti di interpretare una situazione, di risolvere un problema, di realizzare un prodotto, di affrontare una situazione di relazione sociale, la competenza si evidenzia nell’essere in grado di attivare, guidare, sostenere, controllare, valutare il processo che permette di conseguire i risultati attesi. Si avvia un tipo di conversazione che si svolge sia all’interno del soggetto, sia al suo esterno. Si tratta di un’attività che è tanto più sentita e significativa, quanto più il docente ne è coinvolto e motivato; tanto più sfidante, quanto più essa è percepita come complessa e poco consueta; tanto più agevole, quanto più egli pensa di possedere le risorse in termini di conoscenze, abilità ed esperienza necessari per affrontarla. la capacità di progettazione didattica entra in gioco in maniera essenziale in questa prima relazione. D’altra parte, la generazione dell’intenzione di agire, di impegnare le proprie energie in una direzione, deriva dall’interazione tra il sistema del sé (conoscenze concettuali e operative; motivi, valori e convinzioni; attribuzioni di valore nei riguardi di sé, degli altri e del contesto lavorativo, ecc.) e la percezione della situazione specifica o del compito da affrontare e delle sue caratteristiche (nuttin, 1983). in questo ha un ruolo del tutto rilevante una componente della competenza che possiamo denominare interpretativa, in quanto si tratta di dare senso a una situazione (o a un problema), cogliendone gli aspetti che implicano un intervento che la modifichi secondo un obiettivo preciso e, contemporaneamente percepire se si è in grado di affrontare tale situazione in maniera valida ed efficace. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 88 89 La seconda relazione è tra il soggetto e la tecnologia digitale, o l’insieme delle tecnologie digitali, che si intende valorizzare nel contesto del suo insegnamento, pratica lavorativa e/o professionale nella quale si è inseriti. in questo caso emergono problematiche spesso assai complesse di rapporto tra soggetto tecnologia in generale e tecnologie informatiche e digitali in particolare. Si passa da esperti coinvolti anche emotivamente nella loro fruizione e nel cercare di aggiornarsi a mano a mano che queste evolvono e nuovi strumenti si rendono disponibili, a soggetti del tutto refrattari sia in generale nell’avvalersi di tecnologie della comunicazione che non siano libri, sia specificatamente per quanto riguarda quelle digitali. Superare tale diffidenza e repulsione spesso è assai complesso e di fatto con pochi risultati. Un possibile percorso che può essere sviluppato riguarda l’attivazione di forme di apprendistato pratico e l’esperienza di un gruppo di lavoro nel quale più esperti aiutano soggetti principianti o meno esperti. potrebbero essere qui ricordati i suggerimenti che provengono da quanto descritto da e. Wenger e collaboratori (Wenger, 2006; Wenger, McDermott, Snyder, 2007) circa le comunità di pratica. La terza relazione si evidenzia se teniamo presente come sia il docente che agisce, sia il compito di insegnamento da svolgere, sia l’eventuale gruppo di docenti che collabora, sono inseriti in un contesto sociale, culturale, tecnologico e pratico che caratterizza la propria istituzione scolastica o formativa. la singola azione si inscrive in tale pratica e il suo valore può essere colto solo a partire dal senso e valore che la pratica stessa ha nel contesto della comunità umana nella quale si attua. Di conseguenza, la qualità della competenza di una persona non può essere riferibile solo alla sua manifestazione in caso specifico e isolato, bensì entro una cornice assai più complessa di criteri di riferimento presenti nella comunità scolastica di appartenenza. Un compito, una sfida non può essere colta solo in riferimento a se stessi, bensì tenendo conto anche del contesto pratico, sociale e culturale nel quale tale compito o sfida si colloca. Basti pensare a un docente che si inserisce la prima volta in una scuola, che ha già sviluppato un progetto assai ambizioso di integrazione delle tecnologie digitali nella comunicazione interna e esterna, nella sua organizzazione generale, nell’attività didattica quotidiana e valutativa degli studenti. tutto ciò porta a considerare attentamente il fatto che una competenza didattica è legata certamente a riscontri sociali, pubblici di prestazioni che permettono di inserire la competenza di una personaz ed eventualmente un suo livello di eccellenza, in un contesto di pratica, ma anche che quest’ultima subisce nel tempo anche sostanziali evoluzioni. Basti pensare alle trasformazioni che sempre più rapidamente caratterizzano le tecnologie e le forme organizzative anche scolastiche e formative. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 89 91 Sesto capitolo Il mobile learning e i problemi metodologici connessi La diffusione delle tecnologie mobili che progressivamente va sviluppandosi anche nei contesti scolastici e formativi sembra aver sollecitato contemporaneamente una prospettiva metodologica ispirata al costruttivismo sociale. Il pericolo sta anche in questo caso in una rilettura un po’ ideologica del ruolo di un particolare approccio metodologico nel favorire i processi di apprendimento. A questo fine, prima viene presentata una analisi della tecnologia mobile quale è ora disponibile in maniera diffusa anche nella popolazione scolastica, poi viene esaminato criticamente un troppo semplice collegamento tra essa e le azioni didattiche da mettere in campo. Se la prospettiva ibrida dal punto di vista comunicativo sembra fondamentale, ciò è tanto più vero dal punto di vista della scelta dei metodi di insegnamento. 1. Le tecnologie mobili e le condizioni per una loro valorizzazione nei processi istruttivi e formativi: l’apporto degli studi coordinati da M. Sharples in generale con mobile learning si intende “ogni tipo di apprendimento che ha luogo quando l’apprendente non è legato a un posto fisso, predeterminato, oppure che si attua quando l’apprendente valorizza le opportunità offerte dalle tecnologie mobili” (Sharples, 2013). i contesti nei quali è possibile valorizzare le tecnologie mobili nei processi di apprendimento permanente possono essere distribuiti secondo un continuo, che in un suo estremo considera un contesto fisso, formale, come l’aula scolastica, mentre nell’altro estremo si può collocare un contesto mobile, aperto, informale. Contesto fisso, formale Contesto mobile, informale |__________________|__________________|____________________|_________ Sono stati anche individuati, sulla base sia dell’esperienza, sia della ricerca, alcuni fattori critici di successo nel valorizzare tali tecnologie (Ibidem). – Disponibilità della tecnologia. Sia quando questa sia fornita dall’istituzione, sia quando essa sia di proprietà dei singoli studenti (o delle loro famiglie), la tecnologia mobile deve essere disponibile in maniera sistematica e funzionale. – Connettività. occorre che sia disponibile un buon accesso alla rete wireless, sia che essa si gestita localmente, sia che essa si appoggi a reti telefoniche generali. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 91 92 – Integrazione. i buoni progetti non possono essere sviluppati in maniera separata dal curricolo scolastico fondamentale, bensì ben integrati con esso, con le esperienze degli studenti e la vita reale da essi vissuta, valorizzando tutte le forme possibili di collegamento tra di loro. – Uso o proprietà personale. Una caratteristica fondamentale delle tecnologie mobili è il fatto che debbono essere di uso personale e in ciò si differenzia la loro presenza e valorizzazione dalle consuete disponibilità di laboratori informatici. Sharples e collaboratori (Sharples, 2007)42 hanno elaborato una teoria relativa all’apprendimento nel caso di una valorizzazione sistematica di tecnologie mobili. tale teoria è solo parzialmente applicabile al caso di processi di insegnamento e di apprendimento in contesti formali, ma essa può essere valorizzata sia dal punto vista di una visione delle classi scolastiche e formative più aperte, sia del modo di imparare che è più caratteristico nel mondo del lavoro e delle professioni. l’impianto di Sharples può essere descritto sulla base di quattro assunti. il primo assunto riguarda la persona stessa, in quanto la mobilità dello strumento porta alla possibilità del suo utente di muoversi in ambienti diversi. Ciò è ormai una modalità di uso caratteristica del mondo del lavoro. Ma nel caso degli ambienti formali come la scuola tale mobilità riguarda sia quanto avviene all’interno delle aule, sia fuori di esse, come a casa, durante visite a musei, esperienze lavorative o di alternanza scuola-lavoro, ecc. il secondo assunto evidenzia la necessità di tener conto di quanto si può e si riesce ad apprendere fuori dai contesti formali scolastici o formativi. l’Autore fornisce alcune percentuali derivanti da indagini specifiche relative ad adulti. Un adattamento ai contesti scolastici può fare riferimento agli scambi telefonici, tramite mail, oppure per mezzo di sistemi come Skype tra gli studenti, tra studenti e docenti, tra docenti; ma può considerare anche esplorazioni personali o collettive tramite la rete. il terzo assunto mette in luce l’importanza di appoggiarsi sulla documentazione esistente e suggerisce l’importanza di alcune pratiche ai fini di un apprendimento valido e produttivo. Vengono citati ad esempio forme di apprendimento che fanno leva su quanto già acquisito come conoscenze e abilità da parte degli studenti per permettere di riflettere sulla loro esperienza; il curricolo viene organizzato includendo conoscenze fondamentali riconosciute valide, insegnate in maniera efficace e applicate in maniera significativa; la valutazione è diretta a favorire l’apprendimento offrendo non solo diagnosi ma anche guide per una sua realizzazione positiva; promuovere lo sviluppo di forme di collaborazione comunitario sia nel condividere conoscenze e competenze, sia per aiutare i più deboli. infine (quarto assunto), va tenuto conto della natura e ubiquità d’uso sia personale, sia condiviso, degli strumenti tecnologici che via via sono resi disponibili. 42 Una presentazione in italiano è contenuta nel volume di M. pieRi e D. DiAMAntini, Il mobile learning, Milano, Guerini e Ass., 2008. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 92 93 Sharples insiste sulla convergenza che si può constatare tra nuove prospettive riguardanti il processo di apprendimento (personalizzato, centrato sull’apprendente, situato, collaborativo, in atto ovunque, permanente) e le possibilità offerte dalle tecnologie attuali (apprendimento personale, centrato sull’utente, mobile, collegato in rete, ovunque in atto, durevole). Di conseguenza una buona teoria di supporto a forme di apprendimento mobile deve rispondere alle seguenti domande: – Differisce significativamente dalle comuni teorie dell’apprendimento in classe, nel posto di lavoro o permanente? – tiene conto della mobilità degli apprendenti? – Ricopre sia processi di apprendimento formali, sia quelli informali? – teorizza tali processi come costruttivi e sociali? – li analizza come attività personali e situate mediate dalla tecnologia? l’impianto proposto da Sharples si appoggia poi su alcune teorie che approfondiremo in seguito. in particolare quella conversazionale di G. pask, rivisitata da D. laurillard, e la teoria dell’allineamento costruttivo. ora ci soffermiamo soprattutto sull’apporto della teoria dell’attività elaborata da engeström. quest’ultimo Autore ha proposto una versione dell’attività storico-culturale propria della scuola russa, che utilizza lo schema di Figura 1, schema elaborato nel 1987 per evidenziare le sue componenti fondamentali, al fine di mettere in luce il rapporto tra il sistema di insegnamento e i risultati conseguiti (Roth, lee, 2007, 198). artefatti di mediazione, strumenti e segni soggetto regole divisione del lavoro oggetto ➯ risultati Figura n. 1 - Schema di analisi di una attività storico-culturale elaborato da Engeström. la relazione tra soggetto e oggetto regola sia la produzione, sia la fruizione dei contenuti di apprendimento; la relazione tra soggetto e comunità ne regola gli scambi; la relazione tra comunità e oggetto ne regola la distribuzione. lo schema vuole mettere in evidenza la complessità di ogni sistema di attività, e in particolare del sistema di istruzione, dove i mezzi a disposizione, le regole presenti e la divisione del lavoro incidono fortemente sulle caratteristiche proprie dell’attività svolta. tutti e tre questi riferimenti evolvono nel tempo: basti pensare ai mezzi e ai LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 93 94 materiali a disposizione dei docenti e degli studenti, alle regole di convivenza, al cosiddetto contratto didattico e ai contratti di lavoro dei docenti. Cambiamenti derivano in particolar modo dalle caratteristiche socioculturali della comunità locale nella quale la scuola è inserita e dalla comunità stessa formata da docenti e discenti, dai diversi contenuti e obiettivi di studio, dagli studenti che, come tutti gli insegnanti sanno, si presentano nei diversi anni con caratteristiche personali assai diversificate. la teoria insiste oggi sul fatto che un sistema di attività come quello che si attua in una scuola o in una classe è inserito in una rete assai più ampia di sistemi di attività, come quello proprio di una Regione, di uno Stato, al limite del mondo intero, anche per effetto della tendenza alla globalizzazione indotto dai sistemi di informazione e comunicazione. Di qui le esigenze di un dialogo complesso che deve attuarsi a più livelli dal locale, al nazionale, all’europeo, al mondiale, nel quale si intrecciano prospettive molteplici, esigenze contrapposte, sistemi di attività che si influenzano reciprocamente. Ad esempio, oggi si insiste molto sulla necessità che il sistema scolastico dialoghi in maniera più chiara con il sistema produttivo, ma anche sull’importanza di una connessione più puntuale con il sistema sociale e civile nel quale le istituzioni scolastiche e formative sono inserite. Di qui la prospettiva di includere, nelle competenze che la scuola deve promuovere, una serie di competenze di cittadinanza e di preparazione al lavoro che vanno oltre le istanze di formazione culturale rappresentate dalle singole discipline. Anche la sollecitazione a rendere gli studenti capaci di valorizzare quanto studiano nelle varie materie scolastiche, nel contesto sia della vita quotidiana, sia delle attività di produzione di beni e servizi, va in questa direzione. Così, se il lavoro, divenuto sempre più cognitivo e relazionale, dematerializzato ed informatizzato, improntato alla categoria della flessibilità, accentua i mutati caratteri delle emergenti forme di produzione, nel contesto educativo della scuola si ha il riflesso delle trasformazioni sociali, culturali, organizzative e comunicative in corso. e qui entra in gioco la presenza sempre più massiccia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione accanto a una cultura sempre più sollecitata da molteplici forme espressive e comunicative, agli sviluppi scientifici e tecnologici che sollecitano nuove consapevolezze etiche, allo sviluppo di contesti di vita multi-culturali, multi-religiosi e multi-linguistici, ecc. Dal punto di vista delle tecnologie mobili, e più in generale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, tutti i riferimenti ne sono segnati, sia dal punto di vista semiotico, sia tecnologico: al livello semiotico, in quanto le azioni messe in atto e orientate a un oggetto sono mediate da segni e mezzi culturali; al livello tecnologico in quanto l’apprendimento è mediato da strumenti interattivi di tale tipologia. l’autore usa poi questo riferimento per esaminare alcune delle esperienze di valorizzazione di tali tecnologie ai fini dell’informazione e dell’apprendimento. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 94 95 2. Un approfondimento critico l’impostazione di Sharples suggerisce una convergenza reciproca e produttiva tra le principali influenze che la tecnologia ha, o può avere, sulla cultura e le teorie e pratiche educative contemporanee. le tecnologie mobili vengono considerate, infatti, come nuove risorse culturali. Di conseguenza le scuole dovrebbero “adeguare, o meglio ripensare, i propri curricola, tenendo in considerazione l’introduzione di queste nuove risorse culturali” (Ranieri, pieri, 3014, 132). le opportunità, affordance, offerte da tali tecnologie rinforzerebbero, se non proprio determinerebbero, la necessità di ricorrere a metodologie didattiche innovative rispetto a quelle tradizionali, veicolate da tecnologie più consuete e già entrate nella pratica corrente. la fallacia del ragionamento, che vari autori vanno sviluppando, sta nel fatto che nuove opportunità di impostazione della pratica culturale e didattica non implicano la necessità di adeguarsi e di valorizzarle come forme universali e diffuse di lavoro educativo. quello che si può, e si deve tenere presente, è che l’allargamento delle opportunità, la maggiore ricchezza di risorse, si possono tradurre in definitiva in una sollecitazione più forte a sviluppare una migliore e più aggiornata competenza progettuale dei percorsi e dei metodi didattici, che ne tenga conto nel quadro delle finalità fondamentali della loro azione educativa e della condizioni di preparazione degli studenti. inoltre, occorre fare molta attenzione a non cadere in un’evidente e ingenua impostazione tecnicista: dal momento che la tecnica permette di agire in un certo modo, è non solo conveniente, ma necessario adeguarsi. Analoga ingenua assunzione assimila una ricerca esplorativa che sembra promettente a un invito a impostare la propria a azione secondo gli stessi parametri. esempi interessanti possono essere citati come le ricerche sul valore delle varie forme di microapprendimenti, su quello dell’impostare la formazione a partire da una insieme di learning objects, sulla modularizzazione avanzata dei processi di apprendimento. tutte forme che a livello di formazione continua a livello adulto sembrano avere un discreto successo, ma il loro trasferimento a livello di educazione scolastica può essere introdotto solo dopo attenta riflessione e a precise condizioni progettuali. Riguardo all’impostazione, poi, di Sharples, occorre avanzare alcune osservazioni che invitano a una qualche cautela sul piano più teorico che pratico. in primo luogo la teoria dell’attività, e le varie sue interpretazioni, hanno accentuato (Wertsch, 1985), insieme ad alcune insistenze sul concetto di apprendimento situato (lave, Wenger, 1991), un certo determinismo nello sviluppo delle conoscenze e delle competenze del soggetto, nel senso i “discorsi” o le “pratiche” che si svolgono intorno al discente lo strutturano e determinano nella sua attività cognitiva e/o pratica (lichtner, 2013). Viene così a perdersi quel processo d’internalizzazione vygotskiano che è un “processo attivo, di riorganizzazione, un processo guidato dall’interno” (lichtner, 2013, 35). inoltre le tecnologie come artefatti umani tendono a costituirsi come mediatori su vari piani: enattivo, iconico, analogico, simbolico. “le analisi di Bruner e Damiano sottolineano da un lato, il ruolo delle tecno- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 95 96 logie nei processi culturali, ruolo che deriva dall’«incompiutezza» dell’essere umano e, dall’altro, la relazione tra tecnologie e processi mediatori” (Rossi, 2013). in questo quadro le tecnologie dell’informazione possono modificare la nostra esperienza mediata. occorre in questa prospettiva tener conto in maniera più attenta tra esperienza diretta, esperienza mediata e/o vicaria e forme diversificate di rappresentazione della realtà. Molte di tali rappresentazioni portano in sé già un’interpretazione di tale realtà. l’eccessiva enfasi sulla dematerializzazione delle conoscenze urta con alcuni apporti recenti della psicologia cognitiva così sintetizzati da pozzi e Bagnara: si è dato e si dà “più valore a una forma di conoscenza, quella simbolica, esplicita, che si trova nei libri e che può essere espressa con le parole, che sa descrivere il «che cosa», a discapito della conoscenza che è necessaria per «saper fare», la conoscenza del «come si fa». Ma alcune nuove tendenze sembrano indicare un «ritorno » del manuale, della componente pratica, del «saper fare»” (pozzi, Bagnara, 2012, 70). S’insiste sullo sviluppo di abilità di tipo manuale, che stanno alla base proprio dell’interazione con tecnologie mobili, come: “la straordinaria capacità di manipolazione fine, con tutte le dita della mano, anche il pollice: il pollice era un dito d’appoggio, quasi mai usato per la manipolazione fine; adesso è usato per digitare messaggi, per fare operazioni raffinate sul cellulare o nei videogiochi. la trasformazione delle capacità di manipolazione è accompagnata dall’arricchimento delle abilità di coordinamento visuo-motorio. le due abilità, insieme cognitive e manuali, costituiscono la base dei processi interattivi e segnalano anche lo stretto legame tra mente e corpo” (Ibidem, 70-71). A questa constatazione si deve aggiungere la capacità di accorgersi e far fronte all’inaspettato, Ma più profondamente il movimento denominato makers (Anderson, 2012) porta alla riscoperta dell’artigianalità nella produzione di oggetti passando dalla ideazione del prototipo all’oggetto “su misura” e in ciò le stampanti 3D diventano un supporto significativo per rendere fluido il passaggio tra il mentale e l’azione. inoltre alcuni apporti delle scienze cognitive come la conoscenza tacita, la cognizione distribuita e, soprattutto, la cognizione definita embodied (incorporata). 3. La questione metodologica: verso una visione più pluralista e operativa le osservazioni precedenti si possono collegare con altre prese di posizione analoghe che danno per assodato che le nuove tecnologie, soprattutto mobili, inducono una trasformazione radicale delle metodologie didattiche ed educative, privilegiando modalità di lavoro ispirate all’impianto proprio del costruttivismo sociale, o di una didattica per problemi e ricerca individuale o di gruppo, a scapito di forme di insegnamento più dirette ed esplicite. È allora opportuno approfondire la questione metodologica, anche perché questi ultimi cinque anni sono riemerse accese LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 96 97 discussioni relative a quali modalità di insegnamento favoriscano risultati effettivi di apprendimento da parte degli studenti. Un numero dell’American Educator (Spring, 2012) è stato dedicato alla questione che divide pedagogisti e docenti circa le forme più valide e produttive di impostare le lezioni scolastiche: favorire metodi di insegnamento espliciti e diretti o privilegiare modalità ispirate a forme di costruttivismo sociale, di ricerca personale o di gruppo, di scoperta, nei quali si lascia agli studenti molta libertà di organizzazione e di lavoro. Una eco di tale dibattito si può cogliere in un recente volume di norberto Bottani (2013, 140-141), il quale afferma che lo scontro tra pedagogisti e insegnanti, che fanno riferimento alle teorie costruttiviste, e coloro che vengono definiti, spesso in modo dispregiativo, come tradizionalisti “è reso più acuto dall’irruzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ossia dalla diffusione di nuovi mezzi che possono servire per potenziare una corrente o l’altra”. poco dopo afferma che: “Resta il fatto che nemmeno le pedagogie costruttiviste hanno migliorato le disuguaglianze scolastiche”. Anche da quest’ultimo punto di vista nel contesto della contesa viene fatto notare come da un’analisi di circa 70 studi si abbiano conferme di quanto osservato da Bottani. tali studi hanno preso in considerazione gruppi di studenti, che vanno dai più lenti ai più pronti, mettendoli a confronto con forme di insegnamento sia che seguono da vicino e in maniera esplicita il loro cammino di apprendimento, sia con forme di insegnamento che lasciano molta iniziativa e modalità di lavoro aperte. Da essi sono stati ottenuti risultati positivi a favore dei più svegli e risultati assai problematici, in qualche caso drammatici, per i più lenti e difficoltosi. in qualche modo i metodi meno direttivi favoriscono i migliori, mentre danneggiano i più deboli (Clark, Kirschner & Sweller, 2012, 8). in questo dibattito emerge un giudizio critico circa l’impostazione didattica genericamente definita “costruttivista”: un’impostazione che da una parte evoca metodologie di tipo attivo, nelle quali lo studente è impegnato, anche fisicamente, nell’esplorare ambienti di apprendimento e a sviluppare rappresentazioni e spiegazioni che possano portare alla comprensione di fenomeni e alla costruzione di conoscenze e abilità specifiche; e, dall’altra, si appoggia a teorie psicologiche che spesso fanno riferimento a l.S. Vygotsky ma che si sono sviluppate secondo prospettive in gran parte autonome e definite post-vygotskyane. Molte di esse si appoggiano nella loro interpretazione sulla teoria dell’attività. Maurizio lichtner (2013) ha messo in luce come, partendo dal pensiero di Vygotsky, sia stata sviluppata un’interpretazione socioculturale dello sviluppo conoscitivo, che va oltre se non in contrasto con il suo pensiero, per la quale le attività e i discorsi che si svolgono intorno al soggetto, ovvero le pratiche sociali nelle quali egli è iscritto, sono causa diretta dell’acquisizione delle sue conoscenze e delle sue competenze. Una forma di determinismo sociale che non tiene conto di una possibile consapevolezza e mediazione del soggetto nel processo di interiorizzazione di quanto esperito. Si giunge così a non tener conto dei processi cognitivi individuali che stanno alla base sia della comprensione concettuale, sia dello sviluppo intellettuale. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 97 98 A questo proposito Richard Meyer (2009) ha fornito una chiarificazione concettuale assai utile. partendo dalle ricerche psicologiche che fanno riferimento ai processi cognitivi, egli afferma che è corretto pensare al costruttivismo dal punto di vista del processo di apprendimento della singola persona. infatti, ciascuno di noi costruisce le proprie conoscenze sulla base di quanto ha già acquisito in maniera significativa e stabile. per chiarire meglio la distinzione tra la considerazione di una teoria dell’apprendimento di natura costruttivista, considerata corretta, e l’indicazione che nel processo istruttivo ci si debba sempre muovere con procedure pratiche di natura costruttivista, posizione quest’ultima vista come errata, Richard Mayer ha descritto quattro possibili situazioni di apprendimento. in primo luogo viene considerato un apprendimento attivo nel quale lo studente si impegna in un appropriata attività cognitiva, ad esempio selezionando informazioni rilevanti, integrando le nuove conoscenze con quelle già possedute e organizzando in maniera coerente quanto acquisito. Un apprendimento passivo si ha quando tale attività non ha luogo e si ha solo una forma di semplice recezione di quanto proposto e ciò rimane non integrato nella struttura conoscitiva, quindi non compreso e non ricordato. Una didattica attiva si ha quando gli studenti sono coinvolti in un’attività pratica, come ricerca di informazioni, di soluzioni a un problema, o discussione in gruppo. Una didattica passiva è attuata quando non si sollecita un’attività pratico-operativa. Un vero apprendimento si ha quando si verifica un cambiamento sufficientemente permanente nel quadro di conoscenze dello studente. la teoria costruttivista dell’apprendimento sottolinea il fatto che lo studente per apprendere deve impegnarsi personalmente nel rappresentare nella sua memoria di lavoro le nuove conoscenze mettendo in atto appropriati processi cognitivi. e ciò è coerente con molte ricerche, anche di natura empirica. la questione però si pone quando si intende trasporre tale teoria, che riguarda i processi cognitivi, a una metodologia didattica che metta in moto soprattutto i comportamenti esterni degli studenti. A un’attività di questo tipo non corrisponde necessariamente un congruente e funzionale processo interno di costruzione concettuale. Ciò è dimostrato da numerose ricerche che l’Autore cita distesamente. per contrasto non pochi studi hanno messo in evidenza la possibilità di coinvolgere un apprendimento attivo, che mette in moto appropriati processi cognitivi, attraverso forme di insegnamento che esternamente appaiono passive. l’Autore non lo cita, ma è immediato evocare il concetto di apprendimento significativo per ricezione di D. p. Ausubel e le condizioni da lui indicate perché ciò avvenga (Ausubel, 1978). Mayer elenca anche alcuni principi di riferimento, derivati dalle ricerche in merito, che facilitano l’attivazione di processi di apprendimento attivo in contesti di didattica cosiddetta passiva43. 43 Si possono citare a esempio i principi di coerenza per escludere materiali estranei; di sottolineatura delle cose essenziali; di contiguità spaziale e temporale tra testi scritti e immagini; ecc. (Mayer, 2009, pp. 193-4). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 98 99 4. Le ricerche sull’efficacia dei vari metodi di insegnamento il confronto tra posizioni cosiddette costruttiviste, ma che più genericamente potrebbero essere definite poco direttive, e impostazioni che privilegiano un insegnamento esplicito, genericamente denominate dirette, è stato reso più incandescente dalla pubblicazione delle ricerche di John Hattie a partire dal 2009 (Hattie, 2009; Hattie, 2012; Hattie & yates, 2014). queste ricerche avevano come obiettivo fondamentale quello di esaminare la letteratura sperimentale disponibile al fine di verificare l’efficacia dei vari metodi di insegnamento. in generale si può dire che sulla base dei dati raccolti molti degli approcci più sollecitati dai pedagogisti e diffusi negli ambienti innovatori non abbiano dato i risultati sperati. in particolare, John Hattie ha evidenziato la fragilità di alcuni di essi, come ad esempio i metodi basati sulla ricerca autonoma condotta dagli allievi, l’apprendimento per problemi, ma anche lo stesso cooperative learning, quando questi metodi sono poco guidati e controllati dal docente; mentre l’insegnamento reciproco tra studenti, il feedback che riceve l’insegnante dagli allievi e quello che egli loro fornisce, la valutazione formativa, l’insegnamento diretto ed esplicito, che segue da vicino la comprensione dei concetti e la padronanza delle abilità, evidenziano una buona validità didattica. in questo quadro emerge come valido un insegnamento esplicito di strategie di natura metacognitiva, come il controllo della propria comprensione, ad esempio attraverso il porsi opportune domande, oppure strategie di studio adattate ai vari ambiti di apprendimento. la varie indagini esaminate mettono in evidenza come le attività a finalità aperta, come forme di apprendimento per scoperta, possono rendere difficile indirizzare l’attenzione su ciò che ha importanza, dal momento che gli studenti amano esplorare dettagli, aspetti irrilevanti e molto specifici, mentre svolgono tali attività. tra i suggerimenti che derivano dalle indagini di Hattie i più significativi sono stati riassunti da lui stesso nelle varie opere. l’insegnante deve puntare verso obiettivi chiari, condivisi dallo studente, mentre egli si prende cura della sua comprensione e del suo progresso, valutandone i vari passaggi e le difficoltà emergenti e intervenendo direttamente per favorire l’efficacia della sua azione e la solidità delle nuove acquisizioni. A questo fine egli dovrebbe usare metodologie che rispondano a queste finalità, in particolare associando spiegazioni orali a immagini, sollecitando l’intervento dei più pronti a favore dei più deboli (l’insegnamento reciproco, che evoca la zona di sviluppo potenziale di Vygotsky), adattando i suoi interventi alle esigenze che via via manifestano i singoli o il gruppo. queste e simili ricerche ripropongono con ancor maggior forza il ruolo centrale del docente non solo nel progettare l’impianto didattico, ma soprattutto nel condurre la sua azione di insegnamento nel contesto delle lezioni. Un docente esperto dovrebbe saper individuare le forme principali attraverso le quali è possibile rappresentare ciò che insegna: valorizzando opportunamente quanto lo studente già possiede; collegandolo agli altri insegnamenti; graduando, ed eventual- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 99 100 mente modificando, il suo procedere sulla base di quanto riescono effettivamente ad apprendere gli studenti. per questo è necessario che egli curi l’effettivo impegno di ciascuno nel costruire attraverso i propri processi cognitivi l’impianto concettuale e operativo che egli propone. D’altra parte tutto ciò può aver luogo solo se si riesce a sviluppare un clima nella classe che sia favorevole a questa attività di apprendimento. Hattie e yates (2014) ricordano come spesso nella formazione degli insegnanti si insiste su un giudizio negativo nei riguardi della “trasmissione della conoscenza”, affermando che si tratta di una nozione non valida, datata e che deve essere rimpiazzata dalla massima “quello che ascolto lo dimentico, quello che faccio lo capisco”, oppure da quella attribuita a Confucio “quando ascolto dimentico, quando vedo ricordo, quando faccio comprendo”. Ma come abbiamo notato evocando la distinzione proposta da Mayer tra didattica attiva e apprendimento attivo e, come noteremo a proposito del carico cognitivo, non è automatico apprendere quando ci si muove fisicamente, ma non si lavora intellettualmente: il vero laboratorio d’apprendimento è quello che si svolge nella testa. quando l’insegnamento esplicito è chiaro e il docente mette in luce i passaggi fondamentali e le variabili critiche di quanto espone, evidenzia i percorsi e gli schemi mentali che debbono essere utilizzati e l’appropriato vocabolario che deve essere padroneggiato, egli rende visibile ed esplicito quanto potrebbe rimanere nascosto e implicito, impedendo così un’adeguata comprensione e poi una valida valorizzazione di quanto compreso. Se lo studente, o anche il gruppo degli studenti, dovesse conquistare tutto ciò attraverso solo le risorse personali disponibili, come può raggiungere una conoscenza valida e completa? e se anche, date capacità eccezionali, potesse farlo, quanto tempo gli occorrerebbe e quanto di quel tempo andrebbe a scapito di quello necessario per gli altri apprendimenti? 5. L’apporto delle teorie cognitive per una riconsiderazione del costruttivismo nella critica alle metodologie didattiche che insistono su attività ispirate al costruttivismo e a metodi di ricerca ed esplorativi spesso si fa riferimento alla cosiddetta teoria del carico cognitivo. tale teoria è stata sviluppata dalla fine degli Anni ottanta del secolo passato da John Sweller (1988). le basi scientifiche di riferimento risalgono agli inizi dell’introduzione del modello di elaborazione delle informazioni proprio della psicologia cognitiva. nel 1956 era stato pubblicato lo studio fondamentale di G.A. Miller (1956) che evidenziava i limiti della cosiddetta memoria a breve temine, o memoria di lavoro, sia dal punto di vista quantitativo, sia da quello temporale. per capire e ricordare occorre attivare e coordinare processi cognitivi che integrano informazioni provenienti dall’esterno (memoria sensoriale) e informazioni e schemi interpretativi che provengono dall’interno (memoria a lungo termine o permanente). Ma la capacità elaborativa presenta non pochi limiti, per cui quando ciò LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 100 101 che deve essere elaborato è troppo complesso, si può verificare un carico eccessivo della memoria di lavoro e la prestazione ne può soffrire anche drammaticamente, con riflessi anche sul piano emozionale. il merito di Sweller è stato quello di promuovere uno studio sistematico delle correlazioni tra quanto proposto nelle attività istruttive e le esigenze di elaborazione cognitiva che ne derivano, evidenziando le condizioni sia soggettive, sia oggettive perché il soggetto possa acquisire le conoscenze e le abilità in maniera significativa, stabile e fruibile. la teoria del carico cognitivo tende a descrivere proprio tali condizioni di apprendimento. negli Anni novanta del secolo passato, e in quelli successivi del nuovo secolo, molti studi sono stati realizzati per approfondire tale teoria e per considerarne le conseguenze sul piano progettuale delle attività didattiche. in particolare sono stati distinti tre tipi fondamentali di carico cognitivo. il primo, ineliminabile, riguarda le esigenze di elaborazione cognitiva che certe conoscenze sia dichiarative, sia procedurali implicano. Si tratta del cosiddetto carico cognitivo intrinseco al contenuto da apprendere. per intenderci, è ben differente la sfida alla comprensione e alla valorizzazione in problemi pratici di un procedimento aritmetico elementare, rispetto a questioni di analisi infinitesimale, che implicano un’adeguata padronanza dei concetti di funzione e di limite. tuttavia, l’impegno cognitivo dipende anche dal soggetto, in quanto questi può possedere già le conoscenze e la competenze necessarie per affrontare compiti complessi. Ciò porta a due conseguenze valutative: la prima relativa alla complessità del contenuto; la seconda, allo stato di preparazione del soggetto. l’analisi del secondo tipo di carico cognitivo, quello denominato estrinseco, è diretta a individuare le condizioni che possono alleggerire il carico cognitivo e che quindi non dipendono dalla complessità intrinseca del materiale da apprendere. esse mirano a organizzare la presentazione dei contenuti da apprendere secondo progressioni che ne favoriscono l’assimilazione e verificare quali modalità di approccio siano più funzionali: ad esempio si è trovato che vi è una maggiore facilità di acquisizione delle conoscenze e delle abilità se si usano esempi sviluppati in maniera completa e adatta alla comprensione e al ricordo, rispetto a forme di esplorazione e scoperta, soprattutto se debolmente guidate da parte del docente; così l’uso di immagini può essere più utile di descrizioni solo verbali. Si è anche proposto di considerare carichi cognitivi di tipo coerente (in inglese germane), nel senso che si tratta di impegni diretti allo sviluppo di schemi concettuali o operativi funzionali alla possibilità di affrontare questioni più complesse, in quanto la disponibilità di tali schemi nella memoria di lavoro riduce il carico di lavoro nella memoria a breve termine.44 Ciò porta a progettare forme adeguate di pro- 44 in questo contesto viene confermata la validità non solo dell’automazione di alcuni processi elementari, ma anche dello sviluppo di quelli che nella terminologia aristotelica sono definiti “abiti”, cioè disposizioni stabili ad agire in maniera adatta alle diverse situazioni. Così si può parlare di abiti operativi, abiti di studio, abiti di lavoro. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 101 102 gressione sistematica nel proporre i vari contenuti in modo che ogni tappa raggiunta possa diventare la base per gli apprendimenti successivi. Dalle ricerche sul carico cognitivo sono derivate non poche informazioni circa la validità, sul piano della pratica didattica, di alcune indicazioni operative, spesso considerate tradizionali e poco produttive sul piano formativo. non solo, ma è emerso un certo ripensamento nei riguardi di prospettive considerate innovative. la discussione che ne è seguita è stata documentata in un volume a cura di S. tobias e t.D. Duffy nel 2009 (tobias & Duffy, 2009). tenendo conto delle differenti posizioni emerse si è cercato di elaborare un bilancio delle ricerche sull’efficacia dei metodi cosiddetti di “insegnamento indiretto”, rispetto a quelli definiti come forme di “insegnamento diretto”. John Sweller (2009) è intervenuto in tale contesto affermando: “le procedure derivanti dalla teoria del carico cognitivo sottolineano il ruolo più efficace dell’insegnamento esplicito, rispetto a quelli basati su forme di apprendimento per scoperta oppure di tipo costruttivistico”. egli ha osservato come i metodi didattici basati su forme di quest’ultimo tipo erano stati proposti prima di avere a disposizione i risultati degli studi sull’architettura della cognizione umana e sul suo funzionamento: quindi non deve sorprendere se essi non hanno dato i risultati sperati quanto alla loro efficacia. Sweller ha valorizzato alcuni studi che distinguono tra acquisizione di conoscenze e abilità in contesti informali, capacità che derivano da una lunga esperienza umana codificata anche nel proprio patrimonio genetico, come imparare a parlare e a comunicare oralmente in una lingua particolare, ma anche come risolvere problemi pratici della vita quotidiana, e acquisizioni relative a conoscenze e abilità sviluppate dall’uomo più recentemente e più artificiali, come leggere, scrivere testi in scrittura alfabetica e fare matematica astratta, ecc. per questo ambito di sviluppo si ha bisogno di ambienti strutturati e di forme di insegnamento diretto e sistematico (Geary, 2005). Ricorrere a metodi di natura esplorativa e di soluzione di problemi da una parte richiede tempo e notevole dose di creatività e di possibilità di gestione del carico cognitivo; dall’altra, occorre ricordare che non esistono metodi di problem solving generali che vadano bene in ogni caso, bensì metodi legati a specifici ambiti di conoscenza, che comunque richiedono notevoli basi informative adeguatamente organizzate.45 6. La posizione filosofica ispirata al nuovo realismo negli ultimi anni il costruttivismo, soprattutto quello radicale, è stato sottoposto a osservazioni critiche anche sul piano filosofico sulla base delle istanze del 45 È interessante citare a questo proposito le più recenti indagini oCSe-piSA (2012) sulle competenze dei quindicenni italiani. questi manifestano non poche difficoltà sia nelle scienze, sia in matematica, ma se si tratta di problemi di natura pratica quotidiana non legati a conoscenze e abilità disciplinari essi si collocano a livelli assai più elevati. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 102 103 cosiddetto “nuovo realismo”. questo movimento teorico ha messo in luce alcune problematiche irrisolte della filosofia della conoscenza (epistemologia), quando questa tende a ignorare la cosiddetta “resistenza della realtà”, cioè il doversi confrontare con l’esperienza diretta delle cose, degli eventi, delle istituzioni che tendono a limitare le nostre assunzioni interpretative. “Robusto, indipendente, ostinato, il mondo degli oggetti che ci circondano, ma anche dei soggetti con cui interagiamo, non si limita a dire no, a opporre resistenza come per dire «ci sono, sono qui». Con lo stesso gesto con cui resiste, ci offre l’acceso alla massima, e unica, positività a nostra disposizione, allo sfondo tutt’altro che amorfo, ma anzi ricco e strutturato, da cui prendono avvio la sensazione, l’immaginazione, il pensiero, il ricordo, l’attesa, il timore e la speranza. e soprattutto dispiega lo spazio delle possibilità...” (Feraris, 2013, 9). «Ribadire alcuni “limiti” (in tutte le accezioni del termine) del costruttivismo non equivale a contestarlo tout court, con una mossa che sarebbe solo il rovescio di quello stigma affibbiato al “realismo” da cui si è preso l’abbrivio. Senza disconoscerne i meriti, si tratta di smorzare le pretese del costruttivismo, di sorvegliarne gli scantonamenti, di “limitarne” le oltranze e le derive [...] in riferimento all’attività interpretativa e ad alcuni eccessi di decostruzionismo. [...] Si deve lavorarlo dall’interno, mantenendone alcune conquiste innegabili e rintuzzandone, però, le semplificazioni. infatti, spesso le ipotesi costruttiviste sono tanto più “viabili” ed efficaci quanto più vengono innervate di un elemento realista» (Corbi & oliverio, 2013, 21-22). in altre parole si critica la posizione del cosiddetto “costruttivismo radicale”, per prospettare una visione più integrata in cui si ritrovi un rapporto valido e fecondo tra pensiero e percezione della realtà, dando a questa un ruolo decisivo soprattutto di fronte alle scelte di natura educativa. pier Giuseppe Rossi nota come nelle tendenze post-costruttiviste attuali si rivisitano le teorie aristoteliche relative all’acquisizione della conoscenza pratica con alcune modificazioni: “il fine dell’agire del soggetto non è più un riferimento esterno che determina l’azione, ma viene ricorsivamente ridefinito nell’azione stessa e in connessione con i mezzi; il soggetto non è autonomo, ma interno a una rete complessa; l’agire umano non è frutto di una decisione cognitiva, ma un fare complesso in cui l’uomo opera in modo olistico, con il suo corpo. [...] in sintesi molte critiche al costruttivismo emerse nell’ultimo decennio sembrano focalizzarsi sostanzialmente sulle derive relativiste e sull’assenza di strumenti di validazione delle ipotesi” (Rossi, 2013, 93-94).“il post-costruttivismo indica essenzialmente quattro percorsi: (1) l’interazione tra i processi di insegnamento e di apprendimento, (2) la centralità delle pratiche educative per la comprensione dei processi di insegnamento-apprendimento e per la formazione degli insegnanti, (3) la rivalutazione dei prodotti dopo la centralità dei processi, (4) la rivalutazione del ruolo del corpo nei processi di insegnamento-apprendimento (Rossi, 2013, p.101). in realtà occorre riconoscere che buona parte della critica di natura filosofica, anche di tipo pedagogico, che anima le tendenze post-costruttiviste si concentra LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 103 104 sulla critica delle proposte provenienti dal costruttivismo radicale, nella convinzione che non è possibile far prevalere l’elaborazione conoscitiva, l’epistemologia, ripetendo che “tutto è interpretazione”, sulla realtà, ignorandone il ruolo fondamentale come costante controllo della bontà e funzionalità delle proprie costruzioni conoscitive. in qualche modo si vuole riproporre come riferimento essenziale una dialettica, in questo caso sì costruttiva, tra oggettività ed epistemologia, tra realtà e conoscenza, tra esperienza delle cose, delle persone, delle istituzioni, degli eventi e loro descrizione, interpretazione e valutazione. in ambito pedagogico si viene così sollecitando una posizione ragionevole, che riconosce nel dialogo educativo il ruolo fondamentale dell’altro, degli altri, del contesto, dell’ambiente culturale e sociale, di fronte a una pura deduzione di norme per l’azione derivanti da assunzioni teoriche e/o ideologiche (pellerey, 2014). 7. La posizione di chi sostiene un approccio all’insegnamento in forma diretta ed esplicita le ricerche di J. Hattie e quelle sul carico cognitivo hanno fatto riemergere prepotentemente la posizione di chi nel tempo ha insistito sulla qualità di un insegnamento esplicito e diretto. Così è stato recentemente pubblicato un volume curato da studiosi e formatori canadesi dal titolo “insegnamento esplicito e riuscita degli allievi. la gestione degli apprendimenti” (Gauthier, Bissonnette & Richard, 2013).46 nella Prefazione del volume Barak Rosenshine riassume la tesi fondamentale sostenuta dall’opera. egli richiama l’esito degli studi realizzati nel corso dei decenni passati sulla natura delle pratiche sviluppate in classe dagli insegnanti più efficaci. egli poi si ricollega agli studi sull’architettura cognitiva per insistere sul fatto che l’insegnante deve dare un sostegno appropriato ai suoi studenti quando insegna un nuovo contenuto d’apprendimento, riducendo in seguito tale sostegno a mano a mano che essi progrediscono. Ciò si realizza: distribuendo la materia in passaggi successivi in modo da evitare ogni confusione; strutturando la lezione dandone prima un’idea generale o un piano; dando poi l’opportunità a ciascun allievo di esercitarsi in ciascun passaggio successivo in modo da favorire il trasferimento delle nuove conoscenze nella memoria a lungo termine; fornendo esercizi supplementari per consolidare e or- 46 l’espressione “insegnamento esplicito” è stata utilizzata da B. Rosenshine a partire dagli Anni ottanta (cfr. a es. B. Rosenshine, 1986). la sua posizione è stata sviluppata sulla base di ricerche che tengono conto più dell’efficacia dei metodi di insegnamento che di una loro coerenza con una particolare teoria dell’apprendimento. Recentemente ha pubblicato in inglese una sintesi del suo pensiero sulla rivista americana American Educator che include una buona bibliografia (B. Rosenshine, 2012). la denominazione può essere collegata ad altre espressioni come “insegnamento diretto”. Si tratta di un approccio esplicito, strutturato, intensivo, che pone l’accento su una preparazione minuziosa delle lezioni, la cui efficacia è verificata e da cui trae indicazioni per una più valida attuazione. Cfr. www.nifdi.org. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 104 105 ganizzare meglio quanto appreso al fine di facilitare gli apprendimenti successivi. Gli studenti sviluppano in seguito attraverso la pratica la nuova abilità finché tutti ne abbiano avuto un feedback valutativo, favorendo progressivamente il raggiungimento di una maggiore autonomia nel realizzarla. egli richiama quindi alcune strategie risultate valide e produttive nell’attività degli insegnanti efficaci. questi avviano le loro lezioni richiamando brevemente gli apprendimenti precedenti; presentano la nuova materia per piccoli passi, seguiti da attività pratiche, all’inizio di tali pratiche guidano da vicino gli studenti; ragionano ad alta voce per evidenziare ciascuna tappa di un procedimento; esigono e ottengono una partecipazione attiva da parte di tutti; danno incombenze e spiegazioni chiare e dettagliate; porgono molte domande e verificano la comprensione degli studenti; mostrano esempi di problemi completamente risolti; domandano agli studenti di esplicitare la loro comprensione; verifica le risposte di tutti; presentano numerosi esempi; riprendono alcune spiegazioni quando necessario; preparano gli studenti a sviluppare pratiche di lavoro autonomo e all’inizio li seguono in tale impegno. la tesi fondamentale sostenuta dai fautori di un insegnamento esplicito e diretto può essere così riassunta: più uno studente è all’inizio di una nuovo contenuto d’apprendimento, più egli deve essere guidato da vicino nel comprenderne i concetti essenziali e nello svilupparne le abilità fondamentali attraverso una pratica sistematica controllata. A mano a mano che egli riesce ad acquisirne in maniera valida e significativa gli elementi fondamentali e a conservarli ben strutturati nelle sua memoria a lungo termine, più diventa capace di approfondire l’argomento attraverso forme di ricerca personale e di gruppo e in sempre più accentuata autonomia. 8. Per un quadro di riferimento operativo Come precedentemente chiarito, l’approccio costruttivista ha una sua chiara denotazione positiva quando si riferisce ai processi di apprendimento interni al soggetto, mentre non appare sempre adeguato quando insiste su forme organizzative esterne degli stessi processi: spesso, infatti, all’attivismo esterno non corrisponde l’attività interna del soggetto. Come già osservato, l’appoggiarsi sulla tradizione vygotskyana senza tener conto dell’attività interna del soggetto è un segno di infedeltà alle sue idee: quasi che automaticamente e in maniera deterministica quanto sollecitato dall’esterno si traduca in processi interni. A me sembra utile fornire una specie di bussola di orientamento alla progettazione di attività didattiche tenendo conto di una osservazione di D. Jonassen (2009)47. egli insisteva sul fatto che non 47 probabilmente questo è stato una dei suoi ultimi interventi, essendo venuto prematuramente a mancare dopo due anni di malattia il 2 dicembre 2012. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 105 106 tutti i contenuti e gli obiettivi d’apprendimento sono uguali e di conseguenza anche i processi di apprendimento e di insegnamento debbono articolarsi. Ciò porta a valorizzare quanto e. eisner nel 1985 aveva indicato come aree di progettazione didattica di natura differente, che implicano anche la considerazione di obiettivi di apprendimento diversificati e metodi didattici congruenti (eisner, 1985; pellerey, 1994, 60-63) la prima area concerne concetti e abilità che nella scolarità primaria e secondaria sono considerati come fondamentali e irrinunciabili; non solo, essi si presentano come strumentali rispetto ad altri apprendimenti e sono caratterizzati, o caratterizzabili, da una organizzazione sequenziale interna. Cioè si tratta di conoscenze e competenze che costituiscono come il nucleo centrale dell’apprendimento scolastico con il quale dobbia mo a tutti i costi confrontarci e che si presentano come altamente concatenate tra loro. la seconda area riguarda un insieme di aperture culturali e di competenze che non si presentano così strutturate e sequenziali, ma costituiscono una base conoscitiva fondamentale per collocare i giovani nel contesto culturale del proprio paese e più in generale dell’europa e del mondo intero. questi apporti allargano, approfondiscono e danno senso alla prima area, costituendo spesso come il campo nel quale esercitarne le abi lità fondamentali e nel quale usarne i concetti. la terza area è costituita da attività di arricchimento di natura più espressiva: ambiti di lavoro che offrono spazi di libera esplorazione, di gioia di esprimersi, di manifestazione spontanea dei propri sentimenti e dei propri interessi, di partecipazione a progetti vissuti come propri o di iniziative personali. Spesso una stessa disciplina può essere presente in tutte e tre le aree e, a seconda delle sue componenti, esige metodologie didattiche e processi di apprendimento coerenti. inoltre occorre tener conto della diversità dei processi cognitivi quali possono essere messi in atto da parte dei singoli studenti. Alcuni manifestano notevoli lentezze e difficoltà di elaborazione e organizzazione mentale, mentre altri sono più rapidi e capaci non solo di capire, ma anche di collegare le nuove conoscenze con quelle già possedute. nell’attività di apprendimento, poi, alcuni sono più pronti a collaborare con gli altri, mentre altri sono più restii a lavorare in maniera cooperativa. Certo, in quest’ultimo caso occorre favorire la disponibilità a lavorare in gruppo, ma ai fini dei risultati da ottenere nell’immediato occorre tener conto dello stato di preparazione già raggiunto da ciascuno, non solo sul piano delle conoscenze e delle abilità già fatte proprie. Da queste osservazioni deriva la possibilità di costruire un riferimento a due assi (Cfr. Fig. 2). il primo asse riguarda le esigenze del contenuto da apprendere, facendo però riferimento a quanto già acquisito o meno stabilmente da parte degli studenti come base portante per una sua acquisizione, cioè alla disponibilità o meno di conoscenze di appoggio o di ancoraggio al fine di coglierne gli elementi essenziali. il secondo asse concerne le caratteristiche degli studenti dal punto di vista della loro capacità di attivare e gestire i processi di apprendimento necessari per padroneggiare i contenuti proposti in maniera più o meno lenta e difficoltosa LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 106 107 oppure veloce e agevole. Gli assi debbono quindi essere considerati come graduati da un minimo a massimo. normalmente gran parte degli studenti possono essere collocati dal punto di vista della facilità e velocità nell’apprendere in posizioni intermedie. la stessa cosa non sempre è vera per i contenuti. Come sopra si è cercato di chiarire, alcuni permettono forme più esplorative e quindi modalità di insegnamento meno dirette, esplicite e strutturate; altri esigono una organizzazione sequenziale più attenta e interventi didattici più espliciti, diretti e progressivi. Massima complessità e sequenzialità dei contenuti da apprendere Minima complessità e sequenzialità dei contenuti da apprendere Grande velocità e facilità di apprendimento II III IV Grande I difficoltà di apprendimento Figura n. 2 - Quadro di riferemento progettuale nel primo quadrante, in alto a destra, si potrà procedere secondo quanto suggerito da Rosenshine, ma dando progressivamente maggiore autonomia e responsabilità ai singoli e favorendo forme di collaborazione per approfondire e applicare quanto acquisito. Mentre in alto a sinistra, nel secondo quadrante, occorrerà seguire più da vicino e sistematicamente i singoli studenti, sostenendoli, correggendoli e adattando frequentemente quanto proposto al livello di acquisizione raggiunto. Molte delle abilità che si ritengono essenziali per soggetti con disturbi specifici di apprendimento possono essere considerate come riferimento al limite per questo quadrante. i due quadranti inferiori permettono una minore strutturazione del percorso e una meno diretta ed esplicita azione didattica, inserendo attività di ricerca, di produzione collettiva, di lavoro di gruppo, ecc. Ma se ciò può essere un canone di riferimento per i soggetti più veloci e pronti nell’apprendere, per gli altri spesso si tratterà solo di attività occasionali, miranti più che ad apprendimenti disciplinari, allo sviluppo di dimensioni educative più generali. Da queste brevi osservazioni viene rafforzata l’importanza di una delle competenze fondamentali del docente: quella di progettatore di percorsi di apprendimento che mediano tra le esigenze poste da un’acquisizione significativa, stabile fruibile LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 107 108 di conoscenze e abilità disciplinari e interdisciplinari e le caratteristiche peculiari degli studenti con cui deve interagire. Uno studio di Diana laurillard (2012)48 ha messo bene in luce l’importanza strategica di tale competenza, in particolare oggi, a causa delle esigenze poste da una integrazione valida ed efficace delle tecnologie informatiche, soprattutto di natura mobile (tablet e smartphone). in questa attività progettuale occorre adottare una maniera di procedere che si ispira a quella che studi recenti definiscono “ragionevole” e che da alcuni viene riletta nella prospettiva della saggezza pratica quale fu già definita da Aristotele. la distinzione tra ragione e ragionevolezza è stata sollecitata da J. Rawls per evidenziare come l’impatto delle proprie ragioni ideali con la realtà delle ragioni degli altri e le situazioni di fatto implicano la ricerca di mediazioni operative che raggiungano il massimo possibile di consenso e di efficacia. nel caso dei processi didattici da mettere in atto ci si trova a dover mediare tra teorie dell’apprendimento provenienti da studi di natura cognitiva o socio-cognitiva, teorie dello sviluppo delle conoscenze di natura epistemologica e situazioni reali che spesso resistono a ogni forma di deduzionismo e sollecitano un’attività di riflessione progettuale, o anche di continua riprogettazione. Accettare i condizionamenti che provengono dalla realtà non è sempre agevole, né gratificante. Ma è anche deleterio rimanere prigionieri di situazioni difficili, che vengono considerate senza speranza. in questo complesso bilanciamento tra idealità e realtà si evidenzia la qualità personale di chi ha sviluppato la capacità di prendere decisioni prudenti e responsabili attraverso un diuturno esercizio (pellerey, 2014). 48 la laurillard ricorda come anche nell’ambito della ricerca didattica occorra tener conto della complessità e fluidità delle situazioni concrete e la necessità di considerare metodologie d’indagine che ne tangano conto. A questo proposito si può leggere: M. pelleRey (2005). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 108 109 Settimo capitolo L’integrazione delle tecnologie mobili nella progettazione educativa e didattica Da quanto precedentemente esaminato, e tenendo conto di quanto sperimentato nella pratica didattica, si possono suggerire alcune modalità di gestione dell’integrazione delle tecnologie mobili nell’attività che si svolge in classe. Ciò verrà fatto a vari livelli: di istituzione scolastica o formativa, di aula o ambiente di apprendimento, di programmazione curricolare o di progetto operativo. La preoccupazione fondamentale è quella di proporre forme organizzative e modelli d’azione che siano compatibili con progettazioni didattiche che si ispirano alla prospettiva ibrida sia in termini di strumenti e materiali utilizzati, sia di metodi didattici adottati. Viene infine presentato un esempio di integrazione valida sia sul piano degli apprendimenti disciplinari sia di quello dello sviluppo delle competenze digitali. 1. A livello di istituzione scolastica o formativa Come negli Anni Cinquanta il processo di motorizzazione italiano (allora assai arretrato) ha comportato che in primo luogo si costruissero le autostrade (vedi Autostrada del Sole completata nel 1964, cinquant’anni fa), così per la diffusione delle tecnologie mobili nella scuola deve essere garantita sul territorio una rete Wi-Fi veloce e di banda larga. Ciò è importante, in particolare, per le scuole perché l’uso contemporaneo delle rete implica problemi di accesso, se tale servizio non è abbastanza potente. Anche un impianto a ponti radio può risultare inizialmente valido ma poi insufficiente e deve essere raddoppiato. il principio generale può essere così riassunto: ogni istituzione scolastica e formativa deve poter disporre di un sistema di comunicazione adeguato al fine di costituire a sostegno della comunità educativa reale (una comunità cosiddetta off-line) una parallela comunità educativa virtuale (o comunità on line). tale sistema comunicativo on line deve poi potersi articolare in varie comunità virtuali, che diventano quelle che possono essere denominate realtà aumentate rispetto alle comunità reali: a) quella generale che comprende docenti, famiglie, studenti in comunicazione interattiva con il direttore e/o preside; b) quella più specificatamente costituita dai docenti (ad esempio, i collegi docenti dei vari cicli e/o indirizzi scolastici); c) quella relativa alle singole classi (e relativi consigli di classe) comprendente docenti e studenti; d) quella che mette in relazione reciproca il singolo docente con i suoi studenti. questa base LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 109 110 comunicativa costituisce il sistema di interazioni personali che facilita la comunicazione reciproca e consolida l’identità scolastica di docenti, allievi e la possibile partecipazione delle famiglie al processo educativo e didattico. Ai fini della costituzione e sviluppo della comunità virtuale della scuola, come delle singole classi e dei singoli insegnamenti sono risultati utili i programmi proposti da Google, in particolare il programma Google Drive, e da Dropbox. tramite essi non solo è possibile inviare messaggi, condividere documenti, raccogliere materiali utili, costruire insieme il piano dell’offerta Formativa e la programmazione curricolare annuale, organizzare le riunioni dei collegi docenti e dei consigli di classe, ma anche attivare un sistema d’interconnessioni tra docente e studenti del corso in modo da inviare e ricevere materiali didattici, ricerche, valutazioni, ecc. inoltre, sia l’istituzione scolastica o formativa, sia il singolo insegnante o il consiglio di classe, hanno a disposizione spazi, nei quali poter depositare materiali, documenti, testi, prove di valutazione, risultati ottenuti, portfolio digitali, ecc., con la possibilità di accedervi da qualunque dispositivo digitale collegato opportunamente, magari sotto il controllo di una password. 2. A livello di aula didattica o di classe Molto spesso si osserva che per sviluppare adeguatamente un progetto di integrazione delle nuove tecnologie, in particolare mobili, occorre modificare la struttura stessa della classe in modo che essa diventi un vero e proprio laboratorio. tuttavia nella pratica quotidiana la difficoltà sta proprio nel fatto che la struttura organizzativa fisica attuale prevede classi nelle quali gli studenti rimangono al loro posto, mentre si susseguono nelle varie ore di scuola i docenti. Accanto a queste aule comuni sono disponibili aule laboratorio per alcune discipline specifiche, come fisica o chimica. negli anni passati si è accostato a questi anche un laboratorio informatico, dotato di un certo numero di cosiddetti desk-computer, o computer fissi. questa impostazione è rimasta come peculiare della nostra scuola, perché in europa in genere le scuole sono strutturate in maniera che i singoli insegnanti hanno un proprio ambiente, o classe, dedicato alla loro disciplina e al loro insegnamento. Gli studenti passano da un ambiente, o classe, all’altro, mentre i docenti rimangono nel loro. Da noi sono gli studenti che normalmente stanno stabilmente nella loro classe e sono gli insegnanti che si spostano da una classe all’altra. Ciò comporta tra le altre cose una maggiore difficoltà per i singoli docenti di strutturare il loro ambiente in maniera funzionale al tipo di attività da loro progettata, magari variando nel tempo la stessa disposizione dei banchi e delle attrezzature. questa modalità di organizzazione degli spazi e dei tempi favorisce anche un pluralità di approcci didattici e di forme di integrazione delle tecnologie nell’insegnamento e apprendimento, rispettando in questo modo anche livelli e modalità diverse di com- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 110 111 petenza degli insegnanti. Anche in italia si stanno sperimentando forme organizzative che prevedono proprio la specializzazione degli ambienti di apprendimento in relazione ai contenuti e ai docenti che li propongono. Sono stati proposti vari modelli di strutturazione dell’ambiente di apprendimento. tra i più presenti nelle ideazioni, assumono un rilievo particolare quelli che prevedono possibilità diversificate di organizzazione del lavoro: a piccoli gruppi, a coppie, lavorando individualmente. tuttavia, rimanendo immutata l’organizzazione generale degli spazi, spesso occorre ristrutturare l’aula, spostando i banchi per adattarli alle esigenze di lavoro diverse da quelle cosiddette frontali, sempre che i banchi siano spostabili. Ciò è più facile nel primo ciclo scolastico, ma quando si passa a livelli di secondo ciclo di istruzione e Formazione, occorre tener presente non solo il succedersi dei diversi insegnanti e i tempi ristretti entro cui occorre muoversi, ma anche la numerosità delle classi. D’altra parte, dotare tutte le classi delle stesse attrezzature di base tali da garantire ai docenti la possibilità di strutturare in maniera flessibile le loro metodologie comunicative e di apprendimento non solo è costoso, ma spesso non molto produttivo, proprio perché non è possibile imporre a tutti le stesse modalità di insegnamento. Così la fruizione di attrezzature anche costose può rimanere molto modesta. tutto ciò implica anche la considerazione dei tempi. Anche da questo punto di vista l’attuale organizzazione in ore di lezione molto parcellizzate non favorisce lo sviluppo di attività che si prolungano nel tempo, come nel caso di ricerche, produzione di testi o di altri artefatti finali, ecc. di insegnamento. in genere un ambiente valido per poter integrare le tecnologie mobili nell’attività quotidiana deve poter disporre certamente di un collegamento valido con il sistema wi-Fi, ma anche della possibilità di proiettare su uno schermo a partire dagli strumenti disponibili al docente e agli allievi quanto ritenuto utile per l’attenzione comune. A causa poi di non pochi software disponibili per la didattica la presenza di un computer fisso spesso non solo è utile, ma necessaria. Sia il sistema messo in campo dalla Apple con l’ipad, sia quello proposto dalla Samsung consentono facilmente di proiettare ciò che è presente sul tablet sia da parte del docente, sia da parte degli studenti. Se si considerano, infine, le proposte che negli anni passati sono state avanzate circa l’organizzazione degli spazi fisici e degli spazi virtuali, entrano in gioco non pochi altri problemi generali, come l’articolazione assai differenziata per discipline. Mario Fierli in un suo recente intervento segnalava: “l’uso delle nuove tecnologie si è sostanzialmente adattato [...] alla didattica disciplinare nelle classi e nei laboratori. questo crea un’evidente contraddizione con il fatto che le tecnologie digitali non offrono solo specifici strumenti didattici per le discipline; ma ambienti complessi e integrati. D’altra parte, difficilmente l’ingresso, anche se massiccio, delle tecnologie digitali nella scuola riesce a sovvertirne l’organizzazione. È molto raro e limitato, ad esempio, l’uso di sistemi di condivisione delle conoscenze e di cooperazione in rete che presuppongono diversi modi di aggregazione degli studenti e LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 111 112 tempi diversi da quelli del rigido orario scolastico per discipline”. i vari sviluppi tecnologici e le stesse istanze formative sollecitate anche in sede europea richiederebbero: “almeno l’attenuazione delle separazioni disciplinari, tramite una parziale integrazione, orari scolastici più flessibili, l’affiancamento della lezione con pratiche di ricerca e progetto, raggruppamenti più articolati rispetto alla classe fissa [...], coerenti con metodi didattici orientati alle competenze. tutto questo dovrebbe portare alla riconsiderazione, necessariamente molto lunga, di tutta l’edilizia scolastica” (Fierli, 2013, 111-112). tuttavia in varie esperienze italiane sono state progettate soluzioni peculiari. Come esempio significativo può essere citato quanto realizzato a Bergamo da D. Bardi (Bardi, 2014, 25-26). Sono disponibili nell’aula 32 banchi, una cattedra, una liM (preesistente ma non necessaria), un videoproiettore, casse acustiche, una postazione per creare e-book, ragazzi dotati di strumento mobile. “Come primo step abbiamo fatto un’indagine presso i nostri ragazzi su quali fossero le postazioni di lavoro normalmente utilizzate a casa, quali i dispositivi a loro più congeniali per comunicare, reperire informazioni e lavorare; il nostro intento è stato di ricostruire un ambiente familiare, in cui gli alunni po tessero gestirsi autonomamente e sentirsi a proprio agio, che rispecchiasse il loro modo di studiare e di apprendere. Da queste considerazioni è nato il nostro modello di classe, che ha le seguenti caratteristiche: • i banchi sono spostati lungo le pareti (sarebbe ancora più utile avere banchi e sedie che si chiudono e si aprono all’occorrenza); • sono stati creati alcuni posti fuori dall’aula in un vicino sottoscala, che è divenuto il luogo in cui gli studenti studiano individualmente, anche con sedie più comode rispetto a quelle tradizionali; • sono state create postazioni per poter leggere tranquillamente i libri cartacei (biblioteca della classe); • altre postazioni servono per guardare i film in modo collaborativo; • una postazione è stata adibita alle webconference; • un’altra postazione è dedicata alla costruzione di e-book; • la cattedra è stata spostata in fondo all’aula con accanto una bacheca in cui vengono pubblicate le unità didattiche, le griglie di valutazione, gli orari dei docenti delle altre classi in modo che i ragazzi possano tranquillamente spostarsi o interagire con altri studenti o altri insegnanti durante le lezioni”. 3. A livello di programmazione curricolare Una delle studiose che più hanno approfondito nel tempo i complessi legami tra l’introduzione delle tecnologie informatiche e l’attività didattica scolastica è Diana laurillard (laurillard, 2008; 2012). tale studiosa ha sviluppato, a partire LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 112 113 dalle ricerche di Gordon pask (pask, 1976)49, una prospettiva conversazionale che pone al centro della scena la responsabilità progettuale dell’insegnante. nel contesto dell’attività che si sviluppa in contesti formali dell’apprendimento occorre considerare gli interscambi tra insegnante e studente e tra questi e i suoi compagni di classe. l’insegnante è portatore di conoscenze e di competenze che, attraverso l’organizzazione di uno spazio conversazionale adeguato, tende a promuoverne un analogo sviluppo presso i singoli studenti. il processo che viene messo in atto può essere modellato secondo forme di comunicazione diretta, oppure forme di comunicazione indiretta, che si appoggiano a metafore diverse. le più diffuse di tali metafore vedono lo studente come uno che può apprendere in vario modo: tramite la ricerca personale o di gruppo, attraverso la discussione comunque sostenuta e guidata dal docente, mediante la produzione di artefatti come testi scritti o prodotti multimediali, collaborando con gli altri nella realizzazione di obiettivi comuni. in questo spazio conversazionale le tecnologie possono, o debbono, svolgere un ruolo fondamentale da molti punti di vista. l’importante è che le attività proposte siano chiaramente dirette al raggiungimento di conoscenze e competenze ritenute fondamentali per la loro crescita. per questo l’appoggiarsi a forme di allineamento costruttivo delle diverse attività didattiche diventa essenziale. la teoria dell’allineamento costruttivo è stata in particolare sviluppata nel corso di questo millennio da parte di John Biggs (Biggs, tang, 2011).50 l’idea portante della sua teoria sta nella definizione delle condizioni essenziali attraverso le quali si possano ottimizzare nella loro organizzazione interna e nei risultati finali i vari corsi di studio, sia a livello secondario, sia terziario. l’allineamento si riferisce al fatto che l’istituzione predispone un ambiente che facilita e sostiene le attività di apprendimento dei singoli studenti al fine di conseguire i risultati previsti. l’insegnamento, quindi, è un sistema in cui tutte le componenti devono essere allineate tra loro: gli obiettivi, i risultati di apprendimento attesi, i metodi di insegnamento e le attività di apprendimento, le procedure di valutazione, il clima di interazione con gli studenti e il clima istituzionale, le regole e le procedure dell’organizzazione. tale impostazione esige una chiara delineazione delle finalità fondamentali dei diversi curricoli cioè del profilo finale che lo studente deve essere in grado di evidenziare attraverso opportune forme di valutazione. tutto ciò implica che il contesto o ambiente di apprendimento strutturato da parte del docente sia tale che lo studente possa e voglia acquisire quanto proposto. in primo luogo occorre tener conto dello stato di preparazione dello studente da vari punti di vista e cioè da quello delle conoscenze e abilità che egli dovrebbe avere già acquisite in modo adeguato per poterle ulteriormente sviluppare o integrare con le nuove. in se- 49 il processi di apprendimento secondo pask sono basati sui molteplici interscambi comunicativi e collaborativi tra insegnane e allievi al fine di elaborare una interpretazione della realtà. 50 la prima edizione è del 2000. l’impostazione di Biggs è stata alla base di molte ricerche europee legate al cosiddetto Processo di Bologna. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 113 114 condo luogo si deve verificare il suo stato motivazionale ed emozionale, condizioni interne sulle quali egli deve appoggiare l’attività di apprendimento. Ambedue le dimensioni dello stato di preparazione sono segnate dall’esperienza precedente più o meno segnata dalla presenza di tecnologie tradizionali (libro, lavagna, quaderno) e di tecnologie informatiche e mobili. tenendo conto di tale stato di preparazione l’insegnante progetta e realizza uno spazio conversazionale nel quale entrano in gioco gli artefatti comunicativi che giocano un ruolo essenziale dal punto di vista metodologico. le tecnologie mobili, i nuovi artefatti comunicativi, non possono comunque sostituire la guida e il sostegno dell’insegnante, sia che questi si avvalga di forme di insegnamento diretto, sia di forme di insegnamento indiretto. in quest’ultimo caso il docente dovrà essere particolarmente abile nel gestire situazioni esplorative, di ricerca, di lavoro produttivo, di discussione, di collaborazione, più o meno appoggiate a strumenti informatici, in maniera che esse non favoriscano dispersione o evasione, bensì rimangano allineate nella prospettiva dell’acquisizione delle conoscenze e competenze fondamentali intese. Da questo punto di vista ogni classe deve poter essere configurata secondo il progetto di attività didattica che l’insegnante intende sviluppare. Come abbiamo notato precedentemente, la struttura organizzativa degli spazi e dei tempi scolastici comporta una maggiore difficoltà per i singoli docenti di strutturare il loro ambiente in maniera funzionale al tipo di attività da loro progettata, magari variando nel tempo la stessa disposizione dei banchi e delle attrezzature. Dotare tutte le classi delle stesse attrezzature di base tali da garantire ai docenti la possibilità di strutturare in maniera flessibile le loro metodologie comunicative e di apprendimento non solo è costoso, ma spesso non molto produttivo, proprio perché non è possibile imporre a tutti le stesse modalità di insegnamento. Così la fruizione di attrezzature anche costose può rimanere molto modesta. Spesso si prospettano le attività didattiche che le opportunità offerte dalla rete e dalle tecnologie mobili consentono. Floriana Falcinelli ha offerto un esempio di descrizione succinta di tali possibilità: “Un progetto formativo in cui la dimensione classe si espande in rete, superando i limiti spazio/temporali permette di: integrare e sviluppare le attività didattiche in presenza con attività on-line da svolgere sia con modalità di lavoro autonomo, sia collaborativo a piccoli gruppi; facilitare l’accesso aperto ai materiali di studio e a momenti di problematizzazione degli argomenti di studio attraverso la discussione in rete; favorire momenti di interazione costante tra i docenti e gli allievi per il necessario scaffolding, consentire una espansione dei contenuti attraverso la costruzione da parte degli studenti di specifici materiali e la condivisione di mappe dei saperi; attivare percorsi di ricerca favorendo modalità di partecipazione attiva degli studenti alla costruzione della conoscenza; sviluppare spazi di comunicazione, di discussione e di riflessione condivisa sull’esperienza formativa anche con genitori ed esperti fuori dell’ambiente scolastico; permettere una verifica costante dei processi di apprendimento e una auto-valutazione da parte degli studenti del loro percorso di conoscenza” (Falcinelli, 2012, 92). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 114 115 4. Progettare attività didattiche integrate da tecnologie mobili nella sua trattazione Diana laurillard indica cinque possibili attività didattiche, che si appoggiano su altrettante forme di apprendimento da parte degli studenti. poi esamina come queste possono essere integrate dall’uso di tecnologie di natura informatica. in primo luogo gli studenti apprendono attivando processi che possono essere descritti come acquisizione di concetti, teorie, procedimenti. Ciò deriva dal fatto che essi devono poter far propri quello che altri hanno elaborato o scoperto, imparare da più esperti modi di pensare e di agire, dotarsi delle conoscenze fondamentali che caratterizzano un ambito disciplinare. ne derivano forme di attività didattica che sollecitano e sostengono tali processi. in tali attività gli studenti seguono narrazioni e spiegazioni sia direttamente dal docente, sia attraverso l’ascolto di audio, la visione di video, la lettura di libri e tutto ciò oggi attraverso l’utilizzo della rete. Secondo la laurillard le nuove tecnologie hanno solo spostato ciò da un mezzo comunicativo a un altro. Certamente la facilità di valorizzazione della multimedialità ha migliorato la qualità delle presentazioni (mediante diagrammi, animazioni, audio, video e ipertesti) ma con ciò si è sollecitato ancor più lo studente a seguire i discorsi che ad agire e il linguaggio è ancora la forma dominante di presentazione. questa modalità di apprendimento e di insegnamento è ancora la più diffusa, efficiente e poco costosa in termini di tempo e competenza didattica. Una seconda forma di apprendimento porta a valorizzare le fonti disponibili per sviluppare una propria ricerca conoscitiva, che permette da una parte una comprensione più profonda e contestualizzata del materiale individuato e, dall’altra, di elaborare una propria organizzazione concettuale e operativa. ne derivano attività didattiche che orientano, guidano e sostengono gli studenti in tale impresa. Si tratta di raggiungere e fruire di risorse di natura assai diversa: libri, fotografie, dipinti, testi audio, diagrammi, animazioni, video, banche di dati, biblioteche, archivi sia convenzionali, sia digitali; ma anche musei, gallerie, esposizioni, siti di interesse educativo, edifici storici, siti archeologici, aziende, laboratori, comunità, a seconda dell’ambito di studio. l’aspetto educativo più importante è che lo studente può seguire una sua linea di pensiero di indagine e così permettere una maggiore percezione di autonomia nell’apprendimento. occorre però ricordare anche i limiti dovuti ai possibili problemi di carico cognitivo, al bisogno di essere orientato, sostenuto e accompagnato in tale impresa e alla necessità di concentrazione chiara sugli obiettivi della ricerca, per evitare distrazioni ed esplorazioni parallele poco funzionali. Una terza prospettiva di considerazione dei processi di apprendimento riguarda la pratica. essa costituisce una componente essenziale di ogni esperienza di apprendimento, perché sollecita l’utilizzazione di quanto appreso alla risoluzione di un problema, al portare a termine un compito preciso. Attraverso la pratica s’impara a leggere e interpretare quanto richiesto in termini di prestazione e ad attivare e coordinare le conoscenze possedute per rispondervi positivamente. Ciò induce LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 115 116 anche una più puntuale comprensione della natura e della portata di quanto acquisito. in molti casi proprio durante la pratica emergono esigenze di comprensione nuova, di allargamento delle proprie conoscenze, di sviluppo di nuove abilità. in tale esperienza di apprendimento giocano un ruolo fondamentale sia le forme di feedback intrinseco, cioè quelle che derivano dalla reazione positiva o negativa degli oggetti o delle situazioni ai nostri interventi, sia di feedback esterno, dovute al docente o ai compagni. Una quarta modalità di apprendimento si attua attraverso la produzione di artefatti. Si tratta di una variante più impegnativa di pratica, in quanto coinvolge l’elaborazione del progetto di un prodotto finale, la sua realizzazione e la valutazione sia durante la sua attuazione, sia al termine di essa. Si può trattare di un saggio scritto, di un artefatto multimediale, di una audio o di un video, ecc. in particolare va evidenziata l’importanza dello sviluppo di una forma di conversazione interiore che si attua prima, durante e dopo la produzione, in vista dell’elaborazione del progetto, delle forme di sua concretizzazione e miglioramento, di valutazione finale. tale conversazione interiore si può intrecciare con una conversazione esteriore quando si esprime un feedback da parte del docente o dei compagni. e ciò soprattutto quando si tratta di un progetto di produzione che deve essere sviluppato in collaborazione. Una quinta modalità di apprendimento avviene attraverso forme di discussione ben pianificate e condotte, secondo un impianto metodologico adeguato. l’attività didattica che ne deriva tende a favorire un consolidamento e una verifica di quanto appreso e lo sviluppo della capacità di riflessione e argomentazione. non si tratta di un alleggerimento messo in atto durante una presentazione sistematica o una spiegazione dell’insegnante. nell’impostazione del costruttivismo sociale, tale esperienza svolge un ruolo essenziale in quanto si suppone che dal dialogo esteriore si passi quasi automaticamente al dialogo interiore, ma ciò sembra eccessivo. Come abbiamo visto precedentemente, perché si possa effettivamente costruire una conoscenza significativa occorre che il soggetto sia impegnato in tale processo da una punto di vista cognitivo. tuttavia se ben organizzata e guidata una discussione, soprattutto se riferita a una questione importante dal punto di vista dell’apprendimento, svolge un ruolo formativo non indifferente da due punti di vista: della capacità di relazionarsi con altri, di accettare idee diverse, di discutere e argomentare; da quella di un approfondimento, consolidamento e attribuzione di valore di quanto già conosciuto oppure di una sua messa in discussione per imprecisione o più serie incomprensioni ed errori. Una sesta strada per apprendere concerne la collaborazione con altri non solo al fine di ricerca, di approfondimento, di sviluppo pratico, ma anche per produrre qualcosa insieme, per portare a termine un progetto comune. Si apprendono in questo caso non solo contenuti, ma anche l’importanza e lo sviluppo della capacità di interagire validamente e produttivamente con altri. oggi si distingue tra cooperazione e collaborazione. nel primo caso si accentua la partecipazione a un’attività LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 116 117 come membro del gruppo che la porta avanti. nel caso della collaborazione si tratta di entrare come corresponsabile di un’impresa sia di costruzione di conoscenza, sia di produzione di artefatti, che assume un rilievo pubblicamente riconoscibile. l’autrice propone poi una tabella di comparazione evidenziando l’apporto possibile delle tecnologie informatiche digitali a ciascuna delle sei modalità di apprendimento. Apprendimento attraverso Tecnologie tradizionali Tecnologie digitali Acquisizione Lettura di libri, dispense; ascolto delle esposizioni e spiegazioni del docente, osservazione di dimostrazioni pratiche Fruizione di prodotti multimediali, di siti web, fonti e documenti digitali. Ascolto di podcast; visione di video e animazioni Ricerca Uso di guide stampate per lo studio e la ricerca. Esame delle idee e informazioni tramite risorse stampate e altri materiali. Uso di strumenti e materiali tradizionali per raccogliere, confrontare testi. esaminare e valutare fonti. Uso di guide e suggerimenti disponibili on line. Esame delle idee e delle informazioni tramite risorse digitali. Uso di strumenti digitali per raccogliere, confrontare testi, esaminare e valutare fonti. Pratica Esercizi applicativi, realizzazione di progetti operativi, laboratori, viaggi di studio, attività di role-play faccia a faccia. Uso on line di modelli digitali, di simulazioni, di micromondi, di laboratori virtuali, di viaggi, di attività di role-play. Produzione Produzione di artefatti sotto forma di testi, saggi, rapporti, relazioni di attività svolte, progetti, performance, animazioni, modelli, video. Produzione e memorizzazione sotto forma digitale di documenti, progetti grafici, modelli, artefatti, animazioni, slides, performance, foto, video, blogs e portfolio. Discussione Tutoriali, seminari, discussioni tramite email, gruppi di discussione, discussioni in classe. Tutoriali on line, forme sincrone e asincrone di seminari, di gruppi di discussione, forum, conferenze via web. Collaborazione Progetti di piccoli gruppi, analisi e valutazione di risultati altrui, costruire insieme un prodotto Attraverso il web realizzazione di progetti; forum on line, wiki, chat, per esaminare produzione altrui e costruire propri prodotti 5. Alcuni principi di riferimento la laurillard indica poi alcuni principi di riferimento per favorire l’attività progettuale dell’insegnante. in primo luogo questi deve essere disponibile a cercare di migliorare continuamente la sua azione didattica. questo ovviamente implica due condizioni. la prima concerne il docente stesso, le sue motivazioni e la concezione che ha della sua professionalità. l’altra condizione riguarda il contesto istituzionale e contrattuale nel quale egli è inserito, cioè che cosa viene richiesto dalle istituzioni nello svolgere il suo ruolo lavorativo (per esempio, il carico di lavoro cui è sottoposto). questo Figura n. 3 - Adattamento da D. Laurillard, o.c., 96. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 117 118 primo principio di riferimento sta alla base di ogni possibile valorizzazione delle tecnologie informatiche e mobili nell’attività di insegnamento. il secondo principio è di natura metodologica: il miglioramento inteso deve appoggiarsi su modalità progettuali e di verifica dei risultati ottenuti che effettivamente aiutino a ottenerlo e a riconoscerlo. in tale prospettiva il lavoro del docente deve tener conto di quanto gli altri hanno sviluppato o sviluppano, sia come possibili strade di soluzione dei problemi didattici, sia come collaborazione nel progettare e realizzare i propri percorsi di insegnamento. infine, quanto l’insegnante riesce a ottenere come miglioramento della sua pratica dovrebbe poter essere condiviso con gli altri evidenziando sia i risultati ottenuti, sia la loro relazione con il progetto e la sua realizzazione operativa (laurillard, 2012, 211). il singolo insegnante, o un gruppo di insegnanti in collaborazione, è il primo responsabile dell’ambiente di apprendimento che egli intende valorizzare per promuovere l’attività di apprendimento dei suoi studenti. Come abbiamo notato più volte, in questo lavoro progettuale entrano in gioco una molteplicità di fattori. in primo luogo i contenuti d’apprendimento che a lui sono stati affidati. Diversa è la situazione di un insegnante di lingua inglese da uno di matematica, come di uno di scienze rispetto a uno di lingua e letteratura italiana o latina. oggi si insiste sulla natura degli obiettivi didattici che al secondo ciclo di istruzione e Formazione devono essere raggiunti: non si tratta più solo di conoscenze, ma anche di competenze nel valorizzare i saperi per leggere, interpretare e affrontare le varie sfide poste dai compiti che sono proposti sia all’interno del lavoro di classe, sia più in generale nel contesto sociale ed esperienziale. e in ciò entra in gioco anche quella che è stata denominata la concezione epistemologica della propria disciplina e di conseguenza le centralità che la caratterizzano sul piano della formazione che intende sviluppare. Ad esempio un concezione dinamica della matematica porterà a privilegiare programmi, come il programma Geogebra, che favoriscono sia nella spiegazione, sia poi il lavoro degli allievi secondo una costruzione concettuale progressiva, che garantisca comprensione profonda e agevole loro utilizzazione nel risolvere problemi sia interni, sia esterni alla disciplina. Rispetto a tali obiettivi da conseguire qual è lo stato di preparazione dei suoi studenti? Dalle ricerche è emerso che tale stato di preparazione ha un peso determinante nell’apprendere nuove conoscenze e sviluppare nuove competenze. e ciò sia dal punto dei concetti e dei procedimenti propri del contenuto da apprendere, sia della capacità di gestire se stesso nello studiare e apprendere, sia quanto a motivazione in generale e interesse specifico per la disciplina. Da questo punto di vista il diagramma, precedentemente presentato, andrebbe reinterpretato tenendo conto degli strumenti di comunicazione disponibili e della diverse forme di interazione diretta o mediata, che è possibile utilizzare. la scelta di un insegnamento più o meno diretto e graduato o più o meno autonomo ed esplorativo da parte dei suoi studenti va fatto inizialmente su una base prudenziale legata alla propria esperienza e al loro stato di preparazione, per poi sulla base del feedback che egli è in grado di cogliere, adattarlo progressivamente. in questo lavoro occorre dosare attentamente le forme di comunicazione reciproca. Certamente l’uso di strumenti comunicativi di natura digitale e, tramite essi, LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 118 119 la possibilità di valorizzare il patrimonio conoscitivo messo a disposizione dalla rete in maniera sempre più massiccia, gioca un ruolo fondamentale; ma al centro di tale conversazione educativa rimane sempre l’interazione diretta e il contatto personale faccia a faccia del docente con i singoli studenti. l’interazione tramite messaggi, mail, ecc. può rafforzare tale contatto, ma non può mai sostituirlo. Anche perché al cuore di ogni processo di natura educativa il dialogo diretto protratto nel tempo ne costituisce la base fondamentale. inoltre, egli deve rimanere il regista della conversazione diretta o mediata, che tramite gli strumenti comunicativi viene attuata con le varie fonti informative e conoscitive. Come abbiamo chiarito precedentemente, la prospettiva ibrida può essere declinata nel concreto della propria classe in vari modi, e per questa ragione la progettazione della propria azione didattica implica una scelta ponderata dei vari media, del tempo messo disposizione per la loro fruizione, delle forme organizzative del lavoro comune (a coppie, a piccoli gruppi, a gruppo classe, individualmente) e della possibilità di valorizzare forme diversificate di impianto didattico come di forme di lavoro ispirate al modello delle cosiddette “classi rovesciate”. Vedremo nei prossimi capitoli quali attenzioni e quali strumenti di lavoro possono essere adottati dal docente nelle varie fasi del suo lavoro progettuale, realizzativo e valutativo. intanto è utile rileggere il risultato di un colloquio con un’insegnante di latino greco del liceo classico per avere un’idea di come è possibile progettare e realizzare una integrazione delle tecnologie mobili nel quotidiano lavoro didattico. 6. Un esempio d’integrazione dell’Ipad nella pratica didattica la professoressa Mariachiara lama insegna latino e greco nel liceo classico salesiano di treviglio. Da tre anni utilizza tecnologie mobili, in concreto l’ipad della Apple, nel suo insegnamento. per noi che studiamo i processi educativi e didattici è essenziale imparare dall’esperienza altrui, sia da quella divulgata attraverso le più varie pubblicazioni, sia da quella che possiamo cogliere osservando l’azione didattica nel suo contesto, sia dalla descrizione viva che ne fanno i protagonisti. questo calarsi nelle situazioni didattiche concrete implica contemporaneamente tener conto delle diverse discipline di insegnamento e delle assunzioni metodologiche che più o meno consapevolmente guidano l’azione del docente. Ad esempio, nel caso dell’insegnamento del latino e del greco si può privilegiare la capacità di lettura e interpretazione dei testi, rispetto a una produzione scritta o orale in tali lingue; dare importanza alla letteratura come fonte di coltivazione culturale e spirituale personale o come conoscenza strutturata degli autori e delle opere fondamentali, magari sotto un profilo storico; ecc. la prima questione che ho posto alla professoressa è stata molto generale: sulla base della sua esperienza, quale idea si è fatta circa il ruolo della tecnologia LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 119 120 da lei usata nell’impostare l’azione didattica? la riposta è stato netta: è uno strumento, uno strumento ulteriore rispetto a quelli disponibili nel passato, uno strumento che consente molte opportunità e agevolazioni in più rispetto ad altri, ma che non può sostituire l’uso di carta e penna e, quando opportuno e utile, gli stessi libri stampati. Ad esempio, la connessione in rete permette l’accesso a una impressionante raccolta di testi latini e greci e a molti dei loro più autorevoli commenti, soprattutto nei riguardi delle opere principali, che merita frequentare. Si tratta di fonti di libera fruizione e gli studenti, guidati dal docente, possono costruirsi le loro antologie, scaricando i passi più significativi delle opere raggiunte, magari con accanto la loro traduzione, collegandoli a commenti significativi e potendo aggiungervi le proprie osservazioni e le proprie risonanze personali. in questa attività si può dare spazio anche a preferenze individuali, accostando testi che diventano come riferimenti personali per riflettere ed emozionarsi. Si può costruire così sia una antologia comune, o di classe, sia una più soggettiva, che evidenzia scelte più vicine alla sensibilità di ciascuno. Quest’attività però è prevalentemente propria del triennio. Nei primi due anni l’attività didattica è più concentrata sullo sviluppare le basi lessicali e grammaticali delle due lingue classiche. In questo caso quali opportunità derivano dall’uso delle tecnologie mobili? in primo luogo occorre ricordare come accanto al tablet stia sempre un quaderno o blocco per scrivere. Anche perché non è facile scrivere sul tablet testi in greco antico. Ma, più in generale, perché è bene accostare l’uso di carta e penna alla valorizzazione dello strumento. Molti insegnanti, poi, continuano a usare una grammatica stampata, anche se è possibile fruire di grammatiche digitali. tuttavia la tipologia degli esercizi proposti dai testi sia stampati, sia digitali, è in genere abbastanza limitata. la rete permette di accedere a un ricchissima fonte di eserciziari e di proposte di attività assai variate e progressive. la loro risoluzione può poi essere registrata sul tablet, o tramite il tablet su un deposito esterno, come il Dropbox, costituendo un proprio portfolio digitale, facilmente consultabile, modificabile. l’analisi della proprie prestazioni così registrate apre anche alla possibilità di evidenziare i propri punti deboli e di esercitarsi ulteriormente per cercare di superarli. tra le altre opportunità offerte dalla tecnologia vi è anche la possibilità di registrazione vocale e di ascolto individuale tramite cuffie. la lettura ad alta voce di un testo da parte dell’insegnante, o da parte di un lettore trovato in rete, può essere conservata e riascoltata, per familiarizzare con il modo di pronunciare in tali lingue. Ciò è particolarmente efficace quando si introduce la metrica latina, o greca, nell’esplorare la poesia. Se dovesse consigliare ad un suo collega, o a una sua collega, che intende iniziare una strada di lavoro analoga alla sua, che cosa gli suggerirebbe subito? Certamente in primo luogo gli direi di famigliarizzare con lo strumento. le sue potenzialità esigono non solo una progressiva individuazione delle sue caratteristiche, ma anche un loro sfruttamento sistematico, che può divenire a poco a poco quasi automatico. Se poi si è avuta una buona esperienza nell’uso del computer fisso o da tavolo, il passaggio all’uso del tablet da una parte è più agevole, soprattutto per quanto riguarda lo sfrutta- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 120 121 mento della rete, ma, dall’altra, implica nuovi modi di rapportarsi con la tecnologia. in particolare occorre esplorare il mondo delle app (applicazioni), icone sul tablet che consentono un accesso diretto a risorse informative e operative alle volte di potenzialità non indifferente. ne esistono di gratuite, altre a pagamento. in generale all’inizio quelle gratuite sono più che sufficienti. A esempio l’app Evernote consente di redigere, conservare, catalogare e diffondere testi scritti e immagini, testi orali e video. Accanto a ciò occorre esplorare le varie forme comunicative che possono essere attivate per sviluppare un buon sistema di interazioni con i propri studenti, sia quanto a posta elettronica, a esempio nell’ambito di Google con il sistema delle gmail, sia quanto a valorizzazione di depositi di materiali accessibili da tutti gli studenti, a esempio valorizzando l’opportunità offerta da Dropbox. infine, può essere di notevole aiuto esplorare i siti dedicati esplicitamente all’insegnamento delle proprie discipline. Molti di tali siti sono nati e si sono sviluppati con l’apporto di insegnanti e studenti a partire dalla loro esperienza. in una sperimentazione dell’uso dell’ipad nell’attività scolastica sviluppata presso la contea di los Angeles non si è potuto andare avanti in maniera produttiva e l’attività, finanziata generosamente, è stata interrotta. Gli studenti si erano lasciati andare a un uso improprio di tali tecnologie mobili: per giocare, per comunicare tra loro, per esplorare siti stuzzicanti le loro curiosità adolescenziali. Mi sono quindi domandato se qualcosa di analogo fosse capitato nelle classi della professoressa. A questo proposito essa ha confermato la convinzione ormai sempre più diffusa che uno dei compiti educativi fondamentali della scuola nel contesto tecnologico attuale è proprio quello di promuovere la capacità di utilizzare in maniera produttiva e con senso di responsabilità le tecnologie mobili nell’attività di studio e di lavoro. tale impegno educativo non è facile, perché i cosiddetti “nativi digitali”, lo sono principalmente per giocare e comunicare tra loro e manifestano non poche difficoltà e resistenze a sviluppare quelle competenze digitali che sono oggi necessarie nel contesto dei processi istruttivi e professionali. l’incontro con la professoressa Mariachiara è stato assai utile sia per confermare varie ipotesi di lavoro, sia per sfatare alcune assunzioni che poco hanno a che fare con una introduzione seria e valida delle tecnologie mobili. in particolare quella che la loro presenza debba necessariamente provocare una trasformazione radicale della metodologia didattica. in realtà ogni insegnante nel corso della sua esperienza d’insegnamento ha sviluppato, spesso in maniera implicita, una sua concezione del suo ruolo e delle forme attraverso le quali egli è in grado di ottenere i risultati attesi. Se si pensa che tale approccio sia inadeguato, occorre che egli sperimenti direttamente l’efficacia di metodologie didattiche diverse altrimenti o rimarrà convinto della bontà di quanto è grado di svolgere e nulla cambierà o si adatterà a quanto a lui richiesto, ma demandando la responsabilità dei risultati attenuti a chi lo ha indotto a modificare il suo modo di procedere. in questa prospettiva occorre ribadire come, comunque, rimanga essenziale promuovere da parte dei docenti lo sviluppo delle fondamentali competenze digitali. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 121 122 7. Alcune prospettive più innovative la letteratura specificatamente dedicata all’impatto delle tecnologie digitali nell’apprendimento insiste spesso sulle nuove opportunità che esse offrono a docenti e studenti. Un esempio significativo è dato dall’intervento di Rosa Maria Bottino dell’istituto per le tecnologie Didattica di Genova, di cui è interessante riportare un brano (Bottino, 2013, 61). “È necessario prendere atto che l’integrazione delle nuove tecnologie nella scuola porterà a cambiamenti profondi poiché l’apprendimento reso possibile dallo sviluppo delle tiC diventerà sempre più personalizzato, collaborativo e informale. i metodi di insegnamento tradizionali, basati su modelli trasmissivi e standardizzati, lasceranno spazio a forme di insegnamento più flessibili, basate sulla sperimentazione e orientate a supportare lo studente nello sviluppo di competenze trasversali. All’interno di nuovi paradigmi di apprendimento centrati sullo studente e resi possibili dallo sviluppo delle tecnologie, gli insegnanti dovranno svolgere un ruolo di guida, predisponendo un ambiente in cui lo studente può apprendere (con e dagli altri) secondo modalità che meglio si adattano alle sue personali esigenze, preferenze e strategie. Mentre, concettualmente, lo studente assumerà una posizione centrale nel processo di apprendimento, spetterà agli insegnanti promuovere l’individualità, la personalizzazione e l’‘auto-gestione’ del processo di apprendimento. Cioè, fornire agli studenti i mezzi, le indicazioni e il supporto necessario per accrescere e sviluppare le proprie capacità. Un’indagine svolta dalla Commissione europea [...] raccomanda che gli insegnanti sappiano promuovere, ad esempio: – attività di apprendimento basate su progetti che impegnano gli studenti in questioni o problemi aperti e a lungo termine (una settimana o più); – attività di apprendimento basate sull’indagine e la scoperta; – processi di apprendimento personalizzato in cui gli studenti possano imparare con modalità consone al loro background, alle loro esperienze o ai loro interessi; – processi di apprendimento individualizzato, grazie al quale gli studenti possano lavorare al proprio ritmo e in cui l’insegnamento sia adattato al livello di abilità e alle esigenze di apprendimento di ogni singolo studente. naturalmente gli insegnanti devono essere preparati a questo tipo di attività, attraverso una formazione basata sulla costruzione di competenze professionali che trascendono il livello di aggiornamento personale ed evolvono grazie alla partecipazione a comunità di pratica anche nella scuola”. il lettore attento è invitato a confrontare queste prospettive con quanto discusso nel capitolo precedente. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 122 123 Ottavo capitolo La progettazione delle lezioni o dell’attività didattica Nel progettare le sue lezioni l’insegnante, o il gruppo dei docenti, deve in primo luogo chiarirsi bene quali obiettivi si pone in termini di apprendimento da parte degli studenti, anche perché questi dovranno essere chiaramente loro comunicati. Poi organizzare il percorso, o la conversazione educativa, che in via d’ipotesi, tenuto conto delle circostanze, può condurre al loro raggiungimento. In questo lavoro la pratica suggerisce di ricorrere alle indicazioni di D. P. Ausubel sul piano metodologico, e alla costruzione di mappe concettuali secondo le proposte di J. D. Novak. Recentemente si è infine insistito sulla valorizzazione della metodologia cosiddetta delle classi capovolte o rovesciate. 1. I passaggi fondamentali nella preparazione delle lezioni e l’utilizzo delle tecnologie mobili nell’affrontarli nel quadro della programmazione curricolare annuale o pluriannuale adottata, la predisposizione delle singole lezioni, o del gruppo di lezioni, che si deve affrontare, implica alcuni passaggi fondamentali. tra questi meritano un’attenzione particolare i seguenti, espressi sotto forma di domande, che il docente dovrebbe porsi e alle quali rispondere valorizzando le tecnologie mobili a disposizione. a. Che cosa dovrebbero apprendere gli studenti in maniera sufficientemente significativa e stabile; cioè quali gli obiettivi di apprendimento che dovrebbero essere conseguiti al temine di questo periodo di attività didattica? per essere concreti: quali manifestazioni di conoscenze e di competenza potranno dare una sufficiente fiducia che essi sono stati raggiunti? in altre parole come dimostreranno di avere appreso quanto affrontato e la valutazione finale come avverrà? Sarebbe assai utile far conoscere tramite il sistema di comunicazione disponibile tra docente e singoli studenti tali intendimenti in modo da coinvolgerli subito nell’impresa. b. quali conoscenze e abilità dovrebbero già possedere in maniera utilizzabile per acquisire tali conoscenze e competenze? più in generale, quale stato di preparazione sarebbe necessario? Come faccio ad accertarmene? Una volta decise le modalità di accertamento dello stato di preparazione in ordine ai nuovi apprendimenti da promuovere sarebbe assai utile che le prestazioni dei singoli studenti (o manifestazione di competenza) venissero registrate nel loro port- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 123 124 folio digitale personale di ogni studente in modo da poter poi confrontare i progressi raggiunti e avere un punto di riferimento al fine di constatare l’effetto dell’attività didattica sviluppata. Ciò è tanto più importante se si tratta di un periodo lungo o addirittura di un quadrimestre e di un anno scolastico intero. la percezione che uno studente ha dell’effettivo cambiamento raggiunto nelle sue conoscenze e competenze ha un ruolo non indifferente nel motivarlo a impegnarsi con costanza e sistematicità. c. quali i passaggi fondamentali in tale processo di apprendimento e quali punti critici che potrebbero presentarsi durante le lezioni? quali strategie adottare perché essi possano essere affrontati con successo? Ciò conduce a riflettere al fine di decidere quali modalità didattiche dovrebbero essere adottate, tenendo conto delle risorse disponibili in termini di comunicazione e di lavoro individuale e collettivo e delle caratteristiche personali, del contenuto da far proprio e delle abilità tecnologiche possedute dagli studenti. in questo lavoro preparatorio è risultato, sulla base delle esperienze sviluppate, di specifica importanza e produttività utilizzare alcune risorse tecnologiche, che occorre sempre esplorare nel loro valore nelle specifiche circostanze di lavoro. in primo luogo sono disponibili varie app e programmi per il computer che facilitano la costruzione di mappe mentali e mappe concettuali. Alcuni dei prossimi paragrafi saranno specificatamente dedicati ad approfondire tale metodologia di lavoro sia in vista della progettazione delle lezioni, sia della valutazione iniziale, formativa e finale. infatti, l’elaborazione di mappe concettuali, soprattutto se relative a precise unità di apprendimento, risulta spesso decisamente importante per avere un quadro di riferimento ben chiaro non solo per quanto riguarda i concetti implicati, ma anche per quanto concerne la loro importanza specifica e la progressione che è possibile adottare nell’affrontarli, evidenziando quali sono le idee e le competenze fondamentali che entrano in gioco e le loro interconnessioni. Se la mappa è abbastanza completa e precisa, si evidenzieranno anche le conoscenze previe che sarà necessario richiamare e consolidare. nella preparazione delle lezioni sono disponibili poi non poche applicazioni di carattere generale, anche riferite alle singole discipline, ma soprattutto vari siti offrono non pochi suggerimenti e materiali per impostare le proprie lezioni. Data l’evoluzione assai rapida delle disponibilità effettivamente presenti in rete, invece di proporne ora un elenco, si suggerisce di interrogare la rete sulla base delle proprie necessità. nel progettare le lezioni, come abbiamo approfondito nel sesto capitolo, occorre decidere se preferire forme di insegnamento diretto, quelle spesso definite tradizionali, o forme più innovative. la scelta non dipende solo dalle preferenze del docente; ma, come già notato, anche, se non di più, dalle caratteristiche del contenuto da apprendere e dallo stato di preparazione degli studenti. per chi è abituato a forme d’insegnamento che valorizzano come punto di partenza l’esposizione da parte del docente è consigliabile di iniziare ad utilizzare il tablet secondo questa modalità, per poi progettare alcune attività nelle quali sono coinvolti più diretta- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 124 125 mente gli stessi studenti, attraverso progetti di gruppo o individuali di ricerca e di produzione, valorizzando il web. l’ideale disponibilità tecnologica nella classe comprende, come già notato, che sia il docente, sia gli studenti abbiano lo stesso tablet (a es. ipad) collegato allo stesso sistema wi-Fi; inoltre deve essere disponibile uno schermo su cui poter proiettare testi, immagini e video, a partire dal proprio tablet, oppure da un computer. infatti, è anche utile avere in classe un desk-computer per poter assicurare alcuni utili collegamenti. le applicazioni che permettono di preparare le lezioni da vari punti di vista sono varie. in primo luogo la fotocamera in dotazione all’ipad. poi, un’applicazione che consente di preparare le proprie presentazioni (Prezi). Un’altra applicazione che permette di registrare sia testi, sia documenti (foto, video) è Evernote. 2. Mappe mentali e mappe concettuali Un recente volume di Flavio Fogarolo e Marco Guastavigna (Fogarolo, Guastavigna, 2013) è dedicato interamente all’utilizzazione delle mappe mentali e delle mappe concettuali nell’insegnare e nell’apprendere. Una mappa è sempre un modello della realtà, la rappresentazione di uno spazio, di un territorio, che dovrebbe aiutare a muoversi in essa. Così si parla di mappe stradali, di mappe cittadine, addirittura di mappamondo. in questo caso si tratta di rappresentare non più situazioni materiali, concrete, bensì aspetti mentali e/o concettuali. Mappare un territorio significa rappresentarlo da qualche punto di vista, così mappare la conoscenza significa rappresentarne gli elementi fondamentali da qualche punto di vista. Una prima forma di rappresentazione delle idee, quella delle cosiddette mappe mentali, è nata nel contesto di un’attività assai importante: quella di schematizzare una conferenza, una lezione, una spiegazione; oppure, di prendere appunti, ascoltandola. la proposta suggerisce di partire da un elemento centrale e poi collegare a esso, in un’inflorescenza progressiva a forma di raggiera, le idee, i fatti, gli elementi concettuali che si possono progressivamente collegare. Si tratta di visualizzare in tal modo le associazioni che nella nostra mente, o in quella di un altro, possono esser messe in relazione tra loro a partire da un nucleo centrale. nello sviluppare una mappa di questo tipo si possono cogliere differenti livelli, tenendo conto delle relazioni implicate. tali mappe possono non solo essere costruite e comunicate, ma anche osservate, analizzate, criticate, rielaborate, trasformate dallo stesso loro creatore o da altri. queste forme di rappresentazione delle idee possono essere utilizzate in vario modo nel contesto scolastico o formativo: per preparare un testo scritto (un tema, una relazione, una descrizione, un’argomentazione ...), per riassumere un testo (un articolo, un libro, una lezione ...), per elaborare un progetto, ecc. più sofisticata è l’origine delle mappe concettuali. essa si radica nella discussione sviluppata nel corso degli Anni Sessanta del secolo scorso nell’ambito della psicologia cognitiva. in questi anni, superate le impostazioni esclusivamente com- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 125 126 portamentiste, alcuni studiosi avevano elaborato alcune teorie relative ai processi di apprendimento in particolare scolastici, tenendo conto degli apporti sia piagetiani, sia della psicologia della Gestalt. J. Bruner nel 1964 aveva proposto un’idea di curricolo basato sulle strutture portanti delle varie discipline. la struttura di una disciplina, secondo Bruner, è data dai suoi concetti chiave e dai suoi prin cìpi organizzatori che, come tali, permettono di inquadrare i vari dati dell’esperienza e le va rie conoscenze in un quadro organico. in realtà sono proprio tali concetti e tali princìpi che consentono da una parte la comprensione della materia scolastica, dall’altra una sua ulteriore espansione. inoltre sta proprio nell’acquisizione più per strutture, che per elementi isolati, la radice della possibilità di una efficace ritenzione e di un valido transfer. il concetto di struttu ra è stato visto da Bruner anche come organizzazione cognitiva, come mezzo per andare oltre l’informazione, per ritenere i dati nella memoria e per trasferire abilità apprese a situazioni nuove: è il principio secondo cui si apprende, si ritiene e si generalizza meglio il materiale che presenta un’organizzazione interna. D’altra parte, occorre evitare di considerare questi insiemi come architetture statiche e cristallizzate. tutt’altro. Di ogni insieme di concetti e di abilità può essere fornita più di un’organizzazione interna, anche in settori che sembrano i più refrattari a questo pluralismo, come la matematica. inoltre ogni campo della conoscenza è un organismo vivo e vitale, che cresce sia a causa di nuove conquiste, sia mediante una più profonda autocomprensione, cioè cogliendo meglio la propria identità. in quegli stessi anni David p. Ausubel (Ausubel, 1978) aveva approfondito il concetto di apprendimento significativo, contrapponendolo a uno di tipo meccanico. Un apprendimento significativo dei concetti implica che questi entrino a far parte di una rete di collegamenti adeguata, in particolare con le conoscenze che sono già state acquisite in maniera valida e stabile da parte dello studente. il loro grado di significatività è dato dalla qualità delle relazioni che essi hanno con altri elementi conoscitivi; in particolare dalla numerosità, dalla rilevanza e dalla profondità dei collegamenti stabiliti con l’insieme delle altre conoscenze ed esperienze. Sulla base di queste premesse due collaboratori di Ausubel, J. D. novak e G.B. Gowin, negli Anni o ttanta del secolo scorso hanno sviluppato una forma di rappresentazione visiva della struttura concettuale che sta alla base di una disciplina o di parte di essa. ne sono nate le mappe concettuali. queste tendono a rappresentare non solo gli elementi fondamentali di una parte della conoscenza, ma anche se non soprattutto, le relazioni che li legano tra di loro. Data l’importanza di una loro utilizzazione nella progettazione, come nella realizzazione di una o più lezioni e nella stessa valutazione dei suoi risultati in termini di apprendimento significativo, dedichiamo ora un ampio spazio sia alla teoria di riferimento di D. p. Ausubel, sia all’impianto sviluppato in seguito da J. D. novak, sia ai programmi informatici che ne permettono una forma digitalizzata. Anche perché una delle esperienze più positive nel valorizzare strumenti informatici, in particolare di natura mobile, è risultata LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 126 127 proprio la costruzione sia di mappe concettuali, sia di mappe cognitive. le prime si riferiscono a un’analisi e organizzazione dei concetti fondamentali di una disciplina o di una parte importante di essa (novak, Gowin, 1989). le seconde tengono conto della organizzazione concettuale soggettiva di ogni studente, cioè di ciò che egli ha compreso e strutturato nella sua mente di quanto studiato. esse si prestano bene, come accennato, nel momento progettuale delle lezioni da parte del docente, ma anche come modalità utile a riassumere in maniera strutturata e visibile quanto studiato da parte degli studenti. le seconde favoriscono una rappresentazione di quanto è stato raccolto e organizzato nella mente degli studenti; possono dunque costituire un buon metodo di rilevazione di ciò che è rimasto come patrimonio conoscitivo nella mente degli studenti. infatti, l’uso dei processi di visualizzazione dell’organizzazione interna delle conoscenze assume un ruolo estremamente interessante in fase di valutazione dei risultati di apprendimento, quando se ne vuole verificare non solo la significatività, ma anche la stabilità e la possibilità di ulteriore utilizzazione nelle applicazioni. 3. La teoria dell’apprendimento significativo di D. P. Ausubel Come abbiamo già accennato, l’introduzione delle mappe concettuali si appoggia sulla teoria dell’apprendimento significativo di D. p. Ausubel. questi chiarisce che quando si parla di concetti ci si riferisce in generale a rappresentazioni consce della realtà, largamente semplificate, schematiche, selettive e generalizzate (Ausubel, 1978, 649). “i concetti di una data materia non sono altro che i significati generali espressi da termini generali in una particolare disciplina. quando si espongono i concetti di una data materia, quindi, è importante che i progettisti ne comprendano chiaramente i significati, in modo preciso e altamente qualificato. È quindi desiderabile e opportuno che il programmatore possegga sia una preparazione specifica della materia, sia una preparazione pedagogico-psicologica. Solo le persone che sono preparate in entrambi i campi possono adottare tecniche psicologiche efficaci di presentazione, senza sovrapporre o distorcere la logica interna e le proprietà organizzative del contenuto stesso della materia” (Ibidem, 440). Ciascun alunno all’inizio di una qualsiasi esperienza di apprendimento possiede a un certo grado di sviluppo e di organizzazione un insieme di concetti, di princìpi, di regole, di procedimenti e capacità intellettuali oltre che di atteggiamenti e stati emozionali, consci o inconsci, che formano come una rete più o meno sviluppata sia nel senso della significatività che della strutturazione interna. tutto questo insieme di elementi conoscitivi, di capacità e di atteggiamenti è più o meno ben organizzato in modo coerente, stabile, produttivo. Certo, non tutte le relazioni significative sono sempre presenti; spesso si hanno separazioni e settorializzazioni. All’inizio, infatti, si può trattare soltanto di semplici associazioni, di aggregati, di esperienze interiorizzate slegate tra di loro. Anche in seguito questo insieme appare LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 127 128 spesso parcellizzato, costituito da costellazioni anche assai distanti tra loro e piene di buchi e confusioni. Un apprendimento significativo dei concetti implica che questi entrino a far parte di una rete di collegamenti adeguata, in particolare con le conoscenze che sono già state acquisite in maniera valida e stabile da parte dello studente. il loro grado di significatività è dato dalla qualità delle relazioni che essi hanno con altri elementi conoscitivi; in particolare dalla numerosità, dalla rilevanza e dalla profondità dei collegamenti stabiliti con l’insieme delle altre conoscenze ed esperienze. Di conseguenza si può parlare di un contenuto di natura concettuale che sia logicamente significativo se si innesta in una struttura ricca e articolata di riferimenti concettuali. la strutturazione di questo contenuto può essere considerata in sé, cioè vedendone la coerenza interna e l’utilizzabilità esterna, ma può essere visto anche in riferimento alla struttura conoscitiva dello studente: se cioè quest’ultimo possiede in qualche modo le idee che devono fare da perno di ancoraggio a quanto viene proposto per l’apprendimento. Se ciò avviene, il contenuto di apprendimento non solo è logicamente significativo, ma anche potenzialmente significativo, cioè l’alunno è in grado di farlo proprio in maniera da collegarlo validamente con quanto egli già conosce. l’apprendimento da questo punto di vista consiste nell’incorporazione del contenuto da apprendere nella propria struttura conoscitiva sotto l’influenza dell’insegnante. A partire da questa assunzione, si possono quindi distinguere due fondamentali tipi di apprendimento: ripetitivo, o meccanico, e significativo. a) Un apprendimento meccanico è caratterizzato dal fatto che il nuovo elemento di conoscenza viene acquisito in maniera isolata, senza connessioni o legami con quanto già si conosce. A causa di questa mancanza di relazioni tra il nuovo apporto e la struttura conoscitiva già svi luppata, la sola maniera praticabile per poterlo ritenere nella memoria consiste nella ripetizione meccanica e stereotipata. non si ha alcuna trasformazione né dell’apporto conoscitivo esterno, né della struttura conoscitiva interna. possiamo aggiungere che, rimanendo la nuova conoscenza isolata nell’insieme dei concetti posseduti, essa risulta difficilmente reperibile e utilizzabile. b) Un apprendimento significativo, invece, è caratterizzato dal fatto che il nuovo materiale da apprendere può collegarsi, e viene di fatto collegato, con gli altri concetti e le altre capacità già posseduti e quindi incorporato non in maniera isolata, ma in forma ben connessa con la struttura conoscitiva precedente. Sia questa che il nuovo apporto vengono più o meno tra sformati. la rete di relazioni che così si costituisce rende facile sia il ricordo che l’utilizzazione della nuova conoscenza. Se vogliamo promuovere un apprendimento veramente significativo, e questo è senz’altro necessario per molte attività didattiche che puntano su uno sviluppo e su conquiste di tipo cognitivo, occorre che il nuovo contenuto venga incorporato in maniera valida nella struttura conoscitiva degli allievi, e per giungere a ciò occorre rispettare alcune condizioni. a) Ciò che si deve apprendere sia logicamente significativo, cioè abbia caratteristiche tali da poter essere acquisito all’interno dell’insieme delle conoscenze, abi- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 128 129 lità, atteggiamenti di un allievo, che abbia raggiunto un dato grado di sviluppo. Ad esempio certe dimostrazioni matematiche, certe abilità di calcolo frazionario, certe conoscenze di tipo storico, certi concetti di natura scientifica possono risultare già in se stessi refrattari per alunni dell’età o del grado di maturazione dei nostri, o per la loro complessità o per la maniera con la quale sono rappre sentati simbolicamente. nella progettazione delle lezioni o dell’attività di studio e ricerca proposta, la costruzione da parte del docente della mappa concettuale che fornisce il quadro di riferimento per impostare il lavoro tende a garantire proprio che il contenuto d’apprendimento sia logicamente significativo, cioè abbia una sua buona organizzazione in quanto si evidenziano i concetti e le abilità più complessi e quelli che devono essere acquisiti prima in maniera adeguatamente compresa e stabile. Viene aiutata la individuazione delle tappe fondamentali del percorso didattico e quindi la possibilità di lavorare in maniera progressiva e sistematica. b) l’alunno possieda già le idee o i concetti fondamentali che devono fare da perno per la rea lizzazione della connessione tra la nuova conoscenza da acquisire e la struttura conoscitiva già esistente, cioè il contenuto d’apprendimento sia potenzialmente significativo. qui non si tratta di uno studente generico, ma di un ben preciso e concreto allievo, dotato di specifiche conoscenze e competenze. Anche in questo caso ci si può avvalere della metodologia di sviluppo della mappe concettuali, chiedendo di costruire da parte dello studente una mappa di quanto sa circa ciò che può fare da piattaforma di appoggio per conquistare i nuovi contenuti di apprendimento. in questo caso si cerca di rendere visibile attraverso una mappa cognitiva ciò su cui si può innestare il nuovo contenuto. Un lavoro di questo tipo può evidenziare eventuali carenze o più gravi lacune che impedirebbero l’acquisizione di ulteriori conoscenze e quindi intervenire per fornire in maniera previa ciò che deve fare da supporto o perno di ancoraggio dei nuovi contenuti. Dall’altra è un impegno che favorisce la rievocazione da parte degli studenti di quelle conoscenze e abilità che dovranno essere valorizzate nel processo di apprendimento successivo. in termini tecnici si tratta di attivare la parte di rete cognitiva che deve fare da supporto per il successivo lavoro. talvolta tale porzione di rete cognitiva deve essere messa in crisi, o destabilizzato, al fine di consentire una sua ristrutturazione che includa i nuovi elementi conoscitivi e le relazioni che li legano a quanto già presente. Un apprendimento significativo comporta spesso una trasformazione attiva e dinamica della struttura conoscitiva. Almeno una parte di essa, infatti, deve subire una riorganizzazione, che consenta al nuovo concetto o al nuovo procedimento di inserirvisi in maniera ben collegata e connessa con il restante della conoscenza. Ciò esige da una parte un processo di differenziazione, dall’altra uno di integrazione. il processo di differenziazione può essere visto anche come processo di messa in crisi o di destabilizzazione della struttura conoscitiva dell’alunno. quest’ultima infatti possiede una cer ta sua stabilità dovuta o alla bontà della sua organizzazione interna e al grado di coerenza raggiunto ovvero alla sua validità esterna, in quanto LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 129 130 si dimostra capace di interpretare giudi care ed intervenire in maniera conveniente nella realtà ambientale. la presenza di un elemen to perturbatore, sia esso costituito dalla presa di coscienza di lacune e incongruenze interne, ovvero dalla constatazione dell’insufficienza o erroneità nella sua utilizzazione verso l’esterno produce un effetto di disagio o di dissonanza, cosa che è all’origine di ciò che in psicologia viene definita “situazione problematica”. questa situazione problematica produce da una parte una spinta motivazionale verso il suo superamento, dall’altra attiva tutta una serie di condotte intellettuali atte a produrre una nuova strutturazione della conoscenza. Una situazione problematica diventa problema quando sono chiaramente definiti l’oggetto e il settore che sono all’origine dello stato di disagio e viene espresso in maniera altrettanto precisa l’obiettivo da raggiungere attraverso il lavoro intellettuale messo in moto. in altre parole diventa evidente quando si può affermare di aver risolto il problema e superata la situazione problematica. il processo di integrazione consiste poi nella constatazione e verifica della raggiunta soluzio ne del problema e nella ricomposizione della struttura conoscitiva in un nuovo stato stabile e ben organizzato nel quale la soluzione del problema viene incorporata solidamente. il lettore anche in questo caso potrebbe erroneamente credere che per giungere a una conoscenza significativa occorra superare tale stato problematico da soli, lavorando in modo autonomo, o al più mediante una ricerca di gruppo. in realtà se si è creato uno stato problematico, si è creato anche un bisogno di sapere, di conquistare, si è prodotta una domanda. Anche una comunicazione più o meno diretta della soluzione o della conoscenza che consente di superare tale situazione realizza allora un apprendimento significativo. Anzi, occorre dire che gran parte dell’apprendimento scolastico, soprattutto nelle classi più avanzate, avviene proprio per queste strade, cioè attraverso la comunicazione diretta fatta o dall’insegnante o da un libro di testo. Comunque occorre ricordare che per promuovere un apprendimento concettuale significativo è necessario che l’insegnante si accerti delle conoscenze già acquisite dallo studente e sulle quali può appoggiare i nuovi apporti. Ausubel affermava: “il fattore di gran lunga più importante nell’influenzare l’apprendimento è ciò che l’alunno conosce già. Verifichiamo quindi le sue conoscenze preesistenti e istruiamolo di conseguenza” (Ausubel, 1969, 4). c) lo studente possa e voglia realmente mettere in relazione il contenuto dell’apprendimento con la sua struttura conoscitiva in modo sostanziale e non solamente ripetitivo. questo stato motivazionale è decisivo ai fini di un apprendimento autenticamente significativo e dipende a sua volta da vari fattori, tra i quali si può accennare all’ansia di fronte a interrogazioni ed esami, a stati emozionali che disturbano uno studio sistematico e in profondità, a difficoltà di rapporti interpersonali tra alunno e insegnante, ecc. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 130 131 4. La nascita delle mappe concettuali novak e Gowin (1989), sulla base della teoria elaborata da Ausubel, hanno proposto una metodologia di analisi delle mappe o organizzazioni concettuali coerente con tale teoria. l’analisi delle mappe concettuali dovrebbe mettere in luce le relazioni esistenti tra i vari concetti, che vengono a costituire i nodi della rete, generalmente rappresentati mediante rettangoli. la natura di tali relazioni viene indicata per mezzo di un’appropriata espressione che descrive il significato delle linee di collegamento tra i vari rettangoli. la costruzione di mappe concettuali può servire all’insegnante per individuare i concetti fondamentali, o “concetti organizzatori” secondo la terminologia di Ausubel, di un dato argomento di insegnamento e il grappolo o rete di concetti che a questi sono più direttamente collegati. in questa maniera potrà organizzare la progressione concettuale secondo la quale procedere nel suo insegnamento. occorre comunque ricordare che di una disciplina, o di una sua parte, possono essere costruite mappe concettuali diverse a seconda della prospettiva, o punto di vista, adottata. Circa i vantaggi che le mappe concettuali possono dare all’attività didattica ne sono stati sottolineati vari (Rosati, 2013). in primo luogo si può ricordare che catturare e archiviare la conoscenza nella forma di mappe concettuali, piuttosto che di rapporti testuali o di tabelle, rende molto più agevole la sua fruizione da parte dei principianti. più specificatamente esse possono essere anche utilizzate: – per aiutare a individuare collegamenti e relazioni; – per favorire la consapevolezza di ciò che si sa rispetto a ciò che non si sa; – come schemi di riferimento in preparazione alla redazione di un testo; – per preparare a una presentazione o a una interrogazione orale; – come tecnica per prendere appunti; – come mezzo per promuovere la comprensione di testi e la capacità di riassumerli; – per accrescere la motivazione allo studio che consegue dalla costruzione attiva del proprio sapere; – come strumento per la progettazione dei curricoli scolastici o delle singole lezioni; – per valutare gli apprendimenti degli studenti (nodi e relazioni riflettono esplicitamente la conoscenza posseduta dall’allievo; – come quadri di riferimento sui quali appoggiare i nuovi apprendimenti. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 131 132 i principali limiti individuati da novak (novak, 2001) nell’uso delle mappe concettuali possono essere così riassunti: carenza di un adeguato addestramento di insegnanti e studenti; mancanza di una domanda-focus che guidi la costruzione delle mappe; difficoltà a costruire mappe esplicative-interpretative e conseguente forte prevalenza di mappe descrittive-classificatorie; difficoltà degli allievi nella costruzione di proposizioni e nella strutturazione gerarchica della mappa. Viene anche fatto osservare che un influsso negativo può derivare dall’abitudine degli studenti ad apprendere meccanicamente, che spesso nel breve periodo è meno im- Domanda Focale: Mappe concettuali Quali sono la struttura e le funzioni del concept mapping? Conoscenza Apprendistato Insegnamento Parole-legate Contesto Concetti Proposizioni Collegamenti Struttura gerarchica Creatività Interrelazioni rappresentano è costituita da dipendente da sono collegati da formano possono essere slimola mostrano slimola coglie favoriscono Figura n. 4 - Esempio di mappa concettuale dal testo di Fogarolo e Guastavigna (2013, 42). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 132 133 pegnativo, più veloce e può anche garantire il “successo scolastico” immediato, ma nel tempo si rivela più lento perché il sapere è soggetto a continua dimenticanza e a interferenze. per il superamento di tali ostacoli viene proposto: conoscere meglio i fondamenti epistemologici e i principi dell’apprendimento su cui le mappe concettuali si fondano; la capacità di porre buone domande da parte dell’insegnante, tra pari e rivolte a se stessi che stimolino progressivamente una comprensione più profonda; l’insegnante, in particolare, dovrebbe privilegiare il “porre buone domande” al “fornire le giuste risposte”. l’insegnante pertanto, nel guidare gli allievi alla costruzione delle loro mappe concettuali, può focalizzare la domanda cui la mappa dovrà cercare di rispondere; può elencare una lista di concetti che gli studenti dovranno includere nella propria mappa collegandovi, eventualmente, opportune risorse: la difficoltà maggiore consiste infatti nel costruire proposizioni più che nel trovare concetti (la ricerca e la scelta di risorse aggiuntive pertinenti promuove inoltre lo sviluppo del pensiero critico); può fornire, come supporto all’apprendimento, uno “scheletro esperto” dellamappa che dovrà essere sviluppata dagli alunni. Ciò consentirà loro di costruire la conoscenza su solide fondamenta. Se lo scheletro contiene molti concetti gli studenti possono costruire submappe associate a un concetto, eventualmente collegate a esso tramite legami ipertestuali. 5. Programmi che consentono di sviluppare da parte dei docenti e degli studenti mappe concettuali l’utilizzo di un software che faciliti lo sviluppo di mappe concettuali era ormai assai diffuso nel caso di tecnologie informatiche di natura fissa, come con l’uso del desk-top computer. Molti di tali software sono oggi disponibili anche per l’uso su tecnologie mobili e possono esser scaricati gratuitamente sul proprio strumento mediante app. Alcuni di tali software sono scaricabili a titolo oneroso. È utile prendere in considerazione sia il software per desk-top, sia quello per tablet, anche perché molte volte si è più inclini a lavorare sul primo tipo di tecnologia. Un utile strumento di consultazione anche per quanto riguarda l’uso di programmi digitali è il quinto capitolo del volume già citato di Fogarolo e Guastavigna. Un software molto diffuso e che in qualche modo costituisce un riferimento fondamentale in inglese è quello disponibile a titolo gratuito iHMC-Cmaptools sviluppato dall’Institute for Human and Machine Cognition. esso può essere recuperato dal sito http://cmap.ihmc.us51. ne esiste anche una sua edizione italiana sul sito http://Cmaptools.forumer.it. 51 Una raccolta di molteplici software (circa trecento) per mappe concettuali e cognitive si trova in: http://www.mind-mapping.org/minf -mapping-sofware/97. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 133 134 Si tratta di un programma particolarmente utile quando si abbia bisogno di esprimere in maniera chiara e concisa, mediante un editor di mappe concettuali, strutture concettuali, idee, progetti, teorie. È possibile condividere le mappe e cooperare con altri utenti connessi, sia localmente, sia sul web, al fine di realizzarle (si deve però prima installare un CmapServer). Alla base di questo software sta l’idea del lavoro collaborativo e della partecipazione attiva degli utenti. le mappe sono facilmente realizzabili, con pochi clic si possono creare nodi concettuali e relazioni associative, questi elementi sono poi personalizzabili con colori, font e altro. esistono anche funzionalità avanzate che permettono di creare mappe utilizzando risorse del web, collegamenti ad altre pagine della rete, file allegati oltre a qualsiasi tipo di file multimediale o ai grafici. Una volta creata la mappa essa può essere stampata o esportata in alcuni dei formati più utilizzati (pDF, JpG, HtMl). per scaricare in modo totalmente free questo software è necessario effettuare una registrazione gratuita sul sito del distributore del software. Un programma italiano è denominato Ipermappe. Si tratta di un programma sviluppato espressamente dal Centro Studi erickson per lo studio individuale e la didattica collaborativa in classe. Sua caratteristica principale è la possibilità di produrre delle mappe concettuali, ossia delle rappresentazioni delle conoscenze che associano agli elementi (i nodi e i collegamenti) anche contenuti supplementari, in particolare testi e immagini, da aprire durante la fase, di consultazione. per accedere in modo completo a una mappa è necessario pertanto consultarla per mezzo di un computer, perché la versione stampata su carta rappresenta solo un indice visivo, necessariamente ridotto. Anche nella costruzione di una di queste mappe è consigliato l’uso di libri digitali per ricavare velocemente i testi da strutturare. il programma è particolarmente attento alla velocizzazione delle procedure e offre diverse funzioni per ridurre i tempi di costruzione delle mappe. il programma è a pagamento, ma è disponibile gratuitamente un visualizzatore che consente di leggere e navigare, ma non di modificare, i file prodotti. Ciò può essere utile, in particolare, per far consultare agli allievi a casa, anche senza possedere il programma, i materiali prodotti in classe o in laboratorio (Fogarolo, Guastavigna, 2013, 252). Sono poi disponibili vari programmi e app dedicati soprattutto alle mappe mentali. eccone alcuni che sono utilizzabili a titolo gratuito. – MindMeister. Si tratta di una web app gratuita che permette di creare e gestire facilmente delle mappe mentali, usando comode scorciatoie da tastiera e/o da menu estremamente semplici anche per chi è alle prime armi. È disponibile sotto forma di applicazione per iphone, ipad ed Android e consente di esportare le proprie mappe sotto forma di file pDF, JpG, pnG o GiF per una consultazione off line. – Xmind. include tutte le funzioni che ci si aspetterebbe da un software del genere con inoltre la possibilità di creare un account gratuito on line e condividere le proprie mappe concettuali con gli altri incorporandole in blog e siti internet. È disponibile per Windows, Mac oS X e linux, sia in edizione standard, sia in versione portable che non necessita di installazioni per poter funzionare. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 134 135 – FreeMind è un programma per fare mappe mentali, basato sulla tecnologia Java, il che rappresenta sia un pregio che un difetto. il pregio consiste nel fatto che il software può essere usato su tutti i principali sistemi operativi (Windows, Mac oS X e linux), mantenendo la stessa identica interfaccia utente, il difetto è che per eseguirlo occorre necessariamente avere il software Java installato sul pC. A parte ciò, è molto semplice da utilizzare e permette di esportare le mappe concettuali create sotto forma di file in formato HtMl, pDF e pnG. 6. Valorizzare alcuni recenti suggerimenti metodologici, come le classi capovolte nella tradizione italiana si erano già introdotte forme analoghe a quelle che ora sono divulgate come modalità innovative dovute all’introduzione delle tecnologie mobili. in realtà chiedere agli studenti di leggere testi o di approfondire tematiche specifiche, valorizzando fonti date dal docente o reperite in biblioteca, per poi in classe discuterne e verificare la qualità di quanto affrontato è stata una delle varie maniere di coinvolgerli in maniera più puntuale. tuttavia, oggi le opportunità date dalla comunicazione tra docente e suoi studenti tramite le tecnologie mobili permette di inviare loro testi, video, o altro materiale da leggere, vedere e studiare, per poi in classe discuterne, esercitarsi, produrre individualmente e collettivamente elaborati di vario tipo. nella versione più diffusa, e proposta anche attraverso video presenti nella rete da parte di un gruppo di appassionati (http://flipnet.it), l’impostazione prevede che i ragazzi studino a casa i video delle lezioni per apprendere in anticipo i contenuti dei corsi. poi in classe svolgono, in piccoli gruppi collaborativi, quelli che sarebbero stati i compiti per casa. l’insegnante valuta continuamente il lavoro dei singoli e dei gruppi, premia la creatività più dell’apprendimento mnemonico, evita l’isolamento degli alunni demotivati o meno capaci e valorizza le capacità delle eccellenze: in una parola personalizza l’apprendimento. più sofisticate alcune altre proposte, che prevedono una maggiore autonomia degli studenti nel scegliere i materiali (testi, audio, video, ecc.) messi a disposizione tramite la rete e impostare il proprio lavoro. in genere si insiste nel mettere in evidenza la novità fondamentale: i compiti a casa prevedono lo studio di quanto proposto dagli insegnanti o scelto dagli studenti seguendo i loro ritmi e avendo a disposizione possibilità di rileggerlo o rivederlo a seconda della necessità; in classe si svolgono attività di verifica, di discussione, di esercizio pratico, di lavoro individuale o di gruppo, ecc., mentre il docente può seguire anche personalmente i gruppi o i singoli studenti. nel prendere in considerazione quanto proposto sia sul piano internazionale, sia in ambito italiano, occorre comunque sempre tener conto del livello e della tipologia della scuola o del corso di Formazione professionale. Si ripropone, infatti, la questione dell’adattamento della pratica didattica allo stato di preparazione degli studenti da una parte e agli obiettivi che la normativa nazionale o la programma- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 135 136 zione curricolare prevede, dall’altra. più si è all’inizio del percorso di studi (scuola dell’infanzia e/o scuola primaria) più si pone l’esigenza di adattare l’attività didattica alle condizioni di preparazione, ai ritmi di apprendimento, ai progressi effettivi degli studenti; ma più ci si sposta nel percorso verso qualificazioni superiori, quali quelle previste dal quadro europeo delle qualifiche al quarto o quinto livello, più nasce l’esigenza di promuovere conoscenze, abilità e competenze, che devono essere certificate. in questi casi entrano in gioco non solo le dimensioni soggettive del processo formativo, ma anche le esigenze di un riconoscimento pubblico delle competenze effettivamente acquisite al fine di esercitare specifiche attività tecnicoprofessionali o di accedere a corsi universitari. infine, non possono essere ignorate alcune variabili cruciali come la disponibilità a casa propria di spazi di lavoro tranquilli, di strumenti digitali adatti e di interconnessioni agevoli, di un livello di motivazione e di impegno adeguati per evitare di presentarsi a scuola non preparati. Sulla classe capovolta o rovesciata sono stati pubblicati vari contributi. tra questi si possono citare il volume di Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro del 2014 (Maglioni, Biscaro, 2014) e l’articolo di Roberto Franchini “the flipped classroom (le classi capovolte)” (Franchini, 2014). quanto alle strategie didattiche che possono essere attivate sia nel caso di classi capovolte, sia più in generale, dall’esperienza sviluppata nel tempo e sulla base di dati di ricerca, è risultato valido e particolarmente efficace il cosiddetto insegnamento reciproco (Hattie, 2009) tra studenti. Si tratta di una metodologia che favorisce il mutuo insegnamento tra compagni e consiste nel proporre agli studenti di utilizzare le loro conoscenze e competenze che per favorirne l’apprendimento e lo sviluppo nei propri compagni. Ciascuno studente indica quali conoscenze o quali competenze ritiene di possedere in maniera particolare; queste diventano l’argomento secondo il quale egli è impegnato nel proporlo ai compagni (topping, 2014). Attraverso questa esperienza si rende conto di quanto conosce e di quanto è abile nel comunicarlo agli altri. la metodologia dell’insegnamento reciproco si basa sul dialogo orale tra studenti, ne valorizza il ruolo e favorisce il suo sviluppo in ambito dell’apprendimento. Ad esempio, nella lettura di un testo possono emergere problemi di comprensione, questi diventano spazio di ricerca e di dialogo tra due o più compagni al fine di giungere una comprensione più profonda. ne deriva anche il suggerimento di valorizzare il tablet a coppie, in modo da potersi aiutare nell’affrontare i vari compiti, utilizzando tale tecnologia. Ciò può essere fatto sia in classe, sia a casa collegandosi ai compagni. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 136 137 Nono capitolo Fase di avvio e di sviluppo dell’attività didattica Tra la progettazione dell’attività didattica e la sua realizzazione esiste la stessa relazione tra la fiducia che sia ha circa il verificarsi di un evento futuro e la raccolta di informazioni che via via si riescono a raccogliere e le riflessioni che ne seguono al fine di migliorare il giudizio iniziale. Per quanto si possa prevedere lo svilupparsi del processo di apprendimento dei propri studenti, occorre essere aperti alla realtà di quanto si constata via via e di conseguenza adattarsi alla nuova situazione. Per questo è stato introdotto il concetto di valutazione formativa e la sua interpretazione come strumento fondamentale per favorire l’apprendimento. Da due punti di vista: come informazione per lo studente al fine di migliorare il suo apprendimento; come informazione al docente al fine di adattare la sua azione alla situazione riscontrata e migliorare. 1. Strutturazione dell’ambiente di apprendimento e avvio dell’attività occorre distinguere in primo luogo se l’aula a disposizione è mia e la posso configurare permanentemente come penso sia utile per il mio lavoro, oppure devo cercare di adattarmi a un’aula comune, che necessariamente dovrò lasciare al mio successore in condizioni a lui confacenti. nel primo caso l’impresa è più semplice, anche se certamente impegnativa dal punto di vista dell’organizzazione delle risorse disponibili. Due di queste sembrano indispensabili nella prospettiva ibrida assunta: una biblioteca specializzata nella disciplina d’insegnamento (anche sotto forma di ebook) e un computer fisso collegabile in wi-Fi con gli strumenti che gli studenti hanno a disposizione, siano essi personali e portati da casa, oppure dati in uso da parte della scuola. naturalmente anche il docente ha il suo strumento mobile e tramite la rete e il sistema di riferimento e di comunicazione adottato (sia esso Google Drive o Dropbox), egli deve potersi collegare con i suoi studenti per inviare, o permettere loro di accedere a messaggi, documenti, video, audio o testi e ricevere da loro quanto richiesto come loro impegno. inoltre deve esserci la possibilità di proiettare su uno schermo quanto ritenuto utile ai fini di un lavoro collettivo. Se, invece, si tratta di un’aula in comune, questa deve essere dotata della stessa strumentazione di base; tuttavia, essa ogni volta dovrà essere strutturata e calibrata secondo le necessità personali di ciascun docente. Ciò può richiedere tempo e anche assistenza tecnica più frequente. nell’esperienza documentata di un utilizzo LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 137 138 di un sistema completo, come quello proposto dalla Samsung, i problemi maggiori derivavano dalla necessità di avere a disposizione una buona assistenza tecnica (Rivoltella, 2014). inoltre, la disposizione dei posti nella classe non potrà essere facilmente strutturata secondo le proprie preferenze organizzative, anche se tavoli e sedie facilmente spostabili e assemblabili possono facilitare diverse impostazioni di lavoro: a banchi allineati, in circolo, per gruppi, ecc. Sempre che lo spazio e il numero degli studenti lo consenta. Comunque, l’idea fondamentale è che l’ambiente, dove si svolge l’apprendimento degli studenti, debba essere un ambiente il più possibile flessibile, cioè adattabile alle esigenze poste dal modo di impostare la lezione, o le lezioni, che il docente intende attivare, tenendo conto della domanda di formazione che proviene dai suoi studenti. All’inizio di ogni lezione o gruppo di lezioni, occorre sempre procedere sulla base di alcuni passaggi fondamentali: a) cercare di focalizzare su di sé l’attenzione; b) indicare o richiamare il senso degli apprendimenti proposti e verso quali obiettivi in termini di conoscenze, abilità e competenze ci si muove; c) indicare le conoscenze previe sulle quali ci si basa per procedere ed eventualmente verificarle e consolidarle; d) precisare quali modalità di verifica degli apprendimenti verranno adottate sia durante, sia alla fine del lavoro collettivo. tutto questo può essere inviato in anticipo ai singoli studenti, chiedendo loro di leggerli e verificando poi in classe se ciò è stato fatto, rispondendo a richieste di chiarificazione, precisando alcuni punti. insomma, riprendendo e consolidando quanto gli studenti dovrebbero avere già afferrato nelle sue linee generali. quanto all’attivazione delle conoscenze previe, quelle che dovrebbero essere disponibili nella memoria di lavoro degli studenti all’inizio della lezione, sono state suggerite varie tecniche (pellerey, 1994). esse possono essere valorizzate anche attraverso le vie di comunicazione disponibili prima dell’attività in classe. tuttavia, quanto ottenuto a distanza dovrà essere poi ripreso in classe. Viene utilizzato molte volte un pretest, cioè un insieme di domande correlate proposto allo studente all’inizio del processo di apprendimento, che si riferisce direttamente alle conoscenze, abilità e atteggiamenti oggetto di apprendimento. esso svolge due funzioni: a) sondare in maniera più o meno completa e profonda il complesso di conoscenze e competenze già posseduto dall’allievo nel settore specifico di apprendimento; b) risvegliare l’attenzione su alcuni problemi, concetti, fatti che risultano rilevanti per lo studio del materiale didattico e così collegare da una parte l’unità didattica con quanto l’allievo già possiede, dall’altra orientarlo nel suo lavoro. tale strumento informa sia lo studente, sia gli insegnanti, se l’unità didattica è adeguata o meno al suo livello di conoscenza e di abilità; mettendo lo studente in guardia circa quanto si richiederà da lui. Un’altra forma di preparazione alle lezioni consiste nel proporre una panoramica iniziale. essa ha la forma di una esposizione scritta, talvolta corredata da disegni o diagrammi, orale o video, che introduce a un argomento poco familiare e LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 138 139 focalizza l’attenzione sulle cose essenziali: concetti, principi, tecniche. tutto ciò è comunicato allo stesso livello di generalità e comprensività del materiale di apprendimento ed è efficace soprattutto attraverso la sottolineatura selettiva dei concetti centrali e la familiarizzazione con alcune parole chiave. insomma, tali panoramiche dovrebbero fornire un quadro di riferimento generale entro cui collocare il lavoro successivo preparando così la struttura conoscitiva dello studente al processo di apprendimento: sottolineano i punti focali del materiale didattico che verrà proposto. Ausubel ha suggerito un altro strumento di preparazione: i concetti organizzatori anticipati (o propedeutici). Si tratta di un materiale introduttivo steso a un livello di generalità e comprensività superiore al contenuto successivo e che può essere correlato in modo significativo con le idee già possedute dallo studente. Si tratta di richiamare e/o di introdurre i perni concettuali che permettono l’ancoraggio del materiale di apprendimento alla struttura cognitiva del discente, fornendo così un’impalcatura concettuale pertinente e aumentando la discriminabilità del nuovo materiale di apprendimento delle idee ad esso collegate e precedentemente apprese. È necessario che essi siano formulati in termini di linguaggio e di concetti già familiari all’allievo e devono usare illustrazioni e analogie appropriate. i concetti organizzatori anticipati: sollecitano la matrice cognitiva dello studente, evidenziando i perni concettuali a cui ancorare il materiale d’apprendimento; forniscono la rete o riferimento concettuale che farà da supporto a tutto il processo didattico. l’uso di queste tecniche è da commisurare attentamente alle esigenze e al livello proprio del tipo di insegnamento. Una loro utilizzazione combinata sembra indispensabile all’innesco di un autentico processo di apprendimento. tuttavia, non ci dobbiamo mai attendere effetti automatici. È la reale problematizzazione della struttura conoscitiva dell’allievo che rimane il perno di riferimento. le tecniche sono solo strumenti per realizzare questo innesco e d’altra parte esse non sono le uniche a disposizione dell’insegnante. 2. Lo sviluppo dell’attività didattica in una prospettiva ibrida nel promuovere lo sviluppo dell’attività didattica sono stati indicati alcuni elementi da tenere ben presenti: a) fornire progressivamente i contenuti da apprendere favorendo la loro comprensione e organizzazione; b) valorizzare forme di feedback valido ed efficace verso gli studenti e quello che proviene da loro verso l’insegnante; c) controllare la comprensione delle conoscenze proposte e favorire la loro applicazione; d) sostenere l’attenzione e lo stato motivazionale. la metafora che sembra sempre valida ed efficace nel descrivere come dovrebbe svolgersi una lezione, o un insieme di lezioni, sembra essere quella a suo tempo proposta da Gordon pask e ripresa in seguito da molti autori come Diana laurillard (laurillard, 2012). Si tratta di attivare e sostenere nel tempo uno spazio LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 139 140 conversazionale valido teoricamente e produttivo sul piano degli apprendimenti tra docente, studente e tra questi e i suoi compagni. in questo stessa prospettiva si può evocare quello che è stato definito il clima della classe, cioè il complesso delle modalità di interazione presenti tra le persone. la piattaforma comunicativa che si riesce a stabilire diventa come una precondizione perché le varie iniziative possano trovare un terreno fecondo di lavoro. in questo quadro entrano in gioco anche gli strumenti comunicativi di cui si può disporre, senza dimenticare quello fondamentale della parola, del docente come di quella dei suoi studenti. la presenza che si va diffondendo delle tecnologie mobili (tablet e smartphones), secondo quanto esaminato per esempio in inghilterra, non sembra modificare molto le forme di insegnamento che i docenti adottano sulla base della loro esperienza precedente, soprattutto a livello di scuola del secondo ciclo di istruzione e Formazione. Una possibile spiegazione può essere esplorata se si fa riferimento al noto triangolo dell’apprendimento di (Cfr. Fig.1 n. 1) e si esaminano i rapporti che sono presenti, e quelli che si desidererebbero, tra i vari riferimenti messi in evidenza. Contenuto Studente Docente Figura n. 1 - Il triangolo didattico fondamentale. qual è il rapporto tra il docente e il contenuto del suo insegnamento? in tale rapporto quale ruolo svolgono i diversi canali informativi e conoscitivi disponibili, inclusi libri, rete, computer, tablet, ecc. probabilmente la modalità con cui apprende e si aggiorna il docente nel suo ambito culturale segna anche la tendenza che egli manifesta in classe nel proporre le strade di apprendimento ai suoi studenti. D’altra parte, gli stessi studenti sono influenzati nel loro studio dalla comunicazione di base che egli stabilisce con loro. Si tratta di quella che può essere definita la cultura di riferimento della classe o della stessa scuola. questa segna non solo il modo di avvicinare e sviluppare i vari contenuti d’apprendimento, ma anche come saranno valutati i risultati d’apprendimento degli studenti. tale constatazione conduce a segnalare l’importanza di favorire, quanto possibile, lo sviluppo da parte del docente delle competenze digitali necessarie nell’apprendere, nello studiare, nell’aggiornarsi e nel lavorare. egli, infatti, come noteremo ulteriormente, si propone come un modello di lavoro intellettuale di fronte ai suoi studenti, sollecitando in loro analoghe modalità d’azione. quanto alle forme ideali di sviluppo di tale conversazione, tenendo conto del contesto culturale e sociale attuale, può essere rievocata la prospettiva già esaminata: la prospettiva ibrida. in questo caso si tratta di valorizzare in maniera congruente con la situazione da affrontare le varie possibilità metodologiche. esse LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 140 141 vanno da un insegnamento diretto ed esplicito, quale quello discusso nel sesto capitolo, a uno indiretto che lascia maggiore autonomia agli studenti nel loro cammino di apprendimento. occorre ricordare come, anche in base alla normativa attuale, non basta promuovere l’acquisizione di conoscenze significative e stabili: occorre anche sollecitare una loro valorizzazione nell’affrontare situazioni sfidanti sia interne, sua esterne alla loro esperienza scolastica. non è il caso di approfondire qui la relazione esistente tra saperi e competenze, occorre tuttavia prevedere nella progettazione didattica attività che implichino da parte degli studenti l’utilizzazione del loro patrimonio conoscitivo in attività che li coinvolgano progressivamente in maniera sempre più autonoma e responsabile. Una delle dimensioni formative oggi più importanti, infatti, come precedentemente ricordato, riguarda proprio lo sviluppo delle capacità di autodeterminazione e di autoregolazione personali nello studio e nel lavoro. 3. Insegnamento esplicito e diretto e utilizzo di tecnologie mobili Se si sceglie inizialmente di favorire un’acquisizione significativa e stabile di fatti, concetti, teorie e procedure, tramite una comunicazione diretta ed esplicita ottenuta sia attraverso la spiegazione orale del docente, sia attraverso la lettura di documenti o testi, l’ascolto di audio, la fruizione di video o di altre risorse raggiunte attraverso la rete si possono seguire le strategie suggerite da Rosensheine (Rosensheine, 2012). questi ricorda come gli insegnanti, riconosciuti efficaci nella varie ricerche internazionali, avviano le loro lezioni richiamando brevemente gli apprendimenti precedenti; presentano la nuova materia per piccoli passi, seguiti da attività pratiche e all’inizio di tali pratiche guidano da vicino gli studenti; ragionano ad alta voce per evidenziare ciascuna tappa di un procedimento; esigono e ottengono una partecipazione attiva da parte di tutti; danno incombenze e spiegazioni chiare e dettagliate; porgono molte domande e verificano la comprensione degli studenti; mostrano esempi di problemi completamente risolti; domandano agli studenti di esplicitare la loro comprensione; verificano le risposte di tutti; presentano numerosi esempi; riprendono alcune spiegazioni quando necessario; preparano gli studenti a sviluppare pratiche di lavoro autonomo e all’inizio li seguono in tale impegno. tutto questo è compatibile certamente anche con un’organizzazione didattica che si ispira alle cosiddette classi capovolte, o flipped, e all’utilizzazione di canali comunicativi mediati da tablet o smartphones. per essere chiari, per attivare un insegnamento diretto, o esplicito, non è necessario ricorrere a quelle che sono state definite “lezioni frontali”. infatti, assimilare un insegnamento diretto alle sole lezioni frontali è del tutto improprio, anche se evidentemente nel realizzare tale tipo di insegnamento è possibile limitarsi ad esse. l’esempio storico più significativo di insegnamento diretto integrato con processi di soluzione di problemi è quello presente nella Summa Theologiae di tom- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 141 142 maso d’Aquino. Si tratta di un trattato che ha una struttura espositiva complessa e minutamente articolata, chiaramente orientata a raggiungere obiettivi di conoscenza precisi in maniera sistematica e quindi possiamo collocarlo nel quadro di insegnamento diretto ed esplicito, anche perché riflette la maniera stessa di procedere del docente universitario del tempo. tale percorso è però articolato secondo momenti che implicano una dinamica di pensiero di natura problematica: un vero insegnamento per problemi. Ciascun momento o passaggio è denominato “articolo” la cui intestazione è una domanda. Ad esempio un articolo si pone la questione: se la giustizia sia la principale virtù morale. Così ogni articolo inizia enunciando innanzitutto il problema da affrontare, poi vengono avanzate una serie di possibili soluzioni e relative proposizioni, e relative prove, che risolverebbero la questione, generalmente in senso negativo. A queste fa seguito un’affermazione, tratta generalmente da fonti filosofiche o bibliche, di orientamento opposto. il pensiero del lettore è messo di fronte a una situazione di incertezza. Ci sono elementi a favore d’ipotesi contrastanti. A questo punto egli espone in maniera rigorosa la sua soluzione fornendone le argomentazioni probanti. infine, ed è questa una tipica maniera di consolidamento, o rinforzo, della soluzione trovata, egli passa in rassegna le posizioni inizialmente esposte per analizzarne la limitatezza, la falsità, oppure la verità. Si tratta di migliaia di articoli raccolti in Quaestiones, o problematiche, che costituiscono un imponente edificio progettato con cura analitica minuziosa. e. panofsky (panofsky, 2010) lo paragona a una cattedrale gotica, mirabilmente stabile e strutturata nonostante la leggerezza delle sue guglie, l’arditezza delle sue navate, la delicatezza dei suoi portali. Certo oggi non possiamo pensare a una progettazione didattica di tal genere. Ma anche se dobbiamo essere sensibili alla realtà della dinamica del pensiero e degli interessi dei nostri studenti, situando i momenti di sollecitazione all’apprendimento in coerenza con la loro esperienza, dobbiamo anche essere capaci di ricondurre l’episodicità di molti interventi entro un processo formativo ben orientato verso le sue finalità fondamentali e progressivo nel suo sviluppo verso di esse. in termini moderni si potrebbe definire l’impianto di tommaso d’Aquino come chiaramente orientato, quindi di tipo intenzionale e sistematico, ma che procede per piccoli passi, o micro-unità didattiche, che sollecitano il lettore sia quanto a conoscenze già disponibili, sia quanto a competenze nel pensare per procedere oltre. la dinamica di pensiero suggerita nelle cosiddette eAS (episodio di Apprendimento Situato) da Rivoltella è analoga (Rivoltella, 2013, 52-53). Si parte da un momento anticipatorio caratterizzato da uno stimolo e da una consegna, seguito da un momento operatorio nel quale lo studente è impegnato nel mettere alla prova la sua competenza, producendo un risultato; infine si ha un momento ristrutturativo che mira a dare, mediante la riflessione, consapevolezza del valore del risultato, favorendone il ricordo. per evitare una eccessiva frammentazione e parcellizzazione di tali episodi, il modello di tommaso d’Aquino offre un soluzione: progettare tali episodi in maniera chiaramente finalizzata e proposti in maniera sistematica. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 142 143 4. Apprendere da un modello la stessa cosa vale anche quando ci si appoggia a forme di apprendistato pratico e cognitivo, quali possono essere realizzate sia direttamente dal docente, sia tramite esperienze mediate, sia attraverso l’attivazione di vere comunità di pratica, nelle quali si attuino esperienze di insegnamento reciproco. nella prospettiva di un insegnamento esplicito e diretto può essere certamente inserito come un momento fondamentale il processo di apprendere da un modello. in particolare quando l’insegnante intende proporre forme di lavoro particolarmente valide, mediante lo sviluppo di un tipo di apprendistato, anche cognitivo, che valorizza il meccanismo psicologico dell’esperienza vicaria.52 negli studi di tipo socio-cognitivo s’indicano quattro livelli di progressiva acquisizione delle competenze attraverso le forme di apprendistato; non sempre occorre passare attraverso questi quattro livelli: essi indicano solo che la padronanza raggiunta in ognuno di essi facilita l’apprendimento successivo. Dal punto di vista dei risultati di apprendimento la storia della pedagogia ha messo in evidenza come l’apprendistato sia emerso nel tempo come una delle forme più efficaci di insegnamento. oggi se ne rivaluta la validità non solo nel caso delle proposte legate ai contesti professionalmente segnati53, ma anche in quelli più tipicamente scolastici. il primo livello è fondamentalmente legato all’osservazione di un maestro o esperto, che induce a considerare gli elementi fondamentali che concorrono a formare la sua competenza. l’esperienza vicaria, attivata dalla presenza di un soggetto già competente, permette di osservare direttamente le modalità attraverso le quali è possibile e utile attivare conoscenze e abilità già possedute per orchestrarle al fine di affrontare positivamente la situazione o il problema presente. la variante dell’apprendistato cognitivo implica un’adeguata manifestazione esterna di processi e strategie interne, normalmente messi in atto in maniera non evidente. Mediante tecniche di verbalizzazione, analoghe a quelle proprie del cosiddetto thinking aloud o della réflexion parlée, rispettivamente descritte da A. newell e H. A. Simon e da e. Claparède nello studio delle strategie di soluzione di problemi, è possibile comunicare tali processi e strategie in maniera efficace. in tal modo si evidenziano alcune abilità strategiche e di alcuni processi cognitivi e affettivi e se ne favorisce l’interiorizzazione. in particolare, si possono citare: mettere a disposizione standard di valutazione delle prestazioni messe in atto; seguire orientamenti motivazionali con- 52 È un processo psicologico che si mette in moto quando una persona osserva, prestandovi attenzione, i comportamenti di altre persone e li interiorizza, nel senso che vive in terza persona le situazioni e le vicende di altri e tende a conservare queste esperienze nella propria memoria. presentandosi una situazione analoga, quasi automaticamente si sente portata a comportarsi in maniera simile. Attraverso tale processo i soggetti interiorizzano modi di agire e di reagire, regole e forme di comportamento e di relazione, formando così un patrimonio di esperienza che una volta codificata internamente serve da guida all’azione. 53 Ad esempio negli studi legati alle cosiddette comunità di pratica. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 143 144 gruenti; essere sensibili a valori di riferimento; persistere nell’attività nonostante elementi di disturbo sia cognitivo, sia emozionale; ecc. la constatazione che l’esperienza vicaria non sia sufficiente per passare all’effettiva manifestazione autonoma della competenza, implica come sviluppo ulteriore la necessità di passare a prestazioni che cercano di imitare forme o stili d’azione, legati ad abilità che possono essere guidate e corrette socialmente. Si tratta del livello denominato dell’emulazione. tuttavia, ben difficilmente il soggetto che apprende riesce a realizzare prestazioni che si avvicinano alla qualità generale di quelle del modello. Un miglioramento si può avere se la persona competente adotta un ruolo docente e offre guida, feedback e sostegno durante l’esercizio pratico. D’altra parte, il riuscire a emulare almeno in alcuni aspetti generali un modello ha effetto sullo stato di motivazione favorendo l’impegno ulteriore. occorre segnalare come a questi due primi livelli la fonte di apprendimento delle abilità auto-regolatrici è esterna al soggetto che apprende. negli ulteriori livelli di sviluppo di tali abilità, come vedremo subito, il riferimento diventa interno. il terzo livello si raggiunge quando si è in grado di sviluppare forme indipendenti d’abilità, esercitate però in contesti e condizioni strutturate. È il livello denominato dell’autocontrollo. non basta infatti la presenza di un insegnante o di un modello, occorre una estesa e deliberata pratica personalmente esercitata: prestazioni che si svolgono in contesti organizzati affinché i soggetti si impegnino a migliorare e ad auto-osservarsi. il soggetto competente non è più presente e il riferimento a standard di qualità è interno, si tratti di immagini o di verbalizzazioni. il raggiungere livelli di qualità desiderati sostiene e alimenta la motivazione a impegnarsi. infine, si raggiunge il livello della competenza vera e propria quando il soggetto riesce ad adattare da solo le proprie prestazioni sulla base delle condizioni soggettive e ambientali varianti. egli riesce a mutare le sue strategie in maniera autonoma. la motivazione può fare riferimento a sentimenti di auto-efficacia. non c’è più grande bisogno di auto-monitoraggio. D’altra parte, dal momento che le competenze dipendono anche dalle condizioni esterne, possono presentarsi nuove situazioni che evidenziano i limiti delle competenze già acquisite ed esigono nuovi apprendimenti. l’importanza di offrire esperienze di apprendistato sta anche nella constatazione che molte componenti della competenza da sviluppare sono di natura tacita e non possono essere formalizzate tramite norme o indicazioni esplicite verbali. esse possono essere colte e fatte proprie solo nell’interazione diretta e nella comunicazione che l’accompagna. tuttavia, in questo possono essere utili video commentati che ne esplicitano la presenza, narrazioni che tendono a focalizzare l’attenzione su aspetti meno evidenti e pur centrali nello svolgere un’attività. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 144 145 5. Favorire una comunicazione multimediale Una delle qualità fondamentali delle tecnologie mobili attuali è quella di poter presentare contenuti in forma multimediale; non solo, ma permettere di interagire con essi in maniera esplorativa e costruttiva. l’importanza di tale constatazione dal punto di vista dei processi di apprendimento deriva dalla natura del sistema umano di elaborazione delle informazioni, che utilizza i due canali, o sistemi di codificazione, evidenziati da Richard paivio (paivio, 1986): quello verbale e quello visivo non verbale. Ciò ha delle implicazioni importanti nella progettazione e nella pratica didattica. Si tratta di presentare il materiale didattico usando tutti e due i canali, o sistemi di codifica e di trattamento dell’informazione, nell’intenzione di promuovere meglio l’apprendimento. tuttavia, la progettazione di contenuti multimediali può adottare un approccio centrato sulla tecnologia o un approccio centrato sulla persona che apprende. la progettazione centrata sulla tecnologia cerca di mettere a profitto le opportunità delle tecnologie emergenti e mette l’enfasi sull’importanza dell’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella concezione delle presentazioni multimediali. l’approccio centrato sulla persona che apprende, a sua volta, mette l’enfasi sulla natura del sistema cognitivo umano. Si tratta di cercare di capire come funziona la mente umana e di adattarne la tecnologia. in questa prospettiva, la tecnologia è percepita come uno strumento a servizio dell’apprendimento e della cognizione umana. Si tratta, allora di adattare la tecnologia ai bisogni di apprendimento del soggetto. Se si assume questa seconda prospettiva, la progettazione dell’istruzione deve affrontare due sfide: assicurarsi che l’allievo sia impegnato in processi cognitivi appropriati e incoraggiare questi processi, da una parte; evitare di sovraccaricare la sua capacità e il suo sistema cognitivo, dall’altra. Rispetto a questi due obiettivi si evidenziano tre esigenze corrispondenti a tre modalità secondo cui la capacità e il sistema cognitivo vengono sollecitati: i processi cognitivi estranei; i processi cognitivi essenziali; i processi cognitivi generativi. i processi estranei sono quelli che non servono all’apprendimento, anzi possono disturbarlo. i processi essenziali si riferiscono alla possibilità degli studenti di rappresentare mentalmente il materiale essenziale. i processi generativi servono a dare significato al materiale attraverso l’organizzazione mentale e la connessione con le conoscenze precedenti. essi influenzano la motivazione degli studenti a impegnarsi durante l’apprendimento. Si tratta di situazioni parallele a quanto considerato nel sesto capitolo circa il carico cognitivo di tipo estraneo, di tipo essenziale, di tipo generativo. la progettazione didattica si deve dare dunque tre obiettivi: ridurre i processi estranei, gestire i processi essenziali e sostenere i processi generativi. la predominanza dei processi estranei crea una condizione di sovraccarico estraneo. Da una parte, la lezione contiene una certa quantità di materiali superficiali e irrilevanti che, anche se possono essere interessanti, non aiutano a raggiungere gli obiettivi di apprendimento; dall’altra, significa che l’intervento si presenta confuso e disorientante. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 145 146 quando si presenta una situazione di sovraccarico essenziale, il numero dei processi richiesti per eseguire il compito eccede la capacità cognitiva dell’allievo, anche dopo la riduzione o l’eliminazione dei processi estranei. questa situazione può essere causata dal ritmo troppo veloce della presentazione multimediale, dall’inesperienza dell’allievo o la non familiarità con l’argomento e dalla sua complessità del materiale. in questo caso, l’allievo è incapace di rappresentare il materiale presentato nel limite del tempo concesso e si trova nell’impossibilità di trattare il materiale in modo profondo a causa di una presentazione visiva inadeguata o esagerata. l’obiettivo allora è superare questa situazione mediante una gestione equilibrata dei processi essenziali e riducendo l’impatto sulla capacità cognitiva. A questo fine si può segmentare meglio il materiale, migliorare lo stato di preparazione previo o la stessa modalità di presentazione. quando si ha un sottoutilizzo generativo, l’allievo non si impegna abbastanza e non usa sufficientemente i processi generativi, nonostante la disponibilità della capacità cognitiva necessaria per eseguire il compito. questa situazione può essere determinata dalla mancanza di motivazione dell’allievo, da un materiale noioso o da un presentatore poco gradevole. 6. Dare spazi di sviluppo della capacità di gestire se stessi nell’apprendimento Una prospettiva diversa tende a dare maggiore spazio all’iniziativa autonoma degli studenti per esempio attraverso forme di ricerca individuale o collettiva, produzione di artefatti di varia natura come testi, video, power point, ecc. tutto ciò implica però buone capacità organizzative da parte del docente e una sua guida e un suo controllo costante. nel primo caso gli studenti devono cercare e studiare testi, documenti e altre risorse, molto spesso tramite ricerche sul web, per riflettere e approfondire idee e concetti presentati da parte del docente. l’ambiente nel quale si svolgono le lezioni in questi casi assume sempre più le caratteristiche di un laboratorio nel quale si opera individualmente o in gruppo al fine di acquisire e controllare la qualità delle conoscenze a e abilità progressivamente affrontate, mentre se ne verifica la spendibilità nell’affrontare esercizi e problemi via via più impegnativi sotto la guida dei docenti. Un vero e proprio laboratorio di scrittura in italiano, eventualmente sostenuta dall’uso personale e/o collettivo di tecnologie digitali, nel quale si possano anche redigere relazioni su quanto esplorato nelle scienze o nelle tecnologie, oltre che commenti alle proprie letture; un vero e proprio laboratorio di introduzione e di applicazione dei concetti e dei procedimenti matematici, mediante la soluzione di problemi anche ispirati allo studio parallelo delle scienze o delle tecnologie; esercitazioni nella lingua straniera, valorizzando, se ci sono, quanti ne manifestano una maggiore padronanza, o mediante la lettura e/o ascolto collettivo di testi tecnici in inglese. in particolare, una didattica per progetti risulterà del tutto proficua. lavorare LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 146 147 per progetti, infatti, consente di cogliere lo scopo di molti apprendimenti anche di tipo ripetitivo, come quelli connessi con lo sviluppo di alcune abilità strumentali. l’impostazione di un lavoro collettivo al fine di conseguire il risultato o prodotto finale del progetto permette anche di far pratica di attività di natura progettuale, gestionale e collaborativa. Una tipologia di progetto che può coinvolgere tutta la classe o gruppi specializzati riguarda la costruzione di antologie digitali utilizzando il patrimonio disponibile in rete, inclusi commenti di grande interesse e valore: antologie relative alla letteratura italiana o straniera; oppure, se si riesce a raggiungere tale livello di competenza, magari con l’aiuto sistematico del docente anche antologie latine o greche con testi e traduzioni a fronte, soprattutto nel liceo classico. Analogo lavoro può essere realizzato costruendo eserciziari progressivi nelle varie discipline come matematica, scienze (fisica e chimica in particolare), oppure reperire in rete video che illustrano concetti, presentano esperimenti, approfondiscono applicazioni. la classe può essere articolata in gruppi di lavoro specializzati in qualche ambito di conoscenza o di competenza particolare, valorizzando il concetto di conoscenza distribuita. Gli appartenenti ai diversi gruppi diventano gli esperti nell’argomento e possono essere quindi valorizzati come aiutanti del docente nell’affrontare modalità di lavoro che si ispirano all’insegnamento reciproco. 7. Il ruolo centrale della valutazione formativa e del feedback la valutazione di tipo formativo si distingue da una valutazione diagnostica (iniziale) e da una valutazione sommativa (finale), in quanto essa svolge una ruolo essenziale nel contesto del processo formativo al fine di renderlo il più possibile valido ed efficace. essa si realizza di conseguenza durante l’attività educativa e didattica, accompagnandola costantemente. per questo è stata definita “per l’apprendimento”. qualcuno parla anche di valutazione “come apprendimento”. in questo tipo di valutazione gioca un ruolo essenziale il cosiddetto “feedback”, o retro-alimentazione, in due direzioni: dal formatore al formando, ma anche da quest’ultimo al formatore. È il cuore del processo che abbiamo definito conversazionale, in cui si sviluppa un reciproco adattamento dell’allievo al docente e del docente all’allievo. in questa conversazione e relativa presenza di forme di feedback entrano in gioco anche i compagni, o le compagne, che formano le classi o i gruppi di apprendimento. Sappiamo benissimo quanto incidano sulla percezione e stima di sé i giudizi valutativi e le possibili forme d’interazione con i propri colleghi (pellerey, 2014). Si distingue anche tra un feedback interno e uno esterno (e si può evocare di conseguenza una conversazione interna distinta da una esterna). il feedback interno è quello che è presente come risposta alle nostre azioni, ai nostri interventi, alle nostre prestazioni, ed è all’origine della riflessione critica sui risultati (buoni o meno buoni) delle nostre attività e sulle cause che li hanno determinati. Così quando si LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 147 148 parla di auto-valutazione, si prendono in considerazione i risultati del nostro agire, cercando di comprenderne le ragioni del successo o dell’insuccesso. in questo processo auto-valutativo si può distinguere tra: a) Feed-up: dove sto andando? b) Feedback: come sto procedendo? c) Feedforward: quale la prossima mossa? promuovere un processo auto-valutativo è essenziale. A questo fine occorre mettere a disposizione adeguati criteri di valutazione. in genere ci si riferisce agli obiettivi o ai risultati di apprendimento, alle competenze previste istituzionalmente, a standard di prestazione, ecc. tuttavia, la semplice loro enunciazione non è sufficiente per renderli fruibili dagli studenti. Ci vuole un percorso di chiarificazione, di condivisione, di riflessione e di negoziazione per chiarificare i criteri, gli standard e gli obiettivi. in questa prospettiva, l’efficacia del feedback richiede l’elaborazione di criteri espliciti e articolati, una comprensione condivisa degli obiettivi di istruzione e una corrispondenza tra l’interpretazione degli insegnanti e degli studenti del divario da colmare. il secondo tipo di feedback è esterno alle azioni e può assumere varie forme: a) puramente informativa, spesso di tipo misurativo; b) di commento valutativo; c) di suggerimento di come procedere; ecc. Si possono considerare quattro livelli di feedback: il livello del compito, del processo, dell’autoregolazione e del concetto di sé. il feedback relativo al compito fornisce informazioni focalizzate, specifiche e pertinenti sulla correttezza delle prestazioni e sull’acquisizione di informazioni supplementari necessarie al miglioramento della propria prestazione. il feedback riguardante il processo riguarda le strategie le informazioni fondamentali per la gestione del compito e delle interazioni. il feedback che considera l’auto-regolazione, riguarda la capacità di auto-valutazione e di monitoraggio del proprio impegno nella realizzazione del compito e del processo. Si tratta di sapere quali strategie utilizzare, quando e dove usarle per realizzare efficacemente il compito e il processo. il feedback concernente il concetto di sé non comporta necessariamente un’informazione sul compito, sul processo o sull’auto-regolazione, ma riguarda la soddisfazione o la gratificazione rivolta alla persona. questo tipo di feedback è atteso e gradito anche se, a prima vista, non contribuisce automaticamente al miglioramento dei risultati di apprendimento. Molto spesso più che la forma del feedback spesso è determinante la percezione che lo studente ha del soggetto che lo fornisce, sia esso l’insegnante o un compagno. Diverso è il commento, anche critico, da parte di chi sappiamo che ci vuole bene, rispetto a quello di chi ci valuta in maniera astiosa. Di conseguenza un ulteriore elemento da considerare è il soggetto all’origine del feedback esterno. Concepito in questo modo, il feedback comporta delle implicazioni importanti per la gestione dell’istruzione, il miglioramento della valutazione scolastica e la promozione dell’apprendimento. il feedback ha una funzione informativa in quanto mette a disposizione informazioni puntuali sulla prestazione relativa a un compito e sulla modalità che ha condotto a questa prestazione. il feedback ha anche una funzione di rinforzo in quanto esprime un giudizio su un risultato o su un obiettivo LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 148 149 raggiunto. il feedback ha soprattutto una funzione formativa e adattiva in quanto influisce sull’aggiustamento dell’istruzione e sullo sviluppo e la regolazione dell’apprendimento e comporta delle implicazioni per i processi cognitivi, motivazionali e comportamentali degli studenti e per le interazioni tra insegnanti e studenti. per questo è importante avere un attenzione particolare alle caratteristiche del feedback, alla sua qualità e efficacia. la pratica di un buon feedback implica il coinvolgimento degli studenti nella regolazione dei propri processi di apprendimento e nella riflessione sulle loro pratiche. questa capacità di valutare il proprio lavoro, di riflettere e di monitorare il proprio progresso facilita l’integrazione tra feedback interno e esterno e la comprensione reciproca tra insegnanti e studenti rispetto al feedback. Si tratta di riconoscere il ruolo proattivo degli studenti nella pianificazione e nella generazione del feedback, così come nella costruzione del significato da assegnare al feedback ricevuto. in questa logica, il feedback si percepisce come dialogo o negoziazione tra insegnanti e studenti piuttosto che come un semplice processo di trasmissione di informazione. la motivazione e l’autostima hanno anche un ruolo molto importante nell’apprendimento e nella valutazione. infatti, basandosi sulle loro credenze relative all’apprendimento, gli studenti attivano varie strutture motivazionali che influiscono sulle loro risposte ai feedback esterni e sul loro impegno nell’apprendimento. in questa prospettiva, è importante focalizzare la valutazione sull’apprendimento, sulla comprensione profonda e la padronanza dell’argomento. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 149 151 Decimo capitolo Fase conclusiva delle lezioni e valutazione delle competenze digitali Quest’ultimo capitolo è dedicato fondamentalmente a una rilettura della problematica della valutazione quale oggi è sollecitata a livello europeo e italiano: una valutazione che è aperta a una certificazione delle competenze. L’assunto principale sta nel ritenere che la competenza, come l’intelligenza o l’onestà, non si può cogliere, né tantomeno misurare, direttamente. Ciò che possiamo raggiungere, e in qualche modo misurare, sono le manifestazioni di competenza, cioè le prestazioni. Risalire quindi alla valutazione delle competenze è un processo inferenziale, o induttivo, che non potrà mai fornire certezze assolute ma, in base alla qualità del modo di procedere, può garantire un buon livello di affidabilità, pertinenza e validità alla valutazione. Una delle metodologie più valide e degne di fiducia è quella che valorizza il cosiddetto portfolio delle competenze, oggi facilmente disponibile sotto forma digitale. Infine, va considerato un aspetto oggi particolarmente urgente, quello di valutare le competenze digitali effettivamente conseguite. 1. La fase conclusiva di un ciclo di lezioni la fase conclusiva di una lezione, o di un ciclo di lezioni, implica anch’essa alcuni passaggi importanti. in primo luogo si tratta di verificare la qualità dell’apprendimento, se cioè si è realizzata un’acquisizione significativa, stabile e affidabile dei contenuti proposti o si deve intervenire per eventuali correzioni. Già durante la conversazione, che dovrebbe caratterizzare lo sviluppo dell’attività didattica, si è vista l’importanza del feedback come forma di valutazione formativa o per l’apprendimento; tuttavia, è opportuno ora prendere in considerazione una forma di valutazione dei risultati dell’apprendimento realizzato, in altre parole una forma di valutazione sommativa. tale forma di valutazione induce anche la possibilità di sviluppare una riflessione critica sul proprio operato da parte del docente. Altri passaggi sono importanti: consolidare le acquisizioni fatte attraverso esercizi e attività applicative; proporre la loro valorizzazione in ambiti diversi; suggerire percorsi di approfondimento. Si ripropone qui la dinamica tra sviluppo delle conoscenze e loro utilizzazione nell’affrontare situazioni sfidanti. non si tratta solo di un percorso unidirezionale da sapere a sua applicazione, ma di un innesto di natura circolare: nell’affrontare un nuova situazione viene sollecitato non solo lo svi- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 151 152 luppo della competenza, si crea ma anche un bisogno di integrare le nuove conoscenze con quelle già padroneggiate, oppure il bisogno di conquistarne di nuove. la considerazione della fase conclusiva di una lezione, o di un percorso più lungo, è l’occasione, dunque, per approfondire il discorso della valutazione in maniera più puntule e correlata alle opportunità che offrono le nuove tecnologie, in particolare di natura mobile. Una valutazione che non può ridursi a una verifica dell’acquisizione delle conoscenze, ma è orientata soprattutto a una verifica dello sviluppo raggiunto nelle competenze previste. 2. La valutazione delle competenze in questi ultimi anni si è progressivamente spostata l’attenzione dalle sole conoscenze e abilità acquisite verso la capacità di valorizzarle in compiti e problemi sia interni alla scuola, sia esterni a essa, che abbiano un qualche carattere di novità e/o di complessità, in genere maggiori o almeno diversi rispetto a quanto affrontato nell’esperienza precedente (pellerey, 1994). È questo il quadro entro cui si colloca la valutazione della competenza. in una frase molto pregnante Wiggins ha sintetizzato così questa prospettiva: «Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa». Anche se occorrerebbe aggiungere l’avverbio «consapevolmente ». in questa espressione emerge una prospettiva ben precisa: non basta saper mostrare le proprie conoscenze o i propri saperi, non basta evidenziare le proprie abilità; occorre riuscire a mettere in luce pubblicamente quanto si è in grado di utilizzare in modo consapevole, coerente e proficuo, le proprie risorse interne (e, se opportuno o necessario, anche quelle esterne disponibili) nell’affrontare situazioni o problemi di natura non ripetitiva, sapendo gestire se stessi in tale impresa. Se lo sguardo si rivolge alla capacità di mettere in moto e coordinare il patrimonio posseduto nel portare a termine compiti un po’ diversi da quelli nei quali tali conoscenze e abilità sono state acquisite, la sua valutazione pone qualche difficoltà. infatti, nella pratica corrente ci si limita a verificare se lo studente abbia acquisito uno schema d’azione, sia esso prevalentemente intellettuale, di natura mista o essenzialmente pratica, e sia in grado di mostrarne la capacità di utilizzarlo sostanzialmente nello stesso contesto che ha caratterizzato il suo apprendimento. Ma, se la situazione è diversa da quella ormai familiare, oppure si debbano applicare le conoscenze apprese per analogia, emergono immediatamente difficoltà gravi, spesso insormontabili. la questione centrale riguarda il fatto che una competenza effettivamente posseduta non è direttamente rilevabile, ma è possibile inferirne la presenza, sulla base di un insieme di sue manifestazioni o prestazioni particolari, che assumono il ruolo di base informativa utile a ipotizzarne l’esistenza e il livello raggiunto. non è agevole, e molte volte impossibile, infatti, decidere se un soggetto possieda una competenza, e a quale livello, sulla scorta di una singola prestazione. Solo nel caso di abilità elementari, che mettano in gioco schemi d’azione di tipo ripetitivo, oppure assai semplici ap- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 152 153 plicazioni di regole e principi, è possibile valutarne l’acquisizione osservando un’unica prestazione. D’altra parte, in ogni programma educativo diretto all’acquisizione di vere competenze, soprattutto se implicate in maniera essenziale nel programma previsto, è cruciale la scelta della modalità di valutazione che i responsabili della progettazione e conduzione di tale programma debbono fare, sia per quanto riguarda le competenze iniziali, già validamente e stabilmente possedute, sia per quanto concerne il costituirsi progressivo di quelle oggetto di apprendimento. occorre anche aggiungere che, intrinseca al processo stesso, è la promozione di un’adeguata capacità di autovalutazione del livello di competenza raggiunto. Ciò per varie ragioni: in primo luogo, perché occorre sollecitare e sostenere lo sviluppo di competenze auto-regolative del proprio apprendimento; in secondo luogo, perché la constatazione dei progressi ottenuti è una delle maggiori forze motivanti all’apprendimento. A questo fine si suggerisce di procedere secondo un piano di lavoro che si richiama al metodo della “triangolazione” dei dati, molte volte utilizzato nella ricerca educativa e sociale. Si tratta di raccogliere informazioni pertinenti, valide e affidabili, utilizzando molteplici fonti e modalità di rilevazione, almeno tre di natura differente (di qui viene il termine “triangolazione”), che permettono di sviluppare, mediante il confronto tra di loro e con l’obiettivo di riferimento, la loro interpretazione e l’elaborazione di un giudizio che siano fondate e sufficientemente conclusive. Una competenza, infatti, come più volte ricordato, è costituita da una orchestrazione di risorse interne di fronte alle esigenze di un compito o di una tipologia di compiti particolare. Se l’analisi dei risultati delle prestazioni può aiutare a valutare la capacità di produrre determinati risultati, essa non può dire nulla del percorso attraverso il quale lo studente è stato capace di conseguirli. in altre parole, si dice che occorre non solo tener conto del prodotto finale, ma anche del processo che ha consentito di realizzarlo. informazioni sul processo possono essere fornite solo da strumenti osservativi attivati da altri e da narrazioni del diretto interessato. questo può anche evidenziare con il racconto non solo la successione dei passi che hanno condotto al risultato atteso, il perché delle scelte effettuate, la consapevolezza di eventuali errori, ma anche le risonanze interiori, le motivazioni, il senso di ciò che ha fatto. Così, nella pratica valutativa scolastica e formativa, vengono in genere valorizzate tre principali fonti informative: l’osservazione occasionale e sistematica, l’analisi attenta dei risultati conseguiti e l’auto-descrizione e l’autovalutazione dell’interessato. È opportuno infine ribadire che, in un processo valutativo, un conto è la raccolta di elementi informativi, di dati relativi alle manifestazioni di competenza, che si è stati in grado di acquisire, un altro conto è la loro lettura e interpretazione al fine di elaborare un giudizio comprensivo. Ambedue gli aspetti del processo valutativo esigono particolare attenzione. quanto alla raccolta di informazioni, occorre che queste siano pertinenti (cioè si riferiscano effettivamente a ciò che si deve valutare) e affidabili (cioè degne di fiducia, in quanto non distorte o mal raccolte). Ma LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 153 154 la loro lettura, interpretazione e valutazione, esige che preventivamente siano stati definiti i criteri in base ai quali ciò viene fatto; deve cioè essere indicato a che cosa si presta attenzione e si attribuisce valore e seguire effettivamente e validamente in tale apprezzamento i criteri determinati. l’elaborazione di un giudizio finale, che tenga conto dell’insieme delle manifestazioni di competenza, anche da un punto di vista evolutivo, non può certo basarsi su calcoli di tipo statistico, alla ricerca di medie: assume invece il carattere di un accertamento di presenza e di livello che deve essere sostenuto da elementi di prova (le informazioni raccolte) e da consenso (da parte di altri, in molti casi anche del soggetto valutato). Un giudizio, che risulti il più possibile degno di fiducia, sia per la metodologia valutativa adottata, sia per le qualità personali e professionali dei valutatori. 3. Il portfolio delle competenze: uno strumento fondamentale per la loro valutazione il termine portfolio, usato in ambito internazionale, soprattutto di lingua inglese, deriva dall’italiano “portafogli” (oppure “portafoglio”) e, come nel caso del corrispondente termine italiano, può riferirsi sia a un contenitore per raccogliere fogli di carta, disegni, biglietti di banca, ecc., sia alla lista di investimenti finanziari di una persona o di una ditta (portafoglio titoli), sia alla raccolta di richieste di preparazione di prodotti specifici (portafoglio ordini), sia a un ufficio ministeriale (portafoglio degli Affari esteri). Dalla metà degli Anni ottanta è sempre più invalso l’uso di denominare “portfolio” il particolare dispositivo valutativo che si avvale di una raccolta sistematica, a partire da specifici obiettivi e criteri, dei lavori realizzati da uno studente nel corso di una determinata pratica educativa. questa raccolta costituisce la documentazione di una serie di prestazioni, che permette poi un loro esame, interpretazione e valutazione al fine di inferire il livello raggiunto dalle competenze oggetto di apprendimento. nella pratica professionale, in particolare in quella segnata da competenze di natura artistica, era già consuetudine raccogliere in una cartella (spesso denominata in inglese book) esempi della propria migliore produzione, a testimonianza appunto delle competenze raggiunte in tale pratica professionale. qualcosa di analogo si poteva riscontrare nella pratica formativa professionale, specificatamente quando si trattava della produzione dei cosiddetti “capolavori”, o in quella dell’ap prendistato artigianale. il portfolio entra in tale tradizione, riconsiderandola, a partire dalle ricerche e dalle esperienze sviluppate nel corso degli ultimi decenni. il portfolio riguarda, dunque, fondamentalmente la raccolta della documentazione attestante ciò che lo studente sa, sa fare, sa essere o come egli sa stare con gli altri, più che quanto egli ancora non è in grado di affrontare. esso mira a trasformare la metodologia valutativa in modo da permettere la considerazione non solo di prestazioni finali puntuali, ma anche dei processi e delle strategie messe in LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 154 155 opera, dei progressi compiuti, delle circostanze e dei tempi nei quali le varie prestazioni sono state evidenziate. tramite questo dispositivo è possibile favorire una valutazione longitudinale comparativa realizzata sia da parte dell’insegnante, sia da parte dello studente, mediante il confronto tra quanto manifestato all’inizio di un percorso formativo e quanto è stato evidenziato nel tempo. in questo non solo si permette una valida valutazione formativa, che aiuta l’insegnante ad aggiustare il tiro sulla base dei risultati via via conseguiti, ma anche l’autovalutazione da parte dello studente e la collaborazione e la negoziazione tra docente e studente degli obiettivi da raggiungere. l’uso del portfolio si è diffuso, particolarmente nel mondo di lingua inglese, al fine di avere a disposizione uno strumento adatto alla certificazione e alla valutazione delle competenze effettivamente raggiunte. esso è stato ed è valorizzato come una fondamentale modalità di aiuto alla riflessione personale nelle attività di orientamento professionale. infatti, esso può presentarsi come un insieme di documenti scelti secondo particolari criteri ed accompagnati da riflessioni e descrizioni che illustrano il percorso seguito e gli sforzi praticati per la loro produzione ed ha lo scopo di rendere visibile non solo il risultato ottenuto ma anche il percorso che ne ha consentito il raggiungimento. Una delle ragioni che stanno alla base di un uso del portfolio si collega alla triangolazione dei dati, sopra richiamata: una metodologia che utilizza nella sua indagine una pluralità di metodi di raccolta delle informazioni e di forme di loro rappresentazione. l’uso del portfolio delle competenze può favorire quindi un valido e affidabile strumento circa la presenza e il livello raggiunto da una competenza, permettendo anche, a certe condizioni, una sua certificazione. le fonti informative, sulla base delle quali esprimere un giudizio di competenza, possono essere classificate secondo tre grandi ambiti specifici: quello relativo ai risultati ottenuti nello svolgimento di un compito; quello relativo a come lo studente è giunto a conseguire tali risultati; quello relativo alla percezione che lo studente ha del suo lavoro. in generale, la raccolta sistematica delle informazioni e la loro lettura e interpretazione permette di inferire se lo studente abbia raggiunto un certo livello di competenza in un ambito di attività specifico. per facilitare un giudizio finale comprensivo, spesso vengono predisposti quadri di riferimento che descrivono le manifestazioni di competenza secondo alcuni livelli di qualità o perfezione, dalla più elevata, ad una accettabile, ad una incerta o parziale.54 occorre precisare subito che, valutare complessivamente la presenza di una competenza e soprattutto il suo livello, non è facilmente inquadrabile in un sistema con voti decimali. Certo è possi- 54 È stato introdotto anche in italia l’uso delle cosiddette rubriche, o rubriche valutative, per descrivere i livelli di competenza nei vari ambiti. Si può consultare in merito il quinto capitolo del volume M. CAStolDi, Valutare le competenze, Roma, Carocci, 2009. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 155 156 bile trovare meccanismi di calcolo che permettono di giungere a sintetizzare in un voto numerico il giudizio finale; ma ciò, ai fini di una valutazione di competenza che sia valida ed efficace nella sua comunicazione, è assai poco significativo. occorre almeno allegare un supplemento alla pagella, che descriva quali competenze si è deciso di perseguire nell’attività formativa ai vari livelli di scolarità e come lo studente si collochi rispetto a tali riferimenti. tanto più che la normativa attuale prevede anche la certificazione delle competenze effettivamente acquisite.55 4. Il portfolio digitale, o eportfolio, per la valutazione e l’orientamento Un primo passaggio verso quello che oggi è denominato “eportfolio” o “portfolio elettronico” o “portfolio digitale” è stata la possibilità di raccogliere la documentazione attestante la competenza sviluppata in un ambito formativo o professionale sotto forma digitale. testi, immagini, audio, video potevano essere in questo modo resi disponibili in maniera agevole e con più facilità esaminati nella loro qualità. l’avvento poi e la diffusione delle tecnologie di rete ne hanno favorito un’ulteriore presenza di possibilità di utilizzo. Anche perché tali raccolte di dati informativi erano immediatamente accessibili da chiunque ne avesse interesse. negli ultimi anni anche in italia si è risvegliato l’interesse per l’uso del portfolio e di quello diretto alla valutazione delle competenze, soprattutto per l’avvento delle tecnologie digitali e di rete. Così si sono moltiplicate le pubblicazioni e le sperimentazioni in merito, soprattutto in ambito universitario, sia a fini valutativi sia di orientamento professionale e di studio (Galliani et alii, 2011; Giovannini, Riccioni, 2011; la Rocca, 2014). in coerenza con la tradizionale valorizzazione del portfolio i può intendere un eportfolio come “una raccolta sistematica di lavori realizzati o acquisiti in forma digitale (testi, immagini, audio, video, ...), che dimostri la progressione degli apprendimenti di uno studente” (triacca, 2013, 210). il suo valore formativo e orientativo è dato dalla possibilità di esaminare tale materiale informativo e documentario in maniera diacronica, collegando tale processo a una riflessione sempre più attenta circa lo sviluppo da una parte delle competenze evidenziate, dall’altra delle inclinazioni e prospettive future di studio o di lavoro. per questo un buon portfolio elettronico, come ogni buon portfolio, si presenta come un insieme di documenti scelti secondo specifici criteri e accompagnati da riflessioni e descrizioni che illustrano il percorso seguito e gli sforzi praticati per la loro produzione ed ha lo scopo di rendere visibile non solo il risultato ottenuto ma anche il percorso che ne ha consentito il raggiungimento. 55 A questo proposito occorre segnalare l’uso improprio del termine “certificazione”. Si tratta di giudizi la cui affidabilità dipende dalle evidenze che sono state utilizzate e dalla correttezza nella loro interpretazione, ma soprattutto da quanto i docenti o la scuola sono degni di fiducia nel contesto sociale e culturale della scuola, della città o del territorio più in generale. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 156 157 “in sintesi, in ambito educativo, i docenti possono utilizzare l’eportfolio per osservare e valutare la progressiva acquisizione documentata delle competenze raggiunte dai propri allievi e possono riferirsi ad esso come ad una idea regolativa per la progettazione degli interventi didattici e dei curricoli formativi. Gli studenti possono impiegare l’eportfolio per riflettere sul proprio apprendimento e sui propri atteggiamenti, auto-valutandosi rispetto ai risultati raggiunti, o mancati, nelle varie fasi del percorso formativo. possono così migliorare la comprensione di se stessi e l’autostima per costruire, nel corso del tempo, quel bagaglio di competenze e metacompetenze che consentiranno loro di operare scelte lucide e responsabili per orientare il proprio progetto di vita” (la Rocca, 2014). i passaggi fondamentali che ne derivano possono essere così precisati: raccolta, selezione, riflessione, progettazione, proiezione. “la raccolta è considerata la prima attività che lo studente dovrà compiere, badando bene però a non collezionare ogni cosa, ma a tenere presente gli scopi e gli utenti finali del prodotto; la selezione dei documenti davvero importanti dovrà essere effettuata tenendo presenti gli obiettivi del curricolo scolastico; la riflessione riguarda l’attività che ciascuno studente dovrà svolgere in merito ad ogni documento inserito e che dovrà accompagnare il documento stesso; la proiezione riguarda la necessità di fare in modo che il portfolio guardi avanti, ovvero che non si limiti a descrivere lo status quo, ma che si sforzi di illustrare una prospettiva futura” (la Rocca, 2014). Rispetto a un portfolio cartaceo, che comunque ha sempre una sua validità, si possono citare alcune nuove possibilità. in primo luogo la presentazione delle conoscenze e delle fasi di sviluppo attraverso tutti i mezzi espressivi multimediali e dunque la possibilità di coinvolgere tutti canali sensoriali. poi, tramite link ipertestuali è possibile collegare i contenuti con gli obiettivi di apprendimento e con i criteri di valutazione. Si hanno ampie possibilità di memorizzazione, di protezione e di riproducibilità. Si possono includere colloqui e altre forme di di feedback indipendenti dal luogo e dal tempo con altri docenti, con compagni, con genitori, ecc. infine, la possibilità di valorizzare la rete, di favorire un utilizzo responsabile delle informazioni e del copyright reperibili e di comunicare attraverso di essa. l’introduzione di un eportfolio nella pratica scolastica o formativa può essere considerato da due punti di vista: da quello di una gestione dei processi di valutazione e di orientamento da parte dell’istituzione stessa, oppure di una gestione affidata al singolo studente con l’aiuto del docente. quanto al programma informatico che permette di costruire un portfolio, soprattutto nel secondo caso è possibile utilizzare applicazioni come Evernote, Dropbox, Google Drive. tuttavia, sembra emergere come valida ai vari livelli scolastici, formativi e universitari una risorsa specificatamente dedicata alla sua costruzione. Si tratta della piattaforma elaborata in nuova zelanda e disponibile in rete a titolo gratuito: Mahara56. 56 Cfr. https://mahara.org/ LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 157 158 Mahara nel linguaggio maori significa pensare o pensato. il progetto che prende tale nome è nato nel 2006 e ha coinvolto diverse università di Aukland e Wellington. la prospettiva adottata è stata quella di centrare l’attenzione sull’attività e la gestione dello studente più che sulle esigenze e la gestione da parte dell’istituzione di appartenenza. Di conseguenza viene offerto allo studente uno spazio di lavoro altamente personalizzabile da molti punti di vista. tale spazio prevede alcune sezioni fondamentali. tra queste una consente la presentazione di un proprio profilo: non solo dati personali, ma la descrizione della proprie competenze e delle proprie aspirazioni e progetti esistenziali. Un’ulteriore sezione permette l’inserimento dei propri artefatti (foto, video, testi, audio, documenti raccolti in rete) e tale sezione può essere articolato in cartelle e sottocartelle. in esse ciascun elemento può essere accompagnato da descrizioni e commenti. Ciascun elemento inoltre è segnato dalla data del suo caricamento e/o modifica. il fatto poi di essere un ambiente di lavoro personale implica che il titolare può decidere che cosa far vedere di tale materiale e a chi, persone singole o gruppi. A livello universitario è stato utilizzato in particolare ai fini dell’orientamento presso il Dipartimento di Scienze della Formazione la terza Università di Roma da Concetta la Rocca che ne ha presentato recentemente i risultati assai positivi; essa così riassumeva quanto constatato nell’esperienza realizzata: “l’esperienza è risultata molto positiva, così come si è rilevato dagli esiti dei questionari in ingresso e uscita somministrati agli studenti. nel merito si rileva che i ragazzi hanno recepito con grande chiarezza sia la modalità di costruzione dell’ep, dalla formulazione degli obiettivi all’utilizzo della piattaforma Mahara, sia la funzione dell’ep come strumento che li possa affiancare nel processo educativo costituendo un valido appoggio alla riflessione meta-cognitiva, sviluppata anche in un contesto relazionale, in funzione della determinazione delle proprie scelte formative. Un risultato molto interessante, non formulato esplicitamente nelle ipotesi di ricerca, ha riguardato il miglioramento che gli studenti hanno rilevato nel proprio utilizzo delle nuove tecnologie; questo dato sembra particolarmente interessante se si considera che la tipologia dell’utenza è senz’altro quella di ragazzi che hanno grande familiarità con i nuovi strumenti tecnologici”. Una sua sistematica valorizzazione nei corsi di laurea: “assolverebbe al compito di sostenere lo studente nella meta-riflessione e nella meta-cognizione e gli fornirebbe elementi sui quali riflettere nell’ottica di un orientamento in itinere e diacronico-formativo nell’ambito dell’iter accademico”. È stato anche suggerito di collegare le possibilità di sviluppo personale di un eportfolio a quello di ambienti personali di apprendimento. lorella Giannandrea così descrive questa possibilità: “le nuove potenzialità offerte dall’uso della rete internet stanno aprendo prospettive e punti di vista innovativi. la diffusione sempre più capillare di siti di social networking e di spazi in cui i soggetti possono inserire raccolte di materiali personali (foto, video, profili), etichettandole e rendendole pubbliche, permette di utilizzare questi strumenti come delle repository, dei depositi on line che consentono al soggetto di presentare il proprio punto di LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 158 159 vista, di comunicare le proprie risorse, in un certo senso di definire una propria ‘identità digitale’. Si arriva così all’idea di ambienti di apprendimento on line ‘personalizzati” e gestiti direttamente dal soggetto’. Si possono così proporre programmi che “hanno lo scopo dichiarato di aiutare gli utenti a costruire e gestire un percorso di apprendimento fatto su misura per ciascuno, che sfrutti tutte le risorse disponibili nei tradizionali ambienti on line, ma che consenta anche la relazione con altri individui impegnati nello stesso percorso formativo, allo scopo di supportare l’apprendimento attraverso una rete sociale” (Giannadrea, 2012, 286-287).57 57 programmi di questo tipo tendono a sviluppare ambienti che prendono il nome di PLE - Personal Learning Environment. (http://elgg.org/) è un esempio di questi sistemi software, che comprendono funzionalità tipiche degli applicativi del Web 2.0. Figura n. 1 - Come si presenta la piattaforma Mahara tradotta e utilizzata da Concetta La Rocca. Breve descrizione di Mahara Mahara è un software open source per la produzione di eportfolio, fornisce strumenti per realizzare e mantenere un portfolio digitale e propone funzioni di social networking per consentire di interagire e creare comunità di apprendimento on line. le caratteristiche principali di Mahara, sono: File Repository - Mahara include un file repository che permette agli utenti di: Creare cartelle e sub cartelle per strutturare il portfolio Caricare più file in modo rapido ed efficiente inserire ad ogni file il nome e una breve descrizione Gestire i propri file LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 159 160 5. La valutazione delle competenze digitali Dobbiamo ad Antonio Calvani, Antonio Fini e Maria Ranieri (Calvani, Fini, Ranieri, 2011) lo sviluppo di un progetto di valutazione delle competenze digitali in un contesto scolastico o formativo. essi partono dalla definizione europea di competenza digitale e, tenendo conto delle varie ricerche realizzate in tale contesto, e di cui abbiamo dato conto nel secondo capitolo, valorizzano a tal fine la sintesi da loro elaborata. essa porta a considerare la competenza digitale come dovuta a un’integrazione tra tre sue dimensioni fondamentali: tecnologica, cognitiva ed etica. Come abbiamo già riportato, la dimensione tecnologica include un insieme di abilità e nozioni di base, in particolare quelle che consentono di valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni, integrate con la capacità di scegliere tecnologie opportune per affrontare problemi reali. tale dimensione include anche atteggiamenti e modi di porsi. la dimensione cognitiva riguarda la capacità di leggere, selezionare, interpretare e valutare dati, costruire modelli astratti e valutare informazioni considerando la loro Blog - Mahara consente agli utenti di: Creare un blog utilizzando un editor WySiWyG Allegare file ai messaggi incorporare le immagini ai post Configurare i commenti che possono essere ricevuti sul blog Social networking - Mahara fornisce una struttura di social networking in cui gli utenti possono creare e mantenere una lista di amici all’interno del proprio eportfolio. Curriculum Vitae - Mahara include un sistema che permette di creare un CV digitale inserendo le informazioni, quali: Contatti e informazioni personali occupazione e istruzione Certificazioni, accreditamenti e riconoscimenti libri e pubblicazioni, iscrizioni ad associazioni professionali Conoscenze, competenze e abilità possedute Informazioni sul profilo - in Mahara gli utenti sono in grado di condividere le informazioni attraverso una serie di informazioni sul profilo, tra cui: nome preferiti iD studente indirizzo postale e numeri di telefono di contatto Skype, MSn, yahoo Amministrazione - Gli amministratori sono in grado di personalizzare Mahara attraverso una serie di impostazioni di configurazione, tra cui: pacchetti lingua e temi Virus protocollo Metodi di autenticazione Core editor di pagina interfaccia con Moodle – Mahara prevede una condivisione con la piattaforma Moodle, con un solo nome utente e password l’utente può entrare in entrambi gli ambienti. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 160 161 pertinenza e affidabilità. Sono considerati tre indicatori principali: capacità di reperimento e selezione dell’informazione; valutazione critica; organizzazione, sistematizzazione. la dimensione etica evoca la responsabilità sociale nel sapersi porre nei rapporti con gli altri, rispettandone i diritti e comportandosi in maniera positiva nel cyberspazio anche tenendo conto della tutela personale. A questo fine sono stati sviluppati alcuni strumenti di raccolta di informazioni relative allo sviluppo personale di tali dimensioni. Uno di questi è stato definito iDCA (instant Digital Competence Assesment) in quanto pensato come un mezzo rapido di verifica di facile somministrazione e gestione. esso valorizza una serie d’indicatori che permettono di inferire il livello di sviluppo della competenza digitale nelle sue tre dimensioni fondamentali. per la dimensione tecnologica sono stati scelti tre indicatori: la capacità di identificare interfacce e simboli; la capacità di risolvere i problemi tecnici più comuni; la comprensione concettuale della tecnologia. per la dimensione cognitiva gli indicatori sono cinque: il saper operare con il testo (riassumere, rappresentare, analizzare); il saper selezionare e interpretare grafici; il saper valutare l’informazione; saper organizzare i dati (inserire, ordinare e classificare dati strutturati); saper cogliere aspetti di logica formale. per la dimensione etica sono tre gli indicatori: garantire la salvaguardia della propria privacy; il rispetto degli altri in rete; la consapevolezza delle differenze sociali e tecnologiche. A ciascun indicatore sono collegate prove elaborate e validate per i vari livelli scolastici. Ad esempio, è disponibile una versione per soggetti del primo biennio del secondo ciclo di istruzione e formazione, utilizzabile sia mediante supporti cartacei, sia direttamente on line. Un secondo strumento di valutazione tiene conto della necessità di avere a disposizione anche la possibilità di cogliere i comportamenti degli studenti in situazioni più complesse, quali si possono incontrare quotidianamente. Si tratta di cinque tipologie di prove relative ad ambiti riferibili all’esplorazione, alla simulazione, alla ricerca, alla collaborazione, alla partecipazione. per l’esplorazione lo studente deve confrontarsi con un’interfaccia tecnologica sconosciuta che deve imparare a padroneggiare; per la simulazione si chiede di elaborare sperimentalmente dei dati formulando ipotesi sulle relazioni possibili; per la ricerca si tratta di raccogliere e selezionare criticamente informazioni pertinenti e affidabili intorno a un tema prefissato; per la collaborazione si deve partecipare a una compilazione collaborativa di un documento, inserendo apporti personali, revisioni, commenti; per la partecipazione si devono individuare i comportamenti più appropriati relativamente alla presenza on line in ambienti di social networking. Di questo secondo strumento esiste anche una versione corta che per ogni ambito presenta una situazione spiegata in modo sintetico (e denominata scenario) attraverso esempi di videate e testo correlato. Segue una serie di domande a risposta chiusa o aperta. Uno sviluppo possibile dell’uso di tali strumenti sta nel raccogliere le prestazioni degli studenti per mezzo del loro eportfolio personale in una sezione riferibile allo sviluppo della propria competenza digitale. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 161 163 Conclusione A conclusione della nostra indagine sembra emergere come decisiva la necessità di invertire la prospettiva di analisi da molti adottata: partire dalla considerazione delle tecnologie digitali, in particolare mobili, e delle opportunità, affordance, che esse offrono, per esaminare le problematiche relative la loro inserimento nei percorsi istruttivi e formativi del secondo ciclo del sistema d’educazione italiano. Si ritiene, invece, necessario tener conto in primo luogo delle finalità fondamentali e degli obiettivi di apprendimento essenziali che li caratterizzano, riletti, certo, nel contesto culturale, tecnologico e comunicativo attuale, per rimanere fedeli all’identità propria dell’istituzione educativa nella quale ci si trova ad operare. nell’esaminare la letteratura anche di ricerca, infatti, ci si trova spesso di fronte a una forma di argomentazione per lo meno problematica, se non fallace. essa può essere così riassunta: le tecnologie digitali mobili offrono nuove, più potenti e incidenti opportunità per realizzare alcune aspirazioni che nel tempo sono state invocate da pedagogisti ed esperti di didattica come personalizzazione dei percorsi educativi, adattamento dei metodi ai singoli studenti, collaborazione nello studio e nella produzione di artefatti, apertura dell’ambiente formale a esperienze informali, possibilità di comunicare e dialogare, sviluppo di metodi didattici basati su ricerca e scoperta, ecc. Data la ricchezza di opportunità offerte, l’attività di educazione scolastica o di formazione dovrebbe di conseguenza appoggiarsi fortemente su di esse per innovare e trasformare in profondità i propri contesti organizzativi, gli ambienti e i processi di apprendimento, i metodi e le forme d’insegnamento, sfruttandole al massimo. Se, poi, le esperienze, come le sperimentazioni e le ricerche più sistematiche, non danno gli esiti sperati in termini di risultati di apprendimento, la colpa viene allora attribuita ai metodi didattici seguiti. l’ipotesi, mai messa in discussione, è che la presenza di tali tecnologie impone una diversa didattica, più collaborativa, più basata su processi di ricerca e produzione, condotti quanto più possibile in autonomia, ispirantesi al cosiddetto costruttivismo sociale. Si dovrebbe quindi bandire ogni forma di insegnamento diretto, esplicito, sistematico chiaramente finalizzato in ogni passaggio, giungendo a ridicolizzanlo come come tradizionale, sorpassato, banale. in tale contesto, tenendo conto della letteratura esaminata e delle esperienze prese in considerazione, emerge come prospettiva essenziale ai fini di una integrazione valida e feconda di tali tecnologie nel contesto scolastico o formativo l’attività di progettazione educativa e didattica che ai vari livelli, ma soprattutto a livello di singoli curricoli d’apprendimento, l’istituzione formativa deve mettere in atto, tenere conto: delle finalità educative e formative dell’istituzione stessa; degli obiettivi generali e specifici che la normativa vigente indica per i vari canali istruttivi e formativi; delle caratteristiche peculia- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 163 164 ri degli studenti convolti e del loro effettivo stato di preparazione in vista del raggiungimento di tali obiettivi; delle risorse disponibili in termini di spazi, tempi, strumenti comunicativi effettivamente disponibili; delle competenze metodologiche che i docenti sono in grado di attivare nella quotidianità del loro lavoro. l’esplorazione sistematica condotta nel corso di questa indagine ha portato quindi a individuare come elemento centrale della problematica derivante dall’impatto delle tecnologie digitali mobili nei processi educativi scolastici e formativi proprio l’azione progettuale di dirigenti e docenti. Come principio di riferimento è stato poi individuato quello di promuovere più che una radicale trasformazione della realtà educativa a causa della loro presenza, quello di sviluppare una valida e feconda integrazione di tali strumenti nel progetto formativo proprio dell’istituzione ai suoi vari livelli di attuazione. Di seguito si cerca di esplicitare tale principio applicandolo ai differenti ambiti progettuali. 1) Integrare il quadro delle finalità educative e formative con l’esigenza di sviluppo delle competenze digitali. in una istituzione educativa scolastica o formativa il primo ambito progettuale, quello che dovrebbe costituire la sua identità e il riferimento fondamentale per una sua valutazione interna ed esterna, è il suo progetto educativo istituzionale (pei), o piano dell’offerta formativa (poF). esso comprende le finalità generali che la comunità educativa si propone di conseguire attraverso il suo impegno educativo ai vari livelli. tenendo conto del quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, ma più ancora della domanda formativa che emerge nel contesto sociale, culturale e professionale attuale, occorre che sia ben esplicitato il ruolo che, all’interno deglie altri ambiti di finalità educative, deve assumere uno sviluppo valido e funzionale della competenza digitale. non si tratta tanto di descrivere il rilievo che verrà dato alla presenza delle tecnologie digitali nel contesto formativo, quanto il senso che si intende attribuire a una loro valorizzazione. in particolare, va sottolineata l’importanza di aiutare i giovani a passare da un loro uso informale per comunicare, giocare, esplorare, a una loro utilizzazione finalizzata e sistematica in un contesto di studio o di lavoro. A questo fine ne va sollecitata la capacità di un loro utilizzo autonomo e responsabile, tenendo conto delle tre fondamentali dimensioni di tale competenza: quella tecnica, quella cognitiva e, soprattutto, quella etica. Dovrebbe essere chiarita anche l’importanza dello sviluppo di tali competenze digitali e dell’arricchimento nel loro contesto di esperienze produttive, non solo consumistiche, ai fini di una incisiva promozione dell’orientamento professionale e dell’occupabilità a favore dei singoli studenti. 2) Integrare la comunità educativa reale considerata nelle sue varie articolazioni con lo sviluppo di una comunità virtuale secondo le stesse articolazioni. il secondo ambito progettuale concerne la natura e dinamica stessa della comunità educativa o formativa. questa è costituita dalle sue varie componenti: dirigenza e servizi generali (anche amministrativi), docenti, studenti, famiglie, territorio nel quale si è in- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 164 165 seriti. il sistema di relazioni che si intende e si riesce ad attivare, la qualità di tali rapporti interpersonali e istituzionali che lo caratterizzano, la partecipazione responsabile delle sue varie componenti nella progettazione, realizzazione e valutazione dell’attività educativa o formativa, il clima che si può cogliere a livello generale, come nelle singole attività e nel contesto dell’attività didattica, la tempestiva e valida comunicazione tra le varie componenti della comunità, costituiscono certamente la piattaforma fondamentale di ogni impresa educativa. le ricerche e le esperienze che abbiamo esaminato inducono a ritenere fondata la prospettiva che lo sviluppo di un sistema di comunicazione virtuale accanto a quello reale possa potenziare sia nella qualità, sia nella continuità, sia nell’incisività, la realtà viva della comunità. Un buon sistema di comunicazione, basato sulle tecnologie digitali mobili, tra direzione, collegi docenti, consigli di classe, singoli docenti, studenti e loro famiglie può rendere ancora più efficaci gli incontri a livello personale, come a livello comunitario. non solo, ma ne permette una buona preparazione e un loro prolungamento nel tempo e nello spazio. 3) Integrare in maniera valida e funzionale gli ambienti e le attività educative e formative con la presenza delle tecnologie digitali, in particolare mobili. il terzo ambito progettuale riguarda gli ambienti di apprendimento e l’organizzazione generale dell’attività formativa. qui emerge subito una indicazione precisa: favorire una prospettiva che abbiamo definito di natura ibrida, una prospettiva che tende a integrare forme tradizionali di comunicazione e di insegnamento con forme legate alla presenza di tecnologie digitali mobili. Sembra ragionevole non tendere a una uniformizzazione delle risorse, dei contesti e degli ambienti, bensì cercare di renderli il più possibile flessibili e adattabili alle modalità didattiche ed esigenze dei singoli docenti e delle differenti discipline di insegnamento, rimanendo aperti alla prospettiva di ulteriori trasformazioni future delle tecnologie. Se si sceglie di accostare in maniera intelligente quella che viene chiamata la cultura del libro alla cultura dello schermo, occorre dare spazi anche fisici adatti alla possibilità di una proficua integrazione tra ciò che può favorire un pensiero veloce, intuitivo e manipolatorio e ciò che sollecita pensieri lenti, riflessivi, critici. Ciò viene reso possibile dall’esperienza e dal confronto stesso tra la molteplicità dei sistemi di comunicazione, anche per favorire una più perspicua attenzione e ciò che essi propongono. l’idea fondamentale è che ambienti, risorse, strumenti devono esser messi a disposizione per favorire il raggiungimento delle finalità educative degli obiettivi didattici senza pregiudicare metodi e scelte che il singolo docente e un gruppo di docenti deve fare. inoltre, occorre considerare che non tutti i docenti sono in grado, o per precedente formazione o per sensibilità personale, di valorizzare in maniera proficua e valida nel loro impegno didattico tali tecnologie. occorre considerare anche dal punto di vista organizzativo un loro uso continuo, intenso ed efficace, ad una loro utilizzazione più sporadica e mirata verso obiettivi specifici. A questo fine viene suggerito anche di favorire l’organizzazione di aule dedicate a singoli docenti o almeno a singole discipline, per- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 165 166 mettendo quindi agli insegnanti di organizzare il loro ambiente di lavoro, anche perché essi rimangono, insieme al consiglio di classe, i primi e fondamentali responsabili dell’apprendimento dei loro studenti. 4) Integrare i percorsi educativi e formativi con attività ed esperienze legate alla valorizzazione delle tecnologie digitali mobili, anche in vista dello sviluppo della capacità di autoregolazione del proprio apprendimento in contesti da esse arricchiti. il quarto ambito progettuale riguarda i percorsi didattici da attivare e gli obiettivi che attraverso di essi si vogliono conseguire. occorre garantire che per ogni studente nell’esperienza di classe e di istituto ci siano adeguati momenti di apprendimento finalizzato e sistematico, attuato con una valorizzazione intelligente e funzionale delle tecnologie mobili. non solo, ma che nel corso della sua vita scolastica o formativa egli possa sperimentare spazi progressivi, tenendo conto dell’età e del livello scolare, di lavoro autonomo e collaborativo, che metta in gioco lo sviluppo della capacità di autoregolazione del proprio apprendimento nel contesto proprio dell’utilizzazione delle tecnologie digitali mobili. Come le indagini sociologiche hanno messo in evidenza il cittadino contemporaneo nella sua attività sia di relazione, sia professionale valorizza una molteplicità di canali informativi e comunicativi e nello studio, e nel lavoro, e nella vita quotidiana. promuovere la capacità di gestire se stessi in un contesto culturale e comunicativo nel quale all’interazione diretta e alla relazione interpersonale si associa l’interazione mediata e la fruizione di una molteplicità di fonti informative e conoscitive, costituisce una delle priorità educative dei nostri tempi. Così i percorsi formativi proposti devono favorire l’esperienza guidata e la progressiva competenza nel valorizzare le varie possibilità di comunicazione sia faccia a faccia, sia tramite dispositivi digitali, in maniera valida e produttiva. 5) Integrare nella progettazione didattica, nella realizzazione delle lezioni e nella valutazione degli apprendimenti disciplinari l’utilizzo delle tecnologie digitali mobili. il quinto ambito progettuale riguarda i metodi stessi di insegnamento che il singolo docente intende valorizzare nella sua attività didattica. in tale attività egli deve tenere conto: delle finalità educative o formative dell’istituzione a cui appartiene; degli obiettivi generali e specifici che la normativa vigente indica per i vari canali istruttivi e formativi; delle caratteristiche peculiari degli studenti convolti e del loro effettivo stato di preparazione in vista del raggiungimento di tali obiettivi; delle risorse disponibili in termini di spazi, tempi, strumenti comunicativi effettivamente disponibili; delle competenze metodologiche che egli è in grado di attivare nel suo lavoro e dei risultati che tramite esse riesce a conseguire, in base alla sua esperienza e ai riscontri che via via può raccogliere. le metodologie disponibili vanno da un insegnamento diretto ed esplicito a un insegnamento indiretto e basato su ricerca, coproduzione e condivisione. Ciascuna di queste metodologie può valorizzare strumenti e materiali di diverse natura: da libri e dispense, al web e risorse disponibili in rete. Usando una metafora medica, la dieta che LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 166 167 l’insegnante progetta, dovrebbe basarsi da una parte su una diagnosi funzionale dello stato di preparazione dei suoi studenti e, dall’altra, sulle conoscenze e competenze che intende promuovere. quanto alle modalità di attuazione, come abbiamo visto, anche una nota studiosa come Diana laurillard ha suggerito di attivare una vera e propria conversazione tra docente e studenti e degli studenti tra di loro nel contesto della quale all’interazione diretta interpersonale si accompagna quella indiretta tramite i vari strumenti di comunicazione. quanto alle forme che può assumere questa conversazione essa ne ha citate sette, centrando l’attenzione sui processi di apprendimento attivati e segnalando le tecnologie tradizionali e innovative che possono essere valorizzate. Ricordiamoli brevemente, riportando la sua tabella. l’uso delle tecnologie tradizionali può così essere opportunamente integrata o alternata con l’utilizzo di quelle digitali. Apprendimento attraverso Tecnologie tradizionali Tecnologie digitali Acquisizione Lettura di libri, dispense; ascolto delle esposizioni e spiegazioni del docente, osservazione di dimostrazioni pratiche Fruizione di prodotti multimediali, di siti web, fonti e documenti digitali. Ascolto di podcast; visione di video e animazioni Ricerca Uso di guide stampate per lo studio e la ricerca. Esame delle idee e informazioni tramite risorse stampate e altri materiali. Uso di strumenti e materiali tradizionali per raccogliere, confrontare testi. esaminare e valutare fonti. Uso di guide e suggerimenti disponibili on line; Esame delle idee e delle informazioni tramite risorse digitali. Uso di strumenti digitali per raccogliere, confrontare testi, esaminare e valutare fonti. Pratica Esercizi applicativi, realizzazione di progetti operativi, laboratori, viaggi di studio, attività di role-play faccia a faccia. Uso on line di modelli digitali, di simulazioni, di micromondi, di laboratori virtuali, di viaggi, di attività di role-play. Produzione Produzione di artefatti sotto forma di testi, saggi, rapporti, relazioni di attività svolte, progetti, performance, animazioni, modelli, video. Produzione e memorizzazione sotto forma digitale di documenti, progetti grafici, modelli, artefatti, animazioni, slides, performance, foto, video, blogs e portfolio. Discussione Tutoriali, seminari, discussioni tramite email, gruppi di discussione, discussioni in classe. Tutoriali on line, forme sincrone e asincrone di seminari, di gruppi di discussione, forum, conferenze via web. Collaborazione Progetti di piccoli gruppi, analisi e valutazione di risultati altrui, costruire insieme un prodotto Attraverso il web realizzazione di progetti; forum on line, wiki, chat, per esaminare produzione altrui e costruire propri prodotti LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 167 169 Riferimenti bibliografici ARRiGo M. (2013), Apprendere con le tecnologie mobili, in D. peRSiCo, V. MiDoRo (eds.), Pedagogia nell’era digitale, ortona, Menabò, 77-82. AUSUBelD.p. (1978), Educazione e processi cognitivi, Milano, FrancoAngeli. BACH J., HoUDé o., lénA p., tiSSeRon S. (2013), L’enfant et les écrans. Avis de l’Académie des sciences, parigi, le pommier. BAGnARA S. et alii (2014), Apprendere in digitale, Milano, Guerini e Ass. BARDi D. (2014), La classe scomposta, Milano, nova Multimedia editore. BeRGe z. l., l.y. MUilenBURG (eds.) (2013), Handbook of Mobile Learning, new york, Routledge. BeRtAGnA G. (2004), Valutare tutti, valutare ciascuno, Brescia, la Scuola. BeRtAGnA G. 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LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 172 173 Glossario App termine derivante dall’abbreviazione di applicazione: sta ad indicare applicazioni informatiche per dispositivi mobili. in genere si tratta di software per dispositivi mobili attivabili tramite una icona e legati a un particolare sistema operativo come ioS o Android. Molti sono gratuiti, altri a pagamento. Apprendimento in contesto formale Apprendimento che si realizza in un contesto organizzato e strutturato (per esempio, in un istituto d’istruzione, o di formazione o sul lavoro), appositamente progettato come tale (in termini di obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per l’apprendimento). l’apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente e di norma sfocia in una convalida e/o in una certificazione. Apprendimento in contesto informale Apprendimento risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. non è strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse) e di norma non sfocia in una certificazione. l’apprendimento informale può essere intenzionale, ma nella maggior parte dei casi non lo è (casuale). Apprendimento in contesto non formale Apprendimento che si realizza nell’ambito di attività pianificate non specificamente concepite come apprendimento (in termini di obiettivi, di tempi o di sostegno all’apprendimento). l’apprendimento non formale non sfocia di norma in una certificazione. l’apprendimento non formale, a volte denominato “apprendimento semistrutturato”, è intenzionale dal punto di vista del discente. Apprendimento ubiquo (Ubiquitous learning) qualsiasi forma di apprendimento che può aver luogo in un qualunque contesto o situazione attraverso l’uso di dispositivi mobili. Apprendimento ibrido Vedi blended learning Blended learning (o apprendimento misto) indica la combinazione di una molteplicità di approcci all’insegnamento e apprendimento. in particolare si può realizzare integrando la didattica d’aula con la formazione on line. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 173 174 Blog il termine blog deriva dalla contrazione di web log e indica una tipologia di applicazioni funzionali alla scrittura on line. Attraverso un blog è possibile scrivere, pubblicare e condividere facilmente note, pensieri, riflessioni, testi di qualunque tipo, all’interno di una pagina web. Bring your own device (ByoD, porta il tuo dispositivo) espressione impiegata per indicare le politiche aziendali che consentono di utilizzare i propri dispositivi personali sul posto di lavoro per accedere alle informazioni aziendali e alle loro applicazioni. Si parla di ByoD anche in ambito educativo per riferirsi a pratiche analoghe consentite agli studenti a scuola. Carico cognitivo Designa la quantità totale di attività imposta alla memoria di lavoro in un dato istante. Si distingue tra carico cognitivo estraneo, ossia associato a processi non direttamente legati all’apprendimento, carico cognitivo intrinseco, che è determinato dall’interazione tra la natura dei contenuti didattici e il livello di expertise dell’allievo e, infine, carico cognitivo rilevante che è legato a processi strettamente pertinenti alle attività di apprendimento. Certificazione dei risultati di apprendimento Rilascio di un certificato, un diploma o un titolo che attesta formalmente che un ente competente ha accertato e convalidato un insieme di risultati dell’apprendimento (conoscenze, know-how, abilità e/o competenze) conseguiti da un individuo rispetto a uno standard prestabilito. la certificazione può convalidare i risultati dell’apprendimento conseguiti in contesti formali, non formali o informali. Cloud computing (elaborazione attraverso la nuvola) indica un insieme di tecnologie informatiche basate sul Web 2.0, caratterizzato da un elevato livello di interazione tra gli utenti della rete, che spesso hanno necessità di collaborare e condividere risorse digitali (uso della nuvola informatica). in pratica si utilizza una rete di server remoti ospitati su internet, anziché su un server locale o un personal computer, per memorizzare, archiviare, gestire ed elaborare i dati. Competenza Comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. nel contesto del quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia. Competenza digitale l’insieme delle abilità, conoscenze, disposizioni, atteggiamenti che l’individuo può mobilitare per un uso consapevole, critico ed efficace delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei diversi ambiti della vita. implica la capacità di affrontare problemi tecnologici, di selezionare e valutare informazioni affidabili e di collaborare in modo responsabile e attivo per la costruzione di conoscenza condivisa e la pratica della cittadinanza attiva. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 174 175 Comunità di pratica espressione coniata da lave e Wenger nei primi Anni ‘90 per indicare un gruppo di persone che condividono un interesse comune intorno a problemi associati alla pratica professionale e che si impegnano nello scambio graduale e progressivo di esperienze e conoscenze. tre sono gli elementi che caratterizzano questi gruppi: un’identità definita sulla base di un interesse condiviso; il senso di appartenenza ad una comunità in cui i partecipanti si aiutano reciprocamente; la condivisione delle pratiche e non solo degli interessi. Connettivismo orientamento teorico che pone l’accento sulla dimensione sociale e culturale dell’apprendimento e che interpreta quest’ultimo come un processo di creazione di connessioni tra nodi specializzati o fonti di informazione di varia natura. Cyberspazio termine coniato dallo scrittore canadese William Gibson e reso noto dal suo romanzo Neuromancer, pubblicato nel 1984. oggi viene comunemente utilizzato per indicare lo spazio virtuale generato dall’interconnessione globale dei computer. Digital divide espressione che in prima approssimazione sta a indicare il divario esistente tra coloro che hanno accesso alle tecnologie dell’informazione e della Comunicazione (tiC) e coloro che non lo hanno. in un’accezione più articolata, esso rappresenta il divario tra individui, organizzazioni e aree geografiche non solo rispetto all’accesso alle tiC (accesso tecnico), ma anche in relazione alle conoscenze e capacità necessarie per beneficiare delle tiC (accesso sociale). Digitale in generale, l’aggettivo digitale si applica a tutti i tipi di informazioni che sono rappresentate utilizzando numeri. tipici dispositivi digitali sono i computer. È solitamente contrapposto ad analogico, soprattutto quando si vuole evidenziare un’altra caratteristica, ovvero il suo operare con insiemi finiti, numerabili e discreti, laddove le grandezze analogiche sono invece infinite e non numerabili. nella sua accezione più estesa, il termine si riferisce al mondo dei dispositivi (computer, telefoni, lettori musicali, televisori, ecc.) i quali, tutti basati su tecnologia digitale, costituiscono oggi un insieme di apparecchiature, spesso interconnesse, che sono entrate nella vita quotidiana di molte persone e ne caratterizzano comportamenti individuali e sociali. il termine «analogico» invece deriva da analogiaj ovvero riguarda la rappresentazione di una qualsiasi grandezza fisica mediante, appunto, un’analogia. Ad esempio la lancetta dell’orologio forma angoli analoghi al trascorrere del tempo, mentre la lancetta di un tachimetro è analoga all’aumentare della velocità. Dal momento che l’equivalente numerico di una grandezza digitale è un numero reale (quindi con un numero infinito di decimali, in teoria) le informazioni analogiche devono essere convertite in forma digitale per poter essere trattate dai computer. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 175 176 E-book (electronic book, libro elettronico) libro in formato elettronico che può essere letto sul personal computer o su un apposito lettore. E-Learning (electronic learning, apprendimento elettronico) neologismo coniato agli inizi del 2000, sta ad indicare un complesso di metodologie volte ad impiegare le tiC, in maniera da offrire ad allievi liberi da vincoli di tempo e di spazio i dispositivi di cui un ambiente di apprendimento normalmente si avvale (risorse informative, stimoli all’apprendimento, interazioni con docenti e/o compagni). Google App (Applicazioni offerte da Google) qualunque utente registrato può utilizzare un insieme di applicazioni rese disponibili da Google: Google calendar, Google Drive, Google doc, Google blogger, Google traduttore, Google foto, Google libri. ICT (o TIC) Con iCt (information and Communication technology), o con l’equivalente italiano tiC (tecnologie dell’informazione e della Comunicazione), si intende in senso generale tutto quanto ha che fare con le tecnologie dell’informazione (informatica) e della comunicazione. il collegamento tra queste tecnologie è reso sempre più evidente dall’esteso uso delle reti come internet e della convergenza verso il digitale (tV, telefonia, fotografia, audio, video). lo sviluppo delle iCt ha seguito delle fasi caratteristiche: negli Anni Settanta vi erano grandi computer utilizzati solo in ambito specialistico (per il loro uso occorre essere esperti programmatori); negli Anni ottanta si assistette all’avvento del personal computer, di uso familiare con sviluppo di software cosiddetti «di produttività individuale», come programmi per scrivere, disegnare, archiviare dati, ecc.; nei primi Anni novanta si assiste invece a un’esplosione della multimedialità, cioè i computer diventano capaci di gestire anche immagini, suoni, video, in virtù della maggiore velocità e capacità di memoria; dalla metà degli Anni novanta si è avuto lo sviluppo di internet, il computer diventa così soprattutto uno strumento di comunicazione; dai primi anni del XXi secolo si ha lo sviluppo di nuovi strumenti in internet (come blog, podcasting, ambienti di condivisione) il cui complesso caratterizza il cosiddetto web 2.0. Gli sviluppi attuali riguardano soprattutto l’integrazione in rete di dispositivi mobili come telefoni cellulari avanzati (i cosiddetti smartphone), netbook (computer molto piccoli e leggeri destinati all’uso in rete), lettori di libri e documenti in formato elettronico (e-book) e altri apparecchi specializzati. Learning Object la metafora comunemente usata per spiegare il concetto è quella dei leGo: l’idea è di creare dei mattoni per l’apprendimento che possono essere assemblati in costruzioni più estese e riutilizzati in altri contesti. in questo senso, i learning object sono le più piccole unità didattiche autoconsistenti, ossia oggetti formativi di entità minima che si focalizzano su obiettivi specifici di apprendimento. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 176 177 Learning Management System (LMS) Architettura portante di un progetto di e-learning o mobile learning dato che permette di erogare e gestire formazione on line, monitorando le attività e i progressi dei discenti e consentendo loro di personalizzare il proprio percorso formativo. Una piattaforma lMS gestisce anche procedure complesse di iscrizione e conferma per corsi sia on line che in presenza, integrando quindi più canali didattici, tradizionali e on line, in un sistema gestito centralmente. Microlearning Consiste in momenti o episodi di apprendimento focalizzati su uno specifico compito o contenuto, e articolato in brevi fasi. Mobile cloud learning il mobile cloud learning è il risultato dell’unione tra il cloud computing e il mobile learning. le risorse di apprendimento vengono archiviate nel cloud e i discenti vi possono accedere tramite un dispositivo mobile connesso alla rete. Motivazione Spesso il termine motivazione è usato secondo due prospettive di significato molto differenti. il primo riguarda lo stato momentaneo, il qui e ora della motivazione. e in ciò svolge un ruolo essenziale sia la condizione fisica, sia lo stato emozionale, sia la relazione in essere con le cose o le persone. tuttavia l’emergere di questo stato motivazionale deriva in gran parte da motivazioni, intese come disposizioni abbastanza stabili della persona, come atteggiamenti, motivi, valori. Si distingue tra motivazioni intrinseche ed estrinseche. la prime indicano bisogni profondi della persona umana almeno in tre ambiti particolari: utonomia, competenza, relazionalità. oggi a questi si aggiunge il bisogno di senso e prospettiva esistenziale che può informare e orientare i primi tre. Contrapposte a queste si evocano le cosiddette motivazioni estrinseche, come desiderio di ricchezza, onore, fama, popolarità, potere. Favorire l’integrazione positiva tra motivazioni intrinseche ed estrinseche è compito proprio di ogni processo educativo e autoeducativo. Anche perché molte ricerche hanno messo in luce il fatto che l’insistere su motivazioni estrinseche può affievolire le motivazioni intrinseche che guidano le nostre azioni. quanto allo stato motivazionale, esso va riferito alla relazione che si viene a stabilire tra il soggetto e la situazione quale è da lui percepita. questa sollecita più o meno fortemente un suo intervento migliorativo sulla base dell’interpretazione che egli ne dà. l’intenzione di agire e la definizione del compito da svolgere, deriva proprio dall’interazione tra le disposizioni interne del soggetto (conoscenze, motivi, valori, competenze,...) e la lettura che egli ne fà. Di qui deriva la spinta a intervenire e la direzione che viene assunta da tale intervento. in questo ambito viene anche rivalutato il ruolo dei cosiddetti “abiti”, cioè delle tendenze all’azione in determinati contesti, sviluppatesi nel tempo attraverso l’esperienza, l’esercizio e la riflessione sul valore personale di tali modi di agire. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 177 178 MP3 l’acronimo Mp3 (per esteso Moving picture expert Group-1/2 Audio layer 3) si riferisce ad una tecnologia per la compressione e la decompressione di file audio, che permette di mantenere una perfetta fedeltà e qualità anche riducendo il file audio di ben 12 volte la lunghezza originale. Ad esempio, un file che contiene 5 minuti di musica stereo passa dai 60 Mb del file originale, ai soli 5 Mb del file Mp3, pur conservando la stessa qualità che si otterrebbe da un CD audio. Multitasking il termine deriva dal lessico informatico, ma si ritrova ormai spesso applicato alle neuroscienze per indicare la capacità del cervello umano di svolgere più compiti simultaneamente multitasking work senza che si verifichino interferenze. Come il computer riesce a elaborare in parallelo le informazioni così il nostro cervello è capace di elaborare più compiti contemporaneamente, diventando più flessibile e in grado di suddividere l’attenzione in molteplici attività. Nativo digitale espressione introdotta da prensky (2001) per indicare quel segmento della popolazione nato e cresciuto dopo gli Anni ottanta del novecento a stretto e costante contatto con le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sviluppando nuove pratichee stili cognitivi. Ai nativi digitali vengono contrapposti gli immigrati digitali, ossia quei soggetti nati prima degli Anni ottanta che hanno dovuto adattarsi all’evoluzione sociotecnica della società contemporanea. Open source (codice sorgente aperto) questa espressione indica un software i cui autori, o meglio detentori dei diritti, ne consentono e favoriscono il libero studio e la modifica da parte di altri programmatori. Osservazione il ruolo del processo osservativo nell’ambito dello sviluppo e della valutazione delle competenze è molteplice e per molti versi riveste una notevole importanza. Un primo ruolo dell’osservazione sta proprio nel processo formativo stesso delle competenze soprattutto se queste si sviluppano sulla base di un confronto sistematico con uno o più modelli. il rapporto tra maestro e allievo nell’apprendistato è un esempio, rapporto che è valorizzato oggi nello sviluppo delle cosiddette comunità di pratica. Un secondo e più generale ruolo dell’osservazione viene svolto nella valutazione delle competenze, in quanto in genere una competenza si manifesta attraverso una prestazione del soggetto, che mette in azione se stesso per portare a termine un impegno o un compito. opportune modalità di osservazione più o meno strutturate e sistematiche permettono di rilevare alcune caratteristiche della prestazione come la capacità di leggere e interpretare correttamente il compito assegnato, di coordinare conoscenze, abilità e disposizioni interne in maniera valida ed efficace, di valorizzare risorse esterne eventualmente necessarie o utili, di gestire la propria azione nel suo svolgersi. naturalmente occorre che l’osservazione sia adeguatamente organizzata per poter condurre alla raccolta di informazioni pertinenti, valide e affidabili. Ciò implica alcune condizioni di utilizzazione che rendano l’osservazione sufficientemente sistematica, cioè non occasionale e troppo sog- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 178 179 gettiva. in primo luogo occorre descrivere con sufficiente chiarezza le competenze oggetto di osservazione. A partire da questo riferimento è possibile individuare alcune categorie osservative, cioè aspetti specifici che caratterizzano una prestazione, e sulle quali concentrare l’attenzione per poter decidere se una certa competenza è stata raggiunta o meno, e a quale suo livello di sviluppo. Va comunque ricordato che per inferire il raggiungimento di un certo livello di competenza non basta osservare una singola prestazione, bensì occorre prestare attenzione a una pluralità di prestazioni attuate in tempi e contesti diversificati. l’individuazione di categorie osservative richiede alcune attenzioni particolari: esse devono essere facilmente utilizzabili per individuare i comportamenti indicatori; devono risultare distinte tra di loro in modo da non sovrapporsi; devono coprire in maniera sufficiente l’insieme dei comportamenti indicatori di competenza. infine, vanno considerati gli strumenti osservativi che si possono o si debbono utilizzare. in genere si tratta di griglie, opportunamente strutturate, che vanno utilizzate secondo un piano organizzato nei tempi e in riferimento a situazioni osservative specifiche. Podcasting insieme di tecniche relative alla produzione, condivisione e fruizione di contenuti audio o video, detti podcast (termine derivante dalla contrazione di poD, ‘personal on Demand, e broadcast, ‘trasmissione’), attraverso un sistema di trasmissione dati e un programma client chiamato ‘aggregatore’ (o feed reader). il podcast può essere più o meno sofisticato e può essere fruito direttamente on line o scaricato per l’ascolto o la visione off line. Prestazione la parola prestazione corrisponde all’inglese “performance”, termine da cui vengono dette le cosiddette “arti performative”, cioè la arti nelle quali si manifesta la competenza di un attore, di un musicista, di un ballerino. Così dalle prestazioni di uno studente durante un’interrogazione, un compito in classe, un’attività di laboratorio è possibile risalire alla sua competenza. tuttavia, occorre distinguere bene tra prestazione e competenza. Se la prima è certamente una manifestazione di competenza, non è possibile tuttavia identificare la competenza con una prestazione particolare. infatti in molti casi entrano in gioco fattori che possono perturbare tale manifestazione, ad esempio fattori di natura fisica o psicologica propri del soggetto o esterni a esso. Basti pensare a un valido cantante, la cui prestazione in una determinata occasione è condizionata da fenomeni di raucedine o addirittura di afonia; oppure al caso di uno studente che demotivato non si impegna nel compito proposto. negli Anni Sessanta e Settanta, sotto l’influenza del comportamentismo, una competenza veniva identificata nella capacità di manifestare un preciso comportamento o una sequenza di comportamenti. Un apporto concettuale importante è stato dato dalla distinzione di n. Chomsky tra prestazione e competenza. ne è derivata la nozione di competenza come disposizione interna astratta che per sua natura non è visibile direttamente, ma può essere individuata attraverso una famiglia di prestazioni, che permettano di inferirla presente nel soggetto. tale famiglia deve essere tanto più vasta e differenziata, quanto più la competenza è complessa e flessibile. questa conclusione LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 179 180 è estremamente importante sul piano della valutazione scolastica delle competenze e implica non poche modifiche nella pratica didattica. infatti non è possibile partire da una sola prestazione per inferire la presenza di una competenza, né tanto meno il suo livello. nemmeno è possibile dedurre la sua carenza sulla base di una sola sua manifestazione. È questa la base concettuale che ha portato alla diffusione nel mondo sia scolastico, sia lavorativo, di una metodologia basata sulla predisposizione di un portfolio delle competenze Realtà aumentata Consiste nella sovrapposizione di dati digitali al mondo reale. le informazioni si aggiungono alla realtà, arricchendo la percezione umana, attraverso una postazione dotata di webcam (workstation, pS, Mac), dispositivi mobili con fotocamera (smartphone o tablet) o particolari visori (smart glasses). la webcam o la fotocamera riprendono l’ambiente circostante, mentre l’applicazione di realtà virtuale rielabora il flusso visivo in tempo reale, aggiungendo contenuti multimediali che si integrano al contesto attraverso tracciamento e geo-localizzazione. Risponditori elettronici i risponditori elettronici e altri sistemi similari sono strumenti wireless di piccole dimensioni utilizzabili in aula dagli studenti per rispondere alle domande dell’insegnante. Scaffòlding (impalcatura di sostegno) negli approcci didattici di taglio costruttivistico, si riferisce a quei sostegni umani, tecnici ed organizzativi in grado di supportare lo studente nello sviluppo di abilità e competenze utili al conseguimento degli obiettivi d’ap prendimento. Smartphone Dispositivo mobile che racchiude in sé le funzioni di un computer palmare e di un telefono cellulare. Con lo smartphone, che si può personalizzare con nuove funzioni e programmi, si può navigare in internet e mandare e-mail. Social Media Applicazioni internet basate su contenuti digitali aperti che vengono prodotti, condivisi, discussi e rielaborati da una massa di utenti secondo i principi Web 2.0. Alcuni esempi di social media sono: i blog, i wiki, i siti di social network e altri ambienti per la produzione, condivisione o distribuzione di contenuti multimediali. Tablet PC Computer portatile, dall’aspetto simile ad una tavoletta (da cui il nome), è sprovvisto di tastiera e ha dimensioni paragonabili a quelle di un foglio di carta formato A4 oppure A5 e spessore di qualche millimetro. il tablet pC dispone di un display lCD con interfaccia touch. l’utente può impartire comandi al sistema toccando con un apposito pennino o con le proprie dita le icone desiderate. È anche possibile utilizzare una tastiera fisica tramite l’interfaccia Bluetooth. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 180 181 Touch Screen (Schermo tattile) Schermo che, toccato con un dito o con appositi strumenti (come ad esempio il pennino), consente di interagire con un computer. il touch Screen viene usato soprattut- to nei servizi d’informazione e di prenotazione, nei bancomat e in dispositivi mobili come palmari, smartphone. Ubiquitous computing (elaborazione informatica pervasiva) insieme dei sistemi informatici che permettono di accedere al medesimo servizio in qualsiasi momento da qualsiasi luogo in un mondo in cui le tecnologie scompaiono e si intrecciano nel tessuto degli strumenti della vita quotidiana diventando indistinguibili da essi. Unità di apprendimento il concetto di unità di apprendimento nel contesto della scuola italiana è stato introdotto in seguito alla legge 53 del 28 marzo del 2003. i concetti di competenza e di piano di studio personalizzato introdotti soprattutto nei documenti successivi inducevano la necessità di individuare una metodologia didattica congruente. l’unità di apprendimento veniva così a costituire lo spazio didattico nel quale le conoscenze e le abilità proposte dall’insegnante e fatte proprie dall’allievo venivano trasformate in competenze personali attraverso opportune attività di integrazione operativa. l’insieme poi delle unità di apprendimento effettivamente percorse dal singolo studente formava il suo piano di studio personalizzato. l’accento che viene posto in questo orientamento metodologico sta nell’attenzione alla persona, nel senso che nel corso di una unità di apprendimento viene sollecitata da parte dello studente la sua personale azione di integrazione e di interiorizzazione di quanto proposto per tutti, tenendo conto delle proprie caratteristiche soggettive. in altri termini si tratta di favorire una crescita personale mediante una appropriazione significativa e dinamica delle conoscenze e abilità oggetto di insegnamento. qui sta probabilmente la differenza sostanziale con il consueto concetto di unità didattica, che è più attento a una acquisizione significativa e stabile delle conoscenze dichiarative e/o procedurali proposte dal docente. Una unità didattica in questa prospettiva è più diretta all’acquisizione di conoscenze e abilità, che alla formazione della persona nel suo insieme e al ruolo che in tale processo ha da una parte l’appropriazione personale di quanto proposto e, dall’altra, la sua valorizzazione nel proprio agire. Da questo stesso punto di vista può anche essere interpretata la distinzione tra processo di individualizzazione e processo di personalizzazione. nel primo caso le metodologie didattiche tengono conto delle caratteristiche individuali quanto a ritmi e stili di apprendimento al fine di favorire il raggiungimento di obiettivi didattici comuni, nel secondo caso si ha un adattamento degli stessi obiettivi alle caratteristiche personali dello studente come attitudini, prospettive di studio e di lavoro, motivi e desideri, preferenze. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 181 182 Valutazione (delle competenze) Valutare significa in primo luogo dare valore, sia nel senso di definire che cosa per noi ha valore, sia per apprezzare il valore di qualcosa. per impegnarci a valutare la competenza di qualcuno dobbiamo per prima cosa essere convinti del valore del promuovere quella competenza. in secondo luogo occorre che ne possediamo un descrizione sufficientemente chiara e alcuni criteri di riferimento per identificarne il grado di sviluppo e/o le eventuali carenze e inadeguatezze. Si tratta infatti di poter osservare e individuare la capacità di valorizzare le conoscenze e abilità apprese nell’affrontare compiti e problemi sia interni alla propria disciplina, sia collegabili con situazioni a essa più o meno distanti, ma che abbiano un qualche carattere di novità e/o di complessità rispetto a quanto ormai familiare. in una frase molto pregnante Wiggins ha sintetizzato così questa prospettiva: «Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa». Cioè non basta mostrare le proprie conoscenze o i propri saperi, non basta evidenziare le proprie abilità: occorre riuscire a mettere in luce pubblicamente quanto si è in grado di utilizzare in modo consapevole, coerente e proficuo, le proprie risorse interne (e, se opportuno o necessario, anche quelle esterne disponibili) nell’affrontare situazioni o problemi di natura non ripetitiva, sapendo gestire se stessi in tale impresa. D’altra parte la valutazione può svolgere funzioni assai diversificate: diagnostica, al fine di rilevare il livello di sviluppo di una data competenza e impostare di conseguenza un progetto di intervento; formativa o regolativa del processo formativo, per verificare se quanto si fa è valido ed efficace; certificativa, al fine di dichiarare se il soggetto ha raggiunto o meno un certo livello di competenza. in quest’ultimo caso, il valore di tale dichiarazione dipende in gran parte da quanto è degno di fiducia chi l’ha redatta. Sia per quanto riguarda la valutazione, sia per quanto concerne la certificazione delle competenze occorre ricordare che, in un processo valutativo, un conto è la raccolta di elementi informativi, di dati relativi alle manifestazioni di competenza, un altro conto è la loro lettura e interpretazione al fine di elaborare un giudizio comprensivo. Ambedue gli aspetti del processo valutativo esigono particolare attenzione. quanto alla raccolta di informazioni, occorre che queste siano pertinenti (cioè si riferiscano effettivamente a ciò che si deve valutare) e affidabili (cioè degne di fiducia, in quanto non distorte o mal raccolte). queste poi devono essere molteplici e raccolte secondo molteplici forme e metodi. la loro lettura, interpretazione e valutazione, esige che preventivamente siano stati definiti i criteri in base ai quali ciò viene fatto; deve cioè essere indicato a che cosa si presta attenzione e si attribuisce valore e seguire effettivamente e validamente in tale apprezzamento i criteri determinati. l’elaborazione di un giudizio finale, che tenga conto dell’insieme delle manifestazioni di competenza, anche da un punto di vista evolutivo, non può certo basarsi su calcoli di tipo statistico, alla ricerca di medie: assume invece il carattere di un accertamento di presenza e di livello che deve essere sostenuto da elementi di prova (le informazioni raccolte) e da consenso (da parte di altri, in molti casi anche del soggetto valutato). LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 182 183 Valutazione formativa Si tratta di una forma di valutazione volta a supportare l’allievo nel processo di apprendimento. Si effettua di solito più volte in itinere, lungo il processo formativo. Dovrebbe fornire all’alunno (e all’insegnante) indicazioni sui punti di forza e di debolezza della preparazione, in modo da poter intervenire opportunamente. Valutazione sommativa È la verifica finale o intermedia di un curriculum didattico, effettuata a scopo di certificazione conclusiva o comunque di misurazione del livello rag giunto, al fine di assegnare un giudizio o un voto di merito. Virtual Learning Environment (Vle, Ambiente di apprendimento virtuale) l’espressione designa una piattaforma per l’erogazione di corsi on line che fornisce accesso ai contenuti didattici e agli strumenti di interazione, consentendo la gestione di attività di insegnamento e apprendimento. Vedi anche learning Management System. Web 2.0 termine coniato da tim o’Reilly nel 2005 per indicare l’evoluzione del Web e di altri servizi internet. il termine in particolare indica un insieme di applicazioni che consentono agli utenti sia di creare e condividere contenuti sia di interagire e comunicare con altri utenti. Blog, wiki, social networking, instant messaging sono applicativi che appartengono a questa nuova generazione del Web. WiFi (Wireless Fidelity) tecnologia per la creazione di reti senza fili. LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 183 185 Indice SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 INTRODUZIONE Verso la presenza delle tecnologie informatiche mobili nei processi istruttivi e formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1. Una prospettiva storica a volo d’uccello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2. Una riflessione sul passato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 3. la presenza delle tecnologie mobili nei processi d’insegnamento a livello di secondo ciclo di istruzione e Formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 primo capitolo Rassegna critica orientativa di pubblicazioni riferibili al rapporto tra tecnologie, in particolare digitali, e educazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1. introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2. il difficile rapporto tra l’uomo, l’educazione e la tecnologia . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 3. l’impatto delle tecnologie informatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 4. tecnologie digitali e processi cognitivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 5. tesi contrapposte e polemiche roventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 6. Visioni più meditate e documentate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 7. Verso una conclusione orientativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Secondo capitolo La competenza digitale nel Quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 1. il quadro europeo delle competenze chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2. natura e articolazione delle competenze chiave digitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 3. Una mappa delle competenze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 4. Un quadro di riferimento che proviene dallìanalisi di pratiche significative . . . . . 39 5. i risultati dello studio: un’articolazione analitica delle competenze digitali e dello loro componenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 6. Una declinazione sottoforma di rubrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 7 Una sintesi operativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 terzo capitolo: Alcuni apporti da ricerche internazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 1. Sul rapporto tra introduzione delle tecnologie informatiche e processi di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2. libri stampati versus libri digitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 3. Scrivere a mano in corsivo versus scrivere al computer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 4. Ricerche sull’introduzione delle tecnologie mobili a scuola. . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 5. la situazione nei processi formativi: come è descritta nei rapporti Horizon 2014 58 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 185 186 quarto capitolo Uno sguardo alla situazione italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 1. la normativa italiana e gli indirizzi nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 2. le indicazioni provenienti dall’Agenda digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 3. iniziative ministeriali e locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 4. Alcuni punti di riferimento per la ricerca e l’innovazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 5. Una “Buona scuola” digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 6. la questione dei libri di testo digitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 7. le prospettive in atto: dal consumo alla produzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 quinto capitolo Alcuni fondamentali orientamenti concettuali e operativi emergenti. . . . . . . . . . . . . 77 1. Verso una prospettiva ibrida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 2. Centralità della progettazione educativa e didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 3. promuovere le competenze strategiche necessarie per una buona capacità di autoregolazione nello studio e nel lavoro . . . . . . . . . . . 82 4. Competenze digitali e sviluppo dell’occupabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 5. la competenza didattica dei docenti in un contesto segnato dalla presenza delle tecnologie digitali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Sesto capitolo Il mobile learning e i problemi metodologici connessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 1. le tecnologie mobili e le condizioni per una loro valorizzazione nei processi istruttivi e formativi: l’apporto degli studi coordinati da M. Sharples 91 2. Un approfondimento critico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 3. la questione metodologica: verso una visione più pluralista e operativa . . . . . . . 96 4. le ricerche sull’efficacia dei vari metodi di insegnamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 5. l’apporto delle teorie cognitive per una riconsiderazione del costruttivismo . . . . 100 6. la posizione filosofica ispirata al nuovo realismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 7. la posizione di chi sostiene un approccio all’insegnamento in forma diretta ed esplicita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 8. per un quadro di riferimento operativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Settimo capitolo L’integrazione delle tecnologie mobili nella progettazione educativa e didattica . . 109 1. A livello di istituzione scolastica o formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 2. A livello di aula didattica o di classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 3. A livello di programmazione curricolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 4. progettare attività didattiche integrate da tecnologie mobili. . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 5. Alcuni principi di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 6. Un esempio d’integrazione dell’ipad nella pratica didattica. . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 7. Alcune prospettive più innovative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 186 187 ottavo capitolo La progettazione delle lezioni o dell’attività didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 1. i passaggi fondamentali nella preparazione delle lezioni e l’utilizzo delle tecnologie mobili nell’affrontarli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 2. Mappe mentali e mappe concettuali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 3. la teoria dell’apprendimento significativo di D. p. Ausubel . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 4. la nascita delle mappe concettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 5. programmi che consentono di sviluppare da parte dei docenti e degli studenti mappe concettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 6. Valorizzare alcuni recenti suggerimenti metodologici, come le classi capovolte . 135 nono capitolo Fase di avvio e di sviluppo dell’attività didattica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 1. Strutturazione dell’ambiente di apprendimento e avvio dell’attività . . . . . . . . . . . 137 2. lo sviluppo dell’attività didattica in una prospettiva ibrida . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 3. insegnamento esplicito e diretto e utilizzo di tecnologie mobili . . . . . . . . . . . . . . 141 4. Apprendere da un modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 5. Favorire una comunicazione multimediale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 6. Dare spazi di sviluppo della capacità di gestire se stessi nell’apprendimento . . . . 146 7. il ruolo centrale della valutazione formativa e del feedback . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 Decimo capitolo Fase conclusiva delle lezioni e valutazione delle competenze digitali . . . . . . . . . . . . . 151 1. la fase conclusiva di un ciclo di lezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 2. la valutazione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152 3. il portfolio delle competenze: uno strumento fondamentale per la loro valutazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 4. il portfolio digitale, o eportfolio, per la valutazione e l’orientamento . . . . . . . . . 156 5. la valutazione delle competenze digitali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 187 189 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. 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Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 189 190 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DonAti C. - l. BelleSi, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 niColi D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 RoSSi G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MAliziA G. - pieRoni V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CnoS-FAp (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 pelleRey M. - GRząDziel D. - MARGottini M. - epiFAni F. - ottone e., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DonAti C. - BelleSi l., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DonAti C. - BelleSi l., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DoRDit l., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DoRDit l., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione, 2014 2015 pelleRey M., LA valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rapporto finale, 2015 AllUlli G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 190 191 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 191 192 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRiSAnCo M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 192 193 prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 niColi D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SAlAtino S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CnoS-FAp (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CnoS-FAp (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 193 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Maggio 2015 LaValorizzazione_imparare 27/04/15 09:02 Pagina 194

Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020

Autore: 
Giorgio Allulli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
121
Codice: 
978-88-95640-87-7
Giorgio Allulli Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020 Anno 2015 Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila DRAzzA: Sede Nazionale CNOS-FAP – ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FiAT GROuPAutomobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo Aliquò, Gianni BuFFA, Roberto CAVAGlià, Egidio CiRiGliANO, luciano CliNCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPElli, Nicola MERli, Roberto PARTATA, lorenzo PiROTTA, Antonio PORziO, Roberto SARTOREllO, Fabio SAViNO, Giampaolo SiNTONi, Dario RuBERi. ©2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO IntroDuzIonE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. La Strategia di Lisbona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. Verso Europa 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 3. I benchmark europei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 4. Il dibattito sulle competenze ed il Quadro europeo delle qualifiche . . . . . . . . 43 5. La raccomandazione sulla qualità dell’Istruzione e Formazione Professionale (EQAVEt) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 6. Le raccomandazioni europee sul riconoscimento dei crediti (ECVEt) e sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 7. Il Fondo Sociale Europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 8. L’evoluzione dei sistemi educativi europei nel quadro delle sfide di Lisbona . . 77 9. L’impatto del processo di Lisbona sugli Stati membri europei e sul sistema italiano di Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 BIBLIogrAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 InDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 3 5 INTRODUZIONE l’ambito di questo testo riguarda sia le politiche condotte dall’unione Europea per promuovere lo sviluppo di sistemi formativi europei in grado di affrontare le sfide poste dal processo di globalizzazione in atto, sia le politiche condotte dagli Stati membri dell’unione per rispondere alle sollecitazioni proposte a livello europeo e mondiale, con particolare attenzione al versante dell’istruzione e Formazione Professionale. in particolare il testo prende in esame le politiche condotte a partire dalla strategia di lisbona, varata nel 2000, fino allo sviluppo della strategia per il 2020. Si è trattato di un periodo molto intenso per quanto riguarda l’attività europea in questo ambito, perché ha preso corpo la Cooperazione rafforzata che ha portato, nel quadro del processo di Copenaghen, alla definizione di un sistema orientato all’apprendimento permanente ed al varo di tre importanti Raccomandazioni che hanno introdotto un quadro europeo per le qualifiche, un sistema di riconoscimento dei crediti formativi, un riferimento europeo per l’assicurazione di qualità. l’esame di questo periodo offre anche l’opportunità di condurre una verifica di cosa è stato realizzato rispetto agli obiettivi stabiliti nell’anno 2000, di quali sono i problemi tuttora aperti e di come si stanno muovendo i Paesi europei. 7 1. La Strategia di Lisbona 1.1. SoCIEtà DELLA ConoSCEnzA, CAPItALE umAno ED APPrEnDImEnto PErmAnEntE Per comprendere le motivazioni delle strategie europee per l’occupazione e la formazione che sono state adottate negli ultimi 20 anni è necessario prendere in considerazione alcuni termini “chiave”: Società della conoscenza, Capitale umano ed Apprendimento permanente. l’espressione “Società della conoscenza” viene spesso utilizzata per definire una delle principali caratteristiche del sistema economico e produttivo contemporaneo, in quanto sempre di più il sapere, invece del capitale “materiale”, diventa una risorsa indispensabile per la produzione e per lo sviluppo del sistema economico. la diffusione dell’informazione e delle nuove tecnologie trasforma le caratteristiche del lavoro e l’organizzazione della produzione. i lavori di routine e ripetitivi, cui era destinata la maggior parte dei lavoratori dipendenti, vanno scomparendo a vantaggio di un’attività più autonoma, più variata. il risultato è un diverso rapporto nell’impresa. il ruolo del fattore umano assume più importanza, ma al tempo stesso il lavoratore è più vulnerabile rispetto ai cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, perché è diventato un semplice individuo inserito in una rete complessa. Sorge quindi la necessità per tutti di adattarsi non solo ai nuovi strumenti tecnici, ma anche alla trasformazione delle condizioni di lavoro. lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, la loro applicazione ai metodi di produzione, i prodotti sempre più sofisticati che sono il risultato di questa applicazione, danno origine a un paradosso: malgrado un effetto generalmente positivo, il progresso scientifico e tecnico fa sorgere nella società un sentimento di minaccia, addirittura una paura irrazionale. in questo quadro, analizzato a livello europeo durante gli Anni ‘901, si afferma la nozione di Capitale umano. l’espressione “Capitale umano” ha avuto una rapida ed ampia diffusione negli ultimi vent’anni, per analogia con la terminologia economica che identifica le risorse materiali a disposizione di una data società. il capitale umano viene incluso nelle risorse economiche insieme all’ambiente e al capitale fisico, ed è costituito dall’insieme delle facoltà e delle risorse umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, acquisite durante la vita da un individuo, che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di 1 COMMiSSiONE EuROPEA (1995), White Paper On Education And Training - Teaching And Learning Towards The Learning Society COM(95) 590. 8 creazione e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi2. la formazione e crescita del capitale umano avvengono tramite i processi educativi di un individuo che si realizzano nell’ambiente familiare, nell’ambiente sociale, nella scuola e nell’esperienza di lavoro. Evidentemente in un sistema economico nel quale la conoscenza gioca un ruolo centrale, il capitale umano diventa la risorsa fondamentale del sistema produttivo. Si vengono a formare o si ampliano nuove categorie sociali, come i lavoratori della conoscenza, ovvero coloro che occupano posizioni lavorative nelle quali devono fare un intenso uso di sapere tecnologico: managers, professionisti, esperti, tecnici, ecc. Secondo Butera3 questo gruppo sociale è in forte espansione rispetto ai primi anni del secolo scorso. in ogni caso la necessità di ampliare le proprie competenze, sia di base che specialistiche, riguarda tutti i cittadini ed i lavoratori, che devono far fronte ad una crescente evoluzione delle tecnologie, applicate sia alla produzione che al vivere quotidiano. Ne consegue che per assicurare la crescita e la competitività del sistema economico occorre sviluppare il capitale umano incentivando e valorizzando l’apprendimento nelle sue diverse modalità, ed integrando la formazione ed il lavoro. le politiche riguardanti lo sviluppo dell’economia e dell’occupazione e quelle relative allo sviluppo dell’istruzione e formazione vanno dunque strettamente intrecciate. Per offrire opportunità di lavoro per tutti e creare un’economia più competitiva e sostenibile, l’Europa ha bisogno di una forza lavoro altamente qualificata in grado di rispondere alle sfide attuali e future. È dunque urgente investire in competenze e migliorare la corrispondenza reciproca tra queste e l’offerta di lavoro, in modo valido per anticipare le tendenze future. A perseguire questi obiettivi è dunque principalmente rivolta la strategia europea che si è sviluppata negli ultimi 20 anni. Nell’anno 2000 l’unione Europea ha approvato la Strategia di Lisbona (v. par. seguente), che riconosce il ruolo determinante svolto dall’istruzione quale parte integrante delle politiche economiche e sociali. Per far fronte al cambiamento continuo ed alle richieste di competenze sempre più elevate ed aggiornate, l’apprendimento non può essere più promosso in una sola fase della vita, ma deve diventare una condizione permanente delle persone (lifelong learning): questa è una priorità essenziale per l’occupazione, l’agire efficace in campo economico, la completa partecipazione alla vita sociale. il concetto di “Lifelong learning” risale agli Anni ‘70 del secolo scorso. Secondo il Rapporto Faure pubblicato dall’uNESCO4, l’obiettivo della formazione è 2 Sul concetto di capitale umano si veda BECkER G. S. (1964), Human Capital, Columbia university Press, New York 3rd ed. 1993 e GORi E. (2004), L’investimento in Capitale Umano attraverso l’Istruzione, in G. Vittadini (a cura di) (2004) Capitale umano. la ricchezza dell’Europa, Guerini ed. 3 BuTERA F., con DONATi E., CESARiA R. (1998), I lavoratori della conoscenza, Milano FrancoAngeli; BuTERA F., BAGNARA S., CESARiA R., Di GuARDO S. (2008), Knowledge working, Milano Mondadori. 4 FAuRE E. (1972), Learning to Be, Paris, uNESCO. 9 quello di permettere all’uomo di “diventare stesso”; pertanto, nella concezione dell’uNESCO venivano sottolineate sopratutto le ricadute personali dell’apprendimento permanente. il Rapporto propose “il lifelong learning come concetto guida per le politiche educative negli anni a venire”. Nel corso degli Anni ‘90, sia l’OCSE5 che l’unione Europea6, oltre all’uNESCO7, espressero la necessità di uno sviluppo dell’economia della conoscenza e della società della conoscenza a causa del processo di globalizzazione. Apprendimento e lavoro o occupabilità e istruzione diventarono le questioni centrali in agenda. la conferenza di lisbona del 2000 fissò per l’Europa l’obiettivo di diventare l’area trainante nella economia della conoscenza. Si constatava che la realizzazione degli obiettivi economici richiedeva anche la realizzazione simultanea di obiettivi sociali, culturali e personali. una persona non è solo un’entità economica, né l’apprendimento può realizzarsi senza la motivazione e il desiderio personale. l’apprendimento permanente doveva essere un diritto, non un obbligo. la formazione permanente non era intesa solo come apprendimento a fini occupazionali, ma anche personali, civici e sociali, collegandosi ad altri obiettivi fondamentali, quali quelli dell’occupabilità, dell’adattabilità e della cittadinanza attiva. Per approfondire queste tematiche la Commissione europea propose a tutti gli Stati membri un Memorandum8, che conteneva la seguente definizione operativa: l’apprendimento permanente comprende “tutte le attività di apprendimento realizzate su base continuativa, con l’obiettivo di migliorare le conoscenze, abilità e competenze”. la politica di promozione dell’apprendimento per tutto l’arco della vita si basa sulla consapevolezza delle istituzioni che tra i loro compiti vi è anche quello di facilitare l’esercizio del diritto di tutti i cittadini di ogni età, ceto sociale o condizione professionale, di formarsi, apprendere e crescere, sia umanamente che professionalmente, per l’intero arco della vita. il documento, predisposto nella sua versione finale nell’aprile 2000 dopo un ampio processo di consultazione, sottolinea due importanti obiettivi per l’apprendimento permanente: promuovere la cittadinanza attiva e l’occupabilità. Cittadinanza attiva significa “se e come le persone partecipano a tutti gli ambiti della vita sociale ed economica, le opportunità e i rischi che devono affrontare nel tentativo di farlo, e la misura in cui esse ritengono di appartenere e di poter intervenire nella società in cui vivono”. inoltre “l’occupabilità – la capacità di trovare e mantenere l’occupazione – non è solo una dimensione di base della cittadinanza attiva, ma è anche la premessa determinante per il raggiungimento della piena occupazione e migliorare la competitività e la prosperità nella ‘nuova economia’”. 5 OECD (1996), Lifelong Learning for All, Paris, OECD. 6 COMMiSSiON OF ThE EuROPEAN COMMuNiTiES (1995), White paper on education and training - Teaching and learning: towards the learning society, Com95_590 Brussels. 7 uNESCO (1996), Learning - the treasure within. Report of the International Commission on Education for the 21st Century, Paris, uNESCO. 8 COMMiSSiON OF ThE EuROPEAN COMMuNiTiES (2000), Commission Memorandum on lifelong learning [SEC(2000) 1832. Brussels. 10 Facendo seguito alla approvazione del Memorandum, la Commissione europea emanò nel 2001 un documento dal titolo Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente9. la Comunicazione propose in primo luogo una definizione ampia di apprendimento, sottolineando che l’apprendimento non si realizza solo nelle attività formative intenzionali e riconosciute come quelle proposte dalla scuola (formazione formale). l’apprendimento avviene anche in attività formative svolte al di fuori del contesto educativo tradizionale, per esempio sul lavoro (formazione non formale) ed avviene anche nella esperienza di vita quotidiana (formazione informale). Generalmente viene riconosciuto, attraverso l’attribuzione di un titolo di studio o di una qualifica, solo l’apprendimento formale, ma quello che conta non è il percorso seguito, ma l’acquisizione effettiva di competenze. Per promuovere la partecipazione all’apprendimento permanente, il documento propose azioni concrete a tutti i livelli, tra cui un nuovo modo di valutare e riconoscere le competenze acquisite, per permettere a tutti i cittadini di muoversi liberamente fra diversi contesti di studio, di lavoro e geografici, valorizzando le conoscenze e competenze possedute. questo documento si può definire come il manifesto della strategia comunitaria in campo educativo a partire dal 2000. Allo scopo di definire delle iniziative concrete per realizzare l’obiettivo dell’apprendimento permanente la Commissione europea istituì dei gruppi di lavoro nel campo delle qualificazioni, del riconoscimento dei crediti formativi e della assicurazione di qualità. Sulla base del lavoro e delle proposte presentate da questi gruppi, la Commissione predispose delle importanti Raccomandazioni per tutti gli Stati membri, che sono state approvate e ratificate da parte del Consiglio e del Parlamento europeo. il principio ed il potenziamento dell’apprendimento permanente è diventato dunque sia obiettivo centrale che contenitore strategico dell’azione dell’uE. 1.2. gLI oBIEttIVI DI LISBonA il 23 e 24 marzo del 2000, il Consiglio europeo tenne a lisbona (da cui l’appellativo Strategia di lisbona) una sessione straordinaria dedicata ai temi economici e sociali dell’unione Europea. il Consiglio di lisbona partì dalla premessa che l’unione si trovava dinanzi a una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza. questi cambiamenti interessavano ogni aspetto della vita delle persone e richiedevano una trasformazione radicale dell’economia europea. l’unione doveva mo- 9 COMMiSSiONE DEllE COMuNiTà EuROPEE, Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente, COM(2001) 678 Bruxelles, 21.11.2001. 11 dellare tali cambiamenti in modo coerente con i propri valori e concetti di società, anche nella prospettiva dell’imminente allargamento. Ne conseguiva la necessità per l’unione di stabilire un obiettivo strategico chiaro e di concordare un programma ambizioso al fine di creare le infrastrutture del sapere, promuovere l’innovazione e le riforme economiche, e modernizzare i sistemi di previdenza sociale e di istruzione. Pertanto i Capi di Stato e di Governo dell’unione convennero di realizzare in Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. È nel perseguimento di tale obiettivo che vennero avviate una serie di ambiziose riforme, il cui status è stato periodicamente valutato in occasione dei Consigli europei di primavera10. il raggiungimento di questo obiettivo richiese la definizione di una strategia globale volta a modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l’esclusione sociale, ed a predisporre il passaggio verso un’economia e una società basate sulla conoscenza, migliorando le politiche in materia di società dell’informazione e di R&S, accelerando il processo di riforma strutturale ai fini della competitività e dell’innovazione e completando il mercato interno. il Consiglio europeo di lisbona riconobbe il ruolo determinante svolto dall’istruzione quale parte integrante delle politiche economiche e sociali, strumento del rafforzamento della competitività dell’Europa nel mondo e garanzia di coesione delle nostre società e del pieno sviluppo dei cittadini. in tale quadro il Consiglio inserì, tra i punti chiave della politica comunitaria per l’occupazione, quello di attribuire una più elevata priorità all’attività di apprendimento lungo tutto l’arco della vita quale elemento di base del modello sociale europeo, promuovendo accordi tra le Parti Sociali in materia di innovazione e apprendimento permanente, sfruttando la complementarità tra tale apprendimento e l’adattabilità delle imprese e del loro personale. 10 Conclusioni della presidenza Consiglio Europeo di lisbona 23/24 marzo 2000. ILmEtoDo DEL CoorDInAmEnto APErto il Metodo del Coordinamento aperto fornisce una cornice per la cooperazione tra i Paesi europei, le cui politiche nazionali possono essere indirizzate verso obiettivi comuni. Nel Metodo di Coordinamento aperto la responsabilità riguardo alla definizione degli obiettivi specifici e degli strumenti di policy resta a livello nazionale; l’uE assume la funzione di facilitare il coordinamento e l’apprendimento reciproco tra gli Stati membri, senza alcun tentativo formale di controllare l’applicazione da parte dei Governi dei principi generali ed obiettivi definiti congiuntamente al livello europeo. l’applicazione del metodo del coordinamento aperto prevede le seguenti azioni: • definizione di linee guida a livello uE con tabelle di marcia che definiscono anche i tempi per ottenere gli obiettivi; 12 Per promuovere l’apprendimento permanente vennero fissati quattro rilevanti obiettivi politici trasversali: • Elaborare framework nazionali che contenessero ed inquadrassero tutti i titoli e le qualifiche rilasciate ai diversi livelli, dalla scuola di base fino all’università. • Attuare delle misure per valutare e convalidare l’apprendimento non formale ed informale. • istituire sistemi di orientamento per promuovere e sostenere l’apprendimento permanente. • Attuare iniziative per rafforzare la mobilità transnazionale. la combinazione di queste misure facilita l’attivazione di percorsi flessibili di formazione, mettendo gli individui in grado di trasferire i risultati del loro apprendimento da un contesto di apprendimento all’altro e da un Paese all’altro. 1.3. IL ProCESSo DI CoPEnAgHEn PEr L’IStruzIonE E FormAzIonE ProFESSIonALE Nel marzo 2002, il Consiglio europeo di Barcellona, approvando il programma di lavoro sul follow-up degli obiettivi di lisbona, stabilì l’obiettivo di “rendere l’istruzione e la formazione in Europa un punto di riferimento a livello mondiale per il 2010”11. il Consiglio invitò inoltre ad intraprendere ulteriori azioni per introdurre strumenti volti a garantire la trasparenza dei diplomi e delle qualifiche adattate al settore dell’istruzione e Formazione Professionale. Facendo seguito al mandato di Barcellona, il Consiglio dell’unione Europea (istruzione, Gioventù e Cultura) approfondì le questioni riguardanti l’Istruzione e Formazione Professionale (VET) ed emanò a Copenaghen (2002) una Dichiarazione volta a promuovere una maggiore cooperazione in materia di istruzione e Formazione Professionale. il Consiglio sottolineò le sfide fondamentali, per i si- 11 Dichiarazione dei Ministri europei dell’istruzione e Formazione Professionale e della Commissione europea, riuniti a Copenaghen il 29 e 30 novembre 2002, su una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e Formazione Professionale. “La Dichiarazione di Copenaghen”. • definizione a livello uE di indicatori quantitativi e qualitativi e benchmark calibrati sulle migliori performance mondiali e adattati alle necessità dei diversi Stati membri e settori come strumenti per comparare le migliori prassi; • monitoraggio e valutazione delle politiche nazionali rispetto a standard congiuntamente definiti (benchmark), che permettono di comparare la performance di ciascuno Stato membro rispetto agli altri e di identificare le “buone prassi”; • organizzazione di Peer review periodiche con lo scopo di promuovere l’apprendimento reciproco. 13 stemi di istruzione e Formazione Professionale europei, rappresentate dalla costruzione di un’Europa basata sulla conoscenza e di un mercato del lavoro europeo aperto a tutti e dalla necessità di adattarsi continuamente alle evoluzioni e alle richieste mutevoli della società. l’intensificazione della cooperazione nell’istruzione e Formazione Professionale avrebbe fornito un valido contributo sia per realizzare con successo l’allargamento dell’unione Europea, sia per conseguire gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di lisbona. Venne pertanto introdotto il metodo della Cooperazione rafforzata nell’Istruzione e Formazione professionale (VET), con la finalità di incoraggiare un maggior numero di individui a fare un più ampio uso di opportunità di apprendimento professionale, a scuola, nell’istruzione superiore, sul posto di lavoro o attraverso corsi privati. in particolare vennero individuate quattro priorità: a) Rafforzare la dimensione europea dell’Istruzione e Formazione Professionale, allo scopo di migliorare e di intensificare la cooperazione, così da facilitare e promuovere la mobilità e lo sviluppo di forme di cooperazione interistituzionale, di partenariati e di altre iniziative transnazionali, tutto al fine di dare maggiore visibilità al settore europeo dell’istruzione e della formazione in un contesto internazionale e far sì che l’Europa fosse riconosciuta, a livello mondiale, come un punto di riferimento in materia di apprendimento. I PrInCIPALI orgAnISmI EuroPEI il Parlamento europeo è composto da 751 rappresentanti dei popoli degli Stati membri, eletti a suffragio universale. il numero dei rappresentanti eletti in ciascuno Stato membro differisce a seconda della popolazione. il Parlamento partecipa all’elaborazione degli atti legislativi comunitari in diversa misura, a seconda delle materie: può esprimere pareri non vincolanti o vincolanti; più spesso, i testi legislativi sono adottati di comune accordo dal Consiglio e dal Parlamento, il cui consenso è indispensabile per l’adozione del testo finale. il Consiglio dell’unione Europea è composto dai rappresentanti dei Governi degli Stati membri. la sua composizione cambia a seconda delle materie all’ordine del giorno in quanto ciascuno Stato viene rappresentato dal membro del Governo responsabile della materia in questione (Affari esteri, Finanze, Affari sociali, Trasporti, Agricoltura, ecc.). Fino alla fine del 2009, la presidenza del Consiglio europeo era una carica informale e temporanea, svolta dal Capo di Stato o di Governo dello Stato membro che deteneva la presidenza semestrale del Consiglio dei Ministri. il Trattato di lisbona ha reso stabile questa carica, che viene assegnata dal Consiglio europeo stesso a maggioranza qualificata. il mandato dura due anni e mezzo ed è rinnovabile una volta sola. la Commissione è composta da 28 membri (uno per Stato membro). i membri della Commissione sono nominati dal Consiglio per una durata di cinque anni. la Commissione è responsabile dell’elaborazione delle proposte di nuovi atti legislativi, che presenta al Parlamento e al Consiglio. inoltre, essa partecipa attivamente alle tappe successive del procedimento legislativo. la Commissione istruisce ed attua le politiche ed i programmi adottati dal Parlamento e dal Consiglio. 14 b) Trasparenza, informazione, orientamento • Aumentare la trasparenza nell’istruzione e Formazione Professionale tramite l’attuazione e la razionalizzazione degli strumenti e delle reti di informazione, anche grazie all’integrazione all’interno di una unica cornice di strumenti quali il CV europeo, i Certificate e Diploma supplement, il quadro comune europeo di riferimento per le lingue ed Europass. • Rafforzare le politiche, i sistemi e le prassi che sostengono l’informazione e l’orientamento negli Stati membri a tutti i livelli educativi, formativi ed occupazionali, in particolare per quanto concerne l’accesso all’apprendimento, l’istruzione e la Formazione Professionale e la trasferibilità e il riconoscimento delle competenze e delle qualifiche, in modo da agevolare la mobilità occupazionale e geografica dei cittadini in Europa. c) Riconoscimento delle competenze e delle qualifiche • Esaminare i modi per promuovere la trasparenza, la comparabilità, la trasferibilità e il riconoscimento delle competenze e/o delle qualifiche tra i vari Paesi e a differenti livelli elaborando livelli di riferimento, principi comuni di certificazione e misure comuni, fra cui un sistema di trasferimento di crediti per l’istruzione e Formazione Professionale. • Sostenere maggiormente lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche a livello settoriale rafforzando in particolare il coinvolgimento e la cooperazione delle Parti Sociali. • Definire una serie di principi comuni concernenti la convalida dell’apprendimento non formale ed informale al fine di assicurare una maggiore coerenza tra le modalità seguite dai vari Paesi e a differenti livelli. d) Garanzia della qualità • Promuovere la cooperazione in materia di garanzia della qualità, con particolare attenzione allo scambio di modelli e metodi, nonché ai criteri ed ai principi qualitativi comuni in materia di istruzione e Formazione Professionale. • Prestare attenzione alle esigenze in materia di formazione degli insegnanti e dei formatori attivi in ogni tipo di istruzione e Formazione Professionale. • Tale strategia si fonda sul presupposto che l’istruzione e la Formazione costituiscano strumenti indispensabili per promuovere l’occupabilità, la coesione sociale, la cittadinanza attiva, nonché la realizzazione personale e professionale. 15 1.4. gLI StrumEntI DELLA DICHIArAzIonE DI CoPEnAgHEn Allo scopo di attuare gli obiettivi prefissati nella strategia per lo sviluppo dell’istruzione e Formazione Professionale individuata a Barcellona e Copenaghen, ed in sintonia con la strategia più generale di promozione dell’apprendimento permanente, il Consiglio europeo definì successivamente un Programma generale per promuovere la mobilità (Programma lifelong learning) ed individuò alcune aree di 12 Risoluzione del Consiglio del 19 dicembre 2002 sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e Formazione Professionale (2003/C 13/02). 13 Versione consolidata del Trattato sull’unione Europea e del Trattato sul funzionamento dell’unione Europea (2010/C 83/01). I PotErI DELL’EuroPA In mAtErIA DI IStruzIonE E FormAzIonE E ILmEtoDo DELLA CooPErAzIonE rAFForzAtA12 Mentre la Formazione Professionale era già stata individuata come area di azione comunitaria con il trattato di Roma nel 1957, l’istruzione è stata formalmente riconosciuta come area di competenza dell’unione Europea solo con il trattato di Maastricht, che ha istituito l’unione nel 1992. il trattato di Maastricht afferma: “La Comunità contribuirà allo sviluppo di un’istruzione di qualità incoraggiando la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, supportando ed integrando la loro azione, tuttavia rispettando pienamente la responsabilità degli Stati membri riguardo al contenuto dell’insegnamento e all’organizzazione dei sistemi educativi ed alla loro diversità linguistica e culturale”13. l’unione Europea, per quanto riguarda le Politiche dell’istruzione e della Formazione, svolge dunque un ruolo sussidiario. Gli Stati membri rimangono responsabili per il proprio sistema di istruzione e Formazione, ma cooperano all’interno del quadro europeo per raggiungere obiettivi comuni. le strategie politiche dell’unione Europea si configurano come un sostegno alle azioni nazionali e le indirizzano ad affrontare problematiche comuni quali l’invecchiamento della società, il deficit di competenze della forza lavoro e la competizione globale. A Copenaghen, nel 2002, il Consiglio Europeo dei Ministri dell’istruzione ha introdotto il metodo della Cooperazione rafforzata nell’istruzione e Formazione Professionale (Vocational Education and Training - VET). il concetto generale di Cooperazione rafforzata è previsto dal trattato sull’unione Europea (titolo Vii del trattato uE). la Cooperazione rafforzata è uno strumento per dare un maggiore impulso al processo di integrazione dell’unione Europea, senza necessariamente coinvolgere la totalità degli Stati membri, alcuni dei quali possono avere reticenze nell’incrementare l’integrazione in alcune aree. Essa permette una cooperazione più stretta tra i Paesi dell’unione che desiderano approfondire la costruzione europea nel rispetto del quadro istituzionale unico dell’unione. le deliberazioni degli Stati che partecipano al processo di Cooperazione rafforzata sono aperte a tutti i Paesi membri dell’unione, ma solo quelli che sono in Cooperazione rafforzata hanno diritto di voto. Gli Stati in Cooperazione rafforzata informano periodicamente il Parlamento europeo e la Commissione dei progressi compiuti. Gli Stati membri interessati possono quindi progredire secondo ritmi e/o obiettivi diversi. 16 intervento specifico, sulle quali vennero attivati dei gruppi di lavoro tra gli Stati membri. il lavoro condotto dalla Commissione e dai Paesi membri in queste aree ha portato alla definizione di obiettivi e di strumenti comuni, per l’attivazione ed il raggiungimento dei quali sono state emanate delle Raccomandazioni a livello europeo. le Raccomandazioni sono degli atti non vincolanti con i quali le istituzioni comunitarie invitano i destinatari a seguire un determinato comportamento. in genere sono adottate dalle istituzioni comunitarie quando queste non dispongono del potere di adottare atti obbligatori o quando ritengono che non vi sia motivo di adottare norme più vincolanti. le Raccomandazioni adottate per rafforzare l’attuazione del processo di Copenaghen riguardano: • lo sviluppo di un Quadro europeo per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (European Qualification Framework - EQF); • l’introduzione di una metodologia per il trasferimento dei crediti per l’Istruzione e la Formazione Professionale (European Credit system for Vocational Education and Training - ECVET); • la definizione di un Quadro di riferimento per l’assicurazione di qualità (European Quality Assurance Reference framework for Vocational Education and Training - EQAVET); • la definizione di un Quadro europeo per le competenze chiave. Con l’emanazione di queste Raccomandazioni, tra la fine del 2006 e giugno 2009, viene portato a compimento il processo politico delineato tra lisbona e Copenaghen. l’unione Europea, dopo aver definito i suoi obiettivi strategici in materia di apprendimento permanente e sviluppo dell’istruzione e Formazione Professionale, attraverso questi atti, non vincolanti ma fortemente impegnativi, ha individuato delle modalità attuative, che vengono “raccomandate” ai Paesi membri dopo la loro approvazione. i capisaldi di questa strategia sono: • lo spostamento dell’attenzione dal processo di insegnamento al processo di apprendimento, • il rafforzamento delle competenze chiave di cittadinanza per tutti i cittadini europei, • la focalizzazione sui risultati dell’apprendimento, piuttosto che sui percorsi formali di istruzione e Formazione, • la possibilità di validazione e riconoscimento delle competenze possedute, a prescindere dalla modalità con cui sono state acquisite, • la definizione di un linguaggio e di livelli comuni che consentono il confronto delle qualificazioni e dei titoli ottenuti nei diversi sistemi nazionali, dai livelli più elementari fino a quelli di più elevata specializzazione, • la definizione di un modello e di strumenti comuni che garantiscano il controllo e lo sviluppo continuo della qualità dell’offerta formativa all’interno dei sistemi dei diversi Paesi. 17 Attraverso questa strategia l’unione Europea non entra nel merito dell’organizzazione dei percorsi scolastici e formativi, che rimane materia soggetta alle giurisdizioni nazionali, ma fissa alcune coordinate fondamentali che nei prossimi anni potrebbero modificarne notevolmente le prospettive evolutive. Per alcuni Paesi, come l’italia, l’applicazione delle Raccomandazioni comporta una vera e propria rivoluzione culturale: ad esempio la trasformazione del sistema formativo dall’attuale modalità organizzativa, basata sull’offerta di percorsi di istruzione e Formazione la cui frequenza viene convalidata e riconosciuta per l’acquisizione del titolo, ad un sistema nel quale non conterà quale percorso sia stato seguito, ma conteranno le conoscenze e competenze effettivamente acquisite, comporta un ripensamento totale delle attuali modalità di rilascio dei titoli, tutte schiacciate sulla conclusione e convalida dei percorsi formali. ugualmente impegnativa è la creazione di un quadro unico che raggruppi tutti i titoli e le qualificazioni, dal livello di base fino a quello postuniversitario; al di là dei problemi di tipo definitorio si pone il problema culturale dell’integrazione tra i diversi sistemi, quello di tipo accademico e quello più orientato alla creazione di professionalità specifiche; in italia, ma anche in molti altri Paesi, il mondo accademico ha sempre guardato con un certo sospetto il mondo della Formazione Professionale e l’obiettivo di ricomporre in un quadro realmente unitario i titoli e le qualifiche ottenute nei diversi sistemi non è semplice da realizzare. Anche l’attuazione dei modelli di garanzia di qualità, per quanto non manchino esperienze significative nel nostro Paese, dovrà assicurare che l’adozione di questi modelli non avvenga solo sul piano formale, ma produca un effettivo cambiamento nelle modalità di governo dell’azione formativa. le Raccomandazioni europee verranno descritte in dettaglio nei capitoli successivi. inoltre il Processo di Copenaghen ha portato alla realizzazione di strumenti per facilitare la mobilità e la trasparenza delle qualifiche (Europass) e di strumenti per promuovere l’informazione e l’orientamento sulle opportunità di formazione e di carriera nell’unione Europea (portale PlOTEuS e Euroguidance network). 1.5. IL ProgrAmmA LIFELong LEArnIng E LE AzIonI PEr LA moBILItà il Programma d’azione comunitaria nel campo dell’apprendimento permanente, o Lifelong Learning Programme (LLP), è stato istituito con decisione del Parlamento europeo e del Consiglio il 15 novembre 2006 ed ha riunito al suo interno tutte le iniziative di cooperazione europea nell’ambito dell’istruzione e della Formazione dal 2007 al 2013. il suo obiettivo generale è stato contribuire, attraverso l’apprendimento permanente, allo sviluppo dell’unione quale società avanzata basata sulla conoscenza, con uno sviluppo economico sostenibile, nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, garantendo nel contempo una valida tutela dell’ambiente per le generazioni future (Strategia di lisbona). 18 il programma europeo lifelong learning ha raggruppato le iniziative concrete messe in atto dall’unione Europea per realizzare gli obiettivi strategici di Copenaghen; queste iniziative non riguardano solo studenti ed allievi, ma anche insegnanti, formatori e tutti coloro che sono coinvolti nell’istruzione e nella Formazione. in particolare ha promosso, all’interno della Comunità, gli scambi, la cooperazione e la mobilità tra i sistemi d’istruzione e Formazione in modo che essi diventino un punto di riferimento di qualità a livello mondiale. il Programma ha rafforzato e integrato le azioni condotte dagli Stati membri, pur mantenendo inalterata la responsabilità affidata ad ognuno di essi riguardo al contenuto dei sistemi di istruzione e Formazione e rispettando la loro diversità culturale e linguistica. i fondamenti giuridici si ritrovano negli artt. 149 e 150 del Trattato dell’unione dove si afferma che “la Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione...” (art.149) e che “la Comunità attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri...” (art. 150). in particolare vennero messi in opera quattro sotto-programmi per finanziare progetti ai diversi livelli di istruzione e Formazione: Comenius, che è rivolto all’ambito scolastico, Erasmus per l’istruzione superiore, Leonardo da Vinci, destinato all’istruzione e Formazione Professionale ed infine Grundtvig, che contiene iniziative per promuovere l’educazione degli adulti. IL SuPPorto tECnICo ALL’AttuAzIonE DEgLI oBIEttIVI EuroPEI l’unione Europea si avvale di agenzie tecniche internazionali che nel campo dell’istruzione e della Formazione Professionale conducono un’attività di ricerca, analisi, documentazione e sostegno tecnico alla Commissione. Tra queste possiamo ricordare: il Cedefop; l’European Training Foundation (ETF); Eurydice. il Cedefop (European Centre for the Development of Vocational Training), istituito nel 1975 e localizzato a Salonicco, è una agenzia europea che facilita lo sviluppo dell’istruzione e Formazione Professionale nell’unione Europea. È il Centro di riferimento dell’unione per l’istruzione e la Formazione Professionale. il Cedefop: • fornisce know-how scientifico e tecnico in aree specifiche e promuove scambi di idee tra i diversi partner europei; • fornisce informazioni e analisi dei sistemi, delle politiche, delle ricerche e delle attività di istruzione e Formazione Professionale. i compiti del Cedefop sono: • predisporre documentazione selezionata ed analisi dei dati; • contribuire a sviluppare e coordinare attività di ricerca; • valorizzare e disseminare l’informazione; • incoraggiare approcci comuni alle problematiche dell’istruzione e Formazione Professionale; • fornire un forum di dibattito e scambio di idee. la Fondazione europea per la formazione (European Training Foundation - ETF) è un’agenzia dell’unione Europea situata a Torino. È stata istituita nel 1990 per contribuire allo sviluppo dei sistemi di istruzione e Formazione Professionale dei Paesi partner dell’unione. 19 la missione dell’ETF è aiutare i Paesi in transizione ed in via di sviluppo a promuovere il potenziale del loro capitale umano attraverso la riforma dell’istruzione, della Formazione e del mercato del lavoro nel contesto della politica delle relazioni esterne dell’uE. Alla base dell’attività dell’ETF c’è la convinzione che lo sviluppo del capitale umano nella prospettiva del lifelong learning può fornire un contributo fondamentale all’accrescimento della prosperità, alla creazione di una crescita sostenibile e ad incoraggiare l’inclusione sociale nei Paesi in transizione ed in via di sviluppo. la missione di Eurydice è fornire ai responsabili dei sistemi e delle politiche educative europee analisi ed informazioni a livello europeo che li possano sostenere nel processo decisionale. in particolare l’attività si focalizza su come i sistemi educativi si strutturano ed organizzano attraverso: • descrizioni dettagliate e rassegne dei sistemi educativi nazionali; • studi tematici comparativi su specifiche tematiche di interesse comunitario; • indicatori e statistiche; • materiali di riferimento e strumenti riferiti all’istruzione. Eurydice si articola in 35 unità nazionali basate in 31 Paesi partecipanti. 21 2. Verso Europa 2020 la Strategia di lisbona per la crescita e l’occupazione è stata la risposta comune dell’Europa per affrontare le sfide della globalizzazione, del mutamento demografico e della società della conoscenza. Essa era rivolta a creare un’Europa più dinamica e competitiva per assicurare un futuro prospero, equo ed ambientalmente sostenibile per tutti i cittadini. Nonostante gli sforzi comuni, questi obiettivi sono stati raggiunti solo in parte e la dura crisi economica ha reso queste sfide ancora più pressanti. Per emergere dalla crisi e preparare l’Europa al nuovo decennio la Commissione europea ha proposto la “Strategia 2020”1. la Strategia Europa 2020 succede a quella approvata a lisbona, condividendone alcuni aspetti, e ha proposto un progetto per l’economia sociale di mercato europea nel nuovo decennio, sulla base di tre obiettivi prioritari strettamente interconnessi che si rafforzano a vicenda: • crescita intelligente, attraverso lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione; • crescita sostenibile, attraverso la promozione di un’economia a basse emissioni inquinanti, efficiente sotto il profilo dell’impiego delle risorse e competitiva; • crescita inclusiva, attraverso la promozione di un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale. i progressi verso la realizzazione di questi obiettivi vengono valutati sulla base di cinque traguardi principali da raggiungere a livello di unione Europea, che gli Stati membri devono tradurre in obiettivi nazionali da definire in funzione delle rispettive situazioni di partenza. 1 Comunicazione della Commissione Europa 2020 una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, Com(2010) 2020. gLI InDICAtorI DELLA StrAtEgIA EuroPA 2020 • il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; • innalzare al 3% del Pil i livelli d’investimento pubblico e privato nella ricerca e lo sviluppo; • ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 e portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo finale di energia; • il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; • 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà. 22 l’istruzione, la Formazione e l’apprendimento permanente giocano un ruolo chiave per raggiungere questi obiettivi. Vengono inoltre individuate “sette iniziative faro”, focalizzate sui temi prioritari: • l’unione dell’innovazione, per migliorare l’accesso e l’utilizzo dei finanziamenti per la ricerca e l’innovazione, facendo in modo che le idee innovative si trasformino in nuovi prodotti e servizi tali da stimolare la crescita e l’occupazione. • Youth on the move, per migliorare l’efficienza dei sistemi di insegnamento e agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. • un’agenda europea del digitale, per accelerare la diffusione di internet ad alta velocità e sfruttare i vantaggi di un mercato unico del digitale per famiglie e imprese. • un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, per contribuire a scindere la crescita economica dal consumo delle risorse, favorire il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio, incrementare l’uso delle fonti di energia rinnovabile, modernizzare il nostro settore dei trasporti e promuovere l’efficienza energetica. • una politica industriale per l’era della globalizzazione, per migliorare il clima imprenditoriale, specialmente per le PMi, e favorire lo sviluppo di una base industriale solida e sostenibile in grado di competere su scala mondiale. • un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro, per modernizzare i mercati del lavoro e consentire alle persone di migliorare le proprie competenze in tutto l’arco della vita al fine di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e di conciliare meglio l’offerta e la domanda di manodopera, anche tramite la mobilità dei lavoratori. • la Piattaforma europea contro la povertà, per garantire coesione sociale e territoriale in modo tale che i benefici della crescita e i posti di lavoro siano equamente distribuiti e che le persone vittime di povertà e esclusione sociale possano vivere in condizioni dignitose e partecipare attivamente alla società. Ogni Stato membro deve fornire un contributo alla realizzazione degli obiettivi della Strategia Europa 2020 attraverso percorsi nazionali che rispecchino la situazione di ciascun Paese e il suo “livello di ambizione”. Alla Commissione spetta il compito di controllare i progressi compiuti e, in caso di “risposta inadeguata”, di formulare una “raccomandazione” che deve essere attuata in un determinato lasso di tempo, esaurito il quale, senza un’adeguata reazione, segue un “avvertimento politico”. la Strategia Europa 2020 è stata adottata dall’unione Europea in occasione del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del 17 giugno 20102. la Strategia – si legge nel documento finale – aiuterà l’Europa a riprendersi dalla crisi e a uscirne 2 Consiglio Europeo 17 Giugno 2010 Conclusioni (Euco 13/10). 23 rafforzata, a livello sia interno sia internazionale, incentivando la competitività, la produttività, il potenziale di crescita, la coesione sociale e la convergenza economica. Occorre rilevare che se la Strategia di lisbona era stata varata in un momento di grandi speranze per il rafforzamento del ruolo e della missione dell’unione Europea (si era nel periodo dell’ulteriore allargamento della sua composizione a 27 membri e della nascita dell’Euro), la Strategia Europa 2020 è venuta a cadere in un momento di stanchezza e ripensamento delle prospettive europee. i benchmark europei definiti a lisbona sono stati raggiunti solo in minima parte; anche i progressi che erano stati realizzati per quanto riguarda l’incremento dell’occupazione sono stati annullati dalla crisi economica internazionale. i vincoli finanziari ed economici imposti a Maastricht sono saltati in molti Paesi. Anche sul piano della coesione sociale le problematiche crescenti prodotte dall’aumento dell’immigrazione extra ed intracomunitaria stanno mettendo a dura prova i principi del Trattato di Roma, che sembravano ulteriormente acclarati dopo il libro Bianco di Delors3. l’impatto del Fondo Sociale Europeo, che è il principale strumento finanziario di sostegno allo sviluppo ed all’occupazione nelle aree in difficoltà, è quantomeno diseguale, ed anche i Paesi che più avevano beneficiato del suo sostegno per progredire, come l’irlanda e la Spagna, sono successivamente caduti in una grave crisi economica. le formulazioni che accompagnano i vari documenti strategici, ripetute ormai da oltre 20 anni, sembrano talvolta dei mantra retorici piuttosto che il frutto di una analisi non rituale dei problemi e delle sfide che si pongono di fronte ai Paesi europei. Alcuni importanti ed antichi Paesi promotori della cooperazione europea, come Francia ed Olanda, hanno votato in modo contrario all’introduzione della Costituzione europea, con la conseguente necessità di redigere il trattato di lisbona per salvaguardare quanto più possibile della Costituzione bocciata. D’altra parte ci si può chiedere che cosa sarebbe avvenuto negli ultimi anni se non ci fosse stata l’unione Europea. Probabilmente gli effetti della crisi internazionale sulle economie di alcuni Paesi europei sarebbero stati ancora più devastanti, senza la protezione assicurata dall’adesione al più vasto sistema economico europeo e senza l’obbligo di rispettare i parametri di Maastricht, o quantomeno di non discostarsi eccessivamente da essi. i benchmark europei non sono stati quasi mai raggiunti, ma in numerosi Paesi europei si sono registrati dei miglioramenti e la loro proposizione ha fornito uno stimolo concreto e misurabile ai Paesi europei per affrontare questioni strategiche, come quella dell’abbandono scolastico. la cultura del monitoraggio e della valutazione degli obiettivi politici si è diffusa anche a seguito dell’approccio strategico europeo. i sondaggi europei (Eurobarometro) che vengono condotti semestralmente dicono che oltre il 50% degli Europei ritiene che l’adesione del loro Paese all’unione sia stata una buona cosa e che abbia prodotto più benefici che svantaggi. 3 Commissione Europea, Il completamento del mercato interno: libro bianco della Commissione per il Consiglio europeo COM(85) 310, giugno 1985. 24 2.1. IL QuADro StrAtEgICo PEr LA rInnoVAtA CooPErAzIonE EuroPEA In CAmPo FormAtIVo PEr IL DECEnnIo 2010-2020 Anche nel campo formativo è stato definito un quadro strategico per la cooperazione europea nel decennio successivo. il programma Education and training 2020 (ET 2020)4 prende le mosse dai progressi realizzati nel quadro del programma di lavoro “istruzione e formazione 2010” (ET 2010) e dalla Comunicazione della Commissione Europea “Nuove competenze per nuovi lavori” del 20085, che alla luce delle previsioni sull’evoluzione dell’occupazione e sui fabbisogni di competenze in Europa stimati dal Cedefop, suggerì agli Stati membri una strategia centrata sulla capacità di riorientare l’offerta di istruzione e Formazione alla domanda delle imprese ed ai fabbisogni professionali richiesti dal sistema produttivo. il programma Education and training 2020 adotta il Metodo del Coordinamento aperto ed identifica quattro obiettivi strategici a lungo termine: • rendere l’apprendimento permanente e la mobilità una realtà concreta; • migliorare la qualità e l’efficienza dell’istruzione e della Formazione; • promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva; • stimolare la creatività e l’innovazione, inclusa l’imprenditorialità, a tutti i livelli dell’istruzione e della Formazione. Come si può vedere il Programma conferma in larga parte gli obiettivi già definiti nel processo di Copenaghen, introducendo però, come nuovo obiettivo strategico, quello dell’innovazione e della creatività, che non era stato preso in particolare considerazione nelle politiche precedenti. Secondo il Consiglio europeo, oltre a contribuire alla realizzazione personale, la creatività costituisce una fonte primaria dell’innovazione, che a sua volta è riconosciuta come uno dei motori principali dello sviluppo economico sostenibile. la creatività e l’innovazione sono fondamentali per la creazione di imprese e la capacità dell’Europa di competere a livello internazionale. 4 Conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione («ET 2020») (2009/C 119/02). 5 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al comitato delle Regioni Nuove competenze per nuovi lavori prevedere le esigenze del mercato del lavoro e le competenze professionali e rispondervi SEC(2008) 3058. 25 LE PrEVISIonI DEL CEDEFoP rIguArDo L’EVoLuzIonE DELL’oCCuPAzIonE In EuroPA Secondo le previsioni, ipotizzando una lenta ma costante ripresa fino al 2020, l’economia europea creerà circa 8 milioni di nuovi posti di lavoro. inoltre, dovranno essere occupati circa 75 milioni di posti di lavoro per rimpiazzare persone che vanno in pensione o abbandonano la forza lavoro. tEnDEnzE DELL’oCCuPAzIonE PEr SEttorE Quantità (in migliaia) Evoluzione (%) 2008 2013 2020 2025 2008-2013 2013-2020 2020-2025 Settore primario 16 324 15 441 14 177 13 481 -5.4% -8.2% -4.9% Industria manifatturiera 37 778 33 864 33 010 32 547 -10.4% -2.5% -1.4% Costruzioni 18 214 15 534 15 803 16 116 -14.7% 1.7% 2.0% Distribuzione e trasporti 58 855 57 499 59 442 60 600 -2.3% 3.4% 1.9% Commercio ed altri servizi 53 269 55 189 58 957 61 215 3.6% 6.8% 3.8% Servizi non commerciali 52 626 53 917 54 939 55 623 2.5% 1.9% 1.25% Totale 237 068 231 443 236 328 239 583 -2.4% 2.1% 1.4% Fonte: Cedefop / Skills Forecasts / Dati pubblicati nel 2014 Anche se ci sarà la possibilità di lavoro per tutti i tipi di occupazione, la maggior parte dei nuovi posti di lavoro sarà posizionata nella parte superiore e inferiore dello spettro di abilità, producendo il rischio di polarizzazione dell’occupazione. la debole crescita dell’occupazione indica che ci può essere un eccesso di offerta di persone con qualifiche di alto livello nel breve termine, ma entro il 2020 l’Europa avrà la forza lavoro più altamente qualificata nella sua storia. inoltre i due terzi dell’occupazione europea si concentreranno nel settore terziario e quasi tutta l’occupazione aggiuntiva e una forte componente di quella sostitutiva saranno caratterizzate da lavori ad alta intensità di conoscenza e competenze tecniche. ForzE DI LAVoro PEr LIVELLo DI QuALIFICAzIonE Quantità (in migliaia) Evoluzione (%) 2008 2013 2020 2025 2008-2013 2013-2020 2020-2024 Alta 67 754 78 914 91 553 99 709 16.5% 16.0% 8.9% Media 115 901 117 065 115 193 112 256 1.0% -1.6% -2.55% Bassa 63 111 54 769 47 649 42 639 -13.2% -13.0% -10.55% Totale 246 766 250 748 254 394 254 605 1.6% 1.5% 0.1% Fonte: Cedefop / Skills Forecasts / Dati pubblicati nel 2014 Mentre le previsioni sulla domanda di lavoro e i fabbisogni di competenze in italia riflettono la tendenza media europea, i dati sull’offerta di lavoro e sulla popolazione denotano tendenze allarmanti, se confrontati sia con la media europea sia con i Paesi più vicini a noi, anche per dimensioni della forza lavoro, come Germania e Francia. le proiezioni al 2020 indicano, infatti, che l’italia: - sarà il Paese (con il Portogallo) con il peso più alto di lavoratori con bassi livelli di qualificazione (37,1% contro la media uE del 19,5%); - avrà un relativo allineamento alla media europea sui livelli intermedi (45,4% contro il 48,5% dell’uE); - avrà una carenza fortissima di forze di lavoro altamente qualificate (17,5% contro il 32% dell’uE). Se questo è lo scenario, l’italia potrebbe trovarsi in una situazione di grave deficit professionale, con carenza di profili tecnici e specialistici in molti campi, compromettendo le dinamiche di sviluppo e la propria capacità competitiva. 26 la prima posta in gioco consiste nel promuovere l’acquisizione da parte di tutti i cittadini di competenze trasversali fondamentali: in particolare le competenze digitali, “imparare ad imparare”, lo spirito d’iniziativa e lo spirito imprenditoriale, e la sensibilità ai temi culturali. una seconda sfida consiste nel vigilare sul buon funzionamento del triangolo della conoscenza: istruzione/ricerca/innovazione. i partenariati tra il mondo imprenditoriale e i vari livelli e settori dell’istruzione, della Formazione e della ricerca possono contribuire a garantire una migliore concentrazione sulle capacità e competenze richieste nel mercato del lavoro sviluppando l’innovazione e l’imprenditorialità in tutte le forme d’insegnamento. All’interno di questo rinnovato sforzo di avanzamento comune per la promozione dei sistemi di istruzione e formazione e dell’apprendimento permanente, il Consiglio dei Ministri europei per l’istruzione e la Formazione ha approvato 6 nuovi obiettivi quantitativi (benchmark) da raggiungere entro il 2020: • Almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età di inizio della scuola primaria dovrebbero partecipare all’istruzione preelementare. • la quota di abbandoni precoci dall’istruzione e Formazione dovrebbe essere inferiore al 10%. • la quota dei giovani con scarse prestazioni in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15%. • la quota delle persone tra 30 e 34 anni con un titolo a livello terziario dovrebbe essere almeno il 40%. • una media di almeno il 15% di adulti dovrebbe partecipare alla formazione permanente. • la quota degli occupati tra i diplomati secondari od universitari da 20 a 34 anni a tre anni dal diploma dovrebbe essere almeno l’82%. Di questi Benchmark, e del ruolo che assumono nell’indirizzare le politiche nazionali, si parlerà più in dettaglio nel capitolo successivo. IL ComunICAto DI BrugES la necessità di rafforzare la cooperazione europea in materia di istruzione e Formazione Professionale per il periodo 2011-2020 è stata ribadita attraverso il comunicato di Bruges, che rafforza le principali direttrici di sviluppo e Formazione Professionale stabilite nell’ambito del processo di Copenaghen. il comunicato è stato adottato dai Ministri europei per l’istruzione e la Formazione Professionale, le parti sociali europee e la Commissione europea, riuniti a Bruges il 7 dicembre 2010 per rivedere l’approccio strategico e le priorità del processo di Copenaghen per il periodo 2011-2020. il comunicato di Bruges mira alla prospettiva di un sistema di Formazione Professionale moderno e attraente, che assicura: • massimo accesso all’apprendimento permanente, in modo che le persone abbiano l’opportunità di imparare in ogni fase della vita, seguendo percorsi di istruzione e Formazione più aperti e flessibili; 27 Anche nel campo dell’istruzione e Formazione la Commissione europea, applicando la Strategia generale Europa 2020, ha avviato una attività di più stretto monitoraggio dei risultati degli Stati membri, seguita da Raccomandazioni specifiche rivolte ai singoli Paesi riguardo i processi di riforma da attuare per raggiungere gli obiettivi europei. Dall’analisi dei dati sui sistemi di istruzione e Formazione europei emergono diversi elementi di criticità: • i sistemi di istruzione e Formazione europei continuano a non essere in grado di fornire le abilità adeguate per l’occupabilità e non collaborano adeguatamente con le imprese per avvicinare la formazione alla realtà del mondo del lavoro. questo mancato incontro tra domanda e offerta di competenze suscita una crescente preoccupazione per la competitività dell’industria europea. • Per quanto negli ultimi anni le percentuali di coloro che completano il ciclo di istruzione superiore siano aumentate, saranno necessari notevoli sforzi per raggiungere l’obiettivo del 40% dei giovani in possesso di un diploma di istruzione superiore. • Nonostante i significativi passi avanti compiuti negli ultimi anni, l’abbandono scolastico resta a livelli inaccettabili in troppi Stati membri, come la Spagna (26,5%) e il Portogallo (23,2%). Per ridurre l’abbandono scolastico continuano a essere necessari interventi mirati incentrati su strategie globali fondate su dati concreti (evidence-based). • Risultati insoddisfacenti continuano a essere rilevati in altri settori: 73 milioni di adulti possiedono solo un basso livello di istruzione, quasi il 20% dei giovani di 15 anni non possiede abilità sufficienti nella lettura e la partecipazione all’apprendimento permanente è solo dell’8,9%. • più opportunità di condurre esperienze ed attività di Formazione all’estero per aumentare le competenze linguistiche, fiducia in se stessi e capacità di adattamento; • corsi di qualità più elevata, che forniscano le giuste competenze per ottenere specifici posti di lavoro; • più integrazione e possibilità di accesso per le persone svantaggiate; • pensiero creativo, innovativo e imprenditoriale. il comunicato di Bruges include un piano a medio termine volto a incoraggiare misure concrete a livello nazionale e il sostegno a livello europeo. Ciò richiede ai Paesi membri di: - Rivedere l’uso di incentivi, diritti e doveri per incoraggiare più persone ad intraprendere attività di formazione. - Attuare la Raccomandazione sulla garanzia della qualità nella Formazione Professionale. - incoraggiare lo sviluppo di scuole professionali, con il sostegno delle autorità locali e regionali. - introdurre strategie di internazionalizzazione per promuovere la mobilità internazionale. - intensificare la cooperazione con le imprese al fine di garantire una formazione pertinente, ad esempio fornendo insegnanti e la possibilità di una formazione pratica nelle aziende. - Avviare strategie di comunicazione per evidenziare i vantaggi della Formazione Professionale. 28 Nel documento Rethinking education6 la Commissione ha sottolineato come sia necessario ampliare la portata delle riforme e accelerarne il ritmo in modo che abilità di qualità possano sostenere la crescita e l’occupazione. Pertanto la Commissione ha illustrato un limitato numero di priorità strategiche che spetta agli Stati membri affrontare e parallelamente ha presentato nuove azioni dell’uE con effetto moltiplicatore degli sforzi nazionali. Particolare attenzione è attribuita alla lotta alla disoccupazione giovanile. Rethinking education prende in considerazione quattro settori che sono essenziali per contrastare il problema e nei quali gli Stati membri dovrebbero intensificare gli sforzi: • sviluppo di un’istruzione e Formazione Professionale di eccellenza per innalzare la qualità delle abilità professionali; • promozione dell’apprendimento sul lavoro, anche con tirocini di qualità, periodi di apprendistato e modelli di apprendimento duale per agevolare il passaggio dallo studio al lavoro; • promozione di partenariati fra istituzioni pubbliche e private (per garantire l’adeguatezza dei curricoli e delle abilità trasmesse); • promozione della mobilità attraverso il programma Erasmus per tutti7. 6 Com (201)2 669. 7 “Erasmus per tutti” è il programma uE per l’istruzione, la Formazione, la gioventù e lo sport proposto dalla Commissione europea il 23 novembre 2011. 8 COMMiSSiONE EuROPEA (2014), Education and Training Monitor 2014. EDuCAtIon AnD trAInIng monItor 20148 queste sono le principali criticità emerse nell’ultimo monitoraggio condotto dalla Commissione (novembre 2014) e le conseguenti raccomandazioni: 1.1 Non si possono pretendere elevati risultati educativi senza fornire risorse sufficienti ed introdurre riforme che ne garantiscano l’efficacia. Eppure diciannove Stati membri hanno tagliato le loro spese per l’istruzione nel 2012. Sei Stati membri hanno ridotto gli investimenti di oltre il 5% (El, ES, CY, hu, PT, RO). Alcuni dei Paesi che dedicavano relativamente poche risorse all’istruzione hanno ulteriormente diminuito il loro investimento (BG, RO, Sk). Dal 2008, sei Paesi hanno praticato una riduzione della spesa a tutti i livelli di istruzione (BG, El, iT, lV, PT, RO). i minori investimenti in capitale umano rischiano di compromettere in prospettiva una crescita europea sostenibile e inclusiva. Saranno necessarie delle riforme per assicurarsi che i sistemi di istruzione e Formazione funzionino in modo efficace ed efficiente. 1.2 L’attenzione per l’occupabilità deve essere rafforzata all’interno delle istituzioni educative. la disoccupazione giovanile rimane molto alta in tutta Europa e il tasso di occupazione degli ultimi laureati è rimasto fermo al 75,5% nel 2013. i qualificati della Formazione Professionale hanno maggiori prospettive di lavoro nei Paesi in cui l’apprendimento basato sul lavoro rappresenta una forte componente dei programmi di Formazione Professionale, ed i laureati hanno ancora circa 11 punti percentuali di maggiori probabilità di essere occupati 29 rispetto a chi possiede un diploma di istruzione secondaria superiore. Ma gli squilibri occupazionali e l’inadeguatezza delle qualifiche richiedono che i sistemi di istruzione e Formazione Professionale diventino più sensibili alle esigenze del mercato del lavoro moderno. 1.3 L’educazione deve evitare attivamente qualsiasi forma di discriminazione e di esclusione sociale, e garantire le stesse possibilità di successo per tutti gli studenti. le disuguaglianze economiche e socio-culturali continuano ad avere un impatto negativo sui risultati scolastici. i livelli di istruzione dei genitori ancora condizionano in larga parte i risultati scolastici dei giovani e nuovi dati suggeriscono che la mobilità intergenerazionale relativa ai livelli di istruzione stia effettivamente rallentando nel mondo industrializzato. Dieci Paesi in particolare dovrebbero prestare attenzione agli studenti svantaggiati (AT, BG, Cz, DE, Dk, hu, lu, RO, SE e Sk). Anche se affrontare lo svantaggio educativo è complesso e richiede strategie integrate di ampio respiro, gli Stati membri non possono permettersi di ignorare queste sfide. 2.1 La riduzione del numero di abbandoni scolastici prematuri eviterà all’Europa gravi costi sociali pubblici e proteggerà gli individui da un elevato rischio di povertà ed emarginazione sociale. Si verificano ancora più di cinque milioni di abbandoni scolastici prematuri in Europa, che vanno incontro ad un tasso di disoccupazione del 41%. Mentre l’Europa si avvicina all’obiettivo previsto da Europa 2020, 12,0% di abbandoni nel 2013, diventa sempre più evidente che l’abbandono scolastico precoce è un problema complesso e dalle molte facce. il lento ma costante progresso nasconde notevoli disparità tra i Paesi europei ed anche al loro interno. il rischio di abbandono scolastico è più elevato del 33,3% tra gli uomini; è il doppio per gli stranieri; non meno del 156,1% superiore per coloro che soffrono handicap fisici; e più di tre volte superiore nelle regioni più arretrate di BG, Cz, Pl, Dk e BE. 2.2 Nel campo dell’Istruzione superiore, rimane difficile ampliare l’accesso e ridurre i tassi di abbandono tra i gruppi svantaggiati. il tasso di conseguimento di un titolo terziario in Europa è cresciuto costantemente fino al 36,9%, ma si prevede che l’occupazione altamente qualificata aumenti solo di un ulteriore 13% entro il 2020. inoltre, le disparità persistenti tra e all’interno dei Paesi non lasciano spazio per il compiacimento. il tasso di conseguimento di un titolo di istruzione terziaria è superiore del 26% tra le donne; circa il 10% in più per i nativi; 62,4% inferiore per gli individui che soffrono handicap fisici; e in Cz, RO e Sk, i tassi di riuscita nelle regioni meno avanzate sono inferiori di almeno il 60% rispetto a quelli delle regioni più avanzate. Solo pochi Paesi si sforzano di ampliare la partecipazione ed i tassi di completamento del percorso universitario tra i gruppi svantaggiati. 2.3 È necessaria un’azione politica mirata per ridurre la scarsa acquisizione di competenze chiave di base in tutta Europa. l’unione Europea non sta compiendo sufficienti progressi per raggiungere l’obiettivo 2020 di avere non più del 15% dei 15enni con bassi risultati in matematica, anche se le trascurabili differenze di genere in matematica e scienze fanno sperare in un’espansione dello studio delle discipline scientifiche, tecniche, matematiche e fisiche. Allo stesso tempo, l’ampio e persistente svantaggio nella capacità di lettura per i ragazzi in tutti gli Stati membri richiede di intraprendere specifiche iniziative politiche. Per quanto riguarda la popolazione in età lavorativa dell’uE, le prestazioni insufficienti in lettura ed in matematica arrivano rispettivamente al 19,9% ed al 23,6%, con differenze significative tra Paesi. lo status socio-economico è ancora di gran lunga il fattore determinante più importante per l’acquisizione di competenze di base da parte di un individuo. 30 La Formazione sul lavoro, attraverso l’apprendistato o altre forme di alternanza, è diventata una priorità strategica all’interno delle politiche educative dell’unione Europea, perché ha dimostrato, nei Paesi dove essa è particolarmente praticata, di costituire un importante strumento per motivare i giovani all’apprendimento e di combattere la disoccupazione. Pertanto l’unione Europea ha lanciato il Programma European Alliance for Apprenticeships, con l’obiettivo di migliorare la qualità e l’offerta di apprendistato in tutta l’uE e di modificare gli atteggiamenti mentali verso l’apprendimento nell’apprendistato attraverso un ampio partenariato che coinvolge i principali stakeholders dei settori dell’occupazione e dell’istruzione. l’European Alliance for Apprenticeships (EAFA) ha mobilitato i Paesi dell’uE e le parti interessate, ha sostenuto la creazione di accordi bilaterali e nazionali, iniziative e meccanismi di cooperazione, supportato la riforma dei sistemi di apprendistato, e aumentato la consapevolezza dei benefici di apprendistato, nonché contribuendo al contesto politico mediante studi e il dialogo. EAFA è stata lanciata nel mese di luglio 2013, con una prima dichiarazione congiunta da parte delle Parti sociali europee (CES, Business Europe, uEAPME e CEEP), della Commissione europea e della presidenza del Consiglio dell’unione Europea. questa è stata seguita da una dichiarazione del Consiglio composto dai Paesi dell’unione Europea, e da singoli impegni da parte dei Paesi dell’unione Europea. 2.2. Lo YoutH guArAntEE un altro documento importante, sul versante delle politiche e degli interventi per l’occupazione giovanile è costituito dalla Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 aprile 2013 sull’istituzione del Programma “Garanzia per i giovani” (Youth Guarantee). lo Youth Guarantee costituisce un nuovo approccio alla disoccupazione giovanile per garantire che tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni – iscritti o meno ai servizi per l’impiego – possano ottenere un’offerta valida entro 4 mesi dalla fine degli studi o dall’inizio della disoccupazione. il punto di partenza 2.4 Per consentire agli individui di competere in un mercato del lavoro moderno e in continua evoluzione, l’educazione deve dotare le persone di competenze trasversali chiave. Gli sforzi politici in materia di competenze digitali devono essere rafforzati, in quanto anche tra le generazioni più giovani solo la metà può risolvere problemi poco più che elementari con l’uso delle tecnologie informatiche. Gli sforzi degli Stati membri per sostenere la capacità imprenditoriale mediante l’istruzione sono frammentari e mancano di coerenza, mentre i 15enni ottengono risultati peggiori nella soluzione di problemi non di routine di quanto ci si aspetterebbe dalle loro competenze linguistiche, matematiche e scientifiche. Nonostante le competenze linguistiche siano essenziali per la occupabilità dei giovani, i curricoli nazionali mostrano differenze significative nel numero di lingue straniere insegnate. la percentuale di studenti di scuola secondaria che studia due o più lingue straniere è inferiore al 10% in BE FR, hu, iE e AT. 31 per il rilascio della garanzia per i giovani a un giovane dovrebbe essere la registrazione presso un servizio per l’impiego; per i “NEET”9 non registrati presso un servizio per l’impiego gli Stati membri dovrebbero definire un corrispondente punto di partenza per il rilascio della garanzia entro il medesimo periodo di quattro mesi. l’offerta può consistere in un impiego, apprendistato, tirocinio, o ulteriore corso di studi e va adeguata alla situazione e alle esigenze dell’interessato. l’uE integrerà le risorse nazionali necessarie per attivare questi sistemi mediante il Fondo Sociale Europeo (v. cap. 7) e 6 miliardi di euro dell’iniziativa per l’occupazione giovanile. 2.3. IL ProgrAmmA ErASmuS PLuS Nel 2014 è stato avviato il nuovo programma Erasmus+. questo programma ricomprende tutte le precedenti iniziative di finanziamento dell’unione nel settore dell’istruzione, della Formazione, della gioventù e dello sport, tra cui i programmi: • Lifelong Learning (che comprendeva Erasmus, leonardo da Vinci, Comenius, Grundtvig); • Gioventù in azione; • altri cinque precedenti programmi di cooperazione internazionale (Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink e il programma di cooperazione con i Paesi industrializzati). Esso inoltre prevede per la prima volta un sostegno allo sport. Obiettivo della Commissione europea è favorire un’integrazione tra le diverse linee di azione comunitaria, in modo che possano rispondere sempre meglio, ed in maniera più coerente, agli obiettivi che l’unione Europea ha definito attraverso le Raccomandazioni e le decisioni del consiglio dei Ministri Europeo. il programma integrato permette inoltre agli interessati di avere più agevolmente una visione d’insieme delle opportunità di sovvenzione disponibili10. Erasmus+ viene avviato in un momento in cui nell’uE quasi 6 milioni di giovani sono disoccupati, con livelli che in taluni paesi superano il 50%. Nello stesso tempo si registrano oltre 2 milioni di posti di lavoro vacanti e un terzo dei datori di lavoro segnala difficoltà ad assumere personale con le qualifiche richieste. Ciò dimostra il sussistere di importanti deficit di competenze in Europa. Erasmus+ intende affrontare questi deficit fornendo opportunità di studio, di formazione o di esperienze lavorative o di volontariato all’estero. la qualità e la pertinenza delle organizzazioni e dei sistemi europei d’istruzione, Formazione e assistenza ai giovani saranno incrementate attraverso il sostegno al migliora- 9 NEET è l’acronimo inglese di “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, utilizzato per indicare individui che non sono impegnati nel ricevere un’istruzione o una Formazione, non hanno un impiego né lo cercano, e non sono impegnati in altre attività assimilabili. 10 Per informazioni più dettagliate si veda http://www.erasmusplus.it. 32 mento dei metodi di insegnamento e apprendimento, a nuovi programmi e allo sviluppo professionale del personale docente e degli animatori giovanili, nonché attraverso una maggiore cooperazione tra il mondo dell’istruzione e il mondo del lavoro. LA StrutturA DI ErASmuS+ la struttura del nuovo Programma Erasmus+ è incentrata su tre attività chiave, trasversali ai diversi settori: n Attività chiave 1 – Mobilità individuale a fini di apprendimento - Mobilità individuale per l’apprendimento. - Mobilità dello Staff (in particolare docenti, leaders scolastici, operatori giovanili). - Mobilità per studenti dell’istruzione superiore e dell’istruzione e Formazione Professionale. - Garanzia per i prestiti. - Master congiunti. - Scambi di Giovani e servizio Volontario Europeo. n Attività chiave 2 – Cooperazione per l’innovazione e le buone pratiche - Partenariati strategici tra organismi dei settori educazione/Formazione o gioventù e altri attori rilevanti. - Partenariati su larga scala tra istituti di istruzione e Formazione e il mondo del lavoro. - Piattaforme informatiche: gemellaggi elettronici fra scuole (eTwinning, Portale europeo per i giovani, Epale per l’educazione degli adulti). - Alleanze per la conoscenza e per le abilità settoriali e Cooperazione con Paesi Terzi e Paesi di vicinato. n Attività chiave 3 – Riforma delle politiche - Sostegno all’agenda uE in tema di istruzione, Formazione e gioventù mediante il Metodo del Coordinamento Aperto. 33 3. I benchmark europei 3.1. un ruoLo StrAtEgICo PEr gLI InDICAtorI in molti Paesi europei sta crescendo, negli ultimi anni, la tendenza a quantificare gli obiettivi di governo indicando target quantitativi precisi, attraverso la definizione di indicatori che possono essere facilmente monitorati e verificati sia dai policy maker sia dall’opinione pubblica1. Nei Paesi di cultura anglosassone questo approccio è entrato stabilmente nella cultura di governo. Ad esempio in inghilterra erano stati introdotti i Public Service Agreements (PSA), che stabilivano obiettivi precisi per il miglioramento dei servizi pubblici, compresi i sistemi di istruzione e Formazione. Gli obiettivi dei PSA prevedevano traguardi (target) precisi per la crescita sia qualitativa che quantitativa del sistema educativo. Ad esempio tra gli obiettivi definiti nel 2004 figurava: Obiettivo iii: Tutti i giovani che raggiungono i 19 anni di età dovranno essere preparati per un lavoro qualificato o per l’Istruzione superiore. indicatori: • aumentare di 3 punti la percentuale di 19enni che raggiungono con esito soddisfacente almeno il livello 2 (diploma della scuola obbligatoria - General Certificate of Secondary Education) entro il 2006, e di altri 2 punti entro il 2008; • aumentare la percentuale di giovani che raggiungono il livello 3 (diploma secondario superiore - A level); • ridurre di 2 punti la percentuale di giovani che non partecipano all’istruzione, all’occupazione o alla Formazione entro il 2010. questi obiettivi quantitativi (targets) erano inoltre declinati a livello locale, in modo da responsabilizzare sul loro raggiungimento anche gli attori del territorio. Periodicamente si procedeva alla verifica del raggiungimento dei target e dei problemi connessi, e quindi alla riformulazione degli obiettivi2. la diffusione di una cultura legata al risultato non riguarda solo i Paesi anglosassoni. Anche il sistema francese, sulla base della “Loi organique relative aux lois de finances (lOlF)” ha modificato radicalmente la filosofia dell’intervento pubblico, spostandosi da un approccio di bilancio basato sul finanziamento dell’attività (delle scuole, degli insegnanti, ecc.) ad un approccio basato sul finanzia- 1 Allulli G. (2007), la valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, il Mulino, n. 3/2007. 2 CEDEFOP (2009), Assuring the quality of Vet systems by defining expected outcomes, Cedefop Panorama series, 158. 34 mento dell’obiettivo da raggiungere, descritto in termini misurabili. Di conseguenza nella legge finanziaria ogni Ministero deve specificare in termini misurabili gli obiettivi da raggiungere e non solo le risorse che intende erogare. in questo modo chi governa, il Parlamento ed i cittadini hanno a disposizione uno strumento per misurare il successo dell’azione pubblica che viene finanziata annualmente e prendere le opportune decisioni, ovviamente ognuno nei suoi ambiti di competenza3. Come si è detto in precedenza questo tipo di procedimento è entrato a far parte anche delle politiche dell’unione Europea. il ricorso agli indicatori per fissare gli obiettivi da raggiungere presenta diversi aspetti positivi ma anche alcuni aspetti critici. in particolare si possono elencare i seguenti vantaggi4: • obbliga i decisori politici a stabilire i loro obiettivi e le loro priorità: talvolta gli obiettivi dell’azione politica non vengono esplicitati; l’azione politica viene concepita solo come processo, e non come attività finalizzata a conseguire un risultato. l’uso dell’indicatore costringe invece il policy maker a dichiarare e rendere trasparenti gli obiettivi della propria azione politica. • Costringe i decisori ad operazionalizzare gli obiettivi, in modo che possano essere misurabili: spesso, anche quando vengono definiti degli obiettivi, essi rimangono generici e non danno la possibilità ai cittadini di verificare effettivamente se essi sono stati conseguiti o meno. l’indicatore, che consiste in un dato preciso, obbliga ad uscire dalla genericità; questo è utile per i cittadini ma è utile anche per il policy maker, la cui capacità di azione strategica trae giovamento dalla operazionalizzazione dei propri obiettivi. • Consente il confronto ed il benchmarking: l’indicatore permette di confrontare situazioni diverse e di individuare punti di riferimento che vengono fissati come mete da raggiungere. • Consente un monitoraggio obiettivo: l’individuazione di parametri precisi di riferimento consente di evitare (o di ridurre) la soggettività del giudizio. • Permette di incentivare coloro che ottengono risultati migliori e di sostenere chi si trova in difficoltà: la maggiore trasparenza assicurata dall’indicatore permette di individuare più facilmente aree di eccellenza ed aree di criticità e dunque di adottare politiche premiali o compensative. • Fornisce un solido punto di partenza per la valutazione. Senza una base quantitativa qualunque attività di valutazione rischia di cadere nella soggettività. È opportuno però ricordare che la valutazione non si esaurisce nell’analisi quantitativa, perché deve essere sempre integrata con una analisi di tipo qualitativo. 3 Cfr. http://www.performance-publique.gouv.fr. 4 Allulli G. (2000), Le misure della qualità, Seam, Roma. 35 D’altra parte l’utilizzo di indicatori per definire gli obiettivi da raggiungere non è privo di pericoli; infatti un uso inappropriato degli indicatori può far emergere alcuni effetti inattesi: • la necessità di stabilire mete misurabili rischia di far concentrare l’attenzione solo sugli obiettivi più banali; infatti talvolta vengono scelti gli indicatori per i quali esistono dati disponibili, o più facilmente collezionabili, trascurando aspetti più complessi; • spesso si richiede di raccogliere grandi quantità di dati per monitorare i risultati; questo accresce l’aggravio burocratico, procurando la cosiddetta “molestia statistica” alle strutture soggette a monitoraggio o valutazione; • il confronto tra situazioni diverse senza tener conto del contesto potrebbe essere scorretto; talvolta i confronti che vengono condotti non tengono conto delle differenze esistenti tra i vari contesti; • l’enfasi sugli indicatori potrebbe far mettere in secondo piano l’analisi qualitativa; l’eccessiva dipendenza dai numeri (la cosiddetta “quantofrenia”) rischia di far trascurare gli aspetti cosiddetti “qualitativi” della valutazione, che la raccolta di dati quantitativi non permette di apprezzare adeguatamente; • i finanziamenti assegnati sulla base di risultati quantitativi potrebbero creare degli effetti perversi. Se ad esempio vengono introdotti premi per le scuole che fanno registrare un basso tasso di abbandono, le scuole saranno tentate dal selezionare gli alunni in partenza, in modo da accogliere solo quelli più bravi e motivati; oppure potrebbero abbassare gli standard da raggiungere, in modo da facilitare la frequenza. Occorre, infine, osservare che la modifica di un sistema complesso come quello educativo non si realizza in un tempo ridotto; la misurazione dell’impatto di una politica educativa sul sistema potrebbe richiedere tempi anche lunghi; i comportamenti di milioni di docenti, studenti e famiglie, che sono soggetti peraltro ad una molteplicità di stimoli al di là di quelli proposti dalle politiche riformatrici, non cambiano nel giro di pochi mesi. Pertanto, nel monitorare l’applicazione e l’evoluzione di una politica sarebbe opportuno utilizzare non solo gli indicatori di risultato, che misurano gli effetti finali della politica (ad esempio la diminuzione del tasso di abbandono o l’innalzamento dei livelli di apprendimento), ma anche gli indicatori di processo, che permettono di verificare in che modo la politica viene applicata sul sistema. inoltre, prima di concludere che un processo riformatore ha prodotto o meno i risultati attesi occorre aspettare un congruo lasso di tempo. Vi sono tanti modi per utilizzare gli indicatori nell’ambito delle politiche pubbliche: ad esempio essi possono essere utilizzati per il monitoraggio, per il confronto o per il controllo. Prendendo come parametro di analisi la finalità “politica” che riveste l’indicatore, si possono individuare due approcci al loro uso: un approccio che possiamo definire “morbido”, in quanto la sua applicazione non è propedeutica all’adozione di 36 particolari iniziative da parte di un soggetto sovraordinato, ed un approccio “rigido”, quando l’applicazione dell’indicatore è propedeutica all’intervento da parte dell’ente sovraordinato. Esempi di approccio “morbido” provengono dall’utilizzazione degli indicatori: • per il monitoraggio interno dei processi avviati; • per il confronto volontario con altre istituzioni, in particolare con quelle che presentano caratteristiche simili; • per la definizione volontaria di benchmark, ovvero di punti di riferimento da raggiungere o da prendere ad esempio; • per l’autovalutazione. i benchmark fissati dall’unione Europea nel quadro della Strategia di lisbona rientrano in questo tipo di approccio; essi infatti servono a monitorare il progresso degli Stati membri verso il raggiungimento degli obiettivi di lisbona, ma il loro mancato raggiungimento non comporta nessuna sanzione a carico del Paese “inadempiente”. Al contrario i parametri di Maastricht, il cui mancato rispetto comporta delle sanzioni a carico dello Stato inadempiente, fanno parte di un approccio di tipo rigido. Si può parlare di approccio “rigido” quando gli indicatori vengono utilizzati: • per il monitoraggio esterno, per controllare l’evoluzione di determinati progetti o programmi; • per assegnare finanziamenti aggiuntivi, sulla base di parametri statistici; • per verificare il raggiungimento di obiettivi precisi (targets). Sarebbe opportuno che nel processo di decisione politica gli indicatori venissero utilizzati integrando i due approcci: è necessario cioè stabilire dei traguardi misurabili, sui quali tutti si sentano responsabilizzati e che tutti possano verificare, nella consapevolezza che l’indicatore è uno strumento e non un fine, e che la complessità del sistema educativo richiede una grande attenzione ai diversi contesti, evitando confronti impropri tra soggetti od organizzazioni differenti, ed agli aspetti qualitativi dei processi che vengono osservati. 3.2. InDICAtorI E BEnCHmArk PEr monItorArE IL ProgrESSo VErSo gLI oBIEttIVI DI LISBonA le Conclusioni della presidenza a lisbona nel 2000 ed i successivi Consigli europei hanno riconosciuto un ruolo centrale per indicatori e benchmark all’interno del “Metodo aperto di coordinamento”, il metodo seguito per promuovere la convergenza degli Stati membri verso gli obiettivi principali dell’unione economica e sociale (v. par. 1.2). in particolare si è intensificato l’utilizzo di indicatori e benchmark nel settore della cooperazione riguardo l’istruzione e la Formazione in Europa. 37 Nel 2002 il Consiglio Europeo approvò un programma di lavoro dettagliato che fissava 13 obiettivi concreti in materia di istruzione e Formazione e un elenco indicativo di 33 indicatori, successivamente ridotti a 29. Venne anche istituito un gruppo permanente sugli indicatori e benchmark (Standing Group on indicators and Benchmarks), composto da esperti in rappresentanza di tutti gli Stati membri, per consigliare la Commissione sull’uso di indicatori e benchmark. l’atto più significativo è stato l’adozione, da parte del Consiglio di istruzione, di 5 benchmark (“livelli di riferimento della performance media europea”) nel settore chiave dell’istruzione e della Formazione, ovvero cinque obiettivi quantitativi che l’unione Europea si prefiggeva di raggiungere entro il 2010. la definizione dei benchmark intendeva costituire un modo concreto e misurabile per indicare agli Stati membri la strada da percorrere per costruire un sistema di apprendimento/Formazione permanente e per misurare il progresso in questa direzione. l’obiettivo che si proponeva era raggiungere il benchmark come media europea; dunque venivano/vengono ammesse anche differenze tra i diversi Paesi, ferma restando l’intenzione di raggiungere, nella media europea, il valore previsto dal benchmark. il mancato raggiungimento del benchmark da parte di un Paese non comporta alcuna sanzione: siamo all’interno di quell’approccio “morbido” sull’uso degli indicatori di cui si è parlato nel paragrafo precedente. i benchmark erano i seguenti: • almeno l’85% dei giovani deve conseguire un diploma di scuola secondaria superiore; • il tasso massimo di abbandono della scuola prima di conseguire un titolo superiore od una qualifica non deve superare il 10%; • la partecipazione alle attività di Formazione permanente deve coinvolgere il 12,5% della popolazione nell’arco di un mese; • diminuire di almeno il 20% la percentuale di giovani che dimostrano scarsa capacità di comprensione del testo; • aumentare di almeno il 15% il numero di laureati in Matematica, Scienza e Tecnologia. Successivamente la Commissione europea ha monitorato costantemente l’evoluzione di questi indicatori per tutti i Paesi europei, predisponendo un Rapporto annuale che ha consentito di fare periodicamente il punto della situazione. la rilevazione effettuata nel 2011 (su dati 2009)5 mostrò la seguente situazione italiana ed europea: 5 Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2001. SEC(2011) 526. 38 Posizione italiana ed europea nel 2009/10 rispetto ai benchmark di Lisbona BENCHMARK Media Media Unione Europea Italia Almeno l’85% dei giovani deve conseguire un diploma di scuola secondaria superiore 78,6% 76,3% Il tasso massimo di abbandono non deve superare il 10% 13,9% 18,8% La partecipazione alle attività di Formazione permanente 9,1% 6,2% deve coinvolgere il 12,5% della popolazione nell’arco di un mese Diminuire di almeno il 20% la percentuale di giovani 21,1% 24,9% con scarsa capacità di comprensione del testo (-6,0%) (+37,4%) Aumentare di almeno il 15% il numero di laureati in Matematica, Scienza e Tecnologia +4,0% +6,3% Fonti: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2001. SEC(2011) 526 - Education and training monitor 2014 Come si può vedere, ad eccezione dell’ultimo indicatore, per nessuno degli altri benchmark il progresso dei Paesi europei è stato tale da permettere di raggiungere l’obiettivo previsto. il grafico seguente, riportato nell’ultimo rapporto di monitoraggio prodotto dalla Commissione europea sui benchmark di lisbona6, mostra l’andamento della media europea dei 5 indicatori dal 2000 al 2009. Solo un indicatore, quello relativo al numero dei laureati in materie scientifiche, mostra un deciso progresso nel corso degli anni posto sotto osservazione. Altri tre indicatori mostrano un progresso, ma con un andamento molto più lento di quanto programmato. infine uno, quello relativo ai livelli di comprensione della lettura, mostra addirittura un andamento nettamente negativo fino al 2006 ed una successiva ripresa, ma sempre sotto l’obiettivo europeo. Progresso verso il Raggiungimento dei benchmark di Lisbona Fonte: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2011. SEC(2011)526 6 ibid. 39 Nel 2010 il Consiglio europeo esaminò questi dati pervenendo alle seguenti conclusioni7: a) Occorre fare di più per favorire l’alfabetizzazione e i gruppi svantaggiati. • il parametro di riferimento fissato dall’uE per il 2010 è una riduzione del 20% della percentuale dei quindicenni con scarse capacità di lettura, mentre il dato è in realtà aumentato passando dal 21,3 % nel 2000 al 24,1 % nel 2006. • Nella lettura, in matematica e nelle scienze i risultati degli studenti migranti sono inferiori a quelli degli studenti autoctoni (dati PiSA). • il progressivo declino delle abilità di lettura rispetto al parametro di riferimento fissato dall’uE per il 2010 resta un motivo di grave preoccupazione. un buon livello di alfabetizzazione è basilare per l’acquisizione delle competenze chiave e per l’apprendimento permanente. b) Rafforzare le competenze chiave nell’Istruzione e nella Formazione Professionale e nell’educazione degli adulti. qualche passo avanti è stato compiuto per quanto concerne una maggiore partecipazione degli adulti all’istruzione e alla Formazione, ma non abbastanza per raggiungere il livello di riferimento del 12,5% fissato per il 2010. Nel 2008, la percentuale degli europei di età compresa tra i 25 e i 64 anni che ha partecipato ad attività formative nelle quattro settimane precedenti la rilevazione è stata del 9,5%. la probabilità di partecipazione è cinque volte superiore per gli adulti altamente qualificati rispetto agli adulti scarsamente qualificati. c) Passi avanti in termini di miglioramento dell’accesso all’insegnamento superiore. Cresce la consapevolezza politica del fatto che per l’attuazione dell’apprendimento permanente è essenziale far in modo che gli studenti «non tradizionali» possano avere accesso all’istruzione superiore. la maggior parte dei Paesi ha adottato misure a favore di una maggiore partecipazione degli studenti di estrazione socioeconomica più modesta, anche attraverso incentivi finanziari. il 24% della popolazione adulta europea (di età compresa tra i 25 e i 64 anni) è in possesso di un titolo di studio di livello terziario, un dato che mostra un progresso ma rimane di gran lunga inferiore a quello di Stati uniti e Giappone (40%). Se la situazione europea non appare esaltante, quella italiana è di gran lunga peggiore. Per tutti i benchmark, fatta eccezione per quello riguardante i laureati nelle materie scientifiche, l’italia si colloca su valori nettamente inferiori a quelli della media europea. Anche il progresso in questi anni è stato piuttosto contenuto; solo per quanto riguarda il conseguimento del diploma di scuola secondaria vi è stato un avanzamento consistente da quando è stato fissato il benchmark. 7 Relazione congiunta 2010 del Consiglio e della Commissione sull’attuazione del programma di lavoro «istruzione e formazione 2010» (2010/C 117/01). 40 3.3. SEI nuoVI BEnCHmArk PEr IL 2020 All’interno del nuovo quadro strategico per l’istruzione e la Formazione che è stato elaborato per il 2020 (ET 2020) sono stati individuati 6 nuovi benchmark. Tre di questi in realtà riprendono i benchmark precedentemente definiti nell’ambito della Strategia di lisbona; tre, che riguardano l’accesso all’istruzione preelementare, la percentuale di laureati e l’occupazione dei diplomati secondari o universitari, sono del tutto nuovi. questi nuovi obiettivi rientrano nella strategia dell’apprendimento che deve riguardare tutti i momenti della vita, “dalla culla alla tomba”, come recitava la Comunicazione della Commissione del 20018. i 6 benchmark per il 2020 sono i seguenti: • Almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età di inizio della scuola primaria dovrebbero partecipare all’istruzione preelementare. • la quota di abbandoni precoci dell’istruzione e Formazione dovrebbe essere inferiore al 10%. • la quota dei giovani con scarse prestazioni in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15%. • la quota delle persone tra 30 e 34 anni con un titolo a livello terziario dovrebbe essere almeno il 40% . • una media di almeno il 15% di adulti dovrebbe partecipare alla Formazione permanente. • la quota degli occupati tra i diplomati secondari o universitari da 20 a 34 anni a tre anni dal diploma dovrebbe essere almeno l’82%. Tuttavia anche la strada per raggiungere questi benchmark appare decisamente in salita, specialmente per il nostro Paese. Dall’ultimo rapporto di Monitoraggio della Commissione europea, pubblicato nel 2014, emerge la situazione presentata nel prospetto seguente: Posizione italiana ed europea nel 2012/13 rispetto ai benchmark 2020 BENCHMARK Media Media Unione Europea Italia Almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età di inizio della scuola primaria 93,9% 99,2% dovrebbero partecipare all’istruzione preelementare Il tasso massimo di abbandono non deve superare il 10% 12,0% 17,0% La partecipazione alle attività di Formazione permanente 10,5% 6,2% deve coinvolgere il 15% della popolazione nell’arco di un mese La quota dei giovani con scarse prestazioni in Letteratura, Matematica e Scienze Let. 17,8% Let. 19,5% dovrebbe essere inferiore al 15% Mat. 22,1% Mat. 24,7% Sci. 16,6% Sci. 18,7% 8 Commissione delle Comunità europee, Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente, COM(2001) 678 Bruxelles, 21.11.2001. segue 41 BENCHMARK Media Media Unione Europea Italia La quota delle persone tra 30 e 34 anni con un titolo a livello terziario 36,9% 22,4% dovrebbe essere almeno il 40% La quota degli occupati tra i diplomati secondari od universitari da 20 a 34 anni a tre anni dal diploma dovrebbe essere almeno l’82% 75,5% 48,3% Fonte: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks Come si può vedere dalla tabella, la situazione del nostro Paese è particolarmente difficile per quanto riguarda i tassi di abbandono, di conseguimento del diploma universitario e di occupazione, che sono molto lontani non solo dai benchmark europei, ma anche dalle attuali medie degli altri Paesi. Per quanto riguarda i primi due indicatori l’italia ha fissato benchmark di riferimento più raggiungibili, prevedendo come obiettivo di arrivare al 16% come tasso massimo di abbandono ed al 26-27% come tasso di conseguimento del diploma. in ogni caso i prossimi anni ci diranno in quale misura la definizione di questi 6 nuovi obiettivi riuscirà a dare un impulso effettivo alle politiche educative dei diversi Paesi, oppure si risolverà in una riproposizione meno credibile di un traguardo il cui raggiungimento rimarrà ancora lontano. Al di là di questo rimane tuttavia il positivo significato politico e pedagogico del benchmark, come riferimento strategico che indica in termini trasparenti e misurabili la meta da raggiungere. segue 43 4. Il dibattito sulle competenze ed il Quadro europeo delle qualifiche 4.1. trA ConoSCEnzE E ComPEtEnzE Nel dibattito degli ultimi 20 anni la discussione sulle politiche educative e sui risultati attesi del processo di apprendimento si è spostata da come definire ed acquisire le conoscenze (i saperi) a come definire ed acquisire le competenze (saper essere e saper fare). Nel mondo della Formazione Professionale l’utilizzo del concetto di “competenza” ha una storia abbastanza lunga. Occorre ricordare che il concetto di competenza si è sviluppato soprattutto in ambito lavorativo e dunque della formazione al lavoro. Guy le Boterf, uno dei massimi teorici in questo campo definiva la competenza come “Un insieme, riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato”1. Solo negli anni più recenti si è cercato di applicare il concetto di competenza all’ambito dell’istruzione generale, sulla base dell’esigenza di superare una concezione puramente trasmissiva del sapere e di travalicare l’ambito disciplinare per valorizzare invece la capacità di integrare i diversi ambiti disciplinari. un passaggio importante nel processo di elaborazione internazionale del concetto di competenza è stato rappresentato dal progetto DeSeCo (Definizione e selezione delle competenze chiave) che venne condotto dall’OCSE dal 1997 al 20032; questo progetto ha rivestito un ruolo significativo per l’evoluzione delle politiche pubbliche, attraverso la definizione e sistematizzazione di un quadro di riferimento internazionale di discussione. il progetto ha riunito vari esperti con il compito di elaborare “stati dell’arte” del concetto, per confrontare le definizioni, stabilire convergenze e, infine, elencare una serie di competenze chiave per lo sviluppo della società e degli individui. queste competenze chiave dovrebbero ovviamente costituire gli obiettivi principali dell’istruzione e della Formazione. questa iniziativa ha trovato la sua giustificazione nella considerazione che le tradizionali conoscenze di base sono importanti ma non sufficienti a soddisfare i requisiti e la complessità della domanda sociale di oggi. le pubblicazioni del progetto DeSeCo enfatizzano, in particolare, una definizione olistica del concetto di 1 lE BOTERF G. (1990), De la compétence: Essai sur un attracteur étrange, les Ed. de l’Organisation. 2 RYChEN D.S., SAlGANik l.h. (2007), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole, FrancoAngeli. 44 competenza, più ampio di quello del senso comune, assegnando al termine il significato di un complesso sistema di azione, compresi gli atteggiamenti cognitivi e non-cognitivi e altri elementi: “la competenza viene definita come la capacità di rispondere con successo ad esigenze complesse in un contesto particolare. La prestazione competente o l’azione efficace implica la mobilitazione di conoscenze, abilità cognitive e pratiche, nonché di componenti sociali come atteggiamenti, emozioni, valori e motivazioni. La competenza – una nozione olistica – non è dunque riducibile alla sua dimensione cognitiva”. il progetto DeSeCo ha individuato nove competenze chiave, suddivise in tre categorie, che possono essere rilevanti per ogni cittadino. ComPEtEnzE CHIAVE SEConDo IL ProgEtto DESECo (a) AGiRE iN MODO AuTONOMO 1) Capacità di difendere e affermare i propri diritti, interessi, responsabilità, limiti e bisogni. questa competenza implica la capacità, per esempio, di: • comprendere propri interessi personali (ad esempio in una elezione); • conoscere regole scritte e principi su cui basare un caso; • costruire l’argomentazione in modo da avere riconosciuti bisogni e diritti, e • suggerire compromessi o soluzioni alternative. 2) Capacità di definire e realizzare programmi di vita e progetti personali. Gli individui devono essere in grado, ad esempio, di: • definire un progetto e fissare un obiettivo; • identificare e valutare le risorse di cui dispongono e le risorse di cui hanno bisogno (ad esempio, tempo e denaro); • mettere in priorità e perfezionare gli obiettivi; • distribuire le risorse necessarie per raggiungere più obiettivi; • imparare da azioni passate, prevedendo i risultati futuri, e • monitorare i progressi, introducendo i necessari adeguamenti durante l’avanzamento del progetto. 3) Capacità di agire in un quadro d’insieme, in un contesto ampio. questa competenza richiede individui di essere in grado, ad esempio, di: • comprendere i modelli; • comprendere il sistema in cui si trovano; • identificare le conseguenze dirette e indirette delle loro azioni, e • scegliere tra diverse possibilità d’azione, riflettendo sulle possibili conseguenze in relazione alle norme ed agli obiettivi individuali e collettivi. SERViRSi Di STRuMENTi iN MANiERA iNTERATTiVA 1) Capacità di utilizzare la lingua, i simboli e i testi in maniera interattiva. questa competenza chiave riguarda l’uso efficace delle capacità linguistiche parlate e scritte, del calcolo e di altre abilità matematiche, in molteplici situazioni. Si tratta di uno strumento essenziale per inserirsi bene nella società e nel posto di lavoro e per mantenere un dialogo efficace con le altre persone. 4.2. LE ComPEtEnzE CHIAVE PEr L’APPrEnDImEnto PErmAnEntE Nel quadro della crescente attenzione alla capacità di applicare i saperi ai diversi contesti della vita attiva, il 18 dicembre 2006 l’unione Europea ha formalmente approvato una Raccomandazione relativa alle Competenze chiave per l’apprendimento permanente3, che individua le competenze chiave di cittadinanza che tutti i cittadini europei dovrebbero possedere e che costituiscono la base per l’apprendimento per- 45 2) Capacità di utilizzare le conoscenze e le informazioni in maniera interattiva. questa competenza chiave richiede una riflessione critica sulla natura stessa dell’informazione – la sua infrastruttura tecnica e il suo contesto e l’impatto sociale, culturale e persino ideologico. la competenza sull’informazione è necessaria come base per la comprensione delle scelte, per formarsi delle opinioni, prendere decisioni, e realizzare azioni informate e responsabili. 3) Capacità di utilizzare le nuove tecnologie in maniera interattiva. la tecnologia può essere usata in modo interattivo se gli utenti ne comprendono la natura e riflettono sulle sue potenzialità. Ancora più importante, gli individui devono mettere in relazione le possibilità sottese agli strumenti tecnologici con la loro situazione ed i loro obiettivi. il primo passo per gli individui è quello di integrare le tecnologie nelle loro pratiche quotidiane, familiarizzandosi con la tecnologia, diventando così in grado di estenderne l’utilizzo. FuNziONARE iN GRuPPi SOCiAlMENTE ETEROGENEi 1) Capacità di stabilire buone relazioni con gli altri. questa competenza chiave permette agli individui di avviare, mantenere e gestire rapporti personali con, ad esempio, conoscenti, colleghi e clienti. interrelarsi positivamente non è solo necessario per la coesione sociale ma, sempre più, per il successo economico, dal momento che le imprese e le economie in cambiamento pongono crescente enfasi sull’intelligenza emotiva. 2) Capacità di cooperare. la collaborazione impone ad ogni individuo di avere certe qualità. Ognuno deve essere in grado di bilanciare l’impegno nei confronti del gruppo e dei suoi obiettivi con le esigenze personali e deve essere in grado di condividere la leadership e di sostenere gli altri. 3) Capacità di gestire e risolvere i conflitti. Per gestire e risolvere dei conflitti, bisogna di essere in grado di: • analizzare le problematiche e gli interessi in gioco, le origini del conflitto e le motivazioni di tutte le parti, riconoscendo che vi sono diverse posizioni possibili; • identificare le aree di accordo e disaccordo; • ridefinire il problema; • definire le priorità di esigenze ed obiettivi, decidere a che cosa si è disposti a rinunciare e in quali circostanze. (a) OECD (2003) The definition and selection of key competencies - executive summary da: http://www.oecd.org/dataoecd/47/61/35070367.pdf 3 RACCOMANDAziONE DEl PARlAMENTO EuROPEO E DEl CONSiGliO del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE). 46 manente; in essa si esortano gli Stati membri, nell’ambito delle loro strategie di apprendimento permanente, a sviluppare l’offerta di competenze chiave per tutti, per assicurare che l’istruzione e la Formazione iniziali offrano a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze chiave a un livello tale che li prepari alla vita adulta e costituisca la base per ulteriori occasioni di apprendimento, e per l’inserimento nella vita lavorativa. Per raggiungere questo obiettivo si deve debitamente tener conto di quei giovani che, a causa di svantaggi educativi determinati da circostanze personali, sociali, culturali o economiche, hanno bisogno di un sostegno particolare per realizzare le loro potenzialità educative; anche gli adulti, secondo la Raccomandazione, devono essere in grado di sviluppare e aggiornare le loro competenze chiave in tutto l’arco della vita con un’attenzione particolare per gruppi di destinatari riconosciuti prioritari nel contesto nazionale, regionale e/o locale. la Raccomandazione europea definisce la competenza chiave come una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Senza il possesso di queste competenze è più difficile esercitare i diritti di cittadinanza ed accedere e valorizzare le opportunità di apprendimento che vengono offerte nel corso della vita. la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo individua 8 competenze chiave di cittadinanza, che tutti i cittadini europei dovrebbero possedere. LE ComPEtEnzE CHIAVE SEConDo LA rACComAnDAzIonE EuroPEA (a) • Comunicazione nella madrelingua, intesa come la capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta). • Comunicazione in lingue straniere, che si basa sulla capacità di comprendere, esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta in una gamma appropriata di contesti sociali e culturali - istruzione e formazione, lavoro, casa, tempo libero. • Competenza matematica, intesa come la capacità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza delle competenze aritmetico-matematiche, l’accento è posto sugli aspetti del processo e dell’attività oltre che su quelli della conoscenza. • Competenza digitale, intesa come possesso delle nuove tecnologie informatiche. • Imparare a imparare, ovvero la capacità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo. • Competenze sociali e civiche, che includono le competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa. • Senso di iniziativa ed imprenditorialità, che concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. in ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. 47 4.3. IL QuADro EuroPEo DELLE QuALIFICHE (EQF) i temi delle competenze e della loro definizione e certificazione si collocano come snodo strategico da affrontare non solo per conferire qualità al sistema formativo ma anche praticabilità al processo di integrazione tra sistemi nella logica del lifelong learning. l’integrazione acquista senso se dotata di modelli e strumenti che rendano possibile sia il dialogo costante con la realtà socio-economica, sia la effettiva possibilità di capitalizzare le esperienze di apprendimento condotte dagli individui in luoghi, in momenti e in contesti formativi diversi. Dopo un prolungato lavoro di confronto tra i diversi Paesi membri, promosso all’interno del processo di Copenaghen, l’unione Europea ha approvato nel 2008 una Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’istituzione di un quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (European Qualification Framework - EqF), che deve servire a fornire un linguaggio comune per descrivere le qualifiche e ad aiutare gli Stati membri, i datori di lavoro e gli individui a confrontare le qualifiche dei diversi sistemi di istruzione e di Formazione nell’uE attraverso la definizione di un unico quadro di riferimento4. l’EqF sposta l’attenzione della certificazione dalle caratteristiche delle attività formative frequentate (durata, contenuti, ecc.) ai risultati di apprendimento conseguiti (learning outcomes), in termini di conoscenze, abilità e competenze. Non importa come la competenza è stata acquisita (durata dell’esperienza di apprendimento, tipo di istituzione), ma importa il risultato finale: questo approccio facilita non solo il trasferimento e l’impiego di qualifiche di diversi Paesi e sistemi di istruzione e Formazione, ma anche la convalida della formazione non formale e informale. il quadro europeo include tutti i titoli di studio e le qualifiche, da quelli di base a quelli universitari e postuniversitari. Esso si articola in otto livelli di riferimento, che descrivono le conoscenze e le capacità (i risultati dell’apprendimento) che lo caratterizzano. questo permette di classificare il livello di conoscenze, abilità e competenze indipendentemente dal modo in cui è stato acquisito. tutti gli Stati membri devono indicare la corrispondenza dei titoli e delle qualifiche rilasciate a livello nazionale con gli otto livelli stabiliti a livello europeo, che vanno dal livello 1 (il livello di base, corrispondente al bagaglio di co- 4 RACCOMANDAziONE DEl PARlAMENTO EuROPEO E DEl CONSiGliO del 23 aprile 2008 su La costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (2008/C 111/01). • Consapevolezza dell’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti. (a) RACCOMANDAziONE DEl PARlAMENTO EuROPEO E DEl CONSiGliO del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE). 48 noscenze e competenze conseguibile al termine del percorso della scuola obbligatoria), al livello 8, corrispondente al bagaglio di conoscenze e competenze conseguibile al termine di un percorso universitario post-laurea. il livello 1 è caratterizzato dal possesso di: • conoscenze di base, • abilità di base necessarie a svolgere mansioni semplici, • lavoro o studio, sotto la diretta supervisione, in un contesto strutturato. il livello 8 è caratterizzato dal possesso di: • conoscenze all’avanguardia in un ambito di lavoro o di studio e all’interfaccia tra settori diversi, • abilità e tecniche più avanzate e specializzate, comprese le capacità di sintesi e di valutazione necessarie a risolvere problemi complessi della ricerca e/o dell’innovazione e ad estendere e ridefinire le conoscenze o le pratiche professionali esistenti, • possesso di autorità, capacità di innovazione, autonomia, integrità tipica dello studioso e del professionista e impegno continuo nello sviluppo di nuove idee o processi all’avanguardia in contesti di lavoro, di studio e di ricerca. Nell’ambito della Raccomandazione europea vengono avanzate le seguenti richieste agli Stati membri: 1) usare il quadro europeo delle qualifiche come strumento di riferimento per confrontare i livelli delle qualifiche dei diversi sistemi nazionali. 2) Rapportare i sistemi nazionali delle qualifiche al quadro europeo delle qualifiche entro il 2010, in particolare collegando in modo trasparente i livelli delle QuADro EuroPEo DELLE QuALIFICHE: LE DEFInIzIonI FonDAmEntALI Per Risultato dell’apprendimento si intende ciò che un discente conosce, capisce ed è in grado di realizzare al termine di un processo d’apprendimento. i risultati sono definiti in termini di conoscenze, abilità e competenze. Per Conoscenza si intende il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative ad un settore di lavoro o di studio. Nel contesto del quadro europeo delle qualifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche. Per Abilità si intende la capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del quadro europeo delle qualifiche le abilità sono descritte come: • cognitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o • pratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti). le Competenze vengono definite come la comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia. 49 qualifiche nazionali ai livelli europei e, ove opportuno, sviluppando quadri nazionali delle qualifiche conformemente alla legislazione e alle prassi nazionali. 3) Adottare misure affinché entro il 2012 tutti i nuovi certificati di qualifica, i diplomi e i documenti Europass rilasciati dalle autorità competenti contengano un chiaro riferimento all’appropriato livello del quadro europeo delle qualifiche. 4) Adottare un approccio basato sui risultati dell’apprendimento nel definire e descrivere le qualifiche, e promuovere la convalida dell’apprendimento non formale e informale. 4.4. uno StrumEnto PEr LA trASPArEnzA Prima di adottare la Raccomandazione sul quadro europeo delle qualifiche l’unione Europea aveva già formalizzato, introducendo Europass, uno strumento per facilitare la mobilità dei cittadini favorendo la trasparenza dei titoli e delle qualifiche possedute. Europass è stato varato con una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2004 relativa ad un quadro unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze5, e si compone di 5 elementi: • Europass Curriculum Vitae • Europass language passport • Europass certificate supplement • Europass diploma supplement • Europass mobility l’Europass Curriculum Vitae (ex Curriculum Vitae Europeo) è un modello standardizzato che offre ai cittadini la possibilità di presentare in modo chiaro e completo l’insieme delle informazioni relative alle proprie qualifiche e competenze. Consente di uniformare la presentazione di titoli di studio, esperienze lavorative e competenze individuali. l’Europass Curriculum Vitae fornisce informazioni su dati personali, competenze linguistiche, esperienze lavorative, percorsi di istruzione e Formazione, competenze personali sviluppate anche al di fuori di percorsi formativi di tipo tradizionale. Europass Certificate e Diploma Supplement sono rilasciati ad individui che possiedono un certificato di Formazione Professionale oppure un diploma. il Certificate Supplement è un documento che accompagna i titoli e le qualifiche professionali acquisite, allo scopo di renderli più facilmente comprensibili anche ad eventuali datori di lavoro stranieri. il Certificate Supplement fornisce in- 5 Decisione n. 2241/2004/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2004 relativa ad un quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass). 50 formazioni sulle abilità e competenze acquisite, sul tipo di attività professionale cui è possibile accedere, nonché sul livello del certificato nell’ambito della classificazione nazionale. Esso contiene informazioni supplementari a quelle che sono già incluse nei certificati ufficiali, consentendone una maggiore comprensione, specialmente da parte di datori di lavoro od istituzioni al di fuori del Paese in cui è stato rilasciato. l’Europass Diploma Supplement è il dispositivo di trasparenza sviluppato dal Consiglio d’Europa, dall’unesco e dalla Commissione Europea, che mira a rendere più leggibili i titoli e le qualifiche rilasciate nell’ambito dell’istruzione Superiore accademica e non accademica, ed a valorizzare nel contempo i loro contenuti. il documento accompagna i titoli e le certificazioni rilasciate al termine di un corso di studi effettuato in una università o presso un istituto di istruzione Superiore. i Certificate ed i Diploma supplement sono predisposti dalle autorità di certificazione competenti. 4.5. ConoSCEnzE E ComPEtEnzE: un DIBAttIto AnCorA APErto Nonostante gli indubbi ed importanti progressi realizzati a livello nazionale ed europeo per promuovere una istruzione e Formazione basata sul concetto di competenza, il quadro concettuale e le modalità di applicazione di un “insegnamento per competenze” devono essere ancora chiariti. in particolare la trasposizione di questo concetto nell’ambito delle discipline scolastiche lascia aperti non pochi interrogativi. La definizione: non esiste ancora una definizione univoca di competenza; di questa nozione esistono molteplici definizioni e categorizzazioni, a seconda dell’ambito disciplinare (psicologico, pedagogico, organizzativo) cui si fa riferimento per proporre la definizione. in aggiunta la distinzione tra il concetto di competenza (Competence) e quello di abilità (Skill) non è chiara; la Raccomandazione europea afferma che per Abilità si intende la capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi: dunque nel concetto di abilità è già insita la dimensione applicativa della conoscenza acquisita, che viene utilizzata per lo svolgimento di compiti e problemi specifici. la Competenza è definita, invece, dalla Raccomandazione come la comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. la differenza è sottile, al limite della tautologia. Secondo la Raccomandazione, rispetto all’abilità la competenza si distingue perché: – la dimostrazione della capacità viene “comprovata” (ma come potrebbe essere altrimenti? Anche il possesso delle abilità e delle conoscenze deve essere comprovato! N.d.A.) in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale; 51 – per esprimere una competenza è necessario utilizzare anche capacità personali, sociali e/o metodologiche. la competenza dunque si distingue dalle abilità perché vengono mobilitate anche risorse non cognitive (atteggiamenti, ecc.). Ma nell’ambito scolastico, dove vengono messe in gioco prevalentemente competenze cognitive, come distinguere le competenze dalle abilità? Mentre nell’ambito di lavoro è più agevole (ma non sempre) tracciare la linea di demarcazione tra le abilità (limitate all’ambito cognitivo) e la competenza (che coinvolge altre dimensioni della persona), nell’ambito di studio, e dunque in ambito scolastico il confine è più stretto. la difficoltà si avverte in particolare quando ci si trova a dover definire, o valutare gli obiettivi da raggiungere per quanto riguarda l’acquisizione di abilità e/o competenze relative a discipline o ambiti disciplinari. la lettura di molte indicazioni programmatiche ministeriali riguardanti gli obiettivi della scuola o della Formazione Professionale mostra numerose incertezze nell’utilizzo delle diverse categorie. Elemento di ulteriore complicazione, sotto l’aspetto definitorio, è la traduzione in lingua italiana del termine skill, che a volte viene reso come abilità, a volte come capacità. Anche la distinzione tra abilità e capacità non è sempre chiara. Il livello di acquisizione/dimostrazione della competenza: la definizione del “livello” di possesso della competenza non è semplice, sopratutto quando ci si trova a dover definire le prestazioni in ambito non lavorativo. Mentre la soddisfacente esecuzione di una prestazione professionale può essere definita, attraverso una batteria di indicatori (ad esempio attraverso l’elencazione delle operazioni che si dovrebbe essere in grado di compiere), la definizione di una prestazione cognitiva soddisfacente richiede che sia specificato anche il tipo di conoscenze che vengono utilizzate e valorizzate, altrimenti si rimane su un livello di assoluta genericità. Le modalità di insegnamento della competenza: alla incertezza semantica si aggiunge l’aspetto operativo. Stando alla definizione, la competenza non si può insegnare come si insegna una disciplina; l’acquisizione e la messa in opera di una competenza è il frutto di un processo complesso che comporta la mobilitazione di diverse risorse, sia cognitive che attitudinali che motivazionali, della persona; per acquisire e dimostrare una competenza è necessario rapportarsi a contesti reali. le modalità di traduzione di tutto questo nella pratica scolastica quotidiana sono evidentemente piuttosto complesse. Le modalità di valutazione: le modalità di valutazione delle competenze presentano diverse problematiche. Della difficoltà di definire il livello della competenza, e dunque di valutarlo, senza specificare quali sono le retrostanti conoscenze possedute, si è già detto. in secondo luogo la valutazione delle competenze diventa estremamente difficoltosa all’interno del contesto scolastico. in particolare, quando lo strumento di valutazione è la prova scritta ben difficilmente si può parlare di valutazione di una competenza. Se si mantiene la definizione di competenza predisposta dall’unione Europea caso mai si può parlare di valutazione di “abilità (skills)”. 52 l’ambiguità è indotta dalla stessa letteratura ufficiale: si consideri il Framework teorico che è stato pubblicato dall’OCSE riguardo alle prove Pisa 2009 (che vengono comunemente definite come “prove di competenza linguistica, matematica e scientifica”)6: nel testo il termine competenza viene usato solo nella presentazione dei quadri teorici riguardanti la matematica e le scienze (dove peraltro non si capisce in che cosa si distingua la competenza dall’abilità), mentre nella presentazione del quadro teorico della reading literacy si utilizza sempre il termine skills (abilità). la domanda che si pone è dunque: un test “carta e matita”, come quelli proposti dall’OCSE-PiSA (o come quelli normalmente somministrati in ambito scolastico), permette di valutare una competenza, come si afferma comunemente? Non sarebbe più corretto parlare di valutazione di abilità linguistiche, matematiche e scientifiche? Negli ultimi anni si è diffusa anche una preoccupazione rispetto all’enfasi, da alcuni ritenuta eccessiva, sull’uso del termine competenze in ambito scolastico. È emerso infatti il timore che l’enfasi sulle competenze togliesse spazio ed attenzione all’apprendimento dei saperi. Si è dunque sviluppato, sia in italia che negli altri Paesi, un movimento di reazione che ha cercato di riportare al centro dell’attività della scuola l’insegnamento dei contenuti. Si è acceso un dibattito tra coloro che mettono in risalto la necessità che attraverso l’apprendimento si formino solide categorie concettuali che consentano di acquisire e selezionare l’informazione che viene fornita dalla scuola e, in misura crescente, da mezzi e strumenti di comunicazione sempre più potenti e pervasivi (Edgar Morin diceva, riprendendo Michel de Montaigne, meglio una testa ben fatta che una testa ben piena)7 e coloro che sottolineano la necessità di una acquisizione di solidi saperi, come base per la successiva crescita culturale e professionale. Come ha ricordato la Commissione ministeriale incaricata di definire le modalità per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, non esiste una contrapposizione tra conoscenze e competenze: la competenza, senza la conoscenza che le dà sostanza, semplicemente non è, è un contenitore vuoto. Nel testo finale presentato dalla Commissione si legge8: “Le competenze chiave non costituiscono una proposta alternativa o separata dalle discipline; al contrario si costruiscono utilizzando i saperi previsti dai curricoli dei primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore, a partire dagli assi culturali che sono stati individuati. Discipline e competenze costituiscono la trama e l’ordito di un unico processo di insegnamento/apprendimento. ... I processi che portano all’acquisizione delle competenze chiave non vanno dunque intesi come dei nuovi curricoli che si vanno 6 OECD (2009), PiSA 2009 Assessment Framework Key competencies in reading, mathematics and science. Ed. OECD, Parigi. 7 MORiN E. (1999), La tête bien faite. Repenser la réforme. Réformer la pensée, Paris, Seuil. 8 Commissione con il compito di approfondire la tematica relativa all’istruzione obbligatoria ed elaborare le possibili modalità tese all’obiettivo dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione 3 marzo 2007. 53 a giustapporre a quelli esistenti, ma piuttosto come dei traguardi pluri e interdisciplinari dell’attività didattica curricolare”. Per concludere, il concetto di competenza è importante perché mette in risalto le implicazioni operative del sapere, promuovendo il superamento di un insegnamento astratto, e perché favorisce una ricomposizione del sapere tra le diverse discipline. Per quanto riguarda l’ambito scolastico sarebbe necessario però fare maggiore chiarezza tra i diversi termini, conoscenze, abilità, capacità e competenze per costruire dei quadri di riferimento chiari ed utilizzabili in modo univoco. 55 5. La raccomandazione sulla qualità dell’Istruzione e Formazione Professionale (EQAVEt) la qualità delle istituzioni scolastiche e formative è da qualche anno oggetto di grande attenzione da parte delle riflessioni e degli interventi nazionali e comunitari. la crescente autonomia di cui godono scuole e Centri di Formazione Professionale richiede infatti una accresciuta capacità di governo, nonché un maggiore controllo interno ed esterno sui processi organizzativi e sui risultati raggiunti, al fine di verificare l’efficiente ed efficace utilizzazione delle risorse pubbliche e private. A questo si aggiunge, per quanto riguarda in particolare l’istruzione e la Formazione Professionale, l’esigenza di innalzare la qualità dell’offerta, per almeno tre ragioni significative: • aumentare la capacità di attrazione di una offerta formativa talvolta giudicata o percepita dall’utenza, reale o potenziale, di “rango inferiore” rispetto a quella rappresentata dall’istruzione liceale e tecnica; • rafforzare la capacità di risposta della Formazione Professionale a fabbisogni del mondo produttivo molto articolati ed in continua evoluzione; • aumentare l’efficacia dell’intervento formativo, rispondendo alle necessità di un’utenza molto composita. 5.1. DAL ControLLo DEgLI InPut AL ControLLo DEgLI outPut Nei sistemi scolastici tradizionali la qualità del sistema veniva assicurata attraverso il controllo degli “input”; venivano cioè stabilite (e successivamente controllate) le caratteristiche di come doveva funzionare il sistema educativo: il numero minimo e massimo di alunni per classe; i loro prerequisiti di ingresso; il numero di docenti per ogni classe; la loro formazione certificata; i programmi di insegnamento; la tipologia delle strutture edilizie; le dotazioni didattiche e laboratoriali; ecc. Venivano (ed in gran parte ancora vengono) definiti e garantiti gli standard minimi di qualità dell’offerta formativa, nel presupposto di assicurare in questo modo anche una sostanziale omogeneità dei risultati. i controlli esterni sui risultati erano ridotti al minimo e svolgevano la prevalente funzione di convalidare il percorso compiuto, più che di controllarlo realmente. Tuttavia, a partire dai sistemi scolastici anglosassoni, che hanno sempre evidenziato una più spiccata sensibilità al controllo dei risultati, anche per compensare la maggiore flessibilità che viene lasciata a livello locale rispetto agli input (ovvero tutti gli aspetti organizzativi elencati in precedenza), negli ultimi 20 anni si è fatta 56 strada la consapevolezza che per garantire la qualità del sistema non sia sufficiente (e non sia neanche utile) definire e controllare gli standard “di partenza”, ma sia piuttosto utile e necessario definire gli standard di arrivo: infatti, l’allargamento della partecipazione ai sistemi educativi fa sì che le risposte ad input simili di alunni provenienti da contesti molto diversi siano anch’esse diversificate, per cui in mancanza di reali controlli a valle e del successivo feed-back i sistemi rischiano di frantumarsi. Occorre dunque, attraverso l’autonomia, mettere in grado le strutture scolastiche e formative locali di rispondere ad esigenze diversificate e concentrare l’attenzione di governo sul controllo dei risultati (output); questo viene fatto effettuando rilevazioni periodiche sugli apprendimenti degli alunni a livello nazionale ed internazionale ed attraverso altre misure di efficacia del sistema (ad esempio attraverso la analisi degli indicatori di efficacia-efficienza). questo approccio di governo del sistema educativo si è sviluppato a livello internazionale anche per merito dell’attività dell’OCSE, che a partire dagli Anni ‘90 ha avviato la raccolta ed il confronto dei dati sui diversi sistemi educativi nazionali, tramite un sistema articolato di indicatori1. Sempre l’OCSE, con il Progetto PiSA ha da 10 anni avviato un’attività sistematica di rilevazione nei Paesi aderenti all’organizzazione dei risultati relativi agli apprendimenti degli alunni di 15 anni, che sta assumendo un’importanza crescente nei diversi Paesi come strumento di verifica degli esiti delle politiche nazionali2. 5.2. I moDELLI InPut-outPut Secondo i tradizionali modelli di valutazione input-output, la qualità di un sistema scolastico e delle sue articolazioni locali (le scuole) si determina verificando la misura in cui (output) si riesce a trasformare la materia prima (input) seguendo gli obiettivi prefissati. le successive elaborazioni e riflessioni su questo modello hanno portato ad articolare il concetto di input, distinguendo la condizione di partenza (il Contesto) dalle Risorse erogate3. in ogni caso il centro dell’attenzione si focalizza sui Prodotti (così come preventivamente definiti dagli obiettivi di partenza), che rappresentano la vera cartina di tornasole della qualità dell’azione formativa. la ricerca valutativa ha messo in luce la relazione che lega il Prodotto scolastico al Contesto (in particolare alla condizione socioculturale della famiglia di appartenenza) e l’attenzione che va prestata, nel valutare i risultati, alle risorse im- 1 OECD, Education at a Glance, OECD indicators, OECD Publishing, Paris anni vari. 2 OECD (2007), PISA 2006 Science competencies for tomorrow’s world Volume 1: Analysis, OECD Publishing. 3 STuFFlEBEAM D. et. Al (1971), Educational Evaluation and Decision Making, itasca, il: F.E. Peacock. 57 piegate (umane, economiche, strutturali). Pertanto la valutazione dei risultati dell’azione formativa deve tenere sempre conto dei punti di partenza e delle risorse impiegate: sarebbe, ad esempio, del tutto scorretto mettere sullo stesso piano i risultati di una scuola posizionata in una zona benestante con quelli di una scuola che si trova in un’area degradata. Anche il concetto di obiettivo può essere ulteriormente declinato, aggiungendo complessità al modello della valutazione: accanto agli obiettivi finali possono infatti essere individuati degli obiettivi intermedi, propedeutici al raggiungimento dell’obiettivo finale. Tuttavia i classici modelli input-output presentano un rilevante punto debole, ovvero la mancanza di meccanismi di feed-back. Essi permettono cioè lo scatto di una fotografia precisa, ma non contengono elementi per indirizzare il sistema verso il miglioramento; si tratta più di un quality control che di quality development. la finalità della valutazione, invece, non è solo di tipo certificativo ma anche di tipo diagnostico, serve cioè per intervenire e correggere il sistema; fine principale della valutazione è aiutare il processo decisionale. È dunque necessaria anche una verifica dei processi, per comprendere non solo i risultati dell’attività formativa, ma in che modo i risultati sono stati ottenuti e sulla base di quali processi. la riflessione e la formalizzazione dei processi è l’aspetto più problematico dei modelli input-output. infatti è relativamente semplice valutare, utilizzando indicatori quantitativi che permettono il confronto nello spazio e nel tempo, il Contesto, gli input ed i Prodotti, ma è molto più complesso definire degli indicatori per valutare i processi. la valutazione degli effetti dell’azione formativa attraverso la rilevazione dei soli output presenta un ulteriore limite: essa rischia di essere poco significativa nei tempi brevi, in quanto l’impatto dell’intervento formativo ha tempi medio-lunghi, specialmente quando si tratta di valutare i risultati a livello di sistema. Al contrario sotto l’impulso delle strategie dell’organizzazione i processi si modificano più velocemente. in ogni caso la completezza e la sistematicità del modello Contesto, input, Risorse, Output (il cosiddetto CiPP model, ovvero Context, Input, Process, Product) lo rendono frequentemente utilizzato per analizzare la qualità dell’azione formativa, sia a livello di singola struttura che a livello di sistema. 5.3. I moDELLI BASAtI SuI ProCESSI il problema centrale diventa dunque il collegamento tra valutazione e decision making. Nel mondo aziendale il problema del collegamento tra valutazione e decisione è stato affrontato sin dagli Anni ‘50 da Deming. Secondo Deming il principio del controllo di qualità a valle del processo non è adeguato, in quanto ammette che debba comunque esistere una certa quantità di “scarti” o di “errori”, e dunque una perdita, per quanto ridotta, di efficienza 58 dell’azienda4. il centro dell’attenzione del controllo di qualità si deve spostare dal prodotto ai processi, ovvero da ciò che risulta a valle della produzione a come si gestiscono i processi a monte5; inoltre dal principio di controllo di qualità si deve passare al principio di qualità totale (perché la qualità riguarda tutte le fasi della produzione, e non solo quella finale). È stato dunque Deming ad introdurre il circolo della qualità – Plan, Do, Check, Act –, ovvero: • Pianificare, sulla base della diagnosi effettuata, • Agire, • Controllare i risultati, • Riprogrammare correggendo gli errori individuati, per migliorare i risultati. Dunque il ciclo non si ferma mai, e produce miglioramento continuo, altro concetto centrale di questo approccio. il lavoro di Deming, variamente integrato ed arricchito da altri contributi, ebbe un notevole successo e significativi riscontri, poiché fu uno dei fattori della rinascita e del boom dell’industria giapponese negli Anni ‘60 e ‘70 (Deming infatti fu grandemente apprezzato per il suo lavoro in Giappone). Negli anni successivi i principi della qualità totale si diffusero nel mondo della produzione di tutti i Paesi occidentali; negli Anni ‘90 questi principi cominciarono ad essere applicati anche dal mondo della produzione di beni immateriali, prima da parte del settore privato e poi anche di quello pubblico, ed infine anche dal mondo della formazione, della scuola e della stessa università. Sono stati prodotti diversi modelli che si ispirano a questi principi: basti ricordare i modelli iSO, EFqM, CAF. Per adattare i modelli ispirati al principio della qualità totale al mondo della formazione sono state anche definite apposite normative6, che definiscono il sistema di qualità come “uno strumento di carattere organizzativo/gestionale centrato sul monitoraggio/controllo di processi che hanno un impatto diretto sulla qualità del prodotto, sulla chiara suddivisione delle responsabilità e sulla predisposizione di risorse adeguate, al fine di prevenire le criticità e di assicurare le conformità ai requisiti del cliente e la sua soddisfazione. Esso costituisce inoltre per il management uno strumento di miglioramento continuo, necessario per una presenza competitiva sul mercato”. Come si può vedere tre sono le caratteristiche distintive di questo approccio: 4 iSFOl, a cura di Allulli G. e TRAMONTANO i. (2007), I modelli di qualità nel sistema di formazione professionale italiano, Rubettino. 5 Secondo le norme iSO può considerarsi processo qualsiasi attività, o insieme di attività, che utilizza risorse per trasformare elementi di entrata in elementi in uscita (uNi, Sistemi di gestione per la qualità, fondamenti e terminologia, dicembre 2000). 6 uni, linee guida per lo sviluppo e l’adozione di un sistema di qualità negli organismi di formazione secondo la norma uni EN 9001, Milano 1998. 59 • esso si focalizza sui processi, più che sui prodotti; la logica sottostante è che se il processo è condotto in modo adeguato anche il prodotto realizzato rispetterà i requisiti previsti, mentre la verifica che viene condotta solo al termine del processo rischia di non dirci niente rispetto ai motivi di successo o fallimento; inoltre è meglio prevenire l’insuccesso controllando il processo di esecuzione, piuttosto che limitarsi a registrare un insuccesso alla fine. • la seconda caratteristica è quella di coinvolgere il management nel processo di assicurazione qualità: il management non è solo l’utilizzatore di questo processo ma è anch’esso sottoposto a verifica; la capacità di tenere conto dei risultati della valutazione modificando l’attività non è solo un effetto sperato, ma è anch’essa uno processo messo sotto osservazione dal sistema “qualità”; la revisione dell’attività è una fase del “ciclo della qualità”. • la terza caratteristica riguarda il concetto stesso di qualità, che non è un concetto relativo, da definire di volta in volta rispetto agli obiettivi, come per lo più viene inteso, ma un concetto assoluto, che corrisponde al modo in cui determinati criteri, che vengono predefiniti dal modello, vengono rispettati. Ad esempio il Modello EFqM per l’Eccellenza elaborato dall’European Foundation for quality Management, ed il CAF (Common Assessment Framework) definiscono per ciascun criterio di qualità predefinito un punteggio da attribuire all’istituzione valutata. queste caratteristiche costituiscono gli aspetti “forti” ma anche i loro punti di debolezza7. Per quanto riguarda la prima di queste caratteristiche, ovvero la focalizzazione sui processi, mentre nell’ambito dell’attività aziendale è lecito presumere che un buon rispetto delle procedure produca ragionevolmente buoni risultati, nell’ambito della formazione questa regola viene meno: i risultati dell’attività formativa sono l’esito di fattori molteplici e complessi, non sempre riconducibili ai processi condotti: anche se una scuola rispetta rigorosamente le regole e le norme organizzative, non necessariamente i risultati degli alunni saranno positivi. la valutazione dei risultati deve dunque mantenere un ruolo specifico ed autonomo: non basta assicurarsi che vengono realizzate le cd. “procedure di qualità”, è anche non solo indispensabile, ma elemento centrale della valutazione, tenere sotto controllo i risultati delle procedure stesse: la qualità dell’offerta formativa non si evince solo dalla verifica del rispetto delle procedure ma anche dalla verifica dei risultati effettivamente ottenuti. Spesso il controllo del risultato si limita alla verifica della customers sastisfaction; questa però nel campo della formazione non è un parametro sufficiente per valutare gli esiti dell’attività formativa. infatti utenti giovani, e spesso anche le loro famiglie, non sono in grado di esprimere un consapevole giudizio critico sui conte- 7 Allulli G. (2007), la valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, il Mulino, n. 3/2007. 60 nuti dell’attività formativa: un utente non esperto può valutare gli aspetti più tangibili del servizio stesso (regolarità, attenzione ai bisogni degli utenti, ecc.), ma è più difficilmente in grado di esprimere un giudizio adeguatamente informato sui contenuti della attività didattica. Va anche considerato che non necessariamente l’utenza esprime alte aspettative nei confronti dell’offerta formativa: ad esempio chi vuole ottenere un titolo di studio senza impegnarsi eccessivamente viene soddisfatto da una scuola “diplomificio” che permette di ottenere un diploma, a prescindere dall’effettivo livello della scuola. Per quanto riguarda il coinvolgimento del management come “oggetto” di valutazione, esso diventa un aspetto problematico nel momento in cui chi verifica il rispetto delle procedure di qualità si trova in posizione gerarchicamente subordinata rispetto al “manager” che viene valutato. questo avviene in particolare quando i modelli di qualità costituiscono un riferimento per l’autovalutazione; in questo caso l’indipendenza della attività valutativa potrebbe essere messa seriamente in discussione, mentre se l’autovalutazione si focalizza sui risultati raggiunti e su solide evidenze empiriche la sua autorevolezza viene sostenuta da elementi oggettivi. insomma non basta verificare il rispetto delle cd. “procedure di qualità”, ma occorre verificare i risultati realmente ottenuti per affermare se una determinata istituzione predispone una offerta formativa “di qualità”. i modelli di “qualità totale” che sono stati adattati per i servizi e la pubblica amministrazione (come l’EFqM ed il CAF) attribuiscono un peso rilevante alla valutazione dei risultati (il 50% del punteggio finale); permane però la contraddizione tra la filosofia di assicurazione di qualità basata sulla valutazione dei processi ed un approccio finalizzato a valutare i risultati. infine l’attenzione ai processi può facilmente scadere nell’attenzione al rispetto delle procedure; rischio grave, questo, all’interno di ambienti, come quello della scuola, già molto proceduralizzati. 5.4. LA rACComAnDAzIonE PEr L’IStItuzIonE DI un QuADro EuroPEo DI rIFErImEnto PEr LA gArAnzIA DELLA QuALItà DELL’IStruzIonE E DELLA FormAzIonE ProFESSIonALE l’esigenza di collegare strettamente la valutazione con il processo di decision making è anche alla base del modello a cui fa riferimento la Raccomandazione europea sulla garanzia di qualità nell’istruzione e Formazione Professionale8. 8 Raccomandazione del parlamento europeo e del consiglio del 18 giugno 2009 sull’istituzione di un quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (2009/C 155/01). 61 Nel quadro delle iniziative assunte alla luce della Strategia di lisbona, l’unione Europea ha promosso nel 2000 un percorso tecnico e politico volto a rafforzare i dispositivi di garanzia della qualità nei sistemi di istruzione e di formazione professionale. Nel 2001 il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno invitato gli Stati membri ad istituire sistemi trasparenti di valutazione. Secondo la Commissione europea la valutazione dovrebbe fornire dati affidabili sulla base dei quali si possono basare efficaci politiche a lungo termine9. Nel 2009 il percorso si è concluso con l’approvazione, da parte del Parlamento e del Consiglio Europeo, della Raccomandazione per l’istituzione di un quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale (European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training - EQAVET). l’EqAVET è uno strumento di sostegno da utilizzare su base volontaria da parte degli Stati membri e da tutti i soggetti interessati per promuovere e monitorare il miglioramento continuo dell’istruzione e Formazione Professionale, sulla base di criteri e principi comuni. la Raccomandazione europea chiede agli Stati Membri di impostare una strategia nazionale che si raccordi con il quadro europeo di riferimento. il quadro di riferimento europeo per l’assicurazione di qualità si basa su un modello circolare di gestione dell’attività formativa articolato in quattro fasi (Progettazione, Sviluppo, Valutazione e Revisione), per ciascuna delle quali definisce i criteri per l’assicurazione ed il miglioramento continuo della qualità. la prima fase (progettazione) consiste nella definizione di obiettivi chiari e misurabili riferiti alle politiche perseguite, alle procedure da attivare, ai compiti da svolgere e alle risorse umane da utilizzare, al fine di consentire il controllo sul conseguimento dei risultati programmati. in questa fase è fondamentale il coinvolgimento dei principali stakeholders. la seconda fase (sviluppo) consiste nell’esecuzione delle azioni programmate per assicurare il conseguimento degli obiettivi. È necessario che le regole ed i passi procedurali siano chiari a tutti gli attori coinvolti. la terza fase (valutazione) prevede una combinazione di meccanismi di valutazione interna ed esterna. l’efficacia della valutazione dipende in larga parte dalla definizione di una metodologia chiara, nonché dalla coerenza tra gli obiettivi predeterminati e i dati e gli indicatori raccolti. Nella quarta fase (revisione) i dati raccolti attraverso la valutazione vengono utilizzati per assicurare il necessario feed back e la realizzazione dei cambiamenti opportuni. infatti il miglioramento è un processo continuo e sistematico. 9 European Commission (2006a), Efficiency and equity in European education and training systems, Communication from the Commission to the Council and to the European Parliament, {SEC (2006) 1096}. 62 Il Modello Europeo di Garanzia della qualità Come si può osservare, il modello europeo è molto simile al “Quality cycle” proposto da Deming, ma in questo caso viene posta un’enfasi molto maggiore sul controllo dei risultati. le quattro fasi del modello vengono illustrate dalla Raccomandazione attraverso un elenco di criteri e descrittori di qualità, che esemplificano le azioni da compiere per ciascuna delle fasi, a livello di sistema ed a livello di soggetto erogatore della formazione. Si tratta di indicazioni molto utili, perché conferiscono maggiore concretezza ad un modello che altrimenti rischierebbe di essere percepito come prevalentemente teorico. infine, la Raccomandazione propone un set di indicatori, relativi ai diversi aspetti dell’azione formativa. l’uso degli indicatori non è obbligatorio, ma rappresenta un utile punto di riferimento per confrontare alcuni aspetti strategici del processo formativo, quali i livelli di partecipazione, il successo formativo, il tasso di occupazione, l’utilizzazione delle competenze acquisite, l’inserimento dei soggetti svantaggiati, ecc. 10 InDICAtorI PEr LA QuALItà (a) N. 1 Diffusione dei sistemi di garanzia della qualità per gli erogatori di ieFP: a) quota di erogatori di ieFP che applicano sistemi di garanzia della qualità definiti dalla legislazione o di loro iniziativa, b) quota di erogatori di ieFP accreditati. N. 2 investimento nella formazione degli insegnanti e dei formatori: a) quota di insegnanti e di formatori che partecipano alla formazione continua, b) ammontare dei fondi investiti. 63 A tutti gli Stati membri l’unione Europea ha chiesto di definire un piano per la garanzia di qualità, che indichi quali iniziative si intendono adottare per introdurre il modello europeo a livello nazionale e di singola struttura formativa. la Raccomandazione EqAVET si collega strettamente a quella già esaminata sul quadro europeo delle qualifiche ed a quella, che verrà esaminata nel capitolo successivo, sul riconoscimento dei crediti. infatti l’introduzione od il potenziamento di un sistema di garanzia di qualità è presupposto indispensabile per rafforzare quel contesto di reciproca fiducia che è necessario perché ciascuno Stato membro riconosca e dia validità ai titoli ed alle qualifiche rilasciati dagli altri Stati europei. Va ricordato, a tale proposito, che anche la Raccomandazione sul quadro europeo delle qualifiche contiene alcuni principi della qualità da rispettare: N. 3 Tasso di partecipazione ai programmi di ieFP: Numero di partecipanti a programmi di ieFP, secondo il tipo di programma e i criteri individuali. N. 4 Tasso di completamento dei programmi di ieFP: Numero di persone che hanno portato a termine/abbandonato programmi di ieFP, secondo il tipo di programma e i criteri individuali. N. 5 Tasso di inserimento a seguito di programmi di ieFP: a) destinazione degli allievi ieFP in un determinato momento dopo il completamento di una formazione, secondo il tipo di programma e i criteri individuali, b) quota di allievi occupati in un determinato momento dopo il completamento di una attività formativa, secondo il tipo di programma e i criteri individuali. N. 6 utilizzo sul luogo di lavoro delle competenze acquisite: a) informazioni sull’attività svolta dalle persone che hanno completato una attività formativa, secondo il tipo di formazione e i criteri individuali, b) tasso di soddisfazione dei lavoratori e dei datori di lavoro in relazione alle qualifiche/ competenze acquisite. N. 7 Tasso di disoccupazione per categoria. N. 8 Presenza di categorie vulnerabili: a) percentuale di partecipanti alla ieFP, classificati come appartenenti a categorie svantaggiate (in una determinata regione o bacino d’occupazione), per età e per sesso, b) tasso di successo delle categorie svantaggiate, per età e per sesso. N. 9 Meccanismi per l’identificazione dei fabbisogni di formazione nel mercato del lavoro: a) informazioni sui meccanismi messi a punto per individuare l’evoluzione della domanda ai vari livelli, b) prova della loro efficacia. N. 10 Sistemi utilizzati per migliorare l’accesso all’ieFP: a) informazioni sui sistemi esistenti ai vari livelli, b) prova della loro efficacia. (a) RACCOMANDAziONE DEl PARlAMENTO EuROPEO E DEl CONSiGliO del 18 giugno 2009. Sull’istituzione di un quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (2009/C 155/01) 64 Rispetto al modello proposto dalla Raccomandazione sulla qualità, i principi contenuti nel quadro europeo delle qualifiche appaiono più concreti. Tuttavia vi è una sostanziale coerenza tra i due documenti: infatti entrambi sottolineano alcuni principi fondamentali: • la garanzia di qualità deve costituire una parte integrante della gestione dell’attività formativa; • la garanzia di qualità si basa sulla definizione di obiettivi chiari e misurabili, su meccanismi di attuazione adeguati, sulla valutazione, interna ed esterna, e su meccanismi di feedback che assicurino il cambiamento ed il miglioramento continuo; • i risultati del processo di apprendimento rappresentano un elemento centrale della valutazione. PrInCIPI ComunI DI gArAnzIA DELLA QuALItà nELL’IStruzIonE SuPErIorE E nELL’IStruzIonE E FormAzIonE ProFESSIonALE nEL ContESto DEL QuADro EuroPEo DELLE QuALIFICHE (a) Nell’attuazione del quadro europeo delle qualifiche, il livello di qualità necessaria a garantire l’affidabilità e il miglioramento dell’istruzione e della formazione va stabilito conformemente ai seguenti principi: • le politiche e procedure a garanzia della qualità devono essere alla base di tutti i livelli dei sistemi del quadro europeo delle qualifiche, • la garanzia della qualità deve essere parte integrante della gestione interna delle istituzioni di istruzione e di formazione, • la garanzia della qualità comprenderà attività regolari di valutazione delle istituzioni o dei programmi da parte di enti o di agenzie di controllo esterne, • gli enti o le agenzie di controllo esterne che effettuano valutazioni a garanzia della qualità andranno esaminate regolarmente, • la garanzia della qualità riguarderà anche gli elementi del contesto, gli input, la dimensione dei processi e degli output, evidenziando gli output e i risultati dell’apprendimento, • i sistemi di garanzia della qualità comprenderanno i seguenti elementi: - obiettivi e norme chiari e misurabili, - orientamenti di attuazione, come il coinvolgimento delle parti interessate, - risorse adeguate, - metodi di valutazione coerenti, che associno auto-valutazione e revisione esterna, - sistemi e procedure per la rilevazione del «feedback», per introdurre miglioramenti, - risultati delle valutazioni ampiamente accessibili, • le iniziative internazionali, nazionali e regionali a garanzia della qualità vanno coordinate per mantenere il profilo, la coerenza, le sinergie e l’analisi dell’intero sistema, • la garanzia della qualità sarà frutto di un processo di cooperazione attraverso tutti i livelli e i sistemi di istruzione e formazione con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, negli Stati membri e nell’intera Comunità, • orientamenti a garanzia della qualità a livello comunitario potranno fornire dei punti di riferimento per le valutazioni e le attività di apprendimento fra pari. (a) RACCOMANDAziONE DEl PARlAMENTO EuROPEO E DEl CONSiGliO del 23 aprile 2008 sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (2008/C 111/01) 65 6. Le raccomandazioni europee sul riconoscimento dei crediti (ECVEt) e sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale 6.1. LA ConVALIDA E LA CErtIFICAzIonE DELL’APPrEnDImEnto PrEgrESSo i sistemi educativi si basano sull’offerta di percorsi scolastici e formativi erogati sotto la vigilanza di una autorità centrale. Al termine di questi percorsi, sulla base della verifica dell’apprendimento dei contenuti dell’attività formativa, viene rilasciato il titolo o la qualifica corrispondente. Tuttavia l’apprendimento non avviene solo nelle attività formative intenzionali e riconosciute (formazione formale), ma anche per mezzo di attività formative svolte al di fuori del contesto educativo tradizionale, per esempio sul lavoro (formazione non formale). E si realizza anche nella esperienza di vita quotidiana (formazione informale). Generalmente vengono riconosciuti solo i risultati dell’apprendimento formale; per le persone è difficile farsi riconoscere le competenze acquisite in contesti diversi da quelli tradizionali (come le competenze acquisite sul lavoro, o in esperienze formative all’estero o in altri luoghi). Da alcuni anni negli Stati uniti ed in alcuni Paesi europei (Francia, Regno unito, Olanda, ecc.), anche sotto la spinta delle politiche europee per incoraggiare e riconoscere l’apprendimento permanente, sono state definite nuove procedure per riconoscere l’apprendimento pregresso indipendentemente da come è stato acquisito (Assessment of Prior learning – APl). 6.2. IL SIStEmA EuroPEo DI CrEDItI PEr L’IStruzIonE E LA FormAzIonE Pro- FESSIonALE (ECVEt) Allo scopo di facilitare la capitalizzazione e il trasferimento dei risultati dell’apprendimento (conoscenze, abilità e competenze) di una persona che passa da un contesto di apprendimento ad un altro e/o da un sistema di qualifica ad un altro, e sostenere il riconoscimento dei risultati di apprendimento indipendentemente da dove vengono acquisiti, il Parlamento ed il Consiglio europeo hanno approvato nel 2009 una Raccomandazione sull’istituzione di un sistema europeo di crediti per l’istruzione e la Formazione Professionale (European Credits for Vocational Education and Training - ECVET)1. l’ECVET riguarda l’intero sistema di istruzione e 1 Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009 sull’istituzione di un sistema europeo di crediti per l’istruzione e la Formazione Professionale (ECVET) (2009/C 155/02). 66 Formazione Professionale e consente di conferire crediti in relazione ad esperienze di apprendimento, indipendentemente dal fatto che vengano realizzate all’interno di percorsi formali o non-formali. l’ECVET promuove la flessibilità dei sistemi di formazione: i risultati di apprendimento sono valutati e convalidati in modo da trasferire crediti da un sistema di qualifiche all’altro, o da un percorso di formazione ad un altro. Secondo questo sistema gli allievi possono accumulare nel tempo e farsi riconoscere i risultati di apprendimento richiesti per ottenere una certa qualifica, in differenti Paesi o in differenti situazioni senza frequentare ulteriori percorsi di istruzione e Formazione. ECVET può essere applicato in un contesto regionale o nazionale (in caso di mobilità interregionale o di mobilità tra sistemi formali e non-formali) e in caso di mobilità transnazionale. in particolare è stata creata una struttura metodologica per riconoscere gli apprendimenti acquisiti durante periodi di mobilità, attraverso la definizione di un linguaggio comune e stimolando la fiducia reciproca. Allo scopo di facilitare il trasferimento dei crediti la Raccomandazione ECVET propone una metodologia per la descrizione della qualifica in termini di unità di risultati di apprendimento, ai quali sono associati dei punti credito. in pratica le qualifiche o i programmi di istruzione/formazione possono essere divisi in unità o parti di unità. un’unità è definita all’interno dell’ECVET come la più piccola parte della qualifica, ed è basata sul risultato. l’unità costituisce oggetto della valutazione e può, eventualmente, essere certificata. Ciascuna unità corrisponde, inoltre, ad una specifica combinazione di conoscenze, capacità e competenze e può essere di differente misura, in accordo con i sistemi nazionali di istruzione e Formazione. 6.3. ComE FunzIonA ECVEt2 ECVET si basa sui seguenti concetti e strumenti: • Risultati di apprendimento. • unità di apprendimento. • Punti ECVET, che forniscono informazioni aggiuntive riguardo alle unità ed alle qualifiche in forma numerica. • Crediti ECVET. Al pari dell’EqF, ECVET focalizza la certificazione sui risultati di apprendimento, anziché sui processi formativi o sui programmi frequentati. i risultati di apprendimento (learning outcomes) vengono definiti come insiemi di conoscenze, abilità e competenze che possono essere acquisiti in una varietà di contesti di apprendimento. Essi indicano ciò che una persona sa, o sa fare, al termine del processo di apprendimento. 2 Commissione europea (2009) Get to know ECVET better - Questions and Answers. 67 6.4. LA ConVALIDA DELL’APPrEnDImEnto non FormALE E InFormALE il quadro europeo del riconoscimento delle competenze comunque acquisite è stato completato da una Raccomandazione del Consiglio europeo del 20 dicembre 2012 che, al fine di offrire alle persone l’opportunità di dimostrare quanto hanno appreso al di fuori dell’istruzione e della Formazione formali e di avvalersi di tale apprendimento per la carriera professionale e l’ulteriore apprendimento, richiede agli Stati membri di istituire, entro il 2018, modalità per la convalida dell’apprendimento non formale e informale che consentano di: • ottenere una convalida delle conoscenze, abilità e competenze acquisite mediante l’apprendimento non formale e informale; • ottenere una qualifica completa o parziale, sulla base della convalida di esperienze di apprendimento non formale e informale; ECVEt: LAmEtoDoLogIA la metodologia ECVET suggerisce di descrivere e scomporre le qualifiche esistenti in elementi che vengono definiti unità di apprendimento. le unità di apprendimento sono costituite da un complesso coerente di conoscenze, abilità e competenze; una qualifica contiene dunque diverse unità. le unità non vanno confuse con elementi del programma di insegnamento. Esse possono essere definite sulla base dei processi lavorativi che deve sostenere la figura professionale corrispondente alla qualifica. la stessa unità può far parte di diverse qualifiche. in questo modo le qualifiche, o segmenti di qualifica da conseguire in contesti diversi, possono essere confrontate e convalidate anche tra Paesi diversi. Ciascuna unità a se stante può essere valutata, convalidata e riconosciuta. una persona può acquisire una qualifica accumulando le unità necessarie acquisite in contesti e Paesi diversi. inoltre ciascuna unità di apprendimento può essere “pesata”, assegnando un punteggio sulla base della consistenza che riveste rispetto alla qualifica complessiva. Come base di riferimento si assume che l’apprendimento conseguente ad un anno di istruzione e Formazione Professionale equivalga a 60 punti ECVEt. la qualifica viene pesata riguardo al tempo di insegnamento/apprendimento formale normalmente previsto. Successivamente si pesano le singole unità. il Credito ECVEt viene riconosciuto riguardo ai risultati di apprendimento valutati e documentati di un allievo. il Credito può essere trasferito ad altri contesti ed accumulato fino ad ottenere una qualifica, sulla base degli standard di qualifica e delle regole che esistono nei Paesi partecipanti. il Credito viene “pesato” dalle autorità competenti a rilasciare la qualifica anche in termini di punti il memorandum of understanding è un protocollo stipulato tra due soggetti competenti a rilasciare la qualifica riguardo al riconoscimento reciproco della qualifica rilasciata o di elementi di essa, in termini di unità di apprendimento, al termine del percorso formativo. L’accordo di apprendimento (learning agreement) stabilisce l’impegno dell’istituzione che invia l’allievo in mobilità a riconoscere e convalidare, all’interno del percorso di qualifica, i risultati di apprendimento conseguiti presso l’istituzione ospitante. 68 • includere, se congruenti, i seguenti elementi nelle modalità per la convalida dell’apprendimento non formale e informale: a. l’individuazione dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale; b. la documentazione dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale; c. la valutazione dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale; d. la certificazione della valutazione dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale sotto forma di qualifica o di crediti che contribuiscono all’ottenimento di una qualifica o in un’altra forma. Pertanto la Raccomandazione, oltre a richiedere agli Stati membri di definire un sistema di riconoscimento delle competenze acquisite, suggerisce anche un percorso metodologico, che si fonda sui momenti successivi della individuazione, della documentazione, della valutazione ed infine della certificazione dei risultati. inoltre ricorda alcuni principi importanti per assicurare la coerenza ed il buon funzionamento del sistema, tra cui: • la necessità di un collegamento ai quadri nazionali delle qualifiche (in linea con il quadro europeo delle qualifiche); • la diffusione di informazioni, orientamento e consulenza appropriati sulle possibilità, i benefici e opportunità della convalida; • l’attenzione ai gruppi svantaggiati, tra cui i disoccupati e le persone a rischio di disoccupazione; • la garanzia di qualità del processo di convalida; • lo sviluppo delle competenze professionali del personale coinvolto. 69 7. Il Fondo Sociale Europeo 7.1. uno StrumEnto PEr FAVorIrE un ArmonIoSo SVILuPPo EConomICo E So- CIALE DEgLI StAtI mEmBrI il Fondo Sociale Europeo (FSE) è uno dei cinque Fondi strutturali e di investimento europei (ESiF)1. i Fondi strutturali sono strumenti finanziari che sostengono la coesione sociale in Europa concentrando i propri contributi sulle regioni meno sviluppate. il Fondo Sociale Europeo era stato previsto e regolamentato dallo stesso trattato istitutivo della Comunità Economica Europea e venne attivato sin dai primi anni della sua nascita, per assicurare in modo armonioso lo sviluppo economico e sociale dei diversi Paesi aderenti. Esso nacque con lo scopo di migliorare le possibilità occupazionali dei lavoratori all’interno del mercato comune, contribuendo in tal modo alla crescita del loro tenore di vita, attraverso la promozione della mobilità geografica e professionale e di nuove opportunità di lavoro. in particolare il Fondo Sociale Europeo intendeva essere uno strumento di sostegno ad aree o situazioni di crisi o in ritardo di sviluppo, con particolare riferimento alle Regioni meridionali italiane, che più delle altre rischiavano di subire il contraccolpo dell’allargamento del mercato comune. Successivamente l’aggravamento continuo della situazione occupazionale e in particolare di quella giovanile spinsero ad adottare nuove norme riguardanti i compiti del FSE, attribuendo carattere prioritario alle misure a favore dei giovani e delle zone afflitte da lungo tempo da un elevato tasso di disoccupazione. le modifiche introdotte rappresentarono un importante evoluzione per il Fondo, che veniva ad assumere il carattere di strumento delle politiche rivolto in particolare ai giovani di età inferiore ai 25 anni, disoccupati, le cui possibilità di trovare un’occupazione erano particolarmente ridotte per mancanza di formazione o per una formazione inadeguata, ed a persone di età superiore ai 25 anni in situazione di difficoltà (disoccupati o sottoccupati, donne, disabili, migranti, occupati in piccole e medie imprese). il Fondo Sociale Europeo finanzia interventi nei seguenti campi: • apprendimento e formazione permanente per i lavoratori; • organizzazione del lavoro; • sostegno ai dipendenti nei contesti di ristrutturazione; 1 Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), Fondo Sociale Europeo (FSE), Fondo di Coesione (FC), Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP). 70 • servizi all’occupazione; • integrazione delle persone svantaggiate nel mercato del lavoro; • riforme dei sistemi di istruzione e Formazione; • reti di parti sociali e ONG; • formazione nelle amministrazioni e nei servizi pubblici. Esso è gestito tramite cicli di programmazione di durata settennale. il livello dei finanziamenti del Fondo varia da una Regione all’altra a seconda della loro ricchezza relativa. le regioni comunitarie sono suddivise in tre categorie di regioni sulla base del loro Pil regionale pro capite raffrontato alla media dell’uE: • le regioni meno sviluppate, con un Pil pro capite inferiore al 75% della media uE, che costituiscono la priorità fondamentale. Nel prossimo periodo di programmazione rientreranno in questo gruppo Campania, Calabria, Sicilia e Puglia; • le regioni di transizione, con un Pil pro capite compreso tra il 75% e il 90% della media uE-27. Per l’italia rientreranno in tale categoria di regioni Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna; • le regioni più sviluppate, con un Pil pro capite superiore al 90% della media uE-27. in questo gruppo rientreranno le regioni del Centro nord. Alle regioni appartenenti alla prima categoria e (in parte) alla seconda categoria viene attribuita la parte maggiore dei finanziamenti europei; inoltre la quota di finanziamenti comunitari per i diversi progetti può essere molto più alta. la strategia e il budget del fondo sono negoziati tra gli Stati membri dell’uE, il Parlamento europeo e la Commissione europea. la strategia definisce gli obiettivi dei finanziamenti del Fondo Sociale Europeo, condivisi in parte o totalmente con altri Fondi strutturali. l’attuazione dei fondi FSE è invece responsabilità degli Stati membri e delle regioni dell’uE. la gestione dettagliata dei programmi sostenuti dal Fondo Sociale Europeo rientra nelle responsabilità degli Stati membri a livello nazionale e regionale. una volta stabilita la strategia e stanziato il budget, viene adottato un approccio condiviso alla programmazione. i programmi operativi di durata settennale sono pianificati dagli Stati membri e dalle loro regioni congiuntamente alla Commissione europea e descrivono i campi di attività, geografici o tematici, che riceveranno i finanziamenti. Per ciascun programma essi nominano un’autorità di gestione (a livello nazionale, regionale o altro tipo di livello) che ha il compito di informare i potenziali beneficiari, selezionare i progetti e monitorarne l’attuazione in generale. Sono inoltre nominate delle autorità di certificazione e di audit per monitorare e assicurare la conformità delle spese al regolamento sul Fondo Sociale Europeo. l’attuazione pratica del Fondo Sociale Europeo è realizzata tramite progetti presentati e condotti da un ampio ventaglio di organizzazioni pubbliche e private: Enti locali, regionali e nazionali, istituti di istruzione e Formazione, parti sociali e singole aziende. i beneficiari dei progetti FSE sono vari: singoli lavoratori, gruppi di 71 persone, settori industriali, sindacati, pubbliche amministrazioni o aziende. le fasce sociali vulnerabili che incontrano particolari difficoltà nel trovare o mantenere il proprio posto di lavoro, come i disoccupati di lunga durata e le donne sono tra i principali destinatari. 7.2. LA ProgrAmmAzIonE 2014-2020 le maggiori novità per il nuovo periodo riguardano alcune importanti modifiche alla programmazione e gestione dei fondi strutturali (FSE, FEASR, FESR, ecc.) mediante: • il principio della complementarietà dei fondi e l’istituzione di un quadro strategico comune, per definire le priorità d’investimento e concentrare l’intervento su un ristretto numero di obiettivi tematici comuni, connessi agli obiettivi della strategia Europa 2020; • la conclusione di un contratto di partenariato tra la Commissione e ciascuno Stato membro, recante l’impegno dei contraenti a livello nazionale e regionale ad utilizzare i fondi stanziati per dare attuazione alla strategia Europa 2020, nonché un quadro di riferimento dei risultati con il quale valutare i progressi in relazione agli impegni; • lo stretto collegamento con i programmi nazionali di riforma e i programmi nazionali di stabilità e convergenza elaborati dagli Stati membri e con le raccomandazioni specifiche per ciascun Paese adottate dal Consiglio sulla base dei medesimi programmi. Dal 2014, il peso finanziario del Fondo Sociale Europeo aumenta: per il periodo 2014-2020 il budget ammonta a circa 80 miliardi di euro, vale a dire oltre 10 miliardi di euro all’anno. Tale importo sarà integrato da una serie di co-finanziamenti pubblici e privati a livello nazionale pari a circa 50 miliardi di euro, il che porta l’ammontare complessivo a disposizione a circa 120 miliardi di euro. in particolare per l’italia sono stati stanziati quasi 10,5 miliardi di euro. il Regolamento CE 1304/13 prevede il raggiungimento di quattro obiettivi tematici: • Promuovere l’occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori (4.086 milioni di euro di assegnazione finanziaria per l’italia). il Fondo Sociale Europeo collaborerà con organizzazioni di tutta l’uE per avviare progetti mirati a formare i cittadini e ad aiutarli a trovare un’occupazione. Troveranno sostegno anche le iniziative tese a sostenere gli imprenditori tramite fondi di avviamento e le aziende che devono affrontare una riorganizzazione o la mancanza di lavoratori qualificati. Aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro costituirà una priorità assoluta del Fondo Sociale Europeo in tutti gli Stati membri. 72 • Promuovere l’inclusione sociale e lottare contro la povertà (2.269 milioni di euro di assegnazione finanziaria per l’italia). le persone in difficoltà e chi appartiene a gruppi svantaggiati riceveranno maggiore sostegno affinché possano meglio integrarsi nella società. • Investire in istruzione, competenze e apprendimento permanente (3.156 milioni di euro di assegnazione finanziaria per l’italia). il Fondo Sociale Europeo finanzierà iniziative volte a migliorare l’istruzione e la Formazione e ad assicurare che i giovani completino il loro percorso formativo e ottengano competenze in grado di renderli più competitivi sul mercato del lavoro. Tra le priorità troviamo anche la riduzione del tasso di abbandono scolastico e il miglioramento delle opportunità di istruzione professionale e universitaria. • Migliorare la capacità istituzionale e un’efficiente amministrazione pubblica (593,80 milioni di euro di assegnazione finanziaria per l’italia). il Fondo Sociale Europeo asseconderà gli sforzi profusi dagli Stati membri per il miglioramento della qualità della governance e dell’amministrazione pubblica e sosterrà le loro riforme strutturali dotandoli delle capacità amministrative e istituzionali necessarie. i finanziamenti dovranno essere maggiormente concentrati per ottenere migliori risultati: indirizzando i propri interventi su un numero limitato di priorità, il Fondo Sociale Europeo intende garantire una massa critica di finanziamenti abbastanza elevata da avere un impatto reale sulle principali sfide affrontate dagli Stati membri. la Programmazione 2014-2020 è attuata attraverso i programmi operativi. Ciascun programma copre il periodo compreso fra il 1° gennaio 2014 e il 31 dicembre 2020 ed è elaborato dagli Stati membri. Per quanto riguarda l’istruzione e la Formazione, ai finanziamenti stanziati dal Fondo Sociale Europeo si possono dunque aggiungere, in omaggio al principio di complementarietà tra i diversi fondi (FSE, FEASR, FESR, ecc,) le risorse degli altri fondi strutturali, primo tra tutti il FESR – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, che finanzia interventi infrastrutturali e tecnologici, anche nel settore dell’istruzione. 7.3. LE rISorSE DISPonIBILI PEr L’ItALIA ED I ProgrAmmI oPErAtIVI nAzIonALI E rEgIonALI Sulle base delle linee strategiche e programmatiche contenute nell’Accordo di partenariato sono stati definiti i Programmi Operativi Nazionali (PON) ed il finanziamento dei Programmi Operativi Regionali (POR). il prospetto seguente presenta i principali PON che godono di finanziamento del Fondo Sociale Europeo; a questi finanziamenti si integrano quelle del FESR per quanto riguarda le dotazioni strutturali: 73 NOME DEL PROGRAMMA RISORSE DISPONIBILI (FSE) Sistemi di politiche attive per l’occupazione 1.180.744.376 Scuola 1.154.692.048 Inclusione 827.150.000 Iniziativa occupazione giovani 567.511.248 Governance e capacità istituzionale 328.669.463 in ogni Programma Operativo si definisce una strategia da attuare in conformità con quanto previsto dalla strategia dell’unione, con le norme specifiche di ciascun fondo e con i contenuti dell’Accordo di Partenariato, attraverso modalità volte a garantire l’attuazione efficace, efficiente e coordinata dei fondi. Si definiscono, inoltre, le priorità egli obiettivi specifici oltre che le dotazioni finanziarie. Ad esempio il PON scuola (“Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento”), si divide in quattro Assi: • ASSE i - istruzione (finanziato dal FSE) • ASSE ii - infrastrutture per l’istruzione (finanziato dal FESR) • ASSE iii - Capacità istituzionale e amministrativa (finanziato dal FSE) • ASSE iV - Assistenza Tecnica (finanziato dal FSE) All’interno dell’Asse 1 (istruzione) il PON scuola si prefigge di sostenere interventi per raggiungere i seguenti obiettivi:) • Riduzione del fallimento formativo precoce e della dispersione scolastica e formativa. • Miglioramento delle competenze chiave degli allievi. • Miglioramento delle capacità di auto-diagnosi, auto-valutazione e valutazione delle scuole e di innovazione della didattica. • innalzamento del livello di istruzione della popolazione adulta, con particolare riguardo alle fasce di istruzione meno elevate. • qualificazione dell’offerta di istruzione e Formazione tecnica e professionale. • Diffusione della società della conoscenza nel mondo della scuola e della formazione e adozione di approcci didattici innovativi. Dal canto suo il Programma Operativo Nazionale “occupazione giovani”, gestito dal Ministero del lavoro, intende affrontare l’emergenza dell’inattività e della disoccupazione giovanile; destinatari degli interventi del Piano sono giovani NEET (not in employment, not in education, not in training), di età compresa tra i 15 e i 24 anni, con estensione della fascia di età fino ai 29 anni per alcune misure. Di seguito si riportano alcune azioni che verranno implementate con il PON: • Accoglienza, presa in carico e orientamento dei giovani in cerca di occupazione, anche nell’ambito del Programma Garanzia Giovani. • Formazione finalizzata a fornire le conoscenze e le competenze necessarie a facilitare l’inserimento lavorativo e reinserimento di giovani 15-18enni in percorsi formativi (istruzione e Formazione Professionale). 74 • Accompagnamento al lavoro, attraverso l’esplorazione delle opportunità, tutoring, e matching rispetto alle caratteristiche e alle propensioni del giovane. • Apprendistato: per la qualifica e il diploma professionale; professionalizzante o contratto di mestiere; per l’alta formazione e la ricerca (rilascio di lauree, master, dottorati di ricerca, diplomi iTS, certificato di specializzazione iFTS). • Tirocinio extra-curriculare, anche in mobilità geografica, finalizzato ad agevolare le scelte professionali e l’occupabilità dei giovani nel percorso di transizione tra scuola e lavoro. • Servizio civile, finalizzato a fornire ai giovani fino a 28 anni una serie di conoscenze sui settori d’intervento del servizio civile nazionale e regionale e competenze trasversali. • Sostegno all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità per giovani fino a 29 anni, tramite formazione e assistenza per la stesura del business plan, accompagnamento all’accesso al credito, servizi di sostegno alla costituzione di impresa, supporto allo start-up. • Mobilità professionale transnazionale e territoriale, all’interno del territorio nazionale o in Paesi uE. • Bonus occupazionale: promozione dell’inserimento occupazionale dei giovani tramite erogazione di incentivi alle aziende. invece il Programma Operativo Nazionale “Sistemi di Politiche attive per l’occupazione”, sempre gestito dal ministero del lavoro, attuerà prevalentemente interventi di sistema. Nello specifico, gli interventi si incentrano sui seguenti ambiti e azioni: a) Promuovere un’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori: • sperimentazione di politiche attive, ovvero di interventi diretti e relative azioni di sistema e di assistenza tecnica/animazione territoriale; • miglioramento dell’efficacia e della qualità dei servizi per il lavoro attraverso la cooperazione interistituzionale per l’implementazione dei livelli essenziali delle prestazioni (lEP) dei servizi per l’impiego; • azione di sistema per la permanenza/ricollocazione dei lavoratori colpiti da crisi plurilocalizzate; • azioni di sistema riconducibili in generale alle osservazioni e analisi sull’occupabilità. b) Investire nell’Istruzione, nella Formazione e nella Formazione Professionale per le competenze e l’apprendimento permanente: • sistematizzazione degli interventi per l’apprendimento permanente necessari e a supporto, tra gli altri, degli accordi in materia di standard formativi, professionali e di certificazione delle competenze; • decollo/efficacia dell’alternanza scuola-formazione e lavoro attraverso azioni di regolazione ed assistenza alle Regioni; 75 • anticipazione dei fabbisogni formativi e professionali ed innalzamento delle competenze. c) Capacità istituzionale • realizzazione di interventi per la costruzione del sistema informativo integrato lavoro-formazione, politiche attive e passive del lavoro; • interventi per il rafforzamento delle capacità degli attori nel sistema delle politiche attive per l’occupazione, per la predisposizione degli strumenti di monitoraggio e valutazione, funzionali alle suddette politiche, nonché per la divulgazione e promozione dei principali dispositivi sulle stesse politiche. il PON “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” è totalmente finanziato dal Fondo Sociale Europeo. la dotazione finanziaria pari a 2,177 miliardi di euro, di cui 1,181 rappresenta il sostegno dell’unione Europea e la parte restante costituisce il cofinanziamento nazionale. la stragrande maggioranza delle risorse (84%) saranno finalizzate a rafforzare le misure previste nella “Garanzia Giovani”, a migliorare i servizi per l’impiego, a combattere la disoccupazione di lunga durata e a migliorare l’accesso al lavoro delle donne, dei disoccupati di lunga durata e degli immigrati. Nella tabella seguente si riportano invece le risorse attribuite a ciascuna Regione dal Fondo Sociale Europeo per l’attuazione dei POR, Programmi Operativi Regionali. REGIONE RISORSE DISPONIBILI Abruzzo 71.251.575 Basilicata 144.812.084 Calabria 254.339.876 Campania 627.882.260 Emilia Romagna 393.125.091 Friuli Venezia Giulia 138.213.907 Lazio 451.267.357 Liguria 177.272.384 Lombardia 485.237.258 Marche 143.989.809 Molise 23.853.230 Bolzano 68.310.599 Trento 54.989.992 Piemonte 436.145.000 Puglia 772.409.449 Sardegna 221.253.335 Sicilia 615.072.321 Toscana 366.481.608 Umbria 118.764.401 Valle d’Aosta 27.786.275 Veneto 382.015.911 TOTALE 5.974.473.722 76 i temi della strategia regionale sono sviluppati all’interno di una struttura di programma che comprende cinque Assi prioritari, sviluppati sulla base delle priorità indicate dal Fondo Sociale Europeo. • Asse A - Occupazione • Asse B - inclusione sociale e lotta alla povertà • Asse C - istruzione e Formazione • Asse D - Capacità istituzionale e amministrativa • Asse E - Assistenza tecnica Alle risorse del Fondo Sociale si aggiungono, come si è detto in precedenza, quelle previste dagli altri fondi comunitari, in particolare dal FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) per quanto riguarda gli interventi strutturali, e dal FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale). 77 8. L’evoluzione dei sistemi educativi europei nel quadro delle sfide di Lisbona il processo di riflessione e di confronto internazionale sui fabbisogni formativi e sulle necessità di innovazione dei sistemi educativi ha dato un impulso ai processi di riforma della scuola dei Paesi europei. Non si può affermare che i tempi ed i modi delle riforme nazionali siano stati dettati da Bruxelles, tuttavia è innegabile che il crescente confronto internazionale in sede di unione Europea e gli input che sono provenuti dalle analisi condotte in sede OCSE1 hanno accresciuto la sensibilità dei diversi Paesi verso l’adeguamento del proprio sistema di istruzione e Formazione in modo da rispondere alle sfide che vengono evidenziate nelle varie sedi. Esaminando i maggiori processi di riforma dei sistemi di istruzione e Formazione che sono stati attuati durategli ultimi anni si possono osservare due diversi approcci di politica formativa. il primo approccio, più tradizionale, è sostanzialmente centrato sulla modifica della regolazione del sistema formativo, reindirizzando o riqualificando le risorse destinate al sistema (insegnanti, scuole) o introducendo nuovi processi, o correggendo quelli esistenti. il secondo approccio, che si è sviluppato in Europa a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, è focalizzato sul controllo dei risultati e viene definito outcome driven (o performance based) approach2. questi due approcci differiscono tra loro, ma non sono vicendevolmente esclusivi, dal momento che le strategie che motivano il secondo approccio non negano l’importanza di innovare i processi, ma si basano sul principio che solo una forte attenzione ai risultati raggiunti incoraggi le scuole a migliorare i processi. 8.1. LE PoLItICHE CEntrAtE SuLL’InnoVAzIonE DI ProCESSo il principio sottostante alle politiche centrate sull’innovazione di processo è che per migliorare la scuola è necessario modificarne la struttura, in base alle necessità che emergono dall’analisi del suo funzionamento e dalle richieste degli stakeholder (famiglie, dirigenti, docenti, opinione pubblica). 1 Basti pensare all’impatto che producono sull’opinione pubblica internazionale i rapporti dell’OCSE sugli indicatori e sugli apprendimenti degli studenti. 2 Allulli G. (2011), Le politiche scolastiche e l’Output Driven Approach, in Scuola Democratica, n. 3, Guerini e associati, Roma. 78 le politiche che vengono messe in atto, e che possono essere ricondotte a questa categoria, sono molteplici; in particolare si possono ricordare: • l’estensione della durata dell’obbligo scolastico (e della Formazione Professionale di base), • la riforma del curriculum scolastico, • l’assegnazione di nuove risorse (specialmente per le aree a rischio) o la riallocazione di quelle esistenti, • la riforma del reclutamento, della formazione e della carriera dei docenti. Esaminiamo che cosa è stato fatto negli ultimi anni in Europa riguardo a questa tipologia di intervento 8.1.1. L’estensione della durata dell’Istruzione obbligatoria i risultati delle indagini nazionali ed internazionali, come la rilevazione OCSEPiSA, mostrano che una canalizzazione precoce degli alunni (sotto i 14 anni di età) danneggia l’eguaglianza di opportunità senza migliorare le prestazioni degli alunni. inoltre i criteri di selezione degli studenti sono spesso condizionati da fattori sociali e non dal rendimento. Pertanto, allo scopo di assicurare a tutti gli studenti un percorso scolastico di base adeguato a fornire le conoscenze e le competenze necessarie per un consapevole proseguimento del percorso scolastico e formativo, oppure per l’inserimento nel mondo del lavoro e nella società civile, la maggioranza dei Paesi europei ha innalzato la durata della scuola obbligatoria all’età di 16 anni; l’ungheria fino a 18 anni, con frequenza a tempo pieno. un numero crescente di Paesi sta adottando un modello misto per il prolungamento dell’obbligo, integrando la frequenza scolastica a tempo parziale con diverse forme di esperienza di lavoro; tra questi la Germania, il Belgio, l’Olanda e l’italia, che prevedono una frequenza obbligatoria fino a 18 anni, ma con modalità a tempo parziale (alternando scuola e lavoro). il Regno unito sta considerando questa possibilità. Altri Paesi hanno abbassato l’età di inizio della scuola od hanno reso obbligatoria la frequenza della scuola pre-elementare. Tuttavia è emerso come l’obbligo di frequentare percorsi troppo generalisti e prolungati demotivi gli studenti meno propensi agli studi accademici, favorendo l’abbandono. Pertanto alcuni Paesi, ed in particolare Francia, Spagna e Regno unito, dopo aver prolungato l’istruzione obbligatoria a tempo pieno fino al sedicesimo anno di età, hanno dovuto predisporre nuovi percorsi formativi od introdurre un curriculum più flessibile per offrire agli studenti opzioni più vicine ai loro interessi e prevenire così l’abbandono scolastico; sono state anche introdotte nuove discipline, più collegate con il mondo “reale”, allo scopo di accrescere la motivazione degli studenti, specialmente di quelli meno accademici. Anche l’italia, nell’estendere il periodo di istruzione obbligatoria fino al sedicesimo anno di età, ha dato agli studenti la possibilità di scegliere tra diversi percorsi, compresa l’istruzione e Formazione Professionale, negli ultimi due anni dell’istruzione obbligatoria. invece nei Paesi di lingua tedesca la canalizzazione tra tipologie di scuole rivolte agli studi “accademici” oppure professionalizzanti comincia sempre ad 11 anni. Età terminale dell’Istruzione obbligatoria NuMERO DI PAESI 1 18 1 17 18 16 12 15 Come conseguenza di queste politiche un maggior numero di giovani consegue il diploma di scuola secondaria: secondo le rilevazioni della Commissione europea la percentuale di giovani che consegue il diploma è salita dal 76,1% del 2000 al 78,5% del 2008, anche se la maggioranza dei Paesi Europei rimane sotto l’obiettivo di lisbona (85%). Finlandia, Svezia, irlanda, Cipro ed alcuni Paesi dell’Est (Polonia, Repubblica Ceca, lituania, Slovacchia, Slovenia) hanno già raggiunto il Benchmark europeo, mentre Malta, Spagna e Portogallo stanno sotto il 70%. italia, Bulgaria, lituania, Malta e Portogallo hanno realizzato i maggiori progressi dal 2000. Durante lo stesso periodo si è registrato un discreto miglioramento anche per quanto riguarda il tasso di abbandono medio europeo, che è sceso dal 17,6% al 14,9%. 8.1.2. La riforma del curriculum la riforma del curriculum è un altro obiettivo che molti governi europei si pongono per migliorare il sistema educativo. innanzitutto, sulla base del dibattito sviluppatosi in ambito internazionale e facendo riferimento alla Raccomandazione europea che è stata emanata alla fine del 2006 su questa tematica (v. par. 3.1) molti Paesi hanno riconosciuto l’importanza per gli alunni di acquisire alcune competenze fondamentali utili per la cittadinanza attiva, la coesione sociale e l’occupabilità entro il termine dell’istruzione e della Formazione obbligatoria, indipendentemente dal tipo di percorso scolastico seguito. in particolare alcuni Paesi europei (Francia, Spagna, italia, Regno unito, Svezia) hanno riformato i curricoli scolastici della scuola obbligatoria tenendo conto delle otto competenze chiave europee, introducendo tra gli obiettivi da raggiungere l’acquisizione delle competenze di base di cittadinanza. un significativo esempio che viene spesso preso come riferimento di questo movimento europeo è lo “zoccolo comune” di conoscenze e competenze, che è stato introdotto nella scuola francese nel 2006. 79 80 in italia, per definire le linee guida dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione, il Ministero della Pubblica istruzione ha istituito una Commissione che ha prodotto un documento intitolato Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione3. la Commissione ha lavorato nel solco della Raccomandazione europea sulle competenze di cittadinanza, caratterizzate da componenti di carattere sia culturale che trasversale ed ha messo in evidenza le prime come assi culturali strategici, le seconde come competenze trasversali. in particolare la Commissione ha definito: • quattro assi culturali strategici: l’asse dei linguaggi; l’asse matematico; l’asse scientifico-tecnologico; l’asse storico-sociale; • otto competenze trasversali: imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, risolvere problemi, agire in modo autonomo e responsabile, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione. 3 Commissione con il compito di approfondire la tematica relativa all’istruzione obbligatoria ed elaborare le possibili modalità tese all’obiettivo dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione 3 marzo 2007. Lo “zoCCoLo ComunE” DI ConoSCEnzE E ComPEtEnzE (FrAnCIA) l’introduzione dello zoccolo comune è stata prevista dall’articolo 9 della legge Fillon di riforma della scuola del 23 aprile 2005, che afferma “la scolarità obbligatoria deve garantire a ogni allievo l’acquisizione di uno zoccolo comune costituito da un insieme di conoscenze e competenze indispensabili per completare con successo la propria scolarità, per proseguire nella formazione, per costruire il proprio avvenire personale e professionale e inserirsi attivamente nella vita sociale”. lo zoccolo si riferisce dunque alla scolarità obbligatoria, con l’ambizione di essere la base necessaria e indispensabile per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. l’insegnamento obbligatorio non si riduce, comunque, allo zoccolo comune, nonostante ne costituisca il fondamento. lo zoccolo non si sostituisce ai programmi della scuola primaria e del collège, e non ne è neppure un condensato. la sua specificità risiede nella volontà di dare senso alla cultura scolastica, assumendo il punto di vista dell’allievo e costruendo ponti tra le discipline e i programmi. lo zoccolo definisce ciò che nessuno può ignorare alla fine della scolarità obbligatoria pena la sua marginalizzazione. la scuola deve offrire tutti i mezzi perché ogni allievo sviluppi tutte le sue facoltà. Padroneggiare lo zoccolo comune significa essere capaci di utilizzare ciò che si è appreso in compiti e situazioni complesse, prima nella scuola poi nella vita; significa anche possedere i mezzi per continuare a formarsi per tutta la vita e riuscire a inserirsi attivamente nella società. lo zoccolo comune si acquisisce progressivamente, dalla scuola dell’infanzia alla fine della scolarità obbligatoria. Ogni competenza richiede il contributo di più discipline, e per converso, ciascuna disciplina contribuisce alla acquisizione di più competenze. Tutte le discipline insegnate nella scuola elementare e nel collège (la scuola media francese), compresa l’educazione fisica e sportiva, le arti plastiche e l’educazione musicale, hanno quindi un ruolo nell’acquisizione dello zoccolo. 81 Sulla base della proposta della commissione il Ministero della Pubblica istruzione ha emanato il Regolamento che disciplina l’elevamento dell’obbligo di istruzione4. 4 Ministero della Pubblica istruzione Decreto 22 agosto 2007, n. 139 «Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione, ai sensi dell’articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» da G.u. n. 202 del 31.08.2007. ComPEtEnzE trASVErSALI PEr L’oBBLIgo DI IStruzIonE (a) • Imparare ad imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo ed utilizzando varie fonti e varie modalità di informazione e di formazione (formale, non formale ed informale), anche in funzione dei tempi disponibili, delle proprie strategie e del proprio metodo di studio e di lavoro. • Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di studio e di lavoro, utilizzando le conoscenze apprese per stabilire obiettivi significativi e realistici e le relative priorità, valutando i vincoli e le possibilità esistenti, definendo strategie di azione e verificando i risultati raggiunti. • Comunicare: - comprendere messaggi di genere diverso (quotidiano, letterario, tecnico, scientifico) e di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali); - rappresentare eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti, stati d’animo, emozioni, ecc. utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) e diverse conoscenze disciplinari, mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali). • Collaborare e partecipare: interagire in gruppo, comprendendo i diversi punti di vista, valorizzando le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune ed alla realizzazione delle attività collettive, nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli altri. • Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabilità. • risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline. • Individuare collegamenti e relazioni: individuare e rappresentare, elaborando argomentazioni coerenti, collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, anche appartenenti a diversi ambiti disciplinari, e lontani nello spazio e nel tempo, cogliendone la natura sistemica, individuando analogie e differenze, coerenze ed incoerenze, cause ed effetti e la loro natura probabilistica. • Acquisire ed interpretare l’informazione: acquisire ed interpretare criticamente l’informazione ricevuta nei diversi ambiti ed attraverso diversi strumenti comunicativi, valutandone l’attendibilità e l’utilità, distinguendo fatti e opinioni. (a) MiNiSTERO DEllA PuBBliCA iSTRuziONE Decreto del 22 agosto 2007, n. 139 «Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione, ai sensi dell’articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» da G.u. n. 202 del 31.08. 2007 82 8.1.3. Assegnare nuove risorse (specialmente per le aree a rischio) Gli insegnanti tendono ad evitare, ove possibile, le scuole situate in aree svantaggiate o più difficili, per cui in queste scuole si trovano ad operare gli insegnanti meno qualificati, che spesso cercano di trasferirsi rapidamente in un’altra scuola, producendo un continuo turnover. in molti Paesi europei, per migliorare la qualità dell’offerta formativa, sono stati predisposti rafforzamenti dell’offerta scolastica nelle aree che presentano maggiori difficoltà e debolezze sotto l’aspetto sociale e culturale. Si possono ricordare tra l’altro il programma “Excellence in Cities”, avviato nel Regno unito nel 1999, e l’iniziativa delle “zones d’education prioritaires”, che sono state introdotte nel sistema educativo francese nel 1982 (v. scheda). Tali misure prevedono anche una retribuzione migliore per gli insegnanti, per incoraggiarli a restare in scuole situate in aree svantaggiate. Tuttavia, è stato osservato che l’impatto dell’incentivo finanziario sulle scelte degli insegnanti è limitato5: per essere efficace l’incentivo finanziario dovrebbe essere abbastanza consistente6. 5 BENABOu R., F. kRAMARz, C. PROST (2005), The French zones d’education prioritaires: much ado about nothing? Discussion paper serie No. 5085 , Centre for Economic Policy Research. 6 hANuShEk E.A., J.F. kAiN and S.G. RiVkiN (1999), Do Higher Salaries Buy Better Teachers?, Working Paper No 7082, National Bureau of Economic Research, Cambridge, MA. zonES D’éDuCAtIon PrIorItAIrES la politica delle Zones d’éducation prioritaires (aree prioritarie - zEPs) è stata introdotta in Francia nel 1982 per combattere il fallimento scolastico degli studenti svantaggiati. in origine il programma era temporaneo, ma esso è stato confermato ed esteso a molte scuole fino a coinvolgere il 15% degli studenti distribuiti tra 800 aree prioritarie, in gran parte ubicate in aree urbane. Per incoraggiare le scuole a sviluppare progetti e partenariati a livello locale il programma ha fornito risorse addizionali attraverso: • la riduzione delle dimensioni della classe, • l’assegnazione di incentivi economici e giuridici ai docenti, • l’assegnazione di risorse aggiuntive alle scuole, • l’aumento del numero di ore di insegnamento. il programma ha dovuto affrontare problemi quali: • la difficoltà delle famiglie a far fronte ai bisogni educativi degli alunni, dato il loro basso livello socioculturale, • la necessità di combattere precocemente le disuguaglianze, • la concentrazione di studenti svantaggiati all’interno della stessa classe, • l’abbassamento di aspettative da parte dei docenti, • la rotazione dei docenti e le difficoltà per i nuovi insegnanti da poco assunti. Circa due terzi degli insegnanti nuovi assunti hanno cominciato la loro carriera come supplenti in un posto classificato come “Difficile” od in una zona prioritaria. i risultati del programma sono stati giudicati modesti, in quanto sono peggiorati sia la composizione sociale degli studenti iscritti nelle scuole delle zEP (il marchio negativo della zEP ha allontanato gli studenti che potevano iscriversi altrove), sia la qualità dei docenti, in quanto le difficoltà dell’insegnamento nella zona prioritaria hanno provocato la “fuga” dei docenti più esperti. infine, non si sono registrati significativi miglioramenti dei risultati degli alunni frequentanti le scuole di queste zone. 83 8.1.4. La riforma della carriera dei docenti Secondo l’OCSE7 è possibile definire due modelli di base che caratterizzano la professione degli insegnanti: il modello “basato sulla carriera” e quello “basato sulla posizione”. Nel modello basato sulla carriera, la gestione del personale insegnante viene generalmente organizzata a livello centrale. l’accesso alla professione si fonda sui titoli accademici e/o sul superamento di un esame di ammissione al servizio, e gli insegnanti sono normalmente assegnati alle diverse scuole sulla base di regole fisse. la progressione di carriera avviene attraverso di criteri predeterminati (spesso tenendo conto dell’anzianità piuttosto che dei risultati dell’attività svolta). Francia, italia e Spagna sono esempi di Paesi nei quali si possono rintracciare molti elementi di questo sistema. Nei modelli basati sulla posizione la gestione ed il reclutamento del personale insegnante si svolgono a livello di autorità locale o di singola scuola. Spetta alle scuole o agli Enti locali selezionare il candidato più adatto per ogni posizione, mediante reclutamento esterno o promozione interna. Tale modello consente un accesso più flessibile alla professione di insegnante; ad esempio è relativamente comune l’accesso all’insegnamento da parte di candidati più anziani o provenienti da altre carriere, così come è comune la mobilità dall’insegnamento verso altre carriere professionali. la progressione di carriera degli insegnanti è in funzione del successo nella competizione per i posti disponibili, e il numero di posti disponibili di livello più alto è di solito limitato. i sistemi svedese, svizzero e del Regno unito presentano molte caratteristiche di questo modello. Nei sistemi scolastici nei quali vige il modello basato sulla carriera, le preoccupazioni politiche riguardano la mancanza di incentivazione per gli insegnanti a continuare la loro formazione, una volta ottenuta l’assunzione e la forte accentuazione posta sui regolamenti che limitano la capacità delle scuole di rispondere alle diverse esigenze locali. Di conseguenza, la priorità nei Paesi con sistemi nei quali vige questo modello è l’introduzione di politiche che permettano di definire rapporti di lavoro più flessibili, consentendo alle autorità educative locali ed ai dirigenti scolastici un più ampio margine decisionale, ed una gestione per obiettivi. 7 OECD (2005), Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers Education and Training Policy, Paris. i risultati hanno mostrato la necessità di concentrare maggiori risorse su un numero minore di scuole in maggiore difficoltà. Perciò il governo francese ha introdotto degli strumenti per selezionare meglio le scuole da includere nel programma. il nuovo programma, lanciato nel 2006 (“ambition reussite”), più selettivo, si basa sull’utilizzo di docenti più formati ed esperti. inoltre prevede degli incentivi salariali per incoraggiare gli insegnanti esperti a richiedere di insegnare in queste aree, ed istituisce speciali gruppi di insegnamento per fornire agli insegnanti senza esperienza strategie consolidate per migliorare i risultati scolastici degli alunni. 84 Nei Paesi ove vige il modello basato sulla posizione le scuole spesso devono registrare un elevato turnover del personale, soprattutto nelle zone svantaggiate. Dal momento che questo modello consente l’adozione di regole più flessibili per il reclutamento del personale, si determinano spesso più forti disparità tra le scuole in termini di qualificazione ed esperienza degli insegnanti. le priorità politiche in questi Paesi riguardano la definizione di criteri omogenei a livello di sistema per la selezione dei docenti e la valutazione delle loro prestazioni. Viene prestata anche grande attenzione alla selezione ed alla formazione dei dirigenti degli istituti scolastici. le scuole che si trovano nelle zone svantaggiate dovrebbero essere dotate di maggiori risorse per consentire loro di competere per reclutare insegnanti di qualità; si avverte inoltre la necessità di aumentare la differenziazione dei salari e delle condizioni di lavoro al fine di attrarre le tipologie di insegnanti meno disponibili a trasferirsi in queste aree. Molti Paesi hanno cercato di innalzare lo status e la qualità dei docenti sia attraverso una migliore selezione e formazione, sia attraverso un miglioramento della loro condizione e della carriera professionale. Per quanto riguarda la selezione e la formazione dei docenti, le riforme che sono state avviate in questi ultimi anni hanno cercato di introdurre modalità di selezione più accurate, hanno attivato lo svolgimento del tirocinio durante la formazione iniziale, hanno introdotto delle incentivazioni per incoraggiare la partecipazione alla formazione in servizio ed infine hanno promosso periodi di studio all’estero per i docenti di lingua straniera. invece, per quanto riguarda la carriera, si è cercato di introdurre maggiore flessibilità nelle posizioni professionali, di decentrare le decisioni riguardo al personale assegnando più potere a presidi ed autorità locali, di aumentare la retribuzione dei docenti nelle aree a rischio, di sviluppare nuovi sistemi per valutare i docenti (autovalutazione, valutazione esterna, test e misure di valore aggiunto), ed infine di introdurre incentivi e differenziazioni della retribuzione. in particolare sono stati compiuti molti sforzi per sviluppare nuovi sistemi per la valutazione delle prestazioni degli insegnanti e fornire loro incentivi. Per la valutazione degli insegnanti vengono utilizzate diverse metodologie8: • ispezioni esterne, effettuate per conto delle autorità nazionali (come in Francia, in collaborazione con il preside) o regionali (come in Germania o in Austria, ma solo per la progressione di carriera). l’osservazione in aula, le interviste e la documentazione preparata dal docente sono i metodi tipici utilizzati per questo tipo di valutazione. • Auto-valutazione a livello di istituto. questa metodologia è stata sviluppata dagli Anni ‘90 in poi; può essere utilizzata a se stante, oppure può essere adot- 8 Eurydice (2008), Levels of Autonomy and Responsibilities of Teachers in Europe, Eurydice network, Bruxelles. OECD (2005), Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers Education and Training Policy, Paris. 85 tata come base per la valutazione esterna. Nel Regno unito, Repubblica Ceca, Estonia e ungheria, l’auto-valutazione comprende l’analisi del rendimento degli insegnanti. • Valutazioni interne, condotte dalla dirigenza scolastica (in genere il preside). questo metodo è in vigore in Belgio, Repubblica Ceca, lituania, Austria, Romania, Slovenia, Paesi Bassi, Francia (in collaborazione con gli ispettori) e Regno unito. • Risultati degli alunni, considerando il valore aggiunto acquisito da parte degli allievi dell’insegnante. in irlanda, Norvegia e Svezia, si pone l’accento sulla valutazione della unità scolastica, piuttosto che sulla valutazione dei singoli insegnanti. Solo in cinque Paesi (Danimarca, Finlandia, Grecia, italia e Spagna) gli insegnanti non sono periodicamente valutati una volta entrati in servizio. 8.2. LE PoLItICHE CEntrAtE SuL ControLLo DEI rISuLtAtI Di fronte alla crescente insoddisfazione riguardo all’impatto effettivo delle riforme di processo sul miglioramento dell’offerta scolastica e delle prestazioni degli alunni, si è progressivamente affermata una “scuola” di pensiero politico che ha rovesciato l’approccio riformatore; invece di intervenire sui processi, nell’aspettativa che la loro innovazione produca il miglioramento dei risultati degli alunni, si ritiene più efficace mettere direttamente i risultati al centro della politica riformatrice, nella convinzione che la maggiore attenzione alle prestazioni degli alunni spinga le scuole ed i docenti a modificare i processi di insegnamento, in modo da renderli più efficaci. Solo in questo modo vi sarà un effettivo ripensamento, da ILmErIt PAY Secondo l’OCSE, 11 Paesi, su 29 analizzati, collegano la retribuzione dei docenti alle loro prestazioni. questo tipo di politica viene definito Merit-Pay, ovvero retribuzione legata al merito. Negli uSA 8 Stati e numerosi distretti scolastici collegano le retribuzioni dei docenti ai risultati degli allievi, generalmente misurati attraverso i test. i giudizi su questa politica sono controversi. A favore viene rilevato che introducendo premi per i docenti e assegnando incentivi se ne aumentano l’impegno e le prestazioni; l’incentivazione e la più alta retribuzione rendono inoltre la professione docente più attraente ed in grado di attirare i migliori candidati. Coloro che sono contrari invece sostengono che il programma di Merit-Pay produce un gravoso appesantimento burocratico, perché richiede la costruzione di complesse banche dati. inoltre la competizione tra i docenti, che viene sollecitata, compromette la cooperazione all’interno della scuola, che invece rappresenta una dimensione fondamentale di un efficace insegnamento. Viene anche fatto presente che il successo degli alunni, soprattutto se svantaggiati, è difficile da misurare e che i docenti potrebbero essere invogliati a “truccare” i risultati degli studenti per migliorare la propria posizione. 86 parte delle scuole (alle quali viene concessa una più ampia autonomia organizzativa), delle modalità di erogazione dell’insegnamento ed un effettivo miglioramento delle prestazioni dei docenti e dunque dei risultati degli alunni. le politiche scolastiche centrate sul controllo dei risultati si basano sostanzialmente su: • la definizione di obiettivi e traguardi chiari e misurabili: vengono definiti dei traguardi da raggiungere, indicando anche con precisione i livelli e le quantità interessate, utilizzando degli indicatori; • la definizione dei risultati di apprendimento: il percorso scolastico e formativo viene definito in termini di risultati da ottenere, più che in termini di programmi, orari e discipline da studiare; • la concessione di una più ampia autonomia alle scuole: vengono concessi ai dirigenti ed al personale degli istituti scolastici più ampi poteri in materia di gestione delle risorse, reclutamento del personale, organizzazione dell’insegnamento, organizzazione dell’attività scolastica; • la valutazione dei risultati degli alunni attraverso l’utilizzo di prove oggettive: al posto dei tradizionali esami, che non consentono un reale apprezzamento dall’esterno dei risultati raggiunti, vengono introdotti dei test standardizzati, che consentono una verifica del livello raggiunto dagli studenti ed un confronto tra le scuole; • la responsabilizzazione della scuola rispetto ai risultati raggiunti: i risultati della scuola vengono comunicati all’esterno e di questi la scuola è chiamata a render conto alle autorità scolastiche ed alle famiglie degli alunni; • l’introduzione di sistemi di valutazione dei docenti: vengono introdotti sistemi di verifica dell’attività del docente, del suo impegno professionale, dei risultati raggiunti con gli alunni, sia attraverso ispezioni esterne che attraverso l’analisi dei risultati degli alunni nelle prove oggettive; • la concessione di premi alle scuole ed ai docenti sulla base dei loro risultati: al posto dei tradizionali meccanismi di carriera, basati sull’anzianità del docente, vengono introdotti meccanismi legati al merito effettivo; • l’estensione delle possibilità di scelta da parte delle famiglie: alle famiglie vengono offerti strumenti informativi sull’effettivo livello qualitativo delle scuole, in modo che possano compiere una scelta informata, e strumenti di carattere normativo, per consentire una scelta non vincolata alla residenza territoriale. l’obiettivo principale è introdurre un sistema di quasi-mercato nell’offerta formativa, ovvero un sistema concorrenziale basato sulla libera scelta dei cittadiniconsumatori, pur rimanendo all’interno dell’offerta di servizio pubblico. questo approccio sta ottenendo una popolarità crescente in molti Paesi europei (compreso il nostro); negli Stati uniti ed in inghilterra è stato al centro della strategia riformatrice (v. scheda sulla riforma inglese); in molti altri Paesi europei, anche se non si può parlare di una compiuta applicazione di un approccio riformatore basato sul controllo dei risultati, è stato introdotto un sistema di valutazione 87 delle scuole o del sistema scolastico (v. scheda). la maggiore attenzione alla valutazione dei risultati dell’apprendimento è stata sostenuta anche dal dibattito sviluppatosi in sede europea. lo sviluppo dell’attività di valutazione è fortemente legato alla crescita dell’autonomia delle scuole. Durante gli ultimi 20 anni nella maggioranza dei Paesi europei si è progressivamente sviluppato un processo di decentramento; è stata attribuita una responsabilità crescente alle scuole riguardo l’organizzazione dell’offerta educativa. i sostenitori di questo approccio mettono in luce che il miglioramento dei sistemi educativi deriva da una migliore gestione delle singole scuole, dal momento che insegnanti e capi d’istituto hanno a disposizione solidi punti di riferimento per confrontare i loro risultati e valutare i loro punti di forza e di debolezza. inoltre le scuole devono competere per essere scelte dalle famiglie degli studenti e dunque devono sforzarsi di migliorare; anche l’introduzione del sistema premiale per le scuole o per i docenti incrementa la competizione. Dal canto loro le famiglie sono più informate riguardo alle prestazioni delle singole scuole e possono scegliere le scuole migliori e questo rafforza il circuito virtuoso tra valutazione e miglioramento. infine questo approccio consente una migliore gestione del sistema educativo a livello centrale, dal momento che i decisori politici e le autorità educative sono più informati riguardo ai risultati realmente ottenuti a livello nazionale e locale e possono assumere le decisioni conseguenti, sia a livello di sistema che a livello di scuola (premiando le scuole migliori oppure sostenendo o chiudendo le scuole in difficoltà). LA VALutAzIonE DEI SIStEmI SCoLAStICI EuroPEI la valutazione della scuola è un approccio molto diffuso e utilizzato in materia di garanzia della qualità in Europa. in 26 Paesi viene effettuata sia la valutazione esterna che interna delle scuole. l’auto-valutazione è stata introdotta in molti Paesi (come Regno unito, Danimarca, Olanda, Svezia, Repubblica Ceca e Austria) come pratica di qualità e di miglioramento della qualità; spesso l’auto-valutazione è il punto di partenza per la valutazione esterna. i criteri e gli indicatori per l’auto-valutazione possono essere stabiliti a livello nazionale. Negli ultimi dieci anni le aspettative sulla valutazione interna delle scuole in Europa sono cresciute. Fin dai primi anni del 2000, lo stato di valutazione interna delle scuole è passato da raccomandato o possibile a obbligatorio per una dozzina di sistemi di istruzione. Attualmente i regolamenti a livello centrale stabiliscono che la valutazione interna è obbligatoria in 27 sistemi di istruzione. Dove la valutazione interna non è obbligatoria, essa è di solito raccomandata. Gli unici Paesi in cui le scuole non sono obbligate od invitate ad effettuare una valutazione interna sono la Bulgaria e la Francia, quest’ultima limitatamente alle scuole primarie. Per quanto riguarda la valutazione esterna nella maggior parte dei Paesi spetta all’ispettorato, sotto la responsabilità delle autorità centrali o regionali, gestire l’attività di valutazione. Gli ispettori utilizzano spesso criteri standard per valutare le scuole. Repubblica Ceca, Germania, Spagna, Austria, Regno unito, Paesi Bassi, Bulgaria, lituania, Portogallo, Estonia e Polonia 88 i critici di questo approccio mettono in risalto che la metodologia di valutazione dei risultati degli alunni e delle scuole è imperfetta sotto molti aspetti. in particolare viene criticata l’enfasi attribuita alle prove oggettive di apprendimento, la cui somministrazione e analisi sono alla base di tutto l’impianto riformatore. queste prove focalizzano l’attenzione dei docenti e delle scuole su poche discipline 9 EuRYDiCE (2004), Evaluation of Schools providing Compulsory Education in Europe, Bruxelles e EuRYDiCE (2007), School Autonomy in Europe Policies and Measures Eurydice network, Bruxelles; European Commission/EACEA/Eurydice, 2015. Assuring Quality in Education: Policies and Approaches to School Evaluation in Europe. Eurydice Report. luxembourg: Publications Office of the European union. fanno parte di questa categoria. Nella maggior parte dei casi, la valutazione esterna della scuola si concentra su una vasta gamma di attività scolastiche, che comprende le attività didattiche e di gestione, i risultati degli studenti, così come la conformità alle normative. Per condurre il loro lavoro, i valutatori si basano su un quadro fissato centralmente che stabilisce in modo strutturato e omogeneo non solo i punti focali della valutazione esterna, ma anche le norme che definiscono una ‘buona’ scuola. una dozzina di sistemi di istruzione non seguono questo modello seppur in diversa misura. Alcuni approcci alla valutazione esterna della scuola si concentrano solo su aspetti specifici del lavoro scolastico quali la conformità alle normative (Estonia, Slovenia e Turchia). in Svezia, l’ispettorato ha autonomia per quanto riguarda i criteri di valutazione da considerare e li definisce basandosi sull’Education Act, sui regolamenti delle scuole e sui curricula per l’istruzione obbligatoria. Nel secondo gruppo di Paesi, le comunità locali e il governo locale hanno una forte responsabilità nella valutazione delle scuole; a volte la valutazione effettuata a livello locale è integrata con l’uso di test standardizzati a livello nazionale. i Paesi nordici, il Belgio e l’ungheria fanno parte di questo gruppo. Tuttavia anche in questi Paesi la valutazione esterna delle scuole sta assumendo sempre maggiore importanza: Danimarca e Svezia, dove il sistema di valutazione era incentrato prevalentemente sulle autorità locali, hanno rafforzato il ruolo delle autorità centrali nella valutazione esterna della scuola in Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Regno unito e islanda, i risultati della valutazione esterna delle scuole vengono pubblicati quando la valutazione è effettuata da valutatori esterni (nella maggior parte dei casi gli ispettori), che preparano i loro rapporti per le autorità centrali. in Svezia e islanda, anche i risultati delle valutazioni condotte a livello locale sono regolarmente pubblicati. in ungheria e in Polonia, la decisione viene presa rispettivamente a livello locale e regionale; a volte i risultati della valutazione vengono pubblicati. infine, in pochi altri Paesi europei non esiste un vero e proprio sistema di valutazione esterna delle scuole, anche perché l’autonomia delle scuole è più limitata. in questi Paesi l’ispettorato svolge un ruolo più formale, oppure valuta le prestazioni dei singoli insegnanti, come avviene in Francia. le scuole possono condurre iniziative di auto-valutazione, ma non hanno a disposizione dei criteri di riferimento standard per svolgere questa attività. Tuttavia anche in questi Paesi vengono realizzate alcune iniziative per l’introduzione di un sistema esterno di valutazione, attraverso l’uso di test standardizzati o altri strumenti. Francia e Bulgaria fanno parte di questo gruppo. l’italia ha avviato recentemente il suo sistema come si vedrà meglio più avanti9. 89 (quelle oggetto di valutazione con i test, normalmente le competenze linguistiche e matematiche), enfatizzandone oltremisura la loro importanza in confronto alle altre materie, che finiscono per essere trascurate. Anche l’insegnamento di queste due discipline rischia di essere eccessivamente focalizzato su come superare il test (teaching to the test è l’espressione comunemente utilizzata nei Paesi anglosassoni per indicare che l’insegnamento è finalizzato solo al superamento del test da parte degli alunni). l’altro problema che si riscontra nell’analisi e nell’utilizzazione dei risultati dei test oggettivi è la grande influenza che su questi riveste il contesto socio-culturale familiare. infatti gli esiti dei test hanno generalmente un alto grado di correlazione con il contesto, per cui i risultati degli alunni (e dunque dell’insegnante o della scuola che li hanno preparati) vanno sempre interpretati alla luce delle caratteristiche dell’ambiente familiare. Negli Stati uniti si parla talvolta di “effetto Volvo”, nel senso che per predire il risultato degli alunni nei test basterebbe contare il numero di automobili di lusso all’entrata delle diverse scuole. Ovviamente questo non significa che i test non siano affidabili, ma piuttosto che il risultato dell’attività scolastica è fortemente condizionato dalle caratteristiche ascritte degli alunni. Pertanto gli alunni delle scuole collocate nelle aree socialmente avvantaggiate tendenzialmente ottengono risultati migliori rispetto alle scuole delle zone socialmente difficili, ma questo non è riconducibile tanto al merito degli insegnanti quanto alla composizione sociale delle famiglie degli alunni, che ne condiziona fortemente il rendimento. Per questa ragione, se si vuole veramente valutare il risultato del lavoro degli insegnanti si dovrebbe misurare il “valore aggiunto”, ovvero quello che effettivamente lo studente ha appreso durante l’attività scolastica; questo viene fatto utilizzando test comparabili all’inizio ed alla fine del percorso scolastico e verificando la differenza tra le due rilevazioni. questo procedimento sta riscuotendo una grande interesse, specialmente nei Paesi anglosassoni, ma è di non semplice attuazione, specialmente su grande scala, perché presuppone l’esistenza di archivi molto consistenti e soprattutto la stabilità degli alunni e del corpo insegnante, che sono entrambi caratteristiche non presenti nel nostro sistema. Altro rischio legato alla misurazione del valore aggiunto e a tutte le valutazioni del rendimento delle scuole e degli insegnanti attraverso la misurazione del rendimento degli studenti è l’eventuale selezione, da parte delle scuole, degli allievi in ingresso, per avere studenti preparati, o l’eccessiva selezione durante il corso di studi, per ottenere migliori risultati finali. le scuole cioè, per conseguire risultati migliori, potrebbero essere portate ad escludere gli alunni considerati “difficili”. in Francia, per ovviare a questo fenomeno, sono stati introdotto dei calcoli per “pesare” il rendimento degli alunni nelle diverse scuole ed aree geografiche. Viene cioè sottratto dal risultato delle diverse scuole il vantaggio o lo svantaggio medio che viene riscontrato a livello nazionale dagli alunni di quella determinata compo90 sizione socioeconomica. in questo modo si viene ad annullare il fattore “estrazione sociale”. Viene inoltre considerata l’incidenza dell’abbandono. inoltre il confronto tra i risultati ottenuti in test diversi, da un anno all’altro, non è privo di difficoltà e di possibilità di errore. i critici di questo sistema osservano, infine, che questo approccio è discutibile non solo sotto l’aspetto metodologico, ma anche sotto il profilo dell’efficacia per migliorare il sistema. le famiglie che scelgono la scuola vogliono scegliere le scuole migliori in assoluto e non quelle che ottengono il più alto valore aggiunto. le scuole che si trovano nelle aree svantaggiate potrebbero essere abbandonate a favore di quelle collocate nelle aree ricche, anche se le loro prestazioni migliorano da un anno all’altro. L’EDuCAtIon rEFormACt (rEgno unIto 1988) Nel 1988 il governo inglese lanciò l’Education Reform Act, che introdusse un curriculum nazionale che tutte le scuole erano tenute ad applicare. Venne anche introdotto un nuovo sistema di valutazione; questo sistema comprende delle ispezioni gestite dall’Office for Standards in education (OFSTED, un organismo indipendente dal Ministero dell’istruzione) e delle prove standardizzate per valutare il livello di apprendimento raggiunto dagli alunni in inglese, Matematica e Scienze per ciascuna delle età chiave (7, 11, 14 e 16 anni). i risultati della valutazione vengono usati per valutare l’efficacia delle scuole operanti all’interno del sistema pubblico, le quali godono di un’ampia autonomia in termini finanziari. Ogni anno vengono predisposte delle graduatorie delle scuole (league tables) sulla base dei risultati ottenuti nei test; le graduatorie vengono pubblicate nei mezzi di comunicazione locali e nazionali per incoraggiare la rendicontabilità della scuola nei confronti: • dell’autorità centrale e locale e dell’organismo di governo della scuola (che include rappresentanti delle famiglie, dei docenti e della comunità locale), • della cittadinanza in generale, • delle famiglie, per incoraggiare le loro scelte scolastiche. la rendicontabilità della scuola viene assicurata anche attraverso ispezioni sistematiche organizzate periodicamente da gruppi di ispettori nominati dall’OFSTED. le équipe compiono delle visite molto approfondite alle scuole, sulla base di modelli di analisi predisposti in precedenza e simili per tutte le ispezioni. Durante queste visite vengono raccolti numerosi dati e materiali sul funzionamento della scuola, vengono condotte numerose interviste ad insegnanti ed alunni, svolti incontri con le famiglie degli alunni, osservati i processi di insegnamento. Alla fine di questa raccolta di informazioni viene predisposto un rapporto di valutazione piuttosto analitico (con una lunghezza variabile dalle 60 alle 100 cartelle), contenente sia indicatori raffrontati con le medie nazionali, sia analisi soggettive del funzionamento della scuola, che vengono poi riassunte in un giudizio finale. Tali rapporti vengono, oltreché inviati all’Ofsted ed al Department for Education per le decisioni del caso (le scuole che mostrano particolari problemi vengono difatti poste sotto osservazione), resi di pubblico dominio attraverso i principali mezzi di informazione, e diffusi su internet. un risultato negativo dell’ispezione obbliga la scuola a preparare un piano di miglioramento per superare le debolezze identificate. in mancanza di un miglioramento entro i tempi stabiliti, la scuola viene chiusa o completamente rinnovata, in base alla possibilità di ridistribuire gli alunni in altre istituzioni, dopo il licenziamento del personale. 91 10 un Comitato del Parlamento del Regno unito il cui mandato è esaminare la spesa, l’amministrazione e le politiche del Ministero per l’istruzione. 11 house of Commons (2008), Testing and Assessment Children, Schools and Families Committee, Third Report of Session 2007-08. A partire dal 2002 sono state introdotte anche misure di valore aggiunto. Esse misurano i risultati degli studenti in confronto con i risultai di altri studenti che in precedenza avevano avuto risultati simili. questo è un metodo più corretto di misurazione dal momento che i livelli di ingresso degli studenti sono molto diversi. Vengono considerati anche elementi di contesto quali: • il genere • la prima lingua parlata • l’appartenenza a differenti gruppi etnici • la presenza di particolari bisogni educativi • lo status economico. Nonostante i molti sforzi per migliorare la qualità dei test, le critiche sui loro effetti indesiderati sono sempre forti. un Rapporto del Children, Schools and Families Committee10 ha concluso che “l’uso dei risultati dei test nazionali per la rendicontazione della scuola è sfociato in una enfatizzazione della massimizzazione dei risultati del test a spese di una più equilibrata completa educazione degli alunni; teaching to the test e restringimento del curriculum sono fenomeni diffusi nelle scuole, con il risultato che vi è un’attenzione sproporzionata verso le materie “centrali” di inglese, matematica e scienze e, in particolare verso quegli aspetti di queste discipline che verranno probabilmente sottoposti a verifica con il test”11. 93 9. L’impatto del processo di Lisbona sugli Stati membri europei e sul sistema italiano di Istruzione e Formazione Professionale 9.1. IL rIConoSCImEnto DEL DIrItto ALL’APPrEnDImEnto DurAntE tutto IL CorSo DELLA VItA Come si è più volte detto in queste pagine l’obiettivo centrale della Strategia di lisbona è favorire il passaggio da un accesso all’istruzione e Formazione centrato sui primi anni della vita ad un accesso continuo alle opportunità formative, di tipo sia formale, che informale e non formale, che si sviluppa nel corso di tutta la vita. Anche in italia, dopo un lungo dibattito, è stata sancita l’importanza di questa strategia, attraverso la promulgazione della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. legge Fornero), che nei commi 51 e successivi dell’art. 4 introduce anche in italia il sistema dell’apprendimento permanente. L’APPrEnDImEnto PErmAnEntE SEConDo LA LEggE FornEro 51. In linea con le indicazioni dell’Unione Europea, per apprendimento permanente si intende qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale. Le relative politiche sono determinate a livello nazionale con intesa in sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dello sviluppo economico e sentite le parti sociali, a partire dalla individuazione e riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale, da documentare attraverso la piena realizzazione di una dorsale informativa unica mediante l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali esistenti. 52. Per apprendimento formale si intende quello che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in apprendistato a norma del testo unico di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, o di una certificazione riconosciuta. 53. Per apprendimento non formale si intende quello caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi indicati al comma 52, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese. 54. Per apprendimento informale si intende quello che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero. 94 Come ha affermato la Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali1, la portata più significativa introdotta dalle recenti disposizioni normative è la configurazione di un diritto della persona all’apprendimento (quindi a poter accedere e usufruire di reali e significative offerte educative e formative lungo l’arco della sua vita, nonché di veder riconosciuti gli apprendimenti e le competenze comunque acquisite in modo non formale e informale). l’Accordo stipulato in Conferenza unificata indica inoltre 5 priorità: • l’ampliamento della platea dei soggetti a sostegno dell’apprendimento permanente; • il potenziamento delle attività di orientamento permanente; • lo sviluppo delle competenze di specifici target maggiormente deboli o svantaggiati; • l’ampliamento dell’accesso anche attraverso strumenti specifici di trasparenza e lo sviluppo e l’integrazione dei servizi per l’apprendimento permanente; • il miglioramento della pertinenza dei sistemi di istruzione e Formazione al mercato del lavoro. Per raggiungere questi obiettivi è necessario allestire una serie di servizi sul territorio: • delle reti territoriali dei servizi come ossatura del sistema dell’apprendimento permanente; • un’attività di orientamento permanente; • un sistema di individuazione e validazione degli apprendimenti e di certificazione delle competenze; 1 Conferenza unificata: accordo tra Governo, Regioni ed Enti locali sul documento recante: “linee strategiche di intervento riguardo ai servizi per l’apprendimento permanente ed all’organizzazione delle reti territoriali”, 10 luglio 2014. 55. Con la medesima intesa di cui al comma 51 del presente articolo, in coerenza con il principio di sussidiarietà e nel rispetto delle competenze di programmazione delle regioni, sono definiti, sentite le parti sociali, indirizzi per l’individuazione di criteri generali e priorità per la promozione e il sostegno alla realizzazione di reti territoriali che comprendono l’insieme dei servizi di istruzione, formazione e lavoro collegati organicamente alle strategie per la crescita economica, l’accesso al lavoro dei giovani, la riforma del welfare, l’invecchiamento attivo, l’esercizio della cittadinanza attiva, anche da parte degli immigrati. In tali contesti, sono considerate prioritarie le azioni riguardanti: a) il sostegno alla costruzione, da parte delle persone, dei propri percorsi di apprendimento formale, non formale ed informale di cui ai commi da 51 a 54, ivi compresi quelli di lavoro, facendo emergere ed individuando i fabbisogni di competenza delle persone in correlazione con le necessità dei sistemi produttivi e dei territori di riferimento, con particolare attenzione alle competenze linguistiche e digitali; b) il riconoscimento di crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti; c) la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita. 95 • un sistema informativo ai fini del monitoraggio, della valutazione, della tracciabilità e conservazione degli atti rilasciati. Pertanto il sistema dell’apprendimento permanente si riferisce e comprende gli ambiti di apprendimento formali, non formali e informali. Esso è finalizzato a sostenere la persona lungo tutto l’arco della vita, anche in una prospettiva occupazionale e di cittadinanza attiva. il ruolo del “non formale” nelle reti territoriali è uno dei fattori di novità e di maggiore qualità. infatti, l’offerta formativa non formale arricchisce i contesti culturali e sociali dei territori, svolgendo un ruolo specifico e non sostituibile, che integra il ruolo dell’offerta formale, pubblica e privata. in tale contesto, le Organizzazioni del no-profit possono entrare in contatto con cittadini spesso a rischio di esclusione sociale, grazie anche alle metodologie non frontali e interattive, alla flessibilità dei percorsi formativi, alle relazioni interpersonali e all’integrazione tra prestazioni sociali e offerte culturali. 9.2. L’ImPAtto DELLE rACComAnDAzIonI EuroPEE SuL SIStEmA DI IStruzIonE E FormAzIonE ProFESSIonALE il processo di Copenaghen e le 3 Raccomandazioni europee hanno avuto un impatto diversificato sui sistemi di istruzione e Formazione Professionale, in quanto alcuni Paesi sono stati più pronti a recepire le richieste comunitarie, anche perché il dibattito che si è sviluppato in sede europea e le successive Raccomandazioni, sono stati influenzati dalla cultura e dalle strutture di questi Paesi, i quali si sono ritrovati naturalmente allineati con le indicazioni emanate. infatti l’istruzione tecnica e professionale presenta caratteristiche fortemente differenziate da Paese a Paese2, al contrario della componente di istruzione “preaccademica”, come i licei classici e scientifici, che pur con nomi diversi (Gymnasium in Germania, Sixth Form in Gran Bretagna, Lycee C o B in Francia, ecc.) mostra una configurazione tutto sommato simile. il motivo di questa diversità risiede probabilmente nel fatto che mentre l’istruzione classica o comunque quella liceale tradizionale ha come riferimento il sapere formalizzato, all’interno di una tradizione culturale che in Europa si è consolidata su basi sostanzialmente comuni, l’istruzione professionale dei vari Paesi europei è stata fortemente e logicamente condizionata dalla struttura dei sistemi economici e produttivi locali. in particolare la domanda delle imprese e la forza con la quale si esprime appare un importante fattore di condizionamento dello sviluppo del sistema, in quanto laddove il sistema produttivo è più solido, esso assume un forte peso anche nel sistema formativo, che dunque si differenzia più nettamente da quello scolastico. 2 Treellle (2008), L’istruzione tecnica: un’opportunità per i giovani, una necessità per il paese, quaderno n. 8. 96 Ogni sistema nazionale appare dunque fortemente specifico; tuttavia, pur nella diversità dei diversi approcci emergono due modelli di fondo: • quello francese, all’interno del quale l’istruzione e la Formazione Professionale iniziale sono fortemente integrate con il sistema scolastico secondario, di cui rappresentano uno o più indirizzi; pensiamo ad esempio al licee professionel, che conduce al certificat d’aptude professionel (Cap) oppure al brevet d’etude professionel (BEP); altri esempi provengono dai Paesi scandinavi (Svezia, Finlandia), nei quali gli indirizzi a valenza professionale rientrano pienamente nella scuola secondaria, al punto che (in Svezia) una parte del curriculum degli indirizzi professionalizzanti è comune con gli indirizzi più accademici; • il modello tedesco e inglese, nel quale i due sistemi sono nettamente separati. in questi due Paesi, dopo il periodo di scolarità obbligatoria che arriva a 15/16 anni, la divisione tra i percorsi accademici ed i percorsi della Formazione Professionale (Berufschule in Germania, Further Education nel Regno unito) è molto netta. in Germania i due sistemi si biforcano quando i giovani hanno 15 anni, anche se già ad 11 anni i ragazzi tedeschi devono scegliere (o meglio vengono selezionati per) l’indirizzo di scuola media che prepara al passaggio successivo. Al termine della scuola media (articolata in Gymnasium, per chi proseguirà gli studi liceali, ed in Hauptschule e Realschule per chi proseguirà gli studi tecnici e professionali) si prosegue nel Gymnasium (ovvero il liceo), oppure si accede all’apprendistato con il sistema duale, e dunque alternando la formazione sul lavoro alla frequenza della Berufschule (ovvero la componente di formazione scolastica dell’apprendistato). Nel Regno unito dopo il termine della Comprehensive school, che accoglie tutti i giovani fino all’età di 16 anni, sia pure consentendo una grande pluralità di opzioni, gli studenti possono proseguire, se hanno buoni voti, nella Sixth form (biennio superiore che prepara il passaggio all’università), oppure accedono ad una delle tante opportunità offerte dalla Further Education, sistema non scolastico che prepara ad entrare nel mondo del lavoro ed è composto da una serie di differenti percorsi formativi a tempo pieno ed a tempo parziale. Tra i Paesi che fanno parte del primo modello l’istruzione professionale viene impartita in prevalenza a tempo pieno, anche se sono previste quote più o meno lunghe di tirocinio in azienda. Tra i Paesi che afferiscono al secondo modello l’impresa diventa protagonista come soggetto formatore; in particolare in Germania la formazione è definita “duale”, perché condotta parte in impresa parte dentro la scuola. l’italia rientra nel primo modello. uno dei motivi delle difficoltà della nostra istruzione e Formazione Professionale risiede nella debolezza del rapporto che si è sviluppato in italia tra scuola ed impresa, anche in ragione del modello di sviluppo del nostro sistema produttivo che, tramontata l’epoca delle grandi industrie degli Anni ‘60 e ‘70, si è basato sempre più largamente sulle medie, piccole e piccolis97 sime imprese. queste imprese vivono su commesse di breve periodo e cercano professionalità immediatamente utilizzabili; quindi hanno difficoltà ad investire sulla formazione e sulla ricerca. questo differenzia l’italia da altri Paesi, come la Germania, dove il sistema produttivo è strutturato su dimensioni d’impresa più consistenti e dunque investe di più, sia nei confronti della formazione, che della ricerca3. in questa situazione la scuola italiana, di fronte alle difficoltà di collegamento con la società produttiva, ha a sua volta nel corso del tempo cercato al suo interno le ragioni della propria esistenza; si è sviluppato insomma un circuito di tipo autoreferenziale, per cui le motivazioni dell’esistenza della scuola sono state cercate all’interno della stessa cultura scolastica, più che nell’aggancio esterno con la cultura della società in crescita, e con le richieste di cambiamento provenienti dal mondo del lavoro. Tuttavia l’attenzione europea al rafforzamento dei collegamenti tra istruzione, Formazione Professionale e mondo del lavoro ha portato all’istituzione anche in Italia di una nuova tipologia di offerta formativa, l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), volta a stabilire un più stretto rapporto tra questi diversi mondi. questa tipologia di offerta, concepita per offrire una opportunità a quei giovani che dopo la scuola secondaria di primo grado desiderano intraprendere un percorso chiaramente professionalizzante, che li porti nel giro di tre anni a conseguire una qualifica, ed un diploma, si è sviluppata negli ultimi anni con grande rapidità. il Rapporto di monitoraggio condotto dall’iSFOl su questa filiera4 mette in evidenza che il totale degli iscritti ammonta per il 2012-13 a oltre 300 mila unità. Dunque anche nel nostro Paese è in atto un processo di avvicinamento del mondo dell’istruzione a quello del lavoro, testimoniato anche dalla nascita degli istituti Tecnici Superiori (iTS), per fornire una specializzazione superiore ai diplomati della scuola secondaria e dalle iniziative che sono state adottate per utilizzare lo strumento dell’Apprendistato anche nella scuola secondaria. 9.2.1. L’impatto della Raccomandazione sull’istituzione di un Quadro europeo delle qualifiche (EQF) il processo di Copenaghen e le Raccomandazioni europee impattano comunque su sistemi molto differenziati. Ad esempio, per quanto riguarda l’introduzione del quadro europeo delle qualifiche, l’inquadramento di tutti i titoli e le qualifiche all’interno di una unica cornice e l’enfasi sui risultati dell’apprendimento fanno parte della tradizione di Paesi come il Regno unito e l’irlanda, la cui cultura di governo del sistema formativo ha da più lungo tempo privilegiato il controllo dei risultati piuttosto che la gestione dei processi. Nel Regno unito le strutture formative godono di un’ampia autonomia, ma vige una forte attenzione alla verifica dei 3 AA. VV., Educare alla cittadinanza, al lavoro ed all’innovazione. Il modello tedesco e le proposte per l’Italia, in i numeri da cambiare, Treelle e Fondazione Rocca, gennaio 2015. 4 iSFOl, Istruzione e formazione professionale: una filiera professionalizzante a.f. 2012-13. 98 risultati ottenuti, attraverso la standardizzazione delle qualifiche. Anche l’irlanda segue un simile approccio di governo del sistema e sin dal 2004 ha introdotto un quadro nazionale delle qualifiche. Pertanto irlanda, Malta e Regno unito sono stati i primi Paesi europei a presentare il loro rapporto nazionale di referenziazione, che metteva in corrispondenza i titoli nazionali con gli otto livelli europei. il Rapporto della Commissione europea sull’attuazione della Raccomandazione EqF5 ha messo in luce che tre Stati membri disponevano già di un quadro nazionale delle qualifiche nel 2008 e quattro Stati membri avevano rapportato i loro sistemi nazionali delle qualifiche all’EqF entro il 2010. Entro giugno 2013, venti Stati membri hanno presentato i loro rapporti nazionali di referenziazione all’EqF. i restanti Paesi (otto Stati membri, quattro Paesi candidati e la Norvegia) hanno previsto di portare a termine il loro processo di riferimento nel 2013-14. Presentazione dei rapporti nazionali di referenziazione all’EQF (prima tappa della Raccomandazione dell’EQF) - 2013 Entro la fine del 2010 FR, IE, MT, UK 2011 BE-vl, CZ, DK, EE, LT, LV, NL, PT 2012 AT, DE, HR, LU 2013 BG, IT, PL, SI invece maggiori ritardi si verificano per l’attuazione della seconda tappa della Raccomandazione EqF, ovvero l’indicazione al livello appropriato del quadro europeo delle qualifiche di tutti i nuovi certificati di qualifica, i diplomi e i documenti Europass rilasciati dalle autorità competenti. Anche in italia si è in presenza di un movimento di ricomposizione delle qualifiche professionali in favore di una maggiore comparabilità a livello nazionale. Attraverso successivi accordi stabiliti nella Conferenza Stato-Regioni6 sono state individuate 22 qualifiche terminali del percorso triennale ed altrettanti diplomi professionali del percorso quadriennale. Alla fine del 2012 l’italia ha licenziato definitivamente il proprio rapporto di referenziazione, che indica a quale degli 8 livelli europei corrispondono i titoli e le qualifiche rilasciate nel nostro Paese7. Presentiamo nelle pagine di seguito la tavola di corrispondenza8: 5 Commissione europea (2013), Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Valutazione del quadro europeo delle qualifiche: attuazione della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente, Bruxelles, 19.12.2013 COM(2013) 897 final. 6 Accordo Conferenza Stato Regioni 27 luglio 2011 - Messa a regime ieFP; Accordo Stato Regioni 19 gennaio 2012 integrazione repertorio qualifiche ieFP. 7 Accordo Stato - Regioni del 20/12/2012. 8 Per ulteriori informazioni sui processi descritti e per scaricare il Rapporto italiano di referenziazione consultare il sito http://www.isfol.it/eqf. 99 LIVELLO EQF TIPOLOGIA DI QuALIFICAZIONE AuTORITÀ COMPETENTE PERCORSO CORRISPONDENTE 1 Diploma di licenza conclusiva del ciclo di istruzione Diploma di qualifica di operatore professionale MIUR/Istruzione MIUR/Istruzione Scuola secondaria di I grado Triennio dell’Istituto professionale 2 3 4 5 6 Certificazione obbligo di istruzione Attestato di qualifica di operatore professionale Diploma professionale di tecnico Diploma liceale Diploma di istruzione tecnica Diploma di istruzione professionale Certificato di specializzazione tecnica superiore Diploma di tecnico superiore Laurea Diploma accademico di primo livello MIUR o Regioni a seconda del canale di assolvimento scelto Regioni Regioni MIUR/Istruzione MIUR/Istruzione MIUR/Istruzione MIUR/Istruzione MIUR/Università MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale Regioni Fine del primo Biennio dei licei, istituti tecnici, istituti prof.li, percorsi di IeFP triennali e quadriennali Percorsi triennali di IeFP Percorsi formativi in apprendistato per il dir.-dov. o percorsi triennali in apprendistato per la qualifica e per il diploma Percorsi quadriennali di IeFP Percorsi quadriennali in apprendistato per la qualifica e per il diploma Percorsi quinquennali dei licei (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorsi quinquennali degli istituti tecnici (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorsi quinquennali degli istituti professionali (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorsi IFTS (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Corsi IFTS (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso triennale (180 crediti - CFU) (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso triennale (180 crediti - CFA) Diploma accademico di specializzazione (II) Diploma di perfezionamento o master (I) Dottorato di ricerca 100 LIVELLO EQF RILASCIATO DA 3 Attestato di Qualifica di operatore professionale TIPOLOGIA DI TITOLO/QuALIFICA 4 Diploma professionale di tecnico Regioni Regioni Da ricordare infine che con il Decreto legislativo No 13 del 2013 è stato regolamentato il repertorio nazionale delle qualifiche, che è costituito da tutti i reper- LIVELLO EQF TIPOLOGIA DI QuALIFICAZIONE AuTORITÀ COMPETENTE PERCORSO CORRISPONDENTE 7 8 Laurea Magistrale Diploma accademico di specializzazione (I) Diploma di perfezionamento o master (I) Diploma accademico di formazione alla ricerca Diploma di specializzazione Master universitario di secondo livello Master universitario di primo livello Diploma accademico di secondo livello MIUR/Università MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale MIUR/Università MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale MIUR/Università MIUR/Università MIUR/Università MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale MIUR/Istituti di alta formazione artistica e musicale Percorso biennale (120 crediti - CFA) Percorso minimo biennale (120 crediti - CFA) Percorso minimo annuale (min. 60 crediti - CFA) Percorso triennale (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso triennale Percorso minimo biennale (120 crediti - CFU) (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso minimo annuale (min. 60 crediti - CFU) (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso biennale (120 crediti - CFU) (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso minimo annuale (min. 60 crediti - CFU) (Percorsi formativi in apprendistato di alta formazione e ricerca) Percorso minimo biennale (120 crediti - CFA) Percorso minimo annuale (min. 60 crediti - CFA) 101 tori dei titoli di istruzione e Formazione codificati a livello nazionale, regionale o di Provincia Autonoma che rispondono a determinati requisiti previsti dal decreto. 9.2.2. L’impatto delle Raccomandazioni europee sul sistema europeo di crediti per l’Istruzione e la Formazione Professionali (ECVET) e sul riconoscimento delle competenze acquisite in contesti non formali ed informali il sistema europeo dei crediti per l’istruzione e Formazione Professionale si è rivelato uno strumento di attuazione piuttosto complessa. il Rapporto di valutazione dell’implementazione della Raccomandazione europea9 afferma che i progetti di mobilità basati su ECVET ritengono che i principali ostacoli al trasferimento dei risultati di apprendimento includono: a) una terminologia diversa per descrivere unità di apprendimento, moduli, crediti, punti di credito e altri elementi pertinenti; b) l’incompatibilità dei sistemi di credito nazionali con ECVET (con conseguente incapacità di utilizzare i punti di credito per trasferire risultati di apprendimento); c) la eterogeneità della qualità dell’offerta formativa e della valutazione. la mancanza di orientamento dei sistemi di istruzione e Formazione nazionali verso ECVET, un quadro giuridico poco sviluppato a livello nazionale (ad esempio per il riconoscimento dei crediti), gli oneri amministrativi e le difficoltà nell’applicare metodologie ECVET sono altre questioni chiave che hanno frenato la volontà dei partecipanti al progetto di utilizzare ECVET come strumento per la futura mobilità. le unità di risultati di apprendimento conseguiti nei progetti di mobilità ECVET avevano più probabilità di essere riconosciute e premiate dove il concetto di unità esisteva anche nel proprio sistema nazionale. Per i progetti di mobilità a breve termine, i documenti organizzativi di ECVET (learning Agreement, Transcript of Records, e Memorandum d’intesa) hanno rappresentato l’elemento più importante di questa iniziativa. in particolare, questi documenti hanno contribuito ad aumentare la fiducia reciproca tra invianti e riceventi e potrebbero potenzialmente favorire una mobilità a lungo termine. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda il riconoscimento delle competenze acquisite in contesti non formali ed informali, che vede i Paesi europei su posizioni molto diverse. Alcuni Paesi hanno predisposto dispositivi di validazione già consolidati e funzionanti “a regime” all’interno del sistema formativo. la scheda seguente descrive il modello di valutazione delle competenze acquisite che è stato sviluppato in Francia. 9 Public Policy and Management institute (2014), Implementation of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training(ECVET), Final report, 2014. 10 la descrizione del modello francese è tratta dal volume dell’iSFOl (1997), Esperienze di validazione dell’apprendimento non formale e informale in Italia e in Europa, a cura di Elisabetta Perulli, iSFOl editore, Roma. 102 LA VALutAzIonE DELLE ComPEtEnzE ACQuISItE In FrAnCIA10 la Francia ha una lunga tradizione in tema di validazione degli apprendimenti non formali e informali e il sistema nazionale di qualifiche è fortemente connesso con il mercato del lavoro. Negli Anni ‘90 è stato introdotto all’interno della legislazione francese il concetto di Validation des Acquis Professionnels (VAP): le persone che avevano almeno cinque anni di esperienza lavorativa potevano essere valutate al fine di ottenere certificazioni e qualifiche ministeriali afferenti all’istruzione secondaria e superiore. Per ottenere la certificazione o il titolo, il soggetto deve produrre un portfolio contenente il dettaglio delle attività svolte e delle competenze esercitate, che viene esaminato da un panel di valutatori che può definire il numero di crediti formativi concessi o il tipo di studi necessario al soggetto per ottenere la qualifica o il titolo richiesto. Nel 2002 il sistema di validazione dell’esperienza lavorativa è stato esteso a tutti i tipi di qualifica e certificazione attraverso il concetto di Validation des Acquis de l’Expérience (VAE). il concetto di VAE pone estrema importanza alla validazione sommativa, ossia all’acquisizione di un titolo o di un diploma piuttosto che a parti o sezioni del percorso formativo. l’accesso alla validazione delle esperienze per il conseguimento di un titolo formale è attualmente un diritto per tutti gli individui che abbiano maturato almeno tre anni di esperienza lavorativa. Allo scopo di predisporre e coordinare il quadro operativo di questa iniziativa nel gennaio del 2002 è stata creata la Commission Nationale de la Certification Professionnelle (CNCP), con il compito di: • attivare ed aggiornare il Répertoire national des certifications professionnelles; • controllare l’adozione della riforma sul sistema dell’istruzione e del mercato del lavoro; • supportare le agenzie e le organizzazioni che si occupano della validazione e degli esami per la qualificazione. il Répertoire national des certifications professionnelles contiene circa 15.000 differenti qualifiche di cui 11.000 universitarie, 700 di secondo livello, 600 certificati di competenze professionali, 800 certificati di competenze aziendali rilasciati dalle imprese e 400 altri certificati rilasciati da organizzazioni diverse. Attualmente, il dispositivo VAE prevede una valutazione condotta da agenzie accreditate (inclusi i Centri per il Bilancio delle Competenze) sulla base di un portfolio delle esperienze presentato dal candidato e controllato attraverso un panel di verifica o una prova pratica. Gli standard di valutazione (référentiels) sono definiti in base al tipo di qualifica e soggetti a modifiche e aggiornamenti. la decisione di rilasciare o meno la qualifica è collegiale e si basa sulla valutazione complessiva delle capacità e delle esperienze dichiarate e possedute dal soggetto. Parallelamente al VAE, il sistema del bilancio di competenze occupa un ruolo importante nel sistema di validazione francese: il bilancio di competenze è un’attività condotta congiuntamente da un soggetto e da uno o più esperti per ricercare, definire e descrivere le competenze comunque da lui acquisite. Nell’ambito del VAE, infatti, il bilancio di competenze serve per individuare le competenze che il soggetto potrà eventualmente sottoporre a verifica e si pone quindi come un passaggio dello stesso processo di VAE. Al termine del bilancio, il consigliere del Centro accreditato elabora un documento di sintesi, in collaborazione con il candidato, che permette di svolgere la verifica delle competenze e di metterla in relazione con gli obiettivi e le aspettative del soggetto. l’approccio individualizzato permette di fornire suggerimenti ed indicazioni per l’accesso ai percorsi formativi e per il riconoscimento di singoli crediti formativi. 103 in italia nel 2005 è stato introdotto Il Libretto Formativo del cittadino11, che costituisce uno strumento pensato per raccogliere, sintetizzare e documentare le diverse esperienze di apprendimento dei cittadini lavoratori nonché le competenze da essi comunque acquisite: nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nella vita quotidiana. il libretto Formativo rappresenta lo strumento chiave per la trasparenza dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Esso si pone come strumento di documentazione trasparente e formalizzata di dati, informazioni, certificazioni, utilizzabile dall’individuo nel suo percorso di apprendimento, crescita e mobilità professionale. Gli obiettivi del libretto sono: • fornire informazioni sul soggetto e sul suo curriculum di apprendimento formale, non formale e informale, per la ricerca di un lavoro, per la mobilità professionale e per il passaggio da un sistema formativo all’altro; • rendere riconoscibili e trasparenti le competenze comunque acquisite e sostenere in questo modo l’occupabilità e lo sviluppo professionale; • aiutare gli individui a mantenere consapevolezza del proprio bagaglio culturale e professionale anche al fine di orientare le scelte e i progetti futuri. Tuttavia la realizzazione di un sistema di riconoscimento delle competenze acquisite rappresenta una strada ancora lunga da percorrere, perché oltre a individuare e rendere trasparenti le competenze acquisite, è necessario introdurre modalità condivise di riconoscimento delle competenze possedute all’interno di un sistema formalizzato di qualifiche. Come si diceva in precedenza (par. 8.1 e 8.2.1), dopo l’emanazione della Raccomandazione europea ECVET sono stati fatti importanti passi in avanti: • attraverso la legge Fornero che, introducendo le Reti territoriali, che comprendono l’insieme dei servizi di istruzione, Formazione e lavoro, inserisce tra le azioni prioritarie il riconoscimento di crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti (lettera b, comma 55, art. 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92). • Attraverso il Decreto legislativo No 13 del 2013, con il quale è stato istituito formalmente il repertorio nazionale delle qualifiche, costituito da tutti i Repertori dei titoli di istruzione e Formazione codificati a livello nazionale, regionale o di Provincia Autonoma. 11 Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, Decreto 10 ottobre 2005, Approvazione del modello di libretto formativo del cittadino. 12 Si veda ad esempio Regione Veneto, Linee guida per la validazione di competenze acquisite in contesti non formali ed informali, 2012. 104 Si sta dunque precostituendo il quadro istituzionale nazionale al cui interno potrà trovare collocazione un compiuto sistema di riconoscimento delle competenze acquisite. il Ministero del lavoro ha predisposto uno schema di decreto ministeriale per definire le relative procedure, d’intesa con le Regioni. Vanno infine ricordate le iniziative regionali, che stanno introducendo sistemi di individuazione e riconoscimento delle competenze acquisite, nel quadro delle politiche attive per favorire il ricollocamento12. 9.2.3. L’impatto della Raccomandazione europea sull’assicurazione di qualità nella IeFP (EQAVET) infine, anche la Raccomandazione europea sull’assicurazione di qualità nell’istruzione e Formazione Professionale si inserisce in un contesto europeo molto differenziato per quanto riguarda lo sviluppo di metodologie di assicurazione di qualità del sistema formativo. rEPErtorIo nAzIonALE DEI tItoLI DI IStruzIonE E FormAzIonE E DELLE QuALIFICAzIonI ProFESSIonALI (art.8, Decreto Legislativo 13/2013) 1. in conformità agli impegni assunti dall’italia a livello comunitario, allo scopo di garantire la mobilità della persona e favorire l’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, la trasparenza degli apprendimenti e dei fabbisogni, nonché l’ampia spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, è istituito il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e Formazione e delle qualificazioni professionali, di cui all’articolo 4, comma 67, della legge 28 giugno 2012, n. 92 2. il repertorio nazionale costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, attraverso la progressiva standardizzazione degli elementi essenziali, anche descrittivi, dei titoli di istruzione e Formazione, ivi compresi quelli di istruzione e Formazione Professionale, e delle qualificazioni professionali attraverso la loro correlabilità anche tramite un sistema condiviso di riconoscimento di crediti formativi in chiave europea. 3. il repertorio nazionale è costituito da tutti i repertori dei titoli di istruzione e Formazione, ivi compresi quelli di istruzione e Formazione Professionale, e delle qualificazioni professionali tra cui anche quelle del repertorio di cui all’articolo 6, comma 3, del testo unico dell’apprendistato, di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, codificati a livello nazionale, regionale o di Provincia Autonoma, pubblicamente riconosciuti e rispondenti ai seguenti standard minimi: a) identificazione dell’Ente pubblico titolare; b) identificazione delle qualificazioni e delle relative competenze che compongono il repertorio; c) referenziazione delle qualificazioni, laddove applicabile, ai codici statistici di riferimento delle attività economiche (ATECO) e della nomenclatura e classificazione delle unità professionali (CP iSTAT), nel rispetto delle norme del sistema statistico nazionale; d) referenziazione delle qualificazioni del repertorio al quadro europeo delle qualificazioni (EqF), realizzata attraverso la formale inclusione delle stesse nel processo nazionale di referenziazione ad EqF. 105 Molto diffusi sono gli strumenti di certificazione, che possono far riferimento alla normativa iSO (molto seguita in italia) oppure al modello EFqM o ad altri simili, che hanno in comune il principio di prestare una grande attenzione ai processi. in irlanda, Danimarca, Finlandia, Olanda, Svezia e Regno unito le strutture scolastiche e formative devono avere per legge un sistema interno di controllo di qualità (EFqM, iSO 9000, od un altro modello). Alcuni di questi modelli possono portare al rilascio di “marchi di qualità”, che certificano al pubblico esterno il possesso di alcuni requisiti. inoltre in irlanda, Danimarca, Olanda e Regno unito esiste un incrocio tra autovalutazione e valutazione esterna. quest’ultima ha varie sfaccettature, e può essere rivolta sia al sostegno delle strutture formative che al loro controllo. in Austria, Romania, Finlandia, ungheria i sistemi di assicurazione di qualità dell’offerta formativa sono stati rafforzati sia potenziando l’autovalutazione, come in Finlandia, sia potenziando il ruolo della valutazione esterna, che viene affidata a nuclei di ispezione. un’altra metodologia di assicurazione di qualità degli erogatori di formazione che viene spesso utilizzata è quella dell’accreditamento. l’accreditamento, secondo il Cedefop, è un processo di garanzia di qualità in base al quale la competente autorità legislativa o professionale riconosce formalmente che un programma di istruzione o Formazione risponde a determinati standard13. Si tratta di una metodologia utilizzata particolarmente quando l’offerta formativa è erogata da soggetti privati. infine quasi tutti i paesi europei hanno sviluppato un sistema di indicatori relativi ai principali aspetti del loro sistema scolastico e formativo, che vengono normalmente utilizzati per monitorare l’evoluzione del sistema, ma possono essere utilizzati anche per premiare le strutture formative più virtuose, come in Finlandia, dove una parte (finora limitata) del finanziamento dei centri di formazione viene legata ai risultati conseguiti. Secondo i risultati di un sondaggio del Segretariato EqAVET e della valutazione esterna richiesta dalla Commissione europea14, più di 20 Stati membri hanno consolidato i loro approcci di garanzia della qualità, e la Raccomandazione EqAVET ha direttamente influito sulla riforma del sistema nazionale in 14 Paesi (BG, Cz, El, hu, hR, MT, RO, FYROM, e BE FR, ES, iT, lV, lT, Sl). la maggior parte degli approcci riguardano sia la formazione iniziale che la formazione continua organizzata a livello istituzionale con finanziamento pubblico. Alcuni di questi Paesi già si basavano su approcci compatibili con la Raccomandazione EqAVET e quindi non hanno avuto bisogno di modificare in modo significativo il loro sistema. 13 CEDEFOP (2008), Terminology of European education and training policy, A selection of 100 key terms, Office for Official Publications of the European Communities, luxembourg. 14 iCF Ghk, Evaluation of implementation of EQAVET Final report, 2013. 106 Ad oggi la maggior parte dei sistemi nazionali di istruzione e di Formazione dell’uE richiede ai soggetti erogatori di istruzione e Formazione Professionale il rispetto di standard di qualità, che fanno parte dell’ordinamento giuridico oppure costituiscono una condizione per ottenere l’accreditamento ed il finanziamento. quasi tutti gli Stati membri raccolgono dati per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei loro sistemi e hanno messo a punto per questo appropriati metodi di rilevazione attraverso questionari e raccolta di dati ed indicatori; inoltre nella maggior parte dei casi gli Stati membri pubblicano le informazioni raccolte sui risultati delle attività di valutazione. Tuttavia, ciò non significa che i processi condotti sono regolarmente riesaminati e che vengono messi in atto piani d’azione per il cambiamento, dato che l’indagine mostra che solo un terzo circa dei Paesi conduce sempre verifiche regolari ed elabora conseguenti piani d’azione15. Per quanto riguarda l’italia, l’organizzazione delle attività di assicurazione qualità dell’istruzione e Formazione Professionale si differenzia fortemente a seconda che tali attività riguardino l’ambito di offerta formativa presidiato dal Ministero dell’istruzione (istituti tecnici e professionali) oppure quello presidiato dalle Regioni (istruzione e Formazione Professionale e Formazione continua). Nell’ambito di offerta formativa presidiato dal Ministero dell’istruzione una novità molto significativa è data dall’Avvio del Sistema Nazionale di Valutazione. 15 European Commission, Report from the Commission to the European Parliament and the Council on the implementation of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training, Brussels, 28.1.2014 COM(2014) 30 final. 16 Allulli G. (2007), la valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, il Mulino, n. 3/2007. L’AVVIo DEL SIStEmA nAzIonALE DI VALutAzIonE Anche in italia è stato finalmente avviato il Sistema Nazionale di Valutazione, dopo alcune sperimentazioni condotte a livello locale (tra queste è stata particolarmente significativa l’attività del Comitato di valutazione della Provincia di Trento, che ha introdotto una attività di autovalutazione sulla base di una serie di indicatori raccolti a livello di scuola, al fine di dare alle scuole la possibilità di confrontarsi con altre scuole; il Comitato di Trento ha introdotto anche la valutazione esterna della scuola, sebbene a livello sperimentale16), ed a livello nazionale (ad esempio il progetto Vales, sviluppato dall’invalsi). il Regolamento n. 80 del 2013 (Regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione in materia di Istruzione e Formazione), che introduce formalmente il sistema di valutazione, e le successive indicazioni ministeriali tengono conto delle esperienze straniere, nonché del dibattito e delle sperimentazioni condotte in questi anni, evitando alcuni dei rischi più comuni; infatti opportunamente specificano: • le finalità della valutazione, che non sono di carattere premiale o punitivo, ma riguardano il miglioramento della qualità del servizio; • l’intreccio tra autovalutazione di istituto (basata sui risultati dei test e sugli indicatori forniti dal Ministero dell’istruzione) e valutazione esterna; 107 Tale sistema riguarda tutti gli ordini e le tipologie di istruzione, e dunque anche gli istituti tecnici e professionali, ed in prospettiva l’istruzione e Formazione Professionale. Non si può affermare che l’istituzione del Sistema Nazionale di Valutazione sia una conseguenza diretta della Raccomandazione EqAVET; casomai essa ha subito un’accelerazione a seguito delle raccomandazioni inviate dall’unione Europea al Governo italiano a seguito della grave crisi economico-finanziaria del 2011. Tuttavia, anche se nel Regolamento n. 80 e nei successivi provvedimenti attuativi mancano riferimenti al modello EqAVET, la filosofia del nuovo sistema di valutazione, indirizzato al miglioramento dell’offerta formativa attraverso un ciclo di valutazione, interna ed esterna, revisione e progettazione degli interventi di sviluppo, è in sintonia con il modello comunitario EQAVEt. Per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali si deve poi ricordare che i Regolamenti relativi ai nuovi ordinamenti dell’istruzione secondaria (comprendenti gli istituti tecnici17 e professionali18), richiamano esplicitamente il Quadro Europeo della qualità introdotto dalla raccomandazione EQAVEt, affermando: “Con successivi decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti...(c) gli indicatori per la valutazione e l’autovalutazione degli istituti tecnici, anche con riferimento al quadro europeo per la garanzia della qualità dei sistemi di istruzione e formazione” (art. 8 del Regolamento). Sul versante che fa più direttamente riferimento alle competenze del MlPS e delle Regioni e Province Autonome, come strategia per assicurare la qualità del- 17 Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 18 Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. • l’integrazione tra analisi quantitativa e qualitativa e tra i diversi strumenti (test ed indicatori) in grado di rappresentare la complessità dell’azione scolastica; • la necessità di tenere in attenta considerazione l’influenza del contesto sociale ed economico; • il raccordo funzionale tra i diversi organismi (invalsi, indire, ispettori), che dovranno interagire sulla base di ruoli chiaramente definiti, con il coordinamento affidato all’invalsi, che dovrà anche predisporre un rapporto annuale. Pertanto, le scuole, sulla base di un modello predisposto dall’invalsi, dovranno raccogliere gli indicatori richiesti, analizzarli e predisporre un Rapporto di Autovalutazione (RAV), che individua anche punti di forza ed aspetti di criticità dell’azione scolastica. A questo deve far seguito la predisposizione e l’attuazione di un piano di miglioramento, al fine di ovviare alle problematiche riscontrate. Ogni anno un campione di scuole viene anche sottoposto a valutazione esterna, da parte di équipe composte da ispettori ed altri esperti opportunamente formati. 108 l’offerta formativa, va rilevata l’introduzione dell’accreditamento delle strutture formative; si tratta di un’attività istituzionale in virtù della quale ogni Regione e Provincia Autonoma definisce le regole e i parametri di servizio e di risultato che dovranno essere conseguiti e mantenuti dalle organizzazioni che concorrono all’erogazione dei servizi formativi utilizzando fondi pubblici. il meccanismo dell’accreditamento, introdotto nel 2001, è concepito come un presidio della qualità delle azioni formative sia preventivo, attraverso l’accertamento del possesso di alcuni requisiti minimi, sia nel corso dell’erogazione degli stessi servizi, prendendo in considerazione il mantenimento dei requisiti inizialmente posseduti. l’intesa Stato-Regioni del 20 marzo 2008, definita in sintonia con il dibattito sulla qualità dell’istruzione e Formazione Professionale sviluppato in sede comunitaria, ha dato il via alla seconda “generazione” dell’accreditamento, i cui obiettivi prioritari sono la promozione, la sensibilizzazione e la valorizzazione dell’accreditamento come strumento per la qualità, con specifica attenzione per la valutazione dell’efficacia ed efficienza dei servizi formativi in termini di esiti occupazionali e risultati di apprendimento. le organizzazioni che forniscono l’offerta formativa accreditata a livello territoriale devono pertanto passare progressivamente da un’ottica prevalentemente attenta agli aspetti gestionali di tipo organizzativo e logistico, all’adozione di un approccio teso a privilegiare la qualità della performance realizzata, ponendo l’accento sui fattori connessi al prodotto formativo e ai suoi effetti, piuttosto che a quelli collegati al processo. l’analisi del nuovo sistema di accreditamento regionale condotta dall’iSFOl ha rilevato che il sistema di accreditamento italiano, ed in particolare l’ultima versione del 2008, utilizza diversi indicatori richiesti dalla Raccomandazione EqAVET. A partire dai risultati dell’analisi comparativa l’iSFOl ha fornito alcuni suggerimenti su come sviluppare il sistema di Formazione Professionale in coerenza con le indicazioni della Raccomandazione EqAVET. Tali suggerimenti rimandano: a) in parte al rafforzamento dei dispositivi regionali di accreditamento: l’analisi ha rilevato un alto grado di coerenza con la Raccomandazione EqAVET, ma rimangono margini di miglioramento con riferimento alla formazione dei formatori (intesa come numero di utenti coinvolti e risorse dedicate), alla rilevazione della soddisfazione da parte delle imprese e degli esiti lavorativi degli utenti, alla prescrizione di procedure strutturate per l’analisi dei fabbisogni; b) all’introduzione e al rafforzamento di dispositivi diversi in relazione all’analisi dei fabbisogni e soprattutto a strumenti di indagini per la rilevazione e la valutazione della soddisfazione di utenti e imprese, degli esiti in termini di successo formativo e occupazionale degli interventi; c) soprattutto alla costruzione e al rafforzamento dei sistemi informativi regionali (con possibilità di raccordo a livello nazionale) per la raccolta di dati sulla Formazione Professionale; in particolare i dati che i sistemi informativi potrebbero raccogliere dai soggetti erogatori sono i seguenti: 109 - possesso da parte della struttura accreditata della certificazione di qualità; - numero di operatori che partecipano a corsi di formazione/aggiornamento e ammontare dei fondi investiti; - tasso di abbandono e tasso di successo formativo; - tasso di inserimento lavorativo; - tasso di inserimento lavorativo coerente; - numero di partecipanti ad eventi formativi appartenenti a categorie vulnerabili. Tuttavia l’iSFOl rileva anche che la Raccomandazione EqAVET e l’accreditamento insistono su ambiti non perfettamente sovrapponibili: • la Raccomandazione inquadra l’assicurazione della qualità nell’intero ciclo di programmazione-gestione-valutazione-revisione, mentre l’accreditamento è un dispositivo per l’accesso al sistema di formazione che verifica ex ante il possesso di alcuni requisiti e la performance degli ultimi anni; • la Raccomandazione fa riferimento tanto alla qualità dei sistemi che alla qualità degli erogatori di ieFP, laddove l’accreditamento copre solo questi ultimi; • la Raccomandazione EqAVET attiene alla qualità sia del sistema d’istruzione sia di quello della Formazione, mentre i dispositivi di accreditamento regolano esclusivamente l’accesso al sistema della formazione di competenza delle Regioni. Ne deriva che l’accreditamento è solo uno dei dispositivi che il Paese può mettere in campo nell’implementazione di dispositivi di assicurazione della qualità in linea con le indicazioni della Raccomandazione EqAVET19. una descrizione complessiva delle strategie nazionali adottate e da adottare riguardo all’attuazione della Raccomandazione sulla qualità è contenuta nel Piano nazionale per la garanzia di qualità del sistema di Istruzione e formazione professionale, elaborato dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, dal Ministero dell’istruzione dell’università e della Ricerca, e dal Coordinamento delle Regioni e Province Autonome con l’assistenza tecnica dell’iSFOl20. il Piano, che è stato predisposto in risposta alle richieste contenute nella Raccomandazione europea, ha presentato un quadro sistematico delle diverse iniziative già in atto sul versante della assicurazione di qualità del sistema di istruzione e Formazione Professionale italiano e degli sviluppi previsti per dare attuazione alle richieste della Raccomandazione europea. 19 iSFOl, Qualità e accreditamento, a cura di Sandra D’Agostino, in Collana isfol Research Paper numero 17 – ottobre 2014. 20 iSFOl, Piano nazionale per la garanzia di qualità del sistema di istruzione e formazione professionale, ottobre 2011. 110 9.3. ConSIDErAzIonI FInALI i risultati della Strategia di lisbona sono oggetto di dibattito tra opinioni discordanti. Per quanto riguarda però gli aspetti più specificamente rivolti all’education si può affermare che, sia pure tra accelerazioni e rallentamenti, la Strategia di lisbona ha prodotto dei frutti importanti per il futuro dei sistemi di istruzione europei. l’attenzione alla valorizzazione e sviluppo del capitale umano, la promozione di un sistema di apprendimento permanente, la ricomposizione tra i sistemi formativi, quello di tipo accademico, quello di tipo scolastico e quello professionalizzante, lo spostamento dell’attenzione dal processo di insegnamento al processo di apprendimento, l’attenzione ai risultati raggiunti piuttosto che al percorso seguito, l’enfasi sulla qualità dei sistemi e dell’offerta formativa, l’integrazione tra politiche della formazione e politiche del lavoro sono elementi fondamentali di una strategia che intende attrezzare i sistemi scolastici e formativi europei ad un futuro nel quale conoscenze e competenze possedute sono destinate a giocare un ruolo sempre più importante, per gli individui e per i sistemi sociali ed economici, mentre i processi di apprendimento saranno sempre più il risultato di molteplici processi, sia formali che informali. la realizzazione di questa strategia deve però confrontarsi con alcuni interrogativi importanti: • il primo, che interessa da vicino il nostro Paese, riguarda l’effettiva capacità del sistema produttivo pubblico e privato di utilizzare e valorizzare il capitale umano a disposizione. Nonostante le molte affermazioni retoriche che si leggono e si ascoltano, i dati a disposizione indicano che non solo l’investimento pubblico e privato nei confronti della Formazione è piuttosto basso e tende addirittura a diminuire anche in quei Paesi dove esiste una più antica e forte tradizione in tal senso, ma anche che le risorse umane, laddove esistono, vengono spesso poco valorizzate e che i percorsi seguiti per la loro selezione e valorizzazione seguono percorsi ben diversi da quello del riconoscimento delle capacità e delle competenze individuali. • il secondo riguarda le perduranti difficoltà di dialogo tra i vari sottosistemi della Formazione: quello universitario, quello scolastico e quello professionalizzante. Differenze istituzionali, legate al diverso quadro di governo, differenze culturali, legate all’eredità di tradizioni secolari, ma anche differenze oggettive, legate ad obiettivi oggettivamente peculiari di ciascun sottosistema rendono problematica l’organizzazione di un sistema unitario e senza barriere interne. • il terzo interrogativo riguarda la declinazione operativa di alcuni concetti chiave, come quello di competenze o quello di credito, la cui applicazione nei diversi sottosistemi incontra a volte difficoltà pratiche difficilmente sormontabili. • il quarto interrogativo riguarda l’esigenza di rimuovere i condizionamenti culturali e sociali che impediscono ad una buona parte della popolazione, quella meno istruita e che maggiormente ne avrebbe invece bisogno, di inserirsi in una logica di aggiornamento ed allargamento continuo delle proprie conoscenze e competenze. 111 Non è dunque un percorso semplice e breve quello che si prospetta ai Paesi dell’unione Europea per realizzare il Processo di lisbona e la successiva Strategia 2020, ed il nostro Paese è tra quelli che partono più arretrati; tuttavia, pur con gli opportuni aggiustamenti ed adattamenti, si tratta del percorso che meglio ci attrezza ad affrontare il futuro. 113 Bibliografia AA. 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Società della conoscenza, capitale umano ed apprendimento permanente . . . . . 7 1.2. Gli obiettivi di Lisbona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.3. Il processo di Copenaghen per l’Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . 12 1.4. Gli strumenti della Dichiarazione di Copenaghen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.5. Il programma Lifelong Learning e le azioni per la mobilità . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2. Verso Europa 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 2.1. Il quadro strategico per la rinnovata cooperazione europea in campo formativo per il decennio 2010-2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 2.2. Lo Youth Guarantee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.3. Il programma Erasmus Plus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 3. I benchmark europei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.1. Un ruolo strategico per gli indicatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.2. Indicatori e benchmark per monitorare il progresso verso gli obiettivi di Lisbona 36 3.3. Sei nuovi benchmark per il 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 4. Il dibattito sulle competenze ed il Quadro europeo delle qualifiche . . . . . . . . 43 4.1. Tra conoscenze e competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 4.2. Le competenze chiave per l’apprendimento permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 4.3. Il Quadro europeo delle qualifiche (EQF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 4.4. Uno strumento per la trasparenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 4.5. Conoscenze e competenze: un dibattito ancora aperto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 5. La raccomandazione sulla qualità dell’Istruzione e Formazione Professionale (EQAVEt) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 5.1. Dal controllo degli input al controllo degli output . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 5.2. I modelli input-output . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 5.3. I modelli basati sui processi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 5.4. La Raccomandazione per l’istituzione di un Quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’Istruzione e della Formazione Professionale . . . . 60 6. Le raccomandazioni europee sul riconoscimento dei crediti (ECVEt) e sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 6.1. La convalida e la certificazione dell’apprendimento pregresso . . . . . . . . . . . . . 65 6.2. Il sistema europeo di crediti per l’Istruzione e la Formazione Professionale (ECVET) 65 116 6.3. Come funziona ECVET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 6.4. La convalida dell’apprendimento non formale e informale . . . . . . . . . . . . . . . . 67 7. Il Fondo Sociale Europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 7.1. Uno strumento per favorire un armonioso sviluppo economico e sociale degli Stati membri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 7.2. La programmazione 2014-2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 7.3. Le risorse disponibili per l’Italia ed i programmi operativi nazionali e regionali 72 8. L’evoluzione dei sistemi educativi europei nel quadro delle sfide di Lisbona . . 77 8.1. Le politiche centrate sull’innovazione di processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 8.1.1. l’estensione della durata dell’istruzione obbligatoria . . . . . . . . . . . . . . . 78 8.1.2. la riforma del curriculum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 8.1.3. Assegnare nuove risorse (specialmente per le aree a rischio) . . . . . . . . . . 82 8.1.4. la riforma della carriera dei docenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 8.2. Le politiche centrate sul controllo dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 9. L’impatto del processo di Lisbona sugli Stati membri europei e sul sistema italiano di Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 9.1. Il riconoscimento del diritto all’apprendimento durante tutto il corso della vita . . 93 9.2. L’impatto delle Raccomandazioni europee sul sistema di Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 9.2.1. l’impatto della Raccomandazione sull’istituzione di un quadro europeo delle qualifiche (EqF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 9.2.2. l’impatto delle Raccomandazioni europee sul sistema europeo di crediti per l’istruzione e la Formazione Professionale (ECVET) e sul riconoscimento delle competenze acquisite in contesti non formali ed informali . . 101 9.2.3. l’impatto della Raccomandazione europea sull’assicurazione di qualità nella ieFP (EqAVET) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 9.3. Considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 BIBLIogrAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 InDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. 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Rapporto finale, 2015 Allulli G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 118 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 119 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRiSANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- 120 prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NiCOli D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SAlATiNO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 121 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Aprile 2015

La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione

Autore: 
Luca Dordit
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2014
Numero pagine: 
220
Codice: 
978-88-95640-66-2
Luca DorDit La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione Anno 2014 Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’ANDrEA: Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila DrAzzA: Sede Nazionale CNoS-FAP – Ufficio Metodologico-tecnico-Didattico. FiAt GroUPAutomobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALiqUò, Gianni BUFFA, roberto CAVAGLià, Egidio CiriGLiANo, Luciano CLiNCo, Domenico FErrANDo, Paolo GroPPELLi, Nicola MErLi, roberto PArtAtA, Lorenzo PirottA, Antonio Porzio, roberto SArtorELLo, Fabio SAViNo, Giampaolo SiNtoNi, Dario rUBEri. ©2014 By Sede Nazionale del CNoS-FAP (Centro Nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 roma tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 5 Parte i LA VALUTAZIONE INTERNA ED ESTERNA DEI CFP E IL NUOVO SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1. La valutazione delle istituzioni scolastiche e formative nello scenario oCSE . . . . 13 2. il quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale (EqArF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 3. il sistema di valutazione nazionale ed il progetto VALeS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 4. Elementi di un framework per la valutazione dei CFP coerente con le recenti politiche nazionali ed europee di settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 5. risultati di una prima ricognizione sulla sostenibilità del framework presso un panel di testimoni privilegiati ed operatori del CNoS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 Parte ii VALUTAZIONE DELLA PROFESSIONALITÀ E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE DEI FORMATORI CNOS-FAP introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 1. La figura dell’insegnante al centro dell’attività di analisi e ricerca sul piano internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 2. La valutazione della performance di insegnanti e formatori nello scenario oCSE 119 3. rassegna di alcuni scenari nazionali significativi in ambito europeo . . . . . . . . . . 125 4. Profili e standard professionali differenziati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 5. Elementi di un framework per la valutazione dei formatori dei CFP coerente con le recenti politiche nazionali ed europee di settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 6. Accountability e sistemi educativi: connessioni tra valutazione dei formatori ed ulteriori elementi concorrenti allo sviluppo della professionalità dell’insegnante . 195 7. risultati di una prima ricognizione presso testimoni privilegiati ed operatori CNoS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211 3 5 INTRODUZIONE A livello internazionale si riscontra oggi un diffuso riconoscimento del fatto che i sistemi di valutazione e di assessment siano da considerare elementi determinanti per la costruzione di sistemi educativi più efficaci ed al tempo stesso più equi. in particolare, vi è consenso sul ruolo giocato da due dimensioni chiave, rappresentate da un lato dal grado di accountability espressa dai sistemi verso l’esterno e dall’altro dallo sviluppo e dal miglioramento progressivo generato al proprio interno (improvement). La valutazione dei sistemi educativi è diventata pertanto di importanza cruciale per garantire un’istruzione di qualità per tutti, coerente con il principio di equa eguaglianza di opportunità, in un contesto in cui la “mercatizzazione” dei servizi formativi tende ad assumere forme progressivamente più diffuse in Europa. A partire dal 2009 l’oCSE ha promosso un programma, denominato Review on Evaluation and Assessment Frameworks for Improving School Outcomes, che articola l’analisi dei sistemi valutativi in quattro ambiti principali. Le sfere che interagiscono per dar vita ad un modello integrato di valutazione comprendono: l’accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti (student assessment), la valutazione della performance degli insegnanti (teacher appraisal), la valutazione delle istituzioni educative (school evaluation) ed infine la valutazione complessiva del sistema educativo (system evaluation). il lavoro che di seguito si presenta prende in considerazione due degli ambiti citati che, nella prospettiva della Formazione Professionale, rinviano alla valutazione di sistema dei CFP ed alla valutazione dei formatori. LA VALUTAZIONE DI SISTEMA DELLE ISTITUZIONI FORMATIVE Nel nostro Paese lo sviluppo di sistemi integrati per la valutazione delle istituzioni formative ha assunto negli anni recenti un nuovo impulso che si è tradotto in approcci metodologici sempre più multidimensionali. La pluralità di aspetti su cui concentrare l’attenzione si basa su un dato imprescindibile: la realtà dei CFP si presenta come fortemente complessa e la qualità va misurata conseguentemente considerando che si tratta di un costrutto multidimensionale. il processo di affinamento dei modelli, dispositivi e strumenti valutativi, anche per la VEt, si svolge sullo sfondo di un quadro in rapido cambiamento, anche grazie alla nascita del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV). Con il DPr n. 80 6 del 28 marzo 2013 il nostro Paese si è dotato di un regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione, precedentemente delineato nella Legge n. 10 del 26 febbraio 2011. Già nel corso del 2010, l’iNVALSi aveva messo a punto il Quadro di riferimento della valutazione del sistema educativo – corredato di un set di indicatori di riferimento – il cui fondamento concettuale è rappresentato dal modello CiPP (Contesto, input, Processi, Prodotti-risultati). Limitandoci al settore specifico della Formazione Professionale, nel corso del 2009 il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno approvato la raccomandazione per la definizione di un “Quadro europeo per l’assicurazione di qualità dell’Istruzione e Formazione Professionale” (EqVAL/EqArF), che propone un modello di riferimento articolato in quattro fasi progressive: Pianificazione, Valutazione, Attuazione e revisione. L’introduzione dell’EqArF rappresenta un elemento di pressione su diversi sistemi nazionali e regionali della VEt, perché ripensino i modelli valutativi adottati, reinterpretando i processi ed i risultati formativi cui danno luogo all’interno di un ciclo continuo di miglioramento della performance. Alla luce del quadro sinteticamente richiamato, la prima parte del rapporto di ricerca si propone di delineare gli elementi portanti di un modello integrato di autovalutazione degli organismi formativi, coerente con il Quadro europeo di assicurazione della qualità e con il dispositivo messo a punto dall’iNVALSi, considerando gli esiti del dibattito scientifico che si è andato sviluppando nelle principali sedi internazionali. Si tratta quindi di un framework illustrato nelle sue coordinate generali, utile ad orientare lo sviluppo in chiave sistemica ed integrata delle pratiche di valutazione interna ed esterna dei Centri di Formazione Professionale ed al tempo stesso coerente con i cambiamenti intervenuti recentemente nelle policy di settore sul piano nazionale ed europeo. Complessivamente, l’approccio adottato procede per linee generali, non rientrando tra gli scopi del rapporto di ricerca un’analisi nel dettaglio. La trattazione si concentra da un lato su una serie di linee di tendenza ampiamente condivise a livello internazionale, dall’altro sulla sintetica descrizione dei principali elementi portanti propri del modello proposto, articolati per aspetti chiave e comprendenti diversi set di indicatori e descrittori. A tale proposito, l’approccio sotteso al contributo potrebbe essere definito a ragione di tipo ostensivo. in tale prospettiva, la scelta di mantenere l’analisi su una prospettiva orientativa fa sì che le esemplificazioni precisate per ciascun elemento del modello rinvieranno per lo più ad una gamma differenziata di dispositivi, indicatori e descrittori, accomunati dall’essere impostati su comuni criteri guida. in tutti i casi il materiale presentato proviene da una serie di buone pratiche esistenti, individuate in ambito nazionale ed internazionale. Ci si è proposti di verificare inoltre, ad un livello orientativo e limitato nel numero di interlocutori, alcune prime reazioni alla proposta, mediante la realizzazione di interviste a testimoni privilegiati. 7 LA VALUTAZIONE DEI FORMATORI Lo sviluppo della valutazione delle istituzioni scolastiche e formative ha accresciuto l’esigenza di introdurre, inoltre, più precisate modalità di valutazione degli insegnanti e dei formatori, intese come parte essenziale della valutazione di un’istituzione formativa e del funzionamento del sistema di Formazione Professionale. Sul piano comunitario, le più recenti ricerche del Cedefop hanno delineato il campo della riflessione, evidenziando in proposito la natura ambivalente dei meccanismi di valutazione dei formatori. Ci si riferisce alla duplice questione della legittimità e degli usi della valutazione dei formatori, intesi di volta in volta come strumento di controllo e misurazione della performance (anche ai fini di un avanzamento di carriera o di status), oppure come strumento di riconoscimento e valorizzazione delle competenze professionali presenti nel sistema formativo. La tematica del riconoscimento e della validazione delle competenze dei formatori va affrontata tenendo in considerazione inoltre la raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 20 dicembre 2012, riguardante la convalida degli apprendimenti acquisiti in contesto non formale ed informale. È risaputo, infatti, che nel settore della VEt una parte degli skill che compongono la figura professionale del formatore, così come la progressione dei livelli di padronanza associati alle competenze, sono sovente il risultato di processi di apprendimento che eccedono i canali della formazione in contesto formale. Per tale ragione, i sistemi di valutazione loro applicati devono essere in grado di dar conto efficacemente delle acquisizioni associabili alla dimensione del non formale. in considerazione degli sviluppi cui si è fatto cenno, si rende opportuno esplorare le finalità ed i possibili quadri di riferimento della valutazione dei formatori – anche in chiave comparata sul piano internazionale – per individuare modalità, condizioni e percorsi da sperimentare eventualmente anche nel nostro Paese. Lo scopo generale è quello di valorizzare il ruolo professionale, culturale e sociale del personale formativo, promuovendo al contempo una sempre maggiore qualità del servizio educativo. Lo studio che si presenta nella seconda parte del rapporto di ricerca si propone pertanto di delineare gli elementi centrali di un modello per il riconoscimento e la validazione delle competenze dei formatori operanti nella ieFP, orientato al miglioramento del servizio ed allo sviluppo professionale. Anche in questo caso, come già era accaduto per la valutazione dei CFP, si intende introdurre e discutere un quadro di riferimento di carattere generale, in termini di framework. il dispositivo proposto vuole risultare utile ad orientare lo sviluppo, in chiave sistemica, delle pratiche di valutazione della performance dei formatori da parte dei CFP, coerente con i cambiamenti intervenuti recentemente nelle policy di settore sul piano nazionale ed europeo. Lo sviluppo dell’argomentazione muove da una serie di elementi ampiamente condivisi sul piano internazionale, per giungere alla sintetica descrizione delle prin8 cipali componenti del dispositivo, con una focalizzazione sugli aspetti strutturali e la presentazione diversi set di indicatori e descrittori che ne mostrino le possibilità applicative in campo valutativo. Anche nel caso della valutazione dei valutatori, i dispositivi e gli strumenti portati ad esempio risultano molteplici e differenziati per ciascun elemento del framework, rinviando a diverse possibilità applicative. Ci si è inoltre proposti di sondare, in prima approssimazione, la rispondenza della proposta presso gli operatori, grazie all’effettuazione di un set di interviste a testimoni privilegiati. PARTE I La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo Sistema Nazionale di Valutazione Convergenze, specificità e prospettive in relazione alle recenti politiche nazionali ed europee sulla qualità della VET 11 Introduzione La valutazione dei sistemi educativi è diventata di importanza sempre più cruciale per garantire un’istruzione di qualità per tutti, in un contesto in cui la “mercatizzazione” dei servizi formativi tende ad assumere forme progressivamente più diffuse in Europa. A partire dal 2009 l’oCSE ha promosso un programma che interessa direttamente il mondo formativo, denominato Review on Evaluation and Assessment Frameworks for Improving School Outcomes, che prevede 4 ambiti principali di valutazione: l’accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti (student assessment), la valutazione della performance degli insegnanti (teacher appraisal), la valutazione delle istituzioni educative (school evaluation), la valutazione complessiva del sistema educativo (system evaluation). Nel nostro Paese lo sviluppo di sistemi integrati per la valutazione di sistema della sfera dell’education ha assunto negli anni recenti un nuovo impulso che si è tradotto in approcci metodologici sempre più multidimensionali. Dal punto di vista della valutazione delle istituzioni formative, infatti, questa pluralità è un dato imprescindibile: la realtà dei CFP si presenta come complessa e la loro qualità va misurata come un costrutto multidimensionale. Nel corso del 2010, l’iNVALSi ha pubblicato il “quadro di riferimento della valutazione del sistema educativo”. il riferimento concettuale sotteso è il modello CiPP (Contesto, input, Processi, Prodotti-risultati), con la produzione di un set di indicatori di riferimento. relativamente alla valutazione delle istituzioni formative, particolare importanza assume la rilevazione del “valore aggiunto” fornito da un organismo formativo, in termini di accrescimento degli apprendimenti e delle competenze degli studenti. Nel 2009 il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno approvato la raccomandazione per la definizione di un “Quadro europeo per l’assicurazione di qualità dell’Istruzione e Formazione Professionale” (EqArF), che propone un modello di riferimento per le attività di istruzione e Formazione Professionale che si articola in quattro fasi: Pianificazione, Valutazione, Attuazione e revisione. Proprio l’introduzione dell’EqArF obbliga oggi il sistema di ieFP a ripensare il rapporto tra valutazione interna e valutazione esterna, in funzione di dar vita a un ciclo continuo di miglioramento della performance nelle singole realtà organizzative. Lo studio che di seguito si presenta si propone di delineare gli elementi portanti di un modello integrato di autovalutazione degli organismi formativi coerente con il quadro europeo di assicurazione della qualità EqArF e con il modello messo a punto da iNVaLSi, nel quadro del dibattito scientifico che si è andato sviluppando nelle principali sedi internazionali. 12 Ci si riferisce pertanto alla proposta di un quadro di riferimento, di carattere generale, utile ad orientare lo sviluppo in chiave sistemica ed integrata delle pratiche di valutazione interna ed esterna dei Centri di Formazione Professionale, coerente con i cambiamenti intervenuti recentemente nelle policy di settore sul piano nazionale ed europeo. Complessivamente, l’approccio adottato procede per linee generali, non rientrando tra gli scopi del rapporto di ricerca un’analisi nel dettaglio del sistema di valutazione. La trattazione si concentrerà quindi da un lato su una serie di linee di tendenza ampiamente condivise a livello internazionale, dall’altro sulla sintetica descrizione dei principali elementi portanti propri del modello, articolati per aspetti chiave e comprendenti diversi set di indicatori e descrittori. A tale proposito, l’approccio sotteso al contributo potrebbe essere definito a ragione di tipo ostensivo. in tale prospettiva, la scelta di mantenere l’analisi su una prospettiva orientativa fa sì che le esemplificazioni precisate per ciascun elemento del modello in alcuni casi rinvieranno ad una gamma differenziata di dispositivi, indicatori e descrittori, accomunati dall’essere impostati su comuni criteri guida. in tutti i casi il materiale esaminato proviene da una serie di buone pratiche esistenti, individuate in ambito nazionale ed internazionale. infine, ci si è proposti di verificare la rispondenza e l’accettabilità del modello generale presso un campione di CFP, mediante la realizzazione di interviste a testimoni privilegiati. 13 1. La valutazione delle istituzioni scolastiche e formative nello scenario OCSE 1.1. VALUTAZIONE DELLE ISTITUZIONI EDUCATIVE TRA PROSPETTIVE DI ACCOUNTABILITY E DI MIGLIORAMENTO CONTINUO Le pratiche di valutazione e di assessment entro i sistemi educativi costituiscono un oggetto relativamente recente nella riflessione condotta dai principali organismi internazionali che operano nel campo della ricerca nella sfera dell’education1. Limitandoci ai lavori condotti dall’oCSE indirizzati alla valutazione della scuola di grado primario e secondario nel corso dell’ultimo decennio, è possibile individuare un percorso di graduale ampliamento del campo di analisi e della formulazione di indicazioni di policy. Partendo dalla messa a punto di strumenti per l’assessment dei risultati di apprendimento degli studenti si giunge, per tappe distinte e progressive, sino alla presa in considerazione dei sistemi di istruzione e di Formazione Professionale nel loro insieme. questi ultimi sono divenuti oggetto di indagini sistematiche mediante l’analisi puntuale dei diversi scenari nazionali, che ad oggi presentano un quadro fortemente eterogeneo, oltre che essere posti al centro di proposte di policy mediante la formulazione di possibili linee di sviluppo in vista della definizione, implementazione ed utilizzo di efficaci e coerenti sistemi di valutazione ed assessment a livello sistemico. in tale ambito di analisi, va richiamata, in ordine di tempo, la recente ricerca internazionale sulla valutazione delle istituzioni scolastiche che si propone di ricostruire le più significative pratiche adottate presso i Paesi membri dell’organizzazione, sia sul versante della valutazione interna di istituto che della valutazione esterna svolta ad opera di organismi governativi o di agenzie e authority indipendenti2. in tale filone rientra anche il più recente filone centrato sulla valutazione del valore aggiunto, tesa a misurare l’impatto delle singole istituzioni scolastiche e formative sui risultati conseguiti dagli studenti, costruite in modo da isolare il contributo della singola istituzione scolastica dai fattori di carattere socio-economico che influenzano gli apprendimenti degli allievi. A tale riguardo si segnala il lavoro interdisciplinare Measuring Improvements in Learning Outcomes: Best Practices to Assess the Value-Added of Schools3. Ulteriori analisi settoriali promosse dal- 1 i termini evaluation ed assessment vengono comunemente impiegati come sinonimi, tuttavia nel lavoro qui presentato si utilizza la distinzione introdotta da Harlen, secondo la quale assessment è usato in relazione al processo di decisione, raccolta e formulazione di giudizi su evidenze collegate al raggiungimento di particolari obiettivi di apprendimento da parte degli studenti, mentre con evaluation si intende il medesimo processo applicato a sistemi, programmi, procedure e processi (Harlen, 2007). 2 Faubert, 2009. 3 oECD, 2008. 14 l’oCSE riguardano il programma tALiS (Teaching and Learning International Survey), diretto ad esplorare le componenti chiave che attengono ai processi di insegnamento e di apprendimento, oltre ai progetti che a partire dal 2003 si sono concentrati sulla valutazione del grado di equità assicurato dai sistemi educativi4. A partire dalla fine del 2009 l’oCSE lancia un nuovo programma che interessa il mondo della scuola primaria e secondaria. il programma, denominato Review on Evaluation and Assessment Frameworks for Improving School Outcomes, si colloca sul piano della valutazione dei sistemi educativi intesi come unità integrate al cui interno figurano elementi interrelati, riconducibili a piani distinti, quali l’accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti (student assessment), la valutazione della performance degli insegnanti (teacher appraisal), la valutazione delle istituzioni scolastiche (school evaluation) ed infine la valutazione complessiva del sistema educativo (system evaluation). i sistemi, come tali, non sono riassumibili nella somma degli effetti prodotti dalle loro singole componenti e per tale ragione necessitano di un modello unitario e sistemico (framework for evaluation and assessment). 5 il framework funge da quadro di riferimento per i processi di progettazione dell’impianto valutativo generale, oltre che per l’implementazione coerente e quanto più possibile integrata dei suoi elementi portanti e per l’utilizzo efficace dei risultati, ivi compresa la loro comunicazione e discussione presso l’intera rete degli stakeholder. il programma si propone di fornire agli Stati membri sia un quadro di analisi sullo stato dell’arte rinvenibile entro i diversi contesti nazionali/sub-nazionali, sia adeguate indicazioni in vista della definizione di più efficaci policy di settore. A livello internazionale si riscontra un diffuso riconoscimento sul fatto che i sistemi di valutazione e di assessment possano essere intesi come elementi chiave per la costruzione di sistemi educativi più efficacemente rispondenti alle funzioni formative, educative e socializzanti ed al tempo stesso maggiormente equi sotto il profilo di un’equa possibilità di accesso e nella fruizione delle opportunità di apprendimento. L’attività valutativa nelle sue diverse forme tende pertanto ad essere sempre meno intesa come un fine in sé, quanto piuttosto alla stregua di uno strumento per conseguire un più alto livello di risultati da parte della popolazione studentesca, grazie ad un miglioramento della performance delle istituzioni scolastiche e formative. tale centratura sugli esiti di apprendimento, rispetto ai quali diversi attori, ambiti e livelli entrano in gioco in un rapporto integrato, rappresenta la prospettiva di fondo con cui sempre più si guarda ai sistemi educativi. Ne deriva come corollario un’accresciuta attenzione per le dimensioni di accountability verso l’esterno e di sviluppo e miglioramento dei sistemi al proprio interno (improvement). in generale, i modelli di valutazione e di assessment impiegati nei diversi contesti nazionali (o 4 Per un inquadramento sul tema nel quadro dei Paesi oCSE si consulti: Field, Kuczera e Pont, 2007. 5 Santiago e Benavides, 2009. 15 sub-nazionali, nel caso le competenze siano devolute a tale livello) rispondono quindi a due distinte finalità tra loro interconnesse. Da un lato l’attività valutativa consente ai sistemi di rendere conto dei risultati ottenuti e del livello di qualità prodotta, considerata sia nel complesso, che generata dai diversi attori coinvolti, dall’altro i medesimi attori sono spinti a far evolvere le politiche o le pratiche adottate sulla base dei risultati ottenuti dall’opera di valutazione. 1.2. ALCUNE TENDENZE GENERALI EMERGENTI DALL’ANALISI DEI PROCESSI DI RIFORMA IN CORSO NEI PAESI OCSE Ciascun Paese oCSE presenta un contesto ricco di peculiarità e può pertanto rappresentare, considerato nel complesso, un unicum frutto di molteplici fattori che influenzano il sistema di valutazione e di assessment di volta in volta adottato ed implementato. Nonostante le profonde differenze ora richiamate, possono essere individuate una serie di comuni processi di riforma, diretti a sviluppare policy adeguate ed efficaci nel campo della valutazione ed assessment dei sistemi educativi, rispetto ai quali ciascun Paese si caratterizza per una peculiare strategia di affrontamento e per le specifiche soluzioni messe a punto. Di seguito si riassume il quadro generale che può essere ricavato dai risultati cui è giunta l’analisi svolta dall’oCSE negli anni recenti, muovendo dai molteplici programmi di ricerca realizzati. Per motivi di chiarezza espositiva, la trattazione seguirà l’articolazione del quadro di riferimento per la valutazione ed assessment dei sistemi educativi articolato nelle quattro dimensioni richiamate in precedenza. Nell’ambito della school evaluation si distingue un orientamento progressivo verso la ricerca di un più stretto raccordo tra la valutazione esterna ed interna delle istituzioni scolastiche. Negli anni recenti in ambito oCSE si è assistito ad un processo di progressiva acquisizione di rilevanza della cosiddetta valutazione interna delle istituzioni scolastiche, che in precedenza erano sottoposte quasi esclusivamente ad una valutazione esterna, tesa a riscontrare prevalentemente la loro conformità rispetto alle politiche e procedure stabilite a livello centrale (Faubert, 2009). La valutazione interna pone l’accento su processi di autodiagnosi ed autovalutazione, intesi come parte di una più complessiva strategia diretta ad individuare margini di miglioramento ed a porre in atto azioni adeguate per un loro conseguimento (improvement). Anche in conseguenza del crescente livello di autonomia riconosciuto alle scuole negli attuali sistemi di governance praticati presso i Paesi oCSE, il ruolo della valutazione esterna è oggi inteso sempre più in stretto raccordo con le forme di valutazione interna, con conseguenze dirette sugli obiettivi di policy. All’autovalutazione è riconosciuto il carattere di rispondenza agli specifici bisogni delle istituzioni scolastiche ed insieme di tempestività nella raccolta degli elementi informativi, così come di utilità effettiva nella predisposizione di piani di miglioramento rispondenti ai reali bisogni. 16 D’altro canto la valutazione esterna è andata gradualmente perdendo la connotazione di mero esercizio di controllo, spesso della conformità a criteri di natura esclusivamente formale, per vedere valorizzati i suoi benefici derivanti dalla maggiore distanza rispetto alle dinamiche interne alle scuole. tale prospettiva favorisce infatti una maggiore assunzione di responsabilità nei confronti dei portatori di interesse ed al contempo un’interpretazione maggiormente imparziale dei dati di evidenza raccolti, con la conseguente garanzia di un livello di accresciuta rigorosità nel processo valutativo. La valutazione esterna, considerata in questa nuova prospettiva, pone una serie di questioni che attengono al piano delle policy e si concentrano prevalentemente su questioni quali: chi debba valutare, quale sia l’oggetto della valutazione ed in quali forme venga attuata, oltre che il modo in cui i risultati debbano essere comunicati e divenire oggetto del dibattito pubblico. Per tali motivi il criterio della chiarezza, applicata agli obiettivi, procedure ed utilizzo dei risultati, è ritenuto sempre più centrale nello sviluppo delle policy di settore (Janssens e Van Amelsvoort, 2008). Le conseguenze della valutazione esterna variano ampiamente tra i Paesi. in caso di esito negativo le scuole possono essere soggette a raccomandazioni informali, come nel caso dell’irlanda o dell’islanda, oppure perdere il diritto al finanziamento, come nel Belgio fiammingo e nella repubblica Ceca. in alcuni altri Paesi, come l’olanda o il regno Unito, l’accountability è intesa soprattutto in funzione di un rafforzamento del controllo degli utenti più che con l’intento di comminare effettivamente misure sanzionatorie. in alcuni Paesi oCSE la possibilità di accedere pubblicamente ai dati sulla performance ottenuta dalle scuole rappresenta un obbligo giuridico, associato alla richiesta di accountability cui il sistema scolastico deve rispondere. Negli anni recenti in gran parte dei contesti nazionali quella dell’accesso ad un’informazione credibile ed affidabile è divenuta pertanto una delle questioni centrali nel dibattito non solo specialistico, ma nel discorso pubblico in genere. il principio da cui muove tale tendenza è che la misurazione e successiva pubblicizzazione dei risultati degli esiti di apprendimento degli studenti su base comparativa possa spingere le scuole a migliorare la propria performance, facendo derivare da un accresciuto livello di trasparenza ed accountability un conseguente miglioramento della qualità educativa prodotta dalle istituzioni scolastiche. La riflessione recente ha messo in luce come vi siano numerosi aspetti problematici nell’adozione di un tale approccio. qualora si limiti l’attenzione sui risultati di apprendimento ai soli test standardizzati, come sovente accade, va tenuto presente che le prove da un lato non sono in grado di rilevare fattori che esulano dall’influenza della scuola, dall’altro si sono dimostrate scarsamente adeguate nel porre a fuoco l’intero spettro degli obiettivi di apprendimento. inoltre, come si è osservato in precedenza, la struttura della valutazione sommativa si è riscontrato avere effetti diretti e involontari sulla stessa attività di insegnamento e di apprendimento, determinando un’eccessiva concentrazione sullo sviluppo di skill funzionali al superamento delle prove ed una contra17 zione corrispondente di significative porzioni del curricolo (Visscher et alii, 2000). il ricorso a modelli del valore aggiunto ha contribuito in larga misura ad attenuare le criticità sottolineate, consentendo di indagare in modo rigoroso il contributo che la scuola e le sue diverse componenti forniscono al progresso negli apprendimenti di individui e gruppi. Ciononostante, la necessità di sistemi impostati sulla raccolta di informazioni complementari nel processo di valutazione, mediante un allargamento della base delle evidenze raccolte ed una maggiore considerazione dei fattori che possano esercitare un’influenza sulla performance degli studenti, è divenuto un elemento sempre più centrale nelle definizione delle politiche valutative applicate alla scuola in ambito oCSE. La tendenza attuale vede uno sforzo comune nello sviluppare una più ampia strategia che utilizzi i risultati della valutazione, in alcuni Paesi diffusi pubblicamente sotto forma di ranking, in funzione di una crescita dei sistemi educativi ed evitando insidiose forme di disequilibrio nella pratica formativa. Ciò anche al fine di mantenere le scuole in uno stato di tensione al miglioramento sull’intero spettro degli obiettivi educativi e formativi, quale che sia l’esito ottenuto dai propri studenti nei test standardizzati. Sempre più spesso le attività legate alla raccolta ed all’analisi dei dati derivanti dai diversi tipi di assessment cui vengono sottoposti gli studenti, insieme alla rilevazione su ulteriori indicatori, quali ad esempio la rilevazione del livello di soddisfazione dei diversi portatori di interessi, sono entrati a far parte degli attuali quadri di riferimento per la valutazione delle istituzioni scolastiche. in alcuni Paesi si ricorre all’utilizzo di specifici tool che forniscono a dirigenti, insegnanti e famiglie, indicazioni circa i risultati degli studenti nei test standardizzati, incrociandoli con i dati sulle condizioni socio-economiche degli allievi, favorendo in tal modo l’individuazione di ambiti problematici in relazione ai processi di insegnamento e di apprendimento ed alla performance della scuola intesa in termini complessivi. in altri Paesi, come si è già richiamato, gli esiti delle prove vengono utilizzati in funzione formativa in vista di una ricognizione delle aree di criticità e di un conseguente potenziamento della preparazione. Sullo sfondo si registra una preoccupazione espressa dal corpo insegnante circa il proprio livello di conoscenze necessarie ad analizzare ed interpretare in modo appropriato i dati relativi alle performance degli studenti. Per tale ragione si scorge la tendenza a predisporre interventi adeguati a livello di policy affinché il personale della scuola impegnato nei processi valutativi venga formato adeguatamente, in modo da possedere le skill necessarie per la raccolta, analisi ed interpretazione dei dati. Si tratta in tal modo di consentire che i risultati della valutazione possano essere correttamente compresi e costituire la base di evidenza per la programmazione delle politiche di sviluppo delle istituzioni scolastiche. i programmi formativi interessano al momento in prevalenza i dirigenti di istituto e gli insegnanti con funzioni di supporto alla direzione nei processi di valutazione. La formazione del personale della scuola sui temi della valutazione è compresa ad esempio nei programmi di formazione in servizio sia in 18 alcuni Länder della Germania, che in diverse Comunità Autonome regionali in Spagna ed a livello di municipalità in islanda, Norvegia ed Ungheria. in Austria il Pädagogischen Institute per la formazione in servizio ha la competenza per la predisposizione di corsi rivolti sia ai docenti che ai dirigenti d’istituto. 1.3. RASSEGNA DI ALCUNI SCENARI NAZIONALI SIGNIFICATIVI IN AMBITO EUROPEO (ISTITUZIONI FORMATIVE) 1.3.1. Inquadramento generale Nel contesto dell’Unione Europea, l’analisi dei sistemi nazionali di accreditamento delle istituzioni formative si è innestata recentemente ai processi di promozione della trasparenza e della qualità della Formazione Professionale in funzione della mobilità a fini formativi. Nella figura seguente (cfr. Fig. 1) si riporta lo schema generale tratto da una delle principali ricerche compiute dal Cedefop negli anni recenti, con indicati compiti e funzioni attribuiti sia alle istituzioni formative che agli Enti competenti per i processi di accreditamento, così come si presentano in larga parte dei Paesi europei. Nella maggioranza dei casi esaminati dal Cedefop, si può osservare come all’organismo di accreditamento si richieda in primo luogo di elaborare i criteri e le norme che devono essere soddisfatte dal provider della VEt per superare il vaglio della valutazione esterna. A tale riguardo, gli Enti accreditanti predispongono specifiche linee guida. Benché i criteri e le norme di riferimento per l’accreditamento varino ampiamente tra diversi Paesi o in relazione allo specifico campo della Formazione, tuttavia si scorgono alcuni elementi centrali comuni che possono fungere da riferimento, anche in una logica di benchmarking. Circa i criteri e gli standard da rispettare, normalmente vengono definiti sistemi di requisiti minimi, in alcuni casi accompagnati da requisiti per raggiungere gradi o livelli di eccellenza. Secondo i risultati della ricerca promossa dal Cedefop per la Commissione Europea, si può affermare che un presupposto per le procedure di accreditamento esaminate nello scenario comunitario è costituito da forme, pur differenziate, di autovalutazione interna della VEt e/o l’implementazione di un sistema di gestione interna della qualità. in una parte dei casi, i sistemi interni di assicurazione della qualità gestiti dalle istituzioni formative devono tener conto obbligatoriamente di criteri e standard definiti dall’organismo esterno di accreditamento, anche se i provider sono in genere liberi di progettare il loro sistema interno di qualità in base alle loro specifiche esigenze. Successivamente alla presentazione della richiesta di accreditamento all’organismo competente, il processo di controllo prevede, anche in questo caso con una pluralità differenziata di approcci, una forma di valutazione esterna. in un certo numero di Paesi, compresi la Danimarca, l’irlanda, i Paesi Bassi e il regno Unito, l’autovalutazione sulla base documentale redatta dai provider della VEt è utiliz19 zata come punto di partenza per la valutazione esterna. Nella maggior parte dei casi non è necessario che l’organismo accreditante effettui la valutazione esterna direttamente con proprie risorse. Solitamente tale compito è delegato ad un gruppo di esperti esterni di sistemi formativi. A volte l’équipe di esperti indipendenti comprende anche i pari (peer), ossia i rappresentanti di altri VEt provider che operano nel medesimo campo. Ulteriori membri del gruppo di valutazione possono essere costituiti dalle parti sociali, da rappresentanti degli allievi, da organizzazioni di settore o da altri gruppi di rappresentanza della società civile. Fig. 1 - Schema del processo di accreditamento dei VET providers Se il risultato della valutazione risulta negativo, l’accreditamento verrà negato e l’istituzione formativa dovrà riformulare la richiesta dopo aver migliorato le sue strutture organizzative e la qualità della formazione erogata. La decisione dell’organismo di valutazione sovente comprende indicazioni e raccomandazioni circa le gli enti accreditanti predispongono specifiche linee guida. Benché i criteri e le norme di riferimento per l’accreditamento varino ampiamente tra diversi paesi o in relazione allo specifico campo della Formazione, tuttavia si scorgono alcuni elementi centrali comuni che possono fungere da riferimento, anche in una logica di benchmarking. Circa i criteri e gli standard da rispettare, normalmente vengono definiti sistemi di requisiti minimi, in alcuni casi accompagnati da requisiti per raggiungere gradi o livelli di eccellenza. Secondo i risultati della ricerca promossa dal Cedefop per la Commissione Europea, si può affermare che un presupposto per le procedure di accreditamento esaminate nello scenario comunitario è costituito da forme, pur differenziate, di autovalutazione interna della VET e / o l’implementazione di un sistema di gestione interna della qualità. In una parte dei casi , i sistemi interni di assicurazione della qualità gestiti dalle istituzioni formative devono tener conto obbligatoriamente di criteri e standard definiti dall’organismo esterno di accreditamento, anche se i provider sono in genere liberi di progettare il loro sistema interno di qualità in base alle loro specifiche esigenze.           20 modifiche necessarie da apportare al sistema formativo. in alcuni Paesi un corpo esterno, collegato all’organismo di accreditamento, può offrire un supporto professionale ai VEt provider, al fine di superare i deficit individuati. in altri casi, quando il risultato della valutazione esterna è critico ma non particolarmente negativo, saranno necessari alcuni ulteriori miglioramenti da apportare. in questo caso solitamente le indicazioni espresse dall’organismo di valutazione esterna possono contenere da un lato una serie di elementi stringenti e vincolanti per l’ottenimento dell’accreditamento, dall’altro alcune raccomandazioni di prospettiva, rispetto alle quali l’Ente di formazione può operare di propria iniziativa. in entrambi i casi l’organismo formativo dovrà dimostrare in un successivo rapporto di miglioramento che sono state apportate modifiche significative al proprio sistema, in modo che l’organismo incaricato per la valutazione esterna possa formulare una positiva proposta di accreditamento. Nel caso in cui la valutazione esterna dia luogo ad un esito positivo, all’istituzione formativa nella maggioranza dei casi viene riconosciuto lo status di Ente accreditato e contestualmente un certificato di qualità. il certificato di qualità non è mai rilasciato per un periodo di tempo illimitato, ma per un periodo definito, al termine del quale sarà necessario procedere ad un rinnovo del processo di accre - ditamento, normalmente intorno ai cinque anni. Nella norma dei casi europei esaminati, il rinnovo si presenta spesso come una procedura meno complessa rispetto all’accreditamento iniziale. Nelle procedure di rinnovo, ad essere valutati sono in particolar modo l’adeguatezza del sistema interno di autovalutazione o del sistema di gestione della qualità. Nei capitoli successivi vengono presentati alcuni casi nazionali particolarmente significativi, concentrandosi in particolare sui criteri per l’accreditamento, che costituiscono il nucleo centrale del processo di valutazione esterna, e sul processo di accreditamento. 1.3.2. Danimarca in Danimarca vi è un unico Ente cui è demandato il compito di accreditare tutti i programmi formativi che fanno capo al Ministero dell’Educazione, il Danish Evaluation Institute (Danmarks Evalueringsinstitut - EVA). i criteri per il sistema di accreditamento sono stati sviluppati da EVA in collaborazione con tutte le parti interessate nel corso della fase pilota che ha coinvolto i rappresentanti dei VEt provider. Va subito sottolineato che nel sistema danese l’unità di riferimento non è costituita solamente dai training provider, ma anche dai programmi di formazione, secondo un modello presente anche in Germania. Ad essere accreditati sono quindi sia i provider che i programmi formativi: – nuovi programmi formativi (accreditamento dei programmi); – offerta di nuovi programmi formativi (accreditamento dei provider); – offerta di programmi formativi già accreditati (accreditamento dei provider). 21 Fig. 2 - Criteri per l’accreditamento dei VET provider in Danimarca Per i nuovi programmi di formazione la qualità dei contenuti di formazione è contenuta nel criterio Learning outcomes (cfr. Fig. 2): – gli obiettivi per la formazione devono risultare fortemente coerenti con la domanda del programma di formazione; – gli obiettivi devono essere descritti in coerenza con il quadro nazionale danese delle qualificazioni; – peso e prioritizzazione delle unità formative devono risultare coerenti con l’obiettivo della formazione e devono essere espressi in crediti secondo il sistema europeo ECtS; – gli elementi relativi alla formazione pratica devono risultare adeguati in relazione alle ulteriori componenti del programma di formazione.  offerta di programmi formativi già accreditati (accreditamento dei provider).             Per i nuovi di Formazione la qualità dei contenuti di Formazione è contenuta nel criterio Learning outcomes (Fig. 2):  gli obiettivi per la Formazione devono risultare fortemente coerenti con la domanda del programma di Formazione;  gli obiettivi devono essere descritti in coerenza con il quadro nazionale danese delle qualificazioni;  peso e prioritizzazione delle unità formative devono risultare coerenti con l’obiettivo della Formazione e devono essere espressi in crediti secondo il sistema europeo ECTS;  gli elementi relativi alla Formazione pratica devono risultare adeguati in relazione alle ulteriori componenti del programma di Formazione. 22 Per i programmi già accreditati e forniti da un nuovo provider deve essere documentata l’esistenza di un numero sufficiente di collocazioni in azienda per la fase di pratica, che siano disponibili presso l’istituzione formativa le necessarie conoscenze e l’ambiente professionale per l’offerta di formazione, oltre che il provider abbia implementato un sistema di garanzia della qualità. i programmi di formazione esistenti sono regolati da criteri relativi alla soddisfazione del cliente e di riferimento ai risultati di apprendimento. in questo caso gli Enti formativi candidati sono tenuti a fornire diverse basi di dati, dal tasso di occupazione degli allievi al termine dei programmi, al sistema di assicurazione di qualità per gli apprendimenti in aula e in setting aziendale, così come per la mobilità formativa internazionale, alla prevenzione di fenomeni di drop-out. i providers devono inoltre esplicitare le attività di valutazione interna ed esterna ed i processi di assessment dei risultati di apprendimento. La sistematica e continua auto-valutazione da parte delle istituzioni formative, così come il sistema di gestione della qualità interna sono precondizioni per l’accreditamento. Le specifiche applicative sono strutturate con criteri e gli indicatori per la gestione interna della qualità, per cui il processo di accreditamento può essere inteso come un esercizio di auto-valutazione. 1.3.3. Germania in Germania la riforma del sistema occupazionale attraverso le Leggi Hartz ha interessato anche il contesto della Formazione Professionale in generale e in particolare il settore finanziato con fondi pubblici. La riorganizzazione della For - mazione Professionale è stata orientata a creare più concorrenza e una maggiore trasparenza tra i provider dell’istruzione e Formazione Professionale, oltre che a migliorarne il grado di qualità. Sia la modifica della Legge sulla Formazione Professionale che la richiesta proveniente dal livello europeo di aumentare la trasparenza dei certificati, delle competenze e della qualità nella Formazione Professionale hanno contribuito a rendere la qualità e la garanzia della qualità quali temi al centro della discussione per lo sviluppo del nuovo sistema di policy. Dal luglio 2004 i VEt provider sono tenuti ad avere un sistema interno di gestione della qualità interna e devono essere valutati sulla base di un certo numero di criteri della qualità da parte di un organismo riconosciuto. i criteri sono stati introdotti nel dettaglio da un regolamento del Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro (Bundesministerium für Wirtschaft und Arbeit) sia per la valutazione esterna delle istituzioni formative che per regolare gli organismi autorizzati a svolgere questa valutazione. il sistema di accreditamento è strutturato in due fasi distinte (cfr. Fig. 3), costituito da procedure di certificazione e di accreditamento. Le agenzie formative devono ottenere una certificazione per poter operare, mentre per poter erogare singoli programmi formativi devono aver acquisito una licenza per ciascuno di essi. Nel 23 quadro regolamentare, la valutazione esterna dei fornitori della VEt e dei programmi di formazione è denominata certificazione e gli organismi in capo al rilascio della certificazione vengono denominati agenzie di certificazione (Zertifizierungsstellen) o centri di expertise (Fachkundige Stellen). Per svolgere le proprie attività, queste agenzie o centri devono essere accreditati prima dall’Agenzia Federale per il Lavoro (Bundesagentur für Arbeit), che funge da corpo generale per l’accreditamento. Le agenzie formative devono fare richiesta per la certificazione ad un’agenzia privata, accreditata dall’organismo nazionale. Le agenzie di certificazione possono accreditarsi a livello nazionale, ma anche limitatamente ad un determinato settore economico o educativo entro i confini di un territorio regionale. L’accreditamento delle agenzie di certificazione è temporaneo e vale un periodo di tre anni. inoltre, ogni anno il sistema per garanzia della qualità e lo sviluppo della qualità deve essere verificata dall’organismo nazionale di accreditamento. Fig. 3 - Framework per l’assicurazione e lo sviluppo della qualità in Germania il Consiglio per l’accreditamento (Anerkennungsbeirat) ha la funzione di fornire l’assistenza tecnica all’organismo nazionale di accreditamento e di elaborare raccomandazioni per l’accreditamento e le procedure di certificazione. il Consiglio                  Il Consiglio per l’accreditamento (Anerkennungsbeirat) ha la funzione di fornire l’assistenza tecnica all’organismo nazionale di accreditamento e di elaborare raccomandazioni per l’accreditamento e le procedure di certificazione. Il Consiglio ha al proprio interno rappresentanti sia del Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro del Ministero federale dell’Educazione e la ricerca, un rappresentante dei Länder , dei sindacati, organizzazioni datoriali, organizzazioni di fornitori della VET e tre esperti scientifici indipendenti. Per beneficiare di finanziamenti pubblici, le agenzie formative devono essere certificate da un organismo di certificazione accreditato ed propri corsi di Formazione devono essere autorizzati. I VET provider possono richiedere la certificazione a livello nazionale, per le attività di Formazione in alcuni settori economici o educativi o in determinati Land. Per superare la procedura di certificazione, i fornitori della VET devono dimostrare la loro efficienza finanziaria e la capacità formativa, oltre che soddisfare una serie di dettagliate requisiti, tra cui: a) la capacità di supportare l’accesso degli allievi nel mondo del lavoro; b) le qualificazioni, l’esperienza professionale e la partecipazione alla Formazione continua di insegnanti e formatori; c) un sistema efficace per garantire la qualità e lo sviluppo della qualità che comprenda:  l’orientamento al cliente;  la valutazione continua della Formazione erogata basata sull’uso di indicatori quantificabili; 24 ha al proprio interno rappresentanti del Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro, del Ministero federale dell’Educazione e la ricerca, un rappresentante dei Länder, dei sindacati, organizzazioni datoriali, organizzazioni di fornitori della VEt e tre esperti scientifici indipendenti. Per beneficiare di finanziamenti pubblici, le agenzie formative devono essere certificate da un organismo di certificazione accreditato ed i propri corsi di formazione devono essere autorizzati. i VEt provider possono richiedere la certificazione a livello nazionale, per le attività di formazione in alcuni settori economici o educativi o in determinati Land. Per superare la procedura di certificazione, i fornitori della VEt devono dimostrare la loro efficienza finanziaria e la capacità formativa, oltre che soddisfare una serie di dettagliati requisiti, tra cui: a) la capacità di supportare l’accesso degli allievi nel mondo del lavoro; b) le qualificazioni, l’esperienza professionale e la partecipazione alla formazione continua di insegnanti e formatori; c) un sistema efficace per garantire la qualità e lo sviluppo della qualità che comprenda: – l’orientamento al cliente; – la valutazione continua della formazione erogata basata sull’uso di indicatori quantificabili; – il miglioramento continuo dell’offerta formativa; – la collaborazione con esperti esterni per lo sviluppo della qualità. Le agenzie formative devono dimostrare di soddisfare ulteriori criteri per ottenere le licenze per i corsi di formazione finanziati con fondi pubblici, che prendano in considerazione: – la condizione specifica dei target groups della formazione; – le loro prospettive per l’accesso al mondo del lavoro; – l’organizzazione dei processi di apprendimento in vista di una qualificazione riconosciuta, o almeno di una parte di essa; – la durata temporale definita del corso di formazione, che includa un’adeguata esperienza pratica di lavoro. L’agenzia di certificazione determina quali fornitori della VEt possano essere certificati e ottenere le licenze formative. in caso di decisione negativa, l’agenzia formativa dispone di tre mesi per dimostrare un miglioramento in relazione ai criteri non soddisfatti; in caso contrario, la domanda viene respinta. Nel caso di decisione positiva, la certificazione rilasciata dall’organismo competente ha una validità triennale. Annualmente, tuttavia, viene effettuato un audit di monitoraggio da parte dell’agenzia di certificazione, centrato sul sistema di gestione della qualità. 1.3.4. Inghilterra Le agenzie formative sono soggette ai criteri – riferiti al sistema di National Vocational qualification (NVq) – richiesti dall’organismo competente (awarding 25 body) che deve approvare i loro programmi di formazione (normalmente BtEC, City and Guilds, Edexcel, oCN), oltre che ai criteri definiti dall’Agenzia delle qualificazioni (ofqual) ed a quelli che sovrintendono il processo di ispezione, definiti dall’ofsted. i principi cardine per l’ottenimento dell’accreditamento sono costituiti dall’autovalutazione e dalla peer review. Benché i diversi Enti regolatori dei processi di accreditamento siano dotati di propri sistemi, tuttavia esistono una serie di linee guida comuni alle quali tutti gli Enti sono tenuti a conformarsi, ossia l’NVq Code of Practice promosso nel 2006 da ofqual ed il manuale per le visite ispettive pubblicato dall’ofsted nel 2008. Secondo il codice di condotta NVq, le agenzie formative devono soddisfare una serie di requisiti generali: ogni centro deve attuare una valutazione interna, esplicita e documentata, per assicurare l’accuratezza e la coerenza della valutazione. Ciascun Ente di formazione deve quindi dotarsi di procedure di auto-valutazione e di monitoraggio, soggette a regolare ispezione da parte di un Ente competente esterno. inoltre, le agenzie formative sono tenute a istituire un corpo di valutatori interni responsabile delle seguenti attività: – raccogliere con regolarità evidenze delle decisioni in campo valutativo prese da tutti i valutatori su tutti gli aspetti della valutazione NVq; – mantenere aggiornati gli esiti delle verifiche interne, assicurando che questi siano disponibili per la verifica esterna; – monitorare e supportare l’attività dei valutatori interni; – promuovere lo sviluppo personale e la formazione dei valutatori; – fornire un feedback al verificatore esterno sull’efficacia della valutazione; – garantire che eventuali azioni correttive richieste da parte dell’organismo esterno di accreditamento siano effettuate entro i limiti temporali concordati. Gli enti accreditanti sono tenuti a controllare il rispetto dei requisiti da parte delle agenzie formative, attraverso l’analisi dei loro sistemi di garanzia di qualità. il supporto fornito dagli Enti per l’accreditamento deve coprire le seguenti aree: – un set di procedure standard per la valutazione in modo che i valutatori possano operare in forma omogenea; – modelli per lo sviluppo di un piano di valutazione interna; – tipi di documentazione che i centri devono tenere per dimostrare l’efficacia delle loro procedure di verifica interna. L’auto-valutazione delle agenzie formative è il presupposto principale per l’accreditamento. Prima di procedere all’accreditamento, ciascun Ente di formazione deve infatti produrre un rapporto di auto-valutazione (Self Evaluation report - SAr), che costituirà la base della valutazione. il rapporto risponde alla funzione di fornire agli ispettori esterni evidenze cruciali per valutare la qualità della leadership 26 e del management, oltre che la capacità del provider di essere orientato ad una logica di miglioramento continuo. Durante l’ispezione, i risultati cui sono pervenuti gli ispettori vengono confrontati con gli elementi forniti dal SAr e discussi nelle riunioni del team ispettivo e con il provider. Un’autovalutazione rigorosa ed un’efficace pianificazione degli interventi rivolti alle aree di miglioramento si ritiene debbano connotare il sistema di gestione della qualità degli Enti di formazione. Alle agenzie formative si richiede di presentare annualmente una relazione di autovalutazione, che definisca qual è lo stato del sistema interno in relazione ai requisiti per l’accreditamento. il report deve essere supportato da un piano di sviluppo che mostri come il provider punterà a gestire le aree di miglioramento, a partire da quali punti di forza. A tal fine, le agenzie formative possono individuare qualsiasi processo o modello soddisfi al meglio le proprie esigenze. Un’appendice del SAr contiene i dati chiave sull’insieme degli iscritti alle attività formative per area disciplinare e settore, tipo di programma ed età dei discenti, nonché le informazioni sui loro tassi di successo e sulle differenze tra gruppi. il nucleo ispettivo considera il livello di inclusività del processo (coinvolgimento del personale, la consultazione degli studenti, contributi di sub-contractors e altri partner esterni), come i dati sono utilizzati per dare giudizi appropriati sui tassi di successo, il completamento del corso ed i risultati del lavoro, la regolarità del processo di identificazione di punti di forza ed aree di miglioramento in modo tempestivo, e infine se gli elementi indicati nel report abbiano o meno un impatto significativo sui discenti. Gli scopi principali di ispezione mirano a rendere conto in forma pubblica e indipendente della qualità dell’istruzione e della formazione erogata, degli standard raggiunti e del grado di efficienza con cui vengono gestite le risorse. inoltre si punta a supportare i processi di auto-miglioramento basati sull’individuazione di punti di forza e aree di miglioramento, evidenziando le buone pratiche messe a punto e definire quali misure devono essere adottate per migliorare l’offerta. L’ispezione esterna, in questa prospettiva di miglioramento basata sulla promozione della dimensione auto-valutativa, fornisce informazioni sulla qualità e gli standard dell’istruzione e della formazione ad una serie di stakeholder: Secretaries of State for Children, Schools and Families, Innovation Universities and Skills, Work and Pensions, Learning and Skills Council for England. il FFE (Framework per l’eccellenza) è un quadro di valutazione delle prestazioni che considera una vasta gamma di attività svolte dai provider. Le dimensioni principali riguardano aspetti chiave sul piano della proattività, efficacia ed efficienza finanziaria. Dall’anno formativo 2008/09, il FFE si applica a tutti i campi della Formazione, dalla further education, all’istruzione terziaria, al sixth-form, ed a tutta la Formazione gestita da agenzie formative private che operano nel campo dell’apprendistato, oltre che tutti gli enti coinvolti nelle politiche a favore della disoccupazione giovanile 27 ogni organismo accreditante offre supporto nel corso del processo di accreditamento che varia da alcuni mesi ad anni, benché mediamente lo status di ente accreditato si ottenga in un arco di tempo che va da 18 a 24 mesi. 1.4. RASSEGNA DI ALCUNI SCENARI NAZIONALI SIGNIFICATIVI IN AREA OCSE (ISTITUZIONI SCOLASTICHE) 1.4.1. Inghilterra Nel sistema educativo inglese le istituzioni scolastiche che beneficiano di finanziamenti pubblici sono tenute a rispondere delle performance ottenute ad un consiglio direttivo formato da rappresentanti dei principali portatori di interesse, quali le famiglie, il personale e gli attori della comunità locale. tale processo di accertamento del livello di accountability espresso dalla scuola si attua mediante un sistema di autovalutazione, cui è correlato un processo di miglioramento continuo. oltre a ciò, nel contesto inglese vige da tempo un sistema di valutazione esterna delle istituzioni scolastiche, posto in opera da organismi di carattere nazionale. A. Valutazione interna Data l’ampia autonomia di cui godono nel sistema educativo inglese, le istituzioni scolastiche, tanto nel settore primario che in quello secondario, sono ritenute responsabili in prima istanza dell’assicurazione di qualità prodotta, nella forma di dispositivi e pratiche di autovalutazione, denominate self-evaluation o self-assessment. Benché non si tratti di una pratica recente, l’autovalutazione è stata sempre promossa e sostenuta da parte del Governo e degli Enti locali negli anni recenti, intesa come un fattore essenziale diretto al miglioramento della scuola. La responsabilità del processo di autovalutazione ricade in primo luogo sul consiglio direttivo e sul dirigente di ciascuna istituzione scolastica. in particolare, il preside insieme al senior management sono impegnati a mantenere un regolare controllo sui livelli di performance espressi dalla scuola, allo scopo di approntare adeguate politiche di fronteggiamento delle criticità e di promozione di una logica di miglioramento continuo. Per fare ciò, si rende necessario un costante monitoraggio che copra tutte le più significative componenti del sistema scolastico. Dal canto suo, il consiglio direttivo necessita di un flusso regolare di informazione circa la performance complessiva ottenuta dalla scuola, così come del livello del management ivi impegnato, in modo da poter esprimere la propria funzione strategica e di indirizzo sulla base di dati certi ed aggiornati. Al tempo stesso è cura del consiglio direttivo assicurarsi che presso la scuola sia attivo un sistema adeguato ed efficiente di monitoraggio e di valutazione della performance. in tal senso è previsto che nei regolamenti varati a cadenza annuale, il Governing body possa fissare livelli minimi circa i risultati di apprendimento da conseguire da parte degli allievi. 28 il sistema di ispezioni scolastiche, introdotto nel settembre del 2005 e da allora rivisto e modificato a più riprese, pone grande enfasi sul dispositivo di autovalutazione, concepito nei termini di uno strumento che consente di perseguire un costante miglioramento della scuola, correlato alla pratica della valutazione esterna. Nel corso del 2004 in forma congiunta da parte dell’allora DfES (ora divenuto il Department for Children, Schools and Families - DCSF) e dell’ofsted è stata pubblicata una guida per le istituzioni scolastiche dal titolo A New Relationship with Schools: Improving performance through school self-evaluation and development planning. il sistema di controllo stabilisce che spetti alla scuola l’assunzione di un approccio proattivo, dimostrando agli ispettori in visita presso di essa che è in grado non solo di diagnosticare i propri punti di forza e di debolezza, ma anche di operare nel senso di promuoverne il miglioramento e lo sviluppo. Poiché il nuovo sistema prevede che alle istituzioni scolastiche venga dato un preavviso molto breve circa l’imminente ispezione, si genera nel sistema un’aspettativa tale per cui le scuole sono stimolate a tenere costantemente aggiornati i dati che emergono dall’autovalutazione o SEF (School Effectiveness Framework), contenuti nel database centralizzato gestito dall’ofsted. Nello specifico, lo School Effectiveness Framework richiede alle scuole: – di valutare i propri progressi sulla base dei criteri alla base delle procedure ispettive; – di definire le principali evidenze su cui si basa la valutazione; – di identificare i propri punti di forza e di debolezza; – di descrivere le azioni che la scuola intende intraprendere per fronteggiare i punti di debolezza e incrementare ulteriormente i punti di forza. inoltre, alcune scuole si servono di standard di qualità a carattere nazionale, per valutare attività e compiti particolari. A titolo di esempio, lo standard Investors in People è focalizzato sullo sviluppo del personale per migliorare le prestazioni organizzative, mentre il Charter Mark accredita un buon servizio fornito ai clienti nelle organizzazioni del settore pubblico. L’autovalutazione è facilitata dalle dettagliate analisi delle performance, fornite dall’ofsted, nei test e negli esami nazionali, che misurano anche il valore aggiunto e il progresso degli studenti. Nella maggior parte delle scuole il giudizio sugli standard e i progressi compiuti dagli studenti si basa soprattutto sui dati relativi alle performance, a loro volta basati sui risultati dei test nazionali di valutazione. La politica varata di recente dal Governo inglese e diretta al miglioramento del sistema scolastico, denominata Every School A Good School, pone un forte accento sulla necessità che le scuole assumano la responsabilità di implementare dispositivi di autovalutazione rigorosamente fondati e di utilizzarli con sistematicità per costituire la base di una pianificazione dello sviluppo scolastico e della definizione degli obiettivi. il documento definisce gli indicatori di qualità da utilizzarsi da parte di 29 tutti i soggetti coinvolti nel miglioramento dei processi della scuola. Si prevede che tali indicatori vengano utilizzati per fornire un quadro aggiornato della performance espressa dalla scuola, così come di una serie di informazioni di carattere contestuale. in inghilterra l’autovalutazione delle scuole e le attività strettamente correlate di definizione degli obiettivi e di miglioramento dei processi e risultati raggiunti si fondano sulla raccolta e l’analisi di dati. La massa di dati viene utilizzata dal livello centrale per monitorare i progressi nella direzione degli obiettivi di rilievo nazionale, così come per alimentare le pratiche di valutazione esterna, attuata mediante le ispezioni svolte da parte degli ispettori nazionali e dalle autorità locali per monitorare il grado di performance delle istituzioni scolastiche di loro competenza. i dati costituiscono un riferimento fondamentale anche per la pratica dell’autova - lutazione curata da ciascuna scuola. Le scuole sono sostenute nell’uso di questi dati da una serie di dispositivi e di tool informatici prodotti sia dal Governo centrale che dalle autorità locali. tali strumenti consentono alle scuole di esaminare l’andamento della scuola nel suo insieme e le prestazioni dei diversi gruppi all’interno della scuola, così come di raffrontarle con altre scuole. il sistema rAiSEonline, promosso a livello centrale, online (Reporting and Analysis for Improvement through School self-Evaluation) fornisce un’analisi interattiva dei dati di performance della scuola e degli alunni. il sistema è stato implementato nell’estate del 2006 affinché ne potessero usufruire sia le scuole che le autorità locali e gli ispettori dell’ofsted, oltre che partner esterni del sistema scolastico su base territoriale. il dispositivo è diretto a supportare l’autovalutazione delle scuole, le visite ispettive, oltre che a promuovere il miglioramento complessivo del sistema educativo. il corpo degli ispettori ed i partner esterni delle scuole utilizzano l’analisi dei dati, consentita dall’impiego del dispositivo, per formulare ipotesi e per definire un punto di partenza nella discussione con le scuole. infatti, il sistema di valutazione esterna richiede agli organismi dirigenziali delle scuole di formulare giudizi sui punti di forza e di debolezza delle istituzioni da loro dirette e di fornire prove documentate, sulla base di dati, a sostegno di quanto affermano di volta in volta. La scheda di autovalutazione (SEF - Self Evaluation Form) fornisce un quadro di riferimento ed il tipo di analisi che è disponibile in rAiSEonline supporta le scuole nel realizzare il processo di autovalutazione. tuttavia, l’utilizzo dello strumento non è obbligatorio, dato che le istituzioni scolastiche possono usare metodi alternativi per condurre l’autovalutazione ed impostare la formulazione degli obiettivi di miglioramento. B. Valutazione esterna in inghilterra vige un sistema ben definito per la valutazione esterna delle istituzioni scolastiche, gestito dall’ispettorato nazionale. L’intero processo di ispezione che ha luogo nelle scuole, sia primarie che secondarie, viene effettuato ai sensi dell’articolo 5 della Legge sull’istruzione del 2005. il dispositivo si sostanzia in un 30 processo di raccolta di elementi di prova al fine di fornire una valutazione della performance che la scuola sta esprimendo, in relazione ad una serie di aspetti diversi. Gli obiettivi dell’ispezione delle scuole sono: – fornire una valutazione esterna e indipendente delle scuole; – promuovere una cultura mirata a una rigorosa autovalutazione e al miglioramento della qualità all’interno della scuola; – informare i genitori della qualità e degli standard della scuola dei loro figli; – contribuire al miglioramento identificando i punti forti e i punti deboli di ogni scuola; – dare indicazioni al Governo sulla base dei dati emersi dalle ispezioni. Per legge, gli ispettori valutano e stendono il loro rapporto su: la qualità del - l’istruzione impartita; il grado in cui essa soddisfa i bisogni diversi degli studenti; gli standard educativi raggiunti; la qualità della leadership e del management; lo sviluppo spirituale, morale, sociale e culturale degli studenti; il contributo della scuola al benessere degli studenti e alla promozione della coesione sociale. Le ispezioni sono di breve durata e fortemente mirate e il dialogo con i dirigenti e con il middle management riveste un ruolo centrale. Gli esiti cui è giunta l’autovalutazione operata dalla scuola forniscono il punto di partenza per gli ispettori. Al tempo stesso sono prese in seria considerazione le opinioni di allievi, genitori e ulteriori stakeholder. Le ispezioni sono condotte da un ispettore capo (lead inspector) e, a seconda delle dimensioni della scuola, da una squadra di ispettori. Di norma, il numero di ispettori coinvolti è proporzionale ai bisogni di supporto per il miglioramento. La Legge sull’istruzione promulgata in inghilterra nel 2005, prevede che il responsabile del servizio nazionale di ispettorato (Majesty’s Chief Inspector) sia tenuto ad informare regolarmente il Segretario di Stato seguenti sulle materie: – quale sia la qualità dell’istruzione fornita da ciascuna scuola; – in quale misura la formazione soddisfi le esigenze della gamma degli alunni; – quali siano gli standard educativi raggiunti in ciascuna scuola; – la qualità della leadership e del management delle scuole, incluso se le risorse finanziarie messe a disposizione delle scuole godano di una gestione efficace; – il grado di sviluppo spirituale, morale, sociale e culturale degli alunni nelle scuole; – il contributo fornito dalla scuola al benessere degli alunni; – il contributo fornito dalla scuola alla coesione della comunità. inoltre, la legge sul sistema di ispezioni nella sfera dell’istruzione (Education and Inspections Act), varata nel 2006, prevede che l’ofsted svolga la propria at tività in modo da incoraggiare i servizi che controlla a migliorare, essere user-focused e ad essere efficienti ed efficaci nell’utilizzo delle risorse. i principi generali che orientano le ispezioni effettuate dall’ofsted sono contenuti nell’Ofsted Inspects del 2009. 31 il quadro di riferimento per il sistema di ispezioni scolastiche si applica a tutte le scuole a finanziamento pubblico, comprese le scuole speciali. Nel settembre del 2009 l’ofsted, ha iniziato a variare la frequenza delle ispezioni delle scuole in base ai risultati ottenuti al termine delle precedenti valutazioni esterne ed una valutazione annuale del loro andamento successivo. quest’ultimo elemento comporta un’analisi dei dati della scuola ed il loro confronto con lo scenario nazionale. A partire dal 2010 la procedura in questione include anche le opinioni dei genitori, alunni e degli altri stakeholder. in particolare, il punto di vista dei genitori ora influenza la scelta delle scuole che devono essere ispezionate. Nel caso i dati non risultino disponibili o non appaiano tali da fornire un quadro organico della performance ottenuta dalla scuola, si ricorre al rapporto di ispezione precedente o in alternativa ai dati tratti dall’autovalutazione e contenuti nella Self Evaluation Form. Dal settembre 2009, le scuole giudicate buone o ottime al precedente controllo vengono ispezionate ad intervalli di cinque anni circa, a meno che non intervengano le seguenti eventualità, dalle quali emerga che debbano essere sottoposte ad un nuovo controllo prima del trascorrere del quinquennio: – la valutazione annuale delle prestazioni, svolta sulla base del database centralizzato, dia risultati non in linea con le attese; – vi siano motivi di preoccupazione legati alla sicurezza o al benessere degli allievi; – l’ofsted abbia ricevuto e investigato su una denuncia circostanziata relativa ad una scuola, cui si aggiungano ulteriori elementi di criticità segnalati da più fonti; – la scuola sia stata fatta rientrare nel campione prescelto per assicurare che la relazione annuale dell’ispettore Generale rifletta uno spaccato delle scuole di ogni ordine e grado, oltre che di tutti i livelli di performance rilevati; – si tratti di scuole speciali o residenziali. Le scuole che si attestino sul livello soddisfacente nel corso della precedente ispezione vengono sottoposte a controllo ad una cadenza triennale. Una quota significativa di queste scuole ricevere ispezioni di controllo per verificare i loro progressi dopo l’ultima ispezione completa ivi realizzata. Le scuole giudicate inadeguate circa il loro livello di efficacia complessiva continuano a ricevere visite di controllo e subiscono una nuova ispezione dopo un determinato periodo di tempo. Se l’efficacia complessiva di una scuola è giudicata inadeguata, gli ispettori sono tenuti a decidere se richiede misure speciali (special measures), o la richiesta di un miglioramento significativo (notice to improve). Le scuole richiedono misure speciali qualora non riescono a fornire agli allievi un accettabile standard di istruzione, e quando i soggetti responsabili della programmazione, gestione e Governo della scuola non dimostrino la capacità di garantire il necessario miglioramento. Differentemente, una scuola necessita miglioramento significativo quando non riesce a fornire uno standard accettabile di educa32 zione, ma al contempo dimostra una capacità di migliorare, o quando si attesti su un livello significativamente inferiore a quello che ci si attenderebbe. 1.4.2. Francia A. Quadro generale del sistema di valutazione delle scuole La formazione delle istituzioni scolastiche in Francia non passa attraverso un protocollo unico e definito. Si tratta di una grande varietà di pratiche, alcune istituite dall’amministrazione centrale, altre dalle académie, ossia dall’equivalente dei provveditorati. Per fare questo, in un periodo di circa due decenni, sono stati sviluppati molteplici strumenti e dispositivi per la misurazione e il monitoraggio delle prestazioni messi a disposizione dei diversi valutatori del sistema educativo. La cultura della valutazione, in generale, non è ancora molto diffusa in Francia, in particolare tra gli attori del sistema di istruzione. Solo la valutazione degli studenti risulta essere una pratica completamente implementata. inoltre, l’autonomia didattica e pedagogica delle scuole in Francia è molto contenuta: è quasi inesistente nelle scuole primarie molto limitata nella scuola secondaria. infatti, le politiche e le linee guida, nonché i programmi educativi ed piani di studio sono definiti dall’amministrazione centrale e poi attuati dalle académie. infine, gli ispettori, sia generali che territoriali, non sono numerosi a tal punto da consentire di mettere in opera un protocollo di valutazione esterna basato su una programmazione poliennale. tuttavia, negli anni recenti si è assistito ad un processo di standardizzazione delle pratiche che possono essere poste alla base della valutazione delle istituzioni scolastiche. L’attuazione della legge quadro del 2006 rende obbligatoria la valutazione dei servizi pubblici statali per misurarne il grado di efficacia, l’efficienza ed equità. Per quanto riguarda il sistema di educazione nazionale, si è posto in opera un dispositivo per la misurazione delle prestazioni del sistema di istruzione in termini di risultati degli studenti e delle scuole. inoltre, la legge quadro sul sistema scolastico del 2005 rafforza il grado di responsabilità e autonomia della scuola secondaria, introducendo l’obbligo di creare un consiglio pedagogico in ogni scuola. inoltre, ogni académie è libera di implementare protocolli di valutazione delle scuole secondo priorità definite. Le attuali pratiche di valutazione della performance delle scuole si iscrivono in un processo di miglioramento del rendimento degli studenti attraverso un Governo più vicino delle politiche alle peculiarità locali. L’enfasi è sulla gestione delle risorse finanziarie e umane, ma anche la coerenza e l’impatto delle attività educative attuate in ogni scuola in relazione alle difficoltà che le sono proprie. Secondo diversi livelli del sistema di istruzione, gli obiettivi concernenti la valutazione delle scuole sono di volta in volta diversi: – misurare l’efficienza del sistema educativo attraverso le performance delle istituzioni scolastiche; – adattare la gestione delle risorse umane ai fabbisogni delle diverse scuole; 33 – verificare che le scuole rispettino e applichino i programmi nazionali e gli orientamenti nazionali in campo pedagogico ed educativo; – misurare l’impatto dell’autonomia concessa alle scuole del ciclo superiore attraverso azioni attuate a livello locale, al fine di migliorare i risultati degli studenti; – identificare il valore aggiunto delle scuole; – analizzare il rapporto tra i diversi metodi in campo didattico e valutativo ed i risultati sul rendimento degli studenti; – osservare le buone pratiche di insegnamento, al fine di favorirne il transfer; – promuovere la comparazione tra risultati ottenuti dalle diverse istituzioni scolastiche; – sviluppare le pratiche interne di auto-valutazione nelle scuole, in modo da favorirne il miglioramento continuo. Come si è già osservato in precedenza, non esiste in Francia un protocollo unico per la valutazione delle istituzioni scolastiche; tuttavia, i diversi attori del sistema hanno a loro disposizione un certo numero di strumenti e per attuare pratiche di valutazione interna ed esterna delle scuole. Alcuni dispositivi di misurazione ed indicatori di performance, sia qualitativi che quantitativi, sono stati sviluppati nel tempo dal livello centrale e dalle académie. Altrettanto si può affermare circa la messa a punto di strumenti di valutazione definiti a livello di singola scuola entro le diverse équipe pedagogiche ed educative, così come a livello di istituto. infine, la creazione di forme di cooperazione tra accademie e scuole superiori ha rafforzato la collaborazione tra le académie e i dirigenti scolastici ed i controlli del corpo degli ispettori nell’ambito della valutazione degli insegnanti hanno visto un’interazione sempre maggiore tra questi ed i capi di istituto. Le ispezioni generali possono dare luogo ad analisi su determinate coorti di scuole, ma tale processo sino ad ora ha riguardato in misura maggiore l’implementazione di particolari riforme ed azioni di sistema, piuttosto che il livello di performance delle singole scuole. Anche se non esiste una procedura di valutazione a carattere nazionale, la varietà di strumenti e gli attori al servizio della valutazione delle istituzioni scolastiche possono permettere agli istituti scolastici di valutare le proprie prestazioni, in particolare per quanto riguarda i risultati degli studenti. Le responsabilità per la valutazione delle scuole si sviluppa attraverso diversi livelli: – all’interno dell’amministrazione centrale, la DEPP e la DGESCo sviluppano gli strumenti (indicatori ed indagini) necessari ai differenti organi responsabili della valutazione per stabilire gli aspetti diagnostici e l’evoluzione della performance delle istituzioni scolastiche; – le autorità afferenti all’académie definiscono i propri protocolli di valutazione e definiscono forme di collaborazione con la scuola secondaria; – i corpi ispettivi verificano la messa in opera delle politiche dell’istruzione all’interno delle scuole, promuovono le pratiche di autovalutazione e controllano la qualità dei sistemi di valutazione e dei loro effetti; 34 – i dirigenti scolastici fissano le azioni e le direttrici di lavoro con il concorso delle équipe pedagogiche e pongono in atto le procedure di autovalutazione. La valutazione delle scuole fa parte del quadro globale di valutazione delle prestazioni del sistema educativo francese e delle politiche messe in atto dal Ministero di Educazione Nazionale; contribuisce quindi alla valutazione delle académie e dei dirigenti scolastici. in tal senso è considerata inseparabile dalla valutazione degli studenti, strumento di riferimento fondamentale per la misurazione delle prestazioni delle scuole. B. Procedure per la valutazione delle scuole e indicatori nazionali i criteri di performance sono finalizzati a valutare le azioni realizzate dalle scuole allo scopo di garantire il successo scolastico di tutti gli allievi. Pertanto, i criteri utilizzati tengono conto della carriera degli studenti e del loro rendimento scolastico. Per ciascuna scuola di ordine superiore, ad essere utilizzate come rife - rimenti per la valutazione sono alcune forme di comparazione con i valori medi a livello nazionale, di académie e dipartimentali. i criteri di base sono i seguenti: – il tasso di successo degli studenti negli esami nazionali, i tassi di ottenimento dei diplomi, di frequenza e di ripetizione, il tasso di completamento, il tasso di abbandono; – l’orientamento degli allievi all’interno della scuola e le loro forme di fuoriuscita, così come le forme di inserimento professionale; – la vita scolastica degli allievi (ritardi, assenze, etc.). tuttavia, questi criteri di base non sono soli, dato che ogni académie è libera di completarli con l’aggiunta di criteri adeguati alle specificità locali. in sintesi, nel contesto francese non esistono norme o riferimenti a carattere nazionale fissati dal Governo centrale, quanto piuttosto ingiunzioni, obiettivi, orientamenti, rivolti al sistema di istruzione, che servono come linee orientative per l’azione delle scuole. Per misurare l’efficacia delle azioni poste in opera dalle scuole e valutare la loro performance, sono disponibili alcuni indicatori ad uso dei valutatori e dei soggetti valutati, che consentono la messa a punto di database. Vi sono diversi tipi di indicatori: indicatori di attività, indicatori di struttura (risorse), indicatori di processo e di risultato. Gli indicatori sono utilizzati dalle académie e dai dirigenti scolastici nelle diverse fasi di valutazione delle istituzioni scolastiche: – al momento della diagnosi per conoscere il livello iniziale su cui si colloca la scuola; – per la negoziazione tra académie e singola scuola superiore degli obiettivi perseguiti dalla scuola (contrat d’objectifs), allo scopo di fissarne le caratteristiche fondamentali; 35 – per la costruzione del progetto della scuola e definirne le direttrici di azione; – per il monitoraggio e la valutazione del contrat d’objectifs, allo scopo di rendere conto e di calibrare le azioni intraprese dalla scuola, per misurare l’efficacia delle riforme e delle soluzioni poste in opera, per tenere traccia dei risultati ottenuti e verificare la continuità dei cambiamenti introdotti; – per eseguire un confronto temporale e geografico in relazione a vari livelli: di singola scuola, di bacino scolastico, di dipartimento, di académie, e con i valori espressi dal sistema a livello nazionale. in sintesi, l’uso degli indicatori non è obbligatorio, si tratta di strumenti a disposizione delle académie e dei dirigenti scolastici. C. Sistema per il pilotaggio e autovalutazione delle scuole (APAE) introdotto a partire dal gennaio 2011 dalla DEPP, il sistema APAE (aide au pilotage et à l’auto-évaluation des établissements) restituisce alla comunità educativa informazioni ed indicatori per ciascuna scuola. tali indicatori sono forniti alla DEPP da banche dati diverse e sistemi di informazione del Ministero. Gli indicatori sono declinati su più categorie: – identificazione (coordinate dell’istituzione, caratteristiche della scuola, contrat d’objectifs, projet d’établissement); – Popolazione scolastica (numero di studenti, caratteristiche degli studenti, difficoltà di apprendimento); – risorse umane e materiali (caratteristiche del personale, risorse materiali); – Performance [percorsi degli allievi (frequenza di ripetizione e di passaggio), risultati degli allievi (tasso di accesso alle classi superiori, tasso di successo alle prove nazionali dei diplomi) vita scolastica e attrattività della scuola]. La maggior parte degli indicatori sono declinati con i loro riferimenti geografici (dipartimento, académie) e per una quota importante secondo una dimensione diacronica, per lo più sugli ultimi cinque anni. L’obiettivo principale del dispositivo APAE è di offrire ai dirigenti scolastici indicatori completi ed esaustivi per porre in opera un’autovalutazione della scuola, e al tempo stesso di fornire alle autorità dell’académie e centrali dati di performance delle scuole, necessari perché le académie possano stabilire un dialogo con il sistema scolastico locale e al tempo stesso al coordinamento del sistema educativo nel suo complesso. D. Indicatori del valore aggiunto dei licei (IVAL) il sistema iVAL (indicateurs de valeur ajoutée des lycées), sviluppato dal Ministero dell’istruzione Nazionale, nello specifico dalla DEPP (Direction de l’Évaluation, de la Prospective et de la Performance), riguarda i licei pubblici e privati finanziati con risorse pubbliche. Si tratta di indicatori pubblicati sul sito del Ministero, disponibili pertanto per l’intera comunità educativa, ma anche per le famiglie, che rispondono ad un triplice obiettivo: 36 – rendere conto dei risultati espressi dal servizio pubblico di educazione nazionale; – fornire ai responsabili del sistema educativo ai vari livelli strumenti per valutare l’efficacia delle azioni poste in campo; – misurare il valore aggiunto di ciascuna scuola. tali indicatori, prodotti annualmente, considerano: – l’offerta educativa della scuola; – le caratteristiche degli studenti (età, origine sociale, sesso, livello di istruzione di ingresso al liceo, etc.); – fattori legati alla struttura della scuola (percentuale di femmine, quota degli allievi con ritardo scolastico, percentuale degli allievi per categoria socio-professionale dei genitori, etc.). L’iVAL comprende tre indicatori ulteriori: – il tasso di successo all’esame di maturità (baccalauréat): numero di allievi che hanno superato l’esame in rapporto al numero degli ammessi; – il tasso di accesso all’esame di maturità: probabilità di un allievo che frequenta il secondo anno di ottenere il baccalaureato al termine di una carriera scolastica effettuata interamente dentro l’istituto, nel numero minimo di annualità necessarie; – la proporzione dei diplomati in rapporto agli uscenti: numero di allievi che hanno ottenuto il baccalaureato in rapporto all’insieme degli allievi che ha lasciato definitivamente l’istituto. tale indicatore può essere rapportato agli allievi, indipendentemente dalla classe in cui siano situati, o specificamente alle classi terminali, ossia la prima e l’ultima in cui è scandito il percorso liceale, cosa che permette di valutare l’efficacia della ripetizione dell’annualità. Un confronto tra il rendimento degli studenti viene fatto tra licei con caratteristiche di base identiche, per misurarne il valore aggiunto, ossia l’effetto prodotto dal liceo in questione sulla carriera scolastica dell’allievi, a prescindere dalla condizione socio-economica della famiglia cui appartiene. E. Il progetto scolastico (Projet d’école ou d’établissement) il progetto scolastico è obbligatorio dopo il varo della legge quadro sul sistema scolastico del 1989 per tutte le scuole, sia pubbliche che private a finanziamento pubblico ed è stato confermato dalla successiva legge quadro del 2005. richiede l’elaborazione di un progetto da parte di ciascuna scuola, sia primaria che secondaria, alla creazione di un consiglio pedagogico, al fine di porre l’accento sulla componente pedagogica ed educativa che va affiancata alla gestione amministrativa della scuola. il suo obiettivo primario è quello di adattare gli orientamenti e le politiche nazionali e delle académie alle specificità di ciascuna scuola. il progetto, di durata triennale, comprende aspetti quali la definizione delle linee di azione strategiche, la 37 convergenza delle pratiche educative, la coerentizzazione delle diverse azioni intraprese in seno alla scuola, il miglioramento dell’efficacia delle forme di governo dell’istituzione scolastica da parte dei dirigenti scolastici. Per fare questo, il progetto scolastico segue un processo di elaborazione specifico, basato su quattro fasi: – diagnosi della scuola; – definizione degli assi del progetto; – elaborazione e presentazione del programma d’azione; – valutazione. La diagnosi deve essere basata su indicatori (nazionali e/o di académie). Gli indicatori permettono di valutare il progresso dei risultati delle azioni intraprese. Ciascuna scuola è libera ed incoraggiata ad utilizzare le basi di dati messe a disposizione a vario livello. Gli indicatori più usati riguardano: – le caratteristiche della popolazione scolastica; – il percorso effettuato dagli allievi (ripetizione, riorientamento, opzioni, etc.); – i risultati ottenuti dagli allievi nelle differenti fasi di valutazione del ciclo secondario (diplomi); – la vita scolastica; – l’ambiente; – i rapporti della scuola con i partner (enti locali, associazioni culturali ed artistiche, etc.); – i beneficiari (allievi, famiglie degli allievi). F. Il contratto sugli obiettivi (Contrat d’objectifs) istituito con la legge quadro del sistema scolastico del 2005, il contrat d’objectifs tra le autorità delle académie e ciascuna scuola si inserisce in un processo di decentramento che ha investito l’intero settore pubblico francese. Ne consegue una maggiore enfasi posta sull’autonomia e responsabilizzazione delle istituzioni scolastiche in rapporto all’autorità centrale e locale. Al loro arrivo nella nuova scuola e successivamente ogni tre anni per la scuola media e ogni quattro per i licei, i dirigenti scolastici, con il concorso dell’intera comunità educativa, devono condurre una diagnosi dell’istituzione scolastica, sulla base dei punti di forza, di debolezza e delle possibili evoluzioni. Una volta che la diagnosi è stata eseguita, il dirigente scolastico ne redige una sintesi, con inclusi i dati, gli indicatori e la definizione di due o al massimo tre assi di sviluppo, che consegna alle autorità dell’académie. queste, in collaborazione con il dirigente scolastico, definiscono un contrat d’objectifs per ciascuna scuola. ogni obiettivo è correlato ad un programma d’azione, corredato da indicatori di risultato. il contrat d’objectifs è oggetto di una duplice valutazione: una valutazione annuale interna ed una valutazione finale esterna. il dirigente scolastico, con il concorso del consiglio pedagogico, produce annualmente un rapporto sullo stato di 38 avanzamento del progetto. La valutazione esterna, curata da un corpo di ispettori, si tiene alla conclusione del contratto. 1.4.3. Svezia La valutazione delle scuole in Svezia ha una tradizione che risale alla fine degli anni Cinquanta. La finalità principale alla base della valutazione delle scuole è quella di garantire una scuola equa in cui ogni studente ha l’opportunità di raggiungere gli obiettivi fissati nel piano di studi. La valutazione avviene a diversi livelli del sistema educativo. il sistema di valutazione ha avuto un’evoluzione frammentaria, derivando in parte dai bisogni delle scuole, delle municipalità, così come da ulteriori attori, in parte come derivazione dei processi di progressivo sviluppo delle agenzie nazionali e degli organismi del Ministero dell’istruzione e della ricerca. Ciò significa che le diverse parti del sistema possono non essere strettamente coordinate le une con le altre. Gli insegnanti e capi di istituto sono responsabili della valutazione interna operata quotidianamente nelle scuole. il capo di istituto riferisce direttamente alla municipalità. tuttavia differiscono da Comune a Comune – e talvolta tra le scuole all’interno dello stesso Comune – il modo e la frequenza con cui la valutazione viene realizzata, i metodi ed i criteri utilizzati, il fatto se sia di tipo sistematico o ad hoc. Non è raro che i Comuni utilizzino strumenti quali ad esempio Siq – uno strumento sviluppato dall’istituto svedese per la qualità; la Carta a punti della qualità; qualis – un modello di certificazione sviluppato appositamente per il settore scuola, o strumenti simili. Ma non esistono attualmente dati disponibili per quanto riguarda il numero di Comuni che hanno adottato tali strumenti in modo sistematico. Alcuni Comuni realizzano la valutazione degli apprendimenti secondo schemi sviluppati ad hoc. in altri casi le municipalità curano la valutazione per mezzo di una sorta di ispettori scolastici comunali, come nel caso di Stoccolma. il NAE (Ufficio nazionale per la valutazione del sistema scolastico) ha messo a punto uno strumento di auto-valutazione per gli insegnanti e le scuole denominato BrUK, con indicatori basati sul curriculum nazionale e sui piani di studio. inoltre, alcuni comuni utilizzano di norma insegnanti provenienti da comuni limitrofi come valutatori. in genere, questi insegnanti sono preparati da parte delle municipalità con una breve attività di presentazione del sistema scolastico locale, ma non ricevono alcuna formazione formale nella pratica della valutazione. L’uso di ulteriori valutatori esterni, come ricercatori o consulenti di valutazione, sembra raro. qualora utilizzati vengono fatti rientrare come esperti all’interno di specifici progetti. A. La valutazione interna Fino al passato recente vi era un obbligo imposto alle scuole, relativo all’assicurazione della qualità e al miglioramento continuo. in conformità con l’ordinanza del 1997 relativa alla reportistica sulla qualità, che è attualmente in fase di revi39 sione, le scuole erano tenute a sviluppare analisi e relazioni sulla qualità, come una fase nel processo continuo di follow-up e di valutazione delle attività scolastiche. tale analisi sistematica della qualità mirava a individuare periodicamente i prerequisiti necessari per operare nella direzione degli obiettivi nazionali, sviluppando processi di lavoro, valutandone i risultati e prendendo le misure appropriate. Per garantire che i miglioramenti fossero sostenibili e che fosse stata arricchita la qualità prodotta dalla scuola, la tendenza si basava su diverse forme di monitoraggio nel tempo. Le forme di rendicontazione della qualità espressa, in termini di report e di comunicazioni alle municipalità, sono state considerate uno strumento efficace per verificare regolarmente dove fosse giunta l’organizzazione nello sforzo verso il miglioramento continuo. ogni comune era tenuto a redigere una relazione sulla qualità delle scuole a livello municipale. ogni scuola a sua volta era tenuta a definire un piano della qualità a livello operativo. tuttavia l’obbligo di presentare una relazione annuale sulla qualità creata si è rilevato abbia imposto agli insegnanti ed ai capi di istituto di concentrare molte attività su aspetti prevalentemente formali e burocratici. inoltre, il processo di redazione delle relazioni sulla qualità e l’uso dei loro risultati non ha sortito gli effetti previsti. Si è ritenuto pertanto che l’uso limitato e gli effetti prodotti dal sistema di comunicazione non giustificassero il lavoro di analisi e reporting. Pertanto, da alcuni anni non vi è più l’obbligo per le scuole di presentare tali relazioni. questa decisione deve essere considerata anche alla luce della discussioni in corso nel mondo della scuola, secondo cui il tempo trascorso dagli insegnanti nelle attività didattiche concrete sarebbe insufficiente, mentre verrebbe destinato in parte eccessiva per altri generi di impegni extradidattici. il NAE ha sviluppato uno strumento per l’auto-valutazione della qualità in tutte le attività curricolari, denominato BrUK (Bedömning, reflektion, Utvärdering, Kvalitet - Accertamento, riflessione, Valutazione e qualità). L’auto-valutazione usa indicatori che si sviluppano sulla base dei documenti di politica scolastica nazionale. BrUK può fornire supporto nell’autovalutazione ad un team di insegnanti, così come ad una scuola, o una municipalità. Lo strumento può essere usato per avviare processi di sviluppo e come parte del lavoro sistematico sulla qualità. in particolare, può essere utilizzato nel processo di definizione degli obiettivi, implementazione, valutazione dell’efficacia, analisi e formulazione degli obiettivi operativi, sviluppo continuo dei processi. BrUK si articola su aree principali: processi, raggiungimento degli obiettivi e fattori di contesto. È graduato su cinque livelli a partire dalle aree di indicatori, fino alla specificazione dei singoli indicatori e dei criteri. Un criterio è una definizione riguardante le operazioni. ogni criterio è suddiviso sulla base di una scala di sei livelli a partire dalla constatazione che “il criterio non coincide in alcun modo con le operazioni realizzate nella scuola”, passando per “il lavoro è iniziato e si è sulla buona strada”, sino “al criterio caratterizza pienamente le operazioni”. Una volta che gli insegnanti abbiano concluso la loro valutazione della situazione corrente, sono in grado di discutere le possibili azioni. 40 B. L’attività ispettiva L’obiettivo generale dell’ispezione delle scuole è quello di fare in modo che tutti i bambini ed i giovani frequentino la scuola concentrandosi sugli aspetti relativi alla sicurezza ed all’apprendimento. tutti devono avere pari opportunità nel raggiungere gli obiettivi, indipendentemente dal sesso, condizioni socio-economiche o luogo di residenza. È quindi responsabilità dell’ispettorato Scuole fare in modo che ogni scuola soddisfi tali requisiti. L’ispettorato si accerta pertanto che i responsabili, vale a dire, in primo luogo gli enti locali, si uniformino alle leggi ed ai regolamenti vigenti. L’ispezione delle scuole si attua attraverso accertamenti periodici e review tematiche della qualità. Durante gli accertamenti periodici l’obiettivo principale è la legalità, lo scopo è quello di garantire il diritto di ogni individuo in relazione alla legge sull’istruzione e ai regolamenti in vigore. Nel corso delle review tematiche della qualità il fuoco dell’analisi è sugli aspetti della qualità nei processi di insegnamento e di apprendimento, in relazione ai risultati e alla performance delle scuole. L’obiettivo è quello di influenzare il lavoro delle scuole e degli enti locali, al fine di aumentare la qualità e gli standard di conseguimento. in termini di analisi organizzativa, va notato che le scuole svedesi presentano per lo più una struttura organizzativa piuttosto piatta. Esse sono in genere suddivise in piccole unità in cui un gruppo o un team di insegnanti lavora insieme e condivide la responsabilità di organizzare il lavoro. A livello di scuola nel suo complesso, invece, si analizzano i risultati delle discussioni individuali compiute due volte l’anno con gli studenti sui loro progressi e sviluppi, in aggiunta alle analisi svolte da ciascun docente in merito ai propri studenti. L’analisi complessiva può essere effettuata dal capo di istituto o da un gruppo specifico. il risultato delle analisi è consegnato agli studenti e agli insegnanti come base per uno sviluppo continuo dell’istituzione scolastica. Le valutazioni sono svolte di norma dal gruppo di insegnanti a cui appartengono. La valutazione può essere seguita da discussioni in piccoli gruppi o da riflessioni individuali scritte da parte degli insegnanti che sono analizzate in seguito entro un gruppo di maggiori dimensioni. i problemi che coinvolgono l’intero corpo degli insegnanti sono generalmente discussi nel corso delle sessioni di pianificazione cui partecipano tutti i docenti. L’idea di base è quella di coinvolgere il maggior numero possibile di docenti nei processi di follow-up e di valutazione, così come di impostare il miglioramento dell’istituzione scolastica su processi continui e sistematici. L’ispezione delle scuole si sviluppa su tre aree chiave con attenzione sia alle condizioni di funzionamento che ai risultati ottenuti: – i risultati, gli standard di realizzazione, l’apprendimento e l’insegnamento. Gli ispettori raccolgono informazioni in merito a ciò che gli studenti hanno appreso in rapporto agli obiettivi del programma nazionale e su come le scuole stanno operando per incrementare gli standard di realizzazione, oltre che su come gli insegnanti adattino il loro insegnamento alle esigenze individuali di ogni studente, 41 se e come abbiano monitorato i risultati di apprendimento e valutato l’insegnamento, se e come abbiano sostenuto gli studenti con bisogni educativi speciali. – Gli ispettori analizzano in secondo luogo come le scuole operino per insegnare agli studenti le norme ed i valori propri di un società democratica. Gli ispettori valutano in tal senso l’ethos della scuola e in che modo la scuola si è attrezzata per prevenire fenomeni di bullismo e di discriminazione. – infine, gli ispettori controllano le forme di gestione della scuola e le attività di autovalutazione, sia a livello municipale che entro le diverse istituzioni scolastiche. il processo di ispezione prevede la raccolta dei dati, controlli, analisi, valutazioni, sulla base di un modello di assicurazione della qualità. indipendentemente dal tipo di ispezione, il processo è suddiviso in quattro fasi: preparazione, visite in loco, analisi e feedback. Prima dell’ispezione, si realizza una ricerca avente per oggetto sia l’autorità competente, che può essere un comune o il consiglio di una scuola indipendente, sia la singola scuola. Nel corso di questo processo sono utilizzati materiali esistenti, come dati statistici, relazioni sulla qualità, precedenti decisioni comunicate al termine delle visite di routine. L’obiettivo è quello di ottenere una panoramica delle attività dell’autorità responsabile ed individuare ogni possibile criticità. Anche gli ispettori raccolgono il maggior numero di conoscenze ed informazioni sulla base di diversi tipi di studi, ricerche ed indagini svolte in precedenza. Nel corso di un accertamento periodico, sono visitate tutte le scuole di una municipalità. Vengono intervistati i membri del personale in relazione a diverse categorie, così come gli studenti, i genitori ed i decisori politici in carica. Nel caso di review tematiche sulla qualità, sono visitate autorità locali e scuole selezionate su base campionaria. L’interpretazione di ciò che è stato raccolto viene effettuata congiuntamente all’interno del team degli ispettori, sulla base delle competenze professionali e in relazione ai documenti guida nazionali. Successivamente alla visita presso una scuola, viene fornito un feedback orale al capo d’istituto. Prima di pubblicare la relazione, all’autorità responsabile e al capo di istituto viene data la possibilità di formulare osservazioni sulla relazione preliminare degli ispettori. Al termine del processo ispettivo, gli ispettori ritornano presso la municipalità per un incontro con l’amministrazione e le diverse scuole, così come con i rappresentanti del personale, di studenti e genitori, per commentare le relazioni scritte e le decisioni assunte, così come per commentare l’esito dell’opera di valutazione. La scuola ispezionata è tenuta a riferire per iscritto entro tre mesi sul lavoro svolto per ovviare alle carenze esistenti. Se l’ispettorato ritiene che le richieste siano state soddisfatte, l’ispezione giunge a conclusione. in caso contrario, l’ispettorato richiede l’implementazione di misure aggiuntive da parte della scuola. 1.4.4. Nuova Zelanda in Nuova zelanda il sistema di valutazione delle scuole si articola su due assi principali: 42 – audit per il controllo della correttezza nella gestione delle risorse finanziarie e della conformità a quanto stabilito dalla legislazione vigente; – review per il controllo degli aspetti legati all’accountability ed al miglioramento ed allo sviluppo dell’istituzione scolastica. Entrambe le forme di valutazione sono previste e dettagliate all’interno della legge sul sistema di istruzione, promulgata nel 1989 e utilizzano sia processi di valutazione interna che esterna. Le scuole riferiscono annualmente circa i conti finanziari all’ufficio del revisore generale ed includono la relazione del revisore generale nella loro relazione annuale al Ministero della Pubblica istruzione. oltre a ciò, le istituzioni scolastiche realizzano un’autovalutazione su aspetti legati alla conformità e preparano una dichiarazione di affidabilità da parte del consiglio direttivo che è vagliata dall’ufficio per il controllo del sistema di istruzione, che in quanto tale diviene un elemento del processo di valutazione esterna della scuola. A. Il sistema di autovalutazione Le scuole hanno l’obbligo di realizzare un’autovalutazione permanente che ha lo scopo di porre le basi per la pianificazione strategica, la definizione delle priorità e dell’allocazione delle risorse. L’autovalutazione costituisce il punto di partenza anche per la realizzazione della valutazione esterna che viene condotta all’incirca ogni tre anni. Alcune scuole possono volontariamente entrare in ulteriori processi di valutazione relative alla loro matrice religiosa o filosofica. Ad esempio, le scuole cattoliche ogni tre anni sono sottoposte ad un processo di revisione da parte dalla Diocesi. Nella pratica, la qualità dell’autovalutazione è variabile. Nel 2007, circa la metà delle scuole utilizzava le informazioni derivanti dall’autovalutazione come base per i processi decisionali riguardanti le pratiche di insegnamento e la gestione della scuola nel suo complesso. tuttavia negli anni recenti lo sviluppo delle ca - pacità degli insegnanti, dirigenti scolastici e dei consigli di amministrazione nel gestire efficacemente i processi autovalutativi ha assunto una rilevanza sempre maggiore. il sistema di valutazione esterna ha iniziato ad utilizzare la qualità dell’autovalutazione come uno dei criteri per determinare il tempo che deve essere lasciato intercorrere tra le visite ispettive. Per incentivare questo approccio, Ero ha aggiornato il processo di revisione, rielaborato la documentazione e fornito attività di formazione diretta ai dirigenti scolastici e middle management. L’attenzione è sempre più rivolta a come le scuole utilizzino i risultati dell’autovalutazione per alimentare i processi decisionali e promuovere un miglioramento continuo. B. Il sistema di valutazione esterna La valutazione esterna della qualità dell’istruzione in tutte le istituzioni pubbliche di istruzione primaria e secondaria è effettuata dall’Ufficio per la Valutazione del Sistema di istruzione (Education Review Office - Ero). Ero è stato istituito nell’ambito della legge quadro del 1988 sulla pubblica amministrazione, come un dipartimento governativo indipendente. 43 Fino al passato recente, la valutazione esterna delle scuole ruotava intorno a tre aree principali di intervento: aspetti in materia di conformità, la valutazione del sistema educativo, tra cui un’area specifica riguardante le scuole e le aree di interesse nazionale, in cui i dati vengono aggregati per produrre un’analisi di sistema ad ampio spettro). tale approccio è ora in fase di modifica ed affinamento, per far sì che la valutazione interna compiuta dalle scuole e la valutazione esterna trovino sempre maggiori forme di complementarietà. Ero mira a bilanciare le sue due componenti – basate sulla valutazione dell’affidabilità e del miglioramento interno – rivolgendosi alla qualità dell’istruzione all’interno della scuola e formulando raccomandazioni per favorire il miglioramento. il processo di riorganizzazione del sistema complessivo di valutazione in Nuova zelanda vede da un lato accrescersi il ruolo delle scuole nella sfera dell’accountability, mediante pratiche di autovalutazione, e dall’altro una sempre maggiore specializzazione della valutazione esterna nel sostenere lo sforzo delle scuole verso un miglioramento continuo. in tal senso si può affermare che il sistema di valutazione delle scuole prenda le mosse dall’autovalutazione operata dalle scuole, riconoscendo che queste conoscono i propri processi interni e l’ambiente socio-economico nel quale sono immerse e possono quindi definire gli obiettivi di accountability. Differentemente, la valutazione esterna può risultare uno strumento estremamente efficace per garantire una comparazione tra ciò che avviene presso ciascun contesto scolastico locale comparato con il sistema educativo nazionale inteso nel suo complesso. La funzione degli ispettori ha acquisito pertanto il significato di supportare le scuole ad operare una triangolazione tra i risultati di volta in volta acquisiti e le dinamiche generali che interessano il sistema nazionale e la sua evoluzione. i rapporti prodotti entro il sistema Ero vengono pubblicati nel sito dell’organismo che sovrintende alla valutazione esterna delle scuole. qualora necessario, le équipe di ispettori fanno ritorno presso le scuole esaminate, nel caso si rendano necessarie azioni specifiche di supporto al miglioramento. i rapporti prodotti al termine della valutazione esterna producono un forte impatto sulle scuole esaminate, a causa della loro natura pubblica. Le relazioni forniscono un quadro completo di ciò che accade in una scuola in quel punto nel tempo e indicano se si ritiene che la scuola possa continuare a funzionare in modo efficace o se si renda necessaria qualche forma di intervento. il Ministro può, in qualsiasi momento, richiedere che Ero conduca il controllo di una scuola qualora si accerti l’esistenza di motivi di preoccupazione che necessitino di ulteriori indagini. i rapporti prodotti non perseguono una logica di ranking o di comparazione tra le scuole esaminate. Da questo punto di vista, l’attenzione dei media si concentra su altri tipi di valutazione che possano dare luogo ad una classifica tra istituti, in particolare le scuole secondarie superiori. A tale scopo vengono utilizzati i risultati 44 ottenuti dagli allievi nella partecipazione a programmi internazionali di assessment dei risultati di apprendimento, a cominciare dalla ricerca oCSE/PiSA. Laddove la valutazione esterna stabilisca che sia necessario un intervento, di norma nel caso in cui siano a rischio il benessere o la qualità dell’apprendimento degli studenti, il sistema Ero sottopone una raccomandazione al Ministero dell’istruzione il Ministero può scegliere tra una gamma di interventi che vanno dalla richiesta al consiglio direttivo di servirsi di un supporto specialistico, all’indicazione alla scuola di intervenire su particolari aspetti, sino allo scioglimento del consiglio direttivo ed alla nomina di un commissario straordinario. Allo scopo di promuovere l’obiettivo del miglioramento della scuola sotto esame, la valutazione esterna si concentra sul livello cui giunge l’istituzione scolastica nel garantire il successo di tutti gli studenti, in particolare di quelli a rischio di dispersione o di mancato raggiungimento di livelli minimali. il processo di review indaga come la scuola utilizza le proprie pratiche di autovalutazione per stabilire priorità, prendere e attuare decisioni strategiche e monitorare i propri sforzi verso il miglioramento continuo. Per far ciò, l’équipe identifica le aree di sviluppo della scuola e conferma o contesta le aree che l’autovalutazione ha messo in luce come punti di forza e di debolezza. i giudizi valutativi sono guidati dall’utilizzo di una serie di indicatori. Da un lato, gli indicatori di risultato sono collegati direttamente a come si sta operando nella scuola in vista dei risultati desiderati. Ad esempio: – la misura dell’impegno e del coinvolgimento degli studenti; – i dati relativi al successo scolastico ed al conseguimento del diploma; – la misura dei progressi ottenuti dagli studenti. Dall’altro lato, gli indicatori di processo si basano su fattori che la ricerca specialistica e la pratica concreta mostrano presentare un impatto su impegno, successo scolastico e progresso degli studenti. Ad esempio: – leadership per l’apprendimento; – strategie e metodologie efficaci di insegnamento; – una cultura scolastica inclusiva. in passato, qualora la valutazione esterna avesse mostrato criticità sul fatto che una scuola potesse continuare nel ciclo di revisione periodica e si raccomandasse una revisione supplementare (in tempi più brevi rispetto al ciclo normale), si rendeva disponibile la possibilità di un’assistenza post-review. in tal caso il programma di assistenza veniva definito in forma concertata nel corso di un incontro specifico con la partecipazione del consiglio direttivo, del dirigente scolastico, di un rappresentante del Ministero e di altri soggetti o enti che avrebbero potuto supportare la scuola nello sviluppo di un piano d’azione che ponesse al centro le priorità individuate. Attualmente Ero sta sviluppando una metodologia che incorpora forme di assistenza post-review entro un processo a lungo termine. 45 in termini di comparazione con altre forme di valutazione, Ero ha accesso a tutta la documentazione della scuola, tra cui i risultati della valutazione degli studenti, i rapporti del consiglio direttivo, i documenti finanziari, i verbali di riunioni, così come la valutazione degli insegnanti ed i piani di sviluppo professionale. i rapporti prodotti non valutano i singoli insegnanti, ma si concentrano sulla qualità complessiva del corpo insegnante e sulle aree che necessitano di attenzione. Sebbene l’obiettivo principale di una review sia fornire una relazione su ogni scuola, Ero raccoglie anche dati sulle aree di interesse nazionale. i dati vengono generalmente raccolti al momento di una revisione periodica e aggregati per fornire una più ampia visione su una problematica, un’iniziativa presa a livello centrale, una politica o un’area del curriculum. tali oggetti di analisi possono essere determinati da Ero, oppure richiesti dal Ministro o dal Ministero dell’istruzione, o ancora suggeriti da un gruppo di stakeholder. questi rapporti forniscono preziose informazioni a livello regionale o a livello di sistema. i risultati delle analisi sono a disposizione delle scuole e di altri attori del sistema in forma cartacea o elettronica. 1.4.5. Corea del Sud A. Quadro generale di riferimento per la valutazione delle scuole Nel 1990, il Governo coreano ha lanciato un’iniziativa di riforma dell’istruzione focalizzata sulla trasformazione del sistema di governance sino ad allora uniforme, rigido e centralizzato, in un sistema maggiormente decentrato in cui le scuole sono considerate responsabili per il loro funzionamento. L’obiettivo consisteva nel soddisfare le esigenze di studenti e genitori dirette ad una più diversificata e specializzata offerta formativa. Se la struttura di governance precedente era stata basata sui principi di regolazione e di controllo, con l’iniziativa di riforma l’asse di sviluppo aveva iniziato a muoversi verso l’accrescimento di forme di autonomia e responsabilità. Nel corso di tale trasformazione, il Governo ha riconosciuto la necessità di dotarsi di un meccanismo di valutazione che ponesse sotto analisi le istituzioni scolastiche, in linea con quanto stava accadendo per l’intero sistema dell’amministrazione pubblica. Nel 1995, la Commissione presidenziale sulla riforma dell’istruzione ha proposto l’introduzione di un sistema di valutazione delle scuole destinato a migliorare la qualità dell’istruzione scolastica potenziando la concorrenza tra istituzioni scolastiche. Lo scopo alla base del sistema di valutazione della scuola è stato quello di istituire un sistema di istruzione scolastica user-oriented, migliorando la qualità dell’istruzione e il grado di responsabilizzazione delle scuole attraverso un meccanismo competitivo. in particolare, rendendo pubblici i risultati della valutazione delle scuole, l’intenzione principale del Governo era quella di favorire una più informata scelta della scuola da parte degli studenti e dei genitori. Nelle fasi iniziali di attuazione, la valutazione delle scuole è stata effettuata in un sistema duale, il promo attivo a livello nazionale e l’altro al livello dell’ufficio 46 di educazione metropolitano o provinciale. A livello nazionale, la valutazione della scuola era focalizzata sulla valutazione qualitativa allo scopo di migliorare l’istruzione scolastica. Al contrario, la valutazione effettuata a livello metropolitano/provinciale ha preso la forma nei termini di una valutazione quantitativa, misurabile mediante indicatori di valutazione. La valutazione a livello nazionale assumeva il modello di valutazione britannico sviluppato dall’oFStED, mentre la valutazione quantitativa mutuava l’analogo modello di derivazione statunitense. Nel periodo (2005-2010), è stato introdotto un nuovo sistema di valutazione delle scuole mediante l’uso di indicatori comuni. Come risultato degli sforzi di riforma avviati nel 2004, il ruolo del Governo centrale e delle autorità scolastiche locali ha visto una chiara divisione di ruoli e funzioni. Nel nuovo sistema, il Governo centrale si occupa degli aspetti legati alla ricerca, formazione e monitoraggio ai fini della valutazione, mentre il livello locale effettuata praticamente la valutazione e ne utilizza i risultati. il modello di valutazione presentato a livello nazionale è basato sul principio di utilizzare un insieme di indicatori comuni e condurre una review da parte di un pool di esperti esterni. rompendo con il precedente sistema basato sull’uso di indicatori quantitativi che era stato precedentemente usato a livello locale, tale modello fa invece, affidamento su un’interpretazione prevalentemente qualitativa dei valutatori circa i fenomeni educativi, nel senso che l’intero sistema scolastico comprendente input, processi e output è stata rivisto. in questa fase è iniziata inoltre la sistematizzazione degli indicatori di valutazione. il set di indicatori precedenti aveva omesso di fornire indicazioni per le scuole, limitandosi a costituire un elenco di variabili usate per verificare se il nucleo dei progetti portanti sviluppati a livello locale erano stati attuati o meno. invertendo la pratica, il Governo coreano ha richiesto all’istituto nazionale per lo sviluppo del sistema di istruzione di sviluppare indicatori chiave per misurare la qualità dell’istruzione impartita. A partire 2011, il Governo ha concesso maggiore autonomia nella valutazione delle scuole, consentendo agli organismi amministrativi locali di definire autonomamente indicatori e metodi di valutazione in base alle proprie esigenze e peculiarità. B. Il framework per la valutazione delle scuole La legge sull’istruzione primaria e secondaria ed i successivi decreti applicativi stabiliscono che il Ministro dell’istruzione, della Scienza e della tecnologia effettua la valutazione delle scuole. Ma nella realtà, la competenza specifica è delegata ai sovrintendenti degli uffici metropolitani e provinciali dell’istruzione. tutte le scuole primarie e secondarie vengono valutate ogni tre anni, secondo un modello di valutazione che pone al centro un processo di review operata da esperti. il modello si basa sulla valutazione dell’intero sistema dell’istituzione scolastica, rappresentato da input, processi ed output. La procedura di valutazione si articola in una dimensione di autovalutazione e in una componente di valutazione esterna. i risultati della valutazione sono utilizzati come base informativa e docu47 mentale per offrire alle scuole eccellenti incentivi di carattere amministrativo e finanziario, e sostenere le istituzioni scolastiche che presentino criticità con programmi di accompagnamento mirato. i risultati sono resi pubblici allo scopo di migliorare i risultati ottenuti dalle diverse scuole e innalzarne i livelli di responsabilità. il Governo riconosce che, quando non vengono presi in considerazione fattori legati alla dimensione socio-economica che fa da sfondo a ciascuna istituzione scolastica, non è possibile pervenire ad una corretta analisi valutativa. Pertanto, la valutazione si concentra sui livelli di crescita e di sviluppo delle scuole nel corso del tempo, piuttosto che sulla comparazione tra realtà profondamente eterogenee sotto il profilo del contesto socio-economico di riferimento. Al tal fine, gli organismi locali del sistema di istruzione dividono le scuole in categorie, in considerazione delle dimensioni della scuola, della posizione (urbano/agricolo), della tipologia. Le scuole che condividono situazioni simili sono valutate dal medesimo pool di valutatori, e vengono attribuiti punteggi finali all’interno di ciascuna categoria di scuole. Anche se la classifica delle scuole in base ai risultati della valutazione non sono resi pubblici, le scuole migliori e quelle meno performanti sono individuabili indirettamente, vagliando gli effetti di misure amministrative quali il livello differenziato di sostegno finanziario per le scuole eccellenti, l’esenzione delle scuole migliori da esigenze di controllo, la fornitura di consulenza alle scuole con risultati insoddisfacenti. oltre a ciò, a partire da febbraio 2011, il sistema di valutazione della scuola è collegato con un sistema informativo centralizzato, attraverso il quale vengono comunicati ai genitori e al pubblico i risultati complessivi della valutazione della scuola (punti di forza e raccomandazioni). C. Divisione dei ruoli e delle funzioni tra autorità centrali e locali del sistema dell’istruzione in base all’attuale sistema di valutazione delle scuole, il primo passo consiste nella formulazione di un piano di base per la valutazione, sviluppato a livello nazionale, mentre il piano attuativo viene demandato interamente ai livelli inferiori, ossia agli organismi di tipo metropolitano e provinciale, su cui si basa l’architettura del sistema amministrativo coreano; vale a dire che, sulla base del piano quadro di valutazione stabilito dal Ministero dell’istruzione, della Scienza e della tecnologia, compete poi ai livelli locali lo sviluppo di specifici e diversi piani di attuazione e l’effettuazione delle azioni conseguenti sul campo. Benché l’attuale sistema presenti una scansione duale, tale per cui si dà una rigida distinzione di ruoli e funzioni tra il livello centrale e le autorità locali del sistema dell’istruzione, sono attualmente allo studio una serie di proposte di legge che tendono ad attribuire piena competenza nella definizione e gestione della valutazione delle scuole alle autorità locali, in una logica di progressivo decentramento. inizialmente, la valutazione è stata condotta separatamente ai due livelli, centrale e locale. tuttavia, il sistema dualistico ha creato un problema di sovrapposizioni, che ha condotto alla necessità di ristrutturare il sistema. 48 A partire dai primi anni Duemila, il Governo ha intrapreso una serie di sforzi per riorganizzare la valutazione della scuola in termini di una maggiore efficacia. Come risultato, si è stabilito sul piano normativo che gli organismi cui spettano i due piani di competenza non devono concentrarsi sulle medesime procedure di valutazione. Si è definito da poco un principio di base per suddividere le funzioni del Governo centrale e degli uffici locali. Nell’ambito del nuovo quadro, il Governo centrale è responsabile della pianificazione della valutazione delle scuole, la formazione, la progettazione del quadro di valutazione, l’elaborazione di indicatori, la formazione dei valutatori e il monitoraggio. Gli organismi locali sono responsabili dell’attuazione pratica della valutazione. Gli elementi di dettaglio nella suddivisione dei ruoli tra le due sfere di competenza sono illustrati alla Figura 4. Fig. 4 - Divisione di funzioni tra livello nazionale e livello locale D. Metodo e procedure di valutazione delle scuole Per quanto riguarda il metodo di valutazione, si prevede un’autovalutazione da parte della scuola ed una visita in loco da parte di un esperto esterno. Le scuole hanno l’obbligo di realizzare e di istituire un comitato per l’autovalutazione composto del preside della scuola, il vice preside e gli insegnanti. Nel preparare il rapporto di autovalutazione, le scuole sono tenute a presentare prove documentate della loro attività didattica e dei risultati conseguiti per ciascun indicatore di valutazione, sulla base delle linee guida di valutazione fornite dal Ministero. i valutatori esterni, che raccolgono e analizzano i dati sulle condizioni ambientali ed i successi conseguiti, sviluppano le loro valutazioni a partire dalla relazione di autovalutazione presentata dalla scuola. Sulla base dei rapporti di autovalutazione, si sviluppano ipotesi sui punti di forza e punti deboli di ogni scuola, e si identificano i problemi che dovrebbero divenire oggetto di review durante le visite in loco.                         -                - !"            #      -         $%   #   - &         - '(   $ (   ) - &   -     *      -           -              #   -       )    D. Metodo e procedure di valutazione delle scuole Per quanto riguarda il metodo di valutazione, si prevede un’autovalutazione da parte della scuola ed una visita in loco da parte di un esperto esterno. Le scuole hanno l’obbligo di realizzare di istituire un comitato per l’autovalutazione composto del preside della scuola, il vice preside e gli insegnanti. Nel preparare il rapporto di autovalutazione, le scuole sono tenute a presentare prove documentate della loro attività didattica e dei risultati conseguiti per ciascun indicatore di valutazione, sulla base delle linee guida di valutazione fornite dal Ministero. I valutatori esterni, che raccolgono e analizzano i dati sulle condizioni ambientali ed i successi conseguiti, sviluppano le loro valutazioni a partire dalla relazione di autovalutazione presentata dalla scuola. Sulla base dei rapporti di autovalutazione, si sviluppano ipotesi sui punti di forza e punti deboli di ogni scuola, e si identificano i problemi che dovrebbero divenire oggetto di review durante le visite in loco. Prima di visitare una scuola, il pool per la valutazione esterna acquisisce e analizza i risultati cui è giunta l’autovalutazione, i piani di studio, il background socio-economico, etc. Tale fase è definita pre-assessment. La visita in loco richiede normalmente una giornata. Il gruppo di valutatori è in gran parte composto da insegnanti in pensione, presidi e vice-direttori. Il pool, sulla base della documentazione di pre-assessment, tiene incontri con il preside, il vice-preside, gli studenti ed i genitori per verificare i problemi legati agli indicatori di base che sono stati individuati in fase di pre-assessment. Dopo aver completato la valutazione, il gruppo condivide i risultati cui è giunta la review. L’équipe fornisce una valutazione su una scala di classificazione 0-4 per ogni indicatore:  4: Eccellente tanto da essere disseminato in altre scuole  3: Buono  2: Discreto  1: Insufficiente  0: Assenza di ogni attività di rilievo Quattordici indicatori comuni sono fissati a livello nazionale all’interno di quattro settori: obiettivi dell’Istruzione scolastica, curriculum e metodologia, management dei risultati di apprendimento, amministrazione. L’assunto di base per la determinazione delle quattro aree è che la scuola è un sistema in cui gli elementi chiave della programmazione, attuazione e management dei risultati si compongono in un processo organico e ciclico.                         -        - !"            #      -         $%   #   - &         - '(   $ (   ) -  -     *     -          -            #   -      )    D. Metodo e procedure di valutazione delle scuole Per quanto riguarda il metodo di valutazione, si prevede un’autovalutazione da parte della ed una visita in loco da parte di un esperto esterno. Le scuole hanno l’obbligo di realizzare istituire un comitato per l’autovalutazione composto del preside della scuola, il vice preside insegnanti. Nel preparare il rapporto di autovalutazione, le scuole sono tenute a presentare documentate della loro attività didattica e dei risultati conseguiti per ciascun indicatore valutazione, sulla base delle linee guida di valutazione fornite dal Ministero. I valutatori esterni, raccolgono e analizzano i dati sulle condizioni ambientali ed i successi conseguiti, sviluppano loro valutazioni a partire dalla relazione di autovalutazione presentata dalla scuola. Sulla base rapporti di autovalutazione, si sviluppano ipotesi sui punti di forza e punti deboli di ogni scuola, identificano i problemi che dovrebbero divenire oggetto di review durante le visite in loco. Prima di visitare una scuola, il pool per la valutazione esterna acquisisce e analizza i risultati è giunta l’autovalutazione, i piani di studio, il background socio-economico, etc. Tale fase è definita pre-assessment. La visita in loco richiede normalmente una giornata. Il gruppo di valutatori gran parte composto da insegnanti in pensione, presidi e vice-direttori. Il pool, sulla base documentazione di pre-assessment, tiene incontri con il preside, il vice-preside, gli studenti genitori per verificare i problemi legati agli indicatori di base che sono stati individuati in pre-assessment. Dopo aver completato la valutazione, il gruppo condivide i risultati cui è giunta review. L’équipe fornisce una valutazione su una scala di classificazione 0-4 per ogni indicatore:  4: Eccellente tanto da essere disseminato in altre scuole  3: Buono  2: Discreto  1: Insufficiente  0: Assenza di ogni attività di rilievo Quattordici indicatori comuni sono fissati a livello nazionale all’interno di quattro obiettivi dell’Istruzione scolastica, curriculum e metodologia, management dei risultati apprendimento, amministrazione. L’assunto di base per la determinazione delle quattro aree è scuola è un sistema in cui gli elementi chiave della programmazione, attuazione e management risultati si compongono in un processo organico e ciclico. 49 Prima di visitare una scuola, il pool per la valutazione esterna acquisisce e analizza i risultati cui è giunta l’autovalutazione, i piani di studio, il background socio-economico, etc. tale fase è definita pre-assessment. La visita in loco richiede normalmente una giornata. il gruppo di valutatori è in gran parte composto da insegnanti in pensione, presidi e vice-direttori. il pool, sulla base della documentazione di pre-assessment, tiene incontri con il preside, il vice-preside, gli studenti ed i genitori per verificare i problemi legati agli indicatori di base che sono stati individuati in fase di pre-assessment. Dopo aver completato la valutazione, il gruppo condivide i risultati cui è giunta la review. L’équipe fornisce una valutazione su una scala di classificazione 0-4 per ogni indicatore: – 4: Eccellente tanto da essere disseminato in altre scuole – 3: Buono – 2: Discreto – 1: insufficiente – 0: Assenza di ogni attività di rilievo. Fig. 5 - Indicatori comuni per la valutazione delle scuole  !            !  ! +" ,   +" ,  )-#". ) - #    ". /  &   ) - %      "    "  .    . *    )            0  " . )   0    "  " . )   0              "%1 . 2   3 )2" . ) &     ,   . 2  )       . )- % . 4    -# / "  '  )         #. )-   " . - 3  % )   "       ,#. ) - #  "    %. E. Utilizzo dei risultati Le relazioni della valutazione esterna sono pubblicate a livello nazionale e locale. Il rapporto nazionale fornisce un’analisi comparativa dei risultati della valutazione per dimensione della scuola, posizione e tipo di istituto, con l’obiettivo di diagnosticare il livello di qualità e lo stato dell’Istruzione scolastica coreana. Relazioni redatte dagli organismi locali hanno inoltre lo scopo di fornire una diagnosi analitica dei punti di forza e di debolezza delle scuole all’interno dei distretti, e di identificare le aree che necessitano di un sostegno. Ulteriori pubblicazioni sono realizzate per diffondere le migliori prassi in modo che altre scuole possono trovare un utile spunto per il miglioramento. I risultati della valutazione vengono consegnati alle scuole sotto forma di una relazione di valutazione. In genere, la relazione comprende i gradi di valutazione per ciascun indicatore, i risultati della valutazione, una descrizione generale per ogni area e una panoramica generale della valutazione. Le autorità locali possono definire un sistema premiante in base ai risultati della valutazione basato su misure amministrative e finanziarie per le diverse scuole. Molti organismi locali raccolgono i risultati delle valutazioni eccellenti, allo scopo di pubblicizzare i 50 quattordici indicatori comuni sono fissati a livello nazionale all’interno di quattro settori: obiettivi dell’istruzione scolastica, curriculum e metodologia, management dei risultati di apprendimento, amministrazione. L’assunto di base per la determinazione delle quattro aree è che la scuola è un sistema in cui gli elementi chiave della programmazione, attuazione e management dei risultati si compongono in un processo organico e ciclico. Nel selezionare gli indicatori fondamentali per valutare la qualità educativa della scuola come un sistema, sono stati applicati un numero di standard. Lo standard più importante è che gli indicatori dovrebbero fornire una visione d’insieme della qualità della scuola in termini di input educativo, di processo e di risultati. Gli indicatori dovrebbe inoltre fornire una visione di cosa sia una buona scuola, e orientare in tal modo le scuole verso l’innovazione e il miglioramento. Gli indicatori comuni hanno lo scopo di valutare la totalità del sistema di istruzione scolastica comprese le condizioni delle scuole, il curriculum ed i risultati di apprendimento. in termini di contenuti della valutazione, gli obiettivi dell’istruzione scolastica attengono all’input, il processo ha a che fare con il curriculum, le metodologie e gli aspetti amministrativi, mentre l’output è costituito dal management dei risultati. il dettaglio degli indicatori è riportato alla Figura 5. E. Utilizzo dei risultati Le relazioni della valutazione esterna sono pubblicate a livello nazionale e locale. il rapporto nazionale fornisce un’analisi comparativa dei risultati della valutazione per dimensione della scuola, posizione e tipo di istituto, con l’obiettivo di diagnosticare il livello di qualità e lo stato dell’istruzione scolastica coreana. relazioni redatte dagli organismi locali hanno inoltre lo scopo di fornire una diagnosi analitica dei punti di forza e di debolezza delle scuole all’interno dei distretti, e di identificare le aree che necessitano di un sostegno. Ulteriori pubblicazioni sono realizzate per diffondere le migliori prassi in modo che altre scuole possono trovare un utile spunto per il miglioramento. i risultati della valutazione vengono consegnati alle scuole sotto forma di una relazione di valutazione. in genere, la relazione comprende i gradi di valutazione per ciascun indicatore, i risultati della valutazione, una descrizione generale per ogni area e una panoramica generale della valutazione. Le autorità locali possono definire un sistema premiante in base ai risultati della valutazione basato su misure amministrative e finanziarie per le diverse scuole. Molti organismi locali raccolgono i risultati delle valutazioni eccellenti, allo scopo di pubblicizzare i risultati delle diverse scuole come buone pratiche. Verso le scuole che non riescono a raggiungere determinati livelli di qualità, gli organismi locali stabiliscono misure di sostegno e di accompagnamento. 51 2. Il Quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’Istruzione e della Formazione Professionale (EQARF) 2.1. IL PROCESSO DI COPENHAGEN ED IL RAFFORZAMENTO DELLA DIMENSIONE EUROPEA DELL’ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE il quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale (EqArF), oggetto di una specifica raccomandazione europea approvata nel giugno del 2009, si inserisce in un disegno organico di policy a favore della trasparenza delle qualificazioni e della mobilità europea per scopi formativi, le cui premesse sono inscritte nel cosiddetto Processo di Copenhagen. Nel capitolo che segue si tracciano le principali linee di sviluppo che originano dalla Dichiarazione di Copenhagen, la cui conoscenza è da considerarsi un presupposto fondamentale per cogliere le finalità generali sottese al framework europeo per l’assicurazione della qualità della VEt. Nel novembre 2002 i ministri dei Governi nazionali dell’istruzione e della Formazione e la Commissione, riuniti a Copenhagen, sottoscrivono una Dichiarazione comune in materia di istruzione e Formazione Professionale. La Dichiarazione, adottata oltre che dagli Stati membri anche dai Paesi EEA (Area Economica Euro - pea), dalle parti sociali e dai Paesi Candidati, segna l’avvio del cosiddetto Processo di Copenhagen che riunisce l’insieme delle politiche varate a livello comunitario nel settore della VEt. il processo di Copenhagen mira a promuovere la permeabilità, la trasparenza e la mobilità dei soggetti in apprendimento attraverso lo sviluppo di procedure e strumenti di coordinamento che consentano la progressiva armonizzazione dei sistemi nazionali e sub-nazionali della formazione. Si punta alla nascita di una dimensione europea dell’istruzione e della Formazione Professionale, mediante il rafforzamento della cooperazione tra Paesi ed il potenziamento della mobilità europea. L’elemento chiave è dato dal riconoscimento della centralità dell’utente rispet - to ai diversi sistemi e alle molteplici filiere della Formazione Professionale all’interno delle quali si trovi a transitare, sulla base dei percorsi di sviluppo individuale e professionale di volta in volta prescelti. Nel passaggio dalla centralità dei sistemi tradizionalmente autoreferenziali a quella dell’utente, assume un ruolo centrale il principio della capitalizzabilità e della spendibilità delle qualifiche e delle competenze, indipendentemente dal tipo di apprendimento che le abbia veicolate, sia esso di tipo formale, non formale o informale. Secondo la Dichiarazione di Copenhagen diviene, inoltre, indispensabile che i titoli e le qualificazioni ottenute in esito ai percorsi formativi presentino una validità ed una conseguente spendibilità a livello 52 nazionale ed europeo e, dove possibile, a livello internazionale. Nella Dichiarazione si insiste sulla necessità di rafforzare ed intensificare la cooperazione europea nel campo della VEt, in modo da sostenere l’idea che i cittadini possano muoversi liberamente tra differenti occupazioni, regioni, settori e Paesi in Europa. Viene formulato, inoltre, un deciso impegno ad eliminare gli ostacoli alla mobilità geografica e professionale e promuovere l’accesso all’apprendimento permanente. Ciò comporta l’adozione di misure per accrescere la trasparenza ed il riconoscimento delle competenze e delle qualifiche e per innalzare la qualità dei sistemi europei di istruzione e Formazione Professionale, come solida base per incrementare la fiducia reciproca. Nell’intesa si pone, inoltre, l’accento sulla necessità di assicurare collegamenti appropriati tra l’istruzione e la Formazione Professionale, necessari per superare la frammentazione tra i diversi sistemi della VEt e per sfruttarne appieno le diversità e complementarietà. Di seguito si elencano le priorità su cui si lavorerà in futuro con l’emanazione di specifiche raccomandazioni. Dimensione europea – rafforzare la dimensione europea dell’istruzione e Formazione Professionale allo scopo di migliorare e di intensificare la cooperazione, così da facilitare e promuovere la mobilità e lo sviluppo di forme di cooperazione interistituzionale, i partenariati e altre iniziative transnazionali, tutto al fine di dare maggiore visibilità al settore europeo dell’istruzione e della Formazione nel contesto internazionale e far sì che l’Europa sia riconosciuta, a livello mondiale, come un punto di riferimento in materia di apprendimento. Trasparenza, informazione, orientamento – Aumentare la trasparenza nell’istruzione e Formazione Professionale, al fine di incoraggiare la mobilità e l’apprendimento permanente, tramite l’attuazione e la razionalizzazione degli strumenti e delle reti di informazione, anche grazie all’integrazione di strumenti esistenti, quali il CV europeo, i supplementi ai certificati e ai diplomi, il quadro comune europeo di riferimento per le lingue e l’EUroPASS, in un unico quadro. – rafforzare le politiche, i sistemi e le prassi che sostengono l’informazione, l’orientamento e le consulenze negli Stati membri a tutti i livelli educativi, formativi ed occupazionali, in particolare per quanto concerne l’accesso all’apprendimento, l’istruzione e la Formazione Professionale e la trasferibilità e il riconoscimento delle competenze e delle qualifiche, in modo da agevolare la mobilità occupazionale e geografica dei cittadini in Europa. Riconoscimento delle competenze e delle qualifiche – Esaminare i modi per promuovere la trasparenza, la comparabilità, la trasferibilità e il riconoscimento delle competenze e/o delle qualifiche tra i vari Paesi e a differenti livelli, elaborando livelli di riferimento, principi comuni di certi53 ficazione e misure comuni, fra cui un sistema di trasferimento di crediti per l’istruzione e la Formazione Professionale. – Sostenere maggiormente lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche a livello settoriale rafforzando, in particolare mediante il coinvolgimento delle parti sociali, la cooperazione ed il coordinamento. tale impostazione si riflette in numerose iniziative a livello comunitario, bilaterale e multilaterale, ivi comprese quelle già individuate in vari settori e che si prefiggono qualifiche reciprocamente riconosciute. – Definire una serie di principi comuni concernenti la convalida dell’apprendimento non formale ed informale al fine di assicurare una maggiore compatibilità tra le impostazioni seguite dai vari Paesi e a differenti livelli. Garanzia della qualità – Promuovere la cooperazione allo scopo di migliorare la qualità dei sistemi VEt, con particolare attenzione allo scambio di modelli e metodi nonché a criteri e principi qualitativi comuni in materia di istruzione e Formazione Professionale. – Prestare attenzione alle esigenze in materia di apprendimento degli insegnanti e formatori attivi in ogni tipo di istruzione e Formazione Professionale. riorganizzando gli obiettivi della Dichiarazione di Copenhagen che più hanno attinenza con l’oggetto della nostra ricerca, ossia le politiche per la trasparenza, mobilità, riconoscimento e certificazione delle qualifiche e delle competenze, possiamo indicarli nei termini seguenti: – incoraggiare la mobilità e l’apprendimento permanente attraverso la messa in trasparenza di qualifiche e competenze; – migliorare la qualità dei sistemi di istruzione e Formazione Professionale; – favorire l’accesso personalizzato di tutti i cittadini ai percorsi di istruzione e Formazione superiori attraverso il riconoscimento e la validazione dell’apprendimento non formale e informale; – definire un approccio comune per il trasferimento dei risultati dell’apprendimento tra i diversi sistemi; – definire un codice di riferimento comune per i sistemi di istruzione e Formazione basato sui risultati dell’apprendimento. Le soluzioni cui si darà luogo in seguito per far fronte agli obiettivi individuati a Copenhagen hanno dato gradualmente forma ad un complesso sistema in cui si articolano le politiche per la trasparenza e la qualità nella VEt: – il quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EqF) corredato di un sistema di livelli di riferimento; – il quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze, diretto a riunire in un unico formato i vari strumenti di trasparenza come il CV Europeo, i supplementi ai certificati, i supplementi ai diplomi, l’Europass- Formazione e i punti di riferimento nazionali (EUroPASS); 54 – il Sistema europeo di crediti per l’istruzione e la Formazione Professionale, ispirato al successo del sistema europeo ECtS per il trasferimento di crediti nell’istruzione superiore (ECVEt); – il quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale; – i principi comuni europei per l’individuazione e la convalida dell’apprendimento non formale; – il quadro di riferimento europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente; – il quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale (EqArF). Gli output concreti in termini di sistemi, dispositivi e strumenti, cui ha dato luogo nel tempo la Dichiarazione di Copenhagen possono essere schematizzati come di seguito (Fig. n. 6). Fig. 6 - Priorità ed output del Processo di Copenhagen Le soluzioni cui si darà luogo in seguito per far fronte agli obiettivi individuati a Copenhagen hanno dato gradualmente forma ad un complesso sistema in cui si articolano le politiche per la trasparenza e la qualità nella VET:  il Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) corredato di un sistema di livelli di riferimento;  il Quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze, diretto a riunire in un unico formato i vari strumenti di trasparenza come il CV Europeo, i supplementi ai certificati i supplementi ai diplomi, l’Europass- Formazione e i punti di riferimento nazionali (EUROPASS);  l Sistema europeo di crediti per l’Istruzione e la Formazione Professionale, ispirato al successo del sistema europeo ECTS per il trasferimento di crediti nell’Istruzione superiore (ECVET);  il Quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’Istruzione e della Formazione Professionale;  i Principi comuni europei per l’individuazione e la convalida dell’apprendimento non formale;  il Quadro di riferimento europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente;  Il Quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’Istruzione e della Formazione Professionale (EQARF). Gli output concreti in termini di sistemi, dispositivi e strumenti, cui ha dato luogo nel tempo la Dichiarazione di Copenhagen possono essere schematizzati come di seguito (Fig 6). ""     "   # 55 2.2. IL QUADRO DI RIFERIMENTO PER L’ASSICURAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA VET il quadro di riferimento per l’assicurazione della qualità della VEt (EqArF: European Quality Assurance Reference Framework for VET), la cui raccomandazione della Commissione reca la data del 18 giugno 2009, è diretto a supportare gli Stati membri nel promuovere e monitorare il miglioramento della qualità dei sistemi VEt.6 L’uso del quadro di riferimento, la cui applicazione è volontaria, è raccomandato per promuovere un’ampia cooperazione e l’apprendimento reciproco nel quadro della rete europea per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale, per rafforzare e sviluppare i punti di riferimento nazionali per l’assicurazione della qualità e per monitorare l’attuazione del quadro di riferimento.7 il quadro mira a potenziare la qualità dei sistemi nazionali nella Formazione Professionale e nella Formazione Professionale continua, e a creare maggiore trasparenza e integrazione tra i diversi sistemi di Formazione Professionale. A tale scopo si inserisce nel sistema europeo di policy diretto a promuovere la fiducia reciproca, la mobilità delle persone in Formazione e dei professionisti, così come ad incentivare l’apprendimento permanente. in tale prospettiva, l’EqArF rappresenta un quadro di riferimento il cui obiettivo è aiutare i Paesi membri a osservare e migliorare costantemente i sistemi di Formazione Professionale. il quadro di riferimento non prescrive un determinato sistema di garanzia di qualità; tale strumento può essere considerato come una “cassetta degli attrezzi” dalla quale ogni Paese sceglie i propri, ritenendoli adatti a soddisfare le condizioni necessarie al proprio specifico sistema di garanzia della qualità. L’obiettivo infatti non è introdurre nuovi standard, ma sostenere i Paesi membri nello sviluppo di politiche e strumenti di garanzia della qualità e nella tutela della loro diversità. il quadro comune di riferimento europeo si basa su un modello circolare di sviluppo dell’attività formativa articolato in quattro fasi, per ciascuna delle quali definisce i criteri per l’assicurazione e il miglioramento continuo della qualità (cfr. Fig. n. 7). 6 Commissione delle Comunità Europee, raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sull’istituzione di un quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale, Bruxelles, 18.06.2009 (2009/C 155/02). 7 Per un approfondimento in merito alle politiche europee in tema di qualità della Formazione si consultino: Cedefop (2007), Indicators for quality in VET. To enhance European cooperation, Publications office of the European Union; Cedefop (2009), Accreditation and quality assurance in vocational education and training. Selected European approaches, Luxembourg, Publications office of the European Union; Cedefop (2011), Assuring quality in vocational education and training. The role of accrediting VET providers, Luxembourg, Publications office of the European Union; Cedefop (2012), Evaluation for improving student outcomes. Messages for quality assurance policies, Luxembourg, Publications office of the European Union. 56 Fig.7 - Ciclo di garanzia e di miglioramento della qualità EQARF La prima fase (Progettazione) riguarda la definizione di obiettivi chiari e misurabili riferiti alle politiche, alle procedure, ai compiti e alle risorse umane, al fine di consentire il controllo sul conseguimento dei risultati programmati. Comprende anche la definizione di standard di input e output per la progettazione e lo sviluppo di dispositivi di assicurazione qualità, per la certificazione degli individui e/o l’accreditamento delle strutture formative e/o dei programmi. La fase di Sviluppo riguarda l’esecuzione delle azioni programmate per assicurare il conseguimento degli obiettivi. È necessario che le regole e i passi procedurali siano chiari a tutti gli attori coinvolti. il processo di Valutazione richiede una combinazione di meccanismi di valutazione interna ed esterna. L’efficacia della valutazione dipende in larga parte dalla definizione di una metodologia chiara e dalla frequenza del processo, nonché dalla coerenza tra i dati e gli indicatori raccolti e gli obiettivi predeterminati. infine, poiché il miglioramento è un processo continuo e sistematico, esso deve prevedere una Revisione costante che, a partire dai dati raccolti attraverso la valutazione, assicuri il necessario feed back e la realizzazione dei cambiamenti opportuni. il quadro di riferimento è inoltre corredato di un insieme di criteri di riferimento, così come di un set di descrittori ed indicatori. i descrittori e gli indicatori proposti fungono esclusivamente da quadro di orientamento e possono essere scelti e utilizzati in linea con la situazione nazionale e le condizioni per lo sviluppo dei sistemi di garanzia della qualità. La raccomandazione prevede che ciascun Paese membro dell’UE sviluppi un proprio piano nazionale per il sistema di garanzia della qualità, coinvolgendo tutti i principali gruppi di interesse. inoltre i Paesi membri sono chiamati ad istituire organismi di riferimento ed a partecipare attivamente alla rete europea dei quadri di riferimento per la garanzia di qualità. sistemi di Formazione Professionale. A tale scopo si inserisce nel sistema europeo di policy diretto a promuovere la fiducia reciproca, la mobilità delle persone in Formazione e dei professionisti, così come ad incentivare l’apprendimento permanente. In tale prospettiva, l’EQARF rappresenta un quadro di riferimento il cui obiettivo è aiutare i Paesi membri a osservare e migliorare costantemente i sistemi di Formazione Professionale. Il quadro di riferimento non prescrive un determinato sistema di garanzia di qualità; tale strumento può essere considerato come una “cassetta degli attrezzi” dalla quale ogni Paese sceglie i propri, ritenendoli adatti a soddisfare le condizioni necessarie al loro specifico sistema di garanzia della qualità. L’obiettivo infatti non è introdurre nuovi standard, ma sostenere i Paesi membri nello sviluppo di politiche e strumenti di garanzia della qualità e nella tutela della loro diversità. Il Quadro comune di riferimento europeo si basa su un modello circolare di sviluppo dell’attività formativa articolato in quattro fasi, che per ciascuna fase definisce i criteri per l’assicurazione e il miglioramento continuo della qualità (Fig. 7). #$%& # #     '()   6 Commissione delle Comunità Europee, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sull’istituzione di un quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’Istruzione e della Formazione professionali, Bruxelles, 18.06.2009 (2009/C 155/02). 7 Per un approfondimento in merito alle politiche europee in tema di qualità della Formazione si consultino: Cedefop (2007), Indicators for quality in VET. To enhance European cooperation, Publications Office of the European Union; Cedefop (2009), Accreditation and quality assurance in vocational education and training. Selected European approaches, Luxembourg, Publications Office of the European Union; Cedefop (2011), Assuring quality in vocational education and training. The role of accrediting VET providers, Luxembourg, Publications Office of the European Union; Cedefop (2012), Evaluation for improving student outcomes. Messages for quality assurance policies, Luxembourg, Publications Office of the European Union. 57 il framework EqArF, le cui coordinate di massima possono essere reperite già nel documento del gruppo di lavoro del Cedefop (technical Working Group “quality in VEt”, 2004), definisce un approccio sistematico alla qualità, stabilendo in particolare il ruolo degli attori ai vari livelli e i modi in cui possono essere monitorati i risultati della VEt. Fornisce, inoltre, uno strumento di misura per il riesame ed il miglioramento dell’istruzione e Formazione Professionale al livello dei sistemi e dei fornitori. È fondato su un processo continuato di assicurazione della qualità che associa i seguenti elementi: – fissazione degli scopi/obiettivi politici e pianificazione; – definizione dei principi su cui si basa l’applicazione dei mezzi e delle misure previsti per raggiungere gli scopi e gli obiettivi; – concezione di meccanismi per la valutazione delle realizzazioni del programma rispetto agli scopi e agli obiettivi e valutazione delle realizzazioni/risultati a livello degli individui, dei fornitori e dei sistemi; – riesame fondato sui risultati della valutazione interna ed esterna, trattamento del feedback e organizzazione di procedure per il cambiamento. in sintesi, il sistema EqArF si articola in: – una strategia di riferimento che prevede quattro passaggi fondamentali, finaliz - zati alla ricerca di risultati ottimali, attraverso i quali dovrebbe essere gestito qualsiasi processo organizzativo e si dovrebbero affrontare situazioni e problemi: • la definizione degli output, dei risultati attesi, degli obiettivi da conseguire, di un piano che li traduca in azioni ed individui le condizioni di massima necessarie per il loro conseguimento; • l’implementazione del piano, ossia l’attuazione delle strategie, l’individuazione e gestione delle risorse umane, l’attivazione delle condizioni organizzative necessarie per affrontare la situazione e risolvere i problemi; • il controllo, ossia la valutazione del prodotto realizzato, del conseguimento parziale o totale dei risultati previsti, con la relativa analisi dei fattori che sono responsabili del mancato esito positivo; • il consolidamento, la valorizzazione e la diffusione dei risultati conseguiti, ovvero la pianificazione delle azioni che intervengano sui punti di debolezza, per il cambiamento ed il miglioramento dei processi e dei risultati. – Una metodologia che pone al centro di questa strategia di miglioramento continuo il processo di autovalutazione, combinato con un momento di verifica realizzato da soggetti esterni all’organizzazione. L’autovalutazione è intesa quindi come efficace strumento complementare di garanzia della qualità, che consente di misurare i successi ottenuti e di individuare gli ambiti in cui esiste un margine di miglioramento per quanto concerne l’attuazione del programma di lavoro degli attori del processo valutativo. – Un sistema di monitoraggio, definito a livello nazionale e/o regionale, associato a momenti di Peer review. 58 – Un dispositivo di rilevazione e misurazione, costituito da una griglia contenen - te un set di criteri e di indicatori ed un sistema di attribuzione e di calcolo dei valori rilevati nell’applicazione della griglia all’istituzione formativa. La raccomandazione sollecita gli Stati membri ad impegnarsi per un miglioramento complessivo dei sistemi della qualità nella sfera dell’education su cinque direttrici principali: – utilizzare e sviluppare ulteriormente il quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità, i criteri di qualità, i descrittori indicativi e gli indicatori di riferimento, allo scopo di migliorare e sviluppare ulteriormente i loro sistemi di istruzione e Formazione Professionale; – definire in ciascuno Stato membro un approccio volto a migliorare, se del caso, i sistemi di garanzia della qualità a livello nazionale e ad utilizzare nel modo migliore il quadro di riferimento, coinvolgendo le parti sociali, le autorità regionali e locali e tutti i soggetti interessati, conformemente alla legislazione e alla prassi nazionali. Per l’italia tale indicazione si è tradotta nel 2012 nell’approvazione del Piano Nazionale per la garanzia di qualità del sistema di istruzione e Formazione Professionale (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e MiUr, 2012); – partecipare attivamente alla rete per il quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità come base per l’ulteriore sviluppo di principi, criteri di riferimento e indicatori, linee guida e strumenti comuni per il miglioramento della qualità dell’istruzione e Formazione Professionale; – creare, qualora non sia già previsto, un punto nazionale di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e Formazione Professionale, che in italia è stato costituito presso l’iSFoL; – di procedere ogni quattro anni ad una revisione del processo di attuazionerevisione. 2.3. ULTERIORI ELEMENTI DI SUPPORTO ALLA STRATEGIA EUROPEA PER L’ASSICURAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA VET SVILUPPATI DAL CEDEFOP 2.3.1. La Guida per l’autovalutazione Un primo elemento a supporto della strategia europea per l’assicurazione della qualità nella VEt precede l’approvazione della raccomandazione europea ed è costituito dalla European Guide on Self-assessment for VET-providers, frutto del lavoro di collaborazione svolto nell’ambito del Gruppo Tecnico sulla Qualità (TWG) costituito dalla Commissione Europea presso il CEDEFoP. La guida è dotata di una griglia di autovalutazione con le relative linee guida applicative che ne facilitano l’uso e risponde a due obiettivi principali. Da un lato la guida intende offrire uno strumento agli organismi erogatori d’istruzione e Formazione Professionale 59 che desiderano migliorare le performance della propria organizzazione in un’ottica di qualità, raccogliendo sistematicamente e valorizzando la percezione che i destinatari del servizio formativo esprimono. Dall’altro lo strumento è finalizzato a gettare un ponte tra i sistemi d’istruzione e Formazione Professionale dei diversi Paesi europei per facilitarne il dialogo, la cooperazione, la mobilità delle persone e lo scambio delle buone pratiche. La Guide on Self-assessment for VET-providers è stata adattata al contesto italiano dall’iSFoL. La versione italiana, denominata Guida all’Autovalutazione (Allulli et alii, 2006) costituisce una rivisitazione, contestualizzata rispetto alla realtà nazionale, della Guida prodotta nell’ambito europeo. infatti, la Guida nella sua versione originale è il risultato dell’analisi comparata dei criteri e dei migliori modelli qualità adottati dai diversi Paesi europei e applicati nei sistemi d’istruzione e Formazione Professionale. A livello nazionale la Guida all’Autovalutazione costituisce una tappa del percorso già avviato dall’iSFoL per lo sviluppo della qualità del Sistema di istruzione e Formazione Professionale. La Guida all’Autovalutazione, così com’è stata elaborata dal Gruppo di Lavoro Europeo e rivista dall’iSFoL, intende fornire agli organismi erogatori d’istruzione e Formazione Professionale un ausilio all’uso delle tecniche di gestione della qualità al fine di migliorarne le performance. in particolare nello scenario italiano, la Guida all’Autovalutazione si propone come uno strumento che può assumere funzioni diverse: – attivare negli organismi una riflessione che sia complementare al necessario accreditamento della struttura formativa, così come disciplinato dalla normativa nazionale e regionale, oppure che prepari la struttura stessa alla Certificazione di qualità secondo le norme UNi EN iSo 9000: 2000; – essere una risorsa preliminare o complementare alla Certificazione conseguita da una struttura formativa, perché consente, se utilizzata periodicamente, di focalizzare l’attenzione su aspetti specifici, peculiari alla natura dei servizi formativi, non abbastanza esplicitati in questo approccio alla qualità. All’interno di tale scenario la Guida all’Autovalutazione fornisce: – una concezione della qualità delle attività d’istruzione e di Formazione Professionale, ispirata alla Carta qualità prodotta dall’iSFoL; – una visione sistematica e generale di tutte le attività ed i processi messi in atto da un organismo erogatore d’istruzione e Formazione Professionale; – una mappa delle aree dell’organismo suscettibili di miglioramento, alle quali è stata attribuita una priorità; – la possibilità di verificare se i processi e le attività realizzate dall’organismo sono coerenti con i risultati ottenuti; – uno strumento per il controllo e la verifica continua dei processi e dei risultati in termini di insegnamento/apprendimento, di gestione del personale, di impatto sul territorio e di efficacia/efficienza finanziaria, poiché l’autovalutazione rientra nella pianificazione generale delle attività; 60 – la possibilità di sviluppare e valorizzare le competenze del proprio personale e i processi richiesti per la realizzazione dei servizi; – gli strumenti per pianificare le azioni di miglioramento e di innovazione dei processi chiave; – un elemento di riferimento per valutare l’efficacia delle scelte effettuate, poiché le decisioni sono assunte anche sulla base dei dati forniti dall’autovalutazione. 2.3.2. Il manuale per la Peer Review La Peer Review (valutazione tra pari) è una forma di valutazione esterna che ha l’obiettivo di supportare le strutture scolastiche e formative nelle iniziative di sviluppo e di assicurazione della qualità. il modello di Peer Review per la qualità nel settore education è stata messo a punto dalla Commissione Europea per essere adottato su base volontaria dalle istituzioni di istruzione e Formazione Professionale. Pertanto, la procedura di Peer Review ha una funzione formativa, orientata allo sviluppo, che pone uno specifico accento sulla promozione del miglioramento continuo della qualità. La procedura di Peer Review europea assiste le istituzioni di istruzione e Formazione Professionale nel definire lo stato dell’offerta formativa e fornisce suggerimenti e raccomandazioni utili per il suo miglioramento. Pertanto, i principali destinatari della procedura di Peer Review europea sono le stesse istituzioni di istruzione e Formazione Professionale valutate. La procedura descritta nel manuale è focalizzata soprattutto sulla promozione di uno sviluppo continuo della qualità. Un gruppo esterno di esperti, definiti Pari (Peers), è chiamato a valutare la qualità di alcune aree della struttura scolastica/ formativa, come per esempio la qualità dell’insegnamento/ apprendimento, o dell’intera struttura. Durante il processo valutativo, i Peer conducono visite presso l’istituzione soggetta a valutazione. i Peer sono esterni ma lavorano in un contesto simile a quello dell’istituzione valutata e sono dotati di esperienza e professionalità specifiche nella materia valutata. Sono persone indipendenti e si pongono su base di parità con le persone delle quali deve essere valutato il rendimento. il manuale italiano della Peer Review, il cui adattamento dalla versione comunitaria è stato curato dall’iSFoL (Allulli e tramontano, 2012), descrive una metodologia standard per la conduzione di una valutazione tra pari nell’istruzione e Formazione Professionale iniziale a partire dalla procedura definita a livello europeo. La procedura è stata messa a punto nel quadro del Progetto Leonardo da Vinci “Peer Review in initial VET” da un gruppo di esperti di otto istituzioni provenienti da sette Paesi europei. Nel 2006 sono state condotte 15 Peer Review pilota transnazionali in otto Paesi europei di cui 3 in italia. Nel 2010 la metodologia della Peer Review ha conosciuto un’applicazione estensiva nell’ambito di una sperimentazione finanziata dal PoN FSE Ministero del Lavoro, coordinata dall’iSFoL e condotta insieme a 12 strutture scolastiche e formative distribuite sull’intero territorio 61 nazionale. L’esperienza ha consentito di sperimentare la guida su un campione più allargato di istituti/centri di formazione e di apportare gli adattamenti necessari. Nel 2010/2011 è stato condotto, con il finanziamento dell’Unione Europea, un nuovo progetto internazionale, Peer Review Impact, che si è focalizzato soprattutto sull’impatto della Peer Review sulla struttura scolastica e formativa e su come rafforzarlo. questo progetto ha visto la partecipazione di esperti provenienti da centri di ricerca e da strutture formative di una serie di Paesi europei e ha portato alla redazione di linee guida che sono state inserite nel manuale italiano. Le indicazioni derivanti dalle esperienze condotte a livello europeo e nell’applicazione estensiva a livello nazionale sono state recepite nella revisione della procedura di Peer Review europea e nel suo adattamento al contesto italiano. Pertanto, il manuale di Peer Review descrive un sistema di procedure che ha superato la prova dell’attuazione pratica e capitalizza le esperienze realizzate. 63 3. Il sistema di valutazione nazionale ed il progetto VALeS il decreto del Presidente della repubblica del 28 marzo 2013, n. 80 ha istituito il nuovo Sistema di Valutazione Nazionale di valutazione in materia di Istruzione e Formazione (nel seguito SVN). Vi contribuiscono tre soggetti: iNVALSi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di Istruzione e Formazione), indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) ed il contingente ispettivo. La diversificazione dei compiti, tra i soggetti vede l’attribuzione a iNVALSi del coordinamento funzionale dell’SNV, della predisposizione dei protocolli di valutazione, distribuisce alle singole istituzioni scolastiche gli strumenti necessari alla procedura di valutazione ed è competente a definire gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici. iNVALSi cura infine la selezione, la formazione e l’inserimento in un apposito elenco degli esperti dei nuclei per la valutazione esterna delle scuole. All’indire compete altresì la definizione e attuazione dei piani di miglioramento della qualità dell’offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti, anche autonomamente adottati dalle scuole. indire cura, inoltre, il sostegno ai processi d’innovazione tesi al miglioramento della didattica centrati sulle nuove tecnologie, con interventi di consulenza e formazione in servizio del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario e dei dirigenti scolastici, anche sulla base di specifiche richieste delle istituzioni scolastiche. infine, il contingente ispettivo concorre a realizzare gli obiettivi dell’SNV partecipando ai nuclei di valutazione esterna. 3.1. MODELLO INTERPRETATIVO MULTIDIMENSIONALE il modello interpretativo adottato da iNVALSi (iNVALSi-MiUr 2012, 2013) va inteso – secondo quanto espresso nei documenti di inquadramento teorico-metodologico – come lo schema concettuale che permette di categorizzare aspetti ritenuti rilevanti, che possano offrire un quadro sufficientemente esauriente degli effetti valutati e delle loro possibili cause. Nello specifico, si ritiene cruciale fornire elementi informativi da differenti punti di vista, che diano conto del complesso delle relazioni esistenti fra i diversi fenomeni in campo educativo. il modello interpretativo deve inoltre consentire di ragionare in maniera coerente su una pluralità di casi e di contesti, consentendo di ricavare indicazioni concrete per il singolo caso dal confronto con altre situazioni. il riferimento concettuale prescelto per l’impostazione generale del framework è il cosiddetto modello CiPP (Context - Input - Process - Product). il CiPP va inteso non tanto come un modello in cui i risultati risultino legati da un rapporto 64 deterministico alle altre variabili, ma come un approccio concettuale tale da permettere di categorizzare aspetti ritenuti rilevanti, che almeno su un piano logico possano offrire un quadro completo degli effetti e delle possibili cause. Pertanto la scelta è caduta sulla predisposizione di un quadro di riferimento unitario, che permetta di collegare i processi formativi da un lato alle risorse disponibili in un determinato contesto, dall’altro agli esiti cui si è pervenuti mediante l’azione educativa. il modello interpretativo risulta articolato in quattro classi di fattori: – gli esiti formativi ed educativi; – le pratiche educative e didattiche poste in essere nelle singole scuole; – l’ambiente organizzativo all’interno del quale quelle pratiche e quei processi si sviluppano; – il contesto socio-ambientale e le risorse in cui si inscrive il funzionamento dell’istituto, visto nella duplice prospettiva di vincoli e opportunità per l’azione organizzativa e formativa della scuola. A. Gli esiti formativi ed educativi Nel corso del recente passato il mondo della scuola, tanto sul piano europeo ed internazionale che su scala nazionale, è stato investito da un processo di cambiamento che suole essere definito nei termini di una progressiva destrutturazione dei curricoli scolastici tradizionali basati sulle conoscenze disciplinari a favore di un approccio per competenze. Gli esempi di riforma dei sistemi scolastici in tale direzione muovono dal principio secondo cui, per garantire una formazione di qualità, sia necessario porre l’accento sull’utilizzo da parte degli studenti di ciò che apprendono in classe in compiti e situazioni complesse, sia a scuola che nella vita, argomentando che questa prospettiva debba essere interpretata in termini di acquisizione e spendibilità delle competenze. La competenza diventa in tal modo un principio d’organizzazione del curricolo, mediante la quale costruire condizioni di apprendimento autentico e significativo, che diventi patrimonio personale spendibile in una pluralità di ambienti di vita. il concetto di significatività richiama il fatto che le nuove conoscenze possano essere collegate a quelle già presenti nel soggetto, contribuendo a riorganizzare il suo campo cognitivo ed emotivo sulla base delle nuove acquisizioni. Le riforme in corso implicano perciò un vero e proprio ripensamento delle funzioni dell’insegnamento ed una netta trasformazione dell’organizzazione scolastica intesa in senso tradizionale. Alla luce di quanto si è accennato circa l’adozione nel sistema scolastico nazionale di un approccio alla programmazione didattica centrata sulle competenze e gli esiti di apprendimento, va rilevato come il modello di valutazione delle istituzioni scolastiche sviluppato da iNVALSi risulti fortemente concentrato sull’analisi dei risultati di apprendimento degli studenti, considerati nella loro molteplicità e multidimensionalità. i learning outcomes, secondo la terminologia europea, riguardano in primo luogo il fatto che il sistema formativo ed educativo italiano assume come orizzonte di riferimento per lo sviluppo dei propri curricoli il quadro delle 65 competenze chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea (raccomandazione del 18 dicembre 2006). questo compito è ritenuto prioritario per la scuola sia perché rappresenta una precondizione per una piena partecipazione degli individui alla vita culturale, sociale ed economica della collettività di appartenenza, sia perché esso è specifico dell’istituzione scuola. in secondo luogo, il modello sviluppato dall’iNVALSi muove dal principio secondo cui le scuole sono chiamate a promuovere negli studenti valori e modelli di comportamento appropriati a un pieno esercizio dei diritti e doveri di cittadini di una società libera e democratica. L’educazione alla cittadinanza attiva diviene in tal modo una seconda direttrice su cui misurare lo sviluppo delle istituzioni scolastiche. Una terza dimensione significativa ai fini della valutazione degli esiti formativi è individuata nella promozione di una maggiore equità sociale. L’equità può essere osservata e valutata in una duplice prospettiva. La prima è quella delle pari opportunità, ossia la necessità di assicurare a tutti gli studenti uguali chance di riuscita scolastica, a prescindere dalla loro estrazione socio-economica, dal genere o dalla nazionalità di provenienza. La seconda prospettiva possibile è quella dell’uguaglianza degli esiti e rimanda alla necessità di assicurare comunque a tutti gli studenti il raggiungimento di alcuni livelli essenziali di competenza necessari per la partecipazione attiva alla vita sociale e allo sviluppo professionale. B. Le pratiche educative/didattiche e l’ambiente organizzativo in aggiunta agli esiti formativi, la multidimensionalità del modello VALeS prende in considerazione la dimensione dei processi, articolata su due componenti fondamentali, ossia le pratiche educative/didattiche e l’ambiente organizzativo. L’area delle Pratiche educative e didattiche ricomprende ciò che può essere definito come la selezione dei saperi, ossia dei contenuti oggetto dei processi di insegnamento erogati nel lavoro d’aula, e quindi l’adeguatezza e completezza del curricolo effettivamente perseguito. L’area definita come Ambiente organizzativo, per parte sua, include innanzitutto processi afferenti a ciò che può essere definito come ‘leadership distribuita e collegialità’, ossia gli stili di direzione e coordinamento, la collaborazione tra insegnanti, la promozione di una comunità professionale guidata da una leadership diffusa e condivisa. La leadership per l’apprendimento, così configurata, è inclusiva del dirigente e dei suoi più diretti collaboratori e si estende altresì ad una rete di ruoli e funzioni ricomprensibili sotto la denominazione di middle leadership. L’ambiente organizzativo si connota inoltre per il tipo di relazioni che connettono la scuola al territorio di riferimento, grazie alla costruzione di una rete aperta alla partecipazione ed al coinvolgimento della comunità locale, mediante la capacità della scuola di proporsi come partner attivo e strategico delle reti professionali e interistituzionali. Ulteriori processi collegati all’ambiente organizzativo sono legati allo sviluppo professionale delle risorse umane, oltre che i processi che guidano le forme 66 di valutazione interna/autovalutazione, lo sviluppo di competenze manageriali di gestione della performance scolastica e le modalità di rendicontazione sociale. C. Il contesto socio-ambientale e le risorse dell’Istituto il contesto è inteso nei termini dell’ambiente entro cui si svolge l’azione educativa. Anche nel caso della dimensione contestuale si distinguono una molteplicità di livelli tra loro interconnessi. Prendendo in esame il piano costituito dall’unità-classe, la composizione della popolazione studentesca può essere segmentata ed analizzata per singole variabili significative, ciascuna delle quali presenta un impatto diretto o indiretto sui risultati di apprendimento. Al più complessivo livello di istituto scolastico, le dimensioni maggiormente degne di rilievo attengono da un lato alle relazioni tra l’organizzazione scolastica e l’ambiente socio-economico locale, dall’altro alle risorse potenzialmente a disposizione della scuola. oltre alle macrovariabili cui si è fatto cenno, nell’impostazione del modello interpretativo sviluppato da iNVALSi contano anche aspetti apparentemente più soft, quali i valori civici e le attitudini diffuse nel territorio, spesso ricompresi nel concetto di capitale sociale. il contesto locale gioca infine un ruolo nel differenziare la situazione delle diverse scuole, introducendo ulteriori aspetti di interesse, legati alle risorse socio-economiche e culturali che connotano una specifica e circoscrivibile comunità territoriale. 3.2. IL PROCESSO VALUTATIVO Secondo l’impianto generale sotteso al progetto Vales, la valutazione delle scuole parte da un momento di autovalutazione, cui fa seguito una visita valutativa esterna, che prende le mosse da un’opera di verifica e di discussione dei contenuti del rapporto di autovalutazione (rA) elaborato dalla scuola. il rA, oltre a fornire una valutazione multidimensionale della situazione della scuola, rappresenta lo l’elemento cardine all’interno del quale vengono fissati e descritti nel dettaglio una serie di obiettivi di miglioramento, sulla base di chiare e definite priorità di intervento. il procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche, delineato nel decreto istitutivo del SNV, si sviluppa nelle seguenti fasi: – autovalutazione mediante analisi multidimensionale e attribuzione di un punteggio all’istituzione scolastica su una molteplicità di indicatori; – elaborazione di un rapporto di autovalutazione strutturato in dimensioni e aree distinte; – formulazione di un piano di miglioramento coerente con l’autoanalisi eseguita; – valutazione esterna mediante visite dei nuclei di valutazione esterna e ridefinizione dei piani di miglioramento; – azioni di miglioramento cioè attuazione da parte delle istituzioni scolastiche degli interventi migliorativi; – rendicontazione sociale e pubblicazione dei risultati raggiunti. 67 il rapporto di autovalutazione costituisce il luogo dove viene condotta a sintesi la multidimensionalità dei dati, provenienti da una molteplicità di fonti differenziate. Nel concreto si chiede al dirigente scolastico e al Nucleo di autovalutazione di esprimere giudizi sul posizionamento della scuola in relazione ad una serie di aree di riferimento, individuando gli elementi di forza e di debolezza. il rapporto costituisce pertanto il medium per il successivo confronto con il Nucleo di valutazione esterna, tenuto ad analizzare e verificare il documento, effettuando ulteriori approfondimenti. il piano di miglioramento scaturisce dalla lettura critica della realtà scolastica e prende avvio con l’individuazione di alcuni obiettivi strategici di sviluppo e con la precisazione di alcuni traguardi attesi attraverso cui valutare i risultati del piano. i risultati attesi richiedono di essere espressi in termini misurabili, sulla base di indicatori. Nel corso dell’intero procedimento valutativo, il ruolo del dirigente consiste principalmente nel promuovere e coordinare le diverse azioni, con particolare attenzione al raccordo con la scuola e con la comunità di appartenenza. in termini più specifici, vengono richiamate quattro funzioni cardine proprie del dirigente scolastico per sostenere il cambiamento: – facilitatore: favorire e promuovere l’autodeterminazione e l’elaborazione collegiale nei gruppi professionali, con particolare riguardo alla motivazione dell’azione e alla gestione delle resistenze professionali; – catalizzatore: favorire una rivisitazione critica della propria azione professionale e valorizzare le risorse interne ed esterne potenzialmente disponibili al cambiamento, con particolare riguardo alla legittimazione del processo innovativo e alla sua integrazione nel sistema scuola; – consigliere tecnico: mettere a disposizione una competenza esperta in rapporto agli specifici temi che caratterizzano il progetto di cambiamento, alimentare la riflessione e la progettazione attraverso approcci teorici, proposte operative e altre esperienze; – collegamento con l’esterno: alimentare costantemente il processo di miglioramento, sia operando dall’interno, sia mettendolo in collegamento con esperienze e soggetti esterni, con particolare riguardo al superamento di chiusure autoreferenziali. 69 4. Elementi di un framework per la valutazione dei CFP coerente con le recenti politiche nazionali ed europee di settore Dall’indagine condotta a livello oCSE emerge in modo chiaro come la valu - tazione sia andata assumendo un ruolo progressivamente centrale nei sistemi del - l’education, di pari passo con una loro rimodulazione che miri a renderli maggiormente rispondenti ad istanze di accountability e di improvement. queste ultime manifestano sempre più la loro cogenza sulla tenuta dei sistemi dell’istruzione e della Formazione, anche a fronte di un processo di crescente contrazione della spesa pubblica. risulta inoltre rilevante la tendenza a promuovere lo sviluppo di sistemi integrati di valutazione, le cui componenti siano interconnesse sulla base di sistemi di rilevazione e set di indicatori unitari, pur nella specificità degli oggetti cui si rivolgono, ed entro un sistema informativo che consenta l’interoperabilità dei dati raccolti ed elaborati. Nel capitolo che segue viene introdotta la proposta di un quadro di riferimento, di carattere generale, utile ad orientare lo sviluppo in chiave sistemica ed integrata delle pratiche di valutazione interna ed esterna dei Centri di Formazione Professionale. il quadro è delineato in modo da risultare coerente con i cambiamenti intervenuti recentemente nelle policy di settore sul piano nazionale ed europeo. L’obiettivo di questa sezione consiste pertanto nel delineare l’articolazione di un framework che possa risultare coerente con gli elementi di policy fin qui illustrati. in primo luogo ci si riferisce al quadro introduttivo, in cui sono state tratteggiate le principali linee di tendenza nei processi di trasformazione dei sistemi valutativi delle istituzioni scolastiche e formative nell’area oCSE. inoltre si terranno in considerazione gli orientamenti attuali sia in sede europea (EqArF), sia sul piano nazionale (VALeS).8 Complessivamente, l’approccio adottato procede per linee generali, non rientrando tra gli scopi del rapporto di ricerca un’analisi nel dettaglio del sistema di valutazione. La trattazione si concentrerà quindi da un lato su una serie di linee di 8 Per un’analisi comparativa dei principali approcci alla valutazione delle istituzioni scolastiche ed alla gestione della qualità in ambito formativo si rinvia ad Allulli G., Verdi Vighetti L. (2012), Modello teorico integrato di valutazione delle strutture scolastiche e formative; iSFoL, I libri del Fondo Sociale Europeo, rubettino, Catanzaro. Per un esame del quadro nazionale in ordine alle tematiche della qualità nel settore della Formazione Professionale si rinvia ad Allulli G., Gentilini D. (2011), Studio comparato sui modelli di garanzia di qualità dell’Istruzione e Formazione Profes - sionale in alcuni paesi europei, Analisi iSFoL, 2011/4; Allulli G., tramontano i. (a cura di) (2007), I modelli di qualità nel sistema di Formazione Professionale italiano, i libri del Fondo Sociale Europeo, iSFoL, roma. 70 tendenza ampiamente condivise a livello internazionale, dall’altro sulla sintetica descrizione dei principali elementi portanti propri del modello, articolati per aspetti chiave. Un secondo approccio sotteso al contributo potrebbe essere definito a ragione di tipo ostensivo, in opposizione ad un orientamento di carattere più marcatamente stipulativo. in tale prospettiva, la scelta di mantenere l’analisi su una prospettiva orientativa fa sì che le esemplificazioni precisate per ciascun elemento del modello in alcuni casi rinvieranno ad una gamma differenziata di dispositivi, accomunati dall’essere impostati su comuni criteri guida. in tutti i casi il materiale esaminato proviene da una serie di buone pratiche esistenti, individuate in ambito nazionale ed internazionale. 4.1. IMPIANTO VALUTATIVO A CARATTERE SISTEMICO, CENTRATO SUL CICLO DI VITA DELL’OFFERTA FORMATIVA A partire dall’analisi degli attuali processi di riforma dei sistemi dell’education in sede internazionale, si coglie come orientamento generale la considerazione che essi siano sempre più interpretati e costruiti come sistemi a più dimensioni, al cui interno figurano elementi interrelati, per quanto riconducibili a piani distinti. Nella modellizzazione proposta dall’oCSE, come si è osservato, si distinguono molteplici dimensioni valutative, afferenti a piani distinti e interconnessi: nell’ordine, l’accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti (student assessment), la valutazione della performance degli insegnanti (teacher appraisal), la valutazione delle istituzioni scolastiche (school evaluation) ed infine la valutazione complessiva del sistema educativo (system evaluation). il principio ispiratore che sottostà alla nuova generazione di dispositivi valutativi muove dalla considerazione secondo cui i sistemi educativi, come tali, non sono riassumibili nella somma degli effetti prodotti dai loro elementi componenti e per tale ragione necessitano di un modello interpretativo unitario e sistemico (oECD Santiago e Benavides, 2009). il framework funge da quadro di riferimento per i processi di progettazione dell’impianto valutativo generale, oltre che per l’implementazione coerente e quanto più possibile integrata dei suoi elementi portanti e per l’utilizzo efficace dei risultati, ivi compresa la loro comunicazione e discussione presso l’intera rete degli stakeholder. risulta quindi opportuno definire l’attività di valutazione nei termini di un intervento improntato ad una logica sistemica (Bezzi, 2001): “essa è un sistema in quanto non esprime una logica semplice e lineare, secondo la quale esaurita una tappa si procede verso la seconda, ciascuna con sue logiche indipendenti: nella ricerca valutativa (....) la logica che governa il processo è una logica sistemica, che pone in continua interazione ogni parte, crea continuamente feedback fra le componenti”. 71 in tal senso, anche il modello interpretativo adottato da iNVALSi (VALeS), così come esaminato in precedenza sulla base dei documenti di inquadramento teorico-metodologico, intende fornire elementi informativi da differenti punti di vista, che diano conto del complesso delle relazioni esistenti fra i diversi fenomeni in campo educativo. il modello interpretativo deve consentire inoltre di ragionare in maniera coerente su una pluralità di casi e di contesti, consentendo di ricavare indicazioni concrete per il singolo caso dal confronto con altre situazioni. Se dal piano degli orientamenti generali ci spostiamo su quello dei modelli valutativi concreti, possiamo rilevare come il riferimento concettuale prevalente per l’impostazione generale del framework sia da individuare nel cosiddetto modello CiPP. il modello che, come si è osservato nello sviluppo dei capitoli precedenti, trova ampia corrispondenza in sede internazionale, si articola su quattro dimensioni (Context - Input - Process - Product): – il contesto in cui le scuole operano (aspetti demografici, economici e socioculturali nei quali confini la scuola si trova ad operare e che determinano la sua utenza); – gli input, ossia le risorse di cui il sistema educativo e le singole unità scolastiche dispongono per offrire il proprio servizio (risorse umane – inclusi gli studenti – materiali e risorse economiche a disposizione); – i processi attuati, ossia le attività realizzate dalla scuola (l’offerta formativa, le scelte organizzative e didattiche, gli stili di direzione); – i risultati ottenuti, sia immediati (percentuali di promossi, votazioni conseguite agli esami di stato, livelli di apprendimenti rilevati con prove standardizzate) sia a medio e lungo periodo (accesso all’università, al mondo del lavoro). il modello CiPP, nella riflessione compiuta dall’iNVALSi, va inteso non tanto come un modello in cui i risultati risultino legati da un rapporto deterministico alle altre variabili, ma come un approccio concettuale tale da permettere di categorizzare aspetti ritenuti rilevanti, che almeno su un piano logico possano offrire un quadro completo degli effetti e delle possibili cause. Si tratta di un quadro di riferimento unitario, che permette di collegare i processi formativi da un lato alle risorse disponibili in un determinato contesto, dall’altro agli esiti cui si è pervenuti mediante l’azione educativa. in tal senso, secondo l’elaborazione dell’iNVALSi, il modello interpretativo risulta articolato in quattro classi di fattori: – gli esiti formativi ed educativi; – le pratiche educative e didattiche poste in essere nelle singole scuole; – l’ambiente organizzativo all’interno del quale quelle pratiche e quei processi si sviluppano; – il contesto socio-ambientale e le risorse in cui si inscrive il funzionamento dell’istituto, visto nella duplice prospettiva di vincoli e opportunità per l’azione organizzativa e formativa della scuola. 72 4.2. APPROCCIO INTEGRATO TRA LE COMPONENTI DI AUTO-VALUTAZIONE E DI ETEROVALUTAZIONE L’analisi dello scenario internazionale, sia a livello di paesi dell’Unione Europea che più in generale nell’ambito dell’oCSE, mostra come nella costruzione dei modelli sempre più vadano intensificandosi i rapporti tra esiti di apprendimento degli studenti, forme di valutazione delle scuole e schemi di progressione di carriera e di remunerazione degli insegnanti. Allo stesso modo si va verso una più stretta connessione tra forme di valutazione interna ed esterna sia nei confronti della performance degli studenti che delle stesse istituzioni scolastiche e formative. Dall’altro lato risulta evidente che la definizione di policy che attengono alla dimensione valutativa non possono prescindere da un più ampio riferimento a quelle che sovrintendono ai sistemi della scuola e della Formazione Professionale intesi nel loro complesso. La rassegna internazionale dei modelli di valutazione delle istituzioni scolastiche ha posto in evidenza come il versante interno ed esterno della valutazione, nei termini di autovalutazione e di valutazione esterna, siano strettamente collegati. Nella maggior parte dei casi, a partire dal contesto anglosassone, l’autovalutazione precede sempre la valutazione esterna e ne pone le basi. Viene attuata direttamente dalla scuola su tutte le aree di attenzione su cui si svilupperà successivamente la valutazione esterna. Mentre l’autovalutazione risponde ad una logica di improvement, la valutazione esterna, realizzata nella maggior parte dei casi da un ente terzo, consente al sistema di garantire un elevato livello di accountability nei confronti dell’intera rete di portatori di interessi, a cominciare dagli studenti, dalle famiglie, dalla comunità locale e dai suoi principali attori sociali. in generale, il processo di autovalutazione è in capo al dirigente scolastico e, laddove sia previsto e operante, al consiglio direttivo della scuola. Le principali funzioni dell’attività autovalutativa riguardano in primo luogo l’analisi diagnostica di tutti i principali elementi che concorrono a comporre il sistema dell’istituzione scolastica, compresi gli elementi di input, così come i processi attivati ed i risultati ottenuti. Per ciascuno di tali aspetti si richiede di specificare le principali evidenze su cui si basa la valutazione. inoltre, l’attività di analisi compiuta sulla scorta di evidenze consente di identificare punti di forza e di debolezza e di graduare il posizionamento della scuola. infine, sulla base dell’attività di autoanalisi compiuta nelle fasi ora richiamate è possibile descrivere le azioni che la scuola intende intraprendere per fronteggiare i punti di debolezza e incrementare ulteriormente i punti di forza. La valutazione esterna, nella maggior parte dei casi esaminati, si sostanzia in un processo di raccolta di elementi di prova, spesso in forma di review, al fine di fornire una valutazione della performance che la scuola sta esprimendo, in relazione ad una serie di aspetti diversi. 73 tra le finalità principali della valutazione esterna, operata da personale specializzato e opportunamente formato, vi è innanzitutto quello di fornire una valutazione esterna e indipendente delle scuole, promuovendo una cultura mirata alla realizzazione di una rigorosa autovalutazione ed al miglioramento della qualità all’interno della scuola. Ulteriore obiettivo consiste nel contribuire al miglioramento dei processi e dei risultati, identificando i punti forti e i punti deboli di ogni scuola, in rapporto all’autovalutazione che le scuole curano regolarmente. inoltre, si dà una finalità che va oltre i confini della sfera scolastica, nel senso di fornire un’informazione rigorosa ed accurata ai genitori e a tutti gli attori della comunità locale sulla qualità e sugli standard sviluppati dalla scuola, oltre che di dare indicazioni al Governo sul grado di qualità espressa dall’intero sistema, anche ai fini della definizione di nuove politiche in campo scolastico. in particolare si segnala il caso inglese centrato su un modello integrato di valutazione delle istituzioni scolastiche e formative che combina periodicamente forme di valutazione esterna ed autovalutazione. Negli ultimi anni l’autovalutazione ha acquisito sempre più un ruolo strategico come metodologia di controllo interno della qualità dell’offerta formativa che deve essere integrata e suffragata dalla valutazione esterna. 4.3. COMPLEMENTARIETÀ TRA PROSPETTIVE DI ACCOUNTABILITY E DI MIGLIORAMENTO CONTINUO Dall’indagine condotta a livello oCSE emerge in modo chiaro come la valutazione sia andata assumendo un ruolo progressivamente centrale nei sistemi del - l’education, di pari passo con una loro rimodulazione che miri a renderli maggiormente rispondenti ad istanze di accountability e di improvement. queste ultime manifestano sempre più la loro cogenza sulla tenuta dei sistemi dell’istruzione e della Formazione, anche a fronte di un processo di crescente contrazione della spesa pubblica. risulta inoltre rilevante la tendenza a promuovere lo sviluppo di sistemi integrati di valutazione, le cui componenti siano interconnesse sulla base di sistemi di rilevazione e set di indicatori unitari, pur nella specificità degli oggetti cui si rivolgono, ed entro un sistema informativo che consenta l’interoperabilità dei dati raccolti ed elaborati. qualora si pongano a confronto le prospettive di accountability e di improvement dei sistemi educativi in relazione alla school evaluation, possono essere ricostruiti alcuni elementi qualificanti che danno conto del grado di complessità dello scenario complessivo. Nello schema seguente se ne riporta il quadro sinottico (Fig. 8). Sul terreno della valutazione delle istituzioni scolastiche e formative, la prospettiva di accountability può essere declinata in diverse forme, assumendo in primo luogo una connotazione di contractual accountability, esercitata prevalente74 mente con azioni valutative compiute dall’esterno (valutazione esterna) e basata su gradi di soddisfacimento di requisiti predefiniti e sul miglioramento della qualità espressa dall’istituzione nel suo insieme. tale accezione si distingue dalla moral accountability, che richiede all’istituzione scolastica di corrispondere ai bisogni espressi dagli studenti e delle rispettive famiglie. inoltre si può distinguere una professional accountability, che si basa sulla rispondenza alle aspettative del gruppo di pari (colleghi insegnanti) ed ha luogo in prevalenza all’interno della stessa istituzione formativa. Sempre in termini classificatori, si distingue inoltre tra accountability verticale, che si dà quando la scuola fornisce informazioni alle autorità pubbliche locali e/o nazionali mediante pratiche di valutazione esterna, dalla accountability orizzontale, che si attua qualora l’istituzione formativa fornisca alla comunità ed agli stakehorlder indicazioni su processi adottati, sulle scelte effettuate ed i risultati ottenuti, secondo quanto emerso dalle pratiche di valutazione interna. Fig. 8 - Prospettive di accountability e di improvement (miglioramento continuo) in rapporto alla valutazione delle istituzioni scolastiche e formative La school evaluation presenta altresì un versante connotato da una finalità di improvement, secondo una logica di tipo più eminentemente formativo. Su tale terreno ha luogo l’analisi dei livelli di accesso alle opportunità di apprendimento, che risponde al criterio di equità che caratterizza le forme di istruzione/Formazione finanziate dal settore pubblico. inoltre, la valutazione interna di istituto presiede ad un’analisi della performance espressa generalmente in termini di qualità ed efficienza a fini di sviluppo e miglioramento. Al tempo stesso la valutazione a fini for- #"  * + ,#     -                      $               +  !    #          #$(     !  (  !        45(  "          $ !!"  0  (  "        $         '       #    "(   "         $ 4#$5(   "       " 4#$  5   (                  # " !  ( Sul terreno della valutazione delle istituzioni scolastiche e formative, la prospettiva di accountability può essere declinata in diverse forme, assumendo in primo luogo una connotazione di contractual accountability, esercitata prevalentemente con azioni valutative compiute dall’esterno (valutazione esterna) e basata su gradi di soddisfacimento di requisiti predefiniti e sul miglioramento della qualità espressa dall’istituzione nel suo insieme. Tale accezione si distingue dalla moral accountability, che richiede all’istituzione scolastica di corrispondere ai bisogni espressi dagli studenti e delle rispettive famiglie. Inoltre si può distinguere una professional accountability, che si basa sulla rispondenza alle aspettative del gruppo di pari (colleghi insegnanti) ed ha luogo in prevalenza all’interno della stessa istituzione formativa. Sempre in termini classificatori, si distingue inoltre tra accountability verticale, che si dà quando la scuola fornisce informazioni alle autorità pubbliche locali e/o nazionali mediante pratiche di valutazione esterna, dalla accountability orizzontale, che si attua qualora l’istituzione formativa fornisca alla comunità ed agli stakehorlder indicazioni su processi adottati, sulle scelte effettuate ed i risultati ottenuti, secondo quanto emerso dalle pratiche di valutazione interna. La school evaluation presenta altresì un versante connotato da una finalità di improvement, secondo una logica di tipo più eminentemente formativo. Su tale terreno ha luogo l’analisi dei livelli di accesso alle opportunità di apprendimento, che risponde al criterio di equità che caratterizza le forme di Istruzione/Formazione finanziate dal settore pubblico. Inoltre, la valutazione interna di istituto presiede ad un’analisi della performance espressa generalmente in termini di qualità ed efficienza a fini di sviluppo e miglioramento. Al tempo stesso la valutazione a fini formativi può consentire alle autorità territoriali l’acquisizione e trasmissione di dati in vista di interventi diretti alla riduzione del gap tra istituzioni scolastiche ad alto e basso grado di performance. 75 mativi può consentire alle autorità territoriali l’acquisizione e trasmissione di dati in vista di interventi diretti alla riduzione del gap tra istituzioni scolastiche ad alto e basso grado di performance. 4.4. LA DIMENSIONE INTERNA DELLA VALUTAZIONE: DESCRITTORI ED INDICATORI CHIAVE. ESEMPLIFICAZIONI 4.4.1. Il dispositivo procedurale INVALSI-VALeS Nella visione espressa da iNVALSi, il processo di autovalutazione delle istituzioni scolastiche è diretto all’individuazione di concrete piste di miglioramento, sfruttando le informazioni qualificate di cui ogni scuola dispone, inoltre deve immaginarsi parte d’un processo di riflessione continua. La valutazione interna serve a strutturare una rappresentazione dell’istituto da parte della comunità scolastica che lo compone, attraverso un’analisi critica del suo funzionamento, sostenuta da evidenze emergenti dai dati disponibili. tale rappresentazione costituisce la base a partire dalla quale individuare alcune priorità di sviluppo verso cui orientare il progetto di miglioramento. A ciascun Dirigente scolastico, in stretta collaborazione con il Nucleo di autovalutazione e con la partecipazione della Comunità professionale, è richiesto di redigere un rapporto di Autovalutazione agile, di facile compilazione grazie alle informazioni e i dati messi a sua disposizione, oltre che agevolmente consultabile e comprensibile da parte degli stakeholder. È importante che il rapporto di Autovalutazione abbia un format comune e che vengano utilizzati i dati della scuola confrontabili con valori di riferimento (benchmark). il rA è composto da due sezioni interdipendenti. La prima è diretta all’analisi della situazione esistente, interpretata sulla base di evidenze. La seconda contiene alcuni obiettivi di miglioramento su cui orientare l’azione della struttura scolastica in prospettiva. La connessione tra le due parti consiste nella coerenza argomentativa che il nucleo di autovalutazione e il Dirigente scolastico esprimono, collegando la scelta degli obiettivi e l’analisi precedentemente compiuta. Il set di indicatori previsti dal modello VALeS La batteria di indicatori sviluppato da iNVALSi si articola all’interno delle diverse dimensioni di analisi poste alla base del modello: – Dimensione Contesto e risorse – Dimensione Processi: Pratiche educative e didattiche – Dimensione dei processi: Ambiente organizzativo per l’apprendimento – Dimensione Esiti: Esiti formativi ed educativi A. Analisi del contesto e delle risorse L’azione ricognitiva sul contesto e sulle risorse viene attuata utilizzando principalmente evidenze e dati in possesso della scuola. Alcuni indicatori messi a dis76 posizione dal fascicolo Scuola in chiaro e iNVALSi possono inoltre facilitare il nucleo di autovalutazione nel ragionare sul contesto. Gli indicatori in questa circostanza possono essere un utile strumento informativo, se utilizzati all’interno di una riflessione e interpretazione più ampia da parte della scuola. in questo caso al nucleo di autovalutazione viene richiesto di individuare e descrivere in modo sintetico i caratteri salienti del contesto di riferimento e le risorse disponibili. i set di indicatori sono riportati rispettivamente alle Figg. 9 e 10. Fig. 9 - VALeS: Dimensione Contesto Fonte: iNVALSi-MiUr, 2013 Fig. 10 - VALeS: Dimensione Risorse Fonte: iNVALSi-MiUr, 2013 Il RA è composto da due sezioni interdipendenti. La prima è diretta all’analisi della situazione esistente, interpretata sulla base di evidenze. La seconda contiene alcuni obiettivi di miglioramento su cui orientare l’azione della struttura scolastica in prospettiva. La connessione tra le due parti consiste nella coerenza argomentativa che il nucleo di autovalutazione e il Dirigente scolastico esprimono, collegando la scelta degli obiettivi e l’analisi precedentemente compiuta. Il set di indicatori previsti dal modello VALeS La batteria di indicatori sviluppato da INVALSI si articola all’interno delle diverse dimensioni di analisi poste alla base del modello:  Dimensione Contesto e Risorse  Dimensione Processi: Pratiche educative e didattiche  Dimensione dei processi: Ambiente organizzativo per l’apprendimento  Dimensione Esiti: Esiti formativi ed educativi A. Analisi del contesto e delle risorse L’azione ricognitiva sul contesto e sulle risorse viene attuata utilizzando principalmente evidenze e dati in possesso della scuola. Alcuni indicatori messi a disposizione dal fascicolo Scuola in chiaro e INVALSI possono inoltre facilitare il nucleo di autovalutazione nel ragionare sul contesto. Gli indicatori in questa circostanza possono essere un utile strumento informativo, se utilizzati all’interno di una riflessione e interpretazione più ampia da parte della scuola. In questo caso al nucleo di autovalutazione viene richiesto di individuare e descrivere in modo sintetico i caratteri salienti del contesto di riferimento e le risorse disponibili. I set di indicatori sono riportati rispettivamente alle Figure 9 e 10. %(./       Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./    &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./    &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./    &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./    &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./    &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti &'(./  )   &'(./  )   Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./    77 B. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’iNVALSi, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. Fig. 11 - VALeS: Dimensione Esiti Fonte: iNVALSi-MiUr, 2013 C. Analisi e valutazione dei processi L’analisi e la valutazione si realizza mediante la riflessione del gruppo di autovalutazione, utilizzando evidenze e dati in possesso della scuola. il nucleo di autovalutazione ed il dirigente scolastico possono inoltre utilizzare gli indicatori reperibili da iNVALSi e Scuola in chiaro, così come le risultanze dagli ulteriori strumenti d’indagine messi a disposizione dall’iNVALSi. Anche in questo caso gli indicatori non sono immediatamente valutativi ma rappresentano un utile strumento informativo. A conclusione dell’analisi si chiede di esprimere una valutazione utilizzando una scala a quattro livelli per ciascuna area di analisi, motivando i giudizi espressi sulla base degli indicatori disponibili. Per ciascuna area viene richiesto di esprimere una valutazione che sia strettamente integrata con i dati a disposizione, utilizzando una scala a su quattro livelli. il livello 1 (inadeguato) si riferisce alle situa-  Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 A. Analisi e valutazione degli esiti L’opera di analisi e di valutazione viene realizzata utilizzando il set di indicatori forniti dal fascicolo Scuola in chiaro e dall’INVALSI, eventualmente integrati con evidenze e dati in possesso della scuola. Il set di indicatori è riportato alla Fig. 11. #$00&(./     Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 78 zioni nelle quali, rispetto a una determinata area, la scuola non ha raggiunto un livello ritenuto accettabile. il livello 2 (accettabile) viene applicato ai casi in cui il livello raggiunto rappresenta il punto di partenza minimo per arrivare a successivi miglioramenti. il livello 3 (buono) riguarda i casi in cui la scuola ha messo in campo le azioni necessarie per raggiungere un livello ritenuto buono per quella determinata area. infine, il livello 4 (eccellente) si riferisce alle situazioni nelle quali sono stati raggiunti standard di eccellenza attraverso azioni che garantiscono una qualità diffusa o esiti ottimali. i set di indicatori sono riportati rispettivamente alle Figure 12 e 13. Fig. 12 - VALeS: Dimensione Processi (Pratiche educative e didattiche) Fonte: iNVALSi-MiUr, 2013 C. Analisi e valutazione dei processi L’analisi e la valutazione si realizza mediante la riflessione del gruppo di autovalutazione, utilizzando evidenze e dati in possesso della scuola. Il nucleo di autovalutazione ed il dirigente scolastico possono inoltre utilizzare gli indicatori reperibili da INVALSI e Scuola in chiaro, così come le risultanze dagli ulteriori strumenti d’indagine messi a disposizione dall’INVALSI. Anche in questo caso gli indicatori non sono immediatamente valutativi ma rappresentano un utile strumento informativo. A conclusione dell’analisi si chiede di esprimere una valutazione utilizzando una scala a quattro livelli per ciascuna area di analisi, motivando i giudizi espressi sulla base degli indicatori disponibili. Per ciascuna area viene richiesto di esprimere una valutazione che sia strettamente integrata con i dati a disposizione, utilizzando una scala a su quattro livelli. Il livello 1 (inadeguato) si riferisce alle situazioni nelle quali, rispetto a una determinata area, la scuola non ha raggiunto un livello ritenuto accettabile. Il livello 2 (accettabile) viene applicato ai casi in cui il livello raggiunto rappresenta il punto di partenza minimo per arrivare a successivi miglioramenti. Il livello 3 (buono) riguarda i casi in cui la scuola ha messo in campo le azioni necessarie per raggiungere un livello ritenuto buono per quella determinata area. Infine, il livello 4 (eccellente) si riferisce alle situazioni nelle quali sono stati raggiunti standard di eccellenza attraverso azioni che garantiscono una qualità diffusa o esiti ottimali. I set di indicatori sono riportati rispettivamente alle Figg. 12, 13. ' (./  "  ," -  Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 79 Fig. 13 - VALeS: Dimensione Processi (Ambiente organizzativo per l’apprendimento) Fonte: iNVALSi-MiUr, 2013 4.4.2. Descrittori ed indicatori del dispositivo EQARF Un secondo esempio di dispositivo basato sull’approccio CiPP (Context - Input - Process - Product) è rappresentato dalla batteria di descrittori ed indicatori racchiusi nel modello EqArF. All’interno della raccomandazione europea precedentemente esaminata viene proposto un set di descrittori, contenenti sia un insieme di criteri di qualità, sia una griglia di descrittori destinati a fornire un aiuto agli Stati membri, se ritenuto opportuno, nel processo di implementazione del quadro di riferimento sul piano nazionale. i criteri di qualità insistono su alcune dimensioni chiave: una pianificazione che rifletta una visione strategica condivisa dai '(./  "  ,(* #      -  Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 4.4.2. Descrittori ed indicatori del dispositivo EQARF Un secondo esempio di basato sull’approccio CIPP (Context - Input - Process - Product) è rappresentato dalla batteria di descrittori ed indicatori racchiusi nel modello EQARF. All’interno della Raccomandazione europea precedentemente esaminata viene proposto un set di descrittori, contenenti sia un insieme di criteri di qualità, sia una griglia di descrittori destinati a fornire un aiuto agli Stati membri, se ritenuto opportuno, nel processo di implementazione del quadro di riferimento sul piano nazionale. I criteri di qualità insistono su alcune dimensioni chiave: una pianificazione che rifletta una visione strategica condivisa dai soggetti interessati e comprenda scopi, obiettivi, azioni ed indicatori espliciti; il fatto che i piani attuativi sino elaborati in consultazione con i soggetti interessati e includano regole esplicite; una valutazione dei risultati e dei processi effettuata regolarmente con l’aiuto di misurazioni; un ciclo valutativo che si concluda con una fase di revisione. Di seguito si riporta la griglia di descrittori proposti per il livello dell’istituzione formativa (Fig. 14). '(./  "  ,(* #      -  Fonte: INVALSI-MIUR, 2013 4.4.2. Descrittori ed indicatori del dispositivo EQARF Un secondo esempio di dispositivo basato sull’approccio CIPP (Context - Input - Process - Product) è rappresentato dalla batteria di descrittori ed indicatori racchiusi nel modello EQARF. All’interno della Raccomandazione europea precedentemente esaminata viene proposto un set di descrittori, contenenti sia un insieme di criteri di qualità, sia una griglia di descrittori destinati a fornire un aiuto agli Stati membri, se ritenuto opportuno, nel processo di implementazione del quadro di riferimento sul piano nazionale. I criteri di qualità insistono su alcune dimensioni chiave: una pianificazione che rifletta una visione strategica condivisa dai soggetti interessati e comprenda scopi, obiettivi, azioni ed indicatori espliciti; il fatto che i piani attuativi sino elaborati in consultazione con i soggetti interessati e includano regole esplicite; una valutazione dei risultati e dei processi effettuata regolarmente con l’aiuto di misurazioni; un ciclo valutativo che si concluda con una fase di revisione. Di seguito si riporta la griglia di descrittori proposti per il livello dell’istituzione formativa (Fig. 14). 80 soggetti interessati e comprenda scopi, obiettivi, azioni ed indicatori espliciti; il fatto che i piani attuativi sino elaborati in consultazione con i soggetti interessati e includano regole esplicite; una valutazione dei risultati e dei processi effettuata regolarmente con l’aiuto di misurazioni; un ciclo valutativo che si concluda con una fase di revisione. Di seguito si riporta la griglia di descrittori proposti per il livello dell’istituzione formativa (Fig. 14). Fig. 14 - Criteri di qualità e descrittori per il livello dell’istituzione formativa '                (  ) *     + !  ,  (,      0!'  • 1 0! '           )  6      !      ) 6 • % 0! 7 ! • ,!$ #$           +'"# #$ • 1         ) 6 •          $ • 1 ) 6  #$ !     , 0!  ! • 6  +  •           !)   •           $  #$  /   +  8+ /    + !  #0          ) 6 • , ) '         "9        • ,          %    :           + !  + La progettazione riguarda la definizione di obiettivi chiari e misurabili riferiti alle politiche, alle procedure, ai compiti e alle risorse umane, al fine di consentire il controllo sul conseguimento dei '                !  ,  (,      0!'  • 1 0! 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(  /    !     ,  !!" • ,!; + + •            + La progettazione riguarda la definizione di obiettivi chiari e misurabili riferiti alle politiche, alle procedure, ai compiti e alle risorse umane, al fine di consentire il controllo sul conseguimento dei '                !  ,       0!'  1 0! '           )  6      !      ) 6 • % 0! • 7 ! • ,!$ #$           +'"# #$ • 1         ) 6 •          $ • 1 ) 6  #$ !     , 0!  ! • 6  +  •           !)   •           $  #$  (8 /   +  • 8+ /    + !  #0          ) 6 • , ) '         "9        • ,          %    (2 • :           + !   (  /    !     ,  !!" • ,!; + + •            + La progettazione riguarda la definizione di obiettivi chiari e misurabili riferiti alle politiche, alle procedure, ai compiti e alle risorse umane, al fine di consentire il controllo sul conseguimento dei '                !  ,  (,      0!'  1 0! 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L’efficacia della valutazione dipende principalmente dalla definizione di una metodologia chiara applicabile alla valutazione esterna e interna, nonché dalla coerenza tra i dati e gli indicatori raccolti e gli obiettivi predeterminati. È, dunque, necessario il ricorso a metodi di rilevazione dei dati, per esempio questionari e indicatori misurabili. infine, dato l’obiettivo del miglioramento continuo dell’offerta formativa, è necessario mettere a punto un processo di revisione dei risultati della valutazione che garantisca tramite una procedura di feedback la realizzazione dei cambiamenti opportuni e di piani d’azione appropriati. infatti, il quadro di riferimento europeo per la garanzia di qualità evidenzia l’esigenza che il processo di valutazione sia organicamente inserito all’interno del processo decisionale. Diversamente i risultati della valutazione sarebbero utili per il controllo, ma non per lo sviluppo del sistema. inoltre, la raccomandazione europea pone al centro il monitoraggio e la valutazione interna ad esterna, che devono essere opportunamente definiti dagli Stati membri per individuare punti di forza dei sistemi, dei processi e delle procedure e i settori da migliorare. La raccomandazione europea sulla qualità dell’istruzione e Formazione Professionale contiene anche un set di dieci indicatori di qualità relativi ai diversi aspetti dell’azione formativa, che possono essere utilizzati per facilitare la valutazione e il miglioramento della qualità dei sistemi. Gli indicatori di qualità sono volti a sostenere la valutazione e il miglioramento della qualità dei sistemi e/o degli erogatori di istruzione e Formazione Professionale in conformità alla legislazione e alla prassi nazionale e possono servire da tool box grazie al quale ogni utente possa scegliere gli indicatori più adeguati alle condizioni del proprio specifico sistema di garanzia della qualità. •           $  #$  /   +  8+ /    + !  #0          ) 6 • , ) '         "9        • ,          %    (2 • :           + !   (  /    !     ,  !!" • ,!; + + •            + La progettazione riguarda la definizione di obiettivi chiari e misurabili riferiti alle politiche, alle procedure, ai compiti e alle risorse umane, al fine di consentire il controllo sul conseguimento dei '                !  ,  (,      0!'  1 0! '      ) 6 • % 0! • 7 ! • ,!$ #$    +'"# #$ • 1    ) 6 •    $ • 1 ) 6  #$ !     , 0!  ! • 6  +  •    !)   •     $  #$  /   +  8+ #0   ) 6 • , ) '    "9   • ,    %    :      + !   (   ,  !!" • ,!; + + •     + La progettazione riguarda la definizione di obiettivi procedure, ai compiti e alle risorse umane, al fine di 82                                                                                 !                       "   •                              • #            • $      %     &                                    !           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"              3 !          • #   %  ! • $      %           %              • .   %    %      *            0)                   •    !                       4       !        %           *           3       !  %      *      !            *             •    !                       • .   % %     • .   %    %           5$    %   !!                             %         !             "   3      • $      %           %              • .   %  ! 6.      % %               !            3       •   % %           *       • .   %    %       (segue) 84 il corpus di indicatori di qualità può essere utilizzato su base nazionale per facilitare la valutazione ed il miglioramento della qualità dei sistemi e/o delle istituzioni formative. Si prevede che la serie di indicatori possa essere ulteriormente sviluppata grazie alla cooperazione europea su base bilaterale e/o multilaterale. Gli indicatori, così come i descrittori illustrati in precedenza, sono destinati ad un uso su base volontaria, conformemente alla legislazione e alla prassi nazionali. Nella raccomandazione si insiste sul fatto che essi non dovrebbero essere considerati né parametri di riferimento, né mezzi per riferire o fare raffronti in relazione alla qualità ed all’efficacia dei sistemi nazionali. La responsabilità del controllo della qualità dei sistemi educativi infatti, così come previsto dai trattati istitutivi dell’Unione, ricade esclusivamente nelle competenze degli Stati membri. Gli indicatori sono ripartiti tra Indicatori generali per l’assicurazione della qualità, Indicatori che sostengono gli obiettivi di qualità delle politiche nel campo dell’IeFP e indicatori diretti a raccogliere Informazioni di contesto. Di seguito si riporta la griglia di indicatori proposti nella raccomandazione, suddivisi per macroarea ed articolati per tipologia e per finalità cui tende la policy corrispondente (Fig. 15). 4.4.3. Il modello allo studio presso la Provincia Autonoma di Trento L’autovalutazione degli istituti scolastici del trentino si caratterizza, sin dalla sua nascita, come una proposta rivolta alle scuole per l’avvio, l’implementazione e lo sviluppo dell’auto-valutazione periodica, finalizzata a elaborare, sviluppare e verificare gli obiettivi dei Progetti di istituto. il processo di auto-valutazione, per questo, è coerentemente inserito in un percorso di Programmazione - Monitoraggio - Valutazione - riprogrammazione focalizzato sulle singole scuole e ispirato al principio generale dell’autonomia scolastica. A tal fine è stata promossa la costituzione dei Nuclei interni di Valutazione (NiV), i quali hanno lo scopo di gestire a livello di istituto il processo di fissazione degli obiettivi di miglioramento, raccolta dati e registrazione degli stessi nel sistema on-line, nonché di riflessione-valutazione-decisione rispetto ai dati messi a disposizione dal sistema degli indicatori di monitoraggio, costruiti ed elaborati a partire dalla rilevazione on-line. il sistema di servizio e consulenza che finora ha funzionato a livello provinciale è stato orientato a coadiuvare le scuole nel processo di auto-valutazione collegato a propri autonomi obiettivi/aree di miglioramento. Nel corso del tempo, la raccolta dei dati ha offerto l’opportunità di sviluppare confronti provinciali tra istituti scolastici su specifici indicatori e indici sintetici. tali confronti avrebbero lo scopo di procedere alla definizione di standard su cui confrontare i risultati dei singoli istituti scolastici, in modo da sviluppare una sorta di confronti tra scuole. Esistono pertanto due potenziali finalità generali dell’attuale modello di (auto) valutazione. La prima ha un carattere costitutivo e originario, diretto a coadiuvare gli istituti scolastici a sviluppare un proprio autonomo sistema di auto-valutazione. La seconda si è venuta a costituire come possibilità nel corso delle varie rilevazioni 85 e consiste nel promuovere, tramite specifici indici, un processo di valutazione interistituto a livello provinciale, da affiancare ad un periodica valutazione esterna. L’ipotesi di modello di valutazione delle istituzioni di istruzione trentine (ciclo primario e scuole secondarie di secondo grado) tiene conto anche dei seguenti riferimenti nazionali e internazionali: l’esperienza di valutazione esterna condotta dall’Università Cattolica di Milano in raccordo con l’iPrASE per conto del Dipartimento istruzione della PAt nel corso del 2008; il quadro di riferimento elaborato dall’iNVALSi per la valutazione del sistema scolastico e delle scuole, rilasciato nel giugno 2010; lo European Common quality Assurance Framework e, per l’italia, la collegata Guida all’Autovalutazione delle Strutture Scolastiche e Formative. questi riferimenti valorizzano quanto già realizzato in trentino in materia di autovalutazione e di valutazione esterna di istituto e, al tempo stesso, si collegano a quanto è in fase di attuazione a livello nazionale (principalmente a cura di iNVALSi) e internazionale. Fig. 16 - Architettura generale del modello La figura (Fig. 16) mostra in sintesi l’architettura generale del modello di valutazione. questa si basa sui seguenti elementi generali: un insieme di indicatori, suddivisi in tre “blocchi”, utilizzabili tanto per i processi di auto-valutazione, quanto a supporto della valutazione esterna; l’attivazione di un servizio specifico di supporto alla valutazione all’interno del Dipartimento istruzione, che ha come principali funzioni quelle di coordinare la rilevazione on-line, sostenere i singoli istituti scolastici nei loro processi di auto-valutazione e di costruire, insieme alla funzione di valutazione esterna, la “mappa” degli istituti scolastici (confronto e relazione tra indicatori di contesto e indicatori di risultato) utile per ulteriori approfondimenti 86 valutativi; l’attivazione, in coordinamento con organismi di valutazione interna già esistenti (i NiV, il servizio di supporto e il Comitato Provinciale di Valutazione), di una funzione di valutazione esterna in capo ad un soggetto terzo rispetto al sistema trentino. il cuore del modello è dato dal sistema degli indicatori suddivisi in tre gruppi. in primo luogo gli indicatori di situazione/contesto: si tratta di valori che descrivono la situazione del singolo istituto e costituiscono, per così dire, l’input contestuale entro cui agiscono i processi di apprendimento e quelli organizzativi. Sono il “punto di partenza” dei singoli istituti scolastici e, pertanto, tali indicatori possono essere funzionali alla identificazione del valore aggiunto in termini di prestazioni del singolo istituto (e del complesso degli istituti) alla fine di un certo periodo di riferimento (uno o più anni scolastici). il secondo gruppo comprende gli indicatori di risultato: rappresentano valori sintetici che identificano i risultati dell’istituto al termine del periodo di riferimento, in termini di apprendimento, soddisfazione, raggiungimento di obiettivi di policy nonché prosecuzione e successo degli/delle ex-allievi/e. Nel terzo gruppo figurano gli indicatori di processo: si tratta di indicatori che si focalizzano sul funzionamento didattico ed organizzativo degli istituti e, pertanto, possono contribuire a spiegare le differenze tra contesto/ risultati del singolo istituto e quelli del complesso degli istituti. 4.5. IL RAPPORTO DI AUTOVALUTAZIONE ED IL PIANO DI MIGLIORAMENTO: ELEMENTI DI RACCORDO TRA VALUTAZIONE INTERNA E VALUTAZIONE ESTERNA. ESEMPLIFICAZIONI Secondo l’impostazione che caratterizza i modelli sviluppati prevalentemente in area anglosassone, la valutazione esterna rappresenta uno strumento diretto da un lato a potenziare la capacità delle istituzioni formative a compiere la sistematica azione autovalutativa, dall’altro ad assolvere alla funzione di rendicontazione (accountability). 4.5.1. Il dispositivo procedurale INVALSI-VALeS il modello VALeS sviluppato da iNVALSi risulta essere articolato in una simile prospettiva. in questo caso, il rapporto di Autovalutazione costituisce il momento di sintesi della diagnosi complessiva volta a individuare punti di forza e di debolezza del servizio offerto. Al tempo stesso il rapporto intende rappresentare un anello di congiunzione con il processo di valutazione esterna, rappresentando uno strumento di comunicazione con i team di valutazione esterna. La valutazione esterna si configura in tal senso come un momento di verifica e validazione dei risultati derivanti dall’opera di autovalutazione. Un secondo elemento che funge al tempo stesso da cerniera tra l’azione autovalutativa e la valutazione esterna compiuta dal team multidisciplinare è rappresentato dalla redazione del Piano di Miglioramento. 87 il Piano scaturisce dalla lettura critica della realtà scolastica e, in una prima fase, si sostanzia nella individuazione di alcuni obiettivi strategici di sviluppo e nella precisazione di alcuni traguardi attesi attraverso cui valutarne i risultati nel medio periodo. Le priorità poste alla base del Piano forniscono le direzioni di marcia su cui sviluppare il documento di programmazione. Secondo iNVALSi è importante evidenziarne la valenza strategica e scegliere con cura una serie contenuta (massimo tre o quattro) di linee di lavoro su cui focalizzare l’attenzione. i risultati attesi, dal canto loro, richiedono di essere espressi in termini misurabili e controllabili, facendo riferimento a precisi indicatori. Gli obiettivi racchiusi nel Piano di Miglioramento scaturiscono dal processo di autovalutazione e vengono indicati esplicitamente nel rapporto. Sotto il profilo procedurale, gli obiettivi vengono proposti dal Dirigente scolastico al Direttore dell’Ufficio Scolastico regionale per la loro effettiva definizione e la conseguente assegnazione contrattuale. La definizione negoziata degli obiettivi fra Dirigente scolastico e Direttore USr intende evidenziare l’importanza del ruolo del Dirigente scolastico e la sua responsabilità nei confronti dei i risultati concordati. Per questa ragione, secondo il modello VALeS, la definizione degli obiettivi deve inquadrarsi all’interno di una strategia dirigenziale tesa a definire gli obiettivi generali in relazione sia al sistema dell’istituzione scolastica sia alla più estesa comunità territoriale di riferimento. 4.5.2. Il modello trentino di integrazione tra valutazione esterna di istituto e valutazione della dirigenza scolastica La Provincia di trento esercita sulla base delle disposizioni statutarie e delle relative norme di attuazione, le funzioni amministrative in materia scolastica che nel restante territorio nazionale sono esercitate dal Ministero attraverso i suoi organi. tali funzioni amministrative assolvono il compito fondamentale di assicurare il regolare svolgimento del servizio scolastico ed educativo nel territorio di riferimento. Fra le funzioni di Governo del sistema educativo provinciale, come delineate dalla legge provinciale 5 del 2006, art.35, vi è l’adozione di criteri ed indirizzi generali destinati alle istituzioni scolastiche e formative per il coordinamento complessivo del servizio educativo erogato. Le linee di indirizzo e gli obiettivi al sistema educativo provinciale per il biennio 2012-2014, promulgati dalla Giunta Provinciale con delibera n.1943 del 14 settembre 2012, prendendo spunto dai contenuti del Programma di Sviluppo Provinciale della XiV legislatura, nonché dagli obiettivi europei per il 2020, costituiscono un punto di riferimento per l’elaborazione da parte di ciascuna istituzione scolastica e formativa di un proprio piano di miglioramento biennale (coerentemente con i suoi compiti d’indirizzo e di programmazione) che, tenendo in considerazione le specificità del proprio contesto di riferimento, definisce percorsi per il miglioramento che possono riguardare l’innalzamento della qualità di quanto già attuato, il miglioramento del livello di efficienza dell’istituzione scolastica e l’in88 troduzione di nuove attività progettuali. Gli indirizzi servono inoltre per la definizione dei progetti di istituto. Le linee provinciali e il piano di miglioramento dell’istituzione scolastica approvato dal Consiglio dell’istituzione costituiscono il framework strategico all’interno del quale il dirigente scolastico esercita la sua attività di orientamento e di miglioramento del servizio, avendo nel contempo ben chiara la situazione dei dati derivanti dall’autovalutazione della propria istituzione scolastica e i risultati di apprendimento dei propri studenti. Pertanto, il punto di partenza è l’autonomia e la responsabilità dell’azione dirigenziale del dirigente scolastico che, dato il quadro di riferimento ed i dati a disposizione, individuerà gli obiettivi da raggiungere e metterà in atto tutte le azioni opportune per concordarli e promuoverli nella comunità professionale e sociale di riferimento. il Dirigente, avendo chiare le Linee di indirizzo di sistema, nonché il piano di miglioramento approvato dal Consiglio dell’istituzione, definisce gli obiettivi di processo (indicativamente due) per raggiungere gli obiettivi di risultato (indicativamente due), considerando: – i punti di forza e debolezza della propria istituzione scolastica oggettivamente misurati attraverso gli indicatori per l’auto-valutazione messi a disposizione a livello centrale, – i risultati sugli apprendimenti forniti innanzitutto da iNVALSi, – altre misure a sua disposizione. il raggiungimento degli obiettivi viene misurato attraverso un indicatore per obiettivo, scelto dal dirigente stesso all’interno di una griglia prestabilita a livello provinciale. rispetto a ciascun indicatore il Dirigente dovrà, partendo dal valore di quell’indicatore nell’a.s precedente a quello di valutazione, indicare il valore target che intende raggiungere nel periodo di valutazione. tali obiettivi e target verranno validati dal Dirigente Generale del Dipartimento della Conoscenza, eventualmente affiancato da un team di esperti esterni, tenendo in considerazione le priorità strategiche e i punti di forza e debolezza dell’istituzione scolastica. in questa sede potrà essere chiesto al Dirigente scolastico di rivedere o integrare gli obiettivi e dove è necessario inserire un ulteriore obiettivo che il Dipartimento ritiene significativo per quella specifica istituzione scolastica con il relativo indicatore di misurazione e target atteso. il Dirigente al fine del perseguimento degli obiettivi in autonomia definirà un piano operativo per il periodo di valutazione, senza la necessità di condividere tale piano con l’Amministrazione Provinciale. A fine del periodo, viene verificata la qualità e la coerenza del piano operativo per il conseguimento degli obiettivi assegnati, il reale raggiungimento dei target e le motivazioni degli scostamenti e sulla base di questi, in modo oggettivo, viene determinata la valutazione della dirigenza 89 scolastica. A campione durante il periodo di valutazione l’istituzione scolastica in cui il dirigente è inserito e quindi anche il dirigente potrebbe essere sottoposti ad un processo di valutazione esterno. 4.6. FUNZIONE CENTRALE DEL NUCLEO INTERNO DI VALUTAZIONE L’autovalutazione degli istituti scolastici rappresenta un tratto caratterizzante il sistema trentino dell’istruzione e Formazione Professionale. Sin dalla sua nascita, si è connotata come una proposta rivolta alle scuole per l’avvio, l’implementazione e lo sviluppo dei processi di valutazione interna, finalizzata a elaborare, sviluppare e verificare gli obiettivi dei Progetti di istituto. il processo di autovalutazione, per tale ragione, è coerentemente inserito in un percorso di Programmazione - Monitoraggio - Valutazione - riprogrammazione, focalizzato sulle singole scuole e ispirato al principio generale dell’autonomia scolastica. i Nuclei interni di Valutazione hanno lo scopo di stimolare la costante attenzione verso gli obiettivi di miglioramento dell’istituzione scolastica e formativa, mediante una sistematica opera di raccolta dati e pareri degli studenti, delle famiglie e del personale AtA, nonché di realizzare una riflessione-valutazione-decisione rispetto ai dati messi a disposizione dal sistema degli indicatori di monitoraggio. i Nuclei rappresentano lo strumento con cui le istituzioni scolastiche possono procedere ad un’analisi integrata delle variabili che concorrono a determinare la qualità erogata, mettendo in relazione dimensioni afferenti al contesto, ai risultati raggiunti ed ai processi posti in atto. il modello trentino prevede che le istituzioni scolastiche e formative valutino periodicamente il raggiungimento degli obiettivi del progetto d’istituto, con particolare riferimento a quelli inerenti alle attività educative e formative, anche avvalendosi degli indicatori forniti dal comitato provinciale di valutazione del sistema educativo. i risultati dei processi di valutazione sono posti a confronto con le rilevazioni del comitato provinciale di valutazione e sono inviati al comitato e al dipartimento provinciale dell’istruzione. i risultati sono altresì tenuti in considerazione al fine della predisposizione del progetto d’istituto. Le istituzioni formative, per svolgere la valutazione interna, costituiscono un nucleo interno di valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del servizio educativo, con compiti di analisi e di verifica interni, finalizzati al miglioramento della qualità nell’erogazione del servizio. il regolamento interno dell’istituzione disciplina il funzionamento del nucleo interno di valutazione, la cui composizione e individuazione sono determinate, secondo criteri di competenza, dallo statuto, assicurando in ogni caso la presenza di docenti, genitori, non docenti e studenti del secondo ciclo. i docenti sono individuati dal collegio dei docenti. 90 4.7. LA DIMENSIONE ESTERNA DELLA VALUTAZIONE: FASI E PROCESSI CHIAVE. ESEMPLIFICAZIONI 4.7.1. Il dispositivo procedurale INVALSI-VALeS Secondo il modello messo a punto da iNVALSi, un team di valutatori condurrà visite di osservazione di tre giorni, utilizzando diverse tecniche della ricerca qualitativa, inserite all’interno di un protocollo di visita strutturato, elaborato da iNVALSi. Dopo aver esaminato i criteri utilizzati da diversi Paesi europei per selezionare figure con compiti di valutazione, si è scelto di individuare due profili distinti per la conduzione delle visite: un profilo interno al mondo della scuola (dirigenti scolastici e insegnanti che hanno maturato competenze professionali non solo legate all’insegnamento, ma anche alla gestione e all’organizzazione scolastica, alla valutazione e all’autovalutazione) e un secondo profilo con competenze metodologiche maturate nel campo della ricerca nelle scienze sociali e/o nella valutazione organizzativa (tecniche di rilevazione, gestione e valutazione dei processi formativi, gestione e valutazione delle istituzioni scolastiche o delle organizzazioni). il primo elemento dovrebbe anche apportare al processo una dimensione di valutazione tra pari (peer evaluation); il secondo dovrebbe rafforzare sia la congruenza metodologica nell’uso degli strumenti e delle procedure, sia ridurre i rischi di autoreferenzialità. i team saranno coordinati da Dirigenti tecnici che, dato il ruolo istituzionale che ricoprono e la conoscenza della legislazione scolastica, sono particolarmente indicati per l’analisi della documentazione prodotta dalle scuole in conformità alle disposizioni previste. il protocollo della valutazione esterna prevede l’analisi dei principali documenti della scuola (PoF, Programma Annuale, attraverso griglie predisposte da iNVALSi), la verifica della coerenza fra quanto dichiarato della scuola nel format della Griglia di Autovalutazione e l’effettivo agito della scuola, l’analisi delle politiche scolastiche in termini di servizio offerto e funzionamento dell’istituzione scolastica, la realizzazione di interviste alle diverse componenti scolastiche (individuali e di gruppo, su tracce appositamente elaborate), lo studio di dati di tipo quantitativo (ad es. dei livelli di apprendimento raggiunti nelle prove iNVALSi o altri dati messi a disposizione dei team, rilevati da strumenti appositamente costruiti, fra cui anche quelli per il percorso di autovalutazione delle scuole – questionari, griglie, ecc.). il protocollo è volto a permettere ai team non solo di esprimere un giudizio su diverse aree individuate (attraverso la compilazione di Rubriche di valutazione predisposte da iNVALSi), ma anche di stilare un Rapporto di Valutazione esterna per ciascuna istituzione scolastica osservata a partire da un format, integrando la parte qualitativa con informazioni quantitative presenti in diversi database, e volto a individuare le piste di miglioramento da implementare con il supporto di esperti esterni. i risultati della valutazione esterna saranno oggetto di condivisione tra dirigenti delle istituzioni scolastiche partecipanti, team di Valutazione e direzione generale degli Uffici Scolastici regionali coinvolti, al fine di definire il programma di 91 interventi di miglioramento delle scuole interessate, comprensivo degli obiettivi di miglioramento da assegnare direttamente al dirigente scolastico. 4.7.2. Il dispositivo procedurale nel contesto inglese Nel contesto inglese il processo di valutazione esterna delle istituzioni scolastiche si presenta intimamente correlato alla valutazione interna, di cui costituisce la dimensione legata all’accountability. Nella maggioranza dei casi le scuole ricevono un preavviso di uno o due giorni prima di essere ispezionate. tuttavia, alcune scuole possono non ricevere alcun avviso di controllo, qualora siano in gioco problemi di sicurezza o una sollecitazione grave sia giunta da parte delle famiglie degli allievi. Le visite di monitoraggio (effettuate in tutte le scuole giudicate insufficienti e circa il 40% di quelle giudicate soddisfacenti) sono condotte senza preavviso. Le ispezioni non durano più di due giorni, ma il numero di ispettori varia in base alle dimensioni e alla natura della scuola, essendo compreso di norma da uno a cinque. Gli ispettori usano l’autovalutazione effettuata dalla scuola (SEF), ed i dati sulle prestazioni della scuola (rAiSEonline) come base di discussione tra l’ispettore capo, il dirigente scolastico, il team di direzione e, ove possibile, il consiglio direttivo della scuola. Gli ispettori utilizzano una scala comune per procedere alla valutazione della scuola, i cui gradi sono i seguenti: – ottimo (outstanding) – Buono (Good) – Soddisfacente (Satisfactory) – inadeguato (inadequate). i risultati dell’ispezione hanno un’amplissima diffusione. i genitori degli studenti ricevono copia cartacea del rapporto entro poche settimane dall’ispezione, e entro tre settimane il rapporto viene pubblicato su internet. Non ci sono documenti segreti e il feedback fornito alla scuola è esattamente identico a quello del rapporto reso pubblico. i rapporti dell’ispezione indicano i punti forti e i punti deboli della scuola in relazione ai criteri pubblicati negli “inspection Frameworks”. Essi formulano anche un giudizio sulla capacità della scuola di migliorare, sul sostegno di cui ha bisogno e sulle priorità da affrontare. Una serie di organizzazioni private esterne e operanti su scala regionale attualmente operano con l’ofsted, organizzando team di ispezione e fornendo ispettori capo e ispettori aggiuntivi. questi ultimi possono essere sia dipendenti delle organizzazioni, che soggetti che lavorano a contratto. Gli ispettori aggiuntivi sono reclutati, formati e valutati dai provider privati sulla base di standard fissati dall’ofsted. Gli ispettori devono essere ben qualificati ed aver rivestito posizioni dirigenziali in scuole e college. in genere si tratta di insegnanti apprezzati e in molti casi ex capi di istituto. 92 Di seguito si riporta, nella traduzione in lingua italiana, un esempio di format per la redazione del giudizio ispettivo da parte del team di valutazione esterna. Giudizio ispettivo Livelli di giudizio ispettivo: • livello 1, ottimo; • livello 2, buono; • livello 3, sufficiente; • livello 4, insufficiente. Per l’istituto Per particolari nel suo insieme fasce d’età efficacia compLessiva deLL’offerta Quanto sono stati efficaci, efficienti e completi l’offerta d’Istruzione, l’assistenza integrata e qualsiasi servizio supplementare nel soddisfare le esigenze degli studenti? Con che grado di efficienza la scuola collabora con terze parti per promuovere il “benessere” degli studenti? Qualità e standard dell’Istruzione prescolare Efficacia dell’autovalutazione della scuola Capacità di introdurre le migliorie necessarie Dall’ultima ispezione sono stati presi provvedimenti efficaci per permettere dei miglioramenti? iL profitto e GLi standard di proGresso Qual è il grado di profitto conseguito dagli studenti? Standard di progresso conseguiti dagli studenti (1) (1) Livello 1 - Decisamente ed uniformemente elevato; Livello 2 - Generalmente superiore alla media con nessun caso significativamente inferiore alla media; Livello 3 - Grosso modo nella media; Livello 4 - Straordinariamente basso Quanto sono in grado di progredire gli studenti disabili o problematici? In che misura gli studenti sono in grado di fare progressi, tenendo presente eventuali variazioni significative fra i diversi gruppi di alunni? 93 Benessere e sviLuppo personaLe Giudizio suLLo sviLuppo ed iL Benessere personaLe deGLi studenti Grado di sviluppo spirituale, morale, sociale e culturale degli studenti Condotta degli studenti Frequenza scolastica degli studenti Capacità degli studenti di essere avvinti dal processo educativo In che misura gli studenti adottano prassi improntate alla sicurezza? In che misura gli studenti adottano uno stile di vita sano? In che misura gli studenti danno un contributo significativo alla collettività? In che misura gli studenti sviluppano competenze lavorative e di altra natura, tali da contribuire al loro futuro benessere economico? QuaLità deLL’offerta In che misura la didattica e il processo di apprendimento sono in grado di soddisfare le diverse esigenze degli studenti? In che misura il curricolo e le altre attività sono in grado di soddisfare le diverse esigenze degli studenti? Qual è il grado di assistenza, orientamento e supporto riservato agli studenti? Leadership e manaGement Con quale efficacia leadership e management possono incrementare il profitto e supportare tutti gli studenti? Con quale efficacia il dirigente e il suo team, a tutti i livelli, sono in grado d’impartire direttive precise per introdurre migliorie e promuovere un’assistenza ed un’Istruzione altamente qualitative? Con quale efficacia il rendimento scolastico è monitorato, valutato e potenziato per soddisfare obiettivi rigorosi, attraverso l’assicurazione qualità e l’autovalutazione? 94 Qual è il grado di promozione delle pari opportunità ed in che misura è condotta la lotta alla discriminazione per dare a tutti l’opportunità di avere successo nei limiti delle proprie possibilità? Con quale grado di efficienza ed efficacia vengono impiegate risorse ai fini di ottimizzare il rapporto costo-risultati? In che misura amministratori ed altri organi di vigilanza adempiono alle proprie responsabilità? Sufficienza e idoneità del personale per assicurare la tutela degli studenti In che misura la scuola permette agli studenti di condurre una vita sana? Gli studenti sono incoraggiati e messi nelle condizioni di consumare bevande e cibi sani? Gli studenti sono incoraggiati e messi nelle condizioni di fare regolare esercizio fisico? Gli studenti sono dissuasi dal fumo e dall’assunzione di sostanze stupefacenti? Gli studenti ricevono un’educazione in materia di salute ed igiene sessuale? In che misura gli operatori scolastici tutelano gli studenti dai rischi? Le procedure di tutela degli studenti sono conformi agli attuali requisiti amministrativi? Sono state predisposte procedure di valutazione rischi e la relativa Formazione del personale? Sono state adottate misure per ridurre i comportamenti antisociali come bullismo e razzismo? Gli studenti sono informati sui rischi principali e su come farvi fronte? In che misura gli studenti sono in grado di dare un contributo positivo? Gli studenti sono aiutati a sviluppare rapporti stabili e positivi? Gli studenti concorrono, individualmente e collettivamente, a prendere decisioni che li riguardano direttamente? 95 Gli studenti sono incoraggiati ad avviare, gestire e partecipare ad attività nell’ambiente scolastico ed in quello più ampio della comunità in cui vivono? In che misura la scuola aiuta gli studenti a conseguire un futuro benessere economico? Esistono iniziative di promozione delle competenze di base degli studenti? Si offre agli studenti l’opportunità di sviluppare competenze imprenditoriali ed attività collaborative? Sono offerti programmi d’informazione ed orientamento alla carriera a tutti gli studenti nelle fasce d’età 11-14, 14-16 e 16-19? L’offerta didattica per tutti gli studenti della fascia 14-19 fornisce loro delle basi di economia e conoscenza del mondo del lavoro? 4.7.3. Il dispositivo procedurale nel contesto neozelandese La valutazione esterna della qualità dell’istruzione in tutte le istituzioni pubbliche di istruzione primaria e secondaria è effettuata dall’Ufficio per la Valutazione del Sistema di istruzione (Education Review Office - Ero). Ero è stato istituito nell’ambito della Legge quadro del 1988 sulla pubblica amministrazione, come un dipartimento governativo indipendente. Ero ha sviluppato una metodologia completa che viene regolarmente rivista ed aggiornata, in linea con i risultati della ricerca nazionale ed internazionale e la pratica concreta realizzata sul campo. Se da un lato l’obiettivo consiste nell’assicurare la coerenza e la credibilità del sistema complessivo, dall’altro le équipe di ispettori sono autorizzati ad utilizzare un certo grado di libertà per adattare la metodologia in modo che possa soddisfare i diversi contesti specifici di scuola. Le linee guida generali per la valutazione esterna delle scuole sono indicate nel manuale, prodotto da Ero, di procedure standard (Manual of Standard Procedures), che definisce lo scopo, i fondamenti e le procedure in dettaglio. La metodologia viene descritta in due documenti complementari, Framework for Reviews ed Evaluation Indicators. Si distinguono quattro metodologie ed altrettanti set di indicatori per venire incontro a quattro contesti distinti, rappresentati dalle scuole primarie e secondarie, dalla scuola materna, oltre che a due tipi di scuole nei territori Maori e Kōhanga. il quadro di riferimento per le review, completo dei relativi indicatori, è a disposizione delle scuole in modo che possano prepararsi per la valutazione esterna avendo compreso i parametri fondamentali del processo. 96 Un opuscolo dal titolo Getting the most out of your ERO review descrive il processo di valutazione in un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Ciascuna review è condotta da un team composto da una varietà di esperienze e competenze. Uno sforzo particolare è compiuto per far corrispondere le caratteristiche professionali della squadra alla scuola da esaminare, in termini di una pregressa esperienza di insegnamento o di direzione scolastica nel settore specifico. il quadro concettuale per la valutazione esterna della scuola, fino a poco tempo fa, era basato sulla catena di qualità che collega quattro elementi: – governance efficace – leadership professionale – insegnamento di alta qualità – successo scolastico degli studenti nel contesto di un ambiente positivo e sicuro e con il coinvolgimento delle famiglie e della comunità locale. La versione attuale della metodologia mantiene l’essenza della catena della qualità ma include sei dimensioni: – l’apprendimento degli studenti in termini di impegno, progresso e conseguimento, – governare la scuola, – condurre e gestire la scuola, – insegnare in modo efficace, – la cultura a favore di una scuola sicura e inclusiva, – coinvolgere i genitori e le comunità. Prima della review, la scuola e Ero sono soliti scambiarsi informazioni rilevanti. questo scambio può includere anche la richiesta da parte della scuola di fare uso di un amico della Scuola (Friend of the School), ossia di un soggetto selezionato dalla scuola per seguire sistematicamente come osservatore (shadowing) le attività della squadra di valutatori. il gruppo di revisione procede successivamente a determinare i tempi e le priorità dell’intervento. Un primo incontro tra l’équipe e il Consiglio direttivo aiuta a rendere chiare reciprocamente le aspettative ed i processi che avranno luogo, oltre che a costruire una relazione di collaborazione prima che la visita sul posto abbia luogo. La visita si svolge nell’arco di diversi giorni e coinvolge un team di revisori. Ero usa una serie di strategie di raccolta dei dati: – analisi dei documenti; – analisi della valutazione degli studenti e ulteriori dati quantitativi e qualitativi; – risultati dell’autovalutazione effettuata dalla scuola; – incontri, interviste e conversazioni con Consiglio direttivo, il dirigente scolastico, il management team, gli insegnanti, il personale in generale, gli studenti, i genitori, e altri gruppi rilevanti per il contesto e la collocazione geografica della scuola; 97 – osservazioni in classe ed altre strategie che potrebbero sorgere in una situazione specifica. Gli indicatori di valutazione forniscono dettagliate domande valutative, indicatori e fonti di dati per guidare le strategie di raccolta dei dati, oltre che domande, analisi e giudizi. Sono correlati a ciò che il team si aspetterebbe di trovare in una scuola capace di esprimere alte prestazioni. Non sono concepiti per essere una checklist, ma una guida in rapporto alla quale i valutatori sono chiamati ad usare il loro giudizio professionale. Le scuole, come si è osservato, hanno accesso agli indicatori, in modo che il processo risulti aperto e trasparente, e sono incoraggiate ad utilizzare gli indicatori in preparazione della review e per le proprie pratiche autovalutative. La scuola è tenuta informata in merito all’analisi in corso e alla sintesi dei risultati raggiunti, con l’opportunità di contribuire al processo. Prima di lasciare il sito, Ero presenta una relazione verbale, mentre un rapporto scritto segue alcune settimane più tardi. il rapporto viene redatto seguendo precise procedure di assicurazione della qualità con un’attività di peer review. La scuola ha l’opportunità di commentare i risultati prima che il rapporto venga considerato confermato, inviato al Consiglio direttivo e reso pubblico. Nella relazione finale si informa la scuola sui tempi della successiva review – entro uno o due anni (se si evidenziano problemi da affrontare), entro tre anni (la norma), o entro quattro o cinque anni (se la scuola dispone di adeguati processi di autovalutazione e soddisfa i criteri che la indicano essere una scuola ad alte prestazioni). Le scuole sono quindi informate sulla tempistica approssimativa della successiva revisione. questo sarà confermato per iscritto nell’imminenza di una visita sul posto, con il tempo per la scuola di intraprendere ogni necessaria attività di preparazione. 99 5. Risultati di una prima ricognizione sulla sostenibilità del framework presso un panel di testimoni privilegiati ed operatori del CNOS-FAP Emerge in modo chiaro come la valutazione vada assumendo un ruolo progressivamente centrale nei sistemi dell’education, di pari passo ad una loro rimodulazione che miri a renderli maggiormente rispondenti ad istanze di accountability e di improvement. queste ultime manifestano sempre più la loro cogenza sulla tenuta dei sistemi dell’istruzione e della Formazione, anche a fronte di un processo di crescente contrazione della spesa pubblica. risulta inoltre rilevante la tendenza a promuovere lo sviluppo di sistemi integrati di valutazione, le cui componenti siano interconnesse sulla base di sistemi di rilevazione e set di indicatori unitari, pur nella specificità degli oggetti cui si rivolgono, ed entro un sistema informativo che consenta l’interoperabilità dei dati raccolti ed elaborati. L’analisi dello scenario internazionale, sia a livello di Paesi dell’Unione Europea che più in generale nell’ambito dell’oCSE, mostra come sempre più vadano intensificandosi i rapporti nella costruzione dei modelli, tra esiti di apprendimento degli studenti, forme di valutazione delle scuole e schemi di progressione di carriera e di remunerazione degli insegnanti. Allo stesso modo si va verso una più stretta connessione tra forme di valutazione interna ed esterna sia nei confronti della performance degli studenti che delle stesse istituzioni scolastiche e formative. Dall’altro lato risulta evidente che le definizioni di policy che attengono alla dimensione valutativa non possono prescindere da un più ampio riferimento a quelle che sovrintendono ai sistemi della scuola e della Formazione Professionale intesi nel loro complesso. La rassegna internazionale dei modelli di valutazione delle istituzioni scolastiche ha posto in evidenza come il versante interno ed esterno della valutazione, nei termini di autovalutazione e di valutazione esterna, siano strettamente collegati. Nella maggior parte dei casi, a partire dal contesto anglosassone, l’autovalutazione precede sempre la valutazione esterna e ne pone le basi. Viene attuata direttamente dalla scuola su tutte le aree di attenzione su cui si svilupperà successivamente la valutazione esterna. Mentre l’autovalutazione risponde ad una logica di improvement, la valutazione esterna, realizzata nella maggior parte dei casi da un ente terzo, consente al sistema di garantire un elevato livello di accountability nei confronti dell’intera rete di portatori di interessi, a cominciare dagli studenti, dalle famiglie, dalla comunità locale e dai suoi principali attori sociali. in generale, il processo di autovalutazione è in capo al dirigente scolastico e, laddove sia previsto e operante, al consiglio direttivo della scuola. Le principali funzioni dell’attività autovalutativa riguardano 100 in primo luogo l’analisi diagnostica di tutti i principali elementi che concorrono a comporre il sistema dell’istituzione scolastica, compresi gli elementi di input, così come i processi attivati ed i risultati ottenuti. Per ciascuno di tali aspetti si richiede di specificare le principali evidenze su cui si basa la valutazione. inoltre, l’attività di analisi compiuta sulla scorta di evidenze consente di identificare punti di forza e di debolezza e di graduare il posizionamento della scuola. infine, sulla base del - l’attività di autoanalisi compiuta nelle fasi ora richiamate è possibile descrivere le azioni che la scuola intende intraprendere per fronteggiare i punti di debolezza e incrementare ulteriormente i punti di forza. La valutazione esterna, nella maggior parte dei casi esaminati, si sostanzia in un processo di raccolta di elementi di prova, spesso in forma di review, al fine di fornire una valutazione della performance che la scuola sta esprimendo, in relazione ad una serie di aspetti diversi. tra le finalità principali della valutazione esterna, operata da personale specializzato e opportunamente formato, vi è innanzitutto quella di fornire una valutazione esterna e indipendente delle scuole, promuovendo una cultura mirata alla realizzazione di una rigorosa autovalutazione ed al miglioramento della qualità all’interno della scuola. Un ulteriore obiettivo consiste nel contribuire al miglioramento dei processi e dei risultati, identificando i punti forti e i punti deboli di ogni scuola, in rapporto all’autovalutazione che le scuole curano regolarmente. inoltre, si dà una finalità che va oltre i confini della sfera scolastica, nel senso di fornire un’informazione rigorosa ed accurata ai genitori e a tutti gli attori della comunità locale sulla qualità e sugli standard sviluppati dalla scuola, oltre che di dare indicazioni al Governo sul grado di qualità espressa dall’intero sistema, anche ai fini della definizione di nuove politiche in campo scolastico. Gli intervistati hanno osservato come le indagini invalsi, che in una logica di valutazione delle istituzioni formative potrebbero entrare nel campo dell’autovalutazione, tendono a descrivere il sistema educativo italiano nei suoi risultati di apprendimento. in genere le interpretazioni dei dati e la loro valutazione è fatta sotto forma comparativa tra regioni e indirizzi scolastici. Nel caso del secondo anno del secondo ciclo di istruzione e Formazione sarebbe utile sviluppare una comparazione anche rispetto ai profili di riferimento dal punto di vista dei risultati di apprendimento previsti nei vari canali. Nella tradizione di alcuni Paesi, i riferimenti o standard per identificare le competenze raggiunte vengono progressivamente messi a punto sulla base delle manifestazioni, o evidenze, ottenute negli anni precedenti. tenendo conto delle diversità geografiche e delle articolazioni dei canali istruttivi, si cerca di individuare quali manifestazioni di competenza nelle varie aree dovrebbero essere esplorate nell’anno successivo avendo come quadro di riferimento le indicazioni normative, leggi e/o decreti ministeriali. Si cerca, inoltre, di evitare il pericolo di redigere prove valutative a partire, principalmente se non esclusivamente, dalle esigenze proprie delle discipline oggetto di accertamento; tenendo 101 conto, invece, del riferimento diretto alla promozione delle conoscenze e competenze proprie di una cittadinanza attiva e consapevole. Si è insistito inoltre sul fatto che in italia la seconda classe del secondo ciclo di istruzione e Formazione è collegata per gran parte degli studenti al completamento del percorso decennale previsto dall’obbligo istruttivo. Di conseguenza un ulteriore riferimento obbligato è dato da quanto indicato negli assi culturali come conoscenze e competenze da certificare. in questo contesto si evidenzia una questione assai impegnativa. Le più recenti ricerche sui processi di apprendimento scolastico mettono in luce la centralità del loro carattere situato, cioè legato alle esperienze portate a termine nel contesto delle diverse pratiche didattiche. Ciò è vero anche nel caso di una scolarità segnata da indicazioni contenutistiche valide per tutte le scuole, ma lo è ben più nel caso di canali istruttivi assai differenziati tra di loro come lo sono i vari licei, i diversi istituti tecnici e professionali, i centri di Formazione Professionale. Di conseguenza appare assai delicato, e problematico, individuare prove, o evidenze, che possano far emergere i risultati di apprendimento raggiunti dai vari percorsi scolastici e formativi in modo univoco. Un terzo elemento di riflessione insiste sul fatto che le informazioni raccolte dall’invalsi riguardano i risultati di apprendimento in italiano e in matematica verso il termine dell’obbligo istruttivo. qualche perplessità è emersa per alcuni aspetti di uniformità di redazione delle prove utilizzate in tale rilevazione. La prima riguarda la coerenza con quanto descritto dagli assi culturali contenuti per queste due aree di competenza. La seconda concerne la modalità di leggere, interpretare e valutare i dati raccolti per mezzo di tali rilevazioni. La prima tipologia di perplessità evoca la necessità di essere più attenti nel corso degli anni nell’individuare modalità di accertamento che siano valide e funzionali per far emergere i livelli di competenze disciplinari fondamentali per quanto concerne la base culturale di tale cittadinanza. Non c’è alcun dubbio che la competenza nella lettura e nella scrittura di testi in lingua italiana sia essenziale da tale punto di vista. Ma la familiarità con alcuni ambiti di conoscenza e di esperienza risulta essenziale sia sul piano del lessico, sia della forme argomentative. in altre parole, anche le competenze linguistiche di base sono segnate culturalmente da quella che viene denominata l’enciclopedia linguistico-culturale posseduta. Di qui l’esigenza di trovare strade che tengano conto della padronanza linguistica nonostante la variazioni contestuali. Parallelamente si può parlare di competenza matematica e di sua identificazione come elemento essenziale della cittadinanza. Ma per non rimanere nell’astratto, pare opportuno porsi la questione di come sondare la significatività personale e la capacità applicativa di alcuni concetti fondamentali, quali quelli di rapporto e proporzionalità, tenendo conto di un loro apprendimento situato, e quindi legato al tipo di esperienze vissute, alla tipologia degli stimoli e delle forme di esercitazione sperimentati. Se si esaminano i risultati delle prove invalsi di fine primo biennio secondario superiore per la matematica si nota d’altronde una minore difficoltà, e quindi una 102 maggiore percentuale di risposte corrette, se la questione investiva ambiti di possibile esperienza diretta degli studenti. Dato il quadro problematico cui si è fin qui accennato, una possibile soluzione si ritiene possa prevedere: a) una parte uguale per tutti e coerente con quanto disposto dagli assi culturali; b) una parte specificatamente riferita ai quattro canali: licei, istruzione tecnica, istruzione professionale, istruzione e Formazione Professionale con prove che tendano a verificare, anche ai fini di una verifica dell’orientamento prescelto, i risultati di apprendimento coerenti con gli indirizzi scolastici e formativi percorsi. tutto ciò diventa ancor più rilevante se si procede in modo censuario e non solo per campionamento, in quanto tale rilevazione tende a sovrapporsi alla certificazione delle competenze quale è definita secondo l’obbligo istruttivo e che va realizzata secondo quanto indicato dagli assi culturali ed è di competenza dei Consigli di classe. Un secondo centro di focalizzazione riguarda il fatto che negli anni recenti l’enfasi sulla misurazione delle performance è stata crescente, spingendo la valutazione degli apprendimenti ad assumere in tutti i Paesi forme diverse ed a comprendere metodi e strumenti via via più articolati (interni, esterni, formativi, sommativi). A fronte di questa ricchezza metodologica funzionale all’obiettivo base perseguito – nello specifico, la misurazione dei progressi compiuti dagli studenti e la produzione di informazioni che mirino a migliorare l’apprendimento – la ricerca di confronti affidabili (studenti/istituti/sistemi/territori) ha generato il crescente sviluppo di valutazioni standardizzate, modellate in conformità con le agende politiche e le strutture educative. Sullo sfondo della discussione vi sono soprattutto gli echi delle reazioni allarmate e le proteste provenienti dai contesti sociali di vari Paesi, soprattutto anglosassoni, dove specifiche e diverse tipologie di associazionismo, anche genitoriale, si battono per valutazioni di più ampio respiro. questo per non ipotecare il futuro dei più giovani sulla base dei soli punteggi raggiunti nelle prove standardizzate, per evitare situazioni di “over-testing” che possano mettere in crisi il profilo motivazionale degli studenti, per scongiurare il pericolo del “teaching to test” con assegnazione alla didattica di contenuti e metodi funzionali prioritariamente a mettere il discente nella condizione di affrontare con successo i quiz e secondariamente alla sua crescita educativa, culturale e professionale. in parallelo, inoltre, il dibattito è alimentato dalla questione dell’utilizzo dei risultati. La loro valorizzazione sul piano interno, ad esempio, è per lo più sconosciuta. Carente, se non assente, è il quadro informativo sulle modalità di effettiva traduzione degli esiti delle valutazioni in azioni di assistenza e supporto a fronte dei bisogni emersi dai processi di apprendimento dei singoli studenti. Sul piano esterno, invece, le performance degli studenti sono, di fatto, indicatori della qualità del “servizio offerto” dal sistema educativo nel suo insieme oppure nei suoi diversi sottosistemi (ad esempio, Licei, istruzione tecnica, istruzione professionale, istruzione e Formazione Professionale), nei vari territori, in una singola istituzione scolastica e/o formativa. 103 in italia l’ieFP, secondo il quadro normativo e attuativo che si è via via delineato negli ultimi dieci anni, si connota per pari dignità istruttiva/formativa e specifica identità strutturale. Mettendo a sintesi i tratti principali, la fisionomia della ieFP si caratterizza per: finalità (forte riferimento al lavoro e alla professionalità); oggetti della valutazione (da sempre le manifestazioni di competenza, oltre le abilità, le conoscenze e gli atteggiamenti); approcci didattico/formativi/valutativi (massima valorizzazione di un approccio olistico funzionale alla promozione di tutta la persona, centratura sul compito significativo); contesti di apprendimento (aula, laboratorio, organizzazioni lavorative, luoghi informali della propria vita sociale); dispositivi e strumentazioni operative a supporto di una valutazione che va oltre i giudizi di processo e/o di prodotto (auto-percezione/valutazione e pratiche riflessive degli studenti, narrazione, valorizzazione e documentazione del proprio apprendimento attraverso la pratica del portfolio, valorizzazione di una pluralità di fonti informative e di manifestazioni, forte integrazione di aspetti soggettivi, oggettivi e intersoggettivi); struttura e impianto dei curricula (forte integrazione e non separatezza della dimensione culturale da quella professionale). questi tratti identitari connotano un contesto educativo-formativo che più di altri mette a dura prova il senso e la significatività di un modello di valutazione esterna centrato su prestazioni decontestualizzate rese in situazioni valutative standardizzate. È lecito chiedersi: in che modo la forte e sistematica integrazione tra saperi, la centratura della didattica su compiti significativi, la personalizzazione dei percorsi, un processo valutativo formativo di tipo qualitativo improntato alla “restituzione del senso di ciò che si apprende”, la minore significatività delle prestazioni di tipo cognitivo rispetto a quelle realizzative di un “prodotto” reale, possano trovare una valorizzazione effettiva dentro un quadro, e relativo protocollo metodologico, di valutazione esterna per la ieFP. Non vi è dubbio sul fatto che questa valutazione sia particolarmente importante anche per la ieFP, soprattutto come conseguenza del quadro ordinamentale post-2010 che stabilisce finalità e standard comuni per i diversi sistemi regionali. in questa prospettiva, sarebbe importante che questo quadro possa essere valorizzato anche ai fini di una valutazione esterna degli apprendimenti. questo primo elemento di contestualizzazione potrebbe essere sufficiente affinché la valutazione esterna degli apprendimenti diventi per gli operatori della ieFP un’opportunità per alimentare, in primo luogo, processi mentali aperti all’auto-osservazione, alla riflessione critica, all’auto-monitoraggio e, in secondo luogo, sistematici interventi di miglioramento a sostegno di una crescita armonica del sistema Paese di ieFP. Coloro che apprendono potrebbero, invece, vivere questo setting valutativo contestualizzato come esperienza dove esprimere tutto il potenziale effettivo, in cui poter essere veramente protagonisti di un processo che ha tante, e talvolta dolorose, implicazioni sul piano dell’immagine di sé e della costruzione della propria personalità. Un confronto che favorisca i tanti e necessari approfondimenti sul tema che qui ho solo tratteggiato nei suoi riferimenti principali è quanto mai auspicabile. L’invito è rivolto a regioni, Associazioni, Enti e istituzioni formative, esperti e soggetti responsabili della valutazione. PARTE II Valutazione della professionalità e certificazione delle competenze dei formatori CNOS-FAP Convergenze, specificità e prospettive in relazione alle politiche nazionali ed europee in campo valutativo 107 Introduzione A livello internazionale si riscontra oggi un diffuso riconoscimento del fatto che i sistemi di valutazione e di assessment siano elementi chiave per la costruzione di sistemi educativi più efficaci ed al tempo stesso maggiormente equi; da ciò deriva un’accresciuta attenzione per le dimensioni di accountability dei sistemi verso l’esterno e di sviluppo e miglioramento al proprio interno (improvement). Lo sviluppo della valutazione delle istituzioni scolastiche e formative ha accresciuto l’esigenza di introdurre anche modalità di valutazione degli insegnanti e dei formatori come parte essenziale della valutazione di una istituzione formativa e del funzionamento del sistema di Formazione Professionale. Le più recenti ricerche del Cedefop hanno inoltre evidenziato la duplice questione della legittimità e degli usi della valutazione dei formatori, come strumento di controllo e misurazione della performance (anche ai fini di un avanzamento di carriera o di status), oppure come strumento di riconoscimento e valorizzazione delle competenze professionali presenti nel sistema formativo. infine, va citata la “raccomandazione” del Consiglio dell’Unione Europea del 20 dicembre 2012 riguardo la convalida dell’apprendimento non formale e informale. in tale cornice va ricondotta anche la tematica del riconoscimento e della validazione delle competenze dei formatori, comprese quelle acquisite in contesti non formali. questa prospettiva, tuttavia, ha sempre incontrato parecchie resistenze da parte di molti formatori e delle organizzazioni sindacali e non si è mai tradotta in dispositivi concreti che mettessero in discussione i sistemi basati sull’anzianità di servizio. torna opportuno pertanto esplorare le finalità e i possibili quadri di riferimento della valutazione dei formatori, anche in chiave comparata, per individuare modalità, condizioni e percorsi eventualmente da aprire anche nel nostro Paese, da un lato ai fini di valorizzarne il ruolo professionale, culturale e sociale di questo personale, dall’altro ai fini di promuovere una sempre maggiore qualità del servizio formativo. Lo studio che di seguito si presenta si propone di delineare gli elementi portanti di un modello di riferimento per il riconoscimento e la validazione delle competenze dei formatori della ieFP orientato al miglioramento del servizio e allo sviluppo professionale. Ci si riferisce pertanto alla proposta di un quadro di riferimento, di carattere generale, utile ad orientare lo sviluppo in chiave sistemica ed integrata delle pratiche di valutazione della performance dei formatori da parte dei Centri di Formazione Professionale, coerente con i cambiamenti intervenuti recentemente nelle policy di settore sul piano nazionale ed europeo. 108 Complessivamente, l’approccio adottato procede per linee generali. La trattazione si concentrerà quindi da un lato su una serie di linee di tendenza ampiamente condivise a livello internazionale, dall’altro sulla sintetica descrizione dei principali elementi portanti propri del modello, articolati per aspetti chiave e comprendenti diversi set di indicatori e descrittori. A tale proposito, l’approccio sotteso al contributo potrebbe essere definito a ragione di tipo ostensivo. in tale prospettiva, la scelta di mantenere l’analisi su una prospettiva orientativa, in modo tale che le esemplificazioni illustrate per ciascun elemento del modello in alcuni casi rinvieranno ad una gamma differenziata di dispositivi, accomunati dall’essere impostati su comuni criteri guida. in tutti i casi il materiale esaminato proviene da una serie di buone pratiche esistenti, individuate in ambito nazionale ed internazionale. infine, ci si è proposti di verificare la rispondenza e l’accettabilità del modello generale presso un campione di CFP, mediante la realizzazione di interviste a testimoni privilegiati. 109 1. La figura dell’insegnante al centro dell’attività di analisi e ricerca sul piano internazionale 1.1. INQUADRAMENTO GENERALE il complesso insieme di elementi che ruotano intorno alla figura ed alle funzioni dell’insegnante ha registrato sin dagli inizi degli anni Duemila un crescente interesse nell’analisi e nella riflessione da parte delle principali istituzioni ed organizzazioni che operano sul piano internazionale. È in questo scorcio di tempo infatti che, sia ad opera dall’Unione Europea che dell’oCSE, vengono promosse una serie di ricerche di ampia portata, tese ad esaminare le prospettive dei sistemi scolastici nei paesi ad economia avanzata, presso i quali sono in atto profonde trasformazioni che esigono una riformulazione dei significati e delle funzioni con cui vengono tradizionalmente interpretati i processi di insegnamento e di apprendimento, così come le istituzioni ad essi socialmente deputate. Le ragioni di una ripresa di interesse per l’istituzione scuola e per le diverse figure che operano al suo interno, manifestatasi in forma convergente da parte di realtà nazionali tra loro eterogenee, si deve ad una serie di fattori problematici che all’inizio del decennio si sono manifestati in tutta la loro intensità, interessando trasversalmente le maggiori economie mondiali. Da un lato sono questi gli anni in cui i processi reali di trasformazione dei sistemi sociali ed economici verso nuovi assetti che costituiscono la base della cosiddetta società e dell’economia della conoscenza escono dai limiti circoscritti della riflessione sociologica e socioeconomica per divenire manifestamente percepibili nei loro effetti sul medio e lungo periodo. il peso che la variabile rappresentata dalla conoscenza è andata acquisendo nella produzione di beni e di servizi, impone un’attenta riflessione sulle policy da porre in atto per fronteggiare gli effetti dei mutamenti, orientate ad un necessario innalzamento del livello delle conoscenze e delle competenze sia di coloro che già sono già presenti all’interno dei sistemi produttivi, sia di coloro che si apprestino a farvi ingresso, potendo contare su una Formazione iniziale maggiormente rispondente ai bisogni in divenire. tuttavia l’accento posto sul rinnovato interesse per i processi di istruzione, di cui la scuola mantiene a tutt’oggi una sostanziale centralità, in funzione della crescita e della trasformazione dei sistemi di produzione e di adattamento all’innovazione tecnologica ed organizzativa, non deve porre in ombra le ulteriori dimensioni interessate, in primis quelle che attengono ai risvolti sociali dei mutamenti in atto. Un rapido e progressivo innalzamento del grado di istruzione della popolazione, specie di quella di più giovane età, ed in genere il possesso di nuove compe110 tenze necessarie per partecipare alle dinamiche che regolano il funzionamento degli odierni sistemi sociali, diventano requisiti basilari per la partecipazione alla vita associata. in questo senso il passaggio dal concetto di occupazione a quello di occupabilità, le sfide poste dall’alfabetizzazione informatica, la crescita dei flussi migratori ed il delinearsi di società ad elevato livello di differenziazione culturale e linguistica, richiedono una ridefinizione del ruolo della scuola. questa va caratterizzandosi sempre più come risorsa non solo in vista della trasmissione dei saperi tra le generazioni, ma anche come luogo in cui i soggetti vengono abilitati a comprendere e fronteggiare i nuovi meccanismi di interazione sociale. Fin qui si è accennato alle domande che i sistemi sociali a progressiva richiesta di conoscenza pongono al mondo della scuola, fenomeno che fa la sua comparsa già alla metà degli anni ottanta per divenire improcrastinabile nel corso del decennio successivo. tuttavia verso il termine degli anni Novanta nei Paesi oCSE si va delineando una specifica criticità che riguarda i meccanismi di reclutamento e di turn over che interessano il corpo docente. Sono principalmente due i processi che all’epoca generano forti preoccupazioni e la necessità di intervenire con policy appropriate. il primo riguarda la limitata attrattività che la carriera dell’insegnante sembra suscitare, anche in termini tendenziali, soprattutto nelle discipline a più alto contenuto scientifico e tecnologico. il secondo processo ha a che fare con la struttura della popolazione degli insegnanti che, con accentuazioni diverse, si ripropone nella gran parte dei paesi caratterizzati dalle maggiori economie mondiali e che rappresenta un quadro segnato da fattori comuni quali l’invecchiamento, la forte femminilizzazione, il limitato ritmo di ricambio, etc. in quella fase lo scenario si carica di un ulteriore fattore critico, rappresentato dall’uscita dall’età lavorativa, prevista allora nell’arco di cinque-dieci anni, di una quota ingente del personale docente, che avrebbe quindi generato un problema di tenuta del sistema. Al tempo stesso la prevista fuoriuscita di un’ampia compagine di docenti della scuola dalla vita lavorativa attiva offriva al contempo la possibilità di mettere a punto processi di riforma che incidessero sui principali snodi del sistema scuola, quali la Formazione iniziale ed i meccanismi di ingresso nella professione degli insegnanti, ma anche i dispositivi che presiedono alla Formazione in servizio ed alla valutazione dei docenti. Ciò allo scopo di rendere da un lato maggiormente attrattiva la professione dell’insegnante e al contempo di innalzare il livello di accountability del sistema scolastico nei confronti dei diversi portatori di interessi che, nel quadro della società e dell’economia della conoscenza, andavano moltiplicandosi e differenziandosi. Una prima fase di ricerca a carattere internazionale sulla figura dell’insegnante si apre nel 2001, allorché la Direzione Generale istruzione e Cultura della Commissione Europea promuove una serie di studi dal titolo La professione docente in Europa: profili, tendenze e sfide.1 Le ricerche, pubblicate a partire dal 2002, si con- 1 Commissione Europea, Direzione generale istruzione e Cultura (2002a), La professione docente in Europa. Rapporto I. Formazione iniziale e passaggio alla vita professionale. Istruzione 111 centrano sul segmento dell’istruzione secondaria inferiore generale, coprendo alcune delle questioni chiave riguardanti l’evoluzione professionale dell’insegnante, dalla Formazione iniziale, alle forme di ingresso nella carriera, alle dinamiche del rapporto tra domanda e offerta, alle condizioni di servizio, sino al trattamento salariale. La pubblicazione del rapporto di ricerca nel 2002 non è casuale, dato che in quell’anno, nel corso del Consiglio di Barcellona, viene approvato il Programma di lavoro Istruzione e Formazione 2010 che costituirà per l’intero decennio il documento che integra tutte le azioni a livello europeo riguardanti le sfere dell’istruzione e della Formazione, compresi i processi di Bologna per l’istruzione superiore e di Copenhagen per l’istruzione e la Formazione Professionale.2 Nel 2004 esce un ulteriore rapporto di ricerca (solo in lingua inglese e francese), incentrato sul tema dell’attrattività della professione docente nel ventunesimo secolo, che esamina lo scenario europeo fortemente diversificato al proprio interno, ponendo sotto osservazione una serie di questioni nodali. tra queste si segnalano la necessità di differenziare l’accesso alla carriera dei docenti mantenendone inalterato il livello di competenza, il potenziamento che deve essere impresso alla Formazione continua per evitare una progressione di carriera svincolata processi reali di crescita professionale, la questione della differenziazione degli sviluppi di carriera e dell’uso conseguente di forme di premialità, pur mantenendo garanzie generali di uguaglianza di trattamento, oltre all’importanza di motivare e trattenere nel sistema gli insegnanti di maggiore esperienza e capacità.3 Nel 2005 viene pubblicato un ultimo volume della collana, dal titolo Reform of Teaching Professions: A Historical Survey, in cui si ripercorrono i processi di riforma attuati nel contesto europeo dal 1975 al 2002.4 La scelta di concentrare la ricerca sulla scuola secondaria inferiore generale si deve a due ordini di ragioni. La prima attiene alla struttura dell’istruzione post obbligatoria, che nello scenario europeo presenta forti differenziazioni: si pensi all’affermazione del sistema duale nell’area germanica, così come alle differenze tra modelli scolastici tra mondo anglosassone e blocco continentale, etc. inoltre va ricordato che in base al trattato di Lisbona, l’Unione Europea non ha competenza diretta in materia di istruzione generale a livello nazionale, ma si serve del cosiddetto secondaria inferiore generale, Eurydice, Bruxelles; Commissione Europea, Direzione generale istruzione e Cultura (2002b), La professione docente in Europa. Rapporto II. Domanda e offerta. Istruzione secondaria inferiore generale, Eurydice, Bruxelles; Commissione Europea, Direzione generale istruzione e Cultura (2002c), La professione docente in Europa. Rapporto III. Condizioni di servizio e salari. Istruzione secondaria inferiore generale, Eurydice,Bruxelles. 2 Council of European Communities (2002), Detailed Work Programme on the Follow-up of the Objectives of Education and Training Systems in Europe, Brussels, (2002/C 142/01 - oJ C142/1 del 16.06.2002). 3 Commission of the European Communities, Directorate General Education and Culture (2004), The Teaching Profession in Europe: Profile: Trends and Concerns, Report IV. Keeping Teaching Attractive for the 21th Century. General Lower Secondary Education, Eurydice, Brussels. 4 European Commission, Directorate General Education and Culture (2005b), The Teaching Profession in Europe: Profile: Trends and Concerns, Report V. Reform of Teaching Professions: A Historical Survey. General Lower Secondary Education, Eurydice, Brussels. 5 oECD (2005a), Teachers Matter. Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers, oECD Publishing, Paris. 6 oECD (2005b), Teachers Matter. Pointers for Policy Development, oECD Publishing, Paris. 112 metodo aperto di coordinamento, nel quadro degli articoli 149 e 150 del trattato. Con tale termine si intende un approccio decentralizzato che utilizza un’ampia varietà di attività cooperative e il cui obiettivo punta a favorire lo sviluppo progressivo delle politiche da parte degli Stati membri, perseguendo una maggiore convergenza in vista degli obiettivi comunitari. in altri termini, il metodo aperto implica un processo di cooperazione tra Stati membri sulla base di diversi contesti e tradizioni nazionali, mediante la condivisione di esperienze, la definizione di obiettivi comuni e l’apprendimento dalle best practices realizzate nei diversi contesti nazionali, ma non può intervenire con direttive specifiche. Parallelamente all’azione della Comunità Europea anche l’oCSE, l’organizzazione per la Crescita e lo Sviluppo Economico, a cui aderiscono attualmente 32 Paesi, di cui la maggioranza europei, Svizzera compresa, gli Stati Uniti, il Giappone, l’Australia, il Canada il Messico e la Corea del Sud, decide di promuovere un’attività di ricerca sulla figura dell’insegnante, posta a confronto con i sistemi di policy che ne regolano le principali fasi di evoluzione e gli snodi della carriera.5 La ricerca internazionale viene lanciata nel 2002 e nel corso dell’anno successivo si giunge alla pubblicazione di venticinque rapporti nazionali che inquadrano lo stato dell’arte per ciascun Paese mediante una ricognizione operata da esperti interni. Successivamente si passerà a corroborare le analisi svolte da esperti dipendenti o incaricati dai governi nazionali con un’attività di valutazione esterna, che sarà condotta in dieci Paesi. Nel 2005 vede la pubblicazione il documento finale, dal titolo Teachers Matter. Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers, che può essere tradotto con Il ruolo cruciale degli insegnanti. Attrarre, formare e trattenere gli insegnanti di qualità. Sin dal titolo si chiarisce la finalità dello studio, che come già era accaduto per l’indagine promossa dalla Commissione Europea, non intende limitarsi ad una disamina dell’esistente, ma si propone di fornire sia un’ampia ed articolata analisi dei contesti nazionali e dei raffronti che ne possono essere ricavati sul piano internazionale. inoltre, il lavoro si caratterizza per essere un contributo allo sviluppo di nuove policy che possano incidere efficacemente sugli elementi del sistema che determinano l’innalzamento del grado complessivo di qualità degli insegnanti nei diversi sistemi scolastici nazionali. La premessa da cui muove la riflessione dell’oCSE è che il miglioramento del grado di efficienza e di equità della scuola dipenda in larga parte dal garantire che soggetti di provata competenza e capacità vogliano intraprendere la carriera di insegnanti, che il livello espresso sia costantemente di qualità e che al più grande numero di studenti sia consentito l’accesso ad un insegnamento di elevata qualità.6 in molti Paesi, pur in presenza di un accentuato incremento dell’età media della classe docente, si registra una difficoltà ad attrarre docenti qualificati o a trattenerli 113 nel sistema, cosa che determina un possibile abbassamento tendenziale della qualità dell’insegnamento. Si identificano una serie di criticità comuni nell’area oCSE, tra cui la presenza di criticità a livello qualitativo entro il corpo docente, collegamenti limitati tra Formazione iniziale, sviluppo professionale e bisogni delle scuole, oltre ad un peggioramento nell’immagine sociale e nello status degli insegnanti, la composizione problematica della forza lavoro (invecchiamento e femminilizzazione), la presenza di carichi di lavoro medio eccessivo. il rapporto è integrato da una serie di prospettive di policy che possono favorire un superamento delle criticità accennate. Si insiste ad esempio sul fatto che l’incremento delle conoscenze e delle capacità dei docenti andrebbe perseguito sviluppando profili di insegnamento differenziati, flessibilizzando la Formazione iniziale e stabilendone un sistema di accreditamento, migliorando la selezione in ingresso, certificando i nuovi docenti e potenziandone i programmi di inserimento. Nella fase di recruiting e di selezione viene auspicata la promozione di forme più flessibili di impiego, il riconoscimento di maggiore responsabilità alle scuole nella fase di assunzione, l’obbligatorietà del periodo iniziale di prova e la promozione di una maggiore mobilità. infine, per aumentare la capacità del sistema scolastico di trattenere i docenti meritevoli si consiglia di promuovere una maggiore attività di valutazione e di valorizzazione delle pratiche di insegnamento efficace, di fornire più opportunità per una diversificazione della carriera e di migliorare le condizioni di lavoro. inoltre, si propone l’introduzione di forme di sanzionamento degli insegnanti che esprimono bassi livelli di professionalità, di fornire maggiore supporto ai neodocenti, di offrire condizioni ed orari di lavoro più flessibili, oltre che di sviluppare comunità professionali di insegnanti. Al tempo stesso si ritiene che lo sviluppo e l’implementazione di policy volte al miglioramento del sistema della scuola non possa prescindere da un coinvolgimento degli insegnanti sia nella fase di predisposizione che nella successiva opera di attuazione. Nel 2005 viene diffuso un primo documento della Commissione Europea, cui due anni più tardi farà seguito un testo maggiormente sistematico, che fissa una serie di principi guida volti a promuovere la professionalità e ad innalzare i livelli di qualificazione degli insegnanti.7 il primo principio evidenzia la necessità di portare la Formazione iniziale degli insegnanti al livello di istruzione terziaria. in secondo luogo, a parere della Commissione, lo sviluppo professionale dell’insegnante dovrebbe mantenersi costante nel corso della carriera lavorativa e in tal senso andrebbe incoraggiato a tutti i livelli. inoltre la professione dell’insegnante dovrebbe essere caratterizzata da una forte propensione alla mobilità tra Stati membri, come componente della Formazione iniziale e continua. in tal senso i docenti dovrebbero vedersi riconosciuto lo status di cui godono nel Paese d’origine 7 Commission of the European Communities, Directorate-General for Education and Culture (2005a), Common European Principles for Teacher Competences and Qualifications, (http: //ec. europa.eu/education/policies/2010/doc/principles_en.pdf). 114 anche presso i Paesi ospitanti e al tempo stesso dovrebbero potersi vedere validate le competenze acquisite all’estero. infine viene raccomandata una collaborazione più attiva tra gli organismi che dispensano la Formazione iniziale degli insegnanti e le istituzioni scolastiche, le imprese ed i soggetti che promuovono percorsi formativi in ambiente di lavoro (non formal ed informal learning). Dato lo scenario appena tratteggiato, le competenze chiave dell’insegnante dovrebbero essere ampliate, includendovi innanzitutto la capacità di lavorare interagendo con gli sviluppi della conoscenza, della tecnologia e con i mezzi della società dell’informazione. Dato il ritmo sempre più elevato con cui le conoscenze divengono obsolete, l’insegnante deve essere in grado di acquisire, analizzare, validare e trasmettere tipi diversi di conoscenza e di riflettere su di essi. Le sue skill dovranno quindi comprendere la costruzione di ambienti di apprendimento anche non tradizionali, oltre all’uso efficace delle tecnologie di informazione e comunicazione nei processi di insegnamento e apprendimento. Un secondo filone di competenze chiave risulta collegato alla dimensione sociale dell’insegnamento. L’importanza attribuita ai processi di inclusione sociale cui l’attività didattica risulta finalizzata, insieme alla progressiva enfasi posta sulle caratteristiche individuali degli allievi, comportano il potenziamento di competenze legate allo sviluppo di una collaborazione efficace con una molteplicità di soggetti eterogenei e ad una didattica personalizzata e orientata alla promozione di forme di apprendimento di tipo cooperativo. Un ultimo cluster di competenze chiave riguarda la dimensione sovranazionale ed europea, da promuovere in tutte le sedi. A partire dal 2005 il contesto dell’Unione Europea ha conosciuto una stagione di riforme dei sistemi scolastici nazionali e dei dispositivi che regolano la Formazione iniziale e la progressione di carriera degli insegnanti, alcune delle quali vengono ripercorse in questo lavoro, compresi i loro sviluppi in corso (si pensi al caso della Francia). Per tale ragione scopo della ricerca che qui si presenta è anche quello di aggiornare le conoscenze sugli scenari nazionali, operandone una ricognizione a conclusione dei processi riformatori o, come nel caso della Francia, ad una fase di sviluppo avanzato. Nel medesimo anno l’UNESCo pubblica una serie di linee guida e di raccomandazioni volte a riorientare la Formazione degli insegnanti per renderla compatibile con le necessità di sostenibilità del sistema scolastico.8 Nel 2009 l’oCSE ha inoltre promosso un’indagine internazionale di tipo settoriale che verte sugli aspetti della valutazione applicata alla misurazione della performance degli insegnanti. Lo studio, più che ad un’analisi sistematica dei contesti nazionali, mira a raccogliere ed inventariare una serie di buone pratiche sia in fase sperimentale che poste a regime, osservabili sul piano nazionale, regionale e delle singole istituzioni scolastiche.9 Contestualmente, sempre nel 2009, l’organizza- 8 UNESCo (2005), Guidelines and Recommendations for Reorienting Teacher Education to Address Sustainability, technical Paper N. 2/2005, Paris. 115 zione per la Cooperazione e lo sviluppo Economico pubblica un secondo lavoro di ricerca, che insiste anch’esso sui temi della valutazione dei docenti scolastici, approfondendo cinque scenari internazionali, costituiti da Finlandia, inghilterra, ohio, Cile e Francia.10 infine nel 2010 l’organizzazione internazionale del Lavoro (iLo) cura un lavoro di ricerca dal titolo Teachers and Trainers for the Future, in cui viene delineato un nuovo profilo dell’insegnante e del formatore nel settore dell’istruzione e della Formazione tecnica e professionale, guardando alle nuove condizioni ed ai nuovi scenari cui il sistema scolastico odierno deve fare fronte.11 in italia la riflessione in merito alla figura dell’insegnante ed alla sua evoluzione abbraccia una molteplicità di aree disciplinari, dalla sociologia della scuola e più in generale della ricerca sociale, agli studi di carattere giuridico, socio-psicologico e di teoria della didattica, per giungere ad ambiti specializzati quale l’applicazione delle nuove tecnologie ai contesti di insegnamento, le analisi di autoefficacia, la relazione tra insegnante allievo, il rapporto tra insegnamento e bisogni educativi speciali e così via.12 Non si intende qui approfondire questo genere di studi, dato che l’analisi verrà condotta e si manterrà sul piano internazionale. tuttavia, sembra opportuno citare il fatto che alcuni degli elementi che hanno caratterizzato il recente processo di riorganizzazione di alcuni settori della scuola italiana troveranno nelle pagine che seguono alcuni riscontri e rinvii degni d’interesse. 1.2. LA QUALIFICAZIONE DEGLI INSEGNANTI SECONDO LA COMMISSIONE EUROPEA L’Unione Europea si è espressa a più riprese in materia di qualificazione degli insegnanti. È il caso in primo luogo dei Principi comuni europei sulle qualifica- 9 oECD (2009), Evaluating and Rewarding the Quality of Teachers. International Practices, Paris. 10 isoré M. (2009), Teacher Evaluation: Current Practices in OECD Countries and a Literature Review, oECD Education Working Paper N. 23, oECD Publishing, Paris. 11 iLo (international Labour organization) (2010), Teachers and Trainers for the Future. Technical and Vocational Education and Training in a Changing World. Report for Discussion at the Global Dialogue Forum on Vocational Education and Training (29-30 September 2010), iLo, Geneva. 12 Per citare solamente a titolo di esempio alcuni degli studi maggiormente significativi sul profilo e la condizione degli insegnanti in italia apparsi negli anni recenti si può fare riferimento ai testi seguenti. Fondazione Giovanni Agnelli (2009), Rapporto sulla scuola in Italia 2009, Bari, Laterza; Fondazione Giovanni Agnelli (2010), Rapporto sulla scuola in Italia 2010, Bari, Laterza; Associazione treelle (2002), Scuola italiana, scuola europea? Dati e confronti, Genova, tipografia Araldica; Associazione treelle (2004), Quali insegnanti per la scuola dell’autonomia? Dati analisi e proposte per valorizzare la professione, Genova, tipografia Araldica; Associazione treelle (2008), Sistemi europei di valutazione della scuola a confronto, Genova, tipografia Araldica. Per una ricognizione comparata sulla condizione degli insegnanti in area oCSE si rinvia al programma tALiS (Teaching and Learning International Survey). infine per mettere a fuoco la condizione dei docenti italiani della scuola si può consultare la recente indagine promossa da CiSL Scuola e realizzata da SWG: CiSL Scuola (2010), Energie per il domani. La scuola italiana: valori e consapevolezza a servizio dei giovani e del Paese, roma. 116 zioni e le competenze dell’insegnante.13 La comunicazione del 2005 fissa quattro principi comuni volti a promuovere la professionalità e ad innalzare i livelli di qualificazione degli insegnanti. il primo principio evidenzia la necessità che la classe insegnante europea sia costituita da soggetti laureati, che sotto il profilo della qualificazione siano giunti sino al livello di istruzione terziaria. Un aspetto di rilievo riguarda il fatto che l’accesso alla laurea triennale (Bachelor) o alla successiva laurea specialistica (Master degree) dovrebbe essere favorito anche nei confronti di quanti esercitano la professione e ne siano sprovvisti, secondo una logica di qualificazione professionale nel corso dell’intera vita lavorativa. Si insiste inoltre sul carattere di tipo multidisciplinare che è opportuno caratterizzi la Formazione iniziale dei docenti. i percorsi formativi in tal senso dovrebbero, oltre che abilitare al possesso delle conoscenze disciplinari, essere orientati inoltre allo sviluppo di conoscenze pedagogiche, delle capacità e competenze richieste per guidare e supportare i processi di apprendimento e infine non dovrebbero prescindere dalla necessaria comprensione delle dimensioni culturali e sociali dell’educazione. in secondo luogo, a parere della Commissione, lo sviluppo professionale dell’insegnante dovrebbe caratterizzarsi come una costante nel corso della carriera lavorativa e in tal senso andrebbe incoraggiato a tutti i livelli. Così come alle nuove generazioni si richiede di intendere la propria progressione nelle conoscenze e competenze in una prospettiva aperta in termini temporali, così anche coloro che sono chiamati a formarne le risorse intellettuali per vivere attivamente nella società della conoscenza dovrebbero sentirsi per primi coinvolti in un processo di apprendimento permanente. inoltre la professione dell’insegnante dovrebbe essere caratterizzata da una forte propensione alla mobilità tra Stati membri, come componente della Formazione iniziale e continua. in tal senso i docenti dovrebbero vedersi riconosciuto lo status di cui godono nel Paese d’origine anche nei paesi ospitanti e al tempo stesso dovrebbero potersi vedere validate le competenze acquisite all’estero. infine, secondo il parere della Commissione, gli organismi che si occupano della Formazione iniziale degli insegnanti è opportuno collaborino attivamente con le istituzioni scolastiche, con le imprese e con quanti forniscono percorsi formativi in ambiente di lavoro (non formal e informal learning). Solo così sarà possibile che i docenti siano incoraggiati a valutare e affinare periodicamente la propria pratica professionale, mantenendosi aggiornati sugli sviluppi in campo tecnologico e sugli scenari di innovazione e ricerca applicata al mondo del lavoro e delle professioni e vedendosi validare le competenze acquisite. Dato lo scenario appena tratteggiato, le competenze chiave dell’insegnante dovrebbero essere ampliate, includendovi innanzitutto la capacità di lavorare con la conoscenza, la tecnologia e l’informazione. Dato il ritmo sempre più elevato con 13 Commission of the European Communities, Directorate-General for Education and Culture (2005a), cit. 117 cui le conoscenze divengono obsolete, l’insegnante deve essere in grado di acquisire, analizzare, validare e trasmettere tipi diversi di conoscenza e di riflettere su di essi. Le sue skill dovranno quindi comprendere la costruzione di ambienti di apprendimento anche non tradizionali, oltre all’uso efficace delle tecnologie di informazione e comunicazione nei processi di insegnamento e apprendimento. Un secondo filone di competenze chiave risulta collegato alla dimensione sociale dell’insegnamento. L’importanza attribuita ai processi di inclusione sociale cui l’attività didattica risulta finalizzata, insieme alla progressiva enfasi posta sulle caratteristiche individuali degli allievi, comportano lo sviluppo di competenze legate alla propensione alla collaborazione con altri e ad una didattica personalizzata e orientata alla promozione di forme di apprendimento di tipo cooperativo. Un ultimo cluster di competenze chiave riguarda la dimensione sovranazionale ed europea. Gli insegnanti dovrebbero essere in grado di promuovere la mobilità e la cooperazione a livello comunitario, incoraggiando il rispetto e la comprensione interculturale. tale aspetto richiede come precondizione la conoscenza e l’uso efficace delle lingue straniere da parte dei docenti della scuola, oltre che la trasparenza delle qualificazioni degli insegnanti per permetterne il mutuo riconoscimento e promuovere la mobilità in campo scolastico e formativo. Lo spirito ed i contenuti specifici alla base dei Principi comuni europei sulle qualificazioni e le competenze dell’insegnante sono reperibili, in forma maggiormente analitica, anche nella Comunicazione della Commissione del 2007 dal titolo Potenziare la qualità della Formazione degli insegnanti.14 Nel testo, che raccorda la precedente riflessione sui principi comuni ad un’analisi sulle caratteristiche del profilo dell’insegnante a livello europeo e sulla crescente domanda di personale cui non corrisponde un’equivalente crescita dell’offerta, si insiste sulla necessità di una riqualificazione complessiva della figura del teacher, sia in termini di riorganizzazione della sua Formazione iniziale, che di predisposizione di adeguati sistemi di Formazione continua intesa in una prospettiva di lifelong learning. 14 Commission of the European Communities (2007), Communication from the Commission to the Council and the European Parliament, Improving the Quality of Teacher Education, CoM(2007) 392 final. (http://ec.europa.eu/education/com392_en.pdf) 119 2. La valutazione della performance di insegnanti e formatori nello scenario OCSE il tema riguardante le pratiche di valutazione e di assessment entro i sistemi educativi costituisce un punto di approdo relativamente recente nella riflessione condotta dai principali organismi internazionali che operano nel campo della ricerca nella sfera dell’education.15 Limitandoci ai lavori condotti dall’oCSE indirizzati alla valutazione della scuola di grado primario e secondario nel corso dell’ultimo decennio, è possibile individuare un percorso di graduale ampliamento del campo di analisi e della formulazione di indicazioni di policy che, partendo dalla messa a punto di strumenti per l’assessment dei risultati di apprendimento degli studenti, giunge, per tappe distinte e progressive, sino alla presa in considerazione dei sistemi di istruzione e di Formazione Professionale nel loro insieme. questi ultimi sono divenuti oggetto di indagini sistematiche mediante l’analisi puntuale dei diversi scenari nazionali (o sub-nazionali), che ad oggi presenta un quadro fortemente eterogeneo, oltre che essere posti al centro di proposte di policy mediante la formulazione di possibili linee di sviluppo in vista della definizione, implementazione ed utilizzo di efficaci e coerenti sistemi di valutazione ed assessment a livello sistemico. Se ci atteniamo ad una definizione classica di sistema, inteso nei termini di un insieme di elementi componenti tra loro in rapporto di interrelazione che dà luogo ad un’unità integrata, la cui modifica di una singola parte retroagisce sul tutto riorganizzandone la conformazione complessiva, è possibile proporre una periodizzazione di massima, sulla cui base scandire le principali fasi che hanno fin qui caratterizzato l’azione, insieme analitica e propositiva, compiuta dall’oCSE. Una prima fase, situabile tra gli anni Novanta ed i primi anni Duemila, segnata in particolare dall’avvio dell’indagine PiSA (Programme for International Student Assessment), ha per fulcro la predisposizione di dispositivi per la misurazione dei risultati (outcomes) dei sistemi educativi, mediante l’assessment ciclico di set distinti di competenze (o sarebbe meglio dire di loro componenti). Nel caso dell’indagine PiSA ad essere sottoposto ad esame comparato è il grado di letteratismo su cui si posizionano gli studenti quindicenni in tre campi distinti, corrispondenti alle conoscenze e skill in lettura, matematica e scienze. L’indagine è preceduta da una 15 i termini evaluation ed assessment vengono comunemente impiegati come sinonimi, tuttavia nel lavoro qui presentato si utilizza la distinzione introdotta da Harlen, secondo la quale assessment è usato in relazione al processo di decisione, raccolta e formulazione di giudizi su evidenze collegate al raggiungimento di particolari obiettivi di apprendimento da parte degli studenti, mentre con evaluation si intende il medesimo processo applicato a sistemi, programmi, procedure e processi. Si veda Harlen, W. (2007), “Criteria for Evaluating Systems for Student Assessment”, Studies in Educational Evaluation, Vol. 33, No. 1, pp. 15-28. 120 serie di ricerche comparate compiute dall’oCSE nel corso degli anni Novanta sulla popolazione adulta, tra cui si segnalano iALS (International Adult Literacy Survey) e ALL (Adult Literacy and Life Skills Surveys). il programma di assessment fa seguito inoltre all’attività di ricerca compiuta dalla iEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), che sin dagli inizi degli anni Settanta realizza indagini sulla performance degli alunni della scuola primaria in ambiti disciplinari quali la lettura, la matematica e le scienze e che successivamente, con il programma tiMMS (Trends in International Mathematics and Science Study) avviato nel 1995 e PirLS (Progress in International Reading Literacy Study) a partire dal 2001, imprime alle proprie indagini una progressione ciclica ed una più accentuata enfasi sulle competenze piuttosto che sui contenuti curricolari. L’elemento che accomuna le diverse indagini internazionali è costituito dal ricorso a test standardizzati ed output-based, che rispondono allo scopo di accertare il possesso di conoscenze ed abilità (knowledge, skills) non in termini di padronanza di porzioni del curricolo scolastico, ma di una loro capacità di selezione, mobilitazione ed utilizzo efficace in vista di una piena partecipazione alla vita sociale e dell’ingresso nella vita adulta da parte degli studenti giunti in prossimità del completamento dell’obbligo scolastico.16 A questa prima fase, che non si esaurisce nel periodo considerato ma i cui effetti si sono andati progressivamente ampliando in termini di paesi coinvolti nei programmi triennali di assessment, oltre che di progressivo affinamento degli strumenti di indagine, a partire dal 2005 ne segue una seconda che presenta le caratteristiche di un passaggio di livello. in quegli anni si assiste alla pubblicazione di una serie di attività di ricerca di carattere settoriale, che pongono a fuoco di volta in volta componenti distinte del sistema educativo, accompagnando l’opera di indagine comparata a livello internazionale con l’offerta di elementi diretti al miglioramento delle policy praticate presso i diversi contesti nazionali o sub-nazionali, sia sul piano della riflessione teorico-metodologica che sotto il profilo della governance dei processi di evoluzione a livello settoriale. È questo il caso, in primo luogo, dei programmi di ricerca sugli aspetti della valutazione applicata alla misurazione della performance degli insegnanti. Nel 2005 vede la pubblicazione il lavoro di ricerca dal titolo Teachers Matter. Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers.17 il filone di indagine verrà ripreso in seguito. Un primo lavoro, Teacher Evaluation: A Conceptual Framework and Examples of Country Practices, intende fornire un quadro di riferimento teorico per la lettura delle pratiche di assessment della performance degli insegnanti, distinguendo i diversi aspetti coinvolti e le loro connessioni reciproche.18 La finalità è di assicurare che la valutazione 16 Si veda al riguardo oECD (2002), PiSA 2000 technical report, oECD Publishing, Paris. 17 oECD (2005), Teachers Matter. Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers, oECD Publishing, Paris. 18 Santiago P., Benavides F. (2009), Teacher Evaluation: A Conceptual Framework and Examples of Country Practices, oECD Publishing, Paris. 121 dei docenti possa essere maggiormente finalizzata all’innalzamento del livello dei risultati di apprendimento ottenuti dagli studenti. L’applicazione del quadro di riferimento metodologico messo a punto dall’oCSE è stata effettuata al momento per compiere una review del caso portoghese.19 Un successivo rapporto di ricerca pubblicato nel medesimo anno, Evaluating and Rewarding the Quality of Teachers. International Practices, mira a raccogliere ed inventariare una serie di buone pratiche osservabili a livello di paesi oCSE sul piano nazionale, regionale e delle singole istituzioni scolastiche e formative, mentre il terzo, Teacher Evaluation: Current Practices in OECD Countries and a Literature Review, approfondisce cinque scenari internazionali, costituiti da Finlandia, inghilterra, ohio, Cile e Francia.20 A partire dalla fine del 2009 l’oCSE lancia un nuovo programma, che nell’economia della periodizzazione qui proposta potrebbe essere fatto rientrare in una terza fase di approccio al tema della valutazione, che interessa il mondo della scuola primaria e secondaria. il programma, denominato Review on Evaluation and Assessment Frameworks for Improving School Outcomes, si colloca sul piano della valutazione dei sistemi educativi intesi come unità integrate al cui interno figurano elementi interrelati, riconducibili a piani distinti, quali l’accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti (student assessment), la valutazione della performance degli insegnanti (teacher appraisal), la valutazione delle istituzioni scolastiche (school evaluation) ed infine la valutazione complessiva del sistema educativo (system evaluation). La figura (Fig. 1), che riporta il Framework concettuale per l’analisi dei sistemi di valutazione e di assessment nella scuola sviluppato dall’oCSE, mostra la fitta rete di interrelazioni che percorrono i sistemi educativi, di cui solo in tempi relati - vamente recenti si è passati da una visione prevalentemente monodimensionale o settoriale ad un approccio di tipo più “olistico”. Va richiamata inoltre la comparazione contenuta nel volume Responsabilità ed autonomia degli insegnanti in Europa, (EUrYDiCE, 2008) che presenta un quadro piuttosto aggiornato della situazione ed evidenzia come nella maggior parte dei Paesi europei i meccanismi di valutazione e di incentivi siano sempre più strettamente collegati. i sistemi, come tali, non sono riassumibili nella somma degli effetti prodotti dalle loro singole componenti e per tale ragione necessitano di un modello unitario e sistemico (framework for evaluation and assessment). il framework funge da quadro di riferimento per i processi di progettazione dell’impianto valutativo generale, oltre che per l’implementazione coerente e quanto più possibile integrata dei suoi elementi portanti e per l’utilizzo efficace dei risultati, ivi compresa la loro 19 Santiago P., roseveare D., van Amelsvoort G., Manzi J., Matthews P. (2009), Teaching Evaluation in Portugal, oECD review, oECD Publishing, Paris. 20 oECD (2009), Evaluating and Rewarding the Quality of Teachers. International Practices, oECD Publishing, Paris; isoré M. (2009), Teacher Evaluation: Current Practices in OECD Countries and a Literature Review, oECD Education Working Paper N. 23, oECD Publishing, Paris. 122 comunicazione e discussione presso l’intera rete degli stakeholder. il programma si propone di fornire agli Stati membri sia un quadro di analisi sullo stato dell’arte rinvenibile entro i diversi contesti nazionali/sub-nazionali, sia adeguate indicazioni in vista della definizione di più efficaci policy di settore. L’attività valutativa nelle sue diverse forme tende pertanto ad essere sempre meno intesa come un fine in sé, quanto piuttosto alla stregua di uno strumento per conseguire un più alto livello di risultati da parte della popolazione studentesca, grazie ad un miglioramento della performance delle istituzioni scolastiche e formative. tale centratura sugli esiti di apprendimento, rispetto ai quali diversi attori, ambiti e livelli entrano in gioco in un rapporto integrato, rappresenta la prospettiva di fondo con cui sempre più si guarda ai sistemi educativi. Ne deriva come corollario un’accresciuta attenzione per le dimensioni di accountability verso l’esterno e di sviluppo e miglioramento dei sistemi al proprio interno (improvement). Fig. 1 - Framework concettuale per l’analisi dei sistemi di valutazione e di assessment nell’education Fonte: oECD, 2009 situazione ed evidenzia come nella maggior parte dei paesi europei i meccanismi di valutazione e di incentivi siano sempre più strettamente collegati.                 Fonte: OECD, 2009 I sistemi, come tali, non sono riassumibili nella somma degli effetti prodotti dalle loro singole componenti e per tale ragione necessitano di un modello unitario e sistemico (framework for evaluation and assessment). Il framework funge da quadro di riferimento per i processi di progettazione dell’impianto valutativo generale, oltre che per l’implementazione coerente e quanto più possibile integrata dei suoi elementi portanti ed per l’utilizzo efficace dei risultati, ivi compresa la loro comunicazione e discussione presso l’intera rete degli stakeholder. Il programma si propone di fornire agli stati membri sia un quadro di analisi sullo stato dell’arte rinvenibile entro i diversi contesti nazionali / sub-nazionali, sia adeguate indicazioni in vista della definizione di più efficaci policy di settore. L’attività valutativa nelle sue diverse forme tende pertanto ad essere sempre meno intesa come un fine in sé, quanto piuttosto alla stregua di uno strumento per conseguire un più alto livello di risultati da parte della popolazione studentesca, grazie ad un miglioramento della performance delle 123 in generale, i modelli di valutazione e di assessment impiegati nei diversi contesti nazionali (o sub-nazionali nel caso le competenze siano devolute a tale livello) rispondono quindi a due distinte finalità tra loro interconnesse. Da un lato l’attività valutativa consente ai sistemi di rendere conto dei risultati ottenuti e del livello di qualità prodotta, considerata sia nel complesso, che generata dai diversi attori coinvolti (in primis istituzioni scolastiche e insegnanti), dall’altro i medesimi attori sono spinti a far evolvere le politiche o le pratiche adottate sulla base dei risultati ottenuti dall’opera di valutazione. Sotto il profilo della riflessione teorica sul termine accountability, si evidenzia come sia in corso una ridefinizione del suo concetto, che va nella direzione di un’espansione della sua estensione semantica. tradizionalmente il concetto è stato utilizzato nel campo della sociologia politica ma più recentemente Mulgan ha sottolineato che quello di accountability “va inteso come un termine generale per ogni meccanismo che rende le istituzioni responsabili nei confronti dei loro pubblici particolari”.21 in questo senso accountability si lega a concetti quali responsabilità, capacità di risposta [responsiveness], controllo, trasparenza, etc. Bovens chiarisce tale aspetto e definisce il termine in un significato esteso: “una relazione tra un attore [actor] ed un forum [forum], nella quale l’attore ha un obbligo di spiegare e di giustificare la propria condotta, il forum può porre quesiti e formulare giudizi e l’attore deve affrontarne le conseguenze”.22 il merito di tale definizione si basa sulla relazione sociale che intercorre tra attori e forum e sul processo di formulazione delle ragioni a giustificazione della propria linea di azione. il significato si presta in modo particolare a spiegare i processi di legittimazione delle policy che si sviluppano tra istituzioni e sfera della società civile. qualora si pongano a confronto le prospettive di accountability e di improvement dei sistemi educativi con ciascuna componente del framework di valutazione ed assessment proposto dall’oCSE, articolato in student assessment, teacher appraisal, school evaluation e system evaluation, possono essere ricostruiti alcuni elementi qualificanti che danno conto del grado di complessità dello scenario complessivo (Fig. 2). Considerando la componente del sistema rappresentata dalla valutazione degli insegnanti, secondo una prospettiva di accountability possiamo distinguere tra due criteri che generalmente ne sono sottesi. Da un lato l’efficacia educativa, che si esplica nell’assicurare che la pratica di insegnamento soddisfi gli standard curricolari che consentono agli studenti di operare attivamente nella società della conoscenza, dall’equità educativa, che consiste nel garantire che le opportunità di successo formativo siano accessibili a tutti gli studenti senza riguardo al loro back- 21 Mulgan r. (2000),“Accountability: An Ever-Expanding Concept?” Public Administration 78 (3), pp. 555-573 (nostra traduzione). 22 Bovens M. (2007), “New Forms of Accountability and EU-Governance”, Comparative European Studies 5/2007, pp.104-120 (nostra traduzione). 124 ground in ingresso. La valutazione degli insegnanti risponde altresì ad una serie di finalità ulteriori, quali l’accertamento del grado di attitudine, delle conoscenze e capacità per promuoverne il riconoscimento del livello di competenza e di performance, anche ai fini di un avanzamento di carriera o di status. in tal modo il riconoscimento sociale delle capacità di insegnamento e dell’impegno espresso nell’attività professionale si coniuga con la finalizzazione della qualità della performance dagli insegnanti al successo formativo degli studenti. in termini di approccio formativo la valutazione del corpo docente risponde alla necessità di identificare punti di forza e di debolezza sia sotto il profilo delle conoscenze disciplinari che della padronanza di ulteriori competenze di carattere metodologico e comunicativo, raccordando il processo di definizione dei programmi di sviluppo professionale svolti ai vari livelli del sistema scolastico con i bisogni effettivi degli insegnanti ed i loro obiettivi di apprendimento. Fig. 2 - Prospettive di accountability e di improvement in rapporto alla valutazione della valutazione degli insegnanti e formatori 125 3. Rassegna di alcuni scenari nazionali significativi in ambito europeo Negli anni recenti la tematica connessa allo sviluppo di framework concettuali sulla cui base costruire i profili degli operatori dei sistemi educativi nazionali entro lo scenario europeo è andata acquisendo progressivamente sempre maggiore rilievo. Nella dimensione europea i sistemi di valutazione di insegnanti e formatori hanno acquisito progressivamente un ruolo centrale, anche per ragioni legate alla trasparenza e all’assicurazione della qualità per le esperienze di apprendimento attuate mediante scambi transnazionali. A partire dal Consiglio di Lisbona e dal - l’adozione nel 2002 del programma Education and Training 2010, la cui finalità generale consiste nello sviluppo di uno spazio europeo dell’apprendimento in cui i soggetti possano realizzare pratiche di mobilità formativa nel corso della vita potendo spendere le competenze comunque e ovunque acquisite, quello della reciproca trasparenza e leggibilità dei sistemi dell’istruzione e della Formazione è divenuto un elemento cardine delle policy comunitarie. Di seguito vengono passati in rassegna una serie di quadri nazionali particolarmente significativi in tema di valutazione dei docenti e dei formatori. 3.1. INGHILTERRA A. Sistemi di valutazione degli insegnanti il sistema di valutazione degli insegnanti applicato in inghilterra (Fig. 3) si basa sulla nozione centrale di performance management of teachers, ossia di gestione dei livelli di performance dei docenti scolastici. Con questo concetto si intende il processo di valutazione del grado di prestazione complessiva di un insegnante in rapporto alla sua job description e alle condizioni previste dall’ordinamento ministeriale che stabilisce le condizioni di servizio e di retribuzione dell’insegnante, lo School Teachers’ Pay and Conditions Document.23 inoltre il sistema di gestione della performance tiene conto dello sviluppo professionale individuale dei docenti scolastici, nel contesto del piano di miglioramento complessivo dell’istituto scolastico. A tale scopo, il processo si basa sul set di standard che definisce le attitudini, le conoscenze e le capacità professionali ad ogni stadio della carriera dell’insegnante. 23 Department for Children, Schools and Families (DCSF) (2009a), School Teachers’ Pay and Conditions Document, London: the Stationery office, 2009 (http: //publications.teachernet.gov.uk/ default.aspx?PageFunction=productdetails&PageMode=publications&Productid=DCSF-00800-2009). 126 Le attuali disposizioni che regolano l’intera materia, una versione con rilevanti integrazioni e modifiche rispetto al modello adottato in precedenza, sono entrate in vigore nel settembre del 2007 ed hanno trovato effettiva applicazione sulla struttura delle retribuzioni a partire dal settembre 2008.24 il testo di legge che ne rappresenta il fondamento giuridico è costituito dal regolamento sullo School Teacher Management, approvato nel 2006.25 Entrambi gli articolati, in forma diversa, discendono dalla legge quadro sull’educazione (Education Act) del 2002. Fig. 3 - Valutazione degli insegnanti. Inghilterra il procedimento sulla base del quale gli insegnanti sono sottoposti ad una valutazione della performance professionale si svolge con cadenza annuale. il processo di valutazione si articola in una serie di fasi consecutive, di cui lo stadio iniziale è rappresentato da un incontro programmatorio che viene tenuto all’inizio di ogni ciclo valutativo tra il valutatore (reviewer) e l’insegnante oggetto dell’attività valutativa (reviewee). Gli aspetti considerati nel corso della riunione in cui si procede all’impostazione della fase operativa riguardano in primo luogo gli obiettivi individuali del valutato in relazione alla sua job description e all’annualità di servizio. inoltre, vengono definite le modalità per l’osservazione della pratica didattica all’interno della classe, oltre ai criteri sulla base dei quali si procederà alla verifica della performance, al supporto che verrà fornito al valutato ai fini di venire incontro ai criteri di giudizio, ed ai fabbisogni formativi e di sviluppo professionale necessari al raggiungimento degli standard e le azioni che devono essere intraprese 24 Department for Education and Skills (DfES) (2006), Performance Management for Teachers and Head Teachers, London: DFES, http: //www.teachernet.gov.uk/_doc/10405/PM%20Guidance %20print% 20final%20 Nov%2006.pdf 25 The Education School Teacher Performance Management (2006) Regulations, Si 2006/2661 (http: //www.opsi.gov.uk/Si/si2006/20062661.htm). 16 una serie di fasi consecutive, di cui lo stadio iniziale è rappresentato da un incontro programmatorio che viene tenuto all’inizio di ogni ciclo valutativo tra il valutatore (reviewer) e l’insegnante oggetto dell’attività valutativa (reviewee). Gli aspetti considerati nel corso della riunione in cui si procede all’impostazione della fase operativa riguardano in primo luogo gli obiettivi individuali del valutato in relazione alla sua job description e all’annualità di servizio. Inoltre vengono definite le modalità per l’osservazione della pratica didattica all’interno della classe, oltre ai criteri sulla base dei quali si procederà alla verifica della performance, al supporto che verrà fornito al valutato ai fini di venire incontro ai criteri di giudizio, ed ai fabbisogni formativi e di sviluppo professionale necessari al raggiungimento degli standard e le azioni che devono essere intraprese per farvi fronte. A conclusione di ciascun ciclo si tiene una riunione di revisione (review meeting) allo scopo di vagliare il grado di performance dimostrato dall’insegnante nel corso dell’intero periodo di osservazione, in rapporto ai criteri fissati e, laddove il valutato possieda i requisiti per un avanzamento retributivo, di formalizzarne la richiesta. L’osservazione in classe ha una durata massima di tre ore nel corso dell’anno. L’osservazione è compiuta di norma dal reviewer. La valutazione verte generalmente su una serie di obiettivi definiti in rapporto agli standard professionali di performance, ma il valutatore può allargare la propria osservazione sino a prendere in considerazione il grado di performance nel suo complesso. !"      !   Nel contesto inglese, la politica per la valutazione della performance degli insegnanti è posta in capo al dirigente scolastico, coadiuvato dal proprio staff, che ne risponde al consiglio direttivo. Ciascun istituto scolastico è tenuto a sviluppare una propria politica ed una serie di procedure operative in tal senso, incentrate sui seguenti aspetti principali:  definizione dei risultati che si intende raggiungere e dei metodi e delle modalità con cui verranno misurati;  definizione del processo di gestione della performance degli insegnanti all’interno di un più generale sistema di miglioramento della qualità espressa dalla scuole, con l’indicazione dei raccordi tra la valutazione dei docenti e le ulteriori misure di sviluppo della scuola, l’autovalutazione di istituto e la programmazione del miglioramento continuo dei processi e dei risultati dell’insegnamento e degli apprendimenti;  definizione delle misure e delle modalità con cui si intende perseguire l’affidabilità e l’equità delle pratiche di valutazione delle performance individuali che riguardino insegnanti in possesso di simili livelli di esperienza o di responsabilità; 127 per farvi fronte. A conclusione di ciascun ciclo si tiene una riunione di revisione (review meeting) allo scopo di vagliare il grado di performance dimostrato dall’insegnante nel corso dell’intero periodo di osservazione, in rapporto ai criteri fissati e, laddove il valutato possieda i requisiti per un avanzamento retributivo, di formalizzarne la richiesta. L’osservazione in classe ha una durata massima di tre ore nel corso dell’anno. L’osservazione è compiuta di norma dal reviewer. La valutazione verte generalmente su una serie di obiettivi definiti in rapporto agli standard professionali di performance, ma il valutatore può allargare la propria osservazione sino a prendere in considerazione il grado di performance nel suo complesso. Nel contesto inglese, la politica per la valutazione della performance degli insegnanti è posta in capo al dirigente scolastico, coadiuvato dal proprio staff, che ne risponde al consiglio direttivo. Ciascun istituto scolastico è tenuto a sviluppare una propria politica ed una serie di procedure operative in tal senso, incentrate sui seguenti aspetti principali: – definizione dei risultati che si intende raggiungere e dei metodi e delle modalità con cui verranno misurati; – definizione del processo di gestione della performance degli insegnanti all’interno di un più generale sistema di miglioramento della qualità espressa dalla scuola, con l’indicazione dei raccordi tra la valutazione dei docenti e le ulteriori misure di sviluppo della scuola, l’autovalutazione di istituto e la programmazione del miglioramento continuo dei processi e dei risultati dell’insegnamento e degli apprendimenti; – definizione delle misure e delle modalità con cui si intende perseguire l’affidabilità e l’equità delle pratiche di valutazione delle performance individuali che riguardino insegnanti in possesso di simili livelli di esperienza o di responsabilità; – definizione dei tempi del processo; – definizione di un protocollo per l’osservazione delle attività di docenza all’interno delle classi; – garanzia di un livello adeguato di Formazione rivolta alle figure impegnate nei processi di valutazione; – definizione delle procedure per il monitoraggio e la valutazione periodica del sistema di valutazione degli insegnanti messo a punto presso la scuola; – definizione di procedure supplementari per l’esecutività del sistema di valutazione degli insegnanti. B. Periodo di primo inserimento La riforma del sistema scolastico inglese varata nel 1998 introduce l’obbligatorietà di un periodo di inserimento in prova denominato induction, da parte di tutti gli insegnanti di nuova qualifica (newly qualified teachers).26 La fase di inseri- 26 Teaching and Higher Education Act (1998). 128 mento, della durata di un anno, prevede che i nuovi insegnanti vengano sottoposti ad un periodo di osservazione, e che possano godere di specifiche misure quali l’offerta di un accompagnamento prolungato e di sostegno nello stadio di primo accesso alla professione. L’implementazione del periodo di prova nell’attività professionale prende avvio nel maggio del 1999, quando a tutti gli insegnanti in Formazione da poco entrati in possesso del qtS viene richiesto di portare a termine un periodo di tre trimestri (terms), equivalenti ad un’annualità. L’assolvimento del periodo di induction risponde allo scopo di condurre gli allievi ad un livello di professionalità misurata su precisi standard nazionali di riferimento. Più recentemente nuovi standard, riformulati dalla tDA e che vanno sotto il termine di core standards, rappresentando la parte basilare degli attuali standard professionali dell’insegnante introdotti nel 2007, fungono da referenziali per il completamento del periodo di inserimento dei docenti nella scuola.27 Alla stessa stregua degli standard di riferimento per il qtS i core standards, che ne rappresentano la parte rispetto al tutto, seguono un’articolazione in attitudini professionali, conoscenze e sapere professionale, oltre che capacità professionali. La loro funzione, come nel caso degli standard qtS, è quella di fornire un referenziale in termini di competenze per misurare l’effettiva padronanza delle attività professionali.28 il periodo di prova combina un programma individualizzato di accompagnamento, che fornisce opportunità di approfondimento delle conoscenze, capacità e livelli di raggiungimento in relazione agli standard per l’ottenimento del qtS, con una valutazione sistematica del grado di performance via via ottenuto dai neodocenti. Le diverse e tra loro integrate attività di supporto tengono conto dei punti di forza e delle aree di sviluppo, così come definiti nel profilo di ingresso nella carriera e di successivo sviluppo (Career Entry and Development Profile: CEDP), cui si è accennato in precedenza, che accompagna ciascun nuovo insegnante dal termine della Formazione iniziale sino al primo impiego, tenendo traccia del patrimonio di competenze acquisite e del loro livello di raggiungimento. il CEDP è costituito da una risorsa di tipo on-line rivolta agli allievi ed ai docenti in prova e fornisce un framework rispetto al quale individuare le acquisizioni, gli obiettivi e le dinamiche dei bisogni di sviluppo professionale. 27 training and Development Agency for Schools (tDA) (2007a), Professional Standards for Teachers: Core, London: tDA, (http: //www.tda.gov.uk/upload/resources/pdf/s/standards_core.pdf). 28 Per la consultazione del materiale di orientamento predisposto ad uso degli insegnanti neoqualificati si veda: Department for Children Schools and Families (DCSF) (2008a), Statutory Guidance on Induction for Newly Qualified Teachers in England, London: DCSF, (http: //www.teachernet.gov. uk/_doc/12703/080623%20induction%20Statutory%20Guidance.pdf); training and Development Agency for Schools (tDA) (2007c), Supporting the Induction Process: TDA Guidance for Newly Qualified Teachers, London: tDA, (http: //www.tda.gov.uk/upload/resources/pdf/c/core_standards _guidance.pdf). 129 Nel corso del periodo di induction un ruolo cruciale è svolto dai dirigenti scolastici, i quali sono tenuti ad assicurare che l’orario di insegnamento dei newly qualified teachers non ecceda il 90% di quello degli altri docenti della scuola. i docenti in prova che non superino positivamente il periodo obbligatorio di primo inserimento non sono dichiarati idonei ad essere impiegati come insegnanti nelle scuole pubbliche. i nuovi insegnanti sono assistiti da un tutor che ha la responsabilità di monitorare, accompagnare e valutare l’operato di un docente da poco nominato. in linea di principio tale figura deve essere un membro del personale docente che possieda il tempo, le competenze, la preparazione e l’autorevolezza per esercitare il proprio ruolo efficacemente, incluso il fatto di tenere un comportamento rigoroso e di formulare giudizi chiari e imparziali sui progressi verso l’assolvimento dei core standards. in termini di analisi dell’operato del nuovo insegnante e di valutazione formale del suo operato, il General Teaching Council for England ha fissato una serie di risultati attesi dai vari attori: – tutor: realizzare almeno sei analisi dei progressi e coordinare tre incontri di valutazione formale; – newly qualified teacher: tenere traccia delle attività svolte e partecipare agli incontri programmati per l’analisi dei progressi e la valutazione formale; – dirigente scolastico: assicurare che le relazioni di valutazione siano completate e siano trasmesse all’organismo che ne ha la competenza, inclusa la dichiarazione su quanto gli standard previsti siano stati effettivamente raggiunti al termine del periodo; – organismo competente: al termine del periodo di induction, decidere se il docente che ha sostenuto il periodo di prova soddisfa i core standard e fornire al GtCE la documentazione relativa; – GTCE: rappresenta l’organismo cui il newly qualified teacher può fare appello in caso di mancato superamento del periodo di inserimento. Gli incontri per l’analisi dei progressi rappresentano un’opportunità per il tutor e il docente in prova per discutere sui risultati ottenuti e per definire eventuali modifiche al piano di inserimento sotto il profilo degli obiettivi e delle azioni da realizzare. Dovrebbero tenersi a metà del percorso annuale. La preparazione degli incontri va curata nel dettaglio dal tutor, che ha raccolto e tenuto traccia dei feedback forniti dal mentor e dagli altri colleghi che hanno esercitato un ruolo di supporto o di osservazione. Gli esiti della valutazione conclusiva offrono l’opportunità di valutare l’intera esperienza professionale e, in caso di valutazione positiva, di preparare il docente in prova ad essere coinvolto nelle successive attività di Formazione in servizio. C. Forme e livelli di autonomia locale termini e condizioni di servizio della professione insegnante all’interno del settore della further education in inghilterra sono definiti sovente a livello locale, 130 oltre che istituzionale. Ciascun college rappresenta un’organizzazione indipendente, dotata di un consiglio direttivo (board of governors) ed inquadrata, sotto il profilo legale, alla stregua di un datore di lavoro nei confronti delle proprie maestranze. Per tale motivo, le forme di salario, così come le condizioni di impiego, possono variare sensibilmente in rapporto alla singola scuola, benché siano in vigore una serie di linee guida frutto di un accordo nazionale. Nel 2000 viene costituito un nuovo organismo quale sede di negoziazione il Further Education National Joint Forum (NJF) che raggruppa i datori di lavoro ed i rappresentanti delle organizzazioni sindacali riconosciute. Una serie di accordi separati in merito alle condizioni di servizio caratterizzano anche gli insegnanti che operano presso i sixth form colleges. questi ultimi sono caratterizzati da un’offerta educativa che va dall’istruzione secondaria ai corsi della Formazione Professionale (vocational courses), rivolti a studenti di età compresa tra i 16 ed i 19 anni. in precedenza erano retti sulla base delle School Regulations, ossia della legislazione in vigore per il sistema dell’istruzione pubblica inglese, ma dal 1992 sono entrati a far parte del settore della further education, sulla base del Further and Higher Education Act. Successivamente, nel novembre del 2009 in forza di un nuovo ordinamento (Skills, Children and Learning Act) si è introdotta una nuova fattispecie legale per i sixth form colleges. Nonostante mantengano diverse caratteristiche in comune con i college che offrono corsi di further education, mantengono tuttavia un’identità distinta sotto il profilo giuridico. il National Joint Council for Sixth Form Colleges (NJC) è stato costituito nell’aprile del 1993 quale sede al cui interno vengono negoziate le condizioni di servizio e di salario valide per il settore ed al contempo per curare l’adozione degli accordi, una volta sottoscritti a livello centrale, presso i singoli college. 3.2. FRANCIA Gli ispettori rappresentano gli attori principali della valutazione degli insegnanti. Nella scuola di primo grado il rapporto proporzionale attuale è di circa un ispettore per 350 insegnanti. Gli insegnanti sono soggetti alla visita ispettiva al - l’incirca a cadenza quadriennale. La frequenza delle ispezioni varia in rapporto alle circoscrizioni ed al tempo a disposizione. Sovente sono gli stessi insegnanti a richiedere la visita ispettiva allo scopo di una progressione di carriera. L’ispettore ministeriale della circoscrizione in cui l’insegnante esercita rappresenta il loro superiore secondo la linea gerarchica. il punteggio attribuito al termine dell’attività ispettiva è basato su una serie di criteri sia di carattere didattico che amministrativo. La valutazione tiene conto dell’osservazione di una sequenza di attività didattiche e del successivo colloquio individuale intrattenuto con l’insegnante. Nella scuola di secondo grado il rapporto tra numero medio di ispettori per il totale di insegnanti si attesta all’incirca sulla quota di 400. Sia presso i colléges che presso i licei, gli insegnanti sono interessati da un’attività ispettiva mediamente ogni sei o sette anni, benché la frequenza degli interventi negli ultimi anni sia andata migliorando. La valutazione operata dai funzionari si svolge presso il luogo di esercizio professionale del docente e prende la forma di un’osservazione di una sequenza didattica, seguita da una conversazione strutturata e individuale con l’insegnante. L’esito dell’attività di valutazione dell’insegnante (Fig. 4) si articola su due distinti ordini di punteggio. il primo ambito, di competenza dell’ispettore, si concentra sugli aspetti di ordine pedagogico e dà luogo ad un massimo di sessanta punti. il secondo tipo di punteggio esamina gli aspetti di carattere amministrativo e conferisce un massimo di quaranta punti. quest’ultimo viene ricavato dall’analisi compiuta annualmente dal capo d’istituto sulla base dei criteri di frequenza, puntualità, autorità e influenza. Sotto il profilo formale, il punteggio amministrativo è fissato dal provveditore, su proposta del capo d’istituto, mentre quello didattico è fissato dagli ispettori, di livello nazionale o regionale a seconda della categoria cui appartengono gli insegnanti valutati. Fig. 4 - Valutazione degli insegnanti. Francia Da un lato la valutazione sul piano didattico espressa dall’ispettore è sottoposta successivamente, a cadenza annuale, ad un collegio di funzionari appartenenti al corpo superiore del personale ispettivo, che ne assicurano l’armonizzazione con la media dei giudizi raccolti a livello nazionale. tale allineamento aiuta a bilanciare il possibile utilizzo di scale di valutazione eterogenee tra valutatori diversi e di curare l’aggiornamento dei punteggi compiuti negli anni pregressi. Dall’altro lato, la dimensione dell’attività valutativa che si concentra sugli aspetti prettamente amministrativi può variare a seconda delle differenti prassi uti- 131 #"        Da un lato la valutazione sul piano didattico espressa dall’ispettore è sottoposta successivamente, a cadenza annuale, ad un collegio di funzionari appartenenti al corpo superiore del personale ispettivo, che ne assicurano l’armonizzazione con la media dei giudizi raccolti a livello nazionale. Tale allineamento aiuta a bilanciare il possibile utilizzo di scale di valutazione eterogenee tra valutatori diversi e di curare l’aggiornamento dei punteggi compiuti negli anni pregressi. Dall’altro lato, la dimensione dell’attività valutativa che si concentra sugli aspetti prettamente amministrativi può variare a seconda delle differenti prassi utilizzate in ambito locale. Di conseguenza, una perequazione del punteggio di carattere amministrativo è necessaria per compensare il divario di punteggi tra gli insegnanti che presentino la medesima situazione individuale, in termini di livello e posizione amministrativa, tra diversi contesti territoriali. La sommatoria dei due punteggi finali, su un massimo di cento punti, determina la valutazione complessiva che misura il valore professionale di ciascun insegnante e consente di stabilire una serie di diritti in termini di avanzamento di carriera. Infatti, le diverse fasi di progressione di carriera degli insegnanti, che si traducono in promozione di livello, di grado, o di categoria, sono tutte basate sul punteggio ottenuto al termine della visita ispettiva, in misura relativamente diversa in rapporto alle diverse categorie di insegnanti. Va osservato in proposito che il personale appartenente alle categorie degli insegnanti della scuola di secondo grado, impegnati in attività di docenza nella Formazione superiore, prevalentemente insegnanti agregés, non possono essere soggetti ad ispezione. La loro valutazione, effettuata su un piano esclusivamente amministrativo su una scala in centesimi, è condotta annualmente dal capo di istituto di Istruzione superiore in cui esercitano le loro funzioni. 132 lizzate in ambito locale. Di conseguenza, una perequazione del punteggio di carattere amministrativo è necessaria per compensare il divario di punteggi tra gli insegnanti che presentino la medesima situazione individuale, in termini di livello e posizione amministrativa, tra diversi contesti territoriali. La sommatoria dei due punteggi finali, su un massimo di cento punti, determina la valutazione complessiva che misura il valore professionale di ciascun insegnante e consente di stabilire una serie di diritti in termini di avanzamento di carriera. infatti, le diverse fasi di progressione di carriera degli insegnanti, che si traducono in promozione di livello, di grado, o di categoria, sono tutte basate sul punteggio ottenuto al termine della visita ispettiva, in misura relativamente diversa in rapporto alle diverse categorie di insegnanti. Va osservato in proposito che il personale appartenente alle categorie degli insegnanti della scuola di secondo grado, impegnati in attività di docenza nella Formazione superiore, prevalentemente insegnanti agregés, non possono essere soggetti ad ispezione. La loro valutazione, effettuata su un piano esclusivamente amministrativo su una scala in centesimi, è condotta annualmente dal capo di istituto di istruzione superiore in cui esercitano le loro funzioni. 3.3. SPAGNA Nel contesto spagnolo le autorità educative delle singole Comunità Autonome regionali sono responsabili della creazione di piani per la valutazione dell’insegnamento nel settore pubblico (Fig. 5). tali piani definiscono gli obiettivi ed i criteri di valutazione, così come le modalità con cui gli insegnanti, la comunità scolastica e le autorità educative stesse partecipano al processo di valutazione. Le autorità educative, assimilabili sotto questo profilo a corpi ispettivi, promuovono pertanto anche la valutazione degli insegnanti su base volontaria e sono responsabili per la definizione delle modalità della valutazione stessa. Gli organismi di ispezione dipendono pertanto dai governi regionali e si occupano di azioni di controllo effettuate nei confronti dei diversi istituti scolastici sotto il profilo pedagogico ed organizzativo. La responsabilità del controllo e della valutazione include sia le strutture scolastiche pubbliche che quelle private, siano esse finanziate o meno dallo Stato. tra le funzioni principali di ispezione figurano da un lato la valutazione delle procedure e dell’organizzazione, dall’altra dei risultati dell’azione didattica. Al tempo stesso si prevede che gli ispettori svolgano il duplice ruolo di valutatori e di consulenti nell’implementazione delle nuove norme introdotte nella sfera del - l’istruzione. in linea di principio le loro valutazioni dovrebbero sortire un effetto diretto sulla carriera professionale degli insegnanti. tuttavia, nella pratica non sempre un 133 rapporto negativo redatto da parte di un ispettore potrà avere effetti reali su un determinato insegnante che intenda permanere all’interno del proprio corpo e livello, sia in termini positivi, ossia in vista di incentivi salariali, sia in termini negativi, per mezzo di effetti sanzionatori sullo sviluppo della carriera professionale. Un effetto di maggior impatto si ha qualora un docente della scuola si presenti ad una selezione pubblica in vista del passaggio ad altro corpo o ad altro livello del sistema educativo. in questo caso il vaglio della documentazione sull’evoluzione pregressa della professione può avere una ripercussione di maggiore peso sull’avanzamento professionale e sulle possibilità di acquisire un punteggio elevato in fase di selezione. Fig. 5 - Valutazione degli insegnanti. Spagna in tutti i casi, l’attività ispettiva rappresenta una funzione della pubblica amministrazione nel campo dell’istruzione e come tale determina un effetto rilevante anche in relazione ad altri organismi ed attori che concorrono a garantire il livello della qualità prodotta dal sistema scolastico. Nel corso della ricerca internazionale promossa dall’oCSE nel 2002 e volta ad analizzare la capacità dei singoli sistemi nazionali dell’istruzione di assolvere efficacemente le funzioni di reclutamento, selezione, formazione e mantenimento in servizio degli insegnanti, i risultati cui sono pervenuti i ricercatori sul tema della valutazione dei docenti scolastici paiono descrivere uno scenario in cui sono presenti alcune criticità.29 i docenti ed i dirigenti di istituti intervistati in proposito, appartenenti sia alla scuola primaria che secondaria, esprimevano scetticismo sul reale effetto che le 29 oECD (2003a), Teachers Matter: Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers in Spain. Overview for the OECD, OECD, Paris. 21 Gli organismi di ispezione dipendono pertanto dai governi regionali e si occupano di azioni di controllo effettuate nei confronti dei diversi istituti scolastici sotto il profilo pedagogico ed organizzativo. La responsabilità del controllo e della valutazione include sia le strutture scolastiche pubbliche che quelle private, siano esse finanziate o meno dallo stato. Tra le funzioni principali di ispezione figurano da un lato la valutazione delle procedure e dell’organizzazione, dall’altra dei risultati dell’azione didattica. Al tempo stesso si prevede che gli ispettori svolgano il duplice ruolo di valutatori e di consulenti nell’implementazione delle nuove norme introdotte nella sfera dell’Istruzione. In linea di principio le loro valutazioni dovrebbero sortire un effetto diretto sulla carriera professionale degli insegnanti. Tuttavia nella pratica non sempre un rapporto negativo redatto da parte di un ispettore potrà avere effetti reali su un determinato insegnante che intenda permanere all’interno del proprio corpo e livello, sia in termini positivi, ossia in vista di incentivi salariali, sia in termini negativi, per mezzo di effetti sanzionatori sullo sviluppo della carriera professionale. Un effetto di maggior impatto si ha qualora un docente della scuola si presenti ad una selezione pubblica in vista del passaggio ad altro corpo o ad altro livello del sistema educativo. In questo caso il vaglio della documentazione sull’evoluzione pregressa della professione può avere una ripercussione di maggiore peso sull’avanzamento professionale e sulle possibilità di acquisire un punteggio elevato in fase di selezione.  !     "   In tutti i casi, l’attività ispettiva rappresenta una funzione della pubblica amministrazione nel campo dell’Istruzione e come tale determina un effetto rilevante anche in relazione ad altri organismi ed attori che concorrono a garantire il livello della qualità prodotta dal sistema scolastico. Nel corso della ricerca internazionale promossa dall’OCSE nel 2002 e volta ad analizzare la capacità dei singoli sistemi nazionali dell’Istruzione di assolvere efficacemente le funzioni di reclutamento, selezione, Formazione e mantenimento in servizio degli insegnanti, i risultati cui sono pervenuti i ricercatori sul tema della valutazione dei docenti scolastici paiono descrivere uno scenario in cui sono presenti alcune criticità.29 I docenti ed i dirigenti di istituti intervistati in proposito, appartenenti sia alla scuola primaria che secondaria, esprimevano scetticismo sul reale effetto che le attività ispettive producono sul miglioramento del sistema scolastico nel suo complesso. Essi ne ravvisavano il carattere ancora  "# $%& '"(()*+ # ! $ % &   ' (    )      # !   "  * !*+('*+(+ 134 attività ispettive producono sul miglioramento del sistema scolastico nel suo complesso. Essi ne ravvisavano il carattere ancora spiccatamente burocratico, ritenendo che gli ispettori dovrebbero appuntare maggiormente il loro interesse nel supportare le strutture scolastiche nelle situazioni complesse con cui devono confrontarsi, quali ad esempio le criticità con gli allievi, le difficoltà che intercorrono tra presidi e corpo docente, etc. i testimoni intervistati all’epoca chiedevano quindi dall’autorità ispettiva più azioni di supporto e meno appesantimenti burocratici. Nel corso degli anni recenti il quadro complessivo non sembra essere mutato radicalmente. Nella Ley Orgánica 2/2006 de Educación, all’articolo 106, si afferma che allo scopo di migliorare la qualità dell’insegnamento le autorità educative regionali sono tenute ad elaborare piani per la valutazione del personale docente, con la partecipazione dei diretti interessati mediante i loro rappresentanti. Nei piani sono compresi gli obiettivi ed i criteri di valutazione e le forme di partecipazione da parte del corpo docente, della comunità educativa e della funzione ispettiva nel processo valutativo. in merito alla situazione nel settore della valutazione della performance degli insegnanti va rimarcato che nel passato recente le autorità educative regionali hanno iniziato a promuovere forme di valutazione degli insegnanti su base volontaria. L’introduzione nelle selezioni pubbliche e nei concorsi per il passaggio ad altro corpo o livello della valutazione della carriera pregressa dei candidati anche sotto il profilo delle verifiche ispettive ha contribuito ad attribuire un peso maggiore alla funzione valutativa nella scuola. 3.4. SVIZZERA - CANTON TICINO il processo che, a partire dalla fine degli anni Novanta, ha introdotto nei diversi sistemi cantonali dell’istruzione e della Formazione Professionale un sempre maggiore livello di autonomia delle scuole, ha prodotto conseguentemente un utilizzo progressivo di modelli e pratiche di valutazione, ed insieme di dispositivi tesi a garantire il grado di accountability dei singoli istituti scolastici e del sistema educativo nel suo insieme. Attualmente la maggior parte delle amministrazioni cantonali si è dotata o si sta predisponendo di sistemi di assicurazione della qualità dell’offerta formativa erogata, anche allo scopo di fornire informazioni e dati utili all’elaborazione ed alla valutazione delle politiche scolastiche e formative. Negli anni recenti quindi, sia i diversi cantoni che la Confederazione intendono costituire un sistema di monitoraggio per tenere sotto controllo la performance dei sistemi educativi. L’autorità ispettiva della scuola operante a livello cantonale detiene generalmente la responsabilità istituzionale di controllo nella maggior parte della Confederazione. tale organismo monitora l’implementazione delle leggi cantonali e la qualità dell’insegnamento impartito dai singoli insegnanti, prevalentemente nella 135 scuola primaria e secondaria di primo grado, mentre in quelle di secondo grado l’assessment dei docenti rientra nelle procedure di gestione della qualità di istituto. Se un tempo alla funzione ispettiva veniva associata una connotazione di tipo burocratico, imperniata sul controllo a fini sanzionatori, oggi si è evoluta ed è andata includendo attività di consulenza e di promozione di progetti educativi ad ampio impatto cantonale. il suo ruolo si è spostato progressivamente sullo sviluppo del sistema scolastico. Gli ispettori di norma sono ex insegnanti di lunga esperienza, giunti a rivestire la funzione grazie ad una formazione specifica. Va segnalato che in tal senso si sono ottenuti risultati significativi in vista dello sviluppo di una cultura della valutazione della performance delle scuole e del sistema educativo nel suo complesso. Sempre a livello di Confederazione, gli insegnanti vengono valutati di norma dalle autorità locali o cantonali della scuola. in alcuni cantoni i docenti sono oggetto di valutazione all’interno dei processi valutativi che interessano l’intero istituto scolastico di appartenenza. i metodi impiegati in genere comprendono l’osservazione in classe e colloqui con il personale docente. Le pratiche differiscono notevolmente tra cantoni quanto a frequenza, metodi impiegati, grado di qualificazione degli ispettori e strumenti di valutazione. Nel settore della scuola secondaria di secondo grado, la responsabilità degli interventi formativi richiesti in esito alla valutazione del corpo docente è spesso assegnata ai dirigenti di istituto. Nello studio condotto nel 2003 dall’oCSE sulla figura dell’insegnante in relazione allo sviluppo dei sistemi educativi, cui si è accennato in precedenza, ci si sofferma sull’elevate eterogeneità delle pratiche valutative utilizzate, delle figure professionali che vi presiedono e sugli effetti alquanto limitati degli esiti della valutazione sull’evoluzione di carriera degli insegnanti (promozione di grado, premi di rendimento, etc.). Al tempo stesso dalla ricerca emerge come nel contesto svizzero le maggiori esperienze nel campo della valutazione della qualità dei sistemi educativi siano state realizzate prevalentemente nell’area germanofona ed in ticino, dove l’intero sistema delle scuole professionali ha dovuto avviare una procedura di certificazione della qualità sin dagli inizi degli anni Duemila, secondo quanto previsto per legge anche nel resto della Confederazione. Si tratta di ambiti territoriali in cui si è optato per l’adozione di modelli e procedure centrati su una sempre maggiore autonomia attribuita alle singole scuole nel campo cella certificazione della qualità dell’offerta formativa e dei processi di insegnamento e di apprendimento, soprattutto nella scuola superiore di secondo grado. Le aree prevalenti tenute sotto osservazione in vista della valutazione del livello di performance espresso dagli insegnanti sono la gestione della classe, la pianificazione degli apprendimenti, il lavoro in team, l’uso di metodologie efficaci per favorire l’apprendimento e la padronanza e l’impiego efficace di strumenti per la valutazione degli apprendimenti. in tale contesto diviene rilevante il ruolo rivestito da un insieme di fattori diversi, quali ad esempio l’attività di ispettori e valutatori esterni, i diversi tipi di feedback offerti da altri colleghi o dal dirigente scolastico, 136 forme di peer reviews, oltre che feedback provenienti da studenti. il ruolo delle autorità ispettive consiste quindi tendenzialmente sempre più nel coordinare le diverse forme di autovalutazione e di valutazione esterna di istituto, assicurandone la correttezza sul piano dell’impiego delle metodologie e della correttezza dei dati raccolti. 137 4. Profili e standard professionali differenziati 4.1. QUESTIONI CENTRALI PER UNA LETTURA MULTILIVELLO L’elemento centrale che scaturisce dall’analisi condotta sui casi nazionali attiene alla definizione di un profilo generale di competenze dell’insegnante, su cui si possano innestare ulteriori profili specializzati, correlati a determinati ruoli e funzioni presenti sia a livello di staff di direzione che di campi di intervento extra disciplinari. tali profili, nei contesti maggiormente evoluti risultano definiti mediante lo sviluppo di standard di carattere professionale o formativo. La diffusione di profili di competenze dell’insegnante origina principalmente dalla necessità di fissare una serie di obiettivi di sviluppo dei sistemi scolastici per intervenire con policy appropriate sulle criticità presenti. tali obiettivi, tesi ad incrementare il livello di accountability espresso dai sistemi scolastici nei confronti dell’utenza e dei diversi ulteriori portatori di interessi, possono essere richiamati sinteticamente in rapporto a diversi livelli del sistema. A. Livello delle policy Fornire standard di competenza che possano orientare i percorsi di Formazione iniziale terziaria di preparazione all’accesso nella carriera e al contempo guidare la successiva pratica professionale dell’insegnante. Sviluppare referenziali di competenze dell’insegnante differenziati che, partendo da un nucleo di competenze comuni, siano in grado di differenziare appropriatamente le ulteriori specializzazioni di carattere funzionale ed organizzativo, sia orizzontalmente (differenziazione funzionale su aree non disciplinari) che verticalmente (accesso allo staff di direzione). Correlare la progressione di carriera, di status e di fascia retributiva degli insegnanti ad un’effettiva ed accertabile crescita professionale di competenze nei settori specifici di dispiegamento delle attività lavorative. Differenziare i profili degli insegnanti in rapporto ai diversi target di utenza, i cui fabbisogni formativi risultano richiedere forme crescenti di personalizzazione ed individualizzazione dell’apprendimento (BES, problematiche socioeconomiche, tutorship all’apprendimento, counselling, etc.). introdurre nuovi profili in relazione alla definizione del curricolo scolastico, sia per linee orizzontali (aree disciplinari, aree di competenze interdisciplinari, dipartimentalizzazione degli istituti scolastici, etc.), che verticali (curricoli verticali, coerenza e progressività dei curricoli di ciclo scolastico, etc.). Armonizzare ed allineare i profili dell’insegnante con le recenti policy promosse dall’Unione Europea, in specie in rapporto ai livelli in cui si articola l’European Qualification Framework. 138 B. Livello del sistema scolastico/formativo locale Fornire ai diversi organismi che all’esterno dell’istituzione scolastica si occupano dello sviluppo, implementazione e valutazione della performance dell’insegnante, standard di competenze per l’attività valutativa sia di tipo ordinario (valutazione periodica) che straordinario (passaggio tra status e accesso a ruoli e funzioni di ordine superiore). Fornire ai diversi organismi che all’esterno dell’istituzione scolastica si occupano dello sviluppo, implementazione e valutazione della Formazione continua degli insegnanti, standard di competenze per l’attività di impostazione dei programmi e di valutazione di impatto delle diverse misure e delle azioni formative promosse. C. Livello dell’istituzione scolastica e formativa Fornire standard di riferimento per guidare l’azione delle figure tutoriali e di accompagnamento che supportano l’ingresso degli insegnanti neoassunti nel percorso di carriera (tutoring, mentoring, coaching). Fornire ai diversi organismi che all’interno dell’istituzione scolastica si occupano della valutazione della performance dell’insegnante, standard di competenze per l’attività valutativa sia di tipo ordinario (valutazione periodica) che straordinario (passaggio tra status e accesso a ruoli e funzioni di ordine superiore). Fornire ai diversi organismi che all’interno dell’istituzione scolastica si occupano dello sviluppo, implementazione e valutazione della Formazione continua degli insegnanti, standard di competenze per l’attività di impostazione dei programmi e di valutazione dell’apprendimento, di risultato e di impatto delle diverse misure e programmi formativi promossi. Predisporre profili diversificati di insegnanti (diversificazione organizzativa) in rapporto a ruoli e funzioni di supporto al dirigente scolastico ed al suo staff (definizione di policy scolastiche in campi diversi e della loro implementazione e valutazione). Differenziare operativamente i profili degli insegnanti in rapporto ai diversi target di utenza, i cui fabbisogni formativi risultano richiedere forme crescenti di personalizzazione ed individualizzazione dell’apprendimento (BES, problematiche socioeconomiche, tutorship all’apprendimento, counselling, etc.). 4.2. QUADRO SINOTTICO DELLE POLITICHE NAZIONALI Di seguito si riporta una tabella sinottica relativa ai diversi ruoli e funzioni supplementari attribuibili alla figura dell’insegnante della scuola, entro lo staff dirigenziale o aree di intervento extra disciplinari (Fig. 6). L’articolazione dei ruoli e delle responsabilità riscontrati non si osserva allo stesso modo in ciascuna istituzione scolastica ma risulta essere presente in funzione 139 del sistema nazionale dell’istruzione, del modello organizzativo adottato dall’istituzione scolastica, oltre che dell’adozione ed implementazione di policy nazionali, territoriali e di istituto. La tabella specifica per ciascun livello di funzione, rispettivamente di staff di direzione o di linea, lo status ed i referenziali corrispondenti ad ogni ruolo specifico. Si tratta in entrambi i casi di professionalità di gruppo, cui si richiede un’elevata capacità di interazione con una molteplicità di attori interni ed esterni alla scuola. Sotto tale profilo possono essere distinti ben quindici profili differenziati. A. Staff di direzione - coordinatore della Formazione continua; - coordinatore della valutazione della performance degli insegnanti; - coordinatore delle politiche per i bisogni educativi speciali; - coordinatore della valutazione di istituto (spesso comprende la valutazione della performance). Si tratta di profili che, presidiando ambiti di intervento di responsabilità del dirigente scolastico, presentano nuclei di competenza comuni con tale figura. B. Specializzazioni extra disciplinari esterne allo staff di direzione - coordinatore di dipartimento; - coordinatore di classe; - l’insegnante per soggetti con BES; - il tutor per insegnanti neoassunti; - insegnante orientatore; - tutor per i percorsi di alternanza formativa; - referente per la valutazione di istituto; - learning mentor; - coordinatore di progetti complessi interni all’istituzione scolastica e con attori esterni; - coordinatore di progetti complessi entro una rete di istituzioni scolastiche e con attori esterni; - docente dei programmi di Formazione continua territoriale. 4.3. DIFFERENZIAZIONI FUNZIONALI ALL’INTERNO DELLA FIGURA DELL’INSEGNANTE/ FORMATORE E CENTRALITÀ DEL CONCETTO DI FAMIGLIA PROFESSIONALE Da quanto si è potuto osservare in sede di analisi comparata, si rileva come negli anni recenti a livello internazionale si siano moltiplicati i ruoli e le responsabilità attribuiti agli insegnanti. Un tale processo ha determinato una maggiore articolazione dei profili di carriera aperti ai docenti scolastici sia sull’asse orizzontale, mediante l’assunzione di funzioni di sistema che eccedono dalla tradizionale divisione in aree disciplinari (valutazione di istituto, orientamento, coordinamento 140 &")              '    '()*(+,- ,./,)0-'' ', .  ,++-'10 2 ,                  ,   # ! 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"   -+      .    / $ 0 +      - .      ,       &        3   &         #                   & " # !"      /-! . $ 0 +      - .      ,       &         &         5:              & " # !"   ,  # !"      /-! .  // $ 0 +    -      ,       &         &     - (segue) 142 di classe, di dipartimento, tutoring e mentoring del personale insegnante neoassunto, etc.), sia sull’asse verticale, verso l’assunzione di funzioni di staff di direzione. L’evoluzione del sistema della scuola verso una specializzazione funzionale comporta l’emergere di tre ordini distinti di necessità. Da un lato si richiede la definizione di standard/referenziali di tipo professionale o formativo che possano fungere da riferimento comune per supportare la crescita delle professionalità in vista dell’assunzione di tali ruoli, in coerenza con le policy promosse recen - temente dall’Unione Europea in tema di riconoscimento e certificazione delle qualificazioni e delle competenze. Dall’altro lato si percepisce l’esigenza di raccordare in modo sempre più stretto l’avanzamento di carriera all’acquisizione di responsabilità via via più estese. infine, si coglie l’importanza di accompagnare la progressione nella pratica professionale con l’offerta di percorsi formativi orientati all’acquisizione di sistemi di competenze sempre più specialistiche e di livello elevato. Le analisi effettuate nel corso della descrizione degli scenari nazionali e della loro successiva comparazione hanno posto in evidenza una serie di profili articolati in relazione all’assunzione di ruoli e responsabilità differenziate. A questo proposito si intende qui riprendere il concetto di famiglia professionale. in quella sede si era anticipato come la riflessione compiuta a livello europeo avviatasi negli anni scorsi avesse offerto spunti di rilievo sul versante interpretativo, con conseguenti possibili ricadute sul piano metodologico ed operativo. Si sono già citati i lavori entro il gruppo tt Net, avviati nell’ambito del progetto Defining VET Professions in Line with the European Qualifications Framework.30 Si è ricordato come in quella sede il concetto di famiglia professionale fosse stato introdotto dal gruppo di lavoro, e si fosse dimostrato centrale nell’individuare nei job profiles degli operatori della VEt un nucleo comune di competenze derivante da una convergenza di ruoli funzioni in parte tradizionali ed in parte di nuova attribuzione. il concetto di famiglia professionale può quindi divenire l’elemento con cui ridefinire il nucleo di professionalità e di competenze convergenti su più profili professionali, sul quale possano svilupparsi ulteriori ambiti specifici e differenziati di intervento verso forme crescenti di specializzazione. il ricorso al binomio famiglia professionale-specializzazioni funzionali ed organizzative consente di integrare la precedente analisi comparativa, compiuta sul tronco centrale delle competenze professionali dell’insegnante, con una ricognizione sugli aspetti, oggi sempre più centrali, della specializzazione sia a livello di staff di direzione che all’interno di aree non disciplinari. 30 Frimodt r., Volmari K., Salatin A., Carlini D., di Giambattista C. (2006), cit. 143 4.4. LO SFONDO PER LO SVILUPPO DI STANDARD PROFESSIONALI DELL’INSEGNANTE: L’EUROPEAN QUALIFICATION FRAMEWORK i Consigli europei di Lisbona e di Barcellona hanno individuato nella maggior trasparenza delle qualificazioni e delle competenze il presupposto necessario per trasformare la diversità dei sistemi formativi nazionali in una risorsa spendibile a livello europeo. La trasparenza delle qualifiche si definisce come il livello alla cui altezza si può fissarne e compararne il valore nel mercato del lavoro, nell’istruzione e nella Formazione, oltre che nel più vasto sistema sociale. La trasparenza può allora essere vista come il presupposto necessario per riconoscere i risultati dell’apprendimento che conducono a diverse qualificazioni. Una maggiore trasparenza è importante allo scopo di permettere ai singoli cittadini di giudicare il valore relativo delle qualificazioni; consentire di trasferire e accumulare le qualificazioni (perseguire l’apprendimento permanente in tal senso richiede che i cittadini possano combinare titoli acquisiti in contesti, sistemi e Paesi diversi); migliorare la capacità dei datori di lavoro di giudicare profilo, contenuto e pertinenza delle qualificazioni offerte sul mercato del lavoro; permettere alle organizzazioni che erogano istruzione e Formazione di comparare reciprocamente profili e contenuti delle rispettive offerte, creando così un presupposto importante per garantirne ed incrementarne la qualità. il quadro europeo delle qualificazioni per l’apprendimento permanente (European Qualification Framework), oggetto di una raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, è costituito da otto livelli di riferimento che fungono da punto comune e neutro di riferimento per gli Enti di istruzione e Formazione a livello nazionale e settoriale.31 i livelli coprono l’intera gamma delle qualificazioni, da quelle ottenute al termine dei percorsi di istruzione e Formazione obbligatoria a quelle assegnate ai più alti livelli di istruzione e Formazione accademica e professionale. in quanto strumento che promuove l’apprendimento permanente, l’EqF comprende tutte le tipologie e le filiere dell’istruzione e della Formazione: istruzione generale e per adulti, istruzione e Formazione Professionale e istruzione superiore. i livelli maggiormente elevati contengono un chiaro riferimento ai corrispettivi gradi definiti nello schema per lo spazio europeo dell’istruzione Superiore nel contesto del processo di Bologna.32 31 Parlamento Europeo e Consiglio, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente, Bruxelles, 23.04.2008 (2008/C111/01). 32 Per una presentazione del quadro di policy promosse recentemente dall’Unione Europea in tema di riconoscimento delle qualificazioni e delle competenze si rimanda a Dordit L., Perulli E. (2008), Le politiche di cooperazione europea in tema di trasparenza dell’apprendimento, in Di Francesco G., Perulli E. (2008), Verso l’European Qualification Framework, Il sistema europeo dell’apprendimento: trasparenza, mobilità, riconoscimento delle qualifiche e delle competenze, isfol, roma. 144 Dato il quadro appena descritto, risulta evidente come sia importante che nuove forme di qualificazione emergenti nel mondo della scuola possano allinearsi con il quadro predisposto in sede europea per favorirne il riconoscimento e la certificazione, oltre che potenziare le forme di mobilità entro lo spazio comunitario. 4.5. DALLE FIGURE PROFESSIONALI AI CLUSTER DI COMPETENZE Nel mercato del lavoro sin dagli anni ottanta è andata crescendo la necessità di passare da una visione della figura professionale intesa in senso tradizionale, dettagliata mediante un’analisi delle mansioni e non soggetta a modifiche sostanziali nel breve e medio periodo, ad un diverso approccio secondo il quale la figura può essere articolata in cluster di competenza a geometria variabile, progressivamente modificabili in relazione ai diversi contesti di lavoro, ai modelli organizzativi ed alle tecnologie di volta in volta impiegate. La transizione ad un modello di tipo combinatorio pare risultare particolarmente utile in contesti in rapida trasformazione, quale sembra essere oggi quello della scuola italiana, con l’apertura di nuovi scenari e la richiesta di professionalità per il presidio di nuovi processi. La compresenza di elementi che rimandano al concetto di famiglia professionale, con il rinvio ad un tronco comune di competenze ed ulteriori ambiti e livelli di tipo specialistico, insieme ad un’impostazione combinatoria, che vede nelle competenze la capacità di mobilitare risorse di diverso ordine in vista del fronteggiamento di situazioni complesse, pare offrire una prospettiva particolarmente utile. Un tipo di modello di competenza che pare adattarsi in modo particolarmente adeguato al contesto analizzato è ricavabile dall’analisi di Guy Le Boterf, sociologo dell’organizzazione, tra le figure di maggiore spicco a livello europeo in tema di analisi delle organizzazioni. Fig. 7 - Le Boterf. Relazione tra risorse, competenze, attività, performance Fonte: Elaborazione da Le Boterf, 1997 Un tipo di modello di competenza che pare adattarsi in modo particolarmente adeguato al contesto analizzato è ricavabile dall’analisi di Guy Le Boterf, sociologo dell’organizzazione, tra le figure di maggiore spicco a livello europeo in tema di analisi delle organizzazioni. 6"15 )  '   '  '  Saperi teorici Saperi contestuali Saperi procedurali Saper fare operazionali Saper fare esperienziali Saper fare sociorelazionali Saper fare cognitivi RISORSE individuali Reti di RISORSE organizzative (tecnologie, attrezzature..) PERFORMANCE (competenze attualizzate) ATTIVITA’ (Processi) COMPETENZE MOBILITARE, COMBINARE, UTILIZZARE risorse dell’individuo e dell’organizzazione per fronteggiare situazioni professionali complesse, al di là di quanto è già prescritto SAPER AGIRE POTERE AGIRE VOLERE AGIRE (motivazioni e valori) SAPERI: si trasmettono COMPETENZE: si costruiscono mediante l’esperienza  Fonte: Elaborazione da Le Boterf, 1997 Secondo Le Boterf (Fig. ) le competenze operano su una serie di materiali di base, le risorse, costituite da un’ampia gamma di oggetti eterogenei: saperi disciplinari, procedimenti, processi, abilità, capacità operative e cognitive, saperi riguardanti l’ambiente in cui si opera, saperi relazionali, qualità personali. Tuttavia le competenze non vanno confuse con le risorse, rispetto alle quali si situano ad un livello superiore. Mentre le risorse, elementi componenti delle competenze, possono essere apprese e trasmesse, le competenze si costruiscono invece solo mediante l’esperienza in situazioni concrete e definite. In questo senso le competenze possono essere concepite nei termini di un saper agire: “la competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) da mobilitare, ma nella mobilitazione stessa di queste risorse. La competenza rientra nel concetto di saper-mobilitare. Affinché ci sia competenza è necessaria la messa in campo di un repertorio di risorse. Questo bagaglio è la condizione della competenza [...] La competenza consiste nel mobilitare saperi che si sono saputi selezionare, integrare e combinare [...] La competenza è un saper agire”.33 Il riferimento all’esperienza consente di superare una visione della Formazione legata unicamente ai percorsi di apprendimento formali e di allargare la considerazione 145 Secondo Le Boterf (Fig. 7) le competenze operano su una serie di materiali di base, le risorse, costituite da un’ampia gamma di oggetti eterogenei: saperi disciplinari, procedimenti, processi, abilità, capacità operative e cognitive, saperi riguardanti l’ambiente in cui si opera, saperi relazionali, qualità personali. tuttavia, le competenze non vanno confuse con le risorse, rispetto alle quali si situano ad un livello superiore. Mentre le risorse, elementi componenti delle competenze, possono essere apprese e trasmesse, le competenze si costruiscono, invece, solo mediante l’esperienza in situazioni concrete e definite. in questo senso le competenze possono essere concepite nei termini di un saper agire: “la competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) da mobilitare, ma nella mobilitazione stessa di queste risorse. La competenza rientra nel concetto di saper-mobilitare. Affinché ci sia competenza è necessaria la messa in campo di un repertorio di risorse. Questo bagaglio è la condizione della competenza [...] La competenza consiste nel mobilitare saperi che si sono saputi selezionare, integrare e combinare [...] La competenza è un saper agire”.33 il riferimento all’esperienza consente di superare una visione della Formazione legata unicamente ai percorsi di apprendimento formali e di allargare la considerazione anche alle competenze acquisite in situazioni e contesti non formali e informali.34 oltre alle conoscenze collegate al saper agire, che si possono trasmettere mediante la Formazione, le competenze necessitano di una dimensione legata al poter agire, ossia alle reti di risorse organizzative. infine, non va tralasciata la componente volitiva, il voler agire, frutto delle motivazioni e dei valori individuali e collettivi. Se i saperi si acquisiscono mediante la trasmissione, le competenze non sono trasmissibili meccanicamente, ma necessitano di uno sviluppo legato all’esperienza, ossia in situazione. Le competenze si esprimono nel presidio di determinate attività, e come tali sono in parte visibili ed in parte implicite. La performance costituisce in tal senso la forma attualizzata della competenza, in termini osservabili e misurabili. 33 Le Boterf G. (1997), De la compétence à la navigation profetionelle, Edition d’organisation, Paris. 34 Per un approfondimento sulla nozione di competenza come esito di apprendimenti in contesti formali, non formali ed informali, si veda: Cedefop (2009) The Dinamycs of Qualifications, Luxembourg, office for official Publications of the European Communities. 147 5. Elementi di un framework per la valutazione dei formatori dei CFP coerente con le recenti politiche nazionali ed europee di settore Nel capitolo che segue viene introdotta la proposta di un quadro di riferimento, di carattere generale, utile ad orientare lo sviluppo in chiave sistemica ed integrata delle pratiche di valutazione della professionalità (performance appraisal) dei Centri di Formazione Professionale. il quadro è delineato in modo da risultare coerente con i cambiamenti intervenuti recentemente nelle policy di settore sul piano nazionale ed europeo. L’obiettivo di questa sezione consiste pertanto nel delineare l’articolazione di un framework che possa risultare coerente con gli elementi di policy fin qui illustrati. in primo luogo ci si riferisce allo scenario internazionale, in cui sono state tratteggiate le principali linee di tendenza nei processi di trasformazione dei sistemi valutativi delle istituzioni scolastiche e formative con riferimenti all’Unione Europea e più estesamente all’area oCSE. inoltre si terranno in considerazione gli orientamenti attuali in sede nazionale. Complessivamente, l’approccio adottato procede per linee generali, non rientrando tra gli scopi del rapporto di ricerca un’analisi nel dettaglio del sistema di valutazione di insegnanti e formatori. La trattazione si concentrerà quindi da un lato su una serie di linee di tendenza ampiamente condivise a livello internazionale, dall’altro sulla sintetica descrizione dei principali elementi portanti propri del modello, articolati per aspetti chiave. Un secondo approccio sotteso al contributo muove dalla scelta di mantenere l’analisi su una prospettiva orientativa, in modo tale che le esemplificazioni illustrate per ciascun elemento del modello in alcuni casi rinvieranno ad una gamma differenziata di dispositivi, accomunati dall’essere impostati su comuni criteri guida. in tutti i casi il materiale esaminato proviene da una serie di buone pratiche esistenti, individuate in ambito nazionale ed internazionale. 5.1. VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI E OBIETTIVI DI SVILUPPO DEI SISTEMI EDUCATIVI: QUESTIONI CENTRALI PER UNA LETTURA MULTILIVELLO Dall’indagine condotta a livello oCSE emerge in modo chiaro come la valutazione sia andata assumendo un ruolo progressivamente centrale nei sistemi dell’education, di pari passo con una loro rimodulazione che miri a renderli maggiormente rispondenti ad istanze di accountability e di improvement. queste ultime manifestano sempre più la loro cogenza sulla tenuta dei sistemi dell’istruzione e della 148 Formazione, anche a fronte di un processo di crescente contrazione della spesa pubblica. risulta inoltre rilevante la tendenza a promuovere lo sviluppo di sistemi integrati di valutazione, le cui componenti siano interconnesse sulla base di sistemi di rilevazione e set di indicatori unitari, pur nella specificità degli oggetti cui si rivolgono, ed entro un sistema informativo che consenta l’interoperabilità dei dati raccolti ed elaborati. il tema della valutazione della performance degli insegnanti costituisce oggi uno degli elementi su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione sia sul piano delle indagini internazionali che delle concrete misure e sistemi messi a punto in forma eterogenea all’interno dei diversi contesti nazionali. Lo sviluppo di tali sistemi si ricollega ad una serie di obiettivi di policy per incrementare il livello di accountability espresso dai sistemi scolastici che possono essere richiamati sinteticamente in rapporto a diversi livelli del sistema. Livello delle policy Accrescere l’importanza della valutazione degli insegnanti per migliorarne la pratica didattica, riconoscerne il lavoro e supportare sia i docenti che le istituzioni scolastiche allo scopo di individuare opportunità di sviluppo professionale. includere nella valutazione degli insegnanti forme di auto-valutazione, valutazione informale tra pari, l’osservazione in aula e l’uso di feedback regolari da parte del dirigente scolastico e dei colleghi con esperienza. Assicurare che la valutazione degli insegnanti avvenga in un quadro di regole concordate, riguardanti le responsabilità dei docenti e l’individuazione di standard di prestazione professionale. Garantire che i dirigenti di istituto e i docenti più esperti siano formati riguardo ai processi di valutazione e che le scuole dispongano delle risorse adeguate per soddisfare le esigenze individuate nello sviluppo professionale degli insegnanti. Utilizzare la valutazione degli insegnanti per riconoscere e premiare le prestazioni esemplari con diverse forme di incentivo: più rapida progressione di carriera, indennità in giornate di lavoro, periodi sabbatici, opportunità per ricerche in contesto scolastico, supporto per la Formazione post-laurea, così come opportunità di Formazione in servizio. Garantire che le misure utilizzate per valutare le prestazioni degli insegnanti siano definite rispecchiando gli obiettivi della scuola e tenendo conto del contesto della scuola e della classe. Distinguere tra forme diverse di valutazione, in particolare la valutazione formativa (in itinere, informale) per il miglioramento della pratica professionale, dalla valutazione sommativa per la progressione della carriera, che dovrebbe poggiare su una forte componente esterna all’istituzione scolastica. Livello del sistema scolastico locale Stimolare e supportare i sistemi di valutazione delle performance degli insegnanti, adottando misure per promuovere la loro diffusione. 149 Favorire la costituzione di reti tra istituzioni scolastiche per lo scambio di esperienze e di buone prassi, in risposta a bisogni di sviluppo dei sistemi scolastici su scala locale. Supportare, laddove esistano, forme di coordinamento dell’attività di valutazione della performance all’interno delle istituzioni scolastiche. Livello dell’istituzione scolastica Sviluppare ruoli e funzioni di supporto alla dirigenza di istituto che siano in grado di impostare, implementare e valutare sistemi di valutazione della performance degli insegnanti, connettendoli con l’offerta di Formazione continua presente all’interno o all’esterno dell’istituzione scolastica, a forme di premialità ed alla politica di assicurazione della qualità promossa dalla scuola. Approntare una politica ed un sistema operativo per lo sviluppo delle misure di valutazione della performance che possa connettersi con le forme di crescita della pratica professionale, anche potenziando le azioni di autovalutazione individuale. 5.2. IL SISTEMA VALUTATIVO: TENDENZE GENERALI Nonostante le profonde differenze, possono essere individuate una serie di comuni processi di riforma in area oCSE, diretti a sviluppare policy adeguate ed efficaci nel campo della valutazione ed assessment dei sistemi educativi, rispetto ai quali ciascun Paese si caratterizza per una peculiare strategia di affrontamento e per le specifiche soluzioni messe a punto. Di seguito si riassume il quadro generale che può essere ricavato circa la valutazione degli insegnanti, sulla base dei risultati cui è giunta l’analisi svolta dall’oCSE negli anni recenti, sulla base dei molteplici programmi di ricerca realizzati. Per questa specifica componente del sistema valutativo vengono enucleati alcuni dei principali elementi su cui si stanno concentrando i processi riformatori. Di seguito si ricostruisce anche il quadro relativo alla valutazione dei risultati di apprendimento degli allievi, dato che in molti paesi la sfera della valutazione degli insegnanti risulta strettamente collegata a quella dei risultati di apprendimento. innanzitutto si riporta la tabella sinottica relativa agli elementi chiave del processo di valutazione della performance degli insegnanti, sulla base degli approfondimento operati nella prima parte del rapporto di ricerca (Fig. 8). 5.2.1. Valutazione della performance degli insegnanti e formatori La valutazione degli insegnanti di norma risponde a due finalità prevalenti. Da un lato mira a migliorarne la pratica professionale, individuando punti di forza e di debolezza in vista di uno sviluppo professionale. tale prospettiva si sostanzia nel supportare gli insegnanti a riflettere sulla propria pratica con l’utilizzo di approcci auto ed eterodiagnostici, affinandone conoscenze e capacità relative ai contenuti 150 67  !          -)-;-0,/, - ,./,)0-'' ', .  ,++-'10 2            /  '  * 136 ',    * .             .                 <               +     '    *  &       &   ,          ,         7  :                    +(1 - - $       ,$#(((                              $  $  ,    .             %   ) +(1    $        '    *     ,$#((( ',    * ;                    $            $     7  $      8          $      7     %                   '1(9*   '5(9*             '         &         &         ,               ,                 Fig. 8 - Elementi chiave del processo di valutazione della performance per contesto nazionale '           % +     ( -+(.1 - - -     <            +     '    *             ?C           &                &               =  . =       =           E    3  .          ,         ,          '                      =     =  &       =                     + FG +  + +0+ .  &  '   * ?C         &         '+ ) *        ,?,                          '$ *                  '$ *      -        &   7                '$  * ;             &       7    7             7           &    %&0, 151 disciplinari, così come alle ulteriori competenze proprie del profilo. Dall’altro lato la teacher evaluation è diretta a far sì che i docenti siano resi responsabili della propria performance in funzione dell’apprendimento degli allievi. Ciò implica, in modo differenziato nei diversi contesti nazionali (o sub-nazionali), forme di avanzamento di carriera basate sul rendimento professionale, premialità in relazione al conseguimento di esiti di valutazione correlati o meno alla presenza di standard, così come la possibilità di sanzioni in caso di scarso livello di performance espressa. Di norma i processi di valutazione del corpo docente costituiscono altrettanti punti nodali nel percorso di carriera dell’insegnante. integrare le funzioni di accountability e di improvement in un processo di valutazione unitario solleva una serie di problematiche. qualora la valutazione sia orientata al miglioramento della pratica professionale e si svolga all’interno della scuola di appartenenza, gli insegnanti hanno dimostrato in genere ampia disponibilità a porre in atto attività di autoanalisi tese all’individuazione di aree di sviluppo professionale. Ciò si realizza anche nella prospettiva di facilitare un’efficace presa di decisione circa la programmazione di azioni di Formazione in servizio coerenti con i fabbisogni reali del corpo docente. qualora invece i sistemi valutativi siano configurati in modo da determinare conseguenze dirette della valutazione sullo sviluppo di carriera e sui livelli salariali, le analisi compiute dall’oCSE rivelano il rischio che la funzione di improvement possa risultare seriamente compromessa. Nel concreto, raramente i Paesi adottano un unico modello di teacher evaluation, quanto piuttosto una combinazione che integra molteplici finalità e metodologie. Ad esempio, negli Stati Uniti il National Board for Professional Teaching Standards (NBPtS) ha messo a punto standard professionali rigorosi in relazione a ciò che un insegnante esperto deve sapere ed essere in grado di fare, come base per un sistema nazionale volontario di certificazione dei soggetti che soddisfino tali requisiti. Le procedure di valutazione vengono definite sovente su base regionale qualora la struttura federale o l’elevato livello di decentramento del Paese lo permetta. Ad esempio in Germania, i ministeri dell’istruzione in ciascun Land determinano i propri orientamenti su tutti gli aspetti della valutazione degli insegnanti: dalla responsabilità dei processi, alla determinazione dei criteri, al sistema di raccolta dei dati, sino alle conseguenze degli esiti dell’attività valutativa. Lo stesso vale nel caso dei Cantoni svizzeri. B. Sviluppo di sistemi basati sull’incidenza dei risultati degli studenti sulla valutazione degli insegnanti in genere nei Paesi oCSE i risultati dei test standardizzati cui vengono sottoposti gli studenti non vengono utilizzati come elementi incidenti nel processo di valutazione degli insegnanti. Dato che un’ampia gamma di fattori influiscono su tali risultati, l’identificazione dello specifico contributo di uno specifico docente pone infatti una serie di difficoltà statistiche di ardua soluzione. Sotto tale aspetto, lo sviluppo di modelli cosiddetti del valore aggiunto rappresenta un significativo 152 progresso, dato che essi sono concepiti per porre sotto esame il conseguimento dei risultati registrati nel tempo di un gruppo di studenti (ad esempio una o più classi) o per ipotesi anche di un solo soggetto e quindi possono prestarsi più adeguatamente allo scopo. Non vanno tuttavia sottovalutati i costi che i modelli del valore aggiunto richiedono per essere resi effettivi, oltre che la necessità di raccolta di un’ampia mole di dati. i sistemi di accountability basati sulla corresponsione di incentivi offerti ai docenti in rapporto ai risultati conseguiti dagli studenti in test standardizzati muovono dal principio che possa vedersi accresciuto l’impegno dei primi nel supportare tutti gli allievi nel conseguimento di standard rilevanti e di conseguire obiettivi collegati al curricolo nazionale. tuttavia, come si è già osservato, il modello dei test standardizzati può generare effetti involontari, quali ad esempio la tendenza a finalizzare eccessivamente la pratica di insegnamento ad un’elevata riuscita nelle sessioni di prova, la riduzione degli approfondimenti curricolari a vantaggio dello sviluppo di skill utili per il testing, la crescita del numero di soggetti posti in carico all’educazione speciale tra gli studenti a basso rendimento scolastico, etc. Nondimeno, la relazione tra progressi nell’apprendimento degli allievi e valutazione degli insegnanti costituisce un elemento centrale di riflessione presso i Paesi oCSE, dove in alcuni contesti si stanno sperimentando modalità quali la raccolta di evidenze o la redazione di elementi di tracciabilità nel tempo (portfolio) che possano fornire utili indicazioni circa l’efficacia dell’azione didattica degli insegnanti sugli output fatti registrare, sotto forme diverse, dagli allievi. C. Valutazione degli insegnanti e forme di premialità La valutazione della performance degli insegnanti può essere usata per determinare la struttura degli avanzamenti di carriera o al contrario sanzionare i docenti al di sotto dei requisiti previsti. Ciò costituisce un’opportunità per riconoscere e premiare la competenza e la professionalità, elemento essenziale per trattenere nella scuola gli insegnanti maggiormente dotati professionalmente, così come per fare dell’insegnamento una scelta di carriera con una sufficiente forza attrattiva. in tutti i casi va evidenziato che la questione del rapporto tra livello di professionalità e forme di premialità continua ad essere controversa in tutti i Paesi, dove la ricerca in questo campo presenta molteplici difficoltà ed ha prodotto sino ad ora risultati eterogenei. Vi è accordo sul fatto che le fasi di definizione ed implementazione di sistemi di incentivi basati sulla performance rappresentano altrettanti elementi cruciali per il loro successo. Le questioni principali riguardano lo sviluppo di indicatori di performance equi ed affidabili, la formazione dei valutatori per un utilizzo equanime degli indicatori, così come una chiara definizione delle procedure che definiscano come e in base a quali criteri gli insegnanti debbano essere valutati. Al riguardo può essere richiamato il caso dell’inghilterra, dove il sistema di valutazione degli insegnanti si basa sulla nozione centrale di performance manage153 ment of teachers. Con questo concetto si intende il processo di valutazione del grado di prestazione complessiva di un insegnante in rapporto alla sua job description, data dallo status cui appartiene. A tale scopo, il processo di avanzamento di carriera si basa sulla progressione tra diversi tipi di status per mezzo della valutazione della corrispondenza a standard articolati in termini di attitudini, conoscenze e capacità professionali. D. Connessioni con il sistema di valutazione di istituto Nei contesti maggiormente evoluti il sistema di valutazione della performance degli insegnanti rappresenta una componente rilevante inscritta nel quadro della più ampia valutazione di istituto. qualora si verifichi questa condizione, si danno diverse articolazioni possibili nella definizione delle figure di sistema. in alcuni casi il coordinatore delle politiche di sviluppo della professionalità del corpo docente si concentra in modo esclusivo sugli aspetti legati alle azioni di Formazione (continua e rivolta ai neoassunti), al coordinamento dei tutor per l’accompagnamento dei docenti di recente nomina ed al presidio della valutazione della performance e delle premialità, trattandosi di tre ambiti tra loro fortemente collegati. È questo il caso in cui l’istituzione scolastica abbia implementato un sistema di assicurazione della qualità, per cui gli aspetti ora considerati costituiscono un nucleo di processi interconnessi e coerenti entro una più vasta attività di controllo che vede operare numerose altre figure in ulteriori aree del sistema. in istituti di dimensioni ridotte o in assenza di figure diversificate il CPD Leader assume in sé anche la definizione della politica di valutazione di istituto. tra questi due estremi ovviamente si collocano situazioni intermedie e variamente articolate. E. Collegamento con il sistema di Formazione continua e con la progressione di carriera Un ultimo richiamo è opportuno fare sottolineando che nella ricognizione internazionale, in particolare nei contesti inglese e francese le pratiche di valutazione della performance degli insegnanti acquistano pienamente la propria efficacia qualora vengano collegate strettamente ai sistemi di progressione di carriera e di Formazione continua dei docenti. in tal modo può delinearsi un sistema integrato di misure e di azioni, il cui prodotto complessivo risulta effettivamente in grado di accrescere il livello di accountability espresso dall’istituzione scolastica e, nella progressiva diffusione del modello, dall’intero sistema territoriale dell’education. 5.2.2. Accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti collegato alla valutazione degli insegnanti A. Ricerca di un più stretto raccordo e tra standard formativi e forme di assessment degli studenti Una prima tendenza generale riscontrabile in ambito oCSE riguarda la questione dell’allineamento tra standard formativi e pratiche di assessment degli 154 studenti. Data la particolare configurazione dei sistemi di assessment cosiddetti standards-based, in cui i due elementi richiamati rivestono un ruolo chiave, risulta cruciale che le pratiche di assessment manifestino una forte coerenza da un lato con la struttura del curricolo e dall’altro con lo sviluppo di standard adeguati. in caso contrario il valore insieme diagnostico e di giudizio sui risultati della performance verrebbe meno, inficiando la possibilità di inferire dall’esito delle prove indicazioni utili per la definizione dei bisogni educativi degli studenti e, in parte, del grado di efficacia formativa delle scuole (in relazione agli output). Sotto il profilo delle strategie impiegate, i diversi Paesi paiono accomunati dalla ricerca di sistemi che favoriscano una correlazione maggiormente efficace tra valutazione della performance degli studenti e formulazione di standard coerenti ed adeguati. A tal fine i criteri guida sono rappresentati prevalentemente dalla validità (sino a quale grado i processi valutativi sono in grado di misurare ciò che intendono misurare), affidabilità (data dalla coerenza e stabilità dei risultati presso la popolazione studentesca), generalizzabilità (applicabilità ad un ampio target di istituzioni formative e studenti) ed utilizzabilità (a quale livello i decisori politici, i dirigenti scolastici e gli insegnanti possiedono una percezione positiva dell’attività valutativa e rispondono ai suoi esiti). Va notata la tensione interna che vige tra i criteri di affidabilità/ generalizzabilità da un lato ed il criterio di validità dall’altro, che rispondendo a logiche ed imperativi divergenti possono innescare processi di conflitto interno. Una seconda linea di azione che vede impegnati i Paesi oCSE consiste nello sviluppo delle capacità degli insegnanti di valutare sulla base di standard, fornendo linee guida dettagliate sulle pratiche di assessment e rafforzando i processi di collaborazione tra scuole ed insegnanti, anche ai fini di costruire una visione comune del valore della cultura della valutazione in rapporto alla crescita dei sistemi educativi. Alcuni Paesi hanno promosso la pubblicazione di linee guida per supportare gli insegnanti. in tal senso, nel caso ad esempio dell’inghilterra, si segnala il progetto Assessment for Learning avviato nei primi anni Duemila, che ha mobilitato l’intera rete delle istituzioni scolastiche supportate dalle autorità locali e dalle agenzie governative ed autority indipendenti. B. Ricerca di un più stretto raccordo tra pratiche di assessment esterno e di valutazione degli apprendimenti effettuata dagli insegnanti Gli esiti dell’attività di ricerca in campo psicopedagogico hanno dimostrato come la valutazione sommativa, orientata a misurare i risultati di apprendimento e particolarmente legata alla prospettiva di accountability, in realtà eserciti un effetto sugli stessi processi di acquisizione di conoscenze e capacità, in modo tale da influenzare elementi quali la motivazione, gli stili di apprendimento, oltre che le pratiche di insegnamento. Per tale ragione la valutazione esterna degli studenti, specie se collegata a prove standardizzate, è stata sovente sottoposta a critiche negli ambienti della ricerca pedagogica. Un primo problema è legato alla difficoltà di decostruire le performance cognitive a fini di misurazione, mediante prove strutturate su batterie di 155 items discreti che concorrono a formulare un punteggio complessivo, quando il processo di apprendimento è oggi interpretato sempre più nei termini di un’acquisizione e ristrutturazione ininterrotta di elementi di conoscenza variamente acquisiti. inoltre, si è evidenziato da più parti come la valutazione standardizzata mancherebbe del carattere di continuità e non si avvarrebbe della raccolta di molteplici forme di evidenza, tra cui l’osservazione della performance degli allievi in una varietà di contesti diversi, l’espressione orale ed i risultati di attività pratiche che richiedono la mobilitazione di risorse eterogenee di competenza. inoltre uno dei principali rischi associati alle pratiche di valutazione esterna consiste nella possibilità che gli insegnanti si concentrino eccessivamente sull’acquisizione da parte degli allievi di competenze per l’efficace svolgimento delle prove di testing. L’analisi sullo scenario oCSE sembra indicare come ci si stia muovendo verso forme di più efficace raccordo tra le pratiche di assessment esterno e la valutazione degli apprendimenti (sia di tipo sommativo che formativo) effettuata in classe dagli insegnanti, in modo tale da assicurare un livello accettabile di validità e al tempo stesso di affidabilità della pratica valutativa. Le forme di intervento maggiormente promettenti per promuovere una contaminazione reciproca e virtuosa tra le due diverse tipologie di assessment riguardano da un lato la distinzione tra accertamento di conoscenze e di abilità nell’elaborazione ed utilizzo di saperi teorici e pratici, che rispondono maggiormente a modalità di assessment esterno con l’ausilio di standard, dalla valutazione di competenze complesse, che per loro natura richiedono un processo continuo e protratto, basato sulla capacità valutativa professionale dell’insegnante e l’osservazione in contesti differenziati, oltre che possibilmente in situazione. Dall’altro lato la pratica professionale del docente può essere orientata al raggiungimento di un maggiore grado di affidabilità e comparabilità intersoggettiva, avvalendosi di strumenti quali il ricorso a criteri di punteggio negoziati, benchmark esterni, giudizi multipli, etc. in diversi Paesi e regioni in ambito oCSE si combinano il punteggio ottenuto dagli studenti in prove di valutazione esterna con quello attribuito in classe dagli insegnanti. È il caso di Danimarca, olanda, Polonia, Svezia, Svizzera e regno Unito. C. Integrazione della valutazione formativa degli studenti in un quadro generale di riferimento per la valutazione e l’assessment in ambito scolastico La valutazione formativa è andata acquisendo nel recente passato un ruolo di sempre maggiore rilievo nelle politiche dell’education entro i Paesi oCSE, come nel caso delle politiche promosse di recente da Danimarca, Finlandia, Canada e Nuova zelanda. Una questione centrale consiste nell’individuare strategie che possano promuovere un’efficace integrazione della valutazione formativa svolta in classe entro un più generale quadro di riferimento per la valutazione e l’assessment in ambito scolastico. Alcuni Paesi hanno mirato a sviluppare forme di assessment complesso, combinando tra loro valutazione basata sulla performance (performance-based assessment) con prove di valutazione sulla base di standard (standardised assessment). il 156 primo genere di attività valutativa appare maggiormente in grado di registrare le performance degli studenti ad un più elevato grado di complessità, come nel caso delle capacità di ragionamento e di problem solving, mentre gli assessment standardizzati consentono di ottenere un maggiore livello di affidabilità dei risultati. Una seconda linea di condotta adottata attualmente in forma diffusa in ambito oCSE consiste nel far leva sul potenziale formativo della valutazione standardizzata creando le condizioni affinché sia progressivamente utilizzata in classe da parte del personale insegnante secondo una logica di sviluppo individuale e di gruppo. Una variante al procedimento richiamato consiste nella costruzione di banche dati di test a livello centrale, che consentano ai docenti di selezionare le prove da sottoporre agli allievi per scopi di valutazione formativa. Al fine di giungere ad una maggiore integrazione tra le due forme di valutazione, in alcuni Paesi la valutazione degli insegnanti prevede l’accertamento delle abilità nel condurre una valutazione formativa, così come la valutazione esterna delle scuole è tesa a mettere a fuoco quali siano gli approcci adottati in tal senso a livello di istituzione scolastica. Al riguardo, in Canada è in corso di implementazione lo School Achievement Indicators Programme (SAiP), che seleziona una percentuale di studenti nell’intero Paese. Gli esiti di apprendimento sono strutturati su cinque livelli progressivi, articolati per competenze. La prova include sia domande a risposta multipla che domande aperte. La batteria di test è accompagnata da una valutazione pratica delle abilità nel problem solving applicato alle scienze e delle skill comunicative per la lingua inglese. in Svezia gli allievi vengono sottoposti a valutazione esterna all’età di nove, undici e quindici anni. Le prime due prove sono facoltative e rispondono alla finalità di monitorare il rendimento degli studenti e di assicurare equità ed imparzialità del giudizio degli insegnanti. La prova che si tiene al termine del ciclo di istruzione obbligatoria è di tipo sommativo. Le singole scuole possono decidere in quale misura il punteggio finale dell’annualità conclusiva sia basato sulla valutazione esterna a carattere nazionale e in quale parte sul giudizio formulato in classe dagli insegnanti. infine, sulla base del No Child Left Behind Act, negli Stati Uniti ciascuno Stato sviluppa il proprio sistema di valutazione per monitorare i progressi formativi, sulla scorta di precisi standard. Diversi Stati dispongono di prove standardizzate a risposta multipla, mentre in alcuni altri è stato sperimentato un sistema di prove di valutazione performance-based, come nel caso del Vermont (portfolio assessment) o del Maryland (task-based performance assessment). 5.2.3. Figure di sistema Coordinatore della valutazione degli insegnanti La predisposizione di un sistema complesso di gestione delle attività di valutazione, raccordate con i piani di sviluppo della scuola ed in relazione con molteplici 157 attori sia interni che esterni all’istituzione scolastica e formativa necessita di una figura dedicata che sia in grado di coordinare le diverse misure ed azioni da intraprendere. Nel contesto inglese la figura che presiede alla valutazione della performance è la medesima che coordina i diversi processi di Formazione continua degli insegnanti e prende il nome di CPD Leader, ossia di coordinatore dello sviluppo professionale continuo del corpo docente. il CPD Leader è un insegnante esperto, di norma appartenente allo status di Excellent Teacher o di Advanced Skills Teacher, avendo superato una selezione sulla base di standard professionali definiti. tra le funzioni del CPD Leader figurano: il coordinamento delle misure di Formazione continua, della valutazione della performance degli insegnanti e dei tutor che forniscono supporto ed accompagnamento ai docenti neoassunti. inoltre il ruolo richiede di coordinare progetti complessi all’interno di reti di scuole volti alla crescita professionale degli insegnanti. L’esempio si pone come best practice tra i casi internazionali esaminati e offre numerosi spunti per una sua applicazione nel contesto italiano. Tutor per i processi valutativi Nel contesto inglese i nuovi insegnanti sono assistiti da un tutor che ha la responsabilità di monitorare, accompagnare e valutare l’operato di un docente da poco nominato. in linea di principio tale figura deve essere un membro del personale docente che possieda il tempo, le competenze, la preparazione e l’autorevolezza per esercitare il proprio ruolo efficacemente, incluso il fatto di tenere un comportamento rigoroso e di formulare giudizi chiari e imparziali sui progressi verso l’assolvimento dei core standards. Colui che ne ricopre il ruolo può variare a seconda dell’istituto scolastico e del numero di nuovi insegnanti. Ad esempio le funzioni di accompagnamento, monitoraggio e valutazione possono essere suddivise tra due o più docenti. in questo caso una sola persona deve in ogni caso assumersi la responsabilità di coordinare quotidianamente il programma di induction. Nelle scuole di dimensioni minori può accadere che sia lo stesso dirigente d’istituto a svolgere la funzione di tutor per l’inserimento. in questo caso diviene particolarmente importante che sia un altro membro del corpo docente a svolgere la funzione di mentor e che il docente in prova possa contare su un ulteriore network di risorse, derivanti dall’autorità locale o da gruppi di colleghi in fase di primo inserimento. Negli istituti di maggiori dimensioni, il responsabile di dipartimento può essere designato come tutor. Sulla base di questo modello il preside o un insegnante esperto dovrebbero coordinare i programmi di inserimento, operare la valutazione dei docenti in prova, assicurando la qualità delle attività di accompagnamento svolte nell’intera struttura scolastica. La maggior parte delle scuole e dei college individuano un mentor, chiamato anche buddy, per ciascun insegnante in periodo di prova. il suo compito è quello di 158 lavorare a stretto contatto con il novizio, fornendogli supporto quotidianamente nelle attività didattiche o in relazione ai contenuti dell’insegnamento. Le responsabilità del tutor includono l’assolvimento delle funzioni seguenti: – fornire o coordinare azioni di orientamento e aiuto efficace, incluse le funzioni di coaching e di mentoring; – curare la valutazione dei progressi durante il periodo di induction; – realizzare tre incontri formali di valutazione nel corso del periodo di inserimento; – coordinare gli apporti degli altri colleghi; – assicurare che si realizzino sessioni di osservazione dell’operato dei docenti in prova e che gli si forniscano feedback dell’esito delle valutazioni in forma scritta; – assicurare che le persone seguite comprendano i ruoli degli altri colleghi coinvolti nell’inserimento, incluse le responsabilità di svolgere un ruolo attivo nel proprio percorso di sviluppo; – lavorare con i docenti in prova per organizzare ed implementare un programma personalizzato di monitoraggio, accompagnamento e valutazione che tenga conto dei loro reali bisogni e punti di forza, in relazione con gli standard da raggiungere ed il contesto specifico della scuola in cui operano. 5.3. REFERENZIALI DI COMPETENZA: ARCHITETTURA E FUNZIONI Un primo elemento comune che attraversa trasversalmente la molteplicità dei casi esaminati sul piano internazionale riguarda il fatto che la valutazione si basi su un’architettura di sistema al cui interno siano presenti e descritti analiticamente una serie di referenziali strutturati per competenze. in caso contrario, l’assenza di riferimenti comuni, definiti a livello nazionale o regionale, su cui parametrare i livelli di padronanza raggiunti nel corso della carriera professionale, rischia di inficiare in radice la possibilità di sviluppare sistemi e processi valutativi adeguatamente articolati. in una parte dei casi esaminati, le competenze risultano a loro volta articolate in sottocomponenti. in Francia le dieci competenze professionali dell’insegnante sono suddivise in conoscenze (connaissances), capacità attuative (capacités à les mettre en oeuvre) ed attitudini professionali (attitudes professionnelles), mentre in inghilterra gli standard per il conseguimento del qualified teacher status non definiscono un elenco di competenze, ma si strutturano indirettamente a partire da un insieme di 33 sottocomponenti organizzate attorno a tre nuclei, corrispondenti alle attitudini professionali (professional attributes) conoscenze e saperi professionali (professional knowledge and understanding) e capacità professionali (professional skills). Gli standard spagnoli sono impostati per così dire secondo una prospettiva opposta a quella adottata in inghilterra. Mentre il modello britannico non specifica 159 le competenze di riferimento ma si situa direttamente sul piano delle loro parti costitutive (ponendosi sotto il livello della competenza), nel caso spagnolo si osserva che a livello nazionale è stato definito un set di undici competenze generali, su cui le strutture universitarie possono innestare un ulteriore insieme di competenze specifiche. infine in ticino le competenze sono raggruppate in undici diversi ambiti, che rispecchiano altrettante aree di esercizio della pratica professionale. Per ciascun’area sono esplicitate sia le competenze che i relativi risultati attesi. in tutti i casi la centralità della competenza, intesa come elemento unificatore e strutturante le qualificazioni (qualifications), emerge con chiarezza. L’articolazione dei referenziali per competenze assolve la funzione di fornire un chiaro ed inequivoco parametro di riferimento per lo sviluppo della programmazione formativa secondo una prospettiva interdisciplinare, quando si tratti di standard formativi, oppure per le pratiche di accertamento del possesso dei requisiti professionali frutto di percorsi e tipi di apprendimento differenziati (formale, non formale, informale), come nel caso inglese. in Francia le competenze professionali orientano i programmi della Formazione iniziale e continua, oltre allo sviluppo di carriera e l’analisi della pratica professionale. Un primo elemento di parziale divergenza osservabile in base all’analisi dei diversi casi nazionali non attiene alla struttura dei referenziali di competenza dell’insegnante in quanto tali, ma all’utilizzo che ne viene fatto in relazione allo sviluppo di carriera dei docenti. Come si è osservato in precedenza analizzando i diversi scenari nazionali, la correlazione che si registra tra elementi quali l’avanzamento nella carriera, la valutazione della performance degli insegnanti e la Formazione in servizio presenta gradi di intensità assai variabili e differenziati al variare dei contesti nazionali. in particolare, la relazione tra avanzamento di status e valutazione del livello professionale assume un valore cogente in Francia ed in inghilterra. Nel primo caso, salvo eccezioni limitate e particolari, il passaggio tra corpi diversi del sistema professionale è sempre regolato da prove di concorso di tipo competitivo (numero limitato di posti, quale che sia il valore numerico dei partecipanti), mentre nel secondo la transizione tra status è soggetta al superamento di prove che tendono a valutare l’effettivo possesso di competenze sulla base di un set di standard definiti. in Spagna e nel Canton ticino l’attività di valutazione della performance degli insegnanti non manifesta sempre un effetto diretto sugli sviluppi di carriera, come testimoniato dall’assenza di ordinamenti che lo prevedano in forma obbligante. Pur tuttavia, nell’esame dei casi nazionali si è dato conto di una sperimentazione in corso di attuazione nel contesto svizzero in cui è stato adottato un tipo di approccio per così dire maggiormente nordeuropeo. quanto detto sul rapporto tra avanzamento professionale e valutazione della performance vale a maggior ragione se prendiamo in considerazione gli effetti reali degli esiti della Formazione in servizio sulla progressione tra status. Se si prescinde dal periodo di prova iniziale, della durata media di un’annualità, cui sono soggetti 160 in forma diversa, gli insegnanti in pressoché tutti gli scenari nazionali indagati e il cui esito negativo può condurre, se iterato, al licenziamento, nel periodo successivo non si prevede l’obbligatorietà formativa. in nessuno dei Paesi considerati la Formazione continua costituisce infatti un obbligo assoluto per l’insegnante. tuttavia la differenziazione maggiore tra Paesi riguarda le forme con cui la Formazione continua viene incentivata in modo diretto o indiretto. Ad esempio in inghilterra il conseguimento di uno status più elevato, misurato in termini di rispondenza a standard definiti, presuppone una crescita professionale dell’insegnante che ecceda l’esperienza compiuta nell’ambiente di lavoro e si concentri anche sulle componenti teoriche del sapere. Similmente in ticino i nuovi programmi di Formazione in servizio, che consentono al corpo docente che ne sia privo di conseguire una laurea specialistica o una laurea triennale (nel caso della Formazione Professionale) godendo di periodi di sospensione dal lavoro, rappresentano un forte stimolo al - l’innalzamento del livello di istruzione del corpo docente cantonale, dati anche gli effetti diretti che tale crescita comporta sulla progressione nella scala retributiva in cui si è inquadrati. 5.3.1. Le dieci competenze professionali dell’insegnante in Francia Nel maggio del 2010 il Ministero dell’istruzione Superiore e della ricerca ha introdotto nell’ordinamento francese un complesso di competenze professionali, la cui funzione risponde sia ad orientare i piani formativi dell’istruzione terziaria in materia di Formazione iniziale degli insegnanti, sia a costituire un referente per il successivo sviluppo della pratica professionale dei docenti della scuola nel corso dell’intera carriera. i nuovi referenziali delle competenze professionali, che sostituiscono i precedenti cahier des charges, si articolano in un insieme di conoscenze (connaissances), capacità attuative (capacités à les mettre en oeuvre) e di attitudini professionali (attitudes professionnelles).35 Di seguito si ripercorre il testo completo dei referenziali, appositamente tradotto dall’originale francese, che enuclea e definisce nel dettaglio le dieci competenze e le loro sottocomponenti.36 35 Ministère de l’Enseignement Supérieur et de la recherche (2010), Arrêté du 12-5-2010 - J.O. du 18-7-2010, Définition des compétences à acquérir par les professeurs, documentalistes et conseillers principaux d’éducation pour l’exercice de leur métier (in Bulletin officiel n° 29 du 22 juillet 2010), che abroga l’Arrêté du 19 décembre 2006, Cahier des charges de la formation des maîtres en institut universitaire de formation des maîtres. 36 Ibid., nostra traduzione. 161 1. Agire da funzionario dello Stato e in modo etico e responsabile Riguarda gli aspetti legati alla coscienza professionale ed ai principi deontologici che devono guidare l’azione dell’insegnante, che in quanto dipendente pubblico contribuisce alla Formazione sociale e civile degli allievi. conoscenze L’insegnante conosce: - i valori della Repubblica ed i testi su cui si basano: libertà, uguaglianza, fraternità, laicità, rifiuto di ogni discriminazione, diversità, parità tra uomini e donne; - le istituzioni (Stato e amministrazioni locali), che definiscono e attuano la politica educativa nazionale; - i meccanismi economici e le regole che organizzano il mondo del lavoro e dell’impresa; - la politica della Francia nel campo dell’Istruzione, le caratteristiche principali della sua storia e le problematiche attuali (strategie politiche, economiche, sociali) nel confronto con altri Paesi europei; - i principi fondamentali del diritto, della funzione pubblica e degli ordinamenti giuridici sull’Istruzione: leggi e testi regolamentari in relazione alla professione esercitata, leggi sulla sicurezza degli allievi; - il sistema educativo, i suoi attori e dispositivi specifici; - la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo; - i propri diritti e le possibili soluzioni in una situazione di minaccia o di violenza; - l’organizzazione amministrativa e finanziaria, oltre alle regole di funzionamento, delle scuole elementari e degli istituti di Istruzione superiore; - le caratteristiche e gli indicatori statistici sul sistema scolastico; - il progetto della scuola elementare o superiore; - il ruolo dei differenti consigli (consiglio di istituto, degli insegnanti, di classe, etc.). capacità L’insegnante è in grado di: - utilizzare le conoscenze sull’evoluzione e funzionamento del servizio pubblico di Istruzione nazionale per poter fare uso delle risorse messe a disposizione; - situarsi all’interno della gerarchia dell’istituzione scolastica; - partecipare alla vita della scuola in cui opera; - cogliere e interpretare i segnali che riflettono le difficoltà specifiche degli studenti nel campo della salute, dei comportamenti a rischio, dalla povertà estrema o dei maltrattamenti; - contribuire, in cooperazione con i partner all’interno ed all’esterno dell’istituto, a risolvere le difficoltà specifiche degli allievi; - farsi rispettare ed usare le sanzioni con discernimento e nel rispetto della legge. attitudini L’agire in modo etico e responsabile induce l’insegnante: - a far comprendere e condividere i valori della Repubblica; - ad integrare, nell’esercizio della sua funzione, le conoscenze sulle istituzioni, sullo Stato e sui suoi doveri di funzionario pubblico; - a rispettare nella pratica quotidiana le norme etiche relative alla professione di insegnante nell’ambito del servizio nazionale di Istruzione pubblica; - a rispettare gli allievi ed i loro genitori; - a rispettare e far rispettare le regole sulle risorse e spazi comuni; - a rispettare e far rispettare i diritti ed i doveri riguardanti l’utilizzo della tecnologia digitale nella società dell’informazione; - a collaborare alla realizzazione di attività di partenariato intraprese tra la scuola ed il suo ambiente economico, sociale e culturale. 162 2. Padroneggiare la lingua francese per insegnare e comunicare Nell’uso della lingua francese, sia scritta che orale, l’insegnante deve risultare esemplare, indipendentemente dalla disciplina insegnata, prestando attenzione alla qualità della lingua utilizzata dagli studenti. Nel presentare conoscenze, spiegazioni o nell’impartire esercizi e attività da eseguire, si esprime con chiarezza e precisione, tenendo conto del livello dei suoi studenti. È in grado inoltre di descrivere e spiegare gli oggetti del suo insegnamento alla molteplicità differenziata dei suoi interlocutori, compresi i genitori degli allievi. conoscenze Ciascun insegnante possiede le conoscenze attese proprie di un laureato dell’Istruzione superiore in relazione alla padronanza della lingua scritta e orale (lessico, grammatica, coniugazione, punteggiatura, ortografia). L’insegnante di scuola elementare conosce inoltre: - i meccanismi di apprendimento della lingua materna e lo sviluppo delle capacità di espressione orale nel corso dell’intera scuola primaria; - i meccanismi di apprendimento della lettura ed i loro ostacoli; - i metodi d’insegnamento della lettura e della scrittura; - le regole di base dell’ortografia e della grammatica. capacità L’insegnante è in grado di: - identificare gli ostacoli alla lettura, le carenze del linguaggio orale e scritto e le difficoltà che gli studenti possono incontrare; - costruire sequenze di insegnamento che mirino ad obiettivi di sviluppo dell’espressione orale e scritta degli allievi; - comunicare con chiarezza e precisione e nel linguaggio appropriato per la lingua scritta e parlata: • con gli allievi, durante il processo di apprendimento (trasferimento delle conoscenze, organizzazione del lavoro in classe e del lavoro individuale, etc.); • con i genitori durante gli incontri individuali o collettivi. attitudini La preoccupazione di condurre gli studenti a padroneggiare la lingua induce l’insegnante: - ad inserire nelle diverse situazioni professionali l’obiettivo di far padroneggiare la lingua orale e scritta da parte degli studenti; - a vigilare in tutte le situazioni di insegnamento e di attività educativa in genere sul livello della lingua degli studenti, sia scritta che orale. 3. Una buona padronanza delle conoscenze insegnate è la condizione necessaria per l’insegnamento. In tal senso l’insegnante possiede una conoscenza approfondita ed ampia della sua o delle sue discipline e una solida preparazione sulle tematiche incluse nei programmi. Conosce sia le componenti dello zoccolo comune di conoscenze e competenze, sia i rispettivi obiettivi annuali di attuazione, nonché i livelli e le modalità di valutazione. L’insegnante aiuta gli allievi ad acquisire le competenze richieste, vigilando sulla coerenza del proprio progetto con quanto proposto dagli altri insegnamenti. Al tempo stesso possiede una solida cultura generale che gli consente di contribuire a sviluppare una comune cultura degli allievi, sostenuta anche dalla pratica di almeno una lingua straniera. conoscenze L’insegnante della scuola elementare conosce: - gli obiettivi della scuola elementare dei collège; Padroneggiare le discipline e avere una buona cultura generale 163 - i concetti e le nozioni, gli approcci e metodi in ciascuna delle discipline insegnate nella scuola primaria. Il professore delle scuole superiori e dei collège: - conosce gli obiettivi della scuola primaria, dei collège e dei licei; - padroneggia l’insieme di conoscenze nella sua disciplina ed i collegamenti con le discipline connesse; - situa la sua disciplina, attraverso la sua storia, le questioni epistemologiche, i problemi didattici ed il dibattito che la attraversa. capacità L’insegnante della scuola elementare è in grado di: - organizzare i diversi insegnamenti, collegandoli insieme in un quadro di polivalenza; - utilizzare la polivalenza per costruire gli apprendimenti fondamentali; - includere nell’insegnamento esercizi per lo sviluppo specifico e sistematico di automatismi (lettura, scrittura, aritmetica, grammatica, ortografia, educazione fisica, etc.). Il professore presso il secondo livello scolastico è in grado di organizzare l’insegnamento della disciplina in coerenza con gli altri insegnamenti. attitudini La padronanza scientifica e disciplinare dell’insegnante lo induce a: - un’attitudine al rigore scientifico; - a partecipare alla costruzione di una cultura comune degli allievi. 4. Concepire e mettere in opera il proprio insegnamento L’insegnante è un esperto nell’insegnamento della propria disciplina, ossia è in grado di assicurare, sulla durata di un anno scolastico, un apprendimento effettivo dei suoi allievi nel contesto di un insegnamento collettivo. Per questo, padroneggia la didattica della sua disciplina ed è in grado di implementare approcci multidisciplinari. Conosce i processi di apprendimento e gli ostacoli che gli studenti possono incontrare, così come le soluzioni per risolverli, essendo in grado di sviluppare programmi e di ripartire l’apprendimento nel corso del tempo. È inoltre in grado di tener conto di quanto è stato realizzato in precedenza. L’insegnante può essere chiamato a partecipare con un ruolo di formatore ad attività di Formazione continua degli adulti, così come a tirocini formativi e deve avere una conseguente preparazione. conoscenze L’insegnante conosce: - gli obiettivi da raggiungere per un determinato livello, nel quadro del suo insegnamento o del suo campo di attività; - i programmi di insegnamento e le risorse chiave, tra cui quelle digitali, che si riferiscono a tutti i livelli dell’Istruzione primaria e secondaria; - i fondamenti della psicologia dell’infanzia e dell’età evolutiva, il processo di apprendimento degli allievi ed i potenziali ostacoli a tali processi; - i diversi dispositivi e strumenti, in particolare digitali, necessari alla progettazione ed attuazione delle attività di apprendimento. capacità L’insegnante è in grado di: - definire gli obiettivi di apprendimento a partire dalla documentazione ufficiale; - ragionare in termini di competenze; - attuare una progressione e programmazione annuale e di ciclo; 164 - attuare una progressione differenziata in rapporto al livello degli allievi; - utilizzare le conoscenza dei processi di apprendimento degli studenti e della psicologia dell’età evolutiva; - integrare nell’insegnamento l’uso delle tecnologie digitali; - considerare i risultati delle valutazioni nello sviluppo di una progressione di apprendimento; - integrare nel suo insegnamento la prevenzione dei rischi professionali. attitudini L’insegnante è indotto: - a sviluppare approcci multidisciplinari e trasversali fondati sulla convergenza e complementarità tra le discipline: • per costruire attività che consentano di acquisire una competenza attraverso varie discipline; • per porre la sua disciplina al servizio di progetti e attività multidisciplinari; - a valutare la qualità dei materiali didattici. 5. Organizzare il lavoro della classe L’insegnante è in grado di far progredire tutti gli studenti di una classe sia sotto il profilo della padronanza delle conoscenze, delle capacità e delle attitudini che nel rispetto delle regole della vita sociale. È attento ai comportamenti e garantisce che gli studenti attribuiscano valore al lavoro individuale e collettivo. conoscenze La scuola è parte importante della Formazione dei futuri cittadini. A tale riguardo, deve promuovere le regole del vivere insieme, la tolleranza ed il rispetto per gli altri. Questo compito presuppone che l’istituzione scolastica sia essa stessa un luogo in cui è esclusa la violenza. A tal fine, è indispensabile che i futuri insegnanti possiedano le conoscenze di base in materia di gestione del gruppo e dei conflitti. capacità L’insegnante è in grado di: - prendere in carico un gruppo o una classe, di affrontare i conflitti, sviluppare la partecipazione e la cooperazione tra allievi; - organizzare lo spazio della classe ed il tempo scolastico in funzione delle attività previste; - organizzare i diversi momenti di una sequenza; - adeguare le forme di intervento e di comunicazione ai tipi di situazioni e di attività previsti. attitudini In tutte le situazioni di insegnamento, l’insegnante garantisce la creazione di un contesto per l’esercizio sereno delle attività. 6. Prendere in considerazione la diversità di alunni e studenti L’insegnante traduce nella pratica i valori della diversità, che si tratti di reciproco rispetto o del - l’uguaglianza tra gli studenti. È in grado di differenziare l’insegnamento in funzione delle esigenze e delle capacità degli studenti in modo che ogni studente possa progredire. Tiene conto dei diversi ritmi di apprendimento in relazione ad ogni studente, compresi gli allievi con esigenze particolari. È in grado di ricorrere alla collaborazione dei partner della scuola, ove necessario. Conosce i meccanismi di apprendimento, la cui conoscenza è stata recentemente aggiornata, in particolare i contributi della psicologia cognitiva e delle neuroscienze. Stimola ogni studente a sviluppare una visione positiva circa le differenze nel rispetto dei valori e delle regole comuni repubblicane. 165 conoscenze L’insegnante conosce: - gli elementi di sociologia e psicologia che gli consentono di tenere in considerazione, nel quadro del suo insegnamento, la diversità degli studenti e delle loro culture; - i dispositivi educativi della presa in carico delle difficoltà scolastiche e degli studenti con disabilità. capacità L’insegnante è in grado di: - tenere in considerazione i ritmi di apprendimento degli studenti; - determinare, in base alle esigenze individuate, le misure necessarie per la progressiva acquisizione di conoscenze e saper-fare richiesto; - adeguare il suo insegnamento alla diversità degli studenti, ricorrendo in particolare agli strumenti informatici a sua disposizione; - nel primo grado, a contribuire, con il personale qualificato, all’attuazione delle misure di aiuto speciali; - nei licei, di porre in opera l’accompagnamento personalizzato; - partecipare alla progettazione di un projet personnalisé de scolarisation e di un projet d’accueil individualisé, rispettivamente per gli allievi con disabilità o malattia e gli studenti con esigenze speciali, sulla base di approcci e strumenti adeguati e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione adeguate. attitudini L’insegnate veglia: - per mantenere l’uguaglianza e l’equità fra gli allievi; - affinché ogni allievo si ponga con uno sguardo positivo verso se stesso e gli altri. 7. Valutare gli alunni e studenti L’insegnante è in grado di valutare i progressi dell’apprendimento ed il livello di acquisizione delle competenze conseguito dagli studenti. Utilizza i risultati delle valutazioni per adattare il suo insegnamento ai progressi fatti registrare dagli studenti. Fa comprendere agli studenti i principi della valutazione e sviluppa le loro capacità di valutare le proprie performance. Comunica e spiega ai genitori i risultati attesi e quelli effettivamente ottenuti dagli allievi. conoscenze L’insegnante conosce: - le diverse tipologie di valutazione che possono essere condotte e l’utilizzo che può esserne fatto; - i principi e strumenti per la validazione e la certificazione. capacità L’insegnante è in grado di: - comprendere le funzioni della valutazione; - sviluppare diversi tipi di valutazione per i diversi momenti dell’apprendimento, vale a dire: • definire il livello di valutazione; • utilizzare metodi di valutazione differenziati (test, schede di posizionamento, griglie di osservazione, etc.); • adattare il supporto e lo schema delle domande in relazione agli obiettivi ed al tipo di valutazione che si desidera realizzare; • esplicitare le istruzioni, guidare gli allievi nella realizzazione della valutazione; • esplicitare i criteri per il punteggio; • analizzare i successi e gli errori constatati; 166 • programmare attività di rafforzamento e di consolidamento degli apprendimenti acquisiti; - sviluppare le competenze degli allievi nel campo dell’autovalutazione; - praticare la convalida degli apprendimenti, la valutazione a carattere certificativo (esami, monitoraggio continuo della Formazione, competenze linguistiche incluse nel Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, livelli di convalida dello zoccolo comune, etc.). attitudini L’insegnante pratica la valutazione nel contesto di un rapporto chiaro e di fiducia e per questo: - misura i propri apprezzamenti; - valorizza l’esercizio e il lavoro personale degli studenti; - garantisce che ogni studente sia consapevole dei suoi progressi, del lavoro e dello sforzo necessario. 8. Padroneggiare le tecnologie informatiche e della comunicazione Tutti gli insegnanti sono investiti dalle problematiche riguardanti l’uso degli strumenti informatici e la loro integrazione nella pratica di insegnamento. Al termine della sua Formazione accademica l’insegnante deve avere acquisito le competenze per utilizzare e padroneggiare in forma ragionata le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella pratica professionale. Le conoscenze e le competenze richieste sono quelle relative alle competenze dell’attestato di Informatica e Internet al livello 2 Insegnante, rilasciato nel quadro della laurea magistrale. conoscenze L’insegnante padroneggia: - le conoscenze relative alle competenze comprese nel syllabus Informatica e Internet al livello 2 “Insegnante” (C2i); - i diritti e i doveri legati all’uso delle TIC. capacità L’insegnante è in grado di: - progettare, sviluppare e realizzare contenuti educativi e situazioni di apprendimento sulla base di strumenti e risorse informatiche; - partecipare all’educazione su diritti e doveri legati all’uso delle TIC; - essere coinvolto nell’educazione ad un uso etico e responsabile delle risorse informatiche fruibili in rete ed ai loro potenziali rischi e pericoli; - utilizzare gli strumenti offerti dalle TIC e quelli dell’apprendimento aperto ed a distanza per aggiornare le proprie conoscenze; - lavorare in rete con gli strumenti per il lavoro cooperativo. attitudini L’insegnante osserva un’attitudine: - critica nei confronti delle informazioni disponibili; - attenta e responsabile verso l’uso di strumenti interattivi richiesti dagli studenti. Egli aggiorna le conoscenze e le competenze nel corso della sua intera pratica professionale. 9. Lavorare in équipe e cooperare con i genitori e i partners L’insegnante partecipa alla vita della scuola elementare o dell’istituto scolastico. Contribuisce parimenti alla vita dell’istituzione scolastica al livello nel quale è inserito. Lavora con le équipes educative della scuola e delle sue diverse classi, così come con gli insegnanti della o delle sue discipline. Il Consiglio dei maestri nella scuola elementare, il Consiglio pedagogico presso i collège o le scuole 167 superiori costituiscono strumenti privilegiati di lavoro in équipe. L’insegnante collabora inoltre con genitori e con i partner della scuola. Aiuta gli studenti a costruire il loro progetto di orientamento. conoscenze L’insegnante conosce: - il ruolo e la funzione dei comitati dei genitori degli allievi; - i partner e le parti interessate al di fuori della scuola con cui cooperare; - per gli aspetti di sua competenza, le convenzioni ed i protocolli tra il Ministero della Pubblica Istruzione (Ministère de l’éducation nationale) e altri Ministeri ed Enti pubblici e privati; - i dispositivi di aiuto all’inserimento degli alunni; - le procedure di orientamento e le diverse modalità con cui gli allievi possono fruirne. capacità L’insegnante è in grado di: - inserire la propria pratica professionale nell’azione collettiva della scuola o istituto, in specie nella programmazione didattica, valutazione, orientamento, inserimento degli allievi, partenariati educativi; - comunicare con i genitori: • contribuendo a creare un dialogo costruttivo al fine di informarli circa gli obiettivi del suo insegnamento e delle attività didattiche, rendendo conto delle valutazioni con un linguaggio appropriato per esaminarne i risultati, la capacità dei loro figli, le difficoltà ed i possibili rimedi; • utilizzare le conoscenze in materia di orientamento per aiutare gli studenti ed i loro genitori nello sviluppo di un progetto professionale; - contribuire, in cooperazione con i partner all’interno e all’esterno dell’istituto, a risolvere specifiche difficoltà degli studenti nel campo della salute, dei comportamenti a rischio di povertà e di maltrattamento; - utilizzare le possibilità offerte dai servizi educativi presso i musei e altre istituzioni culturali, soprattutto nel contesto dell’educazione artistica e culturale; - promuovere il coinvolgimento dei genitori nella vita dell’istituto scolastico, così come nella valorizzazione dei saperi; - lavorare usando le reti digitali; - impegnarsi in attività di apprendimento. attitudini L’insegnante osserva, nell’esercizio della sua attività professionale, un’attitudine che favorisce il lavoro collettivo, il dialogo con i genitori e la dimensione collaborativa con i partner esterni alla scuola. 10. Formarsi ed innovare L’insegnante aggiorna le proprie conoscenze disciplinari, didattiche e pedagogiche. È in grado di fare appello a coloro che possono fornire aiuti o suggerimenti nell’esercizio della sua professione. È in grado di fare un’analisi critica del proprio lavoro e di modificare, se del caso, le pratiche di insegnamento. conoscenze L’insegnante conosce lo stato della ricerca: - nella sua disciplina; - nel campo della didattica, della pedagogia e della trasmissione delle conoscenze (processi di apprendimento, didattica delle discipline, uso delle TIC, etc.). L’insegnante conosce la politica educativa della Francia. 37 Cort, P, Härkönen, Volmari K. (2004), PROFF - Professionalisation of VET Teachers for the Future, Luxembourg: office for official Publications of the European Communities; Volmari K., Helakorpi S., Frimodt r. (Eds) (2009), Competence Framework for VET Professions. Handbook for Practitioners, Finnish National Board of Education and Editors. 168 capacità L’insegnante è in grado di sfruttare i contributi della ricerca e delle innovazioni pedagogiche per aggiornare le proprie conoscenze e valorizzarle nella pratica quotidiana. attitudini L’insegnante dà prova di curiosità intellettuale e sa mettere in questione il proprio insegnamento ed i metodi utilizzati. Ha fatto propria una logica di Formazione per tutto il corso della vita, anche attraverso l’uso delle reti digitali. 5.3.2. Il framework delle competenze dei formatori della Formazione Professionale PROFF Uno strumento estremamente utile come meta-framework per la costruzione di referenziali di competenza della figura del formatore è rappresentato dai lavori di Kristina Volmari, del Finnish National Board of Education, sia nell’ambito del programma TTNet – Training of Trainers Network, che di progetti di ricerca quali PROFF – Professionalisation of VET teachers for the future e Competence framework for VET professions.37 il progetto di ricerca ProFF, finanziato dal Cedefop, si è posto l’obiettivo di identificare le sfide presenti ed emergenti per gli insegnanti del settore della VEt in Europa (nuovi target group, nuovi paradigmi formativi, iCt, mutamenti nel mercato del lavoro, modifica dei quadri legislativi, etc.) e di esaminare il modo in cui tali sfide sono affrontate attualmente entro i diversi contesti nazionali. tali sfide rendono necessario un potenziamento della Formazione degli insegnanti e dei formatori e molte riforme attuate negli anni recenti hanno mostrato limiti evidenti per non aver posto adeguata attenzione su tali aspetti. L’analisi, attuata mediante studi di caso, evidenzia una serie di competenze la cui acquisizione è opportuno entri a far parte degli piani di Formazione iniziale e continua rivolti ai docenti della VEt. tra queste si distinguono alcune skill di carattere pedagogico ed andragogico collegate con gli sviluppi degli approcci basati sulla centralità dell’apprendente, altre di carattere professionale legate all’utilizzo delle nuove tecnologie e alle pratiche di apprendimento sempre più di tipo esperienziale in contesti reali di lavoro, ed infine sia le competenze comunicative e di team building che alcune altre di carattere manageriale ed organizzativo. La comparazione tra i profili nazionali del teacher e del trainer è condotta sulla base di un framework che verrà riproposto anche nel più completo Compe169 tence Framework for VET Professions. Handbook for Practitioners. quest’ultimo muove dal presupposto che uno dei settori prioritari per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della Formazione nel periodo 2009-2011 sia lo sviluppo professionale di insegnanti e formatori. L’attenzione si concentra sulla qualità della Formazione iniziale, sulle forme di sostegno e accompagnamento alla professione per i nuovi insegnanti, oltre che sull’innalzamento della qualità delle opportunità di sviluppo professionale continuo per insegnanti, formatori e altro personale educativo. i requisiti per la qualificazione e la Formazione degli operatori della VEt variano notevolmente da Paese a Paese. Pertanto un quadro coerente di competenze per gli insegnanti, formatori e direttori diviene strategico per sostenere lo sviluppo dell’insegnamento e della Formazione Professionale in Europa. Vi è un interesse diffuso nello sviluppo di standard e nella definizione di profili professionali che inquadrino le capacità di base e le competenze di cui necessitano insegnanti e formatori della VEt in rapporto ai nuovi scenari che caratterizzano la pratica professionale. questo interesse si collega inoltre all’introduzione del quadro europeo delle qualifiche (EqF). Lo sviluppo del quadro europeo delle qualifiche e dei quadri nazionali delle qualifiche (NqF) possono essere interpretati come un segnale di un atteggiamento più positivo nei confronti dello sviluppo di quadri di competenze ed il loro utilizzo in vista dello sviluppo della professionalità dei singoli e delle loro comunità di lavoro. il lavoro si propone di fornire un quadro coerente per individuare le attività di base e le aree di competenza delle professioni nella VEt nonché la capacità e competenze che sono emerse più di recente, come il ruolo di insegnanti e formatori nelle attività di counselling sia verso gli studenti che delle loro famiglie. oltre a supportare lo sviluppo professionale degli individui e delle organizzazioni il framework promuove la trasparenza e la mutua leggibilità tra scenari nazionali. il framework si articola su quattro aree comuni di attività: amministrazione, Formazione, sviluppo e assicurazione della qualità e networking (Fig. n. 9). Fig. 9 - Competence Framework for VET Professions - Aree comuni di attività Fonte: Competence Framework for VEt Professions nuovi insegnanti, oltre che sull’innalzamento della qualità delle opportunità di sviluppo professionale continuo per insegnanti, formatori e altro personale educativo. I requisiti per la qualificazione e la Formazione degli operatori della VET variano notevolmente da Paese a Paese. Pertanto un quadro coerente di competenze per gli insegnanti, formatori e direttori diviene strategico per sostenere lo sviluppo dell’insegnamento e della Formazione Professionale in Europa. Vi è un interesse diffuso nello sviluppo di standard e nella definizione di profili professionali che inquadrino le capacità di base e le competenze di cui necessitano insegnanti e formatori della VET in rapporto ai nuovi scenari che caratterizzano la pratica professionale. Questo interesse si collega inoltre all’introduzione del Quadro europeo delle qualifiche (EQF). Lo sviluppo del Quadro europeo delle qualifiche e dei quadri nazionali delle qualifiche (NQF) possono essere interpretati come un segnale di un atteggiamento più positivo nei confronti dello sviluppo di quadri di competenze ed il loro utilizzo in vista dello sviluppo della professionalità dei singoli e delle loro comunità di lavoro. Il lavoro si propone di fornire un quadro coerente per individuare le attività di base e le aree di competenza delle professioni nella VET nonché la capacità e competenze che sono emerse più di recente, come il ruolo di insegnanti e formatori nelle attività di counselling sia verso gli studenti che delle loro famiglie. Oltre a supportare lo sviluppo professionale degli individui e delle organizzazioni il framework promuove la trasparenza e la mutua leggibilità tra scenari nazionali. Il framework si articola su quattro aree comuni di attività: amministrazione, Formazione, sviluppo e assicurazione della qualità e networking (cfr. Fig. n. 9). 8+   # 7&      Fonte: Competence Framework for VET Professions Le quattro aree costituiscono il nucleo di core competences che possono essere reperite in tutti i contesti in cui sono coinvolti professionisti del settore della VET. Il peso e l’importanza delle diverse aree variano tra contesti nazionali e occupazionali. Mentre le aree della Formazione ed amministrazione possono essere considerate la dimensione operativa della professione, lo sviluppo e assicurazione della qualità ed il networking ne rappresentano la dimensione strategica. In un lavoro del 2006 sul medesimo filone tematico, frutto del progetto Defining VET Professions in Line with EQF promosso dal Training of Trainers Network (TT Net) della Commissione Europea, nel definire le professioni della VET gli autori, in particolare Salatin, introducono il concetto di famiglia professionale. La nozione consente di enucleare il tronco di competenze comuni ad una serie di professionalità differenziate e contigue e al tempo stesso di 170 Le quattro aree costituiscono il nucleo di core competences che possono essere reperite in tutti i contesti in cui sono coinvolti professionisti del settore della VEt. il peso e l’importanza delle diverse aree variano tra contesti nazionali e occupazionali. Mentre le aree della Formazione ed amministrazione possono essere considerate la dimensione operativa della professione, lo sviluppo e assicurazione della qualità ed il networking ne rappresentano la dimensione strategica. in un lavoro del 2006 sul medesimo filone tematico, frutto del progetto Defining VET Professions in Line with EQF promosso dal Training of Trainers Network (tt Net) della Commissione Europea, nel definire le professioni della VEt gli autori, introducono il concetto di famiglia professionale. La nozione consente di enucleare il tronco di competenze comuni ad una serie di professionalità differenziate e contigue e al tempo stesso di strutturarne le specificità associate a diversi contesti, ruoli e funzioni.38 il costrutto di famiglia professionale acquista un valore di rilievo sia sotto il profilo interpretativo che nella classificazione e descrizione delle figure professionali in termini di competenze, considerando il processo di crescente differenziazione delle professionalità che il mondo della scuola ha conosciuto negli anni recenti. il concetto di famiglia professionale aiuta a circoscrivere inoltre la crescita delle funzioni e responsabilità sempre più associate ad una figura professionale, in questo caso al trainer, rispetto al passato, con l’attribuzione di ruoli nell’analisi dei fabbisogni, nell’orientamento e nell’assicurazione della qualità, in risposta a sistemi sociali che attribuiscono alla sfera dell’education bisogni sempre più complessi. Ne deriva una modificazione del ruolo stesso del trainer ed una profonda trasformazione della sua identità professionale, pena la rapida obsolescenza delle competenze possedute. Per tale ragione i professionisti della VEt necessitano di acquisire nuove conoscenze e capacità, non solo legate alle cosiddette soft skills (comunicazione, gestione del cambiamento, team working, self-development, etc.) ma anche abilità pedagogiche e culturali, basate sulla centralità dell’apprendente, sull’apprendimento on the job o workplace, o ancora web-based, così come sul servizio orientato al cliente. inoltre, si registra la necessità di includere nella famiglia professionale del trainer anche le competenze legate all’utilizzo delle comunità di pratica ed alla progressiva specializzazione attraverso l’uso della Formazione continua. 38 Frimodt r., Volmari K., Salatin A., Carlini D., di Giambattista C. (2006), Defining VET Professions in Line with the European Qualifications Framework. Final Results, Cedefop, thessaloniki. 39 Midoro V. (a cura di) (2005), A Common European Framework for Teachers’ Professional Profile in ICT for Education, Pescara, Menabò. 171 5.3.3. Profilo professionale del formatore nell’ICT: European uTeacher uTeacher è un progetto finanziato nell’ambito della iniziativa Europea eLearning per il periodo dicembre 2004 - giugno 2005. uTeacher si proponeva di comprendere quale fosse il profilo professionale tipo di un docente sotto il profilo dell’iCt, necessario per operare entro il settore dell’education al tempo della società della conoscenza. questo profilo professionale è quello che consente all’insegnante, quale che sia l’area disciplinare di stretta competenza, di modificare il proprio ruolo adeguandolo alle nuove sfide. Per descrivere le caratteristiche generali di queste nuove competenze, uTeacher ha elaborato uno strumento indicato come Common European Framework for Teachers’ Professional Profile in ICT for Education.39 Allo scopo di definire le caratteristiche della pratica sono stati individuati gli ambienti con cui il docente interagisce, che rappresentano altrettante dimensioni entro cui si precisano e si sviluppano set di competenze specifici e tra loro interconnessi. Gli ambienti sono definiti dagli autori nei termini seguenti. – Se stesso. il docente riflette sulla propria pratica cercando di adeguarla al contesto che cambia. – Allievi. il docente adegua il proprio insegnamento alla nuova visione della scuola, dei processi di apprendimento e dei rapporti con i ragazzi. – Colleghi. Nella scuola attuale, l’insegnante opera individualmente, con rari momenti collettivi. Nella scuola della società dell’informazione, l’insegnante è membro di una comunità di pratica, che coinvolge i colleghi della propria scuola, quelli della propria disciplina e, più in generale, tutta la classe docente. – Ambiente esterno. L’ambiente esterno è costituito da un universo composito che va dai genitori dei ragazzi, al territorio, dal proprio Paese all’intero pianeta. in una scuola nuova, l’ambiente, con le sue ricchezze naturali e sociali, è una risorsa per la scuola, così come questa è una risorsa per l’ambiente. La professionalità dell’insegnante dovrà dunque consentirgli di interagire efficacemente con i diversi ambienti descritti e le iCt diverranno strumenti importanti per amplificare le possibilità d’interazione. in uTeacher sono stati individuati otto settori di competenza che rappresentano gli ambiti specifici dell’interazione: Pedagogia, Contenuti disciplinari, organizzazione, tecnologia, Sviluppo Professionale, Etica, Politica, innovazione. incrociando gli ambienti di interazione con i settori si ottengono le 32 aree di competenza, descritte nel framework di uTeacher (Fig. 10). Per ciascun ambito di competenza vengono descritte brevemente le attività svolte e le conoscenze richieste. Posizionamento di una situazione-tipo rispetto ad una molteplicità di variabili Un secondo contributo rilevante è offerto dai lavori della Peer Learning Activity (PLA) del Focus Group europeo su insegnanti e formatori del sistema VEt, costituito nell’ambito del Programma Education and Training 2010, dal titolo Insegnanti della VET come agenti di cambiamento per l’autonomia delle scuole dell’Istruzione 172 e Formazione Professionale.40 il gruppo è composto da rappresentanti dei ministeri, parti sociali e organizzazioni non governative, integrati da membri della Commissione, dell’European Training Foundation (EtF). Gli obiettivi principali della PLA possono essere richiamati sinteticamente: – dibattere i differenti approcci allo sviluppo degli insegnanti VEt come agenti di cambiamento per l’autonomia delle scuole; – riflettere sul modo in cui tali approcci possono essere trasferiti nel contesto dei sistemi VEt di differenti realtà nazionali; – formulare proposte per supportare le politiche di sviluppo in relazione al ruolo del settore della VEt. Fig. 10 - Struttura del Common European Framework for Teachers’ Professional Profile in ICT for Education Fonte: Midoro V. (a cura di), 2005 La tematica impatta pertanto con le nuove competenze richieste ai docenti della VEt per poter assolvere il ruolo di promotori del cambiamento all’interno di un processo di acquisizione di progressiva autonomia da parte delle istituzioni formative della VEt. Per poter definire la situazione-tipo che caratterizza i diversi contesti nazionali ed esplorare le relazioni reciproche che intercorrono tra loro, allo scopo di giungere ad una valutazione comparata, si è sviluppato un diagramma di riferimento sul modello del quadrante ad assi cartesiani. il diagramma consente di collocare una situazione- tipo rispetto ad una molteplicità di variabili e di sviluppare una classificazione dei diversi gradi di autonomia di cui gode la scuola, articolati su quattro qua- 40 European Focus Group on VEt teachers and trainers (2008), Peer Learning Activity on VET Teachers as Change Agents for the Autonomy of VET Schools, Summary report. (http: //www.cpi.si/ novica.aspx?id=155) sue ricchezze naturali e sociali, è una risorsa per la scuola, così come questa è una risorsa per l’ambiente. La professionalità dell’insegnante dovrà dunque consentirgli di interagire efficacemente con i diversi ambienti descritti e le ICT diverranno strumenti importanti per amplificare le possibilità d’interazione. In uTeacher sono stati individuati otto settori di competenza che rappresentano gli ambiti specifici dell’interazione: Pedagogia, Contenuti disciplinari, Organizzazione, Tecnologia, Sviluppo Professionale, Etica, Politica, Innovazione. Incrociando gli ambienti di interazione con i settori si ottengono le 32 aree di competenza, descritte nel framework di uTeacher (cfr. Fig. n. 10). Per ciascun ambito di competenza vengono descritte brevemente le attività svolte e le conoscenze richieste. Posizionamento di una situazione-tipo rispetto ad una molteplicità di variabili Un secondo contributo rilevante è offerto dai lavori della Peer Learning Activity (PLA) del Focus Group europeo su insegnanti e formatori del sistema VET, costituito nell’ambito del Programma Education and Training 2010, dal titolo Insegnanti della VET come agenti di cambiamento per l’autonomia delle scuole dell’Istruzione e Formazione Professionale.40 Il gruppo è composto da rappresentanti dei ministeri, parti sociali e organizzazioni non governative, integrati da membri della Commissione, dell’European Training Foundation (ETF). Gli obiettivi principali della PLA possono essere richiamati sinteticamente: dibattere i differenti approcci allo sviluppo degli insegnanti VET come agenti di cambiamento per l’autonomia delle scuole; riflettere sul modo in cui tali approcci possono essere trasferiti nel contesto dei sistemi VET di differenti realtà nazionali; formulare proposte per supportare le politiche di sviluppo in relazione al ruolo del settore della VET. 9"  +    # !   +#     Fonte: Midoro V. (a cura di), 2005  40 European Focus Group on VET Teachers and Trainers (2008), Peer Learning Activity on VET Teachers as Change Agents for the Autonomy of VET Schools, Summary Report. (http://www.cpi.si/novica.aspx?id=155) 173 dranti distinti. Le variabili sono rappresentate da autonomia e controllo, poste agli estremi dell’asse verticale, e da responsabilità dello Stato (esterna) e responsabilità dell’istituzione scolastica (interna), poste sull’asse orizzontale (Fig. 11). i quadranti delimitano lo spazio all’interno di un contunuum che intercorre tra gli estremi delle quattro variabili considerate. Ciascuna situazione-tipo, in questo caso il modello di autonomia della scuola nel sistema VEt presente nei diversi Stati membri, può essere posizionato e raffrontato con gli altri casi. Fig. 11 - Diagramma per la valutazione del ruolo dell’insegnante in funzione del grado di responsabilità ed autonomia delle scuole (VET) Fonte: Competence Framework for VEt Professions, 2008 5.4. IL PROCESSO VALUTATIVO 5.4.1. L’Evaluation Cycle il caso classico in tema di articolazione del processo di valutazione degli insegnanti/ formatori è rappresentato da quello inglese, basato sul ciclo di vita della valutazione (Evaluation Cycle). il Ministero per l’infanzia, la Scuola e la Famiglia ha predisposto una guida per accompagnare l’introduzione del nuovo sistema di valutazione dei docenti da parte delle scuole, ricco di esempi e di buone pratiche che possono essere di aiuto per la costruzione del sistema di performance management.41 41 Department for Children, Schools and Families (DCSF) (2009b), Teachers’ and Head Teachers’ Performance Management – Guidance, London: DCSF. La tematica impatta pertanto con le nuove competenze richieste ai docenti della VET per poter assolvere il ruolo di promotori del cambiamento all’interno di un processo di acquisizione di progressiva autonomia da parte delle istituzioni formative della VET. Per poter definire la situazione-tipo che caratterizza i diversi contesti nazionali ed esplorare le relazioni reciproche che intercorrono tra loro, allo scopo di giungere ad una valutazione comparata, si è sviluppato un diagramma di riferimento sul modello del quadrante ad assi cartesiani. Il diagramma consente di collocare una situazione-tipo rispetto ad una molteplicità di variabili e di sviluppare una classificazione dei diversi gradi di autonomia di cui gode la scuola, articolati su quattro quadranti distinti. Le variabili sono rappresentate da autonomia e controllo, poste agli estremi dell’asse verticale, e da responsabilità dello stato (esterna) e responsabilità dell’istituzione scolastica (interna), poste sull’asse orizzontale (cfr. Fig. n. 11). I quadranti delimitano lo spazio all’interno di un contunuum che intercorre tra gli estremi delle quattro variabili considerate. Ciascuna situazione-tipo, in questo caso il modello di autonomia della scuola nel sistema VET presente nei diversi Stati membri, può essere posizionato e raffrontato con gli altri casi. (               -#.  Fonte: Competence Framework for VET Professions, 2008 5.4. Il processo valutativo 5.4.1. L’Evaluation Cycle Il caso classico in tema di articolazione del processo di valutazione degli insegnanti / formatori è rappresentato dal caso inglese, basato sul ciclo di vita della valutazione (Evaluation Cycle). Il Ministero per l’Infanzia, la Scuola e la Famiglia ha predisposto una guida per accompagnare l’introduzione del nuovo sistema di valutazione dei docenti da parte delle scuole, ricco di esempi e 174 il processo di valutazione si articola in una serie di fasi consecutive, di cui lo stadio iniziale è rappresentato da un incontro programmatorio (planning meeting) che si tiene all’inizio di ogni ciclo valutativo tra il valutatore (reviewer) e l’insegnante oggetto dell’attività valutativa (reviewee). Gli aspetti che vengono considerati nel corso della riunione in cui si procede all’impostazione della fase operativa riguardano in primo luogo gli obiettivi individuali del valutato in relazione alla sua job description e all’annualità di servizio. inoltre vengono definite le modalità per l’osservazione della pratica didattica all’interno della classe, oltre ad eventuali e ulteriori evidenze da utilizzare ai fini valutativi, quali ad esempio la testimonianza orale o scritta di ulteriori docenti. La riunione di programmazione è utile anche ad esplicitare con chiarezza quali siano i criteri sulla base dei quali si procederà alla verifica della performance, oltre al supporto che verrà fornito al valutato ai fini di venire incontro ai criteri di giudizio, così come i fabbisogni formativi e di sviluppo professionale necessari al raggiungimento degli standard e le azioni che devono essere intraprese per farvi fronte. Gli elementi del processo di valutazione devono essere traguardati in rapporto alla qualificazione ed alla posizione in cui rientra l’insegnante, così come ai criteri per la progressione negli scaglioni retributivi, agli obiettivi di sviluppo fissati per l’intero istituto scolastico e a ciò che ci si può attendere dalla specifica posizione in cui opera il valutato. Accanto a tali criteri, hanno un peso considerevole anche le aspirazioni professionali individuali, la rilevanza di alcuni standard professionali e la propensione del candidato in merito alla ricerca di un buon equilibrio tra le attività lavorative e il tempo da dedicare ad altre forme di impegno. A conclusione del planning meeting, entro la scadenza di cinque giorni deve essere redatto dal valutatore un documento di prima approssimazione contenente le disposizioni per la fase di valutazione, documento che assumerà una versione definitiva entro dieci giorni dalla realizzazione dell’incontro, con la possibilità per il candidato di apportare modifiche ed integrazioni in entrambe le fasi di redazione. Lo stadio preparatorio e programmatorio, prima tappa del cosiddetto ciclo di valutazione (cycle), deve essere completato per tutto il personale docente entro il mese di ottobre di ciascun anno scolastico. A conclusione di ogni ciclo si tiene una riunione di revisione (review meeting) allo scopo di vagliare il grado di performance dimostrato dall’insegnante nel corso dell’intero periodo di osservazione in rapporto ai criteri fissati e, laddove il valutato possieda i requisiti per un avanzamento retributivo, di formalizzarne la richiesta. i docenti compresi nella fascia retributiva di base (main scale) di norma possono aspirare ad un incremento annuale, a meno di una valutazione particolarmente positiva che ne determini un ulteriore scatto di avanzamento. Non si rende comunque necessaria una richiesta diretta al dirigente scolastico, dato che per procedere al livello retributivo superiore è sufficiente superare la verifica annuale. Negli altri casi, in particolare se il docente figura nella upper scale pay o possiede lo status di 175 Advantage Skills Teacher, il valutatore è tenuto a fare una richiesta di promozione salariale diretta al preside, che ha facoltà di decisione. L’osservazione dell’attività didattica dell’insegnante all’interno della classe rappresenta uno degli strumenti principali per giungere alla valutazione della performance dell’insegnante. La sua finalità prioritaria è di tipo supportivo, volta allo sviluppo professionale. Per tale ragione la scelta del momento, della durata e degli osservatori è strettamente collegata alle necessità di sviluppo professionale dell’insegnante esaminato. Per ciascun ciclo di osservazione annuale in classe è previsto un limite di tre ore, tuttavia i documenti riguardanti il teacher performance management sottolineano come tale durata debba essere intesa come estensione massima e non come un periodo standard. L’osservazione è compiuta di norma dal reviewer, ma i dirigenti d’istituto possono decidere di affidare tale compito, in particolari circostanze, anche ad ulteriori esperti esterni che possiedano un’adeguata esperienza professionale. L’osservazione non risulta fine a se stessa ma è finalizzata, oltre che a fornire un’indicazione al preside, anche a fornire un utile feedback all’esaminato. Per tale ragione, di norma un commento sull’esito dell’osservazione viene effettuato alla conclusione della sessione valutativa o nei giorni immediatamente successivi. La valutazione verte generalmente su una serie di obiettivi definiti in rapporto agli standard professionali di performance, ma il valutatore può allargare la propria osservazione sino a prendere in considerazione il grado di performance nel suo complesso. Nell’eventualità che il periodo di osservazione ed i giudizi che ne derivano, suscitino forme di disaccordo o di protesta, è comunque possibile che la sessione osservativa venga ripetuta successivamente su richiesta dell’esaminato. infine, la pratica di osservazione all’interno della classe può essere utilizzata non solo a fini valutativi ma anche di sviluppo della professionalità mediante il supporto reciproco tra insegnanti. in tal caso la pratica si svolge su base volontaria e assume la forma della peer review, distinguendosi quindi sia per il carattere volontario che per il rapporto paritetico tra osservatore e osservato, dal teacher performance management in senso stretto. 5.4.2. La valutazione della performance dei formatori collegata al sistema di assicurazione della qualità dell’istituzione educativa Un riferimento guida nel campo della valutazione della qualità degli insegnanti considerata all’interno del più ampio sistema di gestione della qualità prodotta dall’istituto è costituito dal sistema EvaMAB adottato nel Cantone di zurigo. qui, sin dal 1999, da parte dell’amministrazione pubblica si è dato avvio ad una rilevante esperienza di valutazione del corpo docente delle scuole pubbliche, incluso nel più complesso sistema di assicurazione della qualità erogata a livello di istituto. Nel caso concreto si è partiti dal presupposto che, per far fronte alle nuove sfide sociali ed economiche, occorresse attribuire maggiore autonomia agli istituti 176 scolastici. tale autonomia parziale (Teilautonomie) comprende i programmi, l’organizzazione e la gestione della scuole come pure maggiori margini di manovra a livello finanziario (Bildungsdirektion Zürich 2000). in quest’ottica le singole scuole sono sollecitate a sviluppare un management della qualità consapevole e trasparente. il progetto zurighese muove dalla critica ai modelli di certificazioni che perseguono la logica della descrizione di un sistema, in particolare le norme internazionali iSo, in quanto se da un lato tali norme certificano la professionalità del management interno, non sono in grado di fornire indicazioni circa la qualità in sé di un’istituzione scolastica. Si è ritenuto pertanto che fosse necessario cercare di sviluppare sistemi su basi pedagogiche che fossero in grado di integrare autovalutazione, informazione e valutazione esterna. inoltre, si rendeva necessario individuare un sistema di qualità capace di coordinare i tre livelli rappresentati dalla classe, dall’istituto scolastico e dal sistema scuola nel suo complesso. Su tali basi il Cantone di zurigo ha concepito un modello denominato Management della qualità nella scuola dell’obbligo, nella scuola medio superiore e nella scuola professionale che si propone di prendere in considerazione l’insieme della scuola pubblica, ad eccezione della Formazione superiore. il modello poggia su tre pilastri, rispetto ai quali viene effettuata una valutazione sia interna che esterna. innanzitutto primo pilastro è rappresentato dal management interno all’istituto scolastico, dove gli elementi strutturanti sono identificati in: – un’autovalutazione e un feedback sistematici sull’insegnamento e gli insegnanti; – una valutazione tematica (Fokusevaluation) da svolgere a scadenze regolari (ogni 2-3 anni) su un aspetto importante della realtà dell’istituto; – una valutazione complessiva del management della qualità da effettuarsi a cadenza di 4-6 anni con la produzione della relativa documentazione. il secondo pilastro è costituito dalla valutazione esterna della scuola e dei docenti: – la valutazione degli insegnanti fa già parte della procedure istituzionali ed è assunta da istanze diverse a seconda che si tratti della scuola elementare o di altri ordini di scuola; – periodicamente (di norma ogni 4-6 anni) si procede ad una valutazione esterna della qualità della scuola tramite un istituto creato appositamente a livello cantonale o da parte di un istituto intercantonale a seconda dell’ordine scolastico. il terzo pilastro è rappresentato dal controllo della Formazione (Bildungscontrolling) da parte del Dipartimento dell’Educazione. il Controlling formativo serve al cantone per acquisire le informazioni generali necessarie per la gestione della scuola. in tal senso si lavora sulla base di procedure specifiche che riguardano budget globali con mandati di prestazione, la statistica scolastica, analisi scientifiche su vasta scala, etc. 177 Nei primi anni Duemila molte scuole medie superiori e numerose scuole professionali hanno avviato sperimentazioni tese a testare i diversi elementi del modello. Successivamente sono stati definiti standard procedurali dotati di valore vincolante. il sistema è entrato in vigore a regime nel corso del 2005. Per lo sviluppo e il coordinamento del management della qualità ciascuna scuola ha a disposizione un determinato monteore da assegnare ad un gruppo di progetto. Ulteriori ore possono essere attribuite in base a contrattazioni specifiche. Ciascun istituto scolastico ha diritto inoltre ad una forma di consulenza esterna della durata di 3-5 giorni l’anno. in linea di massima per il finanziamento del management della qualità ci si orienta secondo gli standard internazionali che prevedono per il contesto educativo dallo 0,5% all’1% della massa salariale. Dopo aver descritto il sistema di valutazione della qualità nel suo complesso sviluppato nel Cantone di zurigo, è possibile soffermarsi sulla parte strettamente collegata alla valutazione dei docenti. il sistema di valutazione, denominato EvaMAB (Wissenschaftliche Evaluation der Mitarbeiterbeurteilung für Lehrkräfted der Zürcher Volksschule) si articola su quattro elementi, dei quali i primi due sono posti in rapporto diretto con i risultati dell’attività valutativa: – Rapporto di osservazione (Beobachtungsbericht). Si tratta del documento redatto dal valutatore che descrive i risultati dell’osservazione in classe del - l’esaminato, sulla base di un minimo di due visite ispettive presso altrettante classi di allievi. – Rapporto di ricognizione (Erkundungsbericht). Viene redatto dal valutatore sulla base dell’intera attività di assessment e contiene le osservazioni circa il grado di performance complessivo dimostrato dal docente esaminato. – Dossier sulla pratica di insegnamento e di programmazione didattica (Selbstbeurteilung). il documento viene predisposto dall’insegnante prima della fase di valutazione e contiene la descrizione critica delle pratiche di insegnamento e di programmazione didattica che abitualmente pone in atto nel corso della propria attività professionale. Si sofferma sugli obiettivi didattici che sottendono l’azione formativa e sulle metodologie comunemente impiegate nella pratica d’aula o di laboratorio. Viene consegnato al valutatore nel corso del processo di assessment. – Auto-valutazione personale. Contiene gli esiti dell’autovalutazione cui l’insegnante si sottopone individualmente, sulla base dei medesimi criteri utilizzati per l’assessment esterno e viene mantenuto riservato. La valutazione viene effettuata con cadenza almeno quadriennale e condotta da un team costituito da un rappresentante del dipartimento di Educazione del Cantone ed uno o due rappresentanti del corpo insegnante. i valutatori per svolgere la propria funzione devono aver frequentato uno specifico corso di Formazione che consenta una padronanza delle metodologie del sistema EvaMAB. 178 L’impatto che l’attività di valutazione ha sul salario degli insegnanti valutati dipende dal livello di carriera in cui si inquadra il docente. Nel Cantone di zurigo sono previsti tre distinti gradi, corrispondenti alla fase di ingresso, di progressione principale e di maturità di servizio. i risultati della valutazione hanno un effetto sul passaggio tra fasi successive di avanzamento di carriera, ad esempio dalla fase principale a quella della maturità, mentre non si applica ai docenti che stanno progredendo entro una delle tre fasi. Lo scatto da una fase a quella successiva, in caso di assessment positivo, dà diritto ad un incremento salariale annuo in un range tra l’1% ed il 3% nei tre anni consecutivi. Nel caso i risultati dell’attività valutativa non siano considerati soddisfacenti, la promozione alla fase successiva è rinviata di un anno e l’insegnante ed il team di valutazione si accordano su una serie di misure di supporto, anche formativo, tese a fronteggiare le criticità riscontrate nella pratica professionale. 5.5. LA VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI E FORMATORI DI NUOVA NOMINA i primi anni di carriera dell’insegnante sono fondamentali per il suo sviluppo professionale, nonché personale. Ci si riferisce ai vari processi mediante i quali gli insegnanti di prima nomina sono avviati alla professione e sono normalmente associati ai primi anni di insegnamento a conclusione di un programma di Formazione iniziale. Pertanto, l’introduzione alla professione riveste un ruolo centrale nell’apprendimento permanente continuo, creando opportunità per riferirsi alla Formazione iniziale degli insegnanti e prepararli allo sviluppo professionale continuo nell’arco di tutta la carriera. il periodo di primo inserimento, della durata in genere di un anno scolastico, mira a fornire sostegno e supporto di carattere personale, sociale e professionale ed è soggetto di una specifica forma di valutazione. il periodo di primo inserimento fornisce innanzitutto un sostegno di carattere professionale, in quanto intende sviluppare le competenze dell’insegnante neo assunto (in pedagogia, didattica, ambito disciplinare, ecc.). tale sostegno può incentrarsi sullo sviluppo delle competenze effettive da applicare nell’attività didattica e sull’approfondimento della conoscenza dell’ambito disciplinare, pedagogico e didattico. il sostegno professionale durante i programmi di introduzione alla professione consente di avviare il processo permanente di apprendimento successivo alla fase iniziale e di colmare il divario tra la Formazione iniziale degli insegnanti e lo sviluppo professionale continuo. il sostegno professionale può non solo contribuire a potenziare la professionalità individuale degli insegnanti di nuova nomina, ma può altresì contribuire a potenziare la professionalità nella scuola nel suo complesso. tale sostegno mira inoltre ad aiutare il neoinsegnante a sviluppare la propria identità di insegnante. Nei primi mesi e anni di carriera deve superare diverse 179 sfide professionali e personali. Dalla ricerca emerge che i neoinsegnanti affrontano diverse situazioni problematiche man mano che fanno carriera. Ciò può comportare una perdita di fiducia in se stessi, un’esperienza di stress e ansia eccessivi e può portare a mettere in dubbio la propria competenza come insegnante e come persona. Una fase di introduzione alla professione può sostenere l’insegnante in questo stadio di sopravvivenza e aiutarlo a sviluppare il proprio profilo personale. i nuovi insegnanti nei programmi di introduzione alla professione generalmente riferiscono sentimenti crescenti di competenza, motivazione, appartenenza, sostegno e attenzione come risultato della loro esperienza nel programma. Ciò rappresenta un passo avanti verso una maggiore fiducia degli insegnanti in se stessi e contribuisce a evitare l’abbandono della professione. infine, il programma di introduzione alla professione può sostenere il nuovo insegnante nel diventare membro della scuola e della comunità professionale; la collaborazione reciproca può stimolare la discussione e lo scambio di nuove idee. Un importante fattore del sostegno sociale dei neo insegnanti nelle scuole è rappresentato dalla cultura scolastica. Gli insegnanti neo assunti possono sentirsi accettati molto più facilmente all’interno di un gruppo aperto a nuove idee e innovazioni e abituato alla collaborazione. il sostegno sociale consente la creazione e il sostegno di un ambiente di apprendimento collaborativo all’interno della scuola e tra le parti interessate nel sistema di istruzione (genitori, comunità, ecc.). Nel panorama internazionale posto sotto esame si è potuto cogliere come le figure che assolvono la funzione di tutoring e di mentoring nel periodo iniziale di prova degli insegnanti di nuova nomina, nelle esperienze più evolute sono selezionate e formate mediante procedure formalizzate a garanzia della qualità del servizio prestato. Nel contesto francese ed inglese le competenze minime del tutor sono circoscritte e definite. inoltre, in entrambi i casi l’azione di accompagnamento e di monitoraggio, che persegue una finalità formativa e non di mero controllo, è orientata dall’utilizzo di dispositivi consolidati, quali programmi formalizzati per la gestione di supporti formativi volti alla qualificazione professionale, con la definizione di precise policy di istituto da parte del preside e, quando previsto, del consiglio direttivo. Nel caso inglese i tutor di accompagnamento nella fase di induction sono coordinati dal CPD Leader, garantendo in tal modo una supervisione tesa a garantire uniformità di giudizio e corretta applicazione degli aspetti procedurali, oltre che un’effettiva connessione con la policy scolastica complessiva di sviluppo della professionalità degli insegnanti. Esemplificazioni 5.5.1. La valutazione nei programmi di introduzione alla professione: il modello inglese dell’Induction La riforma del sistema scolastico inglese varata nel 1998 introduce l’obbligatorietà di un periodo di inserimento in prova denominato induction, da parte di tutti 180 gli insegnanti di nuova qualifica (newly qualified teachers).42 La fase di inserimento, della durata di un anno, prevede che i nuovi insegnanti vengano sottoposti ad un periodo di osservazione, e che possano godere di specifiche misure quali l’offerta di un accompagnamento prolungato e di sostegno nello stadio di primo accesso alla professione. L’implementazione del periodo di prova nell’attività professionale prende avvio nel maggio del 1999, quando a tutti gli insegnanti in Formazione da poco entrati in possesso del qtS viene richiesto di portare a termine un periodo di tre trimestri (terms), equivalenti ad un’annualità. L’assolvimento del periodo di induction risponde allo scopo di condurre gli allievi ad un livello di professionalità misurata su precisi standard nazionali di riferimento. Più recentemente nuovi standard, riformulati dalla tDA e che vanno sotto il termine di core standards, rappresentando la parte basilare degli attuali standard professionali dell’insegnante introdotti nel 2007, fungono da referenziali per il completamento del periodo di inserimento dei docenti nella scuola.43 Alla stessa stregua degli standard per il Qualified Teacher, seguono un’articolazione in attitudini professionali, conoscenze e sapere professionale, oltre che capacità professionali. La loro funzione, come nel caso degli standard qtS, è quella di fornire un referenziale in termini di competenze per misurare l’effettiva padronanza delle attività professionali.44 il periodo di prova combina un programma individualizzato di accompagnamento, che fornisce opportunità di approfondimento delle conoscenze, capacità e livelli di raggiungimento in relazione agli standard per l’ottenimento del qtS, con una valutazione sistematica del grado di performance via via ottenuto dai neodocenti. Le diverse e tra loro integrate attività di supporto tengono conto dei punti di forza e delle aree di sviluppo, così come definiti nel profilo di ingresso nella carriera e di successivo sviluppo (Career Entry and Development Profile: CEDP), cui si è accennato in precedenza, che accompagna ciascun nuovo insegnante dal termine della Formazione iniziale sino al primo impiego, tenendo traccia del patrimonio di competenze acquisite e del loro livello di raggiungimento. il CEDP è costituito da una risorsa di tipo on-line rivolta agli allievi ed ai docenti in prova e fornisce un framework rispetto al quale individuare le acquisizioni, gli obiettivi e le dinamiche dei bisogni di sviluppo professionale. 42 Teaching and Higher Educatio n Act (1998). 43 training and Development Agency for Schools (tDA) (2007a), Professional Standards for Teachers: Core, London: tDA, (http: //www.tda.gov.uk/upload/resources/pdf/s/standards_core.pdf). 44 Per la consultazione del materiale di orientamento predisposto ad uso degli insegnanti neoqualificati si veda: Department for Children Schools and Families (DCSF) (2008a), Statutory Guidance on Induction for Newly Qualified Teachers in England, London: DCSF, (http: //www.teachernet.gov. uk/_doc/12703/080623%20 induction%20Statutory %20Guidance.pdf); training and Development Agency for Schools (tDA) (2007c), Supporting the Induction Process: TDA Guidance for Newly Qualified Teachers, London: tDA, (http: //www.tda.gov.uk/upload/resources/pdf/c/core_standards _guidance.pdf). 181 Nel corso del periodo di induction un ruolo cruciale è svolto dai dirigenti scolastici, i quali sono tenuti ad assicurare che l’orario di insegnamento dei newly qualified teachers non ecceda il 90% di quello degli altri docenti della scuola. i docenti in prova che non superino positivamente il periodo obbligatorio di primo inserimento non sono dichiarati idonei ad essere impiegati come insegnanti nelle scuole pubbliche. i nuovi insegnanti sono assistiti da un tutor che ha la responsabilità di monitorare, accompagnare e valutare l’operato di un docente da poco nominato. in linea di principio tale figura deve essere un membro del personale docente che possieda il tempo, le competenze, la preparazione e l’autorevolezza per esercitare il proprio ruolo efficacemente, incluso il fatto di tenere un comportamento rigoroso e di formulare giudizi chiari e imparziali sui progressi verso l’assolvimento dei core standards. Colui che ne ricopre il ruolo può variare a seconda dell’istituto scolastico e del numero di nuovi insegnanti. Ad esempio le funzioni di accompagnamento, monitoraggio e valutazione possono essere suddivise tra due o più docenti. in questo caso una sola persona deve in ogni caso assumersi la responsabilità di coordinare quotidianamente il programma di induction. Nelle scuole di dimensioni minori può accadere che sia lo stesso dirigente d’isti tuto a svolgere la funzione di tutor per l’inserimento. in questo caso diviene particolarmente importante che sia un altro membro del corpo docente a svolgere la funzione di mentor e che il docente in prova possa contare su un ulteriore network di risorse, derivanti dall’autorità locale o da gruppi di colleghi in fase di primo inserimento. Negli istituti di maggiori dimensioni, il responsabile di dipartimento può essere designato come tutor. Sulla base di questo modello il preside o un insegnante esperto dovrebbero coordinare i programmi di inserimento, operare la valutazione dei docenti in prova, assicurando la qualità delle attività di accompagnamento svolte nell’intera struttura scolastica. La maggior parte delle scuole e dei college individuano un mentor, chiamato anche buddy, per ciascun insegnante in periodo di prova. il suo compito è quello di lavorare a stretto contatto con il novizio, fornendogli supporto quotidianamente nelle attività didattiche o in relazione ai contenuti dell’insegnamento. Le responsabilità del tutor includono l’assolvimento delle funzioni seguenti: – fornire o coordinare orientamento e aiuto efficace, incluse le funzioni di coaching e di mentoring; – curare la valutazione dei progressi durante il periodo di induction; – realizzare tre incontri formali di valutazione nel corso del periodo di inserimento; – coordinare gli apporti degli altri colleghi; – assicurare che si realizzino sessioni di osservazione dell’operato dei docenti in prova e che gli si forniscano feedback dell’esito delle valutazioni in forma scritta; 182 – assicurare che le persone seguite comprendano i ruoli degli altri colleghi coinvolti nell’inserimento, incluse le responsabilità di svolgere un ruolo attivo nel proprio percorso di sviluppo; – lavorare con i docenti in prova per organizzare ed implementare un programma personalizzato di monitoraggio, accompagnamento e valutazione che tenga conto dei loro reali bisogni e punti di forza, in relazione con gli standard da raggiungere ed il contesto specifico della scuola in cui operano. in termini di analisi dell’operato del nuovo insegnante e di valutazione formale della sua azione formativa, il General Teaching Council for England ha fissato una serie di risultati attesi dai vari attori: – tutor: realizzare almeno sei analisi dei progressi e coordinare tre incontri di valutazione formale; – newly qualified teacher: tenere traccia delle attività svolte e partecipare agli incontri programmati per l’analisi dei progressi e la valutazione formale; – dirigente scolastico: assicurare che le relazioni di valutazione siano completate e siano trasmesse all’organismo che ne ha la competenza, inclusa la dichiarazione su quanto gli standard previsti siano stati effettivamente raggiunti al termine del periodo; – organismo competente: al termine del periodo di induction, decidere se il docente che ha sostenuto il periodo di prova soddisfa i core standard e fornire al GtCE la documentazione relativa; – GTCE: rappresenta l’organismo cui il newly qualified teacher può fare appello in caso di mancato superamento del periodo di inserimento. Gli incontri per l’analisi dei progressi rappresentano un’opportunità per il tutor e il docente in prova per discutere sui risultati ottenuti e per definire eventuali modifiche al piano di inserimento sotto il profilo degli obiettivi e delle azioni da realizzare. Dovrebbero tenersi a metà del percorso annuale. La preparazione degli incontri va curata nel dettaglio dal tutor, che ha raccolto e tenuto traccia dei feedback forniti dal mentor e dagli altri colleghi che hanno esercitato un ruolo di supporto o di osservazione. Gli esiti della valutazione conclusiva offrono l’opportunità di valutare l’intera esperienza professionale e, in caso di valutazione positiva, di preparare il docente in prova ad essere coinvolto nelle successive attività di formazione in servizio. 5.5.2. Il periodo di prova per i neoassunti in ruolo in Italia La formazione in ingresso prevista contrattualmente per i neoassunti in ruolo, ai sensi dell’articolo 68 del Contratto Collettivo Nazionale del Comparto scuola, costituisce un obbligo contrattuale e trova rispondenza nel Contratto Collettivo Nazionale integrativo concernente la formazione del personale docente, educativo, amministrativo tecnico e ausiliario relativa all’anno scolastico 2008/2009 e nella contrattazione collettiva integrativa a livello regionale. 183 il personale assunto a tempo indeterminato, prima di ottenere la conferma in ruolo deve sostenere un periodo di prova. Per il personale docente il periodo di prova è un intero anno scolastico. Contemporaneamente i docenti neoimmessi in ruolo, eccetto quelli provenienti mediante passaggio di ruolo o di cattedra, devono sostenere un anno di formazione. È prevista la nomina di un docente tutor e di un corso di formazione. il corso di formazione ha la durata di quaranta ore, parte delle quali da effettuarsi mediante attività formativa on-line a cura dell’iNDirE. Al termine dell’anno sco lastico di prova il dirigente scolastico, dopo aver sentito il parere del Comitato per la valutazione del servizio, redige una relazione conclusiva sul periodo di prova. La conferma in ruolo è invece di competenza del Centro dei Servizi Amministrativi. il docente durante l’anno di formazione (l’istituto del tutor non è previsto per i docenti che si trovano nell’anno di prova, cioè per i docenti che hanno ottenuto il passaggio di ruolo) nell’ambito dell’istituzione scolastica viene assistito da un docente esperto o tutor, ad ogni tutor non potranno essere affidati più di due neodocenti. il docente redige una relazione sulle esperienze e sulle attività svolte, comprese quelle di carattere seminariale. La relazione viene discussa con il comitato per la valutazione. il Comitato, sulla base della relazione redatta dal candidato e di quella curata dal dirigente scolastico, esprime il proprio parere circa la conferma in ruolo. 5.6. IL SISTEMA DI CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE La necessità di predisporre dispositivi di prove per la valutazione delle competenze ha dato luogo allo sviluppo di soluzioni innovative ed originali sotto il profilo metodologico. il trait d’union che connette esperienze differenziate può essere individuato nel concetto di valutazione autentica. tale valutazione ricorre come fatto naturale, anche se spesso implicito, nel contesto di un ambiente di apprendimento significativo e riflette le esperienze di apprendimento reale, in cui l’enfasi è posta sulla riflessione, sulla comprensione e sulla crescita piuttosto che sulle risposte fondate solo sul ricordo di fatti isolati. Considerata da questa prospettiva la valutazione autentica risulta essere un vero accertamento della prestazione, perché da essa è possibile comprendere se gli apprendenti possono usare ciò che hanno acquisito in situazioni date mediante un transfer delle competenze, o di loro componenti, in situazioni e contesti diversi. Agli accertamenti diretti a valutare il possesso di conoscenze ed abilità, impostati di norma su modelli quantitativi, si affiancano ulteriori strumenti di indagine, volti a saggiare il possesso di competenze ed il loro grado di trasferibilità, anche con l’ausilio di una strumentazione in grado di cogliere gli aspetti più eminentemente qualitativi, mediante l’uso di tools quali ad esempio le rubriche, il portfolio, le dimostrazioni, i progetti, etc. 184 Si tratta nel complesso di esempi che possono essere ricondotti anche al concetto di prova esperta per mezzo della quale l’allievo viene posto in situazione e condotto a misurarsi con un compito che richieda di mobilitare molteplici competenze e di operare produttivamente in sinergia con altri. Un ulteriore elemento che è opportuno considerare in stretta correlazione con i processi di valutazione in ambito scolastico attiene alla certificazione delle competenze. A tale proposito, pur in assenza di un sistema che consenta il riconoscimento e la certificazione delle competenze su scala nazionale, fatta eccezione per alcuni settori specifici e limitati, va messa in luce l’attività di alcune realtà regionali, presso le quali è in corso la definizione di dispositivi sperimentali. Anche in questo caso, a partire da una serie di strumenti già predisposti e normati a livello nazionale, in primis il Decreto Legislativo 16 gennaio 2013, n.13 – Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, ai sensi dell’articolo 4, commi 58 e 68 della legge 28 giugno 2012, n. 92, alcune regioni hanno allo studio, non di rado in forma già avanzata, modelli e dispositivi che assolvono in forma sperimentale a tale scopo. 5.6.1. Obiettivi di sviluppo dei sistemi a fronte di criticità comuni Negli anni recenti anche nel mondo della scuola sono andati diffondendosi a livello internazionale sistemi per la Formazione continua collegata allo sviluppo della pratica professionale, sulla base di forme di capitalizzazione e spendibilità dei crediti formativi acquisiti. Lo sviluppo di tali sistemi si ricollega ad una serie di obiettivi di policy tesi ad incrementare il livello di accountability espresso dai sistemi scolastici nei confronti dell’utenza e dei diversi ulteriori portatori di interessi, obiettivi che possono essere richiamati sinteticamente in rapporto a diversi livelli del sistema interessati. Livello delle policy – Definire profili e standard basati su elementi osservabili (evidence–based) con cui descrivere la professionalità dell’insegnante che precisino ciò che ci si attende, conosca e sia in grado di fare, in modo da fornire un riferimento certo per la costruzione dei percorsi di Formazione iniziale, ingresso nella carriera e sviluppo della pratica professionale mediante la Formazione continua. – Predisporre quadri legislativi e misure e che incentivino lo sviluppo della professionalità dell’insegnante per tutto l’arco della carriera, fornendo programmi e attività formative coerenti e di alto livello per l’aggiornamento dei docenti scolastici, abilitandone la capacità di rispondere alle sfide dalle quali il sistema scolastico è attualmente investito. – interconnettere in un unico sistema coerente le fasi della Formazione iniziale degli insegnanti, del primo inserimento e dello sviluppo professionale successivo. 185 – Accreditare i programmi della Formazione continua per gli insegnanti. – incentivare la partecipazione ad attività di Formazione continua degli insegnanti mediante forme di supporto economico o di congedo formativo. – incentivare la partecipazione ad attività di Formazione continua degli insegnanti mediante forme di riconoscimento della partecipazione alla qualificazione professionale come requisito per la progressione salariale o l’acquisizione di nuovi ruoli e responsabilità entro l’istituzione scolastica. – incentivare la partecipazione ad attività di Formazione continua degli insegnanti collegando più strettamente la crescita professionale individuale ai bisogni di sviluppo dell’istituzione scolastica. – Favorire la capitalizzazione e spendibilità dei crediti formativi acquisiti collegandoli allo sviluppo di carriera e alle dinamiche salariali. – incentivare la nascita all’interno delle istituzioni scolastiche di ruoli e funzioni specialistiche nel campo dello sviluppo professionale degli insegnanti, mediante la predisposizione di politiche, programmazioni e attività di istituto, in collegamento con altre scuole e con l’autorità locale del sistema scolastico nazionale. Livello del sistema scolastico locale – Promuovere o coordinare la programmazione dell’offerta formativa territoriale, adottando misure per il controllo della qualità della Formazione erogata dai diversi organismi deputati a farlo. – Favorire la costituzione di reti tra istituzioni scolastiche per la programmazione di attività di Formazione continua a più forte impatto territoriale, in risposta a bisogni di sviluppo dei sistemi scolastici su scala locale. – Supportare, laddove esistano, forme di coordinamento dell’attività di Formazione continua all’interno delle istituzioni scolastiche. Livello dell’istituzione scolastica – Sviluppare ruoli e funzioni di supporto alla dirigenza di istituto che siano in grado di impostare, implementare e valutare i progetti individuali di crescita della pratica professionale, connettendoli con l’offerta di Formazione continua presente all’interno o all’esterno dell’istituzione scolastica, oltre che con i bisogni di sviluppo da essa espressi. – Approntare una politica ed un sistema operativo per lo sviluppo della professionalità dei docenti scolastici che possa salvaguardare e valorizzare la continuità tra la Formazione iniziale pre-servizio, il periodo di primo inserimento e la crescita professionale in servizio. Tabelle sinottiche riepilogative delle policy nazionali Di seguito si riporta la tabella sinottica relativa agli elementi chiave che caratterizzano le azioni di Formazione continua all’interno dei diversi contesti esaminati nella parte seconda del rapporto (cfr. Fig. 12). 186 "  !              -)-;-0,/, - ,./,)0-'' ', .  ,++-'10 2                       &              - - '           % +     ( -+(.1 - - -     <            +     '    *             ?C           &                &               =  . =       =           E    3  .          ,         ,          '                      =     =  &       =                     + FG +  + +0+ .  &  '   * ?C         &         '+ ) *        ,?,                          '$ *                  '$ *      -        &   7                '$  * ;             &       7    7             7           &    %&0, Fig. 12 - Elementi chiave del processo di Formazione continua degli insegnanti per contesto nazionale 187 5.6.2. Certificabilità dei crediti formativi e standard professionali o di qualificazione Di seguito si intendono indicare in forma estremamente sintetica una serie di ipotesi di lavoro in merito alla costruzione di referenziali di competenza che possano supportare un processo di progressiva differenziazione funzionale della figura dell’insegnante. Gli spunti di riflessione si basano sui risultati dell’analisi compiuta nella prima parte del rapporto di ricerca, combinati con le criticità che investono i sistemi educativi sotto questo particolare profilo, cui si è fatto cenno in apertura del capitolo. A. Sviluppo di standard professionali L’analisi del caso inglese e francese hanno posto in evidenza quanto la disponibilità di standard professionali per la figura dell’insegnante possa supportare in modo estremamente efficace sia la costruzione dei percorsi della Formazione iniziale terziaria, sia la successiva qualificazione professionale e la progressione di carriera dei docenti della scuola. Nel caso inglese, la definizione dei referenziali professionali si presenta assai articolata ed analitica, con una descrizione che scende al livello delle componenti della competenza, operando una distinzione tra le risorse di tipo conoscitivo e quelle afferenti alle attitudini ed alle capacità professionali. La varietà degli standard, ciascuno dei quali è associato ad un livello della pratica professionale che include i livelli precedenti e ne costituisce un ulteriore affinamento ed integrazione, copre l’intera gamma delle competenze oggi richieste per ricoprire ruoli e funzioni di sistema nella sfera scolastica. Gli standard offrono un metro comune per le pratiche di valutazione della performance dei docenti e per lo sviluppo dei percorsi di autoanalisi della professionalità operati dagli insegnanti. inoltre costituiscono il fondamento su cui costruire percorsi di Formazione continua per il rafforzamento delle competenze possedute e per l’acquisizione di nuove risorse professionali da spendere nella progressione di carriera. Gli standard possono essere strutturati su più livelli, con un livello di base che raggruppa le competenze proprie della famiglia professionale e ulteriori livelli di specializzazione funzionale. B. Sviluppo di referenziali di qualificazione in alternativa allo sviluppo di standard professionali, può risultare altrettanto utile la definizione di referenziali di qualificazione, che contengano al loro interno sia l’articolazione sintetica dei profili professionali attesi che la descrizione dell’impianto formativo a supporto dello sviluppo delle competenze e del dispositivo valutativo degli esiti di apprendimento. Anche in questo caso, come nell’ipotesi esposta in precedenza, gli standard di qualificazione possono offrire un metro comune per le pratiche di valutazione della performance dei docenti, cosi come per lo sviluppo dei percorsi di autoanalisi della professionalità operati dagli insegnanti. inoltre costituiscono il fondamento su cui costruire percorsi di Formazione continua per il rafforzamento delle competenze possedute e per l’acquisizione di nuove risorse professionali da spendere nella progressione di carriera. Gli standard possono essere strutturati su più livelli, con un livello di base che raggruppa le competenze proprie della famiglia professionale ed ulteriori livelli di specializzazione funzionale. Di particolare inte188 resse potrebbe essere lo sviluppo di pratiche per il riconoscimento e la validazione di competenze acquisite in contesti di apprendimento non formale ed informale. C. Certificabilità dei crediti formativi La certificabilità dei crediti formativi acquisiti in esito alle attività di Formazione continua degli insegnanti costituisce un elemento essenziale per poter promuovere forme di sviluppo di carriera ancorate ad una reale ed effettiva progressione nella pratica professionale. Dato che il caso inglese sotto tale profilo diverge ampiamente da quello italiano, vista la presenza di standard professionali sui quali si basa la procedura di certificazione, risulta più utile rifarsi all’esperienza svizzera, in particolare a quella sviluppata in Canton ticino, dove per l’attribuzione dei crediti formativi in esito alle attività formative viene impiegato il sistema europeo ECtS. Uno dei principi regolatori dell’offerta di Formazione continua rivolta attualmente agli insegnanti da parte del Dipartimento Formazione e Apprendimento del SUSPi si basa sulla quantificazione Formazione quantificata in punti ECtS (European Credit Transfer System) e nella valorizzazione del lavoro svolto dal docente in classe. i punti ECtS costituiscono un’unità di misura di tempo del volume di lavoro, in questo caso del docente in Formazione, applicata nel processo di Bologna per favorire la mobilità e il riconoscimento di titoli di studio degli studenti universitari nella mobilità internazionale tra atenei. L’adozione degli ECtS nella Formazione continua implica il fatto che l’attività formativa seguita da un docente non sia più misurata in ore di lezione seguite, ma in ore di lavoro globali prestate dal docente per la sua Formazione, comprensive quindi di ore di progettazione e realizzazione di attività in classe, studio e lettura individuali, redazione di lavori e dossier, etc. Un credito ECtS corrisponde a circa 30 ore di lavoro del soggetto in Formazione. Nel concetto di carico di lavoro (workload) rientrano non solo la presenza ai corsi e ai seminari, ma anche lo studio individuale, gli stages e le attività pratiche, la realizzazione di un lavoro personale (mémoire, lavoro di diploma), la preparazione e lo svolgimento degli esami. L’adozione dei punti ECtS diviene quindi un’occasione per valorizzare il lavoro che il docente svolge nelle classi, anche nell’ottica della sua Formazione personale. Di regola, delle ore calcolate in punti ECtS di un corso di Formazione continua, il 20-30% consiste in ore di lezione. Una seconda prospettiva, non presente nei casi internazionali esaminati, consiste nell’articolazione dei percorsi formativi in moduli ed unità coerenti con l’impianto del sistema europeo ECVEt. tale approccio presuppone una più dettagliata definizione delle unità formative di quanto non richieda il sistema ECtS, con l’enucleazione per ciascuna unità dei learning outcomes previsti e dei punti corrispondenti.45 45 Per un inquadramento sull’intera materia si consulti: Dordit L., Mazzarella r. (2008), Il sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale ECVET, in Di Francesco G., Perulli E. (2008), Verso l’European Qualification Framework, Il sistema europeo dell’apprendimento: trasparenza, mobilità, riconoscimento delle qualifiche e delle competenze, isfol, roma. 189 Esemplificazioni 5.6.3. Il Framework for Teaching di Danielson la valutazione per mezzo di rubric il Framework for Teaching, messo a punto da Charlotte Danielson sul finire degli anni Novanta è stato successivamente adattato da toch e rothman ed integrato dall’autrice nel 2007.46 Nel framework le diverse attività correlate all’insegnamento vengono suddivise in una molteplicità di componenti, articolabili ulteriormente al loro interno, secondo una logica costruttivista applicata ai processi di insegnamento e di apprendimento. Le diverse componenti sono raggruppate all’interno di quattro aree principali (domains). Ciascuna componente definisce un aspetto distinto del dominio di appartenenza e si scompone a sua volta in una gamma di sottocomponenti (elements). inoltre per ciascuna componente il framework individua tre livelli progressivi di performance (rubrics), utili sia in funzione di attività di valutazione diagnostica, sia come strumento a supporto di processi di riqualificazione o di rafforzamento della pratica professionale. il dispositivo si è rivelato particolarmente utile nel supportare attività di accompagnamento all’inserimento di insegnanti di recente nomina, fungendo da schema di riferimento su cui parametrare gli obiettivi di pratiche formative complesse, quali il mentoring ed il coaching. tuttavia, la funzione principale del framework è consistita nel fornire un set di referenziali su cui poter impostare molteplici processi di valutazione della professionalità degli insegnanti in ambito scolastico, sia in senso diagnostico, consentendo di appurare gli effettivi livelli di performance richiesti per accedere a meccanismi premianti o incentivanti, che nella raccolta di elementi valu - tativi probanti in vista della messa a punto di misure di riqualificazione professionale. Considerando il dispositivo in termini complessivi, una prima osservazione da formulare riguarda il fatto che il framework presenta un carattere generalista e per tale ragione si presta ad un utilizzo rivolto ad insegnanti del sistema scolastico di ogni ordine e grado, a prescindere dall’ordinamento e dall’area disciplinare. in secondo luogo va sottolineato che non si tratta di una checklist con cui poter analizzare il comportamento dei docenti, quanto piuttosto di una descrizione delle attività centrali correlate alla pratica di insegnamento, formulata in termini di competenze e di risultati attesi. infine, il dispositivo si rifà al concetto di comunità degli apprendenti (community of learners), alludendo al fatto che l’insegnante non costituisce l’unica risorsa di conoscenza all’interno della classe. Conseguentemente l’apprendimento risulta tanto più efficace quanto più il docente e gli allievi interagiscano per generare e condividere le diverse cognizioni. Di seguito viene riportato lo schema che identifica i quattro domini cui afferiscono le principali attività legate all’insegnamento, seguiti da una sintetica descrizione e dall’elenco delle relative componenti. 46 Danielson C. (2007), Enhancing Professional Practice: A Framework for Teaching, 2nd Ed., Association for Supervision and Curriculum Development, Alexandria. toch, t., rothman, r. (2008), Rush to Judgment: Teacher Evaluation in Public Education. Education Sector, Washington DC. I. Programmazione e preparazione Gli insegnanti progettano percorsi didattici coerenti, padroneggiano metodologie e tecniche di valutazione appropriate ed adattano gli interventi formativi alle diversità degli allievi. Le componenti del dominio definiscono in quale modo un insegnante organizza i contenuti didattici. Componenti • Dimostrare il possesso di conoscenze disciplinari e pedagogiche • Dimostrare il possesso di conoscenze sugli allievi • Definire esiti di apprendimento nell’attività di insegnamento • Dimostrare il possesso di conoscenze circa le risorse didattiche • Progettare percorsi didattici coerenti • Progettare interventi di valutazione degli allievi II. Ambiente della classe Gli insegnanti considerano ciascuno studente individualmente, i suoi interessi, i limiti ed il potenziale intellettuale. Le componenti del dominio riguardano una serie di interazioni che si producono al - l’interno della classe, la cui finalità non è strettamente didattica. Componenti • Costruire un ambiente basato sul rispetto e la relazione • Promuovere una cultura dell’apprendimento • Gestire le attività nella classe • Gestire il comportamento degli allievi • Organizzare lo spazio fisico III. Insegnare Gli insegnanti valorizzano l’importanza dell’apprendimento e la componente rilevante data dai contenuti disciplinari. Le componenti del dominio riguardano l’impegno nelle attività di apprendimento in cui sono impegnati gli allievi. Componenti • Comunicare con gli allievi • Utilizzare tecniche di interrogazione e di discussione • Ottenere impegno dagli allievi nell’apprendimento • Utilizzare la valutazione nell’attività di insegnamento • Dimostrare flessibilità ed adattabilità IV. Responsabilità professionali Gli insegnanti si curano degli interessi degli allievi entro la comunità più ampia e sono attivi nelle organizzazioni professionali, nella scuola e nella comunità. Le componenti del dominio comprendono i diversi ruoli che un insegnante assume al di fuori ed in aggiunta a quello assunto in classe con gli studenti. Componenti • Riflettere sulla propria pratica di insegnamento • Elaborare una documentazione particolareggiata • Comunicare con le famiglie degli allievi • Partecipare alla comunità professionale • Crescere e progredire professionalmente • Dimostrare professionalità La scomposizione della pratica professionale in domini, componenti ed elementi può essere rappresentata come di seguito. 190 191 Dominio 1 - Programmazione e preparazione componente 1a: dimostrare il possesso di conoscenze disciplinari e pedagogiche - Conoscenza del contenuto e della struttura concettuale della disciplina - Conoscenza delle relazioni reciproche tra contenuti disciplinari - Conoscenza degli aspetti pedagogici relativi ai diversi contenuti disciplinari componente 1b: dimostrare conoscenza degli allievi - Conoscenza dei processi di sviluppo dell’infanzia e adolescenza - Conoscenza dei processi di apprendimento - Conoscenza delle capacità, conoscenze e della competenza linguistica degli allievi - Conoscenza degli interessi e del patrimonio culturale degli allievi - Conoscenza dei bisogni speciali degli allievi componente 1c: definire esiti di apprendimento nell’attività di insegnamento - Importanza, progressività e consequenzialità - Chiarezza - Bilanciamento - Adeguatezza in relazione a diversi stili di apprendimento componente 1d: dimostrare conoscenza circa le risorse didattiche - Risorse da utilizzare nell’attività d’aula - Risorse per approfondire la conoscenza dei contenuti disciplinari e dei relativi aspetti didattici - Risorse per gli allievi componente 1e: progettare percorsi didattici coerenti - Attività di apprendimento - Materiali e ausili didattici - Gruppi di apprendimento - Struttura delle lezioni e delle unità didattiche componente 1f: progettare interventi di valutazione degli allievi - Congruenza della valutazione rispetto agli esiti dell’apprendimento scolastico - Criteri e standard valutativi - Progettazione della valutazione formativa - Utilizzo della valutazione in funzione della programmazione didattica Dominio 2 - Ambiente della classe componente 2a: costruire un ambiente basato sul rispetto e la relazione - Interazione tra insegnante ed allievi - Interazione reciproca tra allievi componente 2b: promuovere una cultura dell’apprendimento - Rilevanza dei contenuti didattici - Attese in rapporto all’apprendimento ed al successo formativo - Rendere orgogliosi gli allievi dei risultati conseguiti componente 2c: Gestire le attività in classe - Gestione di gruppi di apprendimento - Gestione delle transizioni - Gestione di materiali ed ausili - Adempimento di doveri non legati all’ambito scolastico - Supervisione di volontari e non professionisti componente 2d: Gestire il comportamento degli allievi - Aspettative 192 - Monitoraggio dei comportamenti degli allievi - Reazione al cattivo comportamento degli studenti componente 2e: organizzare lo spazio fisico - Sicurezza e accessibilità - Disposizione delle attrezzature ed utilizzo delle risorse fisiche Dominio 3 - Insegnare componente 3a: comunicare con gli allievi - Aspettative sugli allievi - Prescrizioni e procedure da seguire - Presentazione dei contenuti didattici - Uso del linguaggio in forma orale e scritta componente 3b: utilizzare tecniche di interrogazione e di discussione - Qualità delle domande - Tecniche di discussione - Partecipazione degli allievi componente 3c: ottenere impegno dagli allievi nell’apprendimento - Attività e compiti da eseguire - Divisione degli allievi in gruppi di apprendimento - Materiali e risorse didattiche - Strutturazione delle attività e ritmi di apprendimento componente 3d: utilizzare la valutazione nell’attività di insegnamento - Criteri di valutazione - Monitoraggio dell’apprendimento degli allievi - Feedback agli allievi - Autovalutazione degli allievi e monitoraggio dei progressi componente 3e: dimostrare flessibilità ed adattabilità - Adattamento delle lezioni - Adattamento alle caratteristiche degli allievi - Perseveranza Dominio 4 - Responsabilità professionale componente 4a: riflettere sulla propria pratica di insegnamento - Accuratezza - Utilizzo degli esiti della riflessione nell’attività didattica futura componente 4b: tenere una documentazione particolareggiata - Completamento da parte degli allievi delle attività assegnate - Progressi degli allievi nell’apprendimento - Documentazione su aspetti non strettamente legati all’ambito scolastico componente 4c: comunicare con le famiglie degli allievi - Informazioni sul programma didattico - Informazioni sui singoli allievi - Coinvolgimento delle famiglie nel programma didattico componente 4d: partecipare alla comunità professionale - Relazioni con i colleghi - Adesione ad una cultura della ricerca nella propria professione 193 - Coinvolgimento professionale nei confronti del mondo della scuola - Partecipazione a progetti di Istituto o di ambito più esteso componente 4e: crescere e progredire professionalmente - Potenziamento delle conoscenze disciplinari e delle capacità didattiche - Ricettività ai feedback dei colleghi - Elevato livello di coinvolgimento nei confronti della professione componente 4f: tenere una condotta professionale - Integrità e condotta morale - Coinvolgimento professionale verso gli allievi - Advocacy - Presa di decisioni - Conformità a quanto previsto dalla legislazione e regolamentazione nel settore scolastico. Per ciascun componente possono essere individuati diversi livelli di padronanza, secondo una logica a progressione graduata che la Danielson definisce in modo analitico, componendo per ciascun dominio una specifica rubric, collegabile ad un portfolio per la tracciabilità delle competenze acquisite. Una rubrica rappresenta una guida all’attribuzione di punteggio comparativo che cerca di valutare le prestazioni dello studente basandosi su un insieme di criteri che vanno da un livello minimo a uno massimo. La descrizione dettagliata dei livelli attesi, o – in ulteriori modellizzazioni – dei differenti livelli di prestazione, permettono di definire un insieme uniforme di criteri o indicatori specifici che saranno usati per giudicare il lavoro degli apprendenti. il Portfolio è un dossier o una raccolta di lavori nel senso più ampio, di solito prodotti nel tempo da un soggetto, progettati per rappresentarne i risultati raggiunti. Può contenere delle liste di giudizi, campioni di testi scritti, risultati di esami, certificati e altre testimonianze dell’apprendimento. tutti questi elementi sono raccolti in un portfolio come prova delle prestazioni del singolo individuo. Nella figura successiva (Fig. 13) viene fornito un esempio di rubric sviluppata dalla Danielson per le componenti del dominio Programmazione e preparazione. 194 !")           %(  -:@@A. Fig. 13 - Rubric dei componenti del dominio Programmazione e preparazione Fonte: Danielson (2007) 195 6. Accountability e sistemi educativi: connessioni tra valutazione dei formatori ed ulteriori elementi concorrenti allo sviluppo della professionalità dell’insegnante Al termine dell’analisi condotta sui principali elementi di sistema della valutazione degli insegnanti e dei formatori, pare opportuno introdurre alcune considerazioni riguardanti le forme di connessione tra valutazione dei formatori e ulteriori sfere della valutazione dei sistemi educativi. in tale prospettiva si propone un diagramma di riferimento articolato su quattro variabili. Le variabili sono collegate da due assi che danno luogo a quattro quadranti. il primo asse rappresenta l’evoluzione della pratica professionale, che si articola in due opzioni, a seconda che la crescita professionale sia intesa come un vincolo di sistema o un vincolo a carattere individuale, a titolarità volontaria. il secondo asse rappresenta lo status e lo sviluppo della carriera, a seconda che sia correlato alla performance espressa dall’insegnante nel tempo o risulti associato all’anzianità di servizio, sia soggetto ad una progressività condizionata o lineare. i quadranti delimitano lo spazio all’interno di un continuum che intercorre tra gli estremi delle quattro variabili considerate. Ciascun sistema nazionale (o suoi aspetti distinti) può essere pertanto posizionato nel diagramma e raffrontato con gli altri casi. in questa sede interessa soprattutto presentare in forma schematica gli aspetti legati ai livelli di accountability espressa dai diversi sistemi nazionali (o loro aspetti specifici), a partire dagli elementi qualificanti la figura e lo sviluppo di carriera dell’insegnante, così come sono stati raccolti nel corso dell’analisi fin qui condotta (Fig. 14). A. Accountability su base sistematica il quadrante Sud-Est delimita i casi di accountability espressi su base sistematica, originati dalla relazione tra un’evoluzione della pratica professionale dell’insegnante intesa e agita come vincolo di sistema e lo status e lo sviluppo di carriera del docente inteso come condizionato da una valutazione periodica ed obbligatoria dei livelli di performance espressi nel tempo. Vi rientrano molti degli aspetti riscontrabili nel sistema inglese ed in quello francese. Sotto tale profilo si palesa la centralità dei referenziali di competenza, che forniscono un elemento di riferimento socialmente condiviso e rappresentano per il docente l’orizzonte entro cui impostare un progetto di sviluppo professionale, ma anche un metro per saggiare il possesso di conoscenze, capacità ed attitudini professionali nel corso delle diverse annualità di servizio o nel passaggio tra status o ordini gerarchici progressivi. Come si è osservato nella sezione destinata alla descrizione dei casi nazionali, in inghilterra la figura dell’insegnante non gode di un impiego garantito per ciascun livello della vita professionale, ma deve di volta in volta sostenere una serie di 196 prove per avanzare tra i diversi e molteplici tipi di inquadramento professionale. Al tempo stesso il processo sulla base del quale ciascun insegnante inglese è sottoposto ad una valutazione delle sue performance professionali si svolge con cadenza annuale ed è decisivo per l’avanzamento nella scala salariale. in Francia, la valutazione complessiva cui sono soggetti a cadenza quadriennale agli insegnanti della scuola di secondo grado, espressa in voti, misura il valore professionale dei docenti e determina il grado di celerità con cui si compie la progressione di carriera. in questa sede pare rilevante sottolineare come nei due contesti nazionali l’intreccio tra la formulazione degli standard, siano essi di tipo professionale (caso inglese) o formativo (caso francese), le attività di valutazione della performance, di Formazione continua e di avanzamento di carriera, anche in termini di passaggio tra livelli retributivi, appaia assai stretto e vincolante. Fig. 14 - Diagramma per la valutazione del grado di accountability Gli standard/referenziali consentono all’insegnante di porre in opera una riflessione ricorrente sui livelli di pratica professionale raggiunti e sulle competenze (o loro componenti) da acquisire in vista del raggiungimento di ulteriori traguardi professionali. La Formazione continua può essere coordinata con tale forma di navigazione professionale (per usare un termine che rinvia a Le Boterf), e fungere da risorsa di volta in volta attivata strategicamente per giungere a nuovi posizionamenti entro il campo d’azione consentito dalla professionalità progressivamente più ampia di cui via via si entra in possesso. in questa logica i crediti formativi acquisiti nel corso della vita lavorativa sono certificati e quindi spendibili a distanza di #"(      PROGRESSIVITA’ CONDIZIONATA Status e sviluppo di carriera correlato alla performance PROGRESSIVITA’ LINEARE Status e sviluppo di carriera correlato ad anzianità di servizio EVOLUZIONE DEL SISTEMA Evoluzione della pratica professionale vincolo di sistema SVILUPPO INDIVIDUALE Evoluzione della pratica professionale a titolarità volontaria Accountability su base sistematica Formazione ricorrente Analisi pratica prof.le Valutazione performance Centralità referenziali Crediti formativi certificati Accountability ibrida Formazione non strutturata Valutazione sperimentale Rilevanza referenziali Accountability assente Formazione episodica Valutazione sporadica No uso referenziali Accountability locale Formazione su richiesta Valutazione ciclica Selettività in ingresso Referenziali formativi  Gli standard/referenziali consentono all’insegnante di porre in opera una riflessione ricorrente sui livelli di pratica professionale raggiunti e sulle competenze (o loro componenti) da acquisire in vista del raggiungimento di ulteriori traguardi professionali. La Formazione continua può essere coordinata con tale forma di navigazione professionale (per usare un termine che rinvia a Le Boterf), e fungere da risorsa di volta in volta attivata strategicamente per giungere a nuovi posizionamenti entro il campo d’azione consentito dalla professionalità progressivamente più ampia di cui via via si entra in possesso. In questa logica i crediti formativi acquisiti nel corso della vita lavorativa sono certificati e quindi spendibili a distanza di tempo ed in contesti di attività tra loro diversi. La presenza di standard professionali consente inoltre, come caso più evoluto, di vedere validate competenze acquisite in contesti di apprendimento anche non formale e informale. In questo caso si realizza pienamente quanto è insito nel concetto di qualificazione (qualification), che designa, secondo l’impostazione contenuta nell’European Qualification Framework introdotto nel 2008, il risultato formale di un processo di valutazione e convalida, acquisito quando l’autorità competente stabilisce che i risultati dell’apprendimento di una persona corrispondono a standard definiti.47 In tal modo la qualificazione risulta svincolata dai percorsi che conducono al suo ottenimento. Gli elementi che si sono andati ripercorrendo concorrono a definire un quadro in cui si precisa una forma di accountability di tipo sistematico, in cui l’accesso alla professione di insegnante sin dalla sua prima fase (soprattutto in Inghilterra), così come il monitoraggio costante sulla base di standard definiti e l’avanzamento di carriera dei docenti, rispondono a criteri di progressività condizionata, che si attua mediante il superamento di prove, esami, attività di osservazione, di supporto e di consulenza regolate in forma trasparente, volte a premiare il merito e l’applicazione. 197 tempo ed in contesti di attività tra loro diversi. La presenza di standard professionali consente inoltre, come caso più evoluto, di vedere validate competenze acquisite in contesti di apprendimento anche non formale e informale. in questo caso si realizza pienamente quanto è insito nel concetto di qualificazione (qualification) che designa, secondo l’impostazione contenuta nell’European qualification Framework introdotto nel 2008, il risultato formale di un processo di valutazione e convalida, acquisito quando l’autorità competente stabilisce che i risultati dell’apprendimento di una persona corrispondono a standard definiti.47 in tal modo la qualificazione risulta svincolata dai percorsi che conducono al suo ottenimento. Gli elementi che si sono andati ripercorrendo concorrono a definire un quadro in cui si precisa una forma di accountability di tipo sistematico, in cui l’accesso alla professione di insegnante sin dalla sua prima fase (soprattutto in inghilterra), così come il monitoraggio costante sulla base di standard definiti e l’avanzamento di carriera dei docenti, rispondono a criteri di progressività condizionata, che si attua mediante il superamento di prove, esami, attività di osservazione, di supporto e di consulenza regolate in forma trasparente, volte a premiare il merito e l’applicazione. Va da sé che molti dei tratti ora richiamati appartengono anche ad altri sistemi nazionali, ma qui interessa porre in evidenza il legame di causa ed effetto che intercorre tra la crescita professionale certificata nelle sedi di volta in volta definite e la progressione di carriera. B. Accountability ibrida il quadrante Sud-Est circoscrive forme di accountability espresse su base non sistematica, che potremmo definire di tipo ibrido, ossia non derivanti da dispositivi operanti a livello di sistema ma da un’evoluzione della pratica professionale dell’insegnante realizzata a titolo volontario, non richiesta in modo cogente alla totalità del corpo docente ai fini di progressione della carriera. Ciò significa che, in forma non predicibile, accanto a forme di accountability maggiormente sistematica si possono dare casi in cui vigono forme di trasparenza assai più limitate, dato che il sistema di garanzia si basa su scelte eminentemente volontarie. in questo ambito rientra, tra i casi esaminati, prevalentemente il contesto relativo al Canton ticino. Si ricorderà che nel contesto cantonale è presente un sistema di referenziali formativi estremamente articolato (in cui si precisano ed enucleano analiticamente anche alcune sottocomponenti della competenza) che permette quindi, a titolo non obbligatorio, di attuare le medesime pratiche di sviluppo della professionalità cui si è fatto cenno nei due casi descritti in precedenza. Anche in questo caso come nel quadrante precedente, la valutazione è compiuta sul grado di performance dimostrato dagli insegnanti, ma qui in forma sperimentale, più in funzione supportiva e formativa che nei termini di un vincolo inderogabile per l’avanzamento verso i 47 Parlamento Europeo e Consiglio (2008), Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costruzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (2008/C111/01; GUUE 6.5.2008). 198 gradi superiori della scala gerarchica e retributiva. Un secondo aspetto non trascurabile attiene alla Formazione continua su percorsi lunghi e medio lunghi che consente ai docenti con maggiore anzianità di servizio e non sempre in possesso dei titoli attualmente richiesti per accedere alla carriera dell’insegnamento, di riqualificarsi e quindi di rilanciare il proprio profilo di carriera, potendo godere di congedi di studio e di Formazione introdotti ad hoc nell’ordinamento ticinese. Dato lo scenario appena descritto, il grado di accountability del sistema scolastico determinato dalla componente degli insegnanti considerata nel suo complesso, comprendendovi quindi sia i soggetti che volontariamente hanno optato per aderirvi in vista del conseguimento di un più alto livello di professionalità da spendere in ambito lavorativo, sia coloro che si manifestino meno interessati, si presenta su base non sistematica. C. Accountability locale Spostandoci sulla parte sinistra del diagramma, incontriamo i due quadranti che connotano un tipo di progressività maggiormente lineare, dove lo status e lo sviluppo della carriera sono maggiormente correlati alla durata della permanenza in ruolo, ossia all’anzianità di servizio. qualora la progressività lineare si incroci con la variabile che vede nell’evoluzione della pratica professionale un vincolo posto a livello di sistema, si dà luogo ad una forma di accountability che potremmo definire locale, nel senso che si localizza solamente in alcune fasi di funzionamento o in alcuni settori del sistema, lasciando scoperte le componenti ulteriori (quadrante Nord-ovest). Molte delle caratteristiche del sistema spagnolo che ruota attorno alla figura dell’insegnante vi rientrano con accentuazioni diverse. in primo luogo si è rilevata la presenza di un elenco di referenziali formativi articolati per competenze di livello generale, la cui funzione è quella di fornire un riferimento comune agli atenei universitari che hanno facoltà di integrare le competenze generali con competenze specialistiche. in secondo luogo nel contesto spagnolo ritroviamo il carattere di volontarietà cui è soggetta l’attività di Formazione in servizio, benché fortemente promossa a livello di Comunità Autonome, che ne coordinano la programmazione e l’implementazione con il concorso della gran parte degli attori sociali portatori di interessi e che secondo quanto accertato dall’indagine oCSE esercita un’influenza piuttosto indiretta sugli sviluppi di carriera. inoltre si può richiamare il dato riguardante la valutazione del personale in servizio, che si attua in forma ciclica e obbligatoria sull’intero corpo docente a cadenza all’incirca quadriennale e che è tesa ad accertare l’idoneità del candidato a passare ad una fascia stipendiale superiore, nella quale permarrà nei quattro anni successivi, godendo di uno scatto annuale di incremento salariale non legato all’esito di procedure valutative. il caso spagnolo è quindi connotato da una forma di accountability locale, con l’attività di selezione posta prevalentemente all’ingresso della carriera e una meno cogente richiesta di progressione professionale nella fase successiva, la cui valutazione non prevede il ricorso a standard univocamente definiti. D. Assenza di accountability Nel quadrante Sud-ovest del diagramma non rientra alcuno dei casi nazionali esaminati nella parte del rapporto destinata all’analisi comparata. La categoria circoscrive uno scenario estremo, in cui lo status e lo sviluppo di carriera correlato prevalentemente all’anzianità di servizio si incrocia con un’evoluzione della pratica professionale, ossia del livello di professionalità, a titolo eminentemente volontario, pur nella possibile varietà e ricchezza di un’offerta formativa capillarmente distribuita sul territorio. La Formazione in servizio può assumere un carattere episodico, ma in linea di principio potrebbe acquistare la forma di un programma organico di interventi, il cui esito a livello individuale tuttavia non venga sottoposto a forme di valutazione. il tratto maggiormente caratterizzante questa situazione-tipo è in ogni caso costituito dall’assenza di forme di valutazione che tendano a misurare il grado di performance espresso dagli insegnanti e dalla concomitante assenza di un rapporto di causa ed effetto tra l’avanzamento di carriera e l’accertamento del grado di competenza posseduto nel corso del tempo. 199 201 7. Risultati di una prima ricognizione presso testimoni privilegiati ed operatori CNOS-FAP il tema della valutazione della performance dei formatori costituisce oggi uno degli elementi su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione sia sul piano delle indagini internazionali che delle concrete misure e sistemi messi a punto in forma eterogenea all’interno dei diversi contesti nazionali. Lo sviluppo di tali sistemi si ricollega ad una serie di obiettivi di policy per incrementare il livello di accountability espresso dai sistemi formativi che possono essere richiamati sinteticamente in rapporto a diversi livelli del sistema. Livello delle policy – Accrescere l’importanza della valutazione dei formatori per migliorarne la pratica didattica, riconoscerne il lavoro e supportare sia i formatori che le agenzie formative allo scopo di individuare opportunità di sviluppo professionale. – includere nella valutazione dei formatori forme di auto-valutazione, valutazione informale tra pari, l’osservazione in aula e l’uso di feedback regolari da parte del dirigente e dei colleghi con esperienza. – Assicurare che la valutazione dei formatori avvenga in un quadro di regole concordate riguardanti le responsabilità dei docenti e l’individuazione di standard di prestazione professionale. – Garantire che i dirigenti dei CFP e i formatori più esperti siano formati riguardo ai processi di valutazione e che le scuole dispongano delle risorse adeguate per soddisfare le esigenze individuate nello sviluppo professionale dei formatori. – Utilizzare la valutazione dei formatori per riconoscere e premiare le prestazioni esemplari con diverse forme di incentivo: più rapida progressione di carriera, indennità in giornate di lavoro, periodi sabbatici, supporto per la Formazione post-laurea, così come opportunità di Formazione in servizio. – Garantire che le misure utilizzate per valutare le prestazioni dei formatori siano definite rispecchiando gli obiettivi della scuola e tenendo conto del contesto formativo. – Distinguere tra forme diverse di valutazione, in particolare la valutazione formativa (in itinere, informale) per il miglioramento della pratica professionale, dalla valutazione sommativa per la progressione della carriera, che dovrebbe poggiare su una forte componente esterna all’istituzione formativa. Livello del sistema formativo locale – Stimolare e supportare i sistemi di valutazione della performance dei formatori, adottando misure per promuovere la loro diffusione. 202 – Favorire la costituzione di reti tra istituzioni formative per lo scambio di esperienze e di buone prassi, in risposta a bisogni di sviluppo dei sistemi formativi su scala locale. – Supportare, laddove esistano, forme di coordinamento dell’attività di valutazione della performance all’interno delle istituzioni formative. Livello dell’istituzione formativa – Sviluppare ruoli e funzioni di supporto alla dirigenza dei CFP che siano in grado di impostare, implementare e valutare sistemi di valutazione della performance dei formatori, connettendoli con l’offerta di Formazione continua presente all’interno o all’esterno dell’istituzione formativa, a forme di premialità ed alla politica di assicurazione della qualità promossa dal CFP. – Approntare una politica ed un sistema operativo per lo sviluppo delle misure di valutazione della performance che possa connettersi con le forme di crescita della pratica professionale, anche potenziando le azioni di autovalutazione individuale. Si è osservato come negli anni recenti, anche a seguito di una serie di progetti sperimentali promossi dal MiUr, si è riacceso in italia il dibattito sulla valutazione delle scuole e, di conseguenza, sulla valutabilità degli insegnanti. in tale dibattito ulteriori elementi di interesse sono stati introdotti dalla pubblicazione di numerosi studi e ricerche in cui si pone in evidenza l’esigenza di procedere ad una valutazione degli insegnanti sulla base di una multidimensionalità di approcci e di prospettive. in particolare è emersa da un lato la questione della legittimità, delle finalità e degli usi della valutazione degli insegnanti, come strumento di controllo e misurazione della performance, oppure come strumento di riconoscimento delle risorse e di valorizzazione delle competenze professionali presenti nella scuola, in funzione della promozione della qualità degli apprendimenti degli studenti e del successo formativo. Dall’altro lato, si è riproposto il tema del tipo di coinvolgimento degli insegnanti stessi nella loro valutazione. tuttavia, nonostante le avvertenze provenienti da molti studiosi, il dibattito pubblico e le stesse azioni sperimentali promosse dal MiUr sembrano muoversi in una cornice teorica piuttosto semplificatoria, che trascura di fatto la complessità delle pratiche didattiche e dei contesti scolastici. in particolare, è stato giudicato positivamente il fatto che nel nostro Paese lo sviluppo di sistemi integrati per la valutazione di sistema della sfera dell’education ha assunto negli anni recenti nuovo impulso che si è accompagnato ad approcci sempre più multidimensionali. Dal punto di vista della valutazione questa pluralità è infatti un dato imprescindibile: la realtà delle scuole è oggettivamente complessa e la loro qualità va pensata e misurata come un costrutto multidimensionale, che non può essere arbitrariamente semplificato in una misura unica. inoltre i contenuti e la rilevanza relativa delle diverse dimensioni degli esiti variano a seconda dei cicli e degli indirizzi scolastici. Pur nella loro molteplicità tuttavia, gli esiti finali, 203 lasciati all’autonomia responsabile delle scuole nella loro concreta articolazione, sono comunemente riferibili al successo formativo di ogni alunno, successo da perseguire nel quadro d’uno sviluppo armonico e integrale della persona. il contesto nel quale si colloca il dibattito sulla valutazione dei formatori non può non tener conto che nel corso del 2010 l’iNVALSi ha pubblicato il quadro di riferimento della valutazione del sistema scolastico e delle scuole. il framework integra in un quadro unitario la qualità del sistema e la qualità delle scuole. Molti degli indicatori utilizzati forniscono informazioni utili sia a livello di sistema – per orientare le scelte dei decisori politici – sia a livello di scuola in riferimento alla funzione regolativa della valutazione, diretta ad attivare processi di miglioramento e di sviluppo. il riferimento concettuale sotteso al framework è il modello CiPP. il modello interpretativo proposto fa riferimento a una diffusa letteratura sull’analisi organizzativa del servizio fornito dal singolo istituto scolastico ed è sintetizzabile in quattro classi di fattori: la prima si riferisce agli esiti formativi ed educativi; la seconda si riferisce alle pratiche educative e didattiche poste in essere nelle singole scuole; la terza si riferisce all’ambiente organizzativo all’interno del quale quelle pratiche e quei processi si sviluppano; la quarta richiama il contesto socio-ambientale e le risorse in cui si inscrive il funzionamento dell’istituto, visto nella duplice prospettiva di vincoli e opportunità per l’azione organizzativa e formativa della scuola. È importante cogliere come a tale quadro di riferimento si sia cercato di riportare anche il profilo della valutazione degli insegnanti. qui, secondo una prospettiva di accountability, possiamo distinguere due criteri: da un lato l’efficacia educativa, che si esplica nell’assicurare che la pratica di insegnamento soddisfi gli standard curricolari che consentono agli studenti di operare attivamente nella società della conoscenza; dall’altro, l’equità educativa, che consiste nel garantire che le opportunità di successo formativo siano accessibili a tutti gli studenti senza riguardo al loro background in ingresso. Non si può non considerare il fatto che la valutazione degli insegnanti risponde altresì ad una serie di finalità ulteriori, quali l’accertamento del grado di attitudine, delle conoscenze e capacità per promuoverne il riconoscimento del livello di competenza e di performance, anche ai fini di un avanzamento di carriera o di status. tuttavia, questa prospettiva ha sempre incontrato parecchie resistenze da parte degli insegnanti e delle organizzazioni sindacali e non si è mai tradotta in dispositivi concreti che mettessero in discussione i sistemi basati sull’anzianità di servizio. A livello generale, sul tema della valutazione dei docenti e formatori si possono riassumere alcune questioni chiave che ritornano sia nel dibattito a livello nazionale, sia nel confronto con le esperienze internazionali: a) Cosa viene valutato? Per l’aspetto della Formazione Professionale del docente si procede sovente alla costruzione di un sistema di crediti e di un sistema di certificazione in grado di trasformare qualsiasi apprendimento in credito capitalizzabile. Analogamente, per le dimensioni di gruppo vengono utilizzati dati 204 disponibili e procedure codificate. Per quanto riguarda la capacità didattica progettuale del docente, sono possibili diverse soluzioni che vanno dall’auto alla etero valutazione, alla loro integrazione, che hanno impatti e comportano impegni e costi differenti. b) La sostenibilità a regime del dispositivo. il processo di valutazione deve pensare fin dall’inizio a procedure sostenibili nel tempo, in termini di impegno finanziario ma anche di tempo lavoro. c) Gli effetti della valutazione. Le conseguenze della valutazione degli insegnanti cambiano se la stessa è svolta in una logica premiante – tipo premio produttività –, in una logica di accesso a funzioni di sistema, o in una logica di progressione di carriera. Come si può evincere dall’insieme delle considerazioni fin qui svolte, il tema della valutazione degli insegnanti apre una ridda di prospettive che riconfermano al centro la questione cruciale della legittimazione sociale e organizzativa dei vari approcci proposti: ad essere sollecitate infatti non sembrano essere tanto le tecnicalità e le metodologie valutative, quanto piuttosto il senso e l’uso che esse assumono per i vari stakeholder, ma soprattutto per i protagonisti centrali del dialogo educativo, gli insegnanti e gli studenti. 205 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI PARTE PRIMA ALLULLi G. et alii (2006), Guida all’autovalutazione per le strutture scolastiche e formative, i libri del Fondo Sociale Europeo, iSFoL, roma. ALLULLi G., GENtiLiNi D. 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SUPSi (2010), Master of Arts SUPSi in insegnamento nella scuola media. Piano di studio. Anno accademico 2010/2011, SUPSi, Locarno. 211 INDICE SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PARTE I LA VALUTAZIONE INTERNA ED ESTERNA DEI CFP E IL NUOVO SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE Convergenze, specificità e prospettive in relazione alle recenti politiche nazionali ed europee sulla qualità della VET introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1. La valutazione delle istituzioni scolastiche e formative nello scenario oCSE . . . . 13 1.1. Valutazione delle istituzioni educative tra prospettive di accountability e di miglioramento continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.2. Alcune tendenze generali emergenti dall’analisi dei processi di riforma in corso nei Paesi OCSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.3. Rassegna di alcuni scenari nazionali significativi in ambito europeo (istituzioni formative) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.3.1. inquadramento generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.3.2. Danimarca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 1.3.3. Germania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 1.3.4. inghilterra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 1.4. Rassegna di alcuni scenari nazionali significativi in area OCSE (istituzioni scolastiche) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.4.1. inghilterra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.4.2. Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 1.4.3. Svezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 1.4.4. Nuova zelanda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 1.4.5. Corea del Sud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 2. il quadro europeo di riferimento per l’assicurazione della qualità dell’istruzione e della Formazione Professionale (EqArF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 2.1. Il processo di Copenhagen ed il rafforzamento della dimensione europea dell’Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 2.2. Il quadro di riferimento per l’assicurazione della qualità della VET . . . . . . . . 55 2.3. Ulteriori elementi di supporto alla strategia europea per l’assicurazione della qualità della VET sviluppati dal CEDEFOP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 2.3.1. La Guida per l’autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 2.3.2. il manuale per la Peer review . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 212 3. il sistema di valutazione nazionale ed il progetto VALeS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 3.1. Modello interpretativo multidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 3.2. Il processo valutativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 4. Elementi di un framework per la valutazione dei CFP coerente con le recenti politiche nazionali ed europee di settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 4.1. Impianto valutativo a carattere sistemico, centrato sul ciclo di vita dell’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 4.2. Approccio integrato tra le componenti di auto-valutazione e di etero-valutazione 72 4.3. Complementarietà tra prospettive di accountability e di miglioramento continuo 73 4.4. La dimensione interna della valutazione: descrittori ed indicatori chiave. Esemplificazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 4.4.1. il dispositivo procedurale iNVALSi-VALeS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 4.4.2. Descrittori ed indicatori del dispositivo EqArF . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 4.4.3. il modello allo studio presso la Provincia Autonoma di trento . . . . . . 84 4.5. Il Rapporto di Autovalutazione ed il Piano di Miglioramento: elementi di raccordo tra valutazione interna e valutazione esterna. Esemplificazioni . . . . . . . 86 4.5.1. il dispositivo procedurale iNVALSi-VALeS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 4.5.2. il modello trentino di integrazione tra valutazione esterna di istituto e valutazione della dirigenza scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 4.6. Funzione centrale del Nucleo Interno di Valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 4.7. La dimensione esterna della valutazione: fasi e processi chiave. Esemplificazioni 90 4.7.1. il dispositivo procedurale iNVALSi-VALeS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 4.7.2. il dispositivo procedurale nel contesto inglese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 4.7.3. il dispositivo procedurale nel contesto neozelandese . . . . . . . . . . . . . . 95 5. risultati di una prima ricognizione sulla sostenibilità del framework presso un panel di testimoni privilegiati ed operatori del CNoS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 PARTE II VALUTAZIONE DELLA PROFESSIONALITÀ E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE DEI FORMATORI CNOS-FAP Convergenze, specificità e prospettive in relazione alle politiche nazionali ed europee in campo valutativo introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 1. La figura dell’insegnante al centro dell’attività di analisi e ricerca sul piano internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 1.1. Inquadramento generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 1.2. La qualificazione degli insegnanti secondo la Commissione Europea . . . . . . . 115 2. La valutazione della performance di insegnanti e formatori nello scenario oCSE 119 3. rassegna di alcuni scenari nazionali significativi in ambito europeo . . . . . . . . . . . 125 3.1. Inghilterra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 3.2. Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 3.3. Spagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 3.4. Svizzera-Canton Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 4. Profili e standard professionali differenziati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 4.1. Questioni centrali per una lettura multilivello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 4.2. Quadro sinottico delle politiche nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 4.3. Differenziazioni funzionali all’interno della figura dell’insegnante/formatore e centralità del concetto di famiglia professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 4.4. Lo sfondo per lo sviluppo di standard professionali dell’insegnante: l’European Qualification Framework . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 4.5. Dalle figure professionali ai cluster di competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 5. Elementi di un framework per la valutazione dei formatori dei CFP coerente con le recenti politiche nazionali ed europee di settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 5.1. Valutazione degli insegnanti e obiettivi di sviluppo dei sistemi educativi: questioni centrali per una lettura multilivello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 5.2. Il sistema valutativo: tendenze generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 5.2.1. Valutazione della performance degli insegnanti e formatori . . . . . . . . . 149 5.2.2. Accertamento degli esiti di apprendimento degli studenti collegato alla valutazione degli insegnanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 5.2.3. Figure di sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 5.3. Referenziali di competenza: architettura e funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 5.3.1. Le dieci competenze professionali dell’insegnante in Francia . . . . . . . 160 5.3.2. il framework delle competenze dei formatori della Formazione Professionale ProFF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 5.3.3. Profilo professionale del formatore nell’iCt: European uteacher . . . . 171 5.4. Il processo valutativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 5.4.1. L’Evaluation Cycle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 5.4.2. La valutazione della performance dei formatori collegata al sistema di assicurazione della qualità dell’istituzione educativa . . . . . . . . . . . . . . 175 5.5. La valutazione degli insegnanti e formatori di nuova nomina . . . . . . . . . . . . . . 178 5.5.1. La valutazione nei programmi di introduzione alla professione: il modello inglese dell’induction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 5.5.2. il periodo di prova per i neoassunti in ruolo in italia . . . . . . . . . . . . . . 182 5.6. Il sistema di certificazione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 5.6.1. obiettivi di sviluppo dei sistemi a fronte di criticità comuni . . . . . . . . 184 5.6.2. Certificabilità dei crediti formativi e standard professionali o di qualificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 5.6.3. il Framework for teaching di Danielson la valutazione per mezzo di rubric . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 6. Accountability e sistemi educativi: connessioni tra valutazione dei formatori ed ulteriori elementi concorrenti allo sviluppo della professionalità dell’insegnante . 195 7. risultati di una prima ricognizione presso testimoni privilegiati ed operatori CNoS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211 213 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. 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(a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALiziA G. - PiEroNi V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNoS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLErEY M. - GrząDziEL D. - MArGottiNi M. - EPiFANi F. - ottoNE E., Imparare a dirigere se stessi. 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Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 217 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FriSANCo M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 218 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NiCoLi D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SALAtiNo S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 219 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2014

OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia

Autore: 
Luca Dordit
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2014
Numero pagine: 
92
Codice: 
978-88-95640-73-0

Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953)

Autore: 
José-Manuel Prellezo
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2013
Numero pagine: 
200
Codice: 
978-88-95640-78-5
José Manuel PRELLEZO Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953) Anno 2013 ©2013 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma - Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it - Dicembre 2013 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE (a cura di Francesco Motto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 SIGLE E ABBREVIAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 CAPITOLO 1 DAI LABORATORI FONDATI DA DON BOSCO A VALDOCCO ALLE “SCUOLE DI ARTI E MESTIERI” SALESIANE (1853-1888) . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 CAPITOLO 2 IL LABORIOSO CAMMINO VERSO L’ORGANIZZAZIONE DI “VERE E PROPRIE SCUOLE PROFESSIONALI” SALESIANE (1889-1910) . . . . . . . . 27 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 CAPITOLO 3 LE SCUOLE PROFESSIONALI SALESIANE SULLO SFONDO DI DUE GUERRE MONDIALI: PROSPETTIVE E REALIZZAZIONI (1911-1945) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 CAPITOLO 4 DALLA “RICOSTRUZIONE” POSTBELLICA AL PRIMO CENTENARIO DEI LABORATORI DI DON BOSCO (1946-1953) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 EPILOGO REALIZZAZIONI, PROBLEMI E PROSPETTIVE (1954-2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 4 APPENDICI PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 I - DOCUMENTI EDITI E INEDITI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 II - DATI STATISTICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 III - DOCUMENTI ICONOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 IV - INDIRIZZI DI CARATTERE TECNICO-PROFESSIONALE DALLE ORIGINI FINO AD OGGI (ITALIA 1853-2013) SECONDO GLI ANNUARI SALESIANI . . . . . . . . . . . . . 158 FONTI E BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 5 PRESENTAZIONE Perché un volume come questo, in un momento storico come l’attuale, in cui è da poco trascorso il 150° dell’Unità d’Italia e la Congregazione Salesiana si appresta a celebrare, nel 2015, il bicentenario della nascita di Don Bosco? Per un motivo, direi, molto semplice. Se l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, come recita il primo articolo della Costituzione Italiana, sono centinaia di migliaia gli Italiani che in questi 150 anni, nelle numerosissime case salesiane di tutta Italia, hanno “imparato un lavoro”, senza ovviamente contare le altre centinaia di migliaia di giovani che hanno “imparato a lavorare” mettendo le basi culturali per acquisire una più alta professionalità e hanno portato avanti il messaggio del “buon cristiano e onesto cittadino”. Troppo facilmente oggi rischiamo di vivere in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato di cui pure siamo frutto. Troppo facilmente oggi anche gli storici italiani hanno “dimenticato” ciò che invece ex officio dovrebbero “ricordare” agli altri, il passato, tutto il passato. Ed in questo passato si trova che la legislazione relativa ad una riorganizzazione dell’istruzione professionale nel nostro Paese è di cinquant’anni dopo l’Unità d’Italia (1912), che essa recepì molto dell’apprezzata esperienza salesiana ma che non sortì effetti significativi a causa della Grande Guerra. La storia ci indica altresì che la riforma Gentile non considerò la Formazione Professionale come scuola di “pari dignità” con gli indirizzi umanistici, che durante il ventennio fascista la Scuola Professionale rimase in una specie di “limbo” legislativo – mentre le scuole salesiane continuavano la loro esperienza ed il loro ruolo di “supplenza” rispetto allo Stato – che anche la Carta della scuola del 1939, pur tentava di correggere il tiro, ancora una volta, per lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, restò lettera morta. Solo negli anni cinquanta, in una Italia in cui ancora molti, troppi faticavano a vivere, in cui si trattava di dare lavoro e fiducia a tutti per ricostruire un tessuto sociale – ci ricorda sempre la storia – furono promossi dallo Stato corsi di “addestramento al lavoro”. Ma fu un episodio circoscritto, tanto più che presto sarebbe venuta la riforma della Scuola media unica e la situazione sarebbe cambiata radicalmente. Con tutto ciò solo ultimamente è stata editata un’ampia “Storia della formazione professionale in Italia”, guarda caso, proprio in una collana di pubblicazioni salesiane del CNOS-FAP, purtroppo relativa al solo periodo 1947-1977, praticamente dunque posteriore all’epoca cui si riferisce il presente volume di José Manuel Prellezo. Il noto studioso spagnolo, da quattro decenni presente in Italia, professore emerito già ordinario di Storia dell’Educazione presso l’Università Pontificia Salesiana ed autore di pregevoli saggi di storia salesiana, non vuole certo in questo testo colmare tale lacuna. Intende solo, sulla base in particolare delle fonti archivistiche salesiane, e 6 della bibliografia esistente, ricostruire in quattro tappe la storia centenaria della Formazione Professionale salesiana, dagli umili laboratori di Torino-Valdocco dei primi cinquanta del secolo XIX fino alle “vere e proprie scuole professionali salesiane” del primo secolo successivo. L’indagine centenaria si chiude esattamente con il 1953. Cinque anni dopo don Bosco venne dichiarato patrono degli apprendisti. Ovviamente quella che Prellezo racconta è una storia ad intra della società salesiana, che però ha necessariamente operato a fronte di innumerevoli sfide ad extra: quelle dei nuovi fermenti sociali e dalla evoluzione della mentalità e del costume prodotti dai processi di industrializzazione e di modernizzazione economica, della crescita dei nuovi ceti sociali, dell’incremento dell’urbanizzazione, delle nuove ideologie e dei movimenti politici di massa, più tardi dalla “nazionalizzazione delle masse” e dall’educazione totalitaria della gioventù, fino a giungere alla ripresa economica del secondo dopoguerra; il tutto attraversato da profondi mutamenti del sistema scolastico nazionale e della dottrina sociale della Chiesa. Una storia dunque che ha vissuto momenti di euforia e momenti di crisi, momenti di serenità e momenti di difficoltà e di tragedia, vuoi per ragioni di ripensamento e riorganizzazione interna alla società salesiana dovuti magari a ristrettezze economiche e scarsità di personale, vuoi per rispondere ai sempre nuovi e spesso urgenti appelli della società civile e delle autorità politiche, vuoi per aver dovuto portare le conseguenze di due guerre mondiali. Tutto questo è qui brevemente presentato, documentato, ed anche illustrato con fotografie più eloquenti delle parole. Non si può che essere grati all’autore. Lo sviluppo industriale dell’Italia, dai suoi timidi inizi torinesi al boom economico degli anni sessanta, fu reso possibile anche dalla non indifferente presenza di maestranze che i salesiani di don Bosco – e fra loro soprattutto la componente laicale, molte centinaia di “coadiutori”, italiani ed anche stranieri in un arricchente scambio interculturale – hanno preparato con seria disciplina, con nuove specializzazioni professionali, con ottima “qualità” di lavoro. “Mettere i giovani in grado di guadagnarsi onestamente il pane” in un ambiente sereno e sicuro, educarli ad essere “buoni cristiani, buoni cittadini, abili nell’arte” è stato un contributo prezioso che la Società salesiana con le sue scuole professionali ed agricole ha dato (e continua a dare) al paese Italia. In esso gli ex allievi di tali scuole – per lo più figli di famiglie del ceto popolare – non solo hanno trovato modo di vivere dignitosamente del lavoro delle loro mani, ma si sono affermati proprio in ragione della loro capacità di produrre bene e servizi; non solo hanno potuto godere di un decente livello di sussistenza, ma spesso hanno anche acquisito un ruolo nella società di notevole prestigio. E non solo in Italia, visto che dall’Italia sono partiti salesiani capi-laboratori e maestri d’arte, che hanno creato dal nulla decine di apprezzate scuole professionali ed agricole in moltissimi paesi europei ed extra - europei, sempre nel tentativo di rispondere alle “esigenze del tempo e del luogo” e di essere “con i tempi e con don Bosco”. Francesco Motto Direttore Istituto Storico Salesiano 7 PREMESSA I primi tre saggi del volume sono stati pubblicati in “Rassegna CNOS” (Problemi esperienze prospettive per l’istruzione e la formazione professionale), in occasione del 25° anno di fondazione della Rivista (2009)1. Con il proposito di rispondere all’invito e alle norme redazionali suggerite dai responsabili della Condirezione della stessa “Rassegna CNOS”, si è cercato di ripercorrere nei tre menzionati contributi le origini e le prime e principali vicende della storia delle scuole professionali salesiane: dai laboratori fondati da don Bosco a Valdocco nel 1853 alle prospettive e realizzazioni sullo sfondo delle due guerre mondiali (1911-1945). Dovendo rispettare adeguatamente i limiti di spazio dei singoli contributi e il carattere della pubblicazione, si è cercato di mettere in risalto, nella delineazione delle singole tappe, i fatti e le circostanze più rilevanti, privilegiando anzitutto le testimonianze dei protagonisti, pur non trascurando i dati e gli elementi essenziali per abbozzare l’indispensabile contesto socio-culturale. Nell’accogliere ora la proposta di riproporre i tre contributi in un breve volume da offrire ad un pubblico più vasto, è sembrato opportuno completare la panoramica tracciata, aggiungendo un quarto capitolo di particolare interesse: quello della post-guerra (1845-1953), in cui l’appello alla “ricostruzione” lanciato dal Rettor Maggiore, don Pietro Ricaldone, ebbe notevole risonanza negli istituti e nei centri salesiani dedicati ai giovani artigiani e ai ragazzi dei ceti popolari. Infine, la pubblicazione si chiude con quattro consistenti appendici: documenti, editi e inediti; dati statistici; riproduzioni fotografiche significative dal punto di vista storico; indirizzi di carattere tecnico-professionale dalle origini fino ad oggi secondo gli annuari salesiani. Nell’insieme, i materiali riportati attestano le tappe percorse dai laboratori iniziati da don Bosco nel 1853 e i diversi mezzi e sussidi che ne facilitarono i successivi sviluppi: programmi scolastici e professionali, norme per l’organizzazione delle esposizioni professionali generali, metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani, norme da seguire negli esami di promozione dei giovani artigiani, orientamenti pedagogico-didattici per i maestri d’arte, riflessioni su “educazione e formazione professionale”. 1 PRELLEZO J.M., Dai laboratori fondati da don Bosco a Valdocco alle “scuole di arti e mestieri” salesiane (1853-1888), in “Rassegna CNOS”, 25(2009)1, 21-36; ID., Il laborioso cammino verso l’organizzazione di “vere e proprie scuole professionali” salesiane (1888-1910), in “Rassegna CNOS”, 25(2009)2, 23-38; ID., Le scuole professionali. Prospettive e realizzazioni sullo sfondo delle due guerre mondiali (1911-1945), in “Rassegna CNOS”, 25(2009), 33-38. 8 SIGLE E ABBREVIAZIONI ACG Atti del Consiglio Generale ACS Atti del Capitolo Superiore ASC Archivio Salesiano Centrale, Roma BS Bollettino Salesiano CG Capitolo Generale CM Circolari mensile del Capitolo Superiore DBS Dizionario Biografico dei Salesiani Delib. 3-4 CG Deliberazioni del Terzo e Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana: tenuti in Valsalice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tip. Salesiana, 1887 Delib. sei primi CG Deliberazioni dei sei primi capitoli generali della Pia Società Salesiana precedute dalle Regole e Costituzioni della medesima, S. Benigno Canavese, Tipografia e Li bre - ria Salesiana, 1894 RSS Ricerche Storiche Salesiane 9 Capitolo 1 Dai laboratori fondati da don Bosco a Valdocco alle “scuole di arti e mestieri” salesiane (1853-1888) Il 18 dicembre 1859, don Bosco con un gruppo di giovani collaboratori, impegnati con lui, nell’opera degli oratori festivi torinesi, decisero “di erigersi in Società o Congregazione che avendo di mira il vicendevole aiuto per la santificazione propria si proponesse di promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime specialmente delle più bisognose d’istruzione e di educazione”2. I partecipanti a quell’adunanza di fondazione, allo stesso tempo che dichiaravano la loro determinazione di dedicarsi totalmente all’istruzione e all’educazione dei più bisognosi, precisavano che il campo privilegiato dalla nuova Società o Congregazione era la “gioventù abbandonata e pericolante”. Questa affermazione – che, con formulazioni leggermente diverse, doveva ricorrere poi frequentemente negli scritti e nelle parole di don Bosco e dei suoi collaboratori e seguaci – diventò vero programma di vita. Nella prima stesura delle Costituzioni (1858) della futura Società di San Francesco di Sales, il fondatore aveva precisato già i destinatari dell’opera dei salesiani. Dopo aver scritto che il “primo atto di carità sarà di raccogliere giovani poveri ed abbandonati per istruirli nella cattolica religione, particolarmente ne’ giorni festivi” (III, 3), egli aggiungeva: “Se ne incontrano poi di quelli che sono talmente abbandonati che per loro riesce inutile ogni cura se non sono ricoverati, onde per quanto sarà possibile [si] si apriranno case di ricovero ove coi mezzi che la Divina Provvidenza porrà fra le mani, sarà loro somministrato alloggio, vitto e vestito, mentre saranno istruiti nelle verità della fede, saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere come attualmente si fa nella casa annessa all’oratorio di S. Francesco di Sales in questa città” (III, 4). Infatti, fin dall’anno 1853, don Bosco aveva organizzato, in una stanzetta della prima istituzione assistenziale-educativa fondata a Torino, un modesto laboratorio per giovani calzolai. Da quel momento, accanto ai ragazzi che frequentavano gli studi umanistici, i giovani artigiani occuperanno un posto sempre più rilevante nella casa annessa all’Oratorio di Torino e in altre case salesiane italiane: Sampierdarena- Genova e San Benigno Canavese; e, ancora durante la vita del fondatore, nelle case aperte fuori di Italia: Ateliers professionnels de l’Association du Patronage St-Pierre a Nizza (1875) e Orphelinat Saint-Gabriel a Lilla (1884), in Francia; 2 ASC D868, Verbali del Capitolo Superiore (18.12.1859). 10 Talleres di Buenos Aires (1877) in Argentina, Talleres salesianos (1884) di Sarriá, in Spagna. La strada percorsa dai primi “laboratori” di Valdocco alle “scuole di arti e mestieri” fino alle “vere scuole professionali” salesiane in tutti i continenti è stata lunga e non priva di incertezze e di difficoltà. In queste pagine mi propongo di delineare le principali tappe percorse durante la vita di don Bosco3. 1. I laboratori di Valdocco: iniziativa “privata” nel clima di nuovo interesse per l’educazione dei giovani artigiani La decisione di allestire a Valdocco un laboratorio di calzolai, nell’anno 1853, intendeva essere una risposta d’urgenza ai bisogni dei giovani “poveri e pericolanti” arrivati dalle campagne nella capitale del Piemonte alla ricerca di un lavoro. L’iniziativa di don Bosco si innestava senza difficoltà nelle esperienze personali che egli stesso raccontò nelle Memorie dell’Oratorio. Basti accennare qui ad alcuni fatti ben noti: da ragazzo partecipa ai lavori agricoli nella campagna familiare; studente a Chieri è apprendista sarto nella casa di Roberto Giovanni, “caffetiere e liquorista” nella pensione di Giovanni Pianta. Ordinato sacerdote e iniziato il suo lavoro pastorale (1841-1843), entra in contatto con garzoni muratori, stuccatori, selciatori che frequentano il suo Oratorio, aperto nel quartiere periferico torinese di Valdocco e Borgo Dora. Ai giovani immigrati e disoccupati, don Bosco cerca un lavoro nella bottega di qualche “onesto padrone”. E, se si tiene presente il momento storico, è da mettere in particolare risalto un fatto: don Bosco stipula regolari contratti di apprendistato per i suoi ragazzi. È datata l’8 febbraio 1852 la “convenzione” tra il maestro Giuseppe Bertolino e il giovane Giuseppe Odasso, nativo di Mondovì, “con l’intervento del Rev.do Sacerdote Giovanni Bosco, e coll’assistenza e fedejussione del padre di detto giovane”. Bertolino riceve Odasso “nella qualità di apprendista nell’arte di falegname” e si obbliga “di insegnargli l’arte suddetta, per lo spazio di anni due”4. 3 Riprendo qui dati e riflessioni tratti, in parte, da alcuni saggi e ricerche precedenti: PRELLEZO J.M., Don Bosco y las escuelas profesionales, in “Don Bosco en la historia. Actas del primer congreso internacional de Estudios sobre san Juan Bosco”, Edición en castellano dirigida por J.M. Prellezo García, Roma/Madrid, LAS/CCS, 1990, 333-355; ID., “Dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnicoprofessionali salesiane. Un impegno educativo verso la gioventù operaia”, in VAN LOOY L. - MALIZIA G. (Edd.), Formazione professionale salesiana: memoria e attualità per un confronto. Indagine sul campo, Roma, LAS, 1997, 19-51; PRELLEZO J.M., La “parte operaia” nelle case salesiane. Documenti e testimonianze sulla formazione professionale (1883-1886), in “RSS”, 16(1997), 353-391; ID., Le scuole professionali salesiane (1880-1922). Istanze e attuazioni viste da Valdocco, in GONZÁLEZ J.G. et al., L’educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazioni in diversi contesti, Roma, LAS, 2007, 53-94. 4 Cfr. PANFILO L., Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco all’attività di formazione professionale (1860-1915). Il ruolo dei salesiani, Milano, LES, 1976, 49. 11 Bisogna inoltre tener presente, allo stesso tempo, un quadro di riferimento più vasto: “L’assestamento a Valdocco della sezione artigiani venne a inquadrarsi nelle vicende del ceto operaio in Piemonte e delle istituzioni scolastiche non classiche. Attorno al 1840-1950 l’istruzione appariva come il valico attraverso il quale le classi inferiori si sarebbero potute riversare su quelle superiori. La scalata sociale si sarebbe verificata fatalmente in forme non previste o non gradite. Persisteva nelle classi dominanti una visione conservatrice”5. Per “istinto o consapevolmente”, don Bosco, nei primi anni della sua attività, non si mosse tenendo presente i modelli scolastici pubblici riguardanti l’istruzione non classica. Con una chiara preoccupazione preventiva – quella di evitare i gravi pericoli morali delle officine della città – e con una esplicita fina lità pratica, don Bosco apre nella “casa annessa” all’Oratorio di San Francesco di Sales, ben sei laboratori: quello ricordato dei calzolai (1853) e poi sarti (1853), legatori (1854), fale gnami (1856), tipografi (1861), fabbri (1862)6. L’approccio alle realizzazioni degli inizi porta a una prima constatazione di notevole rilevanza. In questo settore di avviamento all’apprendistato, non sono seguiti i modelli scolastici statali: “Tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalla legge organica sull’istruzione, don Bosco preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i giovani apprendisti”7. Infatti, nel 1861, don Bosco non si diresse al regio provveditore degli studi per chiedere l’autorizzazione di fondare una scuola speciale o tecnica che prevedesse l’insegnamento dell’arte tipografica, ma si rivolse al governatore della Provincia di Torino, conte Pasolini, sollecitando l’apertura a Valdocco di una tipografia. Dopo laboriose trattative, don Bosco ottenne la facoltà di aprire all’Oratorio, nel “suo stabilimento”, un “esercizio di tipografia” sotto la direzione del tipografo Andrea Giardino8. Nella scelta operata da don Bosco era presente l’esigenza di dare una risposta ai bisogni concreti dell’istituzione assistenziale-educativa da lui fondata, ormai in rapida crescita. Nel 1885, accennando all’origine dell’opera, il fondatore diceva così ai membri del Capitolo Superiore (oggi Consiglio Generale) della Con gregazione salesiana: “All’Oratorio, gli interni primi furono gli studenti e poi gli artigiani in 5 STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS, 1980, 244; ID., Don Bosco e le trasformazioni sociali e religiose del suo tempo, in MIDALI M. - BROCCARDO P. (Edd.), La famiglia Salesiana riflette sulla sua vocazione nella chiesa di oggi, Leumann (RO), Elle Di Ci, 1973, 145-170. 6 PRELLEZO J.M., Valdocco nell’Ottocento tra reale e ideale (1866-1889). Documenti e testimonianze, Roma, LAS, 1992, 175; cfr. STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale, 244-245. 7 STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale, 248. 8 Ibidem, 246. 12 soccorso degli studenti. Quindi prima calzolai poi sarti. Ci fu bisogno di libri, quindi legatori. Primo legatore Redino soprannominato Go verno; vennero quindi le fabbriche ed ecco falegnami e fabbri ferrai. Il lavoro agli artigiani lo danno gli studenti”9. In questo quadro di realtà e di idealità, si comprende come don Bosco non abbia trovato nelle “scuole tecniche” del tempo una proposta soddisfa cente. Anzi, secondo la testimonianza di alcuni dei suoi più stretti collaboratori, egli “era av verso” a queste scuole. Stabilite, non senza incertezze e ambi guità, all’interno dell’insegnamento “secondario”, dalla legge Casati del 1859, le cosiddette “scuole tecniche” avevano come fine di “dare ai giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e speciale” (art. 272). In pratica, esse erano destinate “per la piccola borghesia degli affari, degli impieghi e dei commerci”10. Ancora negli ultimi anni dell’Ottocento non si era assopita la polemica sulla mancanza di capacità di quel tipo di istituzioni a dare un “mestiere” agli allievi; si diceva che, “dopo averle frequentate”, al massimo si poteva fare “il fattorino telegrafico o lo straordinario in un’agenzia delle imposte”11. L’opera iniziata a Valdocco per i giovani disoccupati, alcuni dei quali usciti dal carcere, ed in gran parte analfabeti, si inseriva, dunque, senza forzature tra le iniziative “private”, nate in un clima di nuova attenzione per l’istruzione dei ceti popolari e per la crea zione di “officine” destinate ai giovani apprendisti. Il canonico bresciano Ludovico Pavoni aveva fondato già nel 1821 l’Istituto di San Barnaba, nel quale giovani poveri erano avviati all’apprendimento di un’arte (tipografo, legatore dei libri, fabbroferraio, falegname, tornitore, calzolaio ed altre). Negli anni che precedette ro l’apertura del primo laboratorio di don Bosco a Valdocco, diverse pubblicazioni periodiche caldeggiavano l’importanza della formazione di artigiani istruiti, e pre sentavano ai loro lettori le esperienze italiane (“istituti di arti e mestieri di Biella”) ed estere (Écoles royales d’Artes et Métiers de Chàlons sur- Marne). Nel 1831, il pedagogista Raffaello Lambruschini, concludeva il suo ragionamento – in un celebrato discorso alla Accademia dei Georgofili di Firenze sulla “educazione popolare” – con queste parole: “Il nostro insegnamento dovrebbe dunque essere altresì un insegnamento di arti e mestieri”12. Don Bosco, d’altra parte, poté avere pure tra le mani la rivista “L’Educatore Primario”, pubblicazione attenta al problema della educazione degli artigiani. E poté leggere, nel 1849, un avviso a stampa, in cui don Luigi Cocchi annunciava l’istituzione di una società di sacerdoti e “giovani laici”, che si sarebbero interessati dell’educazione di “tanti 9 ASC D872, Verbali del Capitolo Superiore (14.12.1885). 10 TONELLI A., L’istruzione tecnica e professionale di Stato nelle strutture e nei programmi da Casati ai nostri giorni, Milano, Giuffrè, 1964, 13. 11 SOLDANI S., L’istruzione tecnica nell’Italia liberale, in “Studi Storici”, 22(1981)1, 110. 12 LAMBRUSCHINI R., Scritti politici e di istruzione pubblica, Firenze, La Nuova Italia, 1937, 450. 13 ragazzi orfani principalmente, abbandonati che bulicavano per Torino... onde avviarli a qualche professione, a qualche mestiere”13. Don Bosco prese inoltre contatto con istituti torinesi in cui erano attivati laboratori per ragazzi, come la Generala e il Regio Albergo delle Virtù di Torino. In quest’ultimo istituto, verso l’anno 1842, erano ospitati circa 150 ragazzi, che si esercitavano nell’apprendimento di un’arte o mestiere, “con lo scopo di diventare abili e campare onestamente la vita”14. 2. La “sezione artigiani” di Valdocco L’avviamento e la successiva organizzazione dei laboratori nella casa annessa all’Oratorio di San Francesco di Sales di Torino, accanto alla “sezione studenti”, non riuscì impresa agevole. Intervennero diversi fattori, oltre quelli di carattere economico. Ne indico uno di particolare rilevanza: gli apprendisti indirizzati ad un mestiere avevano fatto spesso esperienze negative; infatti, alcuni di essi erano stati portati all’Oratorio dalla “autorità di pubblica sicurezza”. Nei primi anni Settanta si avvertì qualche segnale di cambiamento. In occa - sione della “conferenza generale” dei responsabili della Congregazione sale siana, tenuta nella festa di San Francesco di Sales del 1871, dopo aver ascol tato le relazioni su “tutte le case particolari”, don Bosco disse, riferendosi alla “casa centrale” di Valdocco: “Sono anche contento del gran miglioramento introdottosi negli artigiani, che gli altri anni erano un vero flagello per la casa. Non è che tutti siano ora farina da far ostie, ma un miglioramento c’è”15. Il tema del “miglioramento” dei giovani artigiani si trovò spesso all’ordine del giorno nelle adunanze del personale responsabile di Valdocco. Vi si parlò anche a più riprese della convenienza di separare gli artigiani dagli studenti. Un fatto che va collocato in una cornice culturale più ampia, in cui la scuola classica occupava un posto centrale. La “tendenza generale dell’Italia post-unitaria verso l’istruzione letteraria faceva della sezione studenti di Valdocco [...] la categoria trainante, e costituiva l’ancoraggio più sicuro sia per la sezione artigiani di Valdocco e di Sampierdarena, economicamente più precaria, sia per la stessa opera primordiale degli oratori festivi”16. 13 STELLA P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. I. Vita e opere, Roma, LAS, 1979, 110. 14 GARGANO F., Educazione e tecnologia, in “Letture in Famiglia”, 1(1842), 274; cfr. anche Istruzione tecnica, in “L’Educatore Primario”, 1(1845), 294-296; BARICCO P., L’istruzione popolare in Torino, Torino, Tip. Botta, 1865, 140-141. I “laboratori [della Generala] non erano concepiti come vere e proprie scuole di apprendimento per le quali l’investimento finanziario era motivato da ragioni sociali, ma piuttosto erano pensati come aziende artigianali capaci di sfornare prodotti finiti e redditizi” (STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale, 245). 15 ASC 04, Conferenze generali (30.01.1871). 16 STELLA P., Don Bosco nella storia economica, 378. 14 Benché non si possa parlare di una drastica inversione di tendenza a Val docco, negli anni Settanta vi si rileva una maggiore attenzione ai giovani artigiani. A questo riguardo, non mancarono ovviamente fatti stimolanti provenienti dall’ambiente socioculturale coevo. Nel biennio 1870-1871 dava i primi passi a Torino il movimento associativo operaio cattolico con la fondazione della “Unione Operaia Cattolica”, creata da Leonardo Murialdo. Questi influì anche su don Bosco: ne “sollecitava la presenza e la parola nelle inaugurazioni delle nuove sezioni, nell’intento pure di convogliare nelle società operaie cattoliche i giovani operai dei suoi Oratori”17. Contemporaneamente, arrivavano al Piemonte notizie delle iniziative francesi di Leon Harmel e di Timon David a favore dell’educazione e dell’istruzione dei giovani operai. Nel 1871 si fondava a Madrid la prima Escuela de Artes y Oficios (DL del 5.5.1871). La congiuntura economica favorevole del 1872 permise inoltre a don Bosco di dare un nuovo impulso alle “Letture Cattoliche” e, in stretto collegamento, anche al laboratorio dei legatori. Ugualmente la tipografia, superati momenti di tensione con i tipografi torinesi, ebbe notevole sviluppo, trovando da più parti ampi consensi18. “Di questi giorni – scriveva don Barberis con entusiasmo nelle cronachette del 1878 – all’Oratorio avvennero varie altre cose che credo degne di menzione. E prima di tutto: si fecero venire dalla Germania tre nuove macchine di tipografia [...]. E veramente se ne abbisognava. Quasi tutti gli inverni bisognava lavorare di notte. Ora con sette macchine, due delle quali sono doppie cioè stampano due fogli, del lavoro se ne fa”19. Quando a Valdocco si cercava il modo di “migliorare la condizione degli artigiani”, si pensava chiaramente agli aspetti religiosi e morali, ma anche a quelli riguardanti l’istruzione, la pulizia e le cure igieniche, l’impegno nel lavoro, la necessità di ren dere “più fruttuosi” i laboratori, l’andamento della vita collegiale: celebra zioni festive, musica vocale e strumentale, accademie, “teatrino” (che doveva “divertire e istruire”). Tuttavia, l’offerta culturale era stata, agli inizi, piuttosto modesta. Valdocco non costituiva, però, in tale ambito, una eccezione nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento. Alla radice di simile situazione si trovavano, tra gli altri fattori, i pregiudizi e le riserve di fronte alla diffusione dell’istruzione popolare. Il conte Solaro della Margherita, primo segretario di Stato di Carlo Alberto, scriveva ancora nel 1853: “Se l’istruzione è necessaria, non è necessario, anzi pregiudizievole, che 17 CASTELLANI A., Il Beato Leonardo Murialdo, vol. II, Il pioniere e l’apostolo dell’educazione sociale cristiana e dell’azione cattolica (1867-1900), Roma, Tipografia S. Pio X, 1967, 409; cfr. DOTTA G., Dall’Oratorio dell’Angelo custode all’Oratorio di San Luigi: Leonardo Murialdo tra don Cocchi a don Bosco nei primi oratori torinesi (Prima parte), in “RSS”, 28(2009), 361-385. 18 Cfr. CERIA E., Epistolario di S. Giovanni Bosco, vol. IV. Dal 1881 al 1888, Torino, SEI, 1959, 299-301. 19 ASC 110, Barberis Cronachette (11.05.1878). 15 20 SOLARO DELLA MARGHERITA C., Avvenimenti politici, Torino, Dai Tipografi-Librai Speirani e Tortone, 1853, 136; cfr. anche ROMEO R., Cavour e il suo tempo (1810-1842), Bari, Laterza, 1969, 791. 21 Progetto d’una ben regolata amministrazione secondo le esigenze attuali dell’Oratorio di S. Francesco di Sales nella sezione artigiani, in PRELLEZO J.M. (Ed.), Valdocco nell’Ottocento, 311-315. sia uguale per tutti indistintamente. [...] D’uopo è che ciascheduno conosca ciò che può giovargli all’esercizio della professione cui si dedica; è superfluo e nocivo porre l’intelletto in cose maggiori. A che servono la geografia, l’astronomia, la storia e simili scienze al calzolaio, al falegname, al sarto?”20. Ad ogni modo, stavano maturando ormai nuovi fermenti. Da parte loro, i collaboratori di don Bosco avevano buone ragioni per ravvisare nelle “esigenze delle arti” e nello “sviluppo del com mercio” alcuni dei fattori che spiegano l’aumento continuo dei ragazzi che arrivano a Valdocco per avviarsi a un mestiere, fino al punto che, nel 1880, ormai “gli artigiani trovansi in numero poco inferiore agli studenti”: 323. Valdocco: numero di alunni nella “Sezione artigiani” LABORATORI 1871-1872 1880-1881 1887-1888 Legatori 122 85 97 Calzolai 75 39 60 Sarti 62 33 57 Tipografi 64 43 – Compositori – – 47 Stampatori – – 34 Fonditori 17 24 25 Falegnami 42 22 11 Fabbri-Ferrai 27 25 53 Cappellai 9 – – Librai – 29 – Magazzeno-carta – 3 11 Panetteria – 7 – TOTALE 418 323 395 Fonte: ASC E614-E621, Registri Voti Artigiani 3. Carenze e proposte presentate al Secondo Capitolo Generale (1880) Presa coscienza della concreta realtà delle “due sezioni” esistenti nella casa, con caratteristiche proprie, i responsabili della “sezione artigiani”, in occasione del Secondo Capitolo Generale della Società Salesiana, tenuto nel 1880, presentarono a detto supremo organo legislativo della Società Salesiana alcune proposte. In un primo documento, dal titolo molto espressivo, è abbozzato il Progetto d’una ben regolata amministrazione secondo le esigenze attuali dell’Oratorio di S. Francesco di Sales nella sezione artigiani21. I redattori del medesimo dichiaravano, anzitutto, 16 che il testo era stato elaborato sulla base dei dati raccolti “in quattro anni di esperienza basata sui molteplici pareri dei capi d’arte e capi di amministrazione” di Valdocco. Da quella prolungata osservazione della realtà era emersa l’esigenza di una più adeguata organizzazione della “sezione artigiani” e la necessità di una certa autonomia della medesima. Le proposte e richieste dei Salesiani di Valdocco non rimasero circoscritte entro i limiti delle questioni economiche e commerciali. Anzi, in un secondo documento – Diverse esigenze degli artigiani da proporsi nel Capitolo Superiore Generale del 1880 – l’attenzione si centrò sul “bisogno d’una scuola per gli artigiani senza distinzione di età, condizione e capacità”22. Si riceve la netta sensazione che gli estensori del documento cominciavano a prendere coscienza della necessità di superare un modello di apprendistato artigianale, concepito prevalentemente come preparazione pratica per un’arte o mestiere manuale mediante concrete e prolungate pratiche di laboratorio. Pur nella loro scarna essenzialità, le proposte inviate ai membri del Capitolo Generale mettono in risalto degli elementi di indubbio interesse: si chiede, per esempio, che si provvedano maestri e locali per quattro scuole elementari e per “una scuola di francese, per una di disegno, professionale e commerciale”; si propone poi che agli artigiani “inscienti di ogni età” venga “concessa un’altra ora di scuola oltre la scuola regolare”. Negli anni Settanta, a Valdocco si parlava ormai spesso della “scuola per gli artigiani”; ma nel discorso emergeva non di rado una certa insoddisfazione riguardo all’organizzazione e al concreto funzionamento della medesima. Infatti, nei menzionati documenti redatti nei primi mesi del 1880, si chiede che “venga mutato l’orario scolastico”, e le lezioni siano tenute al mattino (dalle ore 7 alle 73/4), considerando l’orario serale poco adeguato: i giovani – si osserva – sono, “dopo una giornata intera di lavoro”, spossati “dalla fatica e preoccupati nella mente e perciò poco disposti allo studio ed alla attenzione alla istruzione”. Gli estensori delle proposte cercano di motivarne una risposta positiva, aggiungendo due considerazioni: il cambiamento sollecitato non dovrebbe comportare “gravi danni nel lavoro”. Di fatto, in altre tre case salesiane di artigiani – Sampierdarena, Nizza Marittima e Marsiglia – “venne già adottato un orario poco dissimile al richiesto”. Nonostante queste ragionevoli considerazioni, le scuole per i giovani artigiani di Valdocco continuarono a tenersi di sera. Riguardo al programma svolto nelle medesime, la documentazione fruibile è scarsa. Per questo acquistano particolare significato le parole rivolte da don Bosco agli ex-allievi, nel 1881: “Io non voglio che i miei figli siano enciclopedici; non voglio che i miei falegnami, fabbri, cal- 22 Diverse esigenze degli artigiani da proporsi nel Capitolo Superiore Generale del 1880, in PRELLEZO J.M., Valdocco nell’Ottocento, 315-316. 17 zolai siano avvocati; né che i tipografi, i legatori e i librai si mettano a farla da filosofi e da teologi. A me basta che ognuno sappia bene quello che lo riguarda; e quando un artigiano possiede le cognizioni utili ed opportune per esercitare la sua arte, ne sa quanto è necessario per rendersi benemerito della società”23. Il tema delle scuole per i giovani apprendisti nelle case salesiane non fu oggetto di studio e di discussione approfondita nel Secondo Capitolo Generale del 1880. Tuttavia, nei verbali delle riunioni, furono registrate annotazioni non prive di significato, anche su questo tema. Parlando, ad esempio, dello “scopo” della Società di educatori fondata da don Bosco, si nominano in primo luogo “i collegi od ospizi di artigianelli” e poi “gli Oratori” e le “scuole pel popolo e per poveri giovani abbandonati”24. Nelle Deliberazioni finali, pubblicate nel 1882, spicca un punto che merita di essere rilevato. Tra le competenze attribuite all’Economo generale della Congregazione, si segnala quella di tenersi in relazione con gli Ispettori o superiori provinciali salesiani “intorno all’avanzamento delle Case professionali, affinché i laboratori siano ben diretti pel vantaggio morale e materiale delle medesime”25. Ormai le “sezioni artigiani” di Valdocco e delle altre case salesiane non dovevano più dipendere, come fino a quel momento, dal Consigliere scolastico generale. Si dava così un nuovo passo significativo verso una loro organizzazione di maggior autonomia, che rispondesse meglio alle esigenze specifiche del settore in un nuovo contesto culturale. Non pare, dunque, azzardato supporre che l’opinione unanime dei redattori del Progetto d’una ben regolata amministrazione inviato al Secondo Capitolo Generale abbia potuto riscontrare un certo ascolto. Anche nell’ambiente contemporaneo più vasto, la situazione stava mutan do e nel cambiamento avevano avuto un notevole peso le esperienze realizzate all’estero. In Francia, la legge dell’11 dicembre 1880 regolava le Ecoles manuelles d’apprentissage. In virtù della medesima si crearono varie Ecoles Nationales Professionnelles: Vierzon (1881), Armentières (1882), Voiron (1882). In Italia, l’istruzione professionale – regolata dalla Legge del 30 maggio 1878, e affidata al Ministero dell’agricoltura, industria e commercio – cominciò a dare i primi passi nel 1879-1880, sorretta dalle circolari del mini stro Cairoli “per l’istituzione di scuole serali e domenicali d’arti e mestieri”26. Nuovi sti moli e richieste provenivano dal mondo del lavoro. In sintonia con il primo svi luppo industriale, la sezione milanese del Partito operaio includeva nel pro gramma di rivendicazioni (1882), le “scuole Professionali di arti e mestieri, in tegrali, laiche e obbligatorie”27. 23 CERIA E., Annali della Società Salesiana, vol. I, Torino, SEI, 1941, 658. 24 ASC D579, Capitolo Generale II 1880. 25 Deliberazioni del Secondo Capitolo Generale, 13. 26 CANESTRI G. - RICUPERATI G., La scuola in Italia dalla legge Casati ad oggi, Torino, Loescher, 1976, 97. 27 LACAITA C.G., Istruzione e sviluppo industriale in Italia 1859-1914, Firenze, Giunti-Barbera, 1973, 84; cfr. CHARMASSON T. - LELORRAIN A.M. - RIPA Y., L’enseignement technique de la Rèvolution à nos jours. Textes officiels..., Paris, Economica/Service d’Histoire de l’Éducation, 1987, 244-257. 18 4. Sensibile sviluppo dei laboratori Nelle due coordinate tracciate – le istanze emerse all’interno delle “sezioni di artigiani” e la nuova attenzione dedicata dalle autorità pubbliche alle “scuole di arti e mestieri” – si inse risce il Terzo Capitolo Generale della Società salesiana del 188328. Tra le materie da trattarvi, è in dicata questa: “Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane e mezzi di sviluppare la vocazione dei giovani artigiani”. Era la prima volta che il supremo organismo legislativo salesiano si occupava di questa problematica. L’apertura dei lavori del Capitolo fu preceduta da un periodo di preparazione. Sollecitate da don Bosco, giunsero a Torino “osservazioni e proposte” sulle materie da trattarsi; in particolare, sulla “parte operaia” – “classe operai”, si legge in alcuni manoscritti – delle case. Nelle testimonianze e nei manoscritti vergati da salesiani autorevoli, come il coadiutore Giuseppe Buzzetti e don Domenico Belmonte – direttore di Sampierdarena e futuro prefetto generale – si sottolineava l’urgenza del tema e si individuavano alcuni dei problemi da affrontare: la scarsità di personale, la necessità di formare assistenti e capi laboratori capaci, il necessario miglioramento dei programmi e metodi educativo-didattici29. Le discussioni capitolari sullo “sviluppo dei laboratori” non approdarono, tuttavia, alla elaborazione di un documento normativo. L’esame del tema riguardante la “parte operai” fu ripreso, tre anni più tardi, nel successivo Capitolo Generale del 1886. Dagli scritti giunti, questa volta, al moderatore e dai verbali delle adunanze capitolari emerge che, durante il triennio trascorso, la situazione non era sostanzialmente mutata. Si riconosce, senz’altro, che “per l’educazione dell’intelletto vi sono già in quasi tutte le nostre case d’artigiani le scuole serali per loro”, ma se ne denuncia anche la scarsa rilevanza: “essendo fino adesso tale insegnamento lasciato al criterio ed arbitrio dei singoli insegnanti”30. Sono riproposte anche questioni già esaminate nel 1883, come la mancanza di personale e soprattutto di personale preparato. Alle critiche su situazioni inadeguate da superare si aggiungono, d’altro canto, con non minor forza, le proposte d’avanzamento e di sviluppo. Dopo aver denunciato qualche episodio di trascuratezza o di poca attenzione educativa nei confronti dei giovani lavoratori, si ribadisce senza esitazione che, a questo proposito, “non dovrebbe esistere alcuna differenza fra artigiani e studenti”. Tra le voci più accreditate, si sente quella di don Giovanni Branda, direttore dei laboratori (Talleres) di Sarrià, in Spagna, il quale auspica che “i laboratori Salesiani siano elevati alla perfezione e progressi che ostentano le officine e laboratori dei profani mediante maestri idonei, siano o non Salesiani, pel tempo necessario”. Ancora più lungimirante è la proposta del francese Louis Cartier. Questi, allora direttore di Marsiglia, dopo 28 ASC D579, Capitolo Generale III 1883. 29 ASC D579, Relazione del Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenutosi nel Collegio Valsalice dal 1° sett. al 7 del mese medesimo, Anno 1886. 30 ASC D579, Capitolo Generale IV 1886 (proposte). 19 aver accennato ai pericoli a cui andavano incontro i giovani che uscivano dai laboratori salesiani senza aver appreso bene il proprio mestiere, esprimeva la sua convinzione riguardo alla possibilità di superare i pericoli accennati, stabilendo “écoles professionnelles” nelle case salesiane: “Io penso – affermava don Cartier – che noi potremo riuscire, stabilendo nelle nostre case delle scuole professionali per ognuno dei mestieri. Sarebbe necessario, dunque, con capi molto capaci cercare la perfezione del lavoro e condurre i ragazzi gradualmente dal facile al difficile, con metodo, cioè unire sempre la teoria e la pratica”31. Questi ed altri interventi, la successiva discussione delle proposte arrivate a Torino e la laboriosa compilazione dei documenti normativi svelano una accresciuta consapevolezza del ruolo che il mondo del lavoro andava prendendo nelle ultime decadi dell’Ottocento. Nella prima bozza del documento capitolare, compilata probabilmente già negli incontri del 1883, si legge: “La parte operaia prende ai nostri giorni nella civile società tale influenza, da far impensierire seriamente; poiché dal buono o cattivo indirizzo di quella dipende il buono o cattivo andamento di questa”32. 5. La “parte operaia delle case salesiane” nella prospettiva delle “scuole di arti e mestieri” L’attenzione alla “parte operai” è manifestata esplicitamente nella redazione definitiva del documento capitolare del 1886. Il cui titolo – Indirizzo da darsi alla parte operaia delle case salesiane e mezzi da svilupparne le vocazioni – coincide letteralmente con quello del tema V, proposto come argomento di studio nel Secondo e Terzo Capitolo Generale33. Non vi si parla semplicemente dei “laboratori”; ma neppure si accenna ancora alle “scuole professionali”, come aveva suggerito nel suo intervento don L. Cartier. Direi che gli estensori del documento capitolare continuano a tener presente il modello della casa annessa all’Oratorio di San Francesco di Sales di Valdocco: una istituzione complessa in cui, oltre gli oratoriani dei giorni festivi, convivono durate la settimana circa 400 ragazzi che frequentano gli studi classici e circa 400 giovani che imparano un mestiere. Tuttavia, si potrebbe anche affermare che il discorso culturale ed educativo comincia a collocarsi sempre più nella prospettiva ideale delle “case di artigiani” o “scuole di arti e mestieri” (o “istituti di arti e mestieri”) di cui, come si è ricordato, si parlava in diversi Paesi europei. Di fatto, le norme e orientamenti riguardanti la “parte operaia” si aprono con una dichiarazione impegnativa sullo scopo che si propone la Società Salesiana nel- 31 ASC D579, Capitolo Generale IV 1886, (proposte). 32 Ibidem. 33 ASC D579, Capitolo generale II 1880. 20 l’accogliere ed educare questi giovanetti: quello “d’allevarli in modo che, uscendo dalle nostre case compiuto il loro tirocinio, abbiano un mestiere onde guada gnarsi onoratamente il pane della vita, siano bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al lor stato”. Da tale premessa deriva una prima conclusione: “triplice deve essere l’indirizzo da darsi alla loro educazione: religioso-morale, intellettuale e pro fessionale”. a) Le norme per ottenere una buona educazione religioso-morale non si discostano, nella sostanza, da quelle tracciate per gli altri allievi delle case salesiane: fedeltà alla pratica del regolamento, richiamo alla presenza di Dio, studio del catechismo, partecipazione alle associazioni religiose giovanili. Ma c’e un orientamento, di speciale importanza nel contesto del sistema preventivo, che acquista un nuovo significato, se si tengono presenti le osservazioni arrivate a Torino. I membri del Capitolo invitano ora a “usar ogni cura” perché i giovani artigiani “sappiano di essere amati e stimati dai superiori, e questo – aggiungono – si ottiene trattandoli con quello spirito di vera carità che solo può renderli buoni”. Con lo sguardo nel futuro inserimento nel mondo del lavoro, si raccomanda di collocare i giovani artigiani che hanno finito il tirocinio “presso dei buoni e cristiani padroni”, ascriverli tra i cooperatori salesiani e “raccomandarli a qualche società operaia cattolica”. b) Nell’ambito dell’indirizzo intellettuale, è additato questo obiettivo generale: “gli alunni artigiani conseguano nel loro tirocinio professionale quel corredo di cognizioni letterarie artistiche e scientifiche che loro sono necessarie”. Sono indicati inoltre i mezzi da attuare: “ogni giorno un’ora di scuola”, e una seconda ora per quelli che ne abbiano un particolare bisogno; lezione settimanale di “buona creanza”; compilazione di “un programma scolastico” da eseguirsi in tutte le case salesiane, in cui siano indicati “i libri da leggere e spiegare nella scuola”. Dal punto di vista metodologico, merita di essere sottolineata ancora una norma che si inserisce nella tradizione pedagogica che affonda le radici nell’Umanesimo rinascimentale, che non ha perso attualità: “Si classifichi i giovani dopo d’averli sottoposti ad un esame di prova, e si affidi la loro istruzione a maestri pratici”. c) La breve ed essenziale trattazione sull’indirizzo professionale si apre con una affermazione di principio: “Non basta che l’alunno artigiano conosca bene la sua professione, ma perché la possa esercitare con profitto bisogna che abbia fatta l’abitudine ai diversi lavori e li compia con prestezza”. Non si trattava, soprattutto in questo caso, di una frase presa a prestito da qualche manuale del tempo, ma di una affermazione che esprimeva una convinzione condivisa da don Bosco e dai suoi collaboratori, e confermata dall’esperienza. Potevano basarsi sulla esperienza personale degli estensori anche le norme e gli orientamenti suggeriti per “ottenere” una adeguata formazione professionale “teorico-pratica”: assecondare “l’inclinazione dei giovani nella scelta dell’arte o mestiere”; provvede21 re “abili ed onesti maestri d’arte anche con sacrificio pecuniario”; curare una organizzazione graduale e progressiva dei diversi momenti della pratica del mestiere; stabilire adeguata durata del tirocinio, che “per regola generale” era di “cinque anni”; attuare l’allestimento di una esposizione dei lavori realizzati dagli alunni durante l’anno e, ogni tre anni, una esposizione generale “a cui prendano parte tutte le nostre case d’artigiani”. Per favorire la “abilità e prestezza” nell’esecuzione dei lavori, si propongono i “voti settimanali” di condotta e la distribuzione del lavoro “a cottimo stabilendo un tanto per cento pel giovane”. Gli estensori del documento capitolare non dimenticarono di indicare che, finito il tirocinio, si doveva rilasciare al giovane apprendista un “attestato”, in cui “venga notato distintamente il suo profitto nell’arte o mestiere, nell’istruzione e buona condotta”. Le Deliberazioni del Terzo e Quarto Capitolo Generale videro la luce nel 1887, poche settimane prima della morte di don Bosco34. Fu l’ultimo documento riguardante gli artigiani da lui approvato. È dunque possibile fare un primo bilancio dell’opera salesiana a favore dei giovani operai. 6. Sintesi e considerazioni conclusive Dai documenti e testimonianze esaminate emergono dati che consentono di abbozzare una ipotesi di “periodizzazione”, cioè del graduale passaggio dai modesti inizi (1853), a un ravvivato interesse verso gli artigiani (1870-1879), a una più consapevole esigenza di organizzazione e di maggiore autonomia della “se - zione artigiani” (1879-1882), ad esplicite proposte di erigere “case di artigiani” e “scuole professionali” (1883-1887). Anzi, nel 1886 si esamina “seriamente” la convenienza che “ogni casa d’artigiani sia intieramente separata dagli studenti”. Ormai era largamente condivisa la convinzione che, per il buon andamento delle cose, non bastasse più la presenza del “catechista degli artigiani” codificata nel Regolamento del 1877, ma che fosse necessaria l’istituzione di un “prefetto” e di un “direttore” impegnati nella loro cura particolare. A livello di Consiglio Generale, la carica di “consigliere professionale” fu stabilita nel 1883. La sua funzione veniva sintetizzata nella cura di quanto spettava “all’insegnamento delle arti e mestieri”. Nella riunione tenuta il 4 settembre del 1884, don Rua propose di nominare don Giuseppe Lazzero “al nuovo ufficio di Consigliere professionale, ufficio creato dal Capitolo nell’anno passato”35. 34 Deliberazioni del Terzo e Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuti in Valsalice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tip. Salesiana, 1887. 35 ASC D872, Verbali del Capitolo Superiore (14.09.1884). 22 Si completava così un quadro istituzionale che doveva rimanere quasi immutato fino agli anni Sessanta del secolo XX. Lo sforzo organizzativo e la maggiore centralità dell’impegno salesiano nel settore trovavano riscontro in una accresciuta consapevolezza della rilevanza che la “parte operaia” o il mondo del lavoro stava prendendo nelle ultime decadi dell’Ottocento. E, allo stesso tempo, si avvertivano sempre più chiaramente le difficoltà di diverso genere che comportavano le risposte alla nuova situazione. Il 10 gennaio 1887, dopo essere stato eletto, “per la seconda volta”, all’ufficio di Consigliere professionale generale, don Lazzero scriveva al salesiano francese don Charles Bellamy: “La parte assegnatami dal Superiore da disimpegnare in tutta la nostra Società è difficile assai, perché sprovvista totalmente di individui quali dovrebbero essere i buoni capi e maestri d’arte [...]. A tal fine mi appello a tutti i cari direttori delle case di artigiani che vengano in aiuto coll’educare per la nostra Società quei giovani che scorgeranno proprio buoni, disposti a star con noi tutta la loro vita”. I cenni alla rilevanza e la conseguente influenza della “parte operaia” scomparvero nelle successive redazioni del 1886 del documento capitolare sull’argomento, più schematiche e senza riferimenti a situazioni concrete. Al posto di quei cenni, però, troviamo nella stesura definitiva un elemento tutt’altro che trascurabile: non solo si collega l’indirizzo da darsi alla “parte operaia” con le finalità educative proprie della missione dei Salesiani, ma si ribadisce altresì che il ricoverare i giovani abbandonati e il loro avviamento a qualche arte o mestiere si doveva col locare “fra le principali opere di carità che esercita la nostra pia Società”. Un altro punto presente nel documento capitolare del 1886 merita di essere rilevato: quello riguardante l’esigenza di preparare il giovane operaio per superare le difficoltà e gli ostacoli della “moderna civile società” senza “venir meno né alla giustizia né alla carità”. D’altro lato, nella redazione definitiva si avverte una variante di rilievo: non solo si dice che è conveniente che i giovani operai, finito il tirocinio, si iscrivano tra i cooperatori salesiani, ma si aggiunge che è necessario metterli in contatto con “qualche Associazione Operaia Cattolica”. Precisamente alcuni mesi prima – il 24 giugno del 1886 – la sezione di San Gioacchino del - l’Unione Cattolica Operaia di Torino aveva nominato don Bosco presidente onorario36. Per raggiungere le finalità segnalate – specialmente la formazione religiosomorale, intellettuale e professionale dei giovani artigiani – le Deliberazioni capitolari del 1887 danno alcune norme orientative per l’azione. Tra le più rilevanti: elaborare un programma scolastico comune da seguirsi in tutte le case salesiane di 36 Cfr. “BS”, 10(1886)7, 74-76. 23 artigiani; garantire la presenza di buoni capi laboratorio; seguire, nella scelta di un’arte o mestiere, l’inclinazione dei giovani; fissare la durata del tirocinio di apprendistato in almeno cinque anni; classificare gli alunni in sezioni successive secondo il livello di istruzione; dividere il complesso dell’arte o mestiere in corsi e gradi progressivi da percorrersi gradatamente dagli apprendisti. Gli studiosi che si sono occupati del tema hanno emesso giudizi diversificati, se non contrastanti, sul valore di queste autorevoli Deliberazioni. Per Luciano Panfilo, esse costituiscono “un insieme di norme – poche ma fondamentali – che, formulate sotto gli occhi di don Bosco, costituiscono come il documento fondamentale per l’organizzazione delle scuole professionali salesiane”37. Redi Sante Di Pol, riferendosi sempre alle “importanti norme” del 1887, scrive: “I primitivi laboratori vennero trasformati in vere e proprie scuole professionali strutturate in modo da offrire ai giovani una formazione completa che permettesse di farne dei buoni cristiani, dei cittadini coscienti e dei lavoratori qualificati”. E lo stesso Sante Di Pol aggiunge che l’introdu zione di alcuni di questi elementi nelle ultime decadi del secolo XIX, “le po sero all’avanguardia fra le analoghe scuole religiose e non”38. Anche Luciano Pazzaglia riconosce che tutti questi erano “elementi di non poco conto”, ma ritiene che “il progetto messo a punto, nel 1886, da don Bosco e dai suoi colla boratori non aveva ancora molto della scuola, ma continuava a ispirarsi all’idea di un apprendistato che, sia pure nel rispetto dei gusti e delle attitudini personali, doveva impegnare ogni giovane a integrarsi, immediatamente, con una ben precisa e determinata attività lavorativa”39. A questo proposito, non trovano un riscontro nella documentazione coeva oggi fruibile le affermazioni del salesiano don Domenico Molfino, secondo il quale, “Don Bosco, sino dagli inizi, ha voluto che i suoi artigianelli, destinati ad essere gli operai del domani, dedicassero metà circa, delle 8-10 ore giornaliere, allo studio propriamente detto, cioè alla cultura generale e specifica, e metà all’officina-scuola cioè alle esercitazioni didattiche e all’esercizio progressivo del lavoro”40. Si deve dire, invece, che il tempo dedicato all’attività intellettuale era, ancora nel 1887, piuttosto modesto: un’ora di scuola, dopo aver finita la giornata di lavoro nel laboratorio; e, per i più bisognosi, un’altra ora di istruzione al mattino. Si trattava di un pas so avanti nei confronti della situazione degli anni ’70, ma un passo 37 PANFILO L., Dalla scuola di arti e mestieri, 81-82. 38 DI POL R.S. L’istruzione professionale popolare a Torino nella prima industrializzazione, in Scuole, professioni e studenti a Torino. Momenti di storia dell’istruzione, Quaderni del Centro di Studi “Carlo Trabucco”, Torino, Centro Studi sul Giornalismo Piemontese, 1984, 81; cfr. anche MARCHIS V., La formazione professionale: l’opera di don Bosco nelle scenario di Torino città di nuove industrie, in BRACCO G., Torino e don Bosco, vol. I, Torino, Archivio Storico della Città di Torino, 1989, 217-238. 39 PAZZAGLIA L., Apprendimento e istruzione degli artigiani a Valdocco (1846-1886), in TRANIELLO F. (Ed.), Don Bosco e la cultura popolare, Torino, SEI, 1987, 63. 40 ASC E484, Scuole professionali. 24 ancora timido. Gli stes si capitolari se ne dovettero rendere conto, se sentirono il bisogno di aggiungere: “Dove poi le leggi richiedessero di più converrà adattarsi a quanto è prescritto”. Più ancora, i redattori della prima stesura del documento capitolare, pur riconoscendo la strada percorsa, avevano manifestato con chiarezza la necessità di superare una situazione insoddisfacente, a causa di diversi fattori: tra essi, “il tempo troppo breve” dedicato all’insegnamento intellettuale41. Questa diagnosi si poteva applicare, in realtà, a molte altre istituzioni educative del tempo42. Ma la serietà del problema non passò inosservata a Torino. Benché le misure prese ci sembrino oggi “deboli”, è giusto riconoscere che nelle norme e orientamenti del 1887 ci sono elementi che si dovevano dimostrare fecondi. In concreto, si afferma senza riserve che gli artigiani devono acquisire un adeguato “corredo di cognizioni letterarie, artistiche e scientifiche”. Soprattutto la decisione di elaborare un programma scolastico da se guire in tutte le case di artigiani ebbe in seguito riflessi decisivi nell’organizzazione e successivo sviluppo delle “scuole professionali salesiane”. Infine, limitandosi al periodo esaminato, un primo bilancio deve registrare che, in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblica all’istruzione professionale, i laboratori di don Bosco offrirono a molti figli di fa miglie contadine o del ceto popolare un mezzo di promozione sociale. La do manda non era solo piemontese né solo italiana. Negli ultimi anni della vita del fondatore, i Salesiani aprirono “scuole di arti e mestieri”, pur con nomi diversi, anche in altri Paesi europei e americani: Francia (Nice, Marseille), Argen tina (Almagro, Buenos Aires), Uruguay (Montevideo), Spagna (Sarriá-Barcelona), Brasile (Niteroi, Rio de Janeiro, São Paulo)43. 41 ASC D579, Capitolo Generale IV 1886 (proposte). 42 Cfr. BIFFI G., Opere complete, vol. IV. Riformatori per giovani, Milano, Hoepli, 1902. 43 LE CARRÉRÉS Y., Les colonies ou orphelinats agricoles tenus par les salésiens de don Bosco en France de 1878 à 1914, in MOTTO F. (Ed.), Insediamenti e iniziative salesiane dopo don Bosco. Saggi di storiografia, Roma, LAS, 1996, 137-144; ALBERDI R., Impegno dei salesiani nel mondo del lavoro, e in particolare nella formazione professionale dei giovani, in “Salesiani nel mondo del lavoro”. Atti del Convegno europeo sul tema «Salesiani e pastorale per il mondo del lavoro», Roma, Editrice SDB, 1982, 9-63; ROSSI G., Istruzione professionale in Roma capitale: e scuole professionali dei Salesiani al Castro Pretorio (1883-1930), Roma, LAS, 1996. 25 LABORATORIO CALZOLAI - VALDOCCO (ASC) 26 LABORATORIO SARTI - VALDOCCO (ASC) 27 Capitolo 2 Il laborioso cammino verso l’organizzazione di “vere e proprie scuole professionali” salesiane (1889-1910)44 Don Michele Rua, primo successore di don Bosco, in una lettera circolare del 1895 raccomandava ai Salesiani: “Siccome in alcune Case si hanno studenti e artigiani ad un tempo, così è della massima importanza che gli uni e gli altri siano trattati senza distinzione e parzialità”. E aggiungeva anche una dolorosa costatazione: “Mi avvidi essere in qualche casa meno curati gli artigiani e ciò mi ha ferito al vivo, come certamente avrebbe ferito don Bosco che con tanta bontà amava i suoi artigianelli”45. Passando dai rilievi critici riguardanti determinate situazioni incresciose da superare a un discorso più generale, lo stesso don Rua scriveva: “Vi rammento che, sia per evitare gravi disturbi, sia per dar loro il vero nome, i nostri laboratori devono denominarsi Scuole professionali: così scuola di sartoria, di calzoleria, ecc.”46. Nonostante il richiamo del successore di don Bosco, i Salesiani continuarono ad usare ancora il termine “Laboratori” ed altre espressioni come “Scuole di artigiani”, “Scuole di arti e mestieri”, “Case di artigiani” (in Italia); “Talleres” o “Escuelas de Artes y Oficios” (nei paesi di lingua spagnola), “Collegio” o “Lyceu de Artes e Oficios” (nei paesi di lingua portoghese). Non si trattava di una semplice questione di nomi. La strada percorsa dai primi laboratori di Valdocco alle “vere e proprie scuole professionali” salesiane nei cinque continenti è stata lunga e laboriosa. Il presente saggio – in continuità con quello pubblicato nel precedente numero della nostra Rivista47 – si occupa di un periodo di particolare rilevanza: dal 1888 (anno della morte di don Bosco) al 1910 (anno della morte di don Michele Rua e di don Giuseppe Bertello:due protagonisti di questo nuovo capitolo della nostra storia)48. 44 Cfr. “Rassegna CNOS”, 25(1909)2, 23-38. 45 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, Torino, Tip. S.A.I.D, in “Buona Stampa”, 1910, 126. 46 Ibidem, 126. 47 PRELLEZO J.M., Dai laboratori fondati da don Bosco a Valdocco alle “scuole di arti e mestieri” salesiane (1853-1888), in “Rassegna CNOS”, 25(2009)1, 21-36; cfr. anche ID., “Le scuole professionali salesiane (1880-1922)”, in GONZÁLEZ J.G. et al., L’educazione salesiana dal 1880 al 922, vol. I, Roma, LAS, 2007, 53-94. 48 Cfr. BERTELLO G., Scritti e documenti sull’educazione e sulle scuole professionali. Introduzione, premesse, testi critici e note a cura di José Manuel Prellezo, Roma, LAS, 2010. 28 1. Primo “programma scolastico per le scuole di artigiani” (1888-1903) Le osservazioni e l’accorato invito del Rettore Maggiore della Società Salesiana si collocavano in un contesto italiano ed europeo di accresciuto sviluppo industriale e di una nuova sensibilità del mondo cattolico nei confronti della “questione operaia” e di altri temi sociali in seguito alla pubblicazione dell’enciclica “Rerum Novarum” (1891) del papa Leone XIII49. Quasi dieci anni prima della circolare di don Rua, nell’anno 1886, in occasione del Quarto Capitolo Generale – suprema assemblea legislativa salesiana – era stata formulata da parte di un autorevole capitolare, don Louis Cartier, la proposta di “stabilire nelle nostre case delle scuole professionali per ognuno dei mestieri”. E il medesimo Cartier, allora direttore della casa di Marsiglia, aveva precisato inoltre che, per raggiungere quell’obiettivo, era necessario unire sempre “la teoria e la pratica”50. Quella del salesiano francese non era una voce isolata. Tutt’altro. Nelle Deliberazioni capitolari, pubblicate nel 1887, fu codificata la decisione, unanimemente condivisa, di approntare “un programma scolastico” da eseguirsi in tutte le case salesiane di artigiani, nel quale dovevano essere indicati pure “i libri da leggere e spiegare nella scuola”. Inoltre fu deciso di organizzare, ogni tre anni, una mostra o “esposizione generale delle scuole professionali e agricole salesiane”51. Le decisioni del supremo organismo salesiano per il momento non furono attuate. Tuttavia, qualche cosa stava muovendosi. Si è potuto parlare del “consolante sviluppo” che, nella seconda metà degli anni ’90 dell’Ottocento, andava prendendo in ambito salesiano “l’industria tipografico-libraria”. Una realtà che persuase i “Superiori maggiori a raccogliere, nel 25-26 agosto 1896, i capi tipografi e capi librai salesiani a Valsalice come a piccolo congresso”. I partecipanti a quelle giornate di riflessione e di scambio di esperienze, riconoscendo la necessità di dare una “conveniente istruzione letteraria agli allievi compositori”, condivisero, tra l’altro, l’idea di compilare un Manuale del tipografo ad uso delle scuole salesiane di arti e mestieri, che fu stampato nel 1899. D’alto canto, nel contesto italiano ed europeo in generale si moltiplicavano delle iniziative orientate a mettere in atto le istanze più feconde del menzionato documento papale. Tra le più qualificate, la fondazione a Torino di un Circolo di Studi Sociali, denominato “Rerum Novarum”, nel 1898. Nello stesso anno ebbe luogo un nuovo e importante Capitolo Generale (l’ottavo dagli inizi dell’Opera salesiana). Quanti vi parteciparono ebbero modo di con- 49 PRELLEZO J.M., La risposta salesiana alla “Rerum Novarum”, in MARTINELLI A. - CHERUBINI G. (Edd.), Educazione alla fede e dottrina sociale della Chiesa, Roma, Editrice SDB, 1992, 39-91. 50 ASC D579, Capitolo Generale IV 1886 (proposte). 51 Deliberazioni del Terzo e Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana: tenuti in Valsalice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tip. Salesiana, 1887. 29 statare che gli autori delle proposte pervenute dalla base della Congregazione apparivano concordi nel dire che “il bisogno di elevare l’istruzione professionale a maggior cultura [era] dappertutto sentito più che vivamente”. Essi, dunque, reclamavano che si prendessero dei provvedimenti adeguati e tempestivi, allo scopo “che i laboratori non siano solo per avere lavoro, ma per educare e formare buoni e valenti operai”52. Volendo dare risposte valide ai vivi bisogni avvertiti, i membri del menzionato Capitolo Generale del 1898 decisero di “dar esecuzione, e al più presto possibile”, a quanto era stato stabilito, e non attuato, precedentemente: “pubblicare cioè programmi, orari, suggerimenti ed indicare libri di testo da usarsi nelle varie Case di artigiani ed agricoltori, distinti per scuole ed anni di corso”53. Il nuovo Consigliere professionale generale – don Giuseppe Bertello – si mise con lena all’opera. Il 29 gennaio 1899, pochi mesi dopo la sua elezione alla carica, egli firmò, insieme con don Francesco Cerruti, direttore generale degli studi e della stampa, una circolare in cui si ricordavano ai direttori salesiani alcune delle principali deliberazioni prese nel piccolo congresso tipografico-librario del 1896. E i due firmatari aggiungevano: “Si procuri conveniente istruzione letteraria agli allievi compositori; oltre all’istruzione pratica che si dà giorno per giorno durante il lavoro agli allievi tipografi, si facciano loro di quando in quando apposite conferenze o lezioni, procurando che non apprendano l’arte solo materialmente, ma in maniera da sapersi dar ragione delle cose che si fanno e del metodo che si tiene, tanto da non trovarsi perplessi od arenati sotto qualunque aspetto si presenti un dato lavoro”54. Consapevole della complessità del settore, la cui direzione aveva assunto, e della necessità di conoscere le concrete esperienze in atto, per riuscire a elaborare un aggiornato “programma scolastico”, don Bertello, nel suo primo intervento nelle indicate circolari collettive del Capitolo Superiore, pubblicato il 29 aprile 1899, sollecitava i direttori delle case di artigiani a “mandargli una breve relazione sulle scuole fatte ai medesimi” e, se fosse possibile, “anche il programma particola - reggiato delle materie, che hanno insegnato in ciascuna classe”. Alcuni mesi dopo, il 31 dicembre 1900, egli ripeteva la medesima raccomandazione in uno scritto inviato ai direttori delle case d’America. In successive circolari, don Bertello informerà poi sulle iniziative che, pur faticosamente, stavano prendendo piede nei diversi contesti salesiani: organizzazione della prima esposizione generale di arti e mestieri e agricole nel 1901; orientamenti perché i “capi-laboratorio si provvedano di libri e periodici adatti ad estendere 52 Atti e deliberazioni dell’Ottavo Capitolo Generale della Pia Società Salesiana, S. Benigno Canavese, Scuola Tipografica Salesiana, 1899, 74. 53 Ibidem, 80. 54 ASC E237, Consiglio Generale Circolari-Lazzero-Bertello. Il sussidio Manuale del tipografo vide la luce con il titolo: Manuale tipografico: ad uso delle scuole salesiane di arti e mestieri, compilato per incarico dei Superiori della Pia Società Salesiana, Torino, Tip. Salesiana, 1899. 30 la loro cultura professionale e tenerli informati dei progressi delle arti loro”55; proposta di “un metodo per apprezzare il lavoro” in vista della assegnazione ad ogni giovane apprendista della mancia o peculio settimanale56. A questo proposito, il Consigliere professionale generale aggiungeva una considerazione di notevole interesse per capire il suo stile di governo. Dopo aver accennato al sussidio messo a disposizione, egli pregava di “volerlo studiare, e quando loro sembri opportuno farne l’esperimento”. L’agognato Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società Salesiana vide la luce nel 1903. Don Bertello dichiarava che nella stesura del medesimo si era “attenuto sostanzialmente” alle Deliberazioni capitolari; e precisava inoltre di aver avuto “anche sott’occhio i programmi già in uso in diverse nostre case”. Tra questi, si trovava sicuramente quello curato da don Francesco Scaloni, ispettore del Belgio. Nel terzo congresso internazionale dei cooperatori (1903) era stato presentato, infatti, “alla pubblica ammirazione il Programme des cours pei giovani artigiani dell’Istituto salesiano di Liegi: programma di cultura generale letteraria e sociale veramente pratico, sanamente moderno ed in perfetta armonia colle aspirazioni delle encicliche papali sulla questione operaia”57. Accennando al fatto che il sussidio approntato potesse risultare troppo lungo e complesso, si suggeriva la possibilità di introdurre qualche modifica o riduzione “dopo qualche tempo di esperimento”. Altre volte don Bertello preferirà parlare di programma “ad experimentum”. La pratica di laboratorio si armonizza ormai nel nuovo Programma con una più vasta “cultura generale”, impartita lungo un tirocinio professionale di cinque anni. Nel primo periodo, di due anni, accanto al lavoro proprio del mestiere, il giovane artigiano dedica parte del suo tempo allo studio delle materie scolastiche: religione, lingua nazionale, geografia, regole di buona creanza, igiene. Nel secondo periodo, di tre anni, le discipline da studiare sono: religione, disegno, storia naturale, fisica, chimica e meccanica, storia, francese, computisteria, sociologia. Il testo inviato da don Bertello era accompagnato da alcune indicazioni di carattere metodologico e da brevi orientamenti sui libri di testo da scegliere e utilizzare particolarmente nell’ambito culturale italiano. 55 ASC E226, Consiglio Generale Circolari (29.11.1901). 56 ASC E212, Consiglio Generale Circolari (31.01.1901); cfr. BERTELLO G., Proposta di un metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani e determinarne la mancia settimanale, Torino, Tip. Salesiana, 1901. La mancia era, secondo Bertello, “un mezzo di incoraggiare gli allievi e procurar loro un vantaggio materiale per il tempo che dovranno uscire” (ASC B513, Consiglio Generale Cons. Professionale Bertello, 1904; cfr. Appendici - Proposta di un nuovo metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani e determinarne la mancia settimanale). 57 CANE F. (Ed.), Atti del III Congresso Internazionale dei Cooperatori salesiani, Torino, Tip. Salesiana, 1903, 230. 31 2. Laboriosa applicazione del programma e “metodo di don Bertello” in una nuova cornice culturale (1903-1909) Allorché informava circa la spedizione del Programma alle singole case, don Bertello coglieva l’occasione per raccomandare che detto programma fosse quanto prima messo in opera58. “Spero che i direttori – diceva già nella prefazione dello scritto – si metteranno con impegno all’opera di classificare gli allievi, dare loro maestri capaci e fornirli di tutti i sussidi opportuni, perché i nostri alunni artigiani, nel loro tirocinio professionale, conseguano quel corredo di cognizioni letterarie, artistiche e scientifiche, che loro son necessarie”. 2.1. Disponibilità e resistenze di fronte al cambiamento I primi cenni di accoglienza e disponibilità da parte di alcuni direttori e maestri volonterosi si ricevettero con soddisfazione a Valdocco; ma presto si dovettero costatare le resistenze e difficoltà manifestate da non pochi altri. Infatti, nella circolare collettiva del Capitolo Superiore, datata 12 luglio 1906, dopo aver accennato alla volontà di don Rua, il quale invitava a provvedere “efficacemente all’istruzione dei giovani artigiani”, don Bertello manifestava con schietta franchezza: “Da anni fu spedito a tutti un programma con ordine di farne una graduale applicazione. Pur troppo è noto che in ben poche case se ne è tenuto quel conto che meritava l’importanza della cosa. Continuando a questo modo se ne potranno avere dei gravi dispiaceri. Fuori si lavora febbrilmente a dare agli operai un’istruzione larga e appropriata. Non bisogna che i nostri allievi debbano sfigurare al loro confronto”. Il Consigliere professionale non esagerava nella sua diagnosi, e dovevano passare alcuni anni prima che fosse superato lo stato di cose da lui lamentato. Nel 1908, il Capitolo Superiore decise di fare una “visita generale” a tutte le case della Congregazione. Le relazioni su ognuna di esse, firmate dai “visitatori straordinari” – autorevoli salesiani che, a nome del Rettor Maggiore, presero contatto con la realtà concreta delle opere salesiane nei diversi contesti culturali – riportano dati di grande interesse59. Basti citarne qui, a mo’ di esempio, alcuni riguardanti specificatamente l’argomento che ci occupa. I visitatori, nelle loro relazioni, usano ordinariamente il termine “laboratori”. Nel corso del 1908-1909, il numero di questi “laboratori” per i giovani artigiani era almeno di 62 (32 nell’Antico Continente e 30 in America Latina) su un totale di 314 Opere salesiane. I visitatori usano pure, benché in pochi casi, l’espressione “scuole professionali”, mettendone in risalto il buon funzionamento. In riferimento 58 Il programma “abbraccia i laboratori degli Scultori, Falegnami ed Ebanisti, Legatori, Sarti e Calzolai. Fra breve sarà spedito anche quello dei Tipografi” (ASC E212, Consiglio Generale Circolari, 29.11.1902); cfr. Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società Salesiana, Torino, Tip. Salesiana, 1903. 59 ASC E183, Visita straordinaria; Lettere circolari, 378-381 (“Visita straordinaria a tutte le case della Pia Società Salesiana”). 32 alla Bolivia si dice, ad esempio, che “in generale, le scuole professionali vanno bene e vi si insegna con metodo teorico-pratico”. In altri casi, più numerosi, l’espressione “scuole professionali” è utilizzata in esplicita contrapposizione a quello di “laboratori”. Così si informa che a Siviglia (Spagna), i “laboratori son tenuti in conto di scuole professionali, ma in realtà non lo sono”, perché “non si è ancora messo in pratica il metodo di D. Bertello”. Ad Angra (Portogallo), i “laboratori sono molto lungi dall’essere vere scuole professionali [...]. Il metodo di D. Bertello è in fieri; si va molto alla buona”. A Recife (Brasile), “i laboratori sono abbastanza indietro, e non si possono chiamare vere scuole professionali”. A Novara (Italia), “quanto agli artigiani, è ancora lettera morta il Programma scolastico e professionale del consigliere professionale della Congregazione”. Si potrebbe allungare l’elenco dei laboratori in cui, nel corso 1908-1909, non si erano applicati ancora il “programma scolastico” e il “metodo di don Bertello”. A questi non mancavano, dunque, delle buone ragioni quando ripeteva insistentemente: “Nelle case in cui ci sono laboratori, si faccia di tutto per dar loro il carattere e l’ordinamento di Scuole professionali in conformità del nostro programma”60. Intanto, altre esigenze e altri fatti avvenuti “fuori” le mura degli istituti salesiani – ai quali alludeva probabilmente don Bertello nella ricordata circolare collettiva del 12 luglio 1906 – finirono per contribuire, direi per contraccolpo, a dare un forte impulso alle case di arti e mestieri salesiane sulla via delle “vere scuole professionali”. Ma, a questo proposito, se si vuole definire la portata delle modificazioni che – pur con resistenze e difficoltà – furono introdotte nei programmi e nell’organizzazione dei laboratori salesiani, dobbiamo fare qualche passo indietro nella ricostruzione del breve capitolo della nostra storia. Lungo la prima decade del Novecento, diversi interventi legislativi dello Stato italiano introdussero cambiamenti non trascurabili nei contenuti culturali e nell’ordinamento dell’istruzione professionale. Nel 1902 fu approvata la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli negli opifici e laboratori industriali. Il “punto capitale” dell’ordinamento era che la scuola per i ragazzi con meno di quindici anni doveva contemplare, nell’orario giornaliero, “almeno una parte uguale a quella del lavoro” nel laboratorio61. In un primo momento, i membri del Consiglio Generale salesiano ritennero che quella normativa legale non dovesse interessare le proprie case di arti e mestieri, dato che in esse l’apprendistato pratico del mestiere occupava tradizio - nalmente uno spazio preponderante – pur senza proporsi scopi commerciali o di lucro – con la precisa finalità di preparare i giovani dei ceti popolari a guadagnarsi il pane. 60 ASC E226, Consiglio Generale Circolari (24.10.1906). 61 Regolamento del 29.01.1903; cfr. BAIRATI P., Cultura salesiana e società industriale, in TRANIELLO F. (Ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI, 1987, 331-357. 33 Nel 1905, don Bertello scriveva: “Si dovrà assegnar ai giovani artigiani non meno di un’ora e mezzo tra scuola e studio, ogni giorno, pigliando per norma il programma, che fu spedito a tutte le case or sono due anni”62. Un anno più tardi, ribadiva: “Vi sia non meno di un’ora e mezzo tra scuola e studio al giorno”63. Le difficoltà e resistenze non erano ancora superate del tutto, quando ebbero luogo fatti ed interventi esterni incresciosi. In seguito a un’ispezione all’istituzione di Valdocco, il Ministero del Commercio e dell’Agricoltura, con decreto 28 marzo 1907, intimava ai Salesiani di applicare “la legge del lavoro delle donne e dei fanciulli ai laboratori dell’Oratorio”. I membri del Consiglio Generale salesiano, però, decisero di non accogliere la decisione ministeriale, ritenendola ingiusta. L’8 maggio seguente, essi ottennero la sospensione del menzionato decreto e la messa in opera di una nuova ispezione. Il consigliere professionale e agricolo ricevette l’incarico di fare tutto quanto stimasse opportuno “per tutelare i nostri diritti e non svisare le nostre scuole professionali, presentando, ove si credesse opportuno, ricorso alla IV sezione del Consiglio di Stato”64. Espletate le prime pratiche, il 12 agosto 1907, fu costituita una commissione formata da qualificati Salesiani con lo scopo di studiare se non fosse ormai “il caso di assoggettarsi alla legge del lavoro delle donne e dei fanciulli oppure cercare il modo pratico di conservare il carattere di scuole professionali ai nostri laboratori”65. Accettate ad experimentum durante alcuni mesi le condizioni imposte dal Ministero del Commercio e dell’Agricoltura, i membri della menzionata commissione interna giunsero alla conclusione che, a Valdocco, i risultati si erano dimostrati sostanzialmente accettabili. Di conseguenza, essi formularono un parere positivo: “che si debba, anche a costo degli imposti sacrifici, conservare alle nostre Case d’arti e mestieri il titolo e la qualità di Scuole Professionali”. Dello stesso avviso si dichia - rarono i membri del Consiglio Generale. Fu accettata, dunque, la nuova normativa. In sintonia con la scelta di curare l’ordinamento di “vere Scuole professionali”, all’inizio dell’anno scolastico 1907-1908, don Bertello, mediante una sua lettera circolare, comunicò le “considerevoli modificazioni” che, come risultato delle nuove norme legislative, si dovevano “introdurre nell’ordinamento” delle scuole professionali salesiane. In estrema sintesi, egli metteva a fuoco un punto fondamentale: “dare nel programma una più larga parte all’istruzione teorica e alla cultura generale”66. Lo scritto era diretto ai “Carissimi Ispettori e Direttori”, sollecitandoli – in particolare quelli italiani – a conoscere e attuare le nuove normative emanate dalle 62 ASC E226, Consiglio Generale Circolari (24.10.1905); ASC B513, Consiglio Generale Cons. Professionale Bertello (1904). 63 ASC E226, Consiglio Generale Circolari (24.10.1906). 64 ASC D870, Verbali del Capitolo Superiore (20.05.1907). 65 Ibidem. 66 BERTELLO G., Circolare, Torino, Tip. Salesiana, 1907, 2. 34 “superiori autorità” allo scopo di prevenire “questioni e sorprese spiacevoli”. Tenendo ben presente che l’aumento delle ore di scuola deve comportare incremento, nella debita proporzione, del numero di maestri atti all’insegnamento delle singole materie del programma. I rilievi e le considerazioni di don Bertello si allargavano poi all’orario di studio e di lavoro e ad altri punti da lui stesso più volte ribaditi precedentemente: cura della pulizia e dell’igiene, esigenza di locali ampi e arieggiati, fornitura di attrezzature e utensili moderni... Tutto è necessario – ribadiva –, se si vuole “raggiungere lo scopo di dare una conveniente educazione professionale ai nostri allievi”67. Con le istruzioni riguardanti il “nuovo ordinamento da darsi alle Scuole professionali” arrivò alle case di artigiani un fascicolo a stampa: Alcuni avvertimenti di pedagogia per uso dei maestri d’arte nella Pia Società Salesiana68, con l’auspicio “che tutti i Capi interni ed esterni ne abbiano copia. E meglio ancora sarebbe – si osservava – se, oltre al darne copia a ciascuno, i direttori, in una o più conferenze, ne facessero a loro breve spiegazione”. Messi in luce la “nobiltà ed importanza” dell’ufficio del maestro e il suo compito fondamentale – cioè “fare non solo operai abili, ma anche degli uomini onesti e dei buoni cristiani” –, gli avvertimenti abbozzano orientamenti e norme pratiche riguardanti i contenuti culturali da proporre, il “metodo nell’insegnare” e la disciplina nei laboratori e nella scuola. In quest’ultimo punto, dopo aver trascritto un paragrafo sul significato del sistema preventivo, ricavato dal noto scritto di don Bosco, si mettono in particolare rilievo la ragione e la religione: ritenute “i mezzi che l’educatore deve giocare continuamente, secondo l’opportunità”69. A questi “avvertimenti” e suggerimenti si riferivano sicuramente, nel corso del 1908-1909, i visitatori straordinari quando accennavano all’applicazione (riuscita o mancante) del “metodo di don Bertello”. 2.2. Scuole professionali e colonie agricole salesiane Il discorso sulla necessità di una più vasta cultura e di una più aggiornata preparazione professionale, nel periodo che stiamo considerando, si era aperto ormai anche al mondo contadino. La storia delle scuole professionali salesiane, fin dai primi anni del Novecento, rimase intimamente legata a quella delle scuole e “colo - nie agricole”. Don Rua scriveva ai cooperatori, sulle pagine del “Bollettino Salesiano”, nel 1902: “permettetemi che io, assecondando il nuovo e salutare risveglio di ritorno ai campi, cotanto caldeggiato dal venerando Clero, richiami l’attenzione vostra sulle nostre Colonie agricole. L’impedire lo spopolamento delle campagne ed il relativo agglomeramento nelle città, con grande pericolo della fede e dei buoni 67 Ibidem, 4. 68 Alcuni avvertimenti di pedagogia per uso dei maestri d’arte nella Pia Società Salesiana, Torino, Tip. Salesiana, 1907. 69 Ibidem, 13; ASC E212, Capitolo Superiore; cfr. CERIA E., Annali della Società Salesiana, vol. III, Torino, SEI, 1946, 729-74. 35 costumi dei vostri campagnuoli, e il richiamare le popolazioni alla fonte vera del loro benessere economico, saranno i primi vantaggi di questo ritorno ai campi. Ecco quale vorrei fosse il precipuo campo della attività dei figli di D. Bosco”. Allorché il Rettor Maggiore dei salesiani faceva tale richiesta, non gli sfuggiva certamente che don Bosco aveva preferito gli oratori in area urbana, le scuole di arti e mestieri, le scuole umanistiche, i collegi; e sapeva bene che, nel 1878, don Bosco aveva accettato con una certa difficoltà la colonia agricola de La Navarre in Francia. La “svolta agraria” auspicata si inseriva ugualmente nell’accennato movimento sull’onda dell’enciclica “Rerum Novarum”, caratterizzato anche da una nuova sensibilità nei confronti del mondo agricolo. Negli ambienti ecclesiastici aveva avuto una forte risonanza la pastorale del card. Bourret: Della piaga sociale che risulta dall’abbandono della vita rurale e dalla diserzione dalla campagna. Un salesiano di spicco, don Carlo M. Baratta, direttore delle scuole di arti e mestieri di Parma, se ne era fatto portavoce in un suo libro: Di una nuova missione del clero dinanzi alla questione sociale. Nel 1900, don Baratta aveva iniziato, sempre a Parma, l’esperienza di un “corso complementare di agraria”, il cui progetto risaliva all’ultima decade dell’Ottocento. Nel corso trovavano applicazioni gli studi e approfondimenti delle teorie neofisiocratiche di S. Solari, delle quali don Baratta era assertore e attivo divulgatore mediante diverse pubblicazioni. Nel 1902, per iniziativa sempre di Baratta, la casa di Parma decise di farsi carico della “Rivista di Agricoltura”. La diresse per un ventennio (1902-1921) il coadiutore salesiano A. Accatino, autore di apprezzati saggi come I primi elementi di agricoltura (1907), Gli scioperi agrari: cause e rimedi (1908). Il sistema Solari fu introdotto anche in Spagna per opera del salesiano don Pietro Ricaldone, ispettore delle case dell’Andalusia e futuro Rettor Maggiore. Nel 1903, don Ricaldone iniziava anche una serie di piccoli volumi, sotto il nome di “Biblioteca Solariana”. Tuttavia l’appoggio dei salesiani alla fisiocrazia fu esterno, limitato e non senza qualche riserva. Il programma solariano divenne piuttosto “suggerimento e occasione scatenante” per l’inserimento delle colonie o scuole agricole nel programma educativo salesiano, accanto alle scuole professionali. D’altra parte, va ricordato che la situazione dei contadini non era un problema sentito unicamente dal clero. Tra i laici cattolici impegnati si avvertiva pure il bisogno di un’opera sociale incisiva a favore dei contadini: casse rurali, interventi avveduti sui mercati e sui prezzi dei prodotti agricoli, miglioramento delle tecniche di coltivazione delle campagne. Fu questo stato di cose – i bisogni dei ceti popolari – ciò che mosse i salesiani a promuovere il settore agricolo accanto a quello artigiano, sotto la responsabilità dello stesso membro del Consiglio Generale. Le colonie agricole salesiane esigerebbero una trattazione ben più ampia. I cenni fatti finora ad esse e quelli che si faranno nell’ultima parte di questo saggio si limitano a completare la cornice in cui si inserisce il tema di cui ci occupiamo, offrendo anche utili elementi per una visione d’insieme. 36 3. Realizzazioni e prospettive: un primo bilancio nel 1910 Nel 1907 era stata pubblicata una seconda edizione del Programma scolastico per le scuole degli artigiani della Pia Società di S. Francesco di Sales. Non vi furono, però, introdotti cambiamenti di rilievo per ciò che riguarda gli orientamenti generali e le indicazioni di carattere metodologico. Il testo ripropone, con qualche modifica, l’elenco delle materie da studiare e dei libri di testo proposti agli allievi ed ai maestri. La terza edizione del 1910 – l’ultima curata da don Bertello – offre, invece, speciale interesse e aspetti innovativi, a cominciare dai dati tipografici riportati nel frontespizio del fascicolo edito dalla Scuola Tipografica Salesiana di Torino: “PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali”70. 3.1. “Coi tempi e con Don Bosco”. Orientamenti generali Il “Programma di cultura generale”, comune per tutti gli artigiani, e i “Programmi professionali”, per ognuno dei diversi mestieri, sono preceduti da una breve trattazione teorico-pratica, chiarificatrice e stimolante, intitolata: “Idea generale sull’ordinamento delle Scuole professionali salesiane”. Il discorso si apre con l’affermazione che costituisce una chiave di lettura dell’intero documento: “Coi tempi e con Don Bosco”. Secondo i curatori dello scritto – pubblicato sotto la responsabilità della Pia Società Salesiana di Don Bosco – in “queste parole è racchiuso gran parte di ciò che forma la caratteristica dello spirito salesiano”. E dichiarano: “Non v’ha quindi dubbio che se noi Salesiani vogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dobbiamo anche noi muoverci e camminare col secolo, appropriandoci quello che in esso v’ha di buono, anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraci progressi, per potere, autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra missione”. Il piano delineato a continuazione è impegnativo: le “Scuole professionali”, nella nuova prospettiva abbozzata, “debbono essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria”. Scendendo poi a indicazioni più particolareggiate, si puntualizza: in “conformità con questo programma, viene da ogni maestro d’arte impartito l’insegnamento ad ore stabilite, ora a tutti gli alunni insieme riuniti, ora a ciascun corso o sezione; poiché l’ammettere l’alunno all’apprendimento il dì stesso che entra in laboratorio e l’alternargli l’insegnamento col lavoro, costituisce quel metodo eminentemente teorico-pratico, che è il più atto ad abituare i giovani all’officina”. 70 PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1910. 37 La volontà di mantenersi fedeli al fondatore e, allo stesso tempo, l’urgenza di ascoltare e rispondere ai bisogni dei tempi, muovono i responsabili della Società Salesiana di don Bosco a organizzare “vere scuole professionali”, secondo alcuni principi e orientamenti fondamentali: alternanza di insegnamento e lavoro, armonica integrazione di teoria e pratica, raggiungimento di uno scopo precipuo: “formare operai intelligenti, abili e laboriosi”. Dal punto di vista metodologico-didattico sono suggeriti, nel Programma, “mezzi materiali e morali”, orientati a stimolare l’attività e favorire l’emulazione tra gli allievi: esami, premi, incoraggiamenti, “compartecipazione ai frutti del loro lavoro” (la cosiddetta “mancia settimanale”), esposizioni generali e particolari degli oggetti costruiti dagli allievi durante l’anno scolastico. Il desiderio di confronto e di progresso derivava da una lunga esperienza e da una progressiva apertura al clima culturale ed educativo delle circostanze storiche. Sono ormai convinti che “l’esercizio puramente manuale e pratico dell’arte non è sufficiente, avuto riguardo all’indole ed ai bisogni dei nostri tempi”. Proprio per tale motivo si era ritenuto “urgente” compilare un “Programma teorico-pratico delle arti”, che “consta di tanti programmi quante sono le professioni insegnate; e poiché si è comprovato esser necessario un quinquennio di tirocinio per l’apprendimento di qualunque mestiere, ogni programma è suddiviso in 10 periodi, corrispondenti ai 10 semestri di studio e di applicazione, nei quali è progressivamente indicato il corredo di cognizioni che l’allievo deve apprendere e la serie dei lavori cui egli deve applicarsi per riuscire a poco a poco operaio perfetto”. Per ciò che riguarda la “cultura generale”, nella nuova edizione del 1910, i contenuti appaiono arricchiti sensibilmente: religione, lingua nazionale, lingua francese, storia, geografia, nozioni di fisica, chimica, aritmetica, elementi di geometria, storia naturale, nozioni di meccanica, elettricità e elettrotecnica, computisteria, sociologia, disegno applicato alle varie professioni, igiene, regole di buona creanza71. 3.2. Esperienze e realizzazioni: le esposizioni generali delle scuole professionali Il semplice elenco delle materie proposte a giovani apprendisti e le riflessioni riguardanti la “Idea generale sull’ordinamento delle Scuole Professionali Salesiane”, sviluppate nel documento programmatico del 1910 rivelano il non breve cammino percorso e l’ampiezza delle prospettive aperte ai giovani operai nelle case salesiane di arti e mestieri. A questo punto, però, è più che legittima una domanda: le pagine curate dal Consigliere professionale e approvate dal Consiglio Generale salesiano riflettevano 71 Si può fare un illustrativo paragone tra il programma salesiano e i più ridotti e meno articolati Programmi generali d’insegnamento per le Regie scuole professionali di 1° grado, pubblicati dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio nel 1913 (Roma, Tip. Nazionale): Italiano, Storia e Geografia, Diritti e Doveri, Igiene, Disegno, Elementi di contabilità, Nozioni elementari di scienze fisiche e naturali, Cultura tecnologica. 38 le esperienze vissute e le realizzazioni messe in opera dai figli di don Bosco nei diversi Paesi in cui essi operavano tra i ragazzi dei ceti popolari? L’approccio alle relazioni della visita straordinaria portata a termine nel corso 1908-1909 ci ha consentito di individuare alcuni elementi di risposta. Ma sono da esplorare altri documenti; in particolare, quelli riguardanti le “esposizioni generali” dei lavori realizzati dagli allievi e dei programmi, metodi e sussidi adoperati dai maestri e capi-laboratorio. A questo proposito, le Deliberazioni del Quarto Capitolo Generale recitavano: “In ogni casa professionale nell’occasione della distribuzione dei premi si faccia annualmente un’esposizione dei lavori compiuti dai nostri alunni, ed ogni tre anni si faccia un’esposizione generale, a cui prendano parte tutte le nostre case di artigiani” 72. Queste esposizioni o mostre scolastico-professionali dovevano costituire anzitutto un efficace mezzo di “emulazione” per il “miglioramento” dello studio e della pratica del lavoro dei singoli allievi, ma anche per verificare il progresso dell’organizzazione generale delle “case di artigiani”. L’iniziativa si trovava, anche in questo caso, in sintonia con il contesto culturale del tempo segnato dall’incipiente avviamento dello sviluppo industriale. Ebbero notevole risonanza le “esposizioni internazionali” di Londra (1884), Chicago (1893), Parigi (1900). In questo clima trovarono ispirazione anche le applicazioni nella pratica pedagogico-didattica delle istituzioni educative più innovative. Nella presentazione del progetto della terza “esposizione comune” salesiana del 1910 vi si accennava esplicitamente: “Un fenomeno proprio dell’età nostra è quello delle Esposizioni regionali, nazionali, universali, che si ripetono con frequenza; si vuol mettere in vista i prodotti della scienza e dell’industria, constatarne i progressi, farsene scala ad ulteriori avanzamenti, poiché oggi con vertiginosa rapidità tutto si muta, tutto si trasforma, e nei meccanismi del lavoro e negli ordinamenti del consorzio umano”. Qui ci interessano le “esposizioni generali”, in quanto dai giudizi dei visitatori e soprattutto dalla valutazione critica formulata dalla “giuria di persone competenti” che esaminarono i materiali esposti, emergono nuovi dati e indicazioni per verificare la situazione reale delle diverse case salesiane di artigiani nei diversi Paesi. La “prima esposizione triennale delle scuole professionali e colonie agricole della Pia Società di S. Francesco di Sales”, celebrata a Valsalice nell’estate del 1901, si era prefissata lo scopo “di presentare ai Salesiani ed ai loro Cooperatori un quadro di quello, che si va facendo nei molteplici istituti dell’uno e dell’altro Continente a beneficio della gioventù operaia, e trarne, col concorso di tutti, consigli ed ammaestramenti a far meglio”. 72 Deliberazioni del Terzo e Quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana: tenuti in Valsalice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tip. Salesiana, 1887, 21. Riguardo alle esposizioni di carattere educativo-didattico, cfr. DESIDERI I., Mostra scolastica, in LAENG M. (Ed.), Enciclopedia pedagogica, vol. IV. Brescia, La Scuola 1990, 7967-7969. 39 La documentazione riguardante quell’evento è, però, scarsa e frammentaria73. Si conserva, invece, una documentazione più completa – benché di tono piuttosto celebrativo – sulla seconda esposizione organizzata nell’estate del 1904 a Valdocco74. Nella descrizione del materiale in essa raccolto, si mettono in risalto “pregevolissimi” lavori delle scuole dei falegnami ed ebanisti (Torino-Valdocco, Liegi, Milano, San Benigno, Sampierdarena); “pregevoli saggi” delle scuole di Disegno, di Plastica e di Scultura, con le statue provenienti dalle scuole di Statuaria di Valdocco e di Barcelona-Sarriá; “artistiche produzioni ceramiche” dell’Istituto S. Ambrogio di Milano; “lavori svariatissimi, semplici ed eleganti”, di molte scuole di Calzoleria e Sartoria. Uno spazio rilevante è dedicato ai “documenti e saggi didattici riguardanti la cultura professionale”. Sono giudicati inoltre “assai interessanti” quelli riguardanti la “didattica agraria dell’Istituto S. Benedetto di Parma” e “l’atlante didattico-professionale di Liegi”; ed è ritenuta “degna di nota” la “collezione dei cartelloni del Musée scolaire dell’Émile Deyrolle”, destinata alla casa d’Arequipa. Il giornale “Il Momento”, del 25 settembre 1904, faceva un minuto elenco di quanto il visitatore poteva trovare all’esposizione salesiana, soffermandosi in particolare sul programma: quello “generale” di don Bertello e “i buoni programmi particolari” delle case di Liegi, di San Paolo nel Brasile e di Parma. Giungeva poi a questa conclusione: “La 2ª Esposizione delle Scuole professionali e Colonie agricole salesiane, sia nella parte pratica, come nella parte didattica, è una dimostrazione esauriente dell’amore e della competenza con cui i figli di D. Bosco attendono all’educazione dei giovani operai”75. Sarebbe auspicabile, ovviamente, confrontare questi pareri con quelli della menzionata “giuria di persone competenti” sui lavori esposti nelle cinque sezioni: Arti grafiche ed affini, Arti liberali, Mestieri (falegnami, calzolai, sarti e fabbri), Colonie agricole, Didattica. Ma non è stato possibile finora rintracciare la documentazione prodotta dagli esaminatori76. Un dato merita, tuttavia, di essere ricordato: il numero delle case salesiane “espositrici”. 73 Cfr. Esposizione triennale delle scuole professionali e colonie agricole della Pia Società di S. Francesco di Sales (Opere D. Bosco), Torino, Tip. Salesiana 1901; CERIA E., Annali, vol. III, pp. 425-434. 74 Cfr. Guida-ricordo della seconda esposizione triennale delle scuole professionali e colonie agricole salesiane, Torino, Oratorio Salesiano 1904; Nel centenario delle scuole professionali del - l’Oratorio Salesiano di Torino, 1854-1904 Guida-ricordo della Seconda esposizione delle scuole professionali e colonie agricole di D. Bosco agosto-settembre, Torino, Scuola Tipografica Salesiana 1904, XLVII pp. (con ricca documentazione iconografica). 75 Cfr. Dell’indirizzo religioso morale nelle scuole professionali di Don Bosco, in “BS”, 28(1904)1, 9-11; Della cultura intellettuale nelle scuole professionali di D. Bosco, in “BS”, 3(1904), 66-69; Le scuole professionali di Don Bosco. Dell’insegnamento artistico o professionale, in “BS”, 7(1904), 193-195. 76 Non è privo di interesse, tuttavia, il documento dattiloscritto conservato in ASC E481: “Medaglie ed onorificenze assegnate dalla Giuria agli Istituti, alle scuole, ed ai giovani operai nella Seconda Esposizione Salesiana di Torino Agosto e Settembre 1904”. 40 Numero di “case espositrici” nella 2ª e 3ª esposizione generale delle scuole professionali e agricole 1904 1910 Alessandria d’Egitto 1 1 Argentina 1 5 Austria-Galizia 1 1 Belgio 1 1 Bolivia 2 1 Brasile 3 9 Cile 1 1 Equatore – 1 India – 1 Inghilterra 1 1 Italia 15 18 Malta – 1 Messico 1 1 Palestina 1 3 Panama – 1 Perù 1 2 Portogallo 1 – Spagna 1 4 Sud Africa 1 1 Tunisi 1 – Uruguay – 3 TOTALE 33 61 Fonte: ASC E481, Scuole professionali Sono dati non privi di significato. Essi consentono un utile confronto con quelli dell’esposizione generale organizzata sei anni dopo, alla quale dovremo dedicare maggior attenzione. Di “carattere strettamente scolastico professionale”, la nuova mostra del 1910 voleva “presentare uno specchio dello sviluppo, dell’ordinamento, dei metodi seguiti e dei progressi ottenuti nell’opera di formare gli operai delle varie arti, e di promuovere quella che è la prima e più necessaria tra le arti, l’agricoltura”. Essa fu inaugurata a Valdocco nel mese di luglio. Poche settimane più tardi, fu distribuito un fascicolo in cui, con abbondante documentazione fotografica, erano presentate le diverse sezioni. Nelle pagine introduttive dello scritto si riportavano alcuni testi illustrativi tratti dal Programma esaminato nel paragrafo precedente, con qualche modificazione non irrilevante. Non vi si ripete ciò che le Scuole professionali “debbono essere”, ma si afferma decisamente che esse “sono palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria”77. 77 III Esposizione, 5. 41 Dopo aver asserito che “i Salesiani furono forse i primi in Italia ad organizzare con appositi programmi e con insegnamento metodologico le loro Scuole Professionali”, il curatore del fascicolo tracciava una sobria panoramica generale dei materiali raccolti, alludendo ai numerosi “incoraggiamenti” ricevuti da “ogni ceto di persone” e in particolare dai giornali (“Il Momento”, “L’Italia Reale”, “La Gazzetta di Torino”, “La Stampa”). Nella selezione delle testimonianze dei giornali, i curatori del fascicolo privilegiano quelle de “La Stampa”, dando (comprensibilmente) ampio spazio ai giudizi e commenti favorevoli, e tal volta entusiasti, da essa pubblicati: i “bellissimi campioni, alcuni dei quali rimarchevoli per la loro struttura che ricorda i costumi dei paesi lontani dove furono comuni” offerti dalla sezione di “selleria”; le “mirabili opere d’arte” dei legatori; “alcuni lavori di singolarissima importanza e di fattura superiore” e insieme i “saggi di precisione” dei fabbri-ferrai. Secondo il collaboratore del giornale torinese i “risultati dimostrano” che la “progressiva istruzione del giovane operaio” è stata impartita nelle scuole professionali salesiane dagli insegnanti “con larghezza di idee e modernità di mezzi e di intenti”. La prematura morte di don Giuseppe Bertello, poche settimane dopo la chiusura della mostra del 1910, comportò un “involontario ritardo” nei lavori della commissione di esperti che doveva valutare la documentazione inviata dalle “case espositrici”. Riprese il discorso il successore nella carica di consigliere professionale e agricolo, don Pietro Ricaldone, due anni più tardi, nel 1912. Si iniziava un nuovo e importante capitolo della nostra storia. 4. Sintesi e considerazioni conclusive Nel periodo delimitato in questo saggio – dalla morte di don Bosco a quella del suo primo successore (1888-1910) – si avverte un significativo cambiamento nel linguaggio utilizzato nei documenti salesiani, ufficiali e non: dall’uso prevalente dei termini “laboratori” o altri analoghi, si passa all’uso più frequente del nome “scuole professionali”, suggerito da don Rua nel 1895. Alcune iniziative e fatti “interni” alla Società Salesiana ebbero un notevole influsso nell’organizzazione delle sue scuole professionali: il “piccolo congresso tipografico- librario” di Valsalice (1896)78; l’Ottavo Capitolo Generale (1898) e le istanze arrivate a Torino di dedicare maggior attenzione alla “cultura generale” dei giovani artigiani; la progressiva applicazione del primo “programma scolastico comune” (1903-1910); la visita straordinaria a tutte le case salesiane (1908-1909); l’allestimento delle prime “esposizioni generali” delle scuole professionali e agri- 78 Deliberazioni e raccomandazioni del congresso tipografico-librario salesiano. Tenutosi in Valsalice nel 1896, S. Benigno Canavese, Scuola Tip. Salesiana, 1896. 42 cole (1901-1910); la diffusione delle norme di “Pedagogia per uso dei maestri d’arte” salesiani; la preparazione di apprezzati manuali e sussidi scolastici. Non mancarono, d’altra parte, le spinte emerse da esperienze e fatti “esterni” – mutamenti culturali, pubblicazione dell’enciclica “Rerum Novarum”, legislazione scolastica, nuove esigenze dell’industria, iniziative messe in opera da istituzioni di “fuori” – ai quali i Salesiani si mostrarono più attenti. L’incremento del numero delle “case espositrici”, tra gli anni 1904 e 1910, fu accompagnato da una più apprezzata qualità dei lavori degli apprendisti e da un miglioramento dell’organizzazione nei diversi Paesi di scuole professionali, strut - turate in modo da offrire al giovane operaio la formazione necessaria mediante un armonico incontro tra cultura generale e pratica di laboratorio. Le resistenze e difficoltà avvertite nel laborioso cammino percorso non rispondevano unicamente a un forte attaccamento – talvolta forse troppo rigido – ad esperienze consolidate, ma pure ad altri fattori di non poco conto: ristrettezze economiche, scarsità di personale per il crescente numero di scuole create o da creare, necessità e urgenza di garantire ai giovani dei ceti popolari la padronanza di un mestiere, “mettendoli in grado di guadagnarsi onestamente la vita”. Si potrebbe dire – ma l’argomento andrebbe approfondito – che, in qualche caso, non era assente il timore che il forte accento messo sullo “scolastico” potesse comportare indebolimento o mortificazione del “professionale”. Nell’opera di trasformazione dei “primitivi laboratori” artigiani in “vere e proprie scuole professionali” ebbe un ruolo di primo piano don Giuseppe Bertello, assecondato sempre dal Rettor Maggiore don Michele Rua. Dai “suoi sforzi – scrisse don Paolo Albera, nuovo Rettor Maggiore, nel 1910 – ispirati unicamente dal desiderio di sempre meglio far conoscere e ridurre alla pratica gli intendimenti del Venerabile Don Bosco nell’istruzione delle sue scuole di arti e mestieri ne vennero quei programmi pedagogici che formarono l’oggetto dell’ammirazione degli specialisti che visitarono l’Esposizione e meritarono anche d’esser presi in considerazione dall’Ufficio del lavoro di Roma”79. Il pressante invito di don Bertello a rimanere sulla scia di don Bosco, camminando contemporaneamente sulla strada dei “veraci progressi”, si condensò nell’indicativa e programmatica affermazione: “Coi tempi e con Don Bosco”80. 79 ALBERA P., Don Giuseppe Bertello, Torino, [Tip. Salesiana], 1910, 2. 80 PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1910, 1. Ha avuto, invece, fortuna in tempi più recenti il motto: “Con Don Bosco e con i tempi”. 43 LABORATORIO FALEGNAMI - VALDOCCO (ASC) 45 Capitolo 3 Le scuole professionali salesiane sullo sfondo di due guerre mondiali: prospettive e realizzazioni (1911-1945) Nei documenti riguardanti la Formazione Professionale salesiana nel periodo delimitato ricorrono spesso espressioni forti – “calamitose circostanze”, “formidabili e sanguinosi avvenimenti”, “tremende vicende”– che alludono a situazioni caratteristiche degli anni “particolarmente difficili” della prima metà del XX secolo. Uno spazio di tempo segnato, infatti, da due guerre mondiali (1914-1918 e 1939-1945) e attraversato inoltre da movimenti politici e culturali con ovvie ripercussioni sulle istituzioni educative e scolastiche: anticlericalismo in Francia e in Spagna, regimi comunista in Russia, nazista in Germania e Austria, fascista in Italia81. Il tema enunciato nel titolo di questo saggio è aperto, dunque, a una vasta e articolata problematica che comporterebbe puntuali ricerche su questioni e situazioni variegate. Nell’impostazione del lavoro – in continuità con i saggi pubblicati nei precedenti fascicoli della nostra Rivista82 – si è fatta una scelta circoscritta e realistica, allo scopo di raggiungere questo obiettivo: fare una prima ricognizione delle “prospettive e realizzazioni” che emergono dagli scritti elaborati a Valdocco ed inviati alle case salesiane. Non vi sono trascurati ovviamente altri dati e testimonianze offerte dalla bibliografia fruibile. Nella ricerca delle fonti sono stati privilegiati i documenti custoditi nell’Archivio Salesiano Centrale (ASC): Circolari mensili (CM) o collettive del Capitolo Superiore (oggi Consiglio Generale), Atti del Capitolo Superiore (ACS)83, Circolari (edite ed inedite) dei singoli consiglieri professionali generali (Pietro Ricaldone, Giuseppe Vespignani, Antonio Candela)84. Sono stati inoltre privilegiati (in questo 81 LOPARCO G. - ZIMNIAK S. (Edd.), L’educazione salesiana in Europa negli anni difficili del XX secolo. Atti del Seminario Europeo di Storia dell’Opera Salesiana, Roma, LAS, 2008. 82 Cfr. PRELLEZO J.M., Dai laboratori fondati da don Bosco a Valdocco alle “scuole d’arti e mestieri” salesiane, in “Rassegna CNOS”, 25(2009)1, 21-36; ID., Il laborioso cammino dell’organizzazione di “vere e proprie scuole professionali”, in “Rassegna CNOS”, 25(2009)2, 23-38; cfr. anche ALBERDI R., Impegno dei Salesiani nel mondo del lavoro e in particolare nella formazione professionale dei giovani, in DICASTERO PASTORALE GIOVANILE (Ed.), Salesiani nel mondo del lavoro, Roma, Editrice SDB, 1982, 19-67; GONZÁLEZ J.G. - LOPARCO G. - MOTTO F. - ZIMMIAK S. (Edd.), L’educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze e attuazioni in diversi contesti, vol. I, Roma, LAS, 2007, 53-94. 83 Atti del Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana (Torino, 1920). Il primo fascicolo fu pubblicato il 24 giugno del 1920 (al posto delle Circolari collettive/mensili). 84 Cfr. RIZZINI F., Dai Consiglieri Professionali generali alla Federazione Nazionale CNOSFAP, in “Rassegna CNOS”, 2(1988)2, 127-177. 46 saggio, in modo particolare) i verbali delle riunioni del Consiglio Generale, in cui erano comunicate le informazioni riguardanti le realizzazioni attuate in diversi contesti; discusse, talvolta vivacemente, le richieste arrivate a Torino dalla base della Congregazione; approvate o respinte le proposte di nuove fondazioni; condivise le prospettive da tenere presenti nello sviluppo dell’opera salesiana e segnalati i possibili “deviamenti”. Speciale interesse presentano infine i documenti sulla Formazione Professionale, elaborati dai Capitoli Generali, supremi organi legislativi della Congregazione. 1. Riserve e contrasti nei confronti delle “scuole tecniche interne” Dopo la prematura scomparsa del consigliere professionale, don Giuseppe Bertello, nel 1910 e specialmente dopo la morte di don Michele Rua, primo successore di don Bosco, avvenuta nello stesso anno, i membri del Consiglio Generale dei salesiani sentirono il bisogno di approfondire alcuni “quesiti” attinenti l’identità e lo sviluppo dell’opera salesiana. Uno di detti quesiti era così formulato: “Data la tendenza al corso tecnico, che si va ogni dì più, a’ nostri giorni, ingrandendo, decidere se o no si debba cedere a questa tendenza. Ove sì, entro quali limiti e a che condizioni debba essere vincolata la concessione di una scuola tecnica, o la aggiunta di una scuola tecnica al corso ginnasiale”85. Nel quadro del lento decollo industriale italiano, le scuole tecniche trovavano, infatti, nuovi consensi86, anche di autorevoli salesiani impegnati nel lavoro tra i giovani artigiani nei quartieri popolari. Tuttavia, nel 1911, i membri del Consiglio Generale salesiano giungono alla conclusione che “non si debba cedere” a quella tendenza. 1.1. Diverse prospettive Va osservato subito che non era la prima volta che l’organismo di governo della Società di San Francesco di Sales affrontava “l’argomento scottante” delle scuole tecniche nelle case salesiane. Conviene pertanto fare qualche passo indietro. Tra le richieste arrivate a Torino, è illustrativa quella dell’ispettore salesiano della Liguria, in cui egli sollecitava l’introduzione dell’insegnamento “tecnico” nella casa di Varazze. Lo scritto fu esaminato nell’adunanza capitolare del 20 dicembre del 1904, emergendo pareri contrastanti riguardo alla sostanza della questione. Don M. Rua fece in quell’occasione delle affermazioni che potrebbero sembrare oggi piuttosto sorprendenti: “D. Bosco non voleva il tecnico in casa. Finora non abbiamo scuole tecniche interne. Teniamo fermo: il tecnico è la morte delle voca- 85 ASC E482, Scuole. 86 LACAITA C.G., Istruzione e sviluppo industriale in Italia 1859-1914, Firenze, Giunti-Barbera, 1973, 60. 47 zioni”. In quell’incontro, anche don Francesco Cerruti, consigliere scolastico generale, espresse una opinione analoga. Il consigliere professionale, don Bertello, invece, replicò con franchezza: “I tempi sono cambiati. Prendere qualche scuola tecnica s’impone”. L’adunanza fu tolta, accogliendo il parere del Rettor Maggiore, che ribadì: “Non ammettiamo il tecnico in casa”. Ma non tutti gli aspetti della questione erano stati chiariti. Tre anni dopo, nelle riunioni del Consiglio Generale, si tornò sull’argomento. I verbali dell’adunanza dell’11 novembre del 1907 consentono di seguire da vicino l’andamento della discussione. Vale la pena trascrivere letteralmente il paragrafo che si ri - ferisce più direttamente all’argomento discusso: “Si viene a parlare delle scuole tecniche e il sig. D. Rua ricorda che D. Bosco interne non le voleva e cita i collegi di Alassio e di Varazze ove le tolse. Si replica che D. Bosco in ciò aveva allora principalmen te di mira le vocazioni ecclesiastiche che scarseggiavano, ora non è più così e se si potessero educare cristianamente i giovanetti di oggi, che saranno i reggi tori della cosa pubblica domani sarebbe certo un gran beneficio. Un’opera di ca rità grande alla quale forse neanco D. Bosco si sarebbe rifiutato”. Dopo lungo scambio di pareri si viene a questa conclusione: “si concede in via eccezio nale l’apertura di convitti-pensionati per scuole tecniche. I singoli casi però deb bono essere sottoposti al Capitolo Superiore che li esaminerà volta per volta”87. Il tema delle “scuole tecniche” si trovò poi all’ordine del giorno almeno in tre riunioni capitolari del menzionato anno 1911 (28 marzo, 3 e 4 maggio). In quest’ultima, fu approvata da “tutto il Capitolo” la se guente norma: “In ossequio al volere del Ven. D. Bosco e del compianto D. Rua – contrari all’introduzione delle scuole tecniche interne nei nostri collegi – gli at tuali Superiori confermano il principio e dichiarano che anch’essi non intendo no ammettere il tecnico interno [...] fin dal prossimo anno scolastico 1911-12 nes sun collegio potrà aver la 3ª tecnica interna, sotto qualunque nome o forma”88. Nella circolare mensile del 15 maggio del 1911, in cui era comunicata la decisione presa a Valdocco, si avvertiva ai singoli ispettori: “Per tuo governo non do - vrai ammettere alcuna eccezione alle disposizioni contenute nella presente se non sia esplicitamente concessa per iscritto dal Rettore Maggiore”. Il provvedimento del Consiglio Generale salesiano suscitò forti resistenze tra i responsabili delle scuole tecniche interne esistenti ancora in Italia (Borgo S. Martino, Colle Salvetti, Cuorgnè, Ferrara, Gualdo Tadino, Intra, Maroggia, Randazzo, Trevi, Varazze)89. Arrivarono, a don Albera e ad altri membri del Consiglio, lettere dai direttori, in cui si mettevano in luce gli incon venienti a cui potevano portare 87 ASC D271, Verbali del Capitolo Superiore (11.11.1907). 88 ASC D271, Verbali del Capitolo Superiore (3 e 4. V. 1911). 89 ASC E482, Scuole. Si avvertono alcune differenze nelle statistiche conservate. Funzio navano Scuole tecniche esterne nelle case salesiane di Alessandria, Ancona, Biella, Caserta, Este-Civico, Faenza, Legnago, Lugo, Novara, Savona, Sondrio, Treviglio. 48 le misure decise. Particolarmente significa tivo, a tale proposito, risulta un lungo e vivace scritto indirizzato al Rettor Maggiore dal salesiano don Giuseppe Monateri – già ispettore delle Sicilia – in cui era esaminato l’“argomento scottante” della “abolizione del Corso Tecnico nei Collegi Sa lesiani”. Don Monateri metteva in risalto, anzitutto, la nuova tendenza che si avvertiva nel contesto contemporaneo, favorevole alle scuole tecniche. E anche lui ammetteva un fatto: “Tutti i confratelli antichi sanno, e io fra i primi (che nel 1880 chiusi per consiglio di D. Bosco il Tecnico regolare di Varazze, ora riaperto per imposizione del Municipio e deperimento del Ginnasio), come il nostro Ven. Fondatore e Padre era avverso alle Scuole Tecniche, e preferiva di molto le scuole, dove si insegnava lo studio del latino, come le Ginnasiali”90. Gli “evidenti” motivi di questa preferenza di don Bosco radicavano, di fatto, nella persuasione che il Ginnasio “è più educativo e può dare dei preti e dei religiosi” alla Congregazione e alla Chiesa. Ma “i tempi sono mutati d’assai” ed “io sono convinto, convintissimo – enfatizzava don Monateri – che se Egli vivesse ora, uomo e sacerdote, qual era, dei tempi e all’altezza dei tempi, e profondo conoscitore di ogni bisogno e pretesa dell’età corrente, si adatterebbe a tutto e non solo permetterebbe, data questa irresistibile tendenza e corsa delle classi popolari e medie alle Scuole Tecniche, di mantenere quelle aperte, ma consiglierebbe, se non si possono riempire i nostri collegi di alunni elementari e ginnasiali, di aprire e aggiungere le tec niche regolari”. Dopo aver contrastato con schiettezza il parere di don Rua, al cui avviso “dalle scuole tecniche non si ricava nessun bene”, Monateri metteva in risalto alcuni fatti, a suo parere, contraddittori: “la Congregazione Salesiana abbraccia omne opus bonum per salvare la gioventù e le anime. Si tengono aperti perciò Oratorii festivi, Ospizi, Orfanotrofi, Missioni, Ospedali, Laboratori, Scuole elementari, gin nasiali, liceali, Scuole agrarie, Scuole di arti e mestieri, Scuole domenicali ecc., e si vogliono soltanto escludere le Scuole Tecniche, che in sostanza sono scuo le di arti e mestieri, di agricoltura, e di contabilità per i minori impieghi, per le faccende commerciali e industriali? Questo davvero non si capisce. E non si capisce come faccia tanta paura il nome di Scuole Tecniche”. 1.2. Sguardo al contesto culturale Mentre comunicava queste appassionate considerazioni, Monateri aveva presente, probabilmente, la cura e l’interesse di cui era oggetto, nella vicina Francia, l’insegnamento tecnico: presentato nel progetto di legge del 1905 come “l’étude théorique et pratique des sciences et des arts ou métiers en vue de l’industrie ou de commerce”; e gli stabilimenti d’insegnamento tecnico industriale indicati come “les écoles dans lesquelles l’enseignement est orienté vers les applications et où le temps, consacré aux travaux pratiques d’atelier ou de laboratoire es au dessin, 90 ASC E482 Scuole. 49 dépasse quinte heures par semain”91. Nel 1911 fu stabilito in ogni dipartimento e in ogni cantone “un comitato d’insegnamento tecnico”. Poco dopo, nel 1912, era organizzata la scuola normale dell’insegnamento tecnico, in cui dovevano formarsi i futuri professori delle “écoles pratiques et professionnelles”92. D’altro canto, per “capire” perché facesse “tanta paura” il nome di scuole tecniche ancora nel primo decennio del secolo XX, si deve dare uno sguardo alla realtà delle medesime nel passato recente della storia dell’istruzione in Italia. L’opposizione o le reticenze nei confronti delle “scuole tecniche interne” da parte del fondatore dei salesiani e del suo primo successore non costituivano un fatto isolato. Secondo la legge Casati (1859) “L’istruzione tecnica ha per fine di dare ai giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e speciale” (art. 272). Gli “stabilimenti speciali” in cui verrà data l’istruzione di primo grado ricevono il nome di Scuole tecniche; gli “stabilimenti particolari” in cui verrà data quella di secondo: Istituti tecnici. Negli ultimi anni del secolo XIX era viva la polemica sulla reale capacità di tali scuole a “dare un mestiere” ai giovani93. Ma le riserve più serie nei confronti delle scuole tecniche riguardavano la questione del valore formativo. Ancora nel 1928, in riferimento alla situazione italiana, si poteva affermare: “È arcinoto infatti che se noi avevamo ed abbiamo ottime scuole classiche, abbiamo modeste scuole tecniche”94. Le riserve nei confronti dell’istruzione tecnica non rispondevano, dunque, a una posizione isolata in ambito salesiano. Non mancavano ragioni, nelle prime decadi del secolo XX, che spiegavano i contrasti. Ad ogni modo, i numerosi scritti arrivati a Valdocco firmati da autorevoli membri della Società di San Francesco di Sales impegnati nel lavoro tra i ragazzi dei ceti popolari, mossero i membri del Consiglio Generale a prendere un momento di riflessione. Don Cerruti, che aveva ricordato, tra i primi, che “D. Bosco e D. Rua erano contrari al tecnico interno”, giunse a dichiararsi anche lui favorevole alla “dilazione di un anno di quanto fu stabilito”95. La “dilazione”, tuttavia, non comportò, per il momento, la revoca della decisione presa. Infatti, nella riunione capitolare del 91 CHARMASSON T. - LELORRAIN A. - RIPA Y., L’enseignement technique de la Rèvolution à nos jour, 414. 92 Ibidem, 464. 93 SOLDANI S., L’istruzione tecnica nell’Italia liberale, in “Studi Storici”, 22(1981)1, 110. 94 ASC E483, Scuole professionali (probabilmente in: “L’avvenire d’Italia”, 1928). Queste scuole, fino all’anno 1928, erano di competenza del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. In quell’anno gli istituti di indirizzo professionale passarono al Ministero della Pubblica Istruzione. Secondo le leggi del 15 giugno 1931, n. 889 e 22 aprile 1932, n. 490: “L’istruzione tecnica ha il fine di fornire la preparazione necessaria alle professioni pratiche attinenti alla vita economica della Nazione e riguardanti l’agricoltura, il commercio e l’industria”. “Le Scuole tecniche hanno lo scopo di completare la specifica preparazione pratica dei licenziati dalle scuole di avviamento professionale e di contribuire, con la formazione di idonee maestranze, allo sviluppo della economia nazionale”. 95 Ibidem. Nota autografa di don F. Cerruti del 29-VI-911, scritta sull’ultima pagina di una lettera di don Laureri (27-VI-911) a lui diretta. 50 10 luglio 1914, dopo la presentazione di una nuova richiesta del Collegio di Collesalvetti, il Consiglio “lamenta che si sia sempre allo stesso punto” e “delibera che si scriva risolutamente che la terza tecnica non dev’esservi”. E nel 1919 fu deciso “di far tutto per togliere il tecnico a Borgo S. Martino”96. Negli anni successivi, l’argomento delle scuole tecniche interne non sembra sia stato messo all’ordine del giorno delle riunioni capitolari. Dall’esame di altre fonti si conferma l’impressione che, in questa materia, i membri del Consiglio Generale salesiano abbiano preso una posizione più flessibile in consonanza con la “nuova tendenza”. Di fatto, nell’anno 1925 funzionavano le scuole tecniche (inferiori o superiori) nelle case salesiane di Maroggia (Svizzera-Ticino), Lugano (Svizzera- Ticino), Randazzo (Catania), Borgomanero (Novara), Alessandria di Egitto e Costantinopoli97. Non ci troviamo, tuttavia, di fronte a casi isolati o eccezionali. Dai dati ricavati dall’Elenco generale della Società di S. Francesco di Sales, emerge che fin dalla metà degli anni ’20, in Italia (e in altri Paesi di influenza italiana), accanto alle scuole professionali, svolgevano la loro normale attività alcune scuole tecniche ed istituti tecnici. In pratica, era stato ormai accolto l’orientamento di don Bertello nel 1904: “I tempi sono cambiati. Prendere qualche scuola tecnica s’impone”. Scuole professionali e tecniche salesiane 1925 ITALIA EUROPA OR. PROSSIMO ASIA AMERICA TOTALE Scuole professionali 15 32 3 4 35 89 Scuole agricole 5 6 1 – 16 28 Scuole tecniche 2 3 4 – – 9 Fonte: Elenco generale 1925 (vol. I: Antico Continente, vol. II: America) Scuole professionali e tecniche salesiane 1938 ITALIA EUROPA OR. PROSSIMO ASIA AMERICA TOTALE Scuole professionali 26 50 8 4 41 129 Scuole agricole 5 16 2 – 16 39 Scuole tecniche 10 – – 2 – 12 Istituti tecnici 10 – – – – 10 Fonte: Elenco generale 1938 (vol. I: Antico Continente, vol. II: America) Scuole professionali e tecniche salesiane 1946 ITALIA EUROPA OR. PROSSIMO ASIA AMERICA TOTALE Scuole professionali 29 48 3 10 47 137 Scuole agricole 9 17 4 1 21 52 Scuole tecniche 6 1 2 1 1 11 Istituti tecnici 15 – – – – 15 Fonte: Elenco generale 1946 (vol. I: Antico Continente, vol. II: America) 96 ASC D271, Verbali del Capitolo Superiore (21.07.1919). 97 Elenco della Società di S. Francesco di Sales, Torino, 1925, 4, 56, 75. 51 I tempi, ovviamente, continuarono a mutare e cambiarono pure gli ordinamenti e i programmi delle scuole tecniche98; e si erano aggiornati e ragionevolmente adattati quelli delle scuole professionali salesiane. Nel 1936, don Antonio Candela, direttore generale delle scuole professionali e agricole salesiane, in un una relazione al “VI Congresso Internazionale dell’Istruzione tecnica”, presentando l’organizzazione, in tre corsi, della “istruzione professionale impartita negli istituti salesiani”, poteva precisare che il “corso medio” era “corrispondente alla scuola tecnica professionale italiana”; ed il “corso superiore”, “all’istituto industriale d’Italia”. 2. Nuovi impulsi al “miglioramento” e richieste di “perfezionamento” Le riserve e i vivaci contrasti attorno alle scuole tecniche e alla loro valenza formativa non indebolirono il discorso sulle scuole professionali salesiane. Anzi, nelle “calamitose circostanze” provocate dalla prima guerra mondiale, si sentì con più forza il bisogno di dare alle scuole professionali un “nuovo impulso”, mettendone in risalto gli aspetti più caratterizzanti. 2.1. Don Pietro Ricaldone, responsabile delle scuole professionali salesiane (1911- 1922) Sul proposito di dare un nuovo impulso intervennero diversi fattori e circostanze. Nel 1911 era stato chiamato a occupare l’ufficio di consigliere delle scuole professionali e agricole don Pietro Ricaldone. Uomo intraprendente e di spiccate doti di governo, volle cominciare il suo lavoro partendo da una miglior conoscenza della situazione, prendendo in mano i documenti prodotti in occasione della terza esposizione generale del 1910; in particolare, la valutazione dei materiali esposti, espressa dai membri della “giuria” o commissione di esperti. Questi, dopo aver “constatato” che “su 47 espositrici 18 soltanto avevano esposto più o meno completamente il risultato della propria Cultura Generale”, formularono “con sincerità” tre considerazioni di ordine generale: 1ª Si “è ancora lontani dall’aver raggiunta la perfezione nella cultura generale nelle case espositrici. Il difetto non s’ha da cercare nella volontà degli insegnanti né nei programmi, ma nella natura dell’insegnamento”. 2ª “Occorre che il personale, cui è affidato l’insegnamento, sia ben preparato a compiere tale ufficio”. 3ª Dalle “varie relazioni risulta altresì la mancanza di locali adatti e più di tutto del materiale didattico necessario”99. Le osservazioni degli esperti confermavano alcuni dei punti problematici messi in risalto dai visitatori straordinari nel 1908-1909. La documentazione pro- 98 HAZON F., Storia della formazione tecnica e professionale in Italia, Roma, Armando, 1991, 83-101. 99 Terza esposizione generale, 25. La “commissione giudicatrice” era composta da: ing. C. Bairati, prof. V. Cimatti, prof. P. Corradini, dott. E. Guidazio, prof. E. Picablotto. 52 dotta fu pubblicata in un fascicolo dal titolo Terza esposizione salesiana (1912)100. Inviando il volumetto agli ispettori provinciali, don Ricaldone pregava loro di volerne distribuire un esemplare a tutti i confratelli addetti alle case di arte e mestieri, poiché dall’esame e confronto dei risultati dell’esposizione, era da aspettarsi lo stimolo per “un po’ di miglioramento in quello che si fa attualmente”. Volendo conoscere meglio la situazione reale, il consigliere professionale manifestò pure il suo desiderio di ricevere “una relazione sommaria sul numero degli allievi artigiani e loro distribuzione nelle varie Scuole Professionali, sul risultato degli esami, orari – coi vantaggi e inconvenienti dei medesimi – e finalmente sulle difficoltà incontrate nell’insegnamento della teoria e in che modo si poté supplire ai testi ove ancora non esistono”101. Agli inizi del 1913, trascorsi pochi mesi dalla pubblicazione dei giudizi sui lavori esposti a Torino, don Ricaldone poteva già notare un vero “miglioramento”, dichiarandosi “soddisfatto di sapere che gli esami semestrali tanto di coltura quanto professionali, per le Case dell’Antico Continente, si sono fatti o si stanno facendo con regolarità”102. Due mesi più tardi, egli si diceva “lieto di sapere che in parecchie nostre Case di Artigiani si procura di attuare, man mano che è possibile, i miglio ramenti richiesti dalle mutate condizioni dei tempi e dalla importanza che hanno assunto in questi ultimi decenni le Scuole Professionali ed Agricole”103. Una attenzione particolare è dedicata alla salute dei giovani artigiani e al - l’igiene del lavoro: dare la “massima importanza” alle ore di riposo, al tempo necessario per le ricreazioni, al volume d’aria richiesta nelle camerate e nei laboratori, alla ventilazione, alla pulizia personale e degli ambienti... Don Ricaldone raccomanda di tener presente, a tale riguardo, quanto si dice nei regolamenti salesiani sull’educazione fisica; e invita a leggere e mettere in atto le indicazioni e norme proposte nelle apprezzate pubblicazioni di A. Ghione104. Constatato poi il “notevole sviluppo” raggiunto dalle scuole professionali in generale ad opera dei governi dei diversi Paesi, impegnati nel “regolarle con programma e leggi sempre più consentanei ai bisogni dei tempi”, don Ricaldone rivolse, nel mese di maggio del 1914, un caldo appello ai salesiani in questi termini: “Malgrado quanto si [è] fatto, i tempi e le circostanze esigono che noi diamo un nuovo impulso alle nostre Scuole Professionali, e perciò mettiamo a contributo 100 Terza esposizione generale delle scuole professionali e agricole della Pia Società Salesiana, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1912. 101 ASC E212, Consiglio Generale Circolari (24.04.1912; 14.10.1914). 102 CM, (24.03.1913). 103 CM, (24.05.1913). 104 Anacleto GHIONE, sac. salesiano. Tra le sue opere: Igiene dell’operaio. Professioni e industrie, Torino, Tip. e Libreria Salesiana, 1897; Igiene popolare: trattatelo con dizionarietto, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana, 1897; Ginnastica igienica: moto, esercizi, giuochi, Torino, Libreria Editrice Buona Stampa, 1910. 53 l’esperienza e il buon volere di tutti per migliorarne i metodi ed i programmi, estendere il campo d’azione, sviluppando specialmente i rami del ferro che quasi dovunque sono una necessità, e stabilendone altre richieste dai bisogni delle singole regioni allo scopo di preparare operai onesti ed abili per le industrie locali”105. Allorché lanciava il suo pressante richiamo, il responsabile generale della Formazione Professionale non nascondeva le difficoltà originate dal sanguinoso conflitto bellico in corso; tuttavia, si diceva convinto che il “cozzo terribile di tutte le energie di nazioni contro nazioni” non solo ha prodotto e continua a produrre “effetti disastrosi”, ma ha anche messo in maggiore luce alcune “questioni di capitale importanza per i popoli”; e, fra queste, “occupa posto cospicuo l’insegnamento professionale”: uno dei “mezzi più efficaci per rimediare le rovine causate dalla guerra e fare opera di restaurazione quando giungerà il periodo sospirato di pace”. In detta cornice risalta, per don Ricaldone, la “grande benemerenza sociale” procuratasi dalla Congregazione Salesiana, la quale “sopra 367 istituti ne conta 84 di arti e mestieri e 43 tra colonie e scuole agricole e che possiede in tutto il bel numero di 486 sezioni o corsi di tirocinio con un totale approssimativo di 8200 allievi”. E la rammentata benemerenza “aumenta molto di proporzione se si tiene conto dello spirito educativo-religioso e di beneficenza che informa i nostri istituti”106. Questi dati – forse un po’ amplificati – giunsero alle case salesiane, nel 1916. In quella data, nelle pagine del “Bollettino Salesiano” (BS) si raccontava l’apertura dell’esposizione didattico-professionale delle scuole salesiane a Bogotá (Colombia), presentata dal ministro della Pubblica Istruzione della Nazione107. Negli anni successivi, rilevava altre iniziative portate a temine nelle case salesiane, nonostante le “presenti difficoltà”: nuove scuole di elettricità e di meccanica a Sarriá- Barcelona; scuola di fabbri meccanici a Torino-Valdocco; scuola del ferro a Bolo - gna (1917)108; miglioramento dell’ospizio di Sampierdarena; nuovi laboratori delle scuole professionali di Madrid (1919)109. Il “Bollettino Salesiano”, dopo aver messo in evidenza le “notizie sul nuovo sviluppo” delle opere salesiane a favore dei giovani operai, trascriveva, nel 1917, il testo di una lettera del Sottosegretario di Stato per l’Industria, Commercio e lavoro, indirizzata all’Ispettorato Generale dell’Industria. Ne trascrivo le prime righe: “Mi è pervenuta la pregevole Relazione della S. V. sulle Scuole professionali ed agricole di codesta Pia Società Salesiana, e mi affretto ad inviarle vive parole di compiacimento per l’opera che esse svolgono da lunghi anni a vantaggio del Popolo”110. Le iniziative attuate e gli apprezzamenti espressi dall’autorità civile non furono accolti, ovviamente, come un’esortazione a fermarsi sui traguardi raggiunti. 105 CM, (24.05.1914). 106 CM, (24.08.1916). 107 BS, 40(1916)4. 108 BS, 41(1917)4. 109 BS, 43(1919)7. 110 BS, 41(1917)4. 54 Prima e dopo quella data del 1917, don Ricaldone non si stancava di esortare i salesiani ad andare oltre. Mentre ribadiva “il grande fervore di studi e di opere ovunque destatosi a favore delle Scuole Professionali”, ricordava ai salesiani: è “necessario che questo salutare risveglio sia secondato anche da noi”. Di conseguenza, egli stesso si impegnava in prima persona, come responsabile della Direzione Generale delle scuole professionali, a far “conoscere, a suo tempo, ciò che giudica conveniente soprattutto per lo sviluppo delle Scuole del Ferro; ma – ammoniva – mentre nelle singole ispettorie si vanno maturando altre iniziative, è indispensabile curare e perfezionare le Scuole esistenti”111. Di fatto, don Ricaldone, già dall’inizio del suo mandato, aveva sollecitato i direttori e gli ispettori a inviare a Valdocco dati e informazioni su quanto si andava facendo nelle case di artigiani. Nelle circolari mensili ricorre più volte il tema dei rendiconti trimestrali e delle relazioni da inviare sul numero degli allievi, sugli esami e i programmi. Ciononostante, dalla documentazione conservata al riguardo, si deve presumere che le risposte pervenute non furono numerose. Don Ricaldone scriveva nel mese di agosto 1917: “Il Consigliere professionale – dopo le ripetute preghiere degli anni scorsi e la necessità sempre più sentita e più volte dimostrata di dati statistici nei riguardi delle nostre Scuole Professionali ed Agricole – crede non dover più insistere sulla necessità di detti resoconti. Gode anzi nella speranza che, se pel passato alcuno si fosse dimostrato meno sollecito, vorrà ora raddoppiare la diligenza nel compimento di questo importante dovere”112. Questa volta le aspettative non rimasero deluse. Tre mesi dopo il suo appello, si rallegrava “per le notizie riguardanti miglioramenti introdotti nelle nostre Scuole Professionali o riflettenti lodevoli resistenze opposte alle non lievi difficoltà del momento”113. Passato un anno, nel 1918, si dichiarava “lieto di poter segnalare lo zelo spiegato in talune Ispettorie per sostenere le Scuole Professionali e Agricole anche attraverso le presenti difficoltà; e di constatare inoltre come non solo fu ampliata l’azione benefica di parecchie Case coll’istituzione di nuove Scuole o con la preparazione di esse per il dopoguerra, ma sorsero altri Istituti d’indole agricola e professionale rispondenti alle esigenze attuali”114. Finita la guerra – che aveva impedito, tra l’altro, la celebrazione della esposizione programmata per l’anno 1915, come solenne manifestazione, degna dell’occasione del Primo Centenario della nascita del nostro Venerabile Fondatore – ebbe luogo a Torino, nel 1920, una Mostra Programmatica e Didattica delle Scuole Professionali ed Agricole Salesiane, che destò “vivissimo entusiasmo e una generale simpatia nei visitanti”115. Un inviato del giornale “Corriere Torinese” sintetizzava 111 CM, (24.06.1917). 112 CM, (24.08.1917). 113 CM, (24.11.1917). 114 CM, (24.07.1918). 115 SCUOLE PROFESSIONALI E AGRICOLE SALESIANE, Arti metallurgiche. Programmi, Torino, Scuola tipografica Salesiana, 1921, 3. 55 così la propria impressione: “i tempi resi così gravi dai tanti formidabili e sanguinosi avvenimenti di questi ultimi anni, hanno fatto pensare alla Direzione generale delle scuole professionali e agricole salesiane come non mai come ora sia profondo ed urgente il bisogno di procurare maggiori e più pratici vantaggi alla gioventù operaia”116. Altro fatto – la pubblicazione dei nuovi Programmi per le Arti metallurgiche (1921) – costituì un nuovo impulso e stimolo al “perfezionamento”. Nella nuova edizione era riproposta una ristampa del fascicolo: Alcuni avvertimenti di pedagogia ad uso dei maestri d’arte della Società Salesiana. 2.2. In una “congiuntura favorevole” sotto la direzione di don Giuseppe Vespignani (1922-1932) e di don Antonio Candela (1932-1945) L’anno 1922, don Ricaldone fu eletto prefetto generale della Società Salesiana. Nella nuova carica, e più tardi come Rettor Maggiore, egli continuò ad interessarsi dello sviluppo del settore professionale e agricolo nella Congregazione Salesiana, pur nel pieno rispetto delle competenze dei diretti responsabili. Alla carica di consigliere professionale fu chiamato, invece, don Giuseppe Vespignani (missionario in Argentina, che aveva esercitato già quell’ufficio, per pochi mesi, dopo la morte di don Bertello). Don Vespignani, collocandosi dichiaratamente in linea di continuità con i predecessori, diede impulso al “miglioramento” e auspicò il “perfezionamento” dei laboratori in consonanza con le “esigenze moderne”. Particolarmente significativo è stato il suo contributo alla preparazione del tema: “Scuole professionali ed agricole”, discusso e approvato, nel 1929, dal Capitolo Generale (organismo legislativo salesiano). I materiali del futuro documento capitolare erano stati esaminati in ben cinque riunioni del Consiglio Generale lungo l’anno 1928 (da febbraio a dicembre). Nei verbali delle riunioni capitolari – l’estensore parla di “lunga discussione” – sono riscontrabili dei riferimenti alle trasformazioni dei tempi, pure in campo legislativo. Nella riunione del 22 novembre 1928, si avverte che da “quando le scuole professionali passarono alla dipendenza del ministro della Istruzione Pubblica, questo si occupa di disciplinarle e distribuire quei sussidi che sono disponibili”. Tale costatazione metteva in evidenza, secondo Vespignani, l’urgenza di un aggiornamento in materia; esso, però, non doveva limitarsi alla semplice conoscenza delle norme legali vigenti. I membri del Consiglio Generale decisero di introdurre, nel programma del menzionato organismo o assemblea legislativa salesiana del 1929, lo studio del tema: “Scuole professionali e agricole”. Nel documento finale – frutto della collaborazione di autorevoli salesiani provenienti da tutti i Paesi in cui era presente l’Opera di don Bosco – emerge un punto di speciale interesse: quello riguardante lo “stato attuale delle scuole professionali ed agricole”. 116 La scuola ideale del lavoratore. Visitando la Mostra Salesiana, in “Corriere”, (20.07.1920). 56 Nel 1929 i membri del menzionato supremo organismo legislativo salesiano compilarono un bilancio generale sostanzialmente positivo: “a) Riguardo al numero delle dette Scuole esso è considerevole perché attualmente gli istituti professionali aventi Scuole di Arti o Mestieri sono 138. b) Anche i risultati sia per l’educazione religiosa e morale, come per l’esito nella formazione professionale e tecnica, sono consolanti, come lo attestano le Autorità governative ed ecclesiastiche delle distinte nazioni che richiedono ed offrono nuove fondazioni”. Allo stesso tempo, i capitolari individuavano alcune ombre: “deficienze di organizzazione in certo numero di queste Scuole”; e questo: per “mancanza di Catechista e di Consigliere professionale in due terzi di esse; per non adottare i nostri programmi; non distinguere i corsi, e non armonizzarli con la teoria, né con le classi di cultura; il trascurare la scuola di disegno professionale ecc. ecc.”117. All’elenco delle deficienze e mancanze seguiva poi l’esposizione delle proposte da tener presenti per il “miglioramento” e “perfezionamento” della situazione. Il lavoro di messa in pratica degli orientamenti capitolari, iniziato da Vespignani, non si interruppe con la sua morte, avvenuta nel 1932. Fu eletto a continuarne l’opera don Antonio Candela (che portava l’esperienza di direttore di varie case spagnole e francesi e di ispettore provinciale in Spagna). Alcuni mesi dopo la sua elezione a consigliere professionale indisse, sotto la responsabilità della Direzione Generale delle Scuole Professionali Salesiane, una “Mostra-Artigiana Salesiana” tra gli istituti del Piemonte; e “una Gara artigiana tra le Scuole Professionali Salesiane d’Italia” da celebrare a Torino nel mese di maggio e giugno del 1933118. In occasione della inaugurazione, il giornale “L’Avvenire d’Italia”, rilevando l’interesse e il valore dei materiali esposti, commentava, evocando iniziative attuate in altri contesti: “Il primato vinto dalle Scuole salesiane di Torino e di San Benigno Canavese nelle gare provinciali indette dalla Federazione artigiana risulta qui ben documentato e meritato”119. Tre anni più tardi, le scuole professionali salesiane si confrontarono con un pubblico più vasto, nel menzionato “VI Congresso Internazionale dell’Istruzione tecnica”, tenuto a Roma nel mese di dicembre del 1936. La Relazione dell’istruzione professionale impartita negli Istituti Salesiani “mandata al Congresso” da don Candela, si apre con un riferimento allo scopo cercato da don Bosco, nell’iniziare la sua opera: “un mezzo pratico per assistere ed avviare al lavoro giovani bisognosi”. Ma aggiunge: “questo carattere benefico e pratico non impedì mai che esse fossero vere scuole di formazione tecnica e professionale”120. La Relazione presenta poi l’ordinamento generale delle scuole professionali salesiane, riprendendo dati esposti più puntualmente nelle Considerazioni riservate (non datate, ma probabilmente dattiloscritte nel citato anno 1936), inviate dal diret- 117 ACS, 10(1929)50, 810. 118 ASC E481, Scuole professionali. 119 “L’Avvenire d’Italia”, (03.06.1933). 120 ASC E484, Scuole professionali. 57 tore generale delle scuole professionali salesiane agli ispettori, ai direttori, ai consiglieri professionali e ai capi d’arte. In esse sono messe in evidenza le principali modifiche e aggiornamenti introdotti nei “nuovi programmi”, con adattamento a quelli governativi. “Dal nostro antico ordinamento – informava don Candela – sono sorti i corsi ora esistenti, cioè il corso inferiore, di anni tre per la formazione di mezzi artigiani; il corso medio di anni due per completare la formazione dell’artigiano completo; il corso superiore di anni 3 (minimo 2 anni) per la formazione del maestro d’arte”121. Un semplice sguardo al quadro di materie dei Programmi del 1938 consente di costatare che la proposta culturale era stata significativamente arricchita e aggiornata: a) Cultura generale: religione, lingua nazionale, matematica, storia e geografia, educazione civica, lingua straniera, scienze fisiche e natu rali, disegno generale, calligrafia, igiene, canto corale, edu cazione fisica. b) Cultura professionale: 1) Teoria (tecnologia) che comprende: nomenclatura e ter minologia, igiene particolare, tecnologia, tecnica e pro cessi di lavorazione, merceologia, cenni alla storia e svi luppo della propria arte, elementi di scienze applicate. 2) Di segno professionale (con indirizzo tecnico, artistico o di esecuzione, secondo i mestieri). 3) Pratica che comprende: esercitazioni didattiche progressive e pratica del lavoro. Nell’estate del 1938, anche il Capitolo Generale dedicò particolare attenzione alla “parte professionale” delle case salesiane122. Ce ne occuperemo nel paragrafo seguente. Basti dire qui che gli interventi dell’assemblea legislativa salesiana si collocavano in un contesto particolarmente sensibile all’argomento. Infatti, pochi mesi dopo, gli ACS testimoniavano i “voti vibranti di congressi nazionali e di altre manifestazioni tendenti a promuovere il perfezionamento e l’estensione dell’insegnamento professionale”. E il consigliere professionale generale invitava i salesiani a prendere a cuore “questo problema che rappresenta pure una delle principali attività della nostra Società e che ha un’importanza notevole ovunque e in qualunque tempo”123. Molti salesiani non ebbero, però, la possibilità di accogliere l’invito. Tra essi, i numerosi giovani confratelli chiamati alle armi già l’anno 1939. Lo scoppio della seconda guerra mondiale chiudeva un periodo di “congiuntura favorevole”, in cui le scuole professionali salesiane avevano raggiunto significativi traguardi. 3. Fedeltà alle origini e impegno di adattamento alle richieste dei tempi: le “vere caratteristiche” delle scuole professionali salesiane Gli impulsi al “miglioramento” e “perfezionamento”, tanto in “circostanze calamitose” come in “congiunture favorevoli”, sono stati guidati dall’attenzione 121 ASC E237, Considerazioni. 122 ACS, 19(1939)91, 30-32. 123 ACS, 20(1940)100, 111. 58 vigile alle esperienze originarie di Valdocco. Nel 1910 don Bertello aveva già sintetizzato le due istanze in una espressione felice: “Con i tempi e con Don Bosco”. Nella decade seguente, don Ricaldone, mentre sollecitava gli ispettori e direttori a tener molto presenti i mutamenti socio-culturali, li invitava a non abbandonare i solchi della tradizione: “In questo momento – scriveva nel 1913 – in cui il problema delle Scuole Professionali, in tutte la varie gradazioni e forme, occupa e preoccupa l’attenzione dei governi di parecchie nobili nazioni, è bene che richiamiamo alla mente le vere caratteristiche delle nostre scuole onde assimilare a noi quanto possa renderle sempre più stimate e perfette nel loro genere senza essere però tentati di svisarle menomamente dalla geniale loro essenza nata dal cuore del Ven. Don Bosco”124. 3.1. “Vere scuole” per la formazione dell’operaio: buon cristiano, onesto cittadino, abile nell’arte Con lo sguardo alle origini, veniva spesso ribadito che, nella prospettiva di don Bosco, lo scopo essenziale delle case di artigiani era quello di essere, anzitutto, “vere scuole” per formare “l’operaio, buon cristiano come buon cittadino, abile nell’arte sua e quindi capace di procacciarsi onestamente la vita”. Di conseguenza, gli auspicati “miglioramenti” da attuare nelle scuole professionali dovevano avere un punto di partenza: privilegiare “la parte educativa e religiosa dei nostri allievi”125. Le scuole salesiane di arti e mestieri erano descritte ancora come istituzioni chiamate a formare “non il capo-tecnico, né il perito industriale, ma l’operaio”126. Sarebbe precisamente questo il carattere originario e originale dell’opera voluta da don Bosco: “Scuole professionali per operai”127. Questa affermazione di don Ricaldone, espressa in una circolare collettiva del Capitolo Superiore del 1913, intendeva far chiarezza nel contesto dei diversi tipi di istituti promossi dai Paesi industrializzati: scuole di grado superiore (per la formazione di “veri professionisti, capi tecnici, periti industriali”); scuole di grado medio (per la formazione di “capi-squadra, capi-operai”); scuole di grado inferiore (per la formazione di “operai riconosciuti come tali”). Nell’insieme delle varie realizzazioni, le “nostre Scuole Professionali – precisava il documento collettivo del Consiglio Generale salesiano –, col tirocinio di cinque anni fatto regolarmente, costituiscono un tipo medio tra le Scuole di operai e quelle dei Capi-operai. Esse, a seconda dell’ingegno e dell’applicazione, possono portare gli allievi, sempre al grado di abili operai, e, quasi generalmente, li rendono atti a divenire capi-operai: come viene confermato dalla quotidiana esperienza delle nostre Case di Artigiani”. 124 CM, (24.11.1913). 125 CM, (24.11.1913); CM, (24.05.1913). 126 CM, (24.11.1913). 127 CM, (24.09.1916). 59 Allo stesso tempo che si segnalava, poi, un rischio reale, vi si invitava a perfe - zio nare e mettere in atto il genuino programma salesiano: “il miraggio di più alti scopi tecnici o artistici delle nostre Scuole Professionali non ci distolga da quello che è la nostra forma caratteristica in questo ramo. Aumentiamo i mestieri o adattiamoli viepiù alle necessità dell’ambiente in cui sono le Scuole, perfezioniamole, corrediamole con migliore materiale didattico, ma conserviamone il tipo genuino perché esso risponde pienamente e allo spirito del nostro istituto e alla necessità dei tempi”128. Con schietta apertura a nuovi ambiti e valori, nelle circolari collettive del Capitolo Superiore si ricorda più volte “che oggi all’operaio, all’agricoltore non basta più la soda formazione religiosa e tecnica, ma gli è indispensabile la formazione sociale”. Pertanto, “la scuola di sociologia” deve essere “fatta con criteri di somma praticità agli alunni degli ultimi corsi: siano ben istruiti circa i principi socialicristiani che formano il fondamento di tutta l’azione stessa; conoscere l’esistenza, il funzionamento dei Sindacati e gli organi regionali e locali che li rappresentano; sappiano della cooperazione, mutualità, assicurazioni, buona stampa ecc. Per mezzo di conferenze tenute da buoni propagandisti si mettano a contatto coi più sani elementi della ragione, si preparino insomma alla vita pratica, e in modo che gli alunni all’uscire dall’Istituto sappiano con sicurezza ove dirigere i loro passi”129. La messa in pratica, però, non sempre rispondeva alla proposta ideale. “Sovente accade – riconosce don Ricaldone nel 1915 – che facendosi visitare i nostri laboratori ad esterni, questi invece di riportare l’impressione di Laboratori-Scuole, cioè di laboratori principalmente destinati all’insegnamento progressivo delle arti mestieri, ne riportino l’impressione di laboratori comuni ossia di semplice produzione, più o meno ordinati, con qualche insegnamento più o meno accudito; quindi avviene che il dubbio celato di un certo sfruttamento dell’opera dei nostri artigianelli s’insinui nell’animo di questi visitatori producendo conseguenze esiziali e ingiuste”130. Più tardi, negli ACS del 1927, si segnalavano difetti analoghi da superare, ribadendo: “I nostri Ospizi ed i nostri laboratori [...] siano vere Scuole di Arti e Mestieri e, quindi, debbono avere i caratteri di una Scuola, con maestri, programmi, corsi distinti e graduati con lezioni di teoria ed esercizi pratici corrispondenti, secondo i distinti mestieri, le arti e la agricoltura, il che forma il fine del tirocinio”131. In conseguenza, si metteva in evidenza la necessità di “Organizzare i nostri laboratori di modo che siano «Vere Scuole di arti e mestieri» come dicono le Regole, e quindi abbiano orario completo di Tirocinio o Lavoro, scuola di Teoria professionale, e le scuole di disegno e di cultura generale. Per questo aiutano non solo i Programmi nostri ed i testi con tutte le nostre tradizioni di metodo, di esami, voti, premii, ecc.”132. 128 CM, (24.09.1916). 129 CM, (24.11.1919). 130 CM, (24.11.1915). 131 ACS, 8(1927)42, 639. 132 ASC E481, Scuole professionali. Lo scritto di Vespignani era probabilmente un documento preparatorio per il Capitolo Generale, 8(1927)42, 639. 60 Il tema fu ripreso autorevolmente nel già citato Capitolo Generale, organismo legislativo salesiano, del 1929. Il primo punto del documento capitolare recitava precisamente: “Le scuole professionali ed agricole siano vere scuole secondo lo spirito delle Costituzioni (art. 5) e le norme dei Regolamenti”133. Sulla scia dei suoi predecessori, e assumendo le deliberazioni dell’organismo legislativo salesiano, don Candela metteva lucidamente l’accento sulle conseguenze che la qualifica “vere scuole” comportava, per i salesiani, nella seconda metà degli anni ’30: “Per ottemperare ai postulati moderni di cultura generale e di cultura professionale teorico-pratica esistenti ormai in tutti i paesi civili per la formazione dell’artigiano e dell’artiere, le ore di esercitazioni didattiche e pratiche di lavoro nell’officina, hanno dovuto essere sensibilmente ridotte, benché noi, ligi al sistema pratico e sapiente lasciatoci dal nostro Fondatore, ne abbiamo conservata molto più di quanto prescrivono i programmi governativi d’Italia e dell’estero. In questo siamo favoriti anche dal fatto che le nostre Scuole artigiane, essendo tutte per convittori interni, dispongono di qualche ora di più nell’orario della giornata” 134. La proposta degli istituti professionali come “vere scuole” non rimase limitata nell’ambito della cerchia salesiana. L’ing. Luigi Palma, riferendosi alle iniziative portate avanti dalle ACLI (Associazione Cristiana Lavoratori Italiani), dichiarava nel 1946: “Ispiriamo la nostra opera ad un grande Santo moderno, un pioniere del - l’istruzione professionale, San Giovanni Bosco, ed invochiamolo come il Patrono delle nostre iniziative. Esse avranno una caratteristica inconfondibile, perché ben sappiamo che ogni corso prima ancora di soddisfare con assoluta serietà le esigenze tecniche formative, deve assumere il carattere di Scuola, scuola per la vita, nella sua intiera concezione, che per noi cattolici prima ancora di essere vita della materia è vita dello spirito”135. 3.2. “Istituti di beneficenza”: per l’educazione di apprendisti poveri La circolare collettiva del Capitolo Superiore firmata il 24 luglio 1918, presentava come “carattere essenziale” delle scuole professionali salesiane la “beneficenza fatta coll’accogliere ed educare giovanetti bisognosi ed abbandonati”. D’altra parte, vi si avvertiva che, in questo settore, la possibilità di “deviamenti” non era solo ipotetica. Per questo motivo, don Ricaldone – a nome dei membri del Consiglio Generale –, dovette “mettere sull’avviso qualche Casa che, sbigottita forse dalle difficoltà del momento, sembra propensa a ridurre e persino cambiare affatto il suo programma, trasformandosi gradatamente da Ospizio o Istituto Professionale e Agricolo in Convitto o Collegio con pensione fissa”136. 133 ACS, 10(1929)50, 808. 134 ASC E237, Considerazioni riservate. 135 PALMA L., L’istruzione professionale, Roma, A.C.L.I., 1946, 31. 136 CM, (24.07.1918). 61 Allo scopo di evitare i pericoli accennati, si invitava – negli ACS del 1920 – a verificare se “gl’Istituti nostri sorti con precisa fisionomia di beneficenza ne conservino l’indirizzo e i lineamenti caratteristici”137. Al rischio di “deviamenti” si accennò pure in occasione del Capitolo Generale del 1922. Un “gruppo di Confratelli anziani” invitava i capitolari a riflettere su un fatto reale: “girando intorno lo sguardo pei nostri internati vediamo ridotto a minime proporzioni l’assistenza ai giovani, specialmente più poveri”. I componenti del gruppo si domandano inoltre se “non sarebbe utile fare un po’ di esame su questo punto di massima importanza per non esporci al pericolo di deviare dal nostro scopo principale”138. La prospettiva “benefica” fu sottolineata a più riprese. L’art. 5 delle Costituzioni della Società Salesiana, nella revisione del 1923, recitava: “i laboratori non abbiano scopo di lucro, ma siano vere scuole di arti e mestieri. Tuttavia si faccia modo che gli alunni lavorino e che i laboratori producano quel tanto che è compatibile con la loro condizione di scuola”. Negli ACS del 1927 si rammentava: le scuole professionali salesiane “si chiamano anche Asili ed Ospizi”, per il semplice motivo che esse sono generalmente destinate, secondo il desiderio di don Bosco e le Costituzioni, a “raccogliere giovanetti abbandonati”. Perciò bisogna fare il possibile perché esse “non perdano la preziosa caratteristica della Carità benefica”139. Nel 1929, i membri del Capitolo Generale dichiararono precisamente che un tratto “essenziale” delle “vere scuole” professionali salesiane era quello di “conservare il carattere di beneficenza”. Nel documento capitolare finale furono aggiunte, però, talune precisazioni condivise dalla maggioranza dell’assemblea: “siccome nei nostri Ospizi si ammettono pure i figli della borghesia operaia, che possono e debbono pagare secondo la loro condizione; così prevale l’idea fra i Capitolari che anche nei programmi degli Ospizi convenga fissare una modica retta o pensione”. Il Rettor Maggiore, don Rinaldi, a questo punto, sentì il bisogno di ribadire: “dobbiamo avere ospizi dove si esercita specialmente la beneficenza salesiana, almeno uno per ogni Ispettoria”. Nelle “nostre Scuole professionali ed Agricole – insisteva ancora una volta don Rinaldi – ci sia sempre il posto per il poverello! Stiamo alle origini, più che possiamo; togliendo la beneficenza ne scapita il concetto e la stima del nome salesiano!”140. 3.3. Scuole rispondenti alle moderne “esigenze del tempo” e del “luogo” L’accoglienza privilegiata di ragazzi poveri nelle case di artigiani non doveva comportare, però, un ridimensionamento degli obiettivi, dei programmi, dei mezzi educativi o tecnici più aggiornati. Anzi, mentre infuriava la prima guerra mondiale, nelle circolari collettive del Consiglio Generale si informava su “recenti iniziative”, 137 ACS, 1(1920)4, 105. 138 ASC D5940, Studi e proposte al Capitolo Generale 1922. 139 ACS, 8(1927)42, 638. 140 ACS, 10(1929)50, 809. 62 come quella di “un nostro istituto” che, mosso dalle “necessità del lavoro moderno e dal desiderio di acquistare sempre maggior prestigio, decise la fondazione delle nuove scuole di Elettricità e di Meccanica [per la formazione di] onesti meccanici, installatori elettricisti, conduttori-meccanici di automobili e macchine similari”141. Allo stesso tempo che “vivamente approva” quel progetto, il Consiglio Generale si augura che “nuove Scuole Professionali” siano presto una bella realtà, e fa “voti che l’esempio riferito abbia a trovare imitatori”. I responsabili della Congregazione, nel 1919, apprendono ugualmente con “viva soddisfazione” che in qualche “istituto – per rispondere a particolari esigenze locali o per conformarsi a speciali indirizzi adottati riguardo all’insegnamento professionale – si sono aperte Scuole professionali per esterni”142, che potevano meglio rispondere ai bisogni del luogo143. Non si trattava di una proposta inedita. Già nel 1912, nelle adunanze degli ispettori provinciali salesiani dell’Europa, era stata posta la questione: se non fosse “il caso di aprire laboratori e formare operai secondo i bisogni delle regioni”. I convenuti trovarono un punto d’accordo: “Si eviti di sviluppare molto quei laboratori che non danno lavoro, come sarebbero i legatori e pare ormai anche i calzolai; noi non vogliamo l’industrialismo e tanto meno creare spostati”144. L’attenzione al territorio e all’esigenza di nuovi laboratori richiesti dall’industria divenne sempre più presente nei documenti salesiani145. E vi si manifestò sempre più chiara la necessità di preparare i giovani artigiani ad un consapevole inserimento nel mondo del lavoro. Nel 1919 i superiori di Torino davano questo orientamento: “Nostra preoccupazione, dopo la formazione dei nostri giovani operai e agricoltori, è certamente l’avviamento loro per le vie migliori, più sicure, meglio presidiate. È noto lo svilupparsi quasi febbrile, tanto nel campo cristiano quanto in altri, purtroppo ben diversi di associazioni intente ad accogliere e riunire sotto la propria bandiera le falangi proletarie. Noi non dobbiamo fare della politica, ma possiamo e dobbiamo fare ai nostri artigiani degli ultimi corsi un po’ di sociologia cristiana, cioè far loro conoscere le differenze caratteristiche fra le varie correnti sociali che si contendono i laboratori e, se occorre, assisterli, facilitar loro l’iscrizione alle confederazioni o leghe cristiane quando usciranno dall’istituto”146. L’accoglienza senza riserve delle “giuste esigenze moderne delle scuole professionali” non voleva significare, d’altra parte, trascurare gli elementi caratteristici che nella pratica salesiana antica si erano dimostrati efficaci. 141 CM, 24.02.1917. Sul contesto in cui si inseriscono tali proposte e realizzazioni, cfr. Storia di Italia, vol.IV, Dall’Unità a oggi, 163-165. 142 CM, (24.03.1919). 143 Nel 1921 fu pubblicata una nuova edizione dei programmi: Arti metallurgiche. Fabbri- Ferrai. Meccanici Fonditori. Elettricisti. Programmi. Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1921. 144 ASC E171, Convegni Ispettori 1907-1915; cfr. RICALDONE P., Noi e la classe operaia. Bologna, Scuola Tipografica Salesiana, 1917. 145 ACS, 15(1934)67, 199-200. 146 CM, (24.02.1919). 63 Nel Capitolo Generale del 1929 – nel contesto delle nuove e variegate normative legali147 – furono esaminati i diversi aspetti della questione. L’assemblea dei capitolari approvò un articolato orientamento per l’azione: “Dovendo armonizzare (secondo le esigenze delle leggi nelle diverse nazioni) i nostri programmi con quello dello Stato, si cerchi di conservare, sia nella scuola di cultura come nella teoria e nel lavoro, il nostro metodo tradizionale e, per quanto è possibile, la sostanza dei nostri stessi programmi. Tuttavia si procuri di ottenere, se possibile, qualche riconoscimento ufficiale che faciliti ai nostri ex-allievi l’esercizio della loro professione”148. Il discorso dei bisogni del tempo e l’urgenza dei titoli ufficiali di studio si intrecciava necessariamente con quello della esigenza del personale capace di rispondere ai nuovi e delicati compiti. Nelle circolari collettive del Consiglio Generale si esplicitava sempre con più chiarezza il collegamento tra le due questioni: “Non v’ha certamente chi dubiti della grande attualità e dell’importanza eccezionale dell’opera delle nostre Scuole Professionali ed Agricole; ma se vogliamo ch’esse rispondano alle esigenze del nostro tempo, è veramente necessario che alle medesime vengano destinati elementi che siano in grado di preparare i nostri giovani operai, tanto dal lato morale quanto da quello tecnico e sociale, al grande apostolato di rigenerazione che dovranno compiere tra le masse operaie ed agricole uscendo dai nostri istituti. Similmente è necessario, a sua volta, che il personale destinato a tale missione ne comprenda l’elevatezza e si renda atto a compierla”149. 3.4. “Provviste di buon personale” In sintonia con una prospettiva ormai condivisa, i membri del Capitolo Generale del 1929, dopo aver formulato l’orientamento per l’azione, riportato sopra, indicavano una caratteristica “essenziale” delle scuole professionali salesiane: “essere provviste di buon personale”. L’affermazione del supremo organismo legislativo salesiano non intendeva descrivere una situazione reale, ma piuttosto proporre un impegnativo e necessario traguardo da raggiungere. Fin dai primi passi dei modesti laboratori di don Bosco, la “ristrettezza di personale” era stata segnalata come una delle cause principali che ostacolavano la fondazione di nuove case di artigiani o l’introduzione, in quelle già esistenti, di necessari “miglioramenti”150. Nelle prime decadi del secolo XX, il discorso presentava sfumature non irrilevanti: vi si allude alla necessità di “buon personale”, di “personale idoneo”, di “personale preparato”, cioè di maestri d’arte all’altezza del compito da svolgere in 147 Il “governo fascista dispose, tra il 1928 ed il 1929, il passaggio di tutte le scuole professionali dipendenti dal Ministero dell’Economia Nazionale alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione” (HAZON F., Storia della formazione tecnica, 86). 148 ACS, 10(1929)50, 812. 149 CM, (24.09.1919). 150 CM, (24.05.1913). 64 contesti socioculturali cambiati. Vi si accennava a iniziative modeste, ma non prive di significato, messe in atto per rispondere al bisogno segnalato. Nella casa del Martinetto (Torino), ad esempio, era stata istituita, nell’anno 1913, “una Scuola Perfezionata di Sartoria e di Calzoleria”, dove potevano essere indirizzati “sia i giovani confratelli bisognosi di perfezionamento, sia quei giovani che, avendo già terminato o quasi terminato il proprio tirocinio, siano desiderosi di un corso speciale o diano qualche segno di vocazione” per la vita di coadiutore salesiano151. L’informazione sul fatto era accompagnata dall’invito a percorrere la strada di una preparazione più rispondente alle nuove necessità degli operai e dell’industria. Pur riconoscendo i “notevoli progressi” nel campo della “formazione del personale”, si additavano mete e modalità più esigenti: “raccogliere in speciali Istituti destinati ai singoli rami del ferro, legno, libro, abito ecc.”, i “giovani confratelli coadiutori”, o salesiani laici, “onde fornire loro una formazione tecnica, artistica e pedagogica sempre più accurata”. Per rami speciali, come la “meccanica, elettromeccanica ecc.”, si considerava assolutamente necessario “iniziare alcuni confratelli nei corsi Superiori di Meccanica e d’Ingegneria Industriale”. Solamente così si sarebbe potuto avere alla direzione delle case salesiane “un personale della cui competenza non sia possibile dubitare”152. Nelle riunioni del Consiglio Generale, fu discussa e approvata, nel 1914, la proposta di organizzare “laboratori specializzati” per la “formazione tecnica-morale- pedagogica” dei “futuri capi”, responsabili delle scuole di arti e mestieri153. Gli ispettori salesiani erano invitati a comunicare puntualmente ai superiori di Torino i confratelli delle loro ispettorie iscritti a compiere “studi superiori o universitari di Agraria, Ingegneria, Meccanica ed Elettro-tecnica, Disegno, Scienze economiche e sociali”. La strada da proseguire era ancora lunga. Nel primo numero degli ACS (iniziati nel 1920) si esaminò di nuovo il tema dei confratelli da “destinare a Corsi Professionali ed Agricoli Superiori”, ritenendo necessario insistere sull’argomento, perché, si ribadiva, “il progresso delle nostre Scuole Agricole e Professionali dipende in massima parte dal personale ben preparato sia dal lato religioso che da quello tecnico”154. L’intervento pubblicato nel 1921 negli ACS si presentava più articolato e completo. Vale la pena fare la trascrizione dei paragrafi più rilevanti: “Il grande movimento scolastico professionale che in ogni paese si è sviluppato da un trentennio in qua, se ha allargato assai il campo dell’Insegnamento Professionale, creando molte e diverse gradazioni di scuole e di programmi, ha però dimostrato in un modo irrefutabile che, anche all’operaio, non basta più la pratica manuale fatta in un labora- 151 CM, (24.06.1913); cfr. BRAIDO P., Vocazione del coadiutore salesiano all’apostolato caritativo, pastorale ed educativo, Roma, PAS, 1964. 152 CM, (24.05.1914). 153 D 870, Verbali del Capitolo Superiore (9.01.1914). 154 ACS, 1(1920)1, 16. 65 torio, ma ch’egli ha bisogno di una certa cultura, sia riguardo alle materie prime, come alla tecnica, al macchinario, al calcolo, al disegno professionale e alle scienze aventi rapporti coll’arte propria. Ora la scuola, anche operaia, consiste esattamente nel fornire agli allievi questa cultura, e nella esecuzione di esercizi didattici e progressivi. Naturalmente a far ciò occorre un personale idoneo, ed è per questa ragione che tante volte si è insistito sulla necessità che ha ogni Casa ed ogni Ispettoria di prepararselo. Se questo personale non si è venuto formando tra i nostri Confratelli, sarà necessario supplire con personale esterno”155. Riguardo a quest’ultimo punto, il nuovo Programma, che vide la luce nello stesso anno 1921, precisava: “Se poi dovremo ricorre ad esterni, diamo la preferenza ad ex-allievi nostri che, avendo conservati buoni principi e fatto pratica per alcuni anni in officine esterne, diano serio affidamento d’intelligenza e di capacità”156. Tuttavia, l’attenzione continuò a centrarsi sull’urgenza della preparazione del personale salesiano. Anzitutto dei salesiani laici, futuri “capi d’arte”, in un biennio di perfezionamento dopo il noviziato, che comportava: educazione religiosa e morale, preparazione pedagogica salesiana, formazione culturale e artistica, perfezionamento tecnico, insegnamento di quanto concerne l’amministrazione. A questo proposito, fu ben accolta l’idea di don Rinaldi, di fare di San Benigno Canavese un “istituto internazionale” per la formazione dei salesiani laici, sulla stregua del noto e ben attrezzato studentato teologico della Crocetta di Torino per la formazione teologica dei salesiani sacerdoti. Nel 1928, gli ACS informavano che il desiderio del Rettor Maggiore si stava “felicemente attuando”157. Pochi mesi dopo, i membri del Capitolo Generale del 1929, concluso l’esame del tema della formazione di “personale adatto”, approvarono quest’ordine del giorno: ogni ispettoria deve “organizzare una Casa di perfezionamento per i giovani Coadiutori”, o salesiani laici; e deve impegnarsi nella ricerca dei mezzi “per formare Chierici e Sacerdoti abili e preparati per dirigere scuole professionali ed agricole, onde avere poi Direttori, Prefetti e Consiglieri competenti”158. La frequenza di istituti superiori presentava una nuova urgenza, anche per la necessità, già accennata, di munirsi dei titoli legali richiesti ormai nei diversi Paesi. In questa prospettiva si collocavano “le vive e reiterate raccomandazioni” di don Rinaldi agli ispettori perché avviassero “tutti gli anni qualche giovane confratello virtuoso e intelligente ai corsi superiori o all’Università per il conseguimento di titoli riconosciuti dai governi”159. Forte dell’autorità del successore di don Bosco, don Candela inviava, nel 1936, una lettera circolare ai singoli responsabili delle ispettorie: “le nostre Scuole hanno assoluto bisogno di essere provvedute di personale idoneo e riconosciuto le- 155 ACS, 2(1921)1, 125. 156 Programma del 1921, 94; cfr. anche ASC E481, Scuole professionali. 157 ACS, 9(1928)45, 680. 158 ACS, 10(1929)50, 81; cfr. ASC E481, Scuole professionali. 159 ASC E237, Considerazioni riservate. 66 galmente. [...] Questa necessità, già avvertita più volte dal nostro venerato Rettor Maggiore, va ognor più accentuandosi e ci troveremo presto nell’alternativa dolorosa: o di procurarci personale idoneo o di chiudere le Scuole. Debbo quindi pregarla di voler disporre, sino dal corrente anno, che almeno un confratello avente maturità liceale o d’Istituto, sia iscritto alla Facoltà universitaria d’ingegneria industriale ed un altro alla Facoltà di scienze agrarie”. Conoscendo antiche riserve e prevedendo eventuali obiezioni, il consigliere professionale generale completava con determinazione le sue riflessioni: “Taluno potrebbe obiettare che Don Bosco, ai suoi tempi, nelle sue case ed ospizi artigiani e nelle sue colonie agricole, ebbe in vista la formazione di modesti operai ed agricoltori e non di capi tecnici od agronomi. È facile la risposta: costui dimentica l’enorme progresso dato d’ora in poi nel campo industriale ed in quello agricolo; il vivo interessamento di tutti i governi per tale insegnamento (ch’è alla base della prosperità materiale delle nazioni) e quindi la necessità assoluta di adattarci, se non vogliamo scomparire”160. Nel Capitolo Generale del 1938 fu discusso e approvato il Regolamento per il Corso di Perfezionamento dei Coadiutori. Un fatto che doveva avere una ripercussione positiva nella soluzione del problema del personale. Gli sforzi mirati all’attuazione delle normative, però, si scontrarono, pochi mesi dopo, con le tragiche vicende della seconda guerra mondiale. La chiamata alle armi di numerosi giovani salesiani costituì un nuovo ostacolo sulla strada che si voleva percorrere. Per venire incontro alle situazioni precarie, nel 1942 i superiori di Torino si limitarono a offrire una indicazione generale: “Riservandosi di dare, appena possibile, norme precise per le case più lontane, si è stabilito che, in Italia, le case approvate per il biennio di perfezionamento dei Coadiutori sono le seguenti [...]: Per i Coadiutori artigiani: Istituto Conti Rebaudengo (Torino), Istituto Bernardi Semeria (colle Don Bosco), Casa di San Benigno Canavese”161. 4. Entro ed oltre le “tragiche vicende” della guerra Nei primi mesi della guerra, gli ACS ritornano sui temi affrontati nelle pagine precedenti, sottolineando che il “perfezionamento e l’estensione dell’insegnamento professionale” presentava, nei nuovi scenari, maggior attualità ed urgenza, anche in prospettiva di futuro: “Come ognuno vede – si legge in una pagina del 1940 –, se vogliamo rispondere ad una necessità dei tempi in cui viviamo, attendiamo con sapiente antiveggenza allo sviluppo delle nostre scuole professionali ed agrarie esistenti, e prevediamo per quelle che potranno sorgere; ma soprattutto impieghiamo i mezzi possibili per formarci un personale salesiano veramente idoneo”162. 160 ASC E273, Considerazioni riservate, 161 ACS, 22(1942)112. 162 ACS, 20(1940)101, 112; ACS, 21(1941)108, 157. 67 Molto presto, però, il Rettor Maggiore dovette manifestare la sua profonda preoccupazione: “L’umile nostra Congregazione non si è mai trovata in più tragiche vicende”. L’“ora presente” si mostra con “caratteri di crescente gravità e sempre più densa d’incognite” [...]. “Assistiamo col cuore straziato al rovinio di centinaia di case, al crollo di opere ch’erano costate immensi sacrifici, alla dispersione ed anche alla morte di tanti e tanti confratelli travolti nell’immane bufera”163. Nonostante le “disastrose catastrofi materiali e morali” provocate dal conflitto bellico, don Ricaldone alludeva con ammirazione agli ispettori e ai direttori delle case che, superando gravi difficoltà, “lavorano alacremente per il bene degli operai”, mediante l’organizzazione delle Conferenze di San Vincenzo e “anche con scuole diurne, serali, domenicali, o con speciali corsi d’istruzione catechistica”164. Accanto a questi motivi di speranza e ai frequenti richiami alla fiducia nella Provvidenza e nell’aiuto della Madonna Ausiliatrice, il quarto successore di don Bosco deplorava la “inaudita violenza del conflitto”: in “poche ore chiese, santuari, edifizi civili, istituti di educazione e di beneficenza, ospedali sono ridotti a cumuli informi di macerie”165. Nonostante le “poche” e “scheletriche” notizie che dai diversi Paesi in guerra giungevano a Torino, don Ricaldone sapeva bene, anche per conoscenza diretta, che tra quegli “istituti di educazione e di beneficenza” da lui evocati, si trovavano non poche opere salesiane. Infatti, nei mesi di novembre e dicembre del 1945, poco dopo la cessazione delle ostilità, i direttori di dodici delle più importanti scuole professionali italiane (Torino-Valdocco, Bologna, Milano, La Spezia, Genova-Sampierdarena, Ravenna, San Benigno Canavese, Firenze, Novara, Palermo, Venezia, Verona) dichiaravano (dietro richiesta del consigliere professionale generale, don Antonio Candela) di aver avuto “danni gravi” o “molto gravi” negli edifici o nei macchinari dei laboratori a causa dei bombardamenti, degli incendi e/o delle occupazioni militari. Don Antonio Toigo, direttore di Torino-Valdocco, scriveva testualmente: “furono distrutti: dormitorio con arredamento completo”; il laboratorio di elettromeccanica “distrutto dagl’incendi e gravi danni ai macchinari e alle merci”. Secondo lo stesso don Toigo, “al valore attuale della moneta” [dicembre 1945] i danni ascenderebbero alla cifra approssimativa di L. 34.500.000. E situazioni analoghe presentavano le restanti opere menzionate. Invece, in quattro istituti professionali salesiani (Aquila, Roma-Pio XI, Cata - nia, Udine) non si dovettero lamentare “danni per causa della guerra”. Nell’insieme, le sedici scuole professionali che fornirono a don Candela i dati richiesti ospitavano, nel 1945, un totale di 1.828 allievi artigiani. Di questi, 350 erano “gratuiti” e 384 “semigratuiti”. Alcune precisazioni (non richieste) sono significative: il direttore della casa di Ravenna scrive che i giovani artigiani ricove- 163 ACS, 20(1940)999, 98. 164 ACS, 23(1943)115, 217 e 219. 165 ACS, 23(1943)118, 268. 68 rati sono 30, “lavorano in locali di fortuna”, tutti gratuiti; precisa poi che nell’anteguerra i ricoverati erano 130. Il direttore di Milano dichiara, da parte sua, che gli allievi artigiani sono 170 ma, prima dello scoppio della guerra, 210166. Scuole professionali salesiane italiane nel 1945 SCUOLA PROFESS. ALLIEVI GRATUITI SEMIGRATUITI PENSIONE MEDIA MENS. ARTIGIANI INTERNI ESTERNI Aquila 45 5 25 L. 1200 Bologna 52 11 – L. 1500 Catania 182 19 – L. 800 Firenze 30 25 – L. 500 Genova-Sampierdarena 221 80 – L. 900 La Spezia 32 4 – L. 1200 Milano 170 4 22 L. 1600 Novara 71 5 – L. 1700 Palermo 127 50 – L. 800 Ravenna 30 30 – – Roma Pio XI 310 79 105 L. 1200 San Benigno Canavese 212 25 – L. 1200 Torino-Oratorio 450 30 150 L. 800 L. 500 Udine 61 – – – Venezia 126 5 121 L. 38 Verona 225 29 41 L. 1600 TOTALE 1.828 401 454 Fonte: ASC E484, Scuole professionali Nel mese di maggio del 1944, don Ricaldone, rispondendo a quanti si dicevano “ansiosi di notizie”, affermava: “purtroppo ne giungono poche, scheletriche, con favolosi ritardi anche a me”. E, prima di stilare quelle righe, il Rettor Maggiore informava: non pochi sacerdoti, chierici e salesiani laici, “sono caduti compiendo il loro dovere sui campi di battaglia”. Malgrado queste e altre perdite di personale, le statistiche compilate anni dopo il termine della guerra e quelle elaborate sulla base del Catalogo salesiano, non fanno emergere una sensibile diminuzione nel numero di scuole professionali salesiane nel periodo 1939-1945. Numero di scuole professionali (art.) e agricole (agr.) salesiane (1910-1945) ANNO 1910 1920 1930 1940 1945 art. agr. art. agr. art. agr. art. agr. art. agr. Europa 29 6 34 13 54 18 71 28 89 33 Asia 2 – 3 – 7 – 16 – 27 7 Australia – – – 4 3 – – 6 3 America 38 9 43 11 50 20 62 24 69 38 TOTALE 69 15 80 24 114 41 149 52 191 81 Fonte: Scuole salesiane del lavoro, ISAG, 1950 166 ASC E484, Scuole professionali. 69 Un discorso differente andrebbe fatto, invece, riguardo alla “qualità” dei medesimi istituti, nella prospettiva delle ribadite “vere caratteristiche”. Dall’insieme delle informazioni raccolte in questa ultima parte del saggio – benché non molte né complete – si deve concludere, ovviamente, che le gravi vicende della seconda guerra mondiale hanno avuto pesanti conseguenze sulle scuole professionali salesiane italiane, in particolare per quanto si riferisce ai laboratori, alle attrezzature, al regolare svolgimento del programma teorico-pratico e al personale. D’altra parte, sembra legittimo supporre che si possa allargare la conclusione formulata ad altri Paesi europei. Salvo, in ogni caso, possibili eccezioni. Il “Bollettino Salesiano”, nel mese di febbraio del 1942, informava che la scuola professionale di Caen (Francia) aveva cominciato a “far posto ad una cinquantina di artigiani”; e nel mese di agosto del 1943, sull’allargamento delle scuole professionali di Lisboa (Portogallo). 5. Sintesi e considerazioni conclusive Le forti riserve e i vivi contrasti nei confronti delle “scuole tecniche” – forse, più precisamente, di un certo tipo di “scuole tecniche”, discusso anche fuori della cerchia salesiana – offrirono l’occasione, nelle due prime decadi del secolo XX, per assumere e approfondire le ragioni della scelta professionale salesiana, dando luogo a fruttuosi incontri con altre prospettive e realizzazioni nell’ambito della formazione dei giovani operai. La valutazione delle luci e ombre della terza mostra professionale del 1910; la pubblicazione, nel 1912, dei giudizi degli esperti sui materiali esposti in essa; le informazioni giunte a Valdocco sulla situazione reale delle scuole professionali esistenti si trovarono all’origine di un nuovo rilancio delle medesime, e di un “miglioramento” avvertito già nel 1913. Nelle “tremende vicende” della prima guerra mondiale, gli interventi autorevoli del Consiglio Generale salesiano, giunti, pur con difficoltà, ai diversi Paesi in conflitto, contribuirono ad avvivare la consapevolezza dell’importanza delle scuole professionali nella futura opera di “ricostruzione”. In consonanza con il coevo sviluppo dell’industria dei “rami del ferro”, si comincia a dedicare nuova attenzione ai laboratori di meccanica e di elettricità. Va rilevata, a questo proposito, l’opera dei tre consiglieri professionali generali: don Ricaldone, don Vespignani, don Candela. Deposte le armi e superato il travagliato periodo postbellico, le scuole professionali salesiane ebbero un sensibile incremento numerico. Nel 1920 erano 80; nel 1930, 114. Lo sviluppo delle medesime nei diversi ambiti continuò nella “congiuntura favorevole” della decade seguente. Negli anni trenta del secolo XX i progressi della tecnica e le applicazioni nella scuola non erano così rilevanti da compromettere seriamente la strutturazione delle tipografie e degli altri labo ratori salesiani: meccanica, elettromeccanica, sartoria, legatoria, calzoleria, falegnameria, ebani - 70 steria. D’altra parte, non era troppo oneroso, con il sostegno delle sovvenzioni private e pubbliche, costruire scuole, acquistare e rinnovare macchinari. “In America Latina, in Italia in Spagna e altrove si moltiplicavano le richieste di scuole professionali e agricole. Si guardava fiduciosi all’avvenire”167. Nel 1940 le scuole professionali raggiungevano la cifra di 149. Al di là delle cifre e delle realizzazioni, è da rilevare la prospettiva sempre più condivisa: fedeltà alle origini e impegno di adattamento alle richieste dei tempi. Andò maturando una larga coincidenza sulle “vere caratteristiche” delle scuole professionali salesiane: “vere scuole” per la formazione dell’operaio: buon cristiano, onesto cittadino e abile nell’arte; istituti di beneficenza: per l’educazione di apprendisti poveri; centri educativi rispondenti alle moderne esigenze del tempo e del luogo; scuole provviste di buon personale. La strada percorsa rimase interrotta, in molti tratti, dalla “inaudita violenza del conflitto”. Nel mese di maggio del 1945, il Rettor Maggiore, don Ricaldone, riprendendo il tema delle scuole professionali, stimolava i salesiani a continuare il cammino: “È dovere nostro iniziare la nuova epoca”; e ribadiva poco dopo: “accingiamoci volonterosi alla ricostruzione”168. La risposta all’invito del Rettor Maggiore costituisce, però, un altro capitolo della storia della Formazione Professionale salesiana. 167 STELLA P., Coadiutori salesiani (1854-1974). Appunti per un profilo storico socio-professionale, in “Atti Convegno Mondiale Salesiano Coadiutore”, 31 agosto-7 settembre1975, Roma, Esse- Gi-Esse 1976, 83. 168 ACS, 25(1945)129, 377. 71 LABORATORIO TIPOGRAFI - VALDOCCO (ASC) 72 LABORATORIO TIPOGRAFI - VALDOCCO (ASC) 73 LABORATORIO LEGATORI - VALDOCCO (ASC) 74 LABORATORIO TIPOGRAFI - ROMA PIO XI 1930ca LABORATORIO CALZOLAI - GENOVA SAMPIERDARENA 1937 75 LABORATORI - TORINO REBAUDENGO 1936 LABORATORIO SARTI - UDINE 76 ELETTRONICI, MECCANICI, LEGATORI - TORINO ANNI ’40 77 Capitolo 4 Dalla “ricostruzione” postbellica al primo centenario dei laboratori di don Bosco (1946-1953) Il racconto del buio periodo della guerra, riepilogato nelle pagine antecedenti, si è chiuso con le parole incoraggianti di don Pietro Ricaldone, scritte nel 1945, poche settimane dopo la fine del burrascoso conflitto: “accingiamoci volonterosi alla ricostruzione”. La risposta dei salesiani a quel pressante invito del quarto successore di don Bosco costituisce un nuovo “capitolo della storia della Formazione Professionale salesiana”, che si completerà con le manifestazioni celebrative del primo centenario della fondazione dei laboratori creati da don Bosco a Valdocco nel 1853. 1. Ripresa di un percorso bloccato dalla “inaudita violenza del conflitto” Il primo ostacolo incontrato sulla strada della “ricostruzione” che auspicava il Rettor Maggiore salesiano era stato già più volte avvertito nelle tappe percorse precedentemente: la scarsità di personale e, in modo speciale, di personale preparato. Tale ostacolo, dopo le tragiche vicende belliche, presentava, logicamente, maggiore gravità. Don Antonio Candela, dopo sei anni di “rifugiato” a Parigi, capitale del suo Paese, accennò all’argomento del personale nella “prima comunicazione” pubblicata negli “Atti del Capitolo Superiore” del 1946: “Dopo l’immane flagello della guerra che tante rovine ha seminato dappertutto – scriveva il consigliere professionale generale – è facile prevedere che le richieste di fondazioni di istituti per orfani e ragazzi poveri, saranno sempre più numerose. Parecchie di queste richieste, specie per le Scuole Professionali, sono già pervenute a Torino in questi ultimi mesi”169. D’altro canto, nelle case di artigiani già esistenti, mancavano spesso capi e vicecapi laboratorio con adeguata qualificazione professionale. A causa delle “rovine” e “difficoltà della guerra”, solo pochi ispettori salesiani erano riusciti ad attuare la deliberazione del Capitolo Generale del 1938, cioè, quella di destinare una casa al “perfezionamento” dei coadiutori usciti dal noviziato170. 169 ACS, 26(1945)133, 14. 170 ACS, 26(1946)138, 59. 78 Don Candela, in piena sintonia con le vedute di don Pietro Ricaldone, ribadiva a tale proposito: “Adoperiamoci dunque con tutti i mezzi possibili per risolvere praticamente questo problema capitale, e far sì che, se non in ogni Ispettoria, almeno in ogni nazione vi siano queste due opere: “Aspirantato” per Coadiutori e “Corso di perfezionamento” per i Confratelli uscenti dal Noviziato”171. Le proposte formulate comportavano, tra l’altro, l’elaborazione di mezzi scolastici: manuali e sussidi didattici adeguati. Nella primavera del 1949 uscirono dalla Scuola Tipografica di Colle don Bosco i programmi del Corso Superiore, sezione artigiani, destinati precisamente alle case di perfezionamento. Il contenuto della prima parte del fascicolo è composto dai programmi di cultura generale, comune a tutte le specializzazioni (religione, lingua nazionale, matematica, lingua straniera, storia generale, geografia civile e biologica, scienze, pedagogia salesiana, materie sociali, educazione fisica e igiene); la seconda, dei programmi riguardanti le materie specifiche, che si dovevano svolgere durante un triennio nei vari mestieri o reparti: “meccanici, elettricisti, falegnami e mobiliari, scultori in legno e disegnatori, compositori tipografi, macchinisti tipografi, rilegatori e doratori, foto-incisori, sarti tagliatori, calzolai tagliatori e modellisti”. In appendice, erano riportati orientamenti e istruzioni sull’attuazione dei programmi stessi, norme sulla durata dell’anno scolastico-professionale e orientamenti didattici o “ricordi per il maestro d’arte”172. Dopo aver presentato l’articolazione e i contenuti del volume, il consigliere professionale concludeva: “Si desidera vivamente che questi programmi vengano, poco a poco, attuati nelle Case di perfezionamento”. E aggiungeva una precisazione di particolare rilevanza. Al riferirsi ai diversi contesti geografici e culturali in cui lavoravano i salesiani, si suggeriva una indicazione di indiscutibile valenza pedagogica: i programmi dovevano essere messi in atto, “adattandoli naturalmente, per l’estero, alle condizioni ed esigenze scolastiche locali”173. Richiamandosi poi all’esempio di don Bosco, il consigliere professionale rammentava il dovere di ogni membro della Famiglia Salesiana di cooperare al maggior incremento e formazione delle vocazioni, specialmente dei coadiutori o salesiani laici. Ricordava pure che negli anni della beatificazione del fondatore della Congregazione la “media di aumento annuale fu di 126 confratelli”. A stimolo delle altre ispettorie o circoscrizioni salesiane, segnalava la Colombia, che nell’anno 2945 “contava 21 ascritti coadiutori su 40 novizi”174. La situazione si prospettava assai diversa nei Paesi europei. Tuttavia, e nonostante la scarsità di personale, le scuole professionali e i semplici laboratori salesiani avevano ripreso, sovente con straordinaria vivacità, il cammino interrotto. 171 ACS, 26(1946)138, 60. 172 ACS, 29(1949)152, 13; Corso superiore triennale. Sezione artigiani. Programmi 1949, Torino, Direzione Generale Scuole Professionali Salesiane Opera Don Bosco, (1949). 173 ACS, 29(1949)152, 13-14; cfr. ACS, 29(1949)154, 7. 174 ACS, 26(1945)133, 14. 79 A questo proposito, è assai eloquente la lettera che, il 22 dicembre del 1946, don Paolo Puglisi, direttore della casa di Palermo, inviava ai superiori di Torino. Il salesiano siciliano segnalava le “gravi lacune” esistenti “nei riguardi del personale”, ma asseriva allo stesso tempo: “I laboratori sono ristretti ma fiorentissimi: 152 allievi, di cui 35 sarti, 38 falegnami, 36 tipografi, 24 calzolai, 12 legatori e 11 meccanici”175. Il Rettor Maggiore, da parte sua, dava risalto a molti aspetti e dati positivi, pur senza omettere espliciti e chiari accenni alle situazioni e difficoltà reali. Nella circolare sulla formazione del personale del mese di marzo-aprile del 1946, don Ricaldone dedicava un paragrafo ottimista all’argomento della qualificazione dei giovani operai: “Le nostre Scuole professionali e agrarie – scriveva – si vanno perfezionando e moltiplicando ogni giorno più. Esse, mentre rispondono a un grande bisogno sociale e contribuiscono in modo efficace alla pratica soluzione di uno dei più gravi problemi che assillano l’umanità, attirano anche sulle Opere nostre la benedizione delle autorità e le simpatie dei buoni. Ma – rimarcava, allo stesso tempo, il quarto successore di don Bosco – se vogliamo che queste scuole rispondano sempre meglio al loro scopo, è assolutamente necessario che, oltre ad essere convenientemente aggiornate riguardo ai programmi e debitamente attrezzate in quanto al materiale, siano anche dotate di buon personale”176. 2. Un “Organo di Collegamento e di Informazione” professionale Il Sedicesimo Capitolo Generale diede, nel 1947, un nuovo impulso alla ripre - sa incominciata. Una delle commissioni dell’assemblea generale salesiana si oc - cu pò direttamente del tema: “Coadiutori e scuole professionali”. Tra le proposte approvate all’unanimità, merita di essere messa in risalto quella della pubblicazione di una “rivista dipendente dal Consigliere professionale”, in cui si dovevano trattare “argomenti professionali e agricoli, con norme, suggerimenti e direttive utili a tutti”. Nell’estate dell’anno seguente, 1948, era spedito alle case il primo numero de “Il Salesiano Coadiutore. Organo di Collegamento e di Informazione”177. La nuova pubblicazione periodica si proponeva un programma di notevole portata: “Senza precludere il campo della tecnica, nel quale sarà lieto di fare utili e svariate incursioni, ogni qualvolta gli stessi nostri tecnici gliene daranno, con la loro collaborazione adatta, l’occasione e la possibilità, «Il Salesiano Coadiutore» si sforzerà di presentare ai lettori, articoli brevi, ma sostanziali, di carattere morale, religioso, pedagogico, sociale, pensati sempre e scritti sotto l’aspetto della missione che il 175 ASC E484, Scuole professionali. 176 ACS, 26(1946)134, 12. 177 “Il Salesiano Coadiutore. Organo di Collegamento e di Informazione”, 1(1948)1 (luglioagosto). Cessò la pubblicazione nei primi anni Sessanta. 80 Coadiutore svolge nelle nostre Scuole o in altre mansioni, secondo lo spirito del nostro Fondatore”178. D’accordo con gli orientamenti del menzionato Capitolo Generale del 1947, la rivista doveva contribuire anzitutto a dare una risposta al problema profondamente sentito di formare il personale esistente e a suscitare nuove vocazioni di salesiani laici da mettere a capo delle antiche e nuove scuole professionali. I membri del Capitolo Generale non rimasero, però, centrati isolatamente sulle iniziative e necessità interne alle proprie opere. Essi mostrarono una accentuata attenzione nei confronti dei bisogni urgenti di quelle nazioni in cui era passato “il flagello della guerra”. A questo scopo, furono prese misure concrete. Ne trascrivo una riguardante le attività di carattere benefico: “Ogni Ispettoria [...] inizi almeno un Istituto per orfani e per i giovani più bisognosi. Ove ciò non fosse ancora possibile, veda di accogliere un certo numero di orfani in qualcuno dei suoi Istituti. In ogni caso si procuri che, dopo le scuole elementari, tali giovani siano avviati a qualche mestiere in un nostro Istituto professionale o agricolo”179. Anche i responsabili de “Il Salesiano Coadiutore” cercarono, dal primo momento, di allargare lo sguardo a proposte e realizzazioni estere. Tra i contributi più significativi, si possono citare alcuni a modo di esempio: L’insegnamento tecnico e professionale nel Belgio180, L’insegnamento professionale in Olanda181, Una visita alla Svizzera Grafica182, La scuola professionale salesiana183. La sezione “Pagina sociale” si aprì a temi e questioni ugualmente di indubbio interesse: Intorno a un manifesto [quello di Marx]184, La Chiesa e la questione operaia185, Don Bosco e la questione operaia186. 3. Proposta di “riconoscimento ufficiale” Nel contesto di un laborioso, ma progressivo sviluppo delle scuole professionali salesiane, sbocciò il progetto di chiederne il riconoscimento ufficiale, da parte dello Stato. Nel 1948, Domenico Molfino – segretario generale delle scuole professionali e agricole –187, suggerì a don Antonio Candela l’idea di “perorare a Roma la causa delle scuole professionali”. In concreto, di compilare una esposizione da in- 178 Il nostro programma, in ibidem, 2; B. F.J., L’evoluzione delle nostre scuole di fabbri-meccanici negli ultimi 40 anni, in “Il Salesiano Coadiutore”, 1(1948)2, 19-20. 179 ACS, 28(1947)143, 19. 180 “Il Salesiano Coadiutore”, 2(1949)2, 26-28. 181 “Il Salesiano Coadiutore”, 2(1949)3, 43-45. 182 “Il Salesiano Coadiutore”, 2(1949)6, 89-92; 3(1950)1, 10-11. 183 “Il Salesiano Coadiutore”, 3(1950)4, 59-60. 184 “Il Salesiano Coadiutore”, 1(1948)2, 17-18. 185 Ibidem, 32-33. 186 “Il Salesiano Coadiutore”, 2(1949)4, 60-61. 187 PELLITTERI G.,Un amico dei coadiutori. Don Molfino,in “Il Salesiano Coadiutore”, 5(1052)4, 44. 81 dirizzare al ministro della Pubblica Istruzione e presentare le linee di organizzazione e i programmi scolastici e professionali, sollecitando “il riconoscimento ufficiale ai certificati di licenza rilasciati dai Salesiani alla fine di ogni corso; chiedeva, cioè, di equiparare tali licenze a quelle di corsi similari tecnici dello Stato: quindi di avviamento, per il nostro corso inferiore; di scuola tecnica, per il corso medio; di perito, per il corso superiore”188. Il consigliere professionale preferì lasciare le pratiche del “riconoscimento” nelle mani del professore salesiano don Vincenzo Sinistrero – esperto in politica scolastica – che si era occupato già e continuava ad occuparsi della questione. Nelle sue osservazioni al piano di Molfino, don Candela definiva “Quello che vogliamo si riduce essenzialmente a due cose: a) Riconoscimento dei nostri Programmi ed Orari. b) Valore legale ai nostri titoli d’esami. Questo – ribadiva il consigliere professionale e agricolo – don Sinistrero lo sa e vi si adopera”189. L’iniziativa del “riconoscimento ufficiale” si inseriva in un momento di cambiamento della politica ita liana, anche nell’ambito dell’insegnamento professionale. Il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica. Secondo l’art. 137, tra le materie su cui le Regioni hanno potere legislativo si fissa l’“istruzione professionale e assistenza scolastica”; mentre l’art. 35 stabilisce che “la Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”190. Con la Legge n. 456/1951 si autorizzava il ministro del lavoro a promuovere l’istituzione di centri di addestramento professionale per giovani apprendisti. Di questa facilita zione poterono godere alcune Opere salesiane della Sicilia, di Napoli e di Roma: “Si venivano così a realizzare in Italia due tipi di Opere Professionali: le Scuole Professionali Salesiane tradizionali della durata di cinque anni dopo la licenza elementare [...] e i cosiddetti Centri di Addestramento Professionale (C.A.P.). Con corsi della durata annuale o biennale o triennale secondo il tipo di qualifiche o di specializzazioni da conseguire, i quali godevano del contri buto del Ministero del Lavoro”191. Le scuole professionali “tradizionali” continuarono a funzionare come istituti privati sorretti dalla simpatia e dall’aiuto economico di persone e istituzioni. Fuori dall’Italia – Belgio, Spagna, Argentina – la situazione appariva più fa vorevole. È da sottolineare il caso dell’ultimo Paese latinoamericano citato. Nel 1948 la Universidad National de Tucumán incorporò a sé tutte le scuole salesiane di arti e mestieri con la qualifica di Universidad Salesiana Argentina del Trabajo. La motivazione 188 ASC E482, Scuole. 189 ASC E484, Scuole professionali. Il 3 novembre 1949, Molfino aveva insistito sulla necessità di “perorare la causa de la libertà della scuola”, intesa in questo senso: “approvazione in blocco dei nostri programmi, orati, personale e riconoscimento legale dei nostri diplomi” (Ibidem). 190 HAZON F., Storia della formazione tecnica, 106. Le “Regioni – salvo quelle a statuto speciale – furono istituite solo molti anni dopo ossia nel 1970” (Ibidem, 1007); BORDIGNON G., Scuola in Italia, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, 2008, 16-18. 191 La federazione CNOS/FAP: origini e proposte formative, in “Il CNOS/FAP nel 1987/88”, Roma, CNOS Centro Nazionale Opere Salesiane”, 1988, 24 (ciclostilato). 82 addotta nel Decreto era la seguente: “All’Istituzione Salesiana spetta il merito d’aver creato le prime Scuole di Arti e Mestieri nella nostra Repubblica, moltiplicandole in tutto il territorio della medesima, per la for mazione di migliaia di operai e di tecnici capaci, i quali hanno cooperato al nascere e allo svilupparsi dell’industria nella nostra Patria”192. 4. Verso il centenario dei primi laboratori fondati da don Bosco Intanto si avvicinavano alcune date ed eventi che non potevano non destare speciale interesse ed essere preparati con cura. Nel mese di settembre 1951, l’intero numero degli “Atti del Capitolo Superiore” era dedicato alla presentazione delle “feste giubilari salesiane 1953”. Gli eventi che il Consiglio Generale progettava di celebrare erano questi: 50° anniversario della Incoronazione dell’immagine di Maria Ausiliatrice, 60° di sacerdozio di don Ricaldone, centenario delle “Letture Cattoliche”, centenario delle scuole professionali di don Bosco. Un nutrito programma di celebrazioni contemplava: solennità religiose, esposizione generale delle attività salesiane nel mondo, mostra professionale, esposizione missionaria, convegni internazionali dei cooperatori e degli ex allievi, convegno pedagogico, “maggiolata giovanile” (con giuochi, gare, recite e canti). Come preparazione per una mostra professionale internazionale da organizzarsi a Torino nel mese di maggio del 1953, erano anche previste esposizioni o mostre delle scuole professionali nelle singole ispettorie o circoscrizioni salesiane. Ma, in seguito al doloroso avvenimento della morte del Rettor Maggiore – che ebbe luogo il 25 novembre 1951 –, i membri del Consiglio Generale presero la deliberazione di sospendere ogni preparativo per l’“esposizione salesiana generale”. Si decise, tuttavia, di continuare la raccolta di materiali per l’organizzazione di una “mostra professionale internazionale”. La rivista “Il Salesiano Coadiutore” apriva il numero del mese settembre-ottobre dell’anno 1951 con una specie di manifesto dal titolo indicativo: Il nostro centenario. Dopo qualche allusione ai “comitati speciali” sorti sotto la guida del prefetto generale, don Renato Ziggiotti, per “coordinare e potenziare idee, progetti, realizzazioni”, lo scritto chiudeva: “Con questo numero «Il Salesiano Coadiutore» incomincia anche a essere l’organo di informazione, di discussione e di propaganda della Mostra professionale e agricola 1953”193. Per l’allestimento di tale mostra e per l’esame dei problemi riguardanti le scuole professionali e agricole in generale, si decise inoltre di dar vita a un Centro Didattico sotto la dipendenza diretta del consigliere professionale generale. Un comitato coordinatore, formato presso lo stesso Centro Didattico, organizzò già 192 Scuole salesiane del lavoro. Scuole artigiane e agricole per interni ed esterni, Colle Don Bosco (Asti), ISAG-Istituto Salesiano Arti Grafiche, 1950, 19. 193 “Il Salesiano Coadiutore”, 4(1951)5, 1; cfr. Atti del Capitolo n. 166, Settembre 1951, 16. 83 nel menzionato anno 1951, a Torino-Valdocco, il primo convegno preparatorio, al quale parteciparono “150 Confratelli, capi e vice-capi” di tutte le scuole professionali d’Italia, sotto la presidenza di don Ziggiotti e don Candela. Nelle tre intense giornate del convegno furono esaminati i “più importanti temi-base” dell’insegnamento salesiano: “i profili professionali di ciascuna professione e i relativi programmi di insegnamento”194. Il convegno fu coronato con una mostra grafica al Colle Don Bosco. Altre “mostre professionali preparatorie” furono organizzate a Valdocco-Oratorio, a Torino-Istituto “Conti Rebaudengo”, a Cumiana, a Torino-Pontificio Ateneo Salesiano. Il tema di quest’ultima mostra presentava particolare attualità: “L’Orientamento professionale”195. Lungo la strada della preparazione dell’esposizione professionale internazionale – denominata anche “mostra centenaria” – sorsero presto degli ostacoli non irrilevanti. Nella riunione del 13 ottobre 1952, i membri del Consiglio Generale salesiano, dopo aver individuato i problemi e le difficoltà di maggior rilievo, presero alcune decisioni: “L’Esposizione pel Centenario, in progetto pel 1953, e qui nel - l’Oratorio, non potrà effettuarsi. Si fisserà la data quando sia costruito l’edificio che doveva contenerla, e pel quale si attendono indennizzi del Governo; le varie ispettorie potranno allestire la propria esposizione pel 1953 e si avrà il materiale per l’esposizione generale di Torino”196. Due mesi più tardi, don Antonio Candela comunicava ufficialmente negli “Atti del Capitolo Superiore” che i recenti “avvenimenti or tristi or lieti” hanno impedito l’attuazione “del programma delle Feste Giubilari Salesiane 1953”. Pertanto, il nuovo Rettor Maggiore, don Renato Ziggiotti, d’accordo con il suo Consiglio, ha stabilito “che la Mostra Centenaria Salesiana delle Scuole Professionali e Agricole si tenga qui in Torino nel 1954”. Come preparazione a tale “Mostra Centenaria” – ricordava il consigliere professionale – è stato deciso che si tenga “in ogni Ispettoria una Mostra generale, colla cooperazione di tutte le Scuole Professionali e Agricole della medesima”197. Quest’ultima decisione dei superiori di Torino non rimase inascoltata. Anzi, negli “Atti del Capitolo Superiore” del mese di novembre-dicembre del 1953, si trova un nutrito elenco delle mostre professionali preparatorie e dei convegni tenuti negli anni 1951-1953198. La messa in atto del progetto del 1954 si presentò, invece, molto più problematica. 194 ACS, 32(1952)168, 11. Un “Supplemento al n. 2 - anno V (1952) de “Il Salesiano Coadiutore”, raccoglie la cronica e la documentazione del “Primo Convegno della Didattica professionale salesiana. Torino-Valdocco 28-29-30 dicembre 1951”. 195 Uno sguardo alle varie mostre professionali preparatorie, in “Il Salesiano Coadiutore”, 5(1952)2, 49-55. 196 ASC D876, Verbali del Capitolo Superiore (13.10.1952). 197 ACS, 33(1952)171, 25. 198 Cfr. anche “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)6, 221; Il centenario delle scuole professionali salesiane”, in “Popolo Nuovo”, (16.08.1952); I cento anni di attività delle “Professionali” salesiane, in “Gazzetta del Popolo”, (4.07.1952). 84 Nel “Secondo convegno della didattica professionale salesiana”, tenuto a Torino negli ultimi giorni dell’anno 1952, si parlò ancora una volta della “Mostra Centenaria Salesiana delle Scuole professionali”; e una delle relazioni svolte in quella occasione esaminò precisamente il tema della “Mostra Centenaria 1954”. Guglielmo Martinengo, salesiano laico, presentava così, nella sua relazione, i tratti caratteristici dell’esposizione: costituire un “riconoscente omaggio” ai predecessori, a cominciare da don Bosco; essere “una scuola di umiltà” – nel senso che essa potrà mettere in evidenza i valori e anche i limiti delle scuole salesiane –; e finalmente diventare una iniziativa alla cui realizzazione sono “chiamati tutti”. Riallacciandosi agli orientamenti e alle esperienze precedenti, Martinengo ne fece una sintesi, centrando l’attenzione sulle tre sezioni che la mostra avrebbe dovuto comprendere: a) Storico-statistica, b) Metodologica, c) Programmatica. Per venire incontro a “la gravezza, la vastità e la complessità dei problemi” relativi all’organizzazione di una esposizione professionale di carattere internazionale, si auspicava poi – nelle conclusioni del convegno – che “anche rappresentanti di Nazioni Estere per singole Nazioni o per Gruppi Nazionali”199 dovessero far parte della segreteria coordinatrice. Secondo le previsioni dello stesso relatore Martinengo, la “Mostra Internazionale” delle scuole professionali salesiane sarebbe entrata “nella fase realizzativa al principio dell’anno 1954”200. Stando, però, ai documenti oggi fruibili, si deve concludere che la “mostra centenaria” non giunse alla realizzazione201. L’ultimo cenno al tema lo troviamo negli “Atti del Capitolo Superiore” del mese di novembre-dicembre 1953. L’intervento è del consigliere professionale: “In vista della Mostra Generale che vorremmo allestire a Torino, è urgente che si mandino al Centro i dati e i documenti”202. La “gravezza, la vastità e la complessità dei problemi” organizzativi possono spiegare, in parte, il ridimensionamento del progetto abbozzato. I menzionati “avvenimenti tristi” e altri fattori di carattere economico, come i lamentati ritardi degli “indennizzi del Governo”, hanno potuto avere ugualmente un peso non irrilevante. 5. Sguardo a una ricca e articolata realtà internazionale: mostre e convegni La mancata realizzazione della “Mostra Centenaria” a Torino nel 1954 non rese, tuttavia, prive di valore e d’interesse le numerose mostre preparatorie realizzate e le iniziative attuate nel triennio 1951-1953. Anzi, il semplice elenco delle 199 Quarta relazione: Mostra centenaria 1954, in “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)2, 99-102. 200 “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)2, 101; cfr. ACS, 34(1953)177, 11. 201 Non si trova alcuna notizia al riguardo negli ACS del 1954 e neppure nella rivista “Il salesiano Coadiutore” del 1954. 202 ACS, 34(1953)177, 11. Don Candela precisa poi che si tratta di dati e di documenti degli ACS (1952). 85 medesime è assai eloquente203. Basti fare qui alcune considerazioni al riguardo, e trascrivere qualche testimonianza, a mo’ di esempio. La più volte menzionata rivista “Il Salesiano Coadiutore” costituisce, a tale proposito, un autorevole “organo di informazione” e fonte di documentazione, anche di carattere iconografico. Nelle pagine precedenti sono già emersi aspetti rilevanti e identificati dati da tener presenti sulle realizzazioni messe in opera a Valdocco e in altre case salesiane italiane. Mi limiterò ora a fare una sintetica rassegna delle mostre e dei convegni più importanti realizzati fuori d’Italia; un semplice sguardo a una ricca e articolata realtà internazionale. – Prima esposizione professionale in Aleppo (Siria). Allestita nel mese di giugno 1951. Comprendeva diversi reparti: falegnami-ebanisti, meccanici, arti grafiche, arti dell’abbigliamento e della calzatura. Un giornale locale, parlando del - l’esposizione, uscì in queste frasi: «La scuola professionale “Giorgio Salem” è la migliore scuola dello Stato Siriano»; ed una ispettrice musulmana, inviata appositamente dal Governo, dopo aver visitato la scuola disse al Sig. Direttore: «Veramente voi siete all’avanguardia; non esiste in tutta la Siria una scuola professionale attrezzata didatticamente come la vostra»”204. – Mostra professionale salesiana in Egitto. Inaugurata nel mese di maggio 1952 al Cairo. Il Dott. Hassan Merai, sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione, lasciò scritto nel libro delle visite: “Ho constatato la perfezione tecnica dei lavori eseguiti e il buon gusto estetico della loro presentazione. Ciò prova la competenza degli insegnanti, meritevoli del massimo elogio. Non rimane che augurare all’Istitu - to un continuo sviluppo, il quale è sicuro, grazie alle alte qualità dei suoi dirigenti”. Il settimanale “Cronaca ed Oriente” concludeva così il primo dei tre articoli consacrati alla mostra: “l’opera svolta in Egitto dalla Scuola Professionale Don Bosco è largamente apprezzata dalle autorità competenti, che si rendono conto dell’importante contributo da esse dato al potenziamento economico della nazione, dotandolo ogni anno di circa 300 elementi perfettamente preparati tecnicamente e moralmente, di cui 120 almeno sono egiziani”205. 203 Convegni: Colle Don Bosco (1951), Torino-Valdocco (1951), Colle Don Bosco, Torino- Valdocco, Rebaudengo e Bivio de Cumiana (1952), Rossins-Francia (1952), San Isidro-Argentina (1953), Hong- Kong-China (1953), Cuenca-Yanunkay-Equatore (1953), Messina (1953), Estoril-Portogallo (1953); mostre: Colle Don Bosco (1951), Aleppo-Siria (1951), Colle Don Bosco, Torino-Oratorio, Rebaudengo e Bivio de Cumiana (1952), Bologna (1952), Venezia (1952),Verona (1952), Cairo-Egitto (1952), Tokyo- Giappone (1952), Madrid-Atocha (1952), Verviers-Belgio (1952), Woluwe-Belgio e Congo Belga (1952), Catania (1953), Napoli-Tarsia (1953), Ravenna (1953), Mandalay-Birmania (1953), Cairo-Egitto (1953), Sarrià-Barcelona-Spagna (1953), Madrid (1953), Siviglia-Spagna (1953), Aleppo-Siria (1953), Betlemme (1953), Lima-Perù (1953), San Paolo-Brasile (1953), Parigi (1953), Yanuncay-Equatore (1953); cfr. Mostre e convegni professionali nell’anno centenario delle Scuole professionali salesiane, in “Atti del Capitolo Superiore”, 34(1953)17, 12; cfr. anche “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)6, 221. 204 “Il Salesiano Coadiutore”, 5(1952)1, 15. 205 “BS”, 77(1953)19. 86 – Mostra professionale salesiana a Betlemme. Inaugurata il 22 giugno 1952 dal ministro dell’Istruzione. I lavori esposti erano opera degli apprendisti delle diverse arti che abbracciavano le scuole: fabbri, meccanici, elettromeccanici, falegnami, sarti, calzolai, tipografi, legatori. Il pastore protestante di Betlemme, Elias Shahade, consegnò questo giudizio: “Ho visitato questa Esposizione professionale dei Salesiani di Betlemme e fui oltremodo contento delle cose ivi esposte. Esse dimostrano esattezza e perfezione del lavoro e indicano come è bello il detto del Apostolo: «È Religione pura e santa quella che accoglie le vedove e gli orfani nella loro strettezza...»”206. – Mostra professionale salesiana nel Giappone. Allestita nel mese di dicembre del 1952, nella scuola “Don Bosco” della città di Tokyo, un istituto sviluppatosi nel dopoguerra, che accoglieva, nel 1953, 700 allievi207. Parteciparono all’esposizione altre due scuole salesiane di arti e mestieri giapponesi: gli ospizi di Kokubunji e di Nakatsu. Accanto ai prodotti dell’arte del libro e del legno, destarono speciale interesse nei visitanti i lavori del laboratorio di elettromecanica”. – Mostra Professionale Nazionale a Madrid. Organizzata il mese di ottobre 1953. Ebbe come sede il “Palacio de Cristal del Retiro” madrileno. Inaugurata dal Rettor Maggiore e presieduta dalla sposa del Capo dello Stato, donna Carmen Polo di Franco, accompagnata dal ministro dell’Industria e del Commercio e dal Presidente del Consiglio di Stato. Parteciparono alla medesima 26 scuole di arti e mestieri della Penisola Iberica208. – Mostra didattico-professionale a Parigi. L’inaugurazione ebbe luogo il 17 novembre 1953, alla presenza del Presidente del Consiglio, M. Laniel, accompagnato dai ministri dell’Industria e del Commercio. La mostra “mirava in modo speciale a mettere sotto gli occhi dei visitatori i principi direttivi e i risultati della formazione tecnica e pratica che ricevono i giovani artigiani, nelle Scuole Salesiane del Lavoro”209. In occasione della mostra, si tenne pure una giornata di studio sulla “Scuola professionale salesiana e sua organizzazione” e sulla “Formazione professionale dei giovani artigiani”. – Mostre e congressi professionali in America Latina. La Mostra didattico-professionale- agricola argentina fu organizzata a Bahía Blanca. Fu inaugurata il 14 novembre 1953. Concorsero tutte le scuole professionali e agricole argentine. Nel congresso per le vocazioni dei coadiutori, tenuto a Santiago del Cile, dal 13 al 16 novembre 1952, fu studiato il programma salesiano per il corso di perfe- 206 “Il Salesiano Coadiutore”, 5(1952)1, 15. 207 “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)4, 172. 208 “Il Salesiano Coadiutore”, 7(1954)1, 16-17; cfr. ACS, 34(1953)177, 11. 209 “Il Salesiano Coadiutore”, 7(1954)1, 14; cfr. anche ACS, 34(1953)177, 11. 87 zionamento e anche i programmi governativi. Tra i “numerosi” convegni per coadiutori, uno dei più riusciti fu quello celebrato nel mese di gennaio 1953 a San Isidro (Argentina), nel quale furono sviluppati questi temi: Didattica professionale salesiana, Scuola di apprendistato e di orientamento professionale, Funzionamento e programmi del corso professionale210. In linea di continuità con quanto affermava don Bertello nel 1910 (“Coi tempi e con Don Bosco”), una delle conclusioni del convegno recitava: “Si formino alle professioni gli alunni con tutti i ritrovati moderni, e tra l’altro con libri specializzati di teoria, con bacheche tecniche ben preparate, biblioteche tecniche per ogni mestiere, archivio e museo dei materiali, laboratorio tecnologico, filmine tecniche e didattiche”211. – Convegno professionale in Cina. Organizzato a Hong-Kong nel mese di marzo 1953. Vi parteciparono i salesiani coadiutori delle case di Hong-Kong e Macao. Lo studio e la discussione dei partecipanti si svolsero attorno a tre temi: Il coadiutore salesiano, realizzazione geniale di don Bosco; Il problema delle vocazioni tra gli allievi artigiani; La didattica del lavoro secondo il metodo salesiano. – Accanto alle mostre e ai congressi o convegni accennati, l’elenco delle opere salesiane fondate nell’anno 1953 completa il quadro del centenario: scuola professionale per interni a Halle e a Marmite (Belgio), scuola tecnica a Assel-Appeldoorn (Olanda), scuola professionali per esterni a Pamplona (Spagna), istituto per la formazione dei salesiani coadiutori a Santa Tecla (Centro-America), scuola tecnicoindustriale a Pasto Nariño (Colombia), scuola professionali per indigeni a Kigali (Ruanda-Africa), orfanotrofio con scuole professionali a Hanoi (Vietnam), scuole professionali a Manila (Filippine)212, scuola tecnico-professionale a Madrid e scuola professionale a Puertollano (Ciudad Real-Spagna)213. 6. Cifre, rilievi e prospettive Dalla rapida rassegna abbozzata emergono fatti e aspetti rilevanti. Anzitutto, nella prospettiva geografica. Nel 1853 don Bosco dava il via al primo laboratorio per apprendisti calzolai in una piccola stanza della sua istituzione benefica di Valdocco, nella periferia di Torino; cento anni dopo, le scuole professionali salesiane funzionavano in città e villaggi di: Europa, Americhe, Asia e Australia. 210 “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)3, 136-139; cfr. “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)2, 118. 211 “Il Salesiano Coadiutore”, 6(1953)3, 139. 212 Cfr. “Il Salesiano Coadiutore”, 7(1954)1, 20. 213 Cfr. ALBERDI R., La formación profesional en Barcelona, Barcelona, Ediciones Don Bosco, 1980. 88 Non si trattava di presenze isolate. Alla morte di don Bosco, nel 1888, si contavano “appena 14 di questi istituti, di cui 8 in Europa e 6 in America”214. Sessantacinque anni più tardi, nel 1953, al celebrarsi del primo centenario della fondazione, gli istituti salesiani dedicati ai giovani operai erano 84 in Europa e 68 in America. Scuole professionali e agricole salesiane 1954-1955 SCUOLE PROFESSIONALI SCUOLE/COLONIE AGRICOLE CASE ALLIEVI CASE ALLIEVI Italia 48 7.823 12 815 Europa 98 13.149 39 923 America 87 8.169 64 3.313 Asia e Australia 23 2.260 7 96 TOTALE 256 31.801 122 5.147 Tot. anno ant. 237 27.869 118 4.977 Fonte: ASC E493 Scuole professionali - Statistiche salesiane Le cifre trascritte sono eloquenti: documentano l’accoglienza favorevole trovata dalle scuole professionali e agricole salesiane in nuovi contesti geografici e culturali. Questi dati non ci consentono, tuttavia, di giungere a conclusioni rigorose e definitive. Le informazioni tratte dai giornali, le impressioni entusiastiche dei visitatori delle diverse mostre o dei partecipanti ai convegni di studio, e soprattutto le valutazioni delle autorità civili o religiose, offrono, però, nuovi elementi validi che illuminano il lungo camino percorso dalle scuole professionali salesiane nei primi cento anni di vita. Inoltre, sono da prendere in considerazione alcune testimonianze autorevoli, benché possano sembrare “di parte”. Dopo aver richiamato alcune delle “tante belle iniziative” ragguagliate dalla rivista “Il Salesiano Coadiutore”, il consigliere professionale generale don Candela si augurava, negli “Atti del Capitolo Superiore”, che dette realizzazioni diventassero stimolo per le ispettorie che dovevano “ancora celebrare l’importante data centenaria”215. E concludeva mettendone in particolar risalto la rilevanza: “Non v’è chi non si renda conto del bene che queste celebrazioni recano alle Case Professionali, attirando verso di esse tante simpatie di amici, benefattori, autorità, e come queste manifestazioni possano essere un mezzo eccellente per favorire le vocazioni tra i nostri cari Artigiani”. Nei documenti ufficiali della Società Salesiana e nelle lettere personali dei responsabili diretti del settore si accenna spesso alle richieste ricevute, sollecitando nuove fondazioni. Ma vi si accenna anche spesso alla difficoltà di dare una risposta positiva a causa della scarsità di personale; e, in tale contesto, si ribadisce il tema della cura dei coadiutori, salesiani laici, chiamati a lavorare nelle scuole professionali come assistenti, maestri o capi-laboratorio. 214 BONGIOVANNI M., Cento anni di scuole professionali nella recente storia della Chiesa, in “Il Coadiutore Salesiano”, 6(1953)3, 154. 215 ACS, 34(1953)177, 11. 89 La tabella seguente documenta un sensibile aumento delle case destinate ad accogliere giovani o adulti con attitudini e inclinazione alla vita salesiana. L’appello del consigliere professionale all’inizio del periodo considerato aveva trovato una risposta. Aspiranti artigiani nel 1954-1955 CASE ALLIEVI Italia 11 792 Europa 10 376 America 18 438 Asia e Australia 4 59 TOTALE 43 1.665 Fonti: ASC B513 Statistiche salesiane La cura delle vocazioni doveva comportare, in maniera particolare, una speciale attenzione verso quei giovani diventati ormai membri della Società Salesiana. Le Deliberazioni del Capitolo Generale del 1947 – già richiamate – erano, al riguardo, perentorie: “È prescritto per i Coadiutori, dopo la prima professione, un periodo di perfezionamento per completare la loro formazione religiosa e professionale”216. I passi dati nella direzione giusta erano importanti. Nel 1951, il coadiutore salesiano Giuseppe Pellitteri, capo-ufficio tecnico dell’Istituto Internazionale di Magistero Grafico del Colle don Bosco217, in un articolo dal titolo espressivo – “Con i tempi e con Don Bosco” – scriveva: “Nel 1953 le Scuole Salesiane del Lavoro celebreranno il loro primo secolo di vita. Un’esperienza secolare non è poca cosa; se poi si pensa che tale esperienza ha dovuto necessariamente adeguarsi man mano ai tempi e al divenire della tecnica delle varie professioni e agli orientamenti sociali del mondo del lavoro, ci si spiega il credito che in ogni nazione le Scuole Salesiane del lavoro ebbero ed hanno”218. Evocando le modeste esperienze iniziate a Valdocco e la lunga strada ormai percorsa, il maestro salesiano concludeva: “quanti passi in avanti! basta solo accennare all’imponente realizzazione del nostro Rettor Maggiore [don Ricaldone] che ha dato alla Congregazione gli Istituti Superiori di Magistero specializzati per la formazione del personale insegnante delle Scuole Salesiane del Lavoro”219. 216 Cfr. ACS, 34(1953)173, 16-17. 217 PELLITTERI G. (1920-1992). Nato a Partitico (Palermo). Svolse la sua attività a Colle Don Bosco, alla Poliglotta Vaticana, a Milano e Valdocco. Fu anche docente al Politecnico di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Didattica del lavoro: ergodidattica. Torino, SEI 1955; Espressività editoriale, 2 voll., Milano, A. Ghiorzo, 1992. 218 PELLITTERI G., Con i tempi e con Don Bosco, in “Il Salesiano Coadiutore”, 4(1951)5, 69-70. 219 Nella relazione letta nel primo convegno della didattica professionale salesiana, Pellitteri sottolineava ancora: “Don Ricaldone ha dato in tale settore un vigoroso impulso; si deve soprattutto a Lui se oggi può dirsi che la Congregazione ha finalmente i propri Istituto di Magistero professionale” (“Supplemento al n. 2”, 36). 90 L’autore si riferiva, tra gli altri, agli istituti “Conti Rebaudengo” (Corso di Magistero e Perfezionamento professionale) di Torino e “Bernardo Semeria” (Corso di Magistero e Perfezionamento professionale) del Colle Don Bosco (Castelnuovo Don Bosco-Asti)220. Mentre si celebravano poi i diversi eventi del centenario, il menzionato Giuseppe Pellitteri e Oscar Rossi – segretari, nel 1951, del “Primo convegno della didattica professionale salesiana” –, collocandosi nel più vasto orizzonte socio culturale coevo, ribadivano con vivacità l’esigenza di qualificazione nel campo della Formazione Professionale: “la modernità è condotta dal suo stesso dinamismo all’eliminazione di qualsivoglia attività a carattere empirico. I superficiali, i pressappochisti, i generici, le comparse, in una parola i non qualificati, sono destinati a scomparire. Difficilmente essi potrebbero trovare posto e base di vita in un mondo, che ogni giorno si supera attraverso la scoperta scientifica. Di qui – concludevano i due salesiani laici – la necessità che al lavoro, nei suoi molteplici campi ed aspetti, siano assegnati uomini didatticamente preparati e metodicamente sollecitati alle gravi responsabilità che ad ognuno saranno per derivare nell’esercizio delle singole professioni”221. 7. Sintesi e considerazioni conclusive L’opera di “ricostruzione” avviata nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale, non raggiunse tutti i traguardi sognati dal Rettor Maggiore, don Ricaldone, e dal suo Consiglio. Le numerose case salesiane europee distrutte dagli incendi o dai bombardamenti non sempre giunsero ad aprire di nuovo le loro porte ai giovani artigiani. In un nuovo contesto di sviluppo industriale, taluni laboratori tradizionali (calzolai, sarti, falegnami) cominciano a diminuire sensibilmente, anche nelle scuole di arti e mestieri salesiane. Ad ogni modo, lo sforzo realizzato fu apprezzabile. È da mettere in risalto, tra l’altro, l’accresciuto elenco di nuovi istituti professionali fondati in Asia nel periodo esaminato. L’apertura di nuovi tipi di laboratori tecnici comportava un notevole sforzo economico e di ricerca di personale altamente qualificato. La scarsità di personale continuò ad essere una delle questioni aperte. Ma, anche in questo ambito, i passi dati nella direzione giusta furono notevoli. Nel corso 1954-1955, la Società Salesiana contava 256 scuole professionali nel mondo con 31.801 allievi, e 43 case di formazione con 1.665 giovani aspiranti artigiani, che si preparavano a lavorare prevalentemente nelle scuole professionali. 220 Il corso di “Magistero Professionale” per giovani salesiani coadiutori era organizzato anche a San Benigno Canavese (Torino) e a Barcelona-Sarriá (Spagna): cfr. Elenco generale 1953, I, 41 e 325. 221 PELLITTERI G. - ROSSI O., Campo grafico, in “Homo Faber”, 4(1953)20, 3. 91 Tre iniziative maturate nel periodo postbellico spiccano in modo speciale: i corsi di perfezionamento professionale per giovani salesiani dopo il noviziato; gli istituti superiori creati per la formazione di maestri, assistenti di laboratorio e capi-ufficio; la pubblicazione della rivista “Il Salesiano Coadiutore”. Si tratta di iniziative che diedero un ragguardevole contributo alla formazione di coadiutori o salesiani laici qualificati nei diversi settori delle arti e dei mestieri. Un nutrito gruppo di coadiutori salesiani, formati nei corsi di perfezionamento o negli istituti superiori, diventarono attivi protagonisti nell’organizzazione delle mostre e dei congressi professionali che ebbero luogo nel triennio 1951-1953 in occasione delle celebrazioni del centenario dei laboratori fondati a Valdocco da don Bosco. Tra le realizzazioni degne di nota nel periodo postbellico, va sottolineata ancora la accresciuta attività editoriale destinata ai giovani apprendisti delle scuole professionali. Oltre le pubblicazioni già citate di G. Pellitteri e O. Rossi, trovarono buona accoglienza, in Italia, i sussidi e manuali scolastici di un altro salesiano laico, Pio Colombo (1883-1957): Manuale tecnico della rilegatura (1953), L’allievo rilegatore (1947), La legatura industriale, artigiana, artistica (1950). Nell’ambito culturale di lingua spagnola, ebbero ugualmente ampia diffusione i manuali pubblicati dai Talleres di Sarriá-Barcelona. Alcuni di essi furono elaborati da salesiani sacerdoti interessati ai problemi delle scuole di arti e mestieri, come il Manual del carpintero ebanista (1944, 1946) di don Felipe Alcántara (1888-1960). In sintesi essenziale, e in riferimento privilegiato al primo centenario della loro esistenza (1853-1953), si può ribadire che i “laboratori e le scuole professionali hanno consentito ai Salesiani di attuare in modo privilegiato la loro missione educativa giovanile e popolare, attirando le simpatie anche degli ambienti laici. Specialmente in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblica all’istruzione professionale, i labo ratori e le scuole tecnico-professionali salesiane hanno offerto a numerosi ra gazzi/e dei ceti meno agiati un mezzo di promozione sociale”222. 222 PRELLEZO J.M., “Dai laboratori di Valdocco”, 51; STELLA P., I coadiutori salesiani (1854- 1974). Appunti per un profilo storico socio-professionale, in Atti Convegno Mondiale del Salesiano Coadiutore, Roma, Esse-Gi-Esse, 1976; ALBERDI R., La formación profesional en Barcelona. Política. Pensamiento. Instituciones 1875-1923, Barcelona, Ediciones Don Bosco, 1980. 92 LABORATORIO MECCANICI - VALDOCCO (ASC) 93 LABORATORIO MECCANICI - VALDOCCO (ASC) 94 LABORATORIO ELETTROMECCANICI - VALDOCCO (ASC) 95 LABORATORIO GRAFICO - VERONA SAN ZENO ANNI ’60 97 Epilogo Realizzazioni, problemi e prospettive (1954-2010) Queste pagine finali non costituiscono un capitolo di “storia del presente” delle scuole professionali salesiane, bensì si limitano a evidenziare in sintesi alcune realizzazioni e prospettive. In altre parole: mirano ad esporre eventi e situazioni, mettendo in ordine dati e cifre per completare il panorama presentato nei capitoli precedenti. Tali pagine hanno lo scopo di svelare le linee generali dell’evoluzione della Formazione Professionale salesiana negli anni successivi al primo centenario dalla sua fondazione, ovvero dal 1954 ad oggi. Dopo un rapido ripasso dei fatti relativi alla “crisi” degli anni 60-70 del ventesimo secolo, l’attenzione si focalizza sull’esame della documentazione prodotta dalle persone e dagli organismi responsabili della promozione e del funzionamento delle Scuole Professionali salesiane, senza tralasciare, ovviamente, gli indispensabili riferimenti alle circostanze e alle situazioni che hanno favorito o ostacolato, in un modo o nell’altro, i processi di crescita e diffusione. 1. Le Opere salesiane in un momento di profondi cambiamenti culturali L’epoca della seconda metà del ventesimo secolo viene definita come un periodo di grandi cambiamenti. Tale diagnosi coincide perfettamente anche con il piccolo mondo delle Scuole Professionali e agricole salesiane, delle quali ci occupiamo223. 1.1. Eventi e circostanze Tra gli eventi più rilevanti si è soliti ricordare: il calo del numero dei membri della Società Salesiana – che scende da 19.690 nel 1972 a poco più di 17.000 nel 1976 –; la diminuzione delle vocazioni o l’abbandono della Congregazione da parte dei membri più giovani che porta al fenomeno dell’invecchiamento, in particolare tra i coadiutori (salesiani laici). La percentuale di questi ultimi, paragonata a quella dei sacerdoti membri, diminuisce progressivamente: dal 21% nel 1950 al 18,35% nel 1974224. 223 Cfr. STELLA P., I coadiutori, p. 85. 224 Cfr. RICCERI L., Relazione generale sullo stato della Congregazione, Roma, 1977, pp. 34-35. 98 Insieme a suddette condizioni e dati interni – che senza dubbio si possono osservare anche in altri istituti religiosi, antichi e moderni – si devono aggiungere condizioni e dati esterni, che hanno avuto un peso non indifferente nel mantenimento e nel processo di sviluppo delle Scuole Professionali salesiane. Tra questi vi rientrano: i grandi cambiamenti tecnologici avvenuti negli ultimi decenni del ventesimo secolo; le nuove leggi e i regolamenti scolastici applicati nelle diverse nazioni; il fenomeno palese dell’emigrazione dei giovani dal paese alla città e dalla campagna alla fabbrica; la considerazione e la stima di cui godevano tra le famiglie contadine e operaie di tale periodo, gli studi classici – “il liceo” – e superiori, come via privilegiata di ascesa sociale per i propri figli. Nel XIX Capitolo Generale salesiano del 1965, venne analizzato il tema della Formazione del giovane operaio all’interno della Società Salesiana, oggi, e si arrivò a mettere in speciale risalto le “esigenze del mondo attuale”, i “problemi di adattamento ai Paesi” e, di conseguenza, la necessità urgente di aprirsi a “nuove professioni”. I membri dell’assemblea salesiana erano coscienti di un importante fenomeno: “Le trasformazioni sempre più rapide e profonde con le quali la scienza e la tecnica cambiano continuamente i processi in tutti i settori – primario, secondario e terziario –, creano nuovi problemi che devono essere studiati con attenta cura”225. Situati in tali coordinate di riferimento, i Salesiani hanno riscontrato che “nel decennio 1952-1962 il numero delle opere professionali è rimasto sostanzialmente lo stesso; sono però sparite in alcune regioni le professioni tradizionali – sarti, calzolai, carpentieri –; gli alunni nelle scuole agrarie sono diminuiti notevolmente, tranne che in America Latina”226. Invece, il “numero globale di alunni è aumentato nel periodo 1951-1963 di un 13%; ciò denota – secondo i membri dello stesso Capitolo Generale – che molte opere sono state ampliate nel complesso attraverso la creazione di nuovi settori professionali, l’apertura di scuole tecniche complementari dei corsi di qualificazione del giovane operaio, o tramite la creazione di corsi diurni, serali o stagionali” 227. In realtà, si dovrebbe tener conto anche di altri aspetti o elementi chiarificatori, come ad esempio la situazione spagnola. In Spagna, infatti, durante la metà del ventesimo secolo il numero di opere professionali non restò “sempre lo stesso”; al contrario, aumentò in modo sorprendente. Si è già fatto riferimento – nel quarto capitolo – alle due scuole professionali fondate nel 1952 e alle tre che iniziarono ad essere attive dal 1953. A queste vanno aggiunte le 28 scuole inaugurate nel periodo che va tra il 1954 e il 1962. 225 Actas del XIX Capítulo General. 8 aprile-10 giugno 1965. Roma, Madrid-Atocha, E. G. Salesiana 1965, p. 137; “Atti del Consiglio Superiore della Società Salesiana” 47(1966) 118. 226 Actas del XIX Capítulo General, p. 139. 227 Actas del XIX Capítulo General, pp. 139-140; cfr. Convegno dei consiglieri e presidi delle scuole professionali salesiane d’Italia. Loreto, 2-4 novembre 1963 (ASC E494 Scuole professionali). 99 Molte di queste scuole – secondo l’Annuario salesiano del 2012 – funzionano ancora oggi normalmente. Tra le più antiche vi sono le Scuole Professionali di Salamanca (1956) e le Scuole Professionali Salesiane Santo Domingo Savio di Badalona- Barcellona (1956). L’elenco completo si trova in allegato al libro228. Da un altro punto di vista, l’esame della congiuntura storica – e dei cambiamenti sociali avvenuti in essa – portò i membri del Capitolo Generale del 1965 alla conclusione che era necessario “fare un nuovo esame delle professioni alle quali preparano le scuole e i corsi salesiani, tenendo presente le possibilità che offrono ai giovani, allo scopo di eliminare le professioni già superate e prepararsi a quelle nuove e più favorite nel mercato del lavoro”229. In linea con le successive deliberazioni capitolari, si tentarono nuove strade, aprendo o sviluppando laboratori in settori innovatori, come quello della radio-elettricità e dell’elettronica. Ma sorsero non poche difficoltà: in primo luogo, i problemi di carattere economico. Alle “scuole professionali e agricole salesiane, in quanto istituzioni private, risultava arduo entrare a far parte dell’ambito delle Fonte: ASC E493 Scuole professionali Scuole Professionali Salesiane 1956-1957 228 III. Escuelas profesionales y agrícolas salesianas en España (1884-1989). 229 Actas del XIX Capítulo General, p. 137. Fonte: ASC E4935 Scuole professionali Scuole Professionali Salesiane 1965-1966 100 scuole, ove queste erano mantenute dalle autorità pubbliche, e trovavano difficoltà nel mantenere il loro scopo di scuole destinate alle classi sociali più povere”230. La creazione e l’apertura di nuovi tipi di laboratorio – in grado di rispondere sempre meglio ai cambiamenti e allo sviluppo della società – esigeva un consistente sforzo di ricerca del personale con qualificazione tecnica altamente specializzato. Per questo, non sempre si riuscì a stare al passo con i tempi; anche se la collaborazione con istituzioni – pubbliche o private – con imprese e uomini impegnati in iniziative sociali o culturali, permisero ai Salesiani di dar vita a opere di grande importanza per la formazione dei futuri operai231. 1.2. Approccio alla situazione spagnola La situazione spagnola, presenta – come suggerito in precedenza – aspetti e toni peculiari. Gran parte delle Opere salesiane create nella seconda metà del ventesimo secolo hanno origine proprio nei fatti descritti. E si situano nell’ambito del nuovo interesse del Governo della Nazione per questo tipo di fondazioni, con l’obiettivo di rispondere alle sfide della progressiva industrializzazione. Il 20 luglio del 1955 viene pubblicato, nel Bollettino Officiale dello Stato, la legge della Formazione Professionale Industriale, che sostituisce e deroga lo Statuto del 1928, mantenendo però le linee generali dello stesso: il Preapprendistato (per fornire agli alunni le conoscenze e la pratica elementari), l’Apprendistato e la Specializzazione (rivolti alla formazione dell’ impiegato e del professionista del mestiere)232. Il legislatore spagnolo avverte, con maggiore chiarezza, che una delle questioni più urgenti che si è creata nel campo dell’educazione e dell’insegnamento – come conseguenza del progressivo sviluppo della legislazione sociale in ambito lavorativo – è quella che si riferisce alla Formazione Professionale. Nella Legge Generale dell’Educazione del 1970, si dedica spazio anche a questo tipo di insegnamento che ha come obiettivo “l’abilitazione degli alunni all’esercizio della professione scelta”. Abbandonata la classificazione apprendistaimpiegato- professionista, la struttura della Formazione Professionale appare organizzata in tre livelli: FP1, FP2 e FP3. “Nel complesso, il periodo che va dal 1950 al 1970 è un’epoca in cui la Formazione Professionale riceve attenzione da tutti i settori: politico, ecclesiastico, privato; e durante la quale il Ministero dell’Educazione Nazionale non è il principale protagonista”233. In questo contesto si distinguono alcune delle fondazioni salesiane più conosciute: Colegios de Huérfanos de Ferroviarios di Madrid (1954) e di Léon (1958), 230 STELLA P., I coadiutori, pp. 85-87. 231 ESPAÑA. CONSEJO TÉCNICO DE LAS UNIVERSIDADES LABORALES, Anteproyecto de plan inicial de las Universidades laborales para el curso 1956-1957, Madrid, 1956. 232 In spagnolo suddetti livelli vennero definiti come: “Preaprendizaje, Aprendizaje e Maestría”. 233 GÓMEZ F. - DE CASTRO R., La Formación Profesional en España, p. 349. 101 Escuela Profesional Salesiana Antonio Trueba Barquín di Santander (1956), Colegio Hogar Calvo Sotelo (1956), Universidad Laboral (del lavoro) di Siviglia (1957), Colegio Salesiano Nuestra Señora de la Piedad de Herrera de Pisuerga-Palencia (1959), Hogar San Rosendo di Celanova-Orense (1958), Ciudad Laboral Don Bosco di Pasajes-San Sebastián (1960), Colegio Provincial del Naranco di Oviedo (1961), Escuela Profesional Funndación Masaveu di Oviedo (1962)234, Scuole Professionali Salesiane Nueva Montaña Quijano-Santander (1962). Con evidente soddisfazione, il Bollettino Salesiano spagnolo informava nel numero di febbraio del 1961: “Le Scuole Salesiane di San José, Zamora, sono state convertite dal Governo spagnolo in Università e come tali funzioneranno da questo corso. L’Università del Lavoro di Zamora diviene così una delle grandi Istituzioni Sociali Salesiane, insieme all’Università del Lavoro di Siviglia, alle Escuelas Sindicales di Paloma, Madrid e alle due grandi Scuole Professionali di Sarriá e Deusto: tutti esempi dell’opera sociale salesiana a favore dell’operaio”235. Una pagina della rivista Rumbo Escolar offre, in sintesi, le principali tappe del cammino percorso da un’altra delle principali fondazioni del periodo menzionato: le Scuole Professionali Trueba Barquín. I suoi inizi furono molto semplici: in un’officina venivano impartite lezioni di aggiustaggio, tornitura e fresatura in due livelli: Preapprendistato e Impiego236. Durante l’anno scolastico 1996-1997, l’Opera di Santander offriva già un’“ampia offerta formativa”: Formazione Professionale di primo grado, meccanica e elettrica; cicli formativi di grado medio, attrezzature per istallazioni elettroniche; garanzia sociale, saldatura; formazione occupazionale. Dei progetti delle Scuole Professionali Trueba Barquín, si mette in risalto la loro miglior integrazione con le diverse sezioni del Collegio, in modo da offrire “una vera educazione di qualità che possa trasformare in realtà la volontà di Don Bosco: formare buoni cristiani e onesti cittadini”237. 234 Cfr. Allegato: Escuelas profesionales y agrícolas salesianas en España (1884-1990). 235 “Otra Universidad Laboral Salesiana”, in BSe 75(1961) 15. 236 In spagnolo: “Preaprendizaje” e “Oficialía”. 237 Rumbo Escolar Revista para la Comunidad Educativa de Cantabria Curso 97/98. Fonte: ASC E493 Statistiche salesiane Scuole Salesiane Professionali in Spagna 1965-1966 102 1.3. Alcuni ostacoli imprevisti Purtroppo non tutte le fondazioni riuscirono a consolidarsi come i Salesiani avevano desiderato. L’8 marzo 1969, l’ispettore provinciale salesiano di Bilbao, don Luis M. Puyadena, scrive da Pamplona: “In questa città l’opera salesiana ha una Scuola Professionale – che conferisce il diploma di perito meccanico –, proprietà della Ditta metallurgica IMENASA (Industrie Metalliche di Navarra). Funziona da più di quindici anni con lo scopo di formare giovani operai specializzati per l’industria. Ma la Ditta attualmente non ha bisogno dei servizi della Scuola e ha deciso di chiuderla. Pertanto, il prossimo anno gli alunni del corso che rimane, saranno assorbiti dalla nostra Scuola. Ci rincresce – conclude don L. Puyadena – che questa decisione impedisca una maggiore espansione della nostra attività apostolica- educativa”238. Due anni dopo, nel 1971, l’impresa Nueva Montaña Quijano, da parte sua, decide di chiudere la Scuola di Apprendisti di Santander, affidata nel 1962 ai Salesiani. Il Consiglio Provinciale della Ispettoria di Bilbao dichiarò che i figli di Don Bosco ritenevano “opportuno continuare in questo campo di attività apostolica” e pertanto richiedevano “l’indispensabile garanzia di continuità”. I membri della Direzione Generale di Nueva Montaña, tuttavia, riaffermarono il loro punto di vista, basandosi su ragioni di carattere economico-organizzativo239. Nella seconda metà degli anni sessanta – periodo della cosiddetta “transizione democratica”, dopo la morte di Franco – la collaborazione e la gestione condivisa delle Opere risultò, in generale, più difficile e, a volte, insostenibile. In certi casi, infatti, i programmi dei partiti o dei governi neoeletti non prevedevano, nel settore dell’insegnamento, la presenza di istituzioni religiose; in altri casi, forse anche più frequenti, i politici non accordavano ai Figli di Don Bosco l’autonomia necessaria per l’organizzazione delle scuole, ostacolando dunque lo svolgimento del (proprio) progetto educativo. Ma, in ogni caso, l’uscita dei Salesiani da alcuni centri professionali, non determinò l’abbandono o un minore impegno del lavoro tra i giovani più disagiati. Di fatto, durante gli anni ottanta vennero aperti sei nuovi centri professionali in altrettanti paesi o città spagnole: Madrid-Carabanchel (1980), Villamuriel de Cerrato-Palencia (1983), Aranjuez (1985), Burgos (1987), Logroño (1987) e Madrid-Puente de Vallecas (1989). Nel 1984, per il centenario dei Laboratori Salesiani di Sarríá – oggi, Instituto Politécnico Escuelas Profesionales Salesianas – il Boletín Salesiano spagnolo pubblicò un articolo significativo, dal quale estraggo un paragrafo rivelatore: “Sarríá è il primo seme lanciato dai salesiani. Un secolo dopo, si osserva la moltiplicazione 238 BASTARRICA J.L., Una obra social. Cincuenta años de presencia salesiana en Navarra, Madrid, Editorial CCS, 1978, p. 205. Parlando della “nostra Scuola”, don L. Puyadena si riferiva alle Scuole Professionali Salesiane, fondate nel 1926, alle quali si allude numerose volte nel corso del testo. 239 AS Nueva Montaña (Santander). 103 di quel seme in una gran fioritura di Scuole Professionali Salesiane disseminate per tutta la Spagna; ed è più significativo ancora il fatto che esistono già leggi che regolano la Formazione Professionale. Ma allora era ancora lontano il primo sforzo legislativo in questo campo: il modesto Statuto del 1928 e la prima legge sulla Formazione Professionale Industriale che non ci arrivò fino al 1965”240. Secondo le più recenti statistiche ufficiali della Società Salesiana, elaborate nel 2013 in occasione del XXVII Capitolo Generale, esistono in Spagna 176 istituti professionali, frequentati da 32.228 alunni. Per la loro istruzione, è di fondamentale importanza la collaborazione del personale laico. Negli anni passati, nel Capitolo Generale del 1996, era stato affrontato proprio tale argomento: Salesiani e laici: comunione e partecipazione nello spirito e nella missione di Don Bosco241. Il diagramma seguente offre ulteriori dati sulla situazione spagnola attuale. Comunque, oltre le date e le statistiche, è necessario soffermarci su alcuni elementi e fare delle considerazioni che ci possano avvicinare maggiormente alla realtà delle Scuole Professionali Salesiane. 2. Problemi e proposte di soluzione nei documenti salesiani più accreditati Nel clima speranzoso del Concilio Vaticano II, venne eletto il nuovo Rettore Maggiore della Società di San Francesco di Sales, don Luis Ricceri. Questi, in linea con i suoi predecessori e sensibile alle necessità del momento, già dal suo primo intervento come successore di don Bosco, mise in risalto l’importanza dell’Opera salesiana nel campo dell’istruzione professionale, considerata come “necessità imprescindibile” per la società civile e per la Chiesa242. 240 L’articolo del BS (febbraio 1984) venne pubblicato con il titolo: “Sarrià, cien años”, in Sarrià 101 retazos, p. 7. 241 Documenti del Capitolo Generale 24 della Società di San Francesco di Sales, in Atti del Consiglio Generale della Società salesiana di San Giovanni Bosco 77 (1996) n. 356. 242 Actas del XIX Capítulo General, p. 13. Fonte: Società di San Francesco di Sales, Dati statistici; CG 26 Capitolo Generale, Roma, 2008, p. 206; CG 27 Capitolo Generale, Roma, 2014 104 2.1. Nuove linee di governo: unità e decentralizzazione Le affermazioni di don L. Ricceri riflettevano, ovviamente, il pensiero del Capitolo Generale del 1965, che lo aveva eletto e che aveva dedicato anche un ampio settore del documento capitolare alle “Scuole Professionali”. C’è da aggiungere, però, che lo stesso organismo di governo salesiano adottò altre misure, la cui messa in atto faceva pensare in alcuni casi a degli aspetti problematici. La ristrutturazione del Consiglio Superiore della Società Salesiana, ad esempio, portò con sé anche la soppressione delle figure del Consigliere professionale e del Consigliere scolastico. I diversi centri e scuole dovevano rispondere a un consigliere incaricato dalla pastorale giovanile e parrocchiale, responsabile della formazione dei giovani “sotto l’aspetto religioso, morale e intellettuale in tutte le Case Salesiane”243. Questi e altri cambiamenti nella composizione e nel funzionamento dell’organo centrale salesiano si proponevano di rispondere ai nuovi orientamenti sorti nel clima del Concilio Vaticano II. Al tradizionale principio di unità nel governo della Congregazione di San Francesco di Sales si unì, in questa nuova tappa storica, l’esigenza di decentralizzazione. Da tale prospettiva, in particolare, vennero formulate le deliberazioni nel settore professionale. Prima di esaminarne le più rilevanti, è necessario segnalare altri fatti di non scarso rilievo nella trama di considerazioni e proposte che bisogna tener presente. Si legge nel documento capitolare: “In ogni Ispettoria si istituisca una Commissione per l’educazione dei giovani operai, che presti particolare attenzione alle scuole e ai corsi di Formazione Professionale e tecnica […]. Si costituisca, sotto la presidenza del Consigliere pastorale giovanile, una Commissione Centrale per l’educazione dei giovani operai, la quale provvederà allo studio della documentazione corrispondente a tale educazione in generale e, in particolare, alle scuole e ai corsi di Formazione Professionale. Sia costituita dal Consigliere della pastorale giovanile, garantendo così una conveniente rappresentanza territoriale”244. La proposta di creare una Commissione Centrale non sembra che sia stata messa in pratica. Qualcosa di simile si può dire riguardo alle commissioni che si sarebbero dovute istituire in ognuna delle ispettorie. Di fatto, i “servizi ispettoriali” si articolarono ordinariamente in tre aree: Pastorale giovanile, Scuole e Apostolati sociali (la Formazione Professionale si trovava all’interno del settore: Scuole). A tal riguardo, risultano di notevole interesse diverse iniziative realizzate in differenti Paesi. La CISI (Conferenza Ispettori Salesiani Italia), affidò ai Delegati Nazionali il compito di organizzare, nel 1967, un’associazione denominata CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane). Il 22 settembre dello stesso anno, il CNOS ottenne il riconoscimento come ente giuridico. La crescente attenzione verso il potenziamento del mondo del lavoro giovanile indusse il CNOS a fondare, nel 1977, la 243 Actas del XIX Capítulo General, p. 27; cfr. pp. 131-135; 264-265. 244 Actas del XIX Capítulo General, p. 146. 105 federazione Centro Nazionale Opere Salesiane-Formazione Aggiornamento Professionale (CNOS-FAP), che adottò come “finalità istituzionale”, la “promozione umana, sociale e cristiana dei giovani lavoratori e delle classi popolari” sviluppando la “sua opera in particolare nel settore della Formazione Professionale”245. Le principali linee di lavoro partivano dal seguente presupposto: in una società sempre più complessa “le organizzazioni formative e i formatori non potranno accontentarsi di contenuti già consolidati e ripetitivi, ma dovranno trasformarsi in attori in grado di dirigere la diversità, la varietà e il cambiamento. Da quest’ottica, è stato messo in rilievo l’impegno del CNOS-FAP nel preparare gli operatori e procedere, sempre di più, per progetti invece che per programmi”246. Durante i primi quindici anni, dal 1977 al 1992, “la crescita del sistema di Formazione Professionale del CNOS-FAP fu, in generale, costante”, sebbene con alcune eccezioni. Si è assistito, invece, a una crescita più consistente e significativa nel periodo tra il 1996 e il 2002247. Attirano altrettanto interesse i centri salesiani di orientamento scolastico, professionale e sociale. In Italia, i COSPES-Centri di Orientamento Scolastico, Professionale e Sociale si formarono come associazione nel 1968. L’iniziativa era conforme agli orientamenti del Capitolo Generale del 1965, che aveva richiesto la creazione di un servizio o centro di orientamento scolastico-professionale248. L’Istituto Superiore di Pedagogia di Torino – oggi, Facoltà di Scienze dell’Educazione a Roma – venne considerato come il posto più adeguato per la formazione del personale specializzato del settore. Nonostante l’importanza di queste e di altre opere realizzate in diversi luoghi dell’Antico e del Nuovo Continente, il Rettore Maggiore, don L. Ricceri, nella sua “relazione sullo stato generale della Società Salesiana”, manifestava nel 1977 l’impressione che le “Scuole di Formazione Professionale” – sebbene considerate ope- 245 CNOS, Dossier CNOS/FAP [Roma,1977], IV. 246 MALIZIA G. - TONINI M., “La federazione CNOS-FAP Italia. Il retaggio di 30 anni di storia e di esperienza (1980-2010)”, in MOTTO F., Salesiani di Don Bosco. 150 anni di educazione, Roma, LAS, 2011, p. 493. 247 MALIZIA G. - TONINI M., “La federazione CNOS-FAP Italia”, p. 487. 248 Cfr. “Servicio de orientación escolástico-profesional”, in Actas del XIX Capítulo General, pp. 142-143. Fonte: cfr. Malizia-Tonini, La Federazione CNOS-FAP, p. 487 Evoluzione del Sistema di Formazione Professionale (FP) del CNOS-FAP 106 re “tipiche” della missione salesiana – stavano “soffrendo ovunque un rallentamento”. E aggiungeva che “tali scuole si erano «fossilizzate» per mancanza di creatività e di iniziativa; proprio nel momento in cui l’evoluzione tecnica richiede una trasformazione radicale dei piani di studio, delle metodologie e degli impianti”249. Se si tiene conto delle circostanze descritte nei precedenti paragrafi, non sorprende il “malessere” manifestato da alcuni dei Salesiani più attenti alle questioni del mondo del lavoro; e si comprende la ragione dell’insistenza degli stessi sulla necessità di un centro di coordinamento delle opere di Formazione Professionale. Durante il convegno di studio organizzato dal Consigliere della Pastorale Giovanile nel 1982, molti dei partecipanti arrivano ad affermare che la soppressione della figura del Consigliere professionale generale, avvenuta nel 1965, “aveva comportato la perdita di suggerimenti, iniziative e pianificazione”. La maggioranza dei congressisti si mostrò d’accordo e approvò questa proposta: “Oltrepassando le nostalgie, si sottolinea l’esigenza di un organismo istituzionale, nel quale gli esperti di pastorale del mondo del lavoro possano avere i giusti contatti, occasioni di analisi e di valutazione”250. In questo modo, si vollero evitare i rischi di un’eccessiva frammentazione delle proposte e delle iniziative, assicurando, allo stesso tempo, un funzionamento più efficace dei “servizi ispettoriali o nazionali”, responsabili della formazione dei giovani apprendisti. 2.2. Tratti caratteristici delle Scuole Professionali Salesiane L’epilogo del libro non è il luogo più appropriato per continuare a sviluppare o valutare la realizzazione dei “servizi” descritti. Ma lo è sicuramente per concludere tali considerazioni con l’analisi dei tratti caratteristici delle opere salesiane dedicate alla formazione dei giovani lavoratori. Nei seguenti paragrafi conclusivi saranno messi in rilievo i documenti elaborati dopo il primo centenario del laboratorio creato da don Bosco nel 1853. Le eventuali o reali ripetizioni all’interno del testo contribuiranno a sottolineare i tratti caratteristici, le linee di continuità e le prospettive già presenti nelle conclusioni dei periodi anteriori. 2.2.1. Attenzione alla qualità educativa e pastorale Nei documenti e testimonianze più accreditate si avverte, in generale, una sostenuta attenzione alla qualità delle opere intraprese. Il Capitolo Generale Speciale del 1971-1972 invitò le comunità ispettoriali e locali a verificare se nelle scuole salesiane – “anche in quelle di formazione tecnico-professionale” – si riscontravano 249 RICCERI L., Relazione generale (1977), p. 198. 250 Salesianos en el mundo del trabajo, pp. 66-67; cfr. CANALS J., “Objetivos de la formación profesional salesiana”, in 100 años de presencia salesiana en Barcelona-Sarria, Barcelona, Ediciones Don Bosco, 1984, pp. 44-45. 107 le condizioni stabilite nel precedente Capitolo Generale del 1965. In quella data, più volte ripetuta, era stata messa in rilievo proprio l’ispirazione integralmente cristiana dell’istituzione scolastica e l’esigenza che fosse apostolicamente efficace. Con lo stesso vigore si affermò anche che doveva essere una scuola di avanguardia, tanto dal punto di vista didattico quanto da quello organizzativo. Per completare il quadro, venne accentuata la caratteristica della “scuola aperta alle necessità locali più urgenti, per la diffusione della cultura tra i giovani disagiati e per la qualificazione tecnica e umanistico-culturale delle classi popolari” 251. In questo ambito si inserisce appunto il tema della Formazione Professionale. In effetti il Capitolo Generale del 1978, insistendo sulle caratteristiche della scuola salesiana – popolare, libera e aperta, comunitaria e incentrata sul giovane, caratterizzata dalla presenza amabile e costante dei professori-educatori tra i giovani -, la descrive anche come scuola del lavoro, poiché “insegna a vivere la caratteristica spiritualità del lavoro e mantiene un contatto abituale e cordiale con il mondo del lavoro; ma in modo particolare, perché in molti luoghi organizza anche corsi di alfabetizzazione e corsi serali destinati ai lavoratori; e con la Formazione Professionale di orientamento al lavoro, prepara i giovani apprendisti ad entrare nel mondo del lavoro con una qualificazione”252. I membri di tale organismo salesiano non si propongono solamente di descrivere una situazione reale, ma si impegnano soprattutto nello stendere le linee guida di un programma d’azione. Risultano altamente significative, a tale proposito, le conclusioni di una recente indagine sociologica: “Sin dal 1978, la strada percorsa dalle scuole e dagli istituti tecnico-professionali fino all’acquisizione delle caratteristiche che, secondo il Capitolo Generale del 1978, danno qualità a una scuola salesiana, è stata notevole, in particolar modo in America e in maniera più limitata in Europa”253. Il giudizio di tutti gli intervistati durante l’indagine è risultato “positivo” o “abbastanza positivo”. E dalle risposte si deduce – secondo gli autori del sondaggio – che “le scuole e gli istituti tecnico-professionali salesiani si caratterizzano per un livello educativo superiore a quello delle scuole e degli istituti pubblici e privati, tanto laici quanto cristiani”254. 2.2.2. Missione salesiana e mondo del lavoro La “missione salesiana nel mondo del lavoro” fu, nel 1983, oggetto di una lettera circolare del Rettor Maggiore. Nel documento, don E. Viganò sottolinea che i 251 Capitolo Generale Speciale XX della Società Salesiana, Roma [Editrice SDB], 1972, pp. 238-240. 252 Capitolo Generale 21 della Società Salesiana. Documenti capitolari, Roma, Editrice SDB, 1978, p. 101. 253 VAN LOOY L. - MALIZIA G., Formazione professionale salesiana, p. 319. 254 VAN LOOY L. - MALIZIA G., Formazione professionale salesiana, p. 325. 108 Salesiani non sono rimasti insensibili al tema esposto; e osserva, da’altra parte, che negli ultimi anni si è andata sviluppando in varie regioni una riflessione più attenta sull’apporto fondamentale dei giovani apprendisti. In effetti, durante “le giornate della Spagna (novembre 1981) e dell’Italia (1982), proseguì il congresso europeo riguardante la nostra missione tra i giovani lavoratori d’Europa (maggio 1982) e, in seguito, la riunione dell’area del Plata (1982), che si tenne a Buenos Aires”255. Il Capitolo Generale riunitosi nel 1990 riprese i documenti trattanti le questione della Formazione Professionale, dai quali si deduce che i membri dell’organo salesiano condividono la convinzione che, attraverso la preparazione al mondo del lavoro e l’acquisizione di una sufficiente cultura, si possano creare le “condizioni affinché i giovani si aprano alla ricerca della verità e dei valori autentici che conducono alla piena maturità umana, rendendoli protagonisti della loro vita”256. Questo ritratto delle Scuole Professionali nell’area più vasta delle istituzioni scolastiche ha degli aspetti positivi; però, allo stesso tempo, presenta il pericolo di un certo “livellamento” e di una minore attenzione agli elementi specifici della cultura tecnico-professionale: argomento del quale se ne sarebbero occupati successivi incontri e giornate e di studio. In tali “incontri intercontinentali” – Hyderabad-India (1999); Cumbayà-América Latina (2001); Roma-Europa (2001) – vengono illustrate “alcune sfide per i prossimi anni”, rinnovando “l’impegno a dare maggior qualità educativa e salesiana alla presenza nella scuola e nella Formazione Professionale” 257. Nella relazione sullo stato della Congregazione Salesiana, nel sessennio 1996- 2002, si conferma che, agli inizi del XXI secolo, “la scuola – tanto in campo accademico quanto in quello tecnico-professionale – continua ad essere un cammino privilegiato per garantire ai giovani un futuro degno e sicuro”. In seguito, riferendosi al lavoro fatto dai Figli di don Bosco, don L. Van Looy – vicario de Rettor Maggiore – aggiunge che “in alcuni paesi, insieme alle Figlie di Maria Ausiliatrice e altri gruppi della Famiglia salesiana, si sono stabilite delle reti di collaborazione in questo campo”. Il risultato di tali iniziative comporta “maggiore qualità educativa e pastorale nei nostri centri, attenzione sistematica alla formazione degli educatori; maggiore apertura al territorio, alle situazioni di emarginazione ed esclusione sociale”258. 2.2.3. Presenza apprezzata negli ambienti popolari La relazione capitolare del 2002, mette in rilievo la “crescente sensibilità” delle diverse comunità salesiane nel “rispondere adeguatamente alle situazioni di 255 VIGANÒ E., “Missione salesiana e mondo del lavoro”, in Atti del Consiglio Superiore della Società Salesiana di San Giovanni Bosco 65(1983) 307, p. 8. 256 XXIII Capítulo General de la Sociedad de San Francisco de Sales, Roma, 1990, in Actas del Consejo General de la Sociedad Salesiana de San Juan Bosco 71(1990) 333, p. 122. 257 Cfr. La società di San Francesco di Sales nel sessennio 1996-2002. Relazione del Vicario del Rettor Maggiore don Luc Van Looy, Editrice SDB, 2002, p. 151. 258 La società di San Francesco di Sales nel sessennio 1996-2002, p. 277. 109 malessere e povertà giovanili”259. È un tratto o nota caratteristica evidenziata già dal precedente Rettor Maggiore, don Egidio Viganò, durante l’analisi del periodo tra il 1978 e il 1983. Don E.Viganò afferma che, tra le diverse opere promosse da Don Bosco, meritano particolare attenzione: i centri catechistici, gli oratori e le scuole; e tra queste ultime, le “scuole per apprendisti”. In America Latina, “si avverte – scrive il settimo successore di don Bosco – la tendenza a recuperare e a potenziare le scuole professionali, per assistere i più poveri”; e, in generale, “i centri di Formazione Professionale e Tecnica sono molto apprezzati. La maggior parte degli apprendisti provengono da ambienti popolari e marginali. Le iniziative di apprendistato professionale nascono negli ambienti più bisognosi”. Riferendosi in concreto alla Spagna, don E. Viganò precisa che godono “di gran prestigio” sia le scuole professionali “che alcuni manuali didattici preparati per i membri della Congregazione Salesiana”260. In effetti, nel 1980 le Edizioni Don Bosco di Sarrià-Barcellona potevano già contare su “un catalogo con 305 opere di Formazione Professionale: tecnologia, disegno e applicazioni pratiche, che costituivano il congiunto più completo esistente nel mercato spagnolo e, sicuramente, mondiale”261. In questa cornice è necessario ricordare anche altri manuali ben apprezzati pubblicati da coadiutori salesiani in diversi momenti della storia delle scuole professionali, come ad esempio: I primi elementi di agricoltura moderna (1907) di Andrea Accatino; Metodo di taglio per sarti (1902) di Pietro Cenci; Apuntes de sociología y legislación social cristiana (1945) di Carlo Conci; Didattica del lavoro: ergo didattica (1955) e Espressività editoriale (1992) di Giuseppe Pelliteri262. Ma aldilà del prestigio o degli aspetti tecnici e metodologici, emerge, come linea di sviluppo e di orientamento caratteristica delle Scuole Professionali Salesiane, la loro apertura ai meno fortunati. 2.2.4. Le scuole agricole La storia delle scuole professionali si intreccia con quella delle scuole o colonie agricole. Si ritiene necessario apporre una breve considerazione su queste ultime. Don E. Viganò fa notare, nella sua relazione del 1983, che i centri professionali di orientamento agricolo, in America Latina, sono pochi e “lottano per sopravvivere”; anche se, nonostante le difficoltà, “lavorano con efficacia educativa”. La situazione europea, in generale, non era molto diversa poiché “i centri di forma- 259 La società di San Francesco di Sales nel sessennio 1996-2002, p. 151. 260 La società di San Francesco di Sales nel sessennio 1978-1983, Relazione del Rettor Maggiore don Egidio Viganò, Roma, Editrice SDB, 1983, pp. 31, 40, 96, 274. 261 Cfr. ALBERDI R., La formación profesional, p. 712. 262 Salesiani, scuola e educazione. Repertorio bibliografico (1859-2002), a cura di J.M. Prellezo, Roma, Istituto Teoria e Storia, 2002, pp. 173-174. 110 zione agricola sono pochi” e si trovano in una condizione di grave difficoltà economica. Solo l’Irlanda rappresentava un’eccezione: “Le due scuole di agricoltura e di orticoltura godono di fama a livello nazionale”263. Anni dopo, la situazione delle colonie agricole in Francia – secondo lo studioso salesiano Yves Le Carrérès – mostra aspetti incoraggianti. Nel settembre 1995, il numero di alunni dei sette istituti di agricoltura o di orticoltura esistenti nelle due province francesi è di 1.870, suddivisi in tre livelli: livello base, per la preparazione al certificato di abilitazione professionale (CAP); livello intermedio, per la preparazione ai diplomi tecnologici o professionali; livello superiore, per la preparazione ai diplomi di tecnici superiori (BTS). “I primi alberi piantati alla fine del XIX secolo, producono oggi buoni frutti”264. Yves Le Carrérès scrive quest’ultima frase nel 1996, e si riferisce alle esperienze e alle istituzioni create in Francia, la sua patria; comunque le sue affermazioni potrebbero essere condivise senza difficoltà, riferendosi ad altri paesi o alludendo ad altri periodi storici. 3. Conclusioni: sguardo al presente attraverso alcuni testimoni accreditati a) Nella sua lettera circolare – datata 25 aprile 2010 – sul tema dell’educazione e della pastorale giovanile, il Rettor Maggiore dei salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, sottolinea ancora una volta l’importanza della preparazione dei giovani al lavoro all’interno delle attività salesiane265. “Le opere di Formazione Professionale sono oggi – scrive il nuovo successore di don Bosco – molto varie, vanno da scuole tecnico-professionali, circa 180, che offrono ai giovani una formazione secondaria sistematica che permette loro di continuare lo sviluppo dopo l’Università, a scuole di Formazione Professionale, circa 457, che permettono ai giovani orientati al lavoro, una preparazione di qualità con un programma riconosciuto. Tra queste ultime opere, meritano particolare attenzione le 46 scuole agricole”. b) Inoltre, negli ultimi anni, nel campo della Formazione Professionale non regolata “si sono creati più di 300 piccoli centri di preparazione al lavoro, che impartiscono ai giovani lavoratori o a chi si incammina nel mondo del lavoro, corsi brevi e pratici in gradi di munirli di una qualifica lavorativa”266. Recenti statistiche documentano e specificano il quadro descritto. 263 La società di San Francesco di Sales nel sessennio 1978-1983, pp. 31, 40, 62. 264 LE CARRÉRÈS Y., “Les colonies ou orphelinats agricoles tenus par les salésiens de Don Bosco en France de 1878 à 1914”, in MOTTO F., Insediamenti e iniziative salesiane dopo don Bosco. Saggi storiografici. Atti del II Convegno-seminario, Roma, LAS, 1996, p. 174. 265 Cfr. CHÁVEZ VILLANUEVA P., “La pastorale giovanile salesiana”, in ACG 91(2010) 407, 3-59. 266 CHÁVEZ VILLANUEVA P., “La pastorale giovanile”, p. 33. 111 c) Il riconoscimento di situazioni positive e promettenti non significa fermarsi alle mete e agli obbiettivi raggiunti. Al contrario, costituisce un incentivo a prendere coscienza che nelle “società moderne, in rapida evoluzione, il mondo tecnico e del lavoro costituisce un settore che sperimenta cambiamenti profondi e rapidi; pertanto, la Formazione Professionale, se vuole realmente aiutare i giovani ad introdursi in questo nuovo mondo, deve trasformare i suoi programmi, i suoi metodi e i suoi strumenti”267. Don Pascual Chàvez, attuale Rettor Maggiore dei salesiani – in linea di continuità con i suoi predecessori – sottolinea l’importanza delle scuole professionali per rispondere alla missione di educare e istruire i giovani più bisognosi. Osserva che sono state realizzate, fino a questo momento, “magnifiche esperienze nel campo della Formazione Professionale” e che esistono “scuole tecniche d’avanguardia”. Ricorda, infine, che sono state già portate a termine numerose iniziative per un “continuo rinnovamento” dei centri esistenti e per garantire ai giovani una “Formazione Professionale di alta qualità”, aiutandoli ad “introdursi degnamente nel mondo del lavoro”. Però, allo stesso tempo, il successore di don Bosco insiste a fare in questo ambito “ancora molto di più”268. d) In un recente studio, già citato in precedenza, in cui sono stati esposti i tratti caratteristici della Formazione Professionale salesiana, veniva constatata anche un’altra particolarità: la sollecitudine delle scuole salesiane nell’“inserimento dei giovani apprendisti nel mondo del lavoro”. Gli autori di tale studio insistono proprio su questa stessa sollecitudine che non deve arrivare a trascurare l’“orizzonte formativo più ampio, nel quale trovano spazio le diverse attività destinate alla maturazione globale dell’individuo”269, espresse sinteticamente con la formula tradizionale “formare buoni cristiani e onesti cittadini”. 267 Ibid., p. 32. 268 Ibid., p. 37. 269 MALIZIA G. - TONINI M., La federazione CNOS-FAP Italia, p. 495. Fonte: Dati statistici, 2002, pp. 66-69; Dati statistici, 2008, p. 66; Dati statistici, 2014 (CG27) (1) Dal 2013 le Scuole Professionali vengono chiamate CFP - Centri i Formazione Professionale Opere professionali salesiane e alunni: 1995-2013 112 e) Soffermandoci sulla situazione spagnola attuale, risultano essere fondamentali le testimonianze degli esperti impegnati nel campo della Formazione Professionale: Antonio Suescun e Miguel Ángel García Morcuende270. Trascrivo alcuni paragrafi di due documenti recenti: 1) I nostri Centri sono attenti a qualsiasi iniziativa che viene proposta dall’Europa, legiferata dal proprio Stato. Con questo, si ottengono dei titoli simili, riconosciuti in Europa, per facilitare la mobilità dei titolati; tanto dalla Formazione Professionale del Sistema Educativo (che conferisce dei titoli), quanto dalla Formazione Professionale per l’Impiego (che conferisce dei certificati di professionalità). Così, per esempio, nei nostri Centri si fa attenzione tanto alla formazione regolamentata, nella Formazione Professionale, quanto alla Formazione Professionale per l’Impiego (per disoccupati o per il miglioramento dell’impiego). Tali Centri, rispondendo a una serie di requisiti, possono essere considerati dei Centri integrati di Formazione Professionale. Ci spingiamo sempre oltre, per quanto riguarda gli impianti, le risorse e la formazione del corpo docente. Il prestigio della Formazione Professionale salesiana è riconosciuto tanto per le Amministrazioni Educative e per l’Impiego, quanto per le Imprese. Il profilo dei destinatari si riscontra in quelle persone che hanno bisogno di un aiuto dal Sistema Educativo per essere orientati con itinerari educativi diversificati, o in coloro che a causa della loro condizione socio-economica necessitano di essere introdotti nel mondo lavoro. A questo tipo di alunni, il Sistema Preventivo risulta rispondere alle loro esigenze. La nostra proposta sollecita ad una formazione integrale nelle competenze professionali, personali e sociali, che viene completata con proposte formative provenienti da altri ambienti del centro come i Centri Giovanili. Insieme a tale proposta, al lavoro di recupero e di formazione nelle competenze professionali, la Formazione Professionale dei nostri centri risponde a una necessità avvertita dalla società moderna: lottare contro una grave disoccupazione. Il problema viene affrontato tramite una formazione di qualità, sia dal punto di vista professionale che di ricerca attiva del lavoro e partecipando a programmi dedicati ai più bisognosi, con la volontà di trovare loro un impiego. La risposta e la proposta dei Centri li rende “Centri vivi”, con l’iniziativa e l’impegno sociale. Come conclusione finale, accompagna i giovani verso il mondo delle Imprese e concede loro un Certificato di Professionalità riconosciuto dalla Comunità Europea. 270 SUESCUN S., salesiano laico, professore presso l’Istituto Politecnico Domingo Savio di Madrid; redattore del paragrafo e) 1; GARCÍA M.A.: sacerdote salesiano, membro del Dicastero della Pastorale Giovanile, Scuola e Formazione Professionale della Società Salesiana (Roma), redattore del paragrafo e) 2. 113 Durante il corso 2011-2012 si partecipa, su piano statale, ad un programma di innovazione applicata e di trasferimento della conoscenza nella Formazione Professionale del Sistema Educativo. Il suo titolo è: “Ambienti altamente automatizzati. Gestione integrale della produzione”. La squadra dell’ASTI (Asociación Salesiana de Tecnología e Innovación) ha preparato il concorso, includendo 17 Centri di Formazione Professionale Salesiani. Tale progetto è stato qualificato e concesso dalle autorità del Ministero dell’Educazione. 2) La realtà pastorale dei nostri centri di formazione parte da un profilo di educatori sensibili e vicini all’ideologia del Centro, in quanto collaboratori attenti alla formazione sociale e religiosa degli alunni. Di fatto, è stato promosso negli ultimi anni il carattere trasversale e interdipartimentale della pastorale: esiste in molti Centri una struttura dipartimentale (Dipartimenti di Formazione Umana, Sociale e Religiosa, ecc.) per armonizzare gli aspetti umani e religiosi della prassi educativa. In secondo luogo, l’obbiettivo della formazione del corpo docente della Formazione Professionale supera il quadro dell’apprendimento curriculare, oltrepassando le nuove tecnologie. Il lavoro svolto è stato proprio quello di sollecitare lo sviluppo integrale del nostro progetto educativo pastorale. Per questo, si è insistito sulla formazione dei docenti, da un punto di vista ideologico, delle competenze pedagogiche e pastorali. In questo tipo di formazione istituzionale si favorisce sia la crescita personale che professionale del docente. Si va dalle abilità comunicative e relazionali, alle capacità di lavorare in gruppo, creare, ascoltare e prendere decisioni, passando per le conoscenze indispensabili sull’origine della missione salesiana e del Sistema Preventivo. Combinare tutte queste caratteristiche significa prendersi cura dello sviluppo del docente salesiano. * * * In sintesi, vale la pena ricordare ancora una volta l’invito che Giuseppe Bertello, Direttore Generale delle Scuole Professionali e Agricole Salesiane, fece nei Programmi didattici e professionali del 1910: “Con i tempi e con Don Bosco. In queste parole, si racchiude gran parte di ciò che costituisce la peculiarità dello spirito salesiano”271. 271 Cfr. il testo di questi Programmi nelle pp. 290-296 degli Allegati di questo libro. 115 APPENDICI Premessa I materiali raccolti sono raggruppati in quattro appendici. Nella prima sono riportate anzitutto una riproduzione fotografica e la relativa trascrizione di due documenti manoscritti che contengono due brevi testi riguardanti i primitivi regolamenti dei laboratori salesiani. Nel primo manoscritto – “Maestri d’arte” – stilato da un amanuense non identificato, si avvertono numerose correzioni e aggiunte dovute alla mano di don Bosco. Il secondo – “Assistenti” (dei laboratori) – è stato trascritto integralmente dallo stesso don Bosco. I due testi si conservano nell’Archivio Salesiano Centrale di Roma (ASC D483, Scuole professionali). Si tratta probabilmente della prima bozza (o una delle prime bozze) di due capitoli dei Regolamenti per le case della Società di S. Francesco di Sales (Torino, Tipografia Salesiana, 1877). Altri documenti scelti nella raccolta: Programma della prima “Esposizione triennale delle scuole professionali e colonie agricole della Pia Società di S. Francesco di Sales”; Proposta di un nuovo metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani e determinarne la mancia settimanale; Primo programma scolastico per le scuole di arti e mestieri salesiane; Norme da seguire negli esami di promozione dei giovani artigiani in conformità del nuovo programma professionale; Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di Valdocco; Orientamenti pedagogicodidattici per i maestri d’arte; Alcune avvertenze per norma delle giurie della III esposizione delle scuole professionali e colonie agricole salesiane; Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali. Nella seconda appendice sono riportati alcuni dati statistici recenti riguardanti le scuole professionali salesiane e il numero di allievi che le frequentano. La scelta di documenti iconografici, nella terza appendice, consente di ripercorre le tappe più rilevanti dello sviluppo delle scuole e dei Centri di Formazione Professionale. * * * Allo scopo di facilitare la lettura dei testi, nella trascrizione dei medesimi, sono statati tenuti presenti alcuni criteri d’accordo con le norme metodologiche in uso più comuni. a) Sono state conservate le particolarità grafiche caratteristiche del periodo storico. Ad es.: io avea (avevo), adunque (duque), giuocare, dimandare, iscopo; invece, alcune forme usate non sempre coerentemente (esercizii, ospizii, studii, 116 studî) sono state uniformate d’accordo con l’uso corrente (esercizi, ospizi, studi). Le accentazioni sono state normalizzate ugualmente secondo l’uso oggi corrente (perché si rende sempre: perché; quì: qui; nè: né). La j è stata sostituita di norma dalla i. Sono mantenute forme arcaiche che non disturbano la lettura: de’ (dei), da’ (dai), a’ (ai). Nelle date degli scritti si completano le cifre dell’anno: invece di 17-8-87 si scrive: 17 agosto 1887. b) Le abbreviazioni di parole o frasi – costruite nei documenti originali in maniera non sempre uniforme – vengono di norma sviluppate (Aus. si rende sempre: Ausiliatrice; elem.: elementare), fatta eccezione per abbreviazioni comunemente utilizzate e di facile comprensione (art., p.). È stata inoltre introdotta una normalizzazione delle abbreviazioni difformi, ad esempio: ch., ch.co, ch°, chier.co si rendono sempre: ch. (chierico, studente salesiano non ancora ordinato sacerdote); D., d., Don: don; Lr., L.: L. (lira); Mons., Monsign., mons. (monsignore): mons. c) È stata mantenuta la punteggiatura originale. Per facilitare la lettura, sono stati introdotti soltanto alcuni lievi cambiamenti, che non comportano mutamento del senso della frase o del termine: dopo il cognome dell’autore di un’opera citata nei programmi, si è messa sempre una virgola (,) invece dei due punti (:) o del trattino (–) utilizzato talvolta dagli autori. d) L’uso reiterato della maiuscola (spesso non rispondente a criteri uniformi, come era frequente nel tempo) viene modificato secondo le norme attuali più comuni: 1) Con iniziale maiuscola: nomi propri; determinati nomi collettivi (Chiesa cattolica, Ministero della Pubblica Istruzione), Oratorio (quando indica l’Oratorio di S. Francesco di Sales di Torino). 2) Con iniziale minuscola: nomi comuni (casa, scuola, collegio, internato, allievo, ginnasio, mamma); nomi dei mesi dell’anno e dei giorni della settimana; abbreviazioni di professioni o cariche: sac. (sacerdote), avv. (avvocato), on. (onorevole), can. (canonico); titoli nobiliari o ecclesiastici (conte, cardinale, vescovo, direttore, sindaco, ispettore...). e) Altre modifiche: 1) La sillaba finale delle abbreviazioni, spesso vergate in posizione esponenziale, è riprodotta sulla normale linea tipografica. 2) Il trattino usato talvolta dall’autore alla fine di un periodo è sostituito da un punto. 3) Sono messe in corsivo le parole o espressioni latine e i titoli dei libri e delle riviste. a) Le enumerazioni: 1°, 2°, 3°... sono state unificate: 1., 2., 3. 117 I - DOCUMENTI EDITI E INEDITI 1. Prime stesure dei regolamenti dei laboratori 118 Maestri d’arti272 1. I maestri d’arti hanno carico di ammaestrare i giovani della casa nell’arte cui sono destinati dai superiori. Il loro principale dovere è la puntualità nel trovarsi in tempo debito nel laboratorio, e di fissare ai loro allievi di mano in mano che entrano nel laboratorio, e di non mai allontanarsene senza esserne intesi coll’assistente. 2. Si adoperino in modo che si trovino al tempo dell’entrata e di uscita dei giovani dal laboratorio e ciò per impedir i guasti o le risse che potrebbero in que’ momenti accadere. 3. Si mostrino premurosi per tutto ciò che riguarda il bene della Casa e si ricordino che è loro essenziale lavoro istruire gli apprendisti a far sì, che loro non manchi il lavoro. Osservino e per quanto è possibile facciano osservare il silenzio durante il lavoro, né permettano che alcuno si metta a parlare, ridere, scherzare o a cantare fuori del tempo di ricreazione. Non permetteranno mai ai loro allievi di uscire per recarsi a far commissioni; essendo il caso, l’assistente ne dimanderà al prefetto l’opportuno permesso. Non devono mai fare contratti coi giovani della Casa, né assumersi pel loro conto particolare alcun lavoro di lor professione. Prima di cominciar nel laboratorio qualche lavoro lo consegnino all’assistente affinché noti le intelligenze, prezzo convenuto, nome, cognome, dimora di colui pel quale si deve intraprendere. 4. Sono strettamente obbligati d’impedire ogni sorta di cattivi discorsi, e conosciuto qualcuno che ne sia colpevole dovranno immediatamente darne avviso al Superiore. 5. Ogni maestro, ogni allievo stia nel proprio laboratorio, né mai alcuno si rechi in quello degli altri senza assoluto bisogno. 6. È proibito il fumare tabacco, giuocare, bere vino nei laboratorii, dovendosi in questi lavorare e non divertirsi. 7. Il lavoro comincierà coll’Actiones e coll’Ave Maria. A mezzodì si dirà sempre l’Angelus Domini prima di uscire dal laboratorio. 8. Gli apprendisti poi debbono essere docili e sottomessi ai loro maestri ed ai loro assistenti, come loro superiori, mostrando grande diligenza per compiacerli, e somma attenzione per imparare quelle cose che loro sono insegnate. 9. Si leggeranno questi articoli dal Capo o da chi per lui ogni 15 giorni a chiara voce, e si terrà sempre copia esposta nel laboratorio Assistenti273 1. L’assistente de’ laboratori è da’ superiori incaricato di vegliar sulla moralità, sul lavoro, e su tutto quello che può tornar vantaggioso allo stabilimento. 272 ASC D483, Manoscritto inedito allografo, con correzioni e aggiunte di don Bosco. 273 ASC D483, Manoscritto di don Bosco con aggiunte allografe, con correzioni ancora della mano di don Bosco. 119 2. Si troverà per tempo nel laboratorio, noterà chi ritardo ad intervenire; e mancandovi alcuno ne darà avviso al prefetto o a qualche altro superiore per saperne il motivo e provvedere se ciò avvenisse per causa di malattia; ma per quanto può non uscirà dal laboratorio. 3. Dovendosi allontanare dal laboratorio per motivo di lavoro, provviste od altro ne darà avviso al capo d’arte. Qualora poi dovesse far provviste di oggetti di cui non avesse sufficiente cognizione condurrà seco il capo d’arte od altro individuo pratico dei prezzi e dei materiali che occorrono. 4. In fine di ogni settimana darà il suo parere su tutti gli individui dell’Oratorio ed avrà speciale riguardo alla diligenza nei lavori e al contegno nella moralità. 5. Metterà a registro ogni lavoro fatto nell’Oratorio, noterà se è pagato o non pagato; ma non farà cassa particolare. Consegnerà il denaro al prefetto, cui pure si indirizzerà qualora ne abbia bisogno. 6. Non si possono fare nei laboratori lavori di sorta senza il consenso del prefetto. 7. Questo regolamento sarà letto dall’assistente o dal Capo o da chi per lui ogni 15 giorni a chiara voce, e si terrà sempre copia esposta nel laboratorio. 2. Programma della prima esposizione triennale generale delle scuole professionali e agricole salesiane (1901) Esposizione triennale delle scuole professionali e colonie agricole della Pia Società di S. Francesco di Sales (Opere di Don Bosco)274 Scopo Scopo di questa esposizione si è di presentare ai salesiani ed ai loro cooperatori un quadro di quello, che si va facendo nei molteplici istituti dell’uno e dell’altro continente a beneficio della gioventù operaia, e trarne, col concorso di tutti, consigli ed ammaestramenti a far meglio. Una giuria di persone competenti avrà per ufficio di studiare le varie sezioni, apprezzarne il merito, rilevarne i difetti e proporre i miglioramenti da introdurvi. Accoglierà con riconoscenza le osservazioni e proposte, che le verranno fatte dalle persone amiche e vedrà se sia il caso di convocare particolari adunanze per l’esame e la discussione delle medesime. Programma Sezione 1ª – Arti e mestieri. – 1. Non debbono esporsi che lavori eseguiti nei propri laboratori, durante l’ultimo triennio, per opera degli allievi diretti e coadiuvati dai loro maestri. 274 ASC E483, Scuole professionali, 3 (ed. a stampa). 120 2. Sarà cosa buona accompagnare i lavori col relativo disegno portante la firma di chi l’ha ideato e messo in carta. 3. Si scelgano, per quanto è possibile, lavori di genere e stile diverso, a fine di rappresentare l’arte nelle sue varie manifestazioni e far conoscere l’ampiezza della coltura, che si dà agli allievi. 4. Non si escludono lavori facili, e gli stessi elementi di cui un lavoro si compone, purché siano classificati secondo i corsi degli allievi, che li hanno eseguiti. 5. Non potendosi conservare per quell’occasione lavori di qualche importanza già consegnati ai clienti, oppure non permettendolo la quantità o la mole dei lavori di recarli sul luogo, potranno esservi rappresentati per mezzo della fotografia. 6. Una fotografia rappresenti i singoli laboratori e dia un’immagine fedele dell’ambiente, del macchinario e del personale nell’atto di attendere al lavoro. 7. Se il laboratorio possiede qualche metodo speciale d’insegnamento, è bene che lo faccia conoscere. 8. Sarebbe a proposito riassumere in una tabella la storia di ciascun laboratorio, indicando l’epoca della sua fondazione, il numero degli allievi, a cui diede l’insegnamento anno per anno e di quelli che ne uscirono, dopo compiuto il tirocinio. Sezione 2ª – Colonie agricole. – Le colonie agricole chiamano in modo particolare l’attenzione e l’operosità dei salesiani. Esse hanno per iscopo di indirizzare la gioventù alla coltura dei campi, istruirla ed esercitarla secondo i metodi migliori, tenendo conto dei risultati accertati della scienza e dell’industria moderna, e, dove le condizioni locali lo permettono, ridurre a coltura i terreni incolti ed abbandonati. Perciò nella nostra esposizione potranno figurare: 1. I disegni e le mappe dei terreni appartenenti alla colonia, coi loro riparti, secondo i generi di coltura, a cui sono destinati. 2. Dove l’opera nostra sia già riuscita a trasformare e bonificare uno spazio considerevole di terreno, si facciano con opportuni disegni risaltare tali acquisti. 3. Se, mediante il lavoro ed i metodi particolari di coltivazione, si sono ottenuti in certi terreni dei risultati straordinari, non sarà fuori di proposito presentare in fotografia il terreno coperto del suo frutto, aggiungendo ai piedi della fotografia opportuni schiarimenti e raffronti. 4. Colla fotografia parimente si potranno rappresentare gli attrezzi, le macchine ed il bestiame inserviente alla colonia. 5. Se la colonia produce dei generi speciali, che meritino di essere meglio conosciuti, se ne potranno mandare dei saggi all’esposizione. 6. Molto importante sarà il far conoscere i metodi d’insegnamento e di disciplina, e gli orari praticati nei vari tempi dell’anno. Sezione 3ª – Scuole professionali. – L’esercizio puramente manuale e pratico dell’arte non è sufficiente, avuto riguardo all’indole ed ai bisogni dei nostri tempi. All’operaio ed all’agricoltore è necessario dare qualche grado di coltura generale ed un’istruzione teorica sufficiente riguardo alle varie parti dell’arte sua. 121 Storia, geografia, geometria, disegno, fisica, chimica, meccanica e storia naturale entrano in proporzioni più o meno vaste nei programmi delle scuole professionali. Non vi mancano neanche gli elementi di contabilità e di ragioneria. Standoci a cuore che i nostri allievi, mentre ricevono l’educazione morale, religiosa e civile, non restino indietro in ciò, che spetta alla coltura professionale, dobbiamo attendere a far fiorire le scuole che a loro benefìzio sono prescritte dal nostro Regolamento. Esse dovranno perciò avere un posto notevole nella prossima esposizione. Ogni casa adunque vi faccia figurare: 1. Il quadro delle classi, nelle quali sono ripartiti i giovani artigiani. 2. L’orario delle lezioni, l’elenco delle materie insegnate in ciascuna classe, e la parte del tempo, che a ciascuna materia è assegnata. 3. Il programma svolto in ciascuna materia, e i testi adoperati. 4. I risultati ottenuti. Questi dovranno apparire da un rendiconto annuale sull’andamento delle classi, e da qualche saggio dei lavori eseguiti dagli allievi. 5. Essendo urgente compilare un programma, che in massima si possa adottare in tutte le nostre scuole professionali, faranno opera egregia quei confratelli, che manderanno all’esposizione per essere esaminate dalla giuria, le loro proposte a tale riguardo. NB. L’esposizione si farà nel Collegio delle Missioni Estere in Valsalice275. Ogni cosa dovrà esser pronta per l’inaugurazione al 1° del prossimo agosto. È perciò necessario che gli oggetti da esporre arrivino a destinazione non più tardi del 20 luglio. Si pregano i rev.mi sigg. ispettori a voler sollecitare le case da loro dipendenti e far conoscere entro il mese di giugno lo spazio approssimativo che potrà occorrere a ciascuna Ispettoria, affinché si possano convenientemente disporre i locali. Torino, Tipografia Salesiana, 1901 3. Nuovo metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani (1901) Proposta di un nuovo metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani e determinarne la mancia settimanale276 È usanza antica, introdotta dal nostro buon padre Don Bosco, di dare ai giovani artigiani una compartecipazione ai frutti del loro lavoro sotto forma di mancia settimanale. 275 Cfr. VALSALICE: SALESIANI TORINO VALSALICE, Valsalice 1956-57. Torino, Officine Grafiche SEI, 1957. 276 BERTELLO G., Proposta di un metodo per apprezzare il lavoro di giovani artigiani e determinarne la mancia settimanale, Torino, Tipografia Salesiana, 1901. 122 Stabilita la proporzione di questa mancia col guadagno totale, il modo più esatto di determinarne l’entità sarebbe quello di fissare il prezzo di tutti i lavori, che ciascun allievo viene compiendo nel corso della settimana. Ma l’esperienza ha dimostrato che un tale computo riesce nei nostri laboratori pressoché impossibile, avuto riguardo al numero degli alunni, alla complicazione dei lavori, ed allo scarso personale dirigente. Sembra che la cosa sarebbe di molto agevolata, se si potesse ottenere un computo abbastanza esatto con un giudizio morale sopra la maggiore o minore abilità di ciascun allievo. A questo scopo mira il metodo che si propone. È evidente che il guadagno di un operaio risulta da tre elementi – il prezzo dei lavori, che egli eseguisce – l’abilità e destrezza, che egli ha nell’eseguire un tal genere di lavoro – e l’applicazione o diligenza che egli mette a fare il lavoro, poco giovando la preziosità del lavoro e l’abilità dell’operaio, se egli non sia assiduo e diligente all’opera. 1. A determinare il primo elemento, non potendosi fissare il prezzo dei singoli lavori, si ricorre al prezzo della giornata normale delle varie professioni. È facile trovare quanto si suol dare (se egli lavori a giornata, e non a cottimo), ad un operaio sarto, calzolaio, compositore, stampatore, ecc. 2. Se i nostri fossero operai già formati, si preleverebbe dalla giornata normale quella frazione, che si vuole assegnare loro come mancia, e il calcolo sarebbe fatto.Ma i nostri giovani sogliono essere operai in formazione, e però la loro giornata sta, rispetto alla giornata normale, nella proporzione che ha la loro abilità con quella di un operaio formato. Conviene adunque determinare approssimativamente l’abilità dei nostri giovani, ed ecco in qual modo. Supposto che un operaio formato e capace di guadagnarsi la giornata normale debba avere dieci di abilità, tali dovrebbero essere i nostri allievi al termine del loro tirocinio, per guadagnarsi la stessa giornata. Ma affinché i nostri giovani, quando, dopo aver terminato il tirocinio, si presenteranno a chiedere lavoro, non debbano vedersi negata la qualità di operai e la mercede proporzionata, è necessario che, nell’assegnare i punti di abilità si proceda con giusto rigore, evitando ogni inconsulta larghezza. Supposto che il tirocinio debba durare cinque anni, un giovane d’ingegno ordinario e di ordinaria applicazione guadagnerebbe un punto di abilità in ogni periodo di sei mesi. Chi è più intelligente ed operoso dell’ordinario può accorciare questi periodi, chi meno, verrebbe ad allungarli. Questo dovrebbe essere determinato da un esame. 123 Quando un giovane entra in laboratorio dopo aver fatto altrove una parte del suo tirocinio professionale, conviene sottoporlo ad un esame, per determinare a qual punto si trovi del tirocinio, ed assegnargli il voto di abilità o di lavoro. Ciò posto, è chiaro che un allievo, che meriti uno di abilità, può guadagnare un decimo della giornata, chi merita due, può guadagnare due decimi, e così via via. 3. Rimane ora a determinarsi il terzo elemento, quello della diligenza o applica - zione. Diligente in questo caso deve chiamarsi quell’operaio, che si trova a tempo sul lavoro e vi attende con impegno. Chi manca, la sua applicazione è zero. Chi vi si trova, ma è lento, svogliato, sollecito più di far passare il tempo, che di bene occuparlo, meriterà un voto più o meno lontano dal dieci, secondo che il suo contegno si allontana più o meno dal tipo dell’operaio diligente. A questo dovranno badare il maestro di laboratorio e l’assistente, e questo dovrà formare l’oggetto del loro voto al fine della giornata e della settimana. Questo voto, detto di applicazione o di diligenza, combinato col voto detto di lavoro, o di abilità, darà il valore della giornata, o il guadagno totale degli allievi, dal quale si preleverà la frazione corrispondente alla mancia. Una tabella convenientemente preparata darà la cifra della mancia corrispondente alla detta combinazione, e così, quando è assegnato il voto di applicazione, un segretario può facilmente colla tabella sotto gli ocelli, rilevare quanto è dovuto di mancia settimanale. Schiarimenti L’applicazione, come si è detto sopra, comprende due cose, la presenza nel laboratorio e l’attività, colla quale si attende al proprio lavoro. Chi manca per infermità o per altro motivo indipendente dal laboratorio, non guadagna, e siccome il guadagno è determinato prossimamente dal voto di applicazione, da questo deve essere diffalcata in quantità proporzionata l’assenza. Per esempio, colui che manca dal laboratorio per mezza giornata, ancorché nell’altra metà lavori con tutto l’impegno, non dovrà avere alla sera che cinque di applicazione, per quella giornata, cioè la metà del dieci, che gli sarebbe toccato, se con egual impegno avesse lavorato la giornata intiera. Se un dieci rappresenta il lavoro diligente di tutta una settimana, colui che fu diligente sì, ma per malattia o per altro motivo mancò dal laboratorio una giornata, il suo dieci dev’essere scanalo di un sesto, e dovrebbe essere scemato di due sesti se fosse mancato due giorni, della metà se fosse mancato tre, e così via via. A fine di poter calcolare con maggior esattezza queste assenze, converrebbe dare il voto di applicazione ogni sera, facendone poi la media al termine della settimana. 124 Le deduzioni delle assenze pare si debbano fare sulla base del voto che un allievo è solito meritare quando è presente. Per es., chi nella mezza giornata di presenza lavora con applicazione corrispondente non al dieci, ma all’otto, colla stessa applicazione si può supporre che avrebbe lavorato nell’altra metà, se fosse stato presente, e perciò il suo voto di questa giornata non sarebbe cinque, ma quattro, cioè la metà di otto. Chi poi manca dal laboratorio per attendere ad un lavoro impostogli dai superiori, come, per es., se un sarto, od un calzolaio dovesse in certi giorni, o in certe ore, fare la barba, tagliare i capelli alle persone della casa, ecc., sembra che non gli dovrebbero essere computate queste assenze, eccetto che quel lavoro avesse un compenso sotto altra forma, come, per es., se quei servizi fossero supplemento alla pensione, od alle spese, che la famiglia dell’allievo non può pagare. Oltre il voto di applicazione, che rappresenta puramente e semplicemente l’impegno, con cui un allievo attende al lavoro, si suol dare, ed è conveniente che si dia, anche il voto sulla condotta tenuta nel laboratorio. Questo voto abbraccia molte più cose che il voto di applicazione; perché, affinché si possa dire che un giovane ha buona condotta, non basta ch’egli sia laborioso; ma si ricerca inoltre che non manchi alla pietà, al buon costume, al rispetto verso i superiori, alla carità ed alle buone maniere verso i compagni, ecc. Ora quali relazioni dovranno avere questi due voti, e quali norme converrà seguire nell’assegnarli? Mi sembra evidente che nel voto di condotta deve entrare anche l’applicazione, benché sia materia di un voto distinto; perché anche la diligenza nel proprio dovere è un pregio morale, come la pigrizia è un difetto, ed il voto di condotta deve abbracciare tutto quello che si riferisce alla moralità nelle sue manifestazioni esterne. Ma per contrario nel voto di applicazione non devono farsi entrare gli altri elementi della moralità, come quelli, che non influiscono sul lavoro e sul guadagno, che è proprio ed esclusivo oggetto del voto di applicazione. Agli allievi del 1° corso, che, non avendo ancora alcun punto di abilità, non possono, secondo questo computo, avere la mancia, si potrebbe assegnare qualche centesimo per comperarsi la frutta nei giorni di festa. La mancia sarebbe conveniente dividerla, in due parti. Una parte resterebbe nella cassa del prefetto, come deposito dell’alunno, del quale egli, sotto la sorveglianza del prefetto, potrebbe servirsi per le spese minute e per i minuti piaceri. L’altra parte dovrebbe raccogliersi via via in un libretto della Cassa di Risparmio, affinché ogni allievo, quando, al termine del suo tirocinio volesse uscire dall’Istituto, abbia un piccolo capitale, con cui fare fronte alle prime spese della vita. Sac. Bertello Gius 125 4. Primo programma scolastico per le scuole di arti e mestieri salesiane (1903) Programma scolastico per le Scuole di artigiani della Pia Società di S. Francesco di Sales277 Prefazione Col presente programma scolastico si cerca di soddisfare al voto espresso dal nostro Capitolo Generale IV278. Quanto alle materie in esso comprese mi sono attenuto sostanzialmente a quello, che è detto nelle Deliberazioni ai nn. 500-501279 e nel Capitolo Generale VIII, pag. 80-82280. Ebbi anche sottocchio i programmi già in uso in diverse nostre case. Esso a qualcuno parrà troppo esteso, ad altri troppo ristretto. Questi potranno dar più ampio sviluppo ai punti in esso accennati, ed anche aggiungerne dei nuovi, quelli ne prendano solo quello, che è compatibile colla capacità dei loro alunni. In una revisione da farsi dopo qualche tempo di esperimento, potrà essere ridotto ad una più conveniente misura. Una difficoltà grave per l’attuazione di questo programma sarà la scelta dei libri da adottarsi. Per quanto abbia cercato, non mi venne fatto di trovare libri, che pienamente corrispondessero al disegno, e piuttosto che conformare il programma a libri, che non mi paressero adatti, preferii fare un programma nella fiducia che presto, per opera dei nostri confratelli si potranno avere libri conformi alle sue esigenze. Non lascio tuttavia di suggerire per gli Italiani alcuni testi, che meno si discostano dal programma, e gli stranieri ne troveranno forse dei migliori nella loro lingua. Pel resto, benché convenga in generale dare ai giovani dei libri, nei quali si vedano ricordate le lezioni intese nella scuola, è certo che, data la qualità degli allievi ed il breve tempo lasciato allo studio, l’insegnamento deve farsi principalmente nelle scuole dalla viva voce del maestro, seguita da opportune interrogazioni ed esercizi. Spero che i direttori si metteranno con impegno all’opera di classificare gli allievi, dare loro maestri capaci e fornirli di tutti i sussidi opportuni, perché i nostri alunni artigiani, nel loro tirocinio professionale, conseguano quel corredo di cogni- 277 ASC E481, Bertello, (1903), 26 (ed. a stampa); BERTELLO G., Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società di S. Francesco di Sales, Torino, Tipografia Salesiana 1903. 278 “Sia compilato un programma scolastico da eseguirsi in tutte le nostre Case di Artigiani, e vengan indicati i libri da leggere e spiegar nella scuola” – Delib. 3-4 CG, p. 20; cfr. circolare del 29.11.1902. 279 “Una volta alla settimana un Superiore faccia loro una lezione di buona condotta”. “Nessuno possa essere ammesso a scuole speciali, come di disegno, di lingua francese, musica strumentale ecc. se non è sufficientemente istruito nelle cose spettanti alle classi elementari” – Delib. sei primi CG, 315-316. 280 Atti e deliberazioni dell’Ottavo Capitolo Generale della Pia Società Salesiana, S. Benigno Canavese, Scuola Tipografica Salesiana 1899. 126 zioni letterarie, artistiche e scientifiche, che loro son necessarie (Delib. Distinzioni IV e VIII)281. Idea generale del programma Il tirocinio professionale dura cinque anni, e così cinque sono gli anni della scuola. Il quinquennio è diviso in due periodi, il primo di due anni e l’altro di tre. Nel primo periodo si insegnano le seguenti materie: religione, lingua nazionale, geografia, regole di buona creanza, igiene. Nel secondo: religione, disegno, storia naturale, fisica, chimica e meccanica, storia, lingua francese, computisteria, sociologia. La lingua francese è limitata ai due primi anni del secondo periodo e la computisteria al terzo. L’anno scolastico dura nove mesi e la scuola si fa tutti i giorni non impediti, compresi i festivi. La scuola, nei giorni feriali, dura non meno di un’ora, alla quale si fa sempre precedere o seguire mezz’ora di studio. Conforme a quanto è detto nelle Deliberazioni, sono da preferirsi per la scuola le ore pomeridiane, perché, seguendo l’orario comune delle nostre case, più lungo è il tratto, che corre dalla levata al mezzodì, che quello dal mezzodì all’ora del riposo e, assegnando la scuola al mattino, verrebbero ad essere troppe le ore del lavoro nel pomeriggio. Nei giorni festivi la lezione non deve durare meno di tre quarti d’ora. Orario settimanale Periodo I Anno 1 Lunedì – Lingua nazionale. Martedì – Geografia. Mercoledì – Aritmetica etc. Giovedì – Religione. Venerdì – Lingua nazionale. Sabato – Aritmetica etc. Domenica – Buona creanza. Anno 2 Lunedì – Lingua nazionale. Martedì – Geografia. Mercoledì – Geometria. Giovedì – Religione. 281 Cfr. “Dei Giovanni artigiani”, in Deliberazioni del Terzo e Quarto CG, 18-21; “Direzione dei giovani artigiani”, in Deliberazioni sei primi CG, 310-318. 127 Venerdì – Lingua nazionale. Sabato – Geometria. Domenica – Igiene. Periodo II Anno 1 Lunedì – Disegno. Martedì – Fisica, chimica e storia naturale. Mercoledì – Disegno. Giovedì – Religione. Venerdì – Storia. Sabato – Lingua francese. Domenica – Sociologia. Anno 2 Lunedì – Disegno. Martedì – Elettricità. Mercoledì – Disegno. Giovedì – Religione. Venerdì – Storia. Sabato – Lingua francese. Domenica – Sociologia. Anno 3 Lunedì – Disegno. Martedì – Meccanica. Mercoledì – Disegno. Giovedì – Religione. Venerdì – Storia. Sabato – Computisteria. Domenica – Sociologia. Materie d’insegnamento Religione Periodo I Testo – Piccolo catechismo ad uso delle diocesi di Lombardia e Piemonte. Anno 1 1. Orazioni del mattino e della sera, con qualche spiegazione a chiarirne il senso e l’opportunità. 2. I misteri dell’Unità e Trinità di Dio e della nostra Redenzio - ne. 3. I Comandamenti di Dio e della Chiesa. 4. Della penitenza. 5. Dell’eucaristia. 128 Anno 2 Tutto il Piccolo catechismo. Periodo II Testo – Compendio della Dottrina cristiana ad uso delle diocesi di Lombardia e Piemonte (Catechismo grande). Anno 1 1. La Dottrina cristiana e le sue parti principali. 2. Parte 1ª Del simbolo degli Apostoli. 3. Parte 2ª Dell’orazione. 4. Parte 3ª Dei comandamenti di Dio e della Chiesa. Anno 2 1. Parte 4ª Dei sacramenti. 2. Delle virtù. 3. Dei doni dello Spirito Santo. 4. Delle beatitudini evangeliche. 5. Delle opere di misericordia. 6. Dei peccati e delle loro specie principali. 7. Dell’esercizio del cristiano da farsi ogni giorno. Anno 3 Risposte alle obbiezioni più diffuse contro la religione. Testo – Mons. DE SÉGUR. Risposte etc.282, San Pier d’Arena, Libreria Salesiana, 1903. Lingua nazionale Programma Anno 1 Lezioni due per settimana 1. Le parti del discorso. 2. Coniugazione dei verbi regolari. 3. La proposizione semplice, complessa, composta. 4. Il periodo. 5. Esercizi di lettura e di analisi grammaticale e logica. 6. Lettere famigliari. Anno 2 1. Breve ripetizione di quello, che fu insegnato nell’anno procedente. 2. I ver - bi irregolari. 3. Lettere famigliari - lettere commerciali - racconti - descrizioni. Avvertenza. Si abbia cura particolare della calligrafia e dell’ortografia esigendo che la scrittura sia corretta, chiara ed intelligibile. 282 Si riferisce sicuramente all’opera del sac. francese Louis Gaston Adrien DE SEGUR (1820- 1881): Risposte brevi e famigliari alle obbiezioni più diffuse contro la religione di mons. Gastone de’ conti di Ségur, San Pier d’Arena, Tipografia Salesiana, 1903. 129 Studio della geografia Periodo I Anni 1 e 2 Un’ora per settimana Anno 1 1. Il globo terraqueo. 2. Terre ed acque. 3. Continenti - isole. 4. Monti - colline - valli. 5. Fiumi - torrenti - canali - laghi. 6. Poli - circoli massimi o minori. 7. Zone - climi - parti del globo. 8. Sistema solare. 9. Movimenti della terra - di rotazione - di rivoluzione - e loro effetti. 10. La luna - sue fasi - eclissi. Anno 2 1. L’Italia - sua forma. 2. Posizione geografica. 3. Sue isole princi pali. 4. Divisione dell’Italia in regioni. 5 Monti, valli, laghi, fiumi principali dell’Ita - lia. 6. Principali prodotti. 7. Città più ragguardevoli. 8. Principali vie di comunicazione coll’interno e coll’estero. Aritmetica e sistema metrico decimale Periodo I Anno 1 Lezioni due per settimana 1. Numerazione parlata e scritta. 2. Operazioni sui numeri intieri. 3. Le stesse operazioni sulle frazioni decimali. 4. Frazioni ordinarie. 5. Modo di ridurre le frazioni ordinarie in decimali. 6. Proporzioni. 7. Regole del tre - d’interesse - di società. 8. Sistema metrico decimale. 9. Misure lineari - di superficie di volume - di capacita - di peso - e valore. Elementi di geometria Periodo I Anno 2 Lezioni due per settimana 1. Linea - retta - spezzata - curva - mista - orizzontale - verticale - inclinata. 2. Linee parallele. 3. Linee convergenti - divergenti. 4. Linea perpendicolare - obliqua. Principali problemi relativi. 5. Angolo - retto - acuto - ottuso - rettilineo - curvilineo - mistilineo. 6. Angoli adiacenti - bisettrice. Principali problemi relativi. 7. Triangolo - equilatero - isoscele - scaleno - rettangolo - ottusangolo. 8. Ipotenusa - cateti. Problemi relativi. 9. Quadrilateri - quadrato - rettangolo - rombo - romboide - trapezio - simmetrico - diagonale. Problemi relativi. 10. Cir130 colo - circonferenza - neutro - diametro - raggio - segante - corda o sottesa - saetta - arco - segmento - settore - tangente - quadrante - corona circolare - circoli concentrici - eccentrici - tangenti. Problemi relativi. N.B. Si esercitino particolarmente gli allievi a ben distinguere i caratteri delle varie figure geometriche ed a farne la misurazione. Galateo Periodo I Anno 1 Regole di buona creanza. Una lezione per settimana. Igiene Periodo I Anno 2 Una lezione per settimana. 1. Igiene della persona - nettezza - positura e portamento della persona - ginnastica. 2. Igiene della nutrizione - temperanza - bevande spiritose - tabacco. 3. Igiene dei sensi - vista - udito. 4. Igiene del lavoro. 5. Igiene del vestire. 6. Igiene dell’abitazione. Scuola di disegno Corso comune Periodo II Anno 1 Due lezioni per settimana Disegno a mano libera - esercizi di geometria e facili applicazioni. 1. Tracciamento di linee, qualunque sia la loro forma e posizione, e divisione di esse in parti eguali (rette - verticali - orizzontali etc. curve parallele - simmetriche rispetto alla retta verticale od orizzontale - convesse - concave - serpeg gianti). 2. Tracciamento di angoli e divisione dei medesimi. 3. Disegno di figure geometri piane rettilinee (triangoli - quadrilateri - poligoni regolari) e curvilinee (circolo - elissi - ovale – ovolo - spirale circolare - spirale elittica). Considerazioni sul valore degli angoli, sulle bisettrici, sulle mediane, sull’altezza, sulla superficie, sul diametro, sul raggio etc. Applicazioni - facili motivi ornamentali inscritti nei poligoni - divisione della circonferenza in parti eguali o costruzione di poligoni stellati. 4. Disegno dei principali membri architettonici, di vasi semplici e di oggetti usuali a base geometrica. 131 Anno 2 Due lezioni per settimana Disegno geometrico cogli strumenti. Le lezioni di disegno geometrico saranno alternate, con quelle di disegno ornamentale ed in modo, che gli esercizi di geometria possano, per quanto è possibile, servire di preparazione a quelli di ornato. 1. Pratici ed elementari problemi grafici di geometria. 2. Applicazioni sul triangolo, quadrato, pentagono, esagono etc. (motivi geometrici - scompartì di pavimenti e soffitti ecc.). 3. Costruzione dei principali membri architettonici. 4. Copia di disegni - riduzione dei disegni. Disegno a mano libera. 1. Ornato a semplice contorno a matita e a penna da modelli eseguiti sulla lavagna o da tavole murali. 2. Ornato con cenno di ombreggiatura. Anno 3 Due lezioni per settimana a) Disegno geometrico cogli strumenti - Una lezione per settimana. 1. Elementi, di proiezioni - rappresentazione dei solidi geometrici sui due piani di posizione. Pianta prospetto - profilo e sezioni di un oggetto. 2. Scale di proporzione (semplici e triconiche) - riduzione dei disegni in iscala - rilevare dal vero oggetti con misura in iscala. 3. Prospettiva parallela dei principali solidi geometrici e degli oggetti più comuni. b) Disegno a mano libera - Una lezione per settimana. 1. Copia di disegni adatti a ciascun arte o mestiere. 2. Disegno a memoria di oggetti già fatti. 3. Semplici composizioni adatte ai singoli mestieri. Storia Periodo II Anno 1 Una lezione per settimana 1. Roma e il suo impero sotto Cesare Augusto. 2. La vita di Gesù Cristo e le sue dottrine. 3. La Chiesa. 4. La diffusione del Vangelo. 5. La persecuzioni e i martiri. 6. Costantino e la pace della Chiesa. 7. L’Arianesimo. 8. Giuliano l’Apostata. 9. I Barbari. 10. Caduta dell’Impero di Occidente. 11. Monachismo. 12. I Longobardi. 13. I Franchi. 14. Carlo Magno e l’Impero Cristiano. Anno 2 Una lezione per settimana 1. Maometto e diffusione dell’Islamismo. 2. Lo Scisma d’Oriente. 3. Le Crociate. 4. La lotta fra il Sacerdozio e l’Impero. 5. Risorgimento delle lettere e 132 delle arti. 6. Dante Alighieri e Giotto. 7. Invenzione della bussola, della polvere, della stampa. 8. Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America. 9. Lutero e l’eresia protestante. 10. Arrigo VIII e lo scisma d’Inghilterra. 11. Calvino - Gli Ugonotti in Francia. 12. La strage di S. Bartolomeo. 13. I papi del secolo decimosesto. 14. Concilio di Trento. 15. Il secolo d’oro delle lettere e delle arti. 16. Ariosto - Tasso - Raffaello - Michelangelo. 17. La Dominazione spagnuola. 18. L’Inquisizione di Spagna. 19. Progresso delle scienze positive. 20. Galileo Galilei. Anno 3 Una lezione per settimana 1. Gli Enciclopedisti. 2. La Rivoluzione francese. 3. Napoleone I. 4. La Ristaurazione del 1815. 5. Le società segrete. 6. Rivoluzione del 1821. 7. Rivoluzione del 1831. 8. Pio IX. 9. Il 1848. 10. Il 1849. 11. Il 1859. 12. Il 1860. 13. Il 1866. 14. Il 1870. Studio della fisica Storia naturale e meccanica Periodo II Anno 1 Nozioni di fisica, chimica e storia naturale. a) Fisica - Una lezione per settimana. 1. Corpo - estensione - in compenetrabilità - figurabilità dei corpi. 2. Vari stati dei corpi - solidi, liquidi, aeriformi. 3. Divisibilità, dilatabilità, compressibilità, elasticità, porosità dei corpi - barometro, manometro. 4. Calore - sorgenti di calore - termometro. 5. Propagazione del calore - corpi più o meno conduttori del calore. 6. Effetti del calore - fusione dei corpi - ebollizione - evaporazione. b) Chimica. 1. Corpi semplici e corpi composti - combinazioni e miscugli. 2. Metalli e metalloidi. 3. Acqua - aria - ossigeno - idrogeno - azoto. 4. Carbonio - anidride carbonica - ossido di carbonio - idrocarburi. 5. Zolfo - cloro - fosforo. 6. Ferro - rame - stagno - piombo - zinco - mercurio oro - argento - platino - alluminio - nichelio - magnesio. 7. Leghe - ottone - bronzo etc. - amalgamo. c) Storia naturale. 1. I tre regni della natura. 2. Minerali - loro caratteri. 3. Vegetali - loro caratteri. 4. Parti della pianta. - radice - fusto - rami - foglie - fiori - frutti - loro funzioni. 5. Principali piante industriali. 6. Animali - loro caratteri - specie. 7. L’uomo - caratteri, che lo innalzano al disopra delle specie inferiori - famiglie o razze diverse - unità della specie umana. 133 Anno 2 Una lezione per settimana Nozioni sull’elettricità. 1. Calamita - sue proprietà - sue parti - poli - linea neutra - forza. 2. Magnetismo terrestre - ago magnetico bussola. 3. Linee di forza - campo magnetico. 4. Elettricità - sorgenti di elettricità - macchine elettriche - condensatori. 5. Pila - sue parti - elettrodi - circuiti e conduttori - isolanti. 6. Principali specie di pile - accumulatori. 7. Modo di misurare lo correnti - galvanometro - amperometro. 8. Resistenza, elettrica - reostati. 9. Forza elettromotrice - voltametro. 10. Legge di Ohm. 11. Elettrocalamite - correnti indotte. 12. Modo di ottenere la corrente in un circuito esterno - collettore - indotto. 13. Idea della dinamo - macchine magneto elettriche. 14. Applicazioni - il telegrafo - il telefono - l’illuminazione elettrica - i motori elettrici. Anno 3 Meccanica - Lezione una per settimana. 1. Moto - elementi del moto - traiettoria - spazio - tempo - inerzia. 2. Varie specie di moto - rettilineo - curvilineo - mistilineo - uniformo - vario - moto composto. 3. Forza - elementi delle forze - punto di azione - direzione - intensità. 4. Misura delle forze. 5. Composizione o scomposizione delle forze - teoremi principali. 6. Gravità - sua direzione - filo a piombo. 7. Centro di gravità - determinazione sperimentale del centro di gravità. 8. Equilibrio - stabile - instabile - dei corpi appoggiati o sospesi. 9. Caduta dei corpi nell’aria - principali teoremi relativi. 10. Lavoro - suoi elementi. 11. Misura del lavoro - chilogrammetro - cavallo vapore. 12. Macchine semplici. 13. La leva - fulcro - bracci - potenza - resistenza - teoremi relativi. 14. Varie specie di leva. 15. Strumenti riferibili alla leva. 16. Bilancia ordinaria - sue parti - norme pratiche per riconoscerne l’esattezza. 17. Puleggia - condizioni di equilibrio nella puleggia fissa. 18. Sistema di puleggie mobili - condizioni di equilibrio. 19. Condizioni di equilibrio in un sistema di puleggie metà fisse e metà mobili. 20. Argano o verricello. 21. Sistemi di leve - sistemi di ruote dentate. 22. Piano inclinato. 23. Vite. 24. Pendolo. 25. Resistenze passive. Studio della lingua francese Periodo II I due primi anni - Una lezione per settimana. Anno 1 1. Regole della pronuncia e dell’ortografia - esercizi di lettura e scrittura. 2. Studio delle parti, del discorso fino ai verbi ausiliari inclusive. Esercizi facili di nomenclatura e di versione a voce e per iscritto. 134 Anno 2 1. Ripetizione delle materie precedenti. 2. Studio della coniugazione dei verbi regolari. 3. Principali verbi irregolari. 4. Esercizi di nomenclatura e di versione a voce e per iscritto, e brevi componimenti. NB. In tutti questi esercizi si abbia cura di far rilevare le principali regole della sintassi e si esercitino gli allievi sulla coniugazione dei verbi irregolari. Nozioni di computisteria Periodo II Anno 3 Una lezione per settimana Parte I 1. Il patrimonio. 2. Del commercio in generale. 3. Commercio rurale - mercantile - industriale - bancario. 4. L’amministrazione - sua necessità. 5. Atti amministrativi. 6. Libri o registri necessari per tener conto degli atti amministrativi. 7. Libri prescritti dal codice di commercio - giornale - libro degli inventari - copialettere. 8. Libri computistici - prima nota o brogliazzo - libro cassa - libro mastro. 9. Libri ausiliari - libri consegnatari - libri scadenzarli - bollarli e ricevute. Parte II 1. Scrittura in generale. 2. Scrittura semplice - suoi caratteri - sua convenienza. 3. Libri usati in ordine cronologico e in ordine sistematico - registrazione di apertura - registrazione degli atti amministrativi - verificazione delle registrazioni - registrazione di chiusura - inventario e rendiconto finale. 4. Scrittura doppia - suoi caratteri - differenza fra la scrittura semplice e la doppia - maggior convenienza di questa. 5. Libri usati in ordine cronologico e in ordine sistematico. 6. Conti da aprirsi in scrittura doppia - registrazione degli atti amministrativi - verificazione della registrazione - errori e correzioni - registrazione di chiusura - inventario e rendiconto finale. Nozioni di sociologia Periodo II Anno 1 Una lezione per settimana 1. La persona umana - sua destinazione - sua dignità - diritti e doveri. 2. Origine della Società. 3. La Famiglia. 4. Lo Stato. 5. I poteri dello Stato - estensione e limiti. 6. La Religione - la Chiesa - relazioni tra Chiesa e Stato. 135 Anno 2 Una lezione per settimana 1. La proprietà - diritto di proprietà - suo fondamento - suoi limiti. 2. Il lavoro - scopo naturale del lavoro - obbligo - limiti. 3. Rimunerazione del. lavoro - salario - norme secondo le quali deve determinarsi il salario. 4. Il capitale - sua origine ed onestà. 5. Relazione tra capitale e lavoro. 6. Doveri vicendevoli tra padroni ed operai. Anno 3 Una lezione per settimana 1. Il socialismo contemporaneo - cause che l’hanno generato. 2. False idee sulla natura e destinazione dell’uomo. 3. Negazione di Dio e della Provvidenza. 4. Errori riguardo al diritto di proprietà. 5. Errori riguardo al lavoro. 6. Errori riguardo ai poteri dello Stato. 7. Errori economici del socialismo. 8. Fallacia delle sue promesse. Libri di testo proposti agli allievi ed ai maestri Lingua italiana – L. M. MONTRÉSOR, Grammatica Italiana ad uso delle classi elementari. (Roma, Scuola Tip. Salesiana. Pr. L. 0,50). Geografia – Pietro VALLE, La cosmografia e la geografia insegnate agli alunni delle scuole elementari, Vol. 3° (Milano, Enrico Trevisini Edit. Pr. L. 0,50). Aritmetica, ecc. – Pietro SCOTTI, Elementi di aritmetica pratica ad uso del ginnasio inferiore. (Torino, Libreria Buona Stampa. Pr. L. 1). – Roberto CHIERICI, Nuove lezioni di aritmetica, ecc. proposte alle scuole elementari rurali. (Parma, Libreria Salesiana, già Fiaccadori. L. 0,20). Geometria – Pietro SCOTTI, Elementi di geometria intuitiva ad uso del ginnasio inferiore e dei corsi complementari. (Torino, Libreria Buona Stampa. Pr. L. 1). – Elementi di geometria. Biblioteca del Popolo. (Milano, Soc. Editrice Sonzogno. Pr. L. 0,15). Galateo – Sac. Luigi CHIAVARINO, Il piccolo galateo. (Torino, Libreria Buona Stampa. Pr. L. 0,30). – SOAVE [Francesco], Compendio dei doveri sociali e dei precetti di civiltà. (Parma, Tip. Salesiana, già Fiaccadori. L. 0,10). 136 Igiene – Anacleto GHIONE, Igiene popolare. (Torino, Libreria Buona Stampa). Storia – Don Bosco, Storia d’Italia283. Nella Storia d’Italia di don Bosco si trovano sufficientemente svolti i punti accennati nel programma. Sarebbe conveniente che questo libro andasse nelle mani di tutti i nostri artigiani e divenisse loro gradita lettura. Alcuni punti di Storia della Chiesa possono essere completati colla Storia ecclesiastica del medesimo autore. Disegno – Metodo d’insegnamento per i maestri. – Camillo BOITO, I principii del disegno e gli stili dell’ornamento. (Manuale Hoepli. Pr. L. 2) – Testo per i Maestri: Corso elementare di disegno geometrico di Augusto GARNERI. (Roma, Augusto Garneri, Via Frattina, 34. Parte 1ª Fasc. 1° L. 0,50 - 2° L. 0,60 - 3° L. 1. Parte 2ª L. 2. Parte 3ª L. 1). Fu stampata dalla Tipografia Salesiana di Torino la prima parte di un corso di Disegno per falegnami e fabbri. I maestri potranno giovarsene per trarne modelli ed esercizi di quelle due arti. Gli allievi del 1° anno non abbisognano di testo. Per quelli del 2° e del 3° anno si suggerisce il Disegno elementare. Parte 1ª e parte 2ª dei Prof. C. GELATI e R. PENNINI. (Torino, Paravia). Fisica – Ing. Carlo PERETTI, Nozioni elementari di fisica. (Torino, Collegio Artigianelli. Pr. L. 0,05). – Elementi di fisica. Biblioteca del Popolo. (Milano, Soc. Edit. Sonzogno. Pr. L. 0,15). Chimica – Ing. Carlo PERETTI, Nozioni elementari di chimica. (Torino, Collegio Artigianelli. Pr. L. 0,05). – Elementi di chimica. Biblioteca del Popolo. (Milano, Soc. Edit. Sonzogno. Pr. L. 0,15). Meccanica – Elementi di meccanica. Biblioteca del Popolo. (Milano, Soc. Editr. Sonzogno. Pr. L. 0,15). 283 Quest’opera fu pubblicata da don Bosco nel 1855: La storia d’Italia raccontata alla gioventù da’ suoi primi abitatori sino ai nostri giorni corredata da una carta geografica d’Italia dal sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tipografia Paravia e Compagnia 1855. Ebbe numerose edizioni: la 20ª fu pubblicata nel 1888. 137 Elettricità – Nozioni elementari di elettrotecnica del Dott. L. PASQUALINI. (Genova, Tip. R. Istituto Sordomuti. Pr. L. 1,30). Lingua francese – Roberto PRUSSO, Corso tecnico di lingua francese. (Torino, Libreria Buona Stampa. L. 0,60). – GHIOTTI e DOGLIANI, La nomenclature en action. (Torino, Libreria Petrini, Pr. L. 1,50). Questo libro sufficiente per la parte grammaticale, si raccomanda per la copia e bontà degli esercizi e per l’abbondante nomenclatura, che dispensa quasi dall’uso del vocabolario. Computisteria – Dott. Giorgio MARCHESINI, Compendio di ragioneria generale. (Udine, Tip. Editrice di Domenico del Bianco. Pr. L. 3). – G.B. DIVIZIA, Nozioni di computisteria per le scuole complementari e normali in due parti. (Ditta G. P. Paravia. Pr. 1ª parte, L. 1,20; 2ª parte L. 1,20). Sociologia (per gli allievi). – Manuale sociale cristiano compilato da una deputazione di studi sociali della Diocesi di Soissons sotto la presidenza del Can. Deohn. Traduzione italiana del Can. Dott. Roberto Puccini. (Siena, Tip. Editrice S. Bernardino. L. 1,50). Sociologia (per i maestri). – LIBERATORE, Principii di economia cristiana. (Roma, Tip. A.Befani. Pr. L. 4). – CATHREIN [Viktor], Il socialismo, suo valore teorico-pratico. (Torino, Edit. Fratelli Bocca. Pr. L. 2). – Prof. G [Giuseppe] BALLERINI, Analisi del socialismo contemporaneo. (Siena, Tip. Editr. S. Bernardino. Pr. L. 2). – BARATTA, Principii di sociologia cristiana. (Parma, Tip. Salesiana. Pr. L. 1,50). 5. Esami di promozione dei giovani artigiani (1903) Norme da seguire negli esami di promozione dei giovani artigiani in conformità del nuovo programma professionale284 1. Gli esami si daranno alla metà ed al fine dell’anno professionale. 284 ASC E481, Bertello, (1903), 26 (ed. a stampa). Nella circolare mensile del 28 febbraio 1903, don Bertello scrive: “1. Manda le norme da seguire negli esami di promozione dei giovani artigiani in conformità del nuovo Programma professionale; e prega i direttori a volerne procurare l’attuazione”. 138 2. Anche in altri tempi potranno i capi col consenso del direttore, ammettere qualche allievo all’esame. Ciò potrà avvenire: a) Quando entri in un laboratorio un giovane, che abbia fatto altrove parte del tirocinio e sia necessario constatare l’abilità per classificarlo; b) Quando, essendo fallito un allievo nell’esame ordinario, non si creda conveniente fargli ritardare la prova per un intero semestre; c) Nel caso che qualche allievo, fornito d’ingegno e di applicazione più che ordinaria, meriti di essere ammesso avanti tempo ad un grado superiore e così abbreviare la durata del tirocinio. 3. Gli esami si daranno nella forma seguente: a) Si assegnerà per compito all’allievo uno dei lavori compresi nel periodo del programma, che egli sta percorrendo, e, lasciandolo libero da ogni altro impegno, e sorvegliandolo perché non sia in alcuna maniera disturbato o coadiuvato, si terrà conto esatto del tempo, che egli impiegherà a finirlo; b) consegnato il lavoro, il direttore, o chi per lui, penserà alla commissione, che lo deve giudicare. 4. Questa dovrà comporsi del capo-ufficio per la direzione del maestro di laboratorio come presidente, o del prefetto, dove non vi sia ancora il detto capo-ufficio, del capo e di due altri maestri della medesima arte. I maestri potranno chiamarsi dalle case salesiane più vicine, oppure anche scegliersi tra maestri d’arte esterni. 5. L’esame avrà per oggetto: a) La difficoltà del lavoro in sé; b) La perfezione e finitezza, con cui fu eseguito; c) Il tempo impiegato ad eseguirlo; d) La esposizione fatta a voce dall’allievo delle norme secondo le quali doveva eseguirsi il lavoro, delle qualità dei materiali usati e di quelle altre nozioni teoriche, che l’allievo deve aver appreso durante quel periodo di tirocinio. 6. Solo quando un lavoro della difficoltà richiesta sia stato dall’allievo eseguito con sufficiente perfezione ed in un tempo normale potrà dar luogo alla promozione dall’uno all’altro periodo, oppure dall’uno all’altro corso del tirocinio. 7. I membri della commissione, dopo aver esaminato insieme il lavoro, udito l’allievo e discusso circa il suo merito, daranno ciascuno il proprio voto espresso in decimi. 8. Per la promozione si dovrà ottenere una media non inferiore a sei. 9. I voti di promozione saranno conservati in un registro e scritti negli attestati da consegnarsi agli allievi od ai loro parenti. 139 6. Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di Valdocco285 (1904) Alcune ragioni per le quali si crede che l’Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino – Via Cottolengo N. 32, abbia la qualità e meriti il nome di Scuola Professionale e non di opificio industriale. 1. Articolo fondamentale del nostro Regolamento è il seguente: i nostri laboratori non abbiano scopo di lucro; ma siano vere scuole d’arti e mestieri. 2. Abbiamo due programmi: a) uno per l’istruzione da darsi a tutti gli allievi operai fuori di laboratorio; b) ed uno per guidare i giovani all’apprendimento di ciascun’arte. Il primo comprende un corso di Lingua Nazionale, di Geografia, di Storia, di Aritmetica, di Geometria, di Disegno, di Fisica, Chimica e Storia Naturale, di Sociologia, di Buona creanza, d’Igiene, di Computisteria, di Lingua Francese e di Religione. Questo programma, come si vede, forma un corredo di coltura generale da fornirsi a tutti gli allievi senza distinzione di arte o mestiere. Il secondo, vario secondo il numero delle arti e dei mestieri, è diviso in cinque anni o corsi di tirocinio ed ogni corso in due periodi o semestri. In questo programma sono indicate progressivamente le cognizioni che ogni allievo deve apprendere ed i lavori, a cui deve applicarsi per riuscire operaio perfetto. Il programma si svolge nel laboratorio ed è oggetto dell’insegnamento di ciascun maestro d’arte e de’ suoi assistenti, il cui incarico, dice il Regolamento, è di ammaestrare i giovani della casa nell’arte cui sono destinati dai superiori286. Esso abbraccia non solo l’esecuzione dei lavori; ma l’insegnamento orale e scritto: a) Delle norme pratiche, secondo le quali ogni lavoro deve essere eseguito. b) Della conoscenza degli strumenti e del modo più conveniente di usarli, prepararli e conservarli. c) Della materia usata nei lavori, delle sue varie specie, qualità e prezzi. d) Della rappresentazione figurata dei vari lavori nell’insieme, nelle parti e nelle sezioni; delle misure, degli ingrandimenti e riduzioni, delle varie maniere di commettere le parti ecc., richiamando le cognizioni apprese nel corso di coltura generale, ampliandole al bisogno e riducendole alla pratica. e) Delle varie forme e stili antichi e moderni nei quali si è manifestata quell’arte. f) Delle macchine, che possono essere di aiuto all’uomo nell’esercizio della sua arte e del loro uso. g) Del modo di fare il preventivo e stabilire il prezzo dei lavori. h) Delle piazze, dove si acquistano i materiali e si smerciano i lavori e dei modi da usare coi fornitori e coi clienti. i) Dei punti principali della legislazione e delle buon consuetudini commerciali. 285 ASC B513, Consiglio Generale Cons. Professionale Bertello ms. allog. con corr aut. 2 f. (1904). Il titolo è tratto dalle prime righe dello scritto. 286 Regolamento per le case (capo VII, 1), p. 35. 140 3. Il maestro d’arte (che presta l’opera sua gratuitamente, oppure è pagato con onorario fisso e non percepisce alcun lucro sui lavori de’ suoi allievi), ora dà l’insegnamento a tutti gli allievi insieme riuniti, ora a ciascun corso o sezione, ed ora a ciascun allievo in particolare. All’istruzione poi tien dietro la continua sorveglianza nell’esecuzione dei lavori assegnati, la correzione dei medesimi, e la ripetizione degli insegnamenti e delle prove, come suol farsi in tutte le scuole. Il maestro deve seguire passo passo i progressi de’ suoi allievi, concretarli in un voto settimanale, voto che avrà il suo controllo nell’esame, che ogni allievo deve subire davanti ad un’apposita Commissione al fine di ogni semestre. 4. Poste le quali cose, ognun vede che il tempo che i nostri allievi passano nei locali dei laboratori (cioè le circa otto ore segnate nell’orario) non è di lavoro, ma tempo convenientemente distribuito tra l’insegnamento teorico e l’esercizio pratico dell’arte, e che perciò questo tempo non è un motivo, per cui si neghi alle nostre il titolo e la qualità di Scuole professionali, poiché non pare che debba essere il luogo quello che dà la qualità; ma l’esercizio e l’opera che in esso si compie. Se poi ci si domanda perché si diano in laboratorio e si alternino in esso l’insegnamento teorico e l’esercizio pratico, diremo chiaramente che a noi pare questo il modo più adatto e più efficace per formare degli operai abili e laboriosi e riteniamo che il dividere in modo assoluto due insegnamenti, sia quanto al tempo, sia quanto al luogo, mentre darà forse all’operaio un’idea esagerata del suo sapere, non gli darà né l’amore all’officina, né l’abitudine e la costanza necessaria per rimanervi tutta la giornata. 5. Che poi nei nostri istituti si miri sul serio all’istruzione degli allievi e non al lucro potrebbe agevolmente certificarsene chi volesse osservare che le nostre Scuole professionali, nonostante il sacrifizio personale di quelli che vi sono addetti, nonostante la piccola quota, che pagano taluni dei parenti degli allievi, sono ogni anno finnanziarmente passive e ci tocca ricorrere alla carità delle persone benefiche per colmarne il deficit. 6. Né si tolga motivo ad affermare il contrario dal fatto che noi diamo ai nostri allievi una mancia proporzionata al loro grado di abilità ed alla loro applicazione; perché, se si osserva il modo che da noi si tiene nel computare questa mancia, si vedrà che essa non corrisponde ad un lavoro fatto e ad un guadagno procurato alla casa: ma alla diligenza e al buon contegno tenuto nell’officina. Essa è perciò un mezzo di incoraggiare gli allievi e procurar loro un vantaggio materiale per il tempo che dovranno uscire; ma, quanto alla casa, viene a convertirsi in una vera passività da colmarsi anch’essa nel modo sopra detto. Il che apparirà più evidente se si considera che, posta l’applicazione nel compiere il proprio dovere, la mancia rimane la stessa, sia che abbondi il lavoro sia che scarseggi, sia che si dia la prevalenza all’insegnamento teorico, sia che si lasci il suo posto l’esercizio pratico. [Giuseppe Bertello] 141 7. Orientamenti pedagogico-didattici per i maestri d’arte Alcuni avvertimenti di pedagogia per uso dei maestri d’arte della Pia Società Salesiana (1907)287 L’ufficio del maestro d’arte Il maestro d’arte si faccia un giusto concetto della nobiltà ed importanza del suo officio. Come maestro e superiore egli ha naturalmente una grande autorità sopra i giovani a lui affidati. Essi lo riguardano quale possessore e depositario dell’arte, che essi vogliono imparare e che dovrà essere il sostegno e l’onore della loro vita. Attingere a quella sorgente, appropriarsi quei tesori, ecco il pensiero dei buoni allievi, che si reputano tanto più fortunati quanto più si elevano per quella scala, che li rende simili e tende a farli uguali al loro maestro. Egli poi ha nelle sue mani l’avvenire di quei giovanetti e la sorte delle loro famiglie. Dipende da lui e dal modo come egli saprà e vorrà compiere 1’ufficio suo il farne dei buoni operai e degli uomini dabbene. L’arte la devono ricevere da lui. Potranno è vero, progredire in seguito, e per proprio studio, e per l’insegnamento di altri; ma il primo indirizzo, l’amore all’arte, l’abitudine al lavoro li ricevono durante il tirocinio e non senza grandi sforzi e considerevole perdita di tempo si rimedia ai difetti di quello. A questo bisogna che pensi seriamente il maestro d’arte per avere l’idea della sua alta missione e della grave responsabilità che gl’incombe. Né solo a questo. È vero che egli non ha il compito diretto d’insegnare agli allievi la religione e la moralità; ma pure dipenderà in gran parte da lui il fare che essi crescano religiosi ed onesti. Infatti dipende da lui la disciplina del laboratorio e perciò sta nelle sue mani l’impedire ogni atto ed ogni discorso sconveniente e l’esigere che si compiano da tutti colla debita serietà gli atti di religione prescritti dal Regolamento e si adempiano i doveri di giustizia, di carità e di buona creanza verso tutti. Ed egli, come superiore che gode tutta la stima degli allievi, forma il modello principale, in cui essi s’inspirano e passando in mezzo a loro la più gran parte della giornata, durante i lunghi anni del tirocinio, che sogliono essere quelli, nei quali si formano il carattere ed i costumi dei giovani, è evidente che il suo contegno ed il suo fare hanno una grande efficacia e sono il fattore principale della loro educazione. Egli adunque può fare non solo degli operai abili; ma anche degli uomini onesti e dei buoni cristiani. Quanto studio deve adunque mettere un maestro d’arte per tenere alla presenza de’ suoi allievi un contegno esemplare per onestà e buona creanza! 287 Alcuni avvertimenti di pedagogia per uso di maestri d’arte della Pia Società Salesiana, Torino, Tipografia Salesiana, 1907; Testo pubblicato anche in SCUOLE PROFESSIONALI E AGRICOLE SALESIANE, Arti metallurgiche. Fabbri ferrai - meccanici fonditori - elettricisti. Programmi, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1921, 99-104. 142 Quello che deve sapere e insegnare il maestro d’arte 1. Il maestro deve conoscere bene l’arte sua e quanto ad essa si riferisce. Se no, come potrebbe insegnarla? 2. Egli deve conoscerla in ogni sua parte, affinché l’istruzione riesca completa. 3. Deve saper analizzarla nei suoi elementi, giudicare quali elementi siano più facili, e quali più difficili, quali si debbano conoscere prima come preparazione alla notizia degli altri, affinché il suo insegnamento riesca ordinato e progressivo. 4. E siccome in tutte le arti si verifica una trasformazione ed un progresso continuo, dovere del maestro è tenersi informato di queste novità e trarne partito a benefizio de’ suoi allievi. 5. Bisogna quindi che il maestro abbia sempre dinanzi agli occhi due cose, da una parte il punto d’istruzione e di abilità, a cui è giunto il suo allievo, e dall’altra le cognizioni, che alle cose già imparate si connettono immediatamente e ne sono la continuazione naturale, a fine di evitare i salti e le interruzioni, che porterebbero lacune e confusione nella mente. 6. Due sono le parti che deve compiere il maestro di arte, cioè dire come le cose vogliono essere fatte, e dimostrarlo coll’opera. Non basta che il maestro, come bravo artista, sappia fare ed eseguire i lavori e le operazioni nelle quali esercita i suoi allievi; ma deve possedere in qualche grado l’arte della parola e sapere chiamare le cose col loro nome, formulare e chiarire le regole dell’arte ed esprimere convenientemente i suoi giudizi sulle opere altrui. 7. Deve poi il maestro essere ben persuaso, che, per quanto grande possa essere la sua conoscenza dell’arte, le sue lezioni non riusciranno chiare ed efficaci senza la preparazione prossima. Bisogna, volta per volta, sapere quali cose siano più opportune ad insegnarsi ed in qual modo convenga presentarle all’allievo, affinché egli le comprenda distintamente e prontamente le faccia sue. 8. Non sempre ì giovani intenderanno alla prima quello, che loro s’insegna, o lo potranno facilmente dimenticare. Deve quindi il maestro fare le ripetizioni a tempo opportuno, in guisa da aiutare la memoria degli allievi, senza annoiarli. Deve fare le domande, proporre gli esercizi, che meglio rispondono allo stato d’istruzione, che gli allievi già possiedono. 9. Perciò non trascuri mai il maestro di preparare in antecedenza la sua lezione e di presentarsi coll’idea ben definita e precisa di ciò che vuole insegnare. Questo farà che egli si mostri più franco e sereno e l’istruzione gli esca di bocca chiara ed ordinata e nella giusta misura, senza incertezze e senza divagazioni. Metodo nell’insegnare 1. Quando i giovani entrano nuovi nel laboratorio per incominciare il tirocinio, il maestro si persuada di avere dinanzi delle buone volontà e forse anche della stoffa atta a formare dei bravi operai; ma che essi sono affatto al buio di tutto ciò, che si appartiene all’arte da imparare. Però, incominciando il suo insegnamento, 143 non supponga che questa o quella cosa sia già nota, non ometta di insegnare nulla, non lasci nulla di sottinteso; ma, partendo dalle cose più facili ed elementari, dica tutto e si assicuri che i suoi allievi abbiano tutto compreso e ritenuto. Alle volte un’omissione costituisce un vuoto, che l’allievo non può valicare, la mancanza di un anello nella catena, per cui le parti non si possono riunire. 2. Le maggiori difficoltà l’allievo le incontra sul principio, quando non ha ancora nessuna famigliarità colle cose dell’arte. Perciò il maestro vada adagio, limiti le sue istruzioni, ripeta e faccia ripetere e non proceda innanzi se non é ben sicuro di essere stato compreso. Posti bene i principi e introdotto l’allievo nella conoscenza del suo piccolo mondo, si potrà camminare più speditamente. 3. L’insegnamento sia il più possibile oggettivo. Vale a dire, il maestro non si diffonda soverchiamente in discorsi ed in astrazioni; ma presenti agli occhi degli allievi l’oggetto e poi ne dica il nome, le proprietà, i pregi e i difetti; dica la regola secondo la quale deve eseguirsi un lavoro e nello stesso tempo lo faccia, o metta sotto gli occhi dell’allievo un esemplare dell’oggetto già fatto od almeno disegnato. 4. Quindi la necessità di un piccolo museo, ossia di una raccolta di materiali, di modelli in figura, di oggetti e parti di oggetti da presentare agli allievi a fine di agevolarne la conoscenza. 5. Non si dia all’allievo un lavoro, dicendogli: Fa; quando egli non ha alcuna notizia del modo, come deve fare. Questo gli farebbe perdere molto tempo e lo porterebbe a commettere molti sbagli, prima di aver trovato la buona via. Ma, prima di metterlo a fare, gli si insegni il modo di far bene e si richieda che faccia conforme alle norme date. Solo quando egli sia bene innanzi nell’arte si potrà qualche volta abbandonarlo a sé, per istimolare la sua iniziativa e porgergli occasione di manifestare le qualità del suo ingegno. 6. Nell’esaminare e correggere i lavori degli allievi, richiami sempre le norme date e faccia risaltare come, a seguirle fedelmente, il lavoro riesce bene, e i suoi difetti nascono dall’averle trasgredite. 7. Per formare il gusto artistico negli allievi gioverà avere una raccolta di buoni modelli che gli allievi osservino da sé e il maestro, esaminandoli a parte e mettendone in rilievo i pregi, spieghi le intime ragioni della loro bellezza. 8. Scopo del maestro deve essere di portare i suoi allievi a fare, a fare bene ed a far presto i lavori della propria arte. A questo non si giunge se, oltre l’insegnamento ben fatto, non vi sarà attenzione, impegno e perseveranza da parte loro. Procuri adunque di tener desta l’attenzione con opportune domande, che mettano l’allievo nella necessità di riflettere e capire per non sfigurare; ecciti la diligenza colla prospettiva dei vantaggi e coll’emulazione. 9. A dare poi la perseveranza usi una certa severità nel giudicare le opere degli allievi, severità che, senza gettare nello scoraggiamento, dimostri quanto resti a fare per raggiungere quel grado di perfezione, che altri hanno raggiunto e che è necessaria a sostenere la concorrenza nelle difficili lotte della vita. 144 10. Un pericolo grave per i tirocinanti è che, attratti dalle lusinghe di un pronto guadagno e dal desiderio di una vita più libera, abbandonino la scuola prima che sia finito il corso d’istruzione. Il maestro combatta questa tendenza col rappresentare ai suoi allievi quanto manchi ad essi per essere operai perfetti; faccia conoscere il pericolo a cui si espongono di non poter mai più compiere la loro educazione professionale e quindi di rimanere per tutta la vita in una condizione inferiore a quella dei loro compagni, condizione che, colle umiliazioni e coi danni continui ed irreparabili, farà loro scontare a caro prezzo i vantaggi effimeri del momento. Disciplina 1. Per compiere autorevolmente ed efficacemente il suo uffizio il maestro d’arte deve godere la stima e il rispetto de’ suoi allievi ed averli docili ed ubbidienti. 2. A questo fine: a) Egli, ben preparato all’insegnamento, senza alterigia e senza sussiego, dimostri nel contegno e nel parlare la franchezza e la disinvoltura di chi conosce il fatto suo e sente la sua dignità di superiore. b) Il suo insegnamento sia chiaro, le sue risposte precise, i suoi comandi risoluti, come di chi non sospetta neppure che possano essere contrastati o trasgrediti. c) Non alzi troppo la voce; non si metta mai a contendere cogli allievi. Ai rispettosi risponda con bontà, li corregga con dolcezza; agli insolenti uno sguardo, un cenno, un silenzio significativo facciano intendere che bisogna mutar tono. d) Si dimostri con tutti benevolo senza sdolcinature, giusto senza durezza e senza puntigli. e) Non s’inquieti per la leggerezza degli allievi, non si stanchi di ripetere spesso gli stessi avvertimenti. Ricordi sempre che non ha da fare con degli uomini adulti, e posati; ma con dei ragazzi, a cui è naturale la leggerezza, la divagazione, la voglia di scherzare e divertirsi; con dei ragazzi che non riescono senza un grande sforzo a tener ferma la persona in un luogo e raccogliere sopra un oggetto i sensi ed i pensieri. Bisogna sapere a tempo incoraggiarli nei loro sforzi e compatirli nelle loro debolezze. f) Si studi di conoscere l’indole de’ suoi allievi, per usare con loro i modi più convenienti. Certi temperamenti fiacchi, propensi all’inerzia, quasi insensibili alla voce del dovere e allo stimolo dell’emulazione, hanno bisogno di un trattamento più energico che scuotendo la loro indolenza, li spinga ed abitui a poco a poco al lavoro. Altri per contro, vivaci e impetuosi, ma facili allo scoraggiamento, debbono essere guidati con mano dolce, corretti amorevolmente e incoraggiati nelle frequenti disdette. Con questi principalmente il maestro badi a cogliere il momento opportuno per fare le correzioni. Esse non avrebbero effetto quando un giovane è fortemente turbato dalla passione. Conviene aspettare che cessi la burrasca e torni il sereno nella mente e nel cuore. 145 3. Ricordi il maestro che il sistema preventivo tanto raccomandato da don Bosco consiste innanzi tutto nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile dei superiori, che come padri amorosi parlino, servano di guida in ogni caso, diano consigli ed amorevolmente correggano. Se manca questa paterna e costante sorveglianza, che importa la presenza continua e la coscienziosa e prudente vigilanza del maestro nel laboratorio, avverranno dei disordini, pei quali si farà necessaria la repressione; ma la colpa non sarà tutta degli allievi. 4. E siccome un sistema disciplinare, perché sia veramente educativo, deve addestrare il giovane a sapersi governare da sé, ed a compiere spontaneamente i suoi doveri, la ragione e la religione sono i mezzi che l’educatore deve far giocare continuamente, secondo l’opportunità. 5. La ragione. Essendo il giovane creatura ragionevole, a mano a mano che si viene sviluppando la sua intelligenza, conviene spiegargli e fargli capire perché si comanda una cosa e se ne vieta un’altra, la convenienza che c’è di regolarsi in un modo e i danni che deriverebbero dal fare altrimenti. Tra le ragioni di operare in un modo piuttosto che in un altro una è l’autorità dei legittimi superiori. Perciò il maestro faccia, quando è tempo, appello a quella ed alle prescrizioni del Regolamento e dia l’esempio del rispetto, che loro è dovuto, col parlarne sempre favorevolmente e coll’attenervisi egli scrupolosamente in tutto ciò che lo riguarda. 6. La Religione. Dio è sovrano padrone di tutte le cose, legislatore supremo delle coscienze, giudice e rimuneratore delle azioni umane. Niente perciò di più efficace a condurre l’animo del fanciullo ad amare e cercare il bene, nonostante gli sforzi ed i sacrifizi che esso esige, a fuggire il male, nonostante i suoi allettamenti, che le verità della Religione e gli aiuti che essa offre alla nostra debole volontà. Sappia adunque il maestro valersi di questi mezzi con prudenza e senza affettazione e vedrà i suoi allievi crescere docili, rispettosi, attenti e fare i migliori progressi nell’arte, colla dolce fiducia che saranno un giorno uomini onesti ed abili operai. 8. Alcune avvertenze per norma delle giurie della III esposizione delle scuole professionali e colonie agricole salesiane288 Coltura generale Il programma del consigliere professionale, partendo dal principio che i giovani a 12 anni abbiano compiuto il corso elementare inferiore, comprende cinque corsi, dei quali i primi due corrispondono, con qualche modificazione, alla quarta ed alla quinta elementare, egli altri tre costituiscono un corso di perfezionamento. 288 ASC E481, Scuole professionali, 4 (ed. a stampa). 146 Ad ogni corso sono assegnate le materie d’insegnamento e prescritte le ore di scuola. La giuria dovrà innanzi tutto osservare: a) se si facciano i cinque corsi; b) se nei singoli corsi si svolga il programma corrispondente; e) se si osservi l’orario prescritto; c) Prendendo poi ad esame i compiti degli alunni, dirà se corrispondano al grado di coltura richiesto dal corso che essi hanno frequentato. Il giudizio di lode o di biasimo potrà riguardare: 1. La casa, tenuto conto del modo come sono organizzate e come funzionano le scuole. 2. I singoli corsi e le singole materie ad essi assegnate, secondo che si svolgano più o meno compiutamente i programmi. 3. Il profitto degli alunni. Insegnamento teorico-pratico delle arti Le scuole debbono essere divise in corsi di tirocinio e seguire il programma. Il programma ha due parti: 1° la conoscenza e l’esecuzione dei lavori propri dell’arte; 2° la notizia delle materie attinenti all’arte medesima. Per ciascuna parte è prescritto un orario. Compito della giuria sarà: 1. Osservare se le scuole siano divise in corsi e se si facciano tutti i corsi prescritti. 2. Se si osservi l’orario. 3. Se, ed in quale proporzione siano rappresentati alla mostra i singoli corsi. 4. Se i lavori presentati corrispondano alle indicazioni del programma. 5. A poterne giudicare rettamente, ogni lavoro deve portare indicato, oltre il nome dell’allievo, che lo ha eseguito, il corso ed il semestre al quale esso appartiene, ed il numero delle ore spese nell’eseguirlo. La lode andrà: 1. Alla casa che avrà meglio organizzate le scuole, secondo i vari corsi di tirocinio. 2 . Al laboratorio-scuola, in cui appariranno più distinti i corsi e saranno più largamente rappresentati. 3. Agli allievi, che, nei singoli corsi, avranno dato prova di maggior diligenza e profitto. 4. Quanto ai lavori che figurano come opera della collettività e mirano a rappresentare la potenzialità del laboratorio, la giuria esprimerà il suo giudizio rispetto al loro valore artistico; ma, considerandoli come fuori concorso, non assegnerà loro una ricompensa, se non sono usciti da un laboratorio, in cui appariscano organizzati e distinti i corsi di tirocinio. 147 5. Una lode particolare meriteranno quelle case e quei laboratori, che si mostreranno meglio forniti di materiale scolastico e degli altri sussidi, che possono agevolare il profitto degli alunni. 6. Quando i maestri presentino dei manuali stampati o manoscritti, o dei saggi delle lezioni date, oppure questi saggi siano presentati, sotto forma di riassunti, dagli allievi, la giuria voglia esaminarli ed esprimere il suo giudizio riguardo al loro valore didattico. Mostra Agraria La mostra agraria va considerata sotto il triplice aspetto: – della coltivazione e dei prodotti – della scuola – della propaganda: 1. Gli oggetti esposti sono campioni di coltivazione, che possono avere un valore per sé, tenuto conto delle loro buone qualità; ma debbono essere corredati delle indicazioni esprimenti i metodi di coltura e di lavorazione, le formule di concimazione, la proporzione ed i risultati degli esperimenti fatti, e di qui traggono il loro pregio e la loro importanza principale. 2. Un valore speciale hanno le cronache contenenti l’esposizione degli esperimenti fatti e dei risultati ottenuti in una serie più o meno lunga di anni. 3. Si tenga anche conto degli attrezzi e di tutto il materiale di coltivazione. Scuole di agraria Le scuole siano giudicate: 1. Dal loro programma. 2. Dal numero degli alunni che le hanno frequentate fino al compimento dei corsi.3. Dai saggi scolastici presentati dagli alunni. 4. Dalla copia e dalla bontà del materiale scolastico. Pubblicazioni di istruzione e di propaganda Queste pubblicazioni meritano lode in proporzione dell’efficacia, che possono avere esercitata sulla massa dei coltivatori. Essa potrà giudicarsi: 1. Dalla bontà ed opportunità della materia che contengono e dalla forma loro più o meno adatta allo scopo. 2. Dal tempo che dura la propaganda, e dalle varietà delle pubblicazioni e dal numero delle copie, che se ne sono diffuse in mezzo al popolo. 3. Da altri dati storici e statistici, che si possano presentare, circa l’influenza esercitata nella regione sull’indirizzo delle coltivazioni e delle industrie agrarie. 148 9. Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali289 (1910) Idea generale sull’ordinamento delle scuole professionali salesiane Coi tempi e con don Bosco. – In queste parole è racchiuso gran parte di ciò che forma la caratteristica dello spirito salesiano. Non v’ha quindi dubbio che se noi Salesiani vogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dobbiamo anche noi muoverci e camminare col secolo, appropriandoci quello che in esso v’ha di buono, anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraci progressi, per potere, autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra missione. Tali furono le massime e tali gli esempi di don Bosco, il quale dopo di aver gettato nel 1841 le basi dell’Opera sua – cui dava stabile sede nel 1846 nei prati di Valdocco, ove fe’ sorgere dal nulla uno dei più grandiosi istituti di carità dell’Italia e del mondo – fin dal 1853, a meglio provvedere alla formazione dei giovani operai, cominciò ad aprire alcune scuole professionali nell’interno del suo Ospizio. Egli aveva intuito l’indirizzo minaccioso e le proporzioni che avrebbe assunto la questione operaia; e dalla carità e dalla fede, e che sol in290 ogni tempo diedero pace e conforto all’umanità agitata e sofferente, attinse l’ispirazione e i mezzi di apportarvi rimedio. Tale fu lo scopo di don Bosco nell’istituire le sue Scuole professionali, che debbono essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella coltura, di cui vantasi giustamente la moderna industria. Fedeli allo spirito del loro Istitutore, i Salesiani furono forse i primi in Italia ad organizzare con appositi programmi e con insegnamento metodico le loro Scuole professionali, e ciò quando ancor nessuno si occupava di questo ramo dell’educazione popolare, e nemmeno il governo aveva dato norme in proposito. Le nostre scuole infatti seguono due programmi ben distinti: – l’uno di coltura generale, l’altro teorico-pratico delle arti. I Programmi. – Il Programma di coltura generale, partendo dal principio che i giovani a 12 anni abbiano compiuto il corso elementare inferiore, comprende cinque corsi, dei quali i primi due corrispondono, con qualche, modificazione alla classe quarta e quinta elementare, e gli altri tre costituiscono un corso di perfezionamento. In questi ultimi il programma prescrive lezioni di Francese, Fisica, Meccanica, Elettrotecnica, Computisteria, Sociologia e Disegno applicato alle varie professioni; in tutti poi è anche prescritta un’ora settimanale di Igiene, di Galateo e di Religione. 289 ASC E481 Bertello, 1903, 89 (ed. a stampa); PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1910. 290 In originale: solin. 149 II Programma teorico-pratico delle arti consta di tanti programmi quante sono le professioni insegnate; e poiché si è comprovato esser necessario un quinquennio di tirocinio per l’apprendimento di qualunque mestiere, ogni programma è suddiviso in 10 periodi, corrispondenti ai 10 semestri di studio e di applicazione, nei quali è progressivamente indicato il corredo di cognizioni che l’allievo deve apprendere e la serie dei lavori cui egli deve applicarsi per riuscire a poco a poco operaio perfetto. In conformità di questo programma, viene da ogni maestro d’arte impartito l’insegnamento ad ore stabilite, ora a tutti gli alunni insieme riuniti, ora a ciascuno corso o sezione; poiché l’ammettere l’alunno all’apprendimento il dì stesso che entra in laboratorio e l’alternargli l’insegnamento col lavoro, costituisce quel metodo eminentemente teorico-pratico, che è il più atto ad abituare i giovani all’officina; – e scopo precipuo delle Scuole professionali dev’essere questo di formare operai intelligenti, abili e laboriosi. A meglio raggiungere questo scopo, ogni maestro d’arte – il quale presta gratuitamente l’opera sua o è pagato con onorario fisso, ma non attende alcun utile dai lavori degli allievi – all’insegnamento unisce la continua sorveglianza nell’esecuzione dei lavori assegnati, la correzione dei medesimi e la ripetizione degli insegnamenti e delle prove, precisamente come suol farsi in qualunque scuola (1). Poiché – giova rilevarlo – nelle Scuole professionali di don Bosco, il maestro d’arte non cura semplicemente l’esecuzione dei lavori, ma – a tenore del Programma – ha pur l’incarico “dell’insegnamento orale e scritto delle norme pratiche, secondo le quali ogni lavoro deve essere eseguito – della conoscenza degli strumenti e del modo più conveniente di usarli, prepararli e conservarli – della materia usata nei lavori, delle sue varie specie, qualità e prezzi – della rappresentazione figurata dei lavori nell’insieme, nelle parti e nelle lezioni, nonché nelle misure, degli ingrandimenti e riduzioni, delle varie maniere di connettere le parti ecc., richiamando le cognizioni apprese nel corso di cultura generale, ampliandole al bisogno e riducendole alla pratica – delle varie forme e stili antichi e moderni nei quali si è manifestata quell’arte – delle macchine, che possono essere di aiuto all’uomo nell’esercizio della sua arte e del loro uso – del modo di fare il preventivo e stabilire il prezzo dei lavori – delle piazze, dove si acquistano i materiali e si smerciano i lavori e dei modi da usare coi fornitori e clienti – e finalmente dei punti principali della legislazione e delle buone consuetudini commerciali”. In breve, il maestro svolge passo passo il progresso degli allievi, e lo concreta in un voto settimanale di applicazione, che ha controllo nell’esame che l’allievo dà al fine d’ogni semestre innanzi ad apposita Commissione, della quale fan parte anche maestri esterni e Industriali tra i più competenti in materia291. Gli Esami hanno per oggetto: 1. l’esecuzione di un lavoro fra quelli compresi nel semestre o periodo del Programma che l’allievo ha percorso, tenendo conto del tempo impiegato e della perfezione con cui fu eseguito; 291 Cfr. circolare del 29 gennaio 1899. 150 2. l’esposizione fatta a voce viva delle norme, secondo le quali doveva eseguirsi il lavoro, delle qualità dei materiali usati e di quelle altre nozioni teoriche, che l’allievo deve aver appreso durante quel periodo. Ad ogni esame, se è promosso, l’allievo consegue un punto di abilità, cosicché finito il quinquennio, se egli ha dieci punti [cioè se fu sempre promosso) egli ha compiuto il suo tirocinio, e vien dichiarato operaio, e ne riceve un relativo diploma. Premi e incoraggiamenti. Alla intrinseca bontà del metodo, don Bosco volle associati pur quei mezzi materiali e morali che son efficace stimolo ad un giovane nell’esatto adempimento di tutti i suoi doveri; ad esempio: le premiazioni annuali ai più meritevoli, l’ammissione alle scuole gratuite di declamazione e di musica vocale ed istrumentale, e le mancie settimanali. La mancia settimanale è una regalia, che si fa settimanalmente agli allievi, proporzionata al loro grado di abilità ed alla loro applicazione; poiché nel computarla non si bada ad un lavoro fatto o al reale guadagno procurato alla scuola; ma alla diligenza ed al buon contegno nella medesima; per cui, posta l’applicazione nel compiere il proprio dovere, la mancia rimane la stessa, sia che abbondi il lavoro sia che scarseggi, sia che si dia la prevalenza all’insegnamento teorico, sia che si lasci il suo posto all’insegnamento pratico. Tuttavia, a stimolo maggiore, essa è computata in base a quel qualsiasi guadagno, che si calcola dovrebbe l’alunno realizzare. Il guadagno infatti di un operaio è determinato: a) dal valore dei lavori eseguiti; b) dall’abilità e destrezza nell’eseguirli; c) dall’applicazione e diligenza usata. Quanto al valore dei lavori eseguiti, essendo quasi impossibile calcolare il prezzo d’ogni singolo lavoro (dato il numero grande degli alunni), si sta al prezzo della giornata normale delle varie professioni. Quanto all’abilità, essendo gli alunni “operai in formazione” la loro giornata sta alla giornata normale, come la loro abilità sta a quella dell’operaio formato. Ora supponendo che l’operaio il quale possa guadagnarsi la giornata normale abbia dieci di abilità, ed essendo stabilito che il tirocinio d’ogni mestiere duri cinque anni divisi in dieci semestri, un giovane artigiano di ordinario ingegno e di ordinaria applicazione, alla fine del primo semestre di tirocinio venendo ad acquistare un punto di abilità varrà “un decimo di operaio”, e alla fine del secondo semestre successivo, avendo acquistato un nuovo punto di abilità, varrà “ due decimi di operaio “ e così di seguito sino alla fine dell’ultimo semestre, in cui avrà dieci di abilità e gli verrà conferito il diploma di operaio. Quanto all’applicazione od alla diligenza, se l’alunno si trova in tempo al lavoro, e vi attende con impegno, avrà dieci di applicazione; in caso diverso avrà nove, otto, sette, ecc. secondocché si discosterà dalla norma suddetta. Dal voto d’applicazione, combinato col voto d’abilità, si ha il valore della giornata degli 151 alunni che non è uguale per tutti, perché vario secondo le tariffe delle diverse professioni, ma sul quale si dà a tutti una percentuale che è quella del 10%. Il quantitativo di questa rimunerazione è diviso tra massa e deposito. La parte che costituisce la massa, essendo diretta a formare un gruzzolo di denaro di cui l’alunno possa giovarsi nell’atto di lasciare le scuole, non può essere ne toccata durante il tirocinio, ne esatta prima del suo termine. L’alunno può valersi invece dell’altra parte, che chiamasi deposito, per spese riconosciute necessarie; come dal deposito vengono prelevati pochi soldi per settimana che egli spende a suo piacere. La mancia settimanale è dunque veramente un premio per incoraggiare gli allievi allo studio, al lavoro ed alla buona condotta. Esposizioni. – Un altro mezzo assai potente per destare negli alunni l’emulazione sono le esposizioni. “In ogni casa professionale – così si stabiliva nell’ultima Assemblea Generale della Pia Società Salesiana, presieduta da Don Bosco – si faccia annualmente una Esposizione dei lavori compiuti dai nostri alunni, ed ogni tre anni si faccia un’esposizione generale, a cui prendano parte tutte le nostre case di artigiani”. Il voto non tardò a mettersi in pratica nelle singole case, e, superata ogni difficoltà, fu anche realizzato collettivamente. La 1ª Esposizione generale si tenne dal 1° al 26 settembre 1901 nel Seminario delle Missioni Estere a Torino-Valsalice. La 2ª Esposizione generale, assai più solenne della prima, si svolse dal 21 ago sto al 16 ottobre 1904 nell’Oratorio di Valdocco, e fu onorata dalle visite di eminenti ed auguste persone, fra cui è vanto il ricordare Sua Maestà la Regina Margherita di Savoia, S. A. L. e R. la Principessa Maria Laetitia, Duchessa d’Aosta, e S. A. R. il Principe Emanuele Filiberto, Duca di Aosta, che si degnò di presiedere la festa di chiusura. S. S. Papa Pio X, S. M. il Re, il Municipio e la Camera di Commercio di Torino inviarono medaglie per i premiandi. La 3ª Esposizione generale, inaugurata il 3 luglio 1910 con intervento dei rappresentanti di tutte le Autorità Cittadine e visitata fin dai primi giorni dalle LL. EE. l’on. Paolo Bosetti, 1° Segretario di S. M. il Re pel Grand’Ordine Mauriziano, il sen. Teofilo Rossi Sindaco di Torino, e dal comm. Lacopo Vittorelli, Prefetto di Torino, venne disposta nei tre piani del nuovo fabbricato delle Scuole Ginnasiali dell’Oratorio Salesiano di via Cottolengo, e in due gallerie provvisorie. L’ingresso è abbellito da un piccolo giardino (ove sorge una baracca eseguita dagli allievi falegnami dell’Istituto Salesiano di Catania, nella quale son raccolti alcuni saggi inviati dalle Scuole professionali di quell’Istituto); e nell’atrio, insieme con quello di S. M. il Re, spicca il ritratto del compianto don Rua, sotto cui il dì dell’inaugurazione venne deposta una corona con queste parole: Mille figli del popolo di cento terre e di cento lingue diverse – vagheggiato avevano di dirgli commossi un grazie – qui il 292 Cfr. BOSCO G., Memorie dell’Oratorio, 141. Sulla “priorità lasalliana” nella fondazione delle scuole serali: VERRI C., I Fratelli delle Scuole Cristiane e la storia della scuola in Piemonte (1829- 1859). Contributo alla storia della pedagogia nel Risorgimento, Erba (Como), Casa Editrice “Sussidi” [s.a.], 120-121; SCAGLIONE S., Don Bosco e Fratelli delle Scuole Cristiane, in “Rivista Lasalliana”, 55(1988)18-23. 152 giorno della sua messa d’oro nell’idioma d’Italia – oggi più commossi ancora dicono a tutti – quale serbino a Lui viva riconoscenza. In quest’esposizione figurano circa una cinquantina d’Istituti, appartenenti all’Italia, all’ Europa, all’Africa, all’Asia ed alle Americhe. Le Scuole professionali poi sommano a più centinaia, disposte in mirabile ordine. Per la premiazione hanno inviate medaglie d’oro, d’argento e di bronzo S. S. Pio X, il Ministro di agricoltura, industria e commercio, il Municipio di Torino, la Camera di Commercio ed il Comizio agrario della Provincia di Torino. Lo Scopo delle nostre esposizioni è pure quello di trarne lumi ed impulso, dal confronto e dal molteplice e vario contributo di studi e di esperienze, dalla censura e dai consigli di persone sagge e competenti. Non si vuole far pompa di operosità e di spirito d’intraprendenza, ma si brama sapere se le nostre scuole, se l’ordinamento dei laboratori, se la coltura dei campi non lascino delle lacune a riempire. Vogliamo confrontare l’una casa coll’altra, l’una coll’altra nazione per pigliare dovunque quello che è buono e fare così quasi una scuola internazionale di mutuo e fraterno insegnamento. Vogliamo anche uscir al di fuori coi nostri pensieri e colle nostre indagini, vedere e confrontare quello che fanno altri istituti. In ogni parte – sull’esempio di don Bosco che nel 1845 ne porse il primo esempio all’Italia –292 si aprono, e non sempre con spirito cristiano scuole festive e serali per operai e per contadini, e qua e là vanno già sorgendo le così dette Università popolari. Sentiamo quindi il bisogno di fare studi e confronti, nel fermo proposito di sempre meglio effettuare i disegni di don Bosco e dei suoi Successori, che sono di far sì che le arti, le scienze, le industrie e la beneficenza cooperino efficacemente al conseguimento del benessere, sociale, a gloria della Religione ed a conforto della Patria. ______________ (1) In aiuto al maestro, ove lo esiga il numero degli allievi e in proporzione del numero di questi, vi sono in ogni scuola uno o più operai provetti, i quali col loro contegno e colla loro operosità sono di buon esempio e di stimolo salutare ai giovani e nello stesso tempo prestano l’opera loro indispensabile per assumere ordinazioni e poter eseguire lavori che servano di modello agli apprendisti e diano ai maestri il mezzo di assegnare ordinatamente agli allievi l’esecuzione di quei punti determinati dal Programma per il loro corso. ______________ 153 II - DATI STATISTICI a) 1995-2013 1995 2002 2007 2013 Scuole prof. 312 367 457 723(1) Scuole agricole 44 46 46 43 Corsi qualificaz. adulti 84 107 89 30 Alunni 120.011 167.426 156.028 200.182 AREE GEOGRAFICHE 2002 2007 2013 AFriCA Scuole prof. 51 85 52 Alunni 8.284 15.921 12.374 AmeriCA Scuole prof. 108 135 257 Alunni 43.761 55.260 44.098 ASiA-AuStrAliA Scuole prof. 88 116 129 Alunni 16.590 21.584 37.678 euroPA Scuole prof. 69 68 158 Alunni 17.867 22.049 20.585 itAliA e meDio oriente Scuole prof. 51 53 57 Alunni 11.646 13.120 12.481 totAle Scuole prof. 267 457 653 Alunni 98.148 127.934 127.216 b) 2010 “Le opere di formazione professionale sono oggi molto varie, da Scuole tecnico- professionali, attorno a 180, che offrono ai giovani una formazione secondaria sistematica che permette di seguire uno sviluppo posteriore nell’Università, a Scuole di formazione professionale (457) che offrono ai giovani che sia avviano al lavoro una preparazione di qualità, con un programma regolare riconosciuto. Tra queste scuole meritano una speciale attenzione le 46 scuole agricole. Scuole professionali e agricole Fonte: Dati statistici, 2002, 66-69; Dati statistici, 2008, 66; Dati statistici, 2014 (CG27) (1) Dal 2013 le Scuole Professionali vengono chiamate CFP - Centri di Formazione Professionale Fonte: Dati statistici, 2002, 66-69; Dati statistici, 2008, 67-9; Dati statistici, 2014 (CG27) Numero di scuole professionali e di alunni nelle diverse aree geografiche 154 Nel campo della formazione professionale non formale, in questi anni si sono moltiplicati più di 300 piccoli centri di preparazione al lavoro, che offrono ai giovani lavoratori o a quelli che si avviano al lavoro corsi brevi e molto pratici per renderli capaci di una certa qualificazione lavorativa. Sovente questi centri di formazione professionale favoriscono e appoggiano iniziative concrete di aiuto per l’occupazione dei giovani lavoratori, cooperative di mutuo aiuto, centri di artigianato e altre iniziative per facilitare l’occupazione dei giovani più poveri [...]. Precisamente per l’importanza che ha la formazione professionale nella nostra missione educativa dei giovani più poveri e per le difficoltà che oggi deve affrontare una società in rapido sviluppo, è urgente appoggiarla promuovendo un maggiore coordinamento tra i diversi centri tanto nell’Ispettoria come a livello nazionale e regionale, favorendo uno scambio di esperienze, progetti, risorse e una intensa collaborazione tra i centri più sviluppati e gli altri più modesti, soprattutto nella formazione degli insegnanti, nella qualificazione dei programmi e metodologie... cercando insieme vie e iniziative per garantire il sostenimento e il rinnovamento continuo dei centri”293. 293 CHÁVEZ VILLANUEVA D. P., La pastorale giovanile e salesiana, in ACG, (2010)407, 33-37. 155 III - DOCUMENTI ICONOGRAFICI ALCUNE SCUOLE PROFESSIONALI SALESIANE IN DIVERSE PARTI DEL MONDO 156 ALCUNE SCUOLE PROFESSIONALI SALESIANE IN DIVERSE PARTI DEL MONDO 157 ALCUNE SCUOLE PROFESSIONALI SALESIANE IN DIVERSE PARTI DEL MONDO 158 IV - INDIRIZZI DI CARATTERE TECNICO-PROFESSIONALE DALLE ORIGINI FINO AD OGGI (Italia 1853-2013) (secondo gli annuari salesiani)* 1853 Torino-Valdocco Oratorio S. Francesco di Sales (1846) [Primi laboratori di calzolai, sarti e tipografi] Dal 1910 specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1930: falegnami, ebanisti, scultori, sarti, calzolai, meccanici, elettricisti, tipografi, legatori. Dal 1952: falegnami, ebanisti, scultori, sarti, calzolai, meccanici, elettromeccanici, tipografi, legatori. Dal 1957: falegnami, sarti, calzolai, meccanici, elettromeccanici, tipografi, legatori (solo negli anni 1964-1966 presenti anche modellisti). Dal 1967: meccanici, elettromeccanici, fotomeccanici, tipografi e legatori. Dal 1980: meccanici, elettromeccanici, compositori, fotografi, impressori, litografi e legatori. Dal 1988: viene aggiunta la qualifica di serramentisti. Dal 1989: CFP meccanici, serramentisti, elettromeccanici, compositori, fotografi, impressori, litografi, legatori. Dal 1991: CFP meccanici, serramentisti, elettromeccanici, grafici. Dal 1998: CFP automazione, serramentisti, elettromeccanici, grafici. Dal 1999 viene aggiunto il settore del multimediale e del terziario avanzato. 1872 Genova - Sampiedarena San Vincenzo de’ Paoli (1872) Dal 1879 laboratori (è presente la figura del catechista degli artigiani). Dal 1910 specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: specifica sarti, calzolai, falegnami, scultori, tipografi, legatori e meccanici. Dal 1938: sarti, calzolai, falegnami, tipografi, legatori e meccanici. * L’appendice è stata curata da Giulia Norcia. 159 Dal 1961: meccanici, elettromeccanici, falegnami, tipografi e legatori. Dal 1966: meccanici, elettromeccanici, tipografi. Dal 1970 al 2004: non sono presenti Scuole Professionali. Dal 2008: No CFP, solo centro CNOS-FAP. 1877 Mathi Cartiera S. Francesco di Sales (1877) Cartiera fino al 1907 quando verrà chiamata Casa S. Francesco di Sales (all’interno della casa c’è la figura di “direttore della Cartiera”) La Spezia Scuola San Paolo (1877) Laboratori fino al 1899 (è presente la figura del catechista degli artigiani). 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1924 al 1926: sono assenti Scuole Professionali. Dal 1929: calzolai, sarti, tipografi, falegnami, meccanici. Dal 1945 (forse da prima): falegnami e meccanici. Dal 1947: falegnami, meccanici e sarti. Dal 1959: meccanici. Dal 1964: non sono più presenti le scuole professionali. 1879 San Benigno Canavese Casa S. Benigno (1879) Dal 1883: laboratori. Dal 1888: casa per ascritti artigiani. Dal 1898: specifica Scuole Professionali PER LE MISSIONI ESTERE. 1910: SCUOLE PROFESSIONALI - colonia agricola. Dal 1930: fabbri-meccanici, falegnami, ebanisti, tipografi, legatori. Dal 1936: fabbri-meccanici, falegnami, ebanisti, tipografi, legatori e intagliatori. Dal 1941: fabbri-meccanici, falegnami, ebanisti e intagliatori. Dal 1948: fabbri-meccanici, falegnami, ebanisti, intagliatori, meccanici ed elettromeccanici. 160 Dal 1967: fabbri-meccanici, falegnami, ebanisti, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1972: meccanici ed elettromeccanici. Dal 1974: CFP per meccanici. Dal 1978: meccanici ed elettromeccanici. Dal 1998: CFP per meccanici, elettromeccanici, autom. industriali, informatici. Dal 1999: meccanici, elettromeccanici, autom. industriali, informatici, terziario. Dal 2000: non è presente il settore terziario. Dal 2002: meccanici, elettromeccanici, autom. industriali, informatici, addetto ristorazione. Dal 2004: meccanici, elettromeccanici, autom. industriali, informatici, addetto ristorazione, acconciatori. 1880 Roma Sacro Cuore di Gesù (1880) Dal 1894: laboratori (è presente la figura del catechista degli artigiani). 1910: specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: falegnami, sarti, calzolai, tipografi, legatori. Dal 1930: non sono più presenti le scuole professionali. 1881 Firenze Istituto dell’Immacolata Concezione (1881) 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1924 al 1925: non compaiono più le scuole professionali. Dal 1930: calzolai, sarti, tipografi, legatori. Dal 1957: sarti, tipografi, legatori e meccanici. Dal 1963: tipografi, legatori e meccanici. Dal 1966: non sono più presenti le scuole professionali. Faenza Istituto San Francesco di Sales (1881) Dal 1901 al 1909: laboratori (è presente la figura del catechista artigiano). Dal 1993 al 2000: Corsi di Formazione Professionale. 161 1882 Mogliano Veneto Colonia Agricola Astori (1882) Colonia agricola fino al 1897 quando diventa Collegio- convitto (nel 1910 infatti viene specificata la presenza solo di scuole elementari e ginnasiali). 1888 Parma San Benedetto (1888) Dal 1910 al 1924: scuole professionali e agrarie. 1891 Catania Istituto San Francesco di Sales (1891) Dal 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: tipografi, legatori e falegnami. Dal 1930: non sono più presenti le scuole professionali. Marsala Istituto San Giuseppe (1891) Dal 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: calzolai, falegnami, sarti. Dal 1931: non sono più presenti le scuole professionali. Verona Istituto Don Bosco (1891) 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: fabbri, sarti, falegnami, calzolai e meccanici. Dal 1937: fabbri, sarti, falegnami, calzolai e meccanici, compositori e stampatori. Dal 1959: falegnami, meccanici, sarti, tipografi, compositori e stampatori. Dal 1961: falegnami, meccanici, sarti, tipografi, compositori, stampatori e litotipografi. Dal 1963: falegnami, meccanici, sarti, tipografi, compositori, stampatori e litografi. Dal 1967: nessuna notizia di scuole professionali. 1892 Ivrea Casa della Natività di Maria Vergine (1892) 1902 colonia agricola. Dal 1910: scuola agricola. Dal 1925: solo ginnasio. 162 Lugo Oratorio San Giuseppe (1892) 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: specifica falegnami. Marsala Casa della Divina Provvidenza (1892) Dal 1929 al 1946: scuole professionali per falegnami, calzolai, sarti. Treviglio Istituto Sacra Famiglia (1892) Dal 1930 al 1946: scuole di avviamento. 1893 Novara Istituto San Lorenzo prete e martire Dal 1906: laboratori (è presente la figura del catechista artigiano). 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: calzolai, falegnami, scultori, sarti. Dal 1949: calzolai, falegnami, sarti. Dal 1955: falegnami, sarti. Dal 1962: solo scuola di avviamento fino al 1964. Messina San Luigi Gonzaga (1893) Dal 2004 al 2010: corsi di formazione professionale. 1894 Cavaglià Scuole Decaroli (1894) Dal 1948 al 1961: avviamento professionale agricolo. Lombriasco S. Isidoro (1894) 1897: scuola agraria. 1910: appare la specifica di colonia agricola - avviamento professionale agrario. Dal 1942: scuole tecniche agrarie parificate. Dal 1965: istituto tecniche agricole (non più avviamento). Dal 2002 al 2007: CFP. Milano Istituto Salesiano S. Ambrogio (1894) Dal 1900: laboratori (è presente la figura del consigliere professionale) 163 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: tipografi, legatori, fabbri, falegnami, calzolai, sarti. Dal 1947: tipografi, legatori, falegnami, calzolai, sarti, meccanici. Dal 1959: avviamento professionale e corsi di addestramento, qualificazione, specializzazione per meccanici, elettromeccanici, falegnami, tipografi, legatori, litografi. Dal 1965: non si hanno notizie di scuole professionali. Torino Martinetto Scuola S. Agostino (1894) 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI - pensionato professionale per calzolai e sarti. 1926: Istituto Richelmy. 1937: non si hanno notizie di scuole professionali. 1895 Oulx Sacro cuore di Gesù (1895) Dal 1960 al 1963: scuole di avviamento professionale. 1896 Bologna Istituto della Beata Vergine di San Luca (1896) Dal 1902 al 1904: laboratori (è presente la figura di catechista degli artigiani). 1910: appare la specifica SCUOLE PROFESSIONALI. Dal 1929: tipografi, legatori, meccanici, falegnami, calzolai, sarti. Dal 1960: tipografi, legatori, meccanici, falegnami, calzolai, sarti e litografi. Dal 1962: assente la figura professionale dei legatori. Dal 1963: meccanici, falegnami, litografi, tipografi. Dal 1964: assente la figura professionale dei falegnami. Dal 1972: disegnatori. Dal 1975: CFP per disegnatori, grafici, meccanici. (solo dal ’76 al ’78 il CFP era nella sede Bologna- S. Giuseppe). Dal 1986: CFP per grafici e meccanici. 164 1897 Alessandria Scuole ed oratorio San Giuseppe (1897) Dal 1948 al 1956: scuole di avviamento commerciale industriale. Sondrio Istituto S. Rocco (1897) Dal 1948 al 1956: scuole di avviamento professionale. 1898 Biella Istituto S. Cassiano (1898) Dal 1931 al 1957: scuole di avviamento professionale. Canelli Colonia agricola S. Giovanni (1898) Nasce come colonia agricola. Dal 1941: scuole tecniche agrarie parificate - avviamento professionale agricolo parificato. Dal 1956: non è più presente scuola agraria. Dal 1962 al 1963: scuola di avviamento. 1899 Fossano Convitto civico Beato Giovenale Ancina Dal 1930 al 1961: scuola di avviamento commerciale. 1901 Corigliano d’Otranto Istituto agricolo San Nicola (1901) Nasce come Istituto Agricolo. 1910: specifica colonia agricola. Dal 1942: scuole agricole artigiani. Dal 1947 al 1963: scuola tecnica agraria (avviamento professionale agrario). Dal 1996 al 2003: CFP per operatori turistici e management. 1903 Livorno Istituto Sacro Cuore di Gesù (1899) Dal 1930 al 1934: scuole professionali per calzolai e sarti. Portici Istituto S.Giuseppe (1903) Dal 1910 al 1924: Colonia agricola. 1905 Bari Istituto SS. Redentore (1905) 1924: scuole professionali. Dal 1929: sarti, calzolai, falegnami, tipografi, legatori, meccanici. 165 Dal 1958: sarti, falegnami, tipografi, legatori, meccanici. Dal 1959: sarti, falegnami, tipografi, legatori, meccanici e elettrotecnici. Dal 1963: scuola professionale e centro di addestramento professionale. Dal 1965: solo centro di addestramento professionale. Dal 1978: CFP per meccanici, disegnatori, elettromeccanici. Dal 1987: CFP meccanici, elettronici, elettro - te cnici. Casale Oratorio Sacro Cuore di Gesù (1905) Dal 1956 al 1961: scuola di addestramento professionale e di avviamento. 1907 Ravenna San Giovanni Bosco (1907) Casa nata con il nome: “Scuole professionali S. Apollinare” Dal 1929: scuole professionali per falegnami, calzolai, tipografi, legatori. Dal 1949: falegnami, tipografi, legatori. Dal 1961: falegnami, tipografi, legatori e mecca - nici. Dal 1963: falegnami, tipografi, legatori, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1964: legatori, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1965: ist. profes. per industria e artigianato - tipografia - legatoria. Dal 1973: centro di avviamento professionale - legatoria. Dal 1975: CFP. Dal 1979: CFP per meccanici. Dal 1996: non sono presenti CFP. Vigevano Scuola San Giovanni Battista (1907) Dal 1907 al 1919: Scuole Professionali. 1909 Marina di Pisa Parrocchia Maria SS. Ausiliatrice (1909) Dal 1951: scuola per apprendisti. Dal 1959: scuole professionali per meccanici. 166 Dal 1961: falegnami, meccanici, elettronici. Dal 1967: non sono più presenti le scuole professionali. 1910 Napoli - Tarsia Pia Casa Arcivescovile per sordomuti (1909) Dal 1925: Scuole Professionali per sarti, calzolai, falegnami, tipografi. Dal 1954: sarti, calzolai, falegnami, legatori e odontotecnici. Dal 1957: sarti, calzolai, falegnami e odontotecnici. Dal 1958: sarti, calzolai, falegnami. Dal 1970: Scuole Professionali senza specifica fino al 1975. 1911 Venezia Istituto Patronato a S. Pietro di Castello (1911) dal 1925 Ist. Emiliani Dal 1924: Scuole Professionali. Dal 1929: fabbri, sarti, falegnami e calzolai. Dal 1934: fabbri-meccanici, falegnami intagliatori, sarti, calzolai, tipografi. Dal 1936: fabbri-meccanici, falegnami intagliatori, sarti, calzolai. Dal 1956: meccanici, falegnami intagliatori e sarti. Dal 1962: solo meccanici ed elettromeccanici. Dal 1964: non sono più presenti le scuole professionali. 1912 Vercelli Sacro Cuore di Gesù (1912) Dal 1948: Scuole Professionali e Avviamento Professionale. Dal 1955: non sono presenti Scuole Professionali. Dal 1957: Scuole di Avviamento. Dal 1967: Centro Addestramento Professionale per meccanici. Dal 1974: CFP per meccanici. Dal 2010: CFP per meccanici industriali, riparatori dell’autoveicolo, elettricisti, acconciatori, serramentisti. 1918 Castelnuovo Don Bosco Maria Ausiliatrice (ex Morialdo) (1918) Dal 1940: Scuole Professionali arte del libro. 167 Dal 1942: corso di magistero e di perfezionamento professionale. Dal 1945: viene aggiunta la scuola agricola. Dal 1954: tipografi, legatori, litografi, fotoincisori, agricoltori, meccanici, falegnami, sarti e calzolai. Dal 1960: tipografi, legatori, litografi, fotoincisori, agricoltori, meccanici, falegnami. Dal 1966: tipografi, legatori, litografi, fotoincisori, meccanici, falegnami. Dal 1968: tipografi, legatori, litografi, fotoincisori, meccanici, falegnami e progettisti. Dal 1973: Istituto professionale per grafici (compositori, stampatori, fotoriprodduttori, litografi e legatori) - corso di magistero e di perfezionamento professionale. Dal 1979: CFP. Dal 1994: CFP per grafici. Dal 2012: CFP per grafico con varie specializzazione, ristorazione. 1919 Asti San Giovanni Bosco (1919) Dal 1933: scuole di avviamento professionale. Dal 1940: regie scuole di avviamento commer - ciale. Dal 1945 al 1956: scuole di avviamento commerciale. Montechiarugolo Maria SS. Ausiliatrice (1919) Dal 1919 al 1963: scuola di avviamento professionale agrario parificata. Palermo Istituto San Filippo (1919) Dal 1924: scuole professionali. Dal 1929: sarti, calzolai, falegnami, tipografi. Dal 1932: sarti, calzolai, falegnami, tipografi e legatori. Dal 1951: sarti, calzolai, falegnami, tipografi, legatori e meccanici. Dal 1962: sarti, falegnami, tipografi e meccanici. Dal 1966: non sono più presenti le scuole professionali. 168 1922 Roma Istituto Domenico Savio (1915 ma sugli annuari prime notizie nel 1922) Scuola Agricola S. Cuore fino al 1933. Dal 1945 al 1956: scuola agraria. Torino Monterosa San Michele Arcangelo (ex Oratorio D. Rua) (1922) Dal 1949: scuola di avviamento professionale. Dal 1959 al 1963: scuola di avviamento professionale industriale. 1923 Catania Sacro Cuore (1923) Dal 1924: scuole professionali. Dal 1929: sarti e calzolai. Dal 1930: sarti, calzolai, tipografi, legatori e falegnami. Dal 1938: sarti, calzolai, tipografi, legatori, falegnami e fabbri meccanici. Dal 1955: sarti, ebanisti, tipografi, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1962: ebanisti, elettromeccanici, meccanici, saldatori, tipografi, analisti chimici. Dal 1966: analisti chim., elettromeccanici, elettronici, meccanici, tornitori, radiotecnici, saldatori, tipografi. Dal 1978: analisti chim., elettromeccanici, elettronici, meccanici, tornitori, radiotecnici, saldatori, operatori grafici. Dal 1980: vengono aggiunte le figure professionali di analisti alimentaristi,elettricisti, operatori macchine utensili. Dal 1988: non sono presenti le figure di chimici e alimentaristi. Dal 1997: grafici, meccanici, elettromeccanici, elettronici, informatici. Dal 2007: meccanici, elettromeccanici, elettronici, informatici, stampa litografici. 1926 Tolmezzo Collegio San Francesco di Sales (1926) Scuole complementari, tecniche e professionali per fabbri, meccanici e falegnami. Dal 1933 al 1938: scuole commerciali e di avviamento. 169 1927 Chiari Pensionato San Luigi Gonzaga (1927) Pensionato per scuole complementari. Dal 1930 al 1954: pensionato per scuole di avviamento. Cumiana Maria Ausiliatrice (1927) Scuola agricola per aspiranti missionari. Scuola di avviamento professionale agricolo fino al 1964. 1928 Cuneo Convitto civico San Michele (1928) Dal 1930 al 1936: scuola di avviamento al lavoro. 1929 Roma Maria Ausiliatrice Pio XI (1929) Dal 1930: scuole professionali per sarti, calzolai, falegnami, intagliatori, tipografi, legatori, fabbrimeccanici. Dal 1945: sarti, calzolai, falegnami, tipografi, legatori, fabbri-meccanici. Dal 1959: sarti, calzolai, falegnami, tipografi, legatori, fabbri-meccanici, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1960: litografi, sarti, calzolai, falegnami, tipografi, legatori, fabbri-meccanici, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1962: litografi, sarti, falegnami, tipografi, legatori, fabbri-meccanici, meccanici ed elettromeccanici. Dal 1965: centro addestramento professionale per tipografi, falegnami, meccanici, elettromeccanici, litografi, legatori. Dal 1967: tipografi, meccanici, litografi, legatori e fotomeccanici. Dal 1972: CFP per tipografi, compositori, impressori, litografi, fotoriproduttori, meccanici e torni - tori. Dal 1985: tipografi, compositori, litografi, fotoriproduttori, meccanici e tornitori. Dal 1988: compositori, litografi, fotoriproduttori, meccanici e tornitori. Dal 1989: CFP per fotocompositori, litografi, fotoriproduttori, meccanici generici, tornitori. 170 Dal 1995: CFP per fotocompositori, fotolitografi, stampatori offset, operatori tecnico-grafici, informatici, operatori macchine utensili. Dal 1999: CFP primo e secondo livello nella Grafica e Informatica. Dal 2000: vengono aggiunti corsi di formazione continua. Dal 2003: obbligo formativo, formazione continua superiore per grafici e informatici. Dal 2012: obbligo formativo, formazione continua superiore per grafica e multimedia. 1930 Torino Rebaudengo Istituto Don Bosco (1930) Scuole professionali, corso di magistero e perfezione professionale. Dal 1953: meccanici, elettro-meccanici, falegnami, sarti, calzolai - scuole serali per meccanici ed elettromeccanici. Dal 1955: scuole professionali per meccanici, elettro- meccanici, falegnami. Dal 1958: meccanici, elettro-meccanici, falegnami e radiotecnici. Dal 1961: meccanici, elettro-meccanici, radiotecnici ed elettronici. Centro orientamento professionale. Dal 1966: corsi per meccanici, elettromeccanici, radiotecnici ed elettronici. Dal 1973: meccanici, elettromeccanici ed elettronici. Dal 1975: specifica CFP per meccanici, elettromeccanici ed elettronici. Dal 1988: meccanici, elettromeccanici, impiantisti civili e industriali, elettronici Dal 1995: meccanici, elettromeccanici, impiantisti civili e industriali, elettronici e informatici. Dal 2006: meccanici, elettromeccanici, impiantisti civili e industriali, informatici, elettronici e diagnostica dell’autoveicolo. Dal 2008: meccanici, elettromeccanici, impiantisti civili e industriali, informatici e diagnostica dell’autoveicolo. 171 1931 Roma S. Tarcisio (1931) Fino al 1945 scuola agricola e di avviamento professionale agrario parificata. 1933 Castellaneta S. Isidoro (1933) (ex Pelagianello) Dal 1933 al 1946: scuola agricola. Dal 1966 al 1968: centro agicolo. 1935 L’Aquila Istituto Don Bosco Scuole professionali per falegnami, legatori, sarti, calzolai. Dal 1958: meccanici, falegnami, sarti. Dal 1961: meccanici e falegnami. Dal 1963: scuole professionali per meccanici e centro di addestramento professionale per elettromeccanici, falegnami ed ebanisti. Dal 1964: assenti le figure professionali di ebanisti e falegnami. Dal 1965: meccanici, elettromeccanici, disegnatori. Dal 1968: meccanici, elettromeccanici, disegnatori e saldatori, tv. Dal 1971: meccanici, elettromeccanici, saldatori, tv, tornitori e rtv. Dal 1975: CFP. Dal 1978: CFP per meccanici, elettrotecnici, elettronici. Dal 1983: meccanici, elettrotecnici, elettronici e operatori macchine utensili. Dal 1986: elettricisti, meccanici, elettronici e programmatori. Dal 2002: viene aggiunto operatori nel settore terziario. 1941 Udine Istituto Giacomino Bearzi ora S. Giovanni Bosco (1941) Scuole di avviamento professionale per sarti e calzolai. Dal 1949: sarti, calzolai, falegnami. Dal 1961: sarti,meccanici, saldatori, aggiustatori, tornitori, falegnami. Dal 1964: meccanici, saldatori, aggiustatori, tornitori, falegnami. 172 Dal 1966: meccanici, saldatori, aggiustatori, tornitori, falegnami ed elettricisti. Dal 1970: meccanici, saldatori, aggiustatori, tornitori ed elettricisti. Dal 1974: centro addestramento professionale per meccanici, saldatori, aggiustatori, tornitori, elettricisti. Dal 1983: meccanici, saldatori, aggiustatori, tornitori, elettricisti ed elettromeccanici. Dal 1985: meccanici, saldatori, tornitori, elettromeccanici e fresatori. Dal 1989: CFP meccanici ed elettromeccanici. Dal 2011: CFP meccanici, elettromeccanici e motoristi. Umbertide S. Giovanni Bosco (1941) Dal 1941 al 1946: laboratorio per meccanici. 1945 Borgo San Lorenzo Istituto Romanelli Bruschi - S. Giovanni Bosco (1936) Dal 1945 al 1956: istituto agrario. Torino Istituto E. Agnelli (1941) Scuole tecniche professionali per meccanici. Dal 1949: scuole di avviamento e tecniche industriali per meccanici. Dal 1961: meccanici ed elettricisti. Dal 1965: istituto tecnico industriale per meccanici, elettrotecnici, elettronici. Dal 1979: CFP specializzazione in elettronica. Dal 1988: non è presente il CFP. Dal 2001: CFP meccanici ed informatici. Dal 2008: CFP meccanici industriali e dell’auto, ristorazione ed informatici. Dal 2010: CFP meccanici industriali e dell’autoveicolo. 1947 Châtillon San Giovanni Bosco (1947) Avviamento professionale per falegnami e meccanici. Dal 1965: Istituto professionale per falegnami e meccanici. 173 Dal 1997: CFP per falegnami, meccanici, comp. grafici. Dal 2004: CFP per impiantisti elettrici, meccanici, corsi post diploma. Dal 2006: impiantisti elettrici, meccanici, corsi post diploma e meccanici d’auto. Dal 2010: CFP corsi post diploma. Catania - Salette San Giovanni Bosco (1947) Laboratori per calzolai e sarti. Dal 1957: sarti ed elettromeccanici. Dal 1958: tipografi, sarti, elettromeccanici. Dal 1963: tipografi, elettromeccanici. Dal 1987: corsi formazione professionale. Dal 1998: CFP per termoidraulici, estetiste, sarte, elettricisti. Dal 2004: termoidraulici, estetiste, sarte. Dal 2011: termoidraulici, estetiste. 1948 Roma San Giuseppe - Borgo ragazzi Don Bosco (1948) Avviamento professionale. Dal 1949: Avviamento professionale per meccanici falegnami e tipografi. Dal 1959: elettromeccanici, meccanici, falegnami e tipografi. Dal 1963: elettromeccanici, meccanici, tipografi e disegnatori. Dal 1970: elettromeccanici, meccanici, tipografi. Dal 1971: elettromeccanici, meccanici. Dal 1974: CFP per meccanici, elettromeccanici. 1951 Campobasso Casa orfani di guerra Maria Ausiliatrice (1951) Solo nel 1951: Scuole professionali per sarti e calzolai. San Mauro torinese Orfanotrofio Domenico Savio (1949) Scuole professionali per elettromeccanici. Dal 1962 al 1964: meccanici ed elettromeccanici. Todi Scuole Professionali dal 1951 al 1955. 174 1952 Brescia San Giovanni ex Oratorio San Paolo (1925) Dal 1952: scuole di avviamento. Dal 1962: addestramento industriale per meccanici e disegnatori. Dal 1965: corsi addestramento professionale per meccanici, disegnatori, radiotecnici. Dal 1971: meccanici, disegnatori, elettrotecnici, riparatori rtv. Dal 1977: CFP per disegnatori meccanici, elettrotecnici, riparatori rtv. Dal 1986: disegnatori meccanici, riparatori rtv, elettromeccanici. Dal 1996: CFP disegnatori meccanici, impiantisti GT. Dal 2008: elettricisti meccanici e impiantisti GT. Dal 2009: solo elettricisti e meccanici. Dal 2011: CFP motoristi, elettricisti. Fossano Maria SS. Ausiliatrice (1951) Dal 1952: scuola di avviamento professionale industriale. Dal 1955: meccanici e falegnami. Dal 1973: solo meccanici (ma è un istituto professionale). Dal 1979: CFP per meccanici. Dal 1995: meccanici ed elettromeccanici. Dal 1998: meccanici, elettromeccanici, automazione e restauro. Dal 1999: informatici, meccanici, elettromeccanici, automazione e restauro. Dal 2004: CFP meccanici industriali, elettromeccanici, termoidraulici, automazione, informatici, restauro, acconciatori, panetteria, pasticceria. Dal 2006: CFP meccanici industriali, elettromeccanici, termoidraulici, automazione, informatici, acconciatori, panetteria, pasticceria. Dal 2008: CFP meccanici industriali, elettromeccanici, termoidraulici, automazione, informatici, acconciatori, panetteria, pasticceria, automotoristica. Dal 2009: CFP meccanici industriali, elettromeccanici, termoidraulici, automazione, informatici, acconciatori, panetteria, pasticceria, carrozzeria e estetiste. 175 Dal 2010: CFP meccanici industriali, elettromeccanici, termoidraulici, acconciatori, panetteria, pasticceria, carrozzeria e estetiste. Dal 2012: CFP meccanici industriali, elettromeccanici, termoidraulici, acconciatori, panetteria, pasticceria, sala bar, automotoristica, carrozzeria e estetica. Venezia S. Giorgio - fondazione Giorgio Cini (1952) Scuole professionali. Dal 1959: meccanici, falegnami, tipografi, sarti. Dal 1969: meccanici e tipografi. Dal 1974: CFP per meccanici e tipografi. Dal 1988: CFP per meccanici e grafici. Dal 1990: non è più presente il CFP. 1954 Arese San Domenico Savio (1954) Scuola di addestramento professionale per meccanici, falegnami, tipografi. Dal 1977: meccanici, falegnami, tipografi, saldatori, motoristi. Dal 1979: viene usato il nome CFP. Dal 1986: meccanici, falegnami, tipografi, moto - risti. Dal 1990: CFP meccanici, falegnami, tipografi, motoristi, elettromeccanici, grafici. Dal 1992: meccanici, falegnami, tipografi, motoristi, elettromeccanici, grafici, floricoltori e giardinieri. Dal 2011: CFP elettromeccanici, grafici, meccanici, motoristi, aiuto-cuoco. Amelia S. Francesco d’Assisi (1934) Dal 1954 al 1956: scuola di avviamento professionale a tipo industriale parificato. Carmiano Istituto enologico agricolo Miglietta - D. Savio (1954) Dal 1954 al 1956: scuola enologico-agraria. Forlì S. Giovanni Bosco (1942) Dal 1954: scuole professionali. 176 Dal 1955: scuole professionali per meccanici. Dal 1962: anche centro di addestramento professionale. Dal 1976: CFP per meccanici. Piedimonte Matese San Giovanni Bosco (1954) Aspirantato coadiutori con mestieri. Dal 1958: scuole professionali per sarti, calzolai, falegnami, meccanici. Dal 1960: sarti, falegnami, meccanici. Dal 1962: falegnami, meccanici. Dal 1968: solo meccanici. Dal 1973: CFP senza specifica. Dal 1978: CFP meccanici polivalenti, attrezzisti. Dal 1982: elettricisti industriali-termoidraulici, meccanici polivalenti, attrezzisti. Dal 1988: CFP senza specifica. Dal 1992: non è più presente CFP. 1955 Belluno Istituto Agosti - San Giovanni Bosco (1924) Dal 1955: Scuole professionali. Dal 1959: scuole professionali per edili ed elet - trauto. Dal 1964: elettrauto e meccanici. Dal 1968: solo elettrauto. Dal 1970: non sono più presenti scuole professionali. Gallipoli S. Antonio (1955) Dal 1955 al 1963: scuola di avviamento professionale. Sesto San Giovanni Istituto San Giovanni Bosco (1948) Dal 1955: Scuole professionali per meccanici. Dal 1961: centro addestramento professionale per meccanici, elettromeccanici, elettricisti, saldatori. Dal 1962: meccanici, elettromeccanici, elettricisti, saldatori, disegnatori. Dal 1979: meccanici, elettromeccanici, elettricisti, saldatori, disegnatori, telecomunicazioni. Dal 1980: meccanici, elettromeccanici, disegna - tori, telecomunicazioni, elettronici. 177 Dal 1986: meccanici, elettromeccanici, disegna - tori, elettronici, radio tv. Dal 1992: meccanici, elettromeccanici, disegna - tori, elettronici, radio tv, elettricisti. Dal 1996: CFP disegnatori, meccanici, elettricisti, elettromeccanici, elettronici. Dal 2006: CFP meccanici ed elettromeccanici. 1956 Manduria Istituto Salesiano S. Gregorio Magno (1956) Scuole professionali per meccanici, falegnami, tipografi, legatori, sarti, calzolai. Dal 1960: avviamento industriale statale. Dal 1965: centro addestramento professionale. Dal 1974: CFP. Dal 1978: CFP per meccanici, rai tv. Dal 1980: CFP per meccanici, elettrotecnici, strumentisti elettronici. Dal 1989: carpenteria leggera Ferro ed Alluminio. Dal 1991: CFP elettrotecnici ed elettronici. Dal 2004: non è più presente CFP. Ortona San Tommaso Apostolo (1948) Dal 1956: Scuole professionali. Dal 1960: meccanici, tornitori, saldatori, idraulici, sarti, falegnami. Dal 1963: meccanici, tornitori, saldatori, idraulici. Dal 1966: meccanici, tornitori, saldatori, idraulici, elettromeccanici. Dal 1967: meccanici, tornitori, elettromeccanici, b.t., elettrodomestici, idraulici, saldatori, disegnatori. Dal 1972: meccanici, tornitori, elettromeccanici, elettrodomestici, idraulici, saldatori, fresatori. Dal 1975: meccanici generici, tornitori, fresatori, saldatori, elettromeccanici. Dal 1982: meccanici generici, tornitori, fresatori, saldatori, elettromeccanici, elettricisti di bordo. Dal 1986: operatori macchine utensili a controllo numerico, elettromeccanici, elettricisti e programmatori. 178 Roma S. Domenico Savio (1952) Dal 1956: Scuole professionali, avviamento e tecniche industriali per meccanici, elettrotecnici, radiotecnici. Dal 1965: meccanici, elettrotecnici, radiotecnici, elettronici. Dal 1967: meccanici, elettricisti, elettrauto, operatori elettronici. Dal 1972: meccanici, elettricisti, elettrauto, operatori elettronici, disegnatori meccanici. Dal 1992: meccanici, elettricisti, elettrauto, operatori elettronici, disegnatori meccanici, programmatori e telematici. Dal 1995: CFP meccanici riparatori veicoli a motore, fresatori, operatori macchine utensili, elettricisti manutentori e montatori, montatori riparatori apparecchiature elettroniche, serramententisti in alluminio, operatori addetti sistemi CAD-CNC, progettisti impianti anti-furto, giardinieri, analisti programm jr, tecnici telematici, esperti contabilità e procedure amministrative. Dal 1999: CFP per meccanici, elettromeccanici, giardinieri, elettronici, settore terziario. Dal 2006: CFP per meccanici, elettromeccanici, elettronici. 1957 Muzzano San Giuseppe (1957) Aspirantato artigiani. Dal 1968: aspirantato coadiutori, centro addestramento professionale per meccanici. Dal 1974: CFP per meccanici. Dal 1981: non è più presente CFP. San Donà di Piave San Giovanni Bosco (1928) Dal 1957: scuole professionali. Dal 1964: meccanici, elettromeccanici, chimici, impiantisti e analisti, elettricisti e saldatori. Dal 1979: scuole professionali per meccanici, elettromeccanici, elettricisti, tornitori. Dal 1988: meccanici, elettricisti, tornitori. Dal 1996: operatori meccanici ed elettromeccanici. Dal 2004: CFP. 179 Dal 2011: CFP settore elettrico, meccanico, motoristico. 1958 Fiesco San Domenico Savio (1950) Scuola di avviamento e scuola professionale per meccanici, elettromeccanici, litografi, settore agrario. Dal 1962: meccanici, elettromeccanici, litografi. Dal 196: istituto professionale per congegnatori meccanici. Dal 1976: non sono più presenti le scuole professionali. Genova - Quarto dei Mille San Giuseppe artigiano (1939) Scuole professionali per meccanici. (solo nel ’64 e ’65 scuole professionali assenti) Dal 1966: centro addestramento professionale per elettrotecnici, elettronici, radioriparatori, tv. Dal 1969: elettronici, radioriparatori, tv, elettri - cisti. Dal 1979: CFP. Dal 1980: CFP per elettricisti, elettronici, radioriparatori TV. Dal 1989: CFP istallatori, manutentori apparecchiature elettroniche, montatori, manutentori sistemi elettrico-elettronici. Dal 1997: istallatori, manutentori apparecchiature elettroniche, montatori, manutentori sistemi elettrico- elettronici, revisori auto. Dal 2001: CFP elettricisti, elettronici, autoriparatori, formazione continua. 1959 Bra S. Domenico Savio (1956) Scuole di avviamento professionale per meccanici e falegnami. Dal 1967: istituto professionale per meccanici. Dal 1979: CFP per meccanici. Dal 2007: CFP meccanica industriale, meccanica d’auto, acconciatori. Caltanissetta Centro professionale Don Bosco (1959) Esternato professionale fino al 1963. 180 1960 Ostuni Madonna pellegrina (1960) Avviamento industriale statale. Dal 1965: scuole professionali. Dal 1971: non sono più presenti le scuole professionali. 1961 Gela San Domenico Savio (1955) Dal 1961: avviamento professionale. Dal 1964: avviamento professionale per mecca - nici. Dal 1972: meccanici, tubisti. Dal 1979: meccanici, tubisti, saldatori. Dal 1989: meccanici, tubisti, saldatori, tubisti idraulici, elettricisti, dattilografi, segretaria d’uf - ficio. Dal 1993: meccanici, tubisti, saldatori, tubisti idraulici, elettricisti, dattilografi, segretaria d’ufficio, iva, archivisti. Dal 2001: tubisti, saldatori, idraulici, elettricisti, ristorazione, test center ECDL. Dal 2003: tubisti, saldatori, idraulici, elettricisti, ristorazione, test center ECDL, informatici. Dal 2007: tubisti, saldatori, idraulici, elettricisti, ristorazione, test center ECDL, informatici, agricoli. Dal 2010: CFP agricoltura, commercio, impiantistica, informatica, ristorazione, saldatura termoidraulica, tubisteria, test center ECDL. Napoli San Giovanni Bosco (1934) Dal 1961: corsi di addestramento, qualifica, specializzazione per meccanici, elettromeccanici, falegnami. Dal 1965: meccanici, elettromeccanici. Dal 1966: meccanici, elettromeccanici, elettricisti e tornitori. Dal 1967: fresatori, meccanici, elettromeccanici, elettricisti e tornitori. Dal 1973: CFP. Dal 1978: CFP meccanici, elettromeccanici, fresatori, tornitori. Dal 1980: meccanici, elettromeccanici. Dal 1983: meccanici, elettromeccanici, rvm. 181 Dal 1988: CFP. Dal 1989 al 2003 non sono presenti CFP. Dal 2004: CFP grafici, parrucchieri, falegnami, elettricisti. 1962 Ragusa Gesù adolescente (1962) Avviamento professionale Dal 1964: non è presente la scuola di avviamento. Dal 1968: centro addestramento professionale. Dal 1974: meccanici e tornitori. Dal 1975: CFP per meccanici. Dal 1986: CFP per meccanici, elettromeccanici e informatici. Dal 2001: meccanici, elettromeccanici, informatici, serramentisti. Verona San Zeno (1962) Centro Formazione Professionale per meccanici, elettromeccanici. Dal 1967 ad oggi: CFP per meccanici, elettromeccanici e grafici. 1963 Cavalese Maria addolorata (1963) Corsi professionali per falegnami, sarti, calzolai. Dal 1964: falegnami e calzolai. Dal 1967: non è più presente la scuola professio - nale. Cerignola Cristo Re (1963) Centro addestramento professionale. Dal 1975: CFP. Dal 1978: CFP per meccanici, elettromeccanici, radiotecnici. Dal 1980: CFP per meccanici, elettrotecnici, strumentisti elettronici. Dal 1985: CFP per elettrotecnici, strumentisti elettronici. 1964 Venezia San Giorgio San Giorgio (1952) Dal 1964 al 1968: scuole professionali per meccanici, falegnami, tipografi. 182 1965 Milano San Giovanni Bosco Corsi addestramento, qualifica, specializzazione per meccanici, elettromeccanici, falegnami, tipografi, litografi, legatori. Dal 1970: meccanici, elettromeccanici, tipografi, litografi. Dal 1977: CFP per meccanici, elettromeccanici, tipografi, litografi. Dal 1981: CFP per meccanici, elettromeccanici, grafici. Dal 2007: non è più presente il CFP. 1966 Palermo Gesù adolescente (1966) Centro addestramento professionale per tipografi, meccanici, elettromeccanici. Dal 1975: CFP per tipografi, meccanici, elettromeccanici, elettricisti di impianti. Dal 1985: CFP per tipografi, meccanici, elettromeccanici, riparatori elettrodomestici e serramentisti. Dal 1988: tipografi, meccanici, elettromeccanici, riparatori elettrodomestici e serramentisti, opera - tori pc. Dal 1992: meccanici, elettromeccanici, riparatori elettrodomestici e serramentisti, operatori pc, grafici. Dal 1995: meccanici, elettromeccanici, riparatori elettrodomestici e serramentisti, operatori pc, grafici, meccanici per auto. Dal 2004: CFP per stampatori offset, costruttori su macchine utensili, meccanici per auto, operatori per saldature, elettricisti, tecnico sistemi automazione, tecnico sistemi di climatizzazione e refrigerazione, commiss. di cucina. Dal 2006: stampatori offset, costruttori su macchine utensili, meccanici per auto, operatori per saldature, elettricisti, tecnico sistemi di climatizzazione e refrigerazione, commiss. di cucina. Dal 2008: stampatori offset, costruttori su macchine utensili, meccanici per auto, operatori per saldature, elettricisti, commiss. di cucina. 183 Vasto San Giovanni Bosco (1966) Scuole professionali. Dal 1968: CFP per meccanici generici e tornitori, elettromeccanici ed elettricisti. Dal 1977: meccanici generici e tornitori, elettromeccanici ed elettricisti, odontotecnici, termoidraulici. Dal 1981: CFP per metalmeccanici, elettricisti industriali, elettricisti meccanici, carpenteria metallurgica, meccanici odontotecnici, operatori macchine utensili. Dal 1985: metalmeccanici, elettromeccanici, meccanici, meccanici odontotecnici, operatori macchine utensili, informatica. Dal 1990: metalmeccanici, elettromeccanici, meccanici, operatori macchine utensili, informatica. 1967 Alessandria San Giuseppe operaio (1959) Dal 1967: corsi professionali per elettromeccanici. Dal 1970: CFP per meccanici. Dal 1997: Centro di formazione polifunzionale. Dal 2005: CFP meccanici. Dal 2007: meccanici e servizi d’impresa. Dal 2009: operatore servizi commerciali, meccanici e servizi d’impresa. Selargius San Domenico Savio (1967) Centro addestramento professionale per meccanici, elettromeccanici. Dal 1971: CFP per meccanici, tornitori, congegnatori, elettricisti, elettromeccanici radiotecnici. Dal 1982: elettropneumatica, meccanici, tornitori, congegnatori, elettricisti, elettromeccanici radiotecnici. Dal 1983: elettropneumatica, meccanici, tornitori, congegnatori, elettricisti, elettromeccanici radiotecnici e informatica. Dal 1991: CFP congegnatori meccanici, meccanici polivalenti, operatori macchine utensili, elettricisti industriali, antennisti, riparatori RTV, manutentori apparecchiature elettroniche, operatori prestampa, programmatori, operatori uff. automatizzati. Dal 1993: CFP. 184 1976 Fossombrone San Giovanni Bosco (1958) Dal 1976 al 1978: CFP Lecce San Francesco di Sales (1949) Dal 1976: centro formazione professionale. Dal 1979: meccanici, elettromeccanici. Dal 1982: CFP senza specifica. Dal 1997: non è più presente il CFP. 1980 Perugia San Giovanni Bosco (1958) Dal 1980: CFP per disegnatori. Dal 1982: CFP per elettricisti. Dal 1984: elettricisti e oleodinam. pneum. Dal 1986: disegnatori, elettricisti e oleodinam. pneum. Dal 1999: elettricisti, meccanici, termoidraulici. 1981 Vigliano biellese San Giuseppe (1967) Dal 1981: CFP per meccanici. Dal 1997: meccanici, informatici. Dal 1998: meccanici, informatici, elettronici. Dal 2000: meccanici, informatici, elettrotecnici. Dal 2002: meccanici, informatici, elettrotecnici, autom. industriali, saldocarpentieri. Dal 2006: meccanici, informatici, elettrotecnici, autom. industriali, saldocarpentieri, acconciatori e termoidraulici. Dal 2007: estetiste, settore edile, meccanici, informatici, elettrotecnici, autom. industriali, saldocarpentieri, acconciatori e termoidraulici. 1989 Castel de’ Britti Casa S. Cuore (1910) Dal 1989: corsi professionali pre-lavoro. Dal 1994: CFP falegnami, meccanici, idraulici. 1990 Venezia Mestre S. Marco (1990) CFP per grafici e meccanici. Dal 1998: conduttori CNC, grafici e meccanici. 1993 Bardolino Gesù adolescente (1962) Dal 1993: corsi Formazione Professionale. Dal 2011: CFP per meccanici, impiantisti. 185 Este Collegio Manfredini (1878) S. Giuseppe Dal 1993: corsi formazione professionale. Dal 1996: CFP per elettro-elettronici, automaz. industriale, operatori grafici prestampa, stampatori offset. Dal 2000: CFP meccanici, elettronici, grafici. Dal 2005: CFP meccanici, elettro-elettronici, gra - fici, idraulici. Dal 2011: CFP meccanici, elettro-elettronici, gra - fici. Lanusei Collegio S. Eusebio (1898) Dal 1993: corsi formazione professionale. 1995 San Cataldo S. Luigi Gonzaga (1924) Dal 1995 al 1997: corsi formazione professionale. 1996 Schio Istituto S. Luigi (1901) Dal 1996: corsi formazione professionale. 2001 Nuoro San Domenico Savio (1981) Dal 2001: corsi formazione professionale. 2002 Vallecrosia Maria Ausiliatrice Dal 2002: CNOS-FAP Fonte: “Annuario Salesiani di don Bosco” 1870-2013. L’elenco è diviso per anno, luogo e nome della casa salesiana con anno di fondazione della casa specificato tra parentesi. Inizialmente, la presenza dei laboratori è stata ricavata dalla comparsa di figure come Catechisti degli artigiani o Consiglieri professionali nell’elenco dei sacerdoti interni alla casa salesiana. Solo dall’Annuario relativo all’anno 1910 sono state specificate le attività svolte in ogni casa. In seguito l’inserimento delle case salesiane nell’elenco è stato in base all’anno in cui sono state avviate le attività professionali, non in base all’anno di fondazione della casa. Per gli anni 1943-1944 esiste un unico volume degli Annuari, uscito in forma ridotta a causa della Seconda Guerra Mondiale. 187 FONTI E BIBLIOGRAFIA 1. Fonti ASC A004 Conferenze generali. ASC 110 Barberis Cronache. ASC D871 Verbali del Capitolo Superiore. ASC D872 Verbali del Capitolo Superiore. ASC D876 Verbali del Capitolo Superiore. ASC D579 Capitolo Generale. ASC E183 Visita straordinaria; Lettere circolari. ASC E212 Consiglio Generale Circolari. ASC E226 Consiglio Generale Circolari. ASC E237 Consiglio Generale Circolari-Lazzero-Bertello. ASC E484 Scuole professionali. ASC B513 Consiglio Generale Cons. Professionale Bertello (1904). ASC E481 Scuole professionali. ASC E482 Scuole professionali, ASC E483 Scuole professionali. 2. Bibliografia ALBERA P., Don Giuseppe Bertello, Torino, Tip. Salesiana, 1910. ALBERDI R., La formación profesional en Barcelona. Política. Pensamiento. Instituciones 1875-1923, Barcelona, Ediciones Don Bosco, 1980. –, Impegno dei salesiani nel mondo del lavoro, e in particolare nella formazione professionale dei giovani, in “Salesiani nel mondo del lavoro”. Atti del Convegno europeo sul tema “Salesiani e pastorale per il mondo del lavoro”, Roma, Editrice SDB, 1982. BAIRATI P., Cultura salesiana e società industriale, in TRANIELLO F. (Ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI, 1987. BARICCO P., L’istruzione popolare in Torino, Torino, Tip. Botta, 1865. BERTELLO G., Scritti e documenti sull’educazione e sulle scuole professionali. Introduzione, premesse, testi critici e note a cura di Prellezo J.M., Roma, LAS, 2010. BIFFI G., Opere complete, vol. IV. Riformatori per giovani, Milano, Hoepli, 1902. BONGIOVANNI M., Cento anni di scuole professionali nella recente storia della Chiesa, in “Il Coadiutore Salesiano”, 6(1953)3. 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Indagine sul campo, Roma, LAS, 1997. 191 INDICE PRESENTAZIONE (a cura di Francesco Motto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 SIGLE E ABBREVIAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 CAPITOLO 1 DAI LABORATORI FONDATI DA DON BOSCO A VALDOCCO ALLE “SCUOLE DI ARTI E MESTIERI” SALESIANE (1853-1888) . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1. I laboratori di Valdocco: iniziativa “privata” nel clima di nuovo interesse per l’educazione dei giovani artigiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2. La “sezione artigiani” di Valdocco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. Carenze e proposte presentate al Secondo Capitolo Generale (1880) . . . . . . . 15 4. Sensibile sviluppo dei laboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 5. La “parte operaia delle case salesiane” nella prospettiva delle “scuole di arti e mestieri” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 6. Sintesi e considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 CAPITOLO 2 IL LABORIOSO CAMMINO VERSO L’ORGANIZZAZIONE DI “VERE E PROPRIE SCUOLE PROFESSIONALI” SALESIANE (1889-1910) . . . . . . . . 27 1. Primo “programma scolastico per le scuole di artigiani” (1888-1903) . . . . . . 28 2. Laboriosa applicazione del programma e “metodo di don Bertello” in una nuova cornice culturale (1903-1909) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.1. Disponibilità e resistenze di fronte al cambiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.2. Scuole professionali e colonie agricole salesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 3. Realizzazioni e prospettive: un primo bilancio nel 1910 . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 3.1. “Coi tempi e con Don Bosco”. Orientamenti generali . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 3.2. Esperienze e realizzazioni: le esposizioni generali delle scuole professionali 37 4. Sintesi e considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 192 CAPITOLO 3 LE SCUOLE PROFESSIONALI SALESIANE SULLO SFONDO DI DUE GUERRE MONDIALI: PROSPETTIVE E REALIZZAZIONI (1911-1945) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 1. Riserve e contrasti nei confronti delle “scuole tecniche interne” . . . . . . . . . . . 46 1.1. Diverse prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 1.2. Sguardo al contesto culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 2. Nuovi impulsi al “miglioramento” e richieste di “perfezionamento” . . . . . . . . 51 2.1. Don Pietro Ricaldone, responsabile delle scuole professionali salesiane (1911- 1922) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 2.2. In una“congiuntura favorevole”sotto la direzione di don Giuseppe Vespignani (1922-1932) e di don Antonio Candela (1932-1945) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 3. Fedeltà alle origini e impegno di adattamento alle richieste dei tempi: le “vere caratteristiche” delle scuole professionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 3.1. “Vere scuole” per la formazione dell’operaio: buon cristiano, onesto cittadino, abile nell’arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 3.2. “Istituti di beneficenza”: per l’educazione di apprendisti poveri . . . . . . . . . 60 3.3. Scuole rispondenti alle moderne “esigenze del tempo” e del “luogo” . . . . . 61 3.4. “Provviste di buon personale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 4. Entro ed oltre le “tragiche vicende” della guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 5. Sintesi e considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 CAPITOLO 4 DALLA “RICOSTRUZIONE” POSTBELLICA AL PRIMO CENTENARIO DEI LABORATORI DI DON BOSCO (1946-1953) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 1. Ripresa di un percorso bloccato dalla “inaudita violenza del conflitto” . . . . . 77 2. Un “Organo di Collegamento e di Informazione” professionale . . . . . . . . . . . 79 3. Proposta di “riconoscimento ufficiale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 4. Verso il centenario dei primi laboratori fondati da don Bosco . . . . . . . . . . . . . 82 5. Sguardo a una ricca e articolata realtà internazionale: mostre e convegni . . . . 84 6. Cifre, rilievi e prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 7. Sintesi e considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 Inserto fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 EPILOGO REALIZZAZIONI, PROBLEMI E PROSPETTIVE (1954-2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 1. Le Opere salesiane in un momento di profondi cambiamenti culturali . . . . . . 97 1.1. Eventi e circostanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 193 1.2. Approccio alla situazione spagnola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 1.3. Alcuni ostacoli imprevisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 2. Problemi e proposte di soluzione nei documenti salesiani più accreditati . . . . 103 2.1. Nuove linee di governo: unità e decentralizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 2.2. Tratti caratteristici delle Scuole Professionali Salesiane . . . . . . . . . . . . . . . 106 2.2.1. Attenzione alla qualità educativa e pastorale . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 2.2.2. Missione salesiana e mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 2.2.3. Presenza apprezzata negli ambienti popolari . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 2.2.4. Le scuole agricole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 3. Conclusioni: sguardo al presente attraverso alcuni testimoni accreditati . . . . . 110 APPENDICI PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 I - DOCUMENTI EDITI E INEDITI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 1. Prime stesure dei regolamenti dei laboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 2. Programma della prima esposizione triennale generale delle scuole professionali e agricole salesiane (1901) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 3. Nuovo metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani (1901) . . . . . . . . 121 4. Primo programma scolastico per le scuole di arti e mestieri salesiane (1903) . 125 5. Esami di promozione dei giovani artigiani (1903) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 6. Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di Valdocco (1904) . . . . . . . . . . 139 7. Orientamenti pedagogico-didattici per i maestri d’arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 8. Alcune avvertenze per norma delle giurie della III esposizione delle scuole professionali e colonie agricole salesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 9. Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali (1910) . . . . . . . . 148 II - DATI STATISTICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 III - DOCUMENTI ICONOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 IV - INDIRIZZI DI CARATTERE TECNICO-PROFESSIONALE DALLE ORIGINI FINO AD OGGI (ITALIA 1853-2013) SECONDO GLI ANNUARI SALESIANI . . . . . . . . . . . . . 158 FONTI E BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 195 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. 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Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inserimento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 198 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLàCˇek K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZA˛ DZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 199 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FriSAnCo m., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodologico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. 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Success stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza

Autore: 
G.Tacconi - G.M. Gomez
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2013
Numero pagine: 
188
Codice: 
978-88-95640-66-2
Giuseppe TAcconi - Gustavo MejiA GoMez SUCCESS STORIES Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza Anno 2013 Coordinamento scientifico: Dario nicoli (Università cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’AnDReA: Segretario nazionale settore Automotive. Dalila DRAzzA: Sede nazionale cnoS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FiAT GRoUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AliqUò, Gianni BUFFA, Roberto cAVAGlià, egidio ciRiGliAno, luciano clinco, Domenico FeRRAnDo, Paolo GRoPPelli, nicola MeRli, Roberto PARTATA, lorenzo PiRoTTA, Antonio PoRzio, Roberto SARToRello, Fabio SAVino, Giampaolo SinToni, Dario RUBeRi. ©2013 By Sede nazionale del cnoS-FAP (centro nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028 e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 i parte La ricerca si racconta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 ii parte I temi emergenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 iii parte Venti storie esemplari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 3 5 Introduzione di Giuseppe TACCONI la ricerca che viene qui presentata ha inteso esplorare in profondità il ruolo che l’esperienza vissuta all’interno di un centro di Formazione Professionale (cFP) ha assunto nelle biografie di un gruppo di ex-allievi di tali percorsi che si sono particolarmente distinti nell’ambito lavorativo e, più in generale, in quello della vita personale e dell’impegno sociale. la Federazione nazionale del cnoSFAP1 ci ha infatti chiesto di documentare alcune “storie di successo formativo” rintracciabili nelle biografie degli ex-allievi dei cFP salesiani che sono presenti in italia.Per precisare il focus assunto in questa ricerca sono necessarie alcune precisazioni. il compito che ci siamo assunti non era quello di indicare il numero di coloro che, a partire da percorsi di Formazione Professionale iniziale, sono arrivati al successo formativo. Del resto, non è facile nemmeno definire il concetto di “successo formativo”: che cosa significa? quali potrebbero essere i criteri che consentono di stabilire che un percorso formativo ha avuto effettivamente successo? Possiamo dire che il successo formativo è un concetto più ampio di quello di successo scolastico o economico e coincide con quello di “vita riuscita”; ma che cosa fa “riuscire nella vita”? non soltanto non è facile rispondere a questa domanda, ma sarebbe addirittura improprio riferire la riuscita nella vita ad un unico fattore, quello dell’esperienza formativa vissuta. in ogni caso, la ricerca non intende “dimostrare” che la Formazione Professionale porta al successo formativo, ma individuare quali condizioni possano favorire il successo formativo, a partire da alcuni casi concreti, segnalatici dai direttori di alcuni cFP salesiani sparsi per l’italia, in cui la formazione umana e professionale vissuta nei cFP – accanto ad altri elementi – ha giocato un ruolo di rilievo nello sviluppo di biografie personali consistenti e nell’assunzione di ruoli significativi e socialmente riconosciuti. la ricerca assume pertanto come principale oggetto il rapporto che esiste tra la formazione che queste persone hanno vissuto nei cFP e quello che oggi sono, almeno dal punto di vista di chi narra. Si tratta del resto di un oggetto quasi per nulla indagato. 1 la Federazione cnoS-FAP (centro nazionale opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professionale), che ha sede a Roma, è l’ente che coordina i circa 60 centri di Formazione Professionale (cFP) salesiani presenti in italia. 6 esplorando le biografie viventi di alcuni ex-allievi, ci interessava in particolare capire che cosa avesse consentito a ragazzi, che spesso arrivavano al cFP carichi di fardelli pesanti e con gravi difficoltà nei confronti di un certo tipo di scuola, di ritrovare, fra alterne vicende, un cammino utile per valorizzare le proprie potenzialità ed affermarsi, da adulti, come stimati professionisti e soggetti capaci di assumersi responsabilità per sé e per gli altri (cfr. Dell’oro, 2012, p. 65). la ricerca sulle storie di formazione e di vita degli ex-allievi diventa pertanto anche – e soprattutto – una ricerca sulle pratiche dei docenti e le caratteristiche degli ambienti formativi viste con gli occhi degli ex-allievi. in questo senso la ricerca si qualifica come specificamente didattica, in quanto, attraverso i dettagli delle storie raccolte e analizzate in questo volume, ci consente di conoscere le caratteristiche di ambienti e pratiche formative che, in diversi casi, hanno consentito proprio quel tipo di valorizzazione che spesso ritroviamo all’origine di veri e propri cambi di rotta. Alcuni anni fa avevamo condotto, nello stesso contesto, alcune ricerche didattiche sulle pratiche formative dei docenti dei percorsi di istruzione e Formazione Professionale (ieFP), a partire dai racconti di un centinaio di docenti stessi (Tacconi, 2011a; 2011b; 2011c) assunti come fonte di un sapere pratico rilevante. la presente ricerca consente di attivare uno sguardo complementare alle precedenti sulle pratiche formative, con diversi punti di convergenza ma anche con accenti differenti che non mancheremo di sottolineare. non da ultimo, in un tempo in cui come Paese siamo confrontati con la sfida di rilanciare l’occupazione, l’esplorazione dei concreti percorsi di Formazione Professionale, che hanno consentito un accesso soddisfacente al mondo del lavoro e a itinerari di crescita personale, oltre che professionale, può risultare particolarmente utile per individuare traiettorie praticabili e direttrici verso cui orientare gli sforzi. il lavoro si sviluppa in tre parti. nella prima, la ricerca qualitativa si racconta. in questo tipo di ricerca, infatti, il rigore si gioca proprio nella misura in cui si riesce a dar conto in modo dettagliato di come il percorso è andato configurandosi. nella seconda parte, vengono presentati i risultati dell’analisi dei dati raccolti, che consentono di mettere a fuoco le caratteristiche dell’ambiente formativo del cFP e delle strategie di intervento che i partecipanti hanno constatato essere state decisive per la loro crescita. nella terza parte, presentiamo venti storie esemplari che illustrano in modo narrativo i principali elementi emersi dall’analisi. la conclusione, infine, propone una discussione dell’analisi dei dati che ne evidenzi le acquisizioni principali e indichi prospettive ulteriori. 7 I parte La ricerca si racconta di Giuseppe TAcconi «Hodie legimus in libro experientiae»1 il tragitto di una ricerca empirica di stampo qualitativo, come quello di un’escursione in montagna, può essere analizzato solo retrospettivamente, dopo che si è concluso, raccontandolo. Trattandosi poi, come in questo caso, di una ricerca centrata sull’approccio narrativo, è importante che anche il modo stesso di darne conto sia di tipo narrativo. nelle pagine che seguono cercherò pertanto di raccontare la ricerca, esplicitandone gli assunti epistemologici, precisandone il focus e il metodo, descrivendone i partecipanti, l’articolazione e le fasi. 1. RICERCA DIDATTICA E NARRAZIONE: PRESUPPOSTI EPISTEMOLOGICI questa ricerca nasce dalla raccolta di narrazioni di ex-allievi che hanno seguito un percorso di Formazione Professionale iniziale in un centro di Formazione Professionale (cFP) salesiano, in una delle sei Regioni italiane in cui si sono svolte le rilevazioni, in un lasso di tempo che va dagli anni Sessanta agli anni Duemila. le narrazioni sono state raccolte attraverso 54 interviste biografiche, successivamente trascritte e rielaborate in forma di racconti. il focus assunto nella raccolta e nell’analisi dei materiali è stato la qualità dell’esperienza formativa vissuta al cFP e la sua capacità di influire sul percorso biografico e sulla realizzazione, nel lavoro e nella vita, dei soggetti interpellati. il presupposto epistemologico di questa ricerca è che le narrazioni possano costituire il luogo genetico anche di un sapere rilevante sulla Formazione Professionale. la ricerca si configura infatti come una ricerca didattica, interessata ad approfondire la conoscenza che abbiamo delle pratiche formative. la pratica e i contesti nei quali essa si sviluppa rappresentano grandezze dense e complesse, che sfuggono alla presa sicura da parte di idee chiare e distinte e si offrono invece ai racconti dei soggetti che le vivono. il racconto si configura quindi come il modello co- 1 BeRnARDo Di chiARAVAlle (2006), p. 55. 8 noscitivo più adeguato – e non la rinuncia ad esso – per avvicinarsi alla pratica e al sapere vivo dell’esperienza2. certo, dall’analisi e dall’intreccio delle storie di formazione nasce anche una teoria, espressione del tentativo di mettere in parola il sapere che si genera a partire dall’esperienza (cfr. Mortari, 2003; 2010) e di dare un ordine razionalmente giustificato, riflettuto e argomentato, agli orientamenti pratici e alle logiche che possono ispirare l’azione formativa. Si tratta però di una teoria umile, situata, che non aspira alla generalizzazione, una teoria che potremmo definire “estratta”, e non “astratta”, perché assume forma proprio attingendo continuamente alle narrazioni da cui scaturisce e articola così concetti che – mi piace dire – rimangono “incarnati”3. Se in precedenti ricerche (cfr. Tacconi, 2011a; 2011b; 2011c; Tacconi, Mejia Gomez, 2010) abbiamo esplorato la pratica formativa a partire dalle narrazioni dei pratici, qui diamo voce al punto di vista di chi la formazione l’ha vissuta dall’altra parte del banco4. nell’uno e nell’altro caso, la comprensione dell’esperienza formativa – che è fondamentalmente relazione – non può avvenire che all’interno di uno spazio relazionale, quello istituito dall’intervista o dal costante confronto tra i ricercatori o, come nei casi citati sopra, anche dalla creazione di momenti di confronto tra i partecipanti e di validazione intersoggettiva dell’analisi dei dati raccolti. Ancora una volta, dunque, la narrazione si rivela essere per la didattica non solamente uno dei possibili approcci di ricerca ma l’approccio genetico, sorgivo e fondativo. la narrazione è costitutiva dell’identità di ogni persona, che appunto, come ci ricorda Paul Ricoeur, si configura come “identità narrativa” (Ricoeur, 1993, pp. 201-230). Per quanto i ricordi rimangano sempre in debito rispetto all’esperienza da cui attingono, proprio attraverso la memoria e la narrazione ciascuno di noi viene alla luce con i suoi lineamenti singolari (cavarero, 1997). A questo riguardo, luigi Meneghello5 osserva: «Siamo ciò che siamo stati: siamo come ci ha fatti il giro dell’esperienza, le cose viste, la gente con cui siamo entrati in rapporto, i libri 2 A questo riguardo, Max Van Manen osserva quanto segue: «The present interest in story or narrative may be seen as the expression of an attitude that is critical of knowledge as technical rationality, as scientific formalism, and knowledge as information. interest in narrativity may express the desire to return to meaningful experience as encountered in everyday life, not as a rejection of science, but rather as a method that can deal with concerns that normally fall outside of the reach of “normal” science» (VAn MAnen, 1994, p. 159). Su questo tema, cfr. anche DAhlBeRG, DRew, nySTRoM, 2002. 3 la rinuncia alla generalizzazione non contrasta con il tentativo di ricavare dalle storie elementi di trasferibilità ad altre situazioni e contesti. ogni singola storia, infatti, rimanda a schemi di azione che si ritrovano in molte altre e ogni schema di azione che viene individuato sintetizza molte situazioni. 4 in questo senso, come abbiamo già affermato nell’introduzione a questo lavoro, la presente ricerca integra e completa le precedenti. Per una ricerca basata su un approccio analogo a quello da noi adottato nelle ricerche sulle pratiche dei formatori della Formazione Professionale iniziale, ma riferita al contesto della formazione continua, cfr. liPARi, 2012. 5 Mi sembra opportuno, parlando di narrazione, attingere alle pagine di scrittori, narratori di professione alla lettura dei quali anche la ricerca didattica può alimentarsi. 9 letti. Abbiamo alle spalle una folla di presenze, alcune ingombranti come ippopotami, altre evanescenti e remote» (2012, p. 91). Attingendo alle parole di un altro scrittore, questa volta colombiano, possiamo precisare che «la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla» (Gárcía Márquez, 2002)6. non siamo solamente la somma dei nostri vissuti, ma ciò che dei nostri vissuti si trasforma in esperienza, proprio attraverso il ricordo e la narrazione7, e viene a far parte di noi, fino a costituirci intimamente. Se tutto questo si può dire delle autobiografie personali (cfr. Demetrio, 1996; De carlo, 2010), forse si può affermare anche di una disciplina come la didattica, almeno se intendiamo la didattica non più come scienza chiamata a prescrivere come si debba insegnare, ma come ambito di conoscenza che rivolge la sua attenzione a come le pratiche formative si dispiegano effettivamente (Damiano, 2006), raccoglie e tesse insieme storie di pratica, riconosce in esse e tra di esse una trama e, nella trama, un senso che ne rivela il significato e ne indica la possibile direzione (il “senso” di marcia, appunto). il presente lavoro ci mette a confronto con entrambi i piani narrativi sopra evocati, quello personale delle storie di formazione dei singoli ex-allievi e quello più ampio della ricerca didattica, intesa appunto come impresa collettiva e collaborativa, volta ad una messa in parola del sapere sulla formazione che è incorporato nelle pratiche di formazione e diventa accessibile alla conoscenza attraverso le storie di formazione. Tutto questo richiede di alimentare fiducia nelle storie, nella loro capacità di rivelarci aspetti profondi della realtà e dei fenomeni indagati (lackey, Sosa, 2006), pur non identificandosi con essi. Parlando dei presupposti epistemologici di questa ricerca possiamo citare anche il fatto che la ricerca qualitativa in genere, e in particolare quella che si basa sull’analisi delle pratiche e delle esperienze vive, assume una valenza formativa anche per i soggetti che vi partecipano (Tacconi, 2011d). Di ciò che è avvenuto, nei partecipanti e nei ricercatori, raccontando e sentendo raccontare le storie che seguono, dirò qualcosa più avanti, ricostruendo le fasi della ricerca. qui mi limito alla citazione di un racconto chassidico riportato da Martin Buber che sottolinea come la performatività sia proprio una caratteristica della narrazione: «A un rabbi, 6 Vale la pena di notare che fonte di ispirazione per questa ricerca sono state proprio le pagine di scrittori (come, ad esempio, proprio luigi Meneghello e Gabriel Gárcía Márquez) che, nelle loro opere, hanno dedicato una particolare attenzione a ricostruire i ricordi delle esperienze scolastiche vissute come allievi. oltre alle opere appena citate, segnalo un’utile e agile antologia degli scritti di luigi Meneghello sulle figure dei suoi insegnanti di un tempo, curata qualche anno fa da Francesca caputo (Meneghello, 2009). Un altro grande scrittore, elias canetti, ne La lingua salvata, racconta la sua esperienza scolastica di un tempo e traccia i profili di alcuni suoi insegnanti, in particolare del Prof. witz (cfr. cAneTTi, 1980, pp. 320-329). Su questo, vedi anche BAGni, conSeRVA, 2005, pp. 154- 157. Anche queste sono a tutti gli effetti fonti documentali (e per la precisione scritture di ex-allievi) a cui la ricerca didattica potrebbe, a mio parere, proficuamente attingere. 7 È Bruner a ricordarci che «la forma tipica di strutturazione dell’esperienza (e del nostro ricordo di essa) è narrativa» (BRUneR, 1992, p. 65). 10 il cui nonno era stato discepolo del Baalshem, fu chiesto di raccontare una storia. “Una storia, egli disse, va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto”. e raccontò: “Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare la storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì» (Buber, 1988, pp. 3-4). come avremo modo di vedere dalle testimonianze dei partecipanti, anche per loro raccontare storie è stato d’aiuto: raccontando quelle dei loro maestri, delle loro azioni e delle loro “danze”, anche ai nostri formatori è capitato spesso di ritrovarsi a danzare come loro. 2. GLI OBIETTIVI E IL FOCUS DELLA RICERCA come abbiamo già accennato nell’introduzione, il focus della ricerca che qui presentiamo è l’esperienza umana e formativa vissuta dai soggetti interpellati, nei cFP nei quali sono stati allievi, ciò che è stato significativo per loro. l’ipotesi di lavoro è che la formazione vissuta nel cFP – accanto ad altri elementi – possa avere giocato un ruolo rilevante nello sviluppo di biografie personali consistenti e nell’assunzione di ruoli socialmente riconosciuti. la nostra ricerca assume pertanto come oggetto le storie di formazione e di lavoro di un gruppo significativo di ex-allievi dei percorsi della Formazione Professionale iniziale, per indagare il rapporto che esiste tra la formazione che queste persone hanno vissuto nel cFP e quello che oggi sono. in particolare, si intende capire, a partire dal punto di vista dei soggetti in formazione, quali siano stati gli elementi di qualità delle pratiche formative che erano in uso nei cFP e che questi ex-allievi considerano essere state determinanti nel dare una certa direzionalità al loro percorso. Più in generale, si tratta di individuare quegli elementi essenziali dell’esperienza formativa che hanno contribuito al successo formativo nella storia delle persone intervistate e di proporli all’attenzione dei formatori e degli operatori della Formazione Professionale attuale, come elementi su cui può valere la pena di riflettere e forse di puntare anche oggi. il focus è dunque, ancora una volta, sulle pratiche formative, sui contesti in cui esse si danno, sui concreti dispositivi in cui si traducono e sugli atteggiamenti che animano i pratici8. Si capisce dunque in che senso la presente ricerca si qualifichi come ricerca “didattica”, interessata ad illuminare la pratica considerando i soggetti che interagiscono nell’azione didattica – gli attori, appunto – come fonti di un sa- 8 Per studi simili, basati però sulle scritture che un gruppo di insegnanti ha prodotto sui propri insegnanti di un tempo, cfr. TAcconi 2007 e TAcconi 2013. non ci risulta invece che siano stati finora condotti studi di questo genere sugli ex-allievi di cFP. 11 pere rilevante (Damiano, 2006; Grassilli, Fabbri, 2003). Se, negli scorsi anni (Tacconi, 2011a; 2011b; 2011c), la pratica didattica è stata indagata a partire dalle narrazioni dei pratici e, in particolare, dei docenti, qui, come già ricordato, la pratica formativa viene esplorata a partire dalle narrazioni di coloro che rappresentano l’altro polo della relazione educativa: gli allievi, anzi più precisamente gli ex-allievi. Mettere a fuoco gli elementi per i quali l’esperienza formativa degli ex-allievi interpellati può essere considerata un’esperienza di “successo” ci consente di raccogliere una specie di galleria di storie di insegnamento (coles, 2004; edmunson, 2002), viste con gli occhi di coloro che tali insegnamenti li hanno vissuti da allievi, a partire dalle quali tentare di delineare i tratti di un modello efficace di Formazione Professionale. 3. I PARTECIPANTI i partecipanti che, congruentemente con gli assunti di carattere epistemologico sopra esplicitati, in questo tipo di ricerca diventano a pieno titolo soggetti attivi della ricerca stessa, fonti del sapere che si intende mettere a fuoco, sono stati 54 exallievi di 7 centri di Formazione Professionale (cFP) salesiani di 6 Regioni italiane (emilia Romagna, lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Veneto). la ricerca, promossa dalla Sede nazionale della Federazione cnoS-FAP, prevedeva il coinvolgimento di almeno 40 ex-allievi, scelti tra coloro che si erano particolarmente distinti nella vita lavorativa e personale. nel mese di aprile del 2010, la Sede nazionale ha contattato i direttori dei circa 60 cFP salesiani, sparsi su tutto il territorio nazionale, chiedendo loro di indicare i nominativi e i recapiti telefonici di quegli ex-allievi che consideravano possibili esempi di “successo formativo” in almeno due dei seguenti ambiti: 1) impegno lavorativo, 2) impegno sociale e civile (servizi di volontariato, impegno in ambito culturale e sociale o politico ecc.) e 3) impegno in ambito salesiano (associazione ex-allievi, docenza nel cFP, servizi all’interno delle opere salesiane ecc.). Alla sollecitazione da parte della Sede nazionale hanno risposto, offrendo la loro disponibilità, 14 cFP. nei mesi successivi e per tutto il 2011, è stato possibile contattare direttamente e organizzare le interviste in 7 cFP. Sono state raccolte complessivamente 54 storie di formazione9. nella Tabella 1, riportiamo l’elenco dei partecipanti, nell’ordine in cui è stata effettuata la raccolta dei dati. Di ciascuno si riportano qui (e successivamente nel testo) il cFP di provenienza, le iniziali del nome e del cognome e alcune altre caratteristiche. 9 Tra i cFP che hanno offerto la disponibilità a partecipare alla ricerca indicando i nomi e i recapiti dei soggetti da intervistare, per motivi organizzativi, non è stato possibile coinvolgere il cFP di Vasto (ch) che si spera di poter coinvolgere in successivi sviluppi di questo lavoro. 12 Tab. 1 - Elenco dei partecipanti segue 13 segue 14 come si può vedere nella tabella, le aree geografiche in cui è stato possibile realizzare il maggior numero di interviste sono state la Sicilia e il Piemonte10. la ragione di questo è stata di carattere prettamente organizzativo: in quei contesti, infatti, si sono create delle condizioni particolarmente favorevoli per l’incontro con i partecipanti e la raccolta dei dati. Del resto, la ricerca non si poneva l’obiettivo di coinvolgere un campione rappresentativo di ex-allievi. era, piuttosto, interessata alla significatività dei testimoni e ad una loro distribuzione su tutto il territorio nazionale. in particolare, sempre per quanto riguarda le aree di provenienza, 31 partecipanti provengono dalle Regioni del Sud italia (Sicilia: 2911 e Puglia: 2), mentre 23 partecipanti provengono dalle Regioni dell’italia del nord (Piemonte: 14; Veneto: 5; emilia Romagna: 3; lombardia: 1). i soggetti indicati sono tutti maschi. Anche se, dagli Anni ‘90, i cFP salesiani è si sono aperti anche ad accogliere allieve, l’utenza decisamente prevalente è maschile. Per quanto riguarda le età, solo 2 dei partecipanti, al momento dell’intervista, avevano meno di 29 anni (cioè avevano frequentato il cFP tra la fine degli Anni ‘90 e i primi anni 2000) e ancora solo 2 avevano più di 60 anni (il che significa che avevano frequentato il cFP a metà degli Anni ‘60). 12 partecipanti avevano tra i 50 e i 59 anni (significa che avevano frequentato il cFP tra il 1966 e il 1975), 19 avevano tra i 40 e i 49 anni (cioè avevano frequentato la Formazione Professionale tra il 1976 e il 1985) e altri 19 avevano tra i 30 e i 39 anni d’età (e avevano frequentato la Formazione Professionale tra il 1986 e il 1995). Per quanto riguarda i titoli di studio acquisiti, la metà dei partecipanti ha conseguito una qualifica professionale e si è poi inserita nel mondo lavorativo; l’altra metà dei partecipanti ha proseguito negli studi oltre la qualifica, spesso dopo aver superato impegnativi esami di ammissione (in genere al terzo anno) ai percorsi di istruzione superiore, scegliendo di continuare fino alla conclusione di un corso quinquennale (esame di maturità), frequentando generalmente un istituto tecnico o professionale e seguendo spesso i corsi serali. Una decina di partecipanti ha intrapreso corsi universitari e 6 di loro sono arrivati ad una laurea, in genere in ambito tecnico o ingegneristico. Per quanto riguarda le aree di impegno, 15 partecipanti hanno attualmente un impiego come tecnici (disegnatori, progettisti, macchinisti, tipografi, analisti ecc.), 3 come dirigenti, 18 sono imprenditori o liberi professionisti, 16 sono assunti come formatori o docenti, prevalentemente all’interno di cFP salesiani. 10 in Sicilia, don Mauro Moccia, responsabile salesiano del cFP di catania, e in Piemonte, Michele Marchiaro e walter Manzone, entrambi docenti nei cFP di Fossano e Bra, si sono resi molto disponibili a facilitare la raccolta, organizzando gli incontri con gli ex-allievi e spesso accompagnando personalmente l’intervistatore nei luoghi in cui si sono svolti gli incontri. 11 l’intervista col codice intct1 non è stata inserita nella Tab. 1 e dunque nei conteggi, perché non ha coinvolto un ex-allievo ma un salesiano ed è servita per raccogliere elementi utili alla comprensione del contesto. 15 4. IL METODO Abbiamo chiarito sopra quali siano i presupposti epistemologici assunti in questa ricerca e il problema da cui essa parte. il metodo adeguato al problema di comprendere a fondo la fenomenologia dei processi formativi che avvengono nei cFP, a partire dall’esperienza di soggetti che ne sono stati allievi e che dunque hanno condiviso un’esperienza simile, ci è parso essere quello empirico che si rifà alla narrative Inquiry (clandinin, 2007). la tecnica di indagine che abbiamo utilizzato per raccogliere i dati è stata infatti l’intervista narrativa (Atkinson, 2002) e anche gli approcci a cui ci siamo riferiti per l’analisi dei dati raccolti, in particolare il metodo fenomenologico (Van Manen, 1990; Mortari, 2007) e quello della grounded theory (Glaser, Strauss, 1967; Tarozzi, 2008), hanno assunto una curvatura, se così si può dire, “narrativa”: il primo orientando in particolare la postura dei ricercatori nell’ascolto attento dei racconti dei soggetti interpellati; il secondo guidando nel processo di progressiva concettualizzazione dal basso, a partire però dall’individuazione di unità narrative, generalmente ampie, come unità di analisi. le scelte di metodo compiute hanno comportato un costante accompagnamento riflessivo attraverso la stesura di un diario di ricerca (ancora una volta una narrazione) e un continuo confronto tra i ricercatori. l’impronta narrativa caratterizza insomma tutto l’impianto metodologico della ricerca: la fase di raccolta, in cui i racconti vengono sollecitati e accolti come dono; la fase di analisi, in cui i ricercatori si soffermano sulle unità narrative e, attraverso il diario, raccontano l’analisi stessa; la fase di scrittura del report, in cui si dà conto in forma narrativa dei risultati emersi e del processo stesso di ricerca. 5. LE FASI DELLA RICERCA Solo la ricostruzione delle varie fasi del processo di ricerca consente di cogliere come il metodo sia andato concretamente strutturandosi e abbia consentito di passare da una semplice raccolta di narrazioni ad una comprensione profonda dell’esperienza formativa. qui di seguito riportiamo le fasi così come si sono succedute, attingendo anche alle note che abbiamo steso in quella vera e propria fase trasversale all’intero processo che è la stesura del diario riflessivo (Mortari, 2007). 5.1. La raccolta dei dati Abbiamo già ricordato sopra che i partecipanti sono stati indicati alla Sede nazionale del cnoS-FAP dai direttori dei vari cFP, tra gli ex-allievi che rispondevano ad alcuni criteri che avevamo scelto come indicatori di “successo formativo”. Una volta acquisiti i nominativi e i recapiti, abbiamo proceduto a contattare singo16 larmente gli ex-allievi12 e ad organizzare le trasferte. le interviste sono state realizzate tutte da Gustavo Mejia Gomez che si è mosso nelle sei Regioni in cui è avvenuta la raccolta. 5.1.1. Sollecitazioni delicate a ricordare Particolare cura ha richiesto la predisposizione di un setting accogliente, che consentisse ai soggetti interpellati di cogliere il senso della ricerca e che facilitasse l’ascolto e la costruzione di un clima di reciproca fiducia. circa metà delle interviste sono state realizzate presso i cFP, mentre l’altra metà sono state realizzate nei luoghi di lavoro dei soggetti interpellati. le interviste sono durate in media circa 90 minuti ciascuna. 12 questa operazione non è sempre stata agevole. Soprattutto non è stato facile concordare degli appuntamenti e organizzare quindi i viaggi dell’intervistatore. Solo nel caso di Piemonte e Sicilia, alcuni referenti locali hanno fatto da tramite consentendo all’intervistatore di utilizzare al meglio i tempi di permanenza in quei contesti per la raccolta dei dati. Domande di apertura/informative – Nome e cognome. – Età. – Attuale occupazione. – Anni in cui è stata vissuta l’esperienza al CFP. – Percorso formativo post-CFP (se presente). Domande d’ingresso – Provi a descrivere il suo attuale, principale ambito di impegno lavorativo. – Che cosa ricorda dell’esperienza che ha vissuto al CFP? Core Questions – Che cosa ritiene di avere imparato al CFP? Può ricordare qualche episodio emblematico? – C’è qualche figura di insegnante che lei ricorda con particolare intensità? Come mai? C’è qualche episodio particolarmente significativo che le è rimasto impresso nella mente, che lei ricorda, in relazione a questo insegnante? Potrebbe raccontarlo? – C’è qualcosa di quello che ha vissuto al CFP che lei ritiene in qualche modo abbia influito o determinato le sue scelte future? Le scelte che vengono compiute da una persona nella vita possono dipendere da moltissimi fattori; in quale misura la formazione ricevuta nel CFP salesiano ha contribuito, se secondo lei ha contribuito, al suo sviluppo professionale e, più in generale, personale? – Quale aspetto dell’esperienza formativa vissuta al CFP ritiene sia stato/a particolarmente rilevante in ordine alla sua attuale professione? Che cosa, di quello che ha vissuto al CFP, ritiene che sia stato più utile per il dopo, anche in ordine ai suoi campi di impegno attuali? – Che rapporto vede tra la sua storia di formazione (di cui fa parte anche l’esperienza vissuta al CFP) e ciò che lei è oggi? Domande di chiusura – Che consiglio darebbe ai formatori di oggi, a partire dalla sua esperienza? – Come si è sentito durante questa intervista? Tab. 2 - Traccia per l’intervista narrativa 17 Pur avendo definito una traccia da seguire per realizzare l’intervista (vedi Tab. 2), i colloqui sono stati condotti in modo non direttivo (Rogers, 1997). l’intervistatore ha cercato di porsi, nei confronti dell’intervistato, con un atteggiamento di autentico interesse, dismettendo i panni dell’“esperto” e indossando quelli di colui che chiede per conoscere ed è consapevole che il racconto dell’altro rappresenta un vero e proprio dono. l’importante era mantenere l’attenzione dell’intervistatore e dell’intervistato sui focus dell’intervista stessa, cioè sull’esperienza vissuta al cFP e sul rapporto tra tale esperienza e la futura vita personale e lavorativa. in particolare si trattava di sollecitare con delicatezza la narrazione di situazioni, aneddoti ed episodi, più che l’emersione di considerazioni e pensieri di carattere generale. Più che storie di vita, quelle raccolte attraverso le interviste sono dunque storie di formazione e di vita professionale, che hanno comunque richiesto ai partecipanti un ascolto di sé ed una specifica riflessione sulla propria storia, che li ha portati in particolare ad esplicitare e poi ad esaminare i tratti di quelle figure esemplari che hanno svolto un ruolo importante nella loro formazione. le interviste sono state ovviamente audio-registrate e trascritte parola per parola all’interno di una matrice che, oltre ai dati relativi all’intervista, riportasse i vari turni di parola e gli spazi per le operazioni di analisi (vedi Tab. n. 3). la raccolta delle interviste integrali è stata consegnata a fine 2012 alla Sede nazionale del cnoS-FAP, contestualmente ad un primo report di ricerca. non è stato invece possibile effettuare ricognizioni più ampie, attraverso schede esplorative sintetiche, così come non si sono potuti coinvolgere i soggetti interpellati nella realizzazione di incontri di approfondimento e di validazione intersoggettiva delle analisi dei dati. 5.1.2. L’intervista narrativa come momento riflessivo e trasformativo la partecipazione alle interviste ha rappresentato per i soggetti coinvolti un momento particolarmente intenso di riflessione. qui di seguito, riporto alcuni brani che consentono di cogliere il significato che l’intervista ha assunto per i partecipanti. P er i partecipanti, l’intervista ha rappresentato innanzitutto un momento di intenso coinvolgimento emotivo, legato ai ricordi: Tab. 3 - Traccia per l’intervista narrativa 18 in questa intervista mi sono un po’ commosso. Sono bei ricordi! Sono qua tutti i giorni, però non ci penso, perché vengo a lavorare; quando ne parli con altri ti commuovi perché sono bei ricordi (intBra5); in questa intervista ho provato un po’ di emozione, perché non capita tutti giorni di parlare della propria vita. qualche volta incontro degli ex-allievi, o qualche persona che conosce i salesiani, e anche in quei casi spesso scatta il ricordo, sempre associato a forti emozioni (intct10). Ricordare è piacevole e “fa star bene”; inoltre, attraverso il ricordo, cresce la consapevolezza riguardo a sé e alla propria storia: è bello ricordare che ho iniziato da zero […]; ricordare tutto il percorso che ho fatto in questi anni, mi appaga; guardo indietro e mi accorgo di aver percorso un bel pezzo di strada. Se uno fa questo percorso con passione, poi lavorerà nello stesso settore con passione (intct16); mi sento come se avessi di nuovo quindici anni: si ritorna all’età della scuola, ai giochi, agli studi, al laboratorio, al professore di aggiustaggio con la lima; è qualcosa di magico (intct18); quando mi viene chiesto di parlare della scuola e dei salesiani è sempre un piacere, perché è bello ricordare i vecchi periodi. ogni volta che entriamo qua, al cFP, ci tuffiamo nel nostro passato e i ricordi sono sempre piacevoli (intct19); mi capita di sovente di ricordare la mia esperienza; data la mia età, sto cominciando a vivere di ricordi; sono passati tanti anni e ricordo con piacere le cose fatte (intBra4); dopo l’iniziale smarrimento, ho cominciato a mettere insieme un po’ i pezzi e direi che, con calma, si possono ricordare le cose buone e quelle brutte; nella mia esperienza, quelle buone sono in netto vantaggio; l’intervista è stata piacevole e ricordare il passato può essere per certi versi terapeutico (intFoss4). l’intervista ha avuto l’effetto di smuovere energie, di mettere in moto il pensiero e di consentire l’esplicitazione di elementi altrimenti destinati a rimanere muti: facendo questa intervista mi sono sentito vivo; ho raccontato cento cose, ma ne dovevo raccontare mille, forse ci ripenserò e mi accorgerò di non avere detto le cose più importanti (intct9); in questa intervista sono stato messo nelle condizioni di buttar fuori quello che avevo dentro di positivo e magari anche qualcosa di negativo (intct3). nei partecipanti c’è infine la consapevolezza che, attraverso le loro testimonianze, anche altri potranno confrontarsi con l’esperienza del cFP, cogliendone il valore: mi fa piacere parlare della mia esperienza. A chi mi chiederà come mai faccio questo lavoro racconterò la mia storia e ricorderò don R. che mi è rimasto proprio nel cuore (intct29); mi fa bene parlare del cFP; spero che attraverso queste interviste, le persone che non hanno mai avuto modo di stare in un cFP, si possano confrontare con questa esperienza; è stata bella, positiva, ho potuto rinfrescare i miei ricordi (intct14). 19 Tutto questo ci fa toccare con mano che una ricerca di questo tipo può trasformarsi in un significativo momento riflessivo di riappropriazione della propria storia e di proiezione nel futuro. 5.2. L’analisi dei dati la seconda e la terza parte di questo lavoro di ricerca danno conto dei risultati di due modalità differenti, ma integrate e complementari, di analizzare i dati raccolti. in entrambi i casi, abbiamo adottato un approccio narrativo che andremo ad esplicitare qui di seguito. 5.2.1. L’analisi dei dati secondo un approccio grounded oriented l’analisi dei dati, avviata una volta conclusa la raccolta dell’intero corpus delle 54 interviste, ha comportato innanzitutto una lettura attenta del materiale da parte di entrambi i ricercatori. l’avvicinamento ai testi, come l’incontro diretto con testimoni viventi, richiede un atteggiamento di ascolto e accoglienza, per lasciarli risuonare dentro di sé, fino a cogliere l’emersione di alcuni temi rilevanti e delle relative connessioni in grado di illuminare la pratica formativa come un cono di luce, che non vernicia le cose del suo colore ma fa brillare ciascuna del proprio. Dopo che ciascuno dei due ricercatori aveva letto separatamente i materiali inseriti in matrice (vedi sopra, Tab. 3), evidenziando le unità di testo significative in base all’oggetto della ricerca e formulando per ciascuna unità un’etichetta descrittiva (cfr. Mortari, 2007), ci siamo ritrovati per un primo confronto. i materiali risultavano di diversa densità, ma in tutti i testi ritrovavamo unità significative, caratterizzate da descrizioni particolareggiate di situazioni specifiche, oltre che da pensieri e considerazioni dei parlanti. nel confronto, che è servito per costruire uno sguardo comune e un buon livello di accordo nella formulazione delle etichette descrittive, ci siamo resi conto che procedere nell’analisi utilizzando la matrice rischiava di orientarci a spezzare elementi che, nella descrizione dei partecipanti, si presentavano come intrecciati. Abbiamo pertanto optato per la trasformazione delle interviste in veri e propri testi, togliendo i turni di parola che contenevano le domande e curando, nel caso in cui fosse necessario, i raccordi tra una risposta e l’altra degli intervistati con l’inserimento redazionale, tra parentesi tonde, di una particella connettiva o di qualche altra parola utile per la comprensione. nello stesso tempo, ci accorgevamo che alcune espressioni, spesso tipiche del parlato (ad esempio, espressioni come: “diciamo che…”, “guardi…”, “ecco”, “ha/i capito?”, “quello che è”, “diciamo questo” ecc., oppure relative come “che c’era/erano…” ecc.), potevano essere tolte senza compromettere minimamente il significato del brano narrato. le abbiamo allora sostituite con l’inserimento dei puntini all’interno di parentesi quadre ([…]). in questa operazione di “pulitura del testo”, era molto importante essere attenti a non alterare il significato del testo. ci accorgevamo che anche questa vera e propria cura del testo diventava a tutti gli effetti un’azione di analisi. Abbiamo proceduto 20 insieme su una decina di interviste e poi autonomamente, ma confrontandoci su tutti i punti critici. qui di seguito riportiamo il brano di un’intervista, l’intVr2, trasformata in racconto: ho trentanove anni e la mia attuale occupazione è nel gruppo..., come ingegnere (intVr2/1). Dopo il cFP, ho frequentato le scuole serali, ho preso il diploma, sempre qui al San zeno, dopo di che ho intrapreso l’università e mi sono laureato in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano (intVr2/3). (opero) principalmente nell’ambito progettuale, nella funzione ricerca e sviluppo […], su aspetti che riguardano […] anche la parte di programmazione, controllo dei costi, gestione delle risorse, sempre a fini di un progetto (intVr2/5). l’esperienza del cFP è qualcosa che mi porto (quotidianamente) nel cuore […]; è una cosa che […] forse chi è esterno non capisce, perché pensa che, dopo tante esperienze che si fanno successive a quella del cFP, uno potrebbe anche dimenticarsene […]. Un paio di anni fa, mi hanno fatto […] un’intervista […] ai fini della selezione del personale a Roma, presso il gruppo…, dove attualmente lavoro […]; mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza. Alla fine mi sono accorto di aver raccontato tutto sull’esperienza, compresa quella del cFP, e di aver praticamente trascurato l’università […], in cui ero stato impegnato per tanto tempo e che poi evidentemente mi ha dato il titolo che mi ha permesso di entrare nel mondo del lavoro, nel posto che oggi occupo. Vuol dire che tutto ciò che io oggi faccio […], lo faccio sulla base di quello che ho ricevuto in quei tre anni di cFP. […] ho ricevuto là una base su cui poi ho costruito il resto […], una base formata prima di tutto da […] una capacità di percepire e di vivere il mondo […] in una maniera sempre produttiva per me stesso, ma anche e soprattutto in un senso umano più ampio. Poi – l’esperienza me lo ha insegnato –, nonostante si viva in mezzo a tanta tecnologia, chi sta dietro e muove tutto è la persona […], il gruppo delle persone; al giorno d’oggi, nessuno fa niente da solo, è impossibile. la capacità di relazionarmi con gli altri, di saper cogliere il momento giusto per intervenire – perché talvolta bisogna pendere delle decisioni che lì per lì hanno un effetto apparentemente negativo –, la capacità di percepire il mondo che ci circonda, le persone con le quali si dialoga quotidianamente e di intervenire di conseguenza […] (tutto questo ho maturato al cFP) ed è ciò che mi ha dato una marcia in più. […] il fatto di essere dei geni, nelle aziende, al giorno d’oggi, non è richiesto […]; si cerca una persona, vorrei dire, equilibrata […]. l’equilibrio è fatto da una serie di elementi, non so se chiamarli capacità, […] competenze che uno acquisisce anche inconsapevolmente; […] sta tutto nel […] fatto di cogliere i momenti più importanti […]; se uno li riconosce e li interpreta nel modo giusto, poi […] li sa anche vivere correttamente e talvolta li può anche indirizzare. Se uno non si rende conto, oppure non percepisce ciò che gli sta attorno, l’evento che gli capita, secondo me, non sa cogliere la differenza tra chi sa operare bene, in tutti i campi, e chi brancola nel buio o comunque rimane isolato. È proprio questo che fa la differenza: saper cogliere l’evento e indirizzarlo sulla base concreta di ciò che uno ha […] imparato nel corso degli anni. […] Tante volte, per mille ragioni, ci lasciamo sfuggire delle occasioni, che poi riconosciamo come tali quando ormai il tempo è passato. Secondo me chi ha invece quella base di cui parlavo, […] ha più possibilità di coglierle […] (intVr2/7) […]. come si vede, rimangono le indicazioni relative ai turni di parola e i segni degli interventi sul testo ma, a differenza del testo in matrice, abbiamo a che fare con un racconto continuo, non spezzato dalle domande, per quanto ancora grezzo. Una volta trasformate tutte le interviste in racconti di questo genere, abbiamo proceduto ad individuare nuovamente le unità significative di testo, evidenzian21 dole. Facendo questa operazione, ci siamo resi conto che alcuni racconti erano particolarmente densi e che sarebbe stato un peccato spezzarli in brani più brevi. isolando le varie unità di analisi, la storia, con la sua dinamica interna, sarebbe andata persa. Abbiamo allora deciso di procedere in modi differenti. con un gruppo di 34 racconti abbiamo operato secondo la seguente successione di operazioni: – individuazione delle unità significative di ciascun racconto, – attribuzione a ciascuna unità di un titolo (o etichetta descrittiva) che ne restituisse il senso “spremuto”, – aggregazione, su un nuovo file, dei titoli (con i relativi racconti)13 secondo un criterio di affinità tematica, – attribuzione di un titolo (categoria concettuale) alle aggregazioni (cluster), – attribuzione di un titolo (macro-categoria) alle aggregazioni di cluster affini ecc. come sempre capita, il lavoro di analisi è ricorsivo e comporta continue revisioni. Procedendo con i racconti, procedevamo in quel lavoro di tessitura che è l’analisi stessa. i brani estratti dai racconti cominciavano a fare eco tra loro e ad aggregarsi in raggruppamenti affini generando dal basso concetti e categorie. nella tabella che segue, riporto il sistema di codifica (coding) che è emerso da questo lavoro di analisi, che è articolato su quattro livelli di categorie e che in buona parte coincide con l’indice della seconda parte di questo lavoro, dedicata ai temi emergenti. 5.2.2. La costruzione delle storie come abbiamo ricordato, trasformando le interviste in testi narrativi, ci siamo accorti che almeno una ventina avevano le caratteristiche di vere e proprie storie, che ci sembrava opportuno rendere fruibili in forma più completa di quella possibile attraverso la divisione dei racconti in unità di analisi. ci rendevamo conto che ognuna di queste storie era stata colta come una specie di frutto maturo, al massimo della sua fragranza, che ci avrebbe consentito di gustare il sapore della formazione, solo se riuscivamo a restituirla nella sua interezza. questa scelta ha comunque comportato qualche intervento redazionale sui racconti, la cosiddetta “pulitura del testo” di cui abbiamo parlato sopra. i testi inoltre conservavano tutte le caratteristiche dell’oralità, in cui il fluire del discorso non sempre segue un filo logico. era allora necessario individuare un criterio organizzatore, generalmente quello cronologico, attorno a cui sistemare le varie parti del racconto. questo ha talvolta comportato lo spostamento di alcuni periodi o di al- 13 Abbiamo trovato utile operare in word, attribuendo ai titoli dei brani (o etichette) uno stile di titolo 4, ai successivi raggruppamenti di titoli (cluster) per affinità un titolo 3, ai raggruppamenti di cluster un titolo 2 e così via. in questo modo, inserendo semplicemente un sommario, potevamo costruire con facilità e tenere sempre aggiornato un coding sintetico, ma nello stesso tempo lavorare su un documento che, accanto all’etichetta riportava già anche il relativo brano. 22 cuni elementi della frase per favorire la comprensibilità. Talvolta diventava opportuno spostare alcune parti, anche lunghe, perché connesse con parti precedenti o successive; in questo caso, almeno nella prima versione dei racconti, abbiamo riportato comunque il codice che consentiva di individuare il turno di parola e ricondurre il brano al testo originario dell’intervista, in modo tale che fosse possibile a ciascuno dei due ricercatori controllare le operazioni dell’altro (validazione intersoggettiva dell’analisi). L’AMBIENTE Il CFP come ambiente che educa Un clima di famiglia LA FORMAZIONE Una formazione personale attraverso la Formazione Professionale Imparare il lavoro Imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: gli oggetti di apprendimento L’apprendimento di saperi intrecciati alla pratica L’apprendimento di un metodo Lo sviluppo di competenze personali L’apprendimento del gusto di un lavoro ben fatto Imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: le strategie formative Apprendere facendo Una didattica centrata sul laboratorio e sulla realizzazione di compiti autentici Una didattica centrata sulle relazioni La possibilità di intrecciare apprendimento formale ed esperienza lavorativa Una formazione che mobilita energie Dall’insuccesso scolastico Al successo formativo Una formazione che orienta alla vita L’orientamento al lavoro L’orientamento a proseguire nella formazione L’orientamento esistenziale L’ACCOMPAGNAMENTO ALL’INSERIMENTO LAVORATIVO L’aiuto a trovare un lavoro Lo stimolo a mettersi in proprio L’offerta di un posto di lavoro al CFP L’attivazione della rete degli ex-allievi per il lavoro TRATTI E RITRATTI DI FORMATORI Adulti significativi e disponibili Testimoni appassionati del proprio lavoro Capaci di coniugare rigore e cordialità Scopritori di talenti e rigeneratori di energie spente Dotati di caratteristiche che si apprezzano più tardi Suggerimenti ai formatori di oggi BILANCI Indizi di successo formativo e di vita riuscita Il ruolo riconosciuto all’esperienza del CFP nelle scelte operate Altri fattori che hanno inciso sulle scelte Criticità Criticità di allora Criticità di oggi Tab. 4 - Coding system 23 Altre operazioni sui testi dei racconti sono state le seguenti: l’aggiunta tra parentesi tonde di qualche parola o parte di frase che nel testo mancava; l’eliminazione dal testo di brani contenenti considerazioni generali non agganciate da esemplificazioni, sostituiti dai puntini all’interno di parentesi quadre ([…]). inoltre, i testi sono stati sottoposti a successive revisioni, per essenzializzarli e farne emergere con chiarezza la struttura interna. il frutto di questa analisi si prestava ad essere reso nella forma di un’antologia di storie, complementare all’analisi svolta sulle altre interviste. i temi che emergevano non erano, infatti, sostanzialmente diversi da quelli che erano emersi nell’analisi delle altre 34 storie di formazione, solo che emergevano tra loro intrecciati. A differenza delle unità di analisi individuate per il corpus delle 34 interviste che, per quanto contenenti prevalentemente elementi narrativi, erano abbastanza univoche nell’indicare un riferimento tematico, per i 20 testi lunghi non era facile individuare il cuore del racconto e dunque attribuire un titolo al racconto stesso14. Si trattava di fare delle scelte, individuando la dimensione di volta in volta dominante. nella scelta dell’ordine in cui elencare i racconti, abbiamo cercato comunque di seguire l’ordine tematico espresso dalle categorie emerse nell’analisi precedente (vedi Tab. 4). inoltre, per evidenziare la complementarietà delle due analisi, abbiamo inserito un rimando alle storie anche nella parte sui temi emergenti, ogni volta che ci accorgevamo che un tema emergeva sia negli estratti analizzati che nelle storie più estese. Anche qui ci sembra utile elencare in sintesi le operazioni condotte per questo tipo di analisi: – passaggio dal testo dell’intervista al racconto “grezzo” (come indicato sopra); – prima “pulitura del testo”; – sistemazione delle parti del racconto secondo il criterio organizzatore di volta in volta più adeguato al testo stesso; – progressive revisioni del testo15; – attribuzione di un titolo al racconto e di eventuali sottotitoli alle varie sezioni del racconto. 5.3. L’interpretazione dei dati i dati raccolti non possono essere visti come rappresentazioni fedeli della realtà. Sono essi stessi, in quanto racconti, interpretazioni attraverso cui i soggetti 14 Ad esempio, la storia dal titolo “Un approccio centrato sul fare”, tratta dall’intervista a e. (intVr3), poteva esemplificare sia la questione dello stile relazionale valorizzante, sia quella dell’approccio centrato sul fare. in quel caso si è trattato di fare una scelta, ma la storia – come l’esperienza – tiene insieme i vari elementi. 15 le versioni dei racconti inserite nella terza parte di questo libro sono ripulite dei riferimenti ai vari turni di parola delle trascrizioni originali delle interviste. le varie versioni rispondono a esigenze diverse. quella lunga, che mantiene i codici, risponde alle esigenze della ricerca; quella breve, senza codici, risponde ad esigenze di comunicabilità e di fruibilità piacevole dei testi. 24 narranti connettono in una storia i singoli eventi che hanno caratterizzato la loro esperienza formativa (Bruner, 1992). Anche l’analisi dei dati che abbiamo cercato di descrivere sopra è stato un lavoro di tipo interpretativo; su questo è però opportuno aggiungere qualche ulteriore osservazione. Se è vero che «quello che si deve comprendere in un racconto non è anzitutto colui che parla dietro al testo, ma ciò di cui è parlato, la cosa del testo, cioè il tipo di mondo che in qualche modo l’opera dispiega davanti al testo» (Ricoeur, 1989, p. 161), allora è possibile avvicinarsi anche ai racconti degli ex-allievi in una prospettiva tesa a comprendere in profondità alcuni elementi dell’esperienza formativa che i testi descrivono. questi elementi emergono proprio intrecciando i significati delle singole interviste che, pur riguardando esperienze singolari, si riferiscono a pratiche formative simili. È a questo che mira l’interpretazione. le parole degli ex-allievi intervistati vengono utilizzate in modo diverso nelle due sezioni di questo lavoro, che tentano appunto di restituire l’interpretazione dei dati. nella seconda sezione, dedicata ai temi emergenti, vengono riportati singoli brani tratti dai colloqui che, nel processo di analisi, si sono agglutinati attorno a dei nuclei di significato. Si è trattato di una specie di gioco di echi (cfr. Tacconi, 2011c, p. 54), in cui le risonanze che i testi producevano accostandosi tra di loro hanno portato all’individuazione dei vari temi. nella terza sezione, dedicata all’antologia di storie, viene lasciato quasi totalmente lo spazio alle parole dei partecipanti che vengono restituite per esteso ai lettori. qui il problema era di tenere insieme la vivacità e l’originalità della voce dei parlanti con la comprensibilità da parte del lettore16. ciascuna storia porta con sé un significato, ma l’antologia, inserendo le storie in un mosaico dalle multiformi facce, arricchisce ciascuna storia anche di un valore aggiunto di significato, che le viene appunto dall’insieme in cui è inserita. 5.4. La scrittura come abbiamo descritto sopra, in questa ricerca, la scrittura è stata parte integrante della fase di analisi ma anche fase a sé, nel momento di costruire un report di ricerca che desse conto, oltre che delle scelte di metodo, anche dei risultati dell’analisi e dell’interpretazione dei dati. Scrittura, analisi e interpretazione dei dati sono comunque fasi così intrecciate da essere spesso indistinguibili tra loro. nella fase di scrittura finale è stato importante procedere ad un’ulteriore revisione formale degli estratti dai testi, che li rendesse gradevolmente fruibili ai lettori, senza però modificarne il senso. 16 l’operazione è, in questo caso, abbastanza simile a quella di Primo levi che, nel suo La chiave a stella, dà voce al racconto che il montatore Faussone fa della sua esperienza lavorativa (cfr. leVi, 1978). 25 in fase di scrittura si è talvolta fatto ricorso anche a citazioni di testi di altri autori. È importante notare che, in tutto il processo della ricerca, si è cercato di non ricorrere alle teorie o alle riflessioni di vari autori per costruire una rete concettuale attraverso la quale leggere e interpretare i testi. non a caso, il ricorso a questi testi è avvenuto solo in fase di scrittura finale17, per trovare parole che aiutassero a dire le parole dei parlanti. Ancora una volta, siamo di fronte ad un gioco di echi. 17 Se si fossero utilizzate le teorie per leggere i dati, il percorso non sarebbe più stato grounded oriented e l’utilizzo degli estratti dei colloqui con gli ex-allievi avrebbe avuto solo la funzione di “illustrare” teorie preesistenti, non di generare un sapere originale. il ruolo della teoria, in questo approccio alla ricerca, non è quello di costruire una rete concettuale con cui “pescare” nei dati, ma quello di aiutare la messa in parola del sapere esperienziale e dunque la generazione di una teoria dal basso, induttivamente. la teoria che conta, nella ricerca di taglio fenomenologico, non è quella preesistente, ma quella che emerge dai dati. Al massimo, come nel nostro caso, le teorie preesistenti possono essere messe in campo in fase di scrittura finale, per trovare ulteriori parole con le quali dire il sapere dei parlanti. 27 II parte I temi emergenti di Giuseppe TAcconi e Gustavo MejiA GoMez i partecipanti alla ricerca hanno ricostruito l’esperienza formativa vissuta nel cFP (centro di Formazione Professionale). Descrivono, innanzitutto, il volto complessivo che l’ambiente cFP assume nella loro memoria (paragrafo 1)1. Dai loro racconti è possibile ricavare alcuni elementi che hanno caratterizzato in senso specifico la loro esperienza formativa, in particolare l’intreccio tra formazione personale e Formazione Professionale, la possibilità che hanno sperimentato di trasformare anche gli insuccessi in esperienze di apprendimento, la valenza orientativa che per loro ha assunto la formazione (paragrafo 2). l’esperienza formativa è inestricabilmente legata ai volti dei loro formatori di un tempo, che assumono i tratti di professionisti competenti e adulti significativi, capaci di coniugare rigore e attenzione relazionale, di rigenerare energie sopite e di offrire testimonianza (paragrafo 3). l’esperienza vissuta al cFP ha avuto poi, nelle storie di formazione dei partecipanti, un naturale prolungamento nel percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo (paragrafo 4). infine, i partecipanti tracciano un bilancio complessivo della loro esperienza, a cui attribuiscono un ruolo essenziale nell’aver contribuito alla loro riuscita nella vita, e consentono di individuare alcune questioni aperte che, a loro parere, andrebbero affrontate per rendere l’offerta dei cFP sempre più capace di contribuire al successo formativo degli allievi che li scelgono (paragrafo 5). 1. L’AMBIENTE Un primo tema che emerge dai racconti degli ex-allievi riguarda l’ambiente formativo del cFP nel suo complesso. A fronte di rilevanti differenze dal punto di vista sia diacronico che sincronico, l’ambiente che viene tratteggiato sembra assumere caratteristiche in larga parte comuni, che lo configurano come un contesto di apprendimento in cui a formare è l’ambiente stesso, spesso vissuto come familiare. 1 Dalle interviste emerge prevalentemente il volto positivo dei cFP. È possibile trovare una ricostruzione analoga, anche se riferita ad alcune scuole superiori americane, in un’opera di lawrencelightfoot (1983). 28 1.1. Tempi e contesti differenti ma ambienti formativi simili come abbiamo ricordato sopra, nel paragrafo che illustra le caratteristiche dei partecipanti alla ricerca, le testimonianze danno voce ad ex-allievi che hanno frequentato il cFP in periodi differenti, corrispondenti a diverse stagioni della Formazione Professionale. Si va dagli Anni ’60, quando la Formazione Professionale era prevalentemente intesa come avviamento al lavoro, agli anni successivi al 1978, quando, in seguito al passaggio di questo segmento di offerta formativa alle Regioni, vengono attivati i nuovi corsi biennali, alla fine degli Anni ’90, quando prende avvio la stagione dell’obbligo formativo, fino agli anni 2000, che vedono l’avvio, prima sperimentale e poi ordinamentale, dei nuovi percorsi triennali di istruzione e Formazione Professionale. la maggior parte dei partecipanti ha vissuto l’esperienza del cFP negli Anni ’80 e ’90 del secolo scorso. nei racconti si riflette anche la diversità dei contesti regionali all’interno dei quali si dà la Formazione Professionale iniziale. Si intravvedono i differenti modelli organizzativi che sono stati adottati nelle varie Regioni, si percepisce lo stato di cronica difficoltà e di carenza di finanziamenti che la Formazione Professionale vive e ha vissuto, soprattutto in certi territori2, si coglie la diversità per quanto riguarda il rapporto, talvolta dialettico, con le istituzioni scolastiche e col tessuto produttivo dei vari contesti. Diversi sono anche gli usi linguistici. i partecipanti utilizzano in maniera intercambiabile termini come “scuola”, “cFP”, “istituto”. Anche questi diversi usi linguistici possono riflettere modelli e impostazioni differenti. effettivamente, la Formazione Professionale iniziale assume, a seconda delle diverse stagioni e dei diversi contesti regionali, caratteristiche più simili alle tradizionali istituzioni scolastiche (con l’articolazione del curricolo in discipline, i classici orari ecc.) o le caratteristiche originali di un percorso molto centrato sull’esperienza lavorativa (quasi un avviamento al lavoro). nonostante tante e tali diversità, i tratti che emergono dai racconti dei partecipanti come caratterizzanti le istituzioni salesiane che si occupano di Formazione Professionale sono ampiamente convergenti e autorizzano a parlare di un contesto fondamentalmente unitario. non stupisce questa convergenza, dato che le realtà esplorate sono sempre state collegate e sono unite in federazione dal 1982; esse, inoltre, hanno contribuito ad alimentare e diffondere una cultura condivisa della Formazione Professionale iniziale su tutto il territorio nazionale, rappresentando oggi una delle reti più significative. la visione che ne vien fuori è quella di ambienti ad alta qualità umana e relazionale, oltre che professionale che, proprio in quanto tali, assumono una valenza educativa. 2 la situazione più grave sembra essere quella della Regione Sicilia. questo dato, talvolta affiora anche nella consapevolezza degli intervistati, soprattutto di coloro che svolgono attività formative… 29 1.2. Il CFP come ambiente che educa Uno dei tratti comuni più evidenti che l’esperienza vissuta al cFP assume nei racconti dei partecipanti alla ricerca, che pure hanno vissuto tale esperienza in decenni diversi, è la percezione che ad educare fosse l’ambiente stesso. È una questione che ha a che fare con una determinata atmosfera, un clima, un’aria che si respirava. la nota dominante nei racconti è la descrizione di un ambiente sereno, al quale ci si avvicinava – e si torna ad avvicinarsi, anche dopo anni – con piacere: ho imparato le basi del mio mestiere, ma ho ricevuto tanto anche sul lato umano perché c’era un bell’ambiente e si andava a scuola volentieri; ci proponevano di fare cose piacevoli (intct27); mi sarebbe piaciuto che i miei figli crescessero in un ambiente come quello, data l’esperienza che io avevo avuto da ragazzo; la prima volta che sono entrato in quel centro avrò avuto quattordici anni, oggi ne ho cinquantacinque e ancora mi fa piacere andarci. ci sarà un motivo? Sarà stata l’atmosfera, saranno state le persone, non so (intct6); in generale, ricordo un bell’ambiente, dove mi sono trovato bene; in particolare, ricordo le belle amicizie con alcuni compagni; ricordo che quello che facevo e studiavo mi piaceva […]; il ricordo predominante è quello di un ambiente sereno. Frequentavo già l’oratorio; sono nato a un chilometro da qua, quindi venivo all’oratorio già quando frequentavo le medie, l’ambiente per me era familiare e lo è rimasto anche quando sono venuto a scuola (intFoss8); il ricordo del cFP è difficile da esprimere a parole, perché è troppo bello. Ricordo i laboratori, le attività che facevamo a scuola, i canti di quando ci portavano in chiesa, alla festa di don Bosco, tutte le attività sportive e agonistiche; a me piaceva giocare a calcio e giocavo sempre. Aspettavamo che venissero le ragazze dell’altro istituto; dato che eravamo tutti maschi, quando venivano loro, qui c’era il caos. Mi è rimasta impressa la festa di don Bosco: era una settimana di prove e di canti, davvero una bella esperienza […]. noi allora venivamo qua anche il sabato e la domenica pomeriggio. l’oratorio era un’istituzione; a parte la scuola, era l’oratorio il simbolo dei salesiani (intct18); sono arrivato al cFP quando mio fratello era già allievo da un anno; non conoscevo il lavoro del tornitore, allora ho chiesto ai miei familiari in che consisteva e mi ricordo che mia nonna mi rispose che consisteva nel “fare il ferro tondo”. quando sono arrivato qui per la prima volta, ho visto tanti macchinari, ho chiesto a che cosa servissero; mi è stato risposto che servivano per la meccanica di base. i primi giorni di scuola ero un po’ confuso, ma felice e contento per il nuovo ambiente e per il percorso che stavo intraprendendo. Avevo molto sentito parlare di don Bosco e questa figura mi è proprio entrata nel cuore. quando sentivo i compagni litigare, cercavo di riappacificarli e intervenivo anch’io per difendere i più deboli. i salesiani erano sempre con noi. Ricordo con piacere la tradizionale passeggiata delle castagne, che non mancava mai […]. Ricordo anche che i salesiani, in qualsiasi ricorrenza, ci davano dei dolcetti – per me era strano questo – oppure un panino con la mortadella; questa cosa mi è rimasta impressa […]. Una mattina, un mio insegnante mi ha visto triste in aula e pensava che avessi avuto dei problemi in famiglia, invece ero triste perché era quasi maggio e la scuola stava per finire. il pensiero di uscire da quell’ambiente mi rattristava […]; da allievo ho fatto un solo giorno di assenza, nel primo anno: c’era stata un’alluvione e mi sono anche messo a piangere perché non riuscivo ad andare a scuola; il secondo anno non ho mai fatto un giorno di assenza; il 30 terzo anno, alla fine degli esami, mi sono messo a piangere; i miei compagni pensavano che fossi stato bocciato e io speravo di esserlo per rimanere ancora nell’istituto, ma non è stato così (intct9). in alcuni casi, come negli estratti riportati sopra dal racconto di w. (intFoss8)3 e di o. (intct18), non c’è quasi soluzione di continuità tra la frequenza all’oratorio e la frequenza al cFP4; la percezione che gli intervistati restituiscono è quella di un unico ambiente educativo e formativo, in cui ogni esperienza concorreva alla crescita personale. A. (intct9), che ha 33 anni e lavora da 11 nello stesso cFP nel quale è stato anche allievo, ci racconta come per lui il cFP abbia rappresentato un ambiente collegato a intensa gioia. le testimonianze di diversi partecipanti alla ricerca consentono di tratteggiare alcune caratteristiche specifiche degli ambienti educativi nei quali si è svolta la loro formazione: ho acquisito dei valori perché c’era un’atmosfera interna che ti circondava in ogni momento: noi ragazzi eravamo in classe e facevamo lezione, ma, appena uscivi in cortile, ti si avvicinava don B. o uno dei tanti altri salesiani, perché erano tutti in cortile, ti seguiva in quello che facevi e contemporaneamente ti dava qualche consiglio, faceva una battutina, ti consigliava delle letture; eravamo ben seguiti, circondati di affetto, come in una famiglia. Anche in refettorio, quando mangiavamo, si avvicinava spesso qualcuno domandandoci se il cibo era buono o no, dandoci sempre dei consigli che noi cercavamo di seguire (intct7); ciò che mi ha colpito maggiormente è stato sicuramente l’ambiente. A quei tempi era molto collaborativo, c’erano diversi preti, che ti aiutavano in ambito scolastico ma anche nelle altre attività. Mi coinvolgevano senza che io me ne rendessi conto; alla fine dell’orario scolastico, rimanevo qua per fare i compiti. Mi mettevo con gli interni nella sala studio e facevo i compiti; poi, alle sette o alle otto, tornavo a casa […]. Dopo vari anni sono tornato, anche se non ci pensavo minimamente, perché la mia vita era ormai completamente fuori dal mondo dei salesiani, e […] ho trovato un ambiente ancora molto bello (intct4); rispetto alle altre scuole, c’erano regole più rigide, ma il tutto era a beneficio di noi giovani […]. Vivevamo in un ambiente che ci formava. Dopo le scuole medie, mi sono trovato in un contesto in cui i salesiani hanno contribuito in maniera positiva alla mia formazione, anche se i periodi non erano esaltanti. Mi hanno insegnato a rispettare il lavoro, a essere onesto, puntuale ecc., tutte cose che vanno concatenate e inserite in quell’ambiente: frequentando tutti i giorni le stesse persone, che trasmettono sempre lo stesso messaggio, alla fine, anche se si recepisce poco, qualcosa rimane e questa è stata una cosa positiva. […] Assorbiamo quello che ci circonda e, se poi uno è bravo, riesce a moltiplicare tutto questo (intct28); 3 in tutto il lavoro, riporteremo solo l’iniziale del nome degli intervistati e il codice identificativo dell’intervista. Anche dei docenti/formatori citati nei racconti degli ex-allievi riportiamo solo le iniziali dei nomi. Abbiamo tolto anche i riferimenti ai nomi delle ditte. Viene invece in genere lasciata inalterata l’indicazione del cFP di provenienza. 4 il riferimento è qui a opere salesiane che oltre al cFP hanno altre proposte educative, come appunto l’annesso oratorio. 31 al cFP mi piacevano soprattutto l’organizzazione, l’ambiente: eravamo una massa di persone seguite in un certo modo, anche a livello di educazione, nel mangiare, nel modo di sedersi; proprio quell’educazione che oggi è un po’ trascurata; se sbagliavi qualcosa, ti insegnavano a fare bene, soprattutto ti insegnavano a vivere con gli altri […]. l’aspetto più importante era saper vivere in mezzo agli altri, specialmente per me, che adesso lavoro nel settore commerciale; sapersi presentare alle persone, utilizzare il saluto, l’educazione sono aspetti fondamentali; quando vedi uno che ti saluta in una certa maniera, capisci che formazione ha avuto (intFoss2). l’ambiente, nel quale si passava un tempo prolungato, è caratterizzato innanzitutto da uno stile di relazione caldo, dalla condivisione dei vari momenti, quelli dell’impegno ma anche quelli informali (il cortile, il refettorio ecc.), da frequenti interazioni, da un’intensa, ma anche regolata5, socialità. la presenza dei salesiani – che si avvicinano, esprimono interessamento, offrono consigli ecc. – sembra essere particolarmente importante nell’attribuire una certa tonalità all’ambiente, ma alcune testimonianze, come ad esempio quella di G. (intct4), riportata sopra, attestano che gli ex-allievi, ritornando al cFP dopo anni, in uno scenario mutato per quanto riguarda il numero di salesiani presenti, hanno spesso ritrovato un ambiente molto simile a quello che avevano lasciato6. l’apprendimento sembra avvenire per immersione o per contagio, quasi “senza accorgersene”, e riguardare varie dimensioni della crescita personale e sociale dei soggetti. Significativamente diversi intervistati inseriscono in uno stesso elenco esperienze specificamente scolastiche ed esperienze di socializzazione e, tra queste, anche quelle di carattere spirituale e religioso, esperienze di contatto con il lavoro ed esperienze sportive e ricreative. la formazione a cui si mira, all’interno dei cFP, è una formazione a tutto tondo. Particolarmente significativa risulta essere, a questo riguardo, la testimonianza di c. (intFo1), che riportiamo di seguito e che ben descrive un ambiente in cui si apprende per “contagio”: era importante sia il lavoro sia lo studio; lo studio un po’ meno, perché, per noi, lo studio significava uno scalino da fare; studiare no, non eravamo disposti a farlo, però imparare sì, perché potevi imparare anche senza studiare. la mattina i professori ci dicevano che non si doveva stare ore e ore sopra ai libri; però poi con P. leggevamo anche libri che non c’entravano niente con la meccanica; P. ci ha fatto fare anche un corso di psicologia, per imparare un po’ come la gente è dentro; […] ho imparato molto guardando in faccia la gente […]. quando eravamo qui, anche se non avevamo voglia di studiare, imparavamo. 5 come vedremo anche più avanti, dare e far rispettare alcune regole chiare rappresenta un elemento caratterizzante lo stile educativo prevalente nei cFP salesiani. l’ambiente, come ci ricorda P. (intct10), va anche difeso e protetto: «… ricordo che i ragazzi che proprio non riuscivano ad incanalarsi nel sistema salesiano, venivano purtroppo allontanati. inizialmente non capivo perché, però poi ho capito che i salesiani facevano così per salvaguardare l’ambiente e quelli che ci vivevano». 6 come vedremo più avanti (punto 5.4), non manca chi segnala invece il venir meno della presenza dei salesiani come elemento di criticità. Dal punto di vista terminologico, non è raro che i partecipanti utilizzino l’espressione “i salesiani” per indicare l’ambiente, includendo in esso sia i religiosi salesiani che gli altri docenti. 32 quando uscivi da qui, alla sera, avevi già studiato. era proprio un’esperienza di vita completa. Anche in quel periodo c’era chi non aveva voglia di studiare, però ugualmente eri contagiato, entravi normalmente in un certo clima che ti faceva imparare […]. Forse il segreto è proprio questo: qui facevi, lavoravi, giocavi ecc., e così avevi modo di imparare, se avevi un po’ di testa. Al cFP ho imparato uno stile di vita: gli orari, la puntualità, l’orgoglio di fare bene il proprio mestiere e di andare bene […]. imparavi due volte: imparavi la mattina e imparavi il pomeriggio (intFo1). Si impara facendo, lavorando, giocando. Tutto concorre all’apprendimento e questa modalità conquista anche chi riteneva di non essere in grado di apprendere. Anche nel racconto di D. (intBra2), che viene riportato per esteso nella terza sezione di questo lavoro (cfr. la storia n. 1), viene descritto il cFP come ambiente che educa. 1.3. Un clima di famiglia la caratterizzazione principale dell’ambiente educativo, che già abbiamo visto accennata nelle testimonianze riportate sopra, è quella familiare. Gli intervistati infatti, e non solo coloro che hanno fatto l’esperienza del convitto, descrivono spesso l’ambiente del cFP utilizzando i termini di casa o famiglia: al cFP sono stato convittore; praticamente stavo qui tutta la settimana e tornavo a casa il fine settimana; […] il cFP è diventato una seconda casa, se non addirittura la prima, perché ero qui per la maggior parte del tempo. ho conosciuto un sacco di persone, amici, […] con cui ho mantenuto dei buoni rapporti (intFoss4); mi sono trovato bene, il cFP è stato la mia scuola e anche un po’ la mia casa. Tutte le volte che passo da lì e guardo la Madonna che sta sul tetto penso che è la mia Madonna, perché è quella che ci ha accompagnato sempre. È la mia scuola, ho affetto per questa scuola perché mi è stata di aiuto (intFoss7); del cFP ho bei ricordi; era un ambiente familiare […]. È stato bello perché stavamo lì tutto il giorno, dal mattino, fino alle cinque e mezzo del pomeriggio: si giocava, si studiava e, quando tornavamo a casa, non dovevamo più metterci sui libri. Ai miei tempi c’erano molti più preti salesiani che stavano con i ragazzi, adesso sono un po’ meno, però quello del cFP è rimasto un bell’ambiente (intBra5); i salesiani mi hanno sempre parlato di don Bosco, ho visto diversi film su di lui; lo sento vivo, vero, sento che c’è stato […]. quello che percepisco qua dentro è un senso di famiglia; ho avuto l’opportunità di un lavoro in un altro ente, non salesiano, ma non ho voluto lasciare il cFP, perché qui mi sento in famiglia (intct9); sulle mie scelte successive ha influito molto il fatto che uno qui si sente a casa, come all’interno di una grande famiglia, in cui si vive e crede in quello che fa (intct16); ciò che ricordo più chiaramente dell’esperienza al cFP è che, più che essere una scuola, era una famiglia (intct19); uscivo da un periodo molto brutto della mia vita, sono orfano e quindi per me frequentare il cFP è stato come ritrovare una famiglia (intct28). All’interno di un ambiente protettivo, in cui si condividono convinzioni e valori, si costruiscono legami significativi, carichi di autentico affetto, che durano nel 33 tempo e che talvolta consentono anche di lenire quelle ferite che talvolta la storia personale infligge7. 2. LA FORMAZIONE Se orientiamo l’attenzione alla qualità dei vissuti, possiamo constatare che, nei racconti dei partecipanti alla ricerca, l’esperienza formativa vissuta nei cFP presenta delle caratteristiche peculiari, difficilmente riscontrabili in altri contesti formativi. l’impegno per la Formazione Professionale non è mai sganciato da quello per la formazione piena e integrale dei soggetti, anzi l’una si realizza attraverso l’altra. cerchiamo allora di approfondire cosa accade nei cFP in termini di formazione. 2.1. Una formazione personale che passa attraverso la Formazione Professionale come abbiamo visto sopra, la formazione è sempre situata all’interno di contesti. il contesto formativo dei cFP si presenta con caratteristiche specifiche, che abbiamo cercato di descrivere sopra. Rimane però da richiamare il fatto che, ricostruendo i loro ricordi, gli ex-allievi usano indifferentemente l’espressione “cFP” o il termine “scuola” per indicare il contesto della loro formazione; diversi di loro affermano di non aver avuto la sensazione di essere stati “a scuola”: una cosa è studiare sui libri, un’altra è applicare la teoria; la scelta di questa scuola è stata di accentuare la pratica; a me piaceva andare a scuola, ma soprattutto mi piaceva fare pratica (intct19); del cFP ho bei ricordi: ero un ragazzino e, dopo le scuole medie, mi sono sentito catapultato nel mondo del lavoro, ad assumere più responsabilità, lavorando sulle macchine (intct24). questo fatto ci consente di mettere a fuoco il tipo di formazione che i nostri partecipanti hanno vissuto. Possiamo dire che, da allievi, erano a scuola, se per “scuola” intendiamo un luogo protetto, intenzionalmente dedicato alla formazione, senza però la percezione di essere a scuola, se con “scuola” indichiamo un luogo distante dalla vita, in cui la formazione rischia di essere percepita come sforzo fine a se stesso. Al di là dell’espressione utilizzata per nominare il contesto formativo, tutti i partecipanti hanno vissuto la Formazione Professionale e la formazione personale come intimamente intrecciate tra loro. Se la polarità scolastica rinvia a una 7 Alcuni partecipanti, specie in riferimento al passato, notano anche una certa continuità educativa con i contesti familiari di provenienza: «…c’era una certa continuità educativa: i professori avevano un contatto diretto con i genitori, perché le riunioni di classe erano frequenti e i genitori erano sempre al corrente della nostra situazione. Mi ricordo che avevo sempre paura che il professore riferisse ai miei genitori qualche mancanza da parte mia, sia nel profitto che nella disciplina» (intct18). 34 finalità di formazione generale, l’esperienza di cui parlano i partecipanti alla ricerca è stata sicuramente anche scolastica, ma lo è stata in un modo peculiare, che ha incluso l’esperienza del lavoro come contesto ricco di apprendimento, in relazione al quale avviare percorsi di crescita umana. il lavoro è diventato per loro un importante oggetto di apprendimento, ma non si trattava semplicemente di apprendere il lavoro per il lavoro, cioè col fine di introdursi rapidamente nel mondo lavorativo, ma di apprendere il lavoro e attraverso il lavoro crescere come persone. 2.1.1. Imparare il lavoro Per quanto l’apprendimento di un lavoro non possa che avvenire sul lavoro, dunque come apprendimento al lavoro (Pastore, 2012, pp. 89-95), già al cFP molti intervistati dichiarano di essersi impadroniti dei fondamentali di una pratica lavorativa, di aver acquisito le competenze e le nozioni di base, essenziali per avviarsi a vivere il lavoro stesso come avventura di apprendimento. Riporto qui di seguito alcuni esempi: decisiva è stata l’esperienza lavorativa; al cFP ho imparato almeno a non mettere le mani in mezzo ai rulli e far stare più serene le persone che mi erano accanto, anche se il lavoro vero e proprio l’ho imparato solo dopo, quando ho cominciato a lavorare (intct3); quando ho iniziato il corso di tipografia, c’era ancora molta manualità, in confronto ad oggi, e si riuscivano a capire le basi della tipografia, cosa che oggi invece si è un po’ persa. A me la formazione è servita per capire alcuni processi che oggi sono invece automatici; anche quello che tecnologicamente è superato può infatti aiutare a capire i meccanismi della stampa; all’inizio c’era un insegnamento di nozioni generali, ma, mano a mano che si procedeva nel percorso, si poteva scegliere la strada specialistica più attinente alle proprie attitudini […]. i salesiani mi hanno dato le basi che, abbinate alla pratica che si acquisisce nel mondo del lavoro, sono state fondamentali per il mio sviluppo professionale; se si ha la fortuna di lavorare in ditte dove ci si può aggiornare su macchine nuove, su nuove metodologie di stampa, è ancora meglio; comunque, la base rimane fondamentale perché, qualsiasi cosa tu faccia oggi al computer, un corso come quello che ho seguito io ti aiuta a comprendere i processi che stai applicando (intct21); normalmente chi usciva dal cFP faceva il tornitore o il fresatore; la scuola forniva le basi essenziali per preparare un buon tecnico di officina e ne creava più che altro la mentalità; io sono tra i pochi che, nella vita, non hanno svolto lavoro di officina, ma ho imparato a farlo (intFoss5); l’infarinatura che ho ricevuto è stata importante; quando finivi la scuola, sapevi già mettere mano alle macchine; non era come essere un vero e proprio tornitore o un fresatore, però avevi un’idea di come quei macchinari funzionassero, sapevi fare due conti e sapevi come usare le macchine. la base è stata adeguata per partire […] e, in quegli anni, mi hanno fatto vedere la meccanica in maniera davvero bella […]. Di sicuro al cFP ho imparato le basi della meccanica; poi è proprio il lavoro in officina il luogo in cui impari davvero a mettere in pratica le cose concretamente. Diciamo che al cFP ho imparato a capire da che parte gira la meccanica (intFoss7). l’esperienza formativa ha fornito ai nostri partecipanti le basi per muoversi all’interno di uno specifico ambito lavorativo, comprendendone i processi, le regole di funzionamento e le dinamiche generali. l’apprendimento del sapere professio35 nale vero e proprio avverrà in un secondo momento, a contatto con i problemi e le sfide poste dalle concrete situazioni lavorative, e continuerà lifelong o quantomeno per tutto l’arco della vita lavorativa. 2.1.2. Imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: gli oggetti di apprendimento l’apprendimento connesso al lavoro che avviene al cFP non è solo un apprendimento per svolgere in modo più efficace il lavoro stesso, ma un apprendimento che, attraverso l’esperienza lavorativa, arricchisce significativamente i soggetti in formazione. Per cogliere questo è importante soffermarsi innanzitutto su che cosa gli intervistati dichiarano di aver imparato nel contesto della Formazione Professionale. Tutti i partecipanti dichiarano di aver imparato a lavorare, ma non solo. È singolare che praticamente tutti sottolineino, a più riprese, come, nella loro esperienza di cFP, formazione personale e Formazione Professionale si siano intrecciate intimamente. Vediamo alcuni esempi a questo riguardo: oltre alla crescita professionale, il cFP ci ha permesso una crescita anche a livello personale e umano. Stando insieme giorno dopo giorno, passando diverse ore insieme, affrontando le varie problematiche che riguardavano la stampa, crescevo, come credo che avvenga in tutti i settori. i miei insegnanti per me sono stati come dei genitori: mi hanno insegnato non solo quello che so a livello lavorativo, ma hanno contribuito anche alla mia crescita umana. nel loro interagire con noi erano importanti la sincerità e l’onestà. Avevano sempre un rapporto diretto, affrontavano tutti i problemi che ci potevano essere in questo settore, senza trascurare mai la parte umana, perché è questo che aiuta a crescere […]. Mi sono trovato bene con tutti i formatori, da quelli di teoria a quelli di pratica. con il prof. c. passavamo molte ore, sia in laboratorio che nella formazione più generale. Mi è rimasto impresso perché ci faceva delle lezioni a trecentosessanta gradi, che spaziavano dai processi lavorativi alla fisica e alla chimica (intct20); del cFP ho ricordi positivi: oltre che formarmi professionalmente, sono stato formato anche umanamente, perché il cFP è una scuola con certi principi, che uno poi si porta dentro per tutta la vita. Punti fermi dell’insegnamento salesiano sono l’educazione, la puntualità, i valori […]. Ringrazio i salesiani per questa formazione e per l’educazione che mi hanno dato […]. Al cFP, prima di tutto, ho imparato il lavoro; entravo in un mondo sconosciuto e là mi hanno dato gli strumenti per muovermi; poi, grazie ai laboratori, cominci a fare esperienza, a capire tante cose, a conoscere come funziona il mondo del lavoro; ti rendi conto ad esempio che i soldi te li sudi, che nessuno ti regala niente, se non lo meriti. i nostri insegnanti ci preparavano a questo, ad affrontare il mondo del lavoro nella maniera giusta. ci preparavano anche sulla parte meccanica: alla fine sapevi come erano fatte le macchine che usavi (intct25); al cFP ho imparato l’educazione, ho imparato a rispettare le regole: ai professori non ti permettevi di rispondere, perché, se lo facevi, il professore ti dava anche una manata e tu te ne stavi zitto. la pulizia delle macchine, ad esempio, l’ho imparata a scuola; tutti i venerdì si puliva la macchina e tu dovevi pulirla al meglio e dovevi anche pulire per terra; ho cercato di portare anche qua in azienda il rispetto dell’attrezzatura, la pulizia e l’educazione (intFoss3). Formazione personale e Formazione Professionale non sono aree diverse e giustapposte, ma dimensioni integrate di uno stesso complesso processo di appren36 dimento. i saperi personali sono inestricabilmente legati a quelli professionali e, proprio attraverso il lavoro, è possibile apprendere anche ciò che aiuta a crescere come persone e che, nelle varie testimonianze, viene variamente declinato soprattutto in termini di valori. non si tratta però di semplici spolveratine di valori, ma di valori incarnati e tradotti in comportamenti lavorativi e relazionali ispirati a onestà, sincerità, trasparenza, rispetto, ecc. (su questo, cfr. anche Rose, 2004). Proviamo a considerare in modo più specifico i tipi di apprendimento che vengono nominati dai nostri intervistati. a) l’apprendimento di saperi intrecciati alla pratica Molti partecipanti dichiarano di aver percepito gli apprendimenti maturati nell’esperienza del cFP – anche quelli più generali – come intimamente connessi alla pratica. È come dire che hanno potuto scoprire che ogni pratica lavorativa implica diversi saperi, di carattere tecnico, ma anche scientifico e tecnologico: dal punto di vista della formazione scientifica ho imparato diverse cose, ma certo ho fatto ben altro in altri contesti; invece le capacità manuali, ma anche la programmazione base del Plc, piuttosto che il montaggio, la realizzazione di circuiti elettrici ecc., sono cose che non ti vengono insegnate all’università, almeno non in quelle italiane; all’iTiS stesso, dove sono andato per conseguire il diploma, erano aspetti trattati ma non applicati alle ultime tecnologie, mentre qui al cFP queste tecnologie al passo con i tempi erano già disponibili. Su questi aspetti ero più aggiornato quando facevo il cFP che non quando facevo il Politecnico; ad un mio amico che si è laureato con me, adesso stanno insegnando a programmare il Plc; lui non era capace di farlo, avendo studiato al liceo e poi al Politecnico, mentre io ho fatto questo già dieci anni fa (intFoss4). l. (intFoss4), che in seguito avrà modo di laurearsi in ingegneria, afferma di aver potuto approfondire al cFP saperi di carattere tecnologico che a quel livello non avrebbe avvicinato nemmeno all’Università. il problema di molti allievi di cFP, ieri come oggi, è che non sempre riescono ad attribuire lo statuto di “sapere” a ciò che apprendono in quel contesto. Al cFP, infatti, si tratta di avvicinarsi in particolare ai saperi che sono incorporati nella o implicati dalla pratica lavorativa. Vedremo più avanti di che genere di saperi si tratti, affrontando la questione di come tali saperi possono essere acquisiti. b) l’apprendimento di un metodo Molti partecipanti dichiarano di aver imparato ad imparare, di aver quindi sviluppato, oltre ai saperi dichiarativi e procedurali, consistenti saperi metodologici: dell’esperienza vissuta al cFP mi è rimasta una sensazione piacevole. il ricordo più vivo che ho è di quando abbiamo incominciato a comporre, degli errori tipografici che facevo allora; adesso la tipografia è superata, la tecnologia è cambiata. Al cFP ho appreso sicuramente un lavoro, anche se oggi tutto è cambiato e quello che ho imparato allora serve poco […]. il cFP mi ha comunque dato le basi per cominciare a lavorare; non conoscevo niente di questo lavoro e lì ho avuto le basi pratiche per incominciare farlo; ma ho ricevuto anche una buona preparazione teorica. A volte, mi sono confrontato con alcune persone che hanno appreso il lavoro sul campo, senza aver frequentato scuole specifiche, e ho notato che non conoscevano diversi aspetti tecnici riguardanti il funzionamento delle 37 macchine, cose che io ho appreso al cFP, in tecnologia […]; ho imparato un lavoro ma soprattutto una metodologia (intct26); più che le conoscenze spicciole, che si imparano più che altro sul campo, al cFP ti insegnano una visione globale di ciò che è quel tipo di attività; poi il resto ognuno se lo guadagna sul campo, momento per momento. Ai giovani che vengono da me a dirmi che le cose che fanno sono difficili, complicate, rispondo che niente lo è; sono cose che anche altri hanno fatto e che quindi possono fare anche loro, però dico anche che ogni giorno si devono formare perché usciranno nuove tecnologie e, per tenersi al passo con i tempi, ci si deve aggiornare continuamente. Praticamente al cFP ho imparato non solo la materia, ma anche un metodo, ho imparato ad accogliere le sfide e a superarle. il mio modo di essere è nato qui, con l’aiuto degli altri; […] ho iniziato con la lima, ma ogni cosa che ho visto fare l’ho osservata sempre con attenzione e poi sono riuscita a rifarla (intct7); al cFP ho imparato di tutto, per prima cosa come affrontare i problemi che la vita ci riserva e la buona educazione […]; ho appreso un mestiere; grazie al cFP sono diventato un bravo tornitore, anche se quello era un lavoro che non avevo mai fatto prima; mi bastava una sola spiegazione dell’insegnante per procedere senza difficoltà nell’aggiustaggio. in effetti, già da piccolo, mi piaceva montare e smontare; mio nonno ha sempre lavorato in campagna e già da allora capivo che la meccanica era molto legata alla campagna, ai mezzi agricoli; ora riesco a fare di tutto, anche in altri ambiti […]; ma ho imparato anche che non è sufficiente conoscere il mestiere, ci vuole anche la buona volontà di continuare a imparare (intct9); il cFP per me è stato una scuola utile; mi ha dato l’input per avventurarmi in questo mestiere […]; è chiaro che poi, con il tempo, le macchine cambiano, la tecnologia si aggiorna e ci vuole molta conoscenza informatica in più; da quando sono uscito dal cFP, le cose sono cambiate parecchio, ma, se non avessi avuto quelle basi, non penso che sarei riuscito ad imparare (intct24); al cFP ho imparato un mestiere, […] ho imparato a realizzare impianti elettrici di tipo civile e industriale, ho imparato le basi del mestiere, ma anche la tecnica per sviluppare un procedimento logico, che è sempre necessario (intFoss4). il confronto che P. (intct26) istituisce tra la sua esperienza e quella di chi apprende solo al lavoro, senza poter usufruire di quello spazio di formalizzazione dei saperi dell’esperienza che è la Formazione Professionale, è indicativo del fatto che siamo ben distanti da una visione solo funzionale dei processi di lavoro. ciò che conta non è l’apprendimento del corretto funzionamento delle procedure, ma lo sviluppo consapevole di un metodo di lavoro che consenta di evolvere continuamente e di dare il proprio contributo originale ai processi. Anche gli altri ex-allievi di cui abbiamo riportato sopra le testimonianze affermano di aver appreso al cFP un metodo che li aiuta ad impostare e ad affrontare i problemi, non solo quelli lavorativi, e ad imparare continuamente. c) lo sviluppo di competenze personali Tutte le competenze sono personali, almeno nel senso che si rendono visibili nella persona competente. Abbiamo già ricordato come i nostri ex-allievi dichiarino di aver sviluppato, cioè di aver fatto proprie, specifiche competenze professionali. l’esperienza del cFP ha però consentito loro di sviluppare anche delle competenze 38 personali, sociali e relazionali, che potremmo chiamare trasversali e che oggi si ritrovano dentro come “tesoro prezioso”: nel bene e nel male, i salesiani mi hanno messo in mano un mestiere, ma, oltre al mestiere, al cFP, ho imparato a vivere, ad avere pazienza, ad ascoltare gli altri, a stare in società. Poi, con l’età e con l’esperienza, si acquisisce sempre di più […]. Grazie al loro insegnamento, vedo che ho un tesoro nelle mani, oltre al mestiere; oggi, col metodo che ho appreso, riesco a portare i giovani dove voglio […], riesco a far breccia nella mente dei ragazzi (intct14); dal punto di vista umano, al cFP, eravamo confrontati con tante realtà: c’erano ragazzi messi veramente male a livello familiare e c’erano ragazzi più fortunati. io, ad esempio, mi sono iscritto lì perché mi piaceva la meccanica e poi perché avevo un parente prete che mi ha indirizzato. il confronto con altre provenienze sociali mi ha aiutato ad apprezzare molte cose: mi ha fatto diventare più tollerante verso il prossimo, mi ha fatto capire che non sempre il colpevole delle inefficienze è il soggetto e che i problemi a volte dipendono dalla famiglia ecc. (intct5); ho imparato tanto al cFP: prima di tutto, ho appreso un metodo di studio, ma poi ho imparato anche che nella vita ci vuole chiarezza […] e, quando dico “chiarezza”, intendo che ognuno deve prendersi la responsabilità delle proprie azioni […]; ho confermato quelle che erano le mie basi religiose; ho imparato che bisogna essere uniti per andare avanti; ho imparato a rispettare le idee degli altri. ho imparato anche a lottare, nei momenti di difficoltà, come quelli che stiamo attraversando oggi, a non lasciarmi andare, a essere sereno, perché, solo se si è sereni, si può arrivare ad una soluzione. i salesiani mi hanno insegnato tutto questo e penso non sia poco (intct10); vengo da un’infanzia non facilissima; non vorrei dilungarmi su questo, sono cose personali, sepolte negli archivi, però alle elementari e alle medie non ho avuto un rapporto idilliaco con i compagni di scuola; quindi essere arrivato qui, in una realtà nuova, costituiva per me una sfida; sotto questo punto di vista è andata bene, perché mi sono integrato con i miei compagni di corso e anche con gli altri ragazzi del convitto, fermo restando che non sono una persona che lega moltissimo e mi ci vuole un po’ di tempo per abituarmi alla compagnia. Dal punto di vista umano, l’esperienza mi è servita per darmi una certa consapevolezza del fatto che potevo riuscire ad avere rapporti sociali diversi da quelli che avevo avuto fino ad allora. questa cosa mi è servita […] come palestra per riuscire a superare un problema di tipo psicologico (intFoss4); partivo alle cinque dal mio paese per arrivare al cFP; alle otto e un quarto della mattina dovevamo essere tutti dentro; […] la cosa bella è che qui entravi alle otto della mattina e uscivi alle cinque del pomeriggio […]. era una formazione completa, sia a livello scolastico che a livello umano. Abbiamo fatto qui le prime feste, i primi giochi, il primo teatro. non parliamo poi dello sport, in particolare la palla a volo; abbiamo fatto anche una squadra che giocava in prima categoria; […] facevamo il torneo delle classi, […] le olimpiadi, addirittura […]. l’aspetto più importante è stata l’amicizia, lo stare in gruppo, la solidarietà verso la gente. eravamo in una classe di ventisette, ventotto persone, eravamo in parecchi! eravamo tutti da fuori Forlì. la mattina eravamo tutti insieme. Soprattutto abbiamo sperimentato la solidarietà, l’amicizia, l’unione, la forza di stare insieme, di combattere insieme; nel settantadue, abbiamo fatto anche i primi scioperi (intFo1); i salesiani, oltre a insegnarci le loro discipline, ci hanno trasmesso il rispetto verso il prossimo. hanno contribuito alla nostra crescita personale: i salesiani, oltre al lavoro, ci insegnavano dei valori […]. in questi anni, parlando con clienti, mi è capitato di sentirmi 39 chiedere se avevo frequentato delle scuole salesiane; evidentemente qualcosa del loro modo di essere è rimasto in me, forse le buone maniere, il modo di rapportarci con le persone, di socializzare (intct26). nel cFP molti partecipanti hanno sperimentato che la condivisione di un’esperienza di lavoro, ma anche di altri momenti, come il gioco e lo sport, in quel caratteristico mix che ripetutamente viene sottolineato come tipico dei cFP salesiani, crea legami e solidarietà e aiuta a far proprio un certo sentimento dell’esistenza, che porta a relazionarsi in modo positivo con gli altri, anche sperimentando la possibilità di rapporti diversi da quelli ai quali si era abituati, a sviluppare comprensione reciproca, resilienza nei confronti delle situazioni difficili – il “non lasciarsi andare” di cui parla P. (intct10) – e senso di responsabilità per sé e per gli altri. insomma, al cFP, i nostri ex-allievi hanno imparato a diventare adulti, cioè appunto ad essere in grado di assumersi delle responsabilità e di offrire il proprio contributo alla costruzione di un tessuto relazionale e sociale più giusto e solidale. d) l’apprendimento del gusto di un lavoro ben fatto Molti partecipanti affermano che già al cFP hanno potuto maturare un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro, una specie di gusto o di passione associati al lavoro, che per molti hanno rappresentato anche la via di accesso al gusto di imparare: ricordo il periodo del cFP come uno dei più belli della mia vita, anche perché a quell’età cominci a socializzare con i compagni e con l’ambiente che ti circonda. Mi ricordo che si lavorava perché c’era la gioia e la soddisfazione di fare un bel lavoro e si operava con impegno e disciplina. c’erano i momenti di svago, facevamo anche delle gite o delle scampagnate; c’era il momento del lavoro ma anche il momento ludico e questo mix mi è sempre piaciuto […]. nei tre anni di cFP, oltre ad aver imparato come si lavorava con le macchine, ho capito come fare bene i vari lavori, perché un ambiente come quello ti portava a fare le cose sempre al meglio. Prima facevi i lavori con la lima, poi con i macchinari, però riuscire a fare bene un lavoro era, ed è, un orgoglio, una gratificazione morale guadagnata sul campo. Se faccio buoni lavori, la gente usufruisce del mio servizio e parla bene di me. Personalmente uno deve dare il massimo, con la collaborazione degli altri, affinché il lavoro sia sempre migliore […]. Alcuni pensano che il nostro sia un lavoro in cui ci si sporca le mani, ma non ci si dovrebbe preoccupare di questo; il lavoro, a qualsiasi livello, è importante farlo bene; la gente deve sapere che c’è qualcuno che sa fare bene quel lavoro e che diventa punto di riferimento (intct16); i lavoratori che collaborano con me sono ragazzi sempre sorridenti, che vengono a lavorare contenti; il lavoro dev’essere gioia e questo io l’ho imparato dai salesiani (intct29); ho il ricordo di tre anni bellissimi, […] lavoravamo molto in officina, avevamo diciotto o venti ore alla settimana di laboratorio; sono stati anni creativi, in cui ho imparato tante cose. Mi sono subito appassionato […]. Particolarmente importante è stato il laboratorio, ma anche il resto; importantissimi sono stati il disegno, la tecnologia, la matematica; mi appassionava un po’ tutto […]. Al cFP ho imparato prima di tutto le basi di un mestiere; non è a scuola che si impara ad essere un buon meccanico, però è a scuola che apprendi le basi; poi quello che ho imparato al cFP è uno stile di vita: la serietà. Arrivavo a scuola alle sette e mezzo del mattino, mi portava mio padre, andavo via alle sei e quaranta di sera; stavo tutto il giorno qui; c’erano rapporti profondi con gli insegnanti che mi hanno 40 trasmesso uno stile di lavoro: la professionalità e la passione. ho un bellissimo ricordo di loro e ricordo anche il buon rapporto che avevo con i miei compagni di classe: eravamo una bella classe, abbastanza vivace, gente che lavorava, amici (intBra4); per imparare un mestiere, questo ti deve piacere; se ti piace, allora riesci e vai avanti; almeno, per noi è stato così. Abbiamo degli amici, ex compagni, che fanno tutt’altro, forse perché a loro questo mestiere non piaceva o forse semplicemente perché venivano qua soltanto perché si studiava poco e c’era molta pratica. il nostro settore è bello e ampio, non si finisce mai di imparare; questo è quello che diciamo sempre ai ragazzi che vengono nella nostra azienda a lavorare e questo è quello che dicevano a noi i nostri professori (intct19). Al cFP gli ex-allievi che hanno partecipato alla ricerca affermano di aver imparato a fare le cose con piacere, ma soprattutto a farle bene. come ci ricorda S. (intct16), nel brano riportato sopra, il gusto di un lavoro ben fatto non è esterno al lavoro, all’insegna del detto “prima il dovere e dopo il piacere”, ma intrinseco al lavoro stesso e assume una consistenza etica, non solo nel senso che fa provare quella sorta di “gratificazione morale” di cui parla sempre S., ma anche nel senso che diventa occasione di costruzione del bene comune e accresce il capitale sociale della collettività (è questo il senso delle parole di S. che richiama l’importanza che la gente avverta che quel lavoro è un servizio)8. È proprio questo gusto che alimenta la voglia di fare, dà una qualità diversa al lavoro che si fa e spinge a riflettere e a ricercare soluzioni ai problemi che si incontrano. È come dire che al cFP i nostri ex-allievi hanno imparato che la dignità di ogni lavoro passa innanzitutto dall’atteggiamento con cui ciascuno lo affronta. nel brano riportato sotto, M. (intct8) riflette su ciò che ha appreso al cFP e che ora, nell’esperienza che lo vede impegnato come docente, cerca di comunicare ai suoi allievi: quando sono arrivato qui a scuola, c’erano dei banchi di aggiustaggio e dei torni; io mi facevo il mio pezzo al banco di aggiustaggio, perché avevo voglia di andare subito a riparare qualche macchina; il mio insegnante, appena finivo qualcosa, mi metteva alle macchine a fare lavori di aggiustaggio. Mi è rimasto impresso il modo in cui questo insegnante mi faceva ragionare sui problemi che incontravo; in realtà, sono arrivato a diventare tornitore meccanico già qui a scuola; mio papà mi chiedeva se mi piacesse fare il tornitore, ma all’inizio io non sapevo neanche che professione fosse, fin quando non sono arrivato alla scuola che è stata il mio trampolino di lancio […]. oggi, se ho un problema da risolvere, magari ci penso per tutta la notte, fin quando non trovo la soluzione; questo però uno la fa solo quando ha la voglia di fare; quando invece il lavoro che si fa non interessa molto, uno, chiudendo la porta dell’azienda o dell’officina, se ne frega del lavoro e 8 in questo senso, quanto ricaviamo dai testi dei nostri ex-allievi è singolarmente vicino a ciò che del lavoro afferma il filosofo Roberto Mancini: «il lavoro è servizio alla società e al bene comune: le nostre doti ci sono date in affidamento e in amministrazione fiduciaria affinché i loro frutti vadano certo a favore dei nostri cari, ma anche di molti altri, che possono contare sulle nostre capacità e sul nostro impegno. È questa rete di corresponsabilità, in cui ciascuno fa la sua parte al meglio, che la costituzione evoca quando afferma che l’italia è una Repubblica fondata sul lavoro. il senso etico del lavoro sta nell’assumere come proprio dovere il servizio per gli altri» (MAncini, 2011, p. 758). 41 non capisce che quello è stato un giorno perso […]. Al cFP ho imparato la puntualità, l’onestà, l’importanza di essere responsabile […]. Vedendo gli allievi, mi rivedo tutti i giorni seduto dietro i banchi e lo dico anche a loro. Giocando con loro, raccontando quello che ho vissuto, oppure facendo loro vedere qualcosa che ho costruito, nasce piano piano un rapporto di simpatia, di stima e di amicizia; con alcuni di loro sono andato anche a cena fuori […]. Al cFP ho imparato che […], se l’insegnante resta fossilizzato sull’istruzione classica, non ottiene molto, perché i ragazzi sono stanchi di questo tipo di istruzione; dobbiamo cercare il modo di far loro studiare. Allora, se un insegnante, nel corso degli anni, si appiattisce e continua a fare quello che ha fatto per vent’anni, è già tagliato fuori; non siamo dei ragionieri, siamo delle persone che formano ragazzi per l’industria, anche se viviamo in un posto in cui le industrie sono scarse. credo che noi, in quanto formatori, abbiamo una responsabilità grande verso le nuove generazioni. […] Dovremmo andare nelle industrie a imparare, perché magari quell’industria si è specializzata in un prodotto che nessuno sa fare meglio […]. Dovremmo essere capaci di far vedere ai nostri ragazzi, anche con delle diapositive, come le industrie producono, come funzionano le loro macchine […]. Dico spesso ai ragazzi che, nel mondo, tutti quanti possono fare il tornitore meccanico; puoi farlo per costruire un pezzo di carriola, oppure per costruire un pezzo della Ferrari […]. lo dico sempre ai ragazzi, prima di andare a lavorare sulle macchine, perché a differenza di alcuni miei colleghi che li mettono alle macchine senza dar loro una prospettiva, io, prima di consegnare il “giocattolo”, spiego l’importanza di quello che stanno per fare, cerco di comunicare l’amore per questo lavoro e di far intravedere altre possibilità, oltre a quella di essere un tornitore meccanico. ho avuto ragazzi che, facendo questi corsi, hanno acquisito l’amore per il lavoro; finito il percorso qui, si sono iscritti ad un corso esterno e si sono diplomati. Per me queste sono grandi soddisfazioni (intct8). nella sua esperienza di formatore, M. (intct8) ripropone ai suoi ragazzi quello che egli stesso ha sperimentato come allievo e cerca di instillare anche in loro una concezione non strumentale del lavoro, aiutandoli a collocare quello che imparano a fare all’interno di una prospettiva, di un progetto. Agganciando la proposta formativa ai contesti reali, diventa possibile comunicare l’amore verso il lavoro e quella tensione migliorativa che fa puntare a mete elevate. il coinvolgimento personale e il gusto per un lavoro “ben fatto” – che, in un certo senso, è anche gusto per il “bello” e il “buono” – assumono così un significato etico e sociale. in ogni lavoro è importante mettere qualcosa di sé e questo si riverbera sullo “stile che si assume al lavoro” e sulle relazioni che si creano attraverso il lavoro. come vedremo anche più avanti, si tratta di un aspetto che i partecipanti alla ricerca affermano di aver appreso direttamente dai loro docenti e dal loro modo di stare al lavoro. 2.1.3. Imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: le strategie formative il discorso sugli oggetti di apprendimento, che abbiamo sviluppato sopra, non è separabile da quello relativo alle strategie formative. l’intreccio degli apprendimenti con la pratica può essere infatti visto contemporaneamente come oggetto e come metodo di insegnamento-apprendimento. Possiamo dire che, nell’esperienza formativa vissuta dai nostri partecipanti, il lavoro – e tutto ciò che al lavoro si connetteva (la qualità delle attrezzature di laboratorio, i rapporti con le aziende ecc.) – diventava un vero e proprio dispositivo didattico. 42 a) Apprendere facendo È proprio attraverso la pratica lavorativa svolta nei laboratori del cFP, progettando, realizzando artefatti, montando, assemblando ecc., persino “martellandosi le dita”, che i nostri partecipanti hanno potuto avvicinarsi in modo efficace anche ad apprendimenti di carattere generale. Del resto, passando dal fare, gli apprendimenti stessi acquistano una densità diversa da quella che assumerebbero “ridotti” allo stato di puri compiti scolastici. Vediamo qui di seguito alcuni esempi: quando si studia solo sul libro non si sa com’è la pratica; al cFP puoi metterti davanti a una macchina, imparare a guardarla, a toccarla. le persone non sono tutti dottori e avvocati; […] oggi tutti vogliono studiare e nessuno ha voglia di fare lavori manuali. in realtà l’esperienza la fai lavorando, non solo studiando; certi lavori li impari lavorando, facendo ogni giorno teoria e pratica insieme, sbagliando, martellandoti le dita e imparando a fare più attenzione; il meccanico l’esperienza se la fa lavorando: vede come tagliare il pezzo, impara il modo di legare le cose; oggi quello del meccanico non è più il mestiere di vent’anni fa, è un mestiere difficile, le macchine sono sempre più complesse […]. il cFP, a quei tempi, era l’unica scuola che aveva un po’ di pratica e un po’ di teoria […] e con la pratica si impara meglio. Al cFP ho imparato ad usare bene delle macchine che, almeno a livello di base, sapevo come funzionavano; […] dopo non le ho mai adoperate per il mio mestiere, ma, se oggi mi mettessi davanti a un motore, sarei ancora capace di schiacciare qualcosa e di fare qualcosa. Poi abbiamo fatto dei lavoretti di rifinitura e di questo ho avuto bisogno anche nell’arco della mia vita […]. Abbiamo imparato a usare il tornio e la fresa, ma imparavamo anche come sono fatti un motore, una pompa, un cilindro, un iniettore. c’è gente che va a scuola guida e non sa come è fatto un motore (intFoss2); il disegno era fatto in maniera molto approfondita ed era strettamente legato all’officina; spesso si faceva un disegno e poi si andava a realizzare il pezzo. queste sono cose che incidono. ho imparato da subito che il disegno non andava interpretato ma letto; infatti, quando la lettura è sbagliata, alla realizzazione del pezzo mancano delle quote. Allora si usavano solo inchiostro di china e matita; gli insegnanti pretendevano la pulizia, l’ordine; tutto serviva per farti capire che c’era bisogno di un decoro personale, che questo serviva per presentarti meglio ma anche per fare meglio il tuo lavoro; tutto era interconnesso […]. Al cFP mi hanno insegnato a fare il disegno, a progettare e a realizzare, perché puoi anche ideare un pezzo molto bello, ma, se alla fine non lo sai realizzare, non serve a niente […]. l’insegnamento al cFP è stato molto importante perché mi ha insegnato la teoria e la pratica interconnesse (intct5); la trigonometria mi ha insegnato moltissimo, infatti, quando io ho cominciato a lavorare, il cAD-cAM non esisteva; allora, ti mettevi lì a calcolare e bene o male la trigonometria ti faceva lavorare. Se avevi la possibilità di andare in aziende dove c’erano degli investimenti e trovavi il cAD-cAM, era diverso, ma chi non aveva la possibilità, riusciva a ricavare i punti con la trigonometria. quelle cose le ho imparate lavorando su macchine utensili manuali; una volta passato al controllo, sono stato agevolato (intFoss3); per me quella del cFP è stata una bella esperienza, perché c’era da lavorare; mi piaceva la meccanica, mi piacevano le cose pratiche, più dello studio. Mi piaceva il fatto che al cFP lo studio venisse messo in termini di pratica sul lavoro; le altre scuole non mi piacevano, perché erano troppo teoriche. il cFP è stata una scuola che ho trovato bella anche perché si muoveva in quello che era il mio campo; già da piccolino venivo nella fabbrica di mio padre a trafficare, a giocare, e in quella scuola mettevo in pratica quello che imparavo (intFoss7); 43 particolarmente importanti sono state le ore di tecnologia e di meccanica e tutti gli attrezzi che ho usato in officina; adesso sento che tutto a portata di mano […]; ho avuto l’opportunità di usare tanti macchinari e anche in tecnologia ho fatto un programma vasto; ho usato anche l’autocad. Tutto quello che ho studiato e provato negli anni, l’ho poi usato nel lavoro e ringrazio di aver fatto questo percorso, perché mi è stato utile […]. Al cFP ho imparato a usare le macchine utensili, il tornio, la fresa, i trapani, le macchine a controllo numerico: si imposta il programma e poi la macchina ti fa il pezzo; ho imparato a saldare, ad assemblare i pezzi, a montare; […] abbiamo costruito diversi macchinari e, alla fine dei due anni, abbiamo costruito un centro di lavoro che faceva tutto in automatico […]. Ma nella formazione ho imparato anche e soprattutto alcuni atteggiamenti che mi vengono utili adesso, sul lavoro; ad esempio, ci sono lavori che purtroppo non si fanno più, perché adesso si compra subito il pezzo nuovo; eppure, riparando il pezzo, fai risparmiare il cliente, risparmi tu, non sprechi soldi e materiali, non inquini. il concetto di aggiustare le cose e di non buttare niente l’ho imparato al cFP; oggi si fa ancora, anche se di meno, perché i tempi sono cambiati, si è sempre di corsa; io tutto questo l’ho imparato qui al cFP (intBra5); del cFP ricordo innanzitutto la disciplina e la serietà; ricordo che a scuola si lavorava veramente e c’era passione; essendo una scuola professionale, si studiavano meno le materie teoriche e si faceva molta pratica; ogni giorno scoprivi e imparavi cose nuove […]. Facevo il montatore, però non avevo una cultura teorica, partecipavo alla costruzione dei vari pezzi, ma non riuscivo a capirne il funzionamento. A riempire questa lacuna è stato il cFP, in particolare don R., che mi ha fatto capire come si costruiva e a che cosa serviva un trasformatore. Tutto questo avveniva anche fuori dalle lezioni scolastiche (intct29). Attraverso il lavoro, i nostri allievi di un tempo hanno imparato molto altro; spesso hanno potuto recuperare anche i saperi propri delle discipline più teoriche, agganciandoli appunto alla pratica, al laboratorio. nel lungo brano che segue, M. (intFoss3), un artigiano piemontese di 38 anni, ricorda proprio come il lavoro manuale abbia affinato in lui la capacità di comprendere a fondo le cose9: mi occupo sia della produzione sia della parte amministrativa dell’azienda. Faccio un po’ di tutto, dal lavoro con le macchine utensili al preventivo, e curo anche il rapporto con i clienti. Per fare tutto questo devi saper lavorare anche manualmente. Fino a qualche anno, fa ho lavorato soltanto su macchine utensili, tornio e frese, adesso, sono subentrato a mio padre e quindi mi occupo un po’ di tutto il processo. Posso dire che, avendo delle basi di officina, mi viene più facile anche fare i preventivi e capire le cose. il cFP mi ha fatto conoscere la fresatura, la rettifica; noi ragazzini potevamo fare un po’ di tutto, cioè un po’ di tornio, un po’ di fresa, un po’ di banco, di elettronica, di pneumatica; un po’ alla volta, vedevamo i vari aspetti del lavoro. quando sono uscito dal cFP, abbiamo portato la fresatura anche qui in azienda; prima di allora, l’unica macchina utensile che avevamo era un tornio; la fresa è entrata nel 1993. Sono riconoscente al cFP, perché ho potuto fare l’esperienza delle macchine utensili manuali. il controllo è una bellissima cosa, è come un computer, però, quando devi fare due calcoli, li fai con la calcolatrice; farli a mano invece ti allena la mente; lo stesso vale per il tornio manuale che non ha la precisione di quello a controllo, ma richiede di saperci fare. Adesso si va solo sulle macchine a controllo numerico, mentre certi pezzi devono essere smussati e, sul tornio a controllo, non esiste la smussatura, esiste 9 il legame tra pratica e comprensione profonda è un aspetto su cui torneremo anche più avanti, nel paragrafo 5.2.2. 44 solo il pezzo finito; ci sono però dei pezzi che hanno bisogno di un’ulteriore lavorazione a mano. Fra dieci anni nessuno sarà in grado di lavorare con una macchina manuale e questo è un peccato, fa perdere qualcosa di importante. Ricordo che al cFP i professori ci facevano limare. la limatura è un grande rompimento di scatole, ma è la base, quello che ti permette di imparare ad adoperare lo strumento, a conoscere il pezzo. era bello vedere i professori che si dedicavano anche loro alla limatura. Adesso il pezzo esce finito dalla macchina e quindi non c’è l’esigenza di adoperare la lima, però ci sono certi lavori nei quali hai bisogno della lima, hai bisogno di saper lucidare un pezzo a mano. Se impari bene quello, diventa tutto più semplice: vai su un parallelo, serri il pezzo sul mandrino, fai la lavorazione; se non riesce, prendi la carta vetro; erano cose che ci insegnavano a scuola e che oggi mancano. Ad esempio, allora non esisteva il divisore automatico e, se dovevi fare otto fori a 360 gradi, col divisore manuale imparavi a dividere; c’erano dei calcoli che bisognava fare e che oggi non si fanno più. oggi i ragazzi, senza la calcolatrice, non sanno più fare i calcoli; il giorno che il pezzo non va a controllo, tutto si ferma. oggi, la matematica, la trigonometria, seno e coseno, non si sa più che cosa siano. io queste cose le conosco a memoria, i ragazzi che vengono qua no; mi dicono: “lo disegni sul cAD…”, “Ma stiamo scherzando? il cAD va benissimo, ma la trigonometria è trigonometria”; i ragazzi che ho di là, in officina, sono tutti bravi, però per far loro capire la trigonometria ho dovuto fare dei disegni che ogni tanto loro controllano. Fare un disegno con il cAD-cAM è molto bello, però bisogna anche saper fare il disegno cartaceo; se prendi un pezzo, sai dove va e quindi metti il colore giusto, con il cAD digiti le colorate e metti i colori a caso, non ti rendi conto; devi saper lavorare, prima di fare il disegnatore. Sul posto di lavoro, oggi i ragazzi stanno attaccati a una macchina che esegue un programma e prendono la calcolatrice per calcolare la tangente, per sapere qual è la profondità di uno smusso a 30 gradi ecc., ma a volte i clienti ti portano un pezzo e tu devi saperlo riprodurre su carta, quindi devi prendere le quote; non tutti lo sanno fare; noi lo imparavamo a scuola: ci mettevano un pezzo davanti e noi lo dovevamo quotare. i ragazzi di oggi non conoscono la composizione di un materiale; a noi insegnavano la scomposizione di un materiale; oggi puoi andare su internet per saperlo, ma internet ti dà solo la composizione standard; se non sei in grado di tradurre le informazioni che trovi, non vai da nessuna parte (intFoss3). M. sottolinea di aver potuto, attraverso il lavoro manuale, sviluppare vere e proprie competenze professionali (efficacemente rese dall’espressione “saperci fare”), che comportano l’orchestrazione di specifiche abilità di calcolo, abilità grafiche, una conoscenza precisa dei materiali (che l’esercizio della limatura contribuisce a far sviluppare), ma anche atteggiamenti come l’attenzione ai dettagli e la capacità di affrontare le criticità che possono presentarsi. Anche A. (intct12, cfr. la storia n. 15 nella terza parte di questo lavoro) racconta che proprio attraverso il fare ha potuto imparare la matematica concreta. Molti ex-allievi ci dicono insomma di aver sperimentato quello che potremmo definire un approccio “manuale” alla conoscenza (Bertagna, 2011). Tra le righe leggiamo che, così come hanno imparato che da un certo uso delle mani dipende la qualità di un lavoro ben fatto, allo stesso modo hanno compreso che, anche attraverso la matematica e la lingua, si posso fare un’infinità di cose. b) Una didattica centrata sul laboratorio e sulla realizzazione di capolavori Un’ulteriore declinazione della centratura sul fare è la sottolineatura del laboratorio come ambiente di apprendimento. qui – ci dicono gli ex-allievi – diventava 45 possibile fare un’esperienza concreta di lavoro in un ambiente che però non era ancora quello lavorativo, ma quello protetto del cFP: il laboratorio era alla base di tutta l’organizzazione salesiana. la teoria ci vuole, […] però la pratica è molto importante. i laboratori erano ben organizzati e, quando non capivi una cosa, sempre ti veniva data una spiegazione supplementare […]. Ad esempio, nel mio settore, quello elettromeccanico, si studiavano prima gli impianti civili e industriali - ne studiavi il funzionamento, lo schema elettrico ecc. - e poi passavi anche a realizzare il montaggio su dei pannelli che venivano creati dai professori; poi magari lo stesso quadro elettrico lo ritrovavi in una fabbrica e già sapevi dove mettere le mani. la stessa cosa in aggiustaggio, dove ci hanno insegnato a saldare, ad usare il trapano a colonna, a limare; il professore ti spiegava come andava forato e filettato quel pezzo di ferro e dopo te lo faceva fare in pratica; se sbagliavi, ti correggeva, se doveva rimproverarti, ti rimproverava, ma sempre a fin di bene (intct17); sicuramente l’aspetto più significativo della nostra formazione era il laboratorio, dove facevamo pratica; infatti una cosa era la teoria che spiegavano in classe, un’altra era la pratica e per noi le cose più importanti avvenivano in laboratorio (intct18); degli anni del cFP mi è rimasto impresso il signor M., per la sua formazione e la sua serietà; insegnava disegno; mi sono rimaste dentro la sua voglia di fare e il suo modo di porsi, il fatto che fosse molto preparato. Anche c., che è ancora qui, metteva una grande passione nel lavorare; insegnava laboratorio e mi ha dato le basi per lavorare. D. aveva una gran voglia di lavorare, si metteva tra i ragazzi e questo mi è sempre piaciuto; anche io uso un po’ il suo metodo, anche perché abbiamo lavorato insieme due o tre anni; arrivava sempre preparato, con una gran voglia di lavorare e di far lavorare; da noi ragazzi pretendeva il massimo e ci faceva lavorare parecchio e questo mi è rimasto dentro; era serio, preciso, arrivava in classe preparatissimo. quando lavoravamo insieme, stavamo ore e ore a preparare la lezione di officina. […] Trasmetteva anche ai ragazzi la voglia di imparare e di costruire cose complicate. quelle che facevamo con lui infatti non erano operazioni semplici; bisognava preparare la macchina e costruire l’attrezzatura per facilitare il lavoro ai ragazzi; in sei ore dovevano fare un pezzo e allora cercavamo di metterli nelle condizioni di farlo. Poi c’erano anche undici, dodici macchine, e ogni macchina comportava un lavoro diverso; bisognava attrezzarle singolarmente e ci voleva parecchio tempo; nelle sei ore bisognava fare il lavoro e poi smontare l’attrezzatura perché poi venivano gli altri ragazzi, in modo da fare un lavoro fatto bene (intBra4). È proprio il laboratorio il fiore all’occhiello dei cFP salesiani, dove possono avvenire “le cose più importanti” (intct18). G. (intBra4), che oggi è lui stesso formatore, oltre alla passione per il lavoro dei suoi formatori, su cui torneremo più avanti, descrive la cura con cui venivano predisposte le attività di laboratorio. Si trattava di costruire le condizioni operative perché gli allievi potessero misurarsi con il fare, ma nello stesso tempo di essere sfidanti e di stimolare in loro il desiderio di “imparare a costruire cose complicate”. com’è tipico della tradizione salesiana (Prellezo, 2010) da sempre molte energie vengono dedicate al continuo aggiornamento dei laboratori e delle attrezzature: don B. è stato un punto di riferimento per quanto riguarda il reparto della meccanica, ha sempre battagliato per avere le macchine più moderne all’istituto (intct8); 46 quand’ero dai salesiani, c’era don G. che aveva fatto arrivare delle macchine dall’America per il nostro laboratorio; a quel tempo era un po’ una novità, perché in giro non si trovava ancora niente (intFoss2); il corso è stato come una prova per il lavoro, perché gli insegnanti ci hanno insegnato a lavorare sulle macchine stesse che poi trovavamo sul posto di lavoro […]. Dopo il cFP ho iniziato subito a lavorare in una piccola tipografia della provincia di catania; da lì c’è stato un crescendo di conoscenze nell’uso delle attrezzature, fino ad arrivare al mio lavoro di oggi, su una macchina che stampa multicolore; ma tutto questo è stato possibile grazie al corso, che per me è stato un’esperienza molto importante, un trampolino di lancio; grazie a quel corso, infatti, oggi posso lavorare su queste macchine (intct20); l’unica cosa che può aiutare i ragazzi che escono dal cFP è essere aggiornati, preparati al massimo per il mondo del lavoro, che oggi è tutta un’altra cosa rispetto a quello che era ai miei tempi. i miei formatori in questo sono stati attenti; anche quelli di oggi sono aggiornati, anche se le attrezzature che ci sono nei laboratori sono un po’ vecchie; nel mondo della grafica si deve essere sempre super aggiornati (intct25). Spesso nei cFP i nostri ex-allievi hanno potuto lavorare sulle stesse attrezzature e macchinari che poi avrebbero trovato nelle aziende anche se, come ci ricorda S. (intct25) non è facile tenere il passo dei cambiamenti tecnologici. nel brano che segue, F. (intFoss5), che ha frequentato il cFP negli Anni ’60, descrive bene la centratura sul laboratorio che caratterizzava tale offerta formativa: la scuola mi ha aiutato a costruirmi le basi della tecnologia che a quel tempo era importante. È stata una scuola dura, per il ritmo e gli orari; da esterno, facevo quindici chilometri, entravo all’istituto alle sette di mattino e uscivo alle sette di sera, per sei giorni alla settimana; uscire alle sette di sera, soprattutto d’inverno, arrivare a casa e magari avere ancora dei compiti da fare, delle lezioni da studiare, era un sacrificio; credo però che ne sia valsa la pena. oltre a favorire l’apprendimento delle materie scolastiche e tecniche, il cFP è stato una buona palestra e mi ha dato un insegnamento per la vita; è stato molto più facile, dopo, affrontare le difficoltà. Sono stati anni vissuti intensamente […]; si finiva a fine di giugno e si iniziava ai primi di settembre. era breve il periodo in cui uno poteva staccare la spina, anche se ai miei tempi “staccare la spina” voleva dire avere sempre un residuo di corrente elettrica, nel senso che non c’erano le possibilità di oggi, a livello economico, e, all’età di quindici o sedici anni, nel periodo estivo, si andava a lavorare per guadagnarsi la pagnotta; era normale. Fin da bambino sono sempre stato portato per la meccanica: smontare la moto a mio papà, all’età di dodici anni, era una cosa normale per me. Trovarmi in questa scuola, dove c’erano almeno cinque ore di laboratorio al giorno per me era il massimo. Si era operativi, si sperimentava la costruzione di qualcosa, si aveva la soddisfazione di aver fatto qualcosa di importante. Tutto questo, ai nostri tempi, veniva molto valorizzato; ad esempio, noi, dal secondo o terzo anno, facevamo motori e anche carrozzerie; ci sono state delle esperienze bellissime, come smontare dei motori, fare la rettifica dei trattori agricoli o del leoncino, fare operazioni di carrozzeria ecc.; tutto questo dava soddisfazione e, all’età di dodici, tredici o quattordici anni, era come toccare il cielo con un dito. queste cose, per chi come me è stato sempre appassionato di meccanica, sono state davvero molto importanti. non è stato un sacrificio studiare tecnologia o lavorare al tornio o fare le rettifiche […]. la scuola mi ha dato le basi per lavorare al tornio, in modo pratico, per capire, oltre alla teoria, quali siano le condizioni di lavoro, per valutare praticamente se la teoria che stavo applicando era corretta. in questo il cFP mi ha aiutato moltissimo (intFoss5). 47 F. trova continuità tra la sua esperienza familiare, che comunque lo metteva a contatto con esperienze di lavoro (l’aiuto domestico al papà, il lavoro estivo ecc.) e l’esperienza al cFP. il fascino di fare delle cose e la soddisfazione che veniva dalla valorizzazione che i formatori sapevano sapientemente utilizzare come leva motivazionale, ma anche da quel ritorno che arrivava dalle cose stesse, dal loro funzionare, alimentavano passione e rendevano sopportabile la fatica che frequentare ogni giorno il cFP pure comportava. Dalle interviste emerge un ulteriore aspetto di questo approccio laboratoriale, che consiste nella valorizzazione dei compiti autentici10. Vediamo alcuni esempi per capire di cosa si tratti: il primo anno ti facevano fare un oggetto, con la lima e con il tornio. Ti dava soddisfazione! ognuno doveva fare un pezzo. ogni giorno noi avevamo tornio, rettifica, saldatura; tu ti facevi il tuo giochino, la tua cosina. Se a te piaceva, potevi farti una sfera di ferro; io l’ho fatta, l’abbiamo fatta tutti la sfera, la facevamo brunire, la facevamo molare e poi la mettevamo sulla scrivania, come fermacarte (intFo1); grazie ai professori, ho partecipato a un concorso nazionale di grafica a Roma; quell’anno si trattava di proporre la composizione di una pagina pubblicitaria. Della mia scuola sono stato scelto io per concorrere assieme a ragazzi provenienti da tutte le scuole grafiche salesiane d’italia e sono arrivato secondo (intct23). la valorizzazione dei compiti autentici che caratterizzava la didattica dei formatori incontrati dai partecipanti alla nostra ricerca consisteva nel generare consegne legate a contesti reali. in questo senso il laboratorio stesso, così simile agli ambienti di lavoro, si configurava come il contesto autentico ideale. Ma nella testimonianza di l. (intct23), che ha finito la sua formazione solo alcuni anni fa, si rintraccia anche l’esperienza del “concorso nazionale dei capolavori”11, introdotta appunto alcuni anni fa, che dei capolavori evidenzia anche il carattere pubblico e comunicabile. in tutti i casi raccolti, la didattica laboratoriale si configura come didattica dell’esperienza riflettuta, in cui particolarmente curato è l’accompagnamento a riflettere su ciò che si fa: la cosa più importante era cercare di fare bene e di capire bene quello che si doveva fare prima di passare all’azione. Si trattava di non partire senza sapere dove arrivare, ma sapendo di dover raggiungere quell’obiettivo lavorativo; mi devo creare i presupposti per arrivarci in maniera tranquilla e, se trovavo delle difficoltà, dovevo saper calcolare bene i rischi che correvo. non parto quindi, se tutto quello che devo fare è oscuro; devo acquisire delle informazioni, in modo tale da poter iniziare e finire con successo un determinato processo di lavoro; se durante il lavoro incontro delle difficoltà di varia natura, devo 10 Per una definizione dei compiti autentici e dell’apprendimento significativo che ne scaturisce, cfr. loMBARDi, 2007. 11 Sulle varie edizioni del “concorso nazionale dei capolavori dei Settori Professionali”, promosso dalla Federazione cnoS-FAP, cfr. http://www.cnoS-FAP.it/node/11117 (ultima consultazione: 06-12-2013). 48 sapere rimediare e trovare una soluzione. Mi piaceva finire quello che iniziavo, quindi non partivo ad occhi chiusi, ma cercavo di informarmi, consultando chi aveva già fatto questa esperienza. certe volte me ne accorgevo dopo (intct16). la riflessione accompagna tutto il processo lavorativo: lo anticipa, come pensiero sull’azione possibile, si sviluppa durante il lavoro, come ricerca di informazioni per trovare una soluzione ai problemi che si presentano, e viene attivata dopo l’azione, come sguardo retrospettivo. c) Una didattica centrata sulle relazioni quella che i nostri partecipanti sperimentano al cFP è una didattica che valorizza le relazioni in ambito formativo e lavorativo: al cFP ho imparato un mestiere che mi era sconosciuto, ma ho imparato anche a stare insieme agli altri, a condividere con i compagni e a collaborare sul lavoro. quando ho frequentato l’istituto tecnico, mi sono trovato avvantaggiato, rispetto ad altri ragazzi, perché avevo imparato il senso di quella professione e sapevo collaborare con gli altri (intct7); il venerdì pomeriggio, per dirti, avevamo delle ore di recupero di matematica; P. (un docente, ndr) non c’era, perché andava a vedere le prove a imola, e le lezioni di recupero le facevano dei ragazzi un po’ più grandi di noi; ad esempio chi […] aveva abbandonato scuola di ingegneria dava lezioni. io avevo diciassette anni, ma c’era gente che aveva già l’auto, la cinquecento, con cui di pomeriggio qualche volta andavamo a imola a vedere le prove (intFo1). nelle due testimonianze riportate sopra, si nota l’esplicita strategia della cura delle relazioni che troveremo descritta anche di seguito, parlando degli stili di insegnamento dei docenti. il cFP consente di vivere un clima relazionale sano, improntato alla collaborazione. Anzi, la possibilità stessa di cogliere il senso di una professione passa spesso dalla positività delle relazioni che si creano nel suo esercizio. nell’esperienza di c. (intFo1), si intravede anche la possibilità di accedere a forme di tutoraggio tra pari per il recupero e il potenziamento degli apprendimenti. Riempire il contesto formativo di buone relazioni non è solo gratificante per i soggetti in formazione, ma aiuta anche ad imparare meglio. d) la possibilità di intrecciare apprendimento formale ed esperienza lavorativa nell’esperienza di molti dei nostri ex-allievi, l’incontro con il lavoro non avveniva solo all’interno dei laboratori del cFP, ma anche in contesti di lavoro veri e propri: sono arrivato dai salesiani nel 1982, come un ragazzetto che non conosceva cos’era un tornio, poi pian piano mi sono appassionato a questo lavoro, tanto che, già al secondo anno, quando di mattina frequentavo le lezioni, di pomeriggio, andavo in un piccolo laboratorio dove lavoravo per qualche ora; questo lo facevo liberamente, senza alcuna costrizione da parte dei miei genitori. Alla fine dei tre anni del percorso formativo, ho incominciato a lavorare a tempo pieno in questo posto e ci sono rimasto per qualche anno (intct8); quando frequentavo il corso, già lavoravo, quindi potevo avere un riscontro diretto dell’utilità di quello che studiavo e che poi applicavo nel lavoro (intct21); 49 quando frequentavo il cFP, già lavoravo; la mattina andavo a scuola e il pomeriggio andavo in tipografia (intct26); la mattina andavo a scuola e il pomeriggio a lavorare, quindi potevo immediatamente applicare nel lavoro quello che studiavo la mattina, ma anche viceversa, ed ero avvantaggiato rispetto ad altri ragazzi (intct27); ho iniziato la Formazione Professionale abbastanza grande […]. Mi sono buttato subito a capofitto nel lavoro. essendo più grande degli altri compagni, oltre alla scuola che facevo al mattina, al pomeriggio continuavo a sperimentare sulla dentatrice, sulla fresatrice ecc. ho abbracciato quasi immediatamente la proposta formativa, ma soprattutto il lavoro, perché allora la Formazione Professionale non era soltanto scuola; il sessanta, settanta per cento era lavoro; si facevano lavori per l’enel, si facevano migliaia di pezzi in serie. noi ragazzi, non tutta la classe, i più volonterosi, i più grandicelli, di pomeriggio ci buttavamo nel lavoro e quindi la formazione è stata molto sostanziosa, non ridotta a conoscenza scolastica (intct7). il gruppo delle testimonianze riportate sopra, tutte di ex-allievi del cFP di catania, fa riferimento a contesti e situazioni in cui il lavoro poteva essere anche esposto al rischio dello sfruttamento. Se alcune esperienze lavorative avvenivano nel contesto familiare o all’interno del cFP stesso, dove un tempo era possibile svolgere anche attività produttive, i partecipanti ci descrivono anche vere e proprie esperienze di lavoro. Dai loro cenni è possibile intuire che non tutte fossero svolte nella cornice di qualche regolamentazione. non vogliamo certo qui sottovalutare l’importanza del rispetto delle regole e della legalità, al contrario. ci limitiamo ad osservare che, al di là della natura giuridica dei rapporti, gli ex-allievi che ne parlano, sottolineano l’importanza che per loro ha avuto il precoce contatto col mondo del lavoro e le possibilità di fertilizzazione reciproca tra esperienza formativa ed esperienza lavorativa. in conclusione possiamo sottolineare che, proprio attraverso il contatto con l’esperienza del lavoro, i nostri ex-allievi hanno incontrato nei cFP salesiani una formazione che ha fatto crescere in loro lo slancio, la creatività, la capacità di apprendere, di progettare e di aprirsi agli altri. Proprio l’intreccio di formazione personale e professionale allontana l’esperienza vissuta dai nostri allievi nei cFP salesiani da quelle forme di addestramento impersonale alle quali talvolta la Formazione Professionale è stata ridotta. 2.2. Una formazione che mobilita energie e aiuta a trasformare anche l’insuccesso in occasione di apprendimento Gli ex-allievi che abbiamo intervistato ci hanno regalato storie che mostrano come l’esperienza formativa che hanno vissuto non li abbia rinchiusi nelle loro biografie, che spesso al loro arrivo erano cariche di profezie negative, ma li abbia fatti andare più in là, più lontano. Abbiamo già sottolineato come l’educazione al gusto di un lavoro ben fatto abbia alimentato in loro energie. qui vogliamo riportare alcune testimonianze che ci aiutano a vedere come tali energie siano state spesso orientate a trasformare anche le esperienze negative in occasioni di apprendimento. 50 2.2.1. Dall’insuccesso scolastico Spesso il successo formativo di cui le storie raccolte danno testimonianza si è costruito sulle macerie di un precedente insuccesso scolastico12. Per quanto in altre occasioni abbiamo avuto modo di argomentare sull’esigenza di ripensare a fondo la questione culturale che sta alla base della Formazione Professionale, sostenendo le ragioni di un canale dell’ieFP come percorso di pari dignità rispetto a quello scolastico (Tacconi, 2010;2006), nella situazione in cui si trova il nostro Paese, il fatto stesso di capitare al cFP è indicatore di uno status di debolezza, spesso sancito da dolorose attestazioni di “non capacità”. Ma la non riuscita scolastica non si trasforma necessariamente in insuccesso formativo. questo almeno è ciò che emerge con chiarezza dalle testimonianze raccolte: ho finito il cFP nel 1966; avevo diciotto anni, perché avevo perso due anni di scuola, uno alle elementari e l’altro all’inizio delle superiori; eppure nella formazione tutto è andato bene (intFoss5); all’epoca non ero riuscito a superare gli esami, però non mi sono arreso e ho frequentato un altro corso, quello di elettropneumatica, che poi mi ha orientato al mio lavoro di oggi; […] se non avessi frequentato il corso serale di elettropneumatica, sarebbe stato per me molto più difficile apprendere il mestiere (intct17). i percorsi di accesso alla Formazione Professionale sono stati spesso accidentati eppure nei cFP i partecipanti alla nostra ricerca affermano di aver trovato persone che li hanno aiutati a scoprire potenzialità inespresse. R. (intVr2), nella storia che riportiamo nella prossima sezione di questo lavoro (cfr. la storia n. 12), ricorda, ad esempio, che i suoi genitori si erano spesso sentiti dire dai professori della scuola media che “il ragazzo doveva andare a lavorare”. oggi, R. è un affermato ingegnere. 2.2.2. Al successo formativo nelle storie di questi ex-allievi della Formazione Professionale, il successo è stato importante, ma altrettanto importante è stato l’insuccesso. Per molti di loro è stato decisivo incontrare adulti disponibili ad aiutarli a trasformare l’insuccesso in occasione di apprendimento, a sviluppare una cultura dell’errore in cui ogni sbaglio veniva visto come occasione opportuna per imparare. come vedremo anche in seguito, decisiva, in molte storie, è stata la presa in carico che li ha accompagnati nella formazione13 e nell’inserimento lavorativo. Alcuni ex-allievi sono diventati a 12 Di una vera e propria “saga dei vinti della scuola” parla Mario Giacomo Dutto, in un suo recente lavoro nel quale possiamo ritrovare l’eco di tante delle esperienze raccontate dai partecipanti alla nostra ricerca: «l’istruzione che, per sua natura, unisce, socializza e alfabetizza, non di rado divide, separa e contrappone. Gli studenti sono spesso più diversi tra di loro alla fine che non all’inizio del percorso scolastico: i voti, le pagelle e i diplomi sanciscono queste distinzioni, come anche la scelta, dopo la scuola di base, tra licei, istituti tecnici o professionali. Dietro la nobiltà delle intenzioni, la scuola nasconde contraddizioni inattese: forma cittadini, sviluppa talenti e genera intelligenze, ma anche crea sconfitti, produce indifferenza e induce emarginazione» (DUTTo, 2013, p. 8). 13 l’impegno dei formatori a contrastare il rischio di abbandono della formazione è ben descritto anche nel racconto di D. (intBra2) (storia n…). 51 loro volta formatori e molti ex-allievi imprenditori hanno scelto di impiegare ex-allievi nelle loro aziende. Ma a segnare una svolta nella biografia dei soggetti intervistati, una sorta di discontinuità che ha fatto scattare in loro la “voglia di apprendere sempre”, è stata proprio l’esperienza della Formazione Professionale: al cFP ho imparato a confrontarmi con gli altri e ad alimentare la voglia di andare sempre avanti. nel periodo in cui frequentavo il corso, le tecnologie del mio settore stavano cambiando molto velocemente, quindi una prima lezione è stata aver capito che, se non stavo al passo, rimanevo indietro. oggi sono dove sono anche grazie a questa voglia di apprendere sempre che ho ricevuto al cFP. l’esperienza ha influito tanto nello svezzarmi rispetto alla vita che conducevo a casa. Mi ha aiutato a socializzare con i ragazzi che frequentavano i vari corsi e a dare un significato al mio futuro personale e lavorativo. Mi hanno fatto capire anche che niente è regalato e che si deve sudare per raggiungere un obiettivo. questo l’ho imparato mano a mano che proseguivo negli studi (intct21); al cFP ho imparato soprattutto a non tirarmi mai indietro, grazie ai professori, perché non mi hanno insegnato solo come si usa un cacciavite o come si passa un cavo elettrico, ma mi hanno insegnato a mettermi sempre in gioco. Prima di iniziare a lavorare per conto mio, ho fatto di tutto, l’elettricista, l’imbianchino, perché dai salesiani avevo imparato a non tirarmi indietro e a non fermarmi davanti al primo ostacolo. Mi hanno insegnato ad essere tenace e a completare sempre un lavoro (intct17); sicuramente i professori ci spronavano, ma ci faceva riflettere anche il confronto con gli ex allievi che già avevano delle ditte per conto loro e venivano a raccontare il loro percorso formativo. il ricordo che ti lascia un ex allievo è indelebile e, anche grazie alla loro testimonianza, cercavamo anche noi di andare sempre avanti. Vedendo queste persone che si erano realizzate, ci veniva spontaneo pensare che fosse una buona cosa proseguire in quel senso e provarci anche noi. nelle altre scuole, questo aspetto non c’era, soprattutto non c’era una meta precisa. qui invece è nato tra noi qualcosa che ci ha legato profondamente. i nostri insegnanti invitavano gli ex allievi a venire a parlarci del loro percorso e adesso anche noi lo facciamo, come segno di amicizia e riconoscimento verso i nostri professori; entriamo nelle classi e portiamo la nostra esperienza, per inculcare in questi ragazzi la convinzione che il sogno è realizzabile (intct19). quella descritta dai brani riportati sopra è una formazione che libera potenzialità o rimuove ciò che può rallentare la messa in moto delle potenzialità, una formazione che mobilita energie, mette in moto, aiuta a superare le difficoltà che via via si incontrano. nell’esperienza narrata da A. (intct19), a mobilitare energie è stato l’incontro con la testimonianza di altri ex-allievi che ha consentito di sviluppare “la convinzione che il sogno sia realizzabile”. Proprio A. si sente oggi tenuto a fare ad offrire a sua volta questo genere di testimonianze. 2.3. Una formazione che orienta alla vita i partecipanti alla ricerca affermano che l’esperienza formativa vissuta al cFP li ha gradualmente guidati non solo a scegliere il percorso formativo o lavorativo con cui continuare la loro strada, ma anche a reinterpretare autonomamente e in modo originale le sfide del loro tempo e ad essere capaci di assumere su di sé, in 52 senso più generale, il mestiere stesso del vivere, diventando attori e autori della propria esistenza. 2.3.1. L’orientamento al lavoro la formazione al cFP ha consentito innanzitutto ai partecipanti di orientarsi nella scelta lavorativa e ha rappresentato per tutti una sorta di “palestra” per allenarsi al lavoro: ricordo che c’era molto dialogo con i professori; ci orientavano su tutto ciò che riguardava il lavoro: le prospettive di assunzione, il comportamento che avremo dovuto tenere e il modo migliore per approcciare le persone, perché, quando eravamo a scuola, non era facile per noi intuire che cosa ci avrebbe aspettato fuori. i professori che mi hanno seguito mi hanno insegnato come lavorare, come ci si comporta sul posto di lavoro, come prestare attenzione alle macchine. il centro era una specie di palestra per il lavoro; ci facevano fare esperienza perché poi ci trovassimo preparati fuori. Devo dire che il loro insegnamento è stato utile; in azienda non ho fatto fatica ad ambientarmi; ho iniziato come operaio e oggi sono responsabile di produzione. Frequentare il corso mi è servito per capire quello che volevo e quello che avrei fatto una volta finito il corso. oggi è molto difficile proiettarsi nel mondo del lavoro (intct13); dopo la terza media, non avevo le idee chiare su che cosa venivo a fare in questa scuola; mi piaceva lavorare in meccanica e qui, al centro, lavorando sulle macchine, ho imparato a farlo proprio con passione, scoprendo che riuscivo anche a farlo abbastanza bene (intBra4); i miei insegnanti mi hanno aiutato a crescere e a capire quale realmente avrebbe potuto essere la mia strada. Dopo il primo anno generale, abbiamo fatto un test. il secondo anno di corso, infatti, grazie anche a quell’aiuto, ho scelto la specializzazione che ancora oggi mi impegna, l’operatore di prestampa. il corso mi è servito tanto (intct21); quell’esperienza mi ha portato a sognare quello che sono oggi […] e ha influito tanto sul mio futuro; mentre frequentavo l’istituto, pensavo che avrei potuto arruolarmi nei carabinieri, anche perché le forze armate cercavano e accoglievano volentieri volontari. i salesiani hanno capito che c’erano degli elementi che mi orientavano diversamente; erano capaci di riconoscere le attitudini e le predisposizioni dei ragazzi (intct29). come sottolinea n. (intct13), le condizioni attuali rendono l’impresa di orientarsi nel mondo lavorativo molto più difficile di un tempo. eppure gli elementi che i nostri partecipanti sottolineano mantengono un valore ancora oggi. Attraverso l’esperienza che si viveva al cFP, si poteva non solo farsi un’idea rispetto al mondo del lavoro, ma soprattutto dare spazio ai propri desideri e ai propri sogni, mettere a fuoco le proprie potenzialità, inclinazioni e attitudini e imparare a trasformarle in traiettorie percorribili. 2.3.2. L’orientamento a proseguire nel cammino formativo orientarsi è un verbo di moto, indica un sapersi dirigere verso una meta riconosciuta come desiderabile, un muoversi, un camminare. l’esperienza del cFP ha dato a non pochi dei partecipanti alla nostra ricerca la possibilità di individuare mete e percorsi ulteriori alla prima Formazione Professionale: 53 finita la scuola professionale, avrei potuto lavorare, ma, siccome avevo preso gusto per lo studio, per l’imparare, per lo sperimentare sulle macchine e avevo maturato un interesse per la tecnica ad alto livello, loro stessi mi hanno consigliato di continuare a studiare per diventare poi formatore. questo mi piaceva […] (intct7); ho studiato per tre anni al cFP di Fossano, settore elettrico, dopo di che sono passato all’iTiS, per conseguire il diploma di maturità, e poi, dato che “l’appetito vien mangiando”, sono andato a provare l’esperienza universitaria: ho studiato ingegneria elettronica e ho finito […] con ottimi voti […]. importante, nel percorso di cFP, è stato aver toccato con mano la realtà; […] questo, per certi versi, mi distingue dagli altri, perché gli altri, avendo per lo più frequentato un liceo, non hanno nessuna familiarità con le cose pratiche. Al cFP, di matematica si faceva qualcosa, di italiano meno, perché veniva privilegiato l’aspetto tecnico, però il fatto di sapere già programmare è stato importante per me, dopo. Sono andato all’iTiS avendo già questa preparazione; magari avevo delle lacune in alcune materie, ma in queste no, quindi compensavo; il salto non è stato alla cieca. Sono sempre andato bene a scuola, fin dalle medie, però a quattordici anni uno non è sicuro di ciò che vuol fare; quando ho finito l’esperienza al cFP, avevo le idee più chiare su quello che poteva essere il mio percorso. ho capito quali potevano essere le mie potenzialità e come avrei potuto sfruttarle. Sicuramente il fatto di andare all’iTiS mi ha spronato, perché per andare all’iTiS ho dovuto preparare un esame e superarlo mi ha dato modo di capire che avevo delle potenzialità come studente e che ce l’avrei potuta fare. Ma già negli anni precedenti era avvenuta in me un’evoluzione. ci sono delle cose che sono richieste dalle aziende ma che la formazione di livello superiore paradossalmente non dà, mentre ti vengono date dal cFP (intFoss4). È come se il cFP avesse liberato la possibilità di mettersi alla prova, di rendersi consapevoli delle proprie potenzialità e di provare gusto nell’apprendere. l. (inFoss4), che oggi è ingegnere, ha potuto anche apprezzare la formazione datagli dal cFP come un punto di forza distintivo, nel percorso di studi intrapreso successivamente, superando l’idea diffusa che attribuisce alla Formazione Professionale lo status di una formazione povera, che preclude anziché consentire la prosecuzione in percorsi di alta formazione. 2.3.3. L’orientamento esistenziale e l’educazione al senso della vita la formazione vissuta al cFP sembra aver consentito agli ex-allievi interpellati di orientarsi più globalmente nella vita. ciascuno di loro ha potuto infatti, in varie forme, sperimentare un accompagnamento e un incoraggiamento non solo a individuare le mete verso cui muoversi, ma anche, potremmo dire, a scegliere se stesso, ad incarnare la sua propria singolarità. in fondo, non si tratta solo di decidere che lavoro fare ma anche – e soprattutto – di scegliere che persona essere, attraverso il lavoro che si decide di fare. in questo senso, un ruolo importante sembra essere stato giocato anche dalla proposta religiosa che i partecipanti hanno potuto vivere all’interno dei cFP salesiani: il ricordo più vivo che ho riguarda la parte religiosa; il percorso prevedeva un forte lavoro nei laboratori, ma c’era sempre anche il momento religioso. Per me è stato un buon abbinamento; ognuno di noi si fa un suo credo personale, però sicuramente quell’aspetto aiutava a socializzare con tutti e ci educava al rispetto reciproco (intct21); 54 abbiamo approfondito anche la dimensione religiosa; da ragazzino non avevo fatto neanche il catechismo, quindi a livello religioso ero abbastanza a digiuno. quel periodo mi è servito anche per una formazione religiosa, che poi è rimasta per tutta la vita e mi ha fatto acquisire i valori dell’onestà, della condivisione, dell’aiuto agli altri ecc.; siamo diventati anche cooperatori salesiani. Dopo mi sono sposato e i miei figli hanno seguito […] questa scia (intct7); arrivavi in istituto e c’erano venti minuti di preghiera; per alcuni poteva essere pesante, però cantavi e condividevi momenti di gioia; si stava insieme per conoscersi. Mi ricordo le bellissime esperienze dei ritiri spirituali; non so se si fanno ancora. quando andavi, sapevi che c’era la messa, faceva parte dell’educazione; i ritiri spirituali erano una combinazione di momenti di svago, momenti di silenzio e momenti di crescita anche interiore. Diciamo che alcuni momenti, se dovessi rifarli, li rifarei proprio nel modo antico, non come li fanno adesso; allora c’erano momenti di silenzio e momenti di divertimento mescolati assieme (intFoss3); anche gli esercizi spirituali, i ritiri, le preghiere prima di iniziare la giornata, secondo me, erano una cosa molto bella; anche nella preghiera trovi l’unione con gli altri. con i professori tante volte eri lì, fianco a fianco, a messa o a dire una preghiera; è una cosa bella, umana, che unisce (intFoss7); al cFP i salesiani ci davano un’educazione cattolica approfondita; andavamo a messa ogni giorno; oggi non ci sono ragazzi di sedici o diciassette anni che vanno a messa ogni mattina; era un modo per cominciare bene la giornata (intct25); mi sono rimasti impressi i ritiri spirituali – si faceva la messa tutte le settimane –, i momenti di ricreazione e tutti gli altri momenti in cui si stava insieme. questa è una scuola cattolica ed è normale che offra una formazione anche a livello cattolico; adesso però ci sono tanti extracomunitari, spesso musulmani, e penso che non sia giusto imporre la nostra religione. noi andavamo a quella che allora si chiamava la “scuola dei preti”, che però per noi si è rivelata proprio una bella esperienza (intBra5). l’educazione religiosa, nei racconti della maggior parte dei partecipanti alla ricerca, non compare come una parte a sé del percorso formativo, separata da tutto il resto, ma come una dimensione dell’esperienza integrata alle altre e profondamente umanizzante14. Da qui il frequente abbinamento del richiamo alle proposte di animazione spirituale con il ricordo di un’educazione a valori come l’altruismo, il rispetto, la condivisione. qualcuno dei partecipanti ricorda le proposte religiose con affetto, altri affermano di essersene poi distanziati col tempo (è il caso, ad esempio, di M. - intVr1 -; cfr. la storia n. 8 della terza parte di questo lavoro). Anche qui le forme e le modalità delle proposte sono cambiate profondamente nelle varie stagioni e, se in passato la proposta sacramentale (la messa quotidiana o settimanale, le confessioni) era molto presente, in anni più recenti, su quelle esplicitamente religiose, prevalgono le proposte di animazione (le giornate di riflessione, la proposta quotidiana del buongiorno ecc.). 14 ci si potrebbe chiedere quando la proposta caratterizzata in senso anche religioso contribuisca effettivamente alla crescita umana e professionale. non abbiamo elementi per esprimere delle valutazioni; ci limitiamo a dire che, in alcuni racconti, le proposte di educazione religiosa o spirituale sembrano giustapposte a tutto il resto ma, nella maggior parte, appaiono integrate alla proposta complessiva e aprono inedite possibilità relazionali. 55 3. L’ACCOMPAGNAMENTO ALL’INSERIMENTO LAVORATIVO Abbiamo già visto la valenza orientativa che la formazione al cFP ha assunto praticamente per tutti i partecipanti alla nostra ricerca, anche in ordine alle scelte lavorative. in questo paragrafo, analizzeremo l’accompagnamento e il supporto al lavoro come tipologie specifiche di intervento da parte degli operatori dei cFP. Pur nella diversità dei contesti storici e geografici, l’accompagnamento e la presa in carico che iniziano al cFP non finiscono lì, si prolungano nella fase dell’inserimento lavorativo e continuano anche dopo, attraverso una sorta di supporto consulenziale. Possiamo fin d’ora affermare che i nostri ex-allievi hanno incontrato sulla loro strada adulti che hanno saputo assumere fino in fondo il proprio compito educativo e si sono impegnati a facilitare l’ingresso dei loro allievi nel mondo del lavoro per poter dare loro la possibilità di coltivare progettualità e assumere responsabilità attiva nella società. È chiaro che questo tipo di azione deve fare i conti con l’evoluzione del contesto sociale, economico e politico ma, nei racconti dei nostri ex-allievi, possiamo individuare come costante l’incontro con contesti formativi che attribuiscono centralità all’esperienza del lavoro, inteso come questione di cittadinanza e spazio di realizzazione personale sia a livello sociale che individuale. 3.1. L’aiuto a trovare un lavoro in molte testimonianze, emerge come, nei vari territori, dal nord al Sud, già lo stesso essersi formati dai salesiani fornisse spesso buone credenziali a chi voleva presentarsi in un’azienda per un colloquio di lavoro. Spesso, almeno nei tempi in cui c’era una forte offerta di lavoro, erano le aziende stesse a richiedere ai cFP i nominativi degli studenti migliori: allora il cFP ti dava una formazione completa e i ragazzi più bravi erano subito richiesti dalle aziende (intct28); ai salesiani la gente crede ancora, cioè mandano lì i figli perché credono che nelle scuole salesiane diano ancora delle buone basi; dai salesiani insegnano ancora l’educazione. quando un ragazzo va a chiedere lavoro, la gente gli chiede se ha studiato dai salesiani; questo è un buon segno (intFoss2); ho notato che il cFP è davvero rinomato a livello locale; ad esempio, in questi giorni ho fatto dei colloqui in alcune ditte che si occupano di ingegneria: conoscono questo tipo di realtà e a loro fa piacere che uno si sia cimentato anche con le esperienze pratiche nell’ambito di un cFP (intFoss4); sono arrivato in quest’azienda che, in quel periodo (seconda metà degli Anni ’60, ndr), sponsorizzava la scuola salesiana di Fossano; a quell’epoca […], era consuetudine che gli ex allievi venissero assunti dall’azienda; […] la scuola salesiana del resto era molto conosciuta e apprezzata anche alla Fiat […]. ho cominciato a lavorare la settimana dopo aver ultimato la scuola; quella mattina siamo entrati in sedici ex allievi salesiani […]; ero uscito bene dalla scuola e questo mi ha aiutato molto nel colloquio che al tempo facemmo con il signor B. in persona; in due siamo stati collocati negli uffici, in base ai risultati della scuola […]; io sono stato messo nell’ufficio energia e questo mi ha dato 56 modo di imparare molto, anche perché dopo ho continuato a partecipare a molti corsi che l’azienda mi ha fatto fare, […] per specializzarmi in contabilità industriale e nei cicli di lavoro (intFoss5). È dunque innanzitutto assicurando una Formazione Professionale di qualità che i cFP salesiani possono contribuire a supportare nella ricerca attiva del lavoro. e questo vale sia per il passato, come, ad esempio, nella storia di l. (intFoss5), che ha finito la sua formazione nel 1966, che nel caso di F. (intFoss4), che ha concluso il suo percorso pochi anni fa. in molti casi, i salesiani o i docenti laici stessi intervengono direttamente per aiutare i soggetti a trovare un lavoro, attivando una sorta di passaparola: la scuola mi ha dato una possibilità: un’azienda cercava un montatore e riparatore di macchine grafiche e si è rivolta alla scuola di Barriera; […] la scuola diede il mio nome, come quello di altri, e per me è un punto di orgoglio dire che sono stato il primo ad essere assunto e sono poi rimasto in quell’azienda per cinque anni (intct8); una mattina sono passato dal cFP perché avevo il desiderio di tornare e un insegnante mi ha proposto un lavoro. il datore di lavoro vedeva in noi, ex allievi del Sacro cuore, ragazzi molto capaci, già pronti a lavorare come operai e non come semplici apprendisti, che devono ancora imparare il mestiere, quindi mi ha assunto subito e io ho lavorato per sei anni in quell’azienda. quando ho fatto il servizio militare non mi ha licenziato, ma messo in aspettativa, così al mio ritorno ho ripreso e anzi sono diventato capo officina (intct9); finito il corso all’istituto salesiano, grazie a loro, ho avuto un posto di lavoro nella ditta in cui lavoro ancora oggi (intct13); tutti gli insegnanti sono stati tutti bravi; qualsiasi problema ho avuto mi hanno aiutato; mi hanno aiutato anche a trovare lavoro, indirizzandomi verso qualche tipografia (intct22); ho lavorato in diverse ditte e adesso, grazie al prof. c., ho trovato un lavoro proprio adatto a me. nell’azienda in cui sto lavorando ora, mi trovo bene, anche economicamente. in questa ditta mi occupo della stampa, della vernice e, da poco, anche della plastificazione; in sostanza, sono a capo del settore stampa (intct25). Diversi ex-allievi hanno poi trovato lavoro nelle stesse aziende in cui hanno svolto lo stage (cfr. ad esempio, la storia n. 1 nella terza parte di questo lavoro) previsto nel curricolo del loro percorso formativo. ciò che emerge è una vera e propria presa in carico, da parte dei cFP, che indirizza attivamente e in più direzioni nella ricerca di un lavoro congruente con il percorso formativo seguito. 3.2. Lo stimolo a mettersi in proprio oltre al supporto nel trovare un lavoro, i partecipanti alla ricerca hanno trovato nei cFP e nei loro docenti il supporto ad avviare attività professionali. Diverse testimonianze documentano come l’esperienza formativa al cFP riuscisse ad educare all’assunzione di responsabilità e allo sviluppo dell’iniziativa: il cFP mi ha dato conoscenze ma ha anche alimentato in me un pochino di ambizione. ho lavorato per tre anni in una ditta e poi mi sono messo in proprio; a ventun anni ero 57 già in proprio, perché mi sentivo le capacità per farlo e anche perché ho avuto fortuna di incontrare persone che mi hanno affidato lavori (intBra5); dopo dieci anni di lavoro per altri, insieme con un amico, anche lui ex allievo del cFP, ho aperto questa tipografia; mi sono messo in proprio perché ero lontano da casa e poi per essere libero e autonomo nel lavoro. comunque il mio desiderio di indipendenza era nato già a scuola (intct26); il cFP mi ha dato lo spunto per partire con questa attività; dopo il cFP ho cominciato subito a lavorare in diverse tipografie, per circa quindici anni. Da dieci anni ho avviato un’attività autonoma […]. il corso è stato la base per ciò che è venuto dopo; poi, col maturare dell’esperienza, è cresciuto anche il desiderio di mettermi in proprio (intct27). la Formazione Professionale è riuscita ad infondere il coraggio del rischio e la fiducia in se stessi che consente di raggiungere mete elevate; spesso il cFP stesso ha funzionato come incubatore di nuove idee imprenditoriali che, come nel caso raccontato da A. (intct29), nel brano che segue, o da M. (intVr1) nella storia n. 8, che viene riportata nella prossima parte di questo lavoro: all’epoca, don R. mi ha veramente illuminato; questo ricordo mi commuove sempre; don R., che era il responsabile del reparto di elettromeccanica, nonostante tutti lo giudicassero scorbutico, nei miei confronti è stato molto aperto e disponibile, tanto che, dopo aver capito quanto mi interessasse l’elettromeccanica, riuscì ad insegnarmi come si costruiva un trasformatore. non ho avuto difficoltà a piazzare questo modello sul mercato, perché i trasformatori che realizzava don R. sono ed erano veramente dei trasformatori; quelli in commercio non avevano la stessa durata. negli ultimi periodi della sua vita sono andato a trovarlo e a ringraziarlo per quello che aveva fatto per me; gli dissi che il trasformatore, grazie a lui, era conosciuto e venduto in tutto il mondo e lui mi rispose, commuovendomi, che tutto questo era avvenuto grazie al Signore. oggi posso dire che grazie al Signore, come diceva don R., continuiamo a costruire trasformatori, sempre nella maniera che mi è stata insegnata da lui (intct29). Al cFP, durante il percorso ma qualche volta anche dopo la conclusione dello stesso, alcuni ex-allievi sono stati accompagnati proprio dai loro docenti nello sviluppo di idee imprenditoriali, in quelle che oggi chiameremmo start up. 3.3. L’offerta di un posto di lavoro al CFP qualche volta è il cFP stesso a diventare l’ambiente di lavoro degli ex-allievi. Spesso, soprattutto in Piemonte e in Sicilia, i dati raccolti consentono di intravedere la strategia esplicita di selezionare i formatori tra gli ex-allievi15: 15 questa attenzione ci viene confermata da don Mauro Moccia, salesiano impegnato da decenni nella Formazione Professionale in Sicilia, che abbiamo avuto modo di intervistare nello stesso periodo in cui sono stati intervistati gli ex-allievi del cFP di catania: «il nostro sforzo in questi anni è stato quello di selezionare i formatori soprattutto tra i nostri ex-allievi perché potessero portare, nella loro attività di docenti, l’esperienza pregressa maturata in giovane età nella nostra casa. non tutti vengono dalla nostra formazione, però la gran parte sì. questo ci ha assicurato grande collaborazione, partecipazione alla missione, agli ideali, al carisma, ai metodi educativi da noi utilizzati nella formazione dei ragazzi». 58 sono un libero professionista, ho diversi clienti, mi occupo di saldatura, consulenza, progettazione meccanica; insegno anche saldatura e officina presso questo centro, soprattutto nei corsi serali per adulti, disoccupati e persone in cassa integrazione; quest’anno ho avuto tre corsi per apprendisti; facciamo saldatura e officina (intBra5); lavoro in questo cFP da circa trent’anni; sono entrato come semplice formatore, poi, nel corso degli anni, sono diventato coordinatore del settore grafico. insegno tutt’ora e mi occupo di stampa offset; […] sono anche un ex allievo; dopo aver completato il corso, ho lavorato fuori di questa scuola per circa quattro anni, in un’azienda che si occupava di stampa, poi venni contattato dal coordinatore del settore di allora, il signor c., ed ebbi l’opportunità di incominciare a fare il formatore, dopo che ebbi concluso il mio percorso formativo diplomandomi come perito tecnico (intct3); don B., che era stato il mio caporeparto e mi conosceva dal 1982, un giorno venne in officina e mi chiese se potevo fargli dei lavori di saldatura, conoscendo la mia abilità. Vengo a scuola ed eseguo il lavoro. Dall’anno successivo metto a disposizione la mia esperienza per i ragazzi, per fare in modo che nel nostro territorio si riesca a dare un’impronta particolare a livello di costruzione meccanica. Dal 1995 quindi faccio parte del corpo insegnanti qui a Barriera (intct8); ho frequentato il cFP dal 1972 al 1975 […]; finito il professionale, mi hanno subito chiamato come aiuto insegnante; dopo tre o quattro anni sono andato a all’istituto tecnico serale a Fossano, mi sono diplomato e da allora lavoro qua (intBra4). Aver seguito il percorso formativo al cFP ed essersi impregnati del suo spirito consente di poter svolgere al meglio il ruolo di formatori, non senza aver però maturato esperienze nel proprio specifico campo professionale. Spesso gli ex-allievi che raccontano di essere ora formatori in un cFP salesiano sono anche impegnati in attività professionali e portano all’interno del cFP anche l’esperienza che maturano sul campo. in alcuni casi, il cFP si è dimostrato anche un contesto capace di venire incontro alle persone che vivevano momenti di difficoltà: ho frequentato i tre anni di meccanica, conseguendo la qualifica di meccanico tornitore; poi, grazie all’interessamento dei salesiani, per dieci anni ho lavorato in un’officina. Dopo sono entrato in un altro ente di formazione, che purtroppo, dopo qualche anno, è fallito per problemi giudiziari. A quei tempi, quando un ente chiudeva, era facile collocare il personale e io, essendo un ex-allievo, ho potuto venire qua. Attualmente svolgo la funzione di collaboratore amministrativo; praticamente faccio fotocopie, […] preparo le dispense per i ragazzi, i compiti scritti, e poi aiuto l’amministrazione (intct4); dopo il cFP, i salesiani mi hanno trovato un impiego presso un’officina di automazione di cancelli automatici. Dopo un paio di anni di lavoro, ho avuto un incidente in questa officina; avevo diciassette anni e sono rimasto fermo per circa due anni; una volta rientrato al lavoro, il datore di lavoro mi ha detto che non potevo più continuare a lavorare per lui, perché non avevo l’abilità che avevo prima. Allora i salesiani mi hanno chiamato per lavorare qui al centro (intct14). la responsabilità della presa in carico non finisce dopo la formazione e, soprattutto nel contesto siciliano, non mancano le testimonianze di chi afferma di aver trovato nel cFP una disponibilità che andava al di là sella pura applicazione di logiche di tipo economico. 59 3.4. L’attivazione della rete degli ex-allievi per il lavoro la rete degli ex-allievi, che viene mantenuta e curata nei cFP salesiani, può diventare una notevole risorsa per creare occupazione16. lo testimoniano alcuni dei partecipanti, che raccontano di cercare i collaboratori tra gli ex-allievi o di aver trovato lavoro presso ex-allievi o, come abbiamo visto anche sopra, di aver avviato un’attività produttiva proprio assieme a ex compagni di cFP: adesso ho una piccola officina elettromeccanica, costruiamo trasformatori che vanno in tutto il mondo; i nostri collaboratori sono a loro volta ex allievi (intct29); se devi prendere qualcuno a lavorare, preferisci un ragazzo uscito dalla formazione salesiana a uno esterno; io ho tutti ragazzi che hanno studiato dai salesiani; vedi che hanno una certa educazione; se metti certe regole, continui ad andare avanti, altrimenti no (int- Foss3); essere ex allievo è una cosa particolare: non sei solo un ex allievo. quando incontro un altro ex allievo o un salesiano, sento che c’è qualcosa che ci lega (intct19). Aver condiviso un’intensa esperienza formativa porta a condividere uno stile e una sensibilità che possono aiutare nelle collaborazioni professionali. l’attuale fase di regressione economica, segnata dai fenomeni della crescente disoccupazione giovanile e della flessibilizzazione/precarizzazione del lavoro, rende tutto questo più difficile; ma proprio alla luce di questa particolare situazione appare tanto più necessario consentire ai giovani di trovare spazi di realizzazione professionale. i cFP salesiani e la rete da loro costruita appaiono essere, nell’attuale panorama, una delle poche realtà effettivamente impegnate a mettere a disposizione dei giovani spazi e risorse che consentano loro di aprirsi strade e progetti. È questo un ruolo sempre più difficile da portare avanti oggi, in una stagione in cui il problema non è più solo quello di guidare percorsi di accesso al lavoro ma spesso quello di accompagnare nelle transizioni tra tempi di lavoro e non lavoro. 4. TRATTI E RITRATTI DI FORMATORI come sono i formatori negli occhi dei loro allievi? Di seguito cercheremo di identificare gli stili formativi prevalenti che i partecipanti alla ricerca attribuiscono 16 lasciamo ancora la parola a don Mauro Moccia: «abbiamo moltissimi ex-allievi che sono piazzati bene nel mondo del lavoro. operando già dagli anni trenta, abbiamo qualificato una quantità enorme di ragazzi, nei vari settori di nostra competenza […]. la mia posizione è tale che mi permette di compiere continui giri nelle aziende del territorio; vado per cercare lavoro e per informarmi su come vanno gli ex-allievi. questo mi permette di incontrare gli ex-allievi, che sono disseminati nel territorio. c’è moltissima gente che apprezza il lavoro che facciamo al Sacro cuore di Barriera. questa è la nostra forza. […] ci sono aziende in cui basta che uno dica che proviene dal Sacro cuore, che immediatamente viene preso in considerazione. ci sono degli ex-allievi che hanno delle aziende notevoli; alcuni hanno fatto società con altri. Tutto questo dà l’idea della riuscita delle persone, prima di tutto, e poi anche di quello che hanno imparato qui a scuola». 17 Un aspetto da notare è che, nei racconti dei partecipanti alla ricerca, il discorso sui docenti non appare mai in forma astratta. quando parlano dei loro formatori ne pronunciano i nomi, ne ricordano tratti specifici, che magari esprimono con qualche veloce pennellata, e sentono riaffiorare nella memoria anche il ricordo di specifiche situazioni. 60 ai loro formatori di un tempo, collegandoli anche alla descrizione concreta delle loro pratiche. 4.1. Adulti significativi e disponibili insegnanti, in senso etimologico, sono coloro che “lasciano un segno”, “indicano segnali”, forniscono chiavi per leggere ed interpretare il reale. i formatori, nei racconti dei loro ex-allievi, appaiono come volti ben impressi nella memoria, figure di adulti umanamente credibili, a cui è stato possibile dar credito17 perché in quello che insegnavano mettevano in gioco se stessi. Riportiamo di seguito una lunga carrellata di volti: erano figure importanti, che in noi hanno lasciato un segno dentro. Tutti i docenti dell’officina sono stati importanti: c’era, ad esempio, G., che ci ha insegnato a tirare giù i motori e a smontarli; ce li ha spiegati, tenendoci delle lezioni sia di teoria che di pratica; era un bravissimo tecnico, un bravissimo manutentore. Gli insegnanti che ricordo più di tutti sono quelli delle materie tecniche. le materie culturali, come l’italiano, le ritenevo secondarie; mi piacevano le materie tecniche, mi piaceva la meccanica; di questo non mi stancavo proprio mai (intFoss5); prima di tutto ricordo il rapporto con i professori: era come una famiglia; […] sarà stato anche per l’orario prolungato, ma con i professori si creava anche un’amicizia. questo sicuramente ha aiutato ad andare avanti, ad aprire strade. Spesso con i professori si parlava di altro, non solo di scuola. certe volte è successo che avevo qualcosa per la testa e andavo a chiedere un colloquio al professore che si fermava a spiegarmi, a dirmi qualcosa in più su quello di cui avevo bisogno. il rapporto con i professori è stato uno stimolo molto importante. in generale di ognuno di loro ho un ricordo, per la simpatia o per l’amicizia che si è creata: c’era il professore che sapeva giocare bene al calcio, c’era quello con cui abbiamo vinto il torneo di ping-pong. Parlando di officina, di lavoro, mi è rimasto impresso G.: mi piaceva come lavorava al tornio; lo invidiavo perché era davvero bravo, faceva dei lavori ben fatti, mi piaceva vederlo lavorare; cercavo il più possibile di carpire il suo metodo di lavoro e mi ricordo una sera in cui stava facendo dei pezzi di legno al tornio; gli chiesi se potevo fermarmi un po’ a vedere come faceva queste bombature, non capivo come si potesse fare una boccia sul tornio, e lui mi ha dato il permesso di rimanere; è stata una cosa bella per me […]. È stato bello vedere il lato umano di tante persone: l’amicizia con i professori, con i preti (intFoss7); uno degli insegnanti che mi è rimasto più impresso nel cuore è quello di officina, perché aveva molte ore a disposizione per noi e quindi ci conosceva meglio di altri (intct10); il prof. c. e il prof. z. erano sempre presenti per qualsiasi cosa, ci seguivano passo passo; se non capivamo, ci spiegavano di nuovo, fin quando le cose non entravano in testa (intct23); don B. allora era molto dinamico; guardandolo da fuori tutto si poteva pensare tranne che fosse un prete, perché lo vedevi sempre correre e battagliare con noi ragazzi (intct8); 61 i nostri professori erano bravi a farci capire le cose. Avevano carisma, erano rigorosi nei nostri confronti, ma anche comprensivi. c’è però da dire che noi venivamo da famiglie dove ci insegnavano il rispetto verso il prossimo. il rispetto che noi avevamo verso i professori veniva ricambiato da loro con la dedizione con cui ci seguivano. Avevano un modo di spiegare che rendeva facile la comprensione. Per me la persona di riferimento è stato il prof. M., che mi ha trasmesso tantissimo, forse perché dava l’esempio di come trovarsi bene nella vita, oltre che nell’ambito lavorativo. ci spronava a stare attenti a non farci del male e ci raccontava episodi di incidenti capitati in passato e di come li avevano affrontati. ciò che mi ha insegnato, in tutti i campi, rappresenta un esempio di vita che ancora oggi rammento e applico; è rimasto un amico. Alla fine della lezione ci concedevano un momento di leggerezza e simpatia, per far capire che si era conclusa la lezione e che ci potevamo rilassare un pochino (intct19); quando frequentavo quella scuola, il capo officina era il signor V., che aveva un modo molto tranquillo di insegnarci il mestiere, e anche l’educazione; ci spiegava cosa dovevamo fare e poi ci metteva alle macchine; se non andava ciò che stavamo facendo, ci dava un pizzicotto e ci spiegava l’errore; […] noi capivamo, erano tempi diversi da oggi, quel pizzicotto significava che avevamo sbagliato e non dovevamo sbagliare più […]. il signor V. spiegava con calma e ci faceva applicare le cose che aveva spiegato; noi, ragazzi del secondo e terzo anno, che non eravamo bravissimi, ma che avevamo voglia di imparare, il pomeriggio ci fermavamo al centro; lui ci faceva fare dei piccoli stampi di alluminio, facendoci lavorare alla fresatrice; ci assisteva senza assillarci, in maniera serena, anche perché nel pomeriggio eravamo solo tre o quattro, spiegandoci qualche trucco del mestiere da adottare. Da quel genere di istruzione uscivi molto preparato; praticamente, ci faceva fare un approfondimento […]. oggi quello che si insegna a scuola è solo cultura personale; alla fine di un percorso scolastico, ad esempio per architetto, ti ritrovi con un mestiere che non riesci a fare perché manca la parte pratica (intct6). i docenti, soprattutto quelli di laboratorio, rimangono particolarmente impressi nella memoria per la loro competenza e disponibilità. nei ricordi, compaiono spesso associati a nomi propri e a volti concreti. F. (intFoss5) e G. (intFoss7), ricordando la stessa figura di insegnante di officina, affermano che provavano vera ammirazione per la sua competenza tecnica; G. cercava anche di osservarlo attentamente, mentre era al lavoro, per carpire i segreti del suo saperci fare. A. (intct19) ricorda un insegnante che ha rappresentato per lui un esempio significativo nella vita, oltre che nel lavoro. Anche nel racconto di V. (intct6), il docente sembra un po’ il maestro della bottega artigiana di un tempo, dal quale era possibile imparare i trucchi e i segreti del mestiere per muoversi poi verso l’autonomia18. i docenti erano figure molto presenti, che con gli allievi condividevano l’intera giornata, sia i tempi dell’impegno che quelli dello svago o della mensa, costruendo relazioni significative, che rendevano possibile il dialogo, senza far mai venir meno il rispetto: 18 Troviamo un’efficace descrizione di questo tipo di rapporto, in un testo del filosofo jean Guitton che descrive la figura di un maestro di pittura: «non procede come gli insegnanti di lettere o di scienze: lo si vede al lavoro. Gli allievi si esercitano a loro volta davanti a un modello o ad opere inimitabili. Di tempo in tempo sentono alle loro spalle la presenza del maestro che borbotta e finisce col prendere il loro posto per correggere, davanti ai loro occhi, gli schizzi» (GUiTTon, 1987, p. 8). 62 bene o male mi sono rimasti impressi tutti i docenti che ho avuto, perché questa è una realtà particolare; non è la solita realtà scolastica, dove vedi il professore durante le lezioni, se ti va bene, e poi basta; qui erano sempre presenti, li vedevi sempre, anche durante le ricreazioni, in attività di gruppo, nelle gite; in pratica, erano sempre con noi. Forse parlare di famiglia è esagerato, però è stato qualcosa di molto vicino, perché c’era un bel legame con tutti; […] direi che l’impressione che mi davano i professori qui era mediamente molto buona (intFoss4); ricordo la disponibilità degli istruttori di allora […], mi è rimasto impresso il modo di lavorare e la disponibilità dei salesiani e dei docenti non salesiani che ho incontrato. Al cFP ho imparato tanto, sotto il profilo del lavoro, avendo avuto degli insegnanti validi e preparati […], che svolgevano veramente bene e seriamente il loro lavoro (intct29); i ricordi che ho del cFP sono legati ai professori che ho avuto, come quello di matematica: se non avevi capito, ti dedicavano altre ore per delle lezioni supplementari. il rapporto tra alunni e professori era molto positivo, familiare. Ricordo che nell’intervallo eravamo sempre insieme, non c’era distacco tra noi, anche se c’era rispetto. Se non capivi qualche argomento, ti aiutavano a ripassare; c’era molto dialogo e quello è servito poi a farci decollare nel mondo del lavoro. Anche mio padre mi ha insegnato molte cose; proveniva anche lui da una scuola salesiana di Torino, dove l’impostazione era simile; infatti anche mio padre è rigoroso sulle formule: se non sai le formule, si scalda; sono cose basilari che nel lavoro sono importanti. Se non avevi capito, i miei insegnanti ti dedicavano più ore. io ho avuto degli amici che volevano andare a fare l’esame esterno; i salesiani davano loro una mano a superare l’esame. Se guardo a me e ai miei compagni di classe, l’ottanta per cento di noi ha continuato nel nostro indirizzo, quello della tornitura e della fresatura, perché i professori ci credevano e ci mettevano tanto entusiasmo che alla fine ci credevamo anche noi […]. ho il ricordo di professori che ci dedicavano molto tempo; in officina si facevano molte ore; era una cosa bellissima e, quando poi entravi in una vera officina meccanica, eri preparato. Se non capivi, potevi andare dai professori e loro ti regalavano del tempo aggiuntivo. i professori credevano in quello che facevano. Ricordo che anche a don orione le mani volavano abbastanza spesso, però le sue – come quelle dei miei professori – erano mani che, anche se ti davano uno scappellotto, lo facevano per stimolarti. […] non so se, all’interno degli istituti salesiani, ci sia ancora quel rapporto familiare che ho sperimentato io; mi ricordo che passavamo tutto il tempo, dalla mattina alla sera, con i professori; era impossibile che non ci scappasse una battuta e spesso ci si lasciava con un buon pensiero. erano bei momenti. Anche i ragazzi più scalmanati, che ne hanno combinate di cotte e di crude, si ricordano gli anni dai salesiani come i più belli della loro vita. Tutto era bello, anche quando i professori ti urlavano dietro; il rapporto era umano, non c’era distacco tra professore e alunni, anche se il rispetto rimaneva; i formatori erano dei veri punti di riferimento, ti parlavano di quello che c’era fuori, condividevano con te anche la mensa […]. Al cFP sono stato due anni come convittore e ho vissuto in maniera intensa. era un po’ come stare in vacanza, c’erano tante persone che dormivano lì e i professori, dalle sei di pomeriggio in poi, non erano più professori da temere, ma amici con cui parlare del più e del meno, della vita (int- Foss3). M. (intFoss3), che ha frequentato il cFP vivendo nel convitto, oltre alla loro generosa disponibilità, ricorda l’entusiasmo e la passione che contagiavano (“ci credevano e ci mettevano tanto entusiasmo che alla fine ci credevamo anche noi”). i nostri allievi mettono esplicitamente a tema anche il fatto che spesso, nei loro docenti, incontravano persone che diventavano punti di riferimento non solo per la 63 crescita professionale, ma anche rispetto a questioni che non c’entravano direttamente con quelle lavorative: mi è rimasto impresso in particolare un prete, don S., che mi ha aiutato molto nella vita; […] quando avevo un problema, andavo da lui, gli parlavo a cuore aperto e lui mi rispondeva con franchezza; mi sentivo molto bene con lui. Don S. è stato un punto di riferimento per la mia crescita, era sempre disponibile e lo ricordo con molto affetto […]. Ripeto, don Bosco e don S. sono state figure essenziali della mia vita (intct4); gli insegnanti erano sempre disponibili ad approfondire qualsiasi dubbio si poteva avere sulle discipline, ma erano presenti anche per affrontare i problemi personali che uno poteva avere; qualsiasi problema avevamo, lavorativo, familiare o personale, gli insegnanti c’erano. Si accorgevano se vivevamo qualche disagio e, se era il caso, cercavano di aiutarci con dei consigli […]. c’erano il prof. c. e il prof. ca.: nelle ore di studio e di lavoro erano severi, perché volevano che fossimo disciplinati, nei laboratori ci seguivano singolarmente, controllando il nostro lavoro, ma in mensa o in cortile scherzavano insieme a noi (intct22); ricordo in particolare l’amicizia con un insegnante che per me è stato proprio un punto di riferimento; il caso ha voluto che avessi iniziato a fare una recita in teatro; questo insegnante non era mio professore, però, grazie al teatro, ci siamo conosciuti e, insieme a un gruppetto di altri ragazzi, ci siamo affiatati, forse proprio perché non era mio insegnante e quindi io lo vedevo in modo diverso e poi anche perché, quando finiva di lavorare, passava davanti a casa mia e quindi capitava che mi desse un passaggio quando ne avevo bisogno, quindi è nata anche l’occasione per avere momenti di confidenza e quell’insegnante è diventato per me una figura di riferimento adulta, cioè una persona che, quando avevi necessità di un confronto, era disponibile (intFoss8); il cFP era una scuola diversa da tutte le altre; i professori non volevano essere chiamati maestri, a volte si facevano dare anche del tu e questo ti metteva nella condizione di dialogare con loro, come se fossero veri e propri amici, ovviamente più grandi, ma amici. questo mi ha formato parecchio; oggi con gli allievi cerco di avere un rapporto confidenziale […]; mi possono dare anche del tu, la cosa non mi tocca, anzi mi fa solo piacere; l’importante è che sappiano quali sono i ruoli […]. quando ero allievo, i docenti non lavoravano per la classe ma lavoravano per l’allievo; poi piano piano, il gruppo diventava classe e tutti gli allievi raggiungevano un buon livello: […] ogni allievo si deve sentire importante; tutti si devono sentire importanti nell’ambito di una classe; solo così si evitano la dispersione scolastica, i ritiri, le assenze (intct3). i partecipanti sottolineano la disponibilità, il tratto cordiale e la capacità di entrare in relazione dei loro formatori, ma anche la loro attenzione ai singoli, tutte caratteristiche che ispiravano fiducia. Anche A. (intct12), il cui racconto è riportato nella prossima sezione di questo lavoro (cfr. la storia n. 15), descrive bene la passione educativa dei suoi formatori che tanto l’ha segnato. 4.2. Testimoni appassionati del proprio lavoro Uno dei tratti che, negli occhi dei partecipanti alla ricerca, risulta essere più chiaramente caratterizzante lo stile dei loro formatori è quello di essere testimoni. innanzitutto, i docenti vengono percepiti come testimoni nel senso di persone che testimoniano valori, incarnandoli: 64 ho preso sempre come esempio i salesiani; oltre al signor c., avevamo il signor o., un esperto compositore manuale; ricordo che lui parlava di don Bosco come non ho mai più sentito. […] il signor o. ti avvolgeva in quello che raccontava; non parlava di don Bosco come di una figura inarrivabile, ma come di qualcuno a cui noi ci potevamo ispirare per fare allo stesso suo modo. questa credo che sia una cosa molto importante all’interno di una organizzazione quale la nostra. il loro modo di porsi ha influito sui valori che poi io ho cercato di mettere in pratica. Ad esempio, non facendosi chiamare professori, ti mettevano nella condizione di farti sentire come un figlio. come fare il genitore non lo imparavi solo dalla tua famiglia di origine, ma lo imparavi anche da questa gente che, pur non avendo figli, era come se li avessero, perché ogni giorno badavano a una cinquantina di ragazzi che trattavano come figli; questo successivamente mi è servito anche per il mio ruolo di genitore (intct3); al cFP eravamo molto seguiti dai professori, che erano attivi […] e ci davano l’esempio con il loro comportamento, ci davano regole di vita. […] Mi è rimasto impresso l’insegnante di elettronica, M., che era una persona simpatica. Ricordo che una volta io e un mio compagno, dopo la scuola, avevamo perso l’autobus; c’era un diluvio, l’autobus era rimasto bloccato e noi eravamo tornati indietro, a scuola; ci eravamo completamente bagnati, perché pioveva. il prof. M. ci ha dato degli abiti per cambiarci; non erano della nostra taglia, erano molto larghi; poi ci ha riportati a casa (intct28); c’era qualcosa che andava oltre l’insegnamento che i professori ci davano, c’era un rapporto di amicizia e, da parte dei professori, l’amore nel trasmettere ai ragazzi qualcosa che superava i saperi del mestiere: ci davano lezioni di vita, ci insegnavano il rispetto verso le altre persone e come avremmo potuto trovarci bene nella vita di tutti i giorni. la scuola ci ha aiutato a crescere in senso buono (intct19). il racconto di c. (intct3) evidenzia non solo che i suoi docenti rappresentavano per lui esempi efficaci di valori incarnati19, ma anche che essi ricorrevano ad una ricca didattica della testimonianza che, attraverso la narrazione, li metteva a contatto con modelli di vita con cui potersi identificare e a cui potersi ispirare. S. (intct28) e A. (intct19) ricordano come i loro insegnanti, con i gesti e non solo con le parole, insegnassero loro qualcosa che andava anche al di là dei saperi professionali e riguardava, in senso più generale, la vita buona. in molti racconti, non a caso soprattutto in quelli di ex-allievi diventati a loro volta formatori, i docenti appaiono essere testimoni anche nel senso di coloro che “passano il testimone”: avevamo degli insegnanti che ci indicavano la strada. Mi ricordo l’insegnante del primo anno che mi dava soddisfazione quando facevo qualcosa di buono. i miei insegnanti ci preparavano al lavoro dando personalmente l’esempio: ci disponevano attorno a un macchinario e ci facevano vedere come si eseguiva una lavorazione; ovviamente c’era chi stava attento e chi giocava con il compagno vicino; quando quella lavorazione bisognava poi farla personalmente, a chi aveva guardato attentamente e ricordava le indicazioni 19 Particolarmente significativa risulta la notazione che c. (intct3) fa riguardo a come i suoi docenti, che in quanto salesiani non avevano figli, siano riusciti a comunicargli i valori della genitorialità (“come fare il genitore… lo imparavi anche da questa gente che, pur non avendo figli, era come se li avessero…”). È un’efficace testimonianza della fecondità che può caratterizzare anche una scelta di vita celibataria. 65 date la cosa veniva facile; chi era stato distratto trovava delle difficoltà; comunque i nostri insegnanti erano sempre pronti ad aiutare quelli in difficoltà […]. la docenza è il top in questa struttura […]. l’allievo osserva l’insegnante e il suo lavoro: se l’insegnamento è buono, anche il lavoro dell’alunno sarà buono; se così non è, l’alunno comincia a mettere in dubbio le capacità dell’insegnante. i miei insegnanti erano molto capaci e mi hanno insegnato bene; io cerco di dare testimonianza di quello che loro mi hanno insegnato. Mi hanno aiutato anche caratterialmente, perché qui gli insegnanti sono anche educatori, sia per quanto riguarda il lavoro sia nell’ambito personale. Attualmente, io sono in grado di capire se un allievo sta eseguendo correttamente un lavoro, anche solo dal rumore delle macchine. quando richiamo un allievo, perché sta eseguendo un lavoro male su qualche macchina, l’allievo si meraviglia di come, essendo lontano da lui, io rie - sca a capire che sta lavorando male, solo sentendo il rumore della macchina. Spesso i miei insegnanti facevano così con me: quando una lezione era stata spiegata e ripetuta, non venivano ad aiutarci, per verificare se eravamo capaci di lavorare autonomamente, ma non per questo mancavano di essere vigili sul nostro lavoro. Dobbiamo insegnare ai ragazzi ad essere autonomi nello studio e nel lavoro. Mi ricordo del prof. G., che adesso non c’è più e che era un tipo puntiglioso sul lavoro, anche riguardo al modo di comportarsi nell’ambiente di lavoro. il metodo che lui applicava si basava su un principio che ho sempre apprezzato: il laboratorio è come un’orchestra, ognuno deve avere il suo posto e deve sapere cosa fare; se tutti fanno a modo loro, non si crea armonia. ognuno sta al suo posto sapendo cosa deve fare oppure aspetta fino a quando non trova la sua strada; giusto è che uno dia delle indicazioni su cosa fare. la prima cosa da fare, quando si inizia una lezione, è dare consegne chiare e diversificate a seconda delle capacità degli alunni; affidare all’alunno un compito che egli possa portare a termine e in cui possa esprimere le sue capacità, poi motivarlo sempre; può essere che quando finiscono il percorso riescano a fare anche meglio di come hanno fatto a scuola. noi osserviamo i ragazzi così come i nostri insegnanti osservavano noi […]. Avendo il ricordo di com’ero dietro ai banchi, comprendo anche i nuovi allievi e cerco di dare un esempio, per quello che posso, anche se le generazioni sono in continua evoluzione. cerco di raccontare le esperienze che ho vissuto come allievo e poi come ex allievo, in laboratorio o nelle aule. cerco di far capire ai ragazzi che oggi bisogna prendere il lato professionale sul serio, perché le difficoltà da superare sono tante; nel periodo della formazione, si fanno ancora troppi errori e gli obiettivi non si raggiungono totalmente. Se noi non lasciamo una forte impronta sugli allievi e se i contenuti che diamo loro sono scarsi, passati tre anni, gli allievi non avranno più alcun bagaglio spendibile. È importante che anche loro si impegnino, perché questa è già in sé una carta vincente, non solo sul lato pratico, ma anche sul versante della convinzione che la propria crescita è un aiuto alla crescita degli altri. È una cosa che si tramanda: se io trasmetto un livello basso di qualità, quello che riceve le mie informazioni, le riceve in maniera parziale e non può migliorare il processo. Se oggi il mercato ci chiede persone che conoscono le nuove tecnologie, significa che bisogna studiare molta teoria, si deve sapere bene l’inglese, si deve sapere bene la matematica e non tutti sono disposti a fare lo sforzo di acquisire nozioni supplementari, perché […] dai quattordici ai diciassette anni non si è così impegnati, si dedica il tempo ad altro e si pensa poco al futuro. Gli allievi che vengono qua devono essere anche motivati e questo può avvenire grazie ai genitori che li spingono a studiare o agli insegnanti che vengono presi come modelli (intct16); insegno ai ragazzi anche attraverso la mia esperienza di vita, dicendo che attraverso la scuola noi diamo le basi per imparare a lavorare; siamo praticamente come dei genitori che insegnano a camminare ai propri figli, che poi però devono fare da soli […]. con questo entusiasmo sto continuando a lavorare qui […]. Al cFP si richiedono modelli di 66 vita, che insegnino con l’esempio che non bisogna sperperare; bisogna essere puntuali, puntigliosi; tutte queste cose, in realtà, fanno sì che, nella mente di una persona, giorno dopo giorno, si crei lo stimolo a migliorarsi, a fare le cose, anche le più banali, al meglio. Se uno parte con questi presupposti, ha delle soddisfazioni interiori; tutto questo l’ho sperimentato su di me e dopo ho cercato di trasferirlo a ragazzi che hanno in mente il telefonino e il motorino. All’inizio sembra che queste cose non facciano presa, ma dopo qualche anno questi semi germoglieranno secondo la loro intelligenza e sensibilità. i miei formatori hanno fatto così con me; mio insegnante era il prof. S., che era molto puntiglioso e squadrato nelle sue cose; nessuno è perfetto, ma il fatto di essere così preciso nelle sue cose, giorno dopo giorno, in qualche modo mi ha influenzato. Se io, arrivando qui al cFP, avessi trovato delle persone svogliate, con poco interesse, non so se sarei stato capace di fare ciò che ho fatto in questi anni (intct8); i nostri formatori ci mettevano a nostro agio, si mettevano accanto a noi a lavorare; il primo ad indossare il camice era l’insegnante, quindi per noi era automatico dare valore al lavoro. oggi lo faccio anch’io, così il ragazzo ti vede come uno che lavora; non ho mai indossato giacca e cravatta al lavoro; se sei un insegnante di pratica, devi far veder che stai lavorando; io prendo per primo in mano la scopa e la paletta per fare le pulizie. Trasmetto il modo in cui si deve lavorare; non mi vedono come un formatore, ma come un lavoratore; io rappresento il loro capo officina, non l’insegnante (intct14). i brani tratti dai racconti di S. (intct16) e di M. (intct8) descrivono non solo la strategia didattica del “mostrare come si fa” messa in atto dai docenti, soprattutto in laboratorio, per insegnare una specifica lavorazione, ma anche il messaggio complessivo che, attraverso il loro modo di essere, più che attraverso le sole parole20, i formatori comunicavano: “qui dove sono io, puoi essere anche tu, se solo cammini un po’, se solo ti dai da fare ecc.”. i docenti diventano così testimoni di possibilità, cioè testimoni del fatto che un certo percorso è possibile, e agiscono in modo da ampliare lo spazio di ciò che gli allievi riescono ad intuire e a rappresentarsi come possibile in termini di crescita e di cambiamento. inoltre, come dicevamo, i docenti che abitano i ricordi dei nostri ex-allievi sono stati testimoni che hanno passato il testimone (“loro facevano così con me”, “io cerco di dare testimonianza di quello che loro mi hanno insegnato”, “è una cosa che si tramanda”). e. (intct14) esplicita come i suoi docenti, affiancandosi ai loro allievi con l’esempio, diventassero testimoni, affidabili e contenti, del valore e forse persino dell’amabilità di un lavoro; è questo che fa assumere un certo stile e rende accettabile anche l’assunzione della fatica che ogni lavoro inevitabilmente comporta. nella storia degli ex-allievi che sono diventati formatori abbiamo dunque la rappresentazione di quel compito di restituzione che caratterizza il patto tra le generazioni (Stoppa, 2011) e che, nel loro caso, si esprime nel tentativo di rivisitare e reinterpretare in favore di altri ciò che loro stessi hanno ricevuto. 20 A questo riguardo, può essere utile richiamare una notazione che Romano Guardini fa in una sua famosa riflessione sulle età della vita e sull’educare: «l’educatore deve avere ben chiaro […] che a incidere maggiormente non è ciò che dice, bensì ciò che egli stesso è e fa. questo crea l’atmosfera; e il fanciullo […] è soprattutto ricettivo dell’atmosfera. Si può dire che il primo fattore è ciò che l’educatore è; il secondo è ciò che l’educatore fa; solo il terzo è ciò che egli dice» (GUARDini, 1992, p. 31). 67 4.3. Capaci di coniugare rigore e cordialità, competenza professionale e cura relazionale e umana Su tutti, c’è un aspetto particolare che ricorre nelle varie testimonianze: la singolare capacità che i formatori avevano di coniugare dimensioni apparentemente contraddittorie, come il rigore e la cordialità, la competenza professionale e la cura relazionale, che loro riuscivano a conciliare con naturalezza. 4.3.1. Amichevoli ed esigenti Di seguito, vediamo le diverse forme che la combinazione di elementi eterogenei, a cui abbiamo accennato, ha assunto nell’esperienza che i partecipanti alla ricerca hanno vissuto riguardo ai loro “maestri”. È la loro capacità di combinare il tratto allegro e amichevole e quello severo ed esigente a restare maggiormente impressa nei nostri ex-allievi: mi sono innamorato dello stile dei salesiani, di come trattavano noi ragazzi; ho imparato a conoscere don Bosco, che prima non conoscevo, ho letto anche dei libri che parlano di lui e devo dire che mi ha affascinato il suo sistema preventivo. i salesiani hanno uno stile particolare: sono durissimi nello studio, ma molto amici, quasi fratelli maggiori, in cortile; giocavano con noi, questo era il loro metodo. qualsiasi problema avessimo, erano pronti ad ascoltarci, a guidarci e a darci un consiglio utile […]. Tra i salesiani ho conosciuto persone giuste, anche se non con tutti andavo d’accordo, ma questo dipende dal carattere di ognuno di noi. Salesiani sono stati anche molti dei miei insegnanti: avevano un occhio particolare per ognuno di noi (intct10); del cFP ricordo la serietà: la mattina, quando uscivi da casa, dovevi venire a scuola e non potevi andare in giro per la città […]; anche se avevi mal di testa, uno dei due genitori doveva chiamare il direttore, allora don B., e giustificare l’assenza. la serietà dell’organizzazione caratterizzava anche i professori, che erano seri e molto preparati. ciò che più contava era il rapporto con i professori. erano più padri di famiglia che professori, cercavano di guidarci. con loro, soprattutto con alcuni, c’era un rapporto particolare […]. Usavano lo stesso metodo che fu di don Bosco: ricorrere alle buone maniere, ma anche alla forza, quando ci vuole. quando i professori ci richiamavano, lo facevano sempre senza offenderci, ma anche evidenziando il nostro errore, senza che avessimo possibilità di replica. Ancora oggi mi rimane nel cuore il prof. R., che era un uomo di esperienza. Senza voler togliere niente a nessuno, per me è stato davvero speciale, perché mi ha fatto comprendere il mestiere, mi ha messo davanti alla realtà e mi ha fatto toccare con mano quello che c’è fuori (intct17); ricordo la cordialità dei professori, come il prof. c., a cui devo davvero tanto. Uno degli aspetti che mi è rimasto impresso è il modo in cui c. combinava la cordialità e il rigore; è questo che poi mi ha portato a essere preciso e puntuale sul lavoro (intct25); c’era della gente davvero in gamba che ci insegnava; erano severi, però lo facevano per il nostro bene. ho istaurato un’ottima amicizia con don S.: era bravissimo come persona, ma soltanto guardandoti ti faceva capire che magari una certa cosa non si doveva fare; c’era quello di noi che capiva e quello che non capiva: se capivi, andavi avanti con un certo tipo di rapporto, se invece non capivi, sapevi a che cosa andavi incontro; tanti non lo apprezzavano, io invece lo stimavo, perché alla fine ci ha dato delle buone basi. Se i salesiani hanno raggiunto determinati livelli, forse devono dire grazie proprio a lui. A quei tempi ha realizzato una palestra. le macchine, dal trattore alle altre, lui, grazie ai 68 contributi di varie ditte, ce le ha fatte adoperare. era inserito nel territorio e aveva rapporti con persone che a quei tempi non era facile contattare; ai tempi in cui io frequentavo, i salesiani erano un’azienda forte, che a Fossano contava. Don S. era severo, ma nello stesso tempo socievole. ci si doveva soltanto comportare bene, anche nel gioco; organizzava delle partite di calcetto. i salesiani che ho conosciuto erano tutti persone in gamba, ma lui era davvero un personaggio speciale, aveva una marcia in più. Mi è rimasta impressa una scena: […] una volta, un mio amico ha preso un calibro, lo ha spaccato e poi lo ha riportato indietro, omettendo di dire quello che aveva fatto. Don S. gli ha detto: “Va bene, lo hai spaccato; non è che te lo facciamo ripagare, ma almeno l’educazione di prenderti la responsabilità della rottura potresti averla, no?”. io ero dietro di loro e ho seguito tutta la scena: don S. era così, ti riprendeva quando sbagliavi e non ti lasciava andare fin quando non capivi. Mi ha colpito il modo in cui ha ripreso quel ragazzo: non con le maniere forti ma facendogli capire che non si lavorava così e che bisognava sempre dire la verità […]. M. organizzava il calcetto, organizzava delle partite, c’era un bel sistema: si finiva a pranzo di mangiare e poi per mezz’ora si giocava; durante il gioco eravamo tutti amici, poi, quando si tornava a scuola, M. riprendeva a fare il professore; […] noi facevamo a gara a chi mangiava più veloce per andare a giocare una mezz’oretta (intFoss2); ci siamo trovati bene con i professori; con il prof. c. avevamo un rapporto particolare, perché stava più tempo con noi e ci insegnava a usare le macchine, ma anche giocava a calcio con noi e ci dava un passaggio a casa quando ne avevamo bisogno; sapeva farsi seguire, era rigido al punto giusto; non tutti gli altri si facevano sempre rispettare (intct26); mi ricordo di don D., una persona che al primo anno a tutti faceva l’effetto del terrore, appena ti guardava negli occhi, ti veniva una sensazione di freddo, poi man mano che lo conoscevi scoprivi una persona stupenda, di una bontà immensa, però te ne accorgevi col tempo. con il tempo ho costruito rapporti di amicizia che durano tutt’ora: con M. e con tanti altri professori siamo diventati “amici”, con il professor F. mi trovo in parrocchia, si ride, si scherza insieme. Penso che sia una delle poche scuole dove non manca l’aspetto umano (intFoss7). quello dei salesiani sembra essere uno stile distintivo, affermano P. (intct10) e G. (intct17), riconducibile a don Bosco stesso: essere molto esigenti nei confronti degli allievi, in aula o in laboratorio, ed essere loro amici, quasi fratelli maggiori, in cortile e nel gioco. la severità di cui parla D. (intFoss2), in relazione ad un suo insegnante di un tempo, si esprimeva anche solamente attraverso lo sguardo, ma era in fondo anche un modo per esprimere affetto. Se nella maggior parte dei casi, gli elementi erano tra loro combinati, nel ricordo degli ex-allievi compaiono anche figure di docenti che erano solo amichevoli o solo severi: mi ricordo un salesiano che insegnava cultura generale al primo anno, don F.; allora io avevo difficoltà nell’espressione linguistica e mi ricordo che le interrogazioni per lui e per noi erano uno scambio di idee in dialetto. questo secondo me vale anche oggi: a volte, una persona non sa esprimersi con termini appropriati in lingua italiana, anche se ha capito il concetto di cui deve parlare; se ogni tanto si usa il dialetto, secondo me, è positivo. questo professore mi faceva svolgere le interrogazioni sia in italiano sia, quando non riuscivo ad esprimermi in questa lingua, in dialetto; don F. era un giovane salesiano e forse per questo era particolarmente tollerante. Mi ricordo poi di don c., che ci inse69 gnava cultura al secondo anno; lui usava il sistema dell’imposizione, però, nonostante questo, otteneva buoni risultati; con i ragazzi di oggi l’imposizione, secondo me, non funzionerebbe. Ricordo che, quando don c. spiegava, voleva la postura retta di tutti gli allievi: braccia conserte e ben seduti, a novanta gradi; non potevi toccare nulla, teneva tantissimo alla calligrafia, ai titoli con la penna rossa, al sunto in blu; voleva la bella copia, la brutta copia, il quaderno di casa, il quaderno di scuola; tutto questo mi è rimasto impresso. Un’altra persona che mi è rimasta impressa è don R., defunto pure lui, fondatore dell’elettromeccanica in questo centro; era una persona molto umile, un gran cervello che però non si vantava. noi avevamo soggezione di questo salesiano, non perché lui facesse chissà cosa, ma perché ci conquistava con il suo sapere e si faceva rispettare; io lo chiamavo l’inventore (intct14); e. (intct14) ricorda diverse figure di insegnanti: il docente che sapeva venire incontro alle esigenze degli allievi, quello che, ricorrendo all’imposizione, pretendeva la postura retta e il rispetto assoluto delle norme, quello che conquistava per l’autorevolezza del suo sapere. 4.3.2. Preparati e benevoli la serietà dei docenti, che in genere faceva tutt’uno con la loro competenza professionale, si combina, nel ricordo dei partecipanti alla ricerca, anche con la loro capacità di entrare in relazione con i loro allievi: il corso di grafica durava due anni; seguivo il gruppo che lavorava sull’impaginazione al computer e questo mi piaceva tanto. ero veramente appassionato di questa materia, anche perché il professore che ce la insegnava era proprio bravo: il prof. A. era capace e ci sapeva fare, sapeva trattare con i ragazzi e trasmettere la materia in modo efficace. Prima ci spiegava e poi ci dava dei lavori su quello che aveva spiegato, controllando se li realizzavamo correttamente. non era un professore particolarmente severo: se non svolgevamo bene l’esercizio, ci rispiegava come fare […]; il prof. A. non era mai preparato in maniera superficiale su quello che ci doveva insegnare e insegnava instaurando anche una relazione personale con noi ragazzi […]. Poi mi ricordo di o., che era il decano della scuola; era una persona bravissima, non insegnava, ma lavorava là dentro e sapeva tante cose, era un tipografo vecchio stampo (intct27); mi ricordo del prof. z., del prof. P., del prof. R. e di don G.: mi sono rimasti tutti impressi per il rapporto che avevano saputo instaurare con noi e che è rimasto tale e quale anche oggi. come formatori erano preparati e con noi avevano un tratto umano particolarmente sensibile (intct30); i professori erano bravi e c’era un buon rapporto con loro; ti insegnavano le discipline con intelligenza, ma anche creando un rapporto di amicizia con noi […]; con il prof. c. avevo un buon rapporto, anche perché era il mio referente per quanto riguarda la macchina da stampa; poi c’erano il prof. A., il prof. o. e il signor c. Mi ricordo di questi professori che, per certi aspetti, erano allegri, anche se, in alcuni frangenti, un po’ pignoli; mi sono rimasti impressi proprio perché sapevano combinare il dolce con l’amaro […]; cercavano di seguirti e insegnarti il lavoro ma anche i valori e ti responsabilizzavano per quanto riguarda la vita personale. Mi sono trovato bene con i miei insegnanti, mi hanno saputo indirizzare nel lavoro, ma anche nella vita in genere (intct24); il ricordo di alcuni docenti è piacevole, perché spiegavano bene, erano giusti, sapevano ridere e scherzare, ma anche lavorare; per questo ho un bel ricordo. Sicuramente un 70 aspetto importante per me è stato trovare nei docenti una figura giusta, corretta e allo stesso tempo serena, a cui piaceva fare il proprio lavoro e a cui piaceva stare in compagnia dei ragazzi […]. i problemi sono tanti, riuscire a creare in classe un clima sereno non è così semplice. Per me la principale virtù dell’insegnante è saper creare questo clima (intFoss8); con i professori c’era un rapporto stupendo, non so se dipendeva da noi o da loro che, essendo giovani, avevano una voglia incredibile di insegnare. Adesso è diverso, non so se dipenda dai ragazzi o dai professori che, essendo più vecchi, non riescono a imporsi […]. Allora i docenti li prendevi come punto di riferimento. Del primo anno ricordo il prof. z., del secondo anno il prof. M., che a quei tempi erano molto giovani; erano seri e non si concedevano, però alla fine ti accorgevi che erano di cuore grande: se li incontravi a tu per tu, erano malleabili, ma in classe non ti permettevano di prendere confidenza. quando eravamo in gruppo erano molto rigorosi, mentre quando parlavamo con loro personalmente trovavamo sempre degli amici […]. Ricordo che in laboratorio facevamo piccoli impianti, con i professori che ci stavano sempre accanto e ci davano consigli; organizzavamo anche delle cene con loro; c’era serietà ma, nello stesso tempo, un clima di famiglia (intct18). S. (intct27), di un suo docente particolarmente competente (“ci sapeva fare”), ricorda un duplice aspetto che ne dà un po’ la cifra: il fatto che egli preparava sempre le sue lezioni in modo accurato e sapeva insegnare costruendo una relazione significativa. È un aspetto che notano anche M. (intct30) e D. (intct24) che sottolinea la capacità che i suoi insegnanti avevano di combinare “il dolce” e “l’amaro”. w. (intFoss8) mette l’accento sulla loro capacità di lavorare e far lavorare, ma anche di scherzare e costruire un rapporto sereno; erano docenti che amavano “il loro lavoro” e “lo stare in compagnia dei ragazzi”. Anche o. (intct18), infine, ricorda due formatori salesiani giovani che sapevano combinare il tratto fermo e deciso in classe, con un tratto più amichevole e familiare nel rapporto a tu per tu. Altri ex-allievi ricordano la capacità che i loro docenti avevano di instaurare una relazione personale, dimostrando interesse autentico: ho vissuto una bella esperienza, dal punto formativo, perché abbiamo avuto docenti veramente bravi; ho un bel ricordo di tutti; qualcuno non c’è più, perché è mancato, mentre altri ancora insegnano qui. A livello umano, si instaurava un rapporto personale: ci chiedevano della famiglia, se c’erano problemi in casa, se ci trovavamo bene a scuola, come fossimo dei figli. All’epoca, come direttore, c’era don B., figura davvero memorabile. ci insegnava religione ma poi era anche direttore e quindi ci sgridava, quando c’era bisogno di farlo, parlava con i genitori, si ricordava di tutto e di tutti, si interessava personalmente a noi. Di lui, ma anche di w., mi è rimasta impressa la loro capacità di ricordarsi degli ex allievi, di imprimersi nella memoria i nomi, i luoghi da dove provenivamo; è una cosa in più, non erano tenuti a farlo […]. Dal punto di vista personale, ci trattavano come dei figli: se non venivi a scuola, telefonavano a casa – poche scuole lo fanno –, non si scappava. Avevo dei compagni di classe con grossi problemi a casa, che venivano maltrattati; i docenti si interessavano e cercavano di risolvere la situazione, per quello che si poteva. Praticamente i salesiani mi hanno cresciuto, perché quelli sono gli anni in cui puoi prendere una strada buona ma anche una brutta, sono anni di scelte e qui eri seguito. Ad esempio, se qualcuno a scuola usava o proponeva delle droghe, c’erano delle conseguenze concrete: venivano chiamati i carabinieri, venivi sospeso e qualche volta addirit71 tura espulso. questo modo di agire da parte loro penso che ci abbia protetti, proprio perché quelli sono gli anni in cui si è più esposti; poi crescendo capisci che non è giusto fare certe cose, però in quegli anni eravamo proprio a rischio. era difficile che la droga entrasse, anche perché c’era un costante contatto con i genitori, che sarebbero venuti subito a saperlo (intBra5); ci sentivamo come sotto uno scudo che in qualche modo ci proteggeva e ci guidava verso la strada giusta. questi educatori fondamentalmente avevano molto amore nei confronti di noi ragazzi. c’era molta euforia, il centro era sempre pieno di istruttori salesiani e di ragazzi […]. Ricordo don B., che si metteva al centro del campetto, ci chiamava e ci chiedeva se avevamo la medaglietta della Madonna, altrimenti ce l’avrebbe regalata lui; già questo ci faceva sentire come sotto delle ali protettrici; era un uomo veramente straordinario […], pieno di bontà, parlava poco, ma era ironico e simpatico, costruiva piccole cose per i ragazzi, come ad esempio una mongolfiera da far volare; erano cose che attiravano molto […]. i nostri educatori di allora ci facevano capire ciò che spiegavano anche perché ci coinvolgevano in tutto: con la partita di calcio, con il tennis da tavolo, con il teatrino che si faceva all’interno, il panino con il formaggino che ci davano. i ragazzi vedevano gli educatori come dei padri, tutto il bene trasmesso veniva assorbito; realizzavano l’insegnamento anche attraverso attività ludiche e così si andava a scuola più contenti, più tranquilli, senza timore (intct6). quelli che ha incontrato M. (intBra5) erano docenti che si assumevano la responsabilità di aver cura di ragazzi ancora in formazione, entrando in una relazione personale con loro, interessandosi di ciascuno, tessendo alleanze educative con i loro genitori, circoscrivendo il possibile danno derivante dalla loro inevitabile esposizione al mondo, soffiando sui loro sogni e orientandoli al bene. Anche V. (intct6) ricorda l’affetto dei suoi insegnanti di un tempo, la loro capacità di farli sentire protetti ma anche di coinvolgerli. 4.3.3. Capaci di far rispettare le regole c’è un aspetto ulteriore in cui si esprime la mescolanza di amicizia e rigore che gli ex-allievi attribuiscono ai loro docenti. Riguarda il loro modo di rapportarsi alle norme. il rispetto e la cura per gli impegni assunti, che i partecipanti ci dicono i loro docenti pretendevano da loro, diventavano anche occasioni di messa a frutto delle loro capacità: al cFP il metodo che gli insegnanti praticavano era il classico bastone e carota. Ad esempio, quando io, come tanti, mi comportavo bene per un certo tempo, mi regalavano il biglietto per lo stadio e allora, nel 1962, il catania era in serie A. chiaramente, non tutti i docenti erano intelligenti e malleabili […]. Tra gli insegnanti, c’era V., che era un po’ brontolone, poi c’era qualche istruttore un po’ ignorante, che i salesiani riciclavano da qualche altro reparto che chiudeva, come il signor G., che proveniva da un calzaturificio che era stato chiuso e che i salesiani avevano messo ad insegnare lima e a fare aggiustaggio […]. c’era magari il professore che ti sgridava ma che poi ti faceva anche capire l’errore che avevi fatto. Raggiungevamo tutti un livello medio alto; poi tra noi c’era quello che rimaneva operaio specializzato e quello che spiccava il volo […]. Gli insegnanti tecnici erano particolarmente validi, perché avevano un’ottima formazione; in chimica e fisica avevo come insegnante addirittura il figlio di uno scienziato, che era un insegnante incredibile ma anche un tipo strano, che prendeva un sacco di medicine che si preparava lui stesso. co72 munque quello che abbiamo fatto di chimica e fisica mi è servito per tutti gli anni dell’istituto tecnico industriale, dove praticamente ho vissuto di rendita (intct5); mi ricordo di Pa., il maestro di lima, di o., il maestro di saldatura, del professore di fisica e di quello di disegno tecnico […]. Abbiamo avuto anche la prima professoressa donna che insegnasse dai salesiani; era quella di inglese, moglie di un altro professore. immaginatevela là, in mezzo a cento ragazzini di quattordici anni; non era facile per lei […]. i professori usavano con noi sia il bastone che la carota. Del resto, se non hai un po’ di polso, non ce la fai con duecento ragazzini. e poi, se il professore dava uno scappellotto in testa a un ragazzo, a casa, il genitore gliene dava un altro; non venivano qua a piangere o a denunciarlo. Forse è questo che manca oggi: ci vuole un po’ di fermezza […]. Poi arrivò c., che ci portò un po’ di cultura teatrale; ha fondato un teatro, abbiamo fatto anche un po’ di cinema. Anche questo è stato davvero incisivo […]. Secondo me, P. è stato un gran maestro, perché è stato capace di instaurare un dialogo con noi giovani […]. Stava con noi dalle otto di mattina alle otto di sera. nel 1972, ci fece fare anche un corso di psicologia con un professore universitario di Ancona […]. Mi è rimasta impressa un’espressione: senso di responsabilità. ce l’ho ancora nell’orecchio, perché tutte le mattine P. ci diceva: “Ragazzi, dovete avere senso di responsabilità, per voi e per gli altri, del resto non mi importa niente”; era come dire: “Anche se fate una cosa sbagliata, dovete avere la responsabilità di ammetterlo e questo fa bene a tutti” […]. il senso di responsabilità si vede quando devi decidere se fare o non fare qualcosa e perché e per chi farlo […]. Una volta P. mi tenne due ore dentro il suo ufficio; mi disse: “l’hai combinata grossa e adesso te ne stai qui”. […] ho avuto dei problemi, perché eravamo un po’ birichini. Ti puoi immaginare, avevamo quattordici o quindici anni e vicino a noi c’erano tre collegi femminili; sapessi quello che combinavamo! organizzavamo le feste qui dentro. quando andavamo al cinema, una volta al mese, i ragazzi dei salesiani camminavano a destra del corridoio, mentre le ragazze camminavano a sinistra; poi, quando in sala si faceva buio, ti lascio immaginare quello che succedeva! ne combinavamo di tutti i colori. Avevamo un jukebox che andava a cinquanta lire a disco; era sempre in moto! Poi veniva P. a scollegare la spina, perché sopra c’erano i ragazzi del convitto che dovevano dormire o studiare. […] nel periodo di carnevale, finita la scuola, verso le cinque, si andava in giro per Forlì; c’erano tre collegi femminili qui attorno. Una sera, siamo entrati dentro a uno dei collegi con l’aiuto delle ragazze; le suore ci hanno scoperto e noi ci siamo nascosti sotto i letti delle suore, per due ore, e siamo scappati dalla parte interna, con le chiavi della madre. non so se P. lo ricorda ancora: non disse niente, ma chiamò la polizia, perché avevamo spaccato un vetro; per chiamare le ragazze, tiravamo dei sassolini, uno di noi aveva tirato un sasso troppo forte e aveva spaccato un vetro; allora siamo andati nel suo ufficio con i pochi spiccioli che avevamo, erano quindicimila lire, e abbiamo detto: “Guardi, per favore…”; i poliziotti ci hanno presi, ci hanno fatto fare un giro intorno a piazza del Duomo e poi ci hanno detto: “Andate, ragazzi, lo avremmo fatto anche noi!”. P. ha incassato. la mattina dopo ci chiamò in disparte e ci disse: “Voi non passerete più da via dei Mille”, solo questo, e noi non siamo mai più passati di là, per rispetto, per senso di responsabilità. Se uno come P. ti diceva di fare una cosa, la facevi! (intFo1). Forse erano altri tempi, ma i docenti che i nostri allievi ricordano riuscivano a mostrare che l’etica del lavoro, il rispetto delle regole e il senso del dovere – innanzitutto testimoniati e poi pretesi – rappresentavano una «…modalità concreta con la quale ciascun lavoratore può esprimere il proprio rispetto per gli altri, attraverso la rigorosa applicazione delle regole proprie dell’attività che gli viene affidata. in questo modo il suo lavoro contribuisce all’opera comune di produzione di un valore 73 che non è semplicemente economico, ma diventa al contempo sociale, relazionale e comunitario» (Pizzul, 2012, p. 37). G. (intct5) ricorda la varietà umana dei suoi docenti ma anche che quelli che gli sono rimasti più impressi sono proprio coloro che erano capaci di riprendere, ma anche di spiegare le ragioni degli errori commessi, e che facendo così guidavano i propri allievi a “spiccare il volo”. c. (intFo1) sottolinea il senso di responsabilità che gli è stato trasmesso da un suo insegnante, che consisteva nel sapersi assumere le conseguenze delle proprie azioni ma anche nel saper operare delle scelte considerando il “perché” e il “per chi” fare o non fare qualcosa. Solo così si può cercare di fare concretamente “il bene di tutti”. 4.4. Scopritori di talenti e rigeneratori di energie spente non è tanto alla Formazione Professionale in generale che i partecipanti attribuiscono la capacità di aver alimentato in loro delle energie di crescita, ma soprattutto all’agire concreto dei loro formatori: i professori mi facevano andare più spesso in laboratorio perché avevano visto in me delle qualità particolari e questo mi gratificava. i nostri professori erano capaci di riconoscere le nostre capacità personali in quello che facevamo e di promuoverle (intct21); mi ricordo che il prof. M., a suo tempo, ha detto che mi avrebbe visto bene come ingegnere; è stato un profeta. non lo ha detto esplicitamente a me, lo ha detto ai miei genitori, durante un incontro di classe dove si fa il punto della situazione dello studente; poi, quando i miei genitori me lo hanno riferito, mi sono sentito lusingato, stimolato rispetto a quelli che erano i barlumi che già intravedevo e avevo in mente di mettere in atto; sicuramente è stata una bella notizia che qualcuno avesse queste idee su di me. io non ho molta autostima, quindi serve anche che qualcuno la metta al posto mio (intFoss4). Si tratta di docenti capaci di riconoscere le capacità inespresse dei loro allievi, anche quelle latenti, di intravedere il possibile, quello che essi avrebbero potuto diventare, e creare le condizioni per una messa in moto delle loro energie, che altrimenti sarebbero andate disperse. il fatto che questi docenti sapessero inquadrare ciò che di promettente c’era in quello che i loro allievi facevano sviluppava in loro la consapevolezza di ciò che avrebbero potuto fare in futuro, consentiva l’emersione di risorse e potenziava i soggetti in formazione. 4.5. Dotati di caratteristiche che si apprezzano più tardi il rigore e la severità di cui abbiamo parlato sopra non sono aspetti che da allievi si riescono ad apprezzare facilmente. in alcuni racconti, i partecipanti alla ricerca nominano i modi bruschi con i quali venivano ripresi dai docenti e anche il ricorso, da parte loro, a vere e proprie punizioni. eppure, per molti intervistati, proprio i docenti più esigenti sono stati quelli che hanno inciso maggiormente sulla loro storia personale: quando eravamo ragazzi, non apprezzavamo sempre il rigore dei nostri professori, ma crescendo mi sono reso conto che il metodo dei salesiani è stato utile (intct26); 74 quando ero a scuola, molti insegnanti mi sembravano burberi; alla fine mi sono reso conto che sono stati quelli che avrebbero contato realmente, che avrebbero lasciato in me l’impronta più profonda, che mi avrebbero marchiato (intFoss5); qualche insegnante era fin troppo esigente, tanto da farsi quasi odiare, però poi mi sono accorto che, mentre prima ero abituato a un tipo di lavoro molto disordinato, proprio quella fermezza nel lavoro, nello studio, mi ha portato a cambiare. c’era l’insegnante buono che però del ragazzo se ne fregava, sembrava buono, bravo, mentre l’insegnante più esigente, che apparentemente ti trattava male, poi, all’occorrenza, ti difendeva. quando sono entrato qua come insegnante, sono stato scelto proprio da quell’insegnante che era stato più esigente con me, con cui avevo avuto più scontri, ma che si era reso conto che mi ero formato bene nel mestiere (intct7); il rapporto con gli insegnanti è stato buono; come sempre capita, c’erano le simpatie e le antipatie, ma questo fa parte della natura umana; poteva esserci l’insegnante antipatico, ma tutti erano professionalmente preparati. Un insegnante che mi è rimasto particolarmente impresso è quello di chimica; io odiavo la chimica e quindi non avevo un ottimo rapporto con questo professore; non era cattivo, solo che la sua materia mi risultava pesante e lui era fin troppo severo; oggi mi rendo conto che studiarla mi è tornato estremamente utile, perché tutto, nel mio lavoro di oggi, gira intorno alla chimica. Mi è rimasto impresso anche il professore di prestampa, A., che era pignolo ed esigente; a quei tempi mi sembrava pesante seguirlo, ma oggi gli sono grato. È stato come un papà che ti rimprovera per insegnarti a non sbagliare. Umanamente mi sono trovato bene (intct21); all’inizio del percorso formativo l’avevo presa male, perché c’era troppa disciplina. nelle ore di officina, gli istruttori erano molto severi […]. Mi ricordo che una volta avevo combinato una stupidaggine; il formatore mi ha tirato addosso un pezzo di ferro; non mi ha colpito, però il gesto mi è rimasto impresso. Tirarmi quel pezzo di ferro era un po’ come dirmi: “Da te questa stupidaggine non me l’aspettavo”; non mi ricordo bene, ma penso di non aver saputo cambiare correttamente le ruote del tornio per fare una filettatura, che è la base di questa disciplina. Devo dire però che dopo, quando sono uscito di qua, mi è servito. quando sono andato a fare il colloquio di lavoro, […] guarda caso, come prova, mi hanno fatto fare una filettatura particolare e l’esaminatore è rimasto impressionato dalla mia abilità; quindi anche quello mi è servito. nell’officina, che si occupava di attrezzature per l’edilizia, mi è venuto tutto facile; dopo un anno ero quasi capo officina; il mestiere lo avevo imparato davvero bene e non ho avuto alcuna difficoltà ad inserirmi nel mondo del lavoro, grazie anche alla fermezza e alla durezza dei formatori […]. quelli del cFP sono gli anni in cui un ragazzo si forma; io non ero tanto contento, i primi mesi, poi mi sono inserito benissimo e quei tre anni mi sono serviti molto, mi hanno formato come persona e come professionista. Ancora oggi mi ritornano in mente molte cose che mi hanno insegnato allora, come il trattare con le persone, l’essere disponibile, il riflettere sempre sulle cose; tutto questo ho cercato di trasmetterlo anche ai miei figli e spero di esserci riuscito […]. la severità, quand’ero ragazzo, mi pesava, però oggi riconosco che mi è stata molto utile. i formatori di allora erano severissimi, forse eccessivamente, però mi hanno formato per intraprendere la mia vita fuori (intct4); a scuola erano i professori a comandare, invece mi hanno detto che oggi in alcune scuole gli allievi comandano più dei professori […]. A volte, quando c’era bisogno, partivano anche delle sberle […]. Da giovane uno pensa che questi professori siano cattivi, però dopo li ricorda in modo positivo (intFoss2); la formazione iniziale è come quando si cresce da piccoli: le prime imbeccate sono quelle che si ricordano per tutta la vita; cioè, se parti bene, se vieni educato bene, magari anche con qualche correzione o punizione inizialmente, poi acquisisci un certo modo di 75 vivere e lo porti per sempre addosso. quando ero dai salesiani, ho avuto anche delle punizioni, ho anche imparato parte della Divina commedia grazie alle punizioni, però l’educazione – e anche le punizioni – mi sono servite per tutta la vita; quando ho incominciato a frequentare l’istituto tecnico industriale, i primi tre anni, ho studiato pochissimo, in quanto molte delle cose le avevo già fatte al cFP (intct5). l’intervento educativo si realizza anche attraverso una certa dialettica di incontro/ scontro con l’altro, che permette al soggetto in formazione di configurare la propria identità. Proprio il contrasto può talvolta costituire la premessa per cammini originali. Sono elementi che però generalmente si riconoscono solo più tardi. i partecipanti alla ricerca spesso riconoscono – anche nel senso che esprimono riconoscenza per questo ai loro docenti di un tempo – di aver avuto bisogno di regole e che, proprio scontrandosi con esse, hanno potuto decidere i propri percorsi successivi. Da questo punto di vista, anche le punizioni hanno consentito loro di crescere. Per certi aspetti, potremmo però anche affermare che i docenti che abitano i ricordi dei nostri ex-allievi, non erano privi di difetti e di lacune e che talvolta proprio questi difetti hanno stimolato gli allievi a ricercare le loro strade e a diventare maestri di se stessi. 4.6. Suggerimenti ai formatori di oggi nelle interviste, i partecipanti hanno avuto la possibilità di formulare anche dei suggerimenti per i formatori di oggi. in genere, propongono quello che loro stessi hanno sperimentato direttamente con i loro docenti di un tempo: ai formatori consiglierei di essere tenaci, di non scoraggiarsi mai. A volte mi è capitato di entrare in urto con i ragazzi; penso che questo capiti a tutti gli insegnanti; da quegli scontri si deve uscire a testa alta, ma è importante anche essere anche comprensivo, bisogna tendere una mano. il carattere dei ragazzi oggi li porta a chiudersi a riccio di fronte a qualsiasi difficoltà; il mio consiglio è di avvicinarsi ai ragazzi a tu per tu, dopo uno scontro, perché loro non lo faranno. Secondo me è importante parlare molto con questi ragazzi, farli riflettere a mente serena, far loro capire gli sbagli che hanno compiuto. io ho avuto questa esperienza e ne sono uscito veramente felice (intct10); ai formatori nuovi, che non sono ex allievi, suggerisco di non avere mai un atteggiamento di supremazia nei riguardi degli allievi, perché il ragazzo che viene da noi ha bisogno di essere capito; si porta dietro un bagaglio enorme di problemi familiari; la maggior parte dei ragazzi che sceglie questo tipo di formazione ha alle spalle problemi familiari, padri in carcere, genitori separati e quant’altro. Se ti metti al loro livello, li capisci e trasmetti loro vicinanza, i ragazzi si aprono e tu puoi avere un certo successo con loro, ma se ti metti un gradino sopra, o addirittura due gradini più in alto, perché tu sei il professore, il ragazzo sente questo distacco e non ti segue più. ci sono tanti ragazzi che cercano in noi la figura di un padre che non hanno più da tempo, o per una separazione o per il carcere, quindi ci prendono a riferimento; magari non darai loro la qualifica, perché hanno problemi didattici gravi, però sicuramente farai breccia nella loro vita. io lavoro qui da trent’anni e, passeggiando con mia moglie per il quartiere, incontro a volte gli ex allievi che mi fanno festa; sono grosse soddisfazioni. questo lo facevano anche i miei formatori, però allora il sistema era diverso; quando io ero allievo, nelle famiglie vigeva 76 la buona educazione; mio padre mi raccomandava sempre di essere rispettoso con i miei insegnanti; adesso questo non c’è più, perché questi ragazzi non hanno più una famiglia alle spalle […]. oggi i giovani vivono realtà diverse e il sistema educativo familiare non tiene più; i ragazzi che vengono nella Formazione Professionale hanno la risposta facile, si mettono subito a confronto, hanno la contestazione innata (intct14); oggi i professori fanno più fatica di un tempo, magari perché sono più anziani, ma anche perché la società è cambiata e noi come genitori siamo cambiati. quando veniamo a fare visita ai professori, notiamo che i ragazzi sono diversi. Traspare in loro il fallimento dei genitori; i professori cercano di essere rigorosi, ma purtroppo non possono fare più di tanto, perché i genitori, invece di spronare i figli a studiare, vanno dai professori per rimproverarli di aver punito il proprio figlio. consiglio ai professori di avere mano ferma verso i ragazzi, anche se capisco che è dura (intct19); ai formatori consiglierei di non sprecare tempo e di insegnare più che possono, perché poi alla fine di quegli anni, i ragazzi andranno a lavorare; non essere dispersivi e insegnare loro cose nuove, che servono per il lavoro e per la vita (intBra5). Anche a fronte di scenari profondamente mutati, a livello sociale e familiare, le strategie che sembrano poter funzionare, sono in fondo le stesse che hanno funzionato nel passato: non scoraggiarsi di fronte agli apparenti insuccessi e coltivare con tenacia la speranza di poter “far breccia” nella vita dei propri allievi; saper combinare fermezza e capacità di entrare con loro in una relazione personale, che li faccia sentire accolti e riconosciuti; rendere il più possibile effettivo il tempo dell’apprendimento, organizzando bene i contesti e scegliendo oggetti utili per il lavoro e per la vita. 5. BILANCI la Formazione Professionale è in qualche modo valutata dai risultati e dalla qualità umana e professionale di coloro che sono stati allievi in quel contesto. non si può riferire la traiettoria o il percorso al solo elemento cFP, ma quella stagione formativa ha avuto una particolare rilevanza nella vita delle persone intervistate e in quello che possiamo a ragione chiamare il loro “successo formativo”. quali sono però i tratti comuni del “successo formativo” che possiamo ricavare dall’analisi dei dati? Al termine delle interviste, i partecipanti hanno spesso rivisto la loro storia in modo panoramico, sottolineando come il cFP sia stato per loro un percorso che, proprio grazie alla concretezza del suo approccio, ha consentito la valorizzazione di talenti che troppo spesso la scuola tende invece a banalizzare o a giudicare inadeguati. 5.1. Indizi di successo formativo il successo formativo – ci raccontano i nostri ex-allievi – è consistito per loro innanzitutto nella possibilità di riuscire non solo nel lavoro ma, più in generale, nella vita. Anche la possibilità di sperimentare un lavoro che piace e la felicità che 77 si lega a questo, rappresentano per loro un indicatore del fatto che il percorso formativo ha avuto successo. infine, nei racconti, è possibile individuare come indicatore di successo formativo la capacità di restituire ad altri ciò che di prezioso si è ricevuto. 5.1.1. Una creativa riuscita nella vita in che misura la Formazione Professionale abbia contribuito al successo formativo si può dire quando, tracciando ad un certo punto una sorta di bilancio riguardo ai vari ambiti della vita, gli ex-allievi constatano che l’esperienza umana e valoriale vissuta al cFP si è quasi riverberata sul resto: voltandomi indietro, posso dire che è stata una bella esperienza e tutte le scelte che io ho fatto nell’ambito della famiglia, dell’educazione dei figli, sono state illuminate da questo spirito […]. Sono contento di quello che ho realizzato. Se guardo quella morsa, quel tavolo, quel lavoro, mi rendo conto di aver fatto varie cose, di aver ad esempio inventato come fare un ingranaggio per catena, con la macchina a controllo numerico, sviluppando un programma al computer; tecnicamente mi sento arrivato. Partendo da quella scintilla che è stata la Formazione Professionale, le cose hanno funzionato anche a livello familiare: ho cinque figli, a cui, vedendo la nostra esperienza, mia e di mia moglie, dobbiamo consigliare di studiare un po’ meno, al contrario di altri genitori. Abbiamo portato quello spirito anche in famiglia. i miei figli non mi vedono mai inoperoso. e questo vale anche per i ragazzi dell’istituto. Gli allievi e gli ex allievi, quando mi incontrano, mi abbracciano, mi salutano affettuosamente, cosa che non succede spesso nelle altre scuole, anche perché i nostri ragazzi sono abbastanza umili, non molto sofisticati, e provengono da zone di catania malandate, quindi esprimono un certo affetto. quando hanno avuto problemi familiari, sono sempre venuti qui per chiedere un consiglio. questa è una soddisfazione, perché significa che si è seminato non solo professionalmente ma anche umanamente (intct7); nella vita raccogliamo tante cose, è come se facessimo un mosaico, raccogliendo i pezzi e mettendoli insieme […]. Al cFP ho imparato un lavoro, ma anche regole di vita e ho ricevuto una formazione umana. non so che cosa sarebbe avvenuto di me, se non avessi frequentato il cFP, che sicuramente mi ha segnato in senso positivo (intct28). l. (intct7) scopre di vivere in famiglia e nel suo lavoro di insegnante lo stesso spirito che ha respirato al cFP. Anche S. (intct28), ricomponendo quasi come in un mosaico i vari aspetti della sua vita, scopre quanto la formazione umana e professionale ricevuta al cFP l’abbia aiutato a realizzarsi. 5.1.2. La possibilità di sperimentare il legame tra lavoro che piace e felicità Un importante indizio di successo formativo e vita riuscita è la possibilità di sperimentare che esiste un legame profondo tra il gusto con cui si fa il proprio lavoro e la possibilità di essere felici21. Molti ex-allievi hanno potuto scoprire questo nesso, almeno in forma germinale, già al cFP: 21 Su questo, cfr. anche GARDneR, 2010. 78 quello dell’elettricista […] è un campo che mi piace; sono orgoglioso della scelta che ho fatto all’epoca. Poi la vita ti può anche portare distante, perché tu puoi anche essere bravo, ma magari non trovi lavoro e allora cambi settore. A noi questo, per fortuna, non è successo, siamo rimasti sempre nello stesso settore. Alla fine eravamo entrati in questa scuola con il progetto e la speranza di proseguire in questo ambito. Probabilmente il successo dipende anche da come vivi l’esperienza e da cosa l’esperienza ti lascia dentro (intct18); la scuola che ho scelto l’ho frequentata perché mi piaceva questo lavoro. ho preso a cuore questo lavoro e oggi mi sento soddisfatto […]. ho un bel ricordo della scuola, mi è rimasta impressa; anche se sono passati più di vent’anni; è un’esperienza che rifarei (intct25); tutto quello che ho fatto nella mia vita lavorativa mi ha dato soddisfazione e lo rifarei. Al cFP ho imparato l’importanza di sapersi rapportare con le altre persone, di comportarsi correttamente, rispettando il prossimo, e penso che questa esperienza mi abbia fatto crescere sia come persona sia come professionista (intct30); sono stato fortunato, mi sono sempre trovato bene, anche quando ho poi intrapreso la mia strada nel mondo del lavoro. Buona parte di quello che so fare oggi l’ho imparato al cFP. È bello ritornare con i ricordi a quel periodo, a quand’ero ragazzino e ogni volta che ci vediamo tra compagni o con gli insegnanti di allora, è una festa (intct20); dopo il cFP ho continuato con l’iTi meccanico e sono uscito bene. Una delle mie idee era di fare il progettista di componenti meccanici, poi ho scelto di fare l’insegnante; all’inizio avevo pensato di farlo solo alcuni anni, per poi fare il progettista; questo lavoro invece mi ha appassionato e non l’ho più abbandonato. Volevo fare anche ingegneria, ma siccome sono il più vecchio di otto figli e a casa mia lavorava solo mio padre, non avevamo grandi possibilità economiche; anche per questo, per dare una mano in casa, sono andato subito a lavorare. ciò che mi ha fatto scegliere di fare questo mestiere è stato il contatto con i ragazzi; per me infatti questo contatto è stimolante; tutti gli anni cambiano gli allievi e io mi affeziono a loro. […] Mi piace fare questo lavoro, lo faccio volentieri e sto bene con loro, anche se lo stipendio non è alto e fuori potrei guadagnare di più; qualche officina mi ha fatto una proposta di lavoro, ma ho scelto questo e ho continuato. il contatto con i ragazzi è per me importantissimo, mi appaga; anche se alla sera arrivo stanco, sono sempre soddisfatto (intBra4); il lavoro mi è sempre piaciuto; noi costruiamo macchine agricole; l’azienda ha sessant’anni di attività; nella nostra tipologia di prodotto, siamo stati i primi in italia per un lungo periodo; a ventiquattro anni ero già capoufficio tecnico. questa è un’azienda a carattere familiare, i dirigenti dovevano essere o laureati o far parte della famiglia imprenditoriale. io sono stato l’unico a non rientrare in questi canoni. Sono diventato dirigente a circa trentasette anni e da lì ho sempre fatto il direttore tecnico di questa azienda. ho girato in lungo e in largo l’italia. conosco abbastanza bene il mondo meccanico e quello agricolo […]. questa azienda, trovandosi in un quartiere popolare, ad alta densità delinquenziale, ha avuto anche dei meriti, in quanto abbiamo preso tanti ragazzini dalla strada inserendoli in organico in un periodo di grande espansione; l’azienda […] è partita con venti dipendenti, per arrivare a duecento. Abbiamo esportato quasi in tutto il mondo le nostre macchine agricole. Adesso i mercati sono in profondissima crisi e il nostro giro d’affari si è ridotto all’area del Mediterraneo. esportiamo in Spagna, Grecia, Portogallo, Malta, Turchia ecc. Abbiamo avuto dei contratti in Ungheria, già al tempo del comunismo, e abbiamo avuto anche la capacità di battere la honda. Adesso la situazione è critica e il fatturato, negli ultimi due anni, è crollato. Abbiamo fatto progetti di ricerca, alcuni dei quali molto importanti, ai quali però non è stato ancora possibile dar seguito avviando la produzione. Abbiamo fatto progetti di ricerca con l’università di catania, con i 79 cui docenti abbiamo sempre avuto rapporti di collaborazione; abbiamo fatto dei progetti che sono stati premiati a vario titolo, soprattutto per l’aspetto dell’innovazione; non abbiamo però ancora la possibilità di trasferire questo nell’ambito della produzione. la nostra principale avversaria è stata la Regione e, nello specifico, il servizio veterinario; abbiamo progettato un caseificio mobile, perché eravamo a conoscenza delle difficoltà che portavano alcuni piccoli allevatori ad abbandonare la produzione casearia per le difficoltà che avevano a rispettare tutte le leggi che ci sono sull’alimentazione. la richiesta dei veterinari, che hanno potere di vita e di morte su questi poveracci che praticano la transumanza, era di fare dei caseifici fissi; noi invece avevamo avuto l’idea di fare dei caseifici mobili, che seguissero le greggi nella transumanza. nonostante tutte le difficoltà, questo rimane uno splendido lavoro (intct5). leggendo i testi dei nostri ex-allievi, vengono in mente le parole di Primo levi ne La chiave a stella: «…l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra» (levi, 1978, p. 81). non emerge solo la soddisfazione di fare un certo tipo di lavoro, ma il gusto di fare un lavoro per gli altri: è il contatto con i giovani allievi che ha fatto appassionare G. (intBra4) all’insegnamento e, nel racconto della sua avventura lavorativa, G. (intct5) sottolinea come la sua impresa abbia contribuito alla crescita del contesto sociale in cui si è impiantata e ancora oggi cerchi di contrastare le difficoltà poste dalla crisi e di rispondere alle esigenze di specifiche categorie di persone, proprio promuovendo ricerca e innovazione. 5.1.3. La possibilità di consegnare ad altri quello che si è ricevuto Molti ex-allievi sono consapevoli dell’importanza di mettere in pratica quello che hanno vissuto al cFP e di consegnare ad altri ciò che loro stessi hanno ricevuto, attivando una sorta di scambio intergenerazionale. Anche questo può essere visto come segno di successo formativo: vivendo in questo ambiente, ne ho assorbito lo stile e, avendolo fatto mio, l’ho trasmesso ai miei allievi. ho lavorato quattro anni come aiuto insegnante e, in quei quattro anni di apprendistato, ho appreso tantissimo; le persone che ho affiancato mi hanno aiutato a crescere. quando poi ho lavorato da solo, ho cercato di trasmettere quello che avevo imparato, questo stile. Ti affezioni e vuoi loro bene, fai tutto per loro, ti dai da fare e non ti arrendi, li prendi uno per uno, impari a conoscerli uno ad uno e a dire a ciascuno la parola che serve a lui. questo rapporto personalizzato è importantissimo, crea un legame di fiducia: l’uno si fida dell’altro e il ragazzo, in questo modo, accetta anche la sgridata, quando ci vuole, e le lodi, quando le merita. questo è lo stile che ho imparato: con me hanno fatto così e io, un po’ alla volta, ho imparato a fare così. Sicuramente c’è stata una continuità tra ciò che ho vissuto come allievo e ciò che vivo come insegnante. Trovo fondamentale il rapporto personalizzato, perché chi viene da noi è un po’ giù, ha bisogno di essere aiutato, seguito e accompagnato in modo particolare; se non si fa così, si perdono. noi qui abbiamo una bassissima percentuale di abbandoni, perché quasi tutti i miei colleghi sono degli ex allievi; abbiamo lavorato insieme e abbiamo cercato di trasmettere questa personalizzazione del percorso formativo […]. non bisogna mai arrendersi o mollare, bisogna cercare sempre di trovare delle strategie che siano efficaci per loro, in modo da far breccia in loro; si tratta di usare vari stili di insegnamento; se un modo non va, bisogna cambiare. così, poco per volta, qualcosa lasci (intBra4); 80 non so chi sarei diventato, che cosa avrei fatto, se non fossi venuto qui. […] Tutto quello che sono oggi come persona lo vedo legato a quell’esperienza. Dico sempre ai ragazzi che, al loro posto, una volta c’ero io e mi sforzo di ricordare quello che provavo e quello che ricevevo dai miei formatori […]. Una volta ho testimoniato in pubblico il sentimento che mi suscita la classe: ogni volta è una specie di innamoramento e, quando vanno via, alla conclusione dei tre anni, è una sofferenza. Praticamente provo lo stesso sentimento di quand’ero ragazzo, la tristezza per la conclusione dell’anno scolastico, questa volta nei panni dell’insegnante […]. il mio orario inizierebbe alle otto, ma io alle sette e cinque sono qua, perché voglio incontrare i ragazzi in cortile; […] per me la ricreazione è un importante momento di incontro con i ragazzi […]. il desiderio di stare qui che sperimentavo da allievo ora la sto provando da docente. […] quando sono con i ragazzi, sono impegnato, ci sono loro, che hanno bisogno di sapere, di conoscere, non solo il mestiere, ma anche altro […]. Durante le vacanze per me è duro rimanere lontano dal centro; i ragazzi sono la mia passione. Mi sento uno strumento che serve a semplificare le cose ai ragazzi; tra di noi si istaurano amicizia e rispetto, da parte mia vero interessamento: se un ragazzo un giorno non viene a scuola, chiamo a casa e mi informo sul perché. Del resto, i miei insegnanti avevano fatto così con me (intct9); quello che i salesiani mi hanno insegnato nel percorso di studio, oggi, cerco di metterlo a frutto nel lavoro. nella vita quell’esperienza mi ha trasformato, anche perché, venendo da un paese distante, ero interno e quindi stavo qui ventiquattr’ore su ventiquattro. inizialmente devo dire che avevo un po’ di timore; ero un ragazzo che andava via da casa a quattordici anni; nel convitto c’erano ragazzi a rischio, che frequentavano la scuola media. io, essendo cresciuto in un paese, non conoscevo queste difficoltà e mi sentivo privilegiato rispetto a quei ragazzi. Poi ho cominciato a capire quello che i salesiani facevano per questi ragazzi e allora ho cominciato a costruire giorno dopo giorno, mattone su mattone, la mia esperienza formativa, sia a livello umano sia a livello tecnico, nella meccanica. Poi sono diventato formatore in questo istituto salesiano e devo dire che il mio impegno al centro cerco di farlo da salesiano: con i ragazzi di oggi ci vuole molta amorevolezza, perché sono ragazzi difficili, non educati, che non hanno il supporto delle famiglie, ma bisogna anche saper separare i sì dai no e dare messaggi fermi e precisi. questo secondo me è formare “da salesiano”; io l’ho imparato qui […]. Mi ha sempre colpito la passione con cui i salesiani guidavano i ragazzi e oggi spero di mettere anch’io la stessa passione nel guidarli, nel cercare di dare il consiglio giusto, il conforto giusto […]. nel mio lavoro ho avuto tante soddisfazioni: molti ragazzi mi hanno confidato problemi seri; vuol dire che si fidano. A loro spesso manca una figura di riferimento, mentre di noi, anche se uno sta poco o per vari motivi se ne va, si ricorda anche dopo anni; significa che abbiamo seminato qualcosa nell’animo di quel ragazzo […]. Sicuramente l’esperienza del cFP ha contribuito in una larga misura alla mia scelta di diventare formatore; hanno contribuito anche la mia famiglia, i miei amici, ma i salesiani hanno lasciato nella mia vita un’impronta particolare, anche per il loro modo di porsi nella vita quotidiana. Mi ritengo una persona fortunata (intct10); non c’è dubbio che quando frequenti un istituto salesiano, recepisci soprattutto le positività e non puoi far altro che trasferire ai tuoi figli o ai parenti quello che hai ricevuto. Anch’io adesso cerco in qualche modo di comportarmi nella stessa maniera, infatti i miei figli hanno un’educazione improntata allo stile salesiano, sono molto calmi, riflessivi (intct6); in azienda, spesso discuto con i dipendenti, perché è l’amicizia che crei a fare la differenza; scherzo di continuo; c’è un’atmosfera familiare e questo deriva da quello che ho imparato al cFP a livello umano. Bisogna puntare anche sull’aspetto professionale, 81 perché si stanno perdendo proprio i lavori manuali, si sta perdendo la gente che sa lavorare con le mani, come gli artigiani. […] la gente lentamente sta abbandonando questo genere di lavori e la Formazione Professionale, come quella che ho vissuto io, serve invece proprio a orientare la generazione dei più giovani ai valori pratici, a usare le mani nei lavori (intFoss7). G. (intBra4), A. (intct9) e P. (intct10) sono diventati a loro volta formatori e cercano di esserlo con la stessa passione che hanno sperimentato nei loro docenti di un tempo. Ma anche la famiglia e l’azienda sono contesti in cui restituire ciò che si è ricevuto. 5.2. Il ruolo riconosciuto all’esperienza del CFP nelle scelte operate i partecipanti attribuiscono all’esperienza del cFP un ruolo cruciale nella loro crescita umana e professionale, che spesso ha assunto i caratteri di una vera e propria svolta o comunque ha aperto nuove possibilità. È qui che si sono create per molti le basi delle scelte successive. 5.2.1. La crescita umana e professionale come abbiamo già ricordato sopra, nel capitolo 2, i partecipanti alla nostra ricerca riconoscono che l’esperienza del cFP ha contribuito alla loro crescita umana e professionale: tutti gli eventi, tutte le cose che ci accadono, nel bene e nel male, ce li portiamo dietro. il cFP mi ha segnato nel bene e io ho buoni ricordi di tutti; […] dal punto di vista della mia crescita umana, prima che professionale, l’esperienza è stata decisiva, più ancora delle altre esperienze che sono venute dopo (intFoss4); l’esperienza al cFP è stata bella, mi è piaciuta sia per gli insegnanti, sia per l’ambiente. Mi è servita tantissimo sia a livello professionale sia a livello umano […]. Tutto quello che ho vissuto al cFP è stato importante per il lavoro che faccio oggi […]. Al cFP ho imparato un mestiere, ma anche la disciplina e i valori umani. È stata una bella esperienza e ne parlo con piacere (intct22); l’esperienza al cFP è stata importante perché mi ha dato la possibilità di imparare a lavorare e di imparare molte altre cose. in laboratorio ho imparato a usare la macchina che adesso uso al lavoro. la formazione mi ha aiutato a sviluppare i saperi professionali ma anche a formarmi come persona, nel rispetto degli orari e delle regole; ci hanno insegnato anche le buone maniere (intct23); ho ricevuto una formazione al lavoro nel settore elettronico, come montatore e riparatore di apparecchiature elettroniche, ma anche una formazione umana. il periodo trascorso al cFP mi ha strutturato, mi ha dato la spinta per immettermi nel mondo del lavoro con delle basi solide (intct28); al cFP ci facevano capire quello che bisognava imparare per proiettarsi verso il lavoro. non è stata una scuola dove l’insegnamento era fine a se stesso, ma un vero e proprio accompagnamento al lavoro. la serietà dei docenti e la loro pretesa di puntualità non erano altro che un modo per prepararci al comportamento che avremo poi dovuto tenere sul posto di lavoro […]. Grazie al cFP e all’insegnamento dei salesiani, oggi, nell’azienda in cui lavoro, sono rispettato e ho una posizione professionale che mi soddisfa (intct13). 82 Gli ex-allievi vedono la loro crescita umana e professionale come direttamente riferibile al cFP, più che ad altre esperienze formative, in contesti formali o informali. È stato un tempo prezioso per apprendere un mestiere, ma anche lo spirito da metterci nel farlo. 5.2.2. Il confronto con la pratica che aiuta a capire le cose Spesso proprio la possibilità di misurarsi con compiti concreti ha consentito ai nostri ex-allievi di sviluppare una comprensione più approfondita delle cose: nell’ambito del lavoro, le esperienze fatte al cFP mi hanno aiutato moltissimo. i miei primi cinque o sei anni ho lavorato sulla misura dei tempi; significava partire dai disegni e fare dei cicli di lavorazione, segnando i tempi che gli operatori dovevano rispettare nella costruzione; se questo non avveniva, si doveva capire il motivo del ritardo. Voleva dire fare dei preventivi del costo industriale del pezzo e, di conseguenza, elaborando tutta la distinta della macchina, calcolare il costo. Pur avendo il progetto di una macchina, devo definirne il prezzo; si tratta di valutare prima quale sarà realmente il prezzo e se questo sarà concorrenziale o no, rispetto ai prezzi di mercato; solo così ha un senso fare questo lavoro […]. Poi ho usato questo modo di lavorare anche per altre ditte. ho fatto dei preventivi per ditte esterne di Brescia, di Varese; si trattava di elaborare dei disegni, fare dei cicli di lavoro, costruire dei preventivi. È stata una crescita continua, ma le basi le ho avute a scuola. Di questo sono orgoglioso […]. È stata una buona scuola, che mi ha fatto diventare uomo. ho finito a diciotto anni, con una maturità e un senso di responsabilità che oggi molti non hanno neanche a venticinque anni. Avendo fatto meccanica […], sono stato formato come tecnico di officina, di conseguenza, quando ho finito, ben presto è venuta fuori la mia sete di lavoro […]. ho parecchi compagni di allora che oggi sono felicemente in pensione e che hanno lavorato alla Fiat; tutti hanno fatto un’ottima carriera, molti sono diventati caporeparto. Del resto, le basi della scuola salesiana erano davvero consistenti. quando sono diventato dirigente, ho preso parecchi ingegneri in officina, dando loro dei lavori di responsabilità, e ho visto una grande difficoltà da parte loro; arrivavano ad una certa età con pochissima esperienza di lavoro pratico; a ventisei, ventisette anni, ormai sei uomo, sei adulto, hai le tue esigenze di vita; dovresti partire, come siamo partiti noi, a dodici anni, con una gavetta di almeno quattro o cinque anni. la scuola professionale serve, è utile, è necessaria per aziende come la nostra, è un tipo di scuola che può formare l’allievo, la persona, l’uomo, anche se, secondo me, oggi, per trasmettere quello che quarant’anni fa si trasmetteva in un anno, ce ne vorrebbero quasi due. […] comunque il ragazzo si forma solo se si mette a confronto con la pratica, altrimenti avrà sempre difficoltà sul lavoro. quando si studia sui libri, si pensa di aver capito tutto, di aver fatto tutto, poi la realtà non è quella. Porto un esempio banale: si insegna a disegnare con il cAD, però una cosa è conoscere come utilizzare il sistema di disegno cAD, un’altra è trovarsi davanti a un computer e dover sviluppare un banale progettino. chi non ha idea di come funzionano le cose, non conosce le basi della tecnologia o come può essere costruito un pezzo, come si sviluppa, ti presenta dei disegni faraonici, con pezzi impossibili da costruire, con costi improponibili, totalmente avulsi dalla realtà (intFoss5); se potessi tornare indietro, rifarei quello che ho fatto, la scuola dei salesiani; poi, nella vita, c’è quello che studia fino a quarant’anni e non gli basta; a me è bastato così […]; stare lì mi è servito tanto per l’esperienza che ho avuto dopo, perché mi ha insegnato a vivere con la gente, a parlare, a condividere le mie idee con altri; del resto, convivevi con cento persone e le conoscevi tutte […]. il lavoro di tornio non è che mi sia servito più di tanto, però mi è servito imparare ad imparare anche dalle piccole cose […]. Tutti i giorni avevo da imparare qualcosa e tutti i giorni c’era gente che ti insegnava qualcosa (intFoss2); 83 grazie al disegno che avevo imparato al cFP, una volta al lavoro, sono passato subito dall’officina all’ufficio; ci pagavano sessanta mila lire al mese e io ero felice, perché pensavo di comprarmi la vespa. Un giorno il direttore tecnico di quell’azienda, che era un bolognese, si rese conto che mi accorgevo degli errori nei disegni, mi chiese se sapevo disegnare e mi mise alla prova; in un paio di giorni gli ho fatto una marea di disegni e da allora sono passato in ufficio […]. indubbiamente la teoria e la pratica imparate al cFP sono state determinanti, non come la musica che avevo studiato alle medie. in musica ci massacravano, ci facevano fare tanto di quel solfeggio, con un tale sadismo, che io oggi la musica la odio. Mentre adoro la meccanica di qualsiasi tipo e branca e la capisco […]. nel percorso che ho fatto, il cFP ha influito notevolmente; è da lì poi che ho trovato la strada. Avevo imparato a pormi degli obiettivi sempre più alti […]; ho avuto un percorso lavorativo fantastico, mi sento gratificato e mi piace il lavoro che faccio […]; quindi sicuramente c’è un rapporto tra il mio percorso formativo e quello che sono diventato, ma, secondo me, la stessa cosa vale per quel mio compagno di scuola che due anni fa è andato in pensione come semplice operaio; non è detto infatti che si debba per forza arrivare a fare il dirigente: lui è tornitore, è una persona corretta e seria, un gran lavoratore; io tutti i prototipi li facevo fare a lui. la base di questa sua abilità era nata al cFP, poi c’è da dire che […] a lui piaceva fare queste cose (intct5). F. (intFoss5) riconosce che l’esperienza del cFP lo ha aiutato ad introdursi nel lavoro e, attraverso il lavoro, anche nel contesto più ampio della vita sociale. D. (intFoss2) afferma che la pratica è servita ad imparare che si può imparare sempre, anche dalle piccole cose, anzi, forse D. ci dice proprio che, al cFP, imparando a svolgere con grande attenzione anche le lavorazioni più semplici, si è allenato a svolgere con facilità anche i lavori più difficili. G. (intct5) ricorda che gli apprendimenti avvenuti al cFP, a contatto con l’esperienza, sono stati molto più efficaci di alcuni apprendimenti scolastici e che gli hanno consentito rapidi avanzamenti nel mondo del lavoro. 5.2.3. Il cambiamento possibile Per vari ex-allievi il cFP ha poi rappresentato lo spazio di un cambiamento decisivo nella propria traiettoria di vita: penso che questa formazione abbia coinciso con una specie di cambiamento di vita; mio padre era contadino, io da piccolo o durante le scuole elementari e medie facevo un’esperienza totalmente diversa. Premetto che avevo fatto dei corsi di studio un po’ atipici: le elementari le ho fatte in una pluriclasse, la scuola media l’ho fatta da privatista, con una maestra che mi ha preparato da esterno, ma poi l’esperienza di vita era totalmente diversa, più isolata, perché stavo in campagna. quindi la scuola professionale è stata un cambiamento di vita perché mi ha proiettato dalla vita isolata di campagna, a una vita sociale con duecento ragazzi, all’incontro scontro con nuove realtà, nuovi caratteri. in alcune cose mi sono trovato anche male. la cosa in cui non sono riuscito è stato lo sport, perché non sapevo fare nulla e quindi in questo caso mi sentivo isolato. Allora mi rifugiavo nello studio e nel lavoro. questo mi ha aiutato nella formazione. Sicuramente c’è un nesso tra la vita di oggi e la formazione che ho avuto (intct7); se non hai le basi che ti fanno crescere come persona, certe scelte non le fai. l’esperienza del cFP è stata molto importante da questo punto di vista. quegli anni mi hanno fatto diventare quello che sono. È stata un’esperienza positiva sia dal punto di vista professionale sia – e soprattutto – dal punto di vista personale; quando sei qui dentro, cambi. esci 84 dalle scuole medie che hai la testa tra le nuvole, non sai cosa vuoi, ed entri in un ambiente in cui i professori hanno la capacità e l’esperienza per farti diventare uomo […]. Mi hanno aiutato a maturare; quando mi confronto con i ragazzi della mia età, vedo che sono cambiato nel modo di pensare e di rapportarmi con le persone; tutto questo grazie all’insegnamento salesiano (intct17); sono cresciuto all’interno dell’istituto salesiano; ho imparato a camminare qua dentro. quando sono arrivato, a quattordici anni, non sapevo nemmeno cosa fosse una macchina utensile; l’ho imparato qui; poi sono stato una persona che non si è mai accontentata e quindi ho continuato fuori il mio approfondimento professionale […]. Sicuramente l’impronta che ho ricevuto al cFP è stata determinante per arrivare a fare l’insegnante e anche per avere un’attività autonoma nell’ambito della meccanica (intct8). Sia che si tratti del passaggio da una vita isolata ad una vita di intense relazioni, sia che si tratti del passaggio del giovane che scopre di diventare gradualmente adulto o del ragazzo che, imparando ad usare una macchina, impara ad imparare, il cFP ha per molti rappresentato uno snodo fondamentale che ha dato spinta al cambiamento. 5.2.4. Il senso di appartenenza Un ultimo aspetto che gli ex-allievi sottolineano è la capacità del cFP di farli sentire parte di una comunità: l’esperienza di allievo ha influenzato le mie scelte successive. Dopo qualche anno che ero stato assunto qui, ho vinto un concorso al comune di catania e ho rifiutato per restare qui […]. Sento il cFP come qualcosa di mio, forse perché l’infanzia e l’adolescenza l’ho trascorsa qui e il centro lo sento come casa mia (intct14); nei venticinque anni in cui sono rimasto nella mia vecchia ditta, il gruppo di quelli che avevano frequentato i salesiani era numeroso. Dopo tanti anni eravamo ancora insieme, in quell’industria; non è che finivi di lavorare e scappavi, andavamo a mangiare insieme, eravamo un gruppo. io ho avuto la fortuna di stare venticinque anni nella stessa industria. in quei venticinque anni ho continuato a coltivare il senso di essere gruppo; ci conoscevamo, eravamo una trentina, ancora tutti insieme fin dagli anni del cFP. Anche se nel frattempo ho girato il mondo, sono rimasto amico intimissimo di tutti loro. questa appartenenza te la porti avanti con orgoglio, nel senso che, quando mi chiedono dove sono andato a scuola, io dico: “Dai salesiani!” (intFo1). Trovarsi con chi ha condiviso la stessa esperienza formativa fa sentire legati da un comune impegno ed è proprio questo che fonda il senso di essere comunità (cum-munus). 5.3. Altri fattori che hanno inciso sulle scelte la formazione è stata importante, ma sul successo formativo ovviamente hanno influito anche altri fattori, in particolare la famiglia di origine e la rete parentale, ma anche le altre esperienze formative vissute: mi rivedo così com’ero venticinque anni fa, spaventato da un mondo che mi sembrava ostile; oggi so che si possono fare grandi passi, quando uno ha la volontà; il corso ti può 85 aiutare, ma anche la famiglia e gli amici; poi sei tu individualmente che devi costruire sulle basi che hai ricevuto (intct21); sulle mie scelte ha influito molto di più l’aspetto dell’oratorio, che quello scolastico. Già da prima del cFP frequentavo l’oratorio e tutto ciò che girava attorno al mondo salesiano. Per me è stato il grande attaccamento alla figura di don Bosco e al mondo dei salesiani che mi ha spinto a buttarmi nel mondo dei giovani. ha influito anche l’esperienza scolastica, però più quella dell’oratorio. Sicuramente ho imparato a lavorare in un certo modo, ho imparato a vivere le esperienze importanti, come ad esempio i momenti di riflessione; ci sono stati momenti molto profondi che hanno segnato la mia vita. c’è stato anche un rafforzamento di molti valori come quello della giustizia, dell’impegno, dell’onestà. i valori però non te li dà solo la scuola, ma un po’ tutti, la famiglia, la scuola, magari quel docente con cui mi confrontavo e anche il contesto scolastico […]. Per me fondamentali sono stati la famiglia e l’ambiente di amicizie legate all’oratorio, ma anche alcune figure sacerdotali sempre del mondo dell’oratorio salesiano che per me sono state importanti riferimenti. quelle figure mi hanno dato tanto; la scuola è stata complementare. ci sono state delle belle amicizie, profonde e oneste, basate su cose che restano nel tempo, grazie alla condivisione di certe esperienze che uniscono molto; sicuramente ho trovato alcuni sacerdoti che sono stati punti di riferimento: scoprire persone che ti sanno ascoltare e che ti sanno dare una visione più ampia delle cose è stato sicuramente molto utile. il fatto che oggi insegni mi è venuto anche dalla scuola, però è venuto maggiormente dall’ambiente in cui vivevo (intFoss8). Tutte le esperienze e tutti gli incontri concorrono a creare le condizioni che mettono ciascuno in grado di assumere su di sé il compito di curare la propria crescita. Per w. (intFoss8) decisive sono state la famiglia di origine e la rete di amicizie costruita nell’ambiente dell’oratorio. 5.4. Criticità Dalle interviste agli ex-allievi emergono anche alcuni chiaroscuri, gli aspetti che, a loro giudizio, non hanno funzionato. Sono questi gli elementi che ci consentono di disegnare un profilo a tutto tondo della loro esperienza formativa. come abbiamo ricordato sopra, anche i problemi e le negatività contribuiscono infatti alla crescita: gli errori possono diventare occasioni per apprendere e le deficienze dei docenti e dei formatori stimoli a diventare maestri di se stessi. Tra le criticità dell’esperienza formativa al cFP che gli ex-allievi sottolineano, alcune sono riferibili all’esperienza passata, altre al contesto odierno. 5.4.1. Criticità di allora Tra le criticità di un tempo, alcuni – soprattutto coloro che hanno vissuto l’esperienza formativa alcuni decenni fa – segnalano il “sistema dell’imposizione” e l’eccesso di severità dei docenti di cFP. Sentiamo ad esempio la voce di e. (intct14): un elemento critico del vecchio sistema dei salesiani era l’imposizione: non la condividevo allora e non la condivido oggi; secondo me il miglior metodo per ottenere qualcosa dai ragazzi è farsi voler bene; solo così riesci a far breccia nelle loro menti; per me questo è avvenuto con qualche salesiano (intct14). 86 Sopra abbiamo sottolineato la capacità, che molti dei docenti di cui ci parlano i nostri ex-allievi avevano, di unire un tratto fermo, o addirittura severo, con la capacità di costruire relazioni calde e personali (cfr. par. 4.3.), ma alcuni partecipanti (ad esempio, S. - intct2 -; cfr. la storia n. 18 nella terza parte di questo lavoro) hanno sofferto questo stile a cui, anche più tardi, non sono riusciti ad attribuire alcun significato, soprattutto quando l’imposizione era fine a se stessa, senza ragione e dunque impossibilitata a trasformarsi in quel limite che aiuta a crescere. Alcuni ex-allievi sottolineano poi che andrebbero potenziati alcuni aspetti culturali che non sempre sono direttamente connettibili con l’esperienza lavorativa: la maggior parte della popolazione che passa di qua, va a lavorare; pochi fanno la pazzia che ho fatto io di cercare di scalare qualche montagna un po’ più alta. le basi sono ben strutturate e un bel po’ di pratica manuale la formazione te la dà; certo, l’aver acquisito una certa manualità non dico che mi ha fatto essere stato più bravo degli altri, ma sicuramente mi ha aiutato. Dalla mia esperienza, posso però dire che ci vorrebbe qualcosa in più nella preparazione umanistica, soprattutto per quanto riguarda l’inglese; ricordo che molti miei compagni avevano difficoltà con la lingua. non era colpa degli insegnanti del cFP, perché l’inglese è una materia che richiede molta dedizione per essere assimilata, poi in realtà tutti sappiamo che per impararlo, come tutte le lingue, bisogna parlarlo. Ricordo però che era una delle materie che costituivano una specie di ostacolo psicologico per molti miei compagni (intFoss4). non è facile trarre dalla pratica tutti gli alimenti culturali che servono per crescere. l. (intFoss4) porta il caso dell’apprendimento della lingua straniera, ma altri potrebbero essere gli esempi. ci sono infine alcuni ex-allievi che rimpiangono di non aver potuto o saputo continuare nella formazione e nello studio: finito il cFP sono andato a lavorare; inizialmente volevo prendere un diploma, poi però sono andato a lavorare. Un po’ mi è dispiaciuto, ogni tanto ci penso, ma ormai sono avviato nel lavoro. non avevo tanta voglia di scuola. la voglia di studiare, quando dovresti averla, non ce l’hai e, quando poi ti viene, non puoi più assecondarla (intBra5). non sono solo le condizioni in cui si cresce, che non sempre sono propizie, ad ostacolare nella crescita. M. (intBra5) sottolinea che ciò che gli è mancato è la volontà o qualcuno che, dandogli fiducia, avesse dissipato i suoi dubbi e lo avesse stimolato ad osare. 5.4.2. Criticità di oggi Tra le criticità che segnano il tempo presente, molti sottolineano i problemi legati alla crisi economica e industriale, rispetto alla quale non è facile dismettere i panni dei semplici spettatori e approntare risposte efficaci: quello che stiamo vivendo è un periodo di crisi profonda in italia, ma se non cerchiamo un po’ tutti di fare la nostra parte, le cose si faranno davvero problematiche: l’industria in genere va via dall’italia; alla fine ciò che insegniamo non può essere concretizzato perché non c’è più industria. questo è il problema che l’italia sta attraversando, speriamo di tornare in un periodo più fiorente e produttivo per il nostro Paese (intct8). 87 Gli ex-allievi di catania, in particolare coloro che sono diventati formatori, danno voce alle difficoltà che in Sicilia toccano profondamente anche il contesto della Formazione Professionale. quello che viene segnalato non è però solo il problema del venir meno dei finanziamenti, è proprio il rischio che si perda un certo spirito: l’etica professionale sembra ormai persa; una volta ci si credeva molto di più, ora vedo un certo lassismo, soprattutto qui al sud. Prima si metteva il ragazzo al primo posto e si cercava di fargli raggiungere mete elevate, adesso molto meno. Mi rendo conto ad esempio che pure io, anni fa, davo molto di più di adesso, perché c’era un contorno diverso, eravamo un gruppetto di insegnanti che, oltre ad essere colleghi, erano anche amici, provenienti tutti dalla stessa formazione, quella formazione rigida che però più tardi abbiamo apprezzato; riuscivamo brillantemente a trascinare i ragazzi. la nuova generazione di insegnanti è molto più distratta e, almeno qui, abbiamo perso tecnicamente. ho visto invece che in altri posti c’è ancora quello spirito che qui si è perso, anche perché hanno un contorno che li favorisce. qui adesso è iniziata la crisi degli stipendi, che arrivano in ritardo, e questo ha portato molti insegnanti, come me, a cercare delle occupazioni fuori e quindi a spostare all’esterno il centro di interesse. nei cFP del nord gli stipendi sono regolari, quindi i docenti hanno un vero e proprio lavoro, poi ogni scuola propone anche corsi serali a pagamento e quindi la vita lavorativa di un insegnante può rimanere tutta all’interno dell’istituto. questo serve sia per elevare la propria professionalità, sia per non farsi distrarre da altri problemi […]. ho l’impressione che un tempo la vita al cFP fosse più ricca; ricordo che allora c’erano circa quaranta salesiani; terminato il periodo di scuola e di lavoro, c’era una vita interna, fatta di animazione, divertimento, cinema, barzellette che si raccontavano in cortile. […] Poi, verso il 1975, è finito l’internato, i salesiani sono diminuiti enormemente, da quaranta sono scesi a dodici, tredici, e piano piano questa vita interna si è persa. Adesso […] non c’è più quella vita interna corposa in cui uno si inzuppava dello spirito salesiano (intct7). l. (intct7) lamenta il fatto che, per molti docenti della Formazione Professionale in Sicilia, sia sempre più difficile dedicarsi completamente al lavoro educativo. la crisi che, per vari motivi, impedisce oggi agli enti di pagare con regolarità lo stipendio ai formatori costringe a cercare altri campi di impegno e inevitabilmente distacca da quello formativo rischiando, assieme al venir meno dei Salesiani, di far perdere lo spirito che caratterizzava un tempo questo tipo di Formazione Professionale. Al di là poi dello specifico contesto siciliano, gli ex-allievi che sono diventati formatori, confrontando la loro esperienza di oggi con quella vissuta quando erano allievi, segnalano la fatica crescente di fare questo lavoro: oggi si ha una risposta minore da parte dei ragazzi; quando prepari i lavori, vedi che sono meno entusiasti, meno motivati a fare qualcosa in più, tendono a fare il minimo indispensabile. c’è meno propensione, anche se noi diciamo loro che sono cose che in futuro serviranno loro. Soprattutto sul controllo numerico, vedo che dovrebbero fare i diagrammi, il libretto, qualcosa di più complicato, che li appassionerebbe un po’ di più, invece si arrendono alla prima difficoltà, non sanno disegnare, non sanno la matematica. non sapendo la matematica, faticano moltissimo a fare i calcoli per trovarsi i punti delle coordinate e si arrendono facilmente, non hanno voglia di combattere, continuano a copiare dagli altri; non provano, non hanno la pazienza di soffrire e provare un pochettino (intBra4); 88 venendo da una famiglia attenta e da un quartiere non molto disagiato, non ho avuto molti problemi, non “marinavo” la scuola, forse mi è capitato una volta soltanto, e qui trovavo una certa continuità educativa. oggi i ragazzi sono diversi; se non stiamo attenti, come genitori, non vanno a scuola sempre e non rispettano l’autorità. Ad esempio, […] può sembrare banale, ma oggi devo battagliare con i ragazzi per far loro portare i compiti, devo discutere con loro, cercare di capire il motivo per cui non li hanno fatti; cerco di far loro capire che, se danno una parola, la devono mantenere, altrimenti non possono farsi rispettare e, facendo leva sull’orgoglio, riesco a farmi ubbidire e devo dire che ho un certo riscontro da parte loro; questo è un punto di orgoglio anche per me. Arrivare qui la mattina ed essere attorniato dai ragazzi, quando sono ancora in macchina, mi dà la carica per iniziare un nuovo giorno con più vigore (intct8); quest’anno è stato un anno di crisi per me, per quanto riguarda l’insegnamento; lo dico senza vergognarmene […]. Penso che sia fondamentale cercare di creare un ambiente serio e sereno, dove si lavora a tal punto che l’allievo che viene qua sta bene e percepisce che il docente che gli sta davanti gli vuole bene; se non si riesce a fare questo, secondo me, non si riesce a fare il novanta per cento del lavoro. È molto difficile fare questo, almeno io l’ho trovato molto difficile, soprattutto con il passare degli anni; l’entusiasmo tende un po’ a calare, i problemi aumentano. Rispetto a vent’anni fa, i problemi sono diversi e sono più tosti: riuscire a mantenere un ruolo sereno e serio non è così facile, perché c’è il ragazzo che ha problemi, non porta i compiti e tu devi telefonare ai genitori ecc. Sicuramente l’insegnante fa fatica e non riesce a essere così sereno e quindi tutto diventa più complicato, nel rapporto tra docente e alunni, e si crea un circolo vizioso. la cosa migliore sarebbe appunto quella di creare un ambiente serio e sereno; bisogna far sì che il docente abbia anche il supporto, il tempo, la modalità di lavorare nel modo più sereno possibile e a volte questo è difficile, sia per i problemi che nascono dalla gestione delle relazioni con i ragazzi, sia per il carico di lavoro che c’è. Facendo un paragone con vent’anni fa, sicuramente una cosa che pesa oggi sono i tempi: allora due insegnanti di laboratorio riuscivano a tenere venti, venticinque ragazzi e a seguirli bene, oggi in laboratorio sei solo e poi devi fare tante altre cose che è giusto che ci siano, però l’insegnante è molto più di corsa rispetto anche solo a dieci anni fa; deve sbrigare incombenze burocratiche che secondo me non aiutano a fare serenamente e bene il proprio lavoro; […] quando un insegnante non è sereno nel suo lavoro, la cosa si ripercuote su tutto il sistema: non lavora bene lui e i ragazzi a loro volta lo percepiscono, nascono ingiustizie e tensioni e tutto si aggrava. non so come risolvere questo problema, però il tempo è un problema da valutare bene […]. Mi è sempre piaciuto molto insegnare, ma in questi ultimi anni faccio sempre più fatica. lo faccio presente perché talvolta sembra che questo non sia un problema; secondo me è molto importante prestare attenzione ai docenti; il fatto di tirare e tirare è un rischio: potrebbero scoppiare. l’insegnamento è un lavoro molto bello, però mentalmente è molto faticoso e quindi la gestione dei docenti, da parte di chi gestisce questo comparto, dev’essere seguita con molta cura, sapendo che, se la qualità del lavoro è positiva, questo si ripercuote su tutto il sistema e anche sui ragazzi (intFoss8). G. (intBra4) e o. (intct8) sottolineano come, rispetto al passato, sia sempre più difficile creare contesti motivanti per gli allievi, anche per i profondi cambiamenti che hanno interessato i contesti familiari. Anche w. (intFoss8) esprime la sua fatica crescente, legata anche all’appesantimento del lavoro dei docenti e a contesti organizzativi che rendono sempre più difficile lavorare in modo sereno. c’è il rischio che tutto questo mini alla base le condizioni che, nel passato, garantivano qualità alla Formazione Professionale. 89 III parte Venti storie esemplari di Gustavo MejiA GoMez e Giuseppe TAcconi in questa sezione, riportiamo senza particolari commenti, un’antologia di venti storie esemplari tra quelle raccolte, elaborate secondo il metodo che abbiamo illustrato nella prima parte di questo lavoro1. Sono storie che parlano da sole. nei loro racconti, gli ex-allievi presentano la loro attività professionale, ma soprattutto raccontano l’esperienza vissuta al cFP, ricostruendo volti, situazioni ed episodi che li hanno segnati. l’ordine che abbiamo scelto per organizzare le storie ripercorre un po’ i temi emersi nella ricerca e presentati nella seconda parte di questo lavoro: si va dalle storie focalizzate sul cFP come ambiente educativo, a quelle che descrivono efficacemente le caratteristiche dell’esperienza formativa, a quelle focalizzate sulle figure di docenti. ogni racconto, in realtà, tiene insieme una molteplicità di elementi. il titolo scelto dà conto di quello che ci è parso il nucleo centrale del racconto stesso, ma nel testo abbiamo spesso inserito anche dei sottotitoli che rendessero più facilmente leggibile il racconto. li presentiamo accompagnandoli da una brevissima introduzione che fornisce informazioni essenziali sul soggetto narrante. 1. IL CFP COME AMBIENTE CHE EDUCA D. (intBra2), che ha concluso il suo percorso al cFP di Bra nel 1996, lavora oggi nello stesso centro, come formatore di area pratica. nel suo racconto descrive il percorso attraverso cui è diventato formatore e l’esperienza che ha vissuto da allievo, in relazione con i suoi docenti di allora, sottolineando in particolare il clima di famiglia e la qualità educativa dell’ambiente. 1 nei risultati dell’analisi dei dati, riportati nella sezione precedente, abbiamo inserito, quando ci sembrava opportuno, il riferimento alle storie. Su come le storie sono state costruite, cfr. il paragrafo 5.2.2. della prima parte. 90 Diventare formatore Sono ex-allievo del cFP, ma anche dell’oratorio e dell’estate ragazzi2. ho vissuto in questo centro, come “animato” e come “animatore”, come studente e adesso come formatore. Dal 2001, ho cominciato a lavorare come assistente di laboratorio, nella meccanica tradizionale, assieme ad un mio vecchio professore. ho fatto per quattro anni laboratorio sulle macchine tradizionali, tornio e fresa, e ho insegnato in aula di tecnologia e in quella di disegno. quando qui a Bra è stato aperto il settore della meccanica auto, mi sono riconvertito, un po’ perché mi è stato chiesto, un po’ per passione mia; oggi sono molto soddisfatto di aver fatto questa scelta, perché mi trovo proprio bene in questo settore; è un ramo dove i ragazzi si appassionano ed è molto bello fare officina con loro, perché li vedo molto motivati, soprattutto se si parla di moto e motorini, che sono un motivo di particolare interesse per loro. ho fatto il cFP qui a Bra per tre anni, come manutentore di macchine utensili; poi non avevo più voglia di studiare e sono andato a lavorare con mio papà, che faceva il muratore. in seguito, mi sono reso conto che un titolo di studio mi sarebbe servito anche per lavorare, allora ho ripreso, ho fatto l’iTi serale e mi sono diplomato. Subito dopo ho lavorato in un’azienda, dove avevo fatto lo stage quand’ero al cFP. Un giorno poi, M.3 mi ha chiamato e mi ha chiesto se volevo provare a stare qualche mese in laboratorio, con i ragazzi; da allora non sono più andato via. È un’esperienza bellissima! quando mi sono diplomato e sono uscito dall’istituto, non avevo alcuna intenzione di venire qua a lavorare; mi piaceva troppo il ramo della meccanica che avevo scelto. Poi, una volta, ero venuto a chiedere a M. se potevo usare il cAD, perché dovevo fare un disegno per una cosa che stavamo facendo con degli amici e, mentre stavo facendo questo lavoretto, lui mi ha informato che stavano cercando un giovane da inserire in laboratorio e mi ha chiesto che cosa ne pensavo, se mi sarebbe piaciuto farlo. io gli ho risposto di sì, che mi sarebbe piaciuto, perché avevo dei bei ricordi; allora lui mi ha detto che a settembre avremmo provato, che sarei stato affiancato dal mio vecchio insegnante e che poi avremmo deciso per il seguito; da allora non sono più andato via. È un lavoro che mi dà parecchie soddisfazioni; sinceramente, dove lavoravo prima, guadagnavo di più, però non avevo le soddisfazioni che ho qua: lavorare con i ragazzi, riconoscere che hai insegnato loro qualcosa. A me stanno molto a cuore i giovani e quindi cerco di instaurare un bel rapporto con loro; ho tanti ex-allievi che mi cercano sempre per farmi gli auguri di compleanno o per scambiare due parole e questa è una cosa che non ha prezzo. non so se mi viene bene e se assomiglio ai miei insegnanti di un tempo, però io ci provo. Mi sono qualificato nel 1996 e, nel 2001, ho cominciato a lavorare qui al cFP. nelle estati, nel tempo libero, lavoravo con mio papà; prima avevo lavorato per quattro anni in un’azienda di torneria meccanica per conto terzi, che mi aveva preso già per gli stage; il cinquanta per cento del lavoro era costituito da prodotti per la BRc, quindi impianti a gas; io mi occupavo di quel reparto e mi sono trovato bene. Mi ricordo che avevo finito la scuola il 18 giugno e che il 20 ero già a lavorare. 2 Si tratta di una proposta di animazione estiva molto presente nei contesti oratoriani. 3 Un suo ex docente del cFP, ndr. D’ora in poi, anche dei docenti che verranno ricordati dai nostri ex-allievi, si riporteranno solo le iniziali del nome. 91 Insegnanti speciali Mi ricordo dei miei insegnanti, soprattutto di alcuni che sono stati gli artefici delle mie scelte; già in seconda avevo voglia di abbandonare la scuola, perché volevo andare a lavorare con mio papà; era quello il mio unico obiettivo. Mi ricordo una sera in cui i miei insegnanti sono venuti a casa mia, a prendere il caffè e mi hanno spiegato un po’ di cose, mi hanno convinto a proseguire e a frequentare il terzo anno. in particolare due di loro: M., al quale mi sento legatissimo, e B.4, al quale sono anche particolarmente legato. Ai tempi quest’ultimo insegnava fisica e meccanica, mentre M. insegnava matematica; oltre all’insegnamento, M. e B. sono stati sempre con me in cortile e quindi sono diventati dei punti di riferimento. Gli altri insegnanti all’apparenza davano meno confidenza, in realtà si mischiavano anche loro con noi in cortile e giocavano con noi. Diciamo però che M. e B. sono quelli che mi hanno lasciato qualcosa in più. È stato bello ritrovarli qui come colleghi. io li vedevo sempre come punti di riferimento, mentre loro mi hanno messo al loro livello. la passione che ho per la meccanica mi spinge a prendere tante iniziative; in questo sono sempre appoggiato da loro. Gli insegnanti di allora erano molto validi e pretendevano davvero tanto; allora protestavo un po’, perché da giovane ti pesa lo studio, ma adesso mi ritrovo tutto quello che loro mi hanno insegnato allora, anche urlando, ogni tanto, e pressandomi. Se oggi ho una professione, è anche grazie all’insistenza continua dei miei formatori di allora. Alla fine della seconda, durante le vacanze, gli insegnanti avevano avuto già sentore che io non volessi più andare a scuola, per andare a lavorare con mio papà. lui desiderava che io tornassi a scuola, ma non mi ha obbligato, mi ha sempre detto il suo parere, ma non mi ha mai imposto il suo volere; allora mi ero quasi convinto ad andare a lavorare. loro invece sono venuti a casa mia e, mentre prendevamo il caffè, mi hanno fatto vedere dei punti di vista che io non avevo considerato: con una qualifica, avrei potuto avere un futuro diverso, non come semplice muratore, sempre fuori al gelo, in balia delle intemperie; mi hanno invogliato anche con la prospettiva di una gita di quattro giorni che, nel successivo anno scolastico, avrebbe avuto Roma come meta; mi ricordo ancora oggi la frase che mi hanno detto: “quest’anno andremo a Roma, staremo tre o quattro giorni; non puoi certo perdere un’opportunità del genere!”. Praticamente mi hanno convinto in tutti i modi possibili. la loro iniziativa è stata fondamentale. Sicuramente l’insegnante che mi è rimasto più impresso è M. È stato lui a convincermi a continuare gli studi e a volermi qua come formatore; quindi ha avuto un ruolo importante. Un altro professore che è stato molto importante è stato il mio professore di officina, G.M., che purtroppo non c’è più; io fra l’altro ho cominciato a lavorare affiancato proprio a lui; poi, nel giro di sei, otto mesi, è venuto a mancare. È stato un colpo duro, perché ero contento di lavorare con lui; era un papà buono, oltre ad essere molto valido come formatore, aveva sempre una buona parola per tutti; il fatto che sia venuto a mancare proprio nel periodo in cui lavoravamo insieme mi ha scosso un pochettino. Penso anche a F.B., non tanto per la materia, che non mi piaceva, anche se lui sapeva insegnarla molto bene, ma per l’esperienza in cortile: la partitina, due tiri a pallone o le chiacchierate che si facevano in cortile. A me la matematica è sempre piaciuta e con M. mi sono trovavo bene: lui sapeva spiegare in modo molto efficace, facendo tanti esempi. la meccanica pura, con tutte le sue formule, non la digerivo proprio. lui sapeva insegnarla bene perché, oltre a fare teoria, faceva tanti esempi pratici, applicati anche a situazioni che si potevano incontrare 4 Si tratta di un secondo docente, ndr. 92 quotidianamente, come il motorino o la bicicletta, quindi era più facile per me imparare e poi magari anche ricordare quello che spiegava. È un metodo che sto adottando anch’io: mi è proprio rimasto dentro il fatto di non fare teoria pura e di evitare le spiegazioni lunghissime, perché, quando vedi che l’attenzione viene a calare, vuol dire che non stai producendo niente. il metodo di fare molti esempi pratici, di spiegare la lezione teorica in officina, facendo qualcosa di pratico, l’ho imparato da B., ottenendo ottimi risultati; se una spiegazione si applica a una cosa che i ragazzi possono toccare con mano, la ricordano facilmente. Clima di famiglia ero un po’ discolo, da ragazzo; mi ricordo che ai miei tempi la scuola era molto seria, i docenti molto severi. in classe eravamo circa trenta, uno più discolo dell’altro! Mi ricordo la fatica che facevano gli insegnanti a tenerci tranquilli; il nostro però era un bel gruppo; con diversi mi ritrovo ancora adesso e alcuni di loro sono diventati per me degli amici veramente importanti. episodi belli di quand’ero allievo ce ne sarebbero tanti, soprattutto in officina: ne combinavamo di tutti i colori! l’aspetto più importante penso sia stato il clima di famiglia; c’era infatti un bel clima al cFP. io ho avuto la fortuna di avere anche una bella famiglia alle spalle e dunque ho vissuto una certa continuità, mentre altri ragazzi, che magari erano un po’ più sfortunati, avevano alle spalle situazioni un po’ precarie e qua al cFP trovavano un bel clima non solo per la formazione, ma anche dal punto di vista umano, perché c’era sempre qualcuno con cui potevi parlare, su cui potevi contare. io, ad esempio, arrivavo da un paesino e, negli anni in cui frequentavo la scuola, mi sono trasferito a Bra; non avevo più il gruppo di amici che avevo prima, quindi ho dovuto ricominciare a tessere rapporti; devo dire che stavo incominciando a fare amicizie sbagliate e che non ho deviato grazie ai salesiani e a quel clima che c’era al cFP. Arrivando da un paesino di campagna, ero un po’ ingenuo e di tante cose, di tante esperienze, non sapevo neanche dell’esistenza; mi sono ritrovato dall’oratorio del paesino a girare per Bra, a non sapere cosa fare e dove andare, a bighellonare per le strade della città facendo il bulletto. Fortunatamente ho trovato l’oratorio, sono entrato nella squadra di calcio della PGS5, facevo l’estate ragazzi, poi l’animatore; diciamo che questa diventò la mia seconda casa. Cosa ho imparato al CFP oltre ad avere imparato la professione di meccanico, penso di aver imparato ad essere un po’ più uomo, rispetto a prima. ho imparato a prendermi le mie responsabilità, ho imparato anche a pregare, cosa anche questa molto importante, che non ero capace di fare. Anche la parolina detta all’orecchio, come faceva don Bosco, l’ho imparata qua. non so se riesco a spiegarmi: avere un occhio di riguardo verso tutti, non essere egoista ecc. Ad esempio, prima, in casa facevo “l’ospite”, mentre, dopo la formazione, ho incominciato a far parte della famiglia e a fare qualche lavoretto anch’io, ad aiutare, magari a rinunciare ad uscire con gli amici per dare una mano in casa, a guardare mia nonna che era ammalata e abitava con noi; tante piccole cose che prima non mi passavano neanche per l’anticamera del cervello. Al centro mi è stata inculcata un’idea diversa che mi sto portando dietro anche adesso. 5 Polisportiva Giovanile Salesiana. 93 L’ambiente che educa il ramo meccanico mi piaceva moltissimo e l’ho scelto io, ma il fatto di venire a scuola dai salesiani è stato voluto dal mio parroco; conoscevo i salesiani come realtà, ma non conoscevo questo ambiente, non sapevo neanche dell’esistenza del cFP. quando il mio parroco me ne ha parlato, dicendo che era un bell’ambiente, mi ha detto che mi sarei trovato bene, che avrei imparato a fare il meccanico, che là c’era anche l’officina. lui conosceva bene l’ambiente, conosceva anche le mie predisposizioni e mi ha convinto a venire qua. A quei tempi, per venire in una scuola salesiana, bisognava essere “raccomandati”; c’erano tante domande e quindi loro davano la precedenza a ragazzi non dico “raccomandati”, ma segnalati dai parroci. Sono entrato grazie al parroco e qui mi sono trovato veramente bene. Penso che tutte le scelte che ho fatto più tardi siano state condizionate da questo ambiente: sia il lavoro, sia il mio stile di vita. Prima di venire dai salesiani, ad esempio, la domenica mattina dormivo, non andavo a messa. Sono così come sono, con pregi e difetti, anche grazie a questo istituto, ai salesiani che ci sono e che c’erano. Purtroppo molti li ho già visti andare via o, ancora peggio, mancare. Sicuramente non deve mai mancare l’ambiente salesiano come lo ricordo io, quindi il cortile, lo stare in mezzo ai ragazzi, il giocare con loro, il vivere anche alcuni momenti fuori dall’aula, insieme a loro, cosa che, ogni tanto, per motivi di burocrazia o per i tempi che sono sempre stretti o per la fretta, viene meno. Magari si tratterebbe di mettere da parte la burocrazia, qualche volta, anche se non si può, altrimenti non arrivano i fondi, non arrivano i corsi; penso che l’aspetto più importante sia stare in cortile con i ragazzi, dire loro una parolina all’orecchio. quando si vede il ragazzo un po’ più triste, è importante provare a parlargli, stare con lui, fare un pochino i papà o meglio ancora i fratelli maggiori. Secondo me, questo è un aspetto che non deve mancare. Poi, in questo centro, la professionalità c’è, gli insegnanti sono validi, sono persone capaci. È emozionante ricordare cose che magari sono in un cassettino riposto del cervello, che non tiri mai fuori. È stato emozionante ricordare i miei insegnanti non come sono oggi, ma come li vedevo allora. Mi ricordo quello che mi hanno dato, quello che mi hanno lasciato, ricordo l’ambiente, questo cortile, non come è adesso, ma come era allora, ricordo i miei insegnanti e la grande pazienza che hanno avuto con me, cosa che allora non notavo, non vedevo; a quel tempo, credevo fossero dei “rompiscatole”, adesso mi rendo conto che stare dall’altra parte è dura, è difficile, perché magari arrivi al mattino coi pensieri tuoi, hai problemi in famiglia, ma non li puoi esternare, perché altrimenti hai già compromesso la mattinata con i ragazzi; devi essere paziente, anche se devi ripetere cinquanta volta le stesse cose, devi fare il sorriso, anche quando non ne hai voglia. Mi sono reso conto di tutte queste cose mettendomi adesso nei loro panni. È dura, però ti dà delle soddisfazioni che nessun’altro lavoro ti dà (intBra2). 2. IL CFP COME CONTESTO IN CUI IMPARARE AD ASSUMERSI RESPONSABILITÀ A. (intVr4) lavora oggi per un’organizzazione non governativa norvegese, la Norwegian Refugee Council (nRc), nella sede colombiana di Bogotà. il suo percorso ha preso avvio nel cFP salesiano “San zeno” di Verona nella prima metà degli Anni ’90. Dopo il cFP e l’istituto tecnico, ha continuato gli studi negli Stati Uniti e in italia. A differenza degli altri, ha inviato per e-mail le sue risposte alle 94 domande dell’intervista. ci offre il ritratto vivace di alcune figure di docenti e di un ambiente educativo complessivo che l’hanno stimolato ad assumersi responsabilità per sé e per gli altri. Ricordo il mio passaggio dall’essere poco più di un ragazzino all’essere adulto. il cFP mi ha permesso di affrontare quel passaggio in un ambiente sano e costruttivo, anche se a quell’età non lo capivo del tutto. l’impegno per il prossimo, in particolare per i giovani, è il messaggio centrale di un centro educativo salesiano. Si tratta di un impegno genuino, basato su una formazione al tempo stesso professionale e umana. il cFP mi ha insegnato a lavorare duro, con impegno e professionalità. la formazione grafica mi ha insegnato molto: pulizia, precisione, ordine, gusto e senso estetico. Un ambiente simile l’ho poi rincontrato nei centri salesiani di mezzo mondo, che ho avuto modo di visitare: USA, Sudan, etiopia, Kenya, Messico, colombia, Timor est. Realtà diverse, culture differenti, ma accomunate dallo stesso denominatore: l’amore per i ragazzi, particolarmente i più disagiati, per dare loro un futuro, basato su un lavoro dignitoso. lo sforzo è quello di prepararli a una vita da adulti responsabili sia in famiglia che nelle loro comunità. l’etica del lavoro, l’importanza della professionalizzazione e della formazione continua, l’onestà, la generosità e l’impegno sociale: questi sono i valori che ho acquisito al cFP. Un’esperienza decisiva di quand’ero al cFP è stata l’incontro con giovani salesiani indiani, africani, sudamericani e filippini, che frequentavano corsi di aggiornamento o erano di passaggio nel nostro centro. Sono stati loro ad aprirmi gli occhi sul mondo: da quegli incontri è scaturito il desiderio di viaggiare, di conoscere il mondo, non da turista, ma per fare qualcosa di importante, per me e per gli altri. nel 1999, un salesiano laico mi ha proposto di trascorrere un’estate in Brasile, da volontario. quell’esperienza è stata fondamentale, nel mio cammino umano e professionale, che mi ha visto perseguire studi prima negli USA e poi in italia e mi ha portato a lavorare in Africa, in europa, in Sudamerica e a visitare mezzo mondo. Senza quegli incontri con i giovani salesiani stranieri e senza quella prima semplice opportunità di fare un’esperienza di volontariato in Brasile, oggi non mi troverei dove sono e non sarei diventato la persona che sono ora. ci sono stati tanti grandi maestri, nella mia esperienza al cFP, persone serie, impegnate, oneste, con personalità differenti, ma tutte con una grande passione per la Formazione Professionale e per i giovani. Mi colpivano la professionalità, l’impegno, la presenza umanamente ricca, tipicamente laica, di diversi salesiani laici, ma anche di giovani insegnanti non salesiani. ho un ricordo speciale di G., forse il meno “tecnico” di tutti gli insegnanti, ma il più dotato di umanità; un salesiano vero, un’anima creativa, dolce e generosa, anche se talvolta perdeva le staffe e si lasciava andare ad un linguaggio “da stamperia”, ambiente dove aveva lavorato per anni, prima di diventare salesiano. ciò che colpisce di G. è la sua dedizione totale per i giovani. Simpatizzava sempre per i giovani “più matti”, le “teste calde”, che spesso finivano nell’ufficio del direttore per motivi disciplinari; uscendo da là, spesso andavano ad incontrare proprio G., nel suo indimenticabile ufficio, che era per noi come uno spazio protetto, dove potevamo fare quattro chiacchiere in pieno relax, sapendo di dialogare non con un professore, ma con un amico. G., seppure avanti in età, era il più moderno degli insegnanti, il più fedele all’idea di Don Bosco di “amare ciò che amano i giovani”. era sempre informato di ciò che sta a cuore ai giovani, attento a mode e sviluppi sociali. ci ha insegnato anche il gusto per il buon vino, per la poesia e per lo stare insieme, in comunità. Vino, poesia, creatività, etica del lavoro, amore per il prossimo: tutto questo fa di G. una persona indimenticabile. questi insegnanti sono stati tra i pochi a sostenere le mie scelte degli ultimi dieci anni, che mi hanno visto trascorrere prolungati periodi all’e95 stero, lontano dalla famiglia e dagli amici. la cosa più importante che ho imparato da loro è l’etica del lavoro: il valore e la cultura del lavoro, l’onestà, la promozione dell’iniziativa personale, che è un valore, ma solo se si accompagna al senso di comunità e all’impegno sociale. nella mia esperienza di lavoro con una ong in Sudan, ricordo l’affermazione di una suora, che mi vedeva spesso in mezzo ai ragazzi e ai bambini sudanesi: “n., sembri più salesiano dei salesiani”. la frase mi colpì molto e mi fece molto piacere. l’anno scorso, durante una visita di monitoraggio in colombia, in qualità di consulente educativo, una collega mi disse: “nessuno degli esperti venuti da fuori ha mai dimostrato tanto entusiasmo e un interesse così genuino nei confronti dei nostri studenti”. credo che queste frasi dicano un po’ il rapporto che c’è tra la mia formazione al cFP e la persona che sono oggi. credo che un cFP salesiano – in qualunque posto del mondo – si debba distinguere per l’altissima professionalità e debba permettere ai giovani di essere competitivi in un mercato del lavoro che cambia in modo vertiginoso. Sono importanti gli investimenti nell’infrastruttura, nelle attrezzature e nelle macchine, ma soprattutto quelli sui formatori, maestri di lavoro e di vita. il profilo degli insegnati di un cFP dev’essere alto; si deve investire su di loro, anche attraverso la formazione continua, e retribuirli bene; la parola chiave è “formatori”, non solo insegnanti, esempi per i ragazzi o, come si dice in inglese, role models; l’ambiente altamente professionale e tecnico dev’essere anche un ambiente umanamente ricco, dove i giovani possano imparare i valori dell’onestà, l’etica, l’impegno sociale e il critical thinking, ovvero la capacità di pensare con la propria testa, di fare domande e non dare nulla per scontato. la Formazione Professionale dev’essere allineata con il mercato del lavoro e innovare in continuazione i mestieri; in quest’epoca di altissima tecnologia, dove nemmeno la laurea è garanzia di lavoro, la Formazione Professionale dev’essere vista non più come un fine, ma come un passaggio formativo che permette al giovane di crescere anche come uomo. ho scritto queste risposte con un sorriso stampato in faccia, ripensando a quegli anni bellissimi e alle persone speciali che ho incontrato al cFP (intVr4). 3. UN APPROCCIO CENTRATO SUL FARE e. (intVr3) ha 45 anni, è ingegnere meccanico e lavora come formatore di area informatica all’istituto salesiano “San zeno” di Verona, dove ha studiato, e in un’altra società, sempre legata ai salesiani. la sua storia racconta come un approccio formativo centrato sul fare stimoli la curiosità di mettersi a cercare. non tutto ciò che si apprende passa dal fare, ma ciò che si impara facendo assume una densità del tutto particolare. compio gli anni fra quindici giorni, il sedici di agosto; non è casuale perché è il giorno della nascita di don Bosco; l’ho scoperto vent’anni dopo aver frequentato il cFP. Attualmente sono un professionista nell’ambito della formazione tecnica, in particolare informatica. Mi occupo di formazione per lavoratori, nell’ambito delle tecnologie informatiche e su come le tecnologie possono essere di supporto alla didattica. lavoro con i salesiani, dove mi sono formato, e con edulife, una società patrocinata dai salesiani. Per quanto riguarda il mio percorso formativo al cFP, mi piace ricordare la figura di un salesiano in particolare, don B. A quel tempo, nel 1978, era direttore del san zeno o del cFP, adesso non ricordo bene, ma comunque era una figura di rife96 rimento. Sono arrivato al san zeno presentato da un parente, don o., un secondo cugino di mio padre; da parte mia non avevo idea di che cosa fare, però mi piacevano le cose pratiche e, anche se l’indicazione di orientamento alle medie, se ricordo bene, era stata per un istituto tecnico, io scelsi il cFP, perché era qualcosa di pratico e mi incuriosivano questi aspetti. c’è da dire che, in quell’anno, della mia classe delle medie, su circa ventisette, avremmo continuato gli studi in tre: qualcuno è andato a lavorare in campagna, perché magari aveva la campagna, e qualcun altro è andato a lavorare in fabbrica, a fare scarpe o cose simili. il fatto che io fossi orientato verso un istituto tecnico e scegliessi il cFP, oggi, sarebbe un po’ strano, mentre a quel tempo era abbastanza normale; si trattava comunque di un modo per continuare nella scuola superiore. il fatto di frequentare il cFP al San zeno, in un contesto salesiano, era comunque orientativo. Ricordo sempre che, come assistente, avevamo don S., altra figura salesiana di riferimento; lui e d. B. mi hanno orientato a seguire, oltre che il cFP, anche l’iTi. Dunque ho fatto il percorso dei tre anni di cFP, fino alla specializzazione, e poi ho continuato alla sera, per altri tre anni, fino al diploma. Al quinto anno, un’altra figura salesiana che ricordo con affetto, don c., mi ha orientato ulteriormente dicendo che – eravamo nel 1984 – sarebbe stato opportuno che avessi continuato gli studi; la scelta cadde su ingegneria meccanica. È stato impegnativo per la mia famiglia, perché non era preparata a un percorso universitario che poi avrei svolto a Milano, però si sono fidati dell’orientamento dei salesiani, che avevano conosciuto anche partecipando al comitato dei genitori, e poi di me; avevamo fatto un patto: “Ti manteniamo, però tu impegnati al massimo e non disperdere energie”. Del cFP ricordo che feci la specializzazione come montatore meccanico e che fui primo assistente; da quell’anno, infatti, il 1980, don B. scelse di coinvolgere gli studenti che si iscrivevano all’iTi serale come assistenti di laboratorio al cFP diurno. quell’anno fu il primo in cui il san zeno scelse di fare questa proposta; io e un mio compagno di classe accettammo. quindi restai molto legato ai salesiani anche durante gli anni della scuola tecnica serale e questo mi diede l’opportunità di fare esperienza nell’ambito della formazione, con ragazzi che avevano uno o due anni in meno di me. Dell’esperienza al cFP poi ricordo il gruppo, la classe, e poi ricordo l’assistente salesiano che ci seguiva; c’era una particolare cura da parte dei salesiani nell’essere proprio di supporto, al di là del percorso scolastico; don S. ci faceva proprio da assistente nelle singole discipline; c’era insomma una specie di orientamento che favoriva la crescita in quel periodo adolescenziale. Ricordo che c’erano i famosi “buongiorno”, cioè un quarto d’ora, una mezz’ora, adesso non ricordo bene, di avvio della giornata, in cui non si iniziava subito con la scuola, ma si faceva una specie di introduzione alla giornata, un avviamento. c’erano poi anche dei momenti extra-scolastici, dove si facevano delle esperienze particolari: ritiri, gite, dove si metteva in evidenza non soltanto il bisogno di contenuti, ma anche di un particolare contesto; si faceva ad esempio una passeggiata, che non era un’attività semplicemente legata a un obiettivo di Formazione Professionale, ma diventava un momento di aggregazione importante, al di fuori della scuola. questa è una caratteristica che vedo anche adesso e che ha una valenza salesiana: il fatto di mettere assieme lavoro, studio e gioco, in modo tale che ogni persona, in questo contesto, trovi il modo di esprimere il meglio di sé. Poi ricordo chiaramente gli aspetti legati al lavoro nel cFP; avendo poi seguito il percorso dell’istituto tecnico e dell’università, mi chiedo quale sia il senso pratico di un ingegnere che ha frequentato solo il liceo; anche se avesse frequentato l’istituto tecnico, non cambierebbe molto: arriva a laurearsi progettando dei componenti, facendo delle scelte tecniche, senza aver mai toccato o provato a montare e smontare qualcosa. ecco, mi sembra una modalità un po’ astratta. io mi ritenevo fortunato del fatto che, quando c’erano delle attività di progettazione nel gruppo di lavoro che avevo all’università, ero io quello che 97 sapeva dare delle indicazioni chiare e operative, perché ero l’unico che aveva un’esperienza di laboratorio – quasi tutti gli altri provenivano dal liceo o dall’istituto tecnico – e questo sicuramente mi avvantaggiava. D’altra parte, però, c’è da dire che ho avuto più difficoltà degli altri nell’imparare a studiare, nel senso che, essendo più dedito alla pratica, poi, di fronte a chi aveva fatto un percorso liceale, più strutturato nel metodo di studio, ero svantaggiato. Però, una volta superato quell’ostacolo, ho condotto e concluso il percorso nei tempi canonici. l’esperienza formativa che ho vissuto al cFP ha sicuramente valorizzato una mia propensione, un mio atteggiamento, un mio modo di pormi, sia nella professione che nella vita, che è molto legato all’esperienza e al rendere pratiche le cose; ho dei punti di vista molto concreti e poco, diciamo così, intellettuali. Sicuramente il cFP ha fatto proprio un approccio che mi ha permesso di realizzarmi al meglio in questo mio modo di pormi; non è detto che sia il migliore, perché poi ci si rende conto dell’importanza che assumono anche gli elementi intellettuali e l’astrazione. nel cFP si è fatto un percorso di studio che potrebbe fare anche un lavoratore: dall’officina può passare ad essere un capo-officina, un perito e poi un progettista ingegnere. Per me, il percorso fatto è stato basilare, importante, perché mi ha permesso di sperimentare e di avere gli approfondimenti successivi e andare a soddisfare tutte le mie curiosità. Mi ricordo ancora quando, dopo che ho fatto il cFP e stavo concludendo l’iTi, ho pensato: “Beh, a questo punto, mica mi fermo! Devo andare avanti, perché devo approfondire questa curiosità che ho di conoscere le cose!”. interessante è stato l’approccio del cFP almeno dal punto di vista emozionale, perché è prevalentemente centrato sul fare; è dal fare che poi nasce la curiosità di capire il perché e, di conseguenza, è il fare che motiva a cercare e anche a studiare; dal fare, che è alla portata di tutti, poi si possono stimolare gli altri interessi che alimentano la motivazione allo studio. Tra l’altro, allora non erano in molti a continuare gli studi; il cFP era considerato una delle opzioni; il liceo, per chi arrivava dalla provincia, come me, era visto come una cosa molto astratta, che prospettava un percorso interminabile; al massimo si poteva considerare l’istituto tecnico. la sensazione è che negli ultimi tempi la situazione sia cambiata: anche chi arriva dalla provincia, per non dire dalla campagna, e va al liceo, cosa va a fare poi, se non va l’università? il modello delle professioni attuali è diverso rispetto a trent’anni fa; allora, la scelta del cFP rientrava nella norma, adesso il cFP è visto come l’ultima spiaggia per chi probabilmente non è portato allo studio. A quel tempo era diverso e probabilmente oggi il cFP assume un valore ancora maggiore di allora, rappresenta quasi l’unica opportunità per chi rischierebbe di non avere altri percorsi di studio. nella mia memoria c’è sicuramente il ricordo della prima lezione di officina con M., altro salesiano, coadiutore, che era tornato da una missione in Vietnam e faceva laboratorio al primo anno; ricordo il primo argomento, al tornio: la ripresa dei giochi dei carrelli. il gioco che la madre vite può avere – poteva anche esserci un errore di mezzo millimetro tra l’avanti e il dietro del carrellino che girava – determinava errori evidenti nelle lavorazioni; mi ricordo chiaramente che M. ci diceva: “Attenzione, ricordatevi…”, perché quelle che avevamo non erano macchine aggiornatissime. Adesso, con le macchine a controllo numerico, ci sono dei sistemi di compensazione. il passaggio dall’avere a disposizione un attrezzo da usare al capire come usarlo, per non commettere errori, è diventato un elemento di stimolo; uno è portato a utilizzare uno strumento pensando che quello che c’è dentro sia un problema che non lo tocca; in realtà è un problema mio anche quello, perché sono io che uso la macchina e devo perciò essere consapevole di come usarla. Un altro passaggio che ricordo, in laboratorio di saldatura, è su una cosa che allora non condividevo, una banalità: dovevamo imparare a saldare con la saldatrice elettrica su lamierini, dovevamo fare un cumulo di lamierini, praticamente, ed era impossibile saldare in elettrico dei lamierini cosi sottili – io dicevo che 98 non era possibile –, ma dovevamo fare così perché dovevamo imparare ad essere precisi. Un altro aspetto che ricordo, sempre in officina, era il montaggio delle apparecchiature, dei trapani; il montaggio doveva essere molto solido, perciò doveva essere fatto con differenza di temperature, riscaldando gli elementi in modo tale che la dilatazione favorisse l’inserimento del perno e poi il raffreddamento andasse a creare un componente più solido. Un’altra cosa che ricordo è che, in aula, quando si entrava nelle materie, diciamo così, umanistiche, l’insegnante di cultura, don R., aveva il suo bel da fare a fare in modo che fossimo interessati ad una materia come quella; però anche lui aveva un certo senso pratico, era comunque salesiano, cresciuto con quella cultura, e trovò il modo per farci piacere un complemento che era di tipo culturale, per avere almeno delle conoscenze umanistiche di base, di italiano ma soprattutto di storia. Ricordo che uno degli argomenti era il sessantotto: è riuscito a coinvolgerci con delle rime; ogni volta che ci trovavamo, raccontavamo, quasi come fosse una poesia, un brano che interpretava un po’ le motivazioni del movimento del sessantotto. Mi ricordo che era quasi una poesia sui conflitti sociali; me ne ricordo ancora un pezzo a memoria. c’era lo sforzo di dare anche delle basi culturali di tipo umanistico, in un contesto molto orientato all’agire, all’operatività. Parlando di don R., ricordo che avevo un compagno di classe con dei problemi di droga; l’unica droga, a quel tempo, era l’eroina; non riusciva a stare attento e provocava; questo spazientiva don R. che un giorno gli diede un ceffone e lo fece andare per terra. lo ricordo come un fatto di folclore, perché poi c’è stata anche una reazione da parte del ragazzo. Fu comunque l’unico momento in cui don R. perse la pazienza. Poi ricordo un altro insegnante, don l.; matematica, primo anno, primo compito in classe: l’unico quattro della mia vita l’ho preso quella volta. ho pensato: “Se comincia così…!”; comunque andò male a tutta la classe. Don T., in tecnologia meccanica, ci dettava, ci faceva scrivere quello che c’era già sul libro, ce lo faceva copiare sul quaderno. Sicuramente una persona che nella mia storia riconosco come esemplare è stato don B. che, proprio per la sua super sensibilità nel gestire le relazioni, ha avuto una forte influenza su di me; ha fatto sorgere un comitato di genitori che animava un po’ il tempo libero e faceva diventare l’ambiente salesiano un contesto dove non c’era solo la scuola ma anche la famiglia: una volta organizzavano la castagnata, una volta il carnevale; a quei tempi, non era scontato. ecco, guardando le cose adesso, da adulto, è proprio quello lo stile con cui io mi approccio alla vita di relazione; sicuramente quello di don B. è stato un esempio: la sua capacità di trovare il buono nelle persone, di credere nelle relazioni e quindi di valorizzarle, di coltivarle, perché prima o poi saranno di aiuto per continuare e per sviluppare ulteriormente una propria visione della vita. questo suo approccio, che tuttora è insuperabile in lui, lo ha portato anche a riuscire in ogni momento a individuare le persone giuste, a contattare le persone giuste affinché alcuni progetti potessero partire, dando fiducia veramente, consapevole che, se anche ci fossero stati degli errori, non sarebbero stati così cruciali ma sarebbero stati normali incidenti di percorso, e riconoscendo che c’era del buono. ecco io mi riconosco in questo atteggiamento; è un po’ l’atteggiamento che è stato importante anche nella storia di don Bosco; è un pezzettino di salesianità che fa parte del mio modo di pormi. Da un punto di vista specificatamente professionale, al cFP ho imparato cose che poi non ho mai applicato nella realtà, perché non ho mai svolto quell’attività; ho fatto uno stage e mi sono anche divertito, ma è scoprire come funzionano e come si fanno funzionare le macchine che mi piace; dal punto di vista prettamente tecnico mi piace, mi soddisfa, nonostante faccia un lavoro che è molto sulle relazioni; essendo un tecnico, un formatore sulle tecnologie, questo mi porta a saperle comunicare con estrema semplicità e in modo che risulta generalmente gradito anche ai partecipanti ai corsi che tengo. Da un punto di vista umano, come scuola di vita, al cFP ho sicuramente imparato un 99 forte senso del rispetto, la valorizzazione delle persone indipendentemente dalla loro capacità di esprimere quello che vogliono, quello che pensano, la capacità di capire e credere che in ogni persona c’è del buono che ha bisogno di essere messo in luce, se già non fosse evidente. questo l’ho visto su di me; è stato l’orientamento che ho ricevuto dai salesiani. la mia famiglia non era di cultura elevata; nel fare le scelte per i figli, per i miei genitori non era facile orientarsi; oggi, le cose sono diverse, forse perché è cambiato il contesto, il livello culturale generale. ho imparato dal cFP che le occasioni non si devono perdere; quando c’è del buono da valorizzare bisogna non aver dubbi nel valorizzarlo. la mia esperienza al cFP ha contribuito al mio sviluppo personale e professionale. Dal punto di vista professionale, vorrei riportare una battuta che ci facevamo sempre con i compagni di classe. S. era entrato all’iTi, senza provenire dal cFP, ed era segnato a vista: “ma tu non hai fatto il cFP!”. era un tipo molto curioso e voleva capire le cose e, quando faceva delle domande, gli rispondevamo: “Sai perché fai queste domande? Perché non hai fatto il cFP!”. Anche oggi, ogni volta che mi fa una domanda, gli ricordo che lui non ha fatto il cFP. questo episodio è rappresentativo del fatto che avevamo consapevolezza del valore di questo approccio molto orientato al fare. È proprio un’esperienza peculiare. nell’approfondimento teorico, uno bene o male si documenta; per carità, non è scontato, però il fare ha bisogno di qualcosa in più, ha bisogno di un contesto, di attrezzature, non è così immediato; mentre il sapere, bene o male, lo puoi ricostruire anche con internet, con la documentazione, con strumenti più accessibili di un laboratorio con le sue attrezzature. questo ci ha permesso di capire le cose non perché le studiavamo, ma perché le usavamo e questo è un aspetto che, io credo, mi ha condizionato positivamente tutta la vita: sono diventato molto pragmatico e riesco a dare delle interpretazioni che chi non ha fatto il cFP qualche volta fatica a cogliere, perché è molto più legato all’astrazione; la mia astrazione invece è molto limitata, a volte me ne accorgo. Per carità, tutto è relativo, però, quando ci sono delle cose pratiche, trovare una soluzione diventa una cosa molto più rapida, molto più veloce per me; quando si hanno dei problemi, ci si rende conto di chi sa risolverli e di chi non ha un approccio orientato alle soluzioni; questo deriva molto dal cFP e comunque è una mia attitudine che il cFP ha potenziato. essere formati sul fare rende più capaci di problem solving, rispetto a una persona che è abituata all’astrazione; chi si è formato più su questo versante, è più portato ad affrontare e risolvere i problemi; d’altra parte, se pensiamo ai percorsi di formazione dei giovani, sono pochissimi i contesti attuali in cui i giovani sono portati a confrontarsi con il fare, perché loro devono confrontarsi normalmente con un testo classico o devono imparare delle teorie, lavorando molto a livello di logica; mio figlio, che ha quindici anni, ha una capacità logica eccezionale, però con lui mi sto preoccupando di tenere aperto un canale anche sul pratico; mettere le cose sul pratico alla fine ti porta a confrontarti con l’esperienza, con contesti reali, e il contesto reale ti porta inevitabilmente a sapere, ad esempio, lo dico banalmente, quanto quella vite vada fissata perché possa funzionare senza rompersi; questo sapere passa dall’esperienza di averla già rotta durante un’attività; il fare ti porta a capire il limite delle cose e ti porta a essere là dove chi non ha fatto l’esperienza pratica non è. non c’è nessun contesto, tranne il cFP, dove si possa fare questo tipo di esperienza. È chiaro che ci sono ambienti dove la capacità di astrazione è rilevante, e in questi uno che ha fatto il cFP si sente meno a suo agio, perché non è stato formato culturalmente a questi elementi, però abbiamo detto che la vita è fatta di quotidianità e di aspetti che, nella maggior parte dei casi, diventa importante risolvere. Di fatto il lavoro che faccio oggi deriva dalla mia storia di formazione: da un lato ho una certa sensibilità nel gestire nel modo migliore possibile le relazioni con le persone e nel fare in modo che da queste relazioni possano emergere ulteriori opportunità, ricchezza e valori; così è stata un po’ l’esperienza che ho 100 vissuto all’interno del contesto salesiano; l’altro aspetto che ho maturato, mettendo insieme anche l’aspetto pragmatico, è la capacità di risolvere situazioni tecniche, ma anche questa capacità di porsi di fronte a qualsiasi tipo di problema, credendo che ci sia una soluzione; si tratta di studiare o di capire dove è la soluzione, ma una soluzione ci deve essere. questo è un aspetto etico e anche pratico, che spesso mi favorisce e quindi diventa un mio modo di pormi; quando mi viene posto un quesito, non dico che non lo so risolvere, ma riesco a dire: “secondo me, la soluzione può essere questa”; a volte la mia risposta non è proprio centrata, ma comunque so cogliere subito d’istinto dove potrebbe essere la soluzione e so assumermi la responsabilità di cercare e di trovare una soluzione. Sono un formatore tecnologico, ma sono anche una persona coinvolta nel fare in modo che le tecnologie possano essere da supporto nella formazione; è l’esperienza che sto facendo, negli ultimi anni, grazie anche all’attività su cui edulife si è focalizzata e su cui finalmente stiamo facendo delle esperienze direttamente con degli insegnanti anche al San zeno; si tratta di cercare il miglior canale di comunicazione con i ragazzi, senza voler mettersi a imporre il proprio. Alla fine il formatore è come uno che deve vendere un prodotto e, se l’altro non lo compra, nel senso che non lo fa proprio, vuol dire che tu non sei capace di venderlo, non che l’altro non è capace di sceglierlo. questa è una sintesi da tecnico, che deriva anche dall’esperienza che sto facendo; la questione è come passare dall’apprendimento all’insegnamento, dalla centralità sugli insegnanti, alla centralità sugli studenti. ecco mi sento di dire ai docenti che chi non si sente di fare questo sforzo – di pensare di essere lui il problema, se un ragazzo non capisce – non impara; il problema non è il ragazzo che non comprende. Da questo punto di vista poi le tecnologie favoriscono, perché i ragazzi sono nati con le tecnologie e quindi, se le utilizziamo, utilizziamo dei canali che favoriranno la loro capacità di comprendere. Facilitano il lavoro dell’insegnante, il lavoro di trasmettere, di vendere il suo prodotto, il contenuto che vuol passare al ragazzo; visto che parliamo di migranti e di nativi, i nativi, in questo caso, sono i ragazzi, mentre i migranti sono gli insegnanti; non ci si deve preoccupare di essere migranti, perché credo che questo sia un passaggio anche per lavorare meglio. ho fatto uno sforzo notevole nel ricordare; lavoro tuttora nella scuola dove ho fatto il cFP e rivedo quasi tutti gli insegnanti che mi hanno formato, per cui da un lato il rischio è che, entrando nell’abitudine, si perdano alcune esperienze. quando incontro un insegnante che non vedo da vent’anni, probabilmente mi si attivano più ricordi. Da un certo punto di vista, mi sembra di aver detto le cose che vivo tutti i giorni, anche se, in realtà, ho dovuto sforzarmi un po’di fronte alle domande, per ridare valore a degli eventi che per me sono diventati scontati. ho cercato di tornare a guardare queste figure con gli occhi con cui li guardavo allora. Simbolicamente, il corridoio della scuola che io attraverso tutti i giorni, mi fa memorizzare immagini che sono attuali. A M. probabilmente quel corridoio fa vedere un’immagine di trent’anni fa, mentre a me quel corridoio oscura il ricordo, perché lo vedo come il contesto attuale e non come era trent’anni fa; quindi forse per me diventa più difficile ricordare quello che è successo trent’anni fa (intVr3). 4. UNA FORMAZIONE CHE INSEGNA A RISOLVERE PROBLEMI D. (intBra6) è un piccolo imprenditore artigiano che ha frequentato il cFP di Bra dal 1987 al 1990. nel suo racconto mette l’accento sul carattere pratico di una formazione che fa diventare capaci di affrontare intelligentemente i problemi. 101 L’attività professionale Faccio l’antennista e mi occupo di tutto ciò che riguarda gli impianti elettronici, dal cancello, all’automazione, agli impianti elettrici. Sono un libero professionista dal 1999. ho cominciato a lavorare presso ditte della zona di Bra come addetto alle macchine utensili, ambito inerente alla formazione che ho ricevuto dai salesiani. Poi ho fatto il militare, come quasi tutti i ragazzi di diciotto anni dei miei anni, e mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto: ho incominciato a montare l’autoradio al colonnello avvicinandomi così alla parte elettronica del mio lavoro. Da militare ero caporale maggiore, addetto alle comunicazioni e quindi, quando facevamo i campi, dovevo allestire le comunicazioni. Poi la passione per queste cose mi ha portato a darmi da fare in questo campo e, a poco a poco, l’hobby si è tramutato in lavoro. quando sono tornato dal militare, sono andato a lavorare per un negozio di elettronica dove sono rimasto per quattro anni; vendevamo un po’ di tutto, dal “bianco”, cioè frigoriferi, lavatrici ecc., al “bruno”, cioè amplificatori, televisori, cellulari. Dopo sei anni, il mio datore di lavoro si è spostato in centro, aprendo un negozio un po’ più di nicchia, solo di telefonini, e allora mi sono trovato senza lavoro. ho preso i cinque milioni di liquidazione e li ho investiti e, piano, piano sono cresciuto, grazie al passa parola di clienti e amici. L’officina del CFP e l’ambiente di lavoro fuori Già negli anni della scuola facevamo degli stage nelle varie ditte di Bra. non guadagnavi niente, però serviva per formarti. c’erano alcuni che andavano in giro per Bra a fare niente, mentre io preferivo lavorare. Anche perché, se non lavori quando sei giovane, poi da grande è più difficile. il mondo del lavoro è diverso dall’officina del cFP, anche perché, nel mondo del lavoro, oltre che della tua formazione, devi interagire con tante persone che arrivano da ambienti diversi e magari vogliono farti le scarpe; allora incominci a farti furbo. Una volta bruciato, la seconda volta fai molta attenzione. Il volontariato ho fatto i primi due anni al cFP qui di Bra e il terzo anno dai salesiani di Fossano; spesso e volentieri ho modo di vedere sia w. che altri professori, M., perché vengo a fare qualche lavoretto qui dai salesiani. comunque, io, w. e B. siamo anche dei “Battuti Bianchi”, una confraternita che fa opere di beneficienza e cerca di aiutare don M. in Africa; abbiamo iniziato ad aiutare, sempre nel nostro piccolo, anche un’associazione che fa servizio per gli handicappati; alcuni confratelli nostri collaborano e allora da due anni a questa parte diamo un po’ in Africa e un po’ lì; quando vai all’associazione, esci con il cuore in mano perché è una realtà non facile. 102 Il clima Sono stato sempre benissimo al cFP, perché la parte della scuola era ben unita a quella del divertimento. Ricordo con piacere don B., che era il direttore di allora. Ricordo le sue tirate d’orecchie a me, perché avevo i capelli lunghi, oppure a quelli che avevano l’orecchino, oppure a noi che fumavamo di nascosto; parliamo del periodo che va dal 1987 al 1990. ho visto che, dopo venti, venticinque anni che sono tornato a fare scuola agli apprendisti elettrici, la realtà dei ragazzi di qua è preoccupante. Per noi i professori erano quasi come i genitori: i genitori ti vedevano quattro ore al giorno, i professori sei, sette ore; avevi rispetto per loro. Se il professore ti rimproverava, tu stavi zitto e andavi per la tua strada con la coda bassa. Adesso trovi persone irrispettose; questo però è un problema comune a tutte le scuole. La formazione pratica la cosa che faceva piacere è che facevi tantissima pratica, mentre nelle scuole più tecniche facevi solo ed esclusivamente teoria e quasi nessun laboratorio. con il senno di poi, dico che, se avessi studiato un po’ di più, nelle materie teoriche, come italiano e fisica, adesso sarebbe meglio; non è che adesso faccia fatica a stilare una lettera, però non mi viene subito. Solo che dico questo a trentasette anni, rispetto ai diciassette che avevo quando frequentavo il cFP. Mi piaceva lavorare in officina, poi mio papà ha sempre lavorato in una ditta di Bra che faceva cavi ponte per la Germania, una ditta che dava da mangiare a quattrocento famiglie al tempo e che più tardi, nell’82, è andata in fallimento. Sono stato sempre in mezzo al ferro; mio padre ha fatto il fabbro, lavori in ferro battuto e simili, quindi per me la scuola era quasi come essere a casa; ho trovato che qui a Bra erano molto più tecnici a livello di macchine utensili, mentre a Fossano erano più avanti con l’elettronica e la pneumatica. qui a Bra tutti i professori erano rigidi, non potevi sgarrare sulle macchine utensili, però poi questo ti tornava utile da grande. quando sei in un’officina grande, piccola o media, ti ritrovi magari i periti che hanno fatto l’iTi, che hanno fatto tanto disegno tecnico. loro però non capiscono che una cosa è disegnare un pezzo e una cosa è farlo; loro sono più teorici. qui, più che altro, parti dalla base, cioè dal pezzo di ferro, che magari G. non sapeva neanche che cosa fosse; per lui il ferro poteva essere quello che c’è nella carne! Da lì comunque cresci perché loro ti insegnano dalla a alla z, però molte cose vanno in automatico, giustamente; cioè, se la classe andava avanti a fare la famosa morsa – chiunque abbia frequentato questo cFP ha fatto la famosa morsa a coda di rondine come esito complessivo di un lavoro durante l’anno –, la lasciavano andare, se non ci riusciva, il professore ti aiutava. Però era bello iniziare da zero, imparare a usare le macchine, incominciare a capire che cosa facevi e non fare solo in automatico ma capendo perché lo facevi, cosa che non è sempre semplice. qui impari a crescere nel lavoro e come persona e impari ad aggiustarti, nel senso che, se trovi un problema, hai più facilità a risolverlo, perché hai conoscenze in più rispetto a un perito che ha studiato l’elettronica solo in teoria. Magari quello sa leggere meglio uno schema elettrico, però, a livello manuale, non sa togliersi dai pasticci. Magari sei in un cantiere e hai qualche problema e devi risolverlo da solo. io l’ho detto a tutti che qui ti insegnano a risolvere i problemi con più facilità rispetto che in altri contesti. nessuno nasce “imparato”, devi comunque crescere, e sono proprio quelle piccole malizie che ti aiutano a crescere. qui ti insegnano ad arrivare al prodotto finito partendo dal ferro 103 grezzo; c’è quello che rompe le scatole all’insegnante per chiedere aiuto; invece a me piaceva annaspare un po’; loro ti aiutano comunque a crescere. Poi, una volta avviata l’attività, facendo un lavoro dalla signora Maria, a mettere a posto il cancello, a mettere a posto la porta, hai la mente molto più sensibile e riesci a spaziare. Se tu hai la mente molto elastica su determinate cose, anche su lavoretti inerenti a cose diverse, e hai la flessibilità di capire la soluzione del problema, anche se non è strettamente legato al tuo lavoro, all’utente finale ti rapporti in maniera diversa; molti invece non rie - scono a uscire dal loro settore. qui fanno in maniera che il tuo cervello riesca a ricevere l’input e a trovare una soluzione al problema che si è posto. Anche scambiando due parole con gli allievi, la cosa che trovo predominante è questa: qui ti formano sul lavoro, ti danno delle basi molto solide – poi la realtà dell’azienda è un po’ diversa –, che vengono assimilate; i ragazzi sono un po’ come i bambini che assorbono come delle spugne; poi ti trovi con un bagaglio importante che ti viene in aiuto davanti ad alcuni problemi, anche senza che tu te ne renda conto. I docenti importantissimo era l’affiatamento che i professori avevano tra loro; erano molto affiatati e gli alunni si trovavano come il bambino con i genitori; se il bambino ha fatto una monelleria, va dalla mamma perché è più buona rispetto al papà; qui, se avevi fatto uno sbaglio da una parte o dall’altra, venivi sempre castigato, ma giustamente. lo facevi una volta, due e poi ti facevi furbo e cercavi di rigare dritto. Una cosa che si deve riconoscere è la disciplina; un ragazzo di quindici, sedici anni, se non gli dai un po’ di disciplina, fa molto in fretta a prendere una strada sbagliata. Tante volte ti facevano storie perché avevi l’orecchino, i capelli troppo lunghi o perché andavi a fumare una sigaretta di nascosto, e andava bene così, perché, vedendo adesso i giovani, posso dire che sono molto poco rispettosi, sia qui che in altre scuole. Tutti i professori erano in gamba, da w. a M. che ci faceva officina; poi c’erano c., M., che ci faceva disegno, D., che adesso è onorevole della Repubblica. Volevamo bene a tutti, perché sono brave persone. quando era giusto, ci rimproveravano e quando era giusto, ci elogiavano. i professori che sono qui comunque hanno il merito di essere coscienziosi; sono sempre dell’entourage dei salesiani, anche se non sono sacerdoti; sono molto coscienziosi e con un cuore grande. Stamattina w. mi ha telefonato per l’intervista e mi ha fatto piacere accontentarlo – piuttosto non vado a casa a mangiare –, non perché mi senta in debito con loro, ma perché mi fa piacere, e poi, quando una persona ha bisogno di una mano, è giusto dargliela. Sono sicuro che anche lui farebbe così per me. Si instaura un rapporto quasi come tra padre e figlio, tra insegnante e allievo; ovviamente nell’arco degli anni ti perdi di vista, però quando ti ritrovi è come ritrovare un amico che era andato via e rivedendolo è tutto come prima. Gli insegnanti che sono in officina mi dicevano che oggi i ragazzi sono meno rispettosi. Tutte le volte che mi chiamano a fare qualche lavoro qui, trovo l’ambiente molto cambiato, non per quanto riguarda i docenti, ma per i ragazzi. Se io penso a come ero alla loro età, c’è molta differenza. i professori adesso, se danno uno scapaccione a un ragazzo, vengono denunciati. 104 La disciplina e il lavoro Al cFP innanzitutto ho imparato la disciplina, perché non sembra ma, rispetto alle superiori, lì c’era davvero disciplina. Premetto che, fin dall’inizio, volevo venire qui al cFP, però il primo anno non c’era posto e allora sono andato all’iTiS, che non era una scuola per me: c’era troppa teoria e poca pratica. qui impari ad essere più disciplinato e poi ti insegnano effettivamente un lavoro. Prima stavo parlando con gente di qui che mi diceva che hanno rinnovato e stanno organizzando i corsi per parrucchiere ecc. Si esce da qui che comunque hai un mestiere; poi dipende da persona a persona, qualcuno ha una marcia in più rispetto ad un altro, però le basi sono state messe, un po’ come le fondamenta di una casa; poi c’è quello che riesce a sfruttarle di più e altri che invece le accantonano. Al cFP ti danno un’infarinatura su tutto, e poi soprattutto in meccanica sono molto preparati. La religione questa esperienza ti fa essere più vicino alla religione, a Dio, a pregare; qui c’erano le messe. Tu capisci che un ragazzino di quattordici anni o quindici anni ha altre cose per la testa, perché pensa al motorino, alla bici. quando uscivi da scuola pensavi a queste cose, allora riesci comunque a crescere anche come persona con determinati valori e quello che hai acquisito lo trasmetti ai figli. Sicuramente è importante tenere ai valori di sempre: mantenere le cose che si stanno facendo, avere tanta pazienza, anche perché i risultati li vedi dopo anni. Se tu fai una statistica di chi è uscito da qua, di che cosa fa o cosa è andato a fare, ti rendi conto se hai lavorato bene o meno bene, però questo si vede molto in avanti. 5. LA FORMAZIONE PRATICA CHE SERVE ANCHE AI DIRIGENTI M. (intFoss6), classe 1965, è ingegnere elettronico e responsabile dell’area tecnica di un’importante azienda meccanica. ha frequentato il cFP di Fossano tra la fine degli Anni ’70 e l’inizio degli Anni ’80. nel suo racconto, mette in evidenza quanto la formazione pratica maturata al cFP, per quanto a tratti un po’ ruvida, gli sia servita nella vita personale e professionale. Il percorso formativo e professionale lavoro per un’azienda che fa macchine laser per la lavorazione della lamiera, in particolare il taglio. Sono responsabile dell’assistenza tecnica. oggi sono dirigente, mi occupo di postvendita, gestisco insieme ad altri collaboratori un gruppo elevato di persone sparse in tutto il mondo. Siamo circa trecentocinquanta, con un fatturato notevole, di milioni di euro. Sono un tecnico e ho avuto una formazione molto pratica, che è un po’ la chiave di tutto. Sono diventato manager per forza. Mi è andata bene all’interno dell’azienda, ho avuto la possibilità di seguire una parte molto tecnica, anche dal punto di vista gestionale. ho un senso molto pratico, che mi deriva certo dal carattere, ma anche dalla formazione di base che ho ricevuto, che mi ha permesso di essere una 105 persona molto pratica. lavoro in questa azienda dal 1994. ho fatto il cFP e poi ho proseguito facendo l’integrazione di due anni all’iTiS per poter prendere il diploma di perito meccanico; avevo seguito il corso di congegnatore meccanico. Già al cFP, per poter accedere all’iTiS ho fatto l’esame da privatista; è stata un’esperienza bellissima. Poi mi sono iscritto al Politecnico, ho dovuto fare un corso integrativo di matematica, perché all’iTiS, in quinta, non c’era matematica; è un peccato, perché a me piaceva molto e io andavo bene in quella materia; credo di essere stato il più bravo della classe, fino al quarto anno; il liceo scientifico in matematica ti dà una formazione diversa, più orientata all’università. ho fatto questo corso integrativo gratuito, dopo di che è cominciata l’avventura universitaria. Devo dire che all’inizio ho trovato qualche difficoltà. ho sempre studiato poco, a scuola andavo bene nelle materie tecniche ma non in italiano; del resto, le materie tecniche mi piacevano molto e io imparavo ascoltando le spiegazioni, le interrogazioni; all’iTiS ho vissuto praticamente di rendita, perché il cFP mi ha dato una preparazione veramente forte dal punto di vista tecnico: disegno, meccanica ecc. All’università bisogna studiare, lì non c’è verso di sopravvivere senza studio. io non sono mai stato un grande studioso, ho faticato un pochettino, poi ho cominciato a lavorare già durante gli studi. lavoravo il venerdì e il sabato e poi, durante l’estate, nell’azienda in cui lavorava mio padre. lì ho trovato una persona che mi ha insegnato a fare piccole macchinette elettriche, ma già dall’iTiS ho incominciato ad interessarmi delle cose elettriche. Al Politecnico ho fatto elettronica; ero perito meccanico e mi sono iscritto ad ingegneria elettronica; sono andato fuori corso, anche perché il sabato lavoravo e la domenica riposavo; il mio percorso all’università è stato un po’ lungo e travagliato. Poi sono partito militare e ne ho fatto solo una parte, perché giusto quell’anno sono uscite delle normative che, se avevi dei fratelli che avevano fatto il militare, potevi essere esonerato; sono andato a Fossano, nei carabinieri, e per quei mesi mi hanno pure pagato. Tornato dal militare, ho finito gli esami e nel frattempo ho aiutato mio cognato ad aprire un negozio di componenti audio, che non centrava nulla con il mio percorso di studio, ma mi permetteva di mantenermi i divertimenti e le vacanze. Mi sono laureato in ingegneria elettronica con indirizzo automazione; volevo coniugare la meccanica elettronica con l’automazione; dopo questo ho cominciato a far circolare un poco il curriculum e così sono entrato in azienda. Poi, tranne un piccolo intervallo di otto mesi, sono praticamente sempre rimasto nella stessa azienda. quando ho fatto il colloquio mi hanno detto che bisognava un po’ sporcarsi le mani. A questa affermazione, mi sono cadute le braccia, perché io ho sempre lavorato con le mani e pensavo che con la laurea avrei fatto il progettista. Stiamo parlando del ’93; era veramente un periodo critico, eppure ho trovato subito lavoro in questa azienda, dove mi hanno detto che c’era da lavorare in officina a fare la messa in funzione del collaudo delle macchine a controllo numerico, praticamente dei robot cartesiani. in realtà loro mi hanno preso per farmi fare il responsabile di questo gruppo di persone; infatti dopo pochi mesi sono diventato responsabile; facevo però anche istallazione delle macchine presso i clienti; insomma mi sono fatto una bella gavetta. ho fatto questo mestiere per un paio di anni e poi c’è stato un primo passo verso la progettazione, dopo di che mi sono licenziato; non mi piacevano né il reparto, né il responsabile. ho trovato lavoro in un’altra azienda vicino ad Alba, che faceva automazione; sono andato lì e ho scoperto che fare progettazione forse non mi piaceva come invece pensavo: stare seduto in un ufficio non era per me, io avevo bisogno di muovermi, di vedere le macchine, non riuscivo a stare fermo; dopo qualche mese, già cercavo un altro posto. ogni tanto tornavo nell’azienda di prima a prendere dei documenti e per caso il mio vecchio capo, oggi amministratore delegato, mi ha chiesto come andava; io, che sono una persona abbastanza trasparente, gli dissi come stavano le cose e lui mi fece un’offerta di lavoro come responsabile della qualità dei 106 prodotti; allora sono tornato nell’azienda di prima, ho cominciato ad occuparmi di qualità del prodotto e poi di qualità a livello aziendale; ho fatto qualche anno così, però dal punto di vista tecnico non è che lavorassi molto; incominciavo ad essere un po’ stanco; ad un certo punto si licenziò il responsabile dell’area tecnica e mi chiesero se volevo farlo io; era il settembre del 2001, qualche giorno prima dell’attentato alle torri gemelle; me lo ricordo bene. Sono ancora lì a fare quello; nel frattempo, son cresciuto io, è cresciuta l’azienda, abbiamo aperto molte filiali in tutto il mondo; adesso giro parecchio; anche se a volte mi occupo di dettagli puramente tecnici; il mio è un lavoro prevalentemente gestionale. l’azienda è diventata grande, quindi bisogna fare margini, assicurarsi che i clienti siano contenti, che il prodotto sia sempre a livello ecc. e noi ci divertiamo molto. L’esperienza al CFP Per quel che ricordo, quella del cFP è stata un’esperienza bellissima, anche se molto faticosa, perché abitavo a carmagnola e quindi viaggiavo tutti i giorni: prendevo il treno al mattino, alle sette e venti; alla sera, alle sette meno dieci, salivo sul treno che mi riportava a casa. A casa cenavo e si può dire che in un baleno era già mattina e ora di andare in stazione; da questo punto di vista, il percorso è stato abbastanza impegnativo. Facevamo mediamente mezza giornata in officina e mezza giornata di lezioni in aula. A me piaceva moltissimo l’officina; del resto, sono un “aggiusta tutto” da condomini. Mi piacevano le materie tecniche e, tutto sommato, a scuola andavo bene. non sono uno che riesce a entrare facilmente nei gruppi, non amo l’associazionismo e nemmeno i giochi di gruppo; giravo per i cortili con due o tre amici e venivo sempre sgridato per questo. Più tardi, al Politecnico ho avuto una buona formazione, per carità, che però non mi ha soddisfatto più di tanto; sapevo che mi dovevo laureare, che dovevo finire, e l’ho fatto. Mi è piaciuto di più il cFP; anche all’iTiS mi sono trovato bene, anche se devo dire che ho vissuto di rendita, perché al cFP la formazione che avevo ricevuto era molto robusta sia dal punto di vista pratico – ero il mago dell’officina – sia per quanto riguarda la matematica o le materie come tecnologia e meccanica. questo forse mi ha un po’ penalizzato; abituarmi a vivere di rendita mi ha tolto un po’ la capacità di studiare; quando sono arrivato all’università, ho preso una terribile botta in faccia. Dal punto di vista personale, credo che l’esperienza del cFP sia stata fondamentale. ho una figlia piccola e devo dire che ho un po’ di paura del futuro, della scuola, delle frequentazioni, degli ambienti e delle persone con cui potrebbe entrare in contatto; vedo tante cose che non mi piacciono. Andare in una scuola che ti impegna tutto il giorno e diventa la tua principale occupazione, una scuola cattolica – pur non essendo io molto praticante, sono contentissimo di aver fatto quella scuola – credo che mi abbia favorito. le scuole dei salesiani danno una formazione forte dal punto di vista tecnico, ma anche culturale, nelle materie scolastiche tipiche, e anche dal punto di vista della disciplina. credo che i tre anni passati dai salesiani mi abbiano modellato e mi abbiano dato una formazione tecnica e professionale consistente. Devo dire che ho anche sofferto in quella scuola, che ti fa un po’ la pelle dura. col senno del poi, posso dire di essere contento di averlo farlo, anche se in quel momento mi pesava sapere che i miei compagni del paese a pranzo erano a casa e io invece ero ancora a scuola; questo, quand’ero ragazzo, mi dava un po’ fastidio; oggi però sono contentissimo di avere fatto quel percorso. Mi rendo conto che fare una scuola professionale e poi l’università è un percorso un po’ atipico; vedevo che i miei compagni di università che provenivano dallo scientifico erano molto più preparati di me, con una mentalità diversa, più adatta per quel tipo di studi; erano abituati alla 107 teoria, io invece ero abituato alle cose pratiche. Del resto il cFP non poteva che essere una scuola pratica e per me è stato utile; lavoro in un’azienda che costruisce macchine, per cui per me aver frequentato il cFP è stato un punto di forza, che mi ha guidato all’interno dell’azienda fino ad arrivare alla posizione di dirigente della parte manutenzioni, riparazioni, istallazioni. quella scuola ti dà una formazione di base forte per poter andare a lavorare e oggi non è cosa facile trovare lavoro; secondo me, con una formazione del genere, lo puoi trovare. la conoscenza della lingua è però fondamentale; lavoro in un’azienda in cui la lingua è essenziale: i nostri collaboratori sovente sono stranieri, abbiamo dei colleghi stranieri in azienda che non parlano l’italiano; quindi siamo noi che parliamo in inglese magari in maniera maccheronica; noi oggi tendiamo a scartare le persone che non hanno un minimo di dimestichezza con la lingua inglese. Buona parte del percorso che ho fatto io al cFP si svolgeva in officina, il che ovviamente è fondamentale per andare a lavorare in un’azienda meccanica. I docenti nonostante la scuola fosse dura, mi sono divertito molto; nonostante la mia fosse una scuola cattolica e quindi con regole abbastanza severe, c’è sempre stato un buon clima. io poi sono un tipo che si adatta alla disciplina e non la patisco più di tanto. È una fortuna trovare i compagni giusti, ma il clima complessivo dipende dalla gestione che ne fanno i professori. Ricordo positivamente tutti i professori; erano tutti giovani. Don S. mi piaceva moltissimo come persona, lo ricordo molto volentieri; mi dispiace di non essere più tornato a trovarli, anche perché mi sono trasferito a Torino. erano molto severi, devo dire, soprattutto in officina; mi ricordo che lì c’era un rigore molto elevato, con D. che ci faceva rigare dritto; secondo me questo è utile. in questo periodo faccio diverse selezioni del personale, vedo personale giovane, ragazzi che vogliono fare i tecnici, e devo dire che faccio molta fatica a trovare gente adeguata; spero sempre di trovare gente che arrivi da questo tipo di scuola, perché qui danno un’impronta molto pratica e anche un po’ di disciplina e di regole fanno bene. D. mi è rimasto impresso perché era uno molto duro, ma non cattivo; le sue sfuriate in officina me le ricordo bene; purtroppo non c’è più, è stato vittima di un brutto incidente. lui mi è rimasto impresso e il suo carattere non mi ha mai turbato; qualcun’altro magari ne rimaneva turbato. Mi ricordo bene anche di don S.; io non avevo voglia di studiare italiano, nei temi non ero granché, non mi piaceva studiare storia e questo anche oggi mi penalizza un pochettino nella dialettica; poi, quando sono in giro per il mondo e devo parlare, non dico a folle oceaniche ma a delle platee di persone, ogni tanto mi rendo conto delle mie carenze. Mi ricordo di don S. perché, nonostante ciò, era uno che ci voleva bene, ci sapeva prendere nel modo giusto, aveva un buon carattere. M. me lo ricordo perché la matematica era una delle materie che mi piaceva e lui mi trattava bene; questo è continuato anche all’iTiS; io mi sedevo in un punto ed ero circondato, soprattutto all’iTiS, da quelli più scarsi che si sedevano attorno a me per avere un aiuto; questo mi è rimasto impresso, perché ero come un passa informazioni. Anche A. mi piaceva molto; essendo giovane, aveva un rapporto molto amichevole con noi, però serio. All’iTiS devo dire che la mia era una buona classe; non so se quelli erano anni fortunati, io mi sono sempre trovato attorno brava gente, con la testa apposto, però ho notato la differenza nel rapporto con i professori e nel rispetto verso i professori; tutto al cFP era un po’ diverso. Se, in officina, facevi qualcosa che non andava bene, ti prendevi una sfuriata; faceva il suo effetto. ho dei flash indelebili delle ore di matematica; mi piaceva tanto la geometria; per me era come fare un Sudoku, un gioco. Mi è rimasta impressa anche la tecnologia: mi piaceva ascoltare A. 108 oggi guardo poco la televisione ma, quando lo faccio, mi piace guardare documentari di scienza e tecnologia. All’iTiS i momenti più belli per me erano le lezioni e le interrogazioni; ascoltavo quello che dicevano gli altri e imparavo. la matematica ce l’ho nel sangue; certo la devi studiare ma la devi anche avere un po’ nel sangue; credo che fosse già una mia passione quando sono arrivato al cFP; ovviamente, stimolato nella maniera giusta, questa passione è poi cresciuta in me. Mio padre era un appassionato di bricolage; avevamo una cantina attrezzata di tutto; io andavo con lui in cantina e lì montavamo, smontavamo modificavamo ecc. in matematica andavo già bene alle medie. Abitavamo in val di Susa, andavo in seconda media; un giorno la professoressa, una bella ragazza che ricordo bene, mi chiese di seguirla in una classe terza e mi diede alla lavagna un esercizio chiedendomi di risolverlo e io l’ho risolto; questo per dimostrare a quelli di terza che uno di una classe inferiore riusciva a risolvere un esercizio in cui loro non riuscivano; questo mi ha fatto molto piacere e lo racconto per dire che già la matematica l’avevo nel sangue. Un ambiente come quello, con materie prettamente tecniche, non ha fatto altro che accrescere questa mia passione che poi però ho perso all’università, perché di pratico al Politecnico non c’era nulla; era tutta teoria e per me era come andare contro natura. La formazione pratica che serve anche agli ingegneri io sono laureato, ma credo che la laurea mi sia servita poco; è poco di più di un pezzo di carta; comunque con la laurea, sul lavoro, sono partito da un livello più alto; oggi, nelle aziende, se non sei laureato, è difficile accedere a ruoli manageriali; sotto questo punto di vista, il pezzo di carta mi è servito. ovviamente il Politecnico ti dà una cultura importante ma, se devo dire a cosa mi è servito quello che ho imparato al Politecnico, devo dire che non mi è servito a molto; è stata più utile l’esperienza vissuta al cFP e l’esperienza che ho fatto per conto mio, lavorando sulle macchine. quando ho fatto il colloquio nell’azienda in cui lavoro, mi hanno portato davanti ad una macchina mai vista; mi sono messo lì e il mio interlocutore si è reso conto subito che capivo di che cosa stavamo parlando; avendo io un senso pratico e tecnico molto forte, sono riu - scito subito ad entrare nel vivo delle cose. questo, in un’azienda che fa macchine, mi ha aperto tutte le porte. quando ho fatto il primo colloquio nell’azienda in cui lavoro e mi hanno assunto, mi sono proprio reso conto che quello che ha contato di più, nella mia carriera, sono state proprio la formazione che avevo ricevuto e la pratica che avevo fatto nel lavoro che facevo part-time. quando poi arrivi a ricoprire ruoli manageriali, ad essere responsabile del settore tecnico, comunque la padronanza delle cose tecniche devi averla, per essere credibile. questo l’ho appreso dai miei inizi, dalla Formazione Professionale e dal lavoro che facevo a tempo perso. la formazione che ti dà l’università va in una direzione un po’ diversa da quello che poi serve effettivamente nelle aziende. nella selezione del personale, facendo dei colloqui a dei candidati che si presentano per essere scelti come tecnici, guardo molto la parte informativa, pratica, la capacità di fare ricerca dati. la scuola professionale mi ha aiutato in questo e, se vedo una figura che mi somiglia, sono subito attratto. c’è poi il problema della lingua: se io lavoro in un’azienda multinazionale, devo sapere l’inglese; i tecnici che assumiamo vanno in giro per il mondo. l’inglese io l’ho imparato sul lavoro – lo devi imparare per forza, oppure non campi – e devo dire che ancora oggi, nel 2011, gente che parli l’inglese bene in italia è veramente difficile da trovare. All’epoca in cui io ho fatto il cFP, in quella scuola non c’era proprio la lingua. quando ho terminato gli studi, non sono stato aiutato dai miei genitori; mio padre era impiegato, mia madre operaia, nessuno di loro era in grado di orientarmi sul piano di studi; l’idea di 109 spingermi verso l’università è venuta a me; loro naturalmente erano ben contenti che continuassi a studiare. quando ho finito la scuola dai salesiani, avevo voglia di continuare, di approfondire, non so se in quel momento pensavo all’università, però di sicuro ero molto carico, molto appassionato. Sono uscito dall’iTiS con una motivazione incredibile, forse perché a scuola andavo bene, mi trovavo bene, sono uscito bene; poi mi sentivo molto preparato dal punto di vista tecnico; l’università mi ha un po’ smorzato; magari non è stata l’università, sono solo maturato, invecchiato, però la passione che avevo per le cose tecniche mi ha spinto, tra l’uscita dal cFP e l’iTiS, a pensare ai robot, all’industria; le macchine mi piacevano molto, quindi ho pensato di continuare nell’ambito tecnico, per riuscire a fare della progettazione. oggi sto dietro ad una scrivania ma, se mi mandassero a lavorare su un tornio o una fresa, non avrei alcuna difficoltà; ho usato tutti i tipi di macchina utensile. Se vado in officina, nonostante sia un ingegnere e dicano che gli ingegneri non sanno nulla perché sono poco pratici, me la cavo; i responsabili di officina mi hanno sempre stimato perché avevo una buona conoscenza delle parti meccaniche, delle lavorazioni, anche se noi i lavori prettamente meccanici li facciamo fare fuori; si vede quando uno capisce di che cosa stai parlando; questo, in officina, ha fatto crescere la stima nei miei riguardi e mi ha aiutato poi a crescere all’interno dell’azienda, proprio perché ero sponsorizzato da tanti dell’ambiente officina. io sono un improvvisatore, per questo mi trovo bene nel mio mestiere; sovente vado a trovare clienti “incartati” e mi rivelo un mago nell’inventare qualcosa per individuare un problema nelle macchine o per trovare una soluzione. non sono un gran pianificatore, sono uno che agisce sul momento; infatti faccio bene questo mestiere, l’assistenza tecnica è il mestiere mio. Mi ha un po’ emozionato ricordare l’esperienza del cFP. non ho più frequentato gli ambienti del cFP e quindi mi ha fatto molto piacere ripensare a quei momenti che non ho mai dimenticato perché sono convinto che, almeno nel mio caso, quel percorso sia stato davvero importante. non so che cosa farà mia figlia, ma sarei contento che andasse in una scuola simile, perché ti danno dei valori, oltre a una preparazione tecnica. non sono un cattolico praticante, però penso che una scuola di quel tipo ti insegni i valori della famiglia e il rispetto per le persone, che sono un elemento molto importante per la vita di tutti i giorni. quel tipo di scuola è completo, cerca di darti anche un insegnamento per la vita. nel mio caso devo dire che mi ha dato una buona preparazione, non solo tecnica, anche se quella era la parte che mi piaceva di più. Mi sono molto appassionato delle cose tecniche; oggi mi interessano anche altre cose, la pittura, la musica. Anche se avessi fatto altre scelte, la mia inclinazione sarebbe sempre per cose manuali, pratiche. oggi vivo in una casa con un piccolo giardino; quando devo fare qualche modifica, qualche lavoro in casa, è un gusto per me; questo mi ha molto aiutato anche nel lavoro. oggi è più difficile, per entrare nel management di un’azienda, devi avere delle capacità manageriali diverse, devi essere anche scaltro; io non lo sono molto e non so se ci sia una scuola che te lo insegna. 6. UN PERCORSO FORMATIVO CHE TI AVVICINA AL LAVORO R. (intBa1), che ha seguito i corsi al cFP di Bari nella seconda metà degli Anni ’90, è oggi imprenditore. la sua storia racconta di come la formazione ricevuta l’abbia guidato – e continui oggi a guidarlo – nell’esperienza lavorativa. 110 Dalla formazione al lavoro ho fatto la mia formazione presso il cnoS-FAP di Bari, ma mi piace di più dire dai salesiani. Durante gli studi, tra un intervallo e l’altro, anche grazie ai salesiani, ho avuto l’opportunità di lavorare in alcune aziende, fino a che, nel 1999, alla fine degli studi, dopo uno stage fatto sempre attraverso i salesiani, sono entrato in un’azienda di automazione industriale. ho lavorato per loro per dieci anni, fino a quando ho deciso di avviare un’azienda mia, con le varie responsabilità che questo comporta. ho avviato un’attività di progettazione e realizzazione di parti elettriche e software, adeguati a macchine automatiche, di cui realizziamo i prototipi. non facciamo macchine in serie, ma macchine progettate su richiesta del cliente. con un’azienda che si occupa di meccanica, studiamo e realizziamo questi prototipi: macchine di assemblaggio o macchine di prova. con i miei soci sono sul campo ogni giorno e non credo che smetterò mai, perché ho una vera passione per questo lavoro. Purtroppo, quando hai un’azienda, devi seguire anche l’aspetto commerciale, le relazioni con i clienti, però, se potessi stare impegnato tutto il giorno col mio lavoro di progettazione e sviluppo, per me sarebbe meglio, mi stancherei di meno. ho due soci. Al momento, siamo un’azienda giovane, abbiamo solo due dipendenti, un tecnico, che mi dà una mano per quanto riguarda il reparto macchine e assemblaggio di quadri elettrici, e una ragazza che segue l’amministrazione, le pratiche per l’iSo 2001, dato che siamo certificati; in tutto siamo in cinque. L’esperienza del CFP la cosa più importante, nell’esperienza che ho fatto al cFP, è che ho incontrato persone che mi hanno formato prima come uomo e poi come tecnico. Mi hanno insegnato a vivere. Per quanto già grande, perché ho incominciato gli studi dopo il servizio militare, mi hanno insegnato a vivere, mi hanno insegnato ad approcciare le persone, ad approcciarmi al mondo del lavoro; poi sono stati bravissimi a insegnarmi il mestiere. Avendo frequentato qualche anno le scuole statali, se ha senso fare un paragone, posso dire di aver imparato molto di più dai salesiani che nelle scuole statali. Dai salesiani avevo l’impressione di essere in una grande fabbrica dove, oltre ad avere dei docenti, avevo dei colleghi e dei responsabili, che dovevo rispettare e ascoltare per arrivare a un obiettivo. Sono stati bravi a creare gioco di squadra, a farci approcciare tra colleghi e quindi a farci arrivare a un prodotto, a un progetto, non da soli, ma insieme a qualcuno; abbiamo potuto imparare ad ascoltare e a capire. inoltre dai salesiani ci sono i laboratori e quindi hai la possibilità di mettere subito in pratica quello che studi; hai dei docenti che certo danno importanza all’educazione, al modo di fare, ma fanno anche in modo che quel laboratorio sembri una fabbrica, sembri una vera azienda. quando ti trovi nel mondo del lavoro, ti rendi conto che loro erano riusciti a farti vivere già la stessa situazione. la difficoltà più grossa, per un ragazzo di vent’anni, è proprio quella di inserirsi in un conteso lavorativo. le cose che ho imparato dai salesiani sono riuscito a metterle tutte a frutto. Ancora oggi, sono contento di poter chiamare i miei docenti, che sono felici di rispondermi al telefono, e di chiedere loro consiglio; cioè sono ancora i miei docenti, per fortuna! quando ho la possibilità, un momento libero, li vado a trovare, mi fermo tranquillamente con loro a prendere un caffè e a chiacchierare, unendo l’utile al dilettevole. Mi è servito il gioco di squadra. Adesso sono titolare di un’azienda e non ho smesso di fare gioco di squadra. Al cFP, poi, hanno capito quello che io volevo e mi hanno aiutato a ottenerlo. hanno visto che 111 sono una persona autonoma, ambiziosa, che ha voglia di crescere, di mettersi in gioco. quindi, a parte, ripeto, l’aspetto tecnico, sono stati loro a darmi anche gli stimoli opportuni; chiacchierando con loro, dicendo che volevo avviare un’azienda, dopo circa dieci anni da quando avevo finito il corso, loro mi hanno dato una grossa mano a livello morale, mi hanno aiutato parecchio. non mi hanno mai detto esplicitamente: “Ah sì, avviati un’azienda…”; me l’hanno detto in un altro modo, dandomi dei consigli, fornendomi delle informazioni sui dati positivi e quelli negativi di quell’ambito di lavoro; sono molto informati sul mondo del lavoro, sanno cosa succede, perché lo vivono con i ragazzi e con i genitori dei ragazzi. Una proposta formativa trascurata dalla politica la politica sta danneggiando un po’ quel tipo di proposta. quella scuola formava ottimi tornitori e ottimi fresatori. Perché adesso non li forma più? non si è esaurita l’esigenza di tornitori e di fresatori; ci sono un sacco di ragazzi che vorrebbero fare quei corsi; gli stessi lavoratori dipendenti vorrebbero seguire dei corsi. ci sono tanti ragazzi che la sera finirebbero di lavorare e andrebbero volentieri a fare un corso del genere per migliorarsi. in quella scuola, sono stati fatti tanti investimenti sui macchinari, sui docenti, che sono molto preparati. Perché quei corsi non sono più finanziati? io cito sempre il prof. P., che è un secondo padre per me, però c’è anche il prof. c., che segue i ragazzi per quanto riguarda la tecnica degli impianti. Gli impianti elettrici si fanno ancora, si faranno ancora; adesso si parla di domotica, di controlli elettronici nelle case, il prof. c. potrebbe farlo tranquillamente, è preparatissimo. c’è poi il prof. B., che si occupa di macchine utensili; la Puglia deve produrre; se non vogliamo andare al porto a scaricare, dobbiamo produrre, ci sono un sacco di ragazzi che hanno la possibilità di farlo. c’è chi sceglie di fare il commerciante; però ci sono un sacco di ragazzi che vorrebbero produrre e la scuola statale non ce la fa a prepararli a questo. Tutti i ricordi che ho dei salesiani mi portano sempre a un punto: sono bravi ad approcciarsi al mondo del lavoro. Un ragazzo che esce dalla scuola statale non sa che fare, non ha le idee chiare; nell’esperienza che ho vissuto io, mio papà è stato molto attento al mio percorso lavorativo, mi ha dato un sacco di consigli, ma questo non basta. Una persona, per capire, deve vivere la cosa, parlarne solo non basta. i salesiani sono bravi a prendere dei ragazzi e a formarli, a inserirli nel mondo del lavoro. Sono stati fatti dei corsi post lauream, post diploma; alla fine, questi ragazzi lavorano tutti, anche perché un obiettivo del cnoS-FAP è di sistemarli, di trovare loro il posto di lavoro più adatto. loro imparano a conoscere i ragazzi, quindi sanno più o meno dove indirizzarli. quando mi capita di andare dai salesiani e di non vedere i ragazzi giù nel cortile, di vedere le aule vuote, un po’ mi dispiace e mi chiedo: ma i docenti sono sempre quelli, la segreteria è sempre la stessa, le aule sono sempre quelle, l’attrezzatura sempre quella. che cosa è cambiato? non c’è via di scampo, è cambiata la politica. qualcuno ha deciso che quei corsi non si dovevano più fare ed è peccato. ci sono tante risorse in queste scuole, che ora sono lasciate là, a non fare niente. Dispiace soprattutto per i ragazzi, per quello che potrebbero essere, per quello che potrebbero fare. Da pochi anni, seguo un po’ di politica e penso che quello che sta succedendo a questi ragazzi è colpa dei media, della TV, di quello che ci sta dando la classe politica attuale; non ci stanno offrendo creatività, ma solo fumo negli occhi. Tutti vogliono essere uomini d’affari, tutti vogliono mettersi nel business, tutti vogliono giocare in borsa; ma allora chi lavora? chi crea? chi inventa? questi corsi di formazione non devono smettere di esistere; anzi, io li farei diventare obbligatori, dopo la scuola, non sto scherzando; chi non trova un posto di lavoro dovrebbe andare a fare quei corsi. li 112 stipendierei pure i ragazzi che vanno a fare quei corsi, perché è un lavoro a tutti gli effetti. la scuola è importante, la cultura è importante, perché non si finisce mai di imparare, però poi non meno importante è il rapporto col lavoro. ci vuole qualcuno che ti insegni a capire che cosa vuoi fare nella tua vita e che magari ti faccia capire anche che quello che uno vuole fare è difficile da raggiungere, che bisogna camminare con i piedi per terra. credo in un’italia che crea, che produce, non credo in un’italia solo commerciale, non voglio che diventiamo tutti insieme un grande porto di scaricatori, con tutto il rispetto per chi fa lo scaricatore; per carità, è un lavoro anche quello, però mi piace pensare a un’italia di ragazzi che inventano, appassionati del proprio lavoro, che sia quello di falegname o elettricista o idraulico o fabbro, poco importa; l’essenziale è che siano appassionati del lavoro e non si alzino la mattina solo per fare la giornata e avere uno stipendio a fine mese. Per questo bisogna potenziare le scuole che promuovono tutto ciò. Percorsi personalizzati e orientati all’inserimento lavorativo con i miei insegnanti di allora ho un legame particolare. Di quei docenti ricordo che, quando avevo un dubbio, a loro non facevo mai una domanda diretta. Trovavo risposta alle mie domande solo parlando con loro, durante le ore di laboratorio, mentre si avvitavano dei morsetti o mentre si cercava una soluzione per far muovere una macchina. Si parlava di vari problemi, anche dei problemi personali, che poi si riflettono sempre anche a livello sociale e lavorativo, perché le due sfere sono collegate. non ho mai sentito dire loro una frase del tipo: “Ti consiglio di fare…”, no, ce lo comunicavano attraverso la loro esperienza di vita o magari raccontando qualche episodio da loro vissuto. i ricordi più interessanti che ho riguardano gli stage lavorativi e la forza di questi docenti nell’approcciarsi a un’azienda. Ad esempio, nella mia ex azienda, dove ho lavorato per circa dieci anni, abbiamo fatto uno stage in cui abbiamo programmato il software di una macchina esistente. loro la macchina l’avevano realizzata. noi, con il nostro Pc, abbiamo programmato il software di questa macchina e abbiamo provato prima il software che avevano fatto loro e poi il software che avevamo progettato noi. la gente era incredula perché non esiste – te lo posso garantire – una scuola statale capace di portare un ragazzo in azienda e di fargli progettare il software di una macchina, interfacciando il Pc alla macchina. lo abbiamo fatto noi, ci siamo pagati noi i fili e abbiamo fatto funzionare la macchina. ho conosciuto le scuole statali; anche lì fanno fare degli stage, ma, quando i ragazzi arrivano alla fine, sono demotivati, vogliono fare i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri. non sono esperienze dove il ragazzo arriva, si applica, guarda la macchina, sta con il tecnico a imparare, a maneggiare. i salesiani ci hanno portato a essere partecipi della vita delle aziende. l’esperienza più bella che ricordo, dal punto di vista tecnico, è stata proprio questa, anche perché, dopo aver fatto quello stage, l’azienda ha chiesto di noi, di me e di altri due colleghi. Poi in quell’azienda ci sono rimasto io, mentre gli altri due lavorano in altre aziende. A livello lavorativo è stata una bella soddisfazione, perché alla fine, senza che il prof. P. ci dicesse nulla, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi che, quando una persona si applica e si impegna, alla fine, i risultati arrivano. Dopo lo stage, ci hanno chiamato a fare il colloquio di lavoro. Sono fatti, non chiacchiere. Mi è capitata la visita di un istituto tecnico in azienda; avendo avuto esperienza di questi stage, perché li ho vissuti, la prima domanda che ho fatto ai ragazzi è stata: “che cosa volete fare dopo la scuola?”; nessuno mi ha saputo dare una risposta. i ragazzi oggi fanno quello che capita, il commesso, l’agente immobiliare, però non hanno una vera passione lavorativa; si contano sulle dita di una mano i ragazzi che vogliono incre113 mentare il lavoro manuale, il lavoro tecnico, e questa è una cosa che mi rattrista perché, secondo me, la creatività è importante per l’uomo, è uno stimolo per la mente. Al cFP ho imparato molto dal punto di vista tecnico e lavorativo, perché ho avuto docenti preparatissimi. ho imparato molto anche per quanto riguarda l’educazione civica: essere onesto con le persone, con la vita; ho imparato che, se fai bene il tuo dovere, senza voler fare troppi giri o voler fare il furbo, le cose funzionano; ho imparato che nella vita bisogna lavorare ed essere onesti; così si possono raggiungere determinati obiettivi, con il sudore e non imbrogliando il prossimo. questo me l’hanno insegnato i salesiani anche nelle cose piccole: spesso uscivo fuori a fumare; i miei docenti hanno evitato che uscissi fuori a fumare non dicendomi di non uscire, ma appassionandomi al lavoro. io dicevo: “Prof., esco a fumare”, e lui: “Aspetta, aspetta che mò devo spiegare e, se te la perdi, poi come facciamo?”; “Va beh, professò, vado dopo”. All’inizio non era facile: lui mi diceva così e io rispondevo: “no, professò, me lo spieghi dopo”; poi, piano piano, mi sono accorto che non volevo perdere quella parte di lezione e quindi evitavo di andare fuori a fumare. Sono bravissimi in questo. Ancora di più mi hanno insegnato a stare con i piedi per terra: niente è facile, però niente è impossibile, bisogna sudare, lavorare e cercare di raggiungere dei progetti, senza illusioni. Dipende anche dal carattere delle persone; io, ad esempio, sono una persona a cui non piace dire: “Mah, se lo avessi fatto…”, perché non voglio rimpianti: se non è andata bene, pazienza, sono caduto, mi rialzo e ricomincio. c’è il ragazzo che aspira ad avere un posticino di lavoro tranquillo, va bene anche quello; a quel ragazzo i salesiani hanno insegnato come ci si comporta sul posto di lavoro, come avere rispetto dei colleghi. loro praticamente insegnano ad personam, a seconda del ragazzo riescono sempre a dare input e consigli di vita opportuni. La formazione che ho avuto, la persona che sono la Formazione Professionale ha contribuito in buona parte al mio sviluppo successivo. Dopo il servizio militare un’idea mi spaventava: “e ora, che faccio?”; avevo fatto degli errori prima, non avevo concluso le scuole statali, avevo lavoricchiato qua e là. Dopo aver fatto il servizio militare, ti si affaccia la vita, incominci a pensare alle prospettive di lavoro. in quel momento, la possibilità offertami di seguire il corso dai salesiani è stata decisiva. c’è un rapporto stretto tra la formazione e quello che sono diventato adesso. ho chiesto molto spesso ai miei docenti di andare a parlare con i ragazzi, non pagato, ma così, semplicemente offrire loro degli stimoli. in un corso del genere c’è un forte legame tra la vita e quello che si impara, c’è molta umanità, non c’è solo lavoro, non c’è solo l’aspetto tecnico della cosa, c’è molta umanità, e questo stimola i ragazzi. Ai formatori che ho avuto continuo a chiedere consigli: sono anche maestri di vita, oltre che di arte. Ai giovani formatori dico che i ragazzi sono il futuro e i ragazzi di oggi non hanno stimoli, prospettive. li vedo quando vanno a scuola; ho un nipotino che è diventato grande e adesso va alle superiori, per quanto suo papà abbia un’officina e lo zio un’azienda di automazione; lui prende come esempio personaggi dello spettacolo, persone che fanno lavori “puliti”, il commesso, l’agente immobiliare. c’è questa mentalità del “lavoro poco, guadagno tanto”; non è così, la vita non è così. Si tratta di cercare nel contesto formativo di prendere un episodio che succede e di farlo evolvere, di farlo diventare un’esperienza che potrebbe avere una sua ricaduta nel contesto lavorativo; anche le discussioni tra colleghi, durante l’orario scolastico, sono importantissime; si tratta di saper prendere le cose, di rubarle con gli occhi, di portarle a quello che potrebbe succedere in un contesto lavorativo. Tutto questo non è facile! i miei docenti sono riusciti a farlo, lo sanno fare benissimo! natu114 ralmente poi sta al ragazzo cogliere più dati possibili; tante cose le ho ricordate dopo, perché le ho ritrovate dopo e allora sono tornato a scuola a chiedere: “Ma quando mi dicesti che…, forse ti riferivi a questo tipo di fenomeno?” e loro mi hanno tranquillamente rispiegato la cosa, rifatto la lezione. il loro obiettivo è questo: prendere i ragazzi e farli lavorare, ma non farli lavorare per lo stipendio, anche se anche quello è importante. Farli lavorare è importante, perché, solo lavorando, si capisce che non è facile ottenere quello che si desidera, che bisogna sudare, e questa è la prospettiva più importante oggi. Ripeto, nella mentalità della società, della politica, questa prospettiva è andata persa ormai, bisogna recuperarla, ritrovarla, è importantissimo. 7. ALLE PRESE CON LE SFIDE DEL LAVORO, SENZA TANTE TENUTE DI MANO M. (intFo3), classe 1957, ha frequentato dal 1973 al 1975 il cFP di Forlì, con il quale ancora oggi collabora in veste di formatore, pur gestendo una sua attività artigianale. Racconta il valore formativo che per lui ha avuto il lavoro. Al cFP di Forlì ho ricevuto veramente un grande insegnamento, che mi è servito anche dopo, nel percorso per il conseguimento del diploma di scuola media superiore e nell’attività lavorativa iniziata come operaio e proseguita come impiegato. Dal 1986 ho avviato un’attività in proprio nel settore elettrico. Attualmente ho un’azienda individuale artigianale. oltre che dell’attività artigianale, mi occupo anche di formazione nel cFP di Forlì e in un istituto professionale industriale statale. la mia attività principale è quella artigianale; l’altra è un’attività nella quale investo grande passione, perché il contatto con i ragazzi è veramente qualcosa di molto importante, un grandissimo valore aggiunto. la mia esperienza al cFP è iniziata nel 1972; sono passati tantissimi anni, però ricordo che sono stati tre anni in cui ho avuto esperienze veramente positive. era sicuramente una formazione diversa da quella di oggi, una formazione importante dal punto di vista proprio della parte pratica del lavoro; c’era una grande disponibilità da parte del centro e anche da parte di tutta la classe, che ricordo essere stata una delle migliori di quegli anni. Sono rimasto in contatto con i compagni; molti si sono formati come imprenditori nel settore meccanico o in altri settori. Probabilmente erano anni nei quali c’era una situazione che consentiva di crescere e di formarsi in modo diverso da quello che è possibile oggi. Allora venivamo lasciati liberi, nel senso che la nostra mente doveva per forza elaborare un processo; eravamo in una situazione nella quale l’assunzione di responsabilità era completamente diversa da quella possibile oggi. Avevamo veramente la necessità di sviluppare nel nostro pensiero la possibilità di arrivare da un punto “A” a un punto “z”, senza tante tenute di mano, eravamo autonomi, probabilmente perché eravamo anche più responsabili; attualmente credo che questo sia improponibile. È improponibile oggi lasciare un ragazzo da solo, alle prese con una macchina utensile, dicendogli: “questo è il testo, questo è il pezzo che tu, attraverso la tua capacità di elaborare un processo di lavorazione, devi portare a compimento rispetto al disegno che io ti do”. eppure proprio quella responsabilità ha consentito a tutti noi di crescere, di adoperarci nello sviluppo di quello che stavamo facendo di fronte a una macchina utensile; questo non significa, secondo il mio punto di vista, solo stare di fronte a una macchina utensile, ma stare di fronte a tutte le situazioni, cioè trovarsi di fronte al compito di elaborare un pensiero proprio e quindi di agire con la propria testa, cercando di arrivare alla soluzione di un problema. questo mi ha aiutato molto anche in seguito: mi trovavo di fronte a un problema e avevo bi115 sogno di elaborare un processo per arrivare alla soluzione. questo, secondo me, oggi come oggi, è improponibile, perché i ragazzi non sono disponibili ad assumersi neanche un briciolo di responsabilità; se non con rarissime eccezioni, sono portati a essere guidati, a essere in qualche modo accompagnati in questo processo formativo. quando come formatore cerco di portarli verso un processo di responsabilità, nel quale siano loro a trovare una soluzione, personalmente incontro grosse difficoltà. nei tre anni all’interno dell’istituto, ci siamo formati, perché avevamo questo input, anche se chiaramente venivamo guidati dai vari formatori. Allora, con le persone che erano all’interno del centro, avevamo un rapporto diverso da quello che c’è oggi, un rapporto molto rispettoso, nel quale c’erano dei valori che oggi, secondo me, nei ragazzi sono andati perduti, una forma di rispetto, per esempio la capacità di ascoltare qualcuno che aveva più esperienza su una macchina utensile, ma aveva anche la capacità di trasmettere e la voglia di comunicare; dall’altra parte c’era chi assorbiva queste informazioni. ecco io oggi, dico la verità, questo tipo di atteggiamento non lo vedo. Direi che l’esperienza al cFP ha influito in maniera determinante sulle mie scelte future: questo essere continuamente messi alla prova, anche a cinquant’anni, questo dover comunque e sempre mettersi in gioco, assumendosi sempre delle responsabilità, che in alcuni casi possono sembrare esagerate, tutto questo fa parte inscindibile di questo tipo di formazione. Per esempio, doversi in qualche maniera ricostruire un lavoro, un’attività, a cinquant’anni, senza la paura di avvicinarsi a strumenti che possono sembrare dedicati ai giovani – parlo degli strumenti informatici, oppure della realizzazione di reti informatiche – o che possono sembrare qualcosa di inarrivabile, tutto questo mi viene dalla formazione ricevuta. non bisogna aver paura di queste situazioni, bisogna comunque crederci e avere voglia di fare. la persona con la quale sono rimasto più legato è P., che allora era direttore del centro. lui era proprio uno che aveva la dote di coinvolgere; mi ricordo che ci mise in gioco in una simulazione: lui faceva l’imprenditore e noi eravamo praticamente i suoi collaboratori; anche questa è stata un’esperienza fantastica. Poi P. caldeggiava anche altri interessi, in particolare il calcio. Siamo riusciti a formare una squadra di calcio all’interno del cFP; partecipavamo a un campionato del settore giovanile della Federazione nazionale Gioco calcio, cosa che, per quegli anni, era un evento. ci allenavamo nel campo del cFP. Secondo me, queste esperienze si potrebbero proporre anche oggi, però sicuramente si dovrebbe trovare il gruppo giusto, persone motivate e soprattutto rispettose ed educate. Tutto si impernia attorno a questi due valori: il rispetto e l’educazione. Da adolescente venivo da un’esperienza non particolarmente favorevole, in un istituto tecnico; mi ricordo che nel 1971 non l’ho potuto frequentare perché ho avuto un gravissimo incidente stradale ed ero un po’ disorientato; qui ho trovato veramente una guida. Allora, abitavo in un piccolo comune, a cinquanta chilometri da Forlì, quindi facevo un’ora di pullman per arrivare in città e un’ora di pullman per ritornare a casa; ci volevano delle motivazioni e io le motivazioni le ho trovate qui. Per me il cFP è una scuola di serie A. oggi – come dico sempre ai ragazzi – questa scuola è vista non come una scuola di serie B, ma addirittura di c1 o c2, per rifarmi al calcio. È il mio più grosso rammarico. Secondo me, questo è un errore clamoroso, perché queste scuole non sono né di serie B, né di serie c, ma sono scuole di serie A; bisogna lavorare in maniera concreta per riportare questa scuola alla serie A, cioè a quello che si merita. P. si occupava non solo della giornata scolastica, ma anche delle sue passioni, come il calcio, e di altri piccoli interessi, che però in qualche maniera erano coinvolgenti: riusciva, ad esempio, a organizzare persino un torneo di carte al quale partecipavano anche i genitori. c’era poi il coinvolgimento della famiglia nell’ambito scolastico e noi qua arrivavamo con una scuola di serie A; per noi questa era una scuola importante, come lo erano l’istituto tecnico industriale, l’istituto tecnico nautico, la ragioneria, i licei. Sulla corriera che ci portava a Forlì, fre116 quentavamo ragazzi di tutte le scuole, ma non ci sentivamo affatto minorati rispetto agli altri soltanto perché frequentavamo i salesiani. non c’era vergogna né sottomissione. Parliamo del 1972, 1973, 1974, i tre anni in cui ho frequentato l’istituto, e devo dire che, quando mi sono presentato all’esame integrativo per accedere al quarto anno dell’istituto tecnico industriale, in tutte le materie, non ho avuto alcuna difficoltà; ho frequentato il quarto e il quinto anno dell’istituto tecnico industriale senza difficoltà, anzi devo dire che mi sono sentito particolarmente a mio agio; ho superato l’esame in maniera brillante. il primo lavoro come impiegato me lo ha trovato P.; sono stato impiegato in un’azienda nella quale sono rimasto per sette anni, fino a quando non ho intrapreso l’attività di artigiano; facevo l’impiegato ed ero responsabile degli acquisti; sono molto riconoscente a P., anche per la formazione che ho ricevuto in questi sette anni in azienda; in quegli anni era una piccola azienda ma, nel corso di quei sette anni, è diventata l’azienda leader nel suo settore. non ho mai dimenticato quello che mi hanno insegnato i salesiani; cerco, nel limite del possibile, di trasmetterlo anche agli altri, con grande difficoltà, perché a volte mi rendo conto che è davvero difficile con i ragazzi di oggi, però non smetto di battermi. credo sia importante che i formatori abbiano bene in mente quei due valori di cui parlavo prima: rispetto ed educazione; dobbiamo trasmettere ai ragazzi questi valori, essere esigenti nei loro confronti, dimostrare che siamo preparati, che teniamo a loro, che sappiamo essere anche rigidi, quando bisogna essere rigidi, e soprattutto che loro devono imparare a utilizzare la propria testa, devono essere capaci di ragionare con la propria mente, di sviluppare un pensiero personale; dobbiamo insegnare loro quando è necessario dire dei no. concretamente questi valori si trasmettono dimostrando ai ragazzi che sono anche i nostri valori, perché se noi ci rivolgiamo ai ragazzi con male parole, in maniera maleducata, non li salutiamo, oppure li consideriamo come se noi fossimo un gradino sopra e loro a livello del pavimento, non riusciremmo a trasmettere niente. loro lo vedono, si accorgono se mi presento in maniera maleducata o scorretta, se sono sleale nei loro confronti; loro vedono tutto questo prima di quanto noi possiamo percepire, e, se sbagliamo, dobbiamo anche essere umili e chiedere scusa dicendo: “Ragazzi, mi sono sbagliato, ho sbagliato la mia valutazione!”. Anche nei confronti di un ragazzo dobbiamo essere umili al punto da chiedere scusa di fronte a tutti, quando è necessario; dobbiamo prendere posizione, senza paura; in questo dovremmo essere supportati da tutti i professori e dalla direzione; secondo me ci dev’essere un andamento condiviso. Se ovviamente questo andamento univoco non c’è, è ovvio che tutto diventa difficile. È molto difficile per un formatore trovarsi in una scuola nella quale pretendi ma sei l’unico che pretende; alla fine ai ragazzi di questo non interessa e tu sei messo in una situazione un po’ difficile. Rispondere a queste domande ha avuto un effetto particolare su di me, perché non ho mai dimenticato quello che mi hanno insegnato i docenti che ho avuto e l’ho sempre usato proprio come un esempio positivo, da ricordare; avevo quindici, sedici anni allora e, guardandomi indietro oggi, con la mentalità di uno di cinquant’anni, alle volte, mi viene proprio da sorridere. 8. SPAZIO ALL’INIZIATIVA M. (intVr1), classe 1953, ex allievo dell’istituto salesiano San zeno di Verona, è oggi uno stimato imprenditore. ha frequentato il cFP alla fine degli Anni ’60 e racconta come quella esperienza sia stata fondamentale anche per sviluppare quel senso di iniziativa che l’ha poi portato al successo professionale. 117 Una formazione consistente in anni turbolenti Sono entrato al San zeno all’età di sedici anni, quasi diciassette, e ho scelto il settore meccanico. ho finito nel 1970. non erano anni belli, ma l’età ci metteva ugualmente il sorriso sulle labbra. nel 1968 ci sono stati tanti cambiamenti a livello sociale. c’erano rivoluzioni, capelli lunghi, maglioni, minigonne, colori forti, rosso, blu, nero, giallo. Ritengo di essere stato fortunato, di aver potuto, con lo sforzo della mia famiglia, frequentare una buona scuola e di aver poi seguito gli insegnamenti ricevuti dai salesiani. non lo dico per retorica: il cFP è stato per me fondamentale. Vedendo i ragazzi che andiamo a inserire oggi, posso misurarmi: oggi, si presentano da noi giovani con lauree brevi in ingegneria meccanica, giustamente carichi di orgoglio, che però, messi a confronto con le cose, si vede che mancano di formazione. io al cFP ho imparato a usare mani e testa, a ragionare sul perché delle cose, sul perché mettere una mano così o tenere certi atteggiamenti nei confronti delle persone. considero importanti questi corsi di arti e mestieri che, purtroppo, per interessi politici e per la volontà di fare tutte le persone alte uguali, sono stati poco sviluppati, anche se adesso ne paghiamo le conseguenze: abbiamo dei periti, dei tecnici che sono teorici e che non riescono a connettere l’utile e il dilettevole. Uno che faceva, come ho fatto io, il percorso da interno, tornava a casa solamente per le festività natalizie e pasquali. in quegli anni, il mondo stava cambiando in maniera vertiginosa, avevamo vissuto la primavera di Praga, con la resistenza di Dubček, che poi è stata il primo passo verso lo sgretolamento del sistema dell’est, le rivolte studentesche in Francia, la Germania con le sue tute blu in strada, insomma era un momento in cui tutto il mondo europeo si stava muovendo. noi, che avevamo avuto la possibilità di studiare all’interno, avevamo visto poco di quello che stava capitando fuori, però c’eravamo costruiti una buona struttura mentale, un positivo approccio al lavoro, e non eravamo distratti da tante confusioni e – posso dirlo? – dalle minigonne. Uscendo da quel percorso, all’inizio – parlo dei primi Anni Settanta – eravamo un po’ intontiti, un pochino spaesati; personalmente, ero timido nell’approcciare il mondo, però poi, prendendo un po’ di confidenza – parliamo di ragazzi di diciotto, diciannove anni –, eravamo pronti per inserirci in quel mondo; oggi, a diciotto o diciannove anni, non hanno idea, invece io ero già nelle condizioni di avviare un’attività. Parlo per me e parlo anche per buona parte dei miei colleghi, con i quali ho mantenuto i contatti. La formazione al CFP: volti e gesti di figure magistrali la formazione scolastica era consistente. ho avuto come docenti P. e B.6, persone che mi hanno permesso di apprendere, di studiare, don F., con i suoi maledetti fischietti (“maledetti” allora, oggi mi fanno sorridere), c.7, con cui sono tutt’ora in contatto. Sono persone che mi hanno segnato dentro, anche se è passato più di qualche anno; l’anno prossimo saranno quaranta! B. era l’uomo che ci faceva operare sulle macchine e accompagnava i nostri primi passi nella manualità. nascevano tra noi rapporti continuativi che creavano stima, e anche autostima; ad esempio, io avevo il coraggio di affrontare il prof. B.; eravamo ragazzi noi, era ragazzo anche lui e non era proprio dolce, e giustamente, perché doveva anche tenere la disciplina. c. mi è rimasto in 6 P. e B. sono o erano allora Salesiani laici, ndr. 7 Anche c. è un salesiano laico, ndr. 118 mente perché era un po’ esterofilo e aveva in mente gli aerei a reazione; mi diceva: “F., mi fai la trombetta”; gli serviva per il carburatore, per l’iniezione; ti coinvolgeva in progetti che andavano fuori dall’ambito scolastico, nelle ore libere o alla sera o durante il giorno. Mi annoiavo a stare seduto su una panchina o a giocare a ping pong. Trovavo l’utile e il dilettevole nel fare, nell’impiegare il mio tempo in qualcosa di utile; mi piaceva l’iniziativa. Vivendo all’interno, avevamo diverso tempo a disposizione e – non vuol essere una cattiveria – mica potevamo essere tutti i minuti col rosario in mano, con tutto il rispetto per la Madonna! ecco, c. era una persona che guardava più in là e ci coinvolgeva. con B., che insegnava tecnologia e applicazioni manuali, avevo un rapporto più stretto. P., per me, è l’immagine stessa del San zeno: ricordo la sua dolcezza, la sua disponibilità; per la verità, non era sempre dolce, perché, quando qualcosa non girava come doveva girare, lui reagiva con decisione. P. era comunque un ottimo mediatore. Provo un grande affetto per queste persone. c’era A., il cosiddetto “pittore”, che ci insegnava a stuccare e a verniciare, oltre che a saldare. Poi c’era l’“uomo grido”, lo sportivo per antonomasia, don F., con il suo fischietto: fischiava talmente forte che era impossibile non sentirlo addirittura a san Massimo! con il primo fischio chiamava all’adunata e, se col secondo o col terzo non arrivavi, magari ti arrivava una pedata! Perché non piaceva il fischio allora? Primo, perché si smetteva di giocare e, a quell’età, è un problema smettere di giocare, poi perché, da quel momento in avanti, c’era il mutismo, eravamo tutti squadrati, allineati. io non sono un ragazzo da plotone; penso che si possa stare tutti insieme anche facendo un po’ di rumore, ma non ho mai contestato. Mi piaceva invece don F.; era coinvolgente, quando facevamo italiano, al terzo anno; ci dava la spiegazione dei perché. noi dicevamo: “Ma io, quando dovrò scrivere una lettera alla mia fidanzata…”, e lui: “sì, ma se non sai scrivere in italiano…, te la sogni la fidanzata”; insomma ci dava una motivazione per studiare anche l’italiano. Se guardo a quello che ho studiato al cFP, ciò che mi è servito davvero è la tecnica, la meccanica; tutto il resto l’ho dovuto imparare per strada, vivendo giorno per giorno: parlare correttamente in italiano, apprendere il francese ecc.; avevo appreso un po’ di inglese, ma l’ho perso, perché non l’ho più praticato; la lingua spagnola l’ho imparata leggendo il giornale e chiedendo: “Scusa, come si pronuncia?”; oggi, per la mia attività, parlo abbastanza bene sia il francese che lo spagnolo. Al cFP però mi hanno dato le basi per imparare tutto questo. L’ingresso nel mondo del lavoro, senza tagliare i ponti col CFP quello che mi hanno dato al cFP mi sarebbe servito in futuro. Anche certe tirate d’orecchio ricevute al cFP, tre anni dopo, sarebbero state all’ordine del giorno nel mondo in cui stavo per entrare. P. mi ha messo a disposizione il tavolo da disegno, per disegnare i primi componenti di una macchina; mi ha dato i mezzi per pedalare e mi ha detto: “Adesso, se vuoi, pedala te!”, standomi però a guardare da lontano. P. mi ha messo a disposizione l’ambiente dello studio, la tecnologia, il disegno e, finita la scuola, a distanza di due o tre anni, mi ha messo a disposizione il primo tecnigrafo, per fare i disegni della prima coppia conica, che servì poi per fare la nostra prima macchina. conservo ancora oggi quei disegni; per altro, la coppia conica fatta sul disegno era quasi impossibile da montare. P. non ne sapeva nulla, io ne sapevo meno, però, se non altro, i calcoli meccanici, i calcoli di quegli angoli erano giusti, tanto è vero che poi quel pignone corona disegnato lo abbiamo usato per quasi un decennio. Mio papà faceva il rivenditore concessionario di macchine agricole. Sono nato nel 1953, pochi anni dopo la fine della guerra, quando tutto era in movimento e portava allo sviluppo; anche chi faceva il dipendente puro è riuscito in quegli anni a costruirsi 119 la casa, a capitalizzare; non come oggi che è tutto un rischio continuo e le difficoltà sono enormi. Dato che mio papà era già nel settore delle macchine agricole, mi è venuta l’idea di costruire una macchina io. Provando, sbagliando, risbagliando e rifacendo, sono riuscito a mettere insieme una macchina di quelle che sono poi state il mio punto di partenza e sono tuttora il cinquanta per cento del nostro core business. È un concetto di macchina ancora oggi non superato. Da lì sono partito: me la sono disegnata io. ero uscito dalla scuola come operatore macchine utensili, quindi capivo il disegno, ma, non avendo mai fatto un giorno come dipendente presso un’altra azienda, avevo qualche difficoltà a capire e ad entrare nel concetto di organizzazione. Di sbagli ne ho fatti tanti, però mi sono accerchiato di persone in gamba; lo dimostra il fatto che abbiamo collaboratori che lavorano con noi da trenta, trentacinque anni, e tanti altri che abbiamo fatto crescere all’interno dell’azienda. Allora gli step sono stati i seguenti: il cFP, l’ingresso nel mondo del lavoro, per aiutare mio padre in quello che gli serviva, la manutenzione; poi, piano piano, a circa ventun’anni, mi sono messo a progettare il primo erpice rotante, macchina che poi è stata copiata anche da aziende grandi, strutturate e blasonate; sono venuti a prenderla come macchina di riferimento, forse perché abbiamo ottenuto degli standard di sicurezza nei calcoli più alti di quelli ottenuti da coloro che ritenevano di essere maestri; loro hanno toppato, avendo realizzato dei modelli poco affidabili; noi, invece, con la nostra piccola esperienza, siamo cresciuti a poco a poco, come le formiche, però abbiamo acquisito un bagaglio tecnico che ci ha consentito di andare avanti. nel settantotto, abbiamo fatto il primo passo da gigante, abbiamo comprato l’immobile che è la struttura dove siamo in questo momento, ampliata e migliorata. Sono partito con due dipendenti; mi sono spostato da S., in provincia di Verona, che ne avevo sette; oggi qui ce ne sono quaranta, diretti e indiretti, perché abbiamo degli interinali che sono diventati al novanta per cento fissi. il mio attuale impegno l’ho portato avanti fino a un certo punto, poi è venuto avanti mio fratello, guarda caso anche lui uscito dai salesiani; dopo di me, ce ne sarebbe un altro, che però ha fatto l’iTiS; per dire la verità, mio fratello, con tutto il rispetto per la sua capacità inventiva e la buona manualità, di tecnica a casa non ha portato veramente niente, tanto è vero che lui apportava idee per l’applicazione, perché aveva il gusto della creatività, l’occhio e la manualità, ma di mettersi a fare un calcolo per un progetto, come facevo io e come faceva anche, quando poi si è inserito, mio fratello più giovane, neanche a parlarne; devo dire che effettivamente ho notato lo stacco. non ho niente contro l’iTiS, e la scuola che ha frequentato lui, a quell’epoca, era già una buona scuola, però posso dire che solo due su tre abbiamo avuto veramente una formazione tecnica. Adesso ricopro altri ruoli, seguo l’amministrazione e la gestione finanziaria e i commerciali, i collaboratori che abbiamo sparsi quasi in tutto il mondo. Ancora sull’apprendimento al CFP: spazio alla voglia di fare il cFP mi ha permesso di apprendere che cosa sia un ingranaggio, di capire un disegno, di vedere come fare e, se vogliamo, di capire che cos’è un gruppo, di imparare a vivere e convivere con gli altri. non è poco, perché col gruppo ti devi confrontare e, se non hai l’umiltà o la disponibilità ad incontrarti, non puoi costruire accordo. in azienda, non vale l’“io”, tutto è al plurale, perché l’azienda è un gruppo, un “noi”. Adesso lo vedo, con l’inserimento di un figlio direttamente nell’ambito tecnico, un ingegnere con laurea breve, che si sta plasmando, si sta creando un passaggio che non è facile, perché, quando non c’è niente, creare è facile, ma, quando ci sono già degli spigoli, degli angoli fatti, è difficile far girare gli altri attorno, perché gli altri non la vedono tutti allo stesso modo. Al cFP, io non riuscivo a stare fermo; uscire però non si 120 poteva, se non tutti incolonnati; devo confessare che a me questo andava un po’ stretto. in quegli anni, con l’aiuto di un assistente, abbiamo creato il gruppo “Flex”, che aveva anche un suo simbolo. Dicono che sia stato il più bel gruppo che si sia mai formato, e io ero il capo banda. in gruppo, facevamo qualche cosa, facevamo delle bacheche, per mostrare i giornali; le bacheche all’inizio sembravano una stupidaggine, invece dopo un po’ tutti ci chiedevano: “Perché non è ancora uscita la bacheca?”. Per andare a prendere due giornali, B., il consigliere dell’epoca, ci doveva concedere il permesso; avevo il permesso di andare in Borgo Milano, nell’edicola che c’era prima dell’incrocio; mi davano quindici minuti, poi rientravo e insieme componevamo la bacheca. Anche se non ero tanto docile ed ero riluttante a lasciarmi “impostare”, ho ricevuto molto. col gruppo, abbiamo organizzato delle pesche, delle lotterie, delle attività. c’erano dei gruppi a cui piaceva di più fare le orazioni, noi invece eravamo più attivi, a noi piaceva muoverci. Abbiamo fatto gruppo anche con la squadra di basket: siamo riusciti ad arrivare in serie D. Poi abbiamo fatto una squadra di calcio amatoriale, con ragazzi che, se non erano preda della droga, poco ci mancava. negli ultimi anni, quando il gruppo si era plasmato, le sera andavano a dormire in orario opportuno, e non alle due di mattina, perché il giorno dopo dovevamo giocare. qualche cosa mi avranno dato sicuramente anche i fischi, gli obblighi, la disciplina, ma più di tutto lo spazio dato alla nostra iniziativa, alla nostra voglia di fare. lo dico con orgoglio. Per me il cFP è arrivato al momento giusto. Poi c’è stato anche mio papà, che ha avuto il coraggio di lasciarmi provare, di guardarmi e criticarmi – perché era comunque un papà –, ma di lasciarmi anche andare. Da parte mia, ho fatto tesoro di tutto questo, tutto mi ha temprato. non posso dire di non aver mai avuto un battibecco con don F., con P. o con qualche altro salesiano, ma erano battibecchi dovuti a diversità di vedute, perché magari alla sera noi, che avevamo questo gruppo, facevamo degli schiamazzi, nell’ora detta del silenzio, quando c’era il “coprifuoco” e tutti avremmo già dovuto essere a dormire; ma io ragiono e penso anche che era il sessantotto. non mi dispiace niente di quello che ho vissuto; ci sarebbe da scrivere un libro; non mi sono mai annoiato. Andavamo fuori la domenica con le biciclette; ma che biciclette, erano dei rottami di bicicletta! Per fortuna c’erano l’età e le forze adeguate e andavamo con queste biciclette insieme a fare dei giri. Anche se ci sono state delle cose storte, guardando a ritroso il mio film, lo trovo positivo. in sintesi, considero l’esperienza positiva; in quegli anni, abbiamo imparato a vivere in gruppo e a collaborare in gruppo. Anche in camerata avevamo le nostre fazioni, c’era chi andava più d’accordo con uno chi con l’altro; uno era un po’ altezzoso; io venivo da una famiglia semplice; non ho vergogna a dirlo, per farmi studiare, mia nonna passava qualche soldino a mio padre. Penso di aver contraccambiato lo sforzo che ha fatto mio padre. Posso dire che in istituto ho imparato a vivere e a convivere: la mia esistenza era legata ad altre persone. Tecnicamente mi hanno dato molto, ma nei rapporti interpersonali ho avuto ancora di più. ha visto che ricordando piccoli passaggi mi si sono messi a luccicare gli occhi? Contatti mai interrotti non sono uscito dall’istituto chiudendo una porta, l’ho sempre tenuta aperta, tant’è vero che ancora oggi ho contatti con P. per altre istituzioni dei salesiani nel mondo e ho contatti con c., che è un ingegnere, è stato insegnante di mio fratello e ci viene a trovare nelle fiere. non è che ci siamo presi un diploma e siamo andati via. io e gli altri abbiamo preso un diploma, siamo usciti ma abbiamo anche lasciato dentro qualche cosa. Mi dispiace quando capita di non poter andare all’incontro degli ex al121 lievi perché magari sono impegnato in altre faccende. l’unico neo è che, una volta uscito, ho avuto una specie di ribellione interiore ad andare a messa la domenica, perché in istituto avevamo preghiere al mattino, a mezzogiorno, alla sera, ci mancava che ne mettessero a mezzanotte. Dentro di me ribollivo e non ne potevo francamente più. Però adesso, ovunque mi trovi nel mondo, all’occasione entro in una chiesa per un pensiero, un’orazione, quello che è. qualcosa di forte mi è stato trasmesso: forse lo spirito santo o lo spirito di volontà o lo spirito di quegli insegnanti che mi hanno sopportato e supportato. i salesiani sono comunque rimasti nel tempo punti di riferimento: quando ho chiesto qualcosa, mi hanno sempre dato e, quando mi hanno chiesto loro, ho dato io; c’è reciprocità. i grafici si stavano istallando; quando c’ero io, la parte in cui dovevano andare loro non era ancora pronta; il signor P., che era il responsabile dei grafici, mi ha chiesto di costruire le porte da calcio, perché c’erano gli elettromeccanici che si erano insediati da pochissimo, nuovi pure loro, i meccanici che erano già lì e i grafici che si stavano insediando e bisognava costruire altre porte per giocare a calcio nelle ore di ricreazione, dopo pranzo, per l’idea che al san zeno mancano le panchine, anzi proprio non sono previste. ho fatto le porte con quello che c’era; era pressoché impossibile che stessero in piedi, infatti sono durate un anno o due e poi sono state fatte più forti, più robuste. I raccolti di una buona semina Sono andato avanti a testa bassa, facendo qualche progetto, conquistando giorno per giorno la confidenza e la simpatia. ci siamo aperti presto, già nel 1977-78, la strada verso l’estero, e l’estero è stata un’altra scuola di vita. Avere una mentalità preparata – i concetti di correttezza, professionalità, rispetto che ho appreso dai salesiani – sicuramente mi ha aiutato. Andare in Germania o in Francia, a quel tempo, era andare chissà dove, adesso corro in aeroporto perché alle dieci ho l’aereo, all’una devo essere a Parigi; il mondo è cambiato completamente. Avevo un certo bagaglio e un indirizzo che mi ha permesso di arrivare a mete che non avrei mai immaginato. quindici giorni fa è partito un container per la cina, un mercato a cui non avevamo mai guardato, per problemi di competitività, mano d’opera, per il fatto che non hanno leggi, se non per noi. Guardo indietro di trent’anni, in questi anni di attività, nel mercato, siamo considerati tra le aziende che hanno moralità, onestà, correttezza, professionalità e, aspetto non secondario, producono macchine di qualità. Mantenere questo livello non è facile. Sono i raccolti di quello che è stato seminato. Per non cadere, non dobbiamo sederci sugli allori. Abbiamo anche quattro persone che vengono da comunità di recupero; sono più bravi e più responsabili questi di quelli che non hanno avuto un percorso difficile. Devo riconoscere che io ho fatto i dovuti sacrifici e oggi posso dire che è valsa la pena farli. Facendo un lavoro che da un pezzo di ferro grezzo arriva a modellarlo e a farne venire fuori una macchina, devo riconoscere che c’è una relazione tra questo e la mia formazione tecnica. oggi non facciamo più soltanto la meccanica; forniamo aziende straniere che poi vendono con il loro nome. non credo che uno venderebbe anche solo una barretta di cioccolato con il proprio nome, se questo fosse fatto male. qui parliamo di macchine, che quelle aziende vendono in giro per il mondo col loro nome. Per essere arrivati a questo, sicuramente ho a cuore qualcosa di fermo, con questo però non dico di non aver svarioni o tentazioni, ma ho visto che quando usciamo di lato, chiarendo il problema, siamo poi tornati indietro o abbiamo fatto una curva a sinistra e proseguito nuovamente diritto. oggi le macchine non sono più una questione di meccanica ad ingranaggio, ci sono la meccanica idraulica e quella elettronica e oggi chiediamo alle software house che ci facciano dei programmi da appli122 care alle nostre macchine. Abbiamo da tre anni un progetto con un gruppo che fa un trattore che funziona a idrogeno, dall’idrogeno producono forza idraulica e forza elettrica; ovviamente c’è anche qualche cosa di meccanico, perché questo motore, quando gira ha un organo meccanico; abbiamo già una macchina che si collega al satellite; avremo la possibilità di avere un trattore a idrogeno, perfettamente ecologico, e una macchina che può fare determinati tipi di lavori sfruttando l’energia creata dall’idrogeno. non basta più la meccanica – e noi fino a lì ci siamo –, serve l’idraulica ed è minimo un decennio che noi applichiamo idraulica meccanica ed elettronica e siamo stati anche riconosciuti in europa per diverse innovazioni. questo significa evolversi, ma questo percorso lo abbiamo fatto perché ci sono M., S., che si impegnano, A. che fa e quell’altro che fa dell’altro. Allora ne viene fuori una miscela, ne nasce un misto e così ritorniamo ancora al gruppo. credo che l’azienda sia questo, non è “el paron son mi”. Se un mio collega, un concorrente o un dipendente mi fa un’osservazione, devo ascoltare la critica, mediare, vedere fino a che punto c’è una verità, individuare dove c’è da intervenire. Mi creda, non è facile! (intVr1). 9. UNA FORMAZIONE CHE COMUNICA ENTUSIASMO V. (intBa2), 32 anni, è un ingegnere elettronico. Al cFP di Bari, non ha seguito la formazione iniziale, ma un corso di automazione industriale dopo la laurea, tra il 2005 e il 2006. nel suo racconto descrive accuratamente l’approccio induttivo che è stato seguito nel corso, ma anche l’intreccio di competenze tecniche e umane che l’ha autenticamente conquistato e l’ha reso partecipe degli entusiasmi dei suoi formatori. Attualmente lavoro in un’azienda di automazione industriale, come progettista di software. All’inizio il mio ruolo era soltanto quello di progettista elettrico; col passare degli anni, ho assunto il ruolo di analista software per l’automazione di linee di montaggio, sistemi Plc, robot, tutto ciò che rientra nell’automazione industriale. Dopo aver frequentato il corso, ho avuto la fortuna di essere assunto presso una delle aziende in cui avevo fatto lo stage. Proprio lo stage mi ha permesso di farmi conoscere e di mettermi in luce in una di queste realtà e poi di iniziare il mio percorso lavorativo. l’esperienza al cFP è stata abbastanza vasta; la prima cosa che comunque vorrei sottolineare è l’attenzione all’aspetto umano che caratterizzava sia l’ambiente, che le persone con cui ho avuto a che fare. con queste persone ho poi stretto un legame affettivo che continua ancora oggi, cosa che, per come sono fatto io, non è stata semplice. quando ho la possibilità, ritorno con piacere a fare visita al professore che più di tutti ha contribuito al corso che ho frequentato. Mi hanno colpito il modo in cui è stato tenuto il corso e l’entusiasmo che chi lo teneva è riuscito a trasmettermi; credo sia questa la cosa fondamentale. non credo sia facile tenere un corso, riuscendo ad alimentare entusiasmo nelle persone che lo seguono, a stimolare in loro la curiosità di capire, di seguire, fino a non vedere l’ora che torni il giorno dopo per continuare quello che hai lasciato il giorno prima. Una cosa particolare era il suo modo di approcciare le cose, con degli esempi, facendoti vedere le cose nella loro praticità, rendendotele il più semplici possibile e facendoti capire le potenzialità di quello che in quel momento stavi trattando, facendoti venire la voglia di approfondire il tema ulteriormente. Spesso il percorso non terminava in aula; una volta tornato a casa, continuavo ad approfondire. il corso era basato sulla programmazione dei Plc (Programmable logic controller), cioè sui si123 stemi di automazione. Si tratta di sistemi di controllo che vengono programmati e permettono la movimentazione di nastri, di cilindri. la fortuna era di avere un laboratorio attrezzato, che consentiva di provare le cose che ti venivano in mente. Mi veniva stimolata la fantasia di fare una determinata cosa, allora tornavo a casa e continuavo là, pensando a mille soluzioni e progettando; il giorno dopo non vedevo l’ora di provarla, per vedere se effettivamente funzionava. ero molto preso dal fatto di poter mettere subito in pratica quello che scoprivo. questo insegnante, più che arrivare subito alle formule, alle risposte, ci faceva lavorare sul metodo, sui processi, sui passi che dovevamo compiere per arrivare ai risultati, facendoci vedere anche l’importanza di lavorare sul metodo, oltre che di imparare un contenuto o una determinata risposta; è proprio questa la cosa che, da un punto di vista professionale, mi è rimasta più impressa. Per me è molto significativo anche il legame affettivo che è rimasto con il docente. ho perso mio padre quando ero molto piccolo. ho avuto una madre che ha fatto sia da madre che da padre e questo va bene, ma solo fino a quando sei piccolo; quando vai avanti nell’età, hai bisogno di una figura maschile, di polso, che ti dia anche qualche consiglio o meglio che ti porti a ragionare in modo che, alla fine, trovi da solo la risposta a quello che cerchi. quel docente ci portava a ragionare, con la sola sua presenza, facendoci le domande giuste. con lui non c’è stato solo un rapporto di insegnamento; con lui sono riuscito ad avere un rapporto molto più profondo. il fatto di vedere una figura sicura e autorevole mi ha trasmesso tanto. Ritengo che gli esempi siano fondamentali: chiunque va in cerca di un esempio in cui rispecchiarsi per seguirlo. quel rapporto continua anche adesso, anche se non ho la possibilità di vederlo spesso; mi basta quell’oretta, ogni due o tre mesi, quando riesco ad andare a trovarlo. Si parla del lavoro, di come va, si parla di varia umanità. lui era quello che più credeva nel progetto che in quel momento si stava portando avanti; si vedeva che credeva in quello che faceva; ci metteva entusiasmo e lo trasmetteva. Avendo molte ore con noi, era il docente che, più di tutti gli altri, riusciva a istaurare con tutti un rapporto sia tecnico che umano. il mio “sogno” era proprio quello di fare il lavoro che sto facendo. quando ho saputo che c’era la possibilità di fare un corso su questi temi, ho accettato con entusiasmo. il corso mi ha rafforzato e mi ha dato la possibilità di fare cose che, secondo me, non avrei potuto avere in altro modo, proprio per la difficoltà che c’è nel passaggio dal percorso universitario all’attività lavorativa. il corso ci ha fatto vedere com’erano le realtà lavorative e quindi ci ha dato la possibilità di farci un’idea su come approcciarci ad esse. Una cosa è essere chiamato e fare un colloquio, un’altra è fare esperienza all’interno dell’azienda. Se non hai mai avuto nessuna esperienza lavorativa e non sai com’è organizzata un’azienda, ti senti impacciato, non sai cosa dire o non dire. c’è tutto un ambito che abbiamo affrontato durante il percorso formativo su come presentarsi a un colloquio di lavoro, sull’approccio nei confronti della persona che hai di fronte, anche dal punto di vista della gestualità; ti fanno capire quanti aspetti sono valutati quando uno si presenta come candidato per un posto di lavoro. Sono cose che non ti dice nessuno. questa formazione è stata davvero preziosa e utile, mi ha aperto la mente. quando poi mi sono approcciato al mondo del lavoro, ho avuto dei riscontri che mi hanno convinto ancora di più che quella di frequentare il corso era stata un’ottima scelta. Secondo me, in qualsiasi cosa, se ci metti curiosità e il desiderio di tirare fuori il meglio da quello che stai facendo, impari tante cose. Una buona dose di umiltà nell’approcciarmi alle cose appartiene al mio modo di essere. Faccio l’esempio di altri colleghi che hanno partecipato con me al corso: anche loro venivano da un’esperienza universitaria, hanno ritenuto che il corso a loro non avrebbe dato nulla di più rispetto a quello che già sapevano, anzi che fosse una perdita di tempo. in tutta onestà, posso dire che io non ho mai pensato questo, anzi, secondo me, il loro era un modo superficiale di ve124 dere le cose. Alla fine, mentre io adesso lavoro e, con tanta fatica, tanto studio e tanta dedizione, sono cresciuto da un punto di vista professionale, gli altri, che credevano di non aver bisogno del corso, sono ancora lì che non hanno nulla di certo, sono in giro di qua e di là in cerca di un’occupazione. Sono ingegnere elettronico. ho sempre studiato e lavorato perché ho sempre ritenuto importante l’aspetto pratico delle cose. Sono venuto a conoscenza per caso di questo corso, ho visto che l’argomento mi interessava e volevo approfondirlo; sono quindi andato a parlare con il professore responsabile del progetto. il modo in cui mi ha illustrato il progetto, lo scopo, come intendeva condurlo ecc., mi ha talmente entusiasmato che poi ho deciso di partecipare. Soprattutto vedevo che c’era la possibilità di utilizzare i laboratori e quindi di mettere in pratica in modo creativo quello che mi veniva in mente o che avrei potuto imparare dal corso. questa formazione ha influito sulle mie scelte e mi ha aperto una strada; fino a quel momento, avevo solo una vaga idea di quello che avrei potuto fare per realizzarmi nella vita, non avevo strumenti, avevo una vaga idea di quello che mi poteva essere utile. il corso mi ha aperto una porta su come approcciarmi e su quali erano gli strumenti per potersi inserire nel mondo del lavoro. È un’esperienza che cerco di trasmettere agli amici, alle persone che mi stanno vicino, per aiutarle ad avvicinarsi il più possibile al mondo lavorativo. quello che ho imparato cerco di trasmetterlo agli altri. il corso ha accresciuto in me la consapevolezza dei miei mezzi. Se hai la volontà, la passione e la voglia di riuscire a raggiungere un risultato, se non la prima volta, la seconda o la terza riesci. Se ci si approccia alle cose nel modo corretto, vivendole a trecentosessanta gradi, prima o poi riesci. io credo molto nelle sensazioni, nell’empatia, nei legami che si possono creare con le persone. non serve vedersi tutti i giorni; a volte, se si è un po’ riflessivi, basta una parola detta in un certo modo, che già questo ti apre a mille domande. l’approccio che è stato utilizzato con me, è quello che consiglierei anche ad altri. Secondo me non è facile fare l’educatore: hai tante persone, tanti caratteri davanti a te e ognuno recepisce le cose a suo modo; se rimani troppo sull’aspetto formativo, contenutistico, alla fine rendi il percorso noioso e facilmente chi vuole il piatto bello e pronto pone poca attenzione al percorso. Se invece si riesce a trasmettere entusiasmo e voglia d’imparare, di capire che cosa c’è dietro alle cose e come approcciarsi ai problemi, si riesce a fare bene. l’aspetto fondamentale è il rapporto umano che si crea tra le persone. Secondo me, la cosa migliore è riuscire ad avere un rapporto non invasivo; significa non essere diretti nel dire le cose, ma indurre la persona che hai di fronte a riflettere in maniera che si dia da solo le risposte alle sue domande. ecco, secondo me, è questo il massimo che un educatore può ottenere. in questa intervista mi sono sentito a mio agio, tranquillo. Sono una persona che pensa molto al suo percorso, alle cose che ha fatto. quando mi è stato proposto di parlarne, ne ero entusiasta. È bene sottolineare le cose che sono state fatte bene; tutti abbiamo bisogno di sentirci dire “bravi”, di essere riconosciuti nel nostro lavoro; c’è tanto impegno in quello che si fa e una parola buona fa sempre piacere. lo riscontro nel mio lavoro, dove difficilmente si è elogiati, anzi, spesso si cerca proprio di evidenziare le mancanze e, se non si ha un carattere forte, se non si crede in se stessi, diventa difficile affrontare i problemi. Sul lavoro, ti inculcano la sensazione di essere in difetto, ti fanno credere che non stai dando il massimo e che avresti potuto fare di più di quello che hai fatto. Per chi non riesce a tenere sotto controllo questa sensazione, per chi è orgoglioso come me, la cosa è un po’ distruttiva. Diciamo che il corso mi ha aiutato anche in questo. È stato utile sentirmi riconosciuto in quello che facevo di positivo. il corso mi ha permesso di fermarmi, di non avere tutta quella apprensione, quella voglia di dare dei risultati che c’è nel mondo lavorativo (intBa2). 125 10. L’INCONTRO CON INSEGNANTI CHE TI CAMBIANO LA VITA quella che segue è la storia di A. (intBra1), 44 anni, che oggi è insegnante tecnico- pratico in un istituto tecnico e che è stato allievo di un cFP salesiano del Piemonte nei primi Anni ’80. nel suo racconto illustra in modo efficace la sua esperienza formativa mettendo a fuoco quelle figure di insegnanti che gli hanno letteralmente cambiato la vita. Dopo le medie non volevo più andare a scuola. Avevo uno zio con una piccola officina meccanica, che frequentavo fin da piccolissimo, e non vedevo l’ora di andare a lavorare. la scuola non mi aveva mai entusiasmato e, finita la terza media, volevo smettere. i miei dicevano: «Devi continuare!». Abbiamo messo ai voti. loro erano due e io ero uno solo! Perciò ho continuato. Dovendo farlo, ho cercato qualcosa che, facendomi andare avanti, nello stesso tempo, mi avrebbe permesso di lavorare nell’officina meccanica di mio zio. Dai salesiani c’era l’indirizzo meccanico, sia al cFP che all’iTi. Mi hanno detto di cominciare; poi si sarebbe visto se e come proseguire. Fu una scelta sofferta. non ci volevo andare. ho fatto i primi due anni di cFP scoprendo che gli insegnanti potevano essere diversi da come li avevo conosciuti io fino a quel momento. Al cFP ho capito che, se le cose mi venivano offerte in un certo modo, mi interessavano. questo mi ha dato la spinta per passare all’istituto tecnico e continuare la mia formazione. ciò che colpiva di più era il fatto che si condividessero certe cose di fondo. c’erano inevitabili scontri, legati alla differenza di prospettive, però c’era una coerenza su alcuni principi che nessuno metteva in dubbio, che non erano conclamati, ma che tu respiravi entrando. Potevi accettarli o rifiutarli, ma fondamentale era la testimonianza credibile e convinta che ricevevi. Ad esempio, un mese prima di iniziare l’anno arrivò a casa una lettera che diceva: «Guarda che inizi la tua avventura al cFP, ti aspettiamo il primo ottobre...», mentre tutte le altre scuole iniziavano in settembre. Sono venuto con la lettera in mano, chiedendomi come mai la scuola iniziasse il primo ottobre. c’era un caos incredibile, non conoscevo l’ambiente, ho beccato il primo ragazzo che ho trovato in cortile e gli ho chiesto: «Ma qui si comincia il primo ottobre?», «Sì, cominciamo il primo ottobre»; «qui c’è scritto che si fa anche il pomeriggio! », «certo!», «Ma già dal primo ottobre?», «Già incominciamo tardi, vorresti anche che saltassimo i pomeriggi? quando si inizia, si inizia!». Pensai che mi avessero fregato, perché non sapevo dei pomeriggi, poi ho pensato anche che, se uno qualunque degli allievi ti sapeva dare una risposta così, lì erano veramente convinti. ho avuto ottimi insegnanti, persone vere. Secondo me la differenza sta tutta qui: quando ti trovi davanti una persona che non tenta di sembrare quello che non è o di dirti delle cose così, semplicemente perché si deve, ma si mette in gioco personalmente, con tutti i suoi limiti, beh, allora ti cambia la vita. qui ne ho trovato tanti così. Alcuni insegnanti mi sono rimasti impressi anche dal punto di vista fisico. Avevo un insegnante di religione che puzzava di aglio, ma era un insegnante davvero eccezionale. A noi del cFP faceva solo religione, all’iTi faceva chimica, fisica e laboratorio. era di una semplicità sconvolgente, si sapeva mettere alla pari dei ragazzi e, quando spiegava – caspita! –, tu capivi le cose. Del resto, se non le capivi, te le spiegava in piemontese. chi va al cFP spesso ci va perché non è in grado di fare altro o, più precisamente, perché i suoi insegnanti pensano che non sia in grado di fare altro; quindi non è che sia particolarmente motivato o che abbia un’alta stima di sé e ritenga di poter capire. quando trovi un insegnante che magari si mette a gambe in su e a testa in giù, ma le cose te le fa capire, ti cambia un po’ la vita. quando trovi un insegnante che ti dice: «Tu hai il 126 diritto di non capire ed è mio dovere di farti capire», ti cambia la vita. Ti accorgi che non sei un deficiente, che per il professore sei importante! quell’insegnante ha cambiato il mio modo di vedere le cose e l’ha fatto con l’esempio. Aveva un’intelligenza fuori dal comune e, pur di farti capire una cosa, non temeva di ricorrere all’esempio stupido, anche se magari aveva paura che poi tu ripetessi quell’esempio davanti alla commissione d’esame. Secondo me, uno dei punti di forza dei salesiani è da sempre l’attenzione alla persona. nel momento in cui uno si ricorda il tuo nome, tutto cambia. Mi ricordo di un insegnante che durante le interrogazioni si segnava le domande che faceva e le nostre risposte. nelle ultime interrogazioni dell’anno, soprattutto a chi era andato peggio, faceva le domande che aveva già posto in passato e a cui il ragazzo aveva risposto correttamente. questo voleva dire, al di là del fatto se sia giusto o sbagliato, essere attento: «Guarda, ti chiedo una cosa che sai, però dimmela, altrimenti mi metti nei guai!». È un rapporto che va oltre il rapporto di classe, esprime attenzione alla persona, e, quando ti senti guardato come persona, ti cambia la vita. oltre a questo, era importante il fatto che fosse valorizzata anche l’intelligenza delle mani, l’intelligenza del fare. Pativamo tantissimo lo stare nei banchi, la spiegazione solo teorica. All’epoca il cinquanta per cento delle attività erano pratiche; potevi anche essere una scarpa, addormentarti durante le ore di teoria, ma, quando avevi una lima in mano o andavi al trapano e facevi qualcosa di pratico, ti appassionavi, riuscivi a far funzionare qualcosa che non era solo il cervello e questo ti gratificava tantissimo, facevi qualcosa che ti piaceva e su questa cosa che ti piaceva ti davano pure il voto! inoltre, prima che ti arrivasse magari un voto negativo, già ti spiaceva di aver fatto male un lavoro. non è che ti sentivi inferiore perché non avevi capito; sapevi come le cose andavano fatte e ti domandavi perché avevi sbagliato. il voto passava in secondo piano. oggi questa cosa è un po’ più difficile, perché non si possono più fare tutte quelle ore di pratica e, per capire la pratica, c’è bisogno di molte più ore di teoria, con il computer e tutto il resto, però ti garantisco che, quando trovi un ragazzo di quindici, sedici anni, che deve avvitare una vite e non sa da che parte girare, perché non ha mai avvitato una vite in vita sua, allora rivaluti la manualità di tuo nonno, che non aveva neanche la licenza elementare, ma si è costruito tutti i mobili di casa! A me questa cosa piaceva tantissimo: si veniva valutati non solo sulle parole, anche perché all’epoca non ero così allenato a parlare, ero un po’ gnocco, e facevo fatica a tirar fuori i miei pensieri. invece, poter dire: “questo l’ho fatto io!” era una soddisfazione più importante di qualsiasi voto. Un’altra cosa che ha lasciato il segno era il fatto che ci fosse un cortile, dove poter giocare a pallone; non c’era nelle scuole frequentate prima del cFP. entrare al cFP e trovare metri e metri di spazio per correre era una cosa bellissima. Magari io non correvo, però prendevo fiato. Poi trovavi anche l’insegnante più anzianotto, che non era più in grado di fare il portiere e si metteva a preparare i giochini, proprio come don Bosco, con i chiodi piegati, sotto il portico, andando a beccarsi quelli che come me non giocavano a pallone ed erano un po’ persi: «Prova ad attaccare questa cosa, vedi se sei capace...»; io pensavo: «l’ha fatto lui, che ha novant’anni, lo posso fare anch’io!», ma non era così semplice! Anche qui si vede l’attenzione alla persona: per la maggioranza c’era il campo da calcio, ma la minoranza non era abbandonata, c’era qualcuno che ci pensava. non capitava a caso tutto questo, c’era una progettualità, qualcosa di pensato. Mi sono trovato al cFP senza volerlo e ci sono rimasto senza saperlo. questo vuol dire che ci sono stato bene. A volte non puoi dire che cos’è che ti fa star bene; ci stai perché ti senti a casa tua, sostanzialmente. come pure molte volte non sai dire che cosa ti fa stare a disagio, cos’è che ti fa stare male; entri in un posto e speri di uscire al più presto possibile, forse ti danno fastidio il fumo o la musica troppo alta, o il fatto che ci sia gente in piedi, ma poi ti rendi conto che non sono queste cose, è qualcosa di molto più difficile da definire, è l’ambiente 127 che ti fa stare a tuo agio oppure a disagio. il cFP mi aveva messo a mio agio: studiavo poco, stavo attento a scuola e ne avevo a sufficienza, ma facevo parecchie cose: ho fatto un giornalino scolastico, nessuno me lo aveva chiesto, ma io avevo il tempo di farlo, non mi pesava e lo facevo, perché qui mi sentivo bene. Al cFP ritengo di aver imparato a dare dignità al lavoro manuale e alla persona. nella scuola c’erano il primo della classe, la massa dei mediocri e poi lo scarto. Al cFP no, c’era un collage di “scarti” e malgrado tutto c’erano delle persone che si sforzavano di far capire a questi “scarti” innanzitutto che erano persone e non dei “buoni a nulla”, che avevano delle potenzialità, che dovevano farsi rispettare, non stare sempre zitti e subire o peggio passare dall’altra parte e assumere comportamenti violenti. Ricordo che, quando sono entrato al cFP, benché fossi uscito abbastanza bene dalle medie, non ero in grado di prendere un giornale e capirlo, perché non avevo idee mie; forse ero solo giovane, ma anche non adeguatamente preparato. Vedere un insegnante che arriva, dice che ieri sera al telegiornale hanno detto una data cosa, sostiene che secondo lui è una cosa gravissima e chiede il nostro parere a riguardo ti apre. noi eravamo là per fare delle cose e tutto questo ci veniva dato in più, senza che noi lo sapessimo; poi ce lo siamo trovati nel nostro bagaglio. Sono le cose che ti restano, qualunque cosa farai dopo. quando studiavo io, non c’era il computer, la metà delle cose che spiego oggi in classe me le sono studiate per conto mio, perché hanno a che fare con il computer. non è che la scuola deve insegnarti tutto, perché le cose passano e, quando esci dalla scuola, sono già vecchie, ma deve darti un orientamento generale e la capacità di andarti a cercare quello che ti servirà. Se la scuola, compreso il cFP, sa darti questo, vince la sua campagna, perché ha fatto delle persone, non ha fatto degli operai specializzati. Se puntiamo a fare un operaio specializzato, apriamo delle fabbriche, non dei cFP! (intBra1). 11. LA PORTA SEMPRE APERTA c. (intVr5), classe 1954, perito grafico, ex allievo dell’istituto salesiano San zeno di Verona, attualmente è dirigente all’istituto Poligrafico dello Stato. ha frequentato il San zeno alla fine degli Anni ’60. Della sua esperienza formativa ricorda in particolare la competenza e la disponibilità dei suoi docenti. La storia professionale ho avuto esperienze un po’ in tutti i settori della grafica, partendo dall’apprendistato; ho avuto la fortuna di vincere un concorso in Mondadori dove ho lavorato per sette anni; ritengo che sia stata la svolta principale nella mia vita professionale. infatti, per quanto fossimo già periti industriali, specializzati in arte grafica, ci hanno mandato a scuola per altri due anni; in quel tempo avevano assunto diciotto periti, tra elettrici, elettrotecnici, grafici, meccanici, e il progetto era denominato “capi anni ottanta”. ci fecero andare a scuola per due anni consecutivi: quelli che non erano grafici poterono così acquisire conoscenze grafiche, mentre noi grafici – eravamo in tre o quattro – potemmo svilupparle ulteriormente e seguire una scuola psicosociologica, applicata al campo dell’industria grafica, proprio per diventare capaci di gestire le risorse umane all’interno delle strutture della Mondadori. questo ci portò ad avere un elemento in più rispetto agli altri, quando fummo inseriti in Mondadori. il progetto andò molto 128 bene fin quando visse chi, a quel tempo, lo volle, cioè il dottor c., che purtroppo morì durante un viaggio a Roma. Da quel momento, le cose cambiarono: ci fecero la guerra interna e alla fine, da lì, siamo usciti quasi tutti; credo che in Mondadori siano rimasti solo uno o due del gruppo originario. Feci successivamente un’esperienza personale di lavoro in una cartotecnica di Verona, poi mi misi in società con un mio compagno di classe. quella fu una cosa bella ma anche molto limitata per le caratteristiche di entrambi. Andai poi a lavorare a Milano, presso una casa editrice, dove facemmo una grande ristrutturazione. Fu forse il periodo più bello, perché avevamo fiducia da parte del vertice aziendale, tanto che, dopo un anno, fui promosso dirigente ecc. Facemmo, ad esempio, nel ’94, il primo spin-off di azienda grafica, tenemmo solo la casa editrice e demmo fuori tutta la produzione grafica. Da lì andai in un’azienda di Rovigo, poi di nuovo a Verona, poi andai a Milano, a capriolo, nel settore litografica, carte e valori, e da lì mi venne chiesta una consulenza all’istituto Poligrafico dello Stato. Fatta la consulenza, mi chiesero chi avrebbe messo in pratica quello che avevo prospettato teoricamente e mi proposero l’assunzione; dal 15 giugno del 2004, sono all’istituto Poligrafico dello Stato, con la responsabilità centrale di tutti gli stabilimenti del Poligrafico, l’area tecnica, che comprende tutta l’organizzazione e la gestione degli stabilimenti. il Poligrafico ha essenzialmente quattro stabilimenti: lo stabilimento di via Salaria, dove facciamo tutte le produzioni tradizionali, i libri, le riviste, la gazzetta ufficiale, la modulistica; poi abbiamo l’officina carta e valori, dove invece facciamo la produzione di valori, dai passaporti, ai permessi di soggiorno, alla carta d’identità, alle patenti ecc.; poi abbiamo la zecca, che conia la moneta; poi abbiamo uno stabilimento a Foggia, dove abbiamo una cartiera e produciamo la carta che serve ai nostri stabilimenti; non la vendiamo all’esterno. questa è un po’ la mia storia. Formatori che hanno lasciato il segno Dell’esperienza al cFP ho soprattutto il ricordo di persone che ancora adesso porto come esempio ai miei collaboratori, quando ho qualcosa da trasferire loro in positivo, ma anche in famiglia, quando ricordo le esperienze fatte. Ricordo una figura fondamentale – ho ancora le lettere che mi ha mandato quando sono arrivato al Poligrafico –, F., che era un po’ come il mio secondo padre. Figure altrettanto importanti sono state quelle di M., c., R., G. e tutto il personale. Ancora adesso, quando torno a Verona, ci ritroviamo per una cena, ripercorriamo i tempi passati; è stata una formazione importante sia dal punto di vista professionale che, soprattutto, umano. Ricordo le cose che F. sempre ci diceva, non solo a parole: la serietà, la preparazione professionale, il rispetto delle persone, l’importanza di essere sempre propositivi, di cercare sempre il lato positivo della situazione, di tradurre anche la realtà negativa in opportunità, l’umiltà. quando ci ritroviamo tra vecchi compagni, lo ricordiamo sempre; il suo è stato un grande insegnamento. Anche tirare fuori un pochettino di aggressività non sarebbe male, specialmente al giorno d’oggi; noi siamo sempre lì a porgere l’altra guancia. Però non ho rimorsi su questo; per carità, in qualche momento di difficoltà, se avessi reagito, forse sarebbe stato anche meglio, ma non rimpiango quello che ho fatto. F. ci insegnava arte, M. tecnologia, G. laboratorio di rotocalco, anche R. insegnava in laboratorio, c. era nostro docente di tecnologia e anche di laboratorio. Un episodio è ben piantato nella mia memoria: una giornata di riflessione che facemmo con F. ci aveva dato un compito da svolgere, che adesso non ricordo, e noi non l’avevamo fatto; si arrabbiò tanto; non l’avevo mai visto così arrabbiato; penso che ancora oggi chi ha partecipato a quella giornata lo ricordi e, prima di far qualcosa di diverso da quello che si era concordato di fare, ci pensa due volte! non ricordo nello specifico 129 quale fosse l’oggetto, però mi ricordo che si arrabbiò tantissimo; fu una delle poche volte in cui alzò la voce, non offendendo, ma facendoci intendere la sua determinazione a fare quella cosa; penso che F. non abbia mai detto una parolaccia o un insulto in sua vita, però, in quell’occasione, ricordo che era rosso in viso, incazzatissimo, determinato, ed è per questo che ci ricordiamo quella situazione. È stato sicuramente importante avere degli insegnanti che, a livello tecnico, fossero all’avanguardia. la scuola, a quel tempo, era per la grafica un centro di interesse direi europeo, se non addirittura mondiale, perché tutte le nuove istallazioni, le nuove tecnologie venivano portate e sviscerate lì; la scuola diventava un punto di riferimento, specialmente per la Mondadori, per quanto riguarda la formazione del personale e la verifica produttiva delle macchine stesse. Anche Me. e ch. erano persone favolose, che davano tutto per la scuola. A lezione, ch., M., R. arrivavano preparati, documentati, con delle schede, delle proiezioni, dei diagrammi, delle procedure di lavoro, dei flussogrammi perfetti. Te ne innamoravi anche solo a vederli. Adesso, le mie figlie, che vanno anche loro dai salesiani, arrivano a casa con delle fotocopie o degli scritti approssimativi, poco curati. la cura dei materiali che ci davano voleva dire tutta una preparazione di gente che dedicava ventiquattr’ore della propria vita, ogni giorno, a quell’attività. Mi ricordo ch. che, ogni volta che passavi nel corridoio, dove ci sono le vetrate che ti fanno veder dentro, era sempre lì che disegnava, studiava, verificava, metteva, levava ecc. e lo stesso gli altri. i direttori della Mondadori del tempo andavano da lui a chiedere se una cosa doveva essere fatta così o cosà; da F. andavano anche per altre questioni, quelle di carattere psicologico; lui era più addentro su queste cose, su come gestire le persone, i gruppi. Dopo il CFP la mia scelta dopo il cFP è stata abbastanza conseguenziale: ho fatto la scuola grafica e sono andato a fare il grafico; stiamo parlando del ’72; adesso non sarebbe così. Uscito dalla scuola grafica, non ho avuto alcuna difficoltà a trovare lavoro e fortunatamente sono entrato in piccole aziende che mi hanno dato la possibilità di sviluppare le mie competenze; poi ho sempre collaborato con la scuola grafica, tanto più che aiutavo M. e ch. a tenere corsi all’associazione industriale di Modena e in altre circostanze. questo mi ha permesso di avere un arricchimento costante e poi, come ho già detto, la mia grande fortuna è stata l’entrata in Mondadori, perché lì mi hanno fatto fare tutti i reparti e mi hanno concesso di andare ancora a scuola, a perfezionare le nostre competenze, soprattutto riguardo a quegli aspetti che avevo coltivato meno; noi infatti eravamo molto forti sulla parte tecnologica, ma eravamo deboli sulla parte direzionale. La porta sempre aperta Spesso mi chiedo cosa ho imparato al cFP e mi rispondo che le cose più importanti che ho imparato sono state l’umiltà, la voglia di dedicarmi al cento per cento all’attività che svolgo, l’onestà, il rispetto degli altri, l’impegno a non fare mai del male agli altri, ma anche il fatto di essere sempre propositivi e di saper ascoltare. ho imparato ad ascoltare da come loro ci ascoltavano: erano attenti nei nostri confronti, avevano sempre la porta aperta. quando qualcuno aveva un problema, F. lo ascoltava; che fosse giorno o notte, mattina o sera, sabato o domenica, non è mai capitato che avesse mandato via qualcuno, rifiutando di parlargli. Anche quando, una volta uscito dalla 130 scuola, ogni tanto andavo a trovarlo, nonostante lo vedessi pieno di lavoro fin sopra i capelli, mi invitava a sedermi e a parlare, anche se poi magari stava in piedi tutta la notte per recuperare il tempo che gli avevo fatto perdere io; e ovviamente non ero il solo ad andare da lui; si era stata creata davvero una bella atmosfera e lui non diceva mai di no. Spero che ci sia una consequenzialità tra quello che ho ricevuto, quello che ho assorbito là e quello che riesco attualmente a dare. Avvicinare formazione e lavoro Mi piacerebbe – sarebbe un sogno – vedere anche tra i nuovi formatori figure come quelle che ho incontrato io. quando ci troviamo con i vecchi amici di scuola, lo diciamo sempre. in futuro mi piacerebbe anche ritornare alla scuola grafica, nel senso che ho avuto quasi tutto dalla scuola grafica, senza ovviamente considerare la famiglia, i genitori, che pure hanno la loro importanza. Posso dire che, se i genitori hanno avuto un’influenza al cinquanta per cento, sulle scelte future, l’altro cinquanta per cento è di sicuro dovuto alla scuola. Ritengo che sia stata un’importantissima, fondamentale opportunità. Per questo mi piacerebbe che anche altri avessero la stessa opportunità. Mi piacerebbe che i formatori di adesso fossero come quelle figure che ho incontrato io. So che è non è facile e per questo ritengo che persone come noi, un giorno, spero abbastanza vicino, un paio d’ore all’interno della scuola grafica potrebbero ritagliarsele, proprio per cercare di portare l’entusiasmo che abbiamo ricevuto e che ci ha portato avanti per quarant’anni. la differenza tra i salesiani di Verona e i salesiani che sono qui a Roma, dove vanno a scuola le mie figlie, è che i salesiani di Verona avevano un rapporto molto vicino con il mondo del lavoro; eravamo nel mondo del lavoro, andavamo a fare gli stage presso le aziende. quello che invece i giovani oggi vivono nel mondo della scuola è un certo distacco dal mondo del lavoro. Ritengo che riportare ai giovani di oggi le esperienze positive e negative della vita e del lavoro – e, nella vita, come nel lavoro, non va sempre tutto bene – potrebbe essere davvero importante per la loro formazione. Per carità, non dico che si debba fare per dieci ore alla settimana, ma un’ora la settimana, magari l’ultima ora del sabato, che è la più pesante, potrebbe essere anche interessante dedicarla a un contatto vivo col mondo dell’esperienza, attraverso dei testimoni. Gli stage estivi Gli aspetti fondamentali sono il sapere ascoltare, l’umiltà di ascoltare e l’entusiasmo rispetto a ciò che si fa. la scuola grafica contattava delle aziende; noi andavamo là durante i mesi estivi; i mesi di vacanza erano tre, facevamo un mese, un mese e mezzo in azienda, regolarmente assunti a tempo determinato e pagati, tanto per toccare con mano la realtà. quando tu facevi un’operazione in laboratorio, con ch., ci potevi anche impiegare mezza giornata e nessuno ti diceva niente; ma, in azienda, o lo facevi in trenta minuti o lo facevi in trenta minuti! Va bene farlo in venticinque minuti, non in trentuno! la prima esperienza di stage è stata positiva e negativa al tempo stesso; ci andammo io e un mio compagno di classe e potemmo verificarci proprio sul saper ascoltare, sull’umiltà, sull’entusiasmo, sul rispetto, insomma su quello che ci avevano insegnato i salesiani. certo influisce anche il carattere: c’è chi queste cose le può apprezzare ed esternare, quasi fossero naturali, e chi ha più difficoltà a farlo. in quella struttura andammo, come dicevo, io e un mio amico. zitto, zitto, io mi misi a tavolino a fare quello che mi chiedevano; ovviamente, gli altri operai ci trattavano come delle 131 reclute, ci sfottevano; io facevo tutto quello che mi dicevano, cercando di fare buon viso a cattiva sorte; dopo due giorni, sentivo che la difficoltà era superata, tutti mi cercavano e mi chiamavano per svolgere dei lavori; il mio compagno ha cominciato rifiutando ciò che gli veniva chiesto di fare e volendo imporre la sua idea; l’hanno fatto morire; non ha neanche finito il mese e mezzo. È rimasto a casa perché non ne poteva più. ho due figlie, una di diciassette e una di diciannove anni, e spesso mi arrabbio con loro proprio su questi aspetti e dico: “Ma, porca miseria, volete spaccare il mondo e non siete ancora nessuno! cominciate ad apprezzare, cominciate umilmente ad ascoltare, a fare esperienza; solo dopo, potrete dire la vostra!”. Persone equilibrate i nostri insegnanti erano davvero persone equilibrate. Ricordo Me., che è stato un grande collega di ch.; era un uomo piccolino, deciso. Adesso si fa tutto con il digitale, con le telecamere, ma una volta si faceva tutto con le pellicole e le pellicole dovevano stare nelle camere oscure e noi andavamo là a svilupparle; con le pellicole ortocromatiche si usava la luce rossa, ma, con le pellicole pancromatiche, non poteva essere usata nemmeno la luce rossa e dovevamo stare completamente al buio. Un giorno, eravamo dentro a una camera oscura, con l’insegnante guida che ci mostrava come funzionava il processo e come si doveva fare, anche se non si vedeva niente, perché eravamo al buio. eravamo in quattro dentro; figurarsi, a quell’età, in una camera buia: inizia il calcio di uno, la gomitata dell’altro; lui ci intimava di stare fermi, ma niente; ad un certo punto, disse: “chi è che mi sta tirando i capelli?”; figurarsi, noi credevamo di morire, eravamo solo in quattro e non è che potevi scaricare la colpa. Siamo usciti dalla camera buia e si seppe subito chi era stato, ma Me. non si scompose, guardò il ragazzo e disse: “non farlo più!”. Tutto qua; non ci fu alcuna repressione; quel mio amico ci ride ancora adesso, si ricorda ancora l’episodio e ricorda di aver imparato dalla reazione dell’insegnante più di quello che avrebbe imparato se questi l’avesse redarguito (intVr5). 12. L’INCONTRO CON QUALCUNO CAPACE DI LEGGERE IL POSSIBILE R. (intVr2) oggi è un ingegnere aerospaziale di circa quarant’anni, che lavora in una grossa azienda italiana del gruppo Finmeccanica. Sostiene che nel suo percorso formativo è stata decisiva l’esperienza vissuta al cFP salesiano San zeno di Verona, alla fine degli Anni ’80. È in particolare una figura di docente, che risalta nel suo racconto come colui che ha saputo resistere alla tentazione di fermarsi a constatare l’esistente e ha saputo intravedere il possibile. ho trentanove anni e lavoro nel gruppo Finmeccanica, come ingegnere. Dopo il cFP, ho frequentato le scuole serali, ho preso il diploma, sempre qui al San zeno, dopo di che ho intrapreso l’università e mi sono laureato in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano. opero principalmente nell’ambito progettuale, nella funzione ricerca e sviluppo, e seguo aspetti che riguardano anche la parte di programmazione, il controllo dei costi, la gestione delle risorse. l’esperienza al cFP me la porto nel cuore. È 132 una cosa che forse un esterno non capisce, perché pensa che, dopo tante esperienze fatte, uno potrebbe anche dimenticarsene. Un paio di anni fa, mi hanno fatto un’intervista, per la selezione del personale nella società dove attualmente lavoro; mi è stato chiesto di raccontare la mia storia; alla fine mi sono accorto di aver raccontato tutto dell’esperienza del cFP e di aver praticamente trascurato l’università, in cui ero stato impegnato per tanto tempo e che poi evidentemente mi ha dato il titolo che mi ha permesso di entrare nel mondo del lavoro e di occupare il posto che occupo oggi. Posso dire che tutto ciò che faccio oggi si basa su quello che ho ricevuto in quei pochi anni: la capacità di percepire e di vivere il mondo in una maniera produttiva per me stesso, ma anche per gli altri, la capacità di relazionarmi, di cogliere il momento giusto per intervenire; tutto questo l’ho maturato al cFP e mi ha dato una marcia in più nella vita. Sono arrivato al San zeno con una sola richiesta: lavorare nel campo dell’elettromeccanica e non in quello della meccanica. Mi ricordo benissimo che don B. disse a me e ai miei genitori: “non c’è posto nell’elettromeccanica”. io ho puntato i piedi, dicendo: “Allora, la scuola non la faccio!”. i miei genitori si erano sentiti dire dai professori della scuola media che “il ragazzo doveva andare a lavorare”. lo ricordo bene. Devo riconoscere che a quel tempo non avevo, come dire, un indirizzo; mi sentivo proprio perso e anche il desiderio di scegliere l’elettromeccanica, piuttosto che la meccanica, sembrava più un capriccio, visto i risultati che avevo avuto fino a lì. Ad un certo punto, si è liberato un posto nel corso di elettromeccanica e io ho cominciato l’avventura. il primo quadrimestre è andata male. Poi è come se si fosse accesa una scintilla; qualcosa è scattato. All’inizio del percorso ho avuto una serie di guai; i miei genitori erano disperati e io mi vedevo come amorfo. c’è stata una persona di riferimento, per me davvero importante: il direttore del cFP che, pur non essendo un insegnante, era solito parlare con noi ed era molto presente in tutte le occasioni fuori dall’aula. ha avuto l’acutezza di accorgersi del mio stato d’animo e ha messo in atto una serie di strategie, anche personalizzate, cioè calate sui problemi di me come singolo, e so che non l’ha fatto solo con me. Mi ha fatto sentire come una persona che aveva in serbo qualcosa da dare e non l’aveva ancora dimostrato a se stesso, prima ancora che agli altri; lo ha fatto parlando, ascoltandomi, tenendomi una mano sulla spalla. insomma ha saputo capirmi e mi ha anche protetto dagli “attacchi” di chi evidentemente non mi capiva o leggeva solamente il risultato scolastico. qui sta un punto chiave: il voto non è un metro di misura assoluto, non coglie ciò che una persona può dare. quel direttore ha saputo leggere anche il resto, il possibile, e questo mi ha fatto sbloccare e fiorire. l’hanno riconosciuto i miei genitori e chi mi stava attorno e io ho cominciato a vivere in maniera proprio diversa. Riconosco a questa scuola la capacità di far capire a ciascuno che ha dentro qualcosa da tirar fuori. evidentemente, a me serviva che qualcuno mi mettesse una mano sulla spalla e mi dicesse: “Guarda che hai qualcosa dentro che non abbiamo ancora colto, mostracelo!”. ho dei genitori stupendi, che hanno fatto di tutto per me, però io, in campo scolastico, ero un po’ un disastro. il fatto che si sia poi accesa una scintilla mi ha permesso di incominciare a vedere lo studio con altri occhi. Da lì è stato tutto un crescendo. Piano piano ho portato le varie materie alla sufficienza piena. non era tanto una questione di voti. il punto era ciò che vedevo riflesso negli occhi di chi mi seguiva. A smuovermi non fu semplicemente il fatto di vedere che a scuola cominciavo ad andare bene. Mi dava entusiasmo il fatto di scoprire che avevo dentro tante cose da tirar fuori. È stato come se, fino ad allora, fossi rimasto col coperchio chiuso e, ad un certo punto, la pentola si fosse scoperchiata. Potevo finalmente dire la mia e veder apprezzati i risultati dei miei sforzi. Da lì è iniziata la spirale positiva. Sono arrivato al secondo anno e i salesiani mi hanno detto: “Guarda che puoi andare avanti, hai la possibilità di prendere un diploma”. ho sostenuto gli esami di idoneità alla seconda iTi e poi ho proseguito con la scuola se133 rale. Di giorno facevo l’assistente di laboratorio nel cFP e la sera andavo a scuola. Tutto mi metteva nella condizione di dare il meglio di me. ho imparato ad entusiasmarmi delle cose che facevo, ma anche a non accontentarmi di quello che facevo e ad alimentare la voglia di fare sempre meglio. Mi ricordo anche di un professore del primo anno, don P., che vedevo come “il terribile”, per il suo modo di porsi, per la rigidità del suo atteggiamento; l’ho vissuto come uno scoglio, mi faceva paura, lo temevo; non lo avevo capito. Fortunatamente, ho avuto quell’insegnante anche negli anni successivi e finalmente ho capito il suo modo di fare che avevo sempre percepito come estremamente rigido. ero io fuori dal sentiero; quando mi sono messo in carreggiata, ho capito: lui chiedeva un comportamento ben preciso, la puntualità, un modo di studiare che presupponeva un lavoro a casa di un certo tipo, una disciplina che io non avevo. quando mi sono sintonizzato e ho capito che fare così mi portava a dei risultati importanti, per me è stata veramente una soddisfazione; la cosa bella – anche se lui non lo faceva capire – è che è stata una soddisfazione anche per lui. Vedevo che le cose andavano bene, eppure eravamo entrambi le persone di prima, era così lui ed ero così io, con tutti i miei limiti, però evidentemente avevo cambiato il mio modo di lavorare e di veder le cose. Mentre facevo la scuola superiore ho avuto anche la gioia di insegnare a dei ragazzi più giovani di me; insegnavo di giorno e andavo a scuola la sera; avevo un’età che si avvicinava molto alla loro; riconoscevano che utilizzavo due comportamenti diversi, a seconda che ci trovassimo in classe o fuori, al campo sportivo. Anche adesso questo aspetto fa parte di me. Sono tanto accondiscendente nel capire i problemi di una persona, nel cercare di aiutarla, quanto rigoroso sull’aspetto professionale, sul raggiungere un obiettivo assieme. So che questo tratto mi viene riconosciuto dagli altri e che certe cose non si possono acquisire nella maturità, nascono in un certo periodo della vita e in particolari condizioni e poi vengono a far parte di te. Terminata la scuola serale, ho preso il diploma e ho intrapreso il percorso universitario, con sorpresa mia e della mia famiglia. Mi ero diplomato in agosto e ai primi di settembre dovevo presentarmi al Politecnico perché il corso era a numero chiuso e si doveva sostenere un esame; ho superato l’esame e sono entrato al Politecnico. il modo di studiare l’ho imparato qui al cFP e l’ho mantenuto all’università; è difficile trovare le parole per esprimermi; l’università, rispetto alla scuola, ti toglie delle barriere, i confini che la scuola invece fino a quel momento manteneva; ti trovi in un attimo a briglie sciolte ed ecco è a briglie sciolte che si vede se il cavallo sa galoppare e se lo sa fare nel verso giusto, nella giusta direzione. All’università il primo anno eravamo tantissimi; tutti avevano una passione sfrenata per l’aeronautica; io, di per sé, ce l’avevo, però non mi sentivo alla loro altezza; avvertivo proprio una sproporzione tra me e loro, però poi molti di loro si sono persi per strada, si sono ritirati o hanno cambiato facoltà, invece io ho capito che quella era la mia strada e che stavo facendo il passo giusto. ciò che mi ha fatto capire questo è stato tutto ciò che avevo vissuto prima. Forse è anche per questo che provo riconoscenza nei confronti del cFP e dei salesiani. quando la Formazione ha la “F” maiuscola, uno se la porta con sé per il resto della vita. Dal punto di vista religioso, ho passato periodi in cui non ero praticante, ma non ho mai perso la sostanza delle cose: i valori veri, l’aiutare le persone ad essere più sensibili verso i deboli, il rispetto nei confronti degli anziani, per esempio, tutti aspetti che vanno anche al di là dell’aspetto professionale. in tutte queste cose, riconosco una linea di continuità. le basi che ho acquisito al cFP adesso fanno parte del mio bagaglio e del mio modo di essere; sono ciò su cui ho poi costruito tutto il resto, comprese l’università e l’esperienza lavorativa: la capacità di relazionarmi, di cogliere gli eventi, di riconoscerli e di cercare, dove possibile, di indirizzarli in termini di progetto. Probabilmente, all’inizio non lo percepivo. Più vado avanti e più mi accorgo che sto vivendo su quella base. oggi mi accorgo che il mondo del lavoro è fatto di 134 persone che devono collaborare per arrivare ad un obiettivo; senza la collaborazione, non si fa nulla; collaborare richiede atteggiamenti di apertura e la capacità di interpretare quello che ci sta attorno, altrimenti non riusciamo a cogliere il meglio dagli altri; se ti relazioni male, l’altro potrà anche essere il più bravo di questo mondo, ma ti darà solo cose negative e vedrà in te non un traino, ma un muro. Grazie all’esperienza personale e vista l’efficacia che lo stile salesiano ha avuto su di me, non voglio farmi sfuggire l’occasione di utilizzare anch’io ciò che ho imparato a beneficio di altri, di chi mi sta attorno. Al lavoro, vengo riconosciuto proprio per la capacità di dialogare, di ascoltare. Talvolta uno, in mezzo a mille problemi o preso da un obiettivo che deve assolutamente raggiungere, perde di vista tutto il resto e pensa di aver davanti solo delle macchine. io cerco sempre di mettere davanti la persona e questo, devo dire, mi ha portato a risultati davvero apprezzabili. il fatto di vivere ponendosi degli obiettivi chiari, dandosi delle regole semplici, è un valore che ho appreso al cFP e che mi ha contraddistinto nelle esperienze che ho vissuto dopo. ho imparato anche a fare delle scelte ponderate e valutate con equilibrio. questo modo di interpretare le cose, che mi fa rimanere ancorato alla terra, è il valore più importante che ho acquisito al cFP. Ai formatori di oggi direi che è importante che un formatore non si limiti a considerare le mere performance dell’allievo in aula e impari a valutare l’allievo anche sotto altri aspetti, che talvolta sono più importanti della materia stessa. questo è valso per me e credo che ci siano tanti ragazzi, forse oggi più di ieri, che hanno bisogno di questo tipo di formazione. Poi il formatore dev’essere anche una persona che sa entrare in sintonia con l’allievo; se uno rimane distaccato, secondo me, non riesce a trasmettere i principi della materia che sta insegnando. Bisogna sempre aprire un varco relazionale e questo non è facile, anche perché ciascuno di noi ha un suo carattere e a volte è un po’ restio ad aprire nuove relazioni. Però, se uno presta un po’ di attenzione a questo, sono certo che le sue capacità formative migliorano; il resto viene di conseguenza. Mi verrebbe da dire che, se uno riesce ad aprire un canale relazionale con l’allievo, il fatto che questo non conosca qualcosa della materia non è così importante; un’informazione potrà sempre acquisirla successivamente. Al contrario, una persona che entra in aula e si limita a scarabocchiare qualcosa alla lavagna e a dare una scheda ai ragazzi, è difficile che dia un valore aggiunto soprattutto agli allievi che hanno problemi. Avere problemi non significa essere un povero disgraziato; i problemi possono arrivare da mille circostanze, sicuramente anche distanti dall’attività di studio che si sta svolgendo. Un’altra cosa importante per un formatore è sapere apprezzare i miglioramenti che vede nell’allievo, e quindi gioirne; l’allievo che passa dal quattro e mezzo al cinque e mezzo, per fare un esempio, ha fatto un passo avanti che assume un valore non confrontabile con quello che magari passa dall’otto al nove. Per me il formatore è quello lì; insegnanti di altro tipo se ne trovano tanti, ma non si possono chiamare formatori. Rivivo questi momenti con estremo piacere. ci sono certi volti e certi passaggi che ancora mi commuovono. Sono quelli che mi hanno cambiato la vita! (intVr2). 13. RICONOSCIUTO PER NOME la storia riguarda F. (intBs1), che ha 38 anni e dirige un cFP salesiano in una città del nord italia, del quale era stato allievo alla fine degli Anni ’80; sottolinea l’importanza che per lui ha avuto una relazione capace di liberare energie positive e di spronare a dare il meglio di sé. 135 Sono entrato a contatto con il mondo salesiano, dal punto di vista lavorativo, quasi per caso. Tutto è cominciato da una proposta di supplenza da parte del vecchio direttore del cFP, mio ex insegnante nell’area dei linguaggi. Sapendo di una mia posizione lavorativa legata al disegno Autocad, mi aveva chiesto se potevo sostituire un insegnante che era stato mio formatore quando frequentavo il centro. Ricordo benissimo il termine delle mie prime due ore di lezione: ero molto emozionato, perché avevo visto un gruppo di venti ragazzi concentrati su di me, ero riuscito ad attrarli e questo mi dava veramente tanta soddisfazione. Da allievo, ero nel settore meccanico. ho fatto il mio percorso all’interno del cFP e, spinto dai miei formatori, che vedevano delle risorse da spendere in altri percorsi scolastici, ho deciso di proseguire gli studi. Due giorni prima della maturità, ho trovato impiego in un’azienda, come disegnatore. ho lavorato in quell’azienda per due anni, ma c’era in me un’insoddisfazione di fondo; almeno una volta al mese passavo a trovare il vecchio direttore o qualche vecchio insegnante che mi faceva piacere vedere. Forse il fatto di essere riuscito a creare un rapporto che andava di là dalla classica relazione insegnante-allievo mi ha consentito di costruire un futuro più che positivo. Sono per estrazione professionale di ambito meccanico e ho cominciato come formatore in ambito meccanico e poi, per vari motivi, sono diventato coordinatore di settore e successivamente direttore di centro. il mio è un percorso un po’ insolito, che ha spiazzato prima di tutti il sottoscritto; ho scoperto di avere delle competenze che prima non pensavo di avere. il giorno dopo aver conseguito la maturità, ero già in azienda a lavorare; ho fatto lì due anni e qualche mese, ma, in quel momento, ero in una fase di crisi sia dal punto di vista personale che da quello lavorativo. Sentendo il direttore del cFP dei salesiani, avevo ipotizzato di aprire una mia attività, che poi ho anche avviato, in consulenza e gestione della qualità. ho fatto il corso all’interno dell’azienda, dove già facevo il disegnatore; poi mi sono dimesso dall’azienda e ho cominciato a fare il consulente e, parallelamente, il formatore. ho portato avanti l’attività di consulenza fino a quando non mi è stata fatta la proposta di un contratto a trentasei ore settimanali all’interno del cFP. lì mi sono trovato davanti a un bivio: o facevo una scelta legata ad aspetti economici – avevo un buon giro di clienti come consulente – o mollavo tutto per dedicarmi al mondo degli adolescenti che dà più soddisfazione. non sono tutti “pezzi” uguali, ogni ragazzo è diverso e ha qualcosa da insegnarti. Ricordo la pazienza degli insegnanti a livello classe, non soltanto con il sottoscritto. È un aspetto che ho cominciato a valutare solamente dopo essermi inserito in quarta superiore. Mi sono trovato a contatto con una realtà fredda, rispetto a una realtà accogliente come sono stati i primi tre anni al cFP. la cosa che secondo me segna di più un adolescente, un ragazzo in fase di crescita, è il fatto di non essere considerato un numero, ma una persona. Sapevano il tuo nome, questo credo che destabilizzi qualsiasi allievo, ieri come oggi: tu non sei il ragazzo numero tot del registro, ma ti chiami Marco, Paolo; so qual è il tuo vissuto. questo credo che sia l’aspetto fondamentale all’interno del mondo della formazione e della scuola. infatti, oltre il livello di preparazione di un insegnante, quello che poi lascia il segno è l’affetto, il fatto di instaurare un rapporto, di dialogare con loro. io ricordo gli insegnanti che alla fine delle lezioni non avevano alcun problema a confrontarsi con noi; c’era l’insegnante che durante la ricreazione andava dai ragazzi, faceva due battute e chiedeva come stavano; secondo me tutto questo per una persona è fondamentale. Tutto questo l’ho ricevuto al cFP e non ho avuto modo di riscontrarlo in altre realtà; essendo cresciuto all’interno del cFP è lo stesso modo operativo che porto avanti con i miei allievi, ma è anche quello che pretendo dagli insegnanti. nel momento in cui si riesce a instaurare un dialogo, otteniamo qualcosa da questi ragazzi, se tiriamo su un muro, io sono in cattedra e tu sei un uditore, i risultati non sono altrettanto soddisfacenti. la pazienza (è una delle doti fonda136 mentali) perché comunque quello del formatore è un lavoro logorante, pur non essendo classificato come tale; il fatto di avere a che fare con venti, venticinque persone diverse, che si comportano in modo diverso, magari un pochettino sopra le righe, perché il target della Formazione Professionale è quello, è particolarmente duro. il cFP è considerato l’ultima spiaggia, sotto il cFP non c’è nulla, quindi molte volte entrano ragazzi problematici. la capacità degli insegnanti nel riuscire a gestire, ad avere la pazienza di ripetere anche dieci volte lo stesso argomento, fa veramente la differenza ed è quello che personalmente mi ha segnato. i miei insegnanti li ho avuti come colleghi e poi come dipendenti e questa caratteristica fortunatamente nel tempo non è mutata. credo che non ci sia un aspetto particolare che possa andare a segnare la mia crescita professionale. Penso che sia stato il trascorrere giorno per giorno all’interno della realtà formativa e crescere giorno per giorno come la famosa goccia d’acqua che scava la roccia. il mio modo di lavorare è condizionato dal mio pregresso, da ciò che ho vissuto quotidianamente, che poi fa parte della prassi salesiana. Ad esempio il direttore del cFP, al momento di una tua cavolata, di una marachella piuttosto che di episodi non congrui al regolamento, ti toglie il saluto; un ragazzo di quattordici anni lo ghiacci, “ma perché? – il ragazzo si chiede – che cosa avrò mai fatto di così grave da portare questa persona a togliermi il saluto?”. era una strategia portata avanti per cercare di far riflettere il ragazzo. Proprio queste cose, il vivere ogni giorno in questa realtà, dove comunque alcuni valori sono sottolineati, lo stile di famiglia, il fatto di essere sinceri e leali, mi hanno portato a essere il direttore del cFP che sono, nulla di particolare. Sulla mia scelta futura ha influito il fatto di riuscire ad ottenere qualcosa dai ragazzi. il dover lavorare in modo frenetico con l’unico obiettivo di guadagnare il più possibile credo che a un certo punto della vita di una persona possa far crollare tutto; quando invece hai a che fare con la persona, con le sue fragilità, le sue debolezze e criticità, e riesci a vedere che un semino depositato oggi, tra uno o due anni, ti dà un frutto, secondo me, non hai nessun paragone. Forse gioca un ruolo anche la passione di insegnare. in quelle due prime ore di lezione, mi sono reso conto che c’era un gruppo di adolescenti che pendeva dalle mie labbra. non ero l’insegnante di quarant’anni, ma un ragazzo che avrà avuto al massimo dieci anni più di loro, però mi sono sentito accolto e rispettato dalla classe; questo è stato il momento in cui ho pensato di intraprendere questo percorso, tortuoso ma soddisfacente; se tornassi indietro, lo rifarei. l’insegnante che più mi è rimasto impresso e che poi è stato il mio direttore del cFP, era don P. A colpirmi non era solo la sua capacità di interagire con i ragazzi; infatti, era una persona che ti sapeva accogliere; la cosa che più ricordo è che forse è stato l’unico insegnante che ha preteso che i ragazzi della Formazione Professionale imparassero un po’ di latino. Ricordo che nelle ore d’italiano don P. ci parlava di latino, non tanto dal punto di vista teorico, ma ci faceva capire quanto fosse importante l’etimologia delle parole, la radice di una parola; questo era sconvolgente. Un insegnante che si presenta così il primo giorno di scuola all’interno della Formazione Professionale, un po’ il segno te lo lascia; un ragazzo che ha fatto la scelta di frequentare la Formazione Professionale perché non voleva scontrarsi con il latino piuttosto che con altre discipline e che, il primo giorno di scuola, si trova l’insegnante che gli vuole inculcare anche il latino nella Formazione Professionale, è un po’ un paradosso! Poi personalmente credo che sia stato l’insegnante che mi ha lasciato di più un segno perché aveva capacità relazionali. È stato lui a dirmi che, se non avessi continuato gli studi, potevo evitare di farmi vedere al centro. Sembra una frase brutta, ma aveva un suo significato; sapeva dove potevo arrivare e voleva che io arrivassi lì. in questa frase non c’era l’intento di demolire ma di spronare. Dopo tre anni che conosci una persona, capisci il perché di determinate frasi; se me l’avesse detto in prima, forse non sarei qui in questo momento. infatti, prima devi istaurare un rapporto per far capire un messaggio; in prima non lo avrei capito, dopo 137 tre anni di conoscenza della persona, sapendo che una frase simile l’ha detta ad altri ragazzi che come me hanno deciso poi di proseguire il loro percorso di studi; sapevo qual era il suo significato particolare e preciso. era un insegnante che puntava alto e noi eravamo tutti stupiti perché ci aspettavamo qualcuno che tendeva a tenere basse le aspettative. È comune opinione, infatti, che la Formazione Professionale sia una scuola di serie “B”, uno quindi entra nella scuola professionale ipotizzando un determinato percorso, e noi con lui siamo rimasti spiazzati! ha fatto tutto l’anno legato al latino, la sua teoria era sapere il latino per riconoscere la provenienza delle parole e questo davvero spiazza. Se io dovessi dire a un mio allievo che fa lezione d’italiano di prendere il dizionario di latino per cominciare a fare lezione, probabilmente avrei il telefono bollente per le telefonate dei genitori che vorrebbero una spiegazione; ai tempi non era così, si accettava tutto. P. era un insegnante che puntava molto in alto, se non fosse stato così, ripeto, io oggi non sarei qui. Sono approdato alla Formazione Professionale perché sono una persona un po’ testarda, avevo avuto alla scuola media come consiglio di orientamento una scuola come il liceo scientifico, ma io non volevo fare il liceo, perché trovavo poca spendibilità all’interno di questo percorso di studi. non sono mai stato una persona che stava sui libri a studiare per tantissime ore, la mia passione era legata al concreto, mi applicavo nel momento in cui avevo un progetto da realizzare. la mia scelta dunque non è andata su un istituto tecnico, ma sulla Formazione Professionale anche perché conoscevo delle persone che avevano seguito questo percorso e poi mi piaceva molto disegnare dal punto di vista tecnico, tant’é che l’indirizzo che avevo intrapreso era disegnatore meccanico. l’obiettivo di me tredicenne, era quello di fare il disegnatore meccanico, punto. i miei genitori fortunatamente non hanno voluto sindacare, portando avanti un ragionamento del tipo che era una scelta che facevo io e che a loro andava bene qualsiasi strada avessi voluto intraprendere purché la portassi a compimento. questo vuol dire tanto, puntare la pistola a un ragazzo perché la scelta non corrisponde ai canoni portati avanti dalla famiglia, anche perché poi sarebbe un facile insuccesso. (la scelta è stata) assolutamente libera, non di ripiego; sono fiero di dire che sono stato un ragazzo che ha fatto la Formazione Professionale, me ne vanto e lo dico anche ai ragazzi della scuola media quando facciamo orientamento. quella di togliere il saluto è una tecnica sotto alcuni aspetti, ancora praticata; io l’ho sempre vista all’interno di questa struttura salesiana, ma parlando con colleghi, ex allievi provenienti da altre strutture salesiane, anche da loro era applicata. il concetto fondamentale è che, nel momento in cui l’insegnante piuttosto che il coordinatore o il direttore ti toglie il saluto, automaticamente nella testa dell’adolescente scatta il ragionamento del perché di questo comportamento: “cosa avrò fatto di male per meritarmi questo?”. l’avvicinamento poi lo faceva l’allievo perché dopo uno, due giorni che questo non gli parlava andava a chiedere spiegazioni. Secondo me è la tecnica che più di altre disarma le persone. noi siamo abituati a reagire con lavate di capo, punizioni, piuttosto che altre tecniche, quando in realtà togliere il saluto secondo me è ancora la tecnica che lascia qualcosa, fa riflettere il ragazzo; siamo abituati al saluto e quando viene tolto questo è evidente che qualcosa non va. Però c’è il fatto che con il ragazzo si tenta di istaurare un rapporto; il formatore, deve essere insegnante in cattedra e amico in cortile. Se in classe mi hai fatto dannare, come faccio a esserti amico in cortile? Togliendoti il saluto nel momento in cui siamo in cortile, qualcosa farò scaturire nella tua coscienza, ti faccio riflettere. questa tecnica su di me è stata applicata solo un paio di volte perché fortunatamente per i Salesiani non sono stato un grosso problema. A me ha dato molto fastidio e secondo me si tende ad aumentare il problema, il ragazzo crede di avere fatto chissà quale mancanza, poi quando si confronta con l’educatore che ha applicato questa tecnica, ti rendi conto che non è una punizione ma un modo per far riflettere. con qualcuno funziona ancora, se dall’altra parte c’è la predisposizione di osservare, perché a volte, 138 se qualcuno non viene salutato, è anche felice di non esserlo. È una tecnica che deve essere applicata bene e ai soggetti giusti, i ragazzi devi conoscerli assolutamente per applicarla. ho imparato tanto e anche ho sbagliato tanto, ma credo che proprio grazie agli sbagli si possa crescere. quello che sicuramente ho imparato è di non limitarsi all’apparenza, sia da studente sia da insegnante. È semplice etichettare una persona in base al primo approccio, non dandole modo di mostrare effettivamente chi è nel corso del tempo. invece se una persona è paziente e ha modo di ascoltare e di vedere tutte le sfaccettature, ti rendi conto che magari dietro qualcosa di non bello all’apparenza, si nasconde una persona piena di valori. Tutto questo l’ho imparato al cFP. ci sono veramente tantissime cose: la pazienza, l’ascoltare, il controllo delle emozioni, perché poi calato in ogni singola persona, in base al lavoro che svolgi, devi avere i nervi saldi, il cFP mi ha insegnato anche questo, sia da studente ma, soprattutto, da formatore e adesso da direttore, poi ti tempra molte cose ti scorrono via. Ti rendi conto che le priorità vanno ridistribuite, ci sono cose più importanti e meno importanti. Se due anni fa per me la priorità massima era veramente al di sopra di tutto, adesso ho imparato direttamente in campo a gestire questi aspetti. io sono stato uno studente che ha sempre puntato all’eccellenza; a me dava fastidio prendere una valutazione negativa e questo gli insegnanti lo sapevano, era quasi una sfida beccarmi non preparato, non perché era una soddisfazione per loro, ma per farmi scendere nella vita reale e per farmi capire che tutti possono sbagliare, non sempre bisogna puntare alla perfezione perché poi questa è nemica del bene. Da studente ho sempre cercato di fare come ho detto, ma poi quando cerchi di riportare nella vita lavorativa la perfezione, soprattutto in un ruolo di direzione, sai che avere un carico di direzione a ventisei anni, avere davanti centodieci famiglie all’incontro d’inizio anno scolastico che vedono un ragazzo giovane, in quei momenti lì è difficile gestire bene le emozioni! infatti, i primi mesi ho fatto molta fatica, e questa agitazione traspariva anche nell’approccio con le persone. Ma confrontandomi molto con don R., il direttore della casa, pian piano ho imparato. lui mi ha insegnato una cosa bella, molto salesiana, mi ha detto: “la sera quando vai a casa, il mazzo di chiavi dell’ufficio e di tutte le porte di questa grossa struttura, poggiale davanti alla statua della Madonna, vedrai che tutti i problemi te li risolve lei”. non ci credevo, però ho provato, e poi è divenuta convinzione mia anche quest’aspetto, e mi sono abituato ad abbandonare alla Madonna certe emozioni, consapevole di aver fatto di tutto, quindi se riesco ad avere un risultato positivo, bene, se invece non ottengo un risultato positivo, so di avere fatto di tutto per ottenerlo. quindi a tenere a bada le emozioni l’ho imparato direttamente qui, con qualche consiglio, che poi è sempre questo. l’esperienza del cFP ha influito sulla mia crescita personale, perché oggi posso reputarmi, usando un gergo salesiano, uno che tenta di essere un “buon cittadino e un buon cristiano”; mi ritrovo inoltre una base sul rispetto delle persone e delle cose altrui, che magari in altri ambiti scolastici non avrei avuto modo di ottenere. Dal punto di vista professionale sarei ipocrita se dicessi che il cFP non mi ha insegnato nulla. infatti, da studente al cFP poi sono diventato formatore, poi coordinatore e infine direttore, devo tutto al cFP! Forse il punto di forza è stato il fatto di avere avuto la possibilità di avere una visione da due punti di vista diversi: da studente mi sono sentito fortunato di essere al cFP, quindi dal banco verso la cattedra, ma anche dalla cattedra verso il banco. ho visto le sperimentazioni, la struttura com’è cambiata in quindici anni, le persone che sono cambiate, ma anche quelle che sono restate. la vedo veramente come una casa, mi trovo a casa all’interno di questa realtà. Forse il fatto che il primo giorno di scuola ci dicessero “Benvenuti all’interno della casa salesiana”, questo continuare a sentirlo, mi ha portato a restare qua dentro. qualcosa di particolare che abbia determinato la mia scelta, non saprei dire, forse essere circondato da persone valide che non si limitano a fare il loro lavoro, l’insegnante, ma hanno anche un altro obiettivo, cercare di fare del 139 bene alla persona. Se i vari insegnanti che mi circondavano non mi avessero detto di continuare nel mio percorso scolastico, forse non sarei qui, e avrei fatto scelte lavorative completamente diverse, come inizialmente ho fatto. È una sorta di cordone ombelicale, vogliamo usare questo termine, che non tagli così facilmente. Penso ad altri miei compagni di classe, ex allievi che in un modo o nell’altro tornano. cambiano le persone con cui s’interfacciano, parlo dei formatori, di persone salesiane, ma in qualche modo tornano. Magari passano degli anni ma poi tornano, questo potrebbe avermi influenzato. Se dovessi tornare indietro a quando ero studente, sicuramente non avrei detto che da grande sarei diventato un formatore, un insegnante, tanto meno direttore! non si può pretendere di essere un formatore, un coordinatore, un direttore di un cFP, se prima non conosci la realtà in cui sei inserito. Per poterla governare o la conosci oppure è difficile. So di alcuni colleghi che vengono da realtà differenti e sono stati inseriti in questa salesiana e le difficoltà le trovano, perché c’è un ordinamento organizzativo tipico dell’impostazione salesiana, ci sono delle figure tipiche della formazione salesiana, magari non menzionate nei regolamenti regionali. quindi credo che sia stata una continua crescita, devi continuamente aggiornarti, sei quindi in una formazione continua. Direi solamente una cosa, tornare alle origini. il cambiamento che si è avuto nella Formazione Professionale degli ultimi anni ci sta forse staccando dal concetto puro di Formazione Professionale, stiamo diventando troppo scolastici e meno formativi. Mi sento solo di ricordare una frase che diceva don Bosco: «i ragazzi della Formazione Professionale hanno l’intelligenza nelle mani», di non pretendere cose di target troppo elevato. noi non abbiamo a che fare con dei liceali, non abbiamo a che fare con ragazzi di scuole tecniche, non sto però dicendo che sono ragazzi stupidi, sono ragazzi che hanno una modalità di apprendimento diversa, possono tranquillamente arrivare all’obiettivo prefissato da un liceale, piuttosto da un ragazzo dell’istituto tecnico, percorrendo delle strade alternative. Fare quel passo indietro e distaccarci un poco dal mondo della scuola, perché il renderci troppo simili a loro ci fa perdere delle buone prassi che sono quelle del confronto e del dialogo. A scuola sono tutti di fretta, c’è la verifica da correggere, la verifica da fare, il compito da consegnare, andando a perdere così aspetti fondamentali come il confronto con il ragazzo, il dialogo, il sorriso. lasciando da parte il periodo storico-sociologico che stiamo vivendo, secondo me un sorriso in più a un ragazzo farebbe bene. Ai formatori e alla Formazione Professionale in genere dico che se nella società c’è ancora la convinzione che la scuola di formazione sia di serie “B” e se i risultati sono questi, ben venga, anche di serie “c” e di serie “D”. Secondo me parlano le persone che sono uscite da questa realtà; so che sono tante, ne conosco personalmente, e vedo che sono persone affermate, ma non nel senso letterale della parola, sono persone affermate perché felici con se stesse. Poi se siano dei semplici operai, piuttosto che manager di grosse aziende famose, l’importante è che sono riusciti a far quadrare il cerchio. questo è quello che mi sento di dire alla Formazione Professionale, i nostri ragazzi sono veramente i figli di don Bosco, se non li raccogliamo noi questi ragazzi chi lo farebbe? l’intervista è stata tranquilla, nel senso che non c’è stata emozione, perché negli anni precedenti ho imparato a gestirla. Fa piacere avere un momento dove una persona si può fermare e pensare ad alcuni episodi, aneddoti e prassi che momentaneamente aveva cancellato dalla memoria. Forse servirebbe farlo un poco di più, potrebbe essere anche uno spunto per parlare con i ragazzi e trasmettere loro qualcosa di positivo. Mi ha fatto piacere anche perché la vivo tutti giorni; ancora oggi qui ho tre formatori che erano miei ex formatori, quindi qualche battuta ce la facciamo: l’insegnante di disegno un anno fa mi ha portato i miei vecchi disegni che aveva in archivio. È bello, sono bei ricordi, poi vedi quanto le persone ci tengono, perché se dopo quindici anni un insegnante ti porta i disegni, vuol dire che l’interesse verso gli allievi c’è. Sono contentissimo di avere rispolverato questi momenti (intBs1). 140 14. A PARTIRE DA QUELLO CHE UNO SA FARE M. (intBra3) ha oggi 24 anni ed è un giovane docente di tecnologia nel cFP di Bra, in Piemonte, dove egli stesso ha seguito il corso triennale. Ricordando la sua esperienza, mette a fuoco la qualità del rapporto che si crea tra docenti e allievi. Soprattutto ricorda che l’approccio salesiano porta a valorizzare ciascuno per quello che sa fare, mobilitandone le energie verso traguardi sempre più elevati. in questo ambiente, che ha vissuto come familiare, ha potuto maturare la scelta di diventare a sua volta formatore e provare il gusto di un lavoro che piace. ho cominciato la mia esperienza al cFP come docente all’età di venti anni, nel 2007, mio primo anno di codocenza in officina; con il passare degli anni sono diventato formatore di tecnologia. ho fatto i tre anni di formazione qui a Bra e poi ho seguito il quarto e quinto anno all’iPSiA di Savigliano, perché c’era la possibilità del passaggio. Molti si fermano, perché il cambio di scuola li spaventa e li fa desistere dal continuare negli studi, e allora vanno a lavorare. Il rapporto tra allievi e docenti All’interno del cFP non c’è un rapporto tra alunni e docenti, come nelle altre scuole, in cui l’insegnante spiega e, se gli alunni capiscono, bene, altrimenti pazienza. All’interno di queste scuole salesiane, come ho potuto sperimentare io, c’è qualcosa di più nel rapporto tra allievi e docenti: si sta in cortile e si parla non solo di cose di scuola, ma anche di cose personali, si fanno degli incontri extrascolastici, si fanno dei tornei sportivi; tra alunni e insegnanti c’è un bellissimo rapporto. questo legame si instaura già nel primo anno, poi si consolida; in terza, si arriva al punto in cui spesso si diventa anche amici al di fuori della scuola. A partire da quello che sai fare Di quand’ero alunno mi ricordo che per me venire a scuola era un divertimento. quando a quindici anni vai a scuola, non sai che cosa farai dopo, ma segui gli amici. io prima avevo fatto un anno di ragioneria e sono stato bocciato, perché quella scuola non era per me; mi hanno consigliato questa scuola perché c’era molta manualità. ho cominciato che non conoscevo nessuno, ma mi sono trovato benissimo. ho dei fantastici rapporti di amicizia con alcuni ex compagni, con i quali esco ancora oggi. la cosa che mi è rimasta più impressa del cFP è la possibilità che ho avuto di andare quattro settimane in Spagna, per fare uno stage, nell’ambito di uno scambio culturale. era la prima volta che andavo in Spagna; quasi tutte le spese erano a carico del centro. È stata un’esperienza bellissima, che ho fatto in seconda, quando generalmente si poteva fare solo in terza. quell’anno, le terze non erano andate e io ho avuto la possibilità di andare mentre frequentavo ancora la seconda, quindi giovanissimo; ho trascorso quattro settimane in Spagna con alcuni docenti, come il prof. M. o il prof. c., che mi hanno fatto vivere un’esperienza davvero intensa. Un paese bellissimo, una bella casa salesiana. Penso che lo spirito salesiano lo vivi in qualsiasi casa salesiana vai: loro mettono al primo posto le tue capacità, partono da quello che sai fare; non importa quello che non sai fare, si parte da quello che sai fare e poi si va avanti; è 141 un’esperienza bellissima, che si vive in tutte le case salesiane; lo capisci già vedendo la gente ti viene incontro. Mentre i miei compagni erano in ditte dei dintorni, io e altri otto abbiamo avuto la possibilità di fare lo stage all’estero. ho preso l’occasione al volo, siamo partiti nel mese di novembre e abbiamo passato tutto il mese in Spagna. Di quel periodo mi è rimasto in mente anche il fatto di avere dei docenti che, la sera, si fermavano a giocare a pallone o a basket insieme; non riuscivamo mai a batterli e allora battere la squadra dei professori è diventata una meta da conquistare; facevamo tornei su tornei. Per quanto riguarda lo studio, le materie teoriche come italiano, inglese, sicuramente le ho apprese più fuori, quando ho fatto il quarto e quinto anno all’iTiS. nella parte professionale invece ho imparato però moltissimo. Ma al cFP ho imparato anche l’educazione, il rispetto dell’altra persona e il non escludere; da alunno, nella mia classe, c’erano il più bravo e il meno bravo; il meno bravo non veniva messo da parte e, in officina, veniva stimolato a fare quello che sapeva fare. il meno bravo faceva altri lavori, magari in officina non era bravo, mentre in inglese era una cima; venivano evidenziati i suoi punti di forza. qua si prende quello che sai fare, quello che non sai fare lo impari se hai volontà; il fatto di non escludere mai gli altri era un aspetto importante. Puoi essere una frana in officina ed essere invece il migliore a calcio. Puoi dirmi che il gioco non c’entra niente con l’aspetto formativo, però magari quel ragazzo è escluso in officina e poi invece può essere conteso dalle squadre di calcio e questo lo fa sentire importante; fa piacere al ragazzo e fa piacere anche a me, perché vedere un ragazzo in un angolo, escluso da tutti perché non bravo in matematica è brutto. Sapere che è bravo in una materia, che in una certa attività lui dà il massimo ed è bravo, gratifica anche l’insegnante. l’insegnante ad esempio insegna anche solo a fare una tornitura; è una cosa semplicissima, fa tutto la macchina, praticamente, però certi ragazzi che arrivano qua e vedono queste macchine, e magari ne hanno paura, perché si possono bruciare con un truciolo; a fine anno prendono coraggio e lavorano come tutti gli altri, anche se non fanno tutti i pezzi giusti, perché con la paura sbagliano le quote, però solo il fatto di aver vinto la paura e di essere riusciti a prendere in mano la macchina è gratificante. Il lavoro dell’insegnare visto dalla parte dell’allievo e dalla parte dell’insegnante Da alunno non riuscivo a vedere quanto fosse faticoso il lavoro dell’insegnante; pensavo che gli insegnanti arrivassero in classe, leggessero quello che c’era da fare e chi capiva bene chi non capiva amen; invece c’è sotto una grandissima pazienza, che penso sia da pochi. questo lavoro, se non sei paziente, non è fatto per te; la pazienza sta prima di tutto; in una classe ci sono trenta ragazzi e non ce n’è uno che abbia una storia uguale all’altra, quindi non è che puoi fare di tutta l’erba un fascio, bisogna prenderli individualmente. Tutto questo non lo vedi, da alunno, pensi solo a ridere e a scherzare e a far disperare il professore più bravo. quando passi invece dall’altra parte, ti accorgi di come eri; tornassi indietro, non farei gli scherzi stupidi o le prese in giro che facevo, anche perché gli alunni pensano che l’insegnante non senta, invece sente benissimo e spesso deve far finta di niente, altrimenti passerebbe le giornate a dare punizioni; su molte cose deve sorvolare. questo gli alunni non lo capiscono, sono giovani e pensano solo a divertirsi; mentre tu spieghi, loro pensano ad altro, a cosa devono fare il pomeriggio o al fatto che devono mettere a posto la moto, devono uscire con gli amici ecc.; non hanno in testa la scuola. Penso che la scuola ti entri in testa verso i diciassette, diciotto anni, quando cominci a capire che il mondo del la142 voro è duro; in questa scuola si fanno dei periodi di stage e quindi cominci a capire che cosa sia il lavoro; magari fai dei tirocini estivi; quando finisci il terzo anno, hai già fatto degli stage e capisci che andare a lavorare significa stare otto ore, tutti i giorni, in un posto dove magari i colleghi ti prendono in giro o ti assegnano i lavori peggiori perché sei il più giovane e il meno esperto; cominci quindi a pensare che è meglio studiare e magari, un domani, andare lì dentro con un pezzo di carta che dice che sei sì un semplice operaio, ma qualificato e sai cosa stai facendo. Gli alunni cominciano a pensare allo studio quando arrivano in quarta e quinta. Diventare insegnante io non sono laureato, perché pensavo prima di sistemarmi e poi di cominciare uno studio per la laurea, almeno triennale; vien voglia di studiare dopo, perché capisci che, nel mondo del lavoro, se non hai niente in mano che ti qualifichi, non sei nessuno. Prima di lavorare qui, lavoravo il pomeriggio, durante il quarto e quinto anno di scuola; uscivo da scuola all’una e all’una e mezza incominciavo a lavorare. ho lavorato per due anni così, con un contratto part-time, in una ditta che fa lavorazioni con la pietra, sempre in mezzo all’acqua e alla polvere. Poi è arrivata la salvezza: mi hanno chiamato qua, a fine quinta, chiedendomi se volevo fare un colloquio di lavoro. non me lo aspettavo. la scuola ha fatto una cernita tra quelli che avevano finito qui bene gli studi, avevano fatto anche la quarta e la quinta e avevano anche una buona capacità di lavorare. io, mentre studiavo, lavoravo, quindi hanno visto che avevo delle buone capacità e che mi davo da fare. Mi hanno contattato insieme ad altri che, purtroppo per loro, non hanno avuto abbastanza pazienza. Magari nell’insegnare non si sono trovati bene, mentre in altri lavori sono bravissimi, magari hanno delle ditte loro, però, non sanno insegnare; quando si tratta di insegnare, devi esserci portato. Se non sei portato, puoi saper tutto, però non funziona. Se dovessi continuare, non saprei ancora quale facoltà scegliere, ma sicuramente una facoltà umanistica, qualcosa che mi aiuti a capire la gente, i ragazzi, qualcosa che mi aiuti a stare con loro, anche se almeno per ora non ho alcuna difficoltà a farlo, anche per la mia età. Un domani potrei perdere questa capacità e allora essere più preparato psicologicamente potrebbe essere importante. Sulla mia scelta di diventare insegnante ha influito molto l’atteggiamento che gli insegnanti avevano verso noi alunni; questo mi è rimasto particolarmente impresso: era un rapporto non distaccato, non di amicizia, ma di vicinanza, fatto anche di un saper scherzare al momento giusto, negli intervalli o nelle pause che si facevano durante le ore. questo rapporto mi ha colpito; quando mi hanno chiesto se ero disposto a provare a lavorare qui, i primi giorni in cui ho provato, ero giovanissimo, avevo vent’anni e i ragazzi più grandi ne avevano diciotto, quindi tra me e loro non c’era praticamente nessuna distanza, ma già allora notavo che, se davo la confidenza nei momenti giusti e rispettavo anch’io le regole, vedevo che i ragazzi mi seguivano. oggi cerco di mettere in pratica quello che ho imparato: entro in classe, firmo il registro, facciamo insieme due parole e poi iniziamo la lezione. incominciando così, imposto bene la giornata fin dall’inizio e la conduco bene fino alla fine. l’atteggiamento che avevano i miei insegnanti con me adesso io cerco di metterlo in atto con i miei alunni: far prendere bene le ore di lezione, con leggerezza, ma nello stesso tempo lavorando, senza affanno, senza aver fretta ed essere nervosi, però con dedizione e impegno. con calma si fa tutto, non con la fretta. Da quello che ho imparato finora ciò che serve innanzitutto è la pazienza e la capacità di conoscere meglio gli alunni non solo nell’ambito scolastico, ma anche fermandosi con loro all’intervallo, giocando con 143 loro a calciobalilla, fermandosi dopo l’orario scolastico per fare due tiri al pallone. infatti i ragazzi a scuola sono completamente diversi da come sono fuori. questa esperienza l’ho avuto a mia volta, accompagnando i ragazzi in Spagna due anni fa, da docente questa volta; a scuola c’erano due ragazzi che venivano considerati delle teste calde, mentre in Spagna erano due agnellini impauriti, non avevano la mamma che preparava loro la roba, che faceva loro da mangiare, erano persone completamente diverse, dipendevano completamente dagli insegnanti, mentre a scuola venivano visti quasi come dei bulli. conoscere i ragazzi al di fuori dell’ambito scolastico è importantissimo. La combinazione tra lavoro ed educazione che crea opportunità Vedo in giro, nelle aziende, che gli ex alunni salesiani sono un passo avanti rispetto a tutti gli altri. i salesiani infatti la prima cosa che ti insegnano è il lavoro e l’educazione e quest’ultima è una cosa che, nelle altre scuole, non si pensa di insegnare. qua invece, prima di tutto, viene l’educazione: il saper chiedere per favore, il saper chiedere scusa, la disciplina. Proprio il modo in cui viene impostato il rapporto va in questo senso. il lavoro ovviamente è quello che è, sono poche ore in officina alla settimana, ma rispetto alle altre scuole sono tante, circa il trenta per cento, dodici ore alla settimana. nel mondo del lavoro magari lavori otto ore al giorno su una macchina, quindi, dopo un mese che lavori, sai già che cosa fare. Però qui a scuola acquisisci un certo rigore anche imparando a stare attento ad uno che ti spiega e ad ascoltare; a un datore di lavoro questo fa sicuramente piacere. conosco questa zona e so che venire da una scuola dei salesiani fa partire il ragazzo con una marcia in più, perché gli imprenditori sanno che il percorso è impostato in una certa maniera; per apprendere l’utilizzo di una macchina c’è tempo, l’importante è che uno sia educato; il datore di lavoro per prima cosa guarda l’educazione: se il ragazzo sa ascoltare e quanta voglia di fare ha. quindi, buone maniere, serietà, rigore, ma anche saper prendere tutto con un sorriso, alla fine saper perdonare e saper chiedere scusa, perché altrimenti vivi male con te stesso e anche con l’altro. Rigore quindi sì, ma sempre con un sorriso per l’altra persona. Per il mio impegno attuale, penso siano state importanti la parte pratica e la tecnologia, con cui impari a conoscere le macchine teoricamente, a calcolare le velocità che ti servono; questo è il fulcro di questa scuola; le ditte del circondario cercano i ragazzi che escono di qui. Sicuramente è la pratica che ti permette di uscire da qui e di entrare subito nel mondo del lavoro. Volti e gesti di docenti Tra i docenti, mi è rimasta impressa in particolare la professoressa d’inglese; adesso è una mia collega, la signora D.; l’ho avuta il mio ultimo anno, che era il suo primo; era giovanissima anche lei, noi eravamo una classe abbastanza movimentata. il primo giorno che è entrata in classe, si è imposta in maniera talmente rigida, che noi pensavamo che fosse l’insegnante più cattiva del mondo, invece col tempo abbiamo visto che, più noi ci comportavamo bene, più lei diventava morbida, ci dava meno compiti, era più comprensiva. ci ha fatto capire che, se sai dare, ricevi tantissimo. Un altro insegnante che mi è rimasto impresso è M., che già all’epoca era invece il più anziano e che adesso mi fa un po’ da papà; è quello che mi segue un po’ di più e mi dà i consigli giusti rispetto all’insegnamento. quando ero suo alunno, era uno dei più severi profes144 sori, mentre adesso mi trovo molto bene con lui, perché mi sa spiegare, mi sa correggere, come del resto sapeva fare all’epoca. queste sono le due persone di quegli anni che ricordo più intensamente. Un aneddoto riguarda una delle feste di don Bosco; un insegnante, di cui adesso non ricordo più il nome, faceva un gioco che nessuno osava fare: c’era una pallina da prendere in un secchio pieno di farina, ma prima si doveva prendere una mela dentro un secchio d’acqua; nessuno osava mettere la testa dentro il secchio d’acqua. quell’insegnante si è chinato e prima ha preso la mela dentro l’acqua e poi la pallina nella farina e si è riempito di farina. questo mi è rimasto impresso, perché allora ho pensato: «Ma guarda, questo professore, con il ruolo che ha, e pur essendo una persona di una certa età, si mette in gioco davanti a tutti noi...! Perché non lo devo fare anch’io che ho sedici anni? Perché mi devo vergognare davanti ai miei compagni?». Dall’azione di questo insegnante, tutti i ragazzi si sono messi a provare quel gioco. Il CFP, una seconda famiglia la mia crescita professionale e personale è andata a pari passo tra la formazione al cFP e con quella che mi hanno dato i miei genitori; i miei genitori non mi hanno mai lasciato a casa a far niente: o mettevo a posto il giardino o aiutavo mio padre. contemporaneamente la scuola mi dava delle conoscenze a livello pratico, anche se tagliare l’erba con il tornio non c’entrava niente, però vedere i macchinari e i motori mi poteva servire per aggiustare il tagliaerba (mio padre era giardiniere); queste due strade procedevano di pari passo. la voglia di lavorare me l’hanno insegnata i miei genitori, insegnandomi che stare a casa a far nulla è bruttissimo e che si deve aiutare, stirare, lavare i piatti, tagliare l’erba. la scuola mi ha dato delle conoscenze a livello professionale e mi ha fatto crescere. Se non ero in famiglia, ero qua e il cFP è stato come una seconda famiglia. A qualsiasi ora venivi, se non c’erano i docenti, c’erano i salesiani, comunque sempre facce amiche. in oratorio non erano più insegnanti, erano animatori e quindi si poteva scherzare e ridere con loro tranquillamente. queste due famiglie insieme mi hanno fatto crescere, è stata un’ottima strada. Lavorare con gusto Dal punto di vista del lavoro, non ho problemi. c’è gente che non trova lavoro e magari ha fatto cinque anni di università per poter fare un lavoro in cui non ci si sporcano le mani; allora io dico: “non ti lamentare, se non trovi lavoro!”. il lavoro lo cerchi congruente con gli studi che hai fatto, ma, se non lo trovi, ti adatti a fare dell’altro. non puoi dire: “Se non trovo da fare l’insegnante, non lavoro!”. Adeguati anche a lavori diversi, impari molto di più che non stando ad aspettare a casa, che ti si accenda una lampadina e che ti arrivi il lavoro. quando mi hanno proposto questo lavoro, non ci ho pensato neanche un giorno, ho preso un permesso e sono venuto a fare il colloquio, perché sapevo com’era l’ambiente e sapevo com’erano i colleghi. È vero che ci sono sempre alcune piccole magagne tra colleghi, ma comunque si ride, si scherza, si va a mangiare insieme a pranzo, si beve insieme l’aperitivo, c’è proprio un bel clima. essendo il più giovane, sono un po’ rivoluzionario, e quando propongo un’idea nuova, come lo spostamento di qualche macchinario, mi guardano in maniera un po’ strana. Sono il più giovane e ho idee giovani, ovviamente, e il fatto di spostare i torni, ad esempio, li disorienta, però mi trovo benissimo con i miei colleghi; giusta145 mente, ci sono tante teste e tante idee. Se sono educato così, indirizzato al lavoro, lo devo alla mia formazione. Mai dire no al lavoro; se rifiuti un lavoro oggi, ti viene negato un lavoro domani. non si tratta di mettere il lavoro al primo posto però, siccome lavoriamo almeno otto ore al giorno, quindi più del quaranta per cento della giornata, il lavoro assume una parte molto importante nella nostra vita. Prenderlo con leggerezza o prenderlo male, ti fa vivere male. ho provato a lavorare qui e mi è piaciuto molto. Al primo posto, nella mia vita, metto i rapporti con i familiari e con gli amici, anche con i colleghi, perché non avere una vita sociale soddisfacente non fa stare bene. non puoi venire al lavoro pensando a priori che ti stanno antipatiche quattro persone, oppure arrivare a casa e non parlare con tua madre o litigare con gli amici. Magari a casa hai delle liti, però vieni al lavoro e sai che stai bene; secondo me così vieni al lavoro più volentieri; poi con il tempo aggiusti anche le cose a casa, con gli amici; viceversa, se sai che al lavoro hai una discussione, cerchi di far valere le tue ragioni nel modo giusto, se invece hai torto, se hai sbagliato, chiedi scusa; è umano sbagliare e tutto finisce lì. comunque al primo posto metterei il rapporto con la gente in generale e al secondo posto il lavoro, perché è una parte importante della vita di una persona: dieci ore le passi a dormire, non te ne rimangono tante per andare in giro. Se il lavoro non piace e non ti realizza, penso che tu debba cambiarlo senza problema. io, ad esempio, non sarei la classica persona da mettere seduta davanti a un computer, non saprei stare in un ufficio tutto il giorno, come non saprei stare davanti a una macchina a controllo numerico tutto il giorno, a schiacciare un pulsante, per tutta la vita. Un lavoro che ti realizzi, che ti faccia stare bene, indipendentemente da quanto guadagni, è la cosa più preziosa. 15. “IL SEGRETO DEI SALESIANI: LA PASSIONE DI INSEGNARE” A. (intct12), che è stato allievo del cFP di catania alla fine degli Anni ’80 e che oggi è un tecnico affermato, racconta la sua esperienza formativa mettendo l’accento sulla passione educativa dei suoi docenti. Il percorso formativo e lavorativo lavoro come disegnatore nell’ufficio tecnico di una grande azienda. Dopo i tre anni al cFP, ho continuato gli studi fino al diploma; ho fatto anche due anni di università, nella facoltà di biologia, ma nello stesso tempo ho seguito un corso di programmazione sulle macchine a controllo numerico che mi ha fatto scegliere la meccanica e non la biologia, che era una delle mie passioni; nel concreto la meccanica mi dava uno sbocco professionale più certo e immediato rispetto alla biologia, pertanto ho scelto questa strada. l’azienda in cui lavoro progetta profili di alluminio per i serramentisti e per il mercato industriale. le scelte nella vita le fai secondo le competenze che sviluppi; avendo fatto meccanica, ho competenze di meccanica. il mio primo contatto con il lavoro è nato in seguito alla proposta che mi hanno fatto i salesiani di andare a Marsala come operatore per il controllo numerico di alcune macchine. quello è stato il mio trampolino di lancio e oggi lo ricordo con piacere. Ricordo che una sera, durante il corso, venne proposto questo posto di lavoro; non essendo io particolarmente legato alla mia città, mi sono fatto avanti. Mi sono catapultato a Marsala per lanciarmi 146 nel mondo del lavoro; non avevo niente, né una casa, né un posto dove andare. A distanza di quattordici anni, posso dire che, se non avessi fatto quel colpo di testa, forse oggi non sarei qui. Poi ho fatto altre esperienze, questa volta all’estero, interfacciandomi con altri uffici tecnici; non è come stare sempre nello stesso ufficio, davanti allo stesso monitor che ti rovina la vista, lì interagivi con altri ingegneri, con altri modi di approcciarsi al lavoro. Dal mio punto di vista, vedo il mio percorso come una crescita continua. Se non avessi acquisito delle competenze, a cominciare dal cFP, di sicuro oggi non potrei fare quello che faccio. L’esperienza al CFP ho un bellissimo ricordo del cFP; ho impressa nella mente la serietà del corpo docente e anche la loro capacità di trasferire un metodo, che è fondamentale e poi serve. ovviamente, come tutti gli studenti, avevamo delle preferenze per quanto riguarda i professori, ma, nell’insieme, ho un ricordo molto positivo. il segreto dei salesiani era la passione di insegnare, di trasferire il loro sapere. Andando poi in una scuola statale, ho potuto constatare personalmente la differenza tra un istituto dove c’era passione e un istituto dove insegnare era solo un lavoro; ad esempio, se non entravamo e facevamo sciopero, per gli insegnanti della scuola era solo un giorno di assenza, mentre dai salesiani, se un giorno non ti presentavi al cFP, telefonavano a casa per sapere la motivazione dell’assenza. Già da questo si può cogliere la differenza. Al cFP ho appreso il valore dell’esperienza, la comprensione della meccanica, del disegno, la possibilità di vedere cose che non ci sono, ad esempio studiando una tavola con delle sezioni parziali o totali e riuscendo a capire cosa sarebbe stata, senza vederla, l’acquisizione delle basi su come leggere un disegno, proprio quello che faccio oggi. Ricordo un esame con don B., che insegnava chimica e oleodinamica, e la paura pazzesca che avevo di lui; eppure la chimica che mi ha insegnato l’ho ritrovata al quarto e al quinto anno della statale. Ricordo con immenso piacere il prof. V. che per me è stato il perno della casa salesiana di catania; sembrerà strano ma per me il rapporto con lui è stato segnato da un pugno, che quel prof. mi diede “con affetto”, per gli errori che stavo facendo. A volte, in ambito scolastico, ci può essere il classico professore che richiama l’alunno, ma che non influenza il fare del ragazzo; ma, se un professore che mette davvero passione in quello che insegna ti fa un richiamo, lo ricordi. Mi ricordo il prof. B., che insegnava matematica e diritto. la cosa bella erano le lezioni fatte nel concreto, la matematica nel concreto, quello che tu veramente andavi ad applicare, quello che tu utilizzavi; i calcoli matematici teorici, che non andrai mai ad applicare, sono marginali, rispetto a una materia che viene insegnata nel concreto; oggi la studi, domani la applichi; la teoria era fusa alla pratica. Poi c’erano il prof. l. e il prof. P. il prof. P. mi ha fatto molto arrabbiare. G. è stato un insegnante che mi ha avvicinato alla meccanica; al primo anno me ne volevo andare via, perché avevo avuto un insegnante pessimo, che mi aveva fatto allontanare dalla meccanica per il metodo che usava. G. ha avuto la capacità di capire il problema e di risolverlo; credo che un insegnante laureato non ci sarebbe riuscito. Un insegnante al primo anno mi prese la testa e la mise nell’autocentrante perché ne avevo paura; lui stupidamente pensava che, facendo così, mi avrebbe fatto superare questo blocco, invece ne ha generati altri e maggiori. Al primo anno infatti volevo lasciare il cFP, dicendo che, se questa era la meccanica, io non volevo più averci a che fare. Al secondo anno, G., notando come lavoravo alle macchine, un giorno mi chiese il perché della mia paura e io gli raccontai l’episodio che mi era accaduto l’anno prima, con il suo collega; lui molto lentamente ha avuto la capacità di farmi riacquistare la sicurezza per lavorare su quella macchina. 147 Al cFP ho imparato un metodo di lavoro. Mi ricordo anche la cura per l’aspetto cristiano, che è fondamentale. Ricordo la preghiere che facevamo la mattina; a quattordici anni la cosa ti scoccia, oggi la ricordo con piacere; avendo fatto poi il passaggio a una scuola statale, dove queste cose non esistono, quasi ne sentivo la mancanza. quello che sono oggi in gran parte è dovuto al trascorso salesiano, ne sono convinto. Ricordare la mia esperienza mi fa un immenso piacere, perché mi fa rivivere momenti belli. Consigli Ancora oggi frequento i salesiani, per lavoro. le generazioni sono cambiate, vedo il comportamento dei ragazzi in aula oggi e lo confronto al nostro di allora; ne deduco che il corpo docente non è più quello di una volta; quel pugnetto che io ho ricevuto per essere spronato era stato recepito bene da parte mia, anche se mi ero arrabbiato; oggi, se un docente ti dà un pugnetto, deve avere paura delle ritorsioni. Tutto viene ridimensionato e tutto va a perdersi. oggi ai formatori manca un po’ di polso; non riescono a essere incisivi anche a causa delle reazioni dei ragazzi. oggi il docente ha molte più difficoltà a svolgere il suo compito educativo. inoltre, per la maggior parte dei docenti salesiani quello che fanno è una missione, per altri è un semplice lavoro (intct12). 16. FIDUCIA CHE GENERA FIDUCIA M. (intFo3), che oggi è un piccolo imprenditore, ha frequentato il cFP di Forlì negli anni 1973-75. Racconta il rapporto con docenti che dando fiducia consentivano ai loro allievi di alimentare la fiducia in se stessi necessaria per muoversi verso mete sempre ulteriori. La storia professionale Finito il cFP, ho iniziato la mia esperienza lavorativa, prima presso un artigiano, poi da un altro. in seguito, sono stato un anno in un’industria e, appena finito il servizio militare, ho iniziato insieme ad altri la mia esperienza come artigiano indipendente, lavorando per aziende operanti nel settore meccanico. Siamo partiti piano piano, con qualche macchinario che avevamo adoperato a scuola, poi ci siamo evoluti tecnologicamente. Allora siamo partiti in quattro; poi la società ha avuto cambiamenti, uno è uscito, un altro è entrato, fino ad arrivare a oggi. ci siamo spostati due tre volte di capannone, cercando sempre di migliorare e di aumentare anche tecnologicamente, seguendo un po’ le esigenze dell’industria a cui noi ci rivolgevamo per lavorare. Purtroppo, in quegli anni, persi mio padre e rimasi solo con mia madre; per me questo fatto ha inciso su tutto quello che ho fatto, su quella che poi è stata la mia avventura. 148 L’ambiente del CFP Al cFP mi sono trovato in un ambiente familiare, con il direttore che per noi era, pur nella sua non severità, autorevole come un padre. c’erano dei punti ben precisi, delle esigenze ben precise; diciamo che quel direttore era un padre austero, però un padre. non so se è stato quello che mi ha condizionato, ma io mi sono trovato benissimo: arrivavo la mattina, dopo le ore scolastiche c’era la possibilità di fermarsi per il pranzo, il pomeriggio c’erano le attività sportive e attività di ogni genere. Ricordo che in quei tre anni trascorrevo più pomeriggi al cFP che a casa. Per me era un ottimo ambiente, sano, pulito, genuino e, nello stesso tempo, educativo; c’era l’insegnamento, soprattutto negli ambiti in cui noi volevamo imparare, il settore meccanico, ma poi c’era questo mix che mi dava soddisfazione. Fin dall’inizio della mattinata, con il “buongiorno”, il responsabile del mattino ci accoglieva con una frase, con un pensiero; quello era l’avvio della giornata, come potrebbe essere in famiglia, dove i genitori ti accolgono con la colazione pronta e gli scambi di parole prima dell’attività lavorativa e scolastica. qui era la stessa cosa: si arrivava e c’era il “buongiorno”, e venivamo educati un po’ in quelle cose non prettamente scolastiche, cose che riguardavano la vita, il comportamento tra ragazzi o con gli adulti. La giusta misura c’era poi l’attività scolastica: gli insegnanti, con una buona preparazione sia pratica che teorica, ci insegnavano a svolgere il nostro lavoro, quello per cui eravamo venuti in questa scuola. il segreto di tutto era la giusta misura, lì c’era la giusta misura di severità e di relazione; si pretendeva, però poi al pomeriggio ci si ritrovava con gli insegnanti, ma anche con il direttore stesso a giocare insieme. c’era, secondo me, quello che è giusto per i ragazzi: pretendere, insegnare in modo deciso, però nonostante tutto essere non dico amici, ma quasi, messi su tante cose allo stesso livello: quando è il momento, l’insegnante deve fare l’insegnante, l’alunno deve fare l’alunno, però in certi spazi ci può essere il gioco, ci può essere il confrontarsi e mettersi allo stesso piano. Resi consapevoli di poter dare di più Frequentando questi corsi in quegli anni mi sono reso conto che potevo pretendere qualcosina in più da me. Mi rendevo conto che non avevo esperienza, che avevo i miei limiti confrontandomi con le officine che visitavo, però mi rendevo anche conto che, adeguatamente spronato, potevo fare qualcosina in più e non fermarmi, non adattarmi a fare l’operaio, o l’operaio specializzato, senza togliere niente e chi decide di fare questo lavoro, per carità. Però mi ero reso conto che potevo ambire a qualcosina in più, perché ero sempre spronato, incentivato, valorizzato dall’ambiente scolastico, da chi ci insegnava o ci seguiva. Diciamo che queste persone credevano in noi, ci davano fiducia e ci mettevano nelle condizioni di sperimentare che eravamo capaci di dare di più. Faccio una parentesi: ho continuato negli anni a seguire, a venire qui a scuola, a stare nell’ambiente, e mi sembra che adesso ci sia un pochino meno questo, cioè, se in una classe ci sono venti ragazzi, si segue il calendario scolastico, si segue il programma e ok; nei miei anni, chi era voglioso di imparare, chi aveva voglia di fare qualche passo avanti, veniva seguito e appoggiato. Secondo me questo è importante: non adagiarsi, non credere di essere arrivato; non basta fare quel pochino o quel molto, a se149 conda delle caratteristiche della persona, che viene fatto a livello scolastico; se uno ha qualcosa in più, va incentivato, spronato, altrimenti è facile adagiarsi o dire: “Va beh, faccio quello che mi serve e stop”. Mi ricordo che facevamo cose particolari, complesse; tante volte mi fermavo; va beh che giocavo anche a calcio, quindi c’erano gli allenamenti, ma quando avevo tempo mi fermavo qui il pomeriggio e facevamo cose extrascolastiche, perché la scuola te lo permetteva; in altri istituti al pomeriggio la scuola chiudeva e arrivederci. quindi facevamo cose un po’ speciali, cose che erano al di fuori dell’insegnamento scolastico e anche lì ti rendevi conto di quello che sapevi fare, avevi una specie di fotografia di quello che potevi fare. l’essere umano è fatto così: una cosa che gli viene imposta, un programma, la si fa, però senza grande entusiasmo; se invece si lascia spazio anche alla voglia, al desiderio di fare quello che piace, uno ha la possibilità di acquisire un ulteriore bagaglio di esperienza e di professionalità. eravamo quattordicenni, quindicenni; già allora ti rendevi conto delle possibilità; magari c’erano ragazzi molto più bravi di me che hanno cambiato settore o si sono buttati in altri campi. P., durante il “buongiorno” o in orario scolastico, faceva esempi di ex allievi già avviati nel lavoro, faceva esempi di direttori, di responsabili importanti del luogo che avevano frequentato l’istituto salesiano, raggiungendo livelli importanti. era come un calciatore che prende come esempio Maradona o Platini; insomma uno si crea degli obiettivi, dei traguardi, poi sicuramente di Maradona e di Platini ce ne sono stati solo due, però uno si avvicina il più possibile a quello che è il suo obiettivo. eravamo tenuti sempre carichi; ci hanno sempre valorizzati; poi c’è chi l’ha fatto di più e chi l’ha fatto meno. Forse erano anche gli anni giusti; per quanto mi riguarda, ero incentivato a farlo, perché la mia non era certo una famiglia ricca e benestante, che poteva permettere al proprio figlio di non lavorare, se non ne aveva voglia; erano periodi in cui era indispensabile il lavoro; sapendo che era indispensabile, era giusto farlo nei migliori dei modi, in modo piacevole, soddisfacente e, perché no, anche con un certo ritorno economico. Una volta deciso di fare questa scuola, che mi insegnava un determinato lavoro, ho scelto di continuare in questo campo; se non avessi frequentato questa scuola, non avrei intrapreso il lavoro che ho intrapreso. Devo essere sincero, in quegli anni, non conoscevo niente della meccanica, non conoscevo un tornio, non sapevo che cosa fosse una fresatrice, non ne conoscevo proprio l’esistenza; sono venuto a contatto con una cosa completamente nuova, che mi ha appassionato e mi ha permesso di continuare negli anni un lavoro che non ho mai più abbandonato. Docenti esemplari Tra i docenti, ricordo P. per il suo carisma, per le sue capacità, per il lato umano; è una persona speciale, secondo me, piena di doni, un po’ fuori dal comune, sia dal punto di vista umano che di preparazione. Poi ricordo A.: anche lui è stato una colonna portante della scuola in quegli anni e anche dopo; non era un salesiano, era un insegnante di saldatura; purtroppo ci ha lasciato qualche anno fa, ma era una persona di un’umanità incredibile, una persona squisita; la mattina, quando sapevi che avevi lezione nel suo reparto, eri felice. Poi c’erano altri insegnanti giovani allora che anche adesso continuano a insegnare, molto bravi. Ricordo S., che ci ha lasciati qualche anno fa: era un insegnante severo ma preparatissimo. Durante l’orario scolastico, in classe, è importante che ognuno faccia il suo compito; l’insegnante deve essere bravo a insegnare e l’allievo deve ascoltare e imparare, guai se si invertono le cose o se l’allievo smette di avere rispetto dell’insegnante o l’insegnante non ha rispetto dell’allievo. Alcuni momenti di distensione sono necessari anche durante le ore scolastiche e, se ci sono due ore, non sono due ore di insegnamento continuo; nei momenti di sosta o di rilas150 samento, si può parlare di cose importanti riguardanti chi ti sta vicino; ricordo l’insegnante che ti incontra durante l’intervallo, oppure nel pomeriggio, al di fuori dell’ambiente scolastico, che ha un gesto di affetto o una parola o addirittura un dialogo. Ricordo cioè una persona che ti capisce, che parla con te, che ti segue e magari ti sa dare e dire cose utili. Per me sono cose importanti, perché a quell’età un ragazzo ha la mente talmente aperta, talmente pronta a recepire tutto quello che gli viene detto che incamera tutto ciò che poi gli servirà in futuro; una frase detta, buttata lì da un insegnante che tu stimi molto, può essere una cosa di cui l’insegnante non immagina l’effetto, ma che nel ragazzo rimarrà incisa per sempre. Anche il fatto di raccontare una storia è importante; i ragazzi se la ricordano come esempio per tanti anni. ci sono tantissime cose che mi hanno lasciato il segno, che mi sono state di esempio. Un insegnante insegnava anche se non parlava; bastava vedere il comportamento, il modo di fare, quello che diceva; è importante confrontarsi, parlare, però forse è ancora più importante dare l’esempio. È un problema se uno a parole dice cose bellissime e poi nei fatti è completamente l’opposto; quando c’è coerenza, le cose hanno un altro valore; un insegnante ti dà l’esempio anche e soprattutto praticamente. Se un direttore dicesse che con il prossimo bisogna comportarsi in modo educato, rispettoso, e poi il pomeriggio lo vedessi litigare con un insegnante o con un suo collaboratore, non sarebbe d’esempio! invece, se vedessi un direttore che la mattina parla in un certo modo e poi il pomeriggio incontra gli insegnanti e parla loro come se fossero amici, la cosa è diversa. in questo ambiente c’erano persone che avevano qualcosa di speciale, rispetto alle normali persone che si possono incontrare nella vita di tutti i giorni, in piazza, al bar, girovagando. Mi viene in mente l’esempio di un insegnante di materie umanistiche, don R.: ci insegnava italiano, poi nel pomeriggio ci fermavamo a giocare nel campetto e lui era un fuori classe a giocare a calcio; poi lo vedevi fuori dal campo, fuori dall’insegnamento, tranquillo e magari stava lì a parlare con un ragazzino che ai nostri occhi poteva essere insignificante e invece per lui non lo era. erano persone che sembravano semplici, normalissime, e che invece erano speciali, avevano qualcosa in più. non so se questo abbia potuto influire o abbia condizionato la vita e le scelte di tutti i miei compagni di classe di allora; per me sicuramente sono state di insegnamento e di esempio. La restituzione È quello che io adesso cerco di fare nel rapporto con i miei dipendenti; devo spiegare, devo insegnare, devo pretendere quello che mi serve per la mia officina, ma con uno spirito di collaborazione, mai in modo autoritario o con arroganza. questo è importantissimo, a scuola e nel contesto lavorativo. credo che alla fine i risultati siano concretamente diversi; quello che si ottiene in questo modo è molto superiore a quello che si ottiene in altri modi. la società con gli anni è cambiata; adesso, ad esempio, ho due ragazzi che hanno frequentato la scuola; li abbiamo inseriti come soci perché la mia azienda è rimasta piccola, anche se è cresciuta, e anche a loro sto insegnando questo modo di essere e di fare; ho trovato qualche difficoltà all’inizio, però adesso sembra che abbiano capito; poi tra dieci anni, quando saranno loro a mandare avanti l’azienda, spero che continueranno con questo metodo; agirà anche il loro carattere, la loro personalità e decideranno loro cosa fare. Se invece dell’istituto salesiano avessi frequentato l’iTi o il liceo, non so come sarei stato come persona, non lo potrò mai sapere, però io penso che al cFP mi abbiano insegnato a vivere in modo onesto, in modo corretto, a valorizzare quello che è importante e a valutare meno le cose che non sono importanti. Sembrano insegnamenti superficiali, non determinanti, invece 151 credo che siano davvero importanti. Posso ricordare i valori sulla famiglia, il rispetto, quelle cose che poi in una vita sono fondamentali. quando uno è contento nel suo lavoro, è contento con la propria famiglia, è contento in mezzo agli altri, penso che abbia raggiunto l’ottanta per cento di ciò che si può raggiungere, penso che tutto il resto siano contorni, la ciliegina sulla torta. la mia storia è partita in quegli anni e poi c’è stato anche dell’altro, però diciamo che la parte che ha deciso il mio futuro si è giocata in quegli anni, si è svolta partendo da questa esperienza formativa ed è continuata negli anni nel mondo del lavoro. Sono rimasto sempre attaccato a questo ambiente, sono tornato tantissime volte come esperto esterno, poi ho continuato ad avere contatti. questo sta a dimostrare quanto sia stato importante e come mi sia piaciuto l’ambiente; quando vengo da esterno e mi trovo a insegnare in officina quello che so, quello che ho imparato, quello che sto svolgendo in questo momento, mi dà soddisfazione e cerco di insegnare loro quello che mi è stato insegnato, però aggiungendo, togliendo o modificando, in base a quelle che sono adesso le richieste del mercato o le esigenze delle aziende che ci sono oggi sul nostro territorio; spero di essere loro utile come sono stati utili a me coloro che mi hanno insegnato. Ai formatori di oggi non è facile dare consigli perché stiamo vivendo anni in cui c’è stata un’evoluzione che non c’era mai stata prima. i ragazzi sono diversi, completamente cambiati; non dico che siano meno bravi o più bravi, dico che sono diversi, sono nati in famiglie diverse; le esigenze sicuramente non sono quelle che c’erano negli anni in cui frequentavo io, adesso però posso dire che negli ultimi due anni, c’è stata un’inversione di tendenza: cinque anni fa arrivavano ragazzi che, se trovavano un lavoro, bene, altrimenti, magari non erano tanto incentivati, ma avevano alle spalle una famiglia che poteva permettersi di mantenerli per anni senza stress, senza l’angoscia di dire “Se non trovo lavoro, la mia famiglia è perduta”. Adesso, siamo tornati indietro di vent’anni: vedi i ragazzi, soprattutto quelli extracomunitari, preoccupati, li vedi costretti a lottare per cercare un appartamento in cui vivere o per trovare un lavoro, perché altrimenti vengono rimpatriati. ci sono stati talmente tanti cambiamenti, soprattutto in questi ultimi anni, che è difficile avere una ricetta. oggi si è un po’ presi per il collo, perché il lavoro è quello che è e le esigenze sono impellenti. l’unico suggerimento che mi viene in mente è che la scuola dovrebbe essere un passo avanti, e non è facile, proprio perché ci sono stati grandi cambiamenti. Dovrebbe magari riuscire ad insegnare quello che servirà tra un anno o due ai ragazzi che stanno frequentando e non insegnare cose che magari servivano qualche anno addietro. Faccio un esempio, una ditta ha bisogno di ragazzi che usano determinati strumenti di misura; mi viene in mente il tridimensionale, sono apparecchi che misurano i pezzi con una precisione millesimale; ma i ragazzi preparati per questo non ci sono; sono strumenti indispensabili, che esistono da anni, anche nell’aziendina con cinque, dieci persone; c’era già la necessità di usarli per essere sempre un passo in avanti come qualità. Se noi italiani vogliamo rimanere sul mercato, non dobbiamo contare più sulle quantità o diciamo su lavorazioni grossolane, dobbiamo contare sulla specializzazione, sull’alta precisione, sull’alta qualità dei materiali, degli assemblaggi, dei componenti e quindi dobbiamo raggiungere una preparazione in questo ambito. quindi le officine che si sono adattate in fretta, sia a livello burocratico, con certificazioni che ne dimostrino il reale valore, sia acquisendo personale specializzato, che ne garantisca le qualità esecutrici, rimangono e riescono ancora a lottare sul mercato; le altre sono in difficoltà. ci sono aziende che esistono da trenta, quarant’anni e che sono in declino, invece ci sono aziende che sono 152 nate cinque, dieci anni fa e che si stanno espandendo perché sono già partite con il sistema più adatto ai tempi d’oggi. Bisognerebbe anticipare, fare praticamente quello che non fa la politica; quando la politica riesce a fare una cosa, questa cosa è già sorpassata. questa scuola dovrebbe preparare ragazzi in cose che, se non servono adesso, serviranno tra qualche anno, cioè anticipare i tempi. c’è un dialogo, uno scambio di idee tra scuola e aziende, ci sono gli stage, i tirocini, però vengono fatti solo per i ragazzi; gli insegnanti e naturalmente i tutor vengono a visitare le aziende solo nel periodo di stage e del tirocinio, per verificare che cosa fanno gli allievi. Se venissero più spesso, magari si renderebbero conto dei processi, però ammetto, anch’io, che sto parlando di queste cose, non ricordo di averle dette a un insegnante o a un tutor; forse ne ho accennato a qualcuno, ma in modo molto superficiale. io ne parlo poi come se fosse un attimo fare queste cose, non è facile; la scuola ha i suoi programmi, i suoi andamenti, ha le sue esigenze economiche. Dirli è un attimo, ma attuarli crea un sacco di problemi. Si potrebbero fare qui i primi due anni e magari inserire nel terzo anno di specializzazione qualche cosa di variabile, per puntare all’esigenza del territorio, delle aziende dove i ragazzi possono dare la loro collaborazione. noi ad esempio ci siamo certificati l’anno scorso sia dal punto di vista delle lavorazioni meccaniche e sia come piccoli montaggi industriali, perché adesso le aziende, oltre al pezzo singolo, ci richiedono, dopo l’ordinativo, di consegnare dei piccoli kit, componenti composti da diversi particolari. ci hanno certificato anche come piccoli montaggi; non solo la scuola deve cercare di stare al passo, ma anche noi dobbiamo stare al passo delle grosse aziende. quindi oltre alla parte pratica, si tratta di usare quegli strumenti importantissimi, che sono la parte teorica; io mi sono trovato in difficoltà all’inizio con i ragazzi, e anche quando ho accolto i miei due soci che dicevano: “che cosa serve questo, ma è indispensabile quello che facciamo?”. Probabilmente non è proprio indispensabile, come non è tutto indispensabile quello che si fa quando si viene a scuola; pensiamo alla classica domanda dei ragazzini: “Perché devo imparare l’algebra, perché devo imparare il teorema di Pitagora, a che cosa mi servirà?”. queste sono le domande con cui un insegnante viene martellato: “Perché devo fare questo? A che cosa mi serve? Perché devo fare tutta questa documentazione?”. Probabilmente c’è anche qualcosa di superfluo, che non è indispensabile, però nell’insieme la certificazione è importantissima, perché serve a fare meno errori, a sbagliare meno, quindi ha un ritorno economico: meno errori, meno scarti, meno problematiche con i ritorni, con le contestazioni e poi, cosa più importante, crescita d’immagine. Un’officina che si fa un nome, che nel territorio è considerata un’azienda che qualsiasi cosa gli fai fare, non sbaglia o, se lo fa, sbaglia in una percentuale bassissima è come una scuola che dice: “io preparo gli allievi a un livello tale che, se tu assumi un ragazzo che ha frequentato la nostra scuola, sai che ti dà certe garanzie”. insomma sono cose che camminano di pari passo, se poi si cammina di pari passo confrontandosi, parlandone, è ancora meglio. Ricordare il fatto di ricordare, di rivedere un po’ quello che è stato il percorso della mia vita formativa, lavorativa, fa piacere, come un nonno che si mette a tavola e parla con i suoi figli, con i suoi nipotini e racconta le cose che gli sono successe, gli aneddoti. Si rivedono le cose positive, è più piacevoli. Una chiacchierata così sarà sicuramente utile: ne abbiamo parlato in due, la prossima volta se ne parlerà in tre, sarà riportata a qualcun altro; nel nostro piccolo diventa una specie di passaparola, una specie di informazione per tutti quelli che girono attorno al nostro mondo (intFo3). 153 17. DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE il racconto che segue è tratto dall’intervista con A. (intFoss1), classe 1966, ex-allievo del cFP di Fossano e oggi formatore nello stesso cFP. la storia illustra efficacemente il desiderio – nato già durante l’esperienza formativa – di ridare ad altri quello che si è ricevuto. La storia professionale insegno dal 1999 nel settore metalmeccanico del cFP di Fossano, area pratica: meccanica industriale, officina, tornio, fresa, banco, autocad, disegno, tecnologia. A volte lavoro anche in altri corsi, o in quelli serali, ma quest’anno ho avuto una terza; tra una settimana i miei alunni avranno l’esame di qualifica e concluderanno questo ciclo di tre anni. Prima di venire qua ho fatto alcune esperienze lavorative diverse: una in un’industria a Savigliano, nell’ambito dell’automazione industriale e poi come disegnatore di macchine per la lavorazione del legno; prima ancora ho fatto venti mesi di servizio civile. Dopo i tre anni di medie e i tre di cFP, sempre qui dai salesiani, ho fatto il quarto e quinto anno dell’iTiS. qui dai salesiani ho fatto anche il servizio civile, poi sono andato fuori e poi sono ritornato come insegnante. Dopo la formazione ho trovato subito lavoro, proprio grazie ai salesiani; ho scelto all’inizio la professione del disegnatore perché mi sembrava quella più consona. Sono andato a lavorare a Savignano, ho fatto per due anni il disegnatore, poi ho cambiato e alla fine, quando mi sono trovato davanti alla scelta, ho scelto di venire a lavorare qui; la mia ditta si allontanava da Fossano, avevo avuto la proposta di venire a lavorare alla B., che è una ditta molto conosciuta anche a livello mondiale e costruisce caldaie e macchine per la lavorazione dei mattoni; potevo scegliere tra questa proposta e quella di insegnare. la proposta della ditta, a livello economico, era migliore, però l’esperienza lavorativa che avevo avuto mi aveva insegnato che c’è qualcosa di più importante dei soldi. credo che la mia scelta di adesso sia una vocazione, io almeno la vivo come tale, probabilmente anche per quello che ho vissuto negli anni in cui sono stato qua. nel periodo in cui ho fatto il servizio civile, ero un po’ stufo di quest’ambiente, forse perché era tanto tempo che ero qui; mia madre mi sollecitava a fare domanda come insegnante, ma io ero contrario. ho fatto due anni fuori e poi ancora sei mesi; quando mi sono trovato di nuovo a scegliere se fare il disegnatore e andare a lavorare in un’azienda o venire qua, ho scelto di venire qua; là avevo un posto fisso, qui un contratto di nove mesi. credo di aver fatto la scelta della mia vita. non ero ancora sposato e mi sono detto “Se non lo faccio adesso, non lo faccio più”. credo però che sia stata un po’ come una chiamata. L’esperienza al CFP Mi commuovo a ricordare, perché è stata un’esperienza forte; quando facevo la terza cFP, è stato ucciso D. da due miei compagni di seconda; credo che lui sia stata una figura significativa nella mia vita. io facevo la terza, quelli che lo hanno ucciso facevano la seconda. la persona che è stata uccisa era molto corretta, molto esigente, una persona di fede; si svegliava alle cinque del mattino e spegneva la luce all’una di notte; era uno che ha dato tanto ai ragazzi. la figura di D. è stata per me molto significativa. non ci sono eventi particolari che ricordi; il fatto è che respiri uno stile, 154 un’aria di famiglia; qui ho trovato persone che mi volevano bene; il coinvolgimento emotivo c’è, è inevitabile, anche a distanza di tempo. Ad esempio, mi ricordo che D. si rifaceva a don Bosco per quanto riguardava la ragione; quando parlava di ragione, religione e amorevolezza, apprezzavo in lui il discorso sulla ragione. A volte, da studente, contesti l’insegnante; D., al suo agire nei tuoi riguardi, dava delle motivazioni; erano giuste e quindi tu non potevi fare altro che prenderne atto, anche se non ti piacevano; il suo “no” però era ragionato. questa, secondo me, è una cosa importante, perché le cose imposte non piacciono a nessuno, invece, quando uno ti dice una cosa e c’è una motivazione dietro, se vuoi capire la capisci, ma non puoi dire niente. D. era rigido, ma aveva anche una certa elasticità; don Bosco diceva: “il castigo deve servire a qualcosa, non importa qual è l’entità del castigo, ma deve servire a fare cambiare”. Una volta ero arrivato al terzo voto negativo e dovevo farlo firmare ai miei genitori; mi ricordo che D. mi ha fatto chiamare; allora ero molto timido, adesso sono più estroverso; lui, in quell’occasione, mi disse una frase che ancora oggi ha il suo peso: “A., mi fido di te, so che è un momento difficile, ma sono sicuro che tu ce la possa fare e che supererai questo periodo”. la fiducia è una cosa che ti lega; ti senti in obbligo di non tradire la fiducia che gli altri ripongono in te. io ho poca memoria, penso che alcune situazioni mi siano rimaste impresse dentro perché c’è stato un coinvolgimento emotivo. D. era una persona molto esigente. È strano, io ero un ragazzo molto timido allora e quindi mi sarei dovuto sentire inibito da lui, però forse riuscivo a guardare oltre al ruolo che recitava; allora era anche consigliere e aveva dunque la responsabilità di mantenere la disciplina; traspariva che lo faceva per il nostro bene. come dice don Bosco, “…non basta amare i ragazzi, bisogna far capire loro che sono amati…”; ogni tanto, ai miei ragazzi lo dico: “lo faccio perché vi voglio bene, anche se vi devo sospendere per una settimana, lo faccio per il vostro bene, come un genitore che castiga i figli quando si comportano male”. io da D. ho imparato questo: al di là della scorza dura, c’era a volte la battuta che comunque mi faceva capire che ero amato. Poi ho conosciuto don Al. nell’oratorio, una persona molto esuberante che mi ha tirato fuori; dopo ancora, ho conosciuto don Au. le persone più significative sono state queste tre, anche se in ambiti diversi: D. nell’ambito della scuola, don Al. e don Au., che lo ha sostituito, all’oratorio; don Au. era più anziano però aveva lo stesso spirito di don Al. e, se hai lo spirito, l’età non conta. Mi manca un po’ questa cosa: potrebbe essere una grossa potenzialità per i nostri giovani che spesso non sanno cosa fare, non sanno quale modello seguire, e mi rendo conto che noi siamo il primo modello. Don Al., ad esempio, mi ha tirato fuori dal mio pessimismo, dal mio essere timido; adesso mi trovo a essere una persona completamente diversa rispetto ad allora. ho vissuto in un contesto dove c’erano ragazzi e ragazze e con le ragazze impari anche a interagire con gli altri, a capire che hai delle capacità. Ridare ad altri quello che ho ricevuto quello che ho vissuto io di bello e positivo come allievo poi mi è venuto spontaneo ridarlo; è come un ciclo. Penso di essere qui per quel motivo. Sono un insegnante esigente – me lo dicono sempre – e penso di aver preso questo stile da quella persona che non c’è più, che mi voleva bene ma era molto esigente. con il mio modo di essere e di fare, perché ognuno di noi è diverso, ripropongo lo stesso stile educativo che è stato significativo con me. come insegnante cerco di portare le motivazioni di quello che faccio o propongo; sono molto esigente, però c’è un perché nei miei no, nelle regole che chiedo di rispettare; questo penso di averlo ereditato. Mi rendo conto di fare 155 con i miei allievi come altri hanno fatto con me; con loro adotto lo stesso stile e ottengo lo stesso risultato emotivo; a distanza di anni, ci sono allievi che mi cercano e che si ricordano di questi episodi particolari, com’è successo a me. Tra poco i miei allievi finiranno il loro ciclo, però sono sicuro che con qualcuno rimarrà un legame perché abbiamo vissuto situazioni di vita insieme che inevitabilmente ti insegnano qualcosa. Forse una volta c’erano dei preti che volevano stare con i ragazzi, come diceva don Bosco; adesso li vedo un po’ meno presenti, più stanchi, meno entusiasti. Forse io ho avuto la fortuna, da una parte, ma anche sfortuna, dall’altra, di aver avuto dei preti con una marcia in più, che credevano in quello che facevano. Adesso mi ritrovo dall’altra parte e mi rendo conto che i salesiani sono più stanchi. qualche volta, mi sono trovato io, laico, a dire quello che avrebbe dovuto dire un prete. A me è servito molto l’aspetto religioso, alcuni miei compagni lo rifiutavano, dipende anche dall’età che vivi, e l’adolescenza – si sa – è il momento del rifiuto. ho una forte fede, al di là degli alti e bassi della vita, e questo cerco di testimoniarlo sempre ai miei allievi; spesso dico loro che mi piacerebbe trovarmi con loro per parlare non solo di lavoro ma anche della loro vita. quest’aspetto è rimasto molto impresso in me, ma lo vedevo anche nelle persone che mi educavano. come diceva don Bosco, il miglior modo di educare è l’esempio; questo è ciò che ho ricevuto, anche se me ne sono reso conto dopo, perché a quell’età non sei cosciente di certe cose. Adesso fa parte del mio modo di essere: non dico una cosa che non faccio; è talmente vivo in me questo ricordo che, se una cosa non sono capace di farla, non la faccio, se una cosa non la vivo, non la propongo agli altri, altrimenti non sono credibile. il cFP mi ha anche aperto all’attività ricreativa con i ragazzi; ero molto timido, prima di questa esperienza; fare qualcosa per gli altri, nel volontariato, mi ha dato un indirizzo nella vita. Partendo da questa realtà, restando in quest’ambiente, mi sono trovato in quarta e quinta iTiS a fare tanta fatica, però mi sono reso conto che portavo avanti dei valori che avevo vissuto qui, mi rendevo conto che avevo delle cose dentro che difendevo; questo a sedici anni è notevole, per questo cerco anche di dare ai miei ragazzi qualche cosa in cui credere. quegli anni mi hanno insegnato tanto; sono stato fuori, ho girato, però poi sono tornato qua, forse perché ho capito che dovevo fare qualcosa di più che disegnare; mi mancavano il contatto umano, la relazione con le persone; avevo bisogno di dare qualcosa di mio, anche se l’ho capito dopo. il cFP mi è servito in questo; anche l’oratorio, con l’estate ragazzi, mi ha fatto capire che anch’io avevo qualcosa da dare. quelli di adesso sono tempi diversi da quelli che ho vissuto io; lo spirito salesiano che io allora ho respirato adesso non lo trovo più; i salesiani di oggi sono più pesanti; a volte, mi trovo a fare io i discorsi per loro, mi ritrovo più entusiasta io, che sono laico, di loro. Mi pesa che l’estate ragazzi non si faccia più da due anni; secondo me si potrebbe fare anche con i ragazzi che abbiamo noi; ci sono anche adesso ragazzi splendidi che, come me allora, potrebbero essere messi alla prova e imparare a dare qualcosa a qualcuno; forse così riuscirebbero a capire che hanno delle cose dentro da regalare ad altri. la mia sensibilità, che prima mi pesava tanto, adesso mi è servita; ho dovuto imparare a valorizzarla; ho allenato per dodici o tredici anni delle squadre femminili con successo, forse anche per la mia sensibilità che mi aiuta a capire quella psicologia. Don Al. in questo senso mi ha tirato fuori, in alcuni casi mi ha proprio buttato in mezzo alla mischia; forse era un passaggio necessario, altrimenti non sarei mai uscito; ho capito che lo ha fatto per il mio bene: ha fatto uscire da me cose che io non pensavo neanche di avere dentro. Adesso che sono adulto, dico sempre che bisogna mettere i ragazzi nella situazione giusta; poi loro fanno. Spesso non facciamo loro fare e quindi è ovvio che i risultati non arrivino. ho imparato a vivere in un clima di famiglia; credo che questa sia una famiglia, l’ho sentita così, perché ho percepito l’affetto di 156 molte persone. ho notato questa cosa, ma l’hanno notata anche gli ex allievi che hanno fatto i tre anni qua e poi sono passati all’iTiS; è un abisso! Parlando con loro, a volte, già li anticipo, dicendo le difficoltà che avevo vissuto io e allora scopriamo che sono le stesse. io qui avevo persone che ti rompevano le scatole, dal punto vista dell’allievo, all’iTiS, se vai bene o vai male, difficilmente interessa a qualcuno. qui, quando qualcosa va male, interviene il don, però questo bastonare vuol dire che uno ti vuole bene. io questa cosa all’iTiS l’ho patita molto, non tanto il discorso scolastico, ma avere persone che non si interessavano a me. Solo allora ho capito che al cFP c’erano persone che tenevano a me. Adesso io sono un ex allievo come alcuni dei miei colleghi e notiamo che alcuni dei nuovi colleghi prendono questo compito troppo come un semplice lavoro; manca un po’ quello spirito; io ripeto ai miei allievi, quasi alla nausea, che non importa quello che fai, ma come lo fai; è lo stile con cui fai le cose che dà significato alla tua azione. A volte vado un po’ in crisi su queste cose; si mercifica troppo il lavoro. la persona più importante è il ragazzo, dovrebbe essere al centro di tutto, ma spesso ci mettiamo altro, oppure certe persone svolgono questo lavoro come un qualsiasi altro lavoro e quindi il risultato è diverso, perché manca la motivazione principale con cui don Bosco è partito. Se sono tornato in quest’ambiente, è perché mi ha dato tanto e nello stesso tempo mi ha inculcato dentro il discorso di voler dare a mia volta qualcosa. io ho capito, come dice san Paolo, che “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”; ecco io mi sento in debito, perché ho ricevuto tanto e, stando con i ragazzi, ti accorgi che alcuni di loro non hanno ricevuto niente. Poi io ho avuto un’ottima famiglia alle spalle e questo sicuramente ha inciso sulla mia formazione, perché hanno deciso loro di mandarmi qua e quindi la prima decisione è stata loro. quando fai scuola a certi allievi che non hanno nessuno dietro, ti accorgi anche di questa fortuna, di avere una famiglia; la scelta che poi ho fatto di lavorare in questa scuola mi ha dato qualcosa. ho scelto questa scuola perché, come dice don Bosco, non è una scuola d’élite, è una scuola per gli ultimi; io non ero un fenomeno però la mia strada nella vita l’ho fatta, sono contento; se devo scegliere tra gente d’élite e gente meno abbiente, scelgo sempre quest’ultima, credo che sia una scelta anche cristiana, almeno io cerco sempre di essere fedele a questo modello, e questo mi ha cambiato la vita questo. Se è vero quello che si dice che, dove c’è la tua mente, là c’è anche il tuo cuore, a me capita sovente di pensare ai miei allievi; quando finisco alle cinque e un quarto di lavorare, non chiudo la porta, non è finita. Mia moglie conosce benissimo la passione con cui faccio il mio lavoro; forse è proprio quello uno dei motivi per cui mi ha scelto, il fatto di pensare agli altri e di vivere in modo diverso. Sono sposato, ho due figlie, ho per loro un amore smisurato, ma questo per me non è un lavoro; sì, mi dà da mangiare, però onestamente non guardo la busta paga. la retribuzione è una conseguenza. credo anche che, quando non sarò più in grado di dare, di trasmettere qualcosa, andrò a fare qualcos’altro, ed è giusto così, perché il mio ruolo dev’essere un ruolo educativo, quella è la mia missione, quello il mio prodotto finale: cercare di educare degli allievi, insegnando delle cose, ma insegnando con la vita, come è stato fatto con me. Forse il suggerimento migliore per chi insegna è quello di don Bosco: “…non basta amare i ragazzi, è importante far loro capire che li ami”; questo non è un lavoro come un altro, noi siamo i primi modelli per loro, quindi nel bene e nel male incidiamo sul loro futuro. ognuno di noi, guardando al proprio passato, si ricorda di insegnanti che sono stati significativi, anche se ci hanno fatto dannare per anni; ci sono quelli che hai rifiutato e quelli che hai accettato anche se erano esigenti, perché ti hanno dato qualcosa in più che secondo me era il fattore umano. con i miei allievi sovente faccio vedere la parte personale della mia vita, parlo delle mie figlie, della mia famiglia, perché secondo me è importante far capire 157 che sei un insegnante ma sei anche una persona e che loro ti possono guardare come “modello”. Sono sposato da undici anni e ho cercato di fondare la mia vita su questi valori. Poi è importante anche essere coerenti con quello che dici, essere sinceri con loro, non prenderli in giro; io mi comporto con loro come farei con i miei figli; alla fine è importante voler loro bene e fare il proprio lavoro non perché è un lavoro ma perché ci tieni a loro; poi gli errori li facciamo tutti, l’importante è cercare di fare il meglio possibile per loro. A volte glielo dico, magari glielo dico anche dopo che li ho sgridati, che li ho rimproverati. A volte ci sono stati degli episodi un po’ brutti, però, quando capita, a distanza di qualche giorno, prendo il ragazzo da parte e chiacchieriamo insieme, non lo umilio mai in pubblico; “la parolina nell’orecchio” di don Bosco, secondo me, è la cosa che salva di più i rapporti. con qualche mio allievo attuale con cui ho litigato, ho forse rapporti migliori che con altri; come in famiglia a volte non ci si capisce; lo dico sempre anche a loro che, se c’è qualcosa che non capiscono, che non va, possono venire a parlarne con me, ci si chiarisce; si tratta di essere disponibili. Poi ci vuole misura, perché, se vai troppo incontro a loro, loro ti prendono anche il braccio; loro sanno qual è il limite e oltre non vanno, per il bene del rapporto. con me funziona e credo che sia importante dirlo ai ragazzi; forse è più facile mantenere le distanze, però in questo modo non c’è un rapporto educativo, ma un rapporto esclusivamente scolastico. in educazione, noi insegnanti abbiamo una grossa responsabilità: non possiamo certo colmare il vuoto di quando non c’è una famiglia, però qualcosina possiamo fare. queste cose ogni tanto le dico anche ai miei allievi; un giorno mi ha fermato al mercato un ex allievo dicendomi: “Prof, i rimproveri che mi faceva lei, me ne avesse fatti di più”; mi ha colpito questa cosa, perché questo ragazzo il papà non lo ha mai conosciuto, sua mamma faceva la prostituta; mi ricordo che quando veniva a scuola, a distanza di anni, mi faceva discorsi di fede. Ti rendi conto allora, come dice don Bosco, che “l’importante è seminare”, poi a distanza di tempo il seme fruttifica, com’è successo per me e per lui. ognuno di noi vive nella propria vita delle cose che magari hai visto e sentito tanti anni prima; non bisogna spaventarsi se i ragazzi ti chiudono la porta in faccia, perché ognuno esprime le cose a suo modo anche in base alla situazione, ma poi, a distanza di anni, le cose cambiano. L’intervista in questa intervista mi sono sentito bene, è stata una cosa naturale, perché a questo penso spesso, quando parlo con le persone. È il lavoro con cui ogni giorno mi confronto, quindi ogni giorno mi vengono in mente i modelli che mi hanno dato lo stimolo per essere quello che sono. qui mi sento a casa, non mi sento in imbarazzo; il ricordo mi emoziona, perché l’esperienza del cFP è una cosa che mi ha cambiato la vita. 18. QUANDO ANCHE LE PUNIZIONI AIUTANO A CRESCERE S. (intct2), classe 1974, ha frequentato il corso per elettromeccanici presso il cFP di catania tra il 1988 e il 1992 e oggi è imprenditore. nella sua testimonianza, sottolinea come l’esperienza formativa, per quanto a tratti ruvida, perché basata su un sistema di premi e punizioni, abbia consentito di sviluppare autonomia e senso di autodeterminazione. 158 L’esperienza lavorativa Finite le scuole, ho trovato subito lavoro come apprendista muratore – qui ci sono muri di pietra lavica, non di mattoni –, anche se, per i primi tre mesi, sono rimasto senza stipendio. nel 1993, fui chiamato a fare il servizio militare e anche là ho fatto esperienza nei cantieri: montavo i campi, realizzavo impianti nelle compagnie e facevo parecchie riparazioni e manutenzioni. i miei commilitoni viaggiavano nella classica camionetta militare, mentre io viaggiavo in pullman, con l’aria condizionata o in aereo, perché mi facevano partire prima per allestire il campo e mi facevano tornare per ultimo. quel periodo mi è piaciuto perché, nonostante la mia giovane età, ho svolto in caserma la mansione di elettricista specializzato. Già da ragazzo ero portato verso questo mestiere; a casa facevo piccoli esperimenti. quando sono tornato dal militare, ho ricominciato a lavorare in nero; nel 1994 facevo impianti nei cantieri, nelle palazzine. Dopo due anni, il datore di lavoro mi ha ingaggiato regolarmente; mi sono trovato davvero bene con questa ditta; certo, lavoravo anche il sabato e la domenica, mettevo a disposizione anche la mia macchina per trasportare il materiale di lavoro. la mia tredicesima era di cinquantamila lire, ma non mi lamentavo perché in quel periodo c’era molta crisi ed era difficile trovare un posto di lavoro. Devo dire grazie al mio ex datore di lavoro, che mi portava anche a fare la vendemmia, a curare la campagna, per farmi lavorare quando c’era poco lavoro nei cantieri. Grazie a lui ho imparato a fare tante cose, perché era una persona anziana, all’antica; non gli interessava tanto la mia regolarizzazione, ma il rapporto morale; tante cose le ho apprese da lui. nel 2000 ho fatto una scelta: vedevo che riuscivo a gestire una squadra in un cantiere, in sostanza avevo le funzioni di capocantiere, anche se lo stipendio rimaneva sempre lo stesso. i tempi cambiavano, le spese aumentavano, quindi ho deciso di mettermi in proprio e, dal 5 maggio del 2000, ho iniziato la mia avventura di piccolo imprenditore. Avevo un operaio, poi ne ho assunti due. nel 2002 ho comprato il primo furgone, nel 2004 ho acquistato casa, nel 2005 mi sono sposato. nella ditta intanto gli elettricisti erano diventati quattro e io ho comprato altre due macchine per il lavoro. in quel periodo comincia a diminuire il lavoro e allora ho cercato di trovare i modi per diversificare: nuove soluzioni lavorative, nuova tecnologia; mi informai su come potevo accedere a lavori pubblici, mi procurai i certificati di qualità che mi servivano per accedere ai servizi pubblici. iniziai facendo lavori nelle caserme di polizia, dove c’era manutenzione da fare. ho iniziato con loro nel 2002 e oggi, nel 2011, lavoro ancora per loro. nel 2003 ho cominciato a fare lavori di manutenzione in prefettura, anche in quella di Palermo. Mi attivo per prendermi altri attestati di qualità per la ditta, per avere la possibilità di partecipare a gare pubbliche. È andata bene, infatti, ci siamo aggiudicati un paio di appalti all’anno. nel 2005 inizio a lavorare per Poste italiane, con gare aggiudicate a prezzi elevati e inizio la mia esperienza lavorativa di là dalle mie conoscenze; infatti, mi si affaccia davanti un mondo di tecnologie per me sconosciute; mi sono adoperato per svolgere al meglio questo lavoro. ho assunto altri operai tra i miei ex compagni e non; anche se questi ultimi non rimangono a lungo. il volume d’affari è aumentato, quindi ho ampliato la struttura e le attrezzature e ho cominciato a prendere anche lavori più grossi, come le ristrutturazioni chiavi in mano di enti pubblici; avevo bisogno anche di maestranze edili, che non avendo un appalto diretto non rispettavano mai i termini degli accordi presi con me; ci rimettevo nei lavori oppure andavo a stento alla pari. Stanco di questo, decido di ampliare il mio campo e prendo lavoratori dei vari settori, ingaggiandoli personalmente. nel frattempo il lavoro aumenta perché si sparge la voce che sono un tipo preciso e corretto nell’esecuzione dei lavori, quindi comincio a fare anche lavori privati, ristrutturando ville e palazzi. con159 corro anche a livello regionale e mi aggiudico gare d’appalto anche a Palermo. nel 2009 arriva la felicità della mia vita, mia figlia Sofia. il 6 maggio del 2009, ho avuto un grave incidente cadendo da una scala. Mi sono rotto il gomito destro e l’omero sinistro, sono stato ingessato quaranta giorni, ma, nonostante questo, non mi sono fermato e, con l’aiuto dei miei collaboratori, continuavo ad andare in cantiere anche ingessato; certo quando tornavo a casa nel primo pomeriggio, crollavo, ma l’indomani mattina nonostante tutto ero pronto a ricominciare. nel 2009 mi aggiudico un bel lavoro che ancora sto svolgendo: la ristrutturazione del prospetto esterno di uno dei palazzi più grandi di catania. quest’anno ho fatto un investimento: ho comprato il ponteggio per la ristrutturazione delle facciate, l’anno prima un camion nuovo; ormai con la mia ditta di impianti e costruzioni posso concorrere per appalti di questo tipo in tutta italia, ho raggiunto il numero di quattordici operai, in ufficio lavorano due ingegneri e mia sorella, che è la ragioniera della società e la mia guardaspalle. ora stiamo lavorando bene con gli enti pubblici; l’unico problema che abbiamo sono i pagamenti, che sono sempre in ritardo rispetto alla consegna dei lavori. La formazione al CFP come insegnanti avevo z. di elettromeccanica, V. di matematica, don G. di religione, l. di aggiustaggio, P. di elettronica, l. di saldatura; quello di informatica non lo ricordo perché come professore non mi ha lasciato un buon segno. il primo anno sono stato bocciato, mentre il secondo anno sono stato promosso in tutte le materie con il sette, tranne in religione; don G. mi aveva messo cinque, perché litigavo con i compagni e perché religione non mi piaceva. ero un ragazzo un po’ vivace, non cattivo; tutt’ora non ho peli sulla lingua e, se voglio dire una cosa, la dico tranquillamente. A quei tempi c’era rispetto per i professori, attenzione nelle lezioni, educazione nell’ambiente di lavoro. quando i professori ci mandavano a fare gli stage, c’era rispetto per chi e dove andavamo. Adesso, quando vengono i ragazzi a fare gli stage nella mia ditta, vedo maleducazione e indifferenza; la prima cosa che mi chiedono è se li pagherò e mi riaffiorano alla mente i ricordi di quando ero io al loro posto e non vedevo l’ora di rubare l’esperienza del mio capo cantiere, cercavo in tutti i modi di farmi voler bene, affinché il datore di lavoro vedesse in me qualcosa di speciale per potermi assumere. oggi si guarda solamente alla moneta, ai miei tempi, quando il datore di lavoro ti parlava, tenevi la testa bassa, ora no, i ragazzi vengono con un atteggiamento troppo confidenziale; quando faccio i colloqui di assunzione, mi chiedono solo due cose: quanto prendono al giorno e se il sabato si lavora. io lavoravo anche la domenica, perché mi serviva per apprendere di più. quando andavo a scuola io, gli insegnanti ci insegnavano il rispetto per le persone, anche nel rivolgerci a loro, oggi i ragazzi di sedici anni sono molto più spigliati di noi che ne abbiamo quaranta, forse anche grazie alle nuove tecnologie e all’uso che ne fanno. Alcuni professori erano in grado di farti assimilare a livello di studio anche quello che non ti interessava. Ad esempio, una volta l., insegnante di aggiustaggio, mi disse che avevo la testa dura, perché non mi impegnavo nel lavoro con la lima; mi disse che non capivo nulla e che, se continuavo così, non avrei avuto successo e che non sarei stato capace neanche di pascolare le pecore. c’era chi prendeva questi rimproveri in maniera positiva e cercava di provare che non era vero quello che diceva il professore, c’era invece chi se ne fregava, perché veniva al cFP solo per le ottomila lire al giorno che ci davano; tutti pensavano che ci fossimo iscritti a questa scuola perché c’erano le promozioni facili, cosa non vera. Alla fine dell’anno, vedevo che nelle classi il livello di bocciatura era 160 alto. loro cercavano di farci capire che tutto quello che facevamo, tutto quello che imparavamo, era per noi. io ho imparato saldatura con il professor l., che non c’è più, e soltanto lui riusciva a spiegarmi come mai la saldatura si alzava, perché si doveva saldare in quel modo, la temperatura giusta, il cannello; oggi i datori di lavoro non hanno la pazienza di insegnare in questo modo e nei ragazzi vedono solo la velocità di esecuzione. Un altro professore che mi è rimasto nel cuore è z., che adesso ha la mansione di tutor; era un professore di tecnologia davvero in gamba; il primo anno è stato lui a bocciarmi anche se voleva che capissi il motivo di questa scelta; l’anno dopo, per rivalsa, avevo i voti migliori in tutte le materie, tanto che anche lui rimase colpito. Se ci davano una punizione, ce ne spiegavano il motivo. il mio grande maestro, il mio primo datore di lavoro, mi diceva sempre che era meglio accontentarsi di uno schiaffo, piuttosto che di un rimprovero, perché il dolore dello schiaffo passa subito, il rimprovero, invece, se uno è intelligente, rimane dentro a lungo. nel 2004, 2005, 2006, sono uscite dalla mia ditta persone veramente preparate. Al cFP ho imparato ad avere rispetto delle persone. quando mi davano una punizione – mi buttavano spesso fuori dalla classe perché ero vivace – non lo facevano perché facevo una monelleria con un compagno, ma perché avevo mancanza di rispetto per chi voleva studiare; l’ho capito solo dopo. oggi dico grazie ai professori che facevano questo. la formazione che ho ricevuto mi ha fatto crescere sia a livello professionale che personale; ad esempio, sono andato a fare il militare con un atteggiamento un po’ più calmo, anche grazie a questa educazione che mi ha insegnato che nella vita non si può sempre ottenere tutto quello che si vuole. le scelte successive sono state influenzate dalla mia formazione che mi ha reso determinato; quando sono uscito dalla scuola, ho avuto difficoltà a trovare lavoro; mi appostavo davanti alla casa del mio primo datore di lavoro, chiedendogli un lavoro, fino a quando mi ha preso con lui a lavorare. Ma se io non fossi stato determinato, anche grazie all’educazione che mi aveva dato la scuola, avrei fatto tutt’altro mestiere; allora i miei coetanei, vedendomi in difficoltà, mi consigliavano di andare a fare l’apprendista muratore, mentre io, cocciuto, ero determinato a intraprendere il mestiere per cui avevo studiato. Adesso si vedono i frutti, perché i salesiani mi hanno aiutato a formarmi in modo equilibrato. Poi ho ampliato il mio campo di attività, spostandomi anche sull’edilizia, ma l’ho fatto perché ho visto che il mercato richiedeva questo. la mia determinazione è nata dall’insegnamento che mi hanno dato i docenti che ho avuto; insegnavano per le persone che erano, insegnanti all’antica. Allora, quando finivo la scuola alle due e mezzo, andavo da un falegname a fare un po’ di hobbistica e una volta ho costruito una bacchetta di legno di castagno per il professor z., per indicare alla lavagna le spiegazioni. eppure lui era uno che ci rimproverava spesso. Tuttora siamo amici e, quando ha bisogno, vado a fargli dei lavoretti. oggi, un professore ha paura a rimproverare in maniera forte un ragazzo, perché l’alunno si alza e, se gli va bene, lo denuncia, altrimenti gli dà uno schiaffo. il professor P., di elettronica, ogni volta che facevamo gli stupidi in aula e combinavamo qualche cosa, ci puniva. quando non rispondevamo alle sue domande su chi fosse il colpevole, da buoni siciliani, ci schiaffeggiava; erano schiaffi che ci facevano girare la testa. Tutto questo capitava all’inizio dell’anno; a metà anno, eravamo diventati dei ragazzi modello e le cose che ci spiegava ci rimanevano impresse. Ancora oggi mi ricordo il codice dei colori delle resistenze. Se chiedo ad un ragazzo che oggi esce da qua qual è la legge di ohm, non me la sa dire. Secondo me gli schiaffi di P., per noi che eravamo ragazzini, erano forti, ma per lui erano carezze e tuttora penso che siano state carezze. ho imparato l’autocontrollo. importante era anche il discorso della preghiera al mattino e alla sera, che ho mantenuto anche quando sono uscito da qui, nono stante il cinque in religione. oggi i formatori dovrebbero prendere lezione dai 161 professori di un tempo, imparare qualcosa del vecchio stile, farsi rispettare. il professor P. di elettronica, nonostante la sua severità, era quello che organizzava le partite di calcio; ce le prospettava come premio per un buon rendimento scolastico; quando raggiungevamo una meta come classe, ci portava fuori a cena. Sono contento di avere parlato di questa mia personale esperienza perché mi piace pensare che altri, grazie a questa mia testimonianza, possano sentire dentro la voglia di realizzarsi come me (intct/2). 19. IL RISCHIO DI NON STARE AL PASSO CON I TEMPI T. (intct11), pur svolgendo una sua attività professionale, è attualmente formatore nel cFP di catania, del quale è stato anche allievo. confronta la sua esperienza di allievo con quella di formatore. Sottolinea la continuità di un’attenzione educativa che si esprime nella costruzione di un ambiente caldo e accogliente, ma rileva anche il rischio di una pesante inerzia che impedisce di ricercare nuove strade per rendere affascinante l’apprendimento. insegno nel reparto di meccanica del cFP di Barriera, mi occupo di disegno tecnico e laboratorio di macchine utensili. Fino a qualche anno fa ho fatto anche disegno cAD e informatica, ma negli ultimi anni c’è stata una riduzione dei corsi e quindi l’impegno del personale è stato un po’ rivisto. ho insegnato per lo più a gruppi dei primi anni. Il percorso formativo Dopo la scuola media, ho frequentato un anno l’istituto alberghiero, perché la mia idea era quella di seguire la strada del turismo; pensavo che da grande avrei potuto essere un cuoco o qualcosa del genere. in realtà, fatta questa esperienza, mi sono reso conto che non ero portato per quel mestiere, malgrado andassi bene a scuola. ho chiesto in famiglia di cambiare scuola; mio padre fu molto restio a questa mia scelta, tanto che iniziai il mio primo anno qui al cFP con tre mesi di ritardo. Sono arrivato al terzo anno con estrema facilità e immediatamente dopo ho iniziato a lavorare nel settore, in una piccola officina di carpenteria metallica, un posto brutto e buio, orribile; quando sono arrivato là, mi sono spaventato e ho pensato che fosse come un girone dell’inferno dantesco. comunque cominciai a lavorare e devo dire di aver fatto una buona esperienza. Mi sono affermato nell’ambito delle risorse umane; da lì a poco, infatti, ho cominciato a coordinare una squadra di operai, per quanto fossi il più giovane. Dopo tre anni, ho fatto il servizio militare e quindi ho lasciato quell’azienda; al rientro dal servizio militare, ho deciso di iscrivermi di nuovo a scuola per prendere un diploma; mi sono preparato da esterno, ho fatto gli esami integrativi e successivamente ho conseguito il diploma di geometra. nel frattempo mi offrirono un lavoro in una delle aziende più importanti di catania, come progettista meccanico, e lì cominciai a usare i sistemi che allora erano all’avanguardia, i sistemi cAD; da Roma in giù non li utilizzava nessuno, tranne questa azienda che aveva acquistato, con i fondi della cassa del Mezzogiorno, un sistema di modellazione solida tridimensionale; mi hanno mandato a fare un corso dopo l’assunzione, per utilizzare questo prodotto. Sono ri162 masto in quell’azienda tre anni, poi sono passato in un’altra azienda, sempre del settore metalmeccanico, che mi ha fatto un’offerta migliore. nel frattempo anche dai salesiani di Barriera, si affacciavano queste nuove tecnologie; cercavano un esperto, quindi è nato questo primo contatto, questa possibilità di collaborare nuovamente con i salesiani come insegnante. All’inizio ho lavorato con loro come esperto esterno, nell’attività di docenza nel settore cAD; dopo due anni mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato e oggi mi trovo qua. la scelta di non andare più all’istituto alberghiero è stata fatta con cognizione di causa; non era quello il mestiere che volevo fare. Posso dire che, se non ci fosse stato il cFP, probabilmente non avrei trovato la strada della mia realizzazione. oggi sono quello che volevo essere e ho fatto anche di più di quello che volevo fare, perché, con questa base di partenza, ho migliorato le mie qualità professionali nell’ambito della progettazione meccanica, poi ho sviluppato competenze anche nella progettazione civile, una volta diplomato geometra abilitato all’esercizio dell’attività professionale; quelle conoscenze le spendo oggi anche in un altro ambito, chiaramente incrementate da altri studi; faccio proprio quello che desideravo fare. L’esperienza al CFP Al cFP mi sono trovato subito bene. ciò che ho apprezzato di più è stato il clima di famiglia, il rapporto amichevole con gli insegnanti, le attività pratiche, che erano prevalenti rispetto a quelle teoriche. questi aspetti per me erano importanti ma erano importanti anche l’aspetto religioso, l’impegno nella preghiera, il “buongiorno” al mattino, le attività di catechesi. questo ambiente, questo clima mi hanno fatto sentire subito a casa, a mio agio. la cosa che mi ha colpito maggiormente è stato appunto il clima di famiglia, questo calore intorno agli studenti. era il sistema ad essere vincente. qua mi sono accorto che il sapere è importante e che non bisogna solo saper fare, ma anche saper essere. oggi, ai miei alunni dico che in realtà ho iniziato a studiare quando ho finito di studiare. qui facevo quello che faceva parte del programma, i contenuti didattici prestabiliti che venivano fatti passare, ma, quando ho iniziato a vivere la realtà del lavoro, mi sono accorto che questo non bastava, che bisognava andare oltre. Al cFP ho imparato anche qualcosa sulla serietà del lavoro. c’è un episodio che ricordo con piacere e racconto spesso anche ai miei studenti: il mio insegnante di disegno tecnico di laboratorio macchine utensili, era il prof. V., che ancora oggi, malgrado sia pensionato, continua a collaborare col cFP. Ricordo la prima lezione di disegno tecnico del primo anno: il prof. ci assegnò un disegno veramente banale, da realizzare su un foglio di quaderno a quadretti; ricordo che a casa mi ero impegnato molto per fare questo disegno. il giorno dopo, consegnai questo disegno con orgoglio, dicendo di aver fatto un buon lavoro; lui lo guardò e poi, con accento piemontese, mi disse che era un obbrobrio, lo strappò e lo buttò sul banco. io ci sono rimasto malissimo; lì per lì l’ho odiato e volevo anche arrendermi, poi invece questo ha fatto scattare in me un desiderio di rivalsa e, di lì a poco, ho iniziato a innamorarmi del disegno, tanto che da adulto ho fatto il progettista meccanico per anni. la reazione è molto soggettiva; io ho raccolto la sfida; quel gesto avrebbe potuto anche non generare questo effetto. non so dire se il suo fosse stato un gesto programmato, parte di un disegno, che in seguito avrebbe avuto modo di recuperare, se avesse generato un allontanamento o uno scoraggiamento; nel mio caso, ha stimolato un senso di sfida. Ancora oggi il disegno meccanico è la mia materia e credo che il professore centri, perché mi ha lanciato la sfida; non mi conosceva e quindi non poteva sapere quali fos163 sero le qualità del ragazzo che aveva davanti. queste qualità poi sono venute fuori col tempo. questo professore è stata una figura importante, forse la più importante. Di questa persona ho apprezzato la chiarezza, l’assertività e l’imparzialità, della serie “ti pago per quello che hai fatto e non per quello che sei; hai fatto bene, ti do bene, hai fatto male, ti do male”; questo aspetto è molto importante nella crescita professionale di uno studente. nel valutare il lavoro com’era fatto, lui faceva passare l’importanza della qualità del lavoro; se tu segui un percorso finalizzato a diventare un operaio, un disegnatore, un progettista, sono molto importanti la precisione e la serietà nel mantenere l’impegno: ti assegno un compito, la prossima lezione me lo devi consegnare. il prof. V. era intransigente: se la lezione successiva si doveva portare il compito, bisognava proprio portarlo, altrimenti ci metteva due; secondo me, questa serietà è molto importante. Ritengo di aver imparato la dedizione al lavoro, insieme allo sport, che anche contribuisce parecchio alla formazione di un individuo. Secondo me, sono due attività che vanno di pari passo: nello sport ottieni risultati solo se ti impegni; nella vita e nel lavoro è la stessa cosa: se non ti impegni, non ottieni risultati; questi due aspetti sono fondamentali e ritengo che qui vengano coltivati. I frutti della formazione il fatto di essere formatore è legato all’esperienza che ho fatto dai salesiani; quand’ero studente, accarezzavo già l’idea di stare dall’altra parte della barricata, cioè di fare per altri quello che i salesiani avevano fatto per me. io oggi potrei anche non insegnare, perché nel frattempo mi sono creato un’attività, ma, piuttosto che lasciare completamente questa realtà, ho preferito ridurre al minimo le ore di impegno lavorativo all’interno del centro mantenendo un aggancio e continuando l’attività come insegnante. la formazione che ho ricevuto mi ha fatto crescere e coltivare dei valori che magari avevo già, ma non consolidati. Dal punto di vista professionale, ha contribuito molto innanzitutto in termini di credenziali; il fatto stesso che io o un ragazzo di oggi abbia frequentato un percorso professionale all’interno di una struttura salesiana, è una credenziale che ti apre una porta nel mondo del lavoro; poi è possibile che la porta si chiuda immediatamente dopo, se in quella persona non ci sono i valori di serietà, onestà, professionalità che i salesiani cercano di far maturare. in termini professionali posso dire che tra quello che sono oggi e la mia storia formativa c’è un rapporto molto forte. Uno sguardo critico sul presente i tempi sono cambiati, mentre l’approccio è rimasto uguale: va bene sul piano emozionale, ma non su quello culturale; abbiano incominciato a lavorare sulle nuove tecniche di apprendimento, più interattive; in questo siamo ancora indietro. Ritengo che il nostro modo di fare lezione oggi sia superato, vecchio. Facciamo la classica lezione frontale, utilizziamo la lavagna e gli stessi sistemi che si utilizzavano quarant’anni fa. oggi servono aule multimediali, l’utilizzo di internet, che dev’essere agganciato alla ricerca e utilizzato per stimolare l’apprendimento. Gli elementi di cui parlavo – il clima, l’approccio religioso ecc. – sono ancora forti e significativi, ma, in un momento storico come quello che attraversiamo, non bastano a tenere qua i ragazzi. la dispersione scolastica da noi è altissima, perché, anche se venendo qui trovano un clima accogliente e familiare, i ragazzi trovano un sistema antico. Per esempio, una 164 cosa che personalmente non condivido è che i ragazzi non debbano entrare con l’orecchino, oppure che un ragazzo con un tatuaggio debba essere visto come un poco di buono; personalmente non porto orecchini e non ho tatuaggi, ma, se vedo uno con un tatuaggio o con l’orecchino, lo vedo come persona e non come un poco di buono. quindi, quando dico che siamo rimasti indietro, faccio riferimento anche a questo, oltre che all’aspetto più specificamente didattico. nelle strutture salesiane in genere, continuo a vedere una certa stabilità, cioè si tende a conservare quello che c’era un tempo e si rischia di cadere nella staticità, rischiando di restare fuori dal tempo. ci sono, in molti casi, dei coordinatori di settore che, per quanto bravi e per quanto di buono possano aver fatto nella realtà in cui si trovano, continuano a rimanere dentro gli stessi schemi che avevano trent’anni fa, dando poco spazio a iniziative nuove. Per questo dico che sarebbe opportuno rivedere la modalità. Va bene rapportarsi alla persona con il “buongiorno”, le attività para-formative, l’approccio animativo che abbiamo con i ragazzi – li aiutiamo, li cerchiamo, parliamo loro anche in momenti extra scolastici – ma siamo indietro nella gestione dell’aula. L’intervista Mi sono sentito a mio agio. Parlo con piacere e lo faccio anche quando sono in aula; mi piace condividere con i miei ragazzi il mio percorso formativo o il percorso di altri ex allievi; è un argomento del quale spesso ci troviamo a parlare e a dibattere; ci offre l’occasione per riflettere sulle opportunità che la vita può offrire. non è detto che tutti i nostri ragazzi andranno a fare i tecnici di officina, è possibile che scelgano di diventare magazzinieri, oppure imprenditori in un altro settore, ma quello che hanno fatto qui non va perso (intct11). 20. CREDERE NEL LAVORO PER CRESCERE e. (intct15) ha frequentato il cFP di catania alla fine degli Anni ’70 e oggi è formatore nello stesso centro, pur mantenendo anche una sua attività imprenditoriale. nella sua testimonianza, e. sottolinea come l’esperienza formativa vissuta gli abbia consentito di imparare a “credere” nel lavoro, cioè ad amarlo e a cogliere in esso potenzialità di crescita. i suoi docenti l’hanno guidato in questo sviluppo con un approccio incoraggiante e centrato sul fare. la positività dell’esperienza vissuta non gli impedisce di cogliere alcune criticità legate al presente su cui sarebbe necessario agire per migliorare la qualità della formazione. La formazione e l’attività professionale ho frequentato un corso biennale e poi un corso di specializzazione sull’elettronica. Finito questo corso, ho fatto un’esperienza lavorativa in un’azienda di automazione residenziale: progettavo e realizzavo quadri elettrici per quest’azienda che allora era all’avanguardia, perché in Sicilia era poco diffusa l’automazione residenziale. Fatto questo, ho fatto il servizio militare e, al ritorno, ho avuto il grande piacere di essere 165 accolto dalla famiglia salesiana come docente. Sono entrato come tecnico di laboratorio, perché non ero diplomato, poi con la scuola serale ho ottenuto il diploma e ho potuto insegnare disegno, matematica, elettrotecnica. Per circa quindici anni, ho avuto la soddisfazione di fare un corso che abbiamo esteso a tutta la Regione Sicilia: domotica, automazione residenziale e sistemi di sicurezza. in seguito, ho avuto anche l’opportunità di essere selezionato per essere anche tutor e quindi, da cinque anni, faccio anche questo nel reparto elettromeccanico, con sette corsi, dividendo il mio tempo tra tutoraggio e insegnamento. Da quindici anni ho un’azienda elettrica impegnata in ristrutturazioni chiavi in mano di farmacie, impianti elettrici, impianti domotici, sistemi di telecamere a circuito chiuso. questo mi ha permesso anche di portare nuove tecnologie a scuola, come, del resto, i corsi di aggiornamento estivi mi hanno formato anche su aspetti utili per il lavoro; le due cose – lavoro e formazione – si sono dunque sposate insieme. Tutto quello che ho appreso come bagaglio tecnologico, culturale e formativo l’ho riportato in istituto. lavoro da quindici anni e ho realizzato circa 240 farmacie in Sicilia e in calabria; ho diciotto dipendenti. Credere nel lavoro Mi sono trovato in famiglia e questo mi ha permesso di far sentire in famiglia anche gli allievi che sono venuti in seguito. Avevo un rapporto molto bello con i salesiani e con i docenti; si cresceva insieme e non c’era distacco netto tra docente e allievo. quello che si faceva era un modo per creare insieme l’azione dell’insegnamento e dell’apprendimento. Accanto a me, nel settore elettromeccanico, c’era un salesiano che adesso non c’è più, don l.: era una persona molto in gamba, che credeva in quello che faceva e ci metteva nelle condizioni di credere nel lavoro; questo era fondamentale all’inizio. ero un ragazzo abbastanza bravo a scuola; quando ho finito gli esami, posso dire all’indomani, i salesiani stessi mi hanno mandato a lavorare. Sono riusciti a farmi amare quello che facevo, questo significa per me “credere nel lavoro”; se uno ama quello che fa, tutti gli ostacoli vengono rimossi; se uno non crede, non riuscirà mai a fare. i miei insegnanti erano capaci di farmi credere in quello che facevo. Facevamo anche delle gite, andavamo a visitare delle centrali elettriche, ci spiegavano bene le cose che vedevamo; forse io sono stato fortunato anche perché, essendo nel mondo tecnologico, ero più motivato: è un mondo pieno di sorprese, che, andando avanti, ti prende sempre di più. quando questo passaggio non avviene, abbiamo i malcontenti che si trovano dal barbiere e si lamentano dello stato, del papa, di tutto, perché pensano che non vada bene niente; in realtà, sono loro che non vanno. la sera, quando torno a casa, sono stanco, ma soddisfatto. Penso infatti che, col mio lavoro al cFP, faccio del bene ai ragazzi e, col mio lavoro esterno, do da mangiare a diciotto famiglie e faccio del bene alla mia; l’unico che un po’ ci perde sono io, che sono impegnato dalla mattina alla sera; di questo però sono contento e non mi lamento. Un approccio centrato sul fare i salesiani hanno avuto dalla loro sempre un vantaggio: far passare tutto dall’esperienziale, dal laboratorio; quando si faceva un lavoro, si partiva dall’esperimento che si andava a fare, per poi andare a ritroso e ragionare su tutte le fasi. il lavoro che adesso è stato battezzato come “di gruppo”, allora si faceva naturalmente, senza che ce ne accorgessimo. Si faceva, si lavorava insieme, c’erano le competizioni tra allievi, c’era 166 chi voleva arrivare per primo, chi voleva fare il lavoro meglio di tutti. Mi è rimasto impresso don l., per com’era reale nel suo fare: era un salesiano che amava il fare; anche quando agiva su un problema educativo, dava prima l’esempio e poi interveniva. Dobbiamo pensare che allora, da vero salesiano qual era, dai pezzi di lamiera che rimanevano, faceva le rondelline. È un’immagine che mi è rimasta impressa per dire che dovevamo risparmiare, perché usavamo delle macchine e dei materiali che erano stati comprati con i soldi della Regione. questa è stata una cosa importante: avendo un finanziamento esterno, si cercava di risparmiare su tutto, si costruiva in casa tutto quello che si poteva. Mi ricordo che altri insegnanti, anche loro persone per bene, ci accompagnavano a fare le gite, spiegavano, si interessavano, si facevano in quattro per portarci a visitare la realtà delle cose. L’incoraggiamento Poi c’era l’atto dell’incoraggiamento; la psicologia moderna lo propone, ma i salesiani l’hanno attuato da sempre. non tutti erano così; forse, nel tempo, la nostra mente cancella i ricordi negativi, mentre fissa nella memoria gli elementi positivi e le parole giuste dette al momento giusto. i salesiani, anche se un ragazzo sbagliava, non lo demonizzavano; in qualche maniera, con una pacca sulla spalla, cercavano di farlo ragionare e di farlo ripartire con l’auspicio di non sbagliare più. Anche noi adesso continuiamo a fare così; non abbiamo perso questa filosofia, anzi credo proprio che questo sia uno dei punti fondamentali. Sono contento perché gli allievi del mio corso, forse perché sono fortunato, forse perché ho parecchia esperienza, riescono quasi tutti ad arrivare agli obiettivi. Difficilmente fermo un ragazzo alla fine dell’anno; anche quest’anno sono stati tutti promossi, perché lo meritano, non per una mia leggerezza di giudizio. Anche il tutoraggio mi ha aiutato tanto; per esercitare questa mansione, ho fatto circa un anno di studi di psicologia, che mi hanno permesso di capire cose che prima avvenivano naturalmente e che adesso capisco anche dal punto di vista tecnico. oggi come tutor difficilmente scoraggio, difficilmente mando via un ragazzo, cerco sempre di mediare tutte le situazioni affinché si possa avere un risultato positivo. La trasparenza Particolarmente importanti – nella formazione come nel lavoro – sono stati il rispetto delle persone e la trasparenza; per trasparenza intendo la verità; significa non truffare nessuno, significa che, quando ho un contratto da far firmare, dico al mio committente la realtà delle cose, evidenziando sia gli elementi positivi sia quelli negativi, in modo tale che lui possa scegliere in maniera tranquilla. il ragionamento “alla salesiana”, nel tempo, ti porta alla correttezza, alla trasparenza e alla stima da parte dei terzi. il mio lavoro si basa sul passaparola, non faccio alcun tipo di pubblicità per motivi aziendali; qua siamo in Sicilia, ci sono molti furbacchioni su internet che copiano il marchio ecc.; ce ne sono tanti, quindi non è salutare fare pubblicità. Applico questo anche con gli allievi: “non prendere mai in giro nessuno”, “la trasparenza, con il tempo, paga”, “chi truffa lo fa un paio di volte, ma poi, a lungo termine, viene scoperto”, “conviene sempre essere chiari e trasparenti, dicendo la verità”. 167 Sviluppi imprevedibili non si può dire che uno impari tutto in un solo posto, ad esempio la scuola, c’è anche un DnA, c’è anche una famiglia alle spalle, e spesso partire con una base positiva è davvero un vantaggio. Per me, il fatto di trovare qui al centro una continuità educativa con la mia famiglia è stato importante. la scuola non fa il miracolo, la scuola corregge fin quando può correggere; molto dipende anche dal tempo che si ha a disposizione. io ho avuto degli allievi che sono stati bravi durante l’anno, che andavano bene, ma poi sono andati a fare i rapinatori e qualcuno è finito anche in carcere, ma ho avuto anche allievi che erano partiti male e adesso sono capi d’azienda. Ad esempio, una volta, un mio amico architetto, che era a Roma per la progettazione di una farmacia, ha incontrato un mio ex allievo che dirigeva una ditta elettrica; un altro ex allievo si è aperto un capannone a Misterbianco e costruisce pompe sommerse, quadristica, gruppi elettrogeni. Soddisfazioni ne ho avute tante. Uno scambio arricchente Prima di venire qua, i salesiani mi hanno mandato a Misterbianco dove c’è un altro centro e sono stato io ad aprire il secondo anno elettrico e ad attrezzare il laboratorio; anche qui ho attrezzato il laboratorio del terzo anno. nel tempo abbiamo fatto sempre delle cose per il centro e per i salesiani. All’epoca si respirava un’aria di famiglia; mi ricordo che i docenti venivano anche al pomeriggio a preparare le esercitazioni per i ragazzi, perché quello era l’elemento salesiano trainante. l’elemento salesiano trainante in questo periodo è venuto un po’ meno, anche per motivi di numero. quindi in alcuni reparti manca la figura salesiana; prima c’era più presenza e ognuno era molto più interessato, soprattutto perché i salesiani spendono tutta la loro vita per i giovani e hanno una capacità di coinvolgimento notevole, mentre adesso forse tutto è diventato più formale. Devo sempre ringraziare i salesiani per avermi dato l’opportunità di essere qui, di conoscere don Bosco, ad esempio, di andare a festeggiare il centenario a Torino, alla cattedrale di Maria Ausiliatrice. Si è andati avanti bene, anche se con i limiti delle persone; dove è venuto meno il salesiano, la nostra salesianità ha compensato. Ad esempio, mi è capitato di portare i ragazzi in gita a Roma; in quel momento vivevo l’esperienza del salesiano, perché, mentre nelle prime gite c’era questa figura, che era sempre l’ultimo ad andare a dormire, in quel caso, ero io che facevo le veci del salesiano, quindi ero io ad andare a dormire per ultimo. Devo dire grazie ai salesiani, al di là di come adesso vanno le cose, perché mi hanno messo in condizione di acquisire tecnologie; loro hanno dato a me, io ho dato loro; c’è stato uno scambio positivo. Mi sono trovato benissimo con vari salesiani, ho sempre rispettato tutti e mi sono sempre sentito rispettato da tutti. Prima criticità: il rischio che venga meno un rapporto consistente tra formazione e lavoro l’unico elemento negativo è che, negli ultimi cinque anni, le classi non sono più quelle di una volta: i ragazzi di qualche anno fa volevano raggiungere degli obbiettivi, oggi facciamo più fatica a far loro capire tante cose, ma poi alla fine ci riusciamo. chi entra nel mondo del lavoro, anche se ha frequentato la scuola tecnica, se ha la laurea in ingegneria o il diploma di perito ma non sa muoversi nel mondo esterno, arriva solo fino ad un cer168 to punto. Fuori di qui c’è un mondo che si muove in una certa maniera, molto evoluto, molto imprenditoriale, molto organizzato, e a volte vedo dei colleghi che, nello spiegare alcune cose, insistono su nozioni che i ragazzi nella vita pratica del lavoro non vedranno mai, non incontreranno mai. i docenti dovrebbero essere più realistici, fare un po’ di esperienza nel mondo del lavoro e poi portare il mondo del lavoro all’interno della formazione, altrimenti abbiamo due strade scollate: una praticamente formale, fatta di programmi che sono lontani dalla realtà ecc., l’altra più sostanziale, fatta di lavoro; questa è una fase che purtroppo manca, non per colpa dei miei colleghi, ma per il fatto che, se sono chiamati a fare questo, sanno fare solo questo. Mi raccontava un fotografo che scatta fotografie per “casa Viva” che, all’università di Milano, ci sono dei professionisti che insegnano. Bisogna essere immersi nella realtà. i salesiani partono dai laboratori, elemento principe di questa tipologia di scuola, ma adesso questo elemento primario si è un po’ chiuso perché il mondo tecnologico è andato più avanti e i formatori sono rimasti con la stessa preparazione e gli aggiornamenti dei testi scolastici arrivano dopo cinque anni, quindi l’insegnante, se ha capacità e competenze più moderne, riesce, altrimenti forma persone che sono tecnologicamente indietro, almeno di cinque sei anni. il mio aggiornamento viene dalla scuola, viene dalle fiere campionarie a cui ho partecipato, a Milano, Bologna, Bari, dalle riviste; poi oggi c’è internet, sono andato anche alle fiere di architettura, perché, nel nostro caso, parlando di impiantistica elettrica ancora si fa fatica a parlare di ambiente e si parla ancora di impianti. nella mia attività esterna, su diciotto dipendenti, la metà sono ex allievi; per me è stato facile prendere i ragazzi migliori per la mia attività. Penso che il docente dovrebbe diventare un po’ più imprenditore e cominci a essere messo nelle condizioni di fare delle esperienze all’esterno, perché, se una persona non vive la realtà, ne può parlare ma non sa realmente quali siano le difficoltà che si possono incontrare. Uno può dire tutto quello che vuole, ma fin quando non arriva in cantiere e non si accorge di quali sono le problematiche di un cantiere, come la sicurezza, non riesce ad insegnare in modo efficace. ho sempre insegnato ai miei ragazzi ad avere come obiettivo finale la libera professione, partendo dal presupposto che in Sicilia tanto lavoro non ce n’è, ma che bastano pochi soldi da investire in attrezzatura per cominciare a lavorare; ho sempre dato questo taglio al mio insegnamento. Però, per fare questo, bisogna formare meglio sulla sicurezza, far capire che cos’è un cantiere ecc.; bisognerebbe inserire delle figure tipo commercialista che vengono qui e spiegano loro come si apre una partita iva, cosa serve per crearsi una ditta, a livello di documentazione. Facciamo molte lezioni di fisica, non so quante di elettrotecnica, tantissime di laboratorio, però mai una persona che ti dica come fare per aprire una ditta o che cosa serva per avere un cantiere in sicurezza; questi aspetti non vengono molto sottolineati, quindi l’allievo che esce di qua non si trova pronto per avviare una libera professione e alla fine viene sfruttato da terzi o va a lavorare in altri settori. noi qui non riusciamo a completare quello che è il ciclo formativo ideale, perché i docenti non hanno la consapevolezza di quello che succede fuori; quello che avviene è dinamico, cambia nel tempo, quindi all’interno dei nostri corsi ci vorrebbe una figura come quella di un commercialista che dà lezioni ai ragazzi. nella tecnologia fino a qualche tempo fa, invitavo i rappresentanti di materiale elettrico, in modo tale che i ragazzi conoscessero l’ultimo prodotto. nella nostra scuola questo sta venendo meno; all’esterno, nel mondo del lavoro, i nostri ragazzi sono giudicati per la loro preparazione. Se non hanno una preparazione di qualità, se non sono già tecnici nel vero senso della parola, perché il cliente vuole un tecnico competente, quando le nostre competenze non sono più all’apice, in un mondo tecnologico che cambia in continuazione, i ragazzi non trovano una sistemazione adeguata. quindi bisogna riformare i docenti, far loro fare dei corsi specifici, ognuno nel suo settore, corsi approfonditi e precisi, potenziare il collegamento con le aziende. 169 Seconda criticità: la crisi oggi stiamo facendo questa intervista, ma domani mattina potrei essere in cassa integrazione. non è una cosa simpatica, dopo aver lavorato per ventisette anni. Un’altra lacuna che trovo è che gli stipendi sono troppo bassi e che un docente padre di famiglia non può permettersi di comprare neanche una rivista specializzata per studiare. Più precisamente, in questo periodo, gli stipendi non ci sono proprio e, quando ci sono, sono troppo bassi. Se vuoi arrivare in cattedra preparato, ti devi preparare la lezione; con alcune classi basta la lezione alla lavagna, con altri ci vuole il supporto informatico, tecnologico; soprattutto, bisognerebbe fare in modo di aumentare gli stipendi e portarli a livelli più alti, per permettere ai docenti di fare scuola. L’intervista nell’intervista mi sono sentito tranquillo, perché sono abituato a essere limpido e sincero. non sono una persona che si mette in evidenza, non ho mai detto di essere il più bravo; sono sempre stato a disposizione con umiltà; ciò che conta è avere la coscienza a posto per quanto riguarda le competenze trasmesse. l’importante è fare il proprio dovere con coscienza e onestà (intct15). 171 Conclusione di Giuseppe TAcconi Sebbene non rappresentino conoscenze generalizzabili, i risultati a cui siamo giunti con questa ricerca ci hanno consentito di tratteggiare le caratteristiche riconoscibili di un modello di pratica formativa, attento alle esigenze integrali di crescita dei soggetti in formazione e capace di guidare verso percorsi di successo formativo, attraverso la valorizzazione del lavoro, che contiene molti elementi trasferibili anche ai contesti odierni della Formazione Professionale. È vero che si tratta della Formazione Professionale “salesiana”, che mostra indubbiamente tratti peculiari, ma i racconti degli ex-allievi, proprio fornendocene un ritratto a tutto tondo, che ne evidenzia i chiaroscuri, ci salvaguardano dal rischio di una lettura edulcorata e ci consentono di confrontarci con dimensioni profonde dei processi del formare e del formarsi1. Si è trattato in sostanza di capire che cosa, nell’esperienza formativa che i partecipanti alla ricerca hanno vissuto, ha funzionato e li ha guidati a realizzarsi nella vita e dunque potrebbe forse funzionare anche per altri, in altri contesti. Siamo convinti che l’esperienza di Formazione Professionale che i nostri ex-allievi hanno vissuto e narrato e che noi abbiamo cercato di ricostruire possa insomma interrogare anche le pratiche formative odierne e fornire a chi opera nella Formazione Professionale, ma anche ai decisori politici e in genere a chi ha responsabilità sui Sistemi formativi, indicazioni utili a migliorare la formazione stessa. qui di seguito mi limito ad offrire qualche riflessione conclusiva sul concetto di “successo formativo”, su ciò che può fare davvero la differenza nel dare qualità alla Formazione Professionale e sul carattere del tipo di ricerca che abbiamo condotto. 1. SUCCESSO FORMATIVO E VITA RIUSCITA il lavoro di raccolta di “storie di successo formativo” si presta innanzitutto ad una riflessione di sintesi su che cosa significhi “successo formativo” che, come abbiamo visto nei racconti degli ex-allievi, non è solo – o tanto – il successo scolastico o quello economico, ma più globalmente la “riuscita” nella vita. 1 Una frase del tipo “Tutto questo è molto bello, ma succede solo dai salesiani”, che potrebbe sembrare compiacente, impedirebbe in realtà di cogliere il potenziale trasferibile che i risultati di questa ricerca possono assumere anche per gli altri contesti della Formazione Professionale. 172 “Successo formativo” è un concetto di difficile definizione. nella riflessione educativa, la coppia successo-insuccesso indica sommariamente gli esiti possibili di un percorso di formazione. Ma quella di “successo” è una categoria ambigua, che può essere fraintesa nel senso della gara, della competizione e, oggi sempre di più, anche dei riflettori e dei palcoscenici. A questo riguardo, Fernando Bárcena e joan-carles Mèlich osservano che la parola “successo” viene enfatizzata in educazione: «nel mondo della pedagogia esiste una relazione molto stretta tra l’apprendimento e il successo. Tutti, genitori e professori, sembrano aspettarsi che l’apprendimento dei propri figli o alunni abbia successo. o che essi, come risultato di un buon apprendimento, riescano ad avere successo nel futuro. le nostre società moderne danno un’estrema importanza al successo. questo viene associato di solito ad un guadagno. ha successo chi esce vincitore da una battaglia. oggi si tratta di una battaglia che si definisce in termini di competitività e anche di una formazione per la competitività, per essere competitivi. questa è la filosofia della modernità» (Bárcena, Mèlich 2009, p. 138). Anche Mario Giacomo Dutto, al termine di una recente intensa riflessione sulla scuola, si chiede che cosa si debba intendere per successo formativo: «arrivare a un diploma, aver garantito l’accesso a una università di prestigio, trovare un ingresso nelle professioni o non piuttosto riuscire, con l’aiuto di un docente equilibrato, a scoprire e coltivare i propri veri interessi» (Dutto, 2013, p. 237). il banco di prova del successo formativo non è dato solo dal destino scolastico, ma dalla possibilità di realizzare e coltivare le proprie inclinazioni; e questo vale per tutti, ma soprattutto per coloro che partono da un contesto sociale, culturale ed economico che molto spesso incide negativamente sulle possibilità di riuscita nella vita. come abbiamo visto nella ricerca, la maggior parte dei protagonisti delle nostre storie non ha raggiunto facilmente il “successo” o una buona riuscita nella vita. hanno dovuto confrontarsi con l’esperienza del limite e scontrarsi con varie profezie di insuccesso pronunciate nei loro confronti, che ponevano pesanti ipoteche sul loro percorso; nel loro caso, poi il successo non è consistito nel raggiungimento di obiettivi che altri prevedevano opportuni per loro, ma nella scoperta di ciò che essi stessi desideravano. i loro racconti ci rivelano che al cFP è stato possibile vivere un’esperienza formativa che, proprio attraverso l’esperienza del lavoro, consentisse loro di incontrare se stessi, di diventare attori del proprio destino, di imparare a esporsi e a rischiare, ma anche a costruire legami e relazioni con gli altri, scoprendo il lavoro come occasione di umanizzazione e di costruzione di un tessuto sociale di relazioni solidali. A partire da questa esperienza è stato per loro possibile una messa in moto che ha consentito il raggiungimento di altri traguardi significativi per loro e per i loro contesti di vita e di lavoro. la ricerca e i racconti che abbiamo raccolto guidano allora verso un’estensione del significato di “successo formativo” a qualcosa di più ampio del semplice successo personale, scolastico, professionale o economico che sia, a qualcosa che ha a 173 che fare anche con la possibilità di restituire ad altri i valori che si sono ricevuti rivitalizzandoli proprio in quest’opera di restituzione. in un contesto come quello italiano, in cui il principale fattore predittivo rispetto al successo scolastico o formativo rimane lo status socio-economico dei genitori (Dutto, 2013), i casi esplorati dimostrano che un percorso formativo ben costruito può sfondare ogni profezia negativa e aprire reali possibilità di costruzione delle basi per una vita riuscita, a livello personale e sociale. 2. CIÒ CHE FA DAVVERO LA DIFFERENZA la ricerca ha cercato, inoltre, come afferma efficacemente Mario Giacomo Dutto, di riconoscere e mettere in risalto «… la forza d’animo di quegli studenti che riescono contro tutte le previsioni di insuccesso e l’alchimia di quegli insegnanti che ridanno futuro a studenti incerti, demotivati, sull’orlo dell’abbandono» (Dutto, 2013, p. 9). A partire da una considerazione attenta delle storie raccolte, ci sentiamo di concludere che l’elemento davvero discriminante, ciò che sembra fare davvero la differenza nei percorsi formativi e dunque nella possibilità di creare condizioni perché avvenga apprendimento e si giunga al successo formativo, non è tanto la tipologia di offerta formativa – cioè che questa sia riferibile al sistema dell’istruzione superiore o a quello dell’istruzione e Formazione Professionale regionale (ieFP) – ma la qualità del percorso formativo che i singoli riescono a vivere, anche grazie alle relazioni che adulti significativi instaurano con loro. ci interessava dare evidenza al fatto che, anche in un contesto spesso considerato deprivato e difficile, come quello dei cFP, si trovano testimonianze delle potenzialità che una formazione di qualità può avere2. Molto del futuro di ognuno dei nostri intervistati si è deciso negli ambienti – aule, laboratori, cortili – di quei cFP. Per loro, la Formazione Professionale iniziale ha rappresentato un percorso capace di ridare speranza e di orientare fattivamente a quell’impegno che la realizza. quelli descritti sono «processi formativi contraddistinti da un alto gradiente pratico» (Pastore, 2012, p. 82), diversi da quelli solo scolastici, meno lineari e prevedibili. nelle storie di vita dei partecipanti alla nostra ricerca, tali processi sono stati efficaci, perché hanno predisposto contesti di apprendimento ricchi di attività e interazioni e hanno accompagnato processi riflessivi che hanno consentito ai soggetti di dare significato al lavoro e di avvicinare la cultura in esso presente. nei cFP salesiani, i partecipanti alla ricerca hanno potuto riscoprire il lavoro come risorsa formativa ma anche, più ampiamente, educativa e valoriale. e questo può insegnare molto, in un tempo come il nostro, in cui l’orizzonte della crisi rende proprio il lavoro un’esperienza sempre più evanescente e contrastata. 2 Testimonianze di questo si hanno anche nel contesto americano. cfr. Kozol, 2001. 174 la ricerca ci orienta dunque a far leva sulla responsabilità delle istituzioni, delle parti sociali e della società civile, per generare un’azione congiunta, sul piano delle politiche formative e del lavoro, che aiuti a valorizzare la valenza altamente formativa del lavoro stesso e delle istituzioni formative che fanno perno su un’esperienza di lavoro intelligentemente riflettuta. Sarebbero perciò auspicabili politiche formative capaci di riconoscere il valore aggiunto che le proposte formative dei cFP possono avere in ordine alla formazione dei soggetti, uscendo da una prospettiva svalutante che guarda ai cFP solo come a forme depotenziate di formazione, destinate agli “scarti” del sistema dell’istruzione. Siamo insomma convinti che ambienti formativi come quelli descritti, a partire dall’esperienza dei soggetti che hanno partecipato alla nostra ricerca, rappresentino un autentico capitale sociale. 3. LA RICERCA SULLE STORIE DEGLI EX-ALLIEVI COME RICERCA SULLA PRATICA FORMATIVA A PARTIRE DAL RICORDO DI FIGURE ESEMPLARI DI DOCENTI come abbiamo affermato nell’introduzione, anche questa ricerca, come altre svolte in passato (cfr. Tacconi, Mejia Gomez, 2010; Tacconi, 2011a; 2011b; 2011c), può essere vista come una ricerca sui docenti della Formazione Professionale. questa volta, però, a differenza delle altre, è stata ascoltata come “fonte” la voce degli allievi, anziché quella dei docenti stessi. la ricerca ha infatti consentito di mettere a fuoco quegli atteggiamenti e quelle azioni dei docenti che gli ex-allievi, riandando alla loro memoria del cFP, riconoscono essere state efficaci, quelle azioni che hanno smosso in loro qualcosa, che spesso li hanno letteralmente accesi e “messi in moto”. nella memoria di molti dei nostri ex-allievi resta infatti vivo il ricordo di quei formatori che li hanno saputi scuotere dal torpore e che hanno lasciato in loro un segno. A questo “lasciare un segno”, del resto, richiama la stessa etimologia del verbo insegnare. Spesso poi i docenti incontrati al cFP sono rimasti un riferimento nitido e costante anche per la vita da adulti degli ex-allievi. la loro lezione sembra dunque non essere andata dispersa3. i formatori sono generalmente consapevoli che il successo o l’insuccesso della propria azione non possono essere misurati nei tempi del contatto diretto con gli allievi4. È la vita, sono i contesti in cui essi si troveranno a vivere che faranno scattare quelle consapevolezze a cui il formatore mira durante la sua attività formativa. 3 qualcosa del genere afferma lo scrittore elias canetti di un insegnante di cui è stato allievo: «Divenne un’atmosfera molto speciale quella in cui lui mi portava con sé, e le ali che egli mi diede per questi viaggi senza che io me ne accorgessi mi restarono attaccate anche quando lui mi ebbe lasciato; così volai io stesso in quel mondo e mi ci aggirai stupefatto» (canetti 1980, p. 329). 4 È quanto emerge, ad esempio, a più riprese nella ricerca svolta con i docenti del cnoS-FAP. cfr. Tacconi 2011c. 175 la ricerca, questa volta, ci ha però permesso di seguire proprio le traiettorie che gli allievi di un tempo riconducono a quell’apertura di orizzonti che è stata loro offerta dai loro formatori nel contesto della Formazione Professionale iniziale e l’impressione complessiva che ne abbiamo ricavato è che gli ex-allievi abbiano efficacemente riconosciuto come i docenti incontrati al cFP siano diventati un punto di riferimento importante nella loro vita perché li hanno saputi coinvolgere in un’impresa collettiva di valore. i valori vissuti in prima persona da quei docenti ci appaiono ora davanti agli occhi come trasformati nelle “storie di valore” che gli exallievi ci hanno narrato. quando gli ex-allievi parlano dei loro professori non lo fanno genericamente, ne riprendono caratteristiche specifiche: i tratti del volto, lo sguardo, il tono di voce, i gesti. la ricerca ci restituisce pertanto una galleria di personaggi. Tra i tratti dei docenti che gli ex-allievi ricordano, spicca quello che potremmo chiamare “amore educativo”, che faceva sentire gli allievi accettati e dava loro una buona base per sviluppare fiducia in se stessi. Sembra proprio che questi educatori siano riusciti nella loro impresa proprio perché hanno lasciato i loro allievi liberi di imparare, accettando anche il rischio dell’insuccesso. non si sono rassegnati di fronte al fatto che i loro allievi non volessero imparare, ma hanno cercato con ostinazione di agire sulle condizioni perché potesse darsi apprendimento. Matthew crawford, in un libro sul lavoro manuale, dedica un intero capitolo a Tom hull, insegnante di area tecnica (saldatura, meccanica ecc.) in una scuola superiore, che tra le altre cose raccoglie storie di successo di ex-allievi e le invia, insieme ad altri testi, ai suoi ex-allievi, attraverso una newsletter trimestrale: «un numero recente parlava di un suo antico studente, Kyle cox, saldatore e fabbro presso la Tarheel Aluminium, che hull ritrovò presso il porto di charleston mentre era intento alla costruzione di una chiatta battipali completamente in alluminio. cox racconta che il lavoro cambia ogni giorno, e che per questo gli piace. inoltre ama essere “utile al mondo”» (crawford, 2011, p. 14). crawford osserva che hull rivela un atteggiamento umanistico verso la formazione tecnica e professionale ed esprime la sensazione che egli abbia saputo «non soltanto indicare ai suoi studenti un mezzo per guadagnarsi il pane, ma anche per fermare il loro sguardo su quel che è giusto e buono nella vita» (ibid. p. 15). questo sembra valere un po’ anche per i docenti che i partecipanti alla nostra ricerca hanno incontrato sulla loro strada. Davvero, potremmo concludere con hansen, «the moral is in the practice» (hansen, 1998). 177 Bibliografia ATKinSon R. (2002), L’intervista narrativa. Raccontare la storia di sé nella ricerca formativa, organizzativa e sociale, Raffaello cortina editore, Milano. BAGni G., conSeRVA R. (2005), Insegnare a chi non vuole imparare. Lettere dalla scuola, sulla scuola e su Bateson, eGA, Torino. BáRcenA F., MÈlich j.-c. (2009), L’educazione come evento etico. Natalità, narrazione e ospitalità, lAS, Roma. BATini F. (2010), L’orientamento narrativo e le competenze chiave, in Batini F., Giusti S., a cura di, Imparare dalle narrazioni, Unicopli, Milano, pp. 41-57. BATini F., GiUSTi S. (2010), a cura di, Imparare dalle narrazioni, Unicopli, Milano. BeRnARDo Di chiARAVAlle (2006), Sermoni sul Cantico dei Cantici, vol. 5/1: i-XXXV, trad. it. a cura di M. Fioroni e A. Montanari, città nuova, Roma 2006 [op. or. 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Gli obiettivi e il focus della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 3. i partecipanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 4. il metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 5. le fasi della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 5.1. La raccolta dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 5.1.1. Sollecitazioni delicate a ricordare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 5.1.2. l’intervista narrativa come momento riflessivo e trasformativo . . . . 17 5.2. L’analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 5.2.1. l’analisi dei dati secondo un approccio grounded oriented . . . . . . . . 19 5.2.2. la costruzione delle storie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 5.3. L’interpretazione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 5.4. La scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 ii. Seconda Parte: I TEMI EMERGENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1. l’ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.1. Tempi e contesti differenti ma ambienti formativi simili . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.2. Il CFP come ambiente che educa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1.3. Un clima di famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2. la formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.1. Una formazione personale che passa attraverso la Formazione Professionale 33 2.1.1. imparare il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 2.1.2. imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: gli oggetti di apprendimento 35 a) l’apprendimento di saperi intrecciati alla pratica . . . . . . . . . . . . . 36 b) l’apprendimento di un metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 c) lo sviluppo di competenze personali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 d) l’apprendimento del gusto di un lavoro ben fatto . . . . . . . . . . . . 39 2.1.3. imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: le strategie formative . . . 41 a) Apprendere facendo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 b) Una didattica centrata sul laboratorio e sulla realizzazione di capolavori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 180 c) Una didattica centrata sulle relazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 d) la possibilità di intrecciare apprendimento formale ed esperienza lavorativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 2.2. Una formazione che mobilita energie e aiuta a trasformare anche l’insuccesso in occasione di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 2.2.1. Dall’insuccesso scolastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 2.2.2. Al successo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 2.3. Una formazione che orienta alla vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 2.3.1. l’orientamento al lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 2.3.2. l’orientamento a proseguire nel cammino formativo . . . . . . . . . . . . 52 2.3.3. l’orientamento esistenziale e l’educazione al senso della vita . . . . . 53 3. l’accompagnamento all’inserimento lavorativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 3.1. L’aiuto a trovare un lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 3.2. Lo stimolo a mettersi in proprio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 3.3. L’offerta di un posto di lavoro al CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 3.4. L’attivazione della rete degli ex-allievi per il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 4. Tratti e ritratti di formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 4.1. Adulti significativi e disponibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 4.2. Testimoni appassionati del proprio lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 4.3. capaci di coniugare rigore e cordialità, competenza professionale e cura relazionale e umana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 4.3.1. Amichevoli ed esigenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 4.3.2. Preparati e benevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 4.3.3. capaci di far rispettare le regole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 4.4. Scopritori di talenti e rigeneratori di energie spente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 4.5. Dotati di caratteristiche che si apprezzano più tardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 4.6. Suggerimenti ai formatori di oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 5. Bilanci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 5.1. Indizi di successo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 5.1.1. Una creativa riuscita nella vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 5.1.2. la possibilità di sperimentare il legame tra lavoro che piace e felicità 77 5.1.3. la possibilità di consegnare ad altri quello che si è ricevuto . . . . . . 79 5.2. Il ruolo riconosciuto all’esperienza del CFP nelle scelte operate . . . . . . . . 81 5.2.1. la crescita umana e professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 5.2.2. il confronto con la pratica che aiuta a capire le cose . . . . . . . . . . . . . 82 5.2.3. il cambiamento possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 5.2.4. il senso di appartenenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 5.3. Altri fattori che hanno inciso sulle scelte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 5.4. Criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 5.4.1. criticità di allora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 5.4.2. criticità di oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 iii. Terza Parte: VENTI STORIE ESEMPLARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 1. il cFP come ambiente che educa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 2. il cFP come contesto in cui imparare ad assumersi responsabilità . . . . . . . . . . . 93 181 3. Un approccio centrato sul fare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 4. Una formazione che insegna a risolvere problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 5. la formazione pratica che serve anche ai dirigenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 6. Un percorso formativo che ti avvicina al lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 7. Alle prese con le sfide del lavoro, senza tante tenute di mano . . . . . . . . . . . . . . . 114 8. Spazio all’iniziativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116 9. Una formazione che comunica entusiasmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 10. l’incontro con insegnanti che ti cambiano la vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 11. la porta sempre aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 12. l’incontro con qualcuno capace di leggere il possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 13. Riconosciuto per nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 14. A partire da quello che uno sa fare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 15. “il segreto dei salesiani: la passione di insegnare” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 16. Fiducia che genera fiducia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 17. Di generazione in generazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 18. quando anche le punizioni aiutano a crescere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 19. il rischio di non stare al passo con i tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 20. credere nel lavoro per crescere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 1. Successo formativo e vita riuscita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 2. ciò che fa davvero la differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 3. la ricerca sulle storie degli ex-allievi come ricerca sulla pratica formativa a partire dal ricordo di figure esemplari di docenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 183 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 184 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DonATi c. - l. BelleSi, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 nicoli D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 RoSSi G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2, 2011 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MAliziA G. - PieRoni V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 cnoS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PelleRey M. - GRząDziel D. - MARGoTTini M. - ePiFAni F. - oTTone e., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DonATi c. - BelleSi l., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 GheRGo F., Storia della Formazione Professionale in Italia, 1947-1997, vol. 3, 2013 185 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 cioFS/FP PieMonTe (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inserimento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 186 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLàcˇeK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZA˛ DZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 187 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRiSAnco M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodologico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 188 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 nicoli D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SAlATino S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 cnoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2013

Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997 Gli Anni '90 Vol. III

Autore: 
Fulvio Ghergo
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2013
Numero pagine: 
650
Codice: 
978-88-95640-64-8
Storia della formazione professionale in Italia 1947-1997 Volume III Gli anni ’90 Fulvio GHERGO Anno 2013 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 1 ©2013 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 2 SOMMARIO PREFAZIONE.................................................................................................................... 5 CAPITOLO V Gli anni ’90. La crescente dipendenza della Formazione Professionale dall’Europa. Verso un Sistema di Formazione Continua INTRODUZIONE Gli eventi e i fenomeni del decennio ....................................................................... 13 A. Il Sistema di Formazione Professionale 1. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1998 ............................................ 29 2. I Programmi e le Iniziative comunitarie .............................................................. 62 3. La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale.... 95 4. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1994............................................ 148 5. I Programmi e le Iniziative comunitarie .............................................................. 181 6. La normativa regionale in materia di Formazione Professionale ........................ 236 7. Caratterizzazioni e connotazioni strutturali e funzionali del Sistema di Formazione Professionale regionale .............................................................................. 269 8. Organizzazione, attività e politiche della Formazione Professionale nelle Regioni e Province Autonome ............................................................................. 373 B. Formazione Professionale e occupazione B.1 Formazione Professionale e occupazione giovanile 1. I contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione lavoro ........... 617 2. Nuovi sistemi di alternanza: work esperiences.................................................... 633 3. Formazione ed imprenditorialità.......................................................................... 637 INDICE ............................................................................................................................ 639 3 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 3 . 5 PREFAZIONE Con questo terzo volume si conclude la Storia della formazione professionale in Italia 1947-1997. Cinquanta anni rappresentano per i processi formativi, che accompagnano interpretano ed esprimono gli avvenimenti e i fenomeni di carattere sociale ed economico della loro epoca, un periodo rilevante. Un periodo, quindi, che dovrebbe registrare cambiamenti innovazioni riforme… Dovrebbe, ma non sempre è successo. Ad esempio, alle soglie del 2000, la struttura formale della Scuola Secondaria superiore italiana era ancora quella disegnata negli Anni ’20, ed ereditata senza sostanziali modifiche dall’Italia repubblicana dopo il 1945. L’unica novità di rilievo, rispetto al modello dualistico di Gentile (licei/istituti tecnici), è stato lo sviluppo di un terzo polo, costituito dagli Istituti Professionali di Stato. Né i provvedimenti “ugualitari” del biennio 1968-19701 hanno intaccato la sostanziale diversità né ridotto l’incomunicabilità e la tradizionale gerarchizzazione di questi tre grandi canali. La struttura dei piani di studio, è rimasta praticamente invariata: prevalenza di discipline “umanistiche” nei Licei (compreso il Liceo scientifico), di discipline tecniche negli istituti tecnici e di discipline “pratiche” negli Istituti Professionali pre-progetto ’92. Nella Formazione Professionale di questi cinquanta anni, al contrario, i cambiamenti sono stati radicali e hanno riguardato tutti gli aspetti del sistema. Infatti cambiano: il nome, le modalità di fare formazione, la governance, l’utenza e, rispetto al periodo precedente, cambiano anche i soggetti che realizzano le attività. – Cambia il nome. L’uso del termine “formazione”, che negli Anni ’70 soppianta quello di “addestramento”, sta ad indicare il passaggio da una prospettiva che considerava solo le abilità operative ad una visione che tiene presente tutte le componenti della persona (intellettuale, affettiva, etica, operativa, motoria, espressiva, sociale, religiosa). Il cambio del nome attesta un cambiamento culturale: a tutti gli effetti un processo educativo della persona, come l’istruzione. È vero che Istruzione e Formazione Professionale sono due processi diversi (è la stessa Costituzione che parla di “Istruzione” e di “Istruzione e Formazione Professionale”) in quanto l’istruzione ha come fine il conoscere, il teorizzare e 1 Maturità sperimentale, uguale per tutti gli indirizzi di studio quinquennali; prosecuzione sperimentale fino al quinto anno di tutti i cicli di durata inferiore; liberalizzazione degli accessi all’università. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 5 6 ha a che fare con le idee e con le relazioni intellettuali formali tra le conoscenze, mentre la Formazione Professionale fa riferimento al produrre, operare, costruire e trasferisce le conoscenze nella realtà, mediante apposite operazioni di progettazione e di trasformazione che diventano poi pratiche professionali esperte. Ma è anche vero che non si può conoscere senza produrre, operare e costruire, e viceversa. Nessuno è in grado di elaborare theoría senza téchne, e nessuno può produrre nulla se non concepisce idee e non ha conoscenze da concretizzare. E quindi anche la Formazione Professionale è chiamata ad essere educativa, nel senso che, come l’istruzione è invitata a promuovere nel modo più integrato, armonico, simultaneo e progressivo possibile tutte le dimensioni della personalità di ciascuno, non soltanto una di esse. – Cambia l’utenza. Nei decenni considerati la Formazione Professionale si è interessata di volta in volta a fasce di utenze diverse, in relazione anche alle finalità che via via le sono state attribuite. In successione si è occupata: a) dei giovani post-obbligo negli Anni 1950-60 (quando la formazione veniva intesa come strumento di sviluppo sociale e come moltiplicatore di opportunità occupazionali); b) dei lavoratori coinvolti in processi di riconversione aziendale e/o produttiva, all’inizio degli Anni ’70 (quando la formazione, in particolare quella erogata con l’apporto finanziario del FSE, appariva come uno strumento della politica del lavoro, nel ruolo di compensazione domanda/offerta); c) dei soggetti scolasticamente qualificati (diplomati e laureati), nella prima metà degli Anni ’80 (quando matura la consapevolezza che la conoscenza e l’intelligenza sistematica rappresentino il principale fattore produttivo); d) dei soggetti a rischio di esclusione, nella seconda metà degli Anni ’80, (quando la formazione viene considerata come strumento di pari opportunità e di inclusione sociale e occupazionale per le sacche consistenti delle nuove povertà e dei disoccupati di lunga durata); e) degli occupati negli Anni ’90 (quando la formazione rappresenta nella consapevolezza comune un bene per il lavoratore, come antidoto contro la obsolescenza della sua professionalità e per l’azienda, come strumento per aumentarne il tasso di competitività). Da notare che l’interesse per una nuova utenza non si traduce in una sostituzione dei nuovi target rispetto a quelli tradizionali. Nella Formazione Professionale, infatti, non prevale la logica esclusiva dell’“aut aut”, ma quella inclusiva dell’“et et”, non si sceglie gli uni a scapito degli altri, ma si tengono presenti gli uni e gli altri. Nessuna utenza viene ignorata o eliminata (al più ridimensionata). Il risultato finale di questi processi è la costituzione di un sistema di opportunità formative ricorrenti lungo tutto l’arco della vita, per i bisogni legati ad ogni fase della transizione dalla formazione al lavoro, dalla disoccupazione al lavoro, dal lavoro al lavoro. – Cambia la modalità di fare formazione. Negli Anni ’50 e ’60, quando cioè l’utenza della Formazione Professionale era costituita quasi esclusivamente da giovani post-obbligo, il modello formativo di riferimento è stato quello scolastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 6 7 stico e pertanto è stata riproposta nella Formazione Professionale la struttura organizzativa tipica della scuola: il corso-classe, l’organizzazione oraria settimanale e il calendario annuale delle attività, le materie…. Questa impostazione viene messa in crisi, su un piano culturale, dalla Legge quadro del 1978 (in particolare dalle previsioni sulla struttura modulare e sull’alternanza formazionelavoro) e, nella prassi, con le riforme del FSE del 1988 e del 1993. Il FSE, infatti, propone un Sistema di Formazione Professionale dove la centralità non è più riservata al corso, ma all’utente che deve entrare o è già inserito nella vita attiva e che può avere necessità: di formazione di base o di specializzazione, di orientamento (nella duplice accezione di “rimotivazione” o come “conoscenza delle opportunità”), di un aiuto finanziario (al datore di lavoro) per ammortizzare l’improduttività di un rapporto di lavoro iniziale, di azioni di consulenza/accompagnamento per l’inserimento lavorativo, di azioni di startup per iniziative di autopromozione o creazione di impresa, di aiuti finanziari per la job creation. La formazione, inoltre, non è solo processo didattico d’aula ma è anche formazione a distanza, è tutoring, è stage. Questa nuova visione, non solo contribuisce a destrutturare i precedenti assetti della Formazione Professionale esemplati su quelli scolastici, ma concorre a definire la fisionomia del Sistema formativo regionale rispetto a quello scolastico statale. – Cambia la governance. Nel 1972 avviene il trasferimento delle competenze della Formazione Professionale dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario, come peraltro prevede la Costituzione. E già dalla seconda metà degli Anni ’70, progressivamente, la Formazione Professionale assume connotazioni diverse da Regione a Regione. Questa dinamica di differenziazione subisce negli Anni ’80 un’accelerazione a tal punto che è più opportuno parlare di Sistemi che di Sistema formativo regionale. Ci sono aree in cui le differenze tra Regioni sono opportune (ad esempio la programmazione degli interventi che deve tener conto dei bisogni potenzialità e vocazioni del territorio), aree in cui le differenze, determinate da scelte politiche, sono legittime anche se discutibili (ad esempio il ridimensionamento di alcune tipologie formative a favore di altre, come succederà negli Anni ’90, per la prima qualificazione), e aree in cui le differenze sono legittime ma non giustificabili (ad esempio le diverse durate dei percorsi formativi che fanno conseguire la stessa qualifica). Ma le Regioni in questo periodo non sono l’unico soggetto di governo della Formazione Professionale. Infatti, la maggior parte di loro adottano l’istituto della delega: prima, prevalentemente affidata a Comuni e Consorzi di Comuni e, successivamente, alle Province. La materia delegata varia da Regione a Regione, ma, verso la fine del periodo esaminato, il modello più adottato prevede le funzioni di regia (programmazione pluriennale, indirizzo e regolamentazione) alla Regione, mentre quelle attuative e gestionali alle Province. Ma c’è un terzo soggetto, ed è l’Unione Europea, che progressivamente acquisisce spazi nel governo della Formazione Professionale fino a diventare determinante sia nella programmastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 7 8 zione degli interventi sia nella definizione delle regole di funzionamento del Sistema. Infatti, per poter accedere alle risorse, sempre più cospicue del FSE, le Regioni debbono accettare quella fitta rete di prescrizioni programmatiche e regolamentari definita a livello comunitario. E siccome il ricorso alle risorse finanziarie del FSE cresce con il tempo, parallelamente aumenta il livello di dipendenza culturale dei nostri Sistemi formativi regionali dalla UE. – Cambia il soggetto che realizza le attività. Nel cinquantennio preso in esame dai tre volumi si sviluppa e si consolida il c.d. “pluralismo gestionale”, sistema che utilizza strutture operative appartenenti a soggetti diversi e di diversa estrazione culturale. Si sviluppa e si consolida grazie al fatto che questi soggetti potevano beneficiare, per la prima volta, di un sostegno finanziario dello Stato. Infatti dal 18612 al 1912 lo Stato si limiterà a sovvenzionare e a vigilare le scuole per il lavoro pubbliche o, come si chiamavano allora “regie” (scuole d’arti e mestieri, d’arte applicate alle industrie, scuole speciali industriali, d’arte applicata, professionali femminili)3. Accanto a queste, però, c’erano, e costituivano la grande maggioranza, altre strutture che si erano sviluppate, al di fuori di ogni schema istituzionale e finanziamento pubblico, grazie a personaggi e soggetti sociali mossi da principi ispiratori diversi e che si rifacevano o al mecenatismo filantropico4, o alla visione illuminata di alcuni industriali5, o al mutuo soccorso dell’associazionismo operaio ed artigiano6 o alla ispirazione cristiana (area prevalente per numerosità delle iniziative promosse). Nel 1912 la L. n. 854 offre la possibilità di un riconoscimento giuridico a questo universo composito. Per poter operare, infatti, queste strutture, dovevano avere l’autorizzazione prefettizia, rilasciata dietro verifica di determinati requisiti relativi ai locali, all’insegnamento e al personale7. Riconoscimento giuridico, ma non finanziario. Sarà, infatti la L. n. 164/47, con cui si apre il cinquantennio oggetto dei tre volumi, a prevedere l’erogazione di sussidi per le attività formative rea- 2 Nel 1859, alla immediata vigilia della seconda guerra d’indipendenza, Vittorio Emanuele II promulgava la legge sulla istruzione pubblica, che prese il nome dal conte Gabriele Casati, Ministro dell’Istruzione. In questo provvedimento, che fino al fascismo rappresenterà l’unica legge organica in materia, non c’era posto per la istruzione professionale. Di questa materia se ne occupò, a partire dal 1861, il Ministero dell’Agricoltura. Industria e Commercio. 3 Nel 1903-1904 ammontavano, in tutto il territorio nazionale, a 276 con circa 40.800 iscritti. Cfr.: CASTELLI G., L’istruzione professionale in Italia, Milano, Vallardi 1912 p. 206. MINISTERO DELL’AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO, Statistica dell’esistenza all’infanzia abbandonata, Roma, tip. Elezeviriana, 1897, p. 150. 4 Come, ad esempio, Carlo Cattaneo (Società d’arti e e mestieri di Milano, Moisè Loria (Società Umanitaria di Milano) Aldini e Valeriani a Bologna. 5 Tra gli altri vanno menzionati Alessandro Rossi (1819-1898) a Schio e a Vicenza e i Marzotto a Valdagno (1866). 6 Cfr. GHERGO F., Storia della formazione professionale in Italia 1947-1997 Dal dopoguerra agli anni ’70 Vol. I CNOS-FAP, Roma 2010, p. 83. 7 Inoltre se queste scuole adottavano la durata e i programmi stabiliti per le scuole regie, potevano essere dichiarate sedi di esami con effetti legali per gli allievi che le avevano frequentate. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 8 9 lizzate da questi soggetti, espressione della società civile e di istituzioni religiose (soggetti che negli Anni ’70 verranno indicati con la connotazione di “privato sociale”; privato perché giuridicamente non sono istituzioni pubbliche; sociale perche svolgono una funzione di pubblica utilità). Mi è gradito dedicare questo volume ai milioni di allievi che in questi cinquant’anni hanno partecipato a qualche corso della Formazione Professionale, soprattutto ai tantissimi giovani che, grazie ad un percorso di qualificazione di base, sono entrati nella vita attiva, professionale e sociale. Ma la mia dedica particolare va ai giovani che vivono oggi nel nostro Meridione ai quali pregiudizi e miopia politica dei governi della loro Regione hanno precluso o ridotto questa opportunità. Fulvio Ghergo storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 9 . CAPITOLO V GLI ANNI ’90: LA CRESCENTE DIPENDENZA DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DALL’EUROPA. VERSO UN SISTEMA DI FORMAZIONE CONTINUA 11 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 11 . INTRODUZIONE Gli eventi e i fenomeni del decennio 1) Il periodo 1990-97 Questo terzo volume intende raccogliere le evoluzioni culturali normative e gli avvenimenti del Sistema formativo regionale dal 1990 al 1997. Perchè ci si ferma ad un anno intermedio del decennio e non si arriva, come sembrerebbe più naturale e, come abbiamo fatto nel primo e secondo volume, alla sua fine che, peraltro, nel nostro caso coinciderebbe con la fine del secolo e del millennio? Ogni periodizzazione rappresenta, per certi versi, un tentativo di costringere le evoluzioni dei processi, nel nostro caso formativi (mai lineari e con un inizio ed una fine ben delineati) in costruzioni artificiali. Ma è anche vero che in alcuni periodi avvengono dei fenomeni (socioeconomici e/o normativi) con ricadute così importanti per i Sistemi formativi da rendere quel periodo “una fase” abbastanza identificabile della loro evoluzione generale e sostanzialmente non confondibile con la fase che l’ha preceduta e quella che l’ha seguita. E che cosa succede di così importante nel 1997 da considerarlo come inizio di un nuovo periodo? Da questo anno, con la L. n. 196, la c.d. “riforma Treu”, comincia quella che possiamo definire la “stagione delle grandi riforme”, realizzate, in successione, dai provvedimenti dei ministri Berlinguer nel 2000, Moratti nel 2003 e Fioroni nel 2006 e che aprono prospettive nuove non solo al Sistema scolastico, ma anche a quello regionale. Infatti in questa fase “ulteriore” succede quello che non era accaduto per cinquanta anni. La Formazione Professionale entra nel salotto buono del Sistema formativo italiano. E questo succede in tutte le grandi riforme che vengono realizzate in questo decennio sia dal centro-destra (Moratti) che dal centro-sinistra (Berlinguer e Fioroni). Il terminare la nostra narrazione con il 1997, comporta, però, degli inconvenienti, come quello, di non poter analizzare ed offrire valutazioni conclusive sull’intero ciclo della programmazione FSE 1994-1999 e delle connesse Iniziative Comunitarie e del Programma Leonardo da Vinci. 2) La società della conoscenza Quello considerato è un periodo particolarmente favorevole per la formazione (sia nella sua declinazione scolastico-statale che in quella professionale-regionale) perché ormai era convinzione generalizzata che, nell’era post-industriale “si è in una fase di transizione verso una nuova forma di società, la società della cono- 13 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 13 14 scenza”1, come afferma Libro bianco2 della Cresson3 per il quale il possesso di cultura generale e professionale diventa discriminate per l’entrata e per la permanenza con successo nella vita attiva. Tre sono macrofenomeni che caratterizzano questa fase di transizione verso la società della conoscenza: a) le tecnologie dell’informazione che hanno trasformato la natura del lavoro e l’organizzazione della produzione; b) la mondializzazione delle economie che comporta una libera circolazione senza precedenti oltre che dei capitali, dei beni e dei servizi, anche del lavoro; c) lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e dalla fabbricazione di prodotti dotati di alta tecnologia, che richiedono un modello di conoscenze e di competenze che combina estrema specializzazione e creatività Questi tre macrofenomeni impongono nuove sfide ai Sistemi educativoformativi, i principali responsabili dell’acquisizione di nuovi saperi e dell’adeguamento e manutenzione costante delle competenze individuali: “La finalità ultima della formazione, che è di sviluppare l’autonomia della persona e la sua capacità professionale, ne fa l’elemento privilegiato dell’adattamento e dell’evoluzione. Pertanto, le due risposte principali suggerite dal presente Libro bianco sono, anzitutto, di permettere a ogni individuo, uomo o donna di accedere alla cultura generale e, in seguito, di sviluppare la sua attitudine al lavoro e all’attività”4. La Formazione viene avvertita ora, come mai era successo prima, fattore di successo, delle persone e delle economie. E non avere conoscenza (cultura generale e professionale) diventa fenomeno di emarginazione sia delle persone, estraniate dalla vita comunitaria perché mancanti delle chiavi di comprensione dei fenomeni sociali5 e dal mondo del lavoro perché con una dotazione professionale poco spendibile, sia dei sistemi produttivi, estraniati dal mercato perché poco innovativi e quindi poco concorrenti. 1 COM(95) 590 def. Libro bianco su Istruzione e Formazione Insegnare e apprendere, verso la società della conosenza, Bruxelles, 11 novembre 1995. 2 Secondo la definizione ufficiale riportata sul portale dell’Unione Europea: «I Libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico. Talvolta fanno seguito a un libro verde pubblicato per promuovere una consultazione a livello europeo. Mentre i libri verdi espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico, i libri bianchi contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione ». 3 ÉDITH CRESSON CAMPION (1934), politica francese socialista, più volte ministro, è stata la prima e finora unica donna ad essere Primo Ministro della Francia (aprile ’91-maggio ’92). Nel 1995 è nominata membro della Commissione Europea, e le è assegnata la delega alla scienza, alla ricerca e allo sviluppo. Nel 1999 è tra i protagonisti dello scandalo di corruzione e nepotismo che investì la Commissione Santer. 4 COM(95) 590 def. Libro bianco su Istruzione e Formazione Insegnare e apprendere, verso la società della conosenza, op. cit., pp. 9-11. 5 Ibidem “Esiste quindi il rischio che la società europea si divida fra coloro che possono interpretare, coloro che possono soltanto utilizzare e coloro che sono emarginati in una società che li assiste. In altri termini, fra coloro che sanno e coloro che non sanno”. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 14 15 3) La formazione nelle riforme dei Fondi strutturali del 1988 e del 1993 La consapevolezza del ruolo strategico dei processi formativi è una delle idee guida della riforma dei fondi strutturali del 1988 (cfr. par. 1) e del 1993 (cfr. par. 4) perché la formazione è percepita come fattore di “coesione economica e sociale”, che rappresenta la finalità ultima dei fondi stessi. Una politica di coesione economica e sociale consiste nel perseguimento di una società europea più giusta, portatrice di pari opportunità per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro ubicazione territoriale, e in cui non vi siano disparità di sviluppo economico e sociale. E gli investimenti in formazione, inseriti in una strategia macroeconomica di sviluppo, garantiscono valore aggiunto in termini di innovazione, competitività e occupazione, e favoriscono l’avvio di processi virtuosi e dinamici di crescita per tutti e in tutte le regioni della Comunità. È proprio per questa consapevolezza che il FSE è l’unico fondo strutturale ad essere stato inserito in tutti gli Obiettivi delle due riforme menzionate. Questo collocazione trasversale del FSE sta ad indicare che è non più considerato un ammortizzatore sociale ma un fondo di investimento per la valorizzazione delle risorse umane. La formazione quindi, lungi da essere considerata, come nel passato, prevalentemente un costo, rappresenta, ora, soprattutto un investimento. 4) I macrofenomeni che caratterizzano la Formazione Professionale italiana Due sono macrofenomeni che più di altri connotano la Formazione Professionale di questo periodo: 1. l’influenza sempre più determinante del Fondo Sociale Europeo; 2. la prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua. L’uno e l’altro fenomeno cambiano radicalmente la configurazione della formazione regionale del nostro Paese, tanto che possiamo affermare che il sistema disegnato dalla L. quadro n. 845 non c’è più o c’è sempre di meno. 5) La dipendenza finanziaria e culturale dall’Unione Europea La presenza “massiccia” e “pervasiva” del FSE nella nostra Formazione Professionale rende praticamente il Sistema regionale dipendente dall’Unione Europea. Doppiamente dipendente: a) sotto il profilo finanziario e b) quello culturale. a) Si consideri che con la riforma dei fondi strutturali, soprattutto con quella del 1993, il FSE copre tutte le tipologie di offerta formativa: dalla prima qualificazione dei giovani a quella per adulti disoccupati, da quella per giovani diplomati/ laureati a quella per occupati, da quella per soggetti a rischio di emarginazione sociale e occupazionale a donne che desiderano rientrare nel mondo del lavoro dopo un periodo di volontario allontanamento. Ma il FSE non cofinanzia solo formazione ma anche azioni di orientamento, pre-formazione, sostegno alla mobilità geografica e professionale, aiuti all’occupazione, compresi i trattastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 15 16 menti sostitutivi della retribuzione, sostegno alla creazione di impresa ed all’autoimpiego… Insomma il FSE copre tutti gli snodi di transizione alla vita attiva e dentro la vita attiva, con un diversificato panel di strumenti e strategie operative. Le Regioni per poter accedere ad un menù così ricco utilizzano le loro risorse finanziarie insieme a quelle messe a disposizione dal Fondo di rotazione, come sponda per il cofinanziamento della Unione Europea, perché così prescrivono le regole comunitarie. Aumentando, però, la disponibilità delle risorse da parte del FSE (come avviene soprattutto con la programmazione 1994-1999) le Regioni devono aumentare la loro quota di cofinanziamento. Ma se utilizzano le proprie risorse in misura consistente, spesso prevalente, talvolta esclusiva come sponda al cofinanziamento in tutte le azioni, formative e non, consentite dal FSE allora le azioni programmate e realizzate con il contributo del FSE diventano consistenti, prevalenti o esclusive. Per misurare il fenomeno descritto si può ricorrere all’indice di dipendenza, calcolato misurando l’incidenza delle attività dal FSE (e relativa quota di finanziamento regionale) sul totale delle attività approvate dalle amministrazioni regionali. Ebbene, nel 1995, tale indice per l’intero Paese è pari al 61,3% in termini di azioni e al 68,3% in termini di spesa; i valori salgono, però, al 69,6% e al 73,2% se si include anche la quota relativa ai Programmi Operativi Multiregionali. Se consideriamo, però, la situazione di ciascuna Regione rileviamo che, in 11 di loro, il grado di dipendenza dal FSE in termini finanziari è superiore al 90% ed in 4 di queste (tutte del Mezzogiorno) è pari al 100%. b) Il FSE insieme alle risorse finanziarie “prescrive” precise scelte programmatiche e disposizioni regolamentari. Il cofinanziamento è concesso, infatti, subordinatamente al rispetto di vincoli programmatici e procedurali. L’insieme delle decisioni assunte con la riforma dei fondi strutturali del 1988 e con la sua revisione del 1994 nonché e i programmi e le iniziative comunitarie operative negli Anni ’90, non rappresenta solo la politica di Formazione Professionale della Comunità/Unione, ma costituisce un riferimento decisivo per il nostro Paese a tal punto da configurarsi sostanzialmente come il quadro programmatico- regolamentare da cui si fanno derivare le più importanti scelte di carattere contenutistico e procedurale che connotano i Sistemi formativi regionali. Per questo abbiamo parlato di dipendenza culturale. 6) Una dipendenza provvidenziale… quasi sempre Perché usare il termine dipendenza se nelle scelte, in base al principio della partnership, c’è stato il contributo dei Paesi membri nella elaborazione dei Piani e dei programmi? Perché dipendenza se c’è una condivisibilità sostanziale delle scelte effettuate dalla e con la UE? Senz’altro il termine, se assunto scrictu sensu, è improprio. Ma sta solo ad indicare il fatto che mutamenti profondi e organici, anche se condivisi e partecipati, sono stati indotti da sollecitazioni esogene e non da maturazioni interne alle RestoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 16 17 gioni. Regioni che debbono necessariamente disegnare le proprie programmazioni di attività ed adattare le proprie procedure alle decisioni della Comunità, Anche se possiamo dolerci che le innovazioni non nascono dalla cultura delle nostre Regioni non possiamo non riconoscere che i nostri Sistemi di formazione regionali hanno imparato molto dall’Europa: a) le Regioni hanno imparato a programmare per obiettivi, quando prima la loro pianificazione procedeva secondo paradigmi amministrativi e distribuivano le risorse sulla base del consolidato storico. b) Le Regioni hanno imparato a mettere al centro della loro azione i bisogni dell’utente mentre prima la centralità, era riservata al “corso”, unico prodotto della Formazione Professionale. Su questo versante occorre evidenziare il ruolo determinante dei Programmi e delle Iniziative comunitarie le acquisizioni delle quali sono state trasferite all’interno della normativa del FSE e nella quotidianità della prassi. Ruolo determinante perché contribuiscono alla ridefinizione dello statuto epistemologico della Formazione Professionale, in quanto favoriscono il superamento della visione “scolasticistica” che la identificava con il percorso formativo. Adottando una logica che non parte dal prodotto (e che quindi mette l’accento su un tipo di intervento standardizzato) ma dalle utenze (portatrici di una pluralità di bisogni) Programmi e Iniziative mettono in campo una grande varietà di strategie e strumenti: ricerca, analisi di fabbisogni, formazione (in presenza, a distanza, ecc.) orientamento, tutoring, assistenza e consulenza, monitoraggio e valutazione, sistemi informativi, elaborazione di prodotti e software multimediali, costruzione di data base, reti e osservatori, centri specialistici, servizi per l’infanzia (micronidi, ludoteche...) centri d’incontro per l’età evolutiva, sportelli informativi, convegni e workshop... Quindi non più solo formazione, non più solo il “corso” ma una pluralità di opportunità per la soluzione di un problema che spesso non è solo formativo. c) Le Regioni hanno imparato che la valutazione è una dimensione trasversale di tutta la Formazione Professionale e che non riguarda, quindi, solo la verifica dei risultati dell’apprendimento e della acquisizione delle competenze, ma anche l’azione (prima durante e dopo la sua realizzazione), la struttura che l’ha progettata e portata a compimento e il sistema di governo che l’ha programmata e finanziata. Le Regioni hanno quindi imparato dall’Europa, anche se con difficoltà o almeno non tutte con gli “stessi tempi di apprendimento”. E comunque, quando le sollecitazioni a cambiare culture e prassi vengono “dall’esterno” (e quindi possono essere sentite come imposizioni) e non per una maturazione interna (quando vengono avvertite come bisogni), il rischio che i cambiamenti e le acquisizioni siano solo di facciata è sempre presente. Nell’insieme, a parte carenze e ritardi, non possiamo non concludere che la “dipendenza” dall’Europa sia stata provvidenziale. Anche se non sempre. Ad esempio, storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 17 18 l’aver fatto adottare le procedure concorsuali anche per la selezione degli interventi di prima qualificazione post-obbligo è stata, a nostra avviso, una forzatura. Infatti, un’azione ricorrente con forti connotazioni educative e, quindi, necessariamente da affidarsi a soggetti che, da una parte, diano garanzie di continuità e, dall’altra, per dirla con una vecchia espressione della Legge quadro, siano portatori di una “proposta formativa”, è stata omologata a interventi di carattere progettuale-contingente e finalizzati prevalentemente all’acquisizione di competenze tecniche (come può essere un intervento destinato ad adulti), che invece potevano essere affidati a soggetti attuatori mediante la procedura concorsuale. 7) La prima implementazione di un “sistema” di Formazione Professionale Continua Negli Anni ’80 e all’inizio del decennio si poteva registrare un numero significativo di attività formative professionalizzanti per occupati realizzate da una pluralità di soggetti quali le imprese, le Università, le società di consulenza ma anche dal Sistema formativo regionale. Infatti, secondo le rilevazioni Isfol sulle attività programmate dalle Regioni nel 1990-91 gli adulti coinvolti in azioni di qualificazione riqualificazione aggiornamento specializzazione erano circa 130.000, (quasi il 35% di tutti gli allievi di quell’anno), la maggior parte dei quali persone occupate. Ciò che mancava quindi nel nostro Paese non erano le attività, ma un Sistema di Formazione Continua, cioè: – una identità espressa da una definizione chiara per cui quell’insieme di interventi non è confondibile e riducibile ad altri; – un quadro normativo, che oltre che regolamentarne il funzionamento ne rappresentasse una legittimazione sociale, che desse consistenza alla consapevolezza maturata in questi anni che la formazione costituisce un bene comune per il lavoratore e per l’azienda. Infatti, in quanto strumento di manutenzione della professionalità rappresenta per il lavoratore un antidoto contro la sua obsolescenza e per il sistema aziendale uno strumento per aumentarne il tasso di competitività; – risorse finanziarie adeguate (nel volume) e continue (nel tempo). E, nei primi anni del decennio la Formazione Continua non ha né una definizione certa e condivisa nè una normativa di riferimento né finanziamenti certi. Infatti non era ancora chiaro che cosa essa fosse: equivoca la sua definizione e confusi i confini con altre offerte formative (le prime definizioni la fanno coincidere con la Formazione Professionale degli adulti, mettendo insieme disoccupati ed occupati). Progressivamente si va verso l’accezione francese di Formazione Continua come formazione di soli occupati; accezione che si consolida e si stabilizza nel dibattito e nella letteratura del nostro Paese verso la fine degli Anni ’90. Le basi normative, invece, sono fornite dalla L. n. 136/96 che all’art. 9 prevede che Ministero del Lavoro Regioni e Province autonome possano finanziare interventi formativi in favore dei lavoratori occupati del settore privato in posizione di lastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 18 19 Grafico n. 1 - Numero di corsi programmato dalle Regioni, dall’a.f. 1984 all’a.f. 1997, per la formazione di primo livello e per la Formazione Continua (v. %) voro dipendente, o di lavoratori appartenenti a specifiche categorie. Ciò che la L. 36 prevede come possibilità, una circolare mette in pratica. Infatti la circolare n. 174/96 del Ministero del Lavoro dà vita ad un piano di attività, da realizzare a livello regionale, con una cospicua dotazione finanziaria. Ma in quegli anni la Formazione Continua poteva contare anche sulle risorse comunitarie, in particolare quelle dell’Ob. 4, esclusivamente riservato alla Formazione Continua e introdotto per la prima volta nella riforma del 1993. Risorse adeguate, ma ancora contingenti, in quanto derivate da fonti finanziarie a termine. La soluzione per assicurare al neonato sistema di continuità dei finanziamenti verrà proposta dall’Accordo per il lavoro del 1996 e che verrà ripresa dal pacchetto Treu, “con l’attribuzione graduale ed integrale del contributo dello 0,30”. Intanto succede nel Sistema regionale un evento epocale: grazie soprattutto alle risorse finanziarie dell’Ob. 4 si verifica, nell’a.f. 1995-96, il sorpasso della formazione degli adulti (nella quale la quota degli occupati era fortemente maggioritaria), sulla formazione di prima qualificazione post-obbligo. Infatti, secondo l’indagine realizzata dall’Isfol sulla base dei Piani annuali delle Regioni e Province Autonome, in quell’anno formativo il peso percentuale delle attività per adulti supera di circa 6 punti quello della formazione di primo livello, per consolidare poi, nell’anno successivo, il distacco con un gap di 20 punti. Nella introduzione del II volume abbiamo intitolato un paragrafo “gli allievi: un sistema pieno di giovani e adulti”. Questo paragrafo, invece, lo avremmo potuto chiamare “gli allievi: un sistema pieno di adulti e di giovani”. I giovani, che erano stati la componente esclusiva (Anni ’50 e ’60) o prevalente (Anni ’70 e ’80), diventano minoritari negli Anni ’90 (cfr. Graf. n. 1). storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 19 20 8) La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale Nel periodo considerato da questo volume le legislature sono tre: la decima, la undicesima e la dodicesima. In tutte e tre il tema della riforma della secondaria è tra i temi “caldi” (cfr. par. 3). Ma in tutte e tre, le discussioni parlamentari si sono svolte secondo questo canovaccio: posizioni partitiche iniziali differenziate, mediazioni estenuanti con qualche risultato, sospensione delle trattative o fine della legislatura. In conclusione le convergenze si realizzano sulla necessità di un prolungamento dell’obbligo, le divergenze, invece, sulle soluzioni per realizzare il prolungamento, che alcuni vorrebbero solo all’interno del sistema scolastico (sia la destra che la sinistra), altri invece (solo la DC) anche al di fuori. Le argomentazioni degli uni e degli altri sono quelle di sempre. La DC pone l’accento sulla equipollenza ai fini formativi dei diversi percorsi e soprattutto sulla necessità di diversificare l’offerta di istruzione in funzione della piena valorizzazione delle diverse attitudini, capacità e inclinazioni presenti tra i giovani nella fascia dei 14-16 anni. Il fronte laico si oppone a queste motivazioni invocando la necessità di assicurare a tutti, per motivi di equità, gli stessi percorsi. E ai primi che replicano che l’equità si ottiene non con l’uniformità ma con la differenziazione, cioè non assicurando a tutti gli stessi percorsi, ma a ciascuno il percorso più congeniale, i secondi rispondono con la necessità di non far operare ai giovani scelte alternative troppo precoci. Alla successiva risposta che un biennio unitario e non professionalizzante produce abbandoni e dispersione si risponde con l’esigenza di non discriminare e il circolo dialettico continua. Cos’è che rompe questo girotondo dialettico e fa registrare qualche convergenza? Una prima volta, con il DDL Mezzapesa, è l’idea di sperimentazione. L’obbligo fino a 10 anni, in via provvisoria e a titolo sperimentale può essere assolto con la collaborazione del Sistema formativo regionale (corsi sperimentali ad ordinamento speciale). È un’idea che esclude soluzioni definitive e quindi conserva intatte le speranze dell’uno e dell’altro fronte di far prevalere alla lunga le proprie tesi. Una seconda volta invece, con un testo unificato della VII Commissione del Senato (relatore Manzini), è l’idea della collaborazione istituzionale tra Stato e Regioni. I due soggetti istituzionali stipulano Accordi di programma territoriali, che prevedono tra l’altro progetti per i prosciolti dall’obbligo d’istruzione anche “una prima formazione professionale di base orientata al lavoro”, progetti realizzati o dalle scuole o “mediante convenzioni con le strutture di formazione professionale o con altre istituzioni educative e formative”. L’interruzione della legislatura soffoca anche questo tentativo per far entrare la Formazione Professionale nel Sistema d’istruzione accanto alla Scuola. Dopo aver citato il Libro bianco “Verso la società della conoscenza”, dove Istruzione e Formazione Professionale sono considerati percorsi con missioni distoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 20 21 verse ma necessari entrambi e di eguale dignità, nel ripercorre il dibattito che in questi anni si fa nel nostro Parlamento nazionale sull’assolvimento dell’obbligo d’istruzione si ha una sensazione di grettezza culturale e di provincialismo. Perché in questa diatriba ci sono un po’ tutti gli stereotipi che accompagnano ogni discussione sul Sistema formativo del nostro Paese: la contrapposizione tra cultura e lavoro (che da Gentile in poi ci trasciniamo dietro) ma anche i vecchi retaggi anticlericali, che non vengono mai clamorosamente alla luce, ma che operano in sordina per tentare di eliminare o almeno contenere, quella eredità di iniziative promosse e realizzate da Enti e CFP d’ispirazione cristiana e gestite, prevalentemente, da congregazioni religiose, in nome di una educazione che si vorrebbe più “laica” possibile. 9) Un linguaggio ed un’offerta formativa nuova: l’integrazione tra Sistemi formativi Mentre assistiamo allo stallo sul piano politico-parlamentare nei confronti della riforma dei Sistemi formativi, sempre annunciata e mai effettuata, Scuola e Formazione Professionale procedono se non ad un’autoriforma almeno a ridisegnare e reimpostare i rapporti vicendevoli, perché le innovazioni culturali spesso vanno più veloci delle Leggi (cfr. par. 3.8.2). E le elaborazioni concettuali maturate in questi anni parlano chiaro, parlano di interazioni e non di steccati, di collaborazione e non di conflittualità. La velocità e la pervasività delle trasformazioni tecnologiche ha stravolto i ritmi e i tempi della formazione ed il mix cultura di base - cultura specialistica - professionalizzazione - cultura organizzativa, sono ormai componenti inscindibili. Essi, anzi, costituiscono una dotazione personale che ciascuno dovrebbe possedere, riaggiornare e ricombinare per tutto l’arco della propria vita attiva, a prescindere dalla posizione lavorativa che ricopre o ricoprirà. Pertanto, una Scuola per chi studierà ancora e una Scuola per chi lavorerà non serve più. E di conseguenza non si giustifica più, e non è funzionale, lasciare che un elevato grado di rigidità, di non permeabilità, impedisca di fatto quell’osmosi che aprirebbe le strade per una loro fruizione più dinamica da parte delle differenti utenze. Dunque, i Sistemi sono ancora bloccati dalle morse di mancate riforme o normative quadro, ma, al loro interno, non sono così asfittici come si potrebbe supporre. Esistono molteplici e significativi interventi ed esperienze, nate proprio nell’intento di favorire un raccordo tra il Sistema Istruzione, compresa l’Università, e quello della Formazione Professionale, (e spesso, tra questi ultimi ed i rappresentanti delle parti sociali). È una offerta formativa che non nasce in questo periodo; l’avevamo rilevata anche nei decenni precedenti, ma era ancora a livello embrionale. In questo decennio si sviluppa, fino a costituire quantitativamente e tipologicamente una nuova offerta formativa. E con la crescente presenza di questa offerta prendono piede, nel linguaggio corrente, termini che non avremmo mai sospettato di usare qualche anno addietro: integrazione, interazione, collaborazione intersistemica. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 21 22 10) Le foto più rappresentative della Formazione Professionale degli Anni ’90 Ma, nell’insieme, quale immagine della Formazione Professionale ci consegnano gli Anni ’90? Con quali “fotogrammi” potremmo meglio descrivere i dati e i fatti che racconteremo in questo volume? 1) Innanzitutto quello di un settore che ha raggiunto dimensioni notevoli per utenza, per personale, per strutture operative e per attività. Si consideri che nel 1996 gli iscritti erano 406.920 (cfr. par. 7.4.3), il personale ammontava a 25.700 operatori e le sedi dove venivano realizzati gli interventi 3.800, di cui 1500 CFP e 2300 sedi occasionali (cfr. par. 7.4.4). Il numero dei corsi programmati ha fatto registrare nel periodo preso in esame un costante aumento, passando dai 18.532 nell’anno formativo 1989-90 ai 26.251 nel 1996-97; incremento imputabile, soprattutto, alla maggiore dotazione e utilizzazione del FSE, dopo la riforma del 1993 (cfr. par. 7.4.1). La prima formazione da 7.733 corsi dell’inizio del decennio ne fa registrare 6.156 nell’a.f. 1996-97, ma dopo avere raggiunto, nell’anno precedente, gli 8.559 interventi. Il secondo livello (corsi di integrazione Scuola Formazione Professionale e interventi per il post-diploma e postlaurea) sale dai 3.436 interventi del 1990-91 ai 5.819 del 1996-97. Stazionari i corsi speciali (nell’accezione Isfol comprendono gli interventi per soggetti a rischio di esclusione o, come venivano chiamati allora per “fasce deboli” e quelli previsti da normative nazionali o regionali per l’esercizio di particolari attività e professioni): 2.397 erano nell’a.f. 1990-91 e 2.336 sono nel 1996-97. La Formazione Continua6, come già considerato, fa registrare una vera esplosione: nel periodo in esame estende la sua presenza da 7.428 corsi a 11.940. 2) È un settore che offre opportunità formative articolate e per tutto l’arco della vita. Infatti, al di là del peso che in determinati periodi storici può assumere questa o quella tipologia formativa (negli Anni ’60 e ’70 la prima formazione, negli Anni ’80 il secondo livello e, in questi anni, la Formazione Continua) la Formazione Professionale si connota come Sistema di Formazione ricorrente, aperto a tutti i fabbisogni formativi di giovani ed adulti, in qualsiasi momento questi si trovino del processo di transizione dalla scuola al lavoro, dalla disoccupazione al lavoro, dal lavoro al lavoro. In un panorama di istituzioni formative immobili, la Formazione regionale ha raccolto le sollecitazioni di una domanda di formazione diversificata e si è strutturata in una offerta formativa tipologicamente articolata. Ma tanta letteratura non se ne accorge e continua, anche in quegli anni, a recitare la falsa litania di una Formazione Professionale regionale immobile e “giovanilistica”. 6 Nel sistema classificatorio dell’Isfol la Formazione per adulti è sinonimo di Formazione Continua, in quanto comprendeva, come ancora avveniva anche nella letteratura del settore, sia la Formazione per occupati che quella per disoccupati adulti. I corsi per i primi erano comunque molto più numerosi che gli interventi per i secondi. I dati disaggregati per il 1995-96 e 1996-97 parlano di un rapporto di 3 a 1 (esattamente 7.822 corsi per occupati e 2.178 per disoccupati per il primo anno e 8.623 per occupati e 3.317 per disoccupati nel secondo anno). storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 22 23 3) È un settore ad alto tasso di produzione legislativa (cfr. par. 6). Dal 1990 al 1997, infatti, sono state emanate 59 leggi di cui 10 di natura ordinamentale (nel senso che regolamentano tutti gli aspetti del Sistema formativo-professionale). La maggior parte di queste 10 leggi organiche sono inquadrabili nella c.d. legislazione di seconda generazione, che si caratterizza per una programmazione unitaria di tutte gli strumenti delle politiche attive del lavoro, per la configurazione del Centro di Formazione Professionale come sede di erogazione di una pluralità di servizi, formativi e non, e per la centralità del tema della valutazione. È doveroso notare, però, che nel corpus legislativo della formazione regionale si verifica, in misura considerevole, uno scollamento tra la norma e la sua effettiva applicazione. La Legge prevede comportamenti, procedure e Istituzioni che non riscontriamo nella struttura e nella prassi delle Regioni. 4) È un settore che ha trovato un equilibrio istituzionale tra competenze riservate alla regione e competenze delegate a soggetti sub-regionali (cfr. 7.5.2). Tutte le 13 Regioni che hanno previsto questo istituto hanno scelto come soggetto di delega la Provincia. Rispetto ai decenni precedenti, quando era stato privilegiato il soggetto amministrativo a livello territoriale più basso, il Comune, anche se, il più delle volte, nella forma associativa di Consorzi di Comuni o Comunità montane, si verifica una generalizzata inversione di tendenza che vede nella Provincia il soggetto di delega più adeguato. Anche se queste 13 Regioni distribuiscono diversamente le competenze all’uno o all’altro soggetto, il modello base di riferimento è quello che riserva alle Regioni le funzioni strategiche (programmazione pluriennale, regolamentazione-indirizzo e controllo-valutazione) e alle Province le funzioni attuative (pianificazione annuale, gestione degli ex Centri di Formazione Professionale regionale). 5) È un settore che sta costruendo modalità di funzionamento nuove, ricorrendo a paradigmi processuali molto diversi dal passato. Grazie soprattutto alle sollecitazioni- condizionamenti provenienti dalla Unione Europa, come abbiamo precedentemente affermato, si stanno diffondendo nuovi modelli procedurali, che si muovono lungo questa traiettoria: programmazione pluriennale di carattere strategico, che spesso coincide con la elaborazione dei Programmi Operativi per gli Ob. 1, 3 e 4 del FSE (cfr. 7.6.1 e 2), emanazione di avvisi pubblici per gli interventi da realizzare, predisposizione e presentazione alla Regione o Provincia di un progetto formativo da parte dei soggetti che si candidano ad attuare interventi (cfr. par. 7.6.3), selezione dei progetti mediante la loro comparazione e valutazione (cfr. par. 7.6.4), attuazione degli interventi e loro monitoraggio-controllo in fase di esecuzione, esame della rendicontazione finanziaria e valutazione di efficacia ed efficienza degli interventi realizzati (cfr. par. 7.7). Ci troviamo di fronte a innovazioni così radicali rispetto a prassi tradizionali che inizialmente trovano impreparati sia i soggetti di governo (cfr. par. 7.5.1) che quelli di attuazione (cfr. par. 7.6.3), tanto da esigere, soprattutto sul versante della valutastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 23 24 zione, una seria riflessione scientifica che dà vita ad un’abbondante letteratura di ricerca (cfr. parr. 7,7 e 7,8). 6) È un settore che si affida per la realizzazione delle attività a soggetti terzi, con particolare riferimento al c.d. privato sociale7 (cfr. par. 7.5.3). Le strutture pubbliche, per le quali la Legge quadro n. 845/78 prevedeva una valorizzazione. si ridimensionano sotto il profilo del volume corsuale erogato e si impoveriscono sotto il profilo formativo (si disperde così il patrimonio dell’INAPLI, ENALC e INIASA costruito in circa 50 anni). Le strutture degli Enti di Formazione mantengono la loro forte presenza (in alcune Regioni esclusiva), grazie soprattutto ad una programmazione delle attività, da parte delle Regioni, attenta a non sconvolgere i livelli occupazionali esistenti, con scelte d’interventi formativi che spiazzassero la professionalità degli operatori presenti nei CFP degli Enti. 7) Ma questo modello egemone degli Enti sta entrando in crisi. Con la differenziazione graduale dell’offerta formativa, infatti, si aprono spazi per nuovi soggetti. Si consideri peraltro che, mentre la normativa italiana, nazionale e regionale, è attenta al soggetto gestionale (e quindi alla sua fisionomia giuridica), la Comunità è più attenta all’azione formativa (e quindi alla tipologia ed alla qualità dell’intervento). L’ingresso di nuovi soggetti, però, non riduce in maniera significativa la presenza degli Enti di formazione che, nel frattempo, si sono posizionati in termini diversi: qualcuno infatti è rimasto ancorato alla formazione di base e quindi ad un paradigma organizzativo basato sulla ricorrenza; qualcun altro, invece, si è aperto alle nuove offerte formative e quindi si è più spostato sulla dimensione progettuale. La maggior parte hanno scelto una via intermedia. Nonostante la tenuta delle posizioni, sta di fatto, però, che l’Ente di formazione non è più il soggetto attuativo esclusivo; e se per qualche Regione è ancora una risorsa su cui puntare, per altre è una presenza da contenere, per altre ancora solo una opportunità accanto ad altre. Si avverte, però, la necessità di scrivere “regole nuove” sulle condizioni richieste per poter attuare iniziative formative con risorse finanziarie pubbliche. 8) È un settore che ha problemi di riconoscibilità dei titoli che rilascia, sia da parte della Scuola che da parte del mercato del lavoro. Questi tre sistemi, infatti, non dialogano tra loro perché basati su criteri e categorie diversi. Dialogo che non c’è perché la storia di ciascuno è molto diversa, ma anche perché non lo si vuole, come insegna il progetto Fasce di professionalità8. Problema di sempre e mai risolto, ma che ora acquista un’urgenza particolare. Il 1° gennaio 1993, infatti, entra in vigore il Trattato di Maastricht e prende concretamente avvio la 7 Espressione che coniuga e l’aspetto giuridico-formale e l’identità sociologica-sostanziale. Ente privato, sì, ma chiamato a svolgere funzioni pubbliche. Ente privato, ma espressione delle realtà sociali, e nello stesso tempo, da una parte, radicato nel territorio, di cui è in grado di intercettare i bisogni professionali e tradurli in progetti formativi e dall’altra, portatori di una “proposta formativa” e quindi potenzialmente adeguato sotto il profilo tecnico e educativo. 8 Cfr. volume II, paragrafo 5.2.2. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 24 25 fase più ambiziosa del processo di unificazione e di integrazione europea: la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Naturalmente il concetto di “libera circolazione” delle persone non sta ad indicare solo lo spostamento fisico da un Paese all’altro, ma anche quello, ben più significativo, di reale collocazione professionale a livelli analoghi a quelli del Paese di provenienza. Pertanto il mercato europeo unico del lavoro che si configura ha bisogno di regole chiare e concordate che permettano un riconoscimento reciproco delle qualifiche, per evitare penalizzazioni ed azzeramenti di bagagli professionali acquisiti nei Paesi d’origine. Se un problema nazionale diventa europeo, spetta in primis alla UE trovare soluzioni. E infatti l’Europa nel 1992 emana la Direttiva 519, che prospetta una soluzione nuova rispetto a quella tentata nel passato. Infatti, viene accantonata l’idea (e il progetto del 1985) di elaborare una corrispondenza delle qualifiche rilasciate dagli Stati membri, e si punta alla costruzione di un modello standard di descrizione e trasmissione delle informazioni sulle competenze possedute ed offerte dai soggetti in ingresso su altri mercati del lavoro, il cosiddetto portfolio. Il datore di lavoro e/o l’autorità pubblica ospitante saranno liberi di valutare, caso per caso, l’idoneità e la coerenza delle competenze ascritte nel portfolio con i propri fabbisogni. L’Italia seguirà questa impostazione e nel 1996, dopo una gestazione laboriosa, il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale emana il Decreto “Adozione degli indicatori minimi da riportare negli attestati di qualifica professionale rilasciati dalle Regioni e Province Autonome, con allegato modello di attestato”. Questo strumento, che certifica i percorsi formativi e armonizza i modelli regionali di attestati di qualifca presistenti dovrebbe divenire la vera carta di identità professionale di ogni persona. 11) La Formazione Professionale nelle misure che favoriscono l’occupazione giovanile Gli interventi legislativi che promuovono l’occupazione dei giovani e che prevedono anche percorsi di formazione possono essere ricondotte a tre tipologie: i contratti a causa mista, le misure che favoriscono la imprenditorialità e i Sistemi di alternanza formazione-lavoro. I contratti a causa mista (cfr. B.1) fanno registrare in questo periodo, a causa della crisi economica, forti decrementi quantitativi sia di apprendisti che di contrattisti F.L. L’apprendistato (la cui regolamentazione rimane sostanzialmente quella del 1995) subisce una costante e progressiva erosione: perde quasi un quarto della sua dotazione complessiva, passando da 529.000 a 393.000 giovani. ll Contratto di Formazione Lavoro (il cui impianto normativo del 1986 viene rivisto nel 1994: accesso allargato ai 16-32enni e due tipologie di contratto a seconda del livello di professionalità) dal 1989 al 1993 passa da 489.000 giovani a 481.000. 9 Direttiva 92/51/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 25 26 Purtroppo sul peso della formazione in questi due contratti dobbiamo reiterare i giudizi negativi espressi negli altri decenni: la formazione off the job è totalmente carente o è quasi insignificante. Anche per gli Anni ’90 potremmo dire ciò che abbiamo affermato per gli Anni ’80: Formazione Professionale e occupazione giovanile: tanta occupazione senza (quasi) formazione. Infatti, i corsi complementari nell’apprendistato, se si escludono Bolzano, Trento e la Valle d’Aosta, sono praticamente inesistenti nelle altre Regioni. Migliore, ma sempre al di sotto della sufficienza, la situazione della Formazione nei Contratti di Formazione Lavoro, grazie alle associazioni sindacali e datoriali (che in questo periodo, peraltro, si attivano per costituire Enti bilaterali). Le iniziative sono per lo più sperimentali, non obbligatorie e con una utenza ridotta. I contenuti formativi sono spesso essenziali, limitati alle 20 ore di formazione generale sulla contrattualistica e sulle norme di sicurezza sul lavoro. Negli Anni ’80 avevamo segnalato la buona valutazione riservata dalla letteratura del settore alla Legge n. 44/86 che promuoveva la imprenditorialità giovanile, intrecciando servizi consulenziali e percorsi formativi. Il tema formazione e imprenditorialità viene declinato anche negli Anni ’90, replicando la formula della L. n. 44 che, in questo decennio, viene rifinanziata e in parte riconfiguarata da due Leggi del 1991 e del 1995 (cfr. B.3). Nasce in questo periodo un nuovo strumento di politica attiva il Piano d’Inserimento Professionale (L. n. 451/94). Si tratta di un intervento inquadrabile nella categoria delle Work esperiences: non alternanza lavoro-formazione, ma alternanza studio-lavoro o disoccupazione lavoro; non le tradizionali finalità dei contratti a causa mista (promozione dell’occupazione e della formazione) ma finalità oltre che formative anche orientative10. Istituito nel 1994, rimarrà in incubazione per 4 anni, fin quando non saranno definite, con un intervento ministeriale, le procedure amministrative di attivazione. 12) L’Isfol La fonte maggiore di informazioni e dati di questo lavoro è stato l’Isfol. E non poteva essere diversamente, dal momento che, fin dalla sua costituzione, nel 1973, l’Istituto aveva dato vita, come abbiamo annotato nel primo volume, ad una letteratura scientifica sistematica e tendenzialmente organica sulla Formazione Professionale. Ma è un Isfol diverso da quello che avevamo conosciuto negli Anni ’70, quando la sua attività di ricerca/assistenza tecnica e produzione di software audiovisivo (nel centro di Albano) era stata messa al servizio delle Amministrazioni regionali, che in quel periodo erano impegnate ad una prima implementazione dei loro sistemi formativi11. Agli inizi degli Anni ’80 l’Istituto, a seguito di una sensibile espansione quantitativa del suo 10 In questa categoria sono ricompresi anche il tirocinio formativo e la borsa di lavoro, normati dalla Legge Treu, la n. 196/97 rispettivamente agli artt. 18 e 26. 11 Cfr. RUBERTO A., 1973-2003 L’Isfol ha compiuto 30 anni in Osservatorio ISFOL n. 1/2003 pp. 5-13. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 26 27 personale12, rappresentato da giovani prevalentemente provenienti dal mondo universitario o della ricerca, orienta in maniera diversa la sua operatività: cessa la produzione di materiale audiovisivo e si rompe l’equilibrio nel rapporto ricerca/assistenza tecnica- consulenza a favore della prima e parallelamente il riferimento ai sistemi formativi regionali diventa meno rilevante. Ha inizio in questo periodo quella situazione che connoterà l’Istituto anche nei decenni futuri e che costituirà la sua criticità più marcata: da una parte la tendenza alla specializzazione e alla cultura del segmento, dall’altra la difficoltà a ricondurre tutto a sistema. Basti sfogliare il Rapporto Isfol, in cui confluisce tutta l’attività di ricerca annuale dell’Istituto, dove aspetti importanti della formazione professionale e ad altri di minore interesse hanno lo stesso rilievo, al di fuori di un quadro di sintesi che li disponga secondo priorità e gerarchie13. Alla fine degli Anni ’80 all’Isfol viene affidato l’incarico di assistenza tecnica per i Programmi Comunitari (PETRA, LINGUA, FORCE, EUROTECNET, NOW, EUROFORM). L’Istituto provvede ad allargare il numero del personale: processo espansivo si ripete e si intensifica a seguito della programmazione FSE 1994-99, quando all’Istituto sono affidati gli incarichi di assistenza tecnica al Ministero del Lavoro per gli Obiettivi 1, 3, e 4 del FSE, per le Iniziative comunitarie Occupazione e Adapt, per il Programma Leonardo da Vinci e per la valutazione del FSE14. In questa fase naturalmente il referente più importante è il Ministero del Lavoro e, nella misura in cui rientrano nei compiti svolti per il Ministero del Lavoro, le Regioni. Gli incarichi conferiti naturalmente rafforzano il ruolo dell’Istituto, gli consentono maggiori entrate e quindi una più forte capacità di spesa e di allargamento del campo di azione. Ma la crescita operativa ha riflessi anche sul piano dell’organizzazione interna: comporta la costituzione di nuove unità organizzative che si muovono in una logica un po’ autarchica sia nella definizione di piste di attività, sia nell’assunzione di quote importanti di nuovo personale e nel ricorso massiccio a consulenti esterni. Se queste modalità organizzative, in una fase espansiva che dura per buona parte degli Anni ’90, presentano dei vantaggi in termini di risultati (più attività, più convegni, più presenze in commissioni e gruppi di lavoro, maggiore produzione cartacea e multimediale...) alla lunga, determinano, senza un governo ed un coordinamento forti, fenomeni di frantumazione operativa. Ma questi limiti non impediscono un giudizio sostanzialmente positivo della produzione tecnico-scientifica dell’Istituto, che, anche se con diseguale valore, costituisce una letteratura copiosa che dà considerazione e dignità culturale ad un settore fino ad allora abbondantemente trascurato dalla saggistica e dal mondo della ricerca accademica. 12 L’organico passa da 35 dipendenti ad 85, con una forte prevalenza dei nuovi entrati (50 a 35). 13 Una eccezione è rappresentata dalla Conferenza Nazionale sulla formazione professionale (dall’anno 1989 al 1994), incentrata sulla relazione del Direttore Generale Alfredo Tamborlini. La relazione, oltre ad una parte di tipo propositiva, forniva lo stato dell’arte dei Sistemi regionali, ricomponendo le informazione e i dati rilevati dall’Istituto. 14 L’impegno su questo versante ha dato vita alla elaborazione di modelli e strumenti valutativi di eccellente valore scientifico. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 27 . 29 A. Il Sistema di Formazione Professionale 1. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1988 1.1. Premessa Ci sono due motivi importanti perché la trattazione della riforma del FSE di fine Anni ’80 venga considerata in questo volume che si occupa, invece, degli Anni ’90. Il primo motivo è rappresentato dal fatto che quella riforma sviluppa prevalentemente la sua operatività nei primi Anni ’90; il secondo perché le due riforme, quella del 1988 e quella del 1994 vanno considerate insieme in quanto la seconda è il completamento della prima. Entrambe, infatti, sono il frutto di una stessa gestazione culturale e rispondono alle stesse finalità: consolidare le politiche regionali per favorire la coesione economica e sociale. 1.2. Le riforme dei Fondi strutturali del 1988 e del 1994 e la coesione economica e sociale I Fondi strutturali sono strumenti finanziari gestiti dalla Commissione europea per riequilibrare e ridistribuire le risorse all’interno del territorio europeo. Nel corso degli anni i Fondi sono stati oggetto di riforme, anche rilevanti, ma lo scopo ultimo del loro ruolo è il raggiungimento della coesione economica e sociale di tutte le Regioni dell’Unione e la riduzione del divario tra quelle più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo. Più precisamente una politica di coesione economica e sociale consiste nel perseguimento di una società europea più giusta, portatrice di pari opportunità per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro ubicazione territoriale, in cui non vi siano disparità di sviluppo economico e sociale; ha una dimensione politica e mira a ridurre le disparità, non abbassando il livello di sviluppo delle aree più abbienti, ma promuovendo una crescita parallela di tutti gli Stati membri, che garantisca un più elevato livello di benessere per tutte le aree geografiche. La strategia comunitaria finalizzata a ridurre le disparità regionali ha vissuto, negli anni, una profonda evoluzione che può essere schematizzata in tre fasi principali: la prima copre il periodo 1958-1975, la seconda dal 1975 al 1988 e la terza 1988-1998. Con una semplificazione (forse eccessiva) potremmo affermare che la prima fase è quella dell’incubazione, la seconda dell’implementazione e la terza del consolidamento. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 29 30 I FASE (1958-1975): Incubazione della politica comunitaria di sviluppo regionale e la nascita del FESR I Trattati istitutivi delle Comunità europee non riconoscevano esplicitamente la necessità di una politica regionale comunitaria in quanto, inizialmente, il divario economico e sociale tra le diverse aree, per quanto evidente, non era avvertito come una delle questioni politiche più rilevanti. Nonostante il mercato comune, il Trattato di Roma riconosceva agli Stati la possibilità di erogare aiuti nazionali per favorire lo sviluppo regionale (si pensi in Italia alla Cassa del Mezzogiorno) e assegnava alla Commissione solo il compito di vigilare sulla loro erogazione (in base agli artt. 87 e 88)1. Il primo vero riconoscimento dell’esistenza di problemi regionali da affrontare tramite il coordinamento delle politiche regionali-nazionali, si ebbe durante la Conferenza tenutasi a Parigi nel 1972 in occasione dell’adesione alla Comunità di Danimarca, Irlanda e Regno Unito. I Capi di Stato e di Governo si impegnarono a coordinare le rispettive politiche regionali-nazionali, invitarono la Comunità a creare un Fondo per lo sviluppo regionale ed infine incaricarono la Commissione di predisporre un rapporto sulla politica regionale2. La modalità di intervento proposta dalla Commissione europea consisteva nell’attuazione di una politica regionale comunitaria aggiuntiva a quelle nazionali, non sostitutiva, e nella necessità di disporre di strumenti finanziari specifici per il riequilibrio interregionale. Venne così istituito con il regolamento n. 724/75 il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) che segna l’avvio di una politica comunitaria di sviluppo regionale. Da quel momento ha inizio la programmazione di interventi strutturali concentrati in particolari settori da realizzare in zone della Comunità con svantaggi strutturali, dei quali il FESR diveniva promotore e cofinanziatore. La programmazione copriva il triennio 1975-1977 e le risorse finanziarie messe a disposizione erano pari a circa il 4% del bilancio comunitario, da ripartire tra gli allora nove Stati membri della Comunità. II FASE (1975-1988): Sperimentazione delle politiche comunitarie di sviluppo regionale e la nascita dei PIM Il FESR operava essenzialmente attraverso contributi a fondo perduto agli investimenti, tanto in favore delle attività produttive quanto per la realizzazione di infrastrutture pubbliche, purché connesse alle attività produttive3. La gestione degli stanziamenti del FESR era inizialmente assegnata ai soli Stati membri i quali stabilivano 1 La creazione di una Direzione Generale della Commissione, responsabile della politica regionale risale, infatti, a dopo la stipula del trattato, e cioè agli Anni ’60. 2 BRUZZO A., Le politiche strutturali della Comunità europea per la coesione economica e sociale, CEDAM, 2000, p. 86. 3 Gli squilibri su cui interveniva, in particolare, erano quelli risultanti dalla prevalenza delle attività agricole, dalle riconversioni e ristrutturazioni industriali e da una sottoccupazione di tipo strutturale. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 30 31 autonomamente i criteri di definizione delle aree agevolabili e godevano di quote prefissate di finanziamenti sulle quali la Commissione non poteva esercitare alcuna influenza4. Si dovrà attendere il 1979 con l’emanazione del Regolamento n. 214/79, per vedere riconosciuto alla Commissione un controllo sulle politiche nazionali realizzate dai singoli Stati. Questo regolamento, infatti, introduceva una sezione “fuori quota” (pari al 5% del FESR) la cui gestione veniva assegnata alla Commissione perché potesse disporne sulla base delle proprie valutazioni. La ricerca di nuovi criteri, tali da rendere più efficienti i meccanismi di finanziamento, condusse nel 1984 alla seconda revisione del Fondo, grazie alla quale venne sostituito il sistema “fuori quota” con il sistema delle “forcelle”: i finanziamenti a favore di ogni Stato venivano aumentati fino ad un certo limite massimo per periodi di tre anni, in una misura definita sulla base delle priorità e dei criteri stabiliti dalla Commissione. Tale regolamento prevedeva, inoltre, che il FESR finanziasse anche le iniziative comunitarie. Per favorire il processo di ampliamento della Comunità a Spagna e Portogallo si crearono, tramite il Regolamento CEE 2088/85, i cosiddetti Programmi Integrati Mediterranei (PIM), rivolti al miglioramento delle infrastrutture socio-economiche delle regioni mediterranee. Per unanime riconoscimento degli studiosi i PIM rappresentano i veri precursori della nuova politica comunitaria regionale. L’istituzione dei PIM, infatti, conteneva tutti gli elementi che avrebbero caratterizzato il funzionamento dei Fondi strutturali nei periodi successivi: – il partenariato tra Commissione, Amministrazione nazionale e Regione; – la definizione di un programma pluriennale, vincolante per tutte le parti; – l’approccio integrato dei mezzi finanziari (erano chiamati a concorrere tutti e tre i Fondi strutturali comunitari: FESR, FSE, FEAOG - Fondo Europeo per l’Agricoltura Orientamento e Garanzia); – l’esistenza di comitati di attuazione composti dai diversi attori in gioco per consentire un confronto continuo anche in fase di realizzazione dei progetti. III FASE (1988-1998): Consolidamento delle politiche regionali e dei Fondi strutturali Finora la politica del riequilibrio regionale era stata, in maniera crescente, una politica importante per la Comunità, con la riforma del 1988 diventa una politica 4 Il finanziamento comunitario interveniva sui singoli progetti; questi ultimi erano subordinati al parere della Commissione, che ne valutava la coerenza rispetto alla normativa comunitaria e alle azioni del programma di sviluppo regionale formulato dallo Stato membro. Ciascun programma di sviluppo regionale doveva essere approvato dalla Commissione. Poiché in realtà tali programmi venivano raramente definiti, e tutt’al più con notevole ritardo, la Commissione assegnava le risorse in base alle indicazioni fornite dagli Stati membri all’inizio di ogni anno. Cfr. BEUTLER B., BIEBER R., PIPKORN J., STREIL J., WEILER J.H.H., L’Unione europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Il Mulino, Bologna 1998. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 31 32 strutturale, nel senso che sono i Fondi strutturali ad essere investiti della finalità della coesione economica e sociale. Momento fondamentale di questo passaggio è l’approvazione dell’Atto Unico Europeo (1986). L’Atto Unico Europeo fissa come principale obiettivo la realizzazione di un mercato unico. Accanto a questa priorità, però, il documento: – si impegna a realizzare una coesione economica tramite il coordinamento delle politiche economiche nazionali e l’attuazione di politiche comuni appositamente destinate; – individua gli strumenti di intervento diretto della Comunità europea nei cosiddetti “Fondi strutturali” (oltre che nella Banca europea degli investimenti e negli altri “strumenti finanziari” istituiti dalla Comunità). Lo specifico compito attribuito a tali strumenti diventa così quello di contribuire, con misure dirette, alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nella Comunità, partecipando allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle Regioni in ritardo di sviluppo. Il 1986 segna quindi il momento della nascita della politica strutturale che mira a colmare il divario esistente in materia di sviluppo e di livello di vita, e gli aiuti strutturali alle Regioni ed ai gruppi sociali svantaggiati ne costituiscono la modalità di attuazione. 1.3. La riforma dei Fondi strutturali del 1988 La riforma dei Fondi strutturali, del 1988, fu possibile solo grazie alla “dichiarazione politica” esplicitata nell’Atto Unico Europeo del 19865, dove le disparità regionali vengono definite un elemento di freno per la realizzazione del mercato interno europeo e, quindi, per l’approfondimento dell’integrazione economica stessa. Per favorire quest’ultima occorreva intensificare gli sforzi finanziari destinati alla coesione economica e sociale, finora ritenuti troppo esigui6. Su proposta del Presi- 5 La firma dell’Atto Unico Europeo (ADE), avvenuta il 17 febbraio segna una fase di svolta nella storia della Comunità Europea per due motivi essenziali. Innanzitutto, il nuovo trattato introduce novità immediatamente visibili, come l’estensione dei settori d’intervento della Comunità, l’impegno di completare il mercato unico entro il 1992 e alcune modifiche anche sostanziali di carattere istituzionale. In secondo luogo, con l’Atto Unico si inaugura quel periodo che va dal 1985 al 1994 durante il quale le Commissioni presiedute dall’economista francese Jacques Delors impressero una notevole accelerazione al processo d’integrazione europea animando un dialogo sociale a livello comunitario capace di aggregare il carattere prioritario dell’integrazione economica intorno alla visione sociale della costruzione europea, ritenendo i fattori economici e quelli sociali come componenti inscindibili di un unico modello politico e culturale di sviluppo. 6 L’art. 23 della UE introduce ex-novo nel Trattato CEE il Titolo V sulla Coesione economica e sociale. Questo titolo, composto di cinque articoli, ha l’importanza di istituzionalizzare la politica comunitaria di coesione economica e sociale: il compimento del mercato unico e il progresso dell’integrazione europea venivano organicamente raccordati. L’obiettivo di superare le differenze strutturali tra le regioni europee, necessitava tuttavia di maggiore e rinnovata solidarietà e cooperazione. Non più un semplice sostegno alle politiche nazionali, bensì politiche e meccanismi istituzionalizzati ad un listoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 32 33 vello sovranazionale, volti a creare le condizioni favorevoli per uno sviluppo di tutta la Comunità. L’art. 130 costituisce il fondamento della politica regionale comunitaria che, nel trattato di Roma, era formulata in termini impliciti. 7 DELORS JACQUES LUCIEN JEAN (Parigi, 1925) è un politico ed economista francese. Ministro e Presidente della Commissione europea (dal 1985 al 1995). Durante il mandato di Delors venne istituito il Mercato Unico, riformata la politica agricola comune e furono firmati l’Atto unico europeo, gli accordi di Schengen e, soprattutto, il Trattato di Maastricht, che istituì l’Unione Europea. 8 È un documento intitolato Portare l’Atto Unico al successo (Boli, CE, suppl. 1/87). Prima ancora della ratifica dell’Atto Unico, la Commissione Delors, il 18 febbraio 1987, lo presentava al Parlamento europeo. Il documento, prendendo atto degli impegni assunti in sede di Consiglio europeo e al contempo delle difficoltà di bilancio emerse nel recente passato, lanciava un ambizioso complesso di proposte intese a dotare la Comunità delle risorse necessarie per realizzare le riforme indispensabili e tradurre in realtà l’AUE. Proprio l’Atto Unico, infatti, apriva la via a nuove frontiere e nuovi obiettivi, che lo stesso Delors riassume in sei punti nell’esordio del documento: la realizzazione di un grande mercato senza frontiere; la coesione economica e sociale; una politica comune di sviluppo scientifico e tecnologico; il rafforzamento del Sistema Monetario Europeo (SME); il perseguimento di una dimensione sociale europea; un’azione coordinata in materia d’ambiente. La necessità di avviare un ampliamento delle politiche di competenza comunitaria comportava che si giungesse a meccanismi più efficaci ed efficienti di composizione e gestione del bilancio e ad un accordo sull’aumento delle risorse proprie che trovò concordi i Capi di Stato e di Governo durante il Consiglio europeo di Bruxelles del 1988. Il rinnovato assetto costitutivo e finanziario della Comunità europea e l’esperienza dei Programmi Integrati Mediterranei (PIM), introdotti per sostenere l’entrata dei nuovi Paesi mediterranei, fanno da sfondo ad uno dei cambiamenti di maggior rilievo nella storia dei Fondi strutturali e del Fondo sociale in particolare. dente della Commissione, Jacques Delors7, i Capi di Stato e di Governo adottano un piano d’azione (passato alla storia come I pacchetto Delors)8 che consentirà di raddoppiare le risorse finanziarie dei Fondi strutturali tra il 1987 e il 1992. 1.3.1. Il quadro regolamentare La riforma viene portata avanti da 5 nuovi Regolamenti: il primo, approvato il 24 giugno 1988, è il Regolamento Quadro n. 2052, che enunciava le missioni dei fondi e definiva i principi base del loro funzionamento; un regolamento di coordinamento. Figura n. 1 - Quadro regolamentare della Riforma dei Fondi Strutturali del 1988 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 33 34 Si suole suddividere gli altri regolamenti, approvati il 19 dicembre 1988, a seconda del carattere orizzontale o verticale: – è orizzontale il n. 4253, che emana le disposizioni di coordinamento tra i Fondi e tra questi e la BEI e gli altri strumenti finanziari; – sono regolamenti verticali che contengono norme di applicazione per ognuno dei tre fondi: il 4254/88/CEE (FESR), il 4255/88/CEE (FSE), il 4256/88/CEE (FEAOG - Sezione Orientamento) (cfr. Fig. n. 1). 1.3.2. I principi fondamentali Nel Regolamento quadro n. 2052 vengono ripresi i quattro principi fondamentali introdotti con l’Atto Unico Europeo nel 1986 (cfr. Fig. n. 2) concentrazione, partnership, addizionalità e programmazione. Il principio della concentrazione ha varie sfumature. Si parla di: • concentrazione tematica su obiettivi prioritari al fine di evitare una dispersione delle azioni; • concentrazione geografica su regioni o zone maggiormente in difficoltà; • concentrazione finanziaria all’interno della dotazione decisa dalla Commissione per ciascun obiettivo prioritario al fine di convogliare i finanziamenti sulle regioni maggiormente in difficoltà. Il principio della partnership comporta una cooperazione strettissima tra la Commissione, gli Stati membri e le altre autorità competenti a livello nazionale, ma anche regionale e locale, per assicurare il coinvolgimento nell’azione comunitaria di tutti gli operatori interessati in tutti gli stadi dell’elaborazione, così da garantire unitarietà e coerenza agli interventi e massimizzare l’impatto socioeconomico e, quindi, ottenere una maggiore incisività dell’azione comunitaria. In tale contesto andò assumendo sempre più importanza il ruolo svolto dalle autorità regionali e dagli operatori locali. Il principio dell’addizionalità definisce l’intervento comunitario come complementare e non sostitutivo a quello nazionale, per evitare che le risorse dei Fondi strutturali vengano semplicemente a sostituirsi agli aiuti nazionali; esse devono, invece, avere carattere aggiuntivo rispetto alle risorse pubbliche nazionali destinate ai medesimi obiettivi. Nonostante i riferimenti alla fase programmatoria presenti nel Regolamento quadro e la scansione del disegno programmatorio prevista dal Regolamento di coordinamento, non esiste una definizione univoca del principio della programmazione. In qualche modo, la programmazione può essere considerata una metodologia complessa di gestione efficiente di risorse limitate fondata su quattro presupposti: a) la conoscenza della realtà sulla quale si vuole intervenire; b) la fissazione di precisi obiettivi che si intendono raggiungere; c) la predisposizione di strumenti di valutazione e monitoraggio; d) la possibilità di azioni di correzione. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 34 35 In via esemplificativa, è possibile individuare almeno cinque fasi principali del processo porgrammatorio: – la fase iniziale elaborata a livello di singoli Stati membri e incentrata attorno ai Piani di Sviluppo Regionale (PSR), in cui sono fissati gli obiettivi specifici e quantitativi, gli indicatori di impatto sull’ambiente e sull’occupazione, una tabella finanziaria delle risorse nazionali e comunitarie; – la fase della predisposizione dei Quadri Comunitari di Sostegno (QCS), approvati con decisione della Commissione in accordo con lo Stato membro. Il Quadro Comunitario di Sostegno contiene la strategia generale, le priorità d’azione e la partecipazione finanziaria dei Fondi. È articolato in assi prioritari di intervento; – la fase di pianificazione operativa, realizzata attraverso due documenti: il Programma Operativo Regionale (POR) e il Complemento di Programmazione (CdP). I POR, che attualizzano gli interventi programmati nel Quadro Comunitario di Sostegno, sono presentati alla Commissione dalle Amministrazioni regionali mediante lo Stato membro. A loro volta i POR ricevono un’ulteriore specificazione con l’adozione a livello regionale del Complemento di Programmazione, contenente informazioni dettagliate sui beneficiari, le tipologie di in- Figura n. 2 - I principi fondamentali dell’Atto Unico Europeo del 1986 e Riforma dei Fondi strutturali del 1988 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 35 36 tervento da realizzare, le modalità di attuazione e l’assegnazione finanziaria delle singole misure; – la fase di monitoraggio e valutazione per verificare l’efficacia dei metodi d’intervento e valutare l’impatto dei contributi; – la fase di riprogrammazione attraverso possibilità di modificare e adattare il Quadro Comunitario di Sostegno in funzione delle nuove informazioni e dei risultati registrati durante il monitoraggio e la valutazione. «Con la riforma dei Fondi dell’88 – annota correttamente un commentatore – si chiude la stagione dei progetti e si apre quella dei programmi»9. I quattro principi sono stati in seguito inseriti dal Trattato sull’UE del 1992 all’interno del più generale principio di sussidiarietà, secondo il quale le decisioni devono venire assunte al livello di governo più vicino al cittadino. È questo il principio che sostanzia l’intervento dei fondi comunitari come livello sovraordinato di governo legittimato ad intervenire laddove e nella misura in cui i livelli nazionali da soli non bastano a dare risposte adeguate e commisurate ai fabbisogni economici e sociali. 1.3.3. Gli obiettivi prioritari e le risorse finanziarie La riforma dei fondi strutturali trova la sua prima attuazione nella programmazione comunitaria 1988-1993 nella quale, sulla base del principio di concentrazione, vengono fissati come prioritari 5 obiettivi da perseguire: • Ob. 1: promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo (finanziato da FESR, FSE, FEAOG). Le Regioni che rientrano in questo obiettivo sono Regioni NUTS del livello II10, il cui PIL procapite risulta in base ai dati degli ultimi tre anni, inferiore al 75% della media comunitaria. Per l’Italia, nell’elenco allegato al Reg. 2052/88 figurano tutte le Regioni del meridione (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia); • Ob. 2: riconvertire le regioni e le zone in declino industriali (finanziato da FESR, FSE). Le aree territoriali interessate sono quelle classificabili come 9 SIMONCINI A., Dai Trattati di Roma alla strategia di Lisbona, 2010 in www.sociologia uniroma1. it, p. 26. 10 La nomenclatura delle unità territoriali statistiche con acronimo NUTS (dal francese nomenclature des unités territoriales statistiques) identifica la ripartizione del territorio dell’Unione Europea a fini statistici. È stata ideata dall’Eurostat nel 1988 tenendo come riferimento di base l’unità amministrativa locale. Da allora è la principale regola per la redistribuzione territoriale dei fondi strutturali dell’UE, fornendo uno schema unico di ripartizione geografica, a prescindere dalle dimensioni amministrative degli Enti degli Stati e basandosi sull’entità della popolazione residente in ciascuna area. La nomenclatura ha vari livelli e suddivide i Paesi dell’Unione Europea in: territori di livello NUTS 0 rappresentato dagli Stati nazionali; territori di livello NUTS 1 che per l’Italia sono le aree sovra-regionali: Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole (non corrisponde perciò ad alcun Ente infra-nazionale), mentre per la Germania, ad esempio, sono gli Stati federati; territori di livello NUTS 2, che per l’Italia sono le Regioni (per la Germania ad esempio sono le Regierungsbezirke); territori di livello NUTS 3 per l’Italia sono le Province (per la Francia ad esempio sono i Dipartimenti). storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 36 37 NUTS III, che presentano situazioni critiche del mercato del lavoro (misurate con tasso medio di disoccupazione, tasso di occupazione industriale e decremento dell’occupazione industriale dal 1975)11; • Ob. 3: combattere la disoccupazione di lunga durata (finanziato dal FSE); • Ob. 4: facilitare l’inserimento professionale dei giovani (finanziato dal FSE). A questi ultimi 2 obiettivi sono interessate tutte le unità territoriali degli Stati membri. • Ob. 5a: promuovere un più veloce adattamento delle strutture agricole (finanziato da FSE, FEAOG - Orientamento); • Ob. 5b: favorire lo sviluppo delle zone rurali con basso livello di sviluppo socioeconomico (finanziato da FSE, FEAOG - Orientamento). Le zone rientranti in questo obiettivo sono selezionate in relazione al loro grado di sviluppo rurale, in base al numero di persone impiegate in agricoltura, del loro livello di sviluppo economico e agricolo, della loro situazione periferica e della loro sensibilità all’evoluzione del settore agricolo12. Una decisione del 12 luglio 1989 elencava tutte le zone del Centro Nord dell’Italia rientranti in tale Obiettivo13. Per quanto riguarda le risorse finanziarie la somma totale messa a disposizione per il periodo 1989-1993 è pari a 11 miliardi e 429 milioni di euro14, ripartiti per obiettivi nella misura indicata dai Grafici 2 e 315. 11 Cfr. Regolamento 2052/88 art. 9 dove vengono elencati i tre criteri. «a) il tasso medio di disoccupazione dev’essere superiore alla media comunitaria registrata negli ultimi tre anni; b) rispetto all’occupazione complessiva, il tasso di occupazione nel settore industriale deve essere superiore alla media comunitaria per qualsiasi anno di riferimento a decorrere dal 1975; c) il livello occupazionale nel settore industriale rispetto all’anno di riferimento di cui alla lettera b) deve risultare in regresso. L’intervento comunitario può estendersi anche: a zone contigue che soddisfano i suddetti criteri a), b) e c); a comunità urbane caratterizzate da un tasso di disoccupazione superiore di almeno il 50% alla media comunitaria e che hanno registrato un regresso notevole nell’occupazione nel settore industriale; ad altre zone che nel corso degli ultimi tre anni hanno subito o che attualmente subiscono o rischiano di subire perdite occupazionali di rilievo in settori industriali determinanti per il loro sviluppo economico con un conseguente serio aggravamento della disoccupazione in dette zone». 12 Cfr. Regolamento 2052/88 art. 11. 13 Cfr. G.U.C.E. L. 198 del 12.7.1989 DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 10 maggio 1989 che seleziona le zone rurali ammissibili al contributo comunitario a titolo dell’Obiettivo 5 b) definito dal regolamento (CEE) n. 2052/88 del Consiglio (89/426/CEE), pagg. 1-15. 14 Cfr. UE Inforegio - panorama 26 (2008). 15 Il Regolamento quadro stabilisce che nelle previsioni pluriennali di bilancio la Commissione presenta, ogni anno, una proiezione su cinque anni degli stanziamenti necessari per l’insieme dei tre Fondi strutturali; proiezione accompagnata da una ripartizione indicativa, per obiettivo, degli stanziamenti d’impegno. Al momento dell’elaborazione di ciascun progetto preliminare di bilancio, la Commissione tiene conto, per la dotazione dei Fondi strutturali, della ripartizione indicativa per obiettivo. Gli stanziamenti d’impegno per i Fondi strutturali saranno raddoppiati in termini reali nel 1993 rispetto al 1987. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.28 Pagina 37 38 Figura n. 3 - Aree ammissibili ai Fondi strutturali 1989-93 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 38 39 1.3.4. I tassi del contributo comunitario, gli impegni e i pagamenti I tassi del contributo comunitario al finanziamento delle azioni variano in funzione di una serie di elementi, quali: la gravità dei problemi specifici, in particolare regionali o sociali, cui le azioni si riferiscono; la capacità finanziaria dello Stato Prospetto n. 1 - Obiettivi e Fondi strutturali che li finanziano Grafico n. 2 - Ripartizione dei Fondi strutturali in Europa per Obiettivo 1989-1994 (milioni di euro) Grafico n. 3 - Ripartizione dei Fondi strutturali in Europa per Obiettivo 1989-1994 (valori %) Fonte: UE storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 39 40 membro interessato, tenendo segnatamente conto della sua prosperità relativa; l’interesse particolare delle azioni dal punto di vista comunitario; l’interesse particolare delle azioni dal punto di vista regionale; le caratteristiche proprie dei tipi d’azione in questione. I tassi del contributo comunitario per tutti i Fondi dovranno, comunque, rispettare i seguenti li miti: a) nelle Regioni dell’Ob. 1: il 75% al massimo del costo complessivo e, in genere, almeno il 50% della presa a carico di autorità pubbliche; b) nelle altre Regioni: il 50% al massimo del costo complessivo e, in genere, almeno il 25% della spesa a carico delle autorità pubbliche. Gli studi preparatori e gli interventi di assistenza tecnica decisi su iniziativa della Commissione possono in casi eccezionali beneficiare di un contributo comunitario pari al 100% del costo complessivo. I tassi d’intervento sono fissati nel quadro della partnership. Gli impegni di bilancio per azioni di durata pari o superiore a due anni sono, di norma, realizzati in quote annue. L’impegno della prima quota è stabilito con la decisione di approvazione. Per azioni di durata inferiore a due anni l’impegno dell’importo totale è stabilito con la decisione di approvazione. Il pagamento del contributo finanziario può assumere o la forma di anticipo o la forma di pagamento definitivo. Per le azioni di durata pari o superiore a due anni i pagamenti si riferiscono alle quote annue d’impegno. Il primo anticipo può raggiungere fino al 50% dell’importo impegnato. Il secondo anticipo, sommato al I° anticipo non deve superare l’80% dell’impegno ed è versato dopo l’accertamento che almeno metà dell’anticipo è stata utilizzata. Per il pagamento del saldo occorre presentare una richiesta entro i sei mesi successivi alla fine dell’anno o al completamento dell’azione16. 1.3.5. La sorveglianza e la valutazione Sorveglianza e valutazione sono due momenti portanti della riforma, anzi le potremmo considerare come due dimensioni operative che attraversano tutte le fasi (programmazione, attuazione e valutazione ex post) dei Fondi strutturali. Nel quadro della compartecipazione, la Commissione e gli Stati membri assicurano la sorveglianza17 dell’attuazione del contributo dei Fondi a livello di quadro comunitario di sostegno e di azioni specifiche (programmi, ecc.). La sorveglianza è attuata per mezzo: a) di relazioni elaborate secondo procedure adottate di comune accordo; b) di controlli per sondaggio; c) di comitati costituiti a tal fine denominati Comitati di sorveglianza. 16 In materia vedi ISFOL, Fondo Sociale Europeo Accesso, preventivo e rendiconto dei progetti formativi, F. Angeli, Milano 1988. 17 Cfr. Regolamento 4253/88 art. 25. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 40 41 La Commissione presenta ogni anno ai Comitati della Comunità18 una relazione sui progressi compiuti, in particolare nell’utilizzazione degli stanziamenti, tenuto conto delle indicazioni fornite nei Quadri Comunitari di Sostegno. Le conclusioni della relazione e i relativi pareri dei comitati sono comunicati, per conoscenza, al Parlamento europeo. La sorveglianza è assicurata utilizzando indicatori fisici e finanziari contenuti nei QCS che indichino lo stato di avanzamento degli interventi programmati, l’andamento della gestione e gli eventuali problemi connessi. I comitati di sorveglianza sono creati, nel quadro della compartecipazione, in base ad un accordo tra lo Stato membro interessato e la Commissione, che può anche essere rappresentata da suoi funzionari. Per qualsiasi azione pluriennale, l’autorità designata dallo Stato membro invia alla Commissione, nei sei mesi successivi alla fine di ciascun anno intero di attuazione, relazioni sui progressi realizzati. Inoltre, deve essere inviata una relazione finale alla Commissione nei sei mesi successivi al completamento dell’azione. Per qualsiasi azione di durata inferiore a due anni, invece, l’autorità designata dallo Stato membro presenta una relazione alla Commissione nei sei mesi successivi al completamento dell’azione. La Commissione, previo parere del Comitato di Sorveglianza, di concerto con lo Stato membro, adegua, se necessario, l’importo o le condizioni di concessione del contributo finanziario inizialmente approvati, nonché lo scadenzario previsto dei pagamenti. La valutazione rientra nel quadro della compartecipazione19. Le autorità competenti degli Stati membri forniscono, eventualmente, il loro contributo. La valutazione utilizza in questo contesto i vari elementi che può fornire il sistema di sorveglianza per valutare l’impatto socioeconomico delle azioni. La valutazione ex ante e ex post delle azioni a finalità strutturale intraprese dalla Comunità ne misura l’efficacia a tre livelli: – l’incidenza complessiva sugli obiettivi enunciati dall’articolo 130 A del Trattato e in particolare sul rafforzamento della coesione economica e sociale della Comunità; – l’incidenza dell’azione intrapresa in ciascun quadro comunitario di sostegno; – l’incidenza degli interventi operativi (programmi, ecc.). La valutazione è effettuata, a seconda dei casi, in rapporto agli indicatori macroeconomici basati su dati statistici regionali e nazionali, ai dati ottenuti con studi analitici descrittivi, nonché ad analisi di tipo qualitativo. 18 Comitato per lo sviluppo agricolo e la riconversione delle Regioni, Comitato di cui all’art. 124 del trattato, Comitato per le strutture agricole e lo sviluppo rurale. 19 Ibidem, art. 26. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 41 42 Al momento dell’elaborazione dei Quadri Comunitari di Sostegno e nell’istruzione delle singole richieste di contributo, la Commissione prende in considerazione i risultati delle valutazioni effettuate secondo le disposizioni del presente articolo. Il principio e le modalità di valutazione sono precisati nei Quadri Comunitari di Sostegno. I risultati delle valutazione sono presentati al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale nel quadro della relazione annua prevista dall’articolo 16 del regolamento (CEE) n. 2052/88. È importante notare che prima della Riforma del 1988 la valutazione degli interventi comunitari era una procedura di uso piuttosto limitato, applicata esclusivamente ai PIM e a carattere non obbligatorio. Infatti, nel quadro del contratto di programma che regolava il funzionamento dei PIM dipendeva dall’accordo tra i partners ed era affidata a un soggetto esterno indipendente. 1.4. Il regolamento 4255/88 del FSE Le risorse umane giocano un ruolo strategico e trasversale a tutta la Programmazione. E gli investimenti in formazione che contribuiscono alla loro valorizzazione, inseriti in una strategia macroeconomica di sviluppo, garantiscono valore aggiunto in termini di innovazione, competitività e occupazione e favoriscono l’avvio di processi virtuosi e dinamici di crescita. In base a questa consapevolezza il FSE è l’unico fondo strutturale ad essere stato inserito in tutti gli Obiettivi. Questo fatto rappresenta una evidente evoluzione culturale sulle finalità ultime riservate al FSE: non più considerato un ammortizzatore sociale ma un fondo di investimento per la valorizzazione delle risorse umane. 1.4.1. Le azioni ammissibili Il regolamento 4255/88, prima di elencare le azioni finanziabili (cfr. Fig. n. 4) fornisce una definizione “descrittiva” della Formazione Professionale: “La Formazione Professionale comprende le azioni destinate a fornire le competenze necessarie ad esercitare sul mercato del lavoro uno o più tipi di lavoro specifici, ad eccezione dell’apprendistato20, comprese le azioni aventi il contenuto tecnologico appropriato richiesto dai mutamenti tecnologici e dal fabbisogno e dall’evoluzione del mercato del lavoro” 21. 20 Non si applica nelle Regioni dell’Ob. 1. Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 5. “In deroga al paragrafo 3, la Formazione Professionale comprende, nelle Regioni che rientrano nel campo dell’obiettivo n. 1 la parte teorica della formazione realizzata all’esterno dell’impresa secondo la formula dell’apprendistato”. 21 Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 4. “In deroga al paragrafo 3, la Formazione Professionale comprende, nelle regioni che rientrano nel campo degli obiettivi nn. 1, 2 e 5 b), qualsiasi azione di qualificazione e di perfezionamento professionale necessaria all’applicazione di nuove tecniche di produzione e/o di gestione nelle piccole e medie imprese”. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 42 43 Il Fondo partecipa al finanziamento: a) di azioni di Formazione Professionale, anche associate ad azioni di orientamento professionale. Solo in “casi specifici da definire secondo i bisogni particolari dei paesi e delle regioni interessati” il FSE finanzia azioni di Formazione Professionale dopo il periodo della scolarità obbligatoria, realizzate da parte dei sistemi scolastici nazionali d’Istruzione secondaria o dai sistemi formativo-professionali non scolastici”22; b) di incentivi alle assunzioni in posti di lavoro di natura stabile di nuova creazione ed all’avviamento di attività autonome. Nelle Regioni, però, dell’Obiettivo n. 1, e per un periodo di tre anni dall’entrata in vigore del regolamento, gli incentivi sono estesi alle azioni di collocamento di disoccupati di lunga durata, di età superiore ai 25 anni, “nell’ambito di progetti non produttivi rispondenti a bisogni collettivi e miranti a creare posti di lavoro supplementari della durata minima di sei mesi”23; Il Fondo partecipa anche, entro un limite del 5% della sua dotazione annuale, al finanziamento di: a) azioni di carattere innovativo, “il cui scopo è confermare nuove ipotesi relative al contenuto, alla metodologia e all’organizzazione della Formazione Professionale, e più generalmente lo sviluppo dell’occupazione”; b) azioni di preparazione, di accompagnamento e di gestione necessarie all’attuazione del regolamento. Queste azioni riguardano in particolare studi, assistenza 22 Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 5 seconda a linea. 23 Cfr. Art. 1 Azioni ammissibili Par. 6. Figura n. 4 - Azioni ammissibili (Regolamento [CEE] n. 4255/88) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 43 44 tecnica e scambio di esperienze che presentino un “carattere moltiplicatore” e la valutazione degli interventi finanziati dal Fondo; c) azioni destinate, nel quadro del dialogo sociale, al personale delle imprese di due o più Stati membri, relative al trasferimento di conoscenze particolari in materia di ammodernamento dell’apparato produttivo; d) azioni di orientamento e di consulenza per il reinserimento dei disoccupati di lunga durata. 1.4.2. Campo di applicazione e destinatari Il contributo del Fondo è concesso: a) per quanto riguarda gli Obiettivi nn. 3 e 4, in tutta la Comunità, per: - lottare contro la disoccupazione di lunga durata mediante l’inserimento professionale di persone di età superiore ai 25 anni, disoccupate da oltre dodici mesi (durata che può essere ridotta in casi specifici, su decisione della Commissione); - facilitare l’inserimento professionale di persone di età inferiore ai 25 anni, a partire dall’età in cui terminano la scolarità obbligatoria a tempo pieno, che siano alla ricerca di lavoro, a prescindere dalla durata di tale ricerca; b) relativamente agli Obiettivi nn. 1, 2 e 5 b), per: - favorire la stabilità occupazionale e sviluppare nuove possibilità di lavoro, di disoccupati, minacciati dalla disoccupazione (in particolare nel quadro di ristrutturazioni che comportano un ammodernamento tecnologico o considerevoli modifiche del sistema di produzione e gestione, occupati nelle piccole e medie imprese); Prospetto n. 2 - Campo di applicazione e destinatari del FSE (Regolamento [CEE] n. 4255/88) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 44 45 - facilitare la Formazione Professionale delle persone attive che partecipino ad un’azione essenziale per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo e di riconversione di un programma integrato; c) relativamente all’Obiettivo n. 1, ad azioni a favore delle persone con contratto d’apprendistato, formate nei Sistemi nazionali d’Istruzione Secondaria professionale, occupate nell’ambito di progetti non produttivi rispondenti a bisogni collettivi (cfr. Prosp. n. 2). 1.4.3. Forme di intervento e modalità di presentazione La richiesta di contributo alla Commissione da parte di uno Stato membro può essere presentata sotto 3 forme (cfr. Fig. n. 5): a) programmi operativi. Si tratta della forma d’intervento prevalente: un programma operativo è un insieme organico di azioni pluriennali, per la cui esecuzione si può far ricorso a uno o più Fondi; b) sovvenzioni globali, gestite in genere da un intermediario, designato dallo Stato membro con l’accordo della Commissione, e da esso suddivise in singole sovvenzioni da erogarsi ai beneficiari finali; c) azioni di preparazione e accompagnamento, orientamento, azioni nel quadro del dialogo sociale. La titolarità della richiesta è delle autorità competenti a livello nazionale, regionale, locale o altre designate dagli Stati membri. Ogni domanda concerne una sola forma d’intervento, e deve contenere: la descrizione dell’azione, il campo di applicazione, gli obiettivi specifici, indicazioni relative ai responsabili dell’esecuzione, ai beneficiari (numero di persone, livello professionale previsto), alla durata, all’ubicazione dell’azione, al piano di finanziamento proposto, ai requisiti di ammissibilità. Figura n. 5 - Forme di intervento del FSE (Regolamento [CEE] n. 4255/88) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 45 46 1.4.4. Il processo programmatorio L’iter programmatorio, che naturalmente ricalca quello generale previsto per tutti i Fondi strutturali e di cui abbiamo già parlato illustrando il principio di programmazione, può essere fatto iniziare con gli Orientamenti comunitari24. Gli Orientamenti hanno una prospettiva temporale di tre anni e sono limitati alle azioni che rientrano negli Obiettivi 3 e 4. Anche nella precedente normativa erano previsti orientamenti di gestione la cui funzione era quella di definire le priorità della Commissione. Essi si articolavano in una dettagliata serie di punti cui occorreva far riferimento con estrema precisione. I nuovi Orientamenti, pur definendo ancora requisiti di priorità, rispondono ad una filosofia diversa, coerentemente con l’introduzione di un sistema meno automatico e più negoziale sono a maglie molto più larghe rispetto al passato, ma al tempo stesso sono molto più rigidi nell’escludere tutti i tipi di formazione che non siano destinati all’inserimento professionale dei giovani o ai disoccupati di lunga durata. Gli Orientamenti compaiono in Gazzetta Ufficiale della Comunità nel febbraio del 198925 con il titolo “Orientamenti riguardanti gli interventi del Fondo Sociale Europeo in materia di lotta alla disoccupazione di lunga durata e di inserimento professionale dei giovani (Obiettivi nn. 3 e 4 fissati nell’ambito della riforma dei fondi strutturali). La struttura del documento è quella riportata nel Prospetto 3. Dopo aver esplicitato le criticità maggiori della situazione in cui il Fondo è chiamato ad operare (parte II), rappresentate dalla disoccupazione di lunga durata (quasi sei milioni di persone)26 e dalla disoccupazione dei giovani (cinque milioni di età inferiore ai 25 anni)27, il Documento specifica che il ruolo degli orientamenti è 24 Cfr. Regolamento (CEE) n. 2052/88, art. 10. 25 Cfr. G.U.C.E. n. 45 del 24.2.1989, pp. 6-9. 26 “Il prolungamento della durata della disoccupazione costituisce il fenomeno più significativo e preoccupante emerso negli ultimi anni sul mercato del lavoro della Comunità. In tutti gli Stati membri aumenta il numero di persone senza lavoro da più di dodici mesi, allorché gli indicatori di crescita della disoccupazione registrano un’inversione di tendenza. In tutta la Comunità quasi sei milioni di persone, appartenenti a tutte le fasce d’età, sono senza lavoro da più di un anno nell’insieme degli Stati membri”. 27 “Nella Comunità, più di cinque milioni di persone di età inferiore ai 25 anni sono alla ricerca di un posto di lavoro. La disoccupazione dei giovani riguarda anzitutto persone il cui inserimento o rein- Prospetto n. 3 - Indice degli Orientamenti riguardanti gli interventi del FSE storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 46 47 serimento sul mercato del lavoro presenta difficoltà, dato che esse non hanno una formazione o esperienza, o hanno qualifiche non adeguate ai fabbisogni del mercato del lavoro, o sono portatrici di un handicap fisico o psichico”. 28 a) le azioni “che combinano vari tipi di misure affinché la formazione sia un effettivo fattore d’inserimento professionale e d’integrazione sociale”; b) “la valorizzazione delle potenzialità locali di sviluppo dell’occupazione”; c) gli aiuti all’assunzione in posti di lavoro a carattere stabile di nuova creazione e gli aiuti alla creazione di attività autonome; d) la formazione e l’inserimento professionale di donne che rientrano nel mercato del lavoro. 29 a) le azioni a favore di giovani che lasciano la Scuola senza aver acquisito le conoscenze di base che consentano di seguire una Formazione Professionale; b) formazioni di base connesse con un’esperienza professionale in imprese; c) formazioni che conducono a qualifiche elevate che richiedano l’utilizzazione sostanziale di nuove tecnologie; d) gli aiuti all’assunzione in posti di lavoro a carattere stabile di nuova creazione e gli aiuti alla creazione di attività autonome. 30 Rappresentano delle priorità applicabili indifferentemente ai due obiettivi: a) le azioni realizzate in comune da organismi di formazione appartenenti a due o più Stati membri per il loro carattere moltiplicatore a livello comunitario; b) le azioni a carattere innovativo per quanto riguarda i contenuti, i metodi o l’organizzazione della formazione; c) la formazione e l’aiuto all’occupazione per le esigenze dell’ammodernamento e all’adeguamento dell’apparato produttivo e di commercializzazione; f) le azioni per il miglioramento ed efficienza delle strutture di formazione; g) le azioni a favore di categorie di persone che incontrano difficoltà particolari sul mercato del lavoro: handicappati, donne e migranti. quello di determinare le linee di politica di formazione e di promozione dell’occupazione in grado di ridurre sostanzialmente il numero di disoccupati di lunga durata e di giovani senza lavoro entro il 1992; linee che verranno tenute presente dalla Commissione nella predisposizione dei Quadri Comunitari di Sostegno (III parte). Successivamente il Documento specifica le azioni che il Fondo aiuterà in via prioritaria per l’Ob. 328, per l’Ob. 429 e per tutti e due gli Obiettivi30. Nell’ultima parte del Documento (VI) vengono esplicitati i criteri con i quali saranno esaminati i Piani pluriennali presentati dagli Stati Membri: a) corrispondenza delle azioni programmate con gli orientamenti; b) “gli sforzi nazionali supplementari per conformarsi agli obiettivi nn. 3 e 4”; c) i fabbisogni che si manifestano sul mercato del lavoro rispetto alla popolazione interessata agli Obiettivi nn. 3 e 4”. Gli Orientamenti così concludono: “In base a tale esame e ad una visione d’assieme dei piani, nonché ai risultati dei negoziati effettuati nell’ambito della partnership, la Commissione deciderà una ripartizione indicativa delle risorse finanziarie che si rifletterà nei Quadri Comunitari di Sostegno”. Gli Stati membri presentano alla Commissione dei Piani pluriennali, elaborati tenendo presente le linee direttrici degli Orientamenti. I Piani illustrano le politiche, le scelte, i criteri che gli Stati intendono seguire per raggiungere gli obiettivi generali. Il Fondo Sociale Europeo, come si è detto, interviene sia sostenendo l’azione di cui agli Obiettivi nn. 1, 2 e 5b) sia, sostenendo come compito prioritario, le azioni relative agli Obiettivi nn. 3 e 4. Si richiede perciò agli Stati membri sia l’elaborazione di piani specifici per l’intervento del FSE relativo agli Obiettivi nn. 3 e 4, sia l’elaborazione di piani d’interstoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 47 48 vento del FSE collegato con i programmi di sviluppo regionale per quanto riguarda l’Obiettivo n. 1, con i programmi di riconversione regionale e sociale per quanto riguarda l’Obiettivo n. 2 e con i programmi di sviluppo delle zone rurali, per quanto riguarda l’Obiettivo n. 5b). I Piani secondo quanto previsto dal Reg. 4253: – contengono informazioni che consentono di valutare il nesso tra le azioni strutturali e le politi che economiche e sociali dello Stato membro; – indicano gli elementi propri a ciascun Fondo, ivi compresi gli importi di contributi richiesti possono essere accompagnati dalle domande di contributo per i programmi operativi per accelerare l’esame delle domande e l’esecuzione degli interventi; – debbono tenere conto delle politiche comunitarie (e per gli Ob. 3 e 4, degli orientamenti); – possono essere riveduti su base annuale e in caso di mutamenti importanti nella situazione socioeconomica e nel mercato del lavoro. I Piani relativi agli Obiettivi n. 3 e 4 contengono in particolare: informazioni sulla politica dell’occupazione e del mercato del lavoro attuata a livello nazionale; indicazioni sulle azioni prioritarie; indicazioni sull’utilizzazione dei contributi del FSE all’occorrenza in combinazione con interventi della BEI o di altri strumenti finanziari. La CEE valuta i piani pluriennali e determina di concerto con gli Stati membri (partnership) la strategia dell’aiuto tecnico e finanziario della Comunità. La risposta della Commissione ai piani pluriennali degli Stati Membri assume la forma di “Quadro comunitario di sostegno” il quale, sulla base delle priorità comunitarie, stabilisce quali sono le strategie di sviluppo, le politiche e le iniziative da privilegiare; più precisamente il Quadro Comunitario di Sostegno indica: – le linee prioritarie scelte per l’intervento comunitario; – un prospetto delle forme di intervento, comprendente, per i programmi operativi, gli obiettivi specifici e i principali tipi di misure previste; – l’indicazione dell’importo dei finanziamenti previsti per le varie forme; – la durata di tali interventi; – eventuali indicazioni sulla messa a disposizione di mezzi per studi o assistenza tecnica necessari concernenti la preparazione, l’attuazione, o l’adattamento delle azioni in questione. I Quadri Comunitari di Sostegno sono approvati entro 6 mesi dalla presentazione dei piani corrispondenti con decisione CEE inviata sotto forma di dichiarazione d’intenzione allo Stato Membro31 (Art. 10 Reg. 4253). 31 Cfr. Reg. 4253/88 art. 10. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 48 49 Sulla base dei Quadri Comunitari di Sostegno lo Stato membra richiede il contributo finanziario sotto forma di Programma Operativo (PO), che verrà successivamente approvato dalla Commissione mediante una Decisione (cfr. Fig. n. 6)32. 1.5. Il FSE in Italia 1.5.1 La programmazione Ripercorriamo queste tappe del processo programmatorio previste dai Regolamenti della Riforma applicandole all’Italia. a) I Piani Pluriennali Abbiamo visto che la seconda fase prevista dalla nuova normativa comunitaria consiste nella presentazione da parte degli Stati membri alla Commissione CEE di 32 Le nuove scadenze previste dalla normativa comunitaria riguardano la presentazione dei piani e la presentazione delle domande (cioè dei programmi operativi o sovvenzioni globali). Occorre in proposito distinguere tra la tempistica fissata per il primo anno e le scadenze successive. I piani relativi all’Obiettivo n. 1 devono essere presentati per il primo anno entro il 31 marzo 1988. Per i piani relativi agli Obiettivi nn. 2 e 5b) tale data slitterà in caso di ritardo nella definizione delle zone relative. I piani relativi agli obiettivi nn. 3 e 4 debbono essere presentati il primo anno entro 4 mesi dalla pubblicazione degli orientamenti (giugno 1989). Le date per la presentazione dei piani negli anni successivi verranno stabilite dalla Commissione in concertazione con lo Stato membro interessato. I quadri comunitari di sostegno vengono approvati entro sei mesi dalla presentazione dei piani. Per quanto riguarda le domande di contributo, la cui decorrenza è a partire dal gennaio 1990, per il primo anno il termine per la presentazione alla Commissione è fissato al 31 agosto 1988. Successivamente le domande potranno essere presentate al più tardi tre mesi prima dell’inizio delle azioni. La Commissione approva le domande entro sei mesi dal ricevimento della domanda. Figura n. 6 - Documenti del processo programmatorio del FSE storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 49 50 Piani per ogni Obiettivo. Piani nei quali siano illustrati le politiche, le scelte, i criteri che si intende seguire per raggiungere le finalità dichiarate per ogni Obiettivo. Secondo l’organizzazione stabilita a livello governativo-centrale, il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno ha provveduto ad inoltrare, nel mese di marzo 1989, alla CEE il Piano globale di sviluppo delle Regioni dell’obiettivo I. Per gli Obiettivi 2 e 5b i Ministeri capofila sono il Ministero dell’Industria e il Ministero dell’Agricoltura; per entrambi questi Obiettivi alla CEE sono stati inviati dei Piani a titolarità regionale. In particolare, per l’Obiettivo 2, le Regioni hanno presentato i loro Programmi di riconversione regionale e sociale e, per l’Obiettivo 5b, i Piani di sviluppo rurale. Per gli Obiettivi 3 e 4, il Ministero del Lavoro ha presentato a fine giugno 1989 alla CEE il Piano nazionale per l’occupazione e la Formazione Professionale, dopo aver acquisito le proposte delle singole Regioni (cfr. Prosp. n. 4). a.1) Il Piano Globale di sviluppo delle Regioni Obiettivo 1 Il Piano pluriennale per le Regioni dell’Ob.1 è stato predisposto dal Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, d’intesa con il Ministero dell’Agricoltura e col Ministero del Lavoro e in concertazione con le Regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Copre un arco temporale triennale (1989-1991) e contiene indicazioni relative al successivo biennio (1992-1993). Come si afferma nella premessa del Piano, esso “pur essendo specificamente riferito a ciascuna delle Regioni dell’obiettivo 1, assume forma unitaria di Piano globale ai sensi dell’art. 8 par. 4 del Regolamento Cee 2052/88 in quanto sconta il carattere unitario che alla questione del Mezzogiorno è riconosciuto nell’ambito della politica economica italiana sin dagli anni cinquanta”. Il Piano individua gli assi prioritari di intervento a livello centrale e regionale. A livello centrale l’attuazione di obiettivi e strategie di sviluppo per il recupero delle Regioni del Mezzogiorno passa attraverso l’intervento straordinario, articolato in progetti strategici di grande rilievo e di valenza nazionale (adeguamento della dotazione infrastrutturale) e in interventi di valenza regionale. Vengono poi proposte le azioni operative eligibili al finanziamento dei Fondi a finalità strutturale che concorrono al conseguimento dell’Obiettivo 1 (FESR, FSE, Prospetto n. 4 - Piani pluriennali di ciascun obiettivo predisposti dai Ministeri capofila storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 50 51 FEOAG-Orientamento), individuando le relative priorità d’intervento a livello interregionale, il quadro finanziario complessivo (basato sull’individuazione e l’attribuzione delle risorse finanziarie di parte nazionale che devono contribuire alla realizzazione dei progetti individuati come prioritari) e il contributo comunitario richiesto, pari a 13.524 miliardi di lire a valori costanti (cfr. Tab. n. 1). Il capitolo conclusivo del Piano indica norme relative: – alla definizione dei criteri per la formulazione dei Programmi operativi; – alla individuazione delle procedure amministrative ed attuative dei Programmi operativi e delle modalità di erogazione delle risorse finanziarie agli Enti attuatori; – alla definizione delle forme di verifica, controllo ed accompagnamento dell’attuazione del Piano, e alla valutazione di impatto socio-economico; – alle procedure di aggiornamento delle indicazioni programmatiche ed attuative. a.2) Il Piano nazionale per la formazione e l’occupazione Obiettivo 3 e Obiettivo 4 Come la normativa prevede, anche per questi due obiettivi, di esclusiva pertinenza del FSE, gli Stati membri sono tenuti a presentare un piano che, partendo da un’analisi della situazione del mercato del lavoro e della politica occupazionale attuata a livello nazionale e regionale, fornisca indicazioni sulle azioni prioritarie per le quali si chiede il sostegno comunitario e sull’entità delle richieste di contributo. Tale Piano, alla cui realizzazione si è giunti dopo un iter che ha visto il coinvolgimento delle Regioni, del Ministero del Lavoro e dell’Isfol, è stato inoltrato alla CEE il 30 giugno 1989. Il primo passo nel processo di elaborazione del Piano è stato il Seminario nazionale tenutosi a Ferrara il 6 aprile 1989 e organizzato dalla CEE, dal Ministero del Lavoro e dal coordinamento delle Regioni. Nel corso di tale Seminario si è presentata e discussa una simulazione del procedimento di costruzione del Piano. Tenendo conto delle indicazioni emerse negli incontri di lavoro, nel mese di maggio, le Regioni hanno a loro volta predisposto delle simulazioni di Piano regionale e di programmi operativi. Successivamente un gruppo di lavoro, composto dal Ministero del Lavoro, Isfol e rappresentanti delle Regioni, ha predisposto il documento definitivo, intitolato Piano per l’occupazione e per la Formazione Professionale da realizzarsi con il contributo del Fondo Sociale Europeo: misure a favore della disoccupazione giovanile e di lunga durata. Il Piano ha i seguenti obiettivi: collegare la politica occupazionale e la politica sociale con la politica economica generale; individuare le tendenze del mercato del lavoro in relazione agli obiettivi della politica socio-occupazionale; dettare le linee guida delle politiche nazionali dell’occupazione e del lavoro; prevedere criteri generali di erogazione e di controllo dei flussi finanziari, definire il sistema di monitoraggio e valutazione e definire una griglia di classificazione per obiettivi prioritari. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 51 52 Gli obiettivi prioritari, nella struttura formale del Piano, diventano cinque assi prioritari di intervento: – il rafforzamento della preparazione professionale di base dei giovani e il recupero delle carenze di istruzione (rinnovamento del consolidato); – la formazione di II livello, comprese le professioni nelle tecnologie di punta; – i Contratti di formazione e lavoro e la formazione finalizzata; – la formazione per il reinserimento dei disoccupati di lunga durata nelle attività produttive; – la formazione per il reinserimento delle fasce deboli (donne, handicappati, migranti). Nel Piano per gli Obiettivi 3 e 4, le richieste italiane ammontano a 3.385 miliardi per il triennio 1989-1992 di cui 2.039 riguardano il Mezzogiorno, 1.258 le Regioni del Centro e del Nord e 88 il programma emigrazione del Ministero degli Affari Esteri. a.3) I Piani di riconversione industriale delle Regioni dell’Obiettivo 2 Una decisione della Commissione del 21 marzo 1989 stabilisce un primo elenco delle aree colpite dal declino industriale cui si applica l’Obiettivo 2. Per l’Italia vi figurano: le Province di Torino (escluso il Comune capoluogo), di Massa-Carrara, Terni, Frosinone (solo 10 Comuni), Perugia (solo Spoleto), Novara (solo 3 Comuni), Valle d’Aosta (32 Comuni), Genova (40 Comuni; il capoluogo solo parzialmente), Sondrio (4 comunità montane), Rovigo (24 Comuni), Firenze (7 Comuni), Livorno (10 Comuni e il capoluogo solo parzialmente), Pesaro-Urbino (49 Comuni). I Piani di riconversione industriale contengono: – l’indicazione degli obiettivi, delle strategie e degli strumenti di attuazione adottabili ai fini del recupero produttivo ed occupazionale; – le azioni individuate, la loro articolazione temporale e le procedure di attuazione. Il quadro finanziario delle richieste per le zone dell’Obiettivo 2 è di 132 miliardi di lire. a.4) I Piani di sviluppo delle zone rurali rientranti nell’Obiettivo 5b Abbiamo già annotato che una Decisione della Commissione, del 12 luglio 1989, elencava tutte le zone (per l’Italia Comuni del Centro Nord) rientranti in questo Obiettivo. Le Regioni interessate hanno presentato alla CEE i Piani che contengono: la descrizione delle principali linee per lo sviluppo delle zone rurali e delle relative azioni; l’indicazione dell’utilizzazione dei contributi dei Fondi e della BEI. b) I Quadri Comunitari di Sostegno La Commissione, dopo aver esaminato i Piani pluriennali e a seguito di momenti di concertazione o partnership con gli Stati membri e le Regioni, ha approvato storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 52 53 (entro 6 mesi dalla data di recezione dei Piani) i Quadri Comunitari di Sostegno. Più in particolare ha approvato: – con Decisione del 31.10.1989, il Quadro Comunitario di Sostegno per gli interventi strutturali comunitari nelle Regioni dell’Obiettivo 1; – con Decisione del 20.12.1989, il Quadro Comunitario di Sostegno per l’intervento del FSE nell’ambito degli Obiettivi 3 e 4 nell’Italia centro-settentrionale; – con Decisione del 20.12.1989, il Quadro Comunitario di Sostegno per gli interventi strutturali comunitari nelle zone dell’Obiettivo 2; – con Decisione del 21.11.1990, il Quadro Comunitario di Sostegno per gli interventi strutturali comunitari nelle zone dell’Obiettivo 5b. Con la decisione di approvazione la Commissione manifesta la propria intenzione di contribuire alla realizzazione dei Piani. La struttura formale dei Quadri Comunitari di Sostegno è quella del Prospetto 5. I Quadri Comunitari di Sostegno hanno modificato soprattutto il quadro finanziario contenuto nei Piani pluriennali e precisato gli assi prioritari d’intervento; in proposito, nella Tabella 1 si riportano gli importi definiti per i singoli obiettivi. È opportuno precisare che tali importi si riferiscono alla quota di FSE, e che il tasso di intervento del Fondo è del 65% nel Mezzogiorno e del 45% nel Centro Nord. b.1) Il Quadro Comunitario di Sostegno dell’Obiettivo 1 Il Quadro comunitario di sostegno si articola in un sottoquadro per ciascuna Regione ed in uno multiregionale legato all’intervento straordinario per il Mezzogiorno. Esso copre un periodo che va dal 1989-1993 e comprende anche gli interventi del Fondo Sociale Europeo a titolo degli Obiettivi 3 e 4 (cfr. Tab. n. 1). Il tasso d’intervento del FSE è del 65%. Per il FSE il finanziamento ammonta a 2.550 miliardi di lire (1.700 MECU), di cui 1.263 miliardi (842 MECU) a titolo dell’Obiettivo 1 e 1.287 miliardi (858 MECU) a titolo degli Obiettivi 3 e 4 e che rappresentano l’11% di tutte le risorse comunitarie messe a disposizione di questa area territoriale (cfr. Graf. n. 4). I 2.550 miliardi di lire sono ripartiti annualmente come illustrato nel Grafico 5. Inoltre, il finanziamento FSE dell’Ob.1 viene distribuito tra gli assi prioritari individuati dalla Comunità sulla base del Piano Pluriennale, nelle misure riportate nel Grafico 6. Prospetto n. 5 - Struttura di un Quadro Comunitario di Sostegno storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 53 54 Tabella n. 1 - Finanziamenti richiesti con il Piano Globale di sviluppo e concessi con QCS Grafico n. 4 - Peso percentuale dei Fondi Strutturali e altri Strumenti finanziari nell’Ob. 1 Grafico n. 5 - Ripartizione annuale delle risorse del FSE (migliaia di miliardi) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 54 55 b.2) Il Quadro Comunitario di Sostegno degli Obiettivi 3 e 4 Gli interventi del FSE finalizzati alla realizzazione degli Obiettivi 3 e 4 in Italia sono oggetto di due distinte decisioni della Commissione: una riguarda le Regioni del Centro Nord e l’altra le Regioni del Mezzogiorno. Per il Meridione, come si è detto precedentemente, le azioni relative agli Obiettivi 3 e 4 sono state incluse nel Quadro Comunitario di Sostegno per l’Obiettivo 1. È da notare che la durata dei due QCS è diversa: quattro anni per le azioni relative agli Obiettivi 3 e 4 comprese nel Quadro Comunitario di Sostegno per l’Obiettivo 1 e 3 anni per quelle comprese nel Quadro Comunitario di Sostegno per il Centro Nord; gli stanziamenti risultano quelli della Tabella 2. Si può notare come, per esplicita scelta della Commissione, vista l’entità dei problemi strutturali che caratterizzano il Mezzogiorno, gran parte degli interventi sono concentrati in questa area. Il Quadro Comunitario di Sostegno per gli Obiettivi 3 e 4 del Centro Nord contiene gli assi prioritari, che valgono anche per il Mezzogiorno (cfr. Prosp. n. 6); una sintesi delle forme di intervento (cioè dei programmi operativi); un piano indicativo di finanziamento. Quindi il Centro-Nord per il periodo 1990-92 ha una disponibilità finanziaria per le politiche formative e occupazionali pari a 19.005 miliardi di lire (1.267 MECU), di cui 8.775 miliardi a carico del FSE e il resto a carico dei pubblici poteri nazionali, regionali o locali. Tabella n. 2 - Periodo e stanziamenti FSE per gli Obiettivi 3 e 4 nel Centro-Nord e nel Meridione Grafico n. 6 - Ripartizione delle risorse del FSE per assi prioritari di intervento (migliaia di miliardi) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 55 56 L’importo del FSE è ripartito nel modo seguente: 1.380 miliardi per l’Obiettivo 3 e 6.990 miliardi per l’Obiettivo 4 e 405 miliardi di lire per le azioni a carattere innovativo, di preparazione e accompagnamento, di orientamento e consulenza per il reinserimento dei disoccupati di lunga durata. b.3) Il Quadro Comunitario di Sostegno dell’Obiettivo 2 Nell’ambito dell’Obiettivo 2 sono stati emanati 9 Quadri Comunitari di Sostegno per le nove Regioni del Centro-Nord interessate; il periodo di riferimento in questo caso è biennale. Il tasso di intervento del FSE è del 45%. Il piano di finanziamento per l’Italia è di 90 miliardi (60 MECU) a carico del FSE e 1.223,5 miliardi a carico del FERS. I QCS per l’obiettivo di cui sopra comprendono assi prioritari d’intervento legati alle diverse specificità delle zone interessate. Il Grafico 7 dà conto delle ripartizioni della quota del FSE tra le Regioni che avevano territori rientranti in questo Obiettivo. b.4) Il Quadro Comunitario di Sostegno dell’Obiettivo 5b Nell’ambito dell’Obiettivo 5b sono stati emanati 8 QCS riferiti alle otto Regioni del Centro-Nord interessate. Il periodo di riferimento va dal 1989 al 1993 e il tasso Prospetto n. 6 - Assi prioritari dell’Obiettivo 3 e Obiettivo 4 Grafico n. 7 - Ripartizione del finanziamento FSE tra le Regioni dell’Ob. 2 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 56 57 d’intervento del FSE è del 45%. Il piano finanziario indicativo per l’Italia è di 5.775 miliardi (385 milioni di ECU), di cui 820,5 miliardi (54,70 MECU) a carico del FSE, 2.181 miliardi (145,40 MECU) a carico del FERS e 2.773,5 miliardi (84,90 MECU) a carico del FEOGA-orientamento. c) I Programmi operativi I Programmi operativi sono stati presentati nel corso del 1989, insieme al Programma pluriennale. Nel 1990 si è resa, però, necessaria una nuova edizione, per due motivi: il primo riguardava tutte le Regioni, il secondo solo quelle del Mezzogiorno. Primo motivo: i Programmi operativi del 1989 erano a titolarità del Ministero del Lavoro e la Commissione invitava le Regioni a ripresentarli sotto la propria titolarità, tenendo presente, peraltro, le variazioni finanziarie apportate dai Quadri Comunitari di Sostegno. Secondo motivo: le Regioni del Meridione sono state invitate dagli uffici CEE a rivedere i loro programmi operativi nella logica del POP (Programma Operativo Plurifondo). Con questa operazione la Comunità sollecitava gli Stati membri ad effettuare una programmazione con un approccio più integrato. La realizzazione dei programmi nelle Regioni rientranti nell’Obiettivo 1 costituiva, secondo la Comunità, un’occasione per riflettere sulle strategie di sviluppo e per precisare nuove modalità di intervento nelle aree del Mezzogiorno, più direttamente coinvolte nei problemi suscitati dall’allargamento della Comunità europea. Voler accrescere l’interazione e la complementarità degli aiuti era un obiettivo ambizioso e in molti casi il suo conseguimento presupponeva un’evoluzione forte della cultura e della prassi degli uffici regionali. Le Regioni, che peraltro avevano in precedenza sperimentato l’approccio integrato nella elaborazione dei PIM, hanno risposto affermativamente a questo invito della Comunità, ed hanno fatto confluire nei Programmi Operativi Plurifondo tutte le elaborazioni programmatiche precedenti (anche quelli riguardanti gli Obiettivi 3 e 4 del FSE). La quasi totalità dei Programmi operativi è stata approvata tra la fine del 1990 e i primi del 1991. La loro titolarità è regionale nella maggior parte dei casi. Vi sono, però, anche alcuni PON (Programma Operativo Nazionale): come ad esempio quello del Ministero del Lavoro per gli Enti pubblici economici, o per la formazione all’estero di emigranti, quello del Ministero della Pubblica Istruzione, quello del Ministero del Mezzogiorno, quello del Ministero degli Esteri, ecc. 1.5.2. Considerazioni valutative Nei Regolamenti del 1988 si delineava un procedimento programmatorio incentrato sulla complementarità dell’azione comunitaria rispetto agli interventi dei Paesi membri nei diversi settori di operatività dei Fondi. Più in particolare sul versante della formazione e dell’occupazione alle Regioni era richiesto da un lato un legame organico tra le politiche attive del lavoro, territoriali e settoriali, e la Formazione Professionale dall’altro uno stretto intreccio tra programmazione generale della forstoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.29 Pagina 57 58 mazione ed interventi di FSE. Ma per assicurare complementarietà, legame organico e intreccio occorreva un forte governo locale in sede di elaborazione dei piani, di definizione dei Programmi Operativi e di controllo dell’esecuzione. Le Regioni e le Province Autonome erano, dunque, chiamate a compiti per certi versi nuovi e comunque con approcci diversi da quelli abitualmente utilizzati. Diciamo per certi versi perché quanto richiedeva la Comunità Europea non rappresentava una novità assoluta al momento del varo della Riforma del 1988; in precedenza infatti, c’era stata, come abbiamo già annotato, l’esperienza dei PIM. Di fatto, però, quella che prima era una esperienza, peraltro a livello sperimentale, ora deve diventare prassi quotidiana. Come si sono comportate le Regioni? Per rispondere a questo interrogativo assumiamo, come indicatore di carattere sintetico (in grado cioè di rendere maggiormente sia le capacità di programmazione che quelle di gestione e di finanziamento), il livello di utilizzazione da parte delle Regioni delle risorse finanziarie FSE stanziate dall’Europa. I giudizi sono differenziati, perché molto diverse sono le prestazioni delle Regioni (cfr. Graff. n. 8a e 8b). Infatti, ad esempio, nel 1990, il tasso di utilizzo delle risorse del FSE (che nella media nazionale è del 64,7%), varia da Regione a Regione in maniera considerevole, con un utilizzo del 100% e quindi al primo posto, per il Molise tra le Regioni meridionali e l’Emilia Romagna fra quelle centro-settentrionali; nelle ultime posizioni, con un tasso di utilizzo inferiore al 50%, si collocano Basilicata e Sardegna nel Sud e Liguria e Lombardia nel Centro-Nord. La differenza tra il valore medio del Centro-Nord e quello del Meridione è di quasi 20 punti, facendo registrare rispettivamente l’uno il 75,1% e l’altro il 55,3%. Grafico n. 8a - Livello percentuale di utilizzo del contributo FSE per gli Obiettivi 3 e 4 da parte delle Regioni e Province Autonome (anno 1990) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 58 59 Sulle prestazione delle Regioni del Sud, però, influisce il fatto, già ricordato, che hanno dovuto rielaborare i Programmi operativi a titolarità Ministero del Lavoro nella logica del Programma Operativo Plurifondo e ripresentarli a titolarità regionale. La cattiva performance delle Regioni del Sud, però, ha origini prevalentemente di carattere culturale. Infatti, riflette le contraddizioni incertezze e problemi che caratterizzavano allora (e anche oggi) il dibattito e la stessa definizione della politica per il Mezzogiorno e dentro questa, la riflessione sul rapporto tra strategia di sviluppo e politica occupazionale e formativa e su come costruire interventi efficaci basati sulle sinergie anziché sulle settorializzazioni o sulle sovrapposizioni. È comunque innegabile che quanto chiede l’Europa trova impreparate le Regioni, soprattutto nell’intrecciare le politiche strutturali ed infrastrutturali, da una parte e quelle di valorizzazione delle risorse umane, dall’altra. Si veda a questo proposito il tasso di utilizzazione delle somme stanziate dalla Comunità Europea nelle zone dell’Ob. 2 (cfr. Graf. n. 9), dove le Regioni del Centro-Nord erano chiamate a programmare azioni formative di sostegno per la riconversione della popolazione e per lo sviluppo delle attività delle zone rurali. Tutte le Regioni, ad esclusione della Liguria (che peraltro ha valori molto bassi) fanno registrare tassi di utilizzazione dei contributi finanziari dell’Ob. 2 inferiori a quelli dei contributi dell’Obiettivo 3 e dell’Obiettivo 4. Alle Marche il record negativo di 53,2 punti percentuali di differenza, seguite dal Piemonte (35,2%) e dalla Lombardia (27,8%). Le elaborazioni effettuate sui dati 1990 e 199133 permettono di delineare alcune ipotesi valutative anche in merito alla capacità attuativa delle azioni da parte delle amministrazioni regionali. 33 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1994, F. Angeli, Milano, 1994, pp. 90-94. Grafico n. 8b - Livello percentuale di utilizzo del contributo FSE per gli Obiettivi 3 e 4 da parte delle Regioni e Province Autonome (anno 1990) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 59 60 Gli indicatori descrittivi della “capacità attuativa” sono dati dal rapporto tra le attività rendicontate e le attività programmate, sia in termini di soggetti beneficiari che in termini di spesa. Nel 1990 le Regioni hanno coinvolto nelle azioni il 10,8% di soggetti in meno rispetto a quanto programmato ed hanno rendicontato una spesa inferiore del 29,8 % rispetto a quella preventivata. La capacità di attuazione per quanto riguarda il numero dei beneficiari rimane invariata tra il 1990 ed il 1991, mentre si nota un notevole miglioramento nella capacità di spesa, infatti, nel 1991, lo scarto tra spesa preventivata e spesa rendicontata è pari al 10,3%34. Per misurare l’efficienza, invece, si può misurare la capacità delle amministrazioni di utilizzare al meglio le risorse disponibili, massimizzando il numero dei partecipanti con la minore spesa possibile: maggiore è il valore dell’indicatore, migliore è il comportamento osservato rispetto a questi parametri. Nella media nazionale il valore dell’indicatore di efficienza è pari a 18,8; le differenze tra Regioni appaiono molto rilevanti. L’indicatore di efficienza assume valori rilevanti soprattutto in Lombardia ma anche in Calabria, Puglia, Basilicata; al contrario, l’efficienza più contenuta si registra in Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia. I costi unitari medi a consuntivo appaiono per grandi linee allineati ai costi 34 Si deve tener conto del fatto che le variazioni descritte appaiono relativamente contenute in quanto nel corso dell’anno solare vengono effettuati da parte delle Regioni uno o più aggiustamenti del programma iniziale (riprogrammazione); così almeno in ordine temporale, le decisioni definitive sulle attività da svolgere si situano in prossimità delle operazioni di rendicontazione delle attività effettuate. Grafico n. 9 - Confronto tra tasso di utilizzazione da parte delle Regioni delle risorse dell’Ob. 2 e quello degli Obb. 3 e 4 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 60 61 medi, per analoghe tipologie di intervento, che si riscontrano in altri Paesi europei. I costi unitari a preventivo, invece sono più alti. Perché le amministrazioni regionali sovrastimano i costi previsionali? Nella maggior parte dei casi non si tratta di insipienza tecnica, ma di espediente calcolato. I ritardi sistematici sui tempi di erogazione sia delle anticipazioni che dei saldi dei finanziamenti, che comportano la possibilità di oneri aggiuntivi (in termini di interessi bancari passivi), “suggeriscono” una certa lievitazione dei costi previsionali. Due considerazioni finali relative agli allievi che hanno frequentato le attività cofinanziate. a) Dato che le attività che beneficiano del FSE si rivolgono principalmente a “persone in cerca di occupazione”, è importante domandarsi quale sia l’incidenza dei soggetti coinvolti nelle azioni cofinanziate rispetto alla popolazione complessiva in stato di inoccupazione o disoccupazione. Tale incidenza appare relativamente contenuta nella media nazionale che si ferma appena al 4,2%. Ha una maggiore rilevanza (con la sola eccezione dell’Emilia Romagna) solo nelle Regioni di “piccola dimensione” (sia in termini di territorio che di popolazione), come la Basilicata e per la maggior parte con un ordinamento speciale o autonomo come il Friuli Venezia Giulia, le Province di Trento e Bolzano, la Valle D’Aosta. Questo dato fa propendere per l’ipotesi che non vi sia una ripartizione delle risorse proporzionata alla reale consistenza del fenomeno della disoccupazione nelle diverse aree. b) La distribuzione dei partecipanti alle attività formative attuate nel 1990 e 1991 con il cofinanziamento FSE per settore di attività economica è la seguente: 3,6% agricoltura, 62,2% industria, 34,2% attività terziarie. Tale distribuzione appare scarsamente correlata con il peso dell’occupazione settoriale, giacché nella media italiana l’occupazione in agricoltura rappresen tava nel 1990 il 9,1% dell’occupazione totale, l’industria il 31,1% e le attività terziarie il 59,8%. Vi è dunque un evidente sovra-dimensionamento dell’intervento nel settore industria. Questa situazione si verifica solo per le attività cofinanziate o anche per quelle che non beneficano del contributo del FSE? Mettendo a raffronto il peso percentuale dell’occupazione di ciascun settore rispetto all’occupazione totale, con quello degli allievi della formazione complessiva e degli allievi della formazione con contributo FSE di ciascuno dei tre settori, si ha la situazione descritta nel Grafico 10. Situazione da cui si ricavano queste evidenze: – per il settore agricoltura non c’è coerenza, sia pure per ragioni inverse, fra peso occupazionale del settore ed offerta formativa sia cofinanziata che complessiva; – per il settore industria emerge una sostanziale coerenza tra peso occupazionale del settore ed offerta complessiva di formazione, mentre c’è una divaricazione storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 61 62 importante nell’ambito delle attività cofinanziate (che fanno registrare il doppio del peso percentuale dell’occupazione); – parallelamente per il settore terziario, si nota una buona coerenza tra la programmazione regionale di formazione ed il peso settoriale dell’occupazione ma, al contrario che per l’industria, si verifica un sottodimensionamento dell’offerta cofinanziata. 2. I Programmi e le Iniziative comunitarie 2.1. I Programmi e le Iniziative: due diversi strumenti comunitari Nel volume II abbiamo specificato le tipologie le finalità e gli aspetti operativo procedurali dei Programmi Comunitari e abbiamo illustrato quelli relative alle tematiche di nostro interesse (COMETT, EUROTECNET, IRIS, PETRA)35. Con la riforma dei Fondi strutturali del 1988 I Programmi Comunitari sono affiancati da un nuovo strumento finanziario: le Iniziative Comunitarie. L’art. 11 del Regolamento di coordinamento stabilisce che “la Commissione può, di propria iniziativa [...], decidere di proporre agli Stati membri di presentare richieste di contributo per azioni che rivestono un interesse particolare per la Comunità”. Con tale decisione si è voluto assicurare allo strumento strutturale una maggiore incisività, potendo intervenire in aree più vaste di quelle nazionali o regionali previste dai Quadri Comunitari di Sostegno nazionali e consentendo la sperimentazione di nuove soluzioni e il confronto su più realtà nazionali: innovazione e transnazionalità degli interventi sono, infatti, i due aspetti fondamentali di questi nuovi strumenti. 35 Cfr. Vol. II, pp. 471-487. Grafico n. 10 - Confronto tra il peso degli occupati con il peso degli allievi della formazione complessiva e cofinanziata dei macrosettori storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 62 63 Ma innovazione e transnazionalità sono anche caratteristiche dei Programmi Comunitari. Quali, dunque, le differenze distintive dei Programmi e delle Iniziative? C’è una differenza di fonti finanziarie; mentre le Iniziative sono a carico esclusivo dei Fondi strutturali, i Programmi possono essere finanziati anche dai Fondi strutturali, ma normalmente da altre fonti comunitarie. Ma ciò che sostanzialmente li distingue è la titolarità: i Programmi Comunitari sono gestiti dalle Direzioni Generali della Commissione Europea, mentre l’attuazione delle Iniziative Comunitarie viene realizzata dagli Stati membri. 2.2. I Programmi comunitari del periodo 1990-94 2.2.1. COMETT II (1990-94) - Cooperazione fra le Università e le imprese in materia di formazione nell’ambito delle tecnologie I risultati conseguiti ed i relativi problemi emersi dai primi tre turni applicativi del programma COMETT I (1987-1989)36 hanno costituito il quadro di riferimento entro cui la Commissione37 ha delineato, di concerto con le rappresentanze dei Paesi membri, la seconda fase del programma, approvata con Decisione del Consiglio 89/27 del 16.12.198838. COMETT II, operativo dai primi mesi del 1990 e con una prospettiva quadriennale e una dotazione finanziaria di 200 milioni di ECU (pari a circa 585 milioni di euro), presenta alcune signi ficative tarature e modifiche, rispetto alla prima edizione: – una filosofia più selettiva dei progetti, orientata maggiormente ai temi e alle problematiche tecnologiche39; – una più accentuata strategia di coinvolgimento delle PMI e dei contesti europei più periferici e marginali, per evitare il concentramento delle risorse stanziate su poche aree o Paesi40; 36 Cfr. Volume II, pp. 477-481. 37 Allo scopo di trarre insegnamenti dalle azioni avviate e tentare un bilancio la Commissione della Comunità Europea aveva chiesto ad un gruppo di 7 “saggi” indipendenti di procedere ad un esame critico del programma COMETT e formulare proposte per il futuro. Il gruppo, presieduto dal Sig. Liam Connellan, membro del Comitato economico e sociale ed ex direttore generale della Confederazione delle industrie irlandesi, si componeva di 7 personalità del mondo accademico, sociale e industriale, ha formulato sette precise raccomandazioni: rafforzare l’aspetto della formazione continua del programma, mantenere le formazioni iniziale e continua all’interno di uno stesso programma, intensificare il tasso di partecipazione delle PMI, sviluppare maggiormente la mobilità delle tecnologie presenti nella vita professionale, riconoscere il potenziale rappresentato da taluni progetti COMETT per migliorare la sinergia R&D-formazione, aumentare il bilancio, “a causa dell’importanza del programma COMETT”, snellire le procedure amministrative. 38 G.U.C.E. L 13 del 17.1.1989 e Boll. 12-1988, punto 2.1.159. 39 Il quadro di riferimento entro cui situare tale maggior focalizzazione dei progetti è costituito dal programma-quadro di Ricerca & Sviluppo, dal Rapporto della Commissione sullo stato di avanzamento delle tecnologie in Europa, nonché dal più generale e vincolante raccordo tra COMETT e gli altri programmi finalizzati all’integrazione tecnologica, industriale ed educativa europea, quali Esprit, Brite, Science, Delta, Erasmus. 40 Si ricorda che in COMETT I Francia ed Inghilterra hanno preso il 70% delle provvidenze. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 63 64 – la previsione di aiuti e sovvenzioni per le onerose fasi di ideazione, progettazione ed organizzazione delle azioni da presentare41; – il potenziamento della linea d’azione concernente gli stages, tramite l’introduzione di stage fino a 24 mesi in imprese per neo-laureati, con una dotazione finanziaria estendibile fino a 1000 ECU al mese (un milone e mezzo di lire); – la fusione delle due linee d’azione c) (Iniziative multilaterali per la messa a punto di sistemi di formazione multimediale) e d) (Informazioni complementari e misure di valutazione) in una sola linea relativa a progetti congiunti di formazione permanente alle tecnologie avanzate e di formazioni multimediali a distanza. Troppo frequenti si sono infatti dimostrate le duplicazioni e le dispersioni dei progetti nelle due distinte linee originarie di COMETT I; – possibilità di coinvolgimento nel programma dei Paesi europei extra CEE (Paesi dell’Est) grazie ad una specifica integrazione di budget. Nel quadriennio sono stati emanati 5 bandi, da cui sono derivati (cfr. Tab. n. 3): – l’attivazione di una rete di 19 consorzi costituiti tra aziende, università, associazioni imprenditoriali e di categoria, organismi di ricerca e sviluppo, Enti di Formazione, ecc.; tali strutture assicurano l’intera copertura nazionale ed hanno consentito l’accesso a COMETT di operatori ed utenti di tutte le Regioni; – la mobilità di 2.845 studenti e neolaureati (sia italiani in uscita, sia stranieri in ingresso in Italia), i quali hanno usufruito di stages in aziende di altro Paese membro e l’attivazione di circa 90 scambi di personale aziendale o universitario (sia italiano che straniero), che ha usufruito di un periodo di distacco presso aziende di altro Paese dove hanno partecipato alla realizzazione di progetti di lavoro comuni; – la progettazione e realizzazione di 286 corsi di Formazione Professionale specialistici intensivi, replicati in oltre 450 sessioni in Italia ed in altri Paesi; a tali corsi hanno partecipato neo laureati interessati ad un inserimento professionale qualificato ed occupati (quadri e manager di PMI); – la progettazione e realizzazione di 33 progetti transnazionali per la produzione di software formativo innovativo; – la realizzazione di 33 iniziative di supporto e promozione (progetti pilota e azioni positive). La dotazione finanziaria complessiva concessa dalla Commissione all’Italia per tutte le attività sopra indicate è di circa 18,8 milioni di ECU (28 miliardi e 200 milioni di lire circa); tale quota è pari al 9,5% del budget complessivo europeo di COMETT. La distribuzione delle risorse alle Regioni o a gruppi di Regioni (Lazio, Molise, Abruzzo, Umbria; Piemonte e Valle d’Aosta; Veneto, le due Province Au- 41 I costi di preparazione dei progetti hanno infatti esercitato un forte disincentivo per i mediopiccoli operatori aziendali e per le organizzazioni prive di connessioni od agganci con ì circuiti internazionali. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 64 65 tonome del Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia) è quella riportata nel Grafico 11. La distribuzione dei progetti approvati per settore tecnologico fanno emergere un interesse prevalente per 5 macroaree: – l’area degli aspetti tecnologici connessi al management, alla formazione ed alla gestione dell’innovazione; – l’area delle tecnologie dell’informazione, elaborazione dati, intelligenza artificiale e sistemi esperti; – l’area delle biotecnologie e delle applicazioni di biologia e chimica; Nostra elaborazione su dati del Centro informazioni COMETT Italia del Ministero dell’Università e Ricerca Scientifica Tabella n. 3 - Risultati di COMET II Grafico n. 11 - Dotazione finanziaria assegnata alle Regioni o gruppi di Regioni (migliaia di ECU) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 65 66 – l’area dell’innovazione e/o automazione di processo industriale, robotica; – l’area dell’architettura e pianificazione regionale, ingegneria civile42. La valutazione di COMETT II sostanzialmente rappresenta una replica della valutazione di COMETT I, perché i meriti dell’uno (promozione ed attivazione di forme di raccordo funzionale tra referenti, diffusione della transnazionalità, realizzazione di esperienze prototipo eccellenti…) rappresentano gli aspetti positivi dell’altro, e le criticità della prima edizione del Programma fanno riferimento a fenomeni “strutturali” con i quali necessariamente si misura anche la seconda edizione43. Sottolineiamo un limite, già segnalato a proposito di COMETT I, di tali esperienze è rappresentato, talora, dalla ridotta sfera di trasferibilità dei prototipi, applicabili solo ad un circuito di fruizione circoscritto e comunque contiguo o connesso al consorzio o al contesto industriale ideativi44. 2.2.2. EUROTECNET II (1990-94) - Innovazione nella Formazione Professionale derivante dal mutamento tecnologico nella Comunità europea Nel giugno 1990 è stato presentato ufficialmente a Dublino il nuovo programma comunitario EUROTECNET II (1990-1994), che rappresenta, con alcuni aggiornamenti e modifiche, il prolungamento dell’omonimo programma, operativo negli anni 1985-1989 e che si proponeva la creazione e l’implementazione di una rete finalizzata a favorire lo scambio, tra i Paesi europei, di esperienze e prodotti formativi esemplari legati all’innovazione tecnologica45. EUROTECNET II, stabilito dalla decisione del Consiglio del 18 dicembre 1989 (89/657/CEE)46 è gestito dalla Commissione CEE (Task Force Human Resources, Education, Training, Youth) ed ha una dotazione finanziaria per i primi tre anni, non particolarmente consistente, di 7,5 milioni di ECU (pari a circa 11 milardi e 250 milioni di lire). A differenza di altri Programmi che finanziano nuove iniziative EUROTECNET cura la circolazione di conoscenze e analisi e riflessioni sulle pratiche formative più avanzate in diverse aree di impiego delle tecnologie dell’informazione. Destinatari principali di EUROTECNET sono quindi i decisori e operatori nel campo della formazione. Da un punto di vista funzionale ed organizzativo le componenti essenziali del programma (cfr. Fig. n. 7) sono: 42 Nei bandi del 1991 queste cinque macroaree facevano registrare rispettivamente questi valori percentuali: 17%, 10%, 10%, 8%, 6%. 43 Cfr. PITONI I., L’Impatto del Programma COMETT sul sistema d’istruzione e formazione superiore nelle Regioni Ob. 1 del FSE italiane, in Osservatorio Isfol, n. 4, 1994. 44 Cfr. RAPPORTO ISFOL 2002, p. 293. 45 Cfr. ISFOL (studio coordinato da DI STEFANOA., GASBARRIA., TORSELLOA.M., TURRINI O.), La formazione nei programmi comunitari, Capone Editore, Lecce 1991, pp. 43-48. 46 Cfr. G.U. n. L 393 del 30/12/1989, pp. 0029-0034. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 66 67 – la “Task force Human Resources, Education, Training, Youth”, cui spetta l’indirizzo e il controllo del programma nel suo insieme; a questo scopo la Task force è assistita da un Comitato consultivo in cui sono rappresentate le istituzioni responsabili della formazione e le parti sociali dei 12 Stati membri; – l’Unità centrale di assistenza tecnica EUROTECNET, competente per quanto riguarda l’attivazione e la gestione delle iniziative svolte nell’ambito del programma; – le Unità nazionali di animazione e diffusione; costituite in tutti i Paesi e incaricate di cooperare alle attività dell’Unità centrale e di coordinare, anche con iniziative specifiche, la partecipazione dei progetti. L’Unità EUROTECNET-Italia è stata istituita in ambito Isfol nell’ottobre 199147; – i dicasteri responsabili dei Sistemi nazionali (per l’Italia il Ministero del Lavoro e il Ministero della Pubblica Istruzione) che scelgono i progetti caratterizzati da rilevanti aspetti di innovatività e qualità del prodotto formativo complessivamente offerto. I criteri per la scelta dei progetti sono stati definiti dalla Task force Human Resources, Education, Training, Youth48. 47 Essa è coordinata da personale dell’Isfol con la supervisione di un Comitato di pilotaggio nel quale sono rappresentati i dicasteri responsabili e le parti sociali. 48 I criteri sono: a) progetti idonei a forme di collaborazione paritaria: ad esempio, un piccolo gruppo di centri, operanti ciascuno in un diverso Stato membro, che mettono in comune risorse per istituire un consorzio, realizzare il programma di un corso, progettare in comune un software didattico, svolgere un’attività di formazione dei formatori; b) progetti «di trasferimento»: si tratta dei progetti che permettono il trasferimento di know-how formativo da centri situati in Stati membri ove sono presenti risorse in determinati campi (es. Cad/Cam, office automation, etc...) verso altri Stati ove tali risorse Figura n. 7 - Soggetti e funzioni del Programma EUROTECNET storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 67 68 sono carenti; c) progetti «pump priming»: si realizzano all’interno di uno Stato membro in una situazione (settoriale/territoriale) in merito alla quale la Commissione ha dato indicazioni di sviluppo (ad esempio, un progetto per la formazione di tecnici agricoli in un’area nella quale la CEE ritiene che ci sia bisogno di queste figure); d) progetti «innovativi»: rappresentano di per sé qualcosa di interessante sul piano dei contenuti o delle metodologie (ad esempio, progetti che sviluppano metodi didattici basati sul self-learning) e possono dar luogo a iniziative di trasferimento ovvero di informazione/disseminazione dei risultati. 49 Gli eventi più significativi svoltisi, ad esempio, nel 1992-93, sono rappresentati dalle Conferenze nazionali EUROTECNET che hanno avuto luogo nei 12 Paesi sui seguenti temi: Formazione Continua nelle piccole e medie imprese (Germania, ottobre 1992); L’economia nella produzione (Regno Unito, novembre 1992); Esperienze e prospettive di innovazione della Formazione Professionale (Italia, novembre 1992); L’ingegneria formativa nelle nuove tecnologie (Portogallo, novembre 1992); Il formatore come consulente in una organizzazione del lavoro in evoluzione (Belgio, dicembre 1992); L’approccio multimediale alla Formazione Professionale (Lussemburgo, dicembre 1992); Collegamenti tra industria, educazione e formazione (Irlanda, febbraio 1993); Nuove competenze e risposte flessibili di formazione e partnership transnazionale (Francia, febbraio 1993); Come il centro di formazione può far fronte alle nuove tendenze in atto (Danimarca, febbraio 1993); Riformatore come agente di sviluppo e apprendimento in un ambiente di lavoro in evoluzione (Grecia, marzo 1993); Sviluppo curricolare e nuove qualificazioni professionali (Spagna, 1993). 50Al tema è stata dedicata una ricerca, curata dall’Unità nazionale di animazione e tradotta in tutte le lingue comunitarie. 51 Il self-learning viene considerato in una duplice chiave, riferita sia all’auto-apprendimento come modalità generale di sviluppo individuale, più o meno direttamente raccordata con la partecipazione al lavoro, sia all’impiego di tecnologie computer-based individualizzate. 52 I core skills sono assunti come competenze di tipo comportamentale (comunicare, decidere, ideare, ecc.), utilizzabili in ogni contesto organizzativo e dei quali devono essere dotati anche i giovani che accedono per la prima volta al lavoro, oltre che naturalmente coloro che già operano e devono ampliare l’ambito delle proprie competenze. Successivamente alla costituzione della rete, le principali attività svolte nell’ambito del programma consistono in incontri a carattere di seminario o di workshop svolti in diversi Paesi europei, con la partecipazione dei rappresentanti dei progetti in rete49. Il budget di cui dispone EUROTECNET non serve pertanto a realizzare interventi ma solo ai rimborsi delle spese sostenute dai rappresentanti dei progetti per partecipare agli incontri. Difficile fare una valutazione di un programma il cui obiettivo primo è la circolazione di cultura. Un giudizio portato solo su dati obiettivi, quali bandi emanati, progetti selezionati e approvati rappresenterebbe poca cosa. Molto più pertinente sarebbe una valutazione sulla diffusione reale di queste culture e sulle ricadute applicative, ma questo implicava un percorso di ricerca molto impegnativo e soprattutto molto oneroso. Noi possiamo soltanto segnalare alcuni temi che allora rappresentavano problematiche poco o affatto esplorate dal dibattito e dalla saggistica di quei tempi, ma che entreranno dopo qualche anno nel patrimonio culturale della Formazione Professionale. Tra questi citiamo la learning organization50, il self-learning51, i core skills52. Altri temi rilevanti, ai quali sono stati dedicate Conferenze nazionali e altre occasioni di dibattito, sono stati quelli della formazione a distanza, della valutazione storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 68 69 della formazione, della progettazione formativa in termini di anticipazione dei bisogni formativi. Nell’insieme EUROTECNET ha teso a valorizzare tutti gli aspetti che implicano un superamento della formazione come semplice trasmissione di conoscenze legate allo svolgimento di mansioni predeterminate in ambienti organizzativi stabili. Sono stati, invece, fatti circolare orientamenti che assumono la facilitazione dell’apprendimento, inteso in senso lato, come prospettiva emergente degli interventi formativi e richiedono sostanziali cambiamenti negli approcci e nella preparazione di tutti coloro che concorrono alla realizzazione di tali interventi. 2.2.3. FORCE (1991-94) - Sviluppo della Formazione Professionale Continua La Decisione del Consiglio n. 90/267 del 29.5.1990 adotta il programma d’azione quadriennale per la Formazione Professionale Continua FORCE53. Il Programma è entrato in vigore il 1° gennaio del 1991, ha una durata di 4 anni ed uno stanziamento per il primo biennio di 24 milioni di ECU (pari a circa 36 miliardi di lire). Il Programma intende rispondere ad una duplice esigenza: l’una di carattere strutturale, l’altra legata alla realizzazione, nel 1992, del Mercato Unico. La prima necessità è rappresentata dallo stato della Formazione Continua nei Paesi della Comunità: uno stato caratterizzato da fenomeni, rari e circoscritti, di eccellenza accanto a situazioni, abbastanza generalizzate, in cui tale formazione appare quasi inesistente. La seconda esigenza nasce dal timore di contraccolpi occupazionali che potrebbero derivare dalla realizzazione di un mercato unico che potrebbe avere, quali effetti collaterali, l’entrata in crisi di singole aree industriali o intere regioni comunitarie. Il disegno del Programma quindi non è solo quello di stimolare la implementazione e il consolidamento di questa offerta, ma anche quello di accrescere il livello di compartecipazione fra Enti pubblici, Aziende e Regioni meno sviluppate, di indurre la realizzazione di sperimentazioni ed innovazioni sia a livello di gestione delle esperienze come di metodologie e strumenti operativi; di sollecitare il superamento dei confini nazionali per la realizzazione di progetti transnazionali e transfrontalieri, di favorire lo scambio di informazioni su base comunitaria. Come si può notare, non si tratta quindi di un progetto come gli altri che la Comunità ha adottato nel corso degli Anni ’80, ma di un vero e proprio programma quadro perché non si tratta solo di sviluppare un’offerta formativa, ma costruire un sistema. Il programma comprende tre grandi azioni; di ciascuna di esse si espongono i tratti salienti (cfr. Fig. n. 8): – Azione 1: Sostegno all’innovazione nel settore della Formazione Professionale Continua. Questa azione è rivolta alle imprese, ai lavoratori che necessitano di una Formazione Continua e alle organizzazioni e Istituzioni pubbliche e private (diverse in ciascuno Stato membro) che le aiutano a pensare, finanziare e fornire la forma- 53 Cfr. ISFOL (studio coordinato da DI STEFANO A., GASBARRI A., TORSELLO A.M., TURRINI O.), La formazione nei programmi comunitari, Capone Editore, Lecce 1991, pp. 49-60. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 69 70 zione. Essa riguarda tutte le categorie di imprese e mira in particolare a sviluppare i rapporti di lavoro e il trasferimento delle conoscenze e delle competenze dalle grandi alle piccole imprese. Nell’ambito di tale azione è prevista la realizzazione di: a) una rete comunitaria di Formazione Continua, creata e realizzata dalla Commissione e che comprenderà: - una base di dati comunitari su prassi e metodi positivi esistenti e le informazioni utili al personale delle imprese ai formatori ed ai responsabili delle politiche della formazione; - un programma di seminari tenuti da esperti, dedicati all’investimento nella Formazione Professionale Continua e alle possibilità di accesso e di partecipazione; - la creazione e lo sviluppo di centri nazionali di informazione; - la creazione e lo sviluppo di una rete di esperti; b) un programma di scambi, che si rivolgerà a formatori a tempo pieno; collaboratori dei servizi “risorse umane”; rappresentanti del personale delle imprese, specialisti in formazione dei consorzi regionali, con un contributo finanziario (solo per i costi di mobilità) fino a 7.500 ECU per candidato (circa 11 milioni e 250 mila lire), e con una durata massima di tre mesi per scambio; c) progetti pilota transnazionali e transfrontalieri di Formazione Continua riguardano: - partenariati tra imprese, o basati sul sostegno da esse fornito, che si impegnano a migliorare la qualità della Formazione Continua; il contributo finanziario (per il lavoro di preparazione e di progettazione, della durata massima di due anni) ha un tetto di 100.000 ECU (circa 150 milioni di lire) all’anno (fino al 50% del costo totale), per una durata massima di due anni; - inchieste settoriali, realizzate da organismi o esperti in risorse umane e in piani di Formazione Continua, in settori particolarmente importanti per lo sviluppo del mercato unico. – Azione 2: Maggiore cooperazione tra gli Stati membri nell’analisi dei bisogni di Formazione Continua e nel monitoraggio dell’offerta. Quest’azione intende migliorare le informazioni utilizzate dalle imprese nella preparazione del loro piano di formazione, nonché le informazioni utilizzate anche dai governi, dalle autorità pubbliche e dagli organismi di Formazione per definire la loro politica ed i loro obiettivi prioritari. Essa ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo coerente della Formazione Professionale Continua nella Comunità. Nell’ambito di tale azione sono previsti: - la creazione di uno strumento comune di analisi e di raffronto delle politiche e delle pratiche di Formazione Continua: si tratta di creare una base di raffronto delle politiche di offerta e di spese per la Formazione Continua attuale storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 70 71 da parte di tutti gli organismi pubblici e privati della Comunità e realizzare presso le imprese un’indagine specifica sulle informazioni disponibili in materia di Formazione Continua; - l’analisi della politica contrattuale sulla Formazione Professionale Continua e la diffusione di prassi e metodi positivi: questo aspetto riguarderà la ricerca e l’analisi di dati comparabili provenienti da tutti gli Stati membri e concernenti gli accordi collettivi ed aziendali sulla Formazione Professionale Continua, nonché un programma di scambio per membri di associazioni sindacali e patronali; - la previsione dell’evoluzione in materia di qualifiche e professioni: in questo quadro sarà necessario raccogliere dati nazionali e settoriali comparabili al fine di mettere a punto una metodologia comune per impresa o per settore; il contributo finanziario coprirà fino al 100% dei costi, con un tetto massimo di 75.000 ECU. – Azione 3: Ampliamento della rete FORCE mediante consorzi regionali e partenariati transnazionali di Formazione finanziati dal Fondo Sociale Europeo. Nel 1991 ha iniziato a funzionare la struttura nazionale di coordinamento, affidata dal Ministero del Lavoro all’Isfol, con la supervisione di un comitato di pilotaggio composto da rappresentanti delle parti sociali (CGIL, CISL, UIL, Confindustria, Confapi, Intersind), delle Regioni e del Ministero del Lavoro. La metodologia di lavoro adottata e la gestione complessiva del programma sono state nuove; nuove, in particolare, per il diretto coinvolgimento dei vari soggetti poli- Figura n. 8 - Le Azioni del Programma FORCE storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 71 72 tico-istituzionali interessati al programma e delle parti sociali (in una logica che vede la formazione come oggetto di concertazione tra i partner, nel tentativo di superare ottiche conflittuali e di ricercare dimensioni contrattuali e di relazioni industriali innovative), nuove per la scelta di definire, all’interno degli obiettivi del Programma, priorità nazionali per orientare e valutare i progetti54, nuovo per le procedure di selezione. Quest’ultime hanno visto un impegno a quattro livelli: quello degli esperti a livello comunitario, per valutare i progetti sulla base di criteri di qualità e contenuto; quello bilaterale con i membri italiani del Comitato FORCE, per valutare l’interesse dei progetti in rapporto alla situazione nazionale; quello del Comitato nel suo insieme; quello della Commissione e del Bat, per valutare la dimensione comunitaria. Si tratta di una procedura complessa, certamente facilitata dalla ridotta dimensione e dalle caratteristiche “pilota” del programma FORCE, ma comunque significativa per il suo intento di coinvolgere, secondo un percorso chiaramente predefinito, diversi soggetti, sedi e livelli. L’Italia ha presentato, nei tre bandi di gara che hanno interessato il triennio 1991-94, 342 progetti; quelli approvati sono stati complessivamente 82. Dei 106 progetti presentati nel 1991 ne sono stati approvati 17, ripartiti tra 6 progetti rientranti nell’Azione 3, identificata nel gergo tecnico con il nome “scambi”, 8 progetti nell’Azione 1 “pilota” e 3 progetti nell’Azione 2 “qualifiche”; dei 123 progetti presentati nel 1992, l’Italia ne ha avuti approvati 30, che si ripartiscono tra 2 scambi, 17 progetti pilota e 11 progetti qualifiche. I primi due bandi di gara erano mirati, prioritariamente, a progetti pilota e a progetti di qualificazione della durata di due anni, soggetti ad una prima valutazione allo scadere del primo anno; tutti i progetti italiani sono stati rinnovati per il secondo anno. Il terzo bando, quello del 1993, si è articolato in due filoni: il primo concernente lo sviluppo della formazione e della qualifi- 54Ad esempio nell’ambito della gestione del primo bando di gara, sono state definite delle priorità nazionali, individuando sette grandi criteri di priorità riferiti ai singoli progetti e tre criteri di ponderazione/ correzione delle priorità riferiti all’insieme dei progetti presentati. Criteri di priorità erano: a) l’accessibilità alla Formazione Professionale Continua (ad esempio di sviluppare metodologie flessibili, in termini sia di organizzazione dei tempi che dei ritmi di apprendimento); b) favorire il proseguimento ed il rafforzamento del dialogo sociale a livello aziendale, territoriale e settoriale; c) integrare le azioni nei programmi regionali di formazione: ad esempio sviluppare progetti che coinvolgano gli organi regionali preposti alla programmazione in campo formativo, e con ricadute sui programmi regionali di formazione; d) coinvolgere piccole e medie imprese e grandi imprese: ad esempio progetti che favoriscono il trasferimento di know-how formativo o la collaborazione tra grandi e piccole imprese in campo formativo; e) promuovere la pianificazione e la concezione strategica della formazione: ad esempio, sviluppare progetti che coinvolgano i responsabili della formazione di imprese europee sulle metodologie di sviluppo delle risorse umane; f) attuare un trasferimento di idee ed esperienze dai centri di eccellenza alle Regioni, ai settori ed alle imprese che non dispongono di tale know-how; g) favorire la formazione di utenti appartenenti ad aree professionali sfavorite rispetto all’accessibilità, o ad aree a bassa qualificazione. Vi erano poi dei criteri di ponderazione/correzione delle priorità che attengono alla rappresentatività territoriale, ed alla significatività settoriale; questi criteri esprimono più che altro una preoccupazione: quella di evitare, per quanto possibile, vistosi squilibri tra le aree territoriali o tra i settori nei quali i progetti si collocano. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 72 73 cazione in azienda, per rispondere alla sfida dei mutamenti industriali; il secondo ha riguardato lo sviluppo della Formazione Professionale Continua nei settori commercio al dettaglio, riparazione/distribuzione automobilistica, industria dei prodotti alimentari e della politica contrattuale in materia di Formazione Professionale Continua55. Lusinghieri i giudizi sul programma. Il Rapporto Isfol 1995 afferma che FORCE “lascia un patrimonio inestimabile di conoscenze e legami, accumulato nel corso dei tre anni”. Vanno ascritti a merito di FORCE: – lo stimolo e l’accelerazione ad una riflessione più attenta sul tema della formazione come “bene dell’economia”; – l’aver favorito le relazioni tra i diversi soggetti che a vario titolo si occupano di Formazione Continua, attraverso la creazione di partenariati e quindi l’attivazione di nuove dinamiche nelle relazioni tra i soggetti che sono coinvolti con ruoli nuovi rispetto a quelli tradizionalmente svolti; – un nuovo impulso alla ricerca ed al miglioramento delle conoscenze su quanto si realizza nel campo della Formazione Continua. 55 Per informazioni di maggior dettaglio cfr. Rapporto Isfol 2004, pp. 252-258. Tabella n. 4 - Distribuzione regionale dei progetti FORCE presentati (pres.) e approvati (appr.) (1991-1994) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 73 74 Dopo FORCE si raggiungono o si rafforzano delle consapevolezze, che rappresentano l’humus culturale, su cui si svilupperà la Formazione Continua nei due decenni successivi: – la Formazione Continua è un bene “collettivo”; – la nuova concezione e il nuovo ruolo della Formazione richiedono sempre un coinvolgimento delle parti sociali; – la Formazione va fortemente intrecciata con le strategie aziendali, con le politiche organizzative e del personale; – il processo di unificazione europea porta necessariamente al superamento dei confini regionali e nazionali; – è sempre più necessario ragionare in termini di opportunità formative che siano in grado di comporsi in una loica non necessariamente sequenziale per garantire, durante l’intera vita lavorativa di ogni persona, la possibilità di esercitare il proprio diritto alla Formazione56. 2.2.4. PETRA II (1992-94) - Formazione Professionale dei giovani I1 1° gennaio 1992 ha segnato l’inizio del secondo periodo di vita del programma comunitario PETRA che, oltre a raccogliere l’eredità del primo programma, ha ampliato i suoi obiettivi. Al programma PETRA II è stata attribuita la responsabilità di organizzare, coordinare, valutare e finanziare tutte le attività di scambio di giovani in formazione realizzate in ambito comunitario. L’ampliamento dello spettro operativo del programma ha anche comportato una ridefinizione della sua organizzazione ed una più precisa allocazione di responsabilità a livello dei singoli Stati membri. Il programma PETRA II ha come target potenziale giovani al di sotto dei 28 anni e quindi in situazioni abbastanza differenziate che comprendono: – giovani che stanno seguendo corsi di Formazione Professionale iniziale; – giovani lavoratori occupati o che sono disponibili sul mercato del lavoro, ed abbiano già ricevuto una Formazione Professionale iniziale o avuto un’esperienza di lavoro; – giovani che non sono più in Formazione Professionale iniziale e che stanno frequentando iniziative formative di livello più avanzato, per completare la loro formazione. Per raggiungere gli obiettivi cui si è fatto riferimento l’attività del programma è articolata in una serie di azioni con modalità di gestione e finalità specifiche; tali azioni (cfr. Fig. n. 9) sono essenzialmente: – azione I: sostegno per beneficiare di un’opportunità di Formazione Professionale o di esperienza di lavoro in un altro Stato membro; – azione II: sostegno alla cooperazione transnazionale per lo sviluppo comune di moduli di Formazione Professionale e per la formazione in comune dei forma- 56 Cfr. Rapporto Isfol 2005, F. Angeli, p. 345. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 74 75 tori, attraverso la partecipazione di istituzioni e di progetti formativi (inclusi i progetti di iniziativa giovanile, che vanno a costituire la rete europea di partenariati formativi); – azione III: sostegno ai sistemi nazionali per favorire lo scambio di dati, di esperienze valide e di metodologie efficaci nel campo dell’orientamento professionale, attraverso la definizione di una rete; – comunitaria di punti nazionali di contatto e la formazione di consiglieri specialisti sugli aspetti comunitari dell’orientamento; – azione IV: sostegno alle azioni di supporto all’operatività del programma (ricerca, animazione, divulgazione a livello comunitario), nonché all’assistenza comunitaria e nazionale. Per quanto riguarda la struttura organizzativa e operativa del programma, la nuova configurazione prevede un approccio decentrato: – la Commissione mantiene la responsabilità complessiva; – le Unità nazionali di coordinamento seguono le varie fasi di realizzazione del programma negli Stati membri: divulgano e promuovono il programma; selezionano i progetti; assistono i partecipanti nella progettazione e realizzazione e mantenendo uno stretto collegamento tra le varie Unc; attribuiscono ai singoli progetti il contributo finanziario europeo verificando la correttezza dei singoli bilanci; fanno la valutazione in itinere e finale. Per l’Italia il ruolo di Unità nazionale di coordinamento è stato affidato l’Isfol. I 35.431 milioni di ECU (pari a oltre 53 miliardi di lire), che rappresentano la dota- Figura n. 9 - Azioni di PETRA II storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 75 76 zione finanziaria di PETRA II, sono stati distribuiti tra i 12 Paesi della comunità come illustrato nel Grafico 12. All’Italia sono stati concessi 5.501 MECU (oltre 82 miliardi e 250 milioni di lire), pari al 16% del volume finanziario ripartito. 2.3. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali (1990-93) 2.3.1. Le Iniziative comunitarie: filosofia, caratteristiche e aspetti procedurali Le “Iniziative Comunitarie” sono dei “programmi speciali dei Fondi strutturali che la Commissione europea propone agli Stati membri con la finalità di sostenere e diffondere approcci innovativi nella risoluzione di problemi specifici, che hanno un impatto significativo su tutto il territorio europeo”57. Come tutte le azioni finanziate dai Fondi strutturali, le Iniziative si pongono come obiettivo quello di rafforzare la coesione dell’Unione Europea, favorendo uno sviluppo economico e sociale più equilibrato. Il valore aggiunto che le iniziative comunitarie apportano alla programmazione comunitaria va ricercato in alcune caratteristiche: • la promozione delle cooperazioni transfrontaliere e transnazionali fra gli Stati membri; 57 Cfr. ZUMPANO C., Ruoli e funzioni delle Iniziative Comunitarie nella programmazione 2000- 2006, in GATTO E., MANTINO F. (a cura di), Le politiche comunitarie per lo sviluppo rurale. Verso la nuova programmazione 2000-2006, INEA, Roma 2000. Grafico n. 12 - Distribuzione della dotazione finanziaria di PETRA II tra i 12 Paesi della Comunità storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 76 77 • l’adozione del metodo ascendente nella programmazione degli interventi e la formazione di partenariati locali nella gestione degli stessi; • la sperimentazione di interventi e prassi innovative e positive; • la condivisione “europea” dei risultati conseguiti attraverso la loro diffusione mediante la costituzione di reti specifiche. Le Iniziative agiscono su tematiche rientranti nelle priorità che la Commissione si prefigge di raggiungere con la sua programmazione. Tra esse troviamo: le pari-opportunità, economiche e sociali, fra i territori europei, la pianificazione territoriale, intesa come migliore gestione delle risorse naturali, lo sviluppo rurale e delle zone urbane in crisi, l’adattamento ai cambiamenti industriali, l’occupazione e, in particolare, la formazione e la promozione del sapere, l’inclusione sociale dei soggetti a rischio quali immigrati e rifugiati, l’accesso all’informazione da parte dei cittadini. Ma l’aspetto più innovativo che le accomuna è la presenza di un tema orizzontale dato dall’opportunità di conferire una dimensione transnazionale alle azioni perseguite. La disponibilità finanziaria a esse attribuite appare molto limitata. L’importo finanziario modesto attribuito alle Iniziative è da imputare essenzialmente al carattere pilota che esse sono chiamate ad assumere. Il loro compito è quello di concentrarsi non tanto sugli investimenti fisici (garantiti dai programmi ordinari: QCS, PO) quanto su quelli di natura immateriale, rivolti a creare (a monte e a valle) le condizioni necessarie alla realizzazione o al rafforzamento di azioni di sviluppo alla portata delle potenzialità locali. A tal fine, le Iniziative si avvalgono di strumenti poco in uso nell’intervento pubblico tradizionale: campagne informative, mobilitazione degli operatori locali, creazioni di reti fra imprenditori e Istituzioni locali, moduli formativi mirati, utilizzo più in generale del sapere locale, forme di concertazione fra settore pubblico e privato. In relazione alla ripartizione finanziaria, la Commissione normalmente assegna le rispettive risorse sulla base di alcuni criteri, individuati in relazione alle priorità che ciascuna tematica presenta. Da un punto di vista procedurale la sequenza dei passaggi è la seguente: – la Commissione propone agli Stati membri l’Iniziativa tramite pubblicazione della Comunicazione sulla Gazzetta Ufficiale; – sulla base delle indicazioni contenute nella Comunicazione, ogni Stato procede all’elaborazione di proposte di gestione, che assumono la forma di Programmi Operativi. Da evidenziare che, essendo demandata a ciascun Stato l’individuazione dell’autorità competente della gestione e attuazione dell’Iniziativa, l’elaborazione dei programmi può assumere diverse forme: nazionale, regionale, locale; – a seguito della presentazione dei programmi si avvia una fase di negoziato fra Commissione e Stato membro, con l’obiettivo di pervenire all’approvazione del documento; – una volta ottenuta l’approvazione, ogni Stato membro procede all’attuazione dell’Iniziativa, prevedendo le modalità operative di gestione (procedure di atstoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 77 78 tuazione, selezione dei beneficiari, tempistica, attività di controllo e di valutazione). Abbiamo già stabilito la differenza tra Programmi ed Iniziative Comunitarie sia sotto il profilo delle fonti finanziarie che li alimentano sia sotto quello della titolarità. Alla luce di quanto abbiamo già considerato sulle Iniziative dobbiamo precisare la differenza tra Quadri Comunitari di Sostegno e Iniziative Comunitarie. Prima di parlare di ciò che li distinguono è bene sottolineare che li accomuna: la stessa fonte finanziaria e quindi le stesse finalità. Infatti, Quadri Comunitari di Sostegno e Iniziative hanno come fonte finanziaria i Fondi strutturali, perché gli uni e le altre sono destinate alla soluzione di problemi e criticità di natura strutturale. Ciò che li distingue, invece, sono le logiche procedurali diverse e il riferimento a diversi criteri di eligibilità. Infatti, con i Quadri Comunitari di Sostegno sono gli Stati membri a chiedere alla Commissione di cofinanziare le loro azioni d’intervento prioritarie. Invece, con le Iniziative, è la Commissione che invita gli Stati membri a richiedere il cofinanziamento di programmi in settori particolarmente importanti dei Paesi dell’Unione. Le attività che derivano dai Quadri Comunitari di Sostegno devono soddisfare i criteri previsti nei Regolamenti dei Fondi Strutturali. In particolare per quanto riguardo il FSE quelli relativi alle categorie di destinatari, alle tipologie di azioni, alle tipologie di spese ai tassi d’intervento. Le azioni che derivano dalle Iniziative Comunitarie, oltre ai criteri previsti dal regolamento del FSE, hanno un ulteriore criterio di eleggibilità, come abbiamo già visto, il carattere transnazionale delle azioni. Le Iniziative Comunitarie sono state introdotte la prima volta nel 1989, con l’avvio della prima Riforma dei Fondi strutturali. La prima decisione della Commissione, presa il 22 novembre 1989, attribuiva ad Iniziative Comunitarie specifiche una dotazione finanziaria complessiva di 5,8 Mrd di ECU, che rappresentavano circa il 10% dei 60,3 Mrd di ECU stanziati per i Fondi (ai prezzi 1989). In quella stessa seduta la Commissione decise un primo pacchetto d’iniziative; un secondo fu approvato il 2 maggio 1990. Il quadro complessivo delle iniziative comunitarie, riconducibili a diverse aree tematiche58 è quello del Prospetto 7. Nella letteratura del settore i giudizi sono generalmente positivi, anche se non mancano rilievi e critiche alla fase attuativa. Infatti, l’applicazione delle Iniziative presenti spesso maggiori complessità rispetto a quelli dei programmi tradizionali, in quanto, portatrici di principi e modalità innovativi, si scontrano con un apparato burocratico (comunitario e nazionale) ancora non allenato a gestire ciò che di più caratteristico hanno le Iniziative: un approccio integrato ai problemi. 58 Le iniziative possono essere classificate in sette gruppi: 1) Integrazione delle Regioni più svantaggiate nel mercato unico (Stride Telematique Prisma); 2) Tutela dell’ambiente e promozione di uno sviluppo sostenibile (ENVIREG); 3) Misure di assistenza a favore delle Regioni dell’estrema periferia (REGIS); 4) Cooperazione e reti transfrontaliere (INTERREG, REGEN); 5) Diversificazione dell’attività nelle zone industriali fortemente dipendenti dai settori in crisi (RECHAR, RETEX); 6) Collegamento fra azioni di sviluppo dell’economia rurale (LEADER); 7) Conferimento di una dimensione comunitaria alla formazione e all’inserimento professionale (EUROFORM, NOW e HORIZON). storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 78 79 59 Local Employment Development Action - Programma di azione comunitario per lo sviluppo dell’occupazione, sia a livello locale, sia in aree con alto tasso di disoccupazione. 60 European Research Gateway On line - Programma d’azione comunitario in favore dei disoccupati di lunga durata con la promozione d’iniziative per la ricerca di lavoro, sostegno per la realizzazione di attività imprenditoriali, istruzione, formazione, informazione, consulenza e orientamento, salute e assistenza sociale. Prospetto n. 7 - Iniziative Comunitarie introdotte con la Riforma dei Fondi strutturali del 1988 2.3.2. Le Iniziative comunitarie del gruppo “Risorse Umane” Le Iniziative che interessano il nostro lavoro sono EUROFORM, NOW e HORIZON, appartenenti al gruppo “risorse umane”. Sono cofinanziate dal FSE e dal FESR (ma solo nelle regioni dell’Ob. 1) ed hanno tre caratteristiche in comune: a) i loro obiettivi specifici sono stati scelti in considerazione della necessità di concentrare le risorse di bilancio su misure di carattere esemplare e le cui applicazioni avessero un effetto moltiplicatore; b) si prefiggono di dare una dimensione comunitaria alle azioni di Formazione Professionale e di promozione dell’occupazione, rendendo possibile la creazione o lo sviluppo di reti comunitarie; c) mirano infine, mediante l’attuazione di azioni transnazionali, a sviluppare pratiche comuni di formazione e di inserimento professionale. Ciascuna delle tre Iniziative, in una logica d’integrazione tra politiche europee, è collegata e chiamata a potenziare programmi e reti comunitarie. In particolare EUROFORM è destinato a potenziare altri programmi comunitari che riguardano la cooperazione transnazionale nel campo della formazione e dell’occupazione, in particolare FORCE, EUROTECNET, LEDA59 e ERGO60. (in Milioni di ECU- prezzi 1989) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.30 Pagina 79 80 NOW ha un collegamento con IRIS, ILE, CHILDCARE. HORIZON interagisce con i programmi HELIOS61, HANDYNET62 e POVERTY III63 (cfr. Fig. n. 10). 2.3.3. EUROFORM (1991-94) È l’Iniziativa comunitaria relativa alle nuove competenze e alle nuove opportunità di occupazione derivanti dalla creazione del mercato unico, annunciato dal Trattato di Maastricht64 e dai mutamenti tecnologici. Gli obiettivi formalmente definiti di EUROFORM sono: – conferire una dimensione europea alle azioni di Formazione Professionale e di promozione dell’occupazione; – promuovere la convergenza delle competenze professionali, tra le Regioni in ritardo di sviluppo e le altre Regioni, nonché la mobilità professionale e geografica dei lavoratori. Obiettivi che vengono perseguiti mediante il paradigma di azioni, tipico dei Programmi e delle Iniziative comunitarie: preparazione, realizzazione, valutazione e 61 Programma di azione comunitaria per le pari opportunità per le persone disabili. 62 Banca dati europea per disabili, attivata all’interno del programma HELIOS II. 63 Programma per l’integrazione economica e sociale dei gruppi svantaggiati. È nato sulla base di iniziative comunitarie precedenti chiamate primo e secondo Programma europeo di lotta contro la povertà (1975-1980 e 1984-1988). 64 Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, è entrato in vigore il 1º novembre 1993. Segna una nuova tappa nell’integrazione europea poiché consente di avviare l’integrazione politica. L’Unione Europea da esso creata comporta tre pilastri: le Comunità europee, la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), nonché la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria in materia penale (JAI). Il trattato istituisce una cittadinanza europea, rafforza i poteri del Parlamento europeo e vara l’unione economica e monetaria (UEM). Inoltre, la CEE diventa Comunità europea (CE). Figura n. 10 - Collegamenti tra le Iniziative comunitarie del gruppo Risorse Umane e i Programmi comunitari storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 80 81 diffusione (in particolare nell’ambito delle reti comunitarie) di azioni di Formazione Professionale e di promozione dell’occupazione. La preparazione consiste in studi e azioni relativi alla metodologia e ai prodotti della formazione, alla formazione degli amministratori di azioni transnazionali, all’orientamento professionale; la preparazione deve tenere conto della dimensione comunitaria del mercato della formazione e del lavoro o evidenziare le risposte comunitarie dei sistemi di formazione di fronte all’evoluzione tecnologica. La realizzazione riguarda azioni comuni di Formazione Professionale che mirano allo sviluppo di nuove competenze richieste per poter cogliere le occasioni che i mutamenti tecnologici o il mercato unico possono offrire, nonché gli scambi transnazionali, (compresi gli scambi di insegnanti e di responsabili dei programmi di formazione e di occupazione). Destinatari delle azioni di EUROFORM sono: disoccupati di lunga durata e giovani su tutto il territorio della Comunità (Obiettivi 3 e 4); persone che lavorano nelle PMI, disoccupati o minacciati dalla disoccupazione (unicamente nelle Regioni, Obiettivi 1, 2 e 5b); persone sotto contratto di tirocinio (il cui tirocinio sia limitato all’aspetto teorico) e persone formate nel quadro dei sistemi di Formazione Professionale nelle Regioni dell’Obiettivo 1; l’insieme della popolazione attiva nei limiti in cui essa è interessata un programma integrato nelle Regioni dell’Obiettivo 1. Due sono state le fasi del programma e 132 i progetti approvati nella prima e 82 nella seconda65, con la distribuzione regionale di cui ai Grafici 13a e 13b. 65 ISFOL (a cura di DI STEFANO A., MOCCI A., NICOLETTI P.), Compendium delle iniziative comunitarie EUROFORM-Horizon-Now, Roma 1995, p. 10. Grafico n. 13a - Distribuzione regionale dei progetti di EUROFORM (prima e seconda fase) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 81 82 Gli effetti positivi possono essere sinteticamente ricondotti a due tipi d’innovazione, una di carattere tematico l’altra di natura metodologica66. Il primo tipo è relativo ai contenuti degli interventi realizzati, ai profili professionali elaborati, alle aree tematiche affrontate, alle competenze enucleate e fatte oggetto dell’attività formativa; ed è proprio rispetto a questo tipo d’innovazione che i 224 progetti finanziati da EUROFORM, nei quattro anni di attività del Programma, hanno conseguito i risultati più tangibili67. 66 ISFOL, Rapporto Isfol 1995, F. Angeli, Milano 1995, pp. 327-328; MOCCI A., Bilancio delle attività di Euroform, in Professionalità n. 26, marzo-aprile 1995, pp. 67 e ss. 67 Le azioni di EUROFORM si sono distribuite in alcune macro-aree tematiche che hanno riguardato, privilegiatamente: a) l’ambiente (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di: IFAP-IRI Abruzzo e Piemonte, CSEA Piemonte; Sistem Form, IRST Consorzio Scuola-Lavoro Lazio; ENFAP Liguria, CFP Camigliatello Calabria, Coop Agronica Sicilia; i progetti della seconda fase di Sistem Form Lazio- Veneto Cescot Basilicata-Liguria-Sicilia-Veneto, DAT Consulenze S.r.l. Trento e Bolzano, ANAP Leone XIII Sardegna, Progetto Lombardia-Sardegna-Toscana); b) il territorio (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di Genesis Emilia Romagna per la formazione per la creazione di occupazione tramite nuove imprese in aree a bassa propensione imprenditoriale; COPIM Basilicata Marketing Agency Calabria INFORCOOP Liguria-Basilicata-Toscana per agenti di sviluppo, Consorzio di Formazione Professionale Trento per sistemi informativi territoriali, CIAPI Abruzzo, Provincia di Ravenna, Emilia Romagna con un progetto pilota per la riconversione delle economie locali, IAL CISL Emilia Romagna, OIKOS Toscana per la formazione di esperti per lo sviluppo delle piccole città dell’Italia Centrale); c) i trasporti (cfr. ad esempio i progetti di Simon Boccanegra Liguria I e II fase, Fidia Sud Vento II fase); d) il marketing e il commercio internazionale (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di: ENFAP Veneto e Lombardia, Ktema AECA e IFOA Emilia Romagna, Assodocks Lombardia, ISSC Sardegna, ENAP Abruzzo, Unioncamere Lazio e Veneto; i prodotti della seconda fase di CFO Patacini Emilia Romagna, ASPOR Calabria, Consorzio Piemontese di formazione per il commercio estero Piemonte, IFOA Puglia); e) i mutamenti nell’organizzazione aziendale (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di AGF Emilia Romagna, CFUI TEC-TRAIN Campania, ISFOR Puglia, ELIS e ILTA Grafico n. 13b - Distribuzione regionale dei progetti di EUROFORM (prima e seconda fase) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 82 83 Il secondo tipo di innovazione ha riguardato l’utilizzo nelle attività formative di metodologie e tecnologie didattiche non tradizionali68. Le criticità sono ravvisabili in ritardi di tipo culturale (l’assenza di una cultura della sperimentazione radicata nel Sistema della Formazione Professionale) e di tipo tecnico burocratico (l’incapacità da parte degli uffici incaricati del controllo di adottare approcci e modalità operative diverse da quelle utilizzate per l’attività corsale)69. 2.3.4. NOW (1991-94) - Iniziativa per la promozione delle pari opportunità per le donne nel settore dell’impiego e della Formazione Professionale Il tema della parità ha una lunga e importante tradizione nelle direttive70 e nei programmi d’azione71 comunitari. Nel 1990 era stato varato il Terzo programma di Lazio; Comunità Montana Centro Cadore Veneto) e con focalizzazione sulle modifiche all’organizzazione del lavoro prodotte dall’introduzione delle politiche di qualità (cfr. ad esempio i progetti nella prima fase di Italian M3T Bolzano, AGF Emilia Romagna, Capitals Umbria, Consorzio Scuole Lavoro Lombardia, Provincia di Trento, Associazione AFM-Edilizia Molise, Regione Valle d’Aosta, SYSDAT Consulenze Trento-Bolzano-Valle d’Aosta; e quelli della seconda fase di FIDET COOP Veneto- Lazio-Lombardia-Sicilia, Scuola d’arte e mestieri di Vicenza Veneto, SOGEA Liguria, Associazione Consorzio Scuole-Lavoro Veneto, ENAIP Friuli); f) la formazione (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di CSEA Piemonte, Pragmadis Lazio Crued Umbria, FOPRI Lazio, Marche Toscana, AMMA Piemonte, ENAP Abruzzo, Regione Emilia Romagna); g) le nuove figure professionali a seguito dell’introduzione delle nuove tecnologie (cfr. ad esempio i progetti della prima fase di SPEHA DATA Lazio, ENAIP Emilia Liguria Piemonte Puglia Sardegna Veneto, ITEA Sicilia e quelli della seconda fase di ITEA Sicilia-Marche-Abruzzo, Digital Equipment S.p.A. Lazio-Campania, Consiel S.p.A. Lazio, ANAP Leone XIII Sardegna, ELEA S.p.a. Piemonte-Emilia Romagna-Liguria-Lombardia) ma anche per l’accesso alle opportunità di finanziamenti comunitari (ANCIFAP I fase Emilia Romagna, per euroconsulenti; Consorzio R.O.M.A. per progettisti europei di formazione). 68 Circa un terzo dei progetti con componente formativa ha impiegato anche tecnologie multimediali (con uso di supporti videomagnetici o con computer based training). In alcuni casi è stata utilizzata la formazione a distanza. 69 ISFOL, op. cit., p. 327. 70 Già nel 1957, l’articolo 119 dei Trattati sostitutivi della Comunità europea definisce il principio di parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile per uno stesso lavoro. Questo articolo rimane tuttavia sostanzialmente relegato a un’affermazione formale fino al momento in cui, dal 1975, la Comunità europea, emana le prime direttive in materia di parità di retribuzione e di trattamento. La direttiva 117 del 1975 è relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile. Le direttive successive del 1976, del 1979, del 1986, ampliano ulteriormente lo schema concettuale e legislativo: la parità di retribuzione deve comprendere la parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro; la parità di trattamento implica l’assenza di discriminazioni dirette e indirette fondate sul sesso in riferimento soprattutto allo stato matrimoniale e familiare. Comincia ad apparire il concetto di discriminazione indiretta che comporta la dilatazione del progetto di parità di trattamento sotteso all’azione comunitaria, in quanto non si tratta solo di abrogare le normative contrarie al principio di parità ma di eliminare situazioni che traggono la loro origine non solo dal contesto lavorativo ma da quello sociale e culturale. 71 I programmi d’azione sono documenti di programmazione strategica della Commissione europea in un particolare settore. Al fine di promuovere in concreto la parità, la Comunità ha attuato, a partire dagli Anni ’80, programmi di azione specifici che, malgrado risorse di bilancio limitate, hanno ottenuto un notevole effetto trainante, in particolare nel promuovere la realizzazione di altre azioni da parte dei singoli Stati membri. Primo programma comunitario per la promozione della pari opportunità per le donne (1982-1985): riconoscimento del fatto che per quanto fosse importante lo sviluppo storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 83 84 azione comunitaria a medio termine per la pari opportunità tra donne e uomini (1991-1995) che si muove nell’ottica dell’esistenza di una forte potenzialità di partecipazione delle donne al mondo del lavoro e, nello stesso tempo della persistenza di ostacoli oggettivi e soggettivi che ne impediscono uno sviluppo pari a quello che viene offerto alla componente maschile. Si tratta di un Programma che tiene conto dei mutamenti in atto nel mercato del lavoro comunitario; dell’esigenza, da parte delle imprese, di utilizzare una manodopera altamente qualificata e professionalizzata; delle potenzialità e delle risorse presenti nella componente femminile72. Su queste premesse, il Terzo Programma valorizza la preesistente rete di formazione al femminile IRIS e contiene e vara l’iniziativa NOW per la formazione femminile73. NOW usufruisce di un finanziamento comunitario di 150 MECU, provenienti sia dal FSE che dal FESR74, a cui vanno aggiunti il contributo degli Stati membri. Con queste risorse sono finanziati programmi operativi e sovvenzioni globali predisposti dai singoli Paesi. 800 sono stati i progetti realizzati in tutta la Comunità. L’Italia con i suoi 169 progetti finanziati è il Paese che ha sviluppato il maggior numero di azioni progettuali, seguita dalla Spagna con 155 e dall’Inghilterra con 113. Beneficiari dell’iniziativa sono le Amministrazioni nazionali regionali e locali, le strutture formative pubbliche e private, i centri di ricerca e d’informazione per le donne. Destinatarie delle azioni, invece erano: – nelle Regioni degli Obiettivi 3 e 4, donne disoccupate di lunga durata (da oltre 12 mesi) indipendentemente dall’età e donne che desiderano reinserirsi nel mercato del lavoro dopo una lunga interruzione; – nelle Regioni degli Obiettivi 1, 2 e 5b, donne che lavorano nelle PMI, disoccupate o minacciate dalla disoccupazione; – nelle Regioni dell’Obiettivo l, tutta la popolazione femminile attiva, nel limite in cui l’azione si svolge nel quadro di un approccio integrato (FSE e FESR). I 169 progetti sono stati approvati a seguito dell’espletamento di due avvisi: il primo nel 1991-92 e il secondo nel 1993-94 (cfr. Tab. n. 5). del quadro giuridico, era necessario adottare misure supplementari e complementari nella forma di “azioni positive” in vari campi. Secondo programma comunitario a medio termine per le donne (1986- 1990): prosegue l’attuazione delle direttive nella Comunità allargata a 12 Stati membri; amplia la portata della parità di opportunità a nuove sfere di azione positiva nella formazione, nelle nuove tecnologie, nella conciliazione della vita professionale e della vita familiare e nello sviluppo locale. 72 Cfr. ISFOL (a cura di BATTISTONI L.), Progettando Now-Un’esperienza formativa al femminile, F. Angeli 1997, p. 20. 73 Cfr. ISFOL (studio coordinato da DI STEFANOA., GASBARRIA., TORSELLOA.M., TURRINI O.), La formazione nei programmi comunitari, Capone Editore, Lecce 1991. 74 Le risorse FESR sono state esclusivamente utilizzate e solo in Regioni Obiettivo 1 per la realizzazione di infrastrutture di assistenza ai bambini (più in particolare per la creazione di asili nido, specialmente nelle zone di concentrazione industriale, in favore delle donne nelle imprese, nei raggruppamenti di imprese o nei Centri di Formazione Professionale e per i costi di funzionamento degli asili nido nei Centri di Formazione Professionale). storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 84 85 75 Cit. in CARBONE A.E., Le azioni a favore delle donne in ambito europeo e nazionale, in Osservatorio Isfol nn. 3-4/1998, p. 208. 76 Riguardano misure complementari. In particolare la realizzazione di infrastrutture di assistenza ai bambini e misure di assistenza tecnica (aiuti alla creazione o allo sviluppo di strutture di sostegno, quali reti o partenariati transnazionali; le azioni di sensibilizzazione, la raccolta e la diffusione delle informazioni sulle prassi ottimali, in particolare a livello transnazionale; la gestione e la valutazione delle azioni di Formazione Professionale e di aiuto all’occupazione; il trasferimento di esperienza dal livello locale ai livelli nazionale c/o comunitario relative, fra l’altro, alla formazione degli insegnanti e dei responsabili dei negoziati delle misure di formazione nell’impresa. A livello nazionale le aree di intervento sono state 4: orientamento, formazione, creazione d’impresa, attività di supporto76. All’interno di queste quattro categorie i progetti possono essere scomposti in ulteriori tipologie, come da Grafico 14. La lettura della tabella rivela che si tratta in generale di iniziative rivolte alla formazione imprenditoriale e professionale di donne, seguite a lieve distanza da azioni mirate all’orientamento e alla loro occupazione. Le tipologie meno rappresentate sono quella degli osservatori e degli incubatori. Le categorie bersaglio sono state in massima parte donne disoccupate e alla ricerca di primo impiego, seguite dalle disoccupate di lunga durata. Solo una parte molto marginale è formata da donne in cassa integrazione, da immigrate, da donne che rientrano nel mercato del lavoro. I settori economici interessati: artigianato, agriturismo, commercio. Tabella. n.5 - Sintesi andamento Programma Now in Italia (1991-94) Fonte: Elaborazione S.N.S. Isfol/Occupazione su dati del Ministero del Lavoro/Consedin75 Grafico n. 14 - Tipologie delle azioni NOW (1991-1994) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 85 86 A differenza degli altri Paesi, in Italia si è registrata una compartecipazione di enti ed istituti pubblici e privati ed anche la presenza non marginale delle parti sociali (cfr. Graf. n. 15). I partenariati stabiliti per la realizzazione dell’attività transnazionale hanno visto coinvolti quasi tutti i Paesi dell’Unione: la presenza degli Spagnoli, dei Francesi e degli Inglesi è stata preponderante; i Paesi esclusi: Olanda e Lussemburgo. I progetti legati all’imprenditorialità hanno riguardato, in particolare, le aree territoriali del Nord-Est e del Sud del Paese. La loro realizzazione ha permesso, nella maggior parte dei casi, di giungere alla definizione del business plan ma non all’avvio o al decollo di nuove realtà imprese. In altri casi, invece, il progetto formativo si è inserito in una fase nella quale l’idea di impresa era già stata definita e le beneficiarie venivano selezionate sulla base di un programma imprenditoriale. Da rammentare anche interventi formativi intrecciati con attività consulenziali e di assistenza tecnica. Le attività maggiormente innovative sono state quelle legate alla messa a punto di strutture di informazione e di sportelli, di accoglienza, assistenza e decollo delle imprese (incubatori), di sviluppo di reti informative (osservatori, banche dati, reti)77. Quanto alle attività di formazione esse hanno riguardato il 25% delle attività finanziate. Obiettivo dei promotori sembra essere stato quello di proporre figure femminili, in settori tradizionali, innovando alcuni ambiti professionali ed ampliando le competenze (turismo, agriturismo) o di formare donne in settori e professionalità tradizionalmente maschili (comunicazione, editoria, marketing, radiofonia), ma particolarmente consone alle potenziali professionalità femminili o, in alcuni casi, di 77 ISFOL (a cura di BATTISTONI L., CATTAN C., MOCAVINI A., CINTI S., STEFANELLI M.L.), Compendium delle iniziative comunitarie EUROFORM-Horizon-Now, Roma 1995, pp. 15-19. Grafico n. 15 - Incidenza percentuale dei soggetti delle patnership dei progetti NOW in Italia storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 86 87 ampliare e innovare i tradizionali spazi del lavoro di cura femminile (servizi alle persone, asili nido, ecc.), sviluppando, inoltre, attività di formazione per figure professionali capaci di sostenere e di moltiplicare le azioni di parità (agenti di sviluppo, consiglieri di parità). Infine, di non marginale interesse si sono dimostrate le attività di orientamento e di reinserimento delle donne disoccupate da lungo periodo nel mercato del lavoro. In alcuni casi appare interessante l’adozione delle metodologie didattiche (rafforzamento del senso di sé, percorsi personalizzati) e le tecniche utilizzate. Il fatto nuovo è il valore aggiunto fornito dal partenariato con altri Paesi comunitari, pur con tutti i limiti di una prima sperimentazione di progettazione di attività transnazionali. Una valutazione della esperienza del programma NOW porta ad evidenziare i risultati positivi ascrivibili ai seguenti fattori: – la messa a punto di una struttura complessa integrata di assistenza tecnica; – le interrelazioni con le altre reti al femminile, in particolare IRIS e ILE; – la integrazione tra diversi soggetti che a livello nazionale e locale sono presenti nel network delle pari opportunità. Quanto agli elementi innovativi essi vanno identificati con lo sviluppo di un complesso sistema di partnership a livello internazionale e nazionale e con il tentativo di integrazione delle problematiche femminili nel complesso sistema dei fondi strutturali. Vanno segnalati, d’altra parte, anche ritardi burocratici, difficoltà nella gestione dell’assistenza tecnica, complesso avvio della macchina organizzativa a livello centrale e regionale, hanno reso farraginosa la fase di avvio e di decollo e soprattutto hanno influito sulla complessiva riuscita del programma. 2.3.5. HORIZON (1991-94) HORIZON è l’espressione più matura della nuova politica comunitaria nei confronti delle fasce più deboli o marginali della popolazione78: disabili e svantaggiati sociali. Sono queste le categorie più penalizzate nell’accesso al mercato del lavoro per criticità personali e/o motivi sociali e culturali. Infatti, i sistemi di welfare europei si sono strutturati in funzione delle esigenze del “cittadino medio”, con conseguente disparità di trattamento di soggetti che non rientrano di fatto in tale categoria; disparità che hanno riguardato la mobilità e l’accesso ai mezzi di trasporto, la logistica ma anche l’educazione e il lavoro. Difficile fare stime sull’entità, all’interno dei Paesi della Comunità, dei fenomeni della disabilità e dello svantaggio sociale; fenomeni soggetti, peraltro, ad una pluralità di definizioni che ne allargano o ne restringono i confini e di conseguenza ne dilatano o ne ridimensionano i numeri. Ad esempio, per quanto riguarda la nozione di disabilità ci scontriamo con una pluralità di approcci classificatori utilizzati dai diversi Stati membri e quindi con una 78 Cfr. ISFOL (FELICE A., MANDRICCI M.S., PUEL M.), Compendium delle iniziative comunitarie Euroform-Horizon-Now, op. cit., pp. 10-14. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 87 88 pluralità di tipologie d’infermità79. In base alla nozione cui fa riferimento la Commissione europea, inclusiva sia delle infermità fisiche, sensoriali, che mentali ed intellettuali80, la popolazione dell’Unione Europea classificabile come disabile si aggirerebbe attorno 12%81, di cui circa la metà nella fascia d’età lavorativa con un tasso di occupazione inferiore di circa 20-30 punti percentuali rispetto a quella dei normodotati82, nonché una più alta probabilità (circa due terzi) di divenire disoccupati e di rimanere esclusi dal mercato del lavoro più a lungo. Svantaggio che si aggrava, al variare del sesso, dell’età, del tipo di disabilità, con conseguente aggravamento del gender gap già esistente tra non disabili, e tasso di partecipazione al lavoro più basso in un’età avanzata o in casi d’infermità più gravi. Sulla capacità d’inserimento nel mercato del lavoro dei disabili incidono, inoltre, in modo sostanziale caratteristiche quali il loro basso livello d’istruzione, la forte segregazione settoriale, la tendenza ad attribuire ai disabili basse qualifiche (low-skilled jobs o non-skilled jobs) e retribuzioni inferiori (low-paid jobs) rispetto ai colleghi normodotati, o a garantire e distribuire benefits tramite i vari sistemi di welfare nazionali83 rendendo talora i disabili vittime della cosiddetta trappola dei sussidi (benefits trap) che disincentiva la ricerca attiva del lavoro. Senza dimenticare l’effetto dei cicli economici negativi, quando diminuendo le chances generali d’accesso al mondo del lavoro, aumentano le domande di sussidi economici, o i cambiamenti strutturali dell’economia che, imponendo abilità intellettuali, alti livelli d’educazione, adattabilità, aggravano sensibilmente lo svantaggio di soggetti impediti e privi di formazione e di skills adeguati. I disabili incontrano, dunque, numerosi ostacoli legati alla loro particolare condizione, che incidono negativamente sulla loro capacità di partecipare al mercato del lavoro, di mantenere l’impiego e di veder garantite pari condizioni di lavoro così come pari opportunità di formarsi, qualificarsi e realizzarsi pienamente nel lavoro e nella vita sociale. Queste le motivazioni forti che hanno sollecitato l’adozione di HORIZON, che peraltro non rappresenta il primo intervento comunitario in questa 79 Il disabile può avere un’infermità fisica, una malattia mentale, o una semplice difficoltà d’apprendimento, essere cieco, sordo, sordomuto, dislessico, paraplegico, aver esperito una situazione di forte disagio psicologico o psichiatrico, può aver convissuto con l’infermità fin dalla nascita, o essere divenuto invalido nel corso della propria vita, a seguito di un infortunio o di una malattia, molto spesso proprio durante il lavoro. 80 Cfr. BRUZZONE S., Disabilità e lavoro. Legislazioni a confronto, Giuffrè Editore, 2000. 81 COMMISSIONE EUROPEA. Direzione generale dell’impiego, delle relazioni industriali, degli affari sociali, della sicurezza sociale e dell’integrazione sociale, Employment and people with disabilities. Report of the special meeting of the High-level group on disability Bruxelles 15 ottobre 1997, Lussemburgo 1998. 82 Del 55% in Italia, al 46.1% nel Regno Unito, al 46% in Olanda, 43% in Portogallo, solo al 37% Norvegia, mentre 60.1% in Svezia. Cfr. EIRO, 2001, Workers with disabilities: law, bargaining and the social partner, pubblicato sul sito dell’EIRO: www.eiro.eurofond.it. 83 “Nel 1993 l’invalidità, la disabilità, le malattie e gli infortuni sul lavoro costituivano i tre capitoli principali della spesa sociale nell’UE dopo pensioni d’anzianità, sanità e sussidi di disoccupazione”. Cit. in MERLI N., Lotta al disagio occupazionale dei disabili Il Programma comunitario Horizon in L’Agenda del lavoro - Processi in atto e problemi in discussione nel biennio 2000-2002, (a cura di BURRONI L.) University Press, Firenze 2005, p. 182, nota n. 8. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 88 89 materia, anzi si inserisce in un consolidato filone di maturazioni culturali e programmi operativi. Le Istituzioni comunitarie, infatti, anche sulla scia di interventi dell’ONU84, hanno previsto da tempo nella loro agenda politica la rimozione degli ostacoli culturali e materiali che impediscono l’integrazione dei disabili nella vita sociale ed economica, nell’ottica del riconoscimento di diritti e di pari opportunità delle persone disabili, ed hanno manifestato un progressivo impegno realizzando e finanziando programmi di azione sociale ed iniziative specifiche, divenuti nel tempo sempre più consistenti anche in termini di risorse finanziarie85. Quindi HORIZON si inserisce in un consolidato filone di maturazioni culturali e programmi operativi. Consistenti le risorse finanziarie di cui viene dotato: 180 milioni di ECU (più di 273 miliardi di lire). Nell’area dell’handicap HORIZON persegue gli obiettivi e adotta le strategie indicati nella Figura 11. 84 Le Nazioni Unite e le agenzie specializzate (OIL, UNESCO, UNICEF, OMS) hanno svolto un ruolo guida per gli Stati nazionali nella risoluzione delle problematiche della disabilità nella vita sociale e nel lavoro, in una prospettiva di tutela dei diritti umani. Centrali sono state la Dichiarazione dei diritti delle persone ritardate mentali (1971), la Di chiarazione dei diritti delle persone disabili (1975), per il riconoscimento ai portatori di handicap pari diritti umani e stessi diritti civili e politici rispetto ai normodotati, il Programma di azione mondiale sulle persone disabili (1982), che ha sancito i principi fondamentali sulla riabilitazione e prevenzione della disabilità, le pari opportunità e il diritto dei disabili a godere dei miglioramenti delle condizioni di vita legati allo sviluppo economico e sociali, la Risoluzione sulle Norme Standard per le pari opportunità delle persone disabili, (1993) ricettiva dei risultati dell’implementazione della Convenzione OIL n. 159 del 1983 sulla Riabilitazione professionale dei disabili e l’occupazione, i cui principi sono stati integrati nella Dichiarazione e nel relativo programma di azione per i diritti umani di Vienna (1993) e nel Summit sullo sviluppo sociale del 1995 a Copenaghen. Sempre negli Anni ’90 l’impegno si è focalizzato sulle opportunità offerte ai disabili dalle nuove tecnologie per la partecipazione alla vita politica ed economica e sul divieto delle pratiche di discriminazione e sull’implementazione. 85 La prima risposta risale alla metà degli Anni ’70, con il programma di azione sociale comunitario sulla “Riabilitazione professionale delle persone handicappate” (1974-79) (Vocational Rehabilitation of Figura n. 11 - HORIZON: obiettivi e strategie a favore degli handicappati storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 89 90 Nell’area dello svantaggio la Comunità ha voluto promuovere dei progetti pilota sotto forma di iniziative innovative. Gli obiettivi e le strategie di HORIZON nei confronti di questo secondo target sono quelle della Figura 12. Nel nostro Paese HORIZON si è calato in uno scenario molto ricco e articolato di misure legislative e di progetti a favore dell’inserimento sociale e lavorativo di fasce marginali della popolazione. Si consideri, infatti che nei primi Anni ’90 erano stati varati provvedimenti sull’immigrazione extracomunitaria, sull’handicap, sulla cooperazione sociale, sul volontariato. Il valore aggiunto di questa Iniziativa rispetto agli interventi attivati è rappresentato dalle tre condizioni richieste ai progetti HORIZON: produrre un effetto moltiplicatore, essere innovativi, essere il risultato di interazioni tra soggetti di diversi Paesi. L’Italia ha beneficiato di circa il 24% dei fondi comunitari (pari a più di 43 miliardi di lire); distribuiti tra le macrocircoscrizioni nelle proporzione indicata nel Grafico 16. Il programma operativo italiano 1991-94 prevedeva una priorità, azioni di formazione a distanza, ed è stato articolato in tre sottoprogrammi a seconda dei beneficiari, diretti o indiretti delle azioni: per handicappati, per svantaggiati, per rifugiati: – il sottoprogramma per handicappati mirava particolarmente alla formazione a distanza nel settore informatico, alla formazione degli operatori e al sostegno delle imprese sociali; handicapped persons, adottato con la Risoluzione del Consiglio del 27 giugno 1974), per il pieno e migliore inserimento dei disabili al lavoro, cui ha fatto seguito, sotto l’impulso della proclamazione dell’ONU dell’Anno Internazionale dei disabili (1081) il I programma di azione comunitario sull’integrazione sociale delle persone handicappate (1983-88) concentrato sulle azioni in favore dell’occupazione, della formazione, tramite lo sviluppo del trasferimento dei progetti locali e di conoscenze tra paesi; il ricorso ad un sistema d’informazione multilingue computerizzato sulla disabilità (Handynet); lo sviluppo della “cooperazione tecnica” per promuovere l’innovazione, lo scambio di esperienze e la disseminazione delle buone pratiche; la creazione di un gruppo di delegati dei vari Stati (Liasion Group on Disability) per il monitoraggio dei risultati del programma. A metà Anni ’80 il Memorandum della Commissione europea (1986) e la relativa Raccomandazione del Consiglio sulle linee guida sul lavoro dei disabili nella Comunità europea, hanno riconosciuto il diritto del disabile alla formazione e lavoro, promosso fair opportunities in materia, coerenti politiche nazionali del lavoro e contro le discriminazioni, elencando azioni positive strumentali alla definizione di una guida delle buone pratiche. Nonostante gli obiettivi più ambiziosi di tale programma ed il carattere sovranazionale e politico dell’intervento, i risultati sono stati valutati come scarsi rispetto alle aspettative. Allo stesso modo il II ed il III programma di azione sociale comunitario, rispettivamente HELIOS (1988-92) e HELIOS II (1993-96), adottato allo scopo di implementare i contenuti della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori di Strasburgo del 9 dicembre 1989, e rivolti ambedue alla promozione di una politica globale politica su formazione, riabilitazione, integrazione economica e sociale dei disabili hanno dimostrato ancora una volta l’impossibilità di realizzare una politica sovranazionale, che superasse la politica comunitaria flessibile, e adattabile alle realtà dei vari Stati membri. Un intervento, quindi, limitato a completare la loro azione, piuttosto che influenzarla, riconoscendo agli stessi Governi nazionali la responsabilità principale in materia. Sulla scia dei principi degli obiettivi fissati nel Libro Bianco Crescita, competitività ed occupazione, e in quello sulla Politica sociale europea, la Commissione europea ha delineato una nuova strategia comunitaria sulla disabilità con una Comunicazione, ispirata, di fatto, ai contenuti ed ai principi delineati a livello internazionale e finalizzata a garantire “pari opportunità” dei disabili in tutti gli ambiti di vita nel quadro di cooperazione tra Stati membri, ONGS, e partner sociali per le politiche di integrazione nel mondo del lavoro. La strategia è influenzata dalla risoluzione sulle Norme standard per le pari opportu nità dell’ONU (1993) regole prive di efficacia vincolante per gli stati firmatari, ma di grande portata morale e politica. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 90 91 86 L’Albania ha vissuto un fenomeno di emigrazione massiccia dall’anno 1990. Il 15% della popolazione è emigrata in 7 anni. L’Italia e la Grecia rimangono i Paesi principali dell’emigrazione degli albanesi. Questo fatto è dovuto sia alla vicinanza geografica e culturale, che dalla difficoltà di fare altre scelte di emigrazione, in maniera regolare e legale. – il sottoprogramma per svantaggiati aveva per priorità azioni di formazione rivolte ad ex-detenuti, ex-tossicodipendenti, giovani drop out o con bassa scolarità e ad immigrati extracomunitari; – il sottoprogramma per rifugiati, in risposta alle migrazioni albanesi dei primi Anni ’90, prevedeva la realizzazione di azioni di orientamento e formazione linguistica86. Figura n. 12 - HORIZON: obiettivi e strategie a favore degli svantaggiati Grafico n. 16 - Horizon-handicap: ripartizione: percentuale delle risorse finanziarie per macrocircoscrizione storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 91 92 In totale sono stati ammessi a finanziamento, in due fasi successive, 148 progetti: 52 nella prima fase (dicembre 1991), pari al 29% di quelli presentati e 9687 nella seconda (novembre 1992) pari al 46,6% di quelli proposti (cfr. Graf. n. 17). La Tabella 6 offre un quadro informativo che consente un’analisi di maggior dettaglio88: la dislocazione territoriale dei progetti presenta queste particolarità: solo un terzo dei progetti ricade nelle Regioni dell’Obiettivo 1, anche se i progetti presentati dalle Regioni del Meridione rappresentavano circa il 50% del totale delle proposte; l’area dell’handicap (con 85 progetti, pari a quasi il 58% del totale dei progetti ammessi) prevale nettamente sull’area dello svantaggio e su quella dei rifugiati/immigrati (ciascuna con circa il 16%) e sull’area che ha riguardato utenze di portatori di handicap e disagiate (con circa l’11%); solo nell’area dell’handicap ci sono delle polarizzazioni su alcune Regioni, peraltro tutte del Centro-Nord: Emilia Romagna e Piemonte con 12 e Lombardia con 10; nelle altre aree la distribuzione dei progetti ammessi presenta andamenti sostanzialmente omogenei. Sul piano gestionale si registra la presenza prevalente di Enti di Formazione, con particolare riferimento a quelli di ispirazione cristiana89 (pari a 35%) e quelli di emanazione sindacale (pari al 7%) e di associazioni e cooperative già operanti sul versante delle politiche sociali. Su un piano più qualitativo va sottolineata la grande diversità di azioni realizzate: 87 I promotori di 22 progetti approvati hanno rinunciato a realizzarli. 88 Cfr. anche FELICE A., Risultati e prospettive del volet Horizon, in Osservatorio Isfol 1-2/1999, pp. 393-401. 89 Cfr. ISFOL, Compendium delle iniziative comunitarie Euroform-Horizon-Now, op. cit., pp. 239-314. Si segnala la forte operatività dell’Enaip con 28 progetti. Grafico n. 17 - HORIZON - svantaggiati: progetti presentati e ammessi nelle due fasi storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 92 93 dall’approfondimento sulle problematiche dei target considerati90, alla definizione di nuove o rinnovate figure professionali del mondo del disagio91, dalla ricerca su opportunità e risorse territoriali92 alla formazione (spesso realizzata con sistemi di alternanza e comunque con una pluralità di approcci e metodologie)93 sia alle utenze critiche che agli stessi operatori94; dalla creazione di strutture produttive (cooperative, piccole imprese, ecc.)95 a centri di informazione, consulenza e assistenza96 e campa- 90 Cfr. ad esempio i progetti: Consorzio Intercomunale Affari Sociali (Abruzzo I fase), ENAIP (Calabria II fase) sui disabili, IRES CGIL (Lazio II fase) sui fabbisogni formativi degli operatori per disabili, Associazione La ginestra (Lombardia II fase) su giovani con disabilità psichiche RES (Marche II fase) sui profili sociali nel campo delle tossicodipendenze e dell’Aids. 91 Cfr. ad esempio i progetti: ENAIP (Lazio I fase), per dirigenti e operatori di cooperativa, CEPIM (Liguria I Fase) per formatori di Down IRIFOR per operatori per la riabilitazione di ciechi, ENAIP (Calabria II fase) per operatori di riabilitazione per disabili mentali, ENAIP (Emilia II fase) e Servizio Sociale Internazionale (Puglia II fase) per agenti territoriali di sviluppo sociale, Regione Emilia Romagna per operatore per il recupero socio-scolatico di giovani, AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) (Liguria II fase) per la costituzione di un’equipe multidisciplinare, IAL (Lombardia, Puglia e Veneto II fase) per animatori dell’intervento ergoterapeutico, CEPIM (Lombardia II fase) e Associazione Trisomia 21 (Toscana II fase) terapisti e formatori di soggetti Down, Fondazione Labos (Sardegna II fase) per mediatore istituzionale per l’inserimento lavorativo di soggetti disabili, Cooperativa Humanitas (Toscana II fase) per operatori con disagio psico-fisico, Centro Lavoro Cultura, Comunità di San Girolamo (Umbria II fase) Centro Studi Prisma (Veneto II fase) per educatori polivalenti per l’autonomia e l’integrazione sociale e lavorativa di disabili. 92 Cfr. ad esempio, i progetti: Risposte Esperienze Servizi (Marche I fase) Consorzio Intercomunale, ENAIP (Piemonte I fase), Affari Sociali (Abruzzo II fase), CEDIS (Friuli II fase), IRES-CGIL per operatori che gestiscono le strutture del mercato del lavoro. 93 Ad esempio: programmazione e reticolo Associazione La Nostra Famiglia (Friuli I fase) open learning (AECA, Emilia Romagna I fase), Action learning Cooperativa Progetto Integrazione (Lombardia I fase), sperimentazione programma ASA (arricchimento delle startegua di apprendimento del prof. Buchel) per drop out (Assessorato al lavoro e alla Formazione Professionale, Piemonte I fase), reti multimediali per formazione a distanza (ENAIP Emilia Romagna II fase) percorsi individuali di apprendistato (Provincia Autonoma di Bolzano II fase) laboratori espressivi polivalenti (ENAIP Molise I fase e Calabria II fase) elaborazione di una metodologia di formazione-intervento-valutazione dei risultati per ex tossicodipendenti, formazione a distanza per operatori informatici per disabili. 94 Cfr. ad esempio, i progetti di: Opera don Calabria (Veneto I fase) per operatori di comunità terapeutiche per tossicodipendenti, Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi (Lombardia I fase), CIOFS (Calabria II fase) per formatori di giovani in situazione di disagio, Regione Emilia Romagna per la costituzione di un’èquipe per il governo e la programmazione della formazione nell’area del disagio, AGBD/UNIDOWN, CEPIM/UNIDOWN, ENAIP (Piemonte II fase) Agenzia del Lavoro (Regione Valle d’Aosta II fase) AGBD (Veneto II fase) per operatori sulla sindrome di Down. 95 Cfr. ad esempio, i progetti di: CEPIM (Liguria I fase), La Nuova Cooperativa (Piemonte I fase), costituzione di un’Agenzia per lo sviluppo dell’impresa sociale, Associazione “Progetto per lo sviluppo del Comprensorio Alto Belice-Bosco della Ficuzza, Sicilia I fase) costituzione di imprese sociali, Consorzio Intercomunale Affari Sociali (Abruzzo II fase), Dedalus (Campania II fase) per la creazione di cooperative, Cooperativa Servizi Sociali 4 ottobre (Campania II fase) per la creazione di un’oasi protetta con itinerario archeologico, ENAIP (Emilia Romagna II fase) per la creazione di un’impresa associata nel campo della bigiotteria, ENAIP (Emilia Romagna II fase) per la creazione di un’impresa sociale per compleanni e ricorrenze, STESAM (Puglia II fase) per la creazione di imprese sperimentali secondo le metodologie della ricerca-azione. 96 Cfr. ad esempio i progetti: di Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi (Lombardia I fase) modello operativo di consulenza e orientamento per collocamento lavorativo, ENAIP (Lazio II fase) per la creazione di Poli di assistenza tecnica territoriale per il sostegno all’inserimento lavorativo di disagiati. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 93 94 gne di sensibilizzazione sul territorio97, dalla creazione di banche dati98 a reti di servizi99 e sportelli per il raccordo domanda e offerta100, dall’accompagnamento101 al lavoro alla valutazione sull’occupazione102. 97 Cfr. ad esempio i progetti: CESVIP (Emilia Romagna I fase), Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi (Lombardia I fase), Cooperativa l’Aquilone e I.S.P.I.S (Basilicata II fase) IAL CISL (Provincia Autonoma Bolzano). 98 Cfr. ad esempio i progetti: Assessorato al lavoro e alla Formazione Professionale (Piemonte I fase) per esiti occupazionali e per tirocini, Consorzio servizi Viterbo (Lazio II fase) riguardante la popolazione di immigranti. 99 Cfr. ad esempio i progetti: IAL (Friuli II fase), Servizio Promozione Sociale e Digital (Lombardia e Puglia II fase) CGIL-CISL-UIL (Piemonte II fase) AISM Creazione di gruppi di esperti per consulenze periodiche con patologie evolutive. 100 Cfr. ad esempio, progetti: COIN (Lazio I fase) per la creazione di un’agenzia del lavoro per migliorare le condizioni di successo al mercato del lavoro degli handicappati e supportare il sistema d’impresa sociale, ENAIP (Lazio I fase) poli di assistenza tecnica territoriali, CISL per la creazione di un’Agenzia regionale per favorire l’accesso agli immigrati al mercato del lavoro (Calabria II fase). 101 Cfr. ad esempio i progetti: IRECOOP (Emilia Romagna I fase), CESCOT (Progetto multiregionale: Veneto, Piemonte, Lazio I fase), Associazione persona Down (Calabria II fase), Associazione Trisomia 24 e ENAIP (Toscana II fase), ARIS-IRECOOP (Umbria II fase), ENAIP (Umbria II fase), Agenzia del Lavoro (Regione Valle d’Aosta II fase). 102 Cfr. ad esempio i progetti: CESCOT (Multiregionale: Lazio, Piemonte, Veneto I fase). Tabella n. 6 - Distribuzione regionale e tipologica dei progetti HORIZON ammessi a finanziamento nelle due fasi storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 94 95 3. La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale Alle soglie del 2000, la struttura formale della Scuola Secondaria superiore italiana era ancora quella disegnata negli Anni ’20, ed ereditata senza sostanziali modifiche dall’Italia repubblicana dopo il 1945. L’unica novità di rilievo, rispetto al modello dualistico di Gentile (Licei/Istituti Tecnici), è stato lo sviluppo di un terzo polo, costituito dagli Istituti Professionali di Stato. Nati dopo la Seconda Guerra Mondiale in forma di “cicli brevi” (biennali e triennali) sperimentali all’interno dell’istruzione tecnica, essi si sono consolidati fino a raggiungere una completa autonomia e speci - ficità di ruolo nell’ambito dell’offerta di Istruzione Secondaria Superiore. I provvedimenti “ugualitari” del biennio 1968-1970 (maturità sperimentale, uguale per tutti gli indirizzi di studio quinquennali; prosecuzione sperimentale fino al quinto anno di tutti i cicli di durata inferiore; liberalizzazione degli accessi all’Università) non hanno intaccato la sostanziale diversità né ridotto l’incomunicabilità e la tradizionale gerarchizzazione di questi tre grandi canali, peraltro al loro interno variamente subarticolati e che rispondevano ad un disegno sociale teso a “costruire una robusta fascia di qualificati e diplomati dalla quale attingere i quadri tecnici esecutivi e intermedi da una parte e gli studenti universitari destinati ai ruoli sociali e professionali superiori dall’altra”103. La struttura dei piani di studio, è rimasta praticamente invariata: prevalenza di discipline “umanistiche” nei Licei (compreso il Liceo Scientifico), di discipline tecniche negli Istituti Tecnici e di discipline pratiche negli Istituti Professionali preprogetto ’92. Questa cristallizzazione del sistema scolastico in larga misura è imputabile, negli Anni ’50, alla impossibilità a metter mano ad una riforma impegnativa data la brevità della durata dei governi104, e, nei decenni successivi, alla impossibilità di trovare punti di incontro data la eterogeneità delle coalizioni di Governo, dove i partiti esprimevano posizioni molto divaricanti in materia scolastica105. 3.1. Convergenze, divergenze e schieramenti politici in materia di riforma della Secondaria Nonostante il quadro politico delineato, tentativi di riforma della Scuola si sono verificati in tutte le Legislature. In quelle degli anni 1975-80 per tre volte la riforma venne approvata da un ramo del Parlamento, senza però arrivare mai all’approvazione dell’altro, come abbiamo visto nel vol. II106. 103 Cfr. Rapporto Isfol 1995, p. 260. 104 Si consideri che dal 1950 al 1960 si sono succeduti 11 governi. 105 Il terzo governo Moro (23 febbraio 1966 - 24 giugno 1968) si dimise a causa delle posizioni in materia di finanziamento alla scuola privata tra la DC (favorevole) e gli altri partiti della maggioranza il PSI, PRI, PSDI (contrari). 106 Nella VII legislatura (1976-79) il testo unificato Di Giesi Nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore (denominato “testo di mediazione” tra quelli della DC, PSI, PCI, PRI, PSDI) venne storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 95 96 Nel periodo considerato da questo volume le legislature sono tre: la decima, la undicesima e la dodicesima. In tutte e tre il tema della riforma della secondaria è tra i temi “caldi”. Ma in tutte e tre, le discussioni parlamentari si sono svolte secondo questo canovaccio: posizioni partitiche iniziali differenziate, mediazioni estenuanti con qualche risultato, sospensione delle trattative. I testi presentati dai partiti, all’inizio delle Legislature (in particolare la decima), contengono alcuni punti di convergenza: – la durata dell’istruzione obbligatoria a dieci anni, tutti a tempo pieno; – il prolungamento dell’obbligo e la riforma della Secondaria superiore sono da trattare contestualmente, cioè in un unico provvedimento legislativo. I punti di radicale disaccordo sono solo due. Considerati insieme costituiscono il nodo politico del problema su cui si sono arenati tutti i tentativi di tutte le legislature: – l’inclusione o l’esclusione della Formazione Professionale regionale nell’assolvimento dell’obbligo; – l’affermazione o la negazione su scala nazionale di un principio di parità nel finanziamento di attività pubbliche e private (meglio statali e non statali) nel campo dell’istruzione (principio già accolto su scala regionale). In conclusione le convergenze si realizzano sulla necessità di un prolungamento dell’obbligo, le divergenze, invece, sulle soluzioni per realizzare il prolungamento, che alcuni vorrebbero solo all’interno del Sistema scolastico, altri invece anche al di fuori. Tra i punti condivisi, abbiamo detto, figura il prolungamento dell’obbligo d’istruzione. Molti i motivi, esterni ed interni al Sistema formativo, portavano a questa conclusione. Esterni erano quelli relativi all’adeguamento della durata del nostro Sistema d’istruzione alla stragrande maggioranza di quelli dei Paesi della Comunità Europea, in vista anche della definitiva attuazione del mercato unico. Paesi che si attestavano almeno su 9 anni d’istruzione obbligatoria (Danimarca, Irlanda, Grecia e Germania), quando non su 10 (Belgio, Francia, Spagna) o, addirittura, su 11 (Olanda e Regno Unito), (cfr. Graf. n. 18). approvato alla Camera il 29.9.1978. Trasmesso al Senato ai primi di ottobre fu sottoposto all’esame della Commissione parlamentare competente a partire dal 24 ottobre. Il dibattito, però, fu interrotto dalla fine anticipata della legislatura (19 giugno 1979). VIII legislatura (1979-1983): il testo unificato Casati Nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore statale fu approvato alla Camera il 27.7.1982. Trasmesso al Senato il 29.7.82 fu sottoposto al dibattito della settima commissione che apportò modifiche in diverse ristesure tra ottobre ’82 e marzo ’83. Una versione conclusiva con modeste varianti rispetto al testo della Camera fu approvato solo in Commissione il 30 marzo 1983. Non ebbe esito il tentativo (di DC, PC, PSI e PRI) di far approvare il testo licenziato dalla Commissione in extremis, prima della chiusura anticipata della legislatura. IX legislatura (1983-1987). Sulla scorta dei risultati della legislatura precedente il 21.3.1985 la 7a commissione del Senato mise a punto un testo Nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore statale che fu approvato in aula il 28 marzo 1985. Il testo, trasmesso alla Camera l’11 aprile fu oggetto di dibattito da parte dell’8a Commissione (Presidente Casati). Il dibattito fu interrotto il 26 novembre in seguito a dichiarazioni negative sul testo del sen. Covatta e all’assenza dei deputati del PSI. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 96 97 Nell’elenco non comprendiamo le situazioni di Belgio e Germania che portano l’obbligo fino a 18 anni di età (e quindi 12 anni di durata di istruzione) nel circuito dell’apprendistato. Altro motivo “esterno” al sistema che sollecita l’innalzamento è rappresentato dalla necessità di rispondere alle istanze di più alti livelli di formazione da parte sia dei mutamenti della tecnologia che alla sfida portata al sistema europeo dalla globalizzazione dell’economia. Basti citare a sostegno di questa tesi, sostenuta dalla intera letteratura in materia, quanto afferma il Libro bianco di Delors che individua nell’inadeguato livello dell’istruzione e della Formazione Professionale una delle cause fondamentali della disoccupazione tecnologica nei suoi connotati di fenomeno strutturale. Un altro motivo esterno al Sistema formativo, ma difficile da “dichiarare” in maniera esplicita, è l’allontanamento di un certo numero di giovani dal mercato del lavoro, per non intasarlo ulteriormente in un periodo di non grande assorbimento. I motivi intrinseci, invece, allo stesso sistema sono fondamentalmente due. Il primo è rappresentato dall’obiettivo di consentire alla totalità dei giovani fino ai sedici anni di accostarsi a fonti di conoscenze che, probabilmente, non avranno più modo di incontrare. Il secondo riguarda la tenuta occupazionale degli operatori della scuola, assorbendone l’esubero dovuto sia al calo demografico che si fa sentire, sia alla politica di immissione nei ruoli di larghe schiere di precari per i quali occorre trovare una “sistemazione”107. 107 GARANCINI G., Riforma della scuola secondaria ed elevazione dell’obbligo d’istruzione, in Quaderno di aggiornamento per operatori della Formazione Professionale n. 12 settembre 1991, p. 10. Grafico n. 18 - Durata dell’Istruzione obbligatoria in 10 Paesi della Comunità europea storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 97 98 Osservavamo sopra che i punti di contrasto dei progetti di riforma erano due: l’inclusione o l’esclusione della Formazione Professionale regionale nell’assolvimento dell’obbligo e l’affermazione o la negazione su scala nazionale di un principio di parità nel finanziamento di attività pubbliche e private nel campo dell’istruzione. Annota un commentatore di Professionalità, rivista che da sempre ha sostenuto la tesi della Formazione Professionale come possibile percorso dell’obbligo108: “La prima questione resta sempre in primo piano, la seconda appare e scompare sullo sfondo come un fantasma. La prima è quella di cui si parla a voce alta, la seconda è quella che si canta a bocca chiusa. Una è la strofa, l’altra il ritornello. E il ritornello, per ragioni opposte, è politicamente molto più importante della strofa”109. Ritornello o strofa che siano le due questioni, pur appartenendo a orizzonti problematici diversi e facendo riferimento a Sistemi formativi diversi, hanno un denominatore comune: nell’uno (Enti e CFP d’ispirazione cristiana) e nell’altro caso (scuole gestite, prevalentemente, da congregazioni religiose) i rappresentanti cattolici difendono un impegno di soggetti che vantano origini lontane, invece nel fronte opposto c’è la preoccupazione almeno di contenere tale presenza. in nome di una educazione che si vorrebbe più “laica” possibile. 3.2. I dati del problema del prolungamento dell’obbligo Quanti sono i giovani coinvolti da un eventuale provvedimento che prolunghi l’obbligo? Per rispondere a tale domanda occorre aver stabilito quanti giovani non frequentano almeno dieci anni di formazione, dal momento che c’è una convergenza tra le parti politiche a protrarre l’obbligo a dieci anni. Molte le ricerche che fornivano dati e informazioni in merito e che potevano orientare i legislatori. In questa sede facciamo riferimento, in particolare, all’indagine E.V.A. del - l’Isfol110, che prende in considerazione le singole leve che annualmente escono dai vari livelli formativi e ne esamina la dinamica nei tre anni successivi al conseguimento del relativo titolo. Partendo da una leva di 1.000 licenziati di Scuola Media, l’Isfol rileva che: 190 lasciano la Scuola; 810 proseguono la formazione; durante il biennio 149 sono estromessi e ne rimangono nella formazione 661 (220 nelle Scuole umanistico-scientifico; 75 negli Istituti Professionali; 301 negli Istituti Tecnici; 49 nella Formazione Professionale regionale; 16 in altre Scuole). 108 Cfr. in particolare Professionalità, n. 6 febbraio 1983, Check-up sul ciclo corto, pp. 3-12; n. 7 marzo 1983, Conto alla rovescia; n. 8 aprile 1984, Numero monografico dedicato al nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore statale; n. 1 settembre 1985 Editoriale; n. 1 settembre 1989, Tessere per un mosaico; n. 9 maggio 1988, Numero tematico; n. 8 settembre 1990. 109 ZUCCON G.C., Fortuna o disgrazia, in Professionalità n. 2, marzo-aprile 1991, p. 5. 110 ISFOL, Percorsi giovanili di Studio e di Lavoro (BATTISTONI L., RUBERTOA.) (Edd.), Milano, F. Angeli 1989. Cfr. anche CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1992, F. Angeli, Milano 1992. Il CENSIS registra un tasso di passaggio dalla scuola media alle superiori nell’anno 1990-91 dell’86,5%. Di fronte a questo dato l’elevamento dell’obbligo sembra un provvedimento da adottare per sancire una situazione già di fatto esistente. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 98 99 Puntiamo l’attenzione sull’anno più critico, il “nono anno”, quando il tasso di permanenza nel Sistema formativo subisce un calo molto accentuato in corrispondenza del primo anno di frequenza dopo la scuola media (cfr. Fig. n. 13). La crisi del nono anno brucia, infatti, più del 20% dei giovani che si sono iscritti (cfr. Fig. n. 14). Di questi, soltanto meno della metà tenta di ripetere l’anno. Ebbene, se a quelli che non ripetono (13) sommiamo quelli già entrati in crisi durante la scuola media (8) e quelli che non si sono iscritti ad alcun corso dopo l’esame di licenza (9), otteniamo come risultato che quasi un terzo della popolazione giovanile esce o viene scartata dal Sistema formativo senza averne tratto un beneficio sufficiente. Un’analisi più articolata evidenzia che il maggior numero di respinti – ben il 40% – si riscontra tra coloro che, all’esame di licenza media, sono stati giudicati sufficienti (delicato eufemismo con il quale si chiamano, dopo l’esame, molti di coloro che solo una settimana prima erano ammessi come insufficienti). A questa categoria di ‘sufficienti’ appartiene anche il più basso valore del tasso di passaggio alla secondaria (solo il 75%), (cfr. Fig. n. 15). Figura n. 13 - Percorsi di una leva di giovani nel triennio successivo alla licenza media storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.31 Pagina 99 100 Del restante 25%, una buona parte si iscrive ai corsi regionali di Formazione Professionale. Lo scarto di un terzo di ciascuna leva scolastica dopo nove anni di scolarità è un dato veramente abnorme. Infatti, se traduciamo questi valori relativi in valori assoluti, o meglio in giovani, si può ritenere che un prolungamento dell’obbligo a dieci Figura n. 14 - Percorsi di una leva di giovani negli 8 anni successivi alla licenza elementare Figura n. 15 - Percorsi scolastici e giudizi riportati nell’esame di licenza media storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 100 101 anni, secondo una stima approssimata per difetto, potenzialmente è rivolto a circa 200-250.000 giovani all’anno e, quando si faranno maggiormente sentire gli effetti del calo demografico111, 150-180.000112! Di questi: 100/125.000 drop out del primo anno della Scuola Secondaria superiore, 40/45.000 che scelgono la Formazione Professionale e 60/70.000 che smettono gli studi dopo la terza media. Che cosa accomuna questi centinaia di migliaia di giovani? Sostanzialmente un cattivo rapporto con la scuola. Cattivo rapporto di tanti alunni confermato anche dall’andamento dei tassi di regolarità (cfr. Fig. n. 16). Infatti, dopo dieci anni di scuola (compresi i due anni di prima Formazione Professionale) i ragazzi che stanno ancora studiando senza avere subito bocciature sono, grosso modo, solo la metà di quelli partiti in prima elementare. L’altra metà è composta da circa 35 ragazzi che, come abbiamo visto sopra, sono fuori dal circuito scolastico e da circa 15 che stanno ancora studiando ma in ritardo di uno o più anni (quantificabili nell’ordine di 100-125.000 giovani l’anno, che potrebbero diventare 75-90.000 con il calo demografico). 111 La popolazione italiana è rimasta sostanzialmente invariata tra il 1981e il 2001 (crescita zero), per poi riprendere ad aumentare nel primo decennio del III millennio, soprattutto per via dell’immigrazione. 112 RUBERTO A., Formazione Professionale: sempre più cenerentola del sistema, pro manuscriptu. Figura n. 16 - Tassi di regolarità scolastica Alla licenza elementare arrivano regolari di età 96 alunni su 100. Gli altri 4 arrivano in ritardo. Dopo otto anni di frequenza arrivano alla licenza di scuola media, regolari di età, solo 80 ragazzi su 100. Altri 12 conseguono la licenza in ritardo di uno o più anni. Almeno 8 abbandonano la scuola senza aver concluso la media inferiore. Dopo dieci anni di frequenza concludono regolarmente il biennio della Scuola Secondaria superiore e della FP solo 50 ragazzi sui 100 partiti in prima elementare. Circa 15 ragazzi sono ancora in situazione formativa, ma in ritardo di uno o più anni. Gli altri 35 o sono già usciti dal Sistema formativo o usciranno alla fine del secondo anno. Dopo dodici anni di frequenza gli studenti regolari di età si riducono a meno di 40. Circa 10 sono in ritardo. Circa la metà non è più in formazione. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 101 102 I 200-250.000 giovani che abbandonano la scuola e i 100-125.000 che hanno avuto un percorso scolastico non lineare sono, in larga prevalenza, giovani che rifiutano la scuola, perché sono stati da essa rifiutati. Rifiutati perché, secondo il metro scolastico, ritenuti non intelligenti, o come si legge nei giudizi di orientamento alla fine della scuola media “non hanno capacità” o, peggio ancora, perché “non hanno rivelato attitudini”. Ma quali capacità? Quali attitudini? Quale intelligenza? 3.3. Il cuore del problema: l’identità specifica della Scuola e della Formazione Professionale Sfortunatamente, il modello di intelligenza che la scuola apprezza è uno solo, mentre nelle attività umane intervengono due tipi di intelligenza. Qui tocchiamo il punto nevralgico della differenza strutturale della Scuola e della Formazione Professionale, quello che, a nostro avviso, identifica l’una e l’altra, senza ridurre l’una all’altra. Merita, pertanto una breve digressione. Pur con le necessarie cautele nei confronti di discorsi potenzialmente riduzionistici, si può affer mare che nell’attività umana sono compresenti due “momenti”, uno conoscitivo e l’altro operativo. Il primo caratterizza l’attività scientifica, il secondo quella tecnologica. È vero che le due forme di attività sono complementari. Ma è anche vero che tra queste due forme sussiste una differenza di natura ed è proprio questa differenza che fonda la loro complementarietà. La scienza ha come obiettivo il progresso della conoscenza, la tecnologia ha come obiettivo la trasformazione della realtà data. La scienza mira ad acquisire nuove informazioni sulla realtà, la tecnologia tende ad immettere informazione nei sistemi esistenti. Più precisamente, la scienza tenta di elaborare sistemi esplicativi e predittivi, la tecnologia interviene nel corso delle cose, sia per impedire che certi stati o eventi si producano, sia per far apparire stati o eventi che non apparirebbero spontaneamente. Non è difficile applicare queste considerazioni al confronto tra momento conoscitivo (scolastico) e momento operativo (professionale) dell’attività formativa rivolta all’uomo. Nella analogia si conservano sia la distinzione che la interazione trai due momenti. È su questa base teorica che si possono fondare sia l’identità specifica dei due percorsi formativi, sia la loro pari dignità. Il primo, quello scolastico, è prevalentemente finalizzato alla conoscenza, il secondo, quello professionale, è prevalentemente finalizzato alla operatività. Due vie di pari dignità, non più gerarchizzate (come si usa dire oggi, in serie A e in serie B) perché progettate sulla base di uguali criteri di continuità, di complementarità e di apertura fino ai gradi più elevati della formazione. Abbiamo usato in modo intenzionale la locuzione “percorso formativo prevalentemente finalizzato a...”. Infatti, l’esistenza di due distinti percorsi formativi, Scuola e Formazione Professionale non richiede che nel primo ci si proponga di realizzare solo le possibilità dell’intelletto e nel secondo solo quelle della mano. I due aspetti non sono separabili, perché non si dà educazione al conoscere senza educastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 102 103 zione all’operare e viceversa. Di conseguenza, nessuna esperienza di apprendimento dovrebbe rimanere allo stato di pura rappresentazione mentale, così come non dovrebbe rimanere allo stato di puro addestramento al fare. La non separabilità e quindi l’interazione dei due momenti ha, dunque, un significato preciso dal punto di vista didattico e trova un fondamento nella forte interazione che i due momenti hanno nell’attività scientifica e tecnologica. Ma ciò non equivale a dichiarare la loro identità. Conoscere ed operare, come abbiamo visto, si distinguono nettamente per gli obiettivi che perseguono. Una analoga distinzione si instaura tra Scuola e Formazione Professionale. Qualche esempio, da intendere ovviamente nell’ottica della prevalenza. Nella Scuola il piano formativo è centrato sulle discipline teoriche, nella Formazione Professionale lo stesso piano è centrato sulle tecnologie applicate. Nella Scuola il paradigma “normativo” è il programma, nella Formazione Professionale il centro propulsore è il progetto. Nella Scuola l’archetipo del corsista è lo studente, nella Formazione Professionale è l’apprendista. Nella Scuola il luogo dove si apprende è l’aula, nella Formazione Professionale il luogo di apprendimento è il laboratorio- bottega-reparto113. Tornando alla fisionomia della Scuola italiana, non possiamo non considerare come abbia privilegiato esclusivamente una intelligenza “conoscitiva” (linguistica, logica, matematica, scientifica) e ritenere una intelligenza “prevalentemente” operativa non all’altezza dei suoi percorsi didattici e quindi la Formazione Professionale solo chiamata a gestire “gli scarti” del sistema scolastico. Per questo correttamente il Rapporto Isfol osserva che “[…] del tutto fuori dal campo di attenzione dell’offerta di istruzione secondaria è rimasta di fatto fino ad oggi la fascia più debole della popolazione scolastica”114. È evidente allora che a questa fascia debole “la scuola deve apparire come il letto di Procuste che fa soffrire oppure come una boutique dove si possono sì comperare bei vestiti, ma non quelli desiderati”115. Ragazzi, in gran parte vittime di un sistema che non offre sufficienti alternative di formazione. E offrire alternative significa differenziare i percorsi per valorizzare le attitudini le aspirazioni le diverse intelligenze. È quanto sosteneva anche il direttore generale dell’Isfol, Alfredo Tamborlini, nella relazione al Convegno Nazionale sullo stato della Formazione Professionale in Italia. Dopo aver costatato le consistenti perdite del sistema scolastico, determinate dalla incapacità di molti giovani, portatori di un domanda di formazione diversa, ad 113 Cfr. ZUCCON G.C., Meno scuola più FP, in Professionalità n. 39, maggio-giugno 1997, p. 4. 114 Cfr. Rapporto Isfol 1955, p. 260. 115 Cfr. ZUCCON G.C., Come investire in formazione 5. Obbligo a 18 anno e almeno una qualifica, in Professionalità n. 39, luglio-agosto 1994, p. 13. In precedenza l’autore aveva affermato: “Il modello che la scuola apprezza è unico. È un modello medio inclinato in ogni direzione, versatile e versato in tutto, che non presenta una particolare disposizione per nulla. Un modello che penalizza i diversi (compresi i superdotati) e che spesso cancella attitudini specifiche o stronca legittime aspirazioni. Un modello che premia molto di più chi ha una intelligenza media diffusa (e linguistica e logica e matematica e scientifica e ...), ma molto di meno chi ha una intelligenza prevalente specifica (o operativa o spaziale o corporea o musicale o ...)”. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 103 104 adattarsi alle logiche e ai paradigmi rigidi della scuola, parla della necessità di una differenziazione del prodotto da parte del sistema formativo. “Il sistema scolastico, non solo perde per strada parte dei suoi utenti, ma ne rende complessa ad una rilevante quota l’utilizzazione dei suoi servizi. La scuola è un’istituzione rigida, con regole ben definite, una disciplina codificata ed il ragazzo deve adattarsi al sistema… La significatività, la pervasività e la pericolosità sociale conseguente al fenomeno rende necessario indagare se gli esclusi, coloro cioè che non si adattano al percorso scolastico, con i suoi ritmi e le sue regole, siano da condannare e da emarginare o non siano invece dei portatori di una domanda di formazione diversa da quella offerta e perpetuata nel sofisma della quasi-certezza del sistema scolastico attuale… Ritengo comunque che 1’azienda formativa debba tener conto delle esigenze di una domanda forse di non semplice decodificazione, ma i cui tangibili effetti, rendono necessario un progetto di possibile differenziazione del prodotto”116. Se i “dati” fossero stati tenuti presenti i legislatori avrebbero avuto la consapevolezza che: – innalzare l’obbligo non significava aggiungere per tutti i ragazzi altri due anni di istruzione dopo la scuola media e tanto meno altri due anni di Scuola Secondaria superiore; – occorreva decidere quali ulteriori percorsi formativi fosse bene offrire al 40% dei ragazzi (e non ad una piccola percentuale) che non avrebbero mai completato, in condizioni di obbligo, un biennio di secondaria. Come si vede la posizione di chi reclamava un posto al sole per il sistema regionale di FP, relegato nella penombra dei piani bassi dell’edificio della formazione italiana, non costituiva una mera difesa dell’esistente. 3.4. Un problema antico: giudizi e pregiudizi sulla Formazione Professionale Il problema era molto più ampio e potremmo aggiungere, molto più antico. Il fatto è, infatti, che nel nostro Paese, come abbiamo ripetutamente affermato, si è sempre considerata la Formazione Professionale come fuori del sistema di istruzione, travolgendo così, sulla base di una serie di pregiudizi lo stesso impianto costituzionale117. La storia del sistema d’istruzione in Italia è quanto di più “borghese” si possa ricostruire. Esso si è sempre venuto strutturando, fin dai suoi esordi nella legislazione piemontese, alle esigenze di una parte limitata della popolazione, formata essenzialmente dalla borghesia delle professioni e della burocrazia, ed alle esigenze di una parte limitata del mondo politico e sociale, la parte consentanea a tali settori professionali e burocratici, con qualche “concessione” alla borghesia dei commerci. La conseguenza di ciò è stata una sostanziale sottovalutazione, quando non un 116 TAMBORLINI A., Uno spazio politecnico per una polis formativa, in Professionalità, settembre ottobre 1993, n. 17, pp. 7-16. 117 Cfr. Vol. I, Premessa, La Formazione Professionale nella Costituzione Italiana, pp. 13-16. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 104 105 sostanziale abbandono, del “resto” della popolazione, e segnatamente le grandi masse contadine prima e quelle del mondo del lavoro artigianale e industriale poi. Fuori del sistema dei poteri, la Formazione Professionale è stata da sempre lasciata all’iniziativa privata (o più correttamente del privato-sociale) e locale; non è stata inserita nella struttura istituzionale e, soprattutto, non ha avuto mai quel livello di accoglienza sociale che ha avuto, invece, il sistema scolastico. E anche quando la struttura scolastica si è “dovuta” impegnare nel settore, con la scuola di “avviamento” prima e con l’istruzione professionale poi, questi segmenti del sistema sono stati sempre considerati, soprattutto a livello di cultura diffusa, secondari, laterali, quando non decisamente marginali ed emarginati. Ne è uscita una frattura tra scuola e lavoro, tra cultura scolastica e cultura del lavoro, in fondo tra cultura e lavoro che, se rispecchia alcune caratteristiche non proprio raccomandabili della storia della cultura italiana, ha creato e crea non poco distacco tra la scuola e la cultura scolastica italiane e le corrispondenti scuole e culture scolastiche della maggior parte degli Stati europei118. In questo quadro di sottovalutazione della cultura del lavoro è chiaro, allora che l’istruzione professionale tende ad assumere caratteristiche tali che la rendano meno sgradevole al sistema scolastico con tentativi di licealizzazione o comunque di irrobustimento della aree umanistiche dei percorsi, mentre la FP, mantenuta rigorosamente fuori dai sacri recinti della Scuola viene sottovalutata, quando non villipesa. Questa sottovalutazione della cultura del lavoro e quindi dell’ostracismo nei confronti della filiera che più di ogni altra si faceva portatrice di quella cultura era riscontrabile anche nelle opinioni di quanti operavano nel sistema formativo nazionale (Scuola più Formazione Professionale), come risulta da alcune ricerche di quegli anni. Un’indagine del 1988119 – realizzata dal centro Studi ricerche sperimentazione del CNOS-FAP costituito presso gli istituti di Didattica e di Sociologia della facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università Pontificia Salesiana 118 Così sottolineava giornalisticamente Francesco Alberoni: “La cultura della nostra Scuola è ancora in ampia misura idealistica e anticapitalistica. Qualche volta anche antindustriale. Disprezza le attività pratiche, volgari, la fabbrica, il commercio, il mercato, i consumi. E insofferente dei vincoli del calcolo economico, dei programmi, della misura costi-benefici”, cit. in «Rassegna CNOS», anno 6, n. 2/1990, p. 6. Cfr. anche GARANCINI G., Formazione Professionale tra Persona, Società, Istituzioni: “Schermandosi dietro un malinteso orgoglio di classe, per cui tutto ciò che concerne il “lavoro” riguarda esclusivamente i “lavoratori” intesi come “classe operaia”, i conservatori di tutte le specie e di tutti i colori hanno avuto buon gioco finora a mantenere una separazione ideologica e classista tra scuola e FP. Separazione che era stata superata all’inizio degli anni Sessanta con l’introduzione della scuola media inferiore unificata (anche se penalizzando le funzioni di prima introduzione o avviamento professionale), e che rimane invece tutta intera nel suo risvolto anche odiosamente penalizzante per quel che concerne la formazione dopo la licenza di scuola media inferiore, fino a indurre a considerare la FP una sorta di contenitore residuale di quei giovani che «non ce la fanno» a frequentare a scuola secondaria superiore (da parte sua sempre più astratta e meno professionalizzante, in tutti i sensi, e sempre più dimensionata su una funzione propedeutica allo studio universitario di massa)”. 119 MALIZIA G., PIERONI V., CHISTOLINI S., I percorsi formativi della scuola e della FP; problemi e prospettive, parte II: Professionisti a confronto: Operatori nella Formazione Professionale e Docenti nel biennio. In «Rassegna CNOS», n. 3/1999, pp. 105-110. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 105 106 di Roma – ha sondato le opinioni degli operatori della FP su innalzamento dell’obbligo e possibilità di assolverlo nel sistema regionale. Il 70,8% è favorevole all’innalzamento dell’obbligo e di questo l’86,9% ritiene che esso possa essere soddisfatto anche con la frequenza di corsi di FP. Il 76% tra i sostenitori del prolungamento dell’obbligo ritengono che questi forniscano una cultura sufficiente per un buon inserimento nel mondo del lavoro e nella società120. Un’altra indagine, realizzata dal CENSIS nel 1991121, ha rilevato che l’88% dei presidi degli Istituti Professionali ritiene positivo l’innalzamento dell’obbligo scolastico, ma solo il 30% che l’innalzamento possa essere assolto nella FP. Il 70% dei presidi, che ha bocciato la formazione regionale come canale per la soddisfazione dell’obbligo, ha addotto la motivazione che la FP non fornisce una preparazione culturale adeguata (48,6%) o che il suo compito è quello di fornire una specializzazione ulteriore (31,4%). La ricerca del CNOS-FAP menzionata ha anche posto le stesse domande ad un campione di docenti del biennio della Scuola Secondaria superiore. Alla prima domanda sull’opportunità di innalzare l’obbligo si è pronunciato a favore il 62,6% ma, alla seconda domanda che riguardava l’obbligo assolto anche nel sistema regionale, le risposte postive sono scese al 45%: infatti, secondo i docenti la FP: “non dà gli stessi livelli di maturità della scuola” (51%) e i corsi “non offrono itinerari formativi pedagogicamente validi” (82,5%). Le indagini menzionate ci consegnano questo quadro conoscitivo: gli operatori della FP hanno la consapevolezza di far parte di una filiera che ha pari dignità con quelle scola- 120 Il 71,3% ritiene, inoltre, che i corsi di FP siano i più idonei per chi ha attitudini operative e il 51,4% e che svolgano una importante funzione di recupero. 121 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1991, F. Angeli, Milano 1991, pp. 160- 163. Grafico n. 19 - Opinioni di un campione di presidi IPS, docenti del biennio della Secondaria Superiore e degli operatori dei CFP favorevoli all’innalzamento dell’obbligo e alla possibilità di assolverlo anche nella FP Fonte: CENSIS e CNOS-FAP storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 106 107 stiche; i presidi degli IP declassano la formazione rispetto all’istruzione professionale per carenze di carattere culturale e per la sua funzione esclusiva di fornire specializzazioni rispetto a una formazione di base; i docenti del biennio ritengono la FP un fenomeno formativo carente di spessore pedagogico nel suo percorso e inferiore rispetto alla scuola nei suoi esiti educativi. Scarsa conoscenza della FP regionale? Concorrenzialità? Certo. Ma che giudizi e soprattutto pregiudizi che si perpetuano. 3.5. Tentativi di riforma della Secondaria nella decima Legislatura (1987-92) In questa Legislatura si susseguono quattro Governi presieduti da Goria122 (28 luglio 1987 - 13 aprile 1988), De Mita123 (13 aprile 1988 - 19 maggio 1989), Andreotti124 VI (22 luglio 1989 - 12 aprile 1991) e Andreotti VII (12 aprile 1991 - 28 giugno 1992). Il governo Goria e il sesto di Andreotti sono il prodotto di maggioranze di pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI), quello di De Mita e il settimo di Andreotti sono espressione di un quadripartito (DC, PSI, PSDI, PLI). Con il cambiamento dei Governi variano anche i Ministri della PI: Galloni125 nei Governi 122 On.le GIOVANNI GIUSEPPE GORIA (1943-1994) è stato il più giovane Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana (28 luglio 1987-13 aprile 1988). Eletto alla Camera dei deputati nel 1976 nella DC, è sottosegretario al Bilancio, Governo Spadolini, ripetutamente Ministro del Tesoro. Eletto al Parlamento europeo nel 1989, si dimette nel 1991 per diventare Ministro dell’Agricoltura e foreste e Ministro delle Finanze. 123 On.le LUIGI CIRIACO DE MITA (1928) è stato Presidente del Consiglio dei Ministri, Segretario nazionale, Presidente della DC e tre volte Ministro (del Mezzogiorno, Commercio Internazionale, Industria). Deputato dal 1963 al 2008 ed eurodeputato dal 2009, dopo la DC ha fatto parte del PPI e della Margherita e dal 2008 dell’UDC. Aveva inizialmente aderito al progetto del PD. Allontanato per via dello statuto del PD che puntava a un rinnovo della classe politica, ha aderito all’UDC. 124 On.le GIULIO ANDREOTTI (1919-2013) è stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, protagonista della vita politica italiana per tutta la seconda metà del XX secolo. È stato il 16º, 19º e 28º Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. Ha ricoperto più volte numerosi incarichi di Governo: 7 volte Presidente del Consiglio (tra cui il governo di “solidarietà nazionale” durante il rapimento di Aldo Moro, 1978-1979, con l’astensione del PCI e il governo della “non-sfiducia” (1976-1977) con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, al dicastero del Lavoro); 8 volte Ministro della Difesa; 5 volte Ministro degli Esteri; 3 volte Ministro delle Partecipazioni Statali; 2 volte Ministro delle Finanze, Ministro del Bilancio e Ministro dell’Industria; una volta Ministro del Tesoro, Ministro dell’Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli 34 anni), Ministro dei beni culturali (ad interim) e Ministro delle Politiche Comunitarie. È sempre stato presente dal 1945 in poi nelle assemblee legislative italiane: dalla Consulta Nazionale all’Assemblea costituente, e poi nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991 e successivamente come senatore a vita. 125 On.le GIOVANNI GALLONI (1927), professore universitario, è stato tra i fondatori della corrente di sinistra della DC. Fu anche vicepresidente del partito e 2 volte vicesegretario, nel 1965 e nel 1977. È stato direttore de Il Popolo (1982-1986) e membro (1990-1994) del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), di cui fu vicepresidente fino alla revoca dell’incarico (1991) da parte dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 107 108 Goria e De Mita, Mattarella126 e Bianco127 nel VI Governo Andreotti e Misasi128 nel VII Governo Andreotti. Come si può notare dal Prospetto 8, la partita della riforma della secondaria e del prolungamento dell’obbligo si gioca tutta al Senato. Infatti, l’unico partito, il P.R.I., che aveva presentato un suo progetto di legge alla Camera, con l’on. Castagnetti, lo fa presentare al Senato dall’on. Gualtieri. Il Prospetto riporta il nome di due senatori democristiani, Manzini e Mezzapesa, come primi firmatari di due diversi disegni di legge. Ma qui la storia delle vicende parlamentari si fa complicata. La proposta Mezzapesa è stata presentata in un primo momento (marzo 1990) come testo di sintesi dei diversi disegni di legge presentati dai partiti. Successivamente, a seguito della protesta dei senatori del PCI, che non vi si riconoscevano, la proposta è stata ripresentata con lievi ritocchi in forma di disegno di legge autonomamente predisposto dallo stesso senatore Mezzapesa e su di essa si è sviluppato il dibattito parlamentare nel corso della restante parte della legislatura, fino al febbraio 1992. 126 On.le SERGIO MATTARELLA (1941), esponente della DC, diviene Deputato dal 1983 e, successivamente, Ministro dei rapporti con il Parlamento e della pubblica istruzione, da cui si dimise, nel governo presieduto da De Mita, dopo l’approvazione della Legge Mammì sulla “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”. Direttore del quotidiano Il Popolo (1992-1994)Mattarella è stato uno dei principali rappresentanti del rinnovamento della DC che portò alla formazione del Partito Popolare Italiano. Ha il suo nome la riforma della legge elettorale in senso maggioritario (giornalisticamente nota anche con l’appellativo di Mattarellum) approvata nell’agosto del 1993. Nel 1996, con la nuova legislatura a maggioranza ulivista, viene eletto capogruppo dei deputati popolari. Durante il Governo D’Alema I ha assunto la carica di vicepresidente del Consigliomentre nei successivi Governo D’Alema II e Governo Amato II è stato Ministro della Difesa. Nel 2001 viene rieletto alla Camera dei deputati nelle liste della Margherita. Alle elezioni politiche del 2006 è riconfermato deputato per la lista dell’Ulivo. Il 5 ottobre 2011 è stato eletto giudice della Corte costituzionale dal Parlamento in seduta comune. 127 On.le GERARDO BIANCO (1931) è stato deputato in diverse legislature (V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XIV e XV) dal 1968 al 2008. Nel 1994 venne eletto deputato europeo a Strasburgo del PPI. Nel 1995 si è schierato contro Rocco Buttiglione, segretario del PPI che aveva deciso di allearsi con il centrodestra in occasione delle elezioni regionali. Bianco raccolse intorno a sé una parte del centro e tutta la sinistra del partito, ottenendo che l’assemblea nazionale bocciasse la decisione del segretario. Nei giorni successivi la votazione fu annullata dal collegio dei probiviri, ma la metà del PPI facente capo a Bianco procedette per vie legali ordinarie ed elesse lo stesso Bianco segretario. A seguito di mesi e mesi di vertenze giudiziarie alla fine i “due segretari” del PPI raggiunsero un accordo per il quale i seguaci di Bianco conservarono il nome del partito (PPI) mentre quelli di Buttiglione mantennero lo storico simbolo dello scudocrociato. Bianco ha guidato il partito per tre anni contribuendo alla nascita dell’Ulivo. Nel novembre 2004 ha fondato, insieme agli onorevoli Alberto Monticone e Lino Duilio il movimento Italia Popolare - Movimento per l’Europa. Per le elezioni politiche 2006 è stato rieletto alla Camera dei deputati nella lista dell’Ulivo, ma non ha condiviso la scelta di dar luogo al PD. Pur rimanendo inizialmente nel gruppo parlamentare del PD, lo ha lasciato il 15 febbraio 2008, dopo aver aderito al progetto centrista della Rosa per l’Italia, svincolato dai poli. Subito dopo è stato escluso dalle liste dei candidati dell’UDC, cartello elettorale di UDC e Rosa Bianca. 128 On. RICCARDO MISASI (1932-2000), eletto deputato con la DC, a soli 26 anni. È stato Ministro della Pubblica Istruzione (1970-1972 e 1991-1992). Ministro degli interventi straordinari per il Mezzogiorno durante il Governo Andreotti VI, se ne dimise il 26 luglio 1990 per protestare contro l’approvazione della Legge Mammì, sulla “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 108 109 Il prospetto, inoltre, riporta i disegni di legge di due parlamentari che hanno fatto parte del PCI prima e del PDS129 dopo: Chiarante (testo del settembre 1987, in cui figura tra i proponenti Alberici) e Alberici (testo del 1991, in cui figura tra i proponenti Chiarante). Mentre il DDL Chiarante si occupa sia dell’innalzamento dell’obbligo che del riordino della Scuola Secondaria superiore, quello della Alberici si limita all’innalzamento dell’obbligo. Il MSI-DN è l’unico partito ad avere due progetti di legge, anche se con lo stesso primo firmatario: l’on. Filetti. I due progetti riguardano la revisione del sistema d’istruzione dalle elementari alla scuola media superiore: il primo provvedimento, infatti, riguarda la scuola dell’obbligo e la scuola del lavoro, il secondo, invece, il nuovo ordinamento della Scuola Secondaria superiore. Per quanto riguarda il progetto del PSI va evidenziato che il testo, di cui primo firmatario è l’on. Manieri, riproduce alla lettera il disegno di legge già presentato al 129 Il 3 febbraio 1991 a Rimini a conclusione del XX Congresso del Partito Comunista Italiano, la maggioranza sancisce lo scioglimento del PCI e la confluenza nella nuova organizzazione denominata PDS. Simbolo del nuovo partito era un albero, la cosiddetta quercia, con ai piedi il logo rimpicciolito del PCI. In continuità col PCI, il primo segretario fu Achille Occhetto, sostituito nel 1994 da Massimo D’Alema. Prospetto n. 8 - Progetti di riforma della Scuola Secondaria superiore nella decima Legislatura storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 109 110 Senato dai socialisti, primo firmatario il sen. Luigi Covatta (atto n. 1709 del 06.03. 1986) nella precedente nona legislatura, dopo la rottura dell’accordo di maggioranza verificatasi alla fine del 1985. Cerchiamo di studiare più da vicino questi disegni di legge, operando una distinzione fondamentale tra quelli per i quali l’assolvimento dell’obbligo si consuma all’interno del sistema scolastico e quelli per i quali l’assolvimento dell’obbligo può essere realizzato anche nel sistema di Formazione Professionale regionale. 3.5.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PCI, PSI, PRI, MSI-DN) a) Il DDL del Partito Comunista La proposta del Partito Comunista, primo firmatario Chiarante130 contiene disposizioni sia per l’innalzamento dell’obbligo, sia per il riordino della Scuola Secondaria superiore, come peraltro indica il titolo del DDL n. 428. Le finalità della Scuola Secondaria superiore consistono: nell’assicurare la piena realizzazione individuale e una consapevole partecipazione alla vita democratica e nel fornire una formazione culturale ed una preparazione professionale di base che consentano sia l’accesso agli studi superiori sia l’inserimento nel mondo del lavoro. Per raggiungere tali obiettivi è necessario far riferimento ad un sistema formativo integrato, nel quale ogni segmento mantiene caratteristiche proprie e in cui, tuttavia, la scuola pubblica continua a svolgere un ruolo centrale. La durata della secondaria è fissata in 5 anni, articolata in un biennio unificato iniziale e in un triennio successivo. L’obbligo viene innalzato al 16° anno di età e si assolve con la frequenza del biennio, si è comunque prosciolti dall’obbligo con la frequenza di almeno 10 anni e il conseguimento della licenza media. Il biennio unificato e obbligatorio è chiamato a svolgere una funzione di cerniera tra scuola media e triennio, avendo come obiettivi l’innalzamento della preparazione culturale di base e l’orientamento. Il biennio è qualificato da una relazione flessibile tra una forte area comune e un ambito di orientamento131 “sia per gli studi successivi sia per il lavoro” (art. 4 130 On. GIUSEPPE CHIARANTE (1929-2012) Si forma nell’ala della Democrazia Cristiana capeggiata da Giuseppe Dossetti, caratterizzata dalle posizioni più progressiste. Nel 1955, a seguito di un duro scontro con la segreteria di Amintore Fanfani, lascia la DC e assieme al gruppo dell’intellettuale Franco Rodano promuove la nascita del settimanale Il Dibattito politico. Nel 1958, abbraccia la cultura politica marxista e approda al PCI. Dal 1972 al 1979 Chiarante è stato deputato per il PCI, mentre dal ‘79 fino al 1994 ha ricoperto il ruolo di senatore. È stato anche direttore di Rinascita e Critica marxista. Nel congresso del PCI del 1989 si oppose alla Svolta della Bolognina intrapresa dal segretario Achille Occhetto. Ciò nonostante, Chiarante è rimasto nel partito erede del PCI, il Partito Democratico della Sinistra (PDS). Quando il Governo di Massimo D’Alema (presidente dei DS, già PDS) decide di sostenere la guerra del Kosovo, Chiarante abbandona i DS e entra a far parte dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (ARS). 131 Sul piano concreto l’organizzazione del curricolo prevede che tre quarti dell’orario siano destinati all’area comune e un quarto alla formazione di orientamento. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 110 111 comma 2) che si concretizza in “moduli didattici di materie afferenti i quattro settori del triennio” (art. 4 comma 3). Il biennio si conclude con un esame il cui superamento viene attestato da un diploma che diviene titolo per l’inserimento nel mondo del lavoro, per l’iscrizione alla Formazione Professionale e per l’ammissione al triennio della secondaria132. Il triennio è organizzato in 4 settori conoscitivi e operativi: visivo musicale; linguistico letterario; delle scienze sociali; delle scienze matematico-naturalistiche133. Gli esami di diploma al termine del triennio hanno valore di esame di Stato, presentano una valutazione a doppia certificazione e consentono il passaggio all’università in un corso di laurea o di diploma coerente con il settore di studi frequentato. Il Ministero della Pubblica Istruzione e le Regioni dovranno procedere a determinare i criteri in base ai quali potranno essere concluse convenzioni aventi per oggetto l’impiego reciproco di sedi e attrezzature didattiche e l’utilizzazione del personale. Gli obiettivi a cui finalizzare la collaborazione consistono: “nella realizzazione di corsi di FP in raccordo con le uscite dal ciclo biennale o triennale della Scuola Se- 132 La valutazione contempla una doppia certificazione e per le materie dell’area comune e per l’attività modulare, in modo da assicurare il massimo di flessibilità nell’impiego del titolo. 133 Entro ciascun settore è data allo studente la possibilità di scegliere nell’ambito di un determinato numero di piani di studi. Questi a loro volta consistono in moduli didattici e si articolano in un 50% almeno di ore di insegnamenti comuni a tutti gli studenti, in un 25% di insegnamenti comuni a ciascuno dei 4 settori e in un 25% di ore di insegnamenti specialistici. I programmi di area comune sono eguali per tutti i settori. La flessibilità dei percorsi formativi è garantita dalla possibilità di optare tra due o più moduli formativi entro lo stesso piano di studi e di scegliere un piano di studi diverso da quello precedentemente seguito integrandolo opportunamente. Inoltre le scuole, avvalendosi dell’autonomia didattica, giuridica e amministrativa, da riconoscere con apposita legge contestuale, possono arricchire, innovare e integrare i piani di studio con la sperimentazione metodologico didattica e di ordinamenti e strutture. I collegi docenti nel procedere alla programmazione didattica collegiale decideranno forme di intervento didattico innovativo, integrativo ed effettivo in relazione alla personalizzazione dell’azione educativa e al sostegno del recupero. Figura n. 17 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PCI storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 111 112 condaria superiore; nell’attuazione di corsi di FP su moduli integrativi la cui acquisizione costituisca credito formativo per il conseguimento di attestati di qualità specifici, aggiuntivi e successivi alla certificazione scolastica; nello sviluppo delle attività di FP; nella cooperazione tra sistema della scuola secondaria superiore e sistema di Formazione Professionale regionale” (art. 9, comma 2). Con norme apposite verranno istituiti corsi post-secondari nell’ambito regionale, universitario scolastico per il conseguimento di qualifiche, opportunità e specializzazioni non ottenibili direttamente nel corso quinquennale. Vogliamo segnalare gli aspetti positivi del progetto comunista. L’obbligo viene prolungato ai 16 anni e il proscioglimento è condizionato al conseguimento della licenza media. Si mira a un forte potenziamento del livello degli studi: più in particolare i percorsi formativi vengono fondati sopra le basi, sìa dello sviluppo delle conoscenze, sia di una professionalità concepita come possesso degli strumenti necessari per operare nei diversi settori dell’attività umana; inoltre, tali iter sono organizzati in maniera flessibile. Il modello rigido di una secondaria solo quinquennale viene superato mediante la previsione di uscite e rientri e delle condizioni per il loro successo. Viene sancito il principio dell’autonomia delle singole unità scolastiche e della loro partecipazione attiva all’innovazione didattica. b) Il DDL del Partito Socialista I socialisti sono stati i primi che, di fronte alle difficoltà di varare una riforma della secondaria superiore, hanno deciso di ripiegare sull’elevazione dell’obbligo senza comunque rinunciare nel lungo periodo all’obiettivo di un riordino generale della Scuola Secondaria superiore. Il DDL, primo firmatario on. Manieri134, sancisce il prolungamento a complessivi dieci anni e, tenuto conto della necessità e dell’urgenza della misura, tenta di ridurre al minimo i tempi per la sua realizzazione. L’obbligo si assolve esclusivamente in un biennio scolastico unitario: in altre parole i primi due anni della Scuola Secondaria superiore costituiscono l’unico canale formativo senza confusioni e sovrapposizioni di competenze con l’ambito di azione delle Regioni, che va concepito come susseguente alla formazione dì base e non come parallelo o alternativo. Le finalità del biennio sono quelle della secondaria superiore: si mira contemporaneamente “all’elevazione culturale” e “all’orientamento scolastico e professionale” (art. 1). Praticamente la proposta socialista modifica i primi due anni del quinquennio vigente, lasciando invariati gli altri tre. Il corso di studi del biennio comprende un’area di materie comuni, corrispondenti di norma a tre quarti dell’orario scolastico complessivo, ed un’area di indirizzo, costituita da due discipline di studio afferenti uno di questi 5 settori: delle arti; umanistico; delle scienze sociali e dell’informazione; tecnologico-scientifico; tecnologico-professionale. La struttura dei piani di studio comprende oltre alle materie dell’area comune e di settore anche la pratica di laboratorio. La scelta del settore viene compiuta all’inizio del primo anno; il cambiamento di tale opzione al termine sempre del primo 134 On. MARIA ROSARIAMANIERI (1943) pugliese è stata ininterrottamente eletta al Senato dalla X alla XIV legislatura. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 112 113 anno implica la frequenza con esito positivo di corsi integrativi. Inoltre, in ciascuna scuola secondaria devono essere attivati almeno due settori. La formazione delle classi risponde all’obiettivo di equilibrarne la distribuzione interna sul piano socioculturale. La composizione-base è quella relativa all’insegnamento delle materie comuni e viene stabilita indipendentemente dal settore scelto. Il DDL recepisce il principio della natura indicativa dei programmi, in modo da consentire la valorizzazione della libertà sia di insegnamento sia di ricerca e di sperimentazione didattica. A questo fine è riconosciuta la possibilità di attuare i programmi in forma modulare, infra-annuale o per unità di studio. Al termine del biennio viene previsto il rilascio di un certificato attestante la valutazione degli studi, che è di competenza esclusiva dell’autorità scolastica. Il giudizio interamente positivo consente la prosecuzione degli studi nel triennio della secondaria in un indirizzo coerente con il settore frequentato, o anche in uno differente, purché siano state superate opportune prove; inoltre, essa permette la partecipazione ai concorsi pubblici e a tutte quelle opportunità per le quali sia richiesta una formazione di base di durata decennale. A sua volta, la valutazione parzialmente positiva costituisce credito formativo in vista dell’iscrizione alla Formazione Professionale o del rientro nel sistema scolastico. Passando ora a un primo bilancio del provvedimento, va anzitutto riconosciuta la positività dell’elevamento da otto a dieci anni dell’istruzione obbligatoria e l’impegno per accorciare al massimo i tempi per l’esecuzione della misura. Importante è anche lo sforzo di accogliere il meglio della riflessione e della prassi didattica recente come: il carattere indicativo dei programmi, la sperimentazione continua, la flessibilità degli iter formativi e la modularità. La norma secondo la quale la valutazione terminale parzialmente positiva non ammette al triennio, ma alla Formazione Professionale, è destinata a rafforzare l’immagine di serie B della Formazione Professionale. In aggiunta, la previsione del settore “Tecnologico-professionale” sembra ristabilire all’interno del biennio unitario le gerarchie di prestigio esistenti attualmente tra i diversi tipi di scuola secondaria superiore. Figura n. 18 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PSI storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 113 114 c) Il DDL del Partito Repubblicano Secondo i Repubblicani le strategie adottate nel loro progetto (alla Camera primo firmatario Castagnetti135, al Senato Gualtieri136) si fonderebbero su un esame oggettivo dei risultati dell’attuale Scuola dell’obbligo che non pare in grado di conseguire sempre i suoi traguardi formativi e di orientamento. Una percentuale consistente degli allievi si presenta al termine dell’obbligo insufficientemente preparata anche su conoscenze ed abilità di base; inoltre, i tassi di abbandono e di ripetenza continuano a rivelarsi troppo alti. La proposta di un biennio unitario come unico canale formativo per l’assolvimento dell’obbligo, che stabilirebbe per tutti finalità ulteriori e più avanzate, non è in grado di venire incontro alle esigenze degli allievi che attualmente non adempiono l’obbligo in modo soddisfacente, perché si tradurrebbe in uno spreco di tempo demotivante, dato il divario tra la loro preparazione, interesse e finalità del biennio, e tenuto conto dello scarto che essi sperimentano nei confronti dei compagni in regolare progressione di studi. Né la proposta di un biennio unitario ha grande rilevanza per gli adolescenti che alla fine della media sono decisi a continuare gli studi, in quanto possiedono ormai una preparazione di base adeguata e hanno maturato un orientamento preciso circa il futuro. Non sembra fondata neppure la proposta di destinare il biennio o una parte di esso al recupero degli allievi in difficoltà durante la media. Infatti, i programmi del biennio rinnovato dovranno perseguire degli obiettivi conformi a traguardi più elevati. Inoltre, la riduzione del livello degli studi del biennio non sarebbe una soluzione efficace, perché comporterebbe uno sciupìo di energie a carico degli adolescenti forniti di una preparazione adeguata e potrebbe provocare una pericolosa dequalificazione della Scuola Secondaria superiore. Il DDL non ha accolto neppure l’ipotesi di un obbligo formativo da assolvere anche nella FP per due ordini di considerazioni. La prima parte dalla “doverosa costatazione del reale stato della Formazione Professionale in Italia”: “È ben vero che soluzioni di questo genere sono state adottate in altri paesi europei, ma si tratta di paesi in cui la FP ha una tradizione assai più consolidata e una qualità decisamente più alta, anche sotto il profilo culturale”137. La seconda considerazione riguarda la natura della Formazione Professionale regionale e gli stravolgimenti che le deriverebbero se si facesse carico del recupero 135 On. GUGLIELMO CASTAGNETTI (1943) ligure, eletto nelle liste del PRI al Senato, nella IX, X e XI Legislatura, è stato sottosegretario al Ministero dell’industria dal 1989 al 1991. 136 On. LIBERO GUALTIERI (1923-1999) prese parte alla Resistenza partigiana ed al termine della Seconda guerra mondiale entrerà nel Partito d’Azione per poi schierarsi (1948) con il Partito Repubblicano, di cui sarà dirigente nazionale soprattutto dopo l’ascesa alla segreteria di Ugo La Malfa. Eletto senatore nel 1979, durante la X Legislatura fu presidente della Commissione Stragi. Dopo il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica si schiera con il centrosinistra e forma il gruppo parlamentare della Sinistra Democratica. Confermato al Senato sino alla morte, aderisce ai Democratici di Sinistra. 137 CAMERA DEI DEPUTATI - Atti n. 2065, Proposta di legge presentata il 16 dicembre 1987 dal deputato Castagnetti, p. 2065. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 114 115 della preparazione di base: “Implicherebbe una grave distorsione dei suoi obiettivi istituzionali: in altre parole, si vuole impedire che per l’insufficienza dell’attuale scuola dell’obbligo la FP continui a svolgere un ruolo che non le è proprio”138. Il progetto del PRI intende utilizzare il prolungamento biennale per intervenire sui condizionamenti che operano alla base del processo formativo ostacolando una partecipazione proficua degli alunni agli studi elementari e medi. Pertanto, l’istruzione obbligatoria viene estesa verso il basso in modo da abbracciare un anno di scuola materna allo scopo di assicurare lo sviluppo dei fondamenti affettivi, sociali e cognitivi che appaiono specialmente capaci di facilitare l’inserimento dei bambini nei processi scolastici veri e propri. Inoltre, è prevista l’introduzione di un 4° anno di scuola media per gli allievi che, alla conclusione dei tre anni della secondaria inferiore, manchino delle conoscenze e delle capacità richieste per seguire con profitto fa Scuola Secondaria superiore o la Formazione Professionale: la quarta media non va concepita come ripetizione del programma della terza, ma come un progetto forte per realizzare una pedagogia individualizzata di recupero e un’attività di orientamento. In concreto l’obbligo di frequenza scolastica viene esteso a 10 anni e si adempie tra il quinto e il quindicesimo anno di età. Esso abbraccia: un anno di scuola preparatoria da seguire nella scuola materna rinnovata; la scuola elementare e la media attuali; almeno un anno di secondaria superiore oppure, per coloro che non superano l’esame di licenza media, l’anno di orientamento e di recupero. L’anno di orientamento e di recupero ha come obiettivo di integrare, consolidare e potenziare le conoscenze ed abilità apprese nel triennio della media inferiore e di agevolare l’orientamento. I consigli di classe programmano, sulla base di verifiche iniziali, organici progetti di recupero e di approfondimento, integrandoli con attività sistematiche di orientamento; è possibile impiegare docenti a qualsiasi titolo in servizio nella scuola. Dopo aver completato l’anno, l’alunno può iscriversi ai corsi di FP o, se è riuscito a conseguire la licenza media, al primo anno della Scuola Secondaria superiore. 138 Ibidem. Figura n. 19 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PRI storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 115 116 Oltre all’innalzamento a 10 anni, il merito del DDL in esame consiste nel ricercare la soluzione dei problemi dell’istruzione obbligatoria nel rafforzamento dei livelli a monte del biennio. Infatti, a livello europeo le strategie per attuare l’eguaglianza delle opportunità tendono a fare perno tra l’altro sul potenziamento dell’educazione prescolastica come la più promettente in vista del decondizionamento. Comunque, gli aspetti più discutibili sono costituiti dall’anno di orientamento e di recupero. La quarta media priva di una finalizzazione precisa a una preparazione professionale rischia di tradursi in un parcheggio capace solo di accrescere disadattamento ed emarginazione. d) Il DDL del Movimento Sociale - Destra Nazionale In data 8 giugno 1989 i senatori del MSI-DN, primo firmatario l’on. Filetti139, presentano due Disegni di Legge (atti parlamentari n. 1811 e 1812), tra di loro strettamente collegati. L’atto parlamentare n. 1811-bis comprende una parte del testo, intitolato “Ristrutturazione dell’ordinamento della scuola dell’obbligo” (atto parlamentare n. 1811), i cui articoli relativi alla scuola elementare sono stati stralciati in data 21 febbraio 1989, per essere abbinati e discussi con le altre proposte di riforma di tale grado di scuola. I restanti articoli costituiscono il testo rinominato, dopo lo stralcio, “Riforma dell’ordinamento della scuola media e istituzione della scuola superiore del lavoro”. In esso viene affrontata la materia del prolungamento dell’obbligo; gli aspetti più rilevanti di questo progetto sono: – Scuola Media di durata quadriennale; – obbligo di frequentare la “scuola superiore del lavoro”, di durata biennale, in alternativa alla Scuola Secondaria superiore; – integrazione di scuola e lavoro (apprendistato o lavori di pubblica utilità) con formule flessibili; – possibilità di acquisire un attestato di qualifica professionale al termine del biennio, previo superamento di un esame. Il secondo Disegno di Legge n. 1812, presentato dai senatori del MSI-DN contestualmente al precedente, disciplina esclusivamente il nuovo ordinamento della Scuola Secondaria superiore. Le principali caratteristiche del testo sono le seguenti: – durata quadriennale degli studi; – suddivisione della Scuola Secondaria superiore in due sottosistemi, liceale e tecnico, ciascuno dei quali articolabile in più indirizzi, e quello tecnico anche in ulteriori specializzazioni; – accesso alla Scuola Secondaria superiore condizionato dal superamento di un esame di ammissione, da sostenere di fronte ad una commissione formata per quattro quinti da docenti della Scuola Secondaria superiore; 139 On. CRISTOFORO FILETTI, (1914-2005) siciliano, di professione avvocato è stato senatore per il MSI prima e MSI-DN poi nella V, VI, VIII, IX, X, XI Legislatura dal 1968 al 1992, ad esclusione del periodo luglio 1976 - giugno 1979 della VII legislatura. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 116 117 – esame di maturità con tre prove scritte assegnate dal Ministero e un colloquio su tutte le materie dell’ultimo anno, da sostenere di fronte ad una commissione formata dagli stessi docenti degli allievi e presieduta da un commissario governativo nominato dal Ministro. Una valutazione sommaria sul prolungamento dell’obbligo. Se appare in linea di principio condivisibile la doppia opzione, secondaria superiore o scuola del lavoro, appare, al contrario, impraticabile e costituzionalmente non fondata la soluzione pratica indicata. Incostituzionale perché l’art. 117 della nostra Carta Costituzionale affida le competenze in materia di Formazione Professionale alle Regioni. Rileggendo l’intero disegno che sottosta ai due atti parlamentari del MSI-DN, appare evidente come questo partito riproponga la tradizionale tripartizione della secondaria del nostro Paese: Liceo, Istituto tecnico e Istituto professionale (quest’ultimo ridenominato Scuola Superiore del lavoro ma, a dispetto del nome, ridimensionato negli anni: da tre a due). 3.5.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo d’Istruzione anche con la Formazione Professionale regionale (DC) Il Disegno di Legge, proposto da Manzini140 (DC), intende innalzare il livello di preparazione culturale e professionale dei giovani in sintonia con le esigenze formative più elevate della società post-industriale, valorizzando le risorse umane nella loro diversità con particolare riferimento alle fasce più deboli. 140 On. GIOVANNI MANZINI (1939), insegnante e pubblicista. Viene eletto senatore, per la prima volta, nel 1987 con la Democrazia Cristiana e sarà rieletto nella successiva Legislatura. Con la scomparsa della DC aderisce al Partito Popolare Italiano e infine alla Margherita di cui ne diviene responsabile scuola. È stato sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione nel secondo Governo Amato (dal 27 aprile 2000 al 10 giugno 2001). Figura n. 20 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del MSI-DN storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 117 118 Sul piano quantitativo vengono richiamati i dati sulla consistenza notevole degli abbandoni nella media e soprattutto nel biennio. Inoltre, si sottolineano due divari molto significativi: l’uno tra il tasso di scolarizzazione dei 14enni (80%) e dei 15enni (63%) e il traguardo della completa scolarizzazione, scarto che si riduce, se si includono nel conto anche gli iscritti alla Formazione Professionale; l’altro fra la percentuale del gruppo di età corrispondente scolarizzata nel biennio (73% in prima e 56% in seconda) e la frequenza generalizzata dei primi due anni di Scuola Secondaria superiore. Le esigenze di ordine qualitativo fanno riferimento anzitutto all’esperienza degli altri Paesi europei: si teme sempre di più che una permanenza troppo prolungata nella scuola con programmi comuni ed uniformi non solo non contribuisca efficacemente al potenziamento dei livelli di Istruzione di tutti i giovani, ma serva soprattutto ad accrescere il disadattamento e la demotivazione. In secondo luogo si osserva che la scelta della Formazione Professionale regionale trova consensi in una fascia non piccola del gruppo di età 14-16 anni, per cui risulta poco comprensibile la proposta di escluderla dall’innalzamento dell’obbligo. Il DDL concretamente sancisce il prolungamento dell’Istruzione obbligatoria a 10 anni: dopo i primi 8 anni di scuola unica sono previsti diversi percorsi formativi equipollenti, in modo da assicurare a ciascun interessato la possibilità effettiva di assolvere l’obbligo. L’articolazione contemplata comprende corsi a tempo pieno, corsi a tempo parziale e programmi di orientamento e nuove opportunità. I primi includono anzitutto i primi due anni della Scuola Secondaria superiore che, però, rispondono sostanzialmente alle esigenze degli adolescenti che intendono procedere nel quinquennio, ma non ai bisogni di chi è orientato ad entrare immediatamente nel mondo del lavoro. Per questi ultimi sarebbe controproducente l’impostazione teorica e deduttiva della Scuola Secondaria superiore e pertanto vengono mantenuti i corsi di Formazione Professionale, opportunamente rinnovati, che dovrebbero fornire un iter formativo più concreto. I corsi a tempo pieno non bastano a soddisfare i bisogni di tutti i giovani e in particolare a realizzare il recupero delle fasce più deboli. La FP regionale non manca di selettività in relazione agli obiettivi sempre più esigenti della nuova professionalità e, d’altra parte, il nuovo istituto sul contratto di formazione/lavoro è esposto al pericolo di emarginare il momento formativo. Pertanto, il DDL prevede corsi a tempo parziale che sono limitati all’assolvimento dell’ultimo anno dell’Istruzione obbligatoria e consistono in corsi integrativi da frequentarsi durante lo svolgimento di attività di apprendistato o durante l’esecuzione di contratti di formazione/lavoro. Ai giovani che, a causa di ritardi, abbandoni, interruzioni o gravi difficoltà, non riescono a portare a termine regolarmente i relativi corsi, sono offerti ai fini del completamento dell’istruzione obbligatoria programmi di orientamento e nuove opportunità. Lo scopo è di favorire: la rimotivazione all’apprendimento; il completamento dei corsi di scuola media inferiore anche in vista del superamento del relativo esame storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 118 119 di licenza; il reinserimento nei percorsi a tempo pieno o parziale; l’orientamento professionale e l’acquisizione di abilità lavorative. La frequenza di tali corsi è possibile dal 14° anno di età, previo parere motivato del consiglio della classe di appartenenza oppure a richiesta di chi ha abbandonato o interrotto gli studi. Per garantire la pari opportunità è assicurata la facoltà di passaggio tra i diversi percorsi formativi. La mobilità si realizza attraverso prove o corsi integrativi determinati dal consiglio di classe di destinazione o dal competente collegio dei formatori secondo criteri di equivalenza stabiliti dai decreti delegati competenti. In aggiunta al prolungamento a 10 anni, un punto forte del provvedimento si può individuare certamente nel principio della pluralità dei percorsi formativi che risponde all’esigenza di personalizzazione e individualizzazione dell’educazione. Sul lato meno convincente va notata la rigidità della tipologia delle offerte formative che sembra riprodurre alla lettera le divisioni esistenti nella società, mentre dovrebbe essere lasciata maggiore flessibilità e soprattutto bisognerebbe valorizzare di più l’autonomia delle singole unità scolastiche e formative di organizzare percorsi formativi individualizzati dentro e fuori la Scuola e il CFP. 3.5.3. La proposta di mediazione del DDL Mezzapesa Nel marzo del 1990 il senatore democristiano Mezzapesa, presenta un DDL come testo di sintesi dei diversi Disegni di Legge. Il gruppo parlamentare comunista Figura n. 21 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL della DC storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 119 120 protesta perché non vedeva sufficientemente rappresentate in quel testo le proprie istanze. Ricostruiamo quella vicenda dal punto di vista del PDS: “Fino al mese di maggio, malgrado la vertiginosa successione di ministri della Pubblica Istruzione (in pochi anni Galloni, Mattarella, Bianco e Misasi!) la discussione avviata nella Commissione Istruzione del Senato – anche sulla base del testo del senatore Mezzapesa, che raccoglieva molte delle proposte anche dall’opposizione, ad esempio sull’obbligo da realizzarsi nella scuola – sembrava avviata verso sbocchi positivi. Ma proprio all’inizio dell’ estate c’e stato l’accordo fra la DC e il PSI, il PSDI (che prevede, in particolare, la possibilità di adempiere l’obbligo scolastico nella formazione professionale regionale, a gestione prevalentemente privata) che ha modificato sostanzialmente il quadro politico determinando una profonda differenziazione fra i ruppi parlamentari della maggioranza e quello del PDS ma anche molte incertezze nella stessa maggioranza”141. Per marcare la differenza con la maggioranza che, anche se faticosamente stava convergendo, sulla proposta Mezzapesa, l’on. Alberici142 Ministro della Pubblica Istruzione nel governo-ombra143 del PDS, presenta un nuovo DDL, brevissimo, in cui si riafferma l’innalzamento dell’obbligo a dieci anni; obbligo da assolversi con la “frequenza positiva dei primi due anni della scuola media superiore”. Intanto Mezzapesa ripresenta un DDL, sostanzialmente identico al precedente, ma a titolo personale. Questa nuova versione rappresenta comunque il documento di riferimento del dibattito parlamentare nel corso della restante parte della decima legislatura. L’Istruzione obbligatoria viene portata a 10 anni: “per assicurare a tutti i giovani una preparazione culturale più ampia e più idonea promuoverne la crescita personale, l’orientamento professionale, l’inserimento nell’attività lavorativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica” (art. 7 comma 1). L’obbligo d’Istruzione decennale viene assolto con la “frequenza dei primi due anni dei corsi di scuola secondaria superiore, ordinari o speciali” e con la “frequenza dei corsi previsti dai progetti di orientamento e di nuove opportunità” (art. 8, comma 1). 141 SENATO DELLA REPUBBLICA, X Legislatura, Atto n. 3117 DDL d’iniziativa dei senatori Alberici ed altri Norme sul prolungamento dell’istruzione obbligatoria, p. 5. 142 AURELIANAALBERICI (1941) è una pedagogista, docente e politica italiana, senatrice del Partito Comunista Italiano e del Partito Democratico della Sinistra dal 1987 al 1996. Moglie del fondatore del PDS Achille Occhetto, ha fatto parte dell’esperienza unica del governo ombra del PCI-PDS del 1989- 92 come ministro della Pubblica Istruzione. 143 Il governo ombra (in inglese shadow cabinet) è un’istituzione politica, presente in alcuni sistemi parlamentari, costituita dal capo dell’opposizione, che la dirige e da parlamentari dell’opposizione (i Ministri ombra) incaricati di seguire da vicino, proprio come un ombra (da cui il nome), l’attività dei corrispondenti Ministri del governo in carica. Compito del governo ombra è svolgere un’azione critica verso le decisioni del governo in carica, proponendo alternative. Normalmente se il partito di opposizione successivamente vince le elezioni, il leader dell’opposizione diventa primo ministro e i membri del governo ombra vanno ad occupare i corrispondenti posti nel governo in carica. In Italia la formula del governo ombra fu usata dal PCI di Achille Occhetto nel luglio 1989 e dal PD di Veltroni nel febbraio 2009. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 120 121 a) I corsi ordinari, “normalmente di durata quinquennale, si articolano in sei ambiti: “umanistico, scientifico, economico, tecnologico, artistico, professionale” (art. 2, comma 1) e ogni ambito comprende più indirizzi, da definire con decreto legislativo. b) I corsi ad ordinamento speciale, invece, riguardano “particolari esigenze formative professionali ed artistiche, anche in rapporto a specifiche attività produttive presenti nel territorio” (art. 4, comma 1), gli indirizzi dei corsi speciali sono istituiti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione. c) I progetti di orientamento e di nuove opportunità sono interventi “destinati al completamento dell’obbligo di istruzione per i giovani che, a causa di ritardi, abbandoni, interruzioni o gravi difficoltà, non riescono a portare a termine regolarmente i corsi della scuola media” (art. 9 comma 1). Sono realizzati nella scuola media, progettati dal Consiglio di classe, ed hanno durata annuale, con lo “scopo specifico di favorire la rimotivazione all’apprendimento; il completamento dei corsi della scuola a inferiore, anche in vista del superamento del relativo esame di licenza; il reinserimento nei corsi della scuola secondaria superiore; l’orientamento professionale e l’acquisizione di abilità operative” (art. 9 comma 3). All’interno dell’ordinamento speciale viene prevista una sperimentazione sessennale: “Al fine di verificare la validità di percorsi formativi caratterizzati da una più stretta integrazione di discipline teoriche e pratiche e da una più incisiva presenza di queste ultime, sono istituiti corsi sperimentali ad ordinamento speciale di durata annuale e biennale, in corrispondenza ai corsi normali dei primi due anni degli indirizzi dell’ambito professionale. Tali corsi, facenti parte a tutti gli effetti della scuola secondaria superiore, sono organizzati secondo i criteri stabiliti all’art. 11” (Art. 4, comma 2). È a questo livello che si realizza, nelle intenzioni del relatore, la mediazione tra quanti escludevano e quanti includevano la Formazione Professionale regionale come possibile percorso per l’assolvimento dell’obbligo d’Istruzione. Infatti, i corsi sperimentali ad ordinamento speciale possono essere attivati “anche in collaborazione con i centri regionali di Formazione Professionale”144, sulla base di quanto disposto in appositi decreti legislativi, emanati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della Legge (art. 11, comma 2 lettera b). Da precisare che all’inizio del sesto anno di sperimentazione, sulla base dei risultati, il Ministro della Pubblica Istruzione, sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e le competenti commissioni permanenti di Camera e Senato, propone al Governo la soppressione o la prosecuzione, per un altro sessennio, della sperimentazione o “la trasformazione dei corsi sperimentali in cosi normali” (art. 4, comma 3). 144 La dizione utilizzata può prestarsi ad equivoci. In effetti il relatore non intendeva i Centri direttamente gestiti dalla Regione (i CFPR o CRFP) ma i CFP del sistema regionale, a prescindere dalla loro natura, pubblica o privata. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 121 122 Quindi la conciliazione tra le due istanze tentata da Mezzapesa può essere così sintetizzata: l’obbligo prolungato viene assolto nella Scuola Media superiore (corsi ordinari o corsi ad ordinamento speciale ) o inferiore (progetti di orientamento e di nuove opportunità); solo in via provvisoria e a titolo sperimentale può essere assolto con la collaborazione del sistema formativo regionale (corsi sperimentali ad ordinamento speciale); ma anche in quest’ultimo caso la certificazione dell’assolvimento dell’obbligo è di “esclusiva competenza dell’autorità scolastica” (art. 8, comma 3). Figura n. 22 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL dell’on. Mezzapesa storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 122 123 Questo testo, come dice lo stesso relatore, “non si identifica nella posizione né del governo, né della maggioranza, né di una singola forza politica. Fissa la sintesi delle acquisizioni e dei problemi emersi. È uno strumento di lavoro per facilitare il dialogo in Commissione”145. 3.5.4. Il dibattito sul DDL Mezzapesa Di fatto, finché il dialogo non ha toccato le questioni di reale disaccordo, sul testo Mezzapesa si è notata una generale disponibilità a trattare. Sui punti di possibile negoziato sono stati accolti o rifiutati emendamenti proposti da tutti i partiti. Ma non appena si è tentato di sciogliere il nodo politico ricordato più sopra, la temperatura degli incontri ha iniziato a salire e le posizioni si sono irrigidite. Contemporaneamente, nelle riunioni di maggioranza, sono andate crescendo in peso e in durezza le dichiarazioni di principio da parte dei due schieramenti, con lo scopo di fissare i paletti attorno alle cose che non si possono contrattare, cioè attorno alle questioni di bandiera, per ciò che interessa noi, la accettabilità o il rifiuto, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo, della prima Formazione Professionale regionale. Le argomentazione degli uni e degli altri sono quelle di sempre. La DC pone l’accento sulla equipollenza ai fini formativi dei diversi percorsi e soprattutto sulla necessità di diversificare l’offerta di istruzione in funzione della piena valorizzazione delle diverse attitudini, capacità e inclinazioni presenti tra i giovani nella fascia dei 14-16 anni. Il fronte laico si oppone a queste motivazioni invocando la necessità di assicurare a tutti, per motivi di equità, gli stessi percorsi. Si afferma sull’Avanti!, organo del PSI: “Non si può arrivare a negare garanzie di cultura e di formazione generale ai nostri giovani, non si può creare due fasce di ragazzi, quelli che vanno a scuola e quelli che non solo non avranno la cultura degli altri, ma non avranno spesso gli strumenti necessari per affrontare il mercato di lavoro”146. E ai primi che replicano che l’equità si ottiene non con l’uniformità ma con la differenziazione, cioè non assicurando a tutti gli stessi percorsi, ma a ciascuno il percorso più congeniale, non muovendosi nell’ottica dell’aut-aut ma dell’et-et, i secondi rispondono con la necessità di non far operare ai giovani scelte alternative troppo precoci. Alla successiva risposta che un biennio unitario e non professionalizzante produce abbandoni e dispersione, si risponde con l’esigenza di non discriminare… e il circolo dialettico continua troppo spesso ignorando “i dati del problema”. Cos’è che rompe questo girotondo dialettico? L’idea di sperimentazione. È un’idea che esclude soluzioni definitive e quindi conserva intatte le speranze dell’uno e dell’altro fronte di far prevalere alla lunga le proprie tesi. È quello che succederà nell’undicesima Legislatura. 145 Cit. in ZUCCON G., vedi sopra. 146 STURLESE L., in Avanti! Del 26 marzo 1991. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 123 124 3.6. Tentativi di riforma della Secondaria nell’undicesima Legislatura (1992-94) In questa undicesima Legislatura si susseguono due governi: quello di Giuliano Amato147 (28 giugno 1992 - 28 aprile 1993) e quello di Carlo Azeglio Ciampi148 (28 aprile 1993 - 10 maggio 1994). L’uno e l’altro governo poggiano su una maggioranza quadripartita: DC, PSI, PSDI, PLI; nel Governo Ciampi, solo per qualche giorno (fino al 4 maggio del 1993), parteciparono anche dei ministri del PDS149 e della Federazione dei verdi, sostituiti poi da indipendenti di sinistra. Nell’uno e nell’altro governo Ministro della Pubblica Istruzione fu la democristiana Rosa Russo Jervolino150. 147 On. GIULIANO AMATO (1938) è stato Presidente del Consiglio dei ministri dal 1992 al 1993 e dal 2000 al 2001. Aderì inizialmente al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), per poi passare al Partito Socialista Italiano (PSI), nelle cui fila fu eletto deputato dal 1983 al 1994, al fianco di Bettino Craxi, del quale fu prima antagonista, poi consigliere economico e politico e infine sottosegretario alla Presidenza del consiglio. In seguito è stato Ministro del Tesoro dal 1987 al 1989 (Governi Goria e De Mita). All’indomani delle elezioni del 1992 fu incaricato dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di formare il suo primo Governo. Nella fase definita Seconda Repubblica, sopravvive politicamente alla fine del Partito Socialista Italiano ma non aderisce a nessun partito. Per le elezioni politiche del 1994 decide di non candidarsi direttamente, ma guida un gruppo di socialisti e socialdemocratici verso l’aggregazione di centro guidata da Mariotto Segni, il Patto per l’Italia. È presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (cd. Antitrust) dal 1994 al 1997. Successivamente aderisce alle posizioni del centrosinistra e si avvicina (senza mai farne parte) ai DS. Nel 1998 viene richiamato al Governo dal premier Massimo D’Alema come Ministro delle Riforme Istituzionali. Nel 1999 diviene Ministro del Tesoro e del Bilancio. Nel 2000 torna a Palazzo Chigi come Presidente del Consiglio. Dal 2001 al 2006 è senatore dell’Ulivo. Al termine delle elezioni politiche del 2006 riceve un nuovo mandato parlamentare alla Camera, con l’elezione a deputato nella circoscrizione Toscana. Si è parlato di lui come un possibile successore di Carlo Azeglio Ciampi nella carica di Presidente della Repubblica Italiana: il suo nome è stato proposto dalla Casa delle Libertà. L’Unione ha però preferito candidare Giorgio Napolitano. Nel 2006 viene nominato Ministro dell’Interno nel Governo Prodi II. Nel giugno 2008 ha pubblicamente annunciato il suo allontanamento definitivo dalla politica italiana. Nel 2009 è nominato presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani. 148 CARLO AZEGLIO CIAMPI (1920) è stato il decimo Presidente della Repubblica dal 18 maggio 1999 al 15 maggio 2006. È stato governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993, Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro del Turismo e dello Spettacolo ad interim (1993-1994) e Ministro del tesoro e del bilancio (1996-1999). Con la fine del suo mandato presidenziale è diventato senatore a vita. Primo Presidente del Consiglio e primo capo dello Stato non parlamentare nella storia della Repubblica, Ciampi è stato anche il secondo presidente eletto dopo essere stato governatore della Banca d’Italia preceduto da Luigi Einaudi nel 1948. In Banca d’Italia è stato per 47 anni. Dopo una militanza giovanile nel Partito d’Azione, Ciampi non ha più aderito ad alcun partito. 149 Il giorno dopo il giuramento del governo PDS e FdV ritirarono i propri ministri, a causa della mancata concessione da parte del parlamento dell’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi e furono sostituiti da personalità indipendenti 150 ROSA IERVOLINO, coniugata Russo (1936), figlia di parlamentari della Democrazia Cristiana all’Assemblea Costituente, nel 1979 divenne per la prima volta senatrice (rimarrà al Senato sino al 1992) nelle fila della DC. Fu Ministro per gli Affari Sociali durante i Governi Goria, De Mita e Andreotti e Ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo di Giuliano Amato e in quello di Ciampi. Divenuta Presidente della Democrazia Cristiana assistette all’opera di rinnovamento portata avanti dal segretario Mino Martinazzoli che portò alla fondazione del Partito Popolare Italiano. Con le dimissioni di Martinazzoli del marzo 1994, assunse l’incarico, come Presidente del Consiglio nazionale, di reggente del partito, dilaniato da scandali e presunta corruzione. Nello stesso anno fu eletta alla Camera dei depstoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.32 Pagina 124 125 utati. Favorevole all’alleanza del’Ulivo di Romano Prodi, fu rieletta alla Camera dei deputati nel 1996, legislatura in cui divenne durante il Governo D’Alema la prima donna della storia d’Italia ad occupare l’incarico di Ministro degli Interni. Nel 2001 viene eletta sindaco di Napoli con il sostegno dei partiti dell’Ulivo. Viene riconfermata sindaco nel 2006. 151 Fra i provvedimenti principali adottai dal governo Amato, per il pareggio di bilancio si ricordano una manovra finanziaria da 100.000 miliardi di lire, la più importante dal dopoguerra e il prelievo forzoso del 6% dai conti correnti delle banche italiane, nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 luglio 1992, legittimato “ex-post” con decreto d’urgenza l’11 luglio. (Cfr. Decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, articolo 7, in materia di Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, convertito con la Legge 8 agosto 1992, n. 359, in materia di Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 11 luglio 1992, n. 333, recante misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica). 152 L’espressione Tangentopoli o Mani pulite designa una stagione degli Anni Novanta caratterizzata da una serie di indagini giudiziarie condotte a livello nazionale nei confronti di esponenti della politica, dell’economia e delle istituzioni italiane. Le indagini portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano. Furono coinvolti ministri, deputati, senatori, imprenditori, perfino ex presidenti del Consiglio. Le inchieste furono inizialmente condotte da un pool della Procura della Repubblica di Milano (formato dai magistrati Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Tiziana Parenti, Ilda Boccassini e guidato dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo vice Gerardo D’Ambrosio) e allargate a tutto il territorio nazionale, diedero vita ad una grande indignazione dell’opinione pubblica e di fatto rivoluzionarono la scena politica italiana. Prospetto n. 9 - Progetti di riforma della Scuola Secondaria superiore nell’undicesima Legi - slatura Questa Legislatura, contrassegnata da una grave crisi economica151, vede il progressivo sfaldamento dei partiti tradizionali (sia per lo sviluppo dello scandalo di Tangentopoli152, sia per il referendum sulla legge elettorale) e un processo di trasformazione dell’assetto partitico italiano, tanto da far parlare di un passaggio ad una Seconda Repubblica. Partiti storici come la Democrazia Cristiana, il Partito SociastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 125 126 lista Italiano, il PSDI, il PLI sparirono o furono fortemente ridimensionati. Il 22 gennaio 1994 nasce Alleanza Nazionale, nuova formazione della destra italiana guidata da Gianfranco Fini153, ispirata alla destra liberale europea. Il 22 gennaio 1994, dalle ceneri della Dc nasce il nuovo Partito Popolare guidato da Mino Martinazzoli. Però, Pierferdinando Casini, Clemente Mastella e Ombretta Fumagalli Carulli, insieme ad altri ex DC in disaccordo con la linea del segretario, danno vita al Centro Cristiano Democratico (Ccd). Il 26 gennaio Silvio Berlusconi annuncia ufficialmente di voler costituire un movimento. In febbraio il congresso della Lega Nord sancisce l’accordo Bossi-Berlusconi: si muovono così i primi passi che porteranno alla nascita del Polo per le Libertà e il Buon Governo. Sul versante opposto il Pds e i partiti di centro-sinistra firmano una dichiarazione programmatica che dà origine all’alleanza dei Progressisti. Anche in questa legislatura la partita della riforma della scuola secondaria si gioca prevalentemente al Senato, dove il PCI (primo firmatario Chiarante), il PSI (primo firmatario Manieri e la DC (primo firmatario Manzini) depositano un proprio disegno di legge. Il MSI-DN presenta le proprie proposte nelle due Camere (primi firmatari Fini alla Camera dei Deputati e Pontone154 al Senato) e, come nella precedente legislatura, i provvedimenti presentati riguardano uno la scuola dell’obbligo e uno la scuola media superiore. 3.6.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PSI, PDS, MSIDN) Tutte le proposte sopraelencate non sono altro che una riproposizione dei Disegni di legge della X Legislatura, esaminati nel paragrafo precedente: e tutte ripropongono le stesse posizioni maturate da tempo e che vengono nuovamente dichiarate nelle Relazioni che precedono il testo normativo. Il PSI, che pure aveva aderito alla tesi conciliatorista del senatore Mezzapesa, dichiara nella relazione dell’on. Minieri di ritornare alle sue posizioni originarie, per le quali l’assolvimento dell’obbligo è solo una questione interna alla scuola: 153 GIANFRANCO FINI (1952). È stato Presidente della Camera dei deputati dal 30 aprile 2008 al 15 marzo 2013. Precedentemente aveva ricoperto l’incarico di vicepresidente del Consiglio dei ministri dei Governi Berlusconi II e III; in questi governi è stato anche Ministro degli Affari Esteri. È stato segretario nazionale del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale, nonché Presidente di Alleanza Nazionale per tredici anni, dalla fondazione nel 1995 fino al 2008, quando ne ha promosso lo scioglimento nel nuovo partito di centrodestra de Il Popolo della Libertà, da lui fondato insieme a Silvio Berlusconi. In polemica con la linea politica di Berlusconi, dopo alcuni mesi di forti critiche al partito, aderisce al gruppo Futuro e Libertà per l’Italia (fondato il 30 luglio 2010 da alcuni parlamentari fuoriusciti dal Popolo della Libertà) dopo il discorso alla Festa Tricolore di Mirabello del 5 settembre 2010. Dal 13 febbraio 2011 è presidente di Futuro e Libertà per l’Italia. Deputato dal 1983 al 2013 senza interruzioni, alle elezioni politiche del 2013 non viene rieletto. 154 FRANCESCO PONTONE (1927) senatore ininterrottamente dalla X alla XVI Legislatura, con il MSI-DN, prima e Alleanza Nazionale e Popolo della Libertà, dopo. Confluito in Futuro e Libertà nel 2010 è rientrato nel PdL nel 2011. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 126 127 “[…] la necessità di accorciare al massimo i tempi d’attuazione dell’innalzamento dell’obbligo, ci spingono a presentare il disegno di legge all’oggetto che mantiene la scelta di base del progetto elaborato da lungo tempo dai socialisti: l’espletamento dell’obbligo nell’alveo formativo scolastico, senza confusioni e sovrapposizioni di competenze con l’area di intervento delle regioni che deve intendersi come successiva alla formazione di base dei giovani e non come parallela o alternativa”155. E il PDS riforma insieme al PSI il fronte comune contro l’assolvimento dell’obbligo da parte della Formazione Professionale e nella relazione del senatore Alberici, ricorda la propria fedeltà a tale linea anche nelle vicende dell’ultimo scorcio della decima legislatura, quando fu proposta tale soluzione che, da una parte confondeva i ruoli della Scuola e della Formazione Professionale, dall’altra trasformava quest’ultima nella sua natura: “Ci parve inaccettabile una soluzione che voleva ancora una volta fare pasticci, mescolando ruoli e funzioni, come la proposta allora avanzata in Commissione al Senato dal relatore, ma sostenuta dal PCI e dal PSI, che prevedeva per gli studenti tra quattordici e sedici anni l’ipotesi di poter realizzare obiettivi di qualità formativa e di istruzione obbligatoria anche nei corsi di Formazione Professionale. Corsi che però non sarebbero stati neppure più tali, perché integrati dagli insegnanti della scuola media superiore e dagli insegnamenti culturali, scientifici, previsti per il primo biennio della scuola secondaria superiore”156. E, come nella decima legislatura, il MSI-DN ripropone il prolungamento dell’obbligo all’interno della scuola, dopo la media inferiore, quadriennale, o mediante la frequenza alla “scuola del lavoro”, biennale, o alla scuola media superiore, quadriennale. La Formazione Professionale regionale, in questa prospettiva, viene ignorata. 3.6.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo anche con la Formazione Professionale regionale (Testo Unificato della VII Commissione) a) Il DDL della DC Sul fronte opposto, quello che propone l’assolvimento dell’obbligo anche nella Formazione Professionale regionale, c’è la DC, solo la DC, che nella Relazione al DDL presentato dal senatore Manzini dichiara che il proprio provvedimento si ispira al “principio della obbligatorietà dell’istruzione”: “È un concetto che si discosta da quello di obbligo scolastico che costringerebbe l’assolvimento all’interno di un unico sistema”157. 155 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura, Atto n. 684, DDL d’iniziativa dei senatori Manieri e altri Norme sul prolungamento dell’obbligo scolastico, p. 2. 156 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura, Atto n. 378, DDL d’iniziativa dei senatori Alberici e altri Riforma della scuola secondaria superiore e innalzamento dell’obbligo scolastico, p. 2 157 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura, Atto n. 725, DDL d’iniziativa dei senatori Manzini e altri Norme sull’ordinamento della Scuola Secondaria superiore e sul prolungamento dell’istruzione obbligatoria, comunicato alla Presidenza il 29 ottobre 1992, p. 5. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 127 128 Infatti, senza reticenze il testo afferma che si assolve all’obbligo d’Istruzione, portato a 10 anni, attraverso due canali, cioè con la frequenza: – dei primi due anni dei corsi di Istruzione liceale a cicli quinquennale impartita nei Licei: classico, linguistico, socio-psico-pedadogico, scientifico, scientificotecnologico, economico; al termine del quinquennio, a seguito di esame di stato, si consegue il diploma di maturità che consente l’accesso agli studi universitari; – dei primi due anni dei corsi di Istruzione professionale triennali; al termine del triennio si consegue, a seguito di esame di qualifica, il diploma di Istruzione professionale che consente la partecipazione a “corsi di contenuto sperimentale di durata annuale o biennale, finalizzati al conseguimento di una specifica qualifica professionale” (art. 3, comma 7); – dei corsi regionali di Formazione Professionale che: a) dovevano avere una durata non inferiore a due anni; b) dovevano impartire gli insegnamenti comuni al biennio della Secondaria superiore (italiano, lingua straniera, storia, diritto ed economia, matematica e informatica, discipline scientifiche sperimentali) “in modo da conseguire obiettivi tali da assicurare una preparazione culturale più ampia...”; c) dovevano essere regolati da convenzioni tra Ministro della Pubblica Istruzione d’intesa con il Ministro del Lavoro e i presidenti delle Regioni e delle Province Autonome. La certificazione dell’assolvimento dell’obbligo d’istruzione spetta esclusivamente all’autorità scolatica (art. 10, comma 3). Figura n. 23 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL della DC (Relatore sen. Manzini) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 128 129 b) Il Testo Unificato della VII Commissione E come nella precedente Legislatura era stata tentata una sintesi di tutte le proposte dei partiti da parte della Commissione parlamentare, così anche nella undicesima Legislatura è la VII Commissione che si impegna in una difficile mediazione con l’elaborazione di un testo unificato. La soluzione che ne deriva, frutto di un comitato ristretto, con l’apporto del Governo e di tecnici, è laboriosa e, sul piano della operatività, macchinosa. Ma forse l’unica possibile tra posizioni iniziali diverse e spesso divaricanti. La relazione accompagnatoria del Testo Unificato, relatore Manzini, riconosce che il problema delle modalità di assolvimento dell’obbligo è stato dirimente, fuori e dentro il Parlamento: “È noto che l’utilizzo o meno del canale della Formazione Professionale per l’assolvimento dell’obbligo è stato per molti anni motivo di forte contrapposizione fra gli studiosi e soprattutto tra i Gruppi in Parlamento”. La relazione, inoltre, fa propria l’istanza di fondo della tesi che sostiene che l’obbligo possa essere svolto anche nella Formazione Professionale regionale: la differenziazione dei percorsi formativi, non come “rimedio” per situazioni critiche e quindi solo per alcuni ma come fenomeno strutturale e quindi potenzialmente per tutti: “[…] differenziare l’offerta formativa non solo per chi è in ritardo o in difficoltà ma anche per situazioni di normalità e di eccellenza”. La soluzione prospettata dal testo di conciliazione prevede: “[…] accanto a impegnative azioni di orientamento anche specifici progetti mirati da realizzarsi nella sede degli accordi di programma e sulla base di appositi protocolli d’intesa tra Stato e Re gioni”158. Questa soluzione è frutto di un cambio di prospettiva istituzionale: i problemi non vengono visti in un ottica di contrapposizione tra centro (Istruzione) e periferia (Formazione Professionale), ma di collaborazione tra Stato e Regioni: “Superando la storica distinzione tra Stato Regioni in merito ai problemi della istruzione e della Formazione Professionale, il provvedimento assume come punto di partenza la collaborazione tra vari soggetti istituzionali, da realizzarsi attraverso accordi di programma volti a promuovere lo sviluppo qualitativo della scuola secondaria superiore. In questa sede si individuano la distribuzione sul territorio degli indirizzi di studio, l’armonizzazione tra l’istruzione scolastica la Formazione Professionale pre e post-secondaria, la prevenzione della dispersione scolastica, il diritto allo studio, i progetti mirati, l’edilizia scolastica. Si tratta di un superamento concreto dell’attuale centralismo ministeriale a favore delle autonomie regionali e locali”159. 158 SENATO DELLA REPUBBLICA, XI Legislatura n. 378, 684, 725, e 962 A Relazione della VII Commissione Permanente (Istruzione Pubblica, Beni Culturali, Ricerca Scientifica, Spettacolo e Sport), relatore Manzini, Comunicata alla Presidenza il 16 settembre 1993, p. 5. 159 Ibidem. p. 4. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 129 130 Il testo della Commissione si configura come una legge-quadro, dove vengono definiti i principi ispiratori e l’intelaiatura generale, spetta “alla decretazione e ai regolamenti il compito di definire qualitativamente competenze e funzioni”. Questa architettura generale poggia su due pilastri: la struttura della Scuola Secondaria superiore e la collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti locali. La Scuola Secondaria superiore ha durata quinquennale e si articola in Licei e Istituti Professionali e d’arte, che si articolano in una pluralità di indirizzi (art. 6, comma 1) da definirsi con successivo decreto ministeriale (comma 3). Il Ministero provvederà anche a definire i piani di studio (art. 7, comma 1) relativamente a 3 aree tematiche: a) linguistica, letteraria, artistica; b) storica, giuridica, economica; c) matematica, scientifica, tecnologica (comma 3). Gli Istituti Professionali rilasciano al terzo anno un diploma di primo livello, utile per l’eventuale conseguimento di una qualifica professionale regionale. La durata dell’istruzione obbligatoria è prorogata a 10 anni (art. 8, comma 1) e si assolve mediante la frequenza positiva dei primi due anni della secondaria (comma 2); è prosciolto chi ha compiuto il sedicesimo anno di età o chi è stato dieci anni nella istruzione obbligatoria (comma 3). La collaborazione tra Stato-Regioni ed Enti locali si realizza attraverso Accordi di programma, che definiscono per il territorio di propria competenza: a) la distribuzione degli indirizzi di studio; b) le modalità di armonizzazione e di utilizzo integrato delle risorse tra le offerte del sistema della Secondaria superiore e quelle della Formazione Professionale regionale; c) le modalità di attuazione di progetti extracurriculari e di orientamento scolastico; d) i servizi per l’attuazione del diritto allo studio; e) le modalità di cooperazione e di collaborazione tra i soggetti istituzionali sociali e formativi la programmazione degli interventi di edilizia scolastica; f) “azioni di prevenzione della dispersione e di supporto alla effettiva attuazione dell’obbligo di istruzione” (art. 2, comma 1). Quest’ultima tipologia di intervento viene realizzata attraverso Progetti mirati. Le finalità di tali progetti riguardano oltre al recupero di ritardi ed abbandoni e al conseguimento della licenza media per i prosciolti dall’obbligo d’Istruzione anche “ad una prima Formazione Professionale di base orientata al lavoro”. I progetti possono essere promossi o per iniziativa autonoma delle scuole o per effetto degli accordi di programma e possono essere realizzati o dalle scuole o “mediante convenzioni con le strutture di Formazione Professionale o con altre istituzioni educative e formative”. La nostra è una ricostruzione sintetica, anzi una semplificazione di un testo tortuoso (tipico di compromessi parlamentari) che afferma quasi di sfuggita, con imbarazzo e comunque in sordina (quasi che dirlo chiaramente e a voce alta possa irritare e fa recedere qualcuno dagli accordi raggiunti), che è possibile assolvere l’obbligo prolungato a 10 anni anche nella Formazione Professionale. Un obbligo, quindi che non si può chiamare scolastico ma d’Istruzione. Finalmente, anche se attraverso un percorso bizantino di scatole cinesi, la Formazione Professionale regionale è entrata nel Sistema d’Istruzione nazionale. Comunque rispetto alla mediazione Mezzapesa storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 130 131 abbiamo fatto passi avanti; lì, infatti, la certificazione dell’assolvimento dell’obbligo per i corsi sperimentali ad ordinamento speciale veniva rilasciata dal Ministero della Pubblica Istruzione qui, invece, “le attività connesse con l’attuazione dell’obbligo d’istruzione” rimangono di esclusiva competenza regionale (art. 2, comma 5). Naturalmente non è in ballo la competenza istituzionale, ma la natura della Formazione Professionale, la sua identità di sistema formativo. Il Testo Unificato della VII Commissione viene approvato il 22 settembre 1993 e trasmesso alla Camera, dove diventa l’Atto n. 3158. L’interruzione della legislatura, il 14 aprile 1994, soffoca anche questo ennesimo tentativo di riforma. 3.7. Tentativi di riforma della Secondaria nella dodicesima Legislatura (1994-96) Dalle elezioni del 27 e 28 marzo 1994 esce vincitore il Polo per le Libertà e il Buon Governo guidato da Silvio Berlusconi160 sull’Alleanza dei Progressisti161 di 160 Il Polo del Buon Governo era una coalizione elettorale di centro-destra che comprendeva essenzialmente Forza Italia e Alleanza Nazionale e si presentava unicamente nei collegi uninominali centro-meridionali; in quelli centro-settentrionali, invece, era presente la coalizione rappresentata dal Polo delle Libertà, che si componeva di Forza Italia e Lega Nord, mentre AN si presentava da sola. Entrambe le coalizioni sostenevano la leadership di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia. In quota Forza Italia furono candidati esponenti del CCD di Casini. 161 L’Alleanza dei Progressisti riuniva questi soggetti politici: Partito Democratico della Sinistra (PDS): partito-guida della coalizione, di natura post-comunista; Alleanza Democratica (AD): soggetto trasversale di centrosinistra di natura laico-riformista; Cristiano Sociali: forza riformista, situata all’ala sinistra del filone culturale cattolico; Federazione dei Verdi: forza di stampo ambientalista; La Rete: Figura n. 24 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel Testo Unificato della VII Commissione storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 131 132 centro sinistra, guidata da Achille Occhetto e del Patto per l’Italia del centro162, guidato da Mariotto Segni163. L’11 maggio il Governo giura nelle mani del Presidente Scalfaro e pochi giorni dopo ottiene la maggioranza al Senato grazie ai voti di alcuni senatori a vita164. Ma il I Governo Berlusconi non dura nemmeno un anno; infatti, una proposta del Guardamovimento che si caratterizzava per un forte impegno contro la mafia e a favore della legalità; Partito della Rifondazione Comunista (PRC): forza di ideologia euro-comunista; Partito Socialista Italiano (PSI) (fino al 1994): ciò che rimaneva del PSI; Rinascita Socialista: forza politica nata da una scissione della sinistra socialista dal PSI. Il simbolo era dato dalla scritta PROGRESSISTI su sfondo bianco con una striatura tricolore. concorrenza con quelli della coalizione. Dopo l’insuccesso alle elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994, l’alleanza cessò praticamente di esistere. 162 Il Patto era costituito da: Partito Popolare Italiano, Patto Segni, Partito Repubblicano Italiano, Unione Liberaldemocratica, indipendenti socialisti e socialdemocratici quali Giuliano Amato e Giulio Tremonti. Dopo gli scarsi risultati riportati in occasione delle elezioni politiche del 1994 la coalizione di “centro” si è sciolta: Il Partito Popolare Italiano, sotto la guida del nuovo leader Rocco Buttiglione avviò un processo di confronto tanto con il centro-destra quanto con la sinistra. Il partito risultò così spaccato in due forti correnti, una favorevole all’alleanza con il Polo delle Libertà (guidata dallo stesso Buttiglione) ed una favorevole al confronto con i Progressisti (guidata da Gerardo Bianco). La crisi si concluse con la fuoriuscita di Buttiglione dal partito, che portò con sé lo “scudo crociato” e diede vita ai Cristiani Democratici Uniti. Il Patto Segni subì scissioni verso Forza Italia (Giulio Tremonti e Alberto Michelini) e aderì a L’Ulivo con la quale si presentò nel 1996 sotto le insegne di Rinnovamento Italiano. A partire dal 1999 tuttavia il piccolo partito scelse l’alleanza con la Casa delle Libertà nel 2001. Nel 2004 invece il partito, divenuto Patto dei Liberaldemocratici, corse sganciato dai principali schieramenti. Il Partito Repubblicano Italiano di Giorgio La Malfa, dopo essersi presentato con il PPI all’interno de L’Ulivo nel 1996 (eleggendo 2 deputati e 2 senatori), nel 2001 scelse di aderire alla Casa delle Libertà, in stretta alleanza con Forza Italia. L’Unione Liberaldemocratica di Valerio Zanone è confluita nella Federazione dei Liberali Italiani ed è entrata a far parte de L’Ulivo come membro di Unione Democratica. I gruppi di matrice socialista e socialdemocratica sono confluiti chi in Unione Democratica (e poi ne I Democratici), chi nel Centro Cristiano Democratico, chi in Forza Italia, chi nei Socialisti Democratici Italiani, chi nei Democratici di Sinistra. 163 MARIOTTO SEGNI detto Mario (1939), come suo padre, il Presidente della Repubblica Antonio, cominciò a svolgere la sua attività politica nella Democrazia Cristiana. Ha ricoperto l’incarico di Sottosegretario all’Agricoltura nel secondo Governo Craxi e nel sesto Governo Fanfani. Nel 1992 Segni fondò, sull’onda del successo del Referendum abrogativo del 1991, il movimento Alleanza Democratica, per promuovere i referendum per la modifica della Legge elettorale da proporzionale in maggioritaria e provocare un rinnovamento radicale nel sistema politico italiano. Il 23 marzo del 1993 abbandonò la DC, colpita dall’inchiesta Mani Pulite. Grazie al sostegno di alcuni leader del centrosinistra italiano, tra cui Achille Occhetto e numerosissimi esponenti della società civile, la consultazione referendaria che si tenne il 18 aprile del ’93 superò il quorum e si concluse con la vittoria del “sì”. In breve tempo Mario Segni divenne uno dei leader politici più amati ed apprezzati dall’elettorato italiano. Nel 1994 fondò, separandosi da AD, un nuovo movimento politico, il Patto Segni, che non ebbe molta fortuna. Nel 1996, in occasione delle elezioni politiche annunciò il suo ritiro dall’attività parlamentare italiana e tornò all’insegnamento universitario. Ciò che rimaneva del suo partito si federò con la Lista Dini, alleata col centrosinistra. Rientrò sulla scena politica nel 1999 quando fuse quel che rimaneva del suo partito con Alleanza Nazionale sotto il simbolo de L’Elefantino. Il pessimo risultato conseguito in quelle consultazioni (10% delle preferenze) portò alla successiva (e definitiva) divisione tra AN e il “Patto”. Mario Segni ha sempre avversato gli eccessi del berlusconismo ma, fedele alla sua estrazione di cattolico e liberale, non ha mai voluto accettare avances neppure dall’Ulivo. 164 In seguito a due sconfitte elettorali, Occhetto lascia la guida del Pds, che viene assunta da Massimo D’Alema. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 132 133 sigilli Alfredo Biondi165 che riforma in senso garantista le norme sulla custodia cautelare e gli avvisi di garanzia desta forti malumori nella Lega Nord, che si dissocia pubblicamente dalla decisione e presenta alla Camera, il 17 dicembre, una mozione di sfiducia. Il 22 dicembre il Premier presenta le dimissioni al Capo dello Stato, che il 13 gennaio 1995 conferisce a Lamberto Dini, già Ministro del Tesoro, l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Quello presieduto da Dini viene definito “governo tecnico” per la presenza di personalità scelte al di fuori della politica attiva. Lo appoggiano Partito Popolare, Lega e PDS, con l’astensione del Polo. Ma nemmeno questo esecutivo ha vita lunga: il 26 ottobre si vota alla Camera la mozione di sfiducia presentata dal Polo contro il Governo Dini, che viene respinta grazie all’astensione del gruppo di Rifondazione Comunista, persuaso dall’annuncio di Dini di dimettersi una volta approvata la 165 On. ALFREDO BIONDI (1928) avvocato e parlamentare di lungo corso (dal 1968 al 1972, e poi ininterrottamente dal 1979 al 2008). È stato più volte Ministro e vicepresidente dell’assemblea di Montecitorio. Nel V Governo Fanfani, dal 1º dicembre 1982 al 4 agosto 1983, fu Ministro senza Portafoglio, con delega per il coordinamento interno delle politiche comunitarie. Nel I Governo Craxi, dal 4 agosto 1983 al 31 luglio 1985, fu Ministro senza Portafoglio con delega per l’Ecologia. Fu segretario del Partito Liberale Italiano nel 1985-1986. Eletto nelle liste di Forza Italia, diventa Ministro alla Giustizia, durante il I Governo Berlusconi (1994): è in queste circostanze che – nel mese di luglio – presenta il cosiddetto decreto salvaladri, che apre le porte a numerosi detenuti di Tangentopoli. Il decreto viene ritirato in seguito alle dimissioni del pool dei magistrati di Milano e alla intensa protesta popolare. Dal 2004 è Presidente del Consiglio Nazionale di Forza Italia, massimo organo collegiale del partito. Dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008 viene eletto senatore nelle liste di Forza Italia per la Regione Liguria. Nel 2008 non è reinserito nelle liste del Popolo della Libertà per le elezioni parlamentari. Il 26 ottobre 2010 lascia la Direzione Nazionale del PDL, per la mancanza di dibattito interno al partito e per una visione a sua detta feudale. È presidente dell’Unione liberale di centro, l’associazione liberale promossa da Raffele Costa. 166 Vedi nota 161. Prospetto n. 10 - Progetti di riforma della Scuola Secondaria superiore nella dodicesima Legi - slatura storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 133 134 Legge Finanziaria. La manovra viene approvata il 22 dicembre. Il 30 dello stesso mese il Presidente del Consiglio rimette il mandato nelle mani di Scalfaro, che però rinvia il Governo alle Camere. Due settimane dopo, a seguito di nuove dimissioni, il Capo dello Stato avvia le consultazioni per formare un nuovo esecutivo. Consultazioni che, non avendo successo, conducono allo scioglimento anticipato delle Camere. Anche in questa legislatura è il Senato ad occuparsi prevalentemente dalla riforma della Secondaria e del prolungamento dell’obbligo. 3.7.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PRC) Il 25 luglio del 1994 Rifondazione Comunista, pur facendo parte del cartello elettorale e del gruppo parlamentare dei Progressisti, presenta un DDL che si muove su traiettorie diverse da quelle del suo principale alleato. Il testo, primo firmatario il senatore Bergonzi167, ripropone la tesi tradizionale della sinistra sull’assolvimento dell’obbligo, prolungato a 10 anni, esclusivamente nell’ambito del primo biennio della Scuola Secondaria. Una secondaria che, in base al principio dell’egualitarismo – una Scuola per tutti che diventa una Scuola uguale per tutti – deve avere una struttura unitaria (“sono progressivamente soppressi,[…], tutti gli attuali istituti di istruzione post-obbligatoria”, art. 2, comma 2). Il primo biennio viene chiamato di orientamento; il triennio successivo, invece, di indirizzo. Infatti, i primi due anni in cui, come detto, si assolve l’obbligo, sono destinati a “completare la cultura di base e fornire gli strumenti conoscitivi per le successive scelte dello studente” (art. 6), il corso triennale alla scelta di campi disciplinari di indirizzo (scienze umane, scienze naturali fisiche e matematiche, scienze della tecnica e delle tecnologie, delle arti) e di settori di specializzazione, due o più per indirizzo (art. 9). L’organizzazione degli studi, sia per il biennio sia per il triennio, si articola in: a) un’area comune; b) attività di orientamento; c) attività formative e di indirizzo; d) attività elettive e facoltative (art. 7). Naturalmente questo paradigma comune viene declinato in termini di ore in maniera diversa, sia nel biennio sia nel triennio (ad es. il primo anno è interamente destinato alle discipline dell’area comune, che nel triennio occuperanno almeno un terzo del tempo globale della didattica). E la Formazione Professionale? Mai nominata, né nel testo del DDL né nella relazione che lo accompagna. Dobbiamo, per completezza, dare conto anche di una proposta di un parlamentare leghista, il sen. Lorenzi. Il DDL n. 1566, del 30 marzo 1995 porta solo la sua firma e quindi la proposta va considerata come un’iniziativa personale, senza coinvolgimenti del partito di provenienza. 167 On. PIEGIORGIO BERGONZI (1947), insegnante è stato eletto al Senato, nelle fila del Partito di Rifondazione Comunista, nella XI, XII e XIII Legislatura. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 134 135 Si tratta di una proposta sui generis, abbastanza lontana dai paradigmi a cui ci hanno abituato i Disegni di Legge esaminati. Come rivela il titolo (“Legge quadro per un riordinamento graduale dell’istruzione scolastica e universitaria”) il provvedimento propone una riforma globale dell’intero sistema formativo, “un nuovo ordinamento strutturale della scuola”, come dice la Relazione accompagnatoria. L’obbligo scolastico è portato a 9 anni, articolati in cicli triennali successivi: oltre la scuola materna (resa obbligatoria pur prevedendo la facoltà di deroga) da tre a cinque anni, la scuola elementare dal sesto anno di età; la scuola media inferiore dal nono anno e la scuola media superiore dal dodicesimo anno. Esaurito il ciclo scolastico obbligatorio lo studente può scegliere tra un percorso triennale che porta o ad un diploma universitario, articolato in diversi indirizzi di studio (classico, scientifico, tecnologico, artistico, linguistico) o a un diploma professionale (geometra, ragioniere, perito…). Anche l’Istruzione universitaria risponde alla logica triennale: Figura n. 25 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del PRC (Relatore sen. Bergonzi) Figura n. 26 - Riforma del Sistema formativo nel DDL della Lega Nord (Relatore sen. Lorenzi) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 135 136 viene articolata, infatti, in un triennio per il conseguimento della Laurea e un triennio per il dottorato. Non solo non sono previsti legami con il sistema formativo, ma in tutto il documento l’espressione Formazione Professionale non compare mai. 3.7.2. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo anche nella Formazione Professionale In questa dodicesima Legislatura si allarga il fronte dei soggetti politici che reputa possibile, con tante cautele e condizioni, assolvere l’obbligo prolungato a 10 anni anche in percorsi della Formazione Professionale regionale. La manifestazione parlamentare di questa posizione avviene con modalità diverse: con la riproposizione integrale (Progressisti e Popolari) o con modifiche (CCD) del Testo Unico della VII Commissione della XI Legislatura o con un testo nuovo (Ministro della Pubblica Istruzione, on. D’Onofrio). a) I DDL dell’Alleanza dei Progressisti e dei Popolari Il DDL del gruppo parlamentare dell’Alleanza dei progressisti, denominazione con cui, come ricordato, la sinistra si era presentata alle elezioni politiche, riproduce esattamente il Testo Unificato approvato dal Senato nella XI Legislatura. Nella relazione accompagnatoria del documento, il sen. Salvi168, primo firmatario, motiva così questa scelta: “…l’ampia convergenza realizzata al senato sulle linee generali di provvedimento e la confermata urgenza dell’innalzamento dell’obbligo suggeriscono la ripresentazione integrale del testo al fine di accelerare i tempi per l’approvazione di una riforma inderogabile della scuola secondaria superiore”169. Anche il Partito Popolare Italiano riproduce integralmente il testo della VII Commissione nel suo DDL (primo firmatario il sen. Folloni), con qualche modifica di carattere esclusivamente formale. Nella relazione accompagnatoria sono evidenziate le linee essenziali ereditate dal dibattito e dal confronto degli anni precedenti e confluite nel Testo Unificato della XI Legislatura: “… l’unitarietà, ma non l’unicità della scuola secondaria; l’orientatività come caratteristica in qualche modo intrinseca alla scuola dell’adolescente; la necessità di un rapporto con la dimensione della professionalità o quanto meno della pre-professionalità. Vengono quindi confermate le scelte relative all’innalzamento dell’obbligo dell’istruzione al sedicesimo anno; il riconoscimento del sistema della Formazione Professionale come risorsa soprattutto in vista di un più efficace impegno contro la dispersione scolastica”. 168 On. CESARE SALVI (1948), dal 1979 al 2011 è stato professore ordinario di diritto civile all’Università di Perugia, per poi passare alla cattedra di diritto privato nella stessa Università. Eletto in Parlamento per il PDS nell’XI e XII Legislatura, per i DS nella XIII e XIV, nella XV Legislatura è stato capogruppo di Sinistra Democratica. Attualmente è Presidente del Consiglio nazionale della Federazione della Sinistra. 169 SENATO DELLA REPUBBLICA XII Legislatura, DDL n. 931, d’iniziativa dei sentori Salvi e altri, Legge quadro per il riordino dell’istruzione secondaria superiore e per il prolungamento dell’obbligo scolastico, comunicato alla Presidenza il 29 settembre 1994, p. 2. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 136 137 b) Il DDL del CCD Il DDL del CCD, primo firmatario il sen. Palombi, a prima vista sembrerebbe una “riscrittura” del Testo Unificato elaborato dal relatore Manzini per conto della VII Commissione. Invece il CCD, pur riproponendo quel copione vi inserisce poche ma significative modifiche, che penalizzano la Formazione Professionale. Nell’art. 1 si afferma: “L’istruzione obbligatoria, prolungata a complessivi 10 anni, si assolve o mediante frequenza positiva dei primi due anni della scuola superiore o mediante progetti mirati da realizzare nella scuola secondaria di primo o secondo grado d’intesa con le strutture della Formazione Professionale”. Nell’ambito della Scuola Media, per gli studenti che abbiano superato il quindicesimo anno di età, i corsi mirati consistono in “moduli integrativi ai piani di studio, aperti anche ad attività preprofessionali, attuate in convenzione con strutture apposite della Formazione Professionale” (art. 3, comma 1, lett. a). Nell’ambito del primo biennio della Secondaria superiore i corsi mirati sono “specifici corsi di studio che…consentano la frequenza di quote orarie relative alla Formazione Professionale scuola-lavoro” (art. 3, comma 1, lett. b). Nell’uno e nell’altro caso le iniziative sono promosse da “accordi quadro nazionali e specifiche programmazioni regionali”. Agli studenti prosciolti dall’obbligo attraverso i corsi mirati “è rilasciata apposita attestazione dalle scuole pubbliche” (art. 6, comma 4). Figura n. 27 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del CCD (Relatore sen. Palumbo) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 137 138 170 On. FRANCESCO D’ONOFRIO (1939), professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, avvocato, inizia la sua carriera politica nelle file della Democrazia Cristiana. Viene eletto per la prima volta al Senato nella IX Legislatura (1983). Nel 1987, 1992 e 1994, viene invece eletto alla Camera dei deputati. Entra a far parte del VII Governo Andreotti in qualità di Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri; nel 1991 gli viene conferita la delega alle Riforme Istituzionali ed agli Affari Regionali. In seguito allo scioglimento della DC, D’Onofrio fonda il CCD con Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella e fa parte dello schieramento di centrodestra Polo delle Libertà. Nel primo governo Berlusconi diventa Ministro della Pubblica Istruzione. Nel 1996 D’Onofrio viene eletto al Senato ed è nominato capogruppo del CCD a Palazzo Madama. Fra il 2001 e il 2006 ricopre l’incarico di capo dei senatori del Biancofiore, gruppo parlamentare che vede uniti il CCD di Casini ed il CDU di Buttiglione e che darà vita nel 2002 ad un soggetto politico comune, insieme a Democrazia Europea, l’Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro (UDC). Nel 2006 viene eletto senatore ed è capogruppo dell’UDC. 171 Di concerto col Ministro dell’Interno (Maroni) col Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica (Paglierini) col Ministro del Tesoro (Dini) col Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale (Mastella) col Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (Podestà), col Ministro per la Funzione Pubblica e gli Affari Regionali (Urbani). 172 SENATO DELLA REPUBBLICA, XII Legislatura, DDL n. 1093, presentato dal Ministro della Pubblica Istruzione D’Onofrio, Elevazione dell’obbligo scolastico e riordino degli ordinamenti scolastici. Relazione p. 4. 173 Cfr. L. n. 236/93 Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione, art. 9 comma 15.b.bis[16] “I rapporti di cui al comma quindicesimo interessano soggetti che hanno assolto l’obbligo scolastico e si realizzano: […] b-bis) per gli utenti forniti di diploma di istruzione secondaria superiore che frequentino corsi postsecondari di perfezionamento o specializzazione, mediante esperienze pratiche previste nei relativi piani di studio, da effettuare presso aziende; i corsi sono istituiti sulla base di convenzioni o accordi tra l’amministrazione scolastica o le singole scuole e le regioni interessate, anche in relazione alle proposte delle associazioni dei datori di lavoro, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori mag- Le modifiche introdotte da questo DDL all’impianto del DDL della VII Commissione penalizzano la Formazione Professionale, perché non la considerano nella sua dignità di processo formativo autonomo, ma semplicemente come percorso per l’acquisizione di abilità operative. Come dire: invece di fare uno stage in azienda i ragazzi passano qualche ora in un Centro di Formazione Professionale e regista della operazione è la Scuola; è nell’ambito della Scuola che si realizzano i corsi mirati; ed è la Scuola a rilasciare la certificazione dell’assolvimento dell’Istruzione obbligatoria. E la Formazione Professionale? In posizione sussidiaria, chiamata a dare un contributo, naturalmente di natura “operativa”! c) Il DDL del Ministro della Pubblica Istruzione Il Ministro D’Onofrio170 presenta al Senato il 4 novembre 1994 il DDL “Elevazione dell’obbligo scolastico e riordino degli ordinamenti scolastici”171. È un testo che fissa “i principi informatori e le linee portanti, demandandone la concreta attuazione alla normativa regolamentare”172. La Secondaria si articola: a) in una formazione a ciclo unitario, di durata quinquennale, finalizzata alla successiva formazione universitaria e post-secondaria; b) una formazione a cicli articolati triennale e biennale, finalizzati, il primo ad un più rapido accesso al lavoro, anche con ulteriori interventi della Formazione Professionale regionale, il secondo all’accesso alla formazione universitaria o a corsi di perfezionamento o specializzazione173, istituiti mediante convenzioni o accordi tra AmmistoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 138 139 nistrazione scolastica o singole scuole e le Regioni e le Università (con “esperienze pratiche da realizzare presso aziende”, art. 5). L’obbligo scolastico (art. 1) viene portato a 10 anni e si assolve: a) con la frequenza ai primi due anni della media superiore; b) nei corsi biennali del sistema regionale: “sulla base di un accordo quadro approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni presso le strutture di Formazione Professionale regionale convenzionate con le istituzioni scolastiche del territorio e comunque nel rispetto di standard di qualità formativi definiti dallo Stato” (art. 1, comma 7); c) nei “progetti mirati”: “percorsi personalizzati, modulari e flessibili […] tali progetti sono attivati dalle istituzioni scolastiche, anche sulla base delle richieste delle famiglie, e possono essere realizzati mediante convenzioni con le strutture di Formazione Professionale individuate in sede di programmazione” (ibidem). giormente rappresentative a livello nazionale e degli ordini professionali; i rapporti tra le singole Istituzioni scolastiche e le aziende interessate ai corsi sono regolati da specifiche convenzioni; mediante la stipula di appositi accordi o convenzioni con le Università, le attività di formazione svolte nei corsi possono valere come crediti formativi utili ai fini della prosecuzione degli studi nei corsi universitari finalizzati al conseguimento dei diplomi universitari”. Figura n. 28 - Riforma della Scuola Secondaria superiore nel DDL del Ministro della Pubblica Istruzione storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 139 140 Nei due anni in cui si assolve l’obbligo, a prescindere dal canale formativo in cui si assolve, gli alunni avranno “una quota di insegnamenti comuni tendenti a fornire, pur nella diversità del rapporto tra contenuti e obiettivi specifici dei corsi di studio, un livello di formazione generale omogeneo” (art. 2, comma 3). I criteri e le modalità per i passaggi degli studenti da un ordinamento ad un altro o per i rientri nel sistema scolastico da parte degli allievi della Formazione Professionale sono stabiliti con Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione (art. 4). 3.8. La via amministrativa alle riforme Il risultato dell’impasse descritto è ben noto: il nostro Paese è l’unico dell’area OCSE174 a non aver adottato nel dopoguerra una strategia complessiva di rinnovamento dell’Istruzione secondaria a causa del conflitto a somma zero registratosi tra i decisori politici. Alla inconcludenza della discussione parlamentare, però, fortunatamente, ha fatto riscontro l’attivismo del governo. Infatti, le poche novità di rilievo (nel senso di incisive e significative sotto il profilo strategico) sono state introdotte per via amministrativa da parte dei Ministri della Pubblica Istruzione. Per prima, nel 1986, ha imboccato questa strada l’allora Ministro della Pubblica Istruzione, on. Falcucci175, presentando un progetto di revisione dei programmi dei primi due anni delle Superiori che prevedeva la razionalizzazione, la ristrutturazione e l’accorpamento dei vari indirizzi e istituti176.Anche il Ministro successivo ha privi- 174 Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) o Organisation for Economic Cooperation and Development - OECD e Organisation de coopération et de développement économiques - OCDE, è un’organizzazione internazionale di studi economici per i Paesi membri, Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. L’organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un’occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei Paesi membri. La nascita dell’organismo (1948), inizialmente come Organizzazione per la cooperazione economica europea (OECE), fu dovuta all’esigenza di dar vita a forme di cooperazione e coordinamento in campo economico tra le Nazioni europee nel periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Con la creazione delle Comunità Europee (CEE e CEEA) nel 1957 l’OECE fa posto all’OCSE (1961) che supera il ruolo di organizzazione europea e allarga la sua azione verso obiettivi di integrazione e cooperazione economica e finanziaria tra i maggiori Paesi del così detto Occidente. L’OCSE ha sede a Parigi e conta attualmente 34 Paesi membri: oltre ai fondatori dell’OECE (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Turchia) sono entrati a farne parte, nell’ordine: Repubblica Federale Tedesca, Spagna, Canada, Stati Uniti, Giappone, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Cile, Estonia, Israele. 175 On. le FRANCA FALCUCCI (1926) eletta ininterrottamente nelle file della Democrazia Cristiana (iscritta fin dal 1944) dalla V Legislatura (inizata nel giugno 1968) alla X (terminata nell’aprile del 1992) è stata vice-segretario del partito (1975-1976), per alcuni giorni Segretario Nazionale (1976) e poi Ministro della Pubblica Istruzione (1982-1987) con Fanfani, Craxi e di nuovo con Fanfani. 176 In particolare veniva introdotto il Liceo Linguistico nell’ambito dello scientifico, l’Istruzione tecnica era riorganizzata in tre grandi settori, quella professionale veniva strutturata in un biennio costoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 140 141 legiato la via amministrativa, in particolare con due sperimentazioni: il Progetto Brocca e il “Progetto ’92”177. 3.8.1. Le innovazioni sperimentali: il Progetto Brocca e il Progetto ’92 Il “Progetto Brocca” (dal nome del Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Beniamino Brocca178 che coordinò la commissione ministeriale autrice del progetto) è uno studio per la revisione del sistema didattico pubblico italiano179. Istituita nel 1988, la commissione Brocca ricevette inizialmente dal Ministro Giovanni Galloni180 il mandato di “revisionare” i programmi dei primi due anni della Secondaria superiore, in vista del prolungamento dell’Istruzione obbligatoria al sedicesimo anno d’età. L’anno seguente, in cui la commissione fu confermata dal successivo Ministro Sergio Mattarella181, si ebbe il primo esito concreto, cioè l’elaboramune agli altri tipi di scuola, dopo il quale o si frequenta un terzo anno per ottenere la qualifica, o si accede all’Istruzione tecnica fino al diploma, era abolita la scuola magistrale ed erano quinquennalizzati l’Istituto magistrale, il Liceo Artistico e l’Istituto d’Arte. Oltre a ciò, si introduceva l’articolazione area comune/area di indirizzo, il rapporto orario tra le due veniva fissato in 25 a 10 e l’unità-oraria era stabilita in 50 minuti. Nei programmi veniva potenziata l’area degli insegnamenti scientifici, era aggiunta l’informatica, veniva rafforzata la formazione linguistica e reso autonomo l’insegnamento dell’educazione civica. Il progetto ministeriale costituiva una novità importante per l’apertura alle acquisizione della cultura moderna, per l’adeguamento alle esigenze della programmazione e della interdisciplinarità e per l’accoglimento dell’organizzazione in area comune e di indirizzo. D’altra parte, oltre a vari limiti di carattere contenutistico, metodologico e strutturale, esso lasciava irrisolti alcuni nodi di fondo quali: la fattibilità di un percorso interamente amministrativo di riforma dei programmi, la natura del biennio come ciclo conclusivo dell’istruzione obbligatoria e/o di avvio verso successive fasi del grado secondario, il rapporto tra Scuola e Formazione Professionale. 177 I due progetti sono stati realizzati sulla base dell’art. 3 del DPR 31 maggio 1974, n. 419, Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti (cfr. Supplemento Ordinario alla G.U. 13 settembre 1974, n. 239). 178 On. BENIAMINO BROCCA (Padova 1936), del gruppo parlamentare della DC, è stato deputato alla Camera dalla VII Legislatura (1976) alla X (1992). È stato Sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione ininterrottamente dal 30 luglio 1987 al 28 giugno 1992 sotto i Governi Goria, De Mita e Andreotti (VI e VII). 179 Cfr. sulla materia: GENOVESI G., Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2006; PISCOPO U., La scuola del regime, Guida, Napoli 2006; DECOLLANZ G., Storia della scuola e delle istituzioni educative. Dalla Legge Casati alla riforma Moratti, Laterza, Roma-Bari 2000; VERTECCHI B., La scuola italiana da Casati a Berlinguer, Franco Angeli, Milano 2001; REDI SANTE DI POL, Il sistema scolastico italiano, Marco Valerio, Torino 2002; SEMERARO A., Il sistema scolastico italiano, Carocci, Roma 1999; CORBI E., SARRACINO V., Scuola e politiche educative in Italia dall’Unità a oggi, Liguori, Napoli 2003; D’AMICO N., Storia e storie della scuola italiana, Zanichelli, Bologna 2009. 180On. GIOVANNI GALLONI (1927), professore universitario, tra i fondatori della corrente di sinistra della Democrazia Cristiana (1953), fu anche vicepresidente del partito e due volte vicesegretario, nel 1965 e nel 1977. Ricoprì l’incarico di Ministro della Pubblica Istruzione dal 28 luglio 1987 al 22 luglio 1989 (nei Governi Goria e De Mita). È stato direttore de “Il Popolo” (1982-1986). Galloni fu anche membro (1990-1994) del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), di cui fu vicepresidente fino alla revoca dell’incarico, nel 1991, da parte dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. 181 On. SERGIO MATTARELLA proviene da famiglia di tradizione democratico cristiana: figlio di Bernardo Mattarella e fratello di Piersanti. Deputato dal 1983, diviene Ministro dei Rapporti con il Parlamento nei Governi De Mita e Goria, al dicastero della Pubblica Istruzione nel Governo Andreotti VI. Direttore de “Il Popolo” (1992-1994) Mattarella è stato uno dei principali rappresentanti del rinnovastoriaFORMAZ3- 1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 141 142 zione dell’area comune del biennio. Ricostituita nel 1990 dal Ministro Gerardo Bianco182 nel 1991 il mandato fu esteso ai piani di studio del triennio. Nel 1992 la commissione concluse i suoi lavori durante il dicastero di Riccardo Misasi183. Il “Progetto ’92”, avviato anch’esso nel 1988 ad iniziativa della Direzione generale dell’Istruzione professionale sotto forma di sperimentazione nazionale assistita, è stato recepito come nuovo ordinamento con decreti ministeriali del 1992184 (per il triennio iniziale di qualifica) e 1994185 (per il biennio terminale post-qualifica)186. La filosofia, comune ai due progetti era quella prevalente a livello internazionale ormai da tempo – almeno dalla metà degli Anni ’70 – e che sosteneva che la società contemporanea richiedesse a livello di Istruzione secondaria: – una più ampia e solida cultura generale; competenze metodologiche e trasversali (cross-curriculum competencies) idonee a comprendere e gestire il cambiamento delle professionalità e dell’organizzazione del lavoro; – la ricomposizione dei saperi disciplinari lungo assi progettuali e culturali di indirizzo ben definiti e ben rappresentati nella stessa struttura dei curricoli. Dal punto di vista della struttura dei curricoli i due progetti, chiamati “Progetto Brocca” quello relativo agli Istituti Tecnici e “Progetto ’92” quello relativo agli Istituti Professionali, si sono mossi secondo una logica convergente poiché non solo hanno in comune la medesima area di insegnamenti comuni nel biennio, ma sopratmento della Democrazia Cristiana che portò alla formazione del Partito Popolare Italiano. Porta il suo nome la riforma della Legge elettorale in senso maggioritario (giornalisticamente nota anche con l’appellativo di Mattarellum) approvata nell’agosto del 1993. Nel 1996, con la nuova legislatura a maggioranza ulivista, viene eletto capogruppo dei deputati popolari. Durante il Governo D’Alema I ha assunto la carica di vicepresidente del Consiglio, mentre nei successivi Governo D’Alema II e Governo Amato II è stato Ministro della Difesa. Nel 2001 viene rieletto alla Camera dei deputati nelle liste della Margherita. Alle elezioni politiche del 2006 è riconfermato deputato per la lista dell’Ulivo. Nel 2011 è stato eletto Giudice della Corte costituzionale. 182 GERARDO BIANCO (1931) è un politico italiano, esponente della Democrazia Cristiana, del Partito Popolare Italiano, della Margherita e della Rosa per l’Italia; è stato deputato in diverse Legislature (V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XIV) dal 1968 al 2006. È stato inoltre Ministro della Pubblica Istruzione, di cui occupò il Ministero nel Governo Andreotti VI. Nel 1994 venne eletto deputato europeo a Strasburgo del Partito Popolare Italiano. Bianco ha guidato il Partito Popolare per tre anni contribuendo alla nascita dell’Ulivo e all’elezione di Romano Prodi alla carica di Presidente del Consiglio. Per le elezioni politiche 2006 è stato rieletto alla Camera dei deputati nella lista dell’Ulivo. Nel 2008 ha aderito al progetto centrista della Rosa per l’Italia, svincolato dai poli. 183 RICCARDO MISASI (1932-2000) è stato deputato DC e Ministro della Pubblica Istruzione (1970- 1972) e tra il 1991 ed il 1992 e Ministro degli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno durante il Governo Andreotti VI. 184 Vedi D.M. 24 aprile 1992. 185 Vedi D.M. 15 aprile 1994. 186 Accanto a questi due progetti, va poi ricordato il vasto movimento verso l’innovazione che si è espresso negli Anni ’80 e ’90 principalmente attraverso due canali: a) le sperimentazioni autonome di ordinamento e struttura (maxisperimentazioni); b) le sperimentazioni nazionali assistite promosse dalla Direzione generale dell’Istruzione tecnica, da quella dell’Istruzione classica, scientifica e magistrale e dall’Ispettorato dell’istruzione artistica. Su un piano più limitato si pongono, infine, le cosiddette minisperimentazioni consistenti spesso nel prolungamento dello studio della lingua straniera o in altri microinterventi di modesta entità. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 142 143 tutto hanno entrambi operato una drastica riduzione della frammentazione dei percorsi (rispettivamente quinquennali e triennali), privilegiando una formazione più equilibrata ed omogenea (meno pratico-applicativa come quella prevista negli Istituti Professionali prima del “Progetto ’92”). Il Prospetto 11 mette a confronto, a titolo esemplificativo, la gamma dei vecchi e dei nuovi indirizzi in un settore importante come quello degli studi di tipo economico-amministrativo sia nell’Istruzione Tecnica che in quella Professionale. La differenza tra i due progetti sta soprattutto nel diverso grado di terminalità dei titoli e di interfacciamento con il mondo del lavoro che essi presentano: a) i percorsi quinquennali (biennio più triennio) del Progetto Brocca hanno una vocazione e un impianto di tipo liceale, nel senso che preparano: - alla prosecuzione degli studi in un canale accademico (corsi universitari di Diploma e di Laurea); - alla prosecuzione della formazione in un canale non accademico a carattere applicativo (corsi post secondari teorico-pratici del tipo di quelli largamente diffusi in quasi tutti gli altri Paesi dell’area OCSE, ma assenti in Italia); - ad attività di lavoro, in posizioni professionali intermedie, fortemente intrecciate con iniziative di Formazione Professionale Continua; 187 Il Progetto Brocca prevedeva nella sua versione iniziale (1991) un solo indirizzo nell’area economica. Successivamente, in sede di redazione dei programmi del triennio (1992), la maggioranza della Commissione ha ritenuto tale soluzione troppo drastica ed ha optato per due indirizzi: l’economico- aziendale e il linguistico aziendale. Un compromesso continuistico. Nel 1994 è stato reintrodotto anche l’indirizzo turistico. Prospetto n. 11 - Confronto tra indirizzi del vecchio ordinamento e quelli del Progetto Brocca e del Progetto ’92 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 143 144 b) i percorsi triennali e quinquennali dell’Istruzione professionale (triennio più biennio post qualifica) del Progetto ’92 hanno una vocazione e un impianto professionalizzanti e preparano: - ad una rapida transizione al lavoro, in ruoli professionali di tipo esecutivo, con uscite alla fine del terzo e del quinto anno; - alla prosecuzione della Formazione Professionale, pur senza escludere quella accademica, lungo itinerari essenzialmente legati all’attività di lavoro, nella prospettiva della Formazione Continua. 3.8.2.Gli Istituti Professionali e il Progetto ‘92: dall’antagonismo all’interazione con la FP a) Il Triennio Il Progetto ’92, relativamente al triennio dell’Istruzione Professionale, è diventato nuovo ordinamento, come già ricordato, dopo una sperimentazione di quattro anni, con il D.M. 24 aprile 1992188 ed è stato esteso a regime a tutte le classi iniziali dei corsi di qualifica a partire dall’anno scolastico 1995-96189. I risultati della sperimentazione sono stati adottati da tutte le Scuole e da tutte le classi nell’a.s. 1997-98 (cfr. Tab. n. 7). 188 Cfr. G.U. 21.5.1992 Supplemento Ordinario n. 77. 189 Il nuovo ordinamento è stato adottato con questa progressione: a) a.s. 1992-93 - Tutti i corsi nei quali già è attuata la sperimentazione “Progetto ’92” seguiranno i nuovi programmi; b) a.s. 1993-94 - L’attuazione dei nuovi programmi ed orari interessa almeno il 40% di tutte le prime classi dei corsi di qualifica funzionanti in ciascuna scuola; c) a.s. 1994-95 - L’attuazione dei nuovi programmi ed orari sarà estesa alla totalità delle prime classi dei corsi funzionanti. Figura n. 29 - Struttura dell’Istruzione Tecnica (Progetto Brocca) e dell’Istruzione Professionale (Progetto ’92) storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 144 145 Il giorno precedente, il 23 aprile, il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione190 aveva espresso parere positivo per la sua messa a regime, rilevando che “la trasformazione proposta è innovazione opportuna”. Il percorso formativo triennale si articola in un biennio unitario ed un terzo anno (definito monoennio) a scelta dell’allievo destinato al conseguimento di un Diploma statale di qualifica professionale di primo livello. Conseguito il biennio i giovani possono iscriversi: a) direttamente ad un terzo anno dell’Istruzione professionale per il conseguimento del Diploma di qualifica; b) direttamente ai corsi triennali affini di altro ordine di studi; c) con esami integrativi, al terzo anno di qualsiasi Scuola Secondaria di II grado. Il triennio comprende tre aree di apprendimento (cfr. Fig. n. 31): • un’area comune con finalità formative di base a carattere umanistico e scientifico: “[…] l’area comune si riferisce a quegli insegnamenti che anche a seguito del dibattito della riforma dell’istruzione secondaria sono stati individuati come indispensabili per garantire l’acquisizione, a prescindere dall’ordine e dal tipo di studi seguiti, di quel bagaglio culturale di base da ritenere imprescindibile per un corso di studi di ordine superiore alla scuola media”191. Le ore settimanali complessive di quest’area sono 22; 190 Creato dal DPR n. 416 del 31 maggio 1974, il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, organo consultivo del Ministero, ha ereditato parte delle funzioni precedentemente svolte dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (istituto nel 1847 e confermato dalla Legge Casati nel 1859), dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti (istituito nel 1907) e dal Consiglio di disciplina (istituito nel 1947). I suoi ruoli furono riperimetrati dall’articolo 25 del D.lgs. 297/1994, il “testo unico” delle norme in materia di istruzione. 191 Circolare Ministeriale 23 giugno 1992, n. 206, Nuovi programmi ed orari d’insegnamento negli istituti professionali di Stato. Tabella n. 7 - Adozione del nuovo ordinamento relativo al triennio di qualifica da parte delle Scuole e delle classi dell’Istruzione professionale storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 145 146 • un’area di indirizzo differenziata nei settori tecnologici fondamentali e operativi per 14 ore complessive settimanali; • un’area di approfondimento di 4 ore settimanali complessive, obbligatorie per tutti gli allievi, finalizzata prioritariamente al perseguimento del recupero culturale del gruppo classe nel primo anno. In II e III classe, tale area che è la novità di maggior rilievo, può essere utilizzata per approfondimenti professionali specifici, sia mediante lo svolgimento di appositi moduli didattici, sia mediante apporti esterni all’Istruzione scolastica (interventi di rappresentanti altamente qualificati che esercitano la professione nei rispettivi settori produttivi – attività di pubbliche relazioni – stages aziendali in convenzione con le imprese, ecc.). Al termine del triennio lo studente, se vuole continuare la sua formazione, ha davanti due possibilità (cfr. Fig. n. 30): l’accesso al biennio terminale dell’Istituto tecnico o continuare il percorso nell’Istruzione professionale frequentando un corso post-qualifica che si conclude con un Diploma di qualifica. Tali corsi erano stati previsti dalla L. n. 754, del 27 ottobre 1969 (ex Legge F. Sullo), con lo scopo primario di consentire anche a chi avesse frequentato l’Istruzione professionale di poter accedere all’Università. Ma questi corsi rappresentano una istituzione obsoleta. Per veder riconosciuto in via ordinamentale detto biennio occorre attendere il D.M. 15/4/94 “Programmi e orari di insegnamento per i corsi post-qualifica degli istituti professionali di Stato”. Il curricolo dei nuovi corsi post-qualifica è peraltro strutturato in maniera identica a quella prevista in via sperimentale: un biennio caratterizzato da due pacchetti formativi, l’uno di organizzazione scolastica, l’altro di competenza regionale coerentemente integrati. Più precisamente sono organizzate in sede scolastica 900 ore annuali: l’area delle discipline comuni di formazione umanistica e scientifica 15 ore settimanali; l’ area delle discipline di indirizzo. Figura n. 30 - Possibilità di accessi per chi ha conseguito il Diploma di Qualifica Professionale di primo livello storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 146 147 Infatti, la revisione dei programmi del triennio impongono al corso di qualifica un ribaltamento dei vecchi equilibri formativi (a tali corsi, infatti, era stato affidato il compito di ampliare la formazione culturale per sopperire alle carenze dei corsi di qualifica e cercare in questo modo di rendere meno difficile l’impatto con l’Università). Inoltre, un percorso formativo a spiccata vocazione professionale pone problemi di riparto di competenze con il sistema regionale. La C.M. 21/5/91 n. 135, in alternativa ai vecchi corsi post-qualifica, propone un nuovo percorso come oggetto di sperimentazione: “Gli Istituti Professionali presso i quali si concluda nel presente anno la sperimentazione assistita possono chiedere per l’attivazione dal 1991/92 il biennio post qualifica sperimentale”192. b) Il biennio post-qualifica e la terza area Per veder riconosciuto in via ordinamentale il biennio post-qualifica occorre attendere il D.M. 15/4/94 “Programmi e orari di insegnamento per i corsi post-qualifica degli istituti professionali di Stato”. Il curricolo dei nuovi corsi post-qualifica è peraltro strutturato in maniera identica a quella prevista in via sperimentale: un biennio caratterizzato da due pacchetti formativi, l’uno di organizzazione scolastica, l’altro di competenza regionale coerentemente integrati. Più precisamente: sono di competenza scolastica 900 ore annuali: 1- l’area delle discipline comuni di formazione umanistica e scientifica (15 ore sett.); 2- l’ area delle discipline di indirizzo (15 ore sett.). È invece di competenza regionale l’area di professionalizzazione (da 300 a 450 ore) detta terza area (cfr. Fig. n. 31). L’attività didattica della prima e seconda area si svolge in cinque giorni settimanali. La quota di curricolo relativa all’intervento regionale si svincola dalle logiche organizzative della scansione settimanale del tempo-scuola. Ad essa resta riservato, di norma, un giorno di ciascuna settimana e moduli intensivi da svolgere nei modi e nei tempi definiti in sede progettuale, tenuto anche conto delle scadenze connesse all’effettuazione degli esami di maturità. L’area di professionalizzazione193 è svincolata dalle logiche organizzative degli orari settimanali ed è articolata in moduli intensivi incentrati sulla pratica lavorativa e su esperienze maturate in stage (almeno 120 ore) presso aziende e/o attività produttive. I percorsi che caratterizzano la terza area in via principale si attuano attraverso convenzioni con le Re- 192 In effetti la C.M. in questione prevedeva anche una quarta opzione definita “Corsi surrogatori”. La circolare descriveva i corsi surrogatori in questi termini: “si tratta più che di una alternativa, di una offerta surrogatoria da attivare in casi di difficoltà di realizzazione di corsi biennali integrati. Il sistema scolastico ovvierà all’assenza di offerte regionali con interventi di integrazione, anche, ove possibile, d’intesa con organismi produttivi. Per gli interventi formativi della terza area si farà ricorso a consulenti esterni alla scuola, ovvero si farà ricorso a docenti particolarmente competenti: in tal caso le ore di lezione verranno retribuite in eccedenza all’orario di cattedra, per rendere di fatto possibili flessibilità ed articolazioni degli interventi”. 193 Le attività di professionalizzazione di cui sopra vanno recepite nell’ambito della programmazione annuale degli Istituti Professionali e fanno parte dei Piani dell’offerta formativa, in quanto curricolari e concorrenti a determinare le valutazioni in itinere e finali degli alunni. Circolare Ministeriale 23 giugno 1992, n. 206. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 147 148 gioni. Al termine del biennio post-qualifica, si consegue il diploma di Scuola Secondaria superiore e una qualifica professionale regionale. Il biennio post-qualifica rappresenta nella dinamica delle vicende istituzionali che stiamo ricostruendo una tappa fondamentale. L’Istruzione e la Formazione Professionale non si rapportano più solo in termini antagonisti e concorrenziali, ma di collaborazione. Il termine “interazione”, che tanta fortuna conoscerà nei decenni a seguire, viene qui declinato per la prima volta. La Circolare Ministeriale n. 135 del 1991 parla di: “superamento del parallelismo conflittuale dei rapporti tra istruzione professionale e formazione regionale, sulla base del rispetto delle diverse vocazioni istituzionali e quindi della programmazione di un’offerta formativa integrata”. 4. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE (1994) 4.1. I Memorandum sull’Istruzione e la Formazione (1991) Nel 1991, tra novembre e dicembre, la Commissione presenta al Consiglio tre Memorandum sulla Formazione; più precisamente sull’Istruzione194, sull’insegnamento aperto e a distanza195 e sulla Formazione Professionale196. Tutti e tre i documenti prendono le mosse da questa constatazione: negli Anni ’90 tendono ad accentuarsi i mutamenti (profondi) che hanno segnato il decennio precedente: la mondializzazione delle attività economiche, la ristrutturazione delle 194 COM (91) 349 def. del 5 novembre 1991, Memorandum sull’istruzione superiore nella Comunità Europea. 195 COM (91) 388 def. del 12 novembre 1991, Memorandum sull’insegnamento aperto e a distanza nella Comunità Europea. 196 COM (91) 397 def. del 18 dicembre 1991, Memorandum sulla Formazione Professionale nella Comunità Europea per gli anni ’90. Figura n. 31 - La struttura dell’Istruzione Professionale dopo il Progetto ’92 storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 148 149 imprese e l’accentuazione della dimensione tecnologica. I progressi della scienza e della tecnologia e la loro applicazione nelle imprese, nelle amministrazioni e nella vita quotidiana costituiscono il maggiore incentivo a rafforzare il differenziale competitivo europeo attraverso gli investimenti sul capitale umano. Pertanto, oltre a costituire un volano per lo sviluppo e la competitività europea sul mercato globale, la valorizzazione delle risorse umane è tanto più importante e urgente se si prendono in considerazione tre fattori chiave che costituiscono il principale oggetto di osservazione dei tre Memorandum: la carenza di manodopera qualificata; il trend di invecchiamento medio della popolazione attiva; la necessità di una politica di coesione economica e sociale in cui l’Istruzione e la Formazione Professionale giocano un ruolo decisivo di sviluppo solidale sia nel sostegno delle categorie svantaggiate sia nella convergenza della politica regionale. Sebbene ricorra a più riprese l’idea che le politiche di Istruzione e Formazione Professionale possono costituire una leva importante nella lotta contro la disoccupazione e l’emarginazione sociale, il problema della disoccupazione nei Memorandum non riveste ancora carattere di assoluta e urgente priorità. L’accento, infatti, è sull’importanza del “ruolo crescente del capitale intangibile”. Il contesto socioeconomico degli Anni ’90 sarà contraddistinto decisamente dal ruolo crescente di quello che può essere definito il “capitale intangibile” – senza il quale il capitale fisico (le macchine e le attrezzature) non può essere efficace – vale a dire non solo le qualifiche professionali e le competenze tecnologiche, ma anche le capacità di organizzazione e la cultura imprenditoriale197. 4.2. Il Libro bianco di Delors Ma di lì a poco lo scenario sociale ed economico dell’Europa stava drasticamente mutando. Nell’estate del 1993 erano ormai palesi i segni di una congiuntura economica ristagnante: la recessione, che colpiva le economie dei Paesi europei più deboli già dal 1991, non risparmiava ormai neppure Paesi come la Germania, alle prese con il processo di ricostruzione avviato nei nuovi Lánder. Le ricorrenti crisi monetarie avevano dato vita a svalutazioni e attacchi speculativi alle valute europee198, tali da minacciare la crisi del Sistema Monetario Europeo 197 Cfr. par. 15,9. Il testo continua così: “Il ‘capitale umano’ europeo costituisce pertanto una forza di creatività e di dinamismo dello spazio comunitario e deve essere considerato come una risorsa comune che deve essere sviluppata attraverso la mobilità, lo scambio e la collaborazione. Lo spazio europeo deve essere costruito come uno spazio concorrenziale, un mercato, ma anche come uno spazio di valorizzazione e di mobilitazione delle competenze di tutti i suoi protagonisti”. 198 Il fenomeno speculativo dell’estate 1992 coinvolse la Lira italiana e la Sterlina britannica. Il Governo italiano, retto da Amato, il 13 settembre decise di svalutare il cambio di riferimento della valuta nazionale complessivamente del 7%, in particolare la Lira in sé fu svalutata del 3,5%, mentre le altre valute furono rivalutate del 3,5%. Zd. Il 16 settembre dello stesso anno il Governo britannico decise di far uscire la moneta nazionale dallo SME. Il giorno dopo la medesima decisione fu presa dal Governo italiano. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 149 150 proprio alla vigilia dell’entrata in vigore della seconda fase dell’Unione economica. Il ristagno finanziario produceva un pesantissimo riflesso sull’occupazione che nel 1993 arriva a contare 16 milioni di disoccupati. Nonostante il protagonismo politico e le ambizioni “federali” di Delors cominciassero nel 1993 ad essere malviste da più Paesi membri, le fosche previsioni economiche inducevano i Capi di Stato e di Governo a dare mandato alla Commissione di presentare per la fine di quell’anno un “Libro Bianco” su una strategia a medio termine per la crescita, la competitività e l’occupazione. La Commissione Delors199 rispondeva all’incarico con un vero e proprio programma politico di costruzione europea, volto a promuovere l’attuazione di un modello di sviluppo europeo alternativo a quello consolidato. Dopo un’approfondita analisi delle diverse forme della disoccupazione congiunturale (connessa al rallentamento della crescita), tecnologica (dovuta alla sfasatura tra velocità del progresso tecnico e la capacità di anticipare e prevedere le nuove esigenze), strutturale (derivante dall’alto costo del lavoro poco qualificato, dalla scarsa flessibilità del mercato del lavoro, da strutture occupazionali superate in relazione alla concorrenza da parte dei nuovi paesi in via di industrializzazione), il Libro bianco indica che: “[…] l’attuale modello di sviluppo della Comunità sta portando ad una combinazione subottimale di due delle sue grandi risorse, e cioè lavoro e natura. È necessario che la Comunità analizzi come promuovere la crescita economica in condizioni sostenibili, in un modo cioè che comporti una maggiore intensità occupazionale e una minore intensità di energia e un minor consumo di risorse naturali” (COM (93) 700 def. 169). La doppia sfida disoccupazione/inquinamento, può ricevere risposte non contraddittorie valorizzando le ricchezze immateriali dell’Europa e creando le condizioni per uno sviluppo sostenibile. I legami tra protezione dell’ambiente e crescita dell’occupazione non si limitano allo sviluppo della cosiddetta industria verde, ritenuta peraltro uno dei futuri bacini di occupazione insieme a quello dei nuovi servizi sociali, ma mirano soprattutto ad avviare congiuntamente una trasformazione strutturale del sistema economico europeo mediante una riduzione del prelievo obbligatorio sul fattore lavoro, finanziata attraverso un aumento delle tasse che gravano sull’utilizzo delle risorse naturali e sui processi produttivi ad alto impatto ambientale. In tal senso le indicazioni 199 Non era un momento facile per la Commissione guidata da Delors in quel momento. Cfr. DASTOLI P.V., MAJOCCHI A., SANTANIELLO G., Prospettive Europa, Bologna 1996, pp. 34-35: “In occasione del negoziato sull’Atto Unico, l’autorevolezza della Commissione come centro di analisi e proposta non fu messa in discussione da alcun governo e infatti la maggior parte degli emendamenti ai Trattati di Roma fu adottata a partire dai documenti della Commissione europea. Cinque anni dopo, l’autorevolezza della Commissione non fu soltanto messa in discussione, ma la grande maggioranza dei governi [...] dichiarò esplicitamente che l’unione politica era affare degli Stati membri e non certo di un centro di analisi e di proposta sovranazionale. Iniziò, così, l’opera di demolizione della Commissione europea diretta in primo luogo contro l’eurocrazia di Bruxelles e quindi contro il potere di iniziativa ed esecutivo della Commissione”. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 150 151 del Libro bianco mirano a tracciare un progetto di sviluppo solidale e sostenibile teso a rendere compatibili la crescita di un’economia competitiva nel nuovo contesto mondiale, la lotta alla disoccupazione e la protezione dell’ambiente. Inoltre, la necessità di trarre i massimi benefici dal completamento del mercato unico e soprattutto l’esigenza di rispondere alla sfida concorrenziale imposta dalla globalizzazione hanno bisogno di essere supportati da una serie di investimenti infrastrutturali nei trasporti e nell’energia, oltre che nelle comunicazioni, per incrementare la razionalizzazione della distribuzione energetica e la dimensione europea degli scambi. Il Libro bianco, presentandosi come un programma di rinnovamento del modello di sviluppo europeo inteso a orientare persino l’impianto delle politiche fiscali e di investimento degli Stati membri, imponeva, di fatto, un ripensamento complessivo in chiave europea di interessi economici e politici nazionali, mettendo in discussione storici equilibri di sovranità delle politiche nazionali e di organizzazione e produzione dei sistemi economici. Questo presupposto si scontrava con una ormai generalizzata indisponibilità da parte degli Stati membri a procedere oltre sulla via dell’integrazione. Da allora l’Europa segnava una significativa battuta di arresto, non senza conseguenze per il suo futuro: il Consiglio europeo di Bruxelles, ridimensionando lo spirito dì fondo del progetto politico presentato dalla Commissione, preferiva mettere l’accento sulle priorità d’azione degli Stati membri in favore dell’occupazione secondo le “specificità istituzionali, legislative e contrattuali proprie a ciascuno”. 4.3. Il Trattato di Maastricht (1992) Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) firmato il 17 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 5 novembre 1993 ha costituito in misura significativa un approfondimento del processo di integrazione della Comunità, passando da un coordinamento limitato di particolari settori di politiche nazionali ad una vera e propria politica europea di coesione economica e sociale. L’importanza che questo evento ha rivestito nella storia della costruzione europea può essere considerata pari a quella dei Trattati istitutivi delle tre Comunità. Un risultato questo che, seppure non privo di inevitabili parzialità e compromessi, premiava il lavoro e il dinamismo delle Commissioni Delors. Tra le novità più importanti, spiccano la ratifica del principio di sussidiarietà200 e 200 Il principio di sussidiarietà mira a stabilire il livello d’intervento più pertinente nei settori di competenza condivisa tra l’UE e gli Stati membri. L’UE può intervenire solo se è in grado di agire in modo più efficace rispetto agli Stati membri. Il protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità cita tre criteri intesi a confermare o meno l’opportunità di un intervento a livello europeo: l’azione presenta aspetti transnazionali che non possono essere risolti dagli Stati membri? Un’azione nazionale o l’assenza di azioni sarebbero contrarie alle prescrizioni del trattato? L’azione a livello europeo presenta evidenti vantaggi? storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 151 152 l’introduzione del diritto di cittadinanza europea201, il rafforzamento dei poteri delle Istituzioni europee202, il completamento dell’unione monetaria203 e l’estensione delle competenze politiche delegate dagli Stati membri204 alla ribattezzata Unione Europea, a significare che l’obiettivo economico originale della Comunità, cioè la realizzazione di un mercato comune, è superato in quanto si intende affermare la sua vocazione politica. Nello specifico il quadro giuridico di riferimento in materia di Istruzione e Formazione subisce dei cambiamenti sostanziali in forza della centralità strategica che queste politiche erano venute assumendo nel disegno politico di integrazione e sviluppo economico e sociale della Comunità. L’aver inserito nel Trattato un apposito capo (Titolo VIII, numero 3) rende possibile il rafforzamento dell’azione comunitaria in questi settori e l’integrazione dell’Istruzione e della Formazione all’interno di un disegno comprensivo delle politiche di sviluppo delle risorse umane. Il cambiamento investe eminentemente la funzione che la Formazione e l’Istruzione sono chiamate a svolgere, passando da un impegno accessorio e compensativo a un ruolo organico e attivo nei processi di sviluppo sociale, economico e politico del- 201 Chiunque abbia la nazionalità di uno Stato membro dell’Unione Europea (UE) è cittadino europeo. La cittadinanza dell’UE integra quindi quella nazionale senza sostituirla. Parte integrante del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la cittadinanza dell’UE prevede per i cittadini degli Stati membri una serie di diritti, fra cui il diritto di ricorso al Mediatore, il diritto di presentare proposte legislative (iniziativa dei cittadini) e il diritto di votare e di essere eletti alle elezioni municipali ed europee. I cittadini dell’Unione godono anche della libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio dell’UE nonché della protezione diplomatica e consolare al di fuori dell’UE da parte di qualsiasi Stato membro. 202 Il trattato di Maastricht potenzia il ruolo del Parlamento europeo. Il campo d’applicazione della procedura di cooperazione e della procedura di parere conforme viene esteso a nuovi settori. Inoltre, il trattato crea una nuova procedura di codecisione, che consente al Parlamento europeo di adottare atti insieme al Consiglio. Questa procedura comporta maggiori contatti tra il Parlamento e il Consiglio per giungere a un accordo. Inoltre, il trattato associa il Parlamento alla procedura d’investitura della Commissione. Viene riconosciuto il ruolo svolto nell’integrazione europea dai partiti politici europei, che contribuiscono alla formazione di una coscienza europea e all’espressione della volontà politica degli europei. Per quanto riguarda la Commissione, la durata del suo mandato passa da quattro a cinque anni per uniformarsi a quella del Parlamento europeo. 203 Il mercato unico viene completato dall’instaurazione dell’UEM. La politica economica comporta tre elementi. Gli Stati membri devono garantire il coordinamento delle loro politiche economiche ed istituire una sorveglianza multilaterale di tale coordinamento, e sono soggetti a norme di disciplina finanziaria e di bilancio. La politica monetaria mira ad istituire una moneta unica e a garantirne la stabilità grazie alla stabilità dei prezzi e al rispetto dell’economia di mercato. Il trattato prevede l’instaurazione di una moneta unica in tre fasi successive: la prima fase, che liberalizza la circolazione dei capitali, inizia il 1º luglio 1990; la seconda fase, che incomincia il 1º gennaio 1994, permette la convergenza delle politiche economiche degli Stati membri; la terza fase deve iniziare entro il 1º gennaio 1999 con la creazione di una moneta unica e la costituzione di una Banca Centrale Europea (BCE). La politica monetaria poggia sul Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), costituito dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. Tali istituzioni sono indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie. 204 Il trattato instaura politiche comunitarie in sei nuovi settori: reti trans europee, politica industriale, tutela dei consumatori, Istruzione e Formazione Professionale, gioventù, cultura. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 152 153 l’Unione, anche se venivano salvaguardate l’autonomia e le responsabilità nazionali nelle scelte dei programmi e dell’organizzazione della formazione205. Per quanto attiene la Formazione Professionale, il Trattato (art. 127) recuperando e approfondendo la missione che le era già propria nell’Atto Unico Europeo, rafforza la politica di formazione orientandola a integrare le azioni degli Stati membri nel perseguimento di cinque grandi obiettivi: • l’adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione e la riconversione industriale; • il miglioramento della formazione iniziale e continua, allo scopo di facilitare l’inserimento e il reinserimento sul mercato del lavoro; • la promozione dell’accesso alla FP e alla mobilità dei formatori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani; • il sostegno alla cooperazione in materia di formazione tra Istituti di insegnamento e di formazione e le aziende; • lo sviluppo dello scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di formazione degli Stati membri. 4.4. Il “Secondo Pacchetto Delors” e il Consiglio di Edimburgo (1992) Dopo la firma del Trattato, la Commissione presentava un documento “Dall’Atto Unico al dopo Maastricht: i mezzi per realizzare le nostre ambizioni” che conteneva un insieme di misure strutturali e finanziarie per il periodo 1993-97. Il documento, ricordato con il nome di “Secondo Pacchetto Delors”, si incentrava su tre priorità (cfr. Fig. n. 32): • le relazioni esterne con i Paesi in via di sviluppo e con l’Europa centro-orientale; • la concentrazione degli interventi sulle regioni comunitarie in ritardo di sviluppo, per favorire la coesione economica e sociale - la grande finalità della riforma iniziata nel 1988; • un maggiore impegno di ricerca e sviluppo per competere con l’industria americana e giapponese. 205 Per quanto concerne le politiche educative, in forza del nuovo Trattato (art. 126), la Comunità assume la responsabilità di contribuire al miglioramento della qualità dell’Istruzione in particolare attraverso: 1) lo sviluppo della dimensione europea dell’Istruzione, segnatamente attraverso l’apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri; 2) la mobilità di studenti e insegnanti e il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio; 3) la cooperazione tra Istituti di insegnamento; 4) lo scambio di informazioni e di esperienze su problemi comuni dei sistemi di Istruzione degli Stati membri; 5) lo sviluppo di scambi di giovani e di animatori di attività socio-educative; 6) lo sviluppo dell’Istruzione a distanza. L’estensione della competenza comunitaria alle politiche educative segna una tappa storica fondamentale: la procedura di codecisione pone fine all’approccio intergovernativo che aveva dominato, fino ad allora, la politica di Istruzione a livello comunitario, avvicinandola nella posizione giuridica e nella sinergia programmatoria al settore della Formazione Professionale. storiaFORMAZ3-1_storiaFORM1 28/05/14 11.33 Pagina 153 154 Le proposte presentate dalla Commissione per la realizzazione di questi obiettivi erano: • raddoppiare la dotazione finanziaria della Comunità nel 1997 rispetto al 1992, per ottimizzare le relazioni esterne con i Paesi in via di sviluppo; • aumentare di 2/3 le risorse assegnate attraverso ifondi strutturali alle Regioni comunitarie in ritardo; • aumentare del 50% le risorse destinate agli altri obiettivi; • istituire un Fondo di coesione, peraltro già deciso a Maastricht. In sintesi, la Commissione proponeva un aumento delle risorse proprie della Comunità corrispondente ad un aumento annuo del bilancio del 5%, aumentando il massimale delle risorse proprie dall’1,20% all’1,37% del prodotto interno comunitario per il periodo 1992-97. Le proposte furono discusse durante il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992. Il Consiglio europeo ridimensiona la proposta della Commissione, limitando la progressione dall’1,37% all’1,27% nel periodo 1993-1999, ma accoglie la ripartizione tra le macrocategorie di spesa. Risultato importante se si tiene conto della difficile situazione politica e monetaria di quei mesi. Sulla base delle Conclusioni del Consiglio di Edimburgo sono state previste, per gli impegni dei Fondi strutturali e dello SFOP, le risorse della Tabella 8, espresse a prezzi 1992. Convertito in prezzi 1999, l’importo totale della dotazione prevista per i Fondi strutturali nel periodo 1994-1999 è pari a 163 miliardi di euro. Figura n. 32 - Le tre priorità del secondo Pacchetto Delors Tabella n. 8 - Stanziamenti per il periodo 1994-1999 (MECU) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.20 Pagina 154 155 4.5. La revisione dei Fondi strutturali Se nel 1988, più che una delle ordinarie riforme previste ogni cinque anni dal Trattato di Roma, vi è stata una radicale ridefinizione della filosofia e delle modalità di funzionamento dei fondi, quella del 1993 si configura come una riforma di “aggiustamento” e di “perfezionamento” volta essenzialmente a portare a regime i meccanismi introdotti cinque anni prima206. Una revisione che non può però non tenere conto di alcuni elementi il cui peso è stato rilevante nell’ispirare il dibattito e le scelte strategiche della Comunità negli ultimi anni. Facciamo riferimento, in particolare al fatto che il quinquennio 1988-93 è stato quello della transizione dall’Atto unico europeo al Trattato di Maastricht e che, nel campo della formazione, ha visto una ridefinizione politica comunitaria che ne ha ribadito la centralità; ciò è avvenuto e attraverso il varo di numerosi programmi miranti a sviluppare la dimensione europea della formazione, ad incentivare iniziative particolarmente significative o innovative, a favorire la qualità degli interventi. Di conseguenza, l’impostazione data dalla Commissione alla riforma dei fondi strutturali è duplice: in primo luogo, conferma la validità e ribadisce i principi cardine su cui era imperniata la riforma del 1988: la partnership, la concentrazione delle risorse per favorire la coesione economica e sociale, l’addizionalità e la valutazione. Tali principi si sono dimostrati validi e funzionali; la loro prima applicazione ha semmai evidenziato l’opportunità di migliorarli, nel senso di semplificare l’iter della programmazione, rendere più forte ed operativo il partenariato a tre (Commissione, Stato, Regioni) coinvolgendo le parti sociali, mantenere e rafforzare la concentrazione delle risorse nelle Regioni maggiormente in ritardo di sviluppo, rendere più efficace la valutazione. Il secondo elemento che caratterizza l’impostazione data alla riforma dalla Commissione è quello che recepisce gli aspetti di novità, frutto del dialogo sociale, dell’esperienza acquisita con i programmi comunitari FORCE, PETRA, COMETT, EUROTECNET, LINGUA, del Trattato di Maastricht; tali aspetti hanno come conseguenza: – l’allargamento e la ridefinizione delle tipologie d’intervento del Fondo (che avviene sia attraverso l’introduzione di tipologie d’azione del tutto nuove, sia attraverso l’eliminazione di vincoli quali la distinzione tra età superiore o inferiore a 25 anni o la riserva degli interventi dell’ex Obiettivo 3 ai soli disoccupati da più di 12 mesi); – una maggiore responsabilizzazione, anche in attuazione del principio di sussidiarietà, degli Stati membri, ma anche una maggiore “collegialità” attraverso l’allargamento della compartecipazione alle parti sociali ed economiche. 206 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997, F. Angeli, Milano 1993, pp. 108-110. Sull’impostazione della revisione del 1993 vedi: ISFOL (a cura di DI STEFANO A.), Guida all’utilizzo del FSE, 1994 e CLES, Glossario analitico sul Fondo Sociale Europeo, Roma 1995. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.20 Pagina 155 156 4.5.1. Il quadro regolamentare Il negoziato di revisione dei Fondi strutturali, seguito al Consiglio di Edimburgo, si concludeva il 20 luglio 1993 con l’adozione di sei Regolamenti (cfr. Fig. n. 33)207: – Regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il Regolamento (CEE) n. 2052/88 relativo alle missioni dei Fondi a finalità strutturali, alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti; – Regolamento (CEE) n. 2080/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, recante disposizioni di applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda lo strumento finanziario di orientamento della pesca; – Regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il Regolamento (CEE) n. 2052/88 relativo alle missioni dei Fondi a finalità strutturali, alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti; – Regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il Regolamento (CEE) n. 4253/88 recante disposizioni di applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il coordinamento tra gli interventi dei vari Fondi Strutturali, da un lato, e tra tali interventi e quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti, dall’altro; – Regolamento (CEE) n. 2083/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il Regolamento (CEE) n. 4254/88 recante disposizioni di applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il Fondo europeo di sviluppo regionale; 207 Tutti pubblicati in G.U.C.E. n. L 193 del 31/07/1993. Figura n. 33 - Quadro regolamentare della Riforma dei Fondi strutturali del 1993 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.20 Pagina 156 157 – Regolamento (CEE) n. 2084/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il Regolamento (CEE) n. 4255/88 recante disposizioni d’applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il Fondo Sociale Europeo; – Regolamento (CEE) n. 2085/93 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il Regolamento (CEE) n. 4256/88 recante disposizioni d’applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il FEAOG, sezione orientamento. 4.5.2. Gli Obiettivi prioritari, i criteri di ammissibilità e i Fondi strutturali Il Regolamento quadro n. 2081 lasciava immutato il principio della concentrazione dell’azione comunitaria su 5 Obiettivi prioritari, in parte rivisti e adattati, nel merito: • l’Obiettivo 1 (cui veniva destinato il 70% delle risorse dei Fondi) era finalizzato a promuovere l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo; • l’Obiettivo 2 era finalizzato a contribuire alla riconversione delle regioni o delle aree colpite dal declino industriale; • l’Obiettivo 3, riservato a tutti i territori dell’Unione esclusi dall’Obiettivo 1, aveva la finalità prioritaria di contrastare e prevenire la disoccupazione di lunga durata; • l’Obiettivo 4, anch’esso riservato a tutti i territori dell’Unione esclusi dall’Obiettivo 1, era inteso a sostenere la formazione continua dei lavoratori occupati; • l’Obiettivo 5b era finalizzato a favorire lo sviluppo delle zone rurali. L’Atto di adesione dell’Austria, della Finlandia e della Svezia nel 1994 ha, inoltre, fissato un nuovo obiettivo: • l’Obiettivo 6finalizzato a promuovere lo sviluppo delle regioni a bassa densità demografica. Come si può notare la novità più rilevante è rappresentata dall’introduzione dell’Ob. 4, coerente con l’affermazione del nuovo Trattato che, nel già citato art. 127 attribuisce al Fondo Sociale Europeo l’obiettivo di “facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale”208. L’allegato 1 al Regolamento generale, il 2081/93, riportava l’elenco delle regioni ammissibili all’Obiettivo 1 per il periodo 1994-1999 sulla base del criterio generale del PIL pro capite che, con l’eccezione di alcune deroghe, doveva essere inferiore al 75% della media comunitaria. Per quanto riguarda l’Italia continuano a far parte di questo Obiettivo tutte le Regioni del Meridione e l’Abruzzo, però, solo per il biennio 1994-1996. All’elenco iniziale è stato aggiunto il Burgenland austriaco per il periodo 1995-1999. L’Atto di adesione alla UE di Finlandia e Svezia conteneva l’elenco delle zone ammissibili all’Obiettivo 6 per il periodo 1995-1999. 208 Quello col Trattato di Maastricht è un legame politico, non dichiarato, perché il Trattato entra in vigore il 5 novembre 1993. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.20 Pagina 157 158 Per quanto riguarda l’ammissibilità agli Obiettivi 2 e 5b c’è un cambio di procedure. L’uso eccessivamente rigido di dati statistici aveva rappresentato nella precedente programmazione un impedimento all’individuazione di tutte le zone effettivamente colpite da fenomeni di declino industriale, rurale e del settore della pesca. Alla rigidità di criteri di ammissibilità basati esclusivamente sui dati statistici il Regolamento generale indica una nuova impostazione che consentiva alla Commissione, di concerto con gli Stati membri, un certo margine di valutazione. In linea generale, comunque, per essere ammesse all’Obiettivo 2 le regioni dovevano rispondere ai tre criteri seguenti: • Tasso di disoccupazione superiore alla media comunitaria; • Percentuale di posti di lavoro nell’industria superiore alla media comunitaria; • Declino di questa categoria di posti di lavoro. Una serie di criteri secondari consentiva di estendere l’ammissibilità a certe zone contigue, ad aree urbane e a zone minacciate o colpite da un forte aumento della disoccupazione, da problemi di recupero di siti industriali degradati o dall’impatto della ristrutturazione della pesca. Il criterio generale di ammissibilità all’Obiettivo 5b era un basso livello di sviluppo socioeconomico (valutato sulla base del PIL pro capite). A questo si aggiungevano altri tre criteri principali, due dei quali dovevano necessariamente essere soddisfatti: • Tasso elevato di occupazione agricola; • Basso livello del reddito agricolo; • Bassa densità di popolazione e/o considerevole tendenza allo spopolamento. L’ammissibilità poteva essere estesa ad altre zone situate al di fuori dell’Obiettivo 1 e caratterizzate da un basso livello di sviluppo, nonché da uno o più dei seguenti criteri secondari: la situazione periferica, la sensibilità all’evoluzione del settore agricolo, l’impatto della ristrutturazione della pesca, la struttura delle aziende agricole, la struttura della popolazione agricola attiva, l’ambiente. L’Obiettivo 1 potenzialmente coinvolgeva un quarto della popolazione comunitaria, quanto quella residente in zone dell’Ob. 2 e dell’Ob.5 (cfr. Tab. n. 9). Il Regolamento n. 2081/93 prevede: • tre Fondi strutturali: il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), il Fondo Sociale Europeo (FSE), la sezione orientamento del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia (FEAOG-O); • e uno strumento finanziario: lo Strumento Finanziario di Orientamento della pesca (SFOP). Quest’ultimo, pur non essendo un Fondo Strutturale a pieno titolo, finanzia azioni strutturali nel settore della pesca nell’ambito dei programmi dei Fondi Strutturali. Come si può notare dal Prospetto 12 il FSE è l’unico Fondo Strutturale che finanzia o cofinanzia tutti gli Obiettivi. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.20 Pagina 158 159 Figura n. 34 - Aree ammissibili ai Fondi strutturali 1994-99 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 159 160 Tabella n. 9 - Popolazione ammissibile agli Obiettivi Prospetto n. 12 - Obiettivi e Fondi Strutturali e SFOP che li finanziano 4.5.3. Risorse finanziarie Il Regolamento stabilisce lo stanziamento annuale per l’Obiettivo 1, mentre per gli Obiettivi 2, 3, 4 e 5b la Commissione ha stabilito una ripartizione indicativa dell’assegnazione disponibile per ciascuno Stato membro (cfr. Tab. n. 10) secondo i criteri seguenti: • la popolazione interessata; • la prosperità nazionale; • la prosperità regionale; • la gravità relativa dei problemi strutturali, in particolare della disoccupazione. (1) L’Abruzzo solo per il biennio 1994-96 – (2) L’Austria per il periodo 1995-99 – (3) Solo per il periodo 1995-99 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 160 161 Per l’Obiettivo 5b la ripartizione è stata dettata principalmente da un criterio di continuità rispetto all’utilizzo degli stanziamenti nel periodo precedente, nonché sui bisogni strutturali specifici riscontrati per i settori dell’agricoltura e della pesca. 4.5.4. Processo programmatorio Tra gli elementi di riforma più importanti che hanno caratterizzato la Programmazione 1994-1999, c’è quello della semplificazione della Programmazione. Infatti, accanto alla procedura classica in tre fasi (Piano di sviluppo presentato dallo Stato membro; Quadro Comunitario di Sostegno stabilito dalla Commissione sulla base del piano e in concertazione con lo Stato membro e le regioni interessate; Intervento sul campo, generalmente sotto forma di programma operativo (PO), ma anche di grande progetto o di sovvenzione globale) è stata introdotta una procedura semplificata in due fasi: Piano di sviluppo presentato dallo Stato membro e Documento unico di programmazione (DOCUP) (cfr. Fig. n. 35). Cambia anche, rispetto alla riforma del 1988, la durata della programmazione comunitaria. La normativa del 1988 prevedeva un periodo di cinque anni per i diversi Obiettivi, eccetto per l’Obiettivo 2, la cui programmazione era di durata triennale (1989- 1991). Il Regolamento n. 2082/93 prolunga invece il periodo di programmazione a sei anni (1994-1999), facendo così coincidere la fine della programmazione delle azioni strutturali con la scadenza delle previsioni finanziarie decise nel vertice di Edimburgo. Più specificamente: Tabella n. 10 - Ripartizione indicativa dell’assegnazione per Obiettivo e per Paese secondo i QCS e i DOCUP (in milioni di ECU 1994) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 161 162 • per gli Obiettivi 1, 3 e 5b: i Quadri Comunitari di Sostegno saranno decisi per sei anni; • per l’Obiettivo 2: sono previste due fasi di tre anni; • per l’Obiettivo 4: è suggerita l’adozione di Quadri Comunitari di Sostegno per due fasi triennali. 4.5.5. Campo di intervento La normativa riveduta, pur confermando nelle linee essenziali i campi di applicazione di ciascun Fondo, già definiti con precisione dai Regolamenti del 1988, apporta per tutti e tre i Fondi strutturali, alcune innovazioni. Ma per il FSE le modifiche sono molto ampie. Il nuovo Regolamento n. 2084/93 definisce, all’articolo 1, ben nove finalità politiche del FSE: Figura n. 35 - Procedura di programmazione per QCS e DOCUP storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 162 163 1. agevolare l’inserimento occupazionale dei disoccupati di lunga durata; 2. agevolare l’inserimento occupazionale dei giovani in cerca di lavoro; 3. promuovere l’inserimento di persone a rischio di esclusione dal mercato del lavoro; 4. promuovere la parità di opportunità per uomini e donne sul mercato del lavoro; 5. agevolare l’adeguamento dei lavoratori, in particolare di quelli a rischio di disoccupazione, al cambiamento industriale e ai cambiamenti nei sistemi di produzione; 6. sostenere la crescita e la stabilità dell’occupazione; 7. rafforzare il potenziale umano nella ricerca, nella scienza e nella tecnologia; 8. rafforzare e migliorare i sistemi di insegnamento e formazione; 9. contribuire allo sviluppo mediante la formazione dei funzionari. Le prime quattro finalità del FSE sono relative all’Obiettivo 3 e interessano l’intera Comunità; la quinta riguarda l’Obiettivo 4 e l’intera Comunità; la sesta e la settima finalità sono relative agli Obiettivi 1, 2 e 5b infine, le ultime due finalità afferiscono all’Obiettivo 1. Per quanto concerne le azioni finanziabili dal FSE a titolo dell’Obiettivo 3, le più rilevanti novità riguardano: – i disoccupati di lunga durata: non viene specificata né la durata né l’età; – aiuti all’assunzione: non compare il massimale settimanale dei contributi e la determinazione temporale è lasciata agli Stati membri; – persone a rischio di esclusione dal mercato del lavoro: viene ampliata l’utenza potenziale anche ai portatori di handicap, ai rifugiati, agli immigrati, oltre che a tutte le persone ad alto rischio; – le azioni rivolte all’integrazione ed al reinserimento delle donne nel mercato del lavoro. Con riferimento alle azioni finanziate dal FSE a titolo dell’Obiettivo 4, occorre rivolgere l’attenzione in particolare alle azioni di: – anticipazione delle tendenze del mercato del lavoro e dei futuri bisogni di competenze; – prevenzione degli effetti del mutamento industriale attraverso l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori; – riorientamento della forza lavoro minacciata dalla disoccupazione; – assistenza per lo sviluppo di sistemi di formazione. Infine, anche per quanto concerne le azioni del FSE ammissibili a titolo degli Obiettivi 1, 2 e 5b, il Regolamento CEE n. 2084/93 amplia il precedente quadro di riferimento, prevedendo espressamente azioni di Formazione Continua, contributi allo sviluppo di adeguati sistemi di formazione (ivi compresa quella dei formatori), nonché azioni di accrescimento delle risorse umane in materia di ricerca, scienza e tecnologia. In definitiva l’elenco (per difetto) di azioni realizzabili con l’intervento del FSE comprende: la Formazione Professionale (di base, aggiornamento, preformazione); la formazione postuniversitaria; la formazione dei formatori/docenti; la storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 163 164 formazione di funzionari pubblici; i sussidi all’occupazione; le azioni di sostegno; i servizi di assistenza a persone a carico; l’orientamento; il trasferimento di knowhow; lo sviluppo di strutture di formazione, occupazione, sostegno a Sistemi di Istruzione e Formazione; l’informazione; l’assistenza tecnica (cfr. Fig. n. 36). 4.5.6. Valutazione ex ante, sorveglianza e valutazione ex post Modifiche di notevole rilievo sono state introdotte dalla normativa del 1993 per quanto concerne le fasi di valutazione e sorveglianza che, se pur previste nei precedenti Regolamenti CEE del 1988, avevano bisogno di una più precisa e puntuale disciplina. L’esigenza, sempre più avvertita a livello comunitario, di una maggior valutazione sia sull’efficacia delle azioni (vale a dire sulla loro implementazione e razionalità, nonché sull’adeguatezza delle risorse ad esse destinate), sia sull’efficienza degli interventi (rapporto co sti/risultati), ha portato al rafforzamento in primo luogo della valutazione ex ante, la cui attuazione ovviamente facilita in misura notevole quella ex post. Al riguardo, l’articolo 26 del nuovo Regolamento di coordinamento introduce una fondamentale novità: gli aiuti comunitari, per il periodo 1994-1999, saranno assegnati agli Stati membri soltanto se dalla valutazione ex ante emergeranno vantaggi socio-economici a medio termine in funzione delle risorse messe a disposizione. Inoltre, i Piani di sviluppo e le domande di contributo presentate dagli Stati membri per il medesimo periodo dovranno contenere obiettivi specifici quantificati per le azioni proposte. Per questo nei QCS e nei DOCUP sono richieste informazioni e dati relativi a tre indicatori (cfr. Fig. n. 37): – indicatori di situazione, relativi alle caratteristiche salienti del contesto in cui si situano gli interventi (mercato del lavoro, istruzione e formazione, sistema produttivo); Figura n. 36 - Principali azioni del Fondo Sociale Europeo storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 164 165 – indicatori di risultato, che illustrano le realizzazioni delle azioni di ciascun asse prioritario; – indicatori di impatto, per segnalare gli effetti delle azioni sui contesti specifici a cui sono rivolte (tasso di partecipazione della popolazione alla formazione ed altri). Gli indicatori vengono quantificati nei QCS/DOCUP in termini di: – valore attuale, riferito all’ultimo dato disponibile (indicatori di situazione) o al precedente periodo di programmazione (indicatori di risultato e di impatto); – valore atteso, riferito alle previsioni per il periodo 1994-1999 (per tutti gli indicatori). La lista degli indicatori presentata nei QCS/DOCUP viene ulteriormente ampliata a livello di Programma operativo. L’insieme di questi indicatori semplificherà la valutazione ex post che consisterà sostanzialmente nella verifica a posteriori della realizzazione degli obiettivi inizialmente prefissati e concordati di tutti gli indicatori. Con riferimento, invece, alle problematiche relative alla sorveglianza, la Comunità, muovendo da una logica di sussidiarietà, ha disposto il rafforzamento delle competenze dei Comitati di sorveglianza. Infatti, pur non potendo modificare l’importo totale del contributo comunitario concesso i comitati avranno la possibilità di adeguare, in caso di necessità, le modalità del contributo stesso. Gli eventuali adeguamenti dovranno essere tempestivamente notificati alla Commissione e allo Stato membro interessato, divenendo poi applicabili previa conferma da parte della Commissione e dello Stato, nel termine massimo di venti giorni dalla notifica. 4.5.7. Partnership Il principio del partenariato, introdotto dalla Riforma del 1988, aveva rappresentato, una profonda innovazione delle politiche strutturali della Comunità. La nuova normativa non soltanto ribadisce come esso implichi la stretta concertazione tra la Commissione e tutte le competenti Autorità nazionali, regionali o locali designate, ma prevede anche, all’articolo 4 del Regolamento quadro, l’estensione della partnership agli organismi competenti, ivi comprese le parti economiche e sociali, Figura n. 37 - Informazioni richeste nei QCS e nei DOCUP storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 165 166 designate dallo Stato membro. Coinvolgimento da effettuarsi, però, aggiunge l’articolo (recependo l’esplicita richiesta del Regno Unito e della Spagna), secondo le modalità e le prassi proprie di ciascuno Stato membro209. 4.6. La programmazione del FSE in Italia 4.6.1. Piani di sviluppo, QCS e DOCUP, Programmi operativi e risorse finanziarie La programmazione del Fondo Sociale Europeo è stata proposta dall’Italia mediante: • Piani regionali per gli Obiettivi 1, 2 e 5b, in cui la programmazione è presentata in maniera congiunta per i tre Fondi strutturali (FSE, FESR, FEAOG) e gli altri strumenti finanziari; • Piani nazionali per gli Obiettivi 3 e 4, di pertinenza esclusiva del Fondo Sociale Europeo, riguardanti in maniera separata le Regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno, le cui risorse finanziarie vengono quantificate in maniera aggregata nel piano per l’Obiettivo 1. Nel nostro Paese sono state utilizzate tutte e due le procedure di programmazione: quella che prevede il Quadro Comunitario di Sostegno e quella che prevede il DOCUP (cfr. Fig. n. 38). I QCS/DOCUP adottati per la programmazione FSE con decisione della Commissione sono i seguenti: – per l’Obiettivo 1: QCS per lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo 1994-1999, che riguarda l’insieme dei Fondi Strutturali e degli altri strumenti finanziari disponibili210; – per l’Obiettivo 2 (plurifondo): DOCUP 1994-1996 per ciascuna area NUTS II (Regione) e NUTS III (Provincia) ammissibile; 209 L’estensione della partnership ha avuto un travagliato iter. Il testo, inizialmente proposto dalla Commissione CEE, prevedeva un vero e proprio coinvolgimento delle parti economiche e sociali nelle diverse fasi di preparazione, finanziamento e valutazione delle politiche strutturali. Successivamente il Consiglio, nella riunione del 2 luglio 1993, ha raggiunto un accordo sostanzialmente difforme dalla proposta della Commissione. Le conclusioni emerse in seno al suddetto Consiglio, infatti, prevedevano la facoltà, per gli Stati membri, di consultare o meno i partners economici e sociali, nell’ambito di una loro piena discrezionalità. In occasione, poi, della riunione di concertazione del 12 luglio fra Parlamento (sul punto in sostanziale identità di vedute con la Commissione), Consiglio e Commissione è stato raggiunto un accordo in tema di partenariato, nel senso della condivisione dell’ampliamento della partnership alle parti sociali nelle fasi di programmazione, finanziamento e valutazione delle politiche strutturali. Come ultima fase dell’articolato e travagliato iter dell’articolo 4, il Parlamento europeo, il 14 luglio 1993, ha votato in seconda lettura i regolamenti modificati e successivamente il Consiglio ha prov veduto alla loro adozione definitiva, confermando il principio dell’estensione del partenariato come proposto dalla Commissione e ribadito con vigore dal Parlamento europeo, sia pure nel quadro delle regole istituzionali e delle pratiche proprie di ciascuno Stato membro. Questa formulazione ha consentito di giungere alla definitiva approvazione del delicato articolo 4, con il contemperamento dell’affermazione del principio richiesto dalle parti sociali alle prassi na zionali. 210 Approvato dalla Commissione il 29 luglio 1994. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 166 167 – per l’Obiettivo 3: QCS per l’intervento del Fondo Sociale Europeo nelle Regioni italiane non interessate dall’Obiettivo 1211; – per l’Obiettivo 4: DOCUP 1994-1999 per gli interventi strutturali comunitari nelle Regioni italiane non interessate dall’Obiettivo l212. All’interno del DOCUP sono previsti 13 sottoprogrammi a carattere regionale (cui si aggiunge l’Abruzzo a partire dal 1997) e 3 programmi a livello multi regionale; – per l’Obiettivo 5b (plurifondo): DOCUP 1994-1999 per ciascuna Regione o Provincia al cui interno sono presenti aree NUTS III ammissibili. Infine, la programmazione del FSE è stata realizzata: – per l’Obiettivo 1, nell’ambito di ciascuno degli 8 Programmi operativi regionali plurifondo e, nell’ambito del sottoquadro multi regionale, da 6 Programmi operativi multi regionali; – per l’Obiettivo 3, nell’ambito di ciascuno dei 13 Programmi operativi regionali e delle Province Autonome cui si aggiunge l’Abruzzo per il triennio 1997-99 e, nell’ambito del sottoquadro multiregionale, da 3 Programmi operativi multi regionali. L’ammontare delle risorse comunitarie e dei costi totali relativi all’intervento del Fondo Sociale Europeo in Italia è riportato nella Tabella 11. 211 Approvato dalla Commissione il 5 agosto 1994. 212 Approvato dalla Commissione il 2 dicembre 1994. Figura n. 38 - Procedura di programmazione per QCS e DOCUP in Italia storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 167 168 Nella Tabella 12 le risorse comunitarie vengono ripartite, per ciascun Obiettivo, tra interventi di competenza regionale e interventi di natura multiregionale. 4.6.2. La struttura degli Obiettivi e la partecipazione finanziaria del FSE a) Obiettivo 1 L’Obiettivo 1 si articola in 8 Assi, di cui sei riguardano uno specifico settore economico (Comunicazioni, Industria artigianato e servizi, Turismo, Risorse agricole e sviluppo rurale, Pesca e Infrastrutture di supporto). Dal punto di vista finanziario (cfr. Tab. n. 13) il FSE è presente: – nell’Asse 7 in cui vengono finanziate le azioni prioritarie da 7.1 a 7.4; – nell’Asse 8, in cui cofinanzia gli interventi di assistenza tecnica, pubblicità e monitoraggio; – negli Assi 2, 3, 4, 5, 6, di natura settoriale, in cui vengono distribuite le risorse stanziate per l’azione prioritaria 7.5. Le risorse finanziarie del FSE, che ammontano a 2.739 miliardi, arrivano alle Regioni del Meridione attraverso 8 Programmi Operativi Regionali213 e 6 Multiregionali (questi ultimi a titolarità del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica) (cfr. Prosp. n. 13); risorse proprie dell’Obiettivo 1 ma anche degli Obiettivi 3 e 4. 213 Approvati tutti nei mesi di novembre e dicembre 1994, ad esclusione di quello della Sicilia approvato il 20 marzo 1995 e della Puglia il 22 maggio 1995. Tabella n. 11 - Risorse e costi totali 1994-1999 (1994-96 per Ob. 2) (1) Comprensivo degli Obiettivi 3 e 4 nel Mezzogiorno Tabella n. 12 - Risorse FSE per interventi regionali e multi regionali (1) Comprensivo degli Obiettivi 3 e 4 nel Mezzogiorno storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 168 169 Tabella n. 13 - Ob.1: Distribuzione negli Assi delle risorse FSE Prospetto n. 13 - Ob. 1: Distribuzione negli Assi delle risorse FSE storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 169 170 I programmi multiregionali menzionati nel prospetto sono: a) Promozione nuova imprenditorialità (Asse 2), a titolarità del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato. Il programma riguarda un insieme di servizi formativi (formazione, tutoraggio, sensibilizzazione al territorio, ecc.) destinati alla creazione di imprenditorialità con effetti di consolidamento e sviluppo nelle aree ad alta natalità d’impresa e di sostegno alla domanda di impresa nelle aree a bassa natalità o ad alta mortalità. Tali interventi costituiscono anche un ampio terreno di sperimentazione di nuovi modelli per la promozione di imprenditorialità; b) Alta Formazione e Ricerca (Assi 6 e 7.1), a titolarità del Ministero dell’Università e della Ricerca Scentifica e Tecnologica (MURST). Il PO avvia interventi per: rafforzare l’indirizzo tecnico-scientifico; per potenziare la formazione di capitale umano qualificato per i settori strategici allo sviluppo del Mezzogiorno, promuovendo percorsi innovativi di dottorato di ricerca e borse di perfezionamento post laurea e post dottorato; intervenire nella struttura del mercato del lavoro locale tramite interventi di professionalizzazione di profili deboli e di accompagnamento di giovani qualificati verso l’accesso alle libere professioni e/o al lavoro autonomo attraverso borse di studio; per sostenere l’inserimento professionale di giovani laureati anche in contesti internazionali e stimolare la partecipazione di una più ampia platea di destinatari dell’offerta universitaria attraverso un potenziamento dei laboratori linguistici e dei consorzi universitari per la formazione a distanza; c) Ministero Pubblica Istruzione (asse 7.1), a titolarità dell’omonimo Ministero. Raccoglie interventi funzionali alla implementazione delle innovazioni introdotte nell’ordinamento didattico degli Istituti Professionali di Stato per la formazione di curricoli polivalenti attraverso la specializzazione post qualifica. Il PO è inoltre incentrato su una vasta azione di formazione ai docenti; d) Azioni innovative e assistenza tecnica (assi 7.2, 7.4 e 8), a titolarità del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Il PO si propone di contribuire al cambiamento e consolidamento del Sistema formativo delle Regioni dell’Obiettivo 1: le azioni innovative comprendono interventi di sperimentazione ed innovazione, rivolte a diverse tipologie di utenti, per migliorare la qualità dei Sistemi di Formazione Professionale iniziale e continua; l’assistenza tecnica comprende azioni di sostegno alla realizzazione delle attività previste dal QCS e si propone di contribuire alla creazione di un Sistema di Formazione Continua, e di supportare l’attività operativa del sistema esistente; e) Emergenza occupazionale (assi 7.2 e 7.3), a titolarità del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Obiettivi del PO sono quelli di utilizzare strumenti formativi coordinati che intervengono: sulle situazioni di emergenza occupazionale collegata a fenomeni di riorganizzazione e di riconversione di grandi strutture produttive, pubbliche e private; sulle situazioni critiche acute che potranno manifestarsi – in relazione alla combinazione non prevedibile di fattori diversi di tipo economico e sociale – anche territorialmente concentrati; storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 170 171 f) Formazione migranti (asse 7.2), a titolarità del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Il PO interviene a favore dei lavoratori migranti italiani e dei loro figli per: facilitare l’ingresso dei giovani – figli di migranti italiani residenti all’estero – nel mondo del lavoro; sostenere l’adeguamento professionale dei lavoratori migranti, a fronte dei cambiamenti della domanda di lavoro nei paesi ospitanti; promuovere l’integrazione delle attività formative rivolte ai lavoratori migranti italiani e alle loro famiglie nei Sistemi scolastici e formativi dei paesi ospiti; g) Formazione formatori e funzionari P.A. (asse 7.4), a titolarità del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Il PO è mirato al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia della Pubblica Amministrazione ed ha come obiettivi: accrescere le competenze individuali; immettere elementi di cambiamento sugli assetti organizzativi; sviluppare un sistema di interazioni, formali ed informali, tra i diversi attori; favorire il cambiamento ed il miglioramento qualitativo dei Sistemi di Formazione regionali. La ripartizione delle risorse FSE stanziate per l’Obiettivo 1 tra i diversi PO è illustrata nel Grafico 20. Come già detto nei QCS sono esplicitati gli indicatori214 che rendono possibile la valutazione ex ante ed ex post, ulteriormente arricchiti nei Programmi operativi215. 214 A Livello di QCS gli indicatori dell’Ob. 1 sono: Livello di istruzione della popolazione in età lavorativa (25-64 anni); Percentuale occupata in rapporto alla popolazione in età lavorativa; Occupazione e figure professionali; Tasso di disoccupazione (popolazione in età attiva, giovani con meno di 25 anni); Tasso di disoccupazione per livello di istruzione della popolazione attiva (15-64 anni); Spesa pubblica in Istruzione e Formazione; Tassi di partecipazione all’istruzione; Allievi degli IPS e ITS formati con il FSE (in % degli allievi totali in formazione); Laureati in materie scientifiche (in % sul totale dei diplomi di laurea); Adulti disoccupati (25-64 anni) che hanno seguito un programma di formazione (in % sui disoccupati di lunga durata); Giovani disoccupati (15-24 anni) che hanno seguito un programma di formazione (in % sui giovani disoccupati). Gruppi svantaggiati che hanno seguito un programma di formazione; Giovani occupati (15-24 anni) che usufruiscono della formazione (in % sui giovani occupati), Adulti occupati (25-64 anni) che usufruiscono della formazione (in % sugli adulti occupati); Funzionari dipendenti da Enti locali territoriali che fruiscono della Formazione Continua (in % sui funzionari della P.A.); Docenti della formazione regionale o convenzionata che fruiscono della Formazione Continua (in % sui formatori). 215 A livello di misura dei Programmi operativi gli indicatori sono: Suddivisione delle attività di formazione per settori economici; Corsi/interventi per tipologia realizzati su programmati; Percentuale di beneficiari su popolazione di riferimento; Numero di iscritti su programmati; Numero di formati su iscritti; Percentuale dei corsi che rilasciano la certificazione; Durata media effettiva rispetto al programmato; Costo medio orario per allievo realizzato rispetto al programmato; Placement realizzato a 6 mesi e ad 1 anno corrispondente alla formazione ricevuta o in mestieri diversi dalla formazione ricevuta; Lavoratori formati che hanno mantenuto il posto di lavoro; CFL o altri incentivi temporanei trasformati in assunzioni a tempo indeterminato a 6 e ad 1 anno dalla fine del periodo di formazione/lavoro. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.21 Pagina 171 172 b) Obiettivo 2 Nel caso dell’Obiettivo 2 gli assi prioritari di sviluppo vengono individuati da ciascuna amministrazione responsabile dei DOCUP e sono riconducibili, comunque, ai seguenti: ambiente, sviluppo e rafforzamento PMI; riqualificazione del territorio; turismo; innovazione tecnologica; valorizzazione delle risorse umane; rafforzamento dei sistemi. La programmazione FSE è presente sia negli assi di natura settoriale, a supporto ed integrazione degli interventi del FESP, sia negli assi “valorizzazione delle risorse umane” e “rafforzamento dei sistemi”, con interventi di natura orizzontale miranti al rafforzamento del Sistema formativo e interventi trasversali a supporto dei settori. La ripartizione delle risorse FSE stanziate per l’Obiettivo 2, sia per domanda di contributo (corrispondenti alle singole Regioni e Province Autonome), che per assi prioritari è riportata nelle Tabelle 14 e 15. Grafico n. 20 - Ob. 1: Ripartizione risorse FSE per programmi operativi, regionali e multiregionali (MECU) Tabella n. 14 - Ob. 2: Ripartizione risorse FSE per domande di contributo storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 172 173 c) Obiettivo 3 Gli assi prioritari individuati sono i seguenti: • Asse 1:inserimento o reinserimento di disoccupati di lunga durata o esposti alla disoccupazione di lunga durata; • Asse 2:rafforzamento della formazione iniziale ed inserimento dei giovani nel mercato del lavoro; • Asse 3: integrazione o reintegrazione delle persone esposte al rischio di esclusione sociale; • Asse 4: promozione della pari opportunità tra uomini e donne sul mercato del lavoro; • Asse 5: rafforzamento dei Sistemi di formazione e di impiego. I cinque assi si articolano in misure. I destinatari e le azioni di ciascuna misura sono riportati nel Prospetto 14. La ripartizione delle risorse FSE tra gli Assi prioritari, in valori assoluti e relativi, è quella del Grafico 21; mentre gli stanziamenti per domande di contributo, che includono i programmi regionali e quelli multiregionali e che ammontano a 19.745 miliardi di lire circa (1.316,3 MECU) sono quelli del Grafico 22. Tabella n. 15 - Ob. 2: Ripartizione risorse FSE per domande di contributo per asse prioritario e per l’assistenza tecnica Grafico n. 21 - Ob. 3: ripartizione risorse FSE per asse prioritario (V.A e V.%) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 173 174 I programmi multiregionali, con una dotazione finanziaria pari a 441.150 miliardi (294,1 MECU) e tutti a titolarità del Ministero del Lavoro, sono tre: a) Azioni innovative: riguarda, interventi di carattere esemplare e innovativi per contenuti proposti e metodi applicati nella formazione. Tali interventi costituiscono dei punti di riferimento per una possibile moltiplicazione delle esperienze nei diversi contesti regionali e pertanto deve essere assicurata una adeguata diffusione dei risultati conseguiti; b) Interventi per la formazione e l’occupazione: raccoglie gli interventi a carattere multiregionale proposti dagli organismi di formazione consorziati che promuovono la costituzione di reti integrate e dagli Enti pubblici o privati attivi su scala nazionale; c) Rafforzamento dei sistemi: raccoglie gli interventi a carattere orizzontale intesi a consolidare e/o qualificare l’intervento formativo globale nonché i raccordi con l’insieme delle politiche del lavoro. Tale PO rappresenta quella parte dell’Asse 5 che, per sua natura, deve essere gestita a livello centrale. In particolare, riguarderà: assistenza tecnica a livello centrale, attività di certificazione, attività di monitoraggio e valutazione ex-post. Come da regolamentazione quadro il QCS216 e i Programmi operativi217 specificano gli indicatori, necessari per le operazioni di monitoraggio e valutazione. 216 Indicatori del QCS: Livello di istruzione della popolazione in età lavorativa (25-64 anni); Percentuale occupata in rapporto alla popolazione in età lavorativa (15-64 anni); Tasso di disoccupazione; Disoccupati di lunga durata che hanno seguito un programma di formazione; Tasso di partecipazione all’istruzione; Giovani che hanno seguito un corso di formazione; Gruppi svantaggiati che hanno seguito un programma di formazione; Donne formate; Docenti e operatori della formazione regionale o convenzionata che fruiscono della Formazione Continua. 217 Gli indicatori contenuti nei Programmi operativi sono: Suddivisione delle attività di formazione per settori economici; Corsi/interventi per tipologia realizzati su programmati; Percentuale di be- Grafico n. 22 - Ob. 3; ripartizione risorse FSE per domande di contributo (regionali e multiregionali) (MECU) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 174 175 neficiari su popolazione di riferimento; Numero di iscritti su programmati; Numero di formati su iscritti; Durata media effettiva rispetto al programmato; Costo medio orario per allievo realizzato rispetto al programmato; Placement realizzato a 6 mesi e ad 1 anno corrispondente alla formazione ricevuta o in mestieri diversi dalla formazione ricevuta; Corsi/interventi che hanno dato luogo a certificazione. Prospetto n. 14 - Ob. 3: soggetti destinatari e tipologia di azioni del FSE (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 175 176 d) Obiettivo 4 La programmazione FSE per l’Obiettivo 4, di cui è titolare il Ministero del Lavoro, avviene in maniera distinta nel caso delle Regioni del Centro-Nord. Gli assi prioritari individuati sono i seguenti: – Asse 1: anticipazione (conoscenza all’interno delle imprese delle evoluzioni (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 176 177 economiche, tecnologiche ed organizzative), supporto alla programmazione e gestione di un Sistema di Formazione Continua; – Asse 2: interventi di accompagnamento/adeguamento delle risorse umane in relazione ai cambiamenti strutturali del sistema economico e produttivo ed all’impatto del mercato interno; – Asse 3: assistenza tecnica (azioni di carattere orizzontale per il coordinamento ed il potenziamento degli interventi effettuati nell’ambito dell’asse 1 e dell’asse 2). I soggetti destinatari degli interventi previsti per ciascun asse e le tipologie di azioni finanziabili dal FSE sono esplicitati nel Prospetto 15. La ripartizione delle risorse FSE tra gli assi prioritari è rappresentata nel Grafico 23. Le Regioni del Centro-Nord e le due Province Autonome si ripartiscono le risorse stanziate dal FSE, pari a 598,2 miliardi di lire (398,8 MECU): in questa somma sono comprese le risorse per realizzare i 12 programmi regionali e delle Province Autonome e quello dell’Abruzzo (solo il triennio 1997-99) nonché i pro- Prospetto n. 15 - Ob. 4: soggetti destinatari e tipologia di azioni del FSE storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 177 178 grammi multi regionali. La Lombardia si assicura la quota maggiore con 108 miliardi di lire (72,2 MECU), pari al 18,1% del volume complessivo del Fondo, seguita dall’Emilia Romagna con 86,7 miliardi (57,8 MECU) equivalenti, in termini percentuali, al 14,5%. (cfr. Graf. n. 24). I programmi multiregionali sono 3: 1. Azioni innovative. Si prevede la realizzazione di interventi finalizzati alla definizione e sperimentazione di nuove metodologie formative, la progettazione di nuove strutture formative o l’adeguamento di quelle esistenti e la predisposizione di modelli di intervento per l’innovazione tecnologica e per l’innovazione nell’organizzazione aziendale; particolare attenzione viene rivolta alla diffusione nell’ambito del Sistema formativo, tramite l’implementazione di progetti pilota e dimostrativi, dei principali risultati ottenuti; 2. Riconversione/riqualificazione. Il sottoprogramma è finalizzato ad affinare la conoscenza del mercato del lavoro e quindi di anticipare i mutamenti quali/quantitativi nella domanda e i corrispondenti fabbisogni formativi nell’offerta di lavoro; un’attenzione particolare viene rivolta alle emergenze occupazionali e alle problematiche relative all’imprenditorialità; 3. Rafforzamento sistemi. Gli interventi previsti sono prevalentemente finalizzati ad aumentare l’efficacia e l’efficienza sia della Pubblica Amministrazione locale e dei Sistemi della Formazione Professionale regionale, sia dell’implementazione degli stessi interventi cofinanziati dai Fondi strutturali. In particolare, sono previsti interventi quali la predisposizione di modelli organizzativi per la realizzazione, il monitoraggio e la valutazione del Sistema di Formazione Continua, la creazione di una rete per lo scambio di informazioni fra gli Osservatori locali del mercato del lavoro, collegando la domanda delle imprese con l’offerta esistente a livello multiregionale e in generale le azioni che possano facilitare una maggiore integrazione fra la Formazione Professionale, gli organismi amministrativi e il mondo delle imprese. La ripartizione delle risorse del FSE sui singoli assi prioritari e tra le Regioni avviene in funzione della presenza a livello regionale dei potenziali beneficiari e della capacità di spesa delle singole Regioni. Grafico n. 23 - Ob. 4: ripartizione risorse FSE per asse prioritario (V.A. e V.%) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 178 179 Il peso finanziario degli assi è rapportato alle esigenze della situazione italiana; poiché in Italia non esiste un vero e proprio Sistema di Formazione Continua, il QCS ha accolta la proposta di articolazione finanziaria, la quale si distribuisce su due periodi: – nel triennio 1994/96 di devono mettere a fuoco le tematiche e le strutture operative necessarie alla Formazione Continua; – nel successivo triennio 1997/1999 si devono realizzare gli interventi di formazione. Il DOCUP specifica gli indicatori di situazione218, di realizzazione219, gli obiettivi attesi220 e gli indicatori di impatto221. 218 Numero delle imprese con meno di 500 addetti, distinti in PMI e altre; Numero degli addetti nell’industria e nel servizi, distinti in PN 1I e altri; Numero totale imprese in fase di trasformazione e relativi addetti (investimento per unità di lavoro, valore aggiunto per unità di lavoro, numero dei lavoratori in CIG ordinaria industria, numero di assunti e licenziati, numero di imprese che hanno avviato processi di internalizzazione; Indicatori di offerta (centri di formazione professionali, osservatori, strutture di orientamento). 219 Numero di indagini e ricerche sui fabbisogni formativi; Numero di osservatori del mercato del lavoro e delle professioni; Numero di lavoratori che beneficiano di azioni di formazione; Numero di imprese che attuano programmi di formazione; Numero di azioni formative; Percentuale di azioni con innovazioni nelle metodologie didattiche; Strutture fisiche attuate (organismi bilaterali, strutture di analisi del mercato del lavoro e delle professioni, strutture di orientamento, altre strutture); Numero addetti alla formazione formati o riqualificati. 220 Numero di lavoratori che beneficeranno di azioni formative in % dei lavoratori delle PMI; Strutture fisiche da realizzare (organismi bilaterali, strutture di analisi del mercato del lavoro e delle professioni, strutture di orientamento, altre strutture); Numero di ricerche e indagini dei fabbisogni professionali da realizzare. 221 Effetti delle ricerche sulla progettazione delle azioni formative e sui piani di formazione aziendale; Numero di lavoratori che hanno mantenuto il posto di lavoro; Numero dei contatti delle imprese con i Centri di Formazione e con gli organismi creati. Grafico n. 24 - DOCUP Ob. 4: ripartizione risorse FSE Regioni, Province Autonome e programmi multiregionali storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.22 Pagina 179 180 e) Obiettivo 5b Nel caso dell’Obiettivo 5b gli assi prioritari di sviluppo vengono individuati da ciascuna delle 13 Regioni e Province Autonome responsabili dei DOCUP e sono comunque riconducibili ai seguenti: agricoltura; ambiente; sviluppo e rafforzamento PMI; riqualificazione del territorio; turismo e beni culturali; valorizzazione delle risorse umane. Le risorse del FSE sono distribuite fra le Regioni che abbiano zone rientranti in questo Obiettivo nella misura illustrata nella Tabella 16 e distribuite per assi prioritari e per l’assistenza tecnica come da Tabella 17. 4.6.3. Parametri di costo Affinché le spese per le azioni di formazione di uno stesso tipo non evolvano in maniera divergente, la Commissione determina per ciascuno Stato membro, congiuntamente ad esso, gli importi medi indicativi delle spese di ogni tipologia formativa. Quest’ultimo aspetto, insieme alla natura e all’articolazione delle spese ammissibili e delle entrate è stato oggetto di approfondimento nel quadro del partenariato nella fase di programmazione. Sono stati quindi fissati, per ciascun Obiettivo, i costi unitari massimi delle attività formative per l’intero periodo di programmazione, secondo la Tabella 18. Tabella n. 16 - Ob. 5b: ripartizione risorse FSE per domande di contributo Tabella n. 17 - Ob. 5b: ripartizione risorse FSE per asse prioritario e per l’assitenza tecnica storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 180 181 222 Nella Decisione che istituisce il Programma, al decimo “considerando” si afferma “considerando che, nel proprio documento di lavoro sugli orientamenti dell’azione comunitaria in materia di istruzione e di formazione, la Commissione ha preannunciato il proprio obiettivo di razionalizzazione e di semplificazione dei programmi d’azione in materia di Formazione Professionale in un programma unico, potenziando gli aspetti più promettenti in termini di valore aggiunto e d’impulso europeo”. Tabella n. 18 - Costi unitari massimi delle attività formative per il periodo 1994-1999 - Costo ora/allievo (in ECU)(1) (2) 5. I Programmi e le Iniziative comunitarie 5.1. Programmi comunitari del periodo 1995-99 Al paragrafo 2.2. abbiamo passato in rassegna i Programmi comunitari del periodo 1990-94. È indubbio il valore e l’interesse dei risultati raggiunti da ognuno dei programmi; il loro alto livello di specializzazione comportava, però, il rischio della frammentazione, nel senso che le innovazioni rimanevano nel segmento formativo dove erano state sperimentate senza che ci fossero benefici diretti nel sistema e comunque mancava un ruolo di regia complessiva che facesse sintesi dei benefici di ciascuno. Per ottimizzare gli aspetti positivi di questi interventi comunitari e per eliminare o comunque ridimensionare i rischi che la loro settorializzazione comportava, nel dicembre 1994, la Commissione vara un Programma, denominato LEONARDO DA VINCI. LEONARDO nasce con l’intento dichiarato222 di costituire un’amalgama dei diversi programmi che l’hanno preceduto negli Anni ’80 e ’90, o meglio di compendiare e superare: COMETT I (1986-1989) e II (1990-1994), per la promozione della cooperazione tra Università e Industria, EUROTECNET (1990-1994) per la promozione dell’innovazione nella formazione, FORCE (1991-1994) per lo sviluppo della Formazione Continua, PETRA I (1987-1991) e II (1990-1994) per la Formazione Professionale dei giovani. In LEONARDO viene anche compendiato e superato un (1) L’importo per ciascun Obiettivo si intende come il risultato della media degli assi che lo compongono. (2) Nel caso degli Obiettivi 1, 2, 4 e 5b il costo unitario è al netto del reddito degli allievi occupati. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 181 182 programma comunitario LINGUA per la promozione delle competenze linguistiche, che aveva operato agli inizi del decennio: 1990-94. Prima di entrare nel merito di LEONARDO facciamo un rapido accenno a LINGUA, in quanto ha interessato anche il Sistema formativo regionale. 5.1.1. LINGUA - Promozione della conoscenza delle lingue straniere Il Programma comunitario LINGUA è stato istituito con una decisione del Consiglio delle Comunità europee del 28 luglio 1989 e riguarda la promozione della conoscenza delle lingue per sviluppare le capacità di comunicazione all’interno della Comunità223. Gli ambiti interessati dal Programma comprendono sia i Sistemi di Formazione Professionale che la Scuola ed il mondo del lavoro, promuovendo la Formazione e l’aggiornamento degli insegnanti e dei formatori e l’innovazione nei metodi e nei supporti all’insegnamento. Beneficiano del programma tre tipi di aree di utenza: – l’area dell’Istruzione tecnica e professionale e quella degli insegnanti di lingue che lavorano in Istituti di Istruzione e di Formazione sostenuti dai singoli Stati; – gli Istituti di Istruzione post-secondaria; – le imprese e le organizzazioni professionali. Il programma si articola in 5 Azioni (cfr. Fig. n. 40): 223 ISFOL, Seconda lingua, società e strategie formative (Contributi di COLELLA M.R., GILLI D., GRIMALDI A., LANDI F., NARDI E., ROZERA M., MALARICO E.), 1992. Figura n. 39 - Il Programma LEONARDO razionalizza e semplifica i Programmi comunitari preesistenti storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 182 183 – Azione I. Riguarda essenzialmente la formazione degli insegnanti di lingue straniere, mediante borse destinate alla mobilità ed aiuti ai programmi di cooperazione a livello europeo (detti Pec) tra istituzioni per la formazione degli insegnanti224; – Azione II. Riguarda le borse di mobilità degli studenti e del personale docente e amministrativo di tutti i tipi di Istruzione superiore finanziati o riconosciuti dalle autorità nazionali e locali225; – Azione III. Promuove lo sviluppo dell’apprendimento delle lingue in particolar modo nelle piccole e medie imprese226; – Azione IV. Vengono concessi aiuti finanziari per sostenere lo sviluppo della mobilità studentesca (almeno due settimane all’estero) nelle scuole di istruzione 224 Il referente italiano era la Biblioteca di documentazione pedagogica di Firenze. 225 L’Azione si rivolge innanzitutto agli studenti che si formano per diventare insegnanti di lingue straniere e a quelli che frequentano corsi sulle lingue comunitarie (specialmente le meno insegnate), ma interessa anche chi studia una lingua straniera in collegamento con altre discipline. Il referente nazionale era il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, Dipartimento Relazioni Internazionali. 226 La Commissione sponsorizza visite di studio per rappresentanti di imprese e organizzazioni professionali oltre che per formatori di lingue in diversi settori professionali ed economici; promuove progetti innovativi e pilota relativi a: lo sviluppo e la diffusione di tecniche di diagnostica e di analisi dei fabbisogni linguistici (audit linguistici) nelle organizzazioni professionali o di lavoratori e nelle imprese; progetti pilota per lo sviluppo di materiale didattico per l’insegnamento delle lingue, con attenzione particolare alle lingue meno diffuse; un sistema di scambi e di mobilità dei rappresentanti delle organizzazioni professionali interessate alla formazione di lingue straniere, per le esigenze relative ai diversi spaccati della vita economica. Figura n. 40 - Programma LINGUA: Quadro delle Azioni storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 183 184 generale, tecnica e professionale e nei Centri di Formazione Professionale. Sono inoltre previste sovvenzioni per visite di studio dei responsabili delle scuole e dei centri, allo scopo di avviare un progetto educativo comune che dia luogo agli scambi di giovani; – Azione V. Comprende aiuti alle strutture che coordinano il Programma; aiuti alle associazioni e ai consorzi a livello europeo che supportano gli obiettivi di LINGUA; aiuti per la creazione e lo scambio di materiali didattici per lo studio delle lingue straniere227. Relativamente alle Azioni III e IV è stato designato l’Isfol come Agenzia di riferimento per l’Italia, con funzioni di coordinamento scientifico e tecnico a livello nazionale. La partecipazione degli studenti e allievi italiani è stata progressivamente crescente. Focalizziamo l’attenzione sulla partecipazione al programma LINGUA da parte della Formazione Professionale regionale. Potevano beneficiare degli aiuti previsti dell’Azione IV tutti i Centri, regionali o convenzionati, che realizzavano interventi corsali almeno biennali. L’azione IV era destinata a giovani tra i 16 e i 25 anni. Da un punto di vista operativo l’attivazione di borse era preceduta da visite preparatorie dei docenti presso le istituzioni partner. L’analisi della partecipazione italiana all’azione mette in rilievo questi fenomeni: una crescita numerica delle iniziative di oltre il 300% in tre anni, la durata media degli scambi di allievi è di due settimane e mezzo per visita; il gruppo medio è costituito da 12 allievi, la maggioranza degli allievi partecipanti è rappresentata da ragazze (65% di femmine e 35% di maschi) e l’età media degli allievi partecipanti è di 17 anni e mezzo; la distribuzione su base nazionale, che in un primo momento era fortemente sbilanciata a favore del Centro Nord si è progressivamente equilibrata, tanto che nel 1994 circa la metà dei progetti era stato presentato dalle Regioni meridionali. Il numero dei ragazzi italiani in visita all’estero è stato in tutti i tre anni superiore a quello dei loro coetanei di paesi esteri che venivano in Italia (cfr. Graf. n. 25). “La Formazione Professionale ha registrato, in seguito allo sviluppo del programma Lingua in Italia un significativo processo di riorientamento sia metodologico che di contenuto; processo che può essere sintetizzato nella nuova attenzione con cui ormai si guarda alla competenza in lingue straniere sia nel campo della formazione iniziale che in quello della formazione aziendale”. Questo giudizio è il giudizio su LINGUA dell’Isfol, basato su una ricerca sulle lingue straniere nel Sistema della FP (come studio di base per l’avvio in Italia di un “Piano nazionale per le lingue straniere”) e che esplora e quantifica gli effetti “moltiplicatori” del programma. Effetti che hanno riguardato sia la diffusione ormai ge- 227 Il referente nazionale era il Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale per Scambi Culturali, Divisione II. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 184 185 neralizzata dell’insegnamento di almeno una lingua straniera nella maggioranza dei corsi di Formazione Professionale regionale, sia la nuova attenzione con cui si guarda a tale competenza nel mondo delle imprese, sia l’aumento dei corsi per l’acquisizione di competenze linguistiche nei piani regionali di Formazione. Per il periodo 1996-1999 LINGUA diventerà un’azione trasversale del Programma SOCRATES228. 5.1.2. LEONARDO DA VINCI - Programma d’azione per lo sviluppo di una politica di Formazione Professionale della Comunità europea (1995-99) LEONARDO DA VINCI229, adottato dal Consiglio dei Ministri il 6 dicembre del 1994230 è stato il primo programma integrato di azione comunitaria per la Formazione Professionale, in attuazione dell’articolo 127 del “Trattato di Maastricht”, che stabiliva che la Comunità attuasse una politica di Formazione Professionale pur escludendo l’armonizzazione delle norme e dei regolamenti degli Stati membri. 228 Vedi 5.4. 229 Per quanto riguarda la scelta del nome cfr. Reference: IP/95/203 del 02/03/1995 “Ispirandosi all’esempio di quel genio del Rinascimento che è stato Leonardo da Vinci, il quale combinava spirito inventivo, immaginazione, sensibilità artistica e visione scientifica, il programma LEONARDO ha l’ambizione di apportare un nuovo impulso alla formazione professionale in Europa, senza peraltro voler sostituirsi alle responsabilità degli Stati membri in questo settore. Evocare Leonardo vuol dire anche ricordare un’epoca in cui l’apprendimento non era compartimentato da frontiere”. 230 Cfr. 94/819/CE: Decisione del Consiglio, del 6 dicembre 1994, che istituisce un programma d’azione per l’attuazione di una politica di Formazione Professionale della Comunità europea, in Gazzetta Ufficiale n. L 340 del 29/12/1994 pag. 0008-0024. Grafico n. 25 - Programma LINGUA: Flusso di allievi italiani all’estero e di allievi stranieri in Italia storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 185 186 Il programma LEONARDO DA VINCI nasce in un clima culturale comunitario particolarmente favorevole alla Formazione Professionale (come peraltro abbiamo notato nella ricostruzione delle vicende che hanno portato alla riforma del 1988 e alla revisione del 1993 dei Fondi strutturali) e il cui apporto viene ritenuto indispensabile per superare la congiuntura sociale ed economica di quegli anni. Il comunicato stampa che accompagna l’evento di avvio del Programma, a Tours (Francia) il 2 e 3 marzo 1995, dà il senso delle aspettative che si nutriva nei confronti del “sistema” della Formazione Professionale: “Fra i vari difetti all’origine della disastrosa situazione occupazionale in Europa, l’inadeguatezza dei sistemi di formazione professionale rispetto all’evoluzione dei bisogni delle nostre società occupa purtroppo un posto di rilievo. Insieme con la ricerca e l’istruzione, la Formazione Professionale, che si tratti di formazione iniziale o di formazione su tutto l’arco della vita attiva, è comunque parte integrante di quell’indispensabile “investimento immateriale” di cui il Libro Bianco della Commissione europea su crescita, competitività e occupazione ha dimostrato tutta l’importanza. Orbene, il tempo stringe: la rivoluzione tecnologica, ed in particolare l’avvento annunciato della società dell’informazione, rischiano di ingigantire irrimediabilmente il ritardo europeo rispetto ai concorrenti qualora i sistemi di formazione non vengano rapidamente aggiornati”231. Il Programma contava su una dotazione finanziaria, prevista nella decisione per il periodo dal primo gennaio 1995 al 31 dicembre 1999, che ammontava a 620 milioni di ECU (930 miliardi di lire, circa). LEONARDO non era aperto solo agli Stati membri dell’Unione Europea, ma anche ai Paesi dello Spazio economico europeo (Norvegia, Islanda e Liechtentein) a quelli dell’Europa centrale e orientale che avevano concluso accordi di associazione con l’Unione Europea (Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia), a Malta e Cipro. A livello comunitario il programma è stato gestito dalla Commissione mediante la Direzione generale XXII: Istruzione, Formazione e gioventù, che si avvaleva di un Ufficio di Assistenza Tecnica (BAT, Bureau Assistence Technique)232. La Decisione prevedeva la costituzione di un Comitato Leonardo da Vinci presieduto dalla Commissione e composto di due rappresentanti per ciascuno Stato membro, di norma funzionari delle amministrazioni federali o regionali. Rappresentanti delle parti sociali partecipavano in qualità di osservatori. La funzione del Comitato era di assistere la Commissione nell’attuazione del programma, all’occorrenza con l’aiuto di sottocomitati. Il Comitato era un organismo consultivo emanante pareri sulle mi- 231 Reference: IP/95/del 2/03/1995. 232 In seguito a un pubblico appalto la Commissione ha selezionato Agenor, una società privata di diritto belga. Il principale azionista di Agenor era l’organizzazione francese CESI. Nell’assetto societario figurava anche Sistemi Formativi Confindustria dell’Italia. La Commissione e il BAT hanno sottoscritto un contratto quinquennale di servizi (dall’1/06/1995 al 31/05/2001) rinnovabile annualmente. Il costo del contratto era di 9,1 milioni di Euro per il 1995/1996, con una riduzione graduale annua. La Commissione ha deciso di non rinnovare il contratto all’inizio del 1999 a causa della gestione, dell’organizzazione e del controllo insoddisfacenti. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 186 187 sure da adottarsi ad opera della Commissione e, allo stesso tempo e conformemente alla Decisione, era un Comitato di gestione con poteri di voto. L’attuazione del programma in Italia competeva al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (Ufficio centrale per l’orientamento e la Formazione Professionale) e al Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione generale per l’Istruzione Professionale), mentre l’assistenza tecnica è stata affidata all’Isfol, che ha costituito una INC, Istanza Nazionale di Coordinamento, operante nel quadro di un piano di attività concordato con la Commissione233. Il programma perseguiva una gamma di 19 obiettivi234. Tra di essi vi era la pro- 233 L’istanza nazionale di coordinamento lavora su alcune direttrici principali: a) la coerenza con gli altri programmi, attraverso l’individuazione e la realizzazione di azioni comuni in materia di informazione, valutazione, monitoraggio e confronto dei risultati raggiunti; b) l’informazione sul programma, sia verso i potenziali promotori di progetto e fruitori, sia verso le istituzioni che lo promuovono o ne sono responsabili; c) la valutazione, ex ante, in itinere ed ex post, collaborando con esperti indipendenti nazionali e comunitari; d) la razionalizzazione e la diffusione dei risultati. Cfr. a tale proposito i prodotti Isfol, Leonardo da Vinci. Progettazione e presentazione richieste di contributo: un percorso in più tappe. 234 Cfr. art 4 della Decisione che istituisce il Programma: a) migliorare la qualità e la capacità innovativa dei sistemi e dei dispositivi di Formazione Professionale degli Stati membri; b) sviluppare la dimensione europea nella formazione e l’orientamento professionali; c) promuovere la formazione nell’arco della vita allo scopo di favorire un adattamento permanente delle competenze inteso a rispondere alle esigenze dei lavoratori e delle imprese, di contribuire alla riduzione della disoccupazione, nonché di facilitare il pieno sviluppo della persona; d) dare la possibilità a tutti i giovani della Comunità che lo desiderino di effettuare un anno o, se possibile, due anni o più di Formazione Professionale iniziale che si aggiungano alla frequenza scolastica obbligatoria a tempo pieno e sfocino in una qualifica professionale riconosciuta dalle autorità competenti dello Stato membro in cui è rilasciata; e) incoraggiare misure specifiche di Formazione Professionale destinate ad adulti privi di qualifiche professionali adeguate, e soprattutto ad adulti privi di istruzione adeguata; f) migliorare lo status e l’attrattiva dell’insegnamento e della formazione professionali e favorire una parità di valori tra titoli accademici e qualifiche professionali; g) promuovere la Formazione Professionale dei giovani e la preparazione dei giovani alla vita adulta e professionale in vista delle esigenze della società e del mutamento tecnologico; h) incoraggiare azioni particolari di Formazione Professionale a favore dei giovani svantaggiati privi di formazione adeguata e in particolare dei giovani che escono dal Sistema scolastico senza una formazione adeguata; i) promuovere la parità di accesso alla Formazione Professionale iniziale e permanente a favore delle persone svantaggiate per esempio a motivo di fattori socioeconomici, geografici o etnici ovvero a causa di menomazioni fisiche o mentali; una speciale attenzione dev’essere riservata alle persone soggette a rischi diversi suscettibili di determinare la loro esclusione sociale ed economica; j) sostenere le politiche di Formazione Professionale nel senso che ogni lavoratore della Comunità possa avere accesso alla Formazione Professionale permanente senza alcuna forma di discriminazione durante tutta la sua vita attiva; k) promuovere la pari opportunità di donne e uomini per l’accesso e la partecipazione effettiva alla Formazione Professionale, in particolare per aprire loro nuovi settori professionali e per favorire la ripresa di un’attività professionale dopo un’interruzione; l) promuovere la pari opportunità dei lavoratori migranti, dei loro figli e dei minorati per l’accesso nonché per la partecipazione effettiva alla Formazione Professionale; m) promuovere la cooperazione per quanto riguarda le esigenze in materia di competenze e le necessità di formazione e incoraggiare l’acquisizione e la trasparenza delle qualifiche e la comprensione delle competenze chiave adeguate allo sviluppo tecnologico, al funzionamento del mercato interno, ivi comprese la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali alla competitività delle imprese e alle esigenze del mercato del lavoro; n) promuovere la Formazione Professionale tenuto conto dei risultati dei programmi di ricerca e di sviluppo tecnologici, in particolare attraverso la cooperazione tra le Università e le Imprese nel settore della formazione alle storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 187 188 mozione della qualità e dell’innovazione nei Sistemi nazionali di formazione, la promozione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, la formazione per persone svantaggiate, l’accesso alla formazione, l’apprendimento delle lingue, le pari opportunità nella formazione, la trasparenza delle qualifiche, l’apprendimento aperto e a distanza, l’orientamento professionale e la cooperazione tra Università e Industria. La struttura del Programma si articola in tre momenti: settori (strand), azioni, e misure (cfr. Prosp. n. 16). Più in particolare, gli ambiti d’intervento del programma sono ripartiti in settori, che si propongono rispettivamente di: I) migliorare la qualità dei sistemi e dei dispostivi di Formazione Professionale negli stati membri; II) migliorare le azioni di Formazione Professionale riguardanti le imprese e i lavoratori, inclusa la cooperazione tra Università; III) favorire lo sviluppo delle competenze linguistiche, delle conoscenze e della diffusione delle innovazioni nella Formazione Professionale. Il quarto settore riguarda la funzionalità del Programma (reti tra stati membri, interventi di informazione monitoraggio e valutazione). All’interno di ciascun settore il programma individua le tipologie di azioni (cfr. Pros. n. 16) che possono essere intraprese: progetti pilota transnazionali, programmi di collocamenti e scambi (per tutti e tre i settori, dei primi sono beneficiari giovani in formazione iniziale o in transizione alla vita attiva, anche di livello universitario; giovani in cerca di prima occupazione o in inserimento nel mondo, gli scambi, invece, riguarda personale impegnato in processi formativi o nel governo del Sistema formativo) e progetti di indagine ed analisi (solo per il III settore). Nell’ambito di ciascuna azione il Programma si articola in specifiche aree di intervento o misure: 9 nel primo settore, 7 nel secondo, 6 nel terzo. L’accesso al Programma da parte di soggetti, pubblici e privati, era regolamentato da Avvisi a presentare proposte pubblicati annualmente. Avvisi nei quali erano comunicati: le modalità di presentazione delle proposte, i criteri di ammissibilità e di qualità e le priorità. Le proposte dovevano essere presentate e valutate secondo due diversi tipi di procedura (cfr. Fig. n. 42). La prima procedura riguardava i progetti con un legame ed un impatto diretto con sistemi e dispositivi di formazione iniziale e continua degli Stati membri. I diversi passaggi delle due procedure sono schematicamente riprodotti nel Prospetto 17. tecnologie, alla loro applicazione e al loro trasferimento; o) promuovere lo sviluppo progressivo di uno spazio europeo aperto della formazione e delle qualifiche professionali, in particolare mediante lo scambio di informazioni e di esperienze sugli ostacoli all’applicazione della libera prestazione dei servizi degli organi di formazione; p) sostenere le attività volte a sviluppare le competenze linguistiche nelle azioni di Formazione Professionale; q) promuovere lo sviluppo dei dispositivi di orientamento professionale per dare ad ognuno la possibilità, nell’arco della vita, di un orientamento professionale di qualità; r) favorire lo sviluppo dei metodi di autoformazione sul luogo di lavoro e dei metodi di apprendimento e di formazione aperti e a distanza, in particolare per facilitare l’accesso alla Formazione Professionale permanente; s) incoraggiare lo sviluppo e l’integrazione delle competenze chiave nelle azioni di Formazione Professionale per promuovere l’acquisizione di qualifiche flessibili e di competenze personali, necessarie alla mobilità dei lavoratori e alle esigenze delle imprese. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 188 189 Prospetto n. 16 - Programma LEONARDO: Settori, Azioni e Misure storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 189 190 Figura n. 41 - Programma LEONARDO: Tipologie di azioni Figura n. 42 - Programma LEONARDO: Tipi di procedura per la presentazione e valutazione dei progetti storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 190 191 235 Va notato che i progetti sono presentati soltanto in una sola gara d’appalto nazionale e che gli altri operatori associati alla proposta pertinente da uno o più paesi partecipanti, non devono presentare parallelamente la proposta. Tuttavia ai fini di una migliore trasparenza della procedura, gli altri partner associati alla proposta dovranno inviarne per conoscenza una copia all’INC del loro paese, che dovrà convalidare la loro partecipazione. 236 Il Progetto veniva giudicato in merito a: a) innovazione (miglioramento di contenuti, metodologie, prassi e strumenti esistenti nella formazione); b) transnazionalità; c) partenariato di più tipologie di operatori; d) il rispetto del principio di pari opportunità; e) la partecipazione attiva delle parti sociali nel processo di gestione dell’iniziativa, compreso quello dell’utilizzo dei suoi risultati e prodotti; f) la coerenza e la compatibilità del Progetto con le linee di programmazione dello sviluppo locale e settoriale; g) sinergie evidenti e giustificate tra progetti Pilota e progetti di Scambi e Collocamenti; h) modo in cui i progetti sostengono e completano le azioni dei Paesi partecipanti rivolte alle imprese e ai lavo- Prospetto n. 17 - Programma LEONARDO: Fasi delle procedure di presentazione e selezione dei progetti storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 191 192 Come si può notare LEONARDO DA VINCI è un programma ampio per tipologia di misure e di azioni, organico per aree di intervento e con iter procedurali, per la presentazione e la valutazione, complessi. Nei Prospetti 18, 19, 20 ne proponiamo una sintesi in schede. ratori, esaminando in particolare gli aspetti seguenti: il cofinanziamento da parte delle autorità pubbliche o delle fonti private; gli effetti attesi in termini di impatto sulle azioni di formazione per i lavoratori e le imprese; la capacità di demoltiplicazione ulteriore dei risultati del progetto; la capacità di sperimentazione mediante scambi, per esempio nel contesto di ulteriori inviti a presentare proposte. Prospetto n. 18 - Programma LEONARDO: Scheda di sintesi delle misure ed azioni del settore 1 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.23 Pagina 192 193 Prospetto n. 19 - Programma LEONARDO: Scheda di sintesi delle misure ed azioni del settore II storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 193 194 Abbiamo già accennato al fatto che negli Avvisi venivano anche precisate delle priorità. Nell’Avviso della Commissione del 1995, ad esempio, le priorità erano basate sui cinque principali ambiti di azione identificati nel Libro bianco della Commissione “Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva”237 (cfr. Prosp. n. 21). Successivamente alla pubblicazione del bando comunitario gli Stati membri, se ne ravvisavano l’opportunità, potevano pubblicare un bando in cui erano individuate delle priorità nazionali specifiche. Quelle del 1995 definite dall’Italia sono quelle riportate nel Prospetto 22. 237 1. Favorire l’acquisizione di nuove conoscenze; 2. Avvicinare lo scuola e l’impresa; 3. Lottare contro l’emarginazione - offrire una seconda opportunità tramite la scuola; 4. Possedere tre lingue comunitarie; 5. Trattare sullo stesso piano l’investimento a livello fisico e l’investimento a livello di formazione. Prospetto n. 20 - Programma LEONARDO: scheda di sintesi delle misure ed azioni del settore III storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 194 195 Dopo la selezione dei progetti i contratti venivano stipulati da parte della Commissione. In molti casi, soprattutto nei primi anni del programma, ciò ha comportato la necessità di adattare la configurazione originaria dei progetti, a causa della richiesta degli Stati membri di aumentare il numero di progetti finanziati. L’accettazione di tale richiesta comportava la riduzione dei budget dei singoli progetti che si sono tradotte in contributi comunitari inferiori rispetto a quanto previsto dai candidati. Una volta completato tale processo, la Commissione stipulava un contratto di diritto privato “belga” direttamente con ciascun promotore. I pagamenti per questi progetti venivano effettuati dalla Commissione previa approvazione delle relazioni valutative, intermedia e finale, presentate dai promotori del progetto. Per le misure di mobilità decentrate, la parte contrattuale, il pagamento e il follow-up dei progetti sono stati assicurati dalle Unità nazionali di coordinamento conformemente ai criteri stabiliti a livello comunitario. Per rimanere all’interno dell’arco cronologico di questo volume ci limitiamo ad analisi e considerazioni relativi agli avvisi del 1995 e del 1996. Nel primo anno i progetti presentati in Europa sono stati 4.542, di cui 749 ammessi a finanziamento (non sono compresi quelli relativi a scambi e collocamenti). La distribuzione dei progetti finanziati per tipologia viene illustrata nel Grafico 26. Prospetto n. 21 - Programma LEONARDO: priorità comunitarie relative al bando del 1995 Prospetto n. 22 - Programma LEONARDO: priorità nazionali relative al bando del 1995 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 195 196 In Italia, invece nel 1995 sono stati presentati 371 progetti. – I.1.1.a - Miglioramento della qualità della Formazione Professione iniziale e la transizione dei giovani alla vita attiva. È la misura che, in assoluto, ha registrato la massima concentrazione di candidature. Hanno risposto prevalentemente soggetti provenienti dal mondo dell’Istruzione tecnica e professionale e gli organismi di formazione, sviluppando proposte che si sono concentrate pre- Grafico n. 26 - Programma LEONARDO: progetti approvati per tipologia (Avviso 1995 - Europa) Tabella n. 19 - Progetti Pilota, di Analisi e di Demoltiplicazione (Anni 1955 e 1996 - Italia) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 196 197 valentemente su Ambiente238, Beni Culturali e Turismo239, alternanza Scuola- Lavoro240, trasparenza della certificazione241; – I.1.1.b - Miglioramento della qualità dei dispositivi di Formazione Professionale Continua. Il numero di candidature relativamente basso (rispettivamente 13,5% e 14,5% del totale dei progetti presentati nei due anni considerati) è sintomo dell’opacità di tale sistema a livello nazionale e indice della scarsa tradizione nella progettazione di interventi su tale settore. Difficile trovare denominatori comuni ai pochi progetti approvati (5 e 7), che possono comunque essere distinti tra quelli che fanno riferimento a settori specifici242 e quelli, invece, che hanno per oggetto metodologie e dispositivi per la Formazione Continua243; – I.1.1.c - Informazione e orientamento professionale. Pochi sono i progetti pervenuti e approvati (8 nel biennio 1995-96), concentrati principalmente sulla necessità di dotare il sistema di operatori244 e strutture245, ricorrendo massicciamente alle nuove tecnologie246; – I.1.1.d - Promozione delle pari opportunità tra uomini e donne nella Formazione Professionale. La situazione nazionale rispecchia fedelmente la perfor- 238 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di ITIS “P. Scalcerle” (Padova) Inquinamento e città, IPSIA Dalmazio Birago (Torino), Pollunvirontech, definizione di un diploma di tecnico europeo dell’ambiente e quello del 1996 della Regione Campania Agri-eco-form. 239 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: IAL (Torino) Traveltrain, ITG “G. Galilei” (Benevento), Aresleo, recupero del patrimonio culturale, e quelli del 1996 di IPSAR/S. Pellegrino Terme (BG), Les jeunes e l’entreprise; ENDO-FAP Fano (PS) Turismatica multimediale. 240 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di IPSIA di Settimo Torinese Patterns of alternance, IPSIA Dalmazio Birago (Torino) Pollunvirontech, Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Bolzano, L’apprentissage, IPSSCT Datini (Prato) Tifs, tutoraggio globale dii aziende della rete di imprese formative simulate; e quelli del 1996 di SCIENTER (Bologna) Dosy relativo a un modello per la formazione alternata dei giovani con CFL; di INFORCOOP (Roma) Alterneuropa che propone una metodologia dell’alternanza nella formazione dei formatori e di SEC Sistemi Formativi Confindustria (Roma) Valorizzare l’apprendistato. 241 Cfr. ad es. il progetto del 1995 del Consorzio di Istituti Professionali pubblici e privati dell’Emilia Romagna, Trasparency of certification e quelli del 1996 dell’Organismo bilaterale nazionale (Roma) Trasparency e della Regione Molise F.P.B .relativo alla certificazione della formazione di base. 242 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: ITSOS M. Curie (Cernusco sul Naviglio, MI) Sofia, elaborazione di materiale in autoistruzione per il settore elettrotecnico elettronico, Unione nazionale industria conciaria (Milano) Logiciel por le correct emploi, utilizzo di prodotti chimici nelll’industria conciaria, CERTAM (Roma) Air traffic controllers, e i progetti del 1996 di ENEA (Roma) che riguarda le nuove competenze professionali nella lotta biologica integrata; AECA Associazione emiliana centri autonomi (Bologna) metodologie per la formazione iniziale e continua del turismo e della ristorazione. 243 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: Unioncamere C.C.C.T. Certification of Competence and Credit Transfer, UILTUCS (Roma) Safety skills, formazione dei rappresentanti sindacali in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro; e quello del 1996 di ISF Istituto Superiore per la Formazione (Roma) che ha per oggetto il ruolo delle parti sociali nella Formazione Continua. 244 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di IPSSAR Carre advising, cioè il docente consigliere di carriera. 245 Cfr. i progetti del 1996 di Consorzio Scuola Lavoro (Roma) Athena ‘96, e della Regione Emilia-Romagna per la gestione integrata dei servizi per l’impiego. 246 Cfr. ad es. i progetti di: Regione Emilia-Romagna, Multimedia, Università Cattolica del Sacro Cuore (Brescia) TISOP. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 197 198 mance europea rispetto a questa misura: uno scarsissimo numero di progetti presentati. I progetti approvati (4 per ciascun avviso) sono rappresentativi di situazioni, momenti e contesti differenti: pari opportunità nella formazione iniziale247, che significa migliorare l’accessibilità da un lato e la sensibilità sul tema in questione dall’altro, nella vita lavorativa, affrontando i temi della innovazione248 e delle nuove professionalità249, nella cultura del cittadino europeo, come attenzione al rispetto reciproco e alla valorizzazione delle differenze250; – I.1.1.e - Miglioramento della qualità nella Formazione Professionale a favore degli svantaggiati. Anche in questo caso, l’Italia si allinea su una tendenza europea: scarso interesse mostrato dai promotori ad intervenire sul tema della marginalità e basso numero di progetti considerati eccellenti. I progetti approvati (6) si distribuiscono tra quelli relativi a soggetti con disabilità psichiche e motorie251 e quelli relativi a soggetti con criticità socioeconomiche252. È possibile che nel fenomeno della scarsa partecipazione alle ultime due misure considerate abbia giocato un ruolo dissuasivo il lancio e scadenza del bando di due “volet” dell’iniziativa Occupazione Horizon nel 1995; entrambi centrati sulle tipologie di destinatari finali considerati anche dalle misure di LEONARDO, ma con un budget finanziario più consistente. – II.1.1.a - Innovazione nella formazione. I 25 progetti del biennio considerato, che coniugano innovazione tecnologica e Formazione Professionale, possono essere sistematizzati all’interno di due categorie: a) la costruzione di materiali didattici multimediali per la Formazione Professionale: in settori specifici – 247 Cfr. il progetto di Cooperativa Cultura e Professionalità (Roma) Youth gender education gender mentoring workshop per la creazione di unità permanenti per le pari opportunità all’interno delle scuole. 248 Cfr. il progetto del 1995 del Comune di Carpi (Modena) Aquita per supportare i cambiamenti nel settore tessile e quello del 1996 di FOPRI Telework for Woman e di Fondazione Marisa Bellisario sul telelavoro, di TIconuno (Milano) Waccis che studia i diversi comportamenti di genere nel confronti dell’uso delle tecnologie. 249 Cfr. il progetto CID CGIL (Roma) Water analisi e comprensione delle opportunità occupazionali di nuovo tipo presenti nei contesti urbani. 250 Cfr. il progetto di ECAP (Ravenna) Luce nera per la imprenditorialità di donne appartenenti a minoranze etniche. 251 Cfr. ad esempio il progetto del 1995 di: ENFAP-UIL Mida, studio di esperienze europee per l’inserimento di disabili in situazioni di apprendimento comuni e quello del 1996 di ENEA (Roma) TED relativo ad un sistema, per disabili, di insegnamento scolastico e di Formazione Professionale a distanza con l’impiego di tecnologie informatiche; e quelli del 1996 di ASPHI Associazione per lo Sviluppo di Progetti Informatici per Handicappati (Bologna) TEAMNET per l’elaborazione di un modello organizzativo comune per l’erogazione di prestazioni professionali in telelavoro e del Comune di Roma Dipartimento Ufficio Speciale Formazione Professionale SMILE g.h. realtivo alla sperimentazione di metodologie per l’inserimento lavorativo ed educativo di giovani handicappati. 252 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: CSEA Europa (Torino) Soglia, per soggetti adulti con basso livello di scolarità, IPS Giordani (Parma) Rimotivazione mobilità e adattamento dei giovani alle realtà del mondo del lavoro, IRES-CGIL (Roma) Child labour as a cause of social exclusion sulle problematiche del lavoro minorile; e quelli del 1996 di: IPSCTP T. Confalonieri (Roma) Transform per un miglioramento ed innovazione delle metodologie didattiche. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 198 199 agroalimentare253, costruzioni254, ambiente255, industria chimica256, industria dell’acqua257 e della moda258 – o per funzioni specifiche – formatori259, attori del dialogo sociale260, operatori della pianificazione locale261 – o per temi di interesse generalizzato – sicurezza262, sistemi qualità263; b) la predisposizioni di reti264; – II.1.1.b - Investimento in Formazione Continua. I progetti non presentano delle concentrazioni particolari su alcuni temi. Talora si muovono su spazi interstiziali, che possono riguardare la elaborazione di materiali didattici per fund raising nel settore no profit265 o per imprenditori e dipendenti di dealer (microimprese che vendono motocicli e motoscooter)266. Altre volte hanno come beneficiari finali ampie platee: ad esempio i neo-assunti di imprese di produzione267, ruoli professionali medio-alti nel settore della distribuzione e cooperazione di consumo268, impiegati nel front line delle imprese turistiche269, imprenditori e titolari di PMI270, operatori medici e paramedici271. Altre volte i progetti si occu- 253 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di AISCRIS (Roma) ECOCOMPTE per la elaborazione di moduli didattici disponibili su rete internet per il settore agroalimentare; di CISITA PARMA ALIMENFORM per l’elaborazione di moduli di formazione a distanza per figure dell’agroalimentare. 254 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di AISCRIS (Roma) ECOCOMPTE per la elaborazione di moduli didattici disponibili su rete internet per il settore delle costruzioni. 255 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di: ASSOENERGIA RTN-AMIANTO per lavoratori addetto alla decontaminazione e bonifica dei rifiuti tossici e nocivi e dell’amianto. 256 Cfr. ad es. il progetto del 1996 di FEDERCHIMICA FORCHIM elaborazione di un manuale sulla Formazione Continua per le imprese chimiche. 257 Cfr. ad es. il progetto del 1996 di HYDROCONTROL FORMAQUAPILOT. 258 Cfr. ad es. il progetto del 1996 dell’ACCADEMIA ITALIANA (Firenze) ECO-FORM per progettista designer specialista in materiali ecologici. 259 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di: FILCAMS-CGIL (Roma) Formazione formatori, CONSORZIO MIP (Milano) Onthejob. 260 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: IESS-AE (Roma) Au-dela du dialogue sociale elaborazione di moduli formativi per negoziatori delle parti sociali in materia di FPC e Dialogo sociale; FIM-FIOMUILM (Roma) JOINTNESS per lo sviluppo di un modello che supporti la crescita delle competenze dei membri dei comitati sindacali congiunti; e i progetti del 1996 di FIM-FIOM-UILM (Roma) FORMGROUP. 261 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di ECOSFERA PROLODE per lo sviluppo di un pacchetto formativo per problemi legati allo sviluppo urbano e locale. 262 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: CONFCOMMERCIO (Roma) SAFEMEDIA per la realizzazione di un manuale e CBT multimediale in materia di sicurezza sul lavoro. 263 Cfr. ad es. i progetti del 1996 di Consorzio aziende metalmeccaniche piemontesi (Torino) Qualcert e CESFO (Padova) CERT-QUALITE’ 264 Cfr. ad es. i progetti del 1995 di: SMILE (Roma) TULIP per la costruzione di una rete fra organizzazioni sindacali e FILCAMS-CGIL Formazione formatori che prevede la creazione di una rete sindacale europea sulla Formazione. 265 Cfr. il progetto del 1996 del CERFE (Roma) RASING NPOs. 266 Cfr. il progetto del 1996 dell’ISVOR-FIAT Cash. 267 Cfr. il progetto del 1996 della Federpiemonte BRAIN TEST. 268 Cfr. il progetto del 1996 dell’INIPA CReSI. 269 Cfr. il progetto del 1996 dell’Ente Bilaterale del Turismo Magellano. 270 Cfr. il progetto del 1995 dell’Ente Bilaterale toscano per la formazione professionale e l’ambiente. 271 Cfr. il progetto del 1995 dell’Azienda ospedaliera Ospedale San Carlo (Potenza). storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 199 200 pano dello sviluppo e degli operatori272 e delle metodologie273 della Formazione Continua. Un numero cospicuo di progetti verte su tematiche di interesse trasversale a settori e tipologie di aziende, quali la qualità e la sicurezza sul lavoro274; – II.1.1.c - Cooperazione tra Imprese e Università per la Formazione Continua. Anche i 16 progetti di questa misura possono essere distinti a seconda che provvedano alla elaborazione di dispositivi tecnici: per la Formazione Continua in generale a prescindere dai contesti lavorativi (modello di open learning275, software di autovalutazione276 qualità277 sicurezza278 o, invece, per la Formazione Continua in specifici settori – automazione industriale279, ecologia280 – o per specifiche funzioni aziendali (gestione manageriale e innovazione tecnologica)281; – II.1.1.d - Pari opportunità. I pochissimi progetti di questa misura vanno a coprire i bisogni più diversi: quelli legati all’acquisizione di competenze professionali per ruoli (donne sindacaliste impegnate in processi di negoziazione)282, figure specifiche (educatrice d’infanzia)283e specifiche funzioni (marketing e promozione d’impresa)284, o quelli finalizzati a fornire una dotazione di competenze trasversali a cui far ricorso in un mercato del lavoro flessibile285 o una cultura d’impresa286o per la costituzione di reti con cui veicolare informazioni e prodotti formativi287; 272 Cfr. il progetto del 1996 dell’Associazione Impresa & Management Tunes. 273 Cfr. i progetti del 1996 del CLP Centro Ligure per la Produttività CREAFIRM e dell’Istituto di Formazione “F. Santi” (Genova) e quello del 1995 dello IAL Nazionale per la elaborazione di un software di valutazione e autovalutazione delle competenze. 274 Cfr. il progetto del 1996 ACPA RISK MANAGEMENT. 275 Cfr. il progetto del 1995 di: SIAV (Mestre) AN OPEN LEARNING. 276 Cfr. il progetto del 1995 di Università di Salerno. 277 Cfr. il progetto del 1995 di Consorzio Milano Ricerche Multimedia system for training in qualità certification. 278 Cfr. il progetto del 1996 Consorzio Milano Ricerche Multimedia training paths in the field of safety and health. 279 Cfr. il progetto del 1995 FILSE (Genova). 280 Cfr. il progetto del 1995 della Scuola di amministrazione aziendale dell’Università di Torino Laboratoire experimental pour l’eco-formation multimediatique e quello del 1996 del Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente c/o Politecnico di Torino TRUE. 281 Cfr. il progetto del 1995 di SINTESI (Palermo) Training Local Community Staff to Innovative Service Organizations. 282 Cfr. il progetto del 1995 di CERTAM (Roma). 283 Cfr. il progetto del 1996 dell’Associazione centro nascita Montessori (Roma) Educatrici d’infanzia. 284 Cfr. il progetto del 1995 ASTER Marketing co-manager. 285 Cfr. il progetto del 1996 della Fondazione regionale Pietro Severo (Milano) E-Quality. 286 Cfr. il progetto del 1996 ANGA Associazione Nazionale Giovani Agricoltori (Catania) Bio- Women. 287 Cfr. il progetto del 1995 di SCIENTER (Bologna) Development of a european clearing house to facilitate cross-country exchange of open and distance learning e quelli del 1996 di GISIG LEONETWORK GISIG e SINTESI BACONE. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 200 201 – III.1.a - Sviluppo di competenze linguistiche. Destinati a particolari categorie di lavoratori (formatori e responsabili della gestione di Risorse umane nelle PMI), i progetti afferenti tale misura ricorrono massicciamente alle nuove tecnologie e alla Formazione a Distanza (FaD)288; notevole è anche l’utilizzo delle reti telematiche per veicolare moduli di formazione e feed-back valutativi289. Le lingue oggetto dei corsi programmati restano prioritariamente l’inglese, il francese, il tedesco e lo spagnolo; – III.2.a - Sviluppo delle conoscenze nel settore della Formazione Professionale. Si tratta di una misura che ha attratto un numero considerevole di candidature la cui qualità media è stata piuttosto elevata. I temi sviluppati vanno dall’analisi di bisogni formativi all’interno di settori produttivi specifici290 al problema della trasparenza delle qualifiche291, ai metodi di miglioramento dell’accessibilità e fruibilità delle occasioni formative per particolari categorie di utenti292, alle modalità di costituzione e gestione di reti locali per l’analisi e l’anticipazione dei bisogni formativi di un territorio293, alla valutazione dei processi formativi294; – III.3.a - Sviluppo della diffusione delle innovazioni nel settore della Formazione Professionale. Le azioni di disseminazione dei risultati di iniziative precedenti rappresentano l’obiettivo di questa misura295. Molti dei progetti presentati hanno allargato il partenariato originario, includendo Paesi recentemente entrati a far parte dell’UE; altri hanno adattato e migliorato il prodotto realizzato aumentandone il potenziale di trasferibilità e diffusione (ad esempio, sviluppando i glossari e traducendo in più lingue il materiale, che è stato trattato anche per essere inserito e utilizzato attraverso le reti telematiche). 5.1.3. SOCRATES (1995-99) Per completezza informativa menzioniamo il programma d’azione comunitaria SOCRATES anche se tocca marginalmente la Formazione Professionale regionale296. 288 Cfr. ad es. i progetti di: AGILIT (Frascati, RM), ENAIP CEP (Torino) Ali. 289 Cfr. ad es. i progetti di IPSIA L. Montini (Campobasso) Planning and fulfilment of multiprocessing module in English… CISL (Roma) Multimedia English, SINFORM Telematic network for remote learning. 290 Cfr. ad es. il progetto di Federgasacqua (Roma), Forma-aqua. 291 Cfr. ad es. il progetto di IPSIA Cimino (Cremona). 292 Cfr. ad es. il progetto di IMED Way of Access per la formazione di immigrati. 293 Cfr. ad es. il progetto di CENSIS (Roma) Cooperation at the local level among economic institutional. 294 Cfr. ad es. il progetti di CESOS (Roma) Valutazione. 295 Il progetto di GISIG (Genova) ha diffuso i risultati di un progetto di formazione per “Sviluppatori comunitari”, quello di OSR (Osservatorio Sindacale Regionale) (Sassari) i risultati di una precedente iniziativa il Force Regional Standard, l’ITIS Trafelli di Nettuno ha promosso metodologie, prodotti e risultati di un intervento per Coordinatore Tecnico Europeo (PETRA II), l’Assopiastrelle (Sassuolo) ha diffuso prodotti e sistemi di certificazione della formazione dei posatori di piastrelle di ceramica e infine l’IPSIA Fiocchi (Lecco) ha messo in una rete di formatori materiali innovativi nel campo delle tecnologie della formazione industriale. 296 Decisione n. 819/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 1995, che istituisce il Programma d’azione comunitaria SOCRATES in G.U.C.E. L 87 del 20.4.1995, pp. 10-24. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 201 202 SOCRATES è “destinato a contribuire allo sviluppo di una istruzione e una formazione di qualità e di uno spazio europeo aperto di cooperazione nel settore dell’istruzione” 297. Gli obiettivi di SOCRATES sono: – sviluppare la dimensione europea dell’Istruzione a tutti i livelli, valorizzando il patrimonio culturale di ogni Stato membro; – promuovere un miglioramento quantitativo e qualitativo della conoscenza della conoscenza delle lingue dell’Unione Europea, nonché promuovere la dimensione interculturale dell’istruzione; – promuovere una cooperazione intensiva di ampio respiro tra le istituzioni degli Stati Membri a tutti i livelli di istruzione, migliorandone il potenziale intellettuale e docente; – incoraggiare la mobilità degli insegnanti al fine di migliorare qualitativamente le loro competenze; incoraggiare la mobilità degli studenti; – incoraggiare i contatti fra allievi nell’Unione Europea; – incoraggiare il riconoscimento accademico di diplomi, periodi di studio ed altre qualifiche; – incoraggiare l’istruzione aperta e a distanza nel contesto del programma; – promuovere scambi di informazioni ed esperienze. Comprende tre settori d’intervento (cfr. Fig. n. 43): – per l’insegnamento superiore (con il programma ERASMUS); – per l’insegnamento scolastico (con il programma COMENIUS); – azioni trasversali per: a) le competenze linguistiche (LINGUA); b) l’istruzione aperta e a distanza (IAD); c) gli scambi di informazioni e di esperienze (EURYDICE e ARION). L’azione a) del terzo settore, dedicata alla promozione dell’apprendimento linguistico, è la trasposizione in SOCRATES delle azioni 1, 3 e 4 del precedente programma LINGUA (azione 1 formazione degli insegnanti, azione 3 formazione linguistica nel mondo del lavoro e azione 4 scambi tra giovani nell’area tecnico professionale e nella scuola). L’azione si articola in una serie di sottoazioni298, tra cui quella relativa a “progetti europei congiunti per l’apprendimento linguistico”299. È in questo particolare segmento operativo che hanno operato alcuni CFP. 297 Ibidem, art. 1. 298 “Progetti di cooperazione per la formazione di insegnanti di lingue straniere”, “Formazione ed aggiornamento delle competenze di lingue di docenti di lingue”, “Formazione iniziale per futuri insegnanti di lingue”, “Sviluppo di strumenti didattici innovativi per la didattica e la valutazione”, “Progetti europei congiunti per l’apprendimento linguistico”. 299 Autorità responsabili del programma per il nostro Paese erano il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica ed il Ministero della Pubblica Istruzione rispettivamente per la sezione prima e per le sezioni seconda e terza. Il Ministero della Pubblica Istruzione si è avvalso come Agenzia nazionale della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze per le attività relative alle azioni di COMENIUS e delle misure orizzontali. L’Isfol, in considerazione delle competenze istituzionali in materia di Formazione Professionale e dell’esperienza maturata nel coordinamento del prostoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 202 203 gramma Lingua per la Formazione Professionale, ha svolto attività di informazione ed assistenza tecnica per le azioni relative allo svolgimento dei progetti educativi congiunti. 300 Obiettivo dei Libri verdi comunitari è quello di lanciare un processo di consultazione a livello europeo su specifici argomenti. Alla pubblicazione del Libro verde segue spesso quella di un Libro bianco in cui le consultazioni effettuate si traducono in concrete proposte d’azione. 301 COMMISSIONE CEE, Futuro delle iniziative comunitarie nel quadro dei Fondi strutturali, COM (93) 282 def, Bruxelles 1993. 302 La Commissione pertanto provvide ad un’ampia diffusione del Libro verde e stabilì il 30 settembre 1993 come data ultima per l’inoltro di osservazioni e proposte. Figura n. 43 - Articolazione di SOCRATES 5.2. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali del 1993 La Commissione in data 16 giugno 1993 ha approvato un Libro verde300 sul “futuro delle iniziative comunitarie nell’ambito dei Fondi strutturali”301. Il documento, proposto come oggetto di dibattito (Stati membri, Parlamento, Comitato economico e sociale, Regioni ed Enti locali) 302 non presenta proposte formali ma, come abitualmente fa un documento di questa natura, suggerisce un quadro per il futuro, basato sull’esperienza positiva maturata; esperienza positiva sotto più versanti: innanzitutto, le iniziative comunitarie possono includere azioni la cui portata va al di là dei confini nazionali, offrendo una piattaforma per incoraggiare la cooperazione transnazionale e lo sfruttamento congiunto delle conoscenze disponibili in settori che hanno problemi comuni; in secondo luogo esse costituiscono un elemento fondamentale delle politiche strutturali aventi una vera e propria dimensione comunitaria rispetto agli strumenti finanziari della Comunità che si limitano a sovvenzionare le storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 203 204 politiche nazionali; in terzo luogo, esse sono particolarmente importanti per intervenire con più vigore nei settori e a favore dei lavoratori maggiormente penalizzati dai mutamenti dei sistemi produttivi, che spesso sfuggono ad ogni previsione nella fase programmatoria; infine, le iniziative comunitarie possono contribuire all’innovazione in quanto consentono di sperimentare nuove soluzioni. In caso di successo, queste ultime potranno far parte degli orientamenti di base per il finanziamento dei Quadri Comunitari di Sostegno. Con quest’ultima osservazione il Libro verde configura le iniziative comunitarie come una sorta di laboratorio di innovazioni da trasferire, una volta validate, nell’ambito delle attività che fanno riferimento ai QCS. Sulla base delle reazioni suscitate e dei pareri pervenuti nel giugno 1994 la Commissione ha adottato gli orientamenti definitivi per ciascuna iniziativa, definendo i settori d’intervento, le zone geografiche ammissibili, la ripartizione degli stanziamenti per programmi e Stati membri303. In particolare sono state individuate 7 tematiche di interventi (cooperazione e reti transfrontaliere, transnazionali e interregionali; sviluppo rurale; regioni ultraperiferiche; occupazione e sviluppo delle risorse umane; gestione delle trasformazioni industriali; politica urbana; pesca) da realizzare attraverso 13 iniziative, alcune completamente nuove, altre, invece, un prolungamento, uno sviluppo o un completamento di azioni già avviate (cfr. Prosp. n. 23). 303 COMMISSIONE CEE, Futuro delle iniziative comunitarie nel quadro dei Fondi strutturali, COM (94) 46 def, Bruxelles 1994. 304 Da assegnare nel corso del periodo finanziario 1994-1999. Prospetto n. 23 - Iniziative comunitarie rientranti nella Programmazione dei Fondi Strutturali 1994-1999 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 204 205 5.3. OCCUPAZIONE e sviluppo delle risorse umane In tale contesto è stata varata un’iniziativa per l’occupazione e lo sviluppo delle risorse umane, articolata in tre gruppi di interventi (“volet”). Il primo gruppo è la continuazione dell’iniziativa NOW, che promuove l’occupazione femminile. Il secondo riprende l’iniziativa HORIZON, rivolta ai problemi dei disabili e delle categorie sociali più deboli (per cui si distingue in due settori: HORIZON-handicap e HORIZON-svantaggio) mentre il terzo gruppo di interventi, inteso a prevenire la disoccupazione dei giovani al di sotto dei 20 anni, è costituito dal programma YOUTHSTART, proposto dalla Commissione nel Libro bianco305 sulla crescita, la competitività e l’occupazione. Il 6 gennaio del 1995 viene approvato il Programma Operativo a favore dell’Italia, con una dotazione finanziaria totale pari a circa 348,7 MECU306, a favore di un numero di destinatari pari a circa 123.000, distribuiti per “volet” come da Tabella 20. Con i finanziamenti privati e nazionali l’importo totale di OCCUPAZIONE ammonta a 589,1 MECU. Questa dotazione iniziale verrà successivamente aumentata. Nel 1996 è stata fatta una riorganizzazione di HORIZON: i due settori diventano due programmi: HORIZON-handicap prende il nome semplicemente di HORIZON e HORIZON-svantaggio prende il nome di INTEGRA. Distinti i “volet”, ma identici i principi operativi e le misure, cinque sono i principi su cui si basa OCCUPAZIONE (cfr. Fig. n. 44): 305 A differenza dei Libri verdi (cfr. nota 2) i Libri bianchi sono documenti che contengono proposte per azioni comunitarie in campi specifici. Quando un Libro bianco è accolto favorevolmente dal Consiglio potrebbe sfociare in un programma d’azione dell’Unione nel settore di cui trattasi. 306 Per la distribuzione tra i Paesi comunitari sono stati adottate tre criteri per NOW, HORIZON e YOUTHSTART: la popolazione femminile totale in età da lavoro, la popolazione totale e il livello d’occupazione giovanile, per ADAPT, invece, il numero totale di dipendenti, dal quale va sottratto il numero di dipendenti dell’amministrazione pubblica, nonché il livello di disoccupazione misurato rispetto alla media comunitaria. Gli stanziamenti per OCCUPAZIONE e ADAPT sono stati adattati verso l’alto nei quattro paesi beneficiari del Fondo di coesione (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda), in modo da tener conto della loro densità di popolazione sensibilmente meno elevata. Tabella n. 20 - Iniziativa OCCUPAZIONE: risorse finanziarie (MECU) e persone coinvolte storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 205 206 1. transnazionalità: i progetti devono essere associati con progetti dell’iniziativa OCCUPAZIONE in altri Stati membri incentrati su priorità simili o complementari; 2. innovazione: nel contesto delle prassi e delle priorità nazionali e regionali, si prevede la sperimentazione di nuove idee o nuovi metodi, o di nuove combinazioni di idee, di metodi e di collaborazioni già in atto; 3. partecipazione locale: i progetti dovranno coinvolgere un vasto numero di individui ed organizzazioni locali, pubbliche e private, in modo che questa combinazione di conoscenze e di esperienze possa dar luogo allo sviluppo di servizi appropriati di orientamento, formazione o offerte di lavoro; 4. effetto moltiplicatore: le esperienze maturate durante il programma dovranno essere verificate, valutate e ampiamente disseminate all’interno di reti di esperti e di professionisti e nei riguardi di un più vasto pubblico; 5. complementarietà con programmi ed iniziative correlate dell’UE. In altri termini gli obiettivi specifici di OCCUPAZIONE costituiscono un’estensione e sono complementari alla gamma di azioni previste dai Quadri Comunitari di Sostegno. Esistono, inoltre, quattro misure nell’ambito di OCCUPAZIONE, ognuna delle quali persegue gli obiettivi dell’Iniziativa in modo diverso, relative ai sistemi, alla formazione, all’occupazione, alla informazione. Il Programma operativo comprende tre sottoprogrammi: – interventi nelle zone dell’Obiettivo 1; – interventi nelle zone fuori dell’Obiettivo 1; – assistenza tecnica. I compiti dell’assistenza tecnica si distribuiscono secondo due grandi funzioni: assistenza ai promotori dei progetti e alla dimensione transnazionale del programma e assistenza alla dimensione nazionale. Queste funzioni realizzate nei singoli Stati Figura n. 44 - Iniziativa OCCUPAZIONE: i cinque principi storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 206 207 membri da Strutture Nazionali di Sostegno (SNS); nel nostro Paese questo ruolo è stato svolto dall’Isfol307. La Commissione Europea ha inoltre creato un ufficio di assistenza tecnica a livello europeo, chiamato EUROPS. 307 L’attività di assistenza tecnica si caratterizza per l’esperienza dell’animazione. L’attività di animazione dei progetti, così come definita nell’ambito della programmazione della struttura nazionale di supporto, si dispiega su vari livelli: a) l’animazione al progetto, intesa come supporto informativo e tecnico ai promotori e di collegamento tra questi e il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale; b) l’animazione territoriale, tesa a mettere in relazione progetti che insistono su un medesimo territorio, agevolare sinergie tra promotori, Enti pubblici ed imprese in relazione con i piani di sviluppo locale, identificare eventuali risultati e prodotti da condividere; c) l’animazione tematica, volta all’aggregazione degli interventi sulla base di aree di lavoro comuni individuate e sulla base del contenuto degli interventi, dell’impatto sulle politiche del settore a livello locale e nazionale, delle connessioni tra le attività realizzate e le relative politiche comunitarie. 308 I dati riportati nel Rapporto Isfol degli anni 1995-1997 sono divergenti. OCCUPAZIONE prevede due fasi: 1995-97 e 1997-99, con due serie di avvisi pubblici. Gli Stati membri selezionano ed approvano le candidature ricevute a seguito di un bando per la presentazione dei progetti. Gli Stati membri operano nell’ambito di una struttura comune di criteri di selezione; possono tuttavia avere anche specifici criteri di selezione nazionali che rispettino le loro priorità. Per essere ammissibile al finanziamento, un progetto deve poter dimostrare di essere innovativo, di avere un programma di lavoro transnazionale e deve avere uno, o preferibilmente due, partner transnazionali. Nella prima fase l’Italia ha presentato complessivamente 1.131 progetti, nella seconda 2.738308 (cfr. Tab. n. 21). Per rimanere all’interno dell’arco temporale del volume ci occupiamo solo della prima fase. I progetti avviati nel nostro Paese durante la prima fase sono stati 231 con un budget complessivo impegnato di circa 340 miliardi di lire (comprensivo di risorse comunitarie e italiane). La durata dei progetti è di 2-3 anni e sono stati coinvolti oltre quindicimila soggetti appartenenti come si diceva nel lessico del tempo alle “fasce deboli” del mercato del lavoro. Figura n. 45 - Iniziativa OCCUPAZIONE: misure storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 207 208 Tabella n. 21 - Iniziativa OCCUPAZIONE: progetti presentati e approvati (I e II fase) Fonte: Elaborazione Isfol su dati Consedin Grafico n. 27 - Iniziativa OCCUPAZIONE: Costo medio impegnato per progetto distinto per “volet” (I fase) Prospetto n. 24 - Iniziativa OCCUPAZIONE: Organismi di attuazione storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.24 Pagina 208 209 Il costo medio dei progetti (si tratta di impegni di spesa e non di erogazioni) varia da settore a settore: i progetti HORIZON-svantaggio hanno un costo medio inferiore a quelli degli altri settori (circa un miliardo e trecentomilioni), mentre i progetti più costosi sono quelli appartenenti al settore HORIZON-handicap, che impegnano una media di oltre un miliardo e seicentosettanta milioni di lire (cfr. Graf. n. 27). Costi assolutamente non paragonabili a quelli delle attività formative regionali “ordinarie”. Gli organismi di attuazione sono di diversa estrazione e provenienza e possono essere distinti tra quelli che possono partecipare a tutti i bandi di tutti i “volet” e quelli che possono partecipare a bandi di un solo programma. 5.3.1. HORIZON a) HORIZON-handicap Nel giugno 1996 è stata ultimata la procedura di selezione dei progetti presentati per l’Iniziativa Occupazione HORIZON - prima fase. I progetti HORIZONhandicap che a tale data risultavano ammessi a finanziamento erano 71, di cui 60 regionali e 11 multiregionali (cfr. Tab. n. 22). I progetti regionali risultano equamente distribuiti sul territorio nazionale; si rileva infatti un 52% di progetti approvati nel Centro-Nord ed un 48% di progetti per le Regioni dell’Obiettivo 1. I destinatari finali sono 8.745, mentre i beneficiari intermedi ammontano a 5.289 unità. I Grafici 28 e 29 illustrano la distribuzione per Regione dei 31 progetti regionali del Centro Nord e dei 29 del Meridione. Il 32% circa dei progetti considerati inserisce, fra i propri soggetti, portatori di handicap motori. Si attestano su una percentuale di poco inferiore (circa il 26%) i progetti rivolti ad handicappati psichici e mentali. Molto meno rappresentati risultano, invece, gli altri gruppi bersaglio. Il 93% dei progetti inserisce fra i destinatari del progetto i beneficiari intermedi (formatori, operatori, attori del sistema, responsabili dello sviluppo delle risorse umane, consiglieri d’orientamento, operatori di Centri di Formazione…); solo il 6% dei progetti finanziati è comunque rivolto esclusivamente a questa categoria. Tabella n. 22 - Volet HORIZON-handicap (Ia fase): ripartizione progetti regionali e multiregionale per aree Fonte: Elaborazione Isfol su dati Ministero del Lavoro storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 209 210 Per quanto riguarda il contenuto delle azioni la maggior parte dei progetti del Centro-Nord si concentra sulla formazione e sull’inserimento nel mercato del lavoro. In particolare, nel 74% dei progetti compaiono azioni di formazione e/o di sperimentazione formativa di carattere innovativo309; nel 48%, azioni di inserimento lavorativo, job matching e creazione di impresa310; e nel 25%, invece, anche azioni di in- 309 Cfr. ad esempio i progetti di: Fondazione Don Carlo Gnocchi TIME multiregionale (formazione a distanza ), ASPHI Associazione per lo Sviluppo di Progetti Informatici per gli Handicappati, Emilia Romagna, (job coaching, teleformazione). 310 Cfr. ad esempio i progetti di: Comune di Genova, Employment Link Europe (Liguria) (disabili mentali e motori), Comune di S. Michele di Ganzaria (Sicilia) AIRONE (disabili psichici) Consorzio per l’Impresa Sociale di Trieste (Friuli Venezia Giulia) Progetto Marienthal (disabili psichici), Service COOP Processo di integrazione dei lavoratori nel mercato del lavoro, multiregionale (disabili psichici e motorio). Grafico n. 28 - Volet HORIZON-handicap (Ia fase) distribuzione progetti per Regioni Centro/Nord Grafico n. 29 - Volet HORIZON-handicap (Ia fase) distribuzione progetti per Regioni Ob.1 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 210 211 formazione e networking specificamente delineate311. Una menzione merita la rilevante presenza di azioni finalizzate all’attivazione di servizi locali di informazione ed orientamento al lavoro per categorie disabili, che nel Centro-Nord interessa il 45% dei casi. Nel Mezzogiorno, la tendenza da parte dei promotori a concentrare l’attenzione sull’intervento formativo e l’inserimento lavorativo viene confermata dal fatto che il 72% degli interventi è mirato alla formazione ed il 62% dei progetti finanziati è rivolto all’inserimento lavorativo. Sono presenti in misura contenuta le ipotesi di creazione di servizi stabili di orientamento lavorativo sul territorio312; solamente il 27% circa delle proposte contiene infatti una tale ipotesi. Circa il 34% dei progetti finanziati nelle Regioni dell’Obiettivo 1 prevede la creazione di impresa313; tale percentuale sale di poco (38%) nel caso di progetti finanziati nel Centro-Nord. La presenza di un grande numero di progetti, circa 1/3 del totale fra Centro-Nord e Mezzogiorno, che intendono perseguire l’integrazione economica degli handicappati per mezzo della creazione di impresa, indica nella costituzione di cooperative314 una strategia privilegiata per raggiunger l’obiettivo dell’inserimento lavorativo. Questo orientamento può esser compreso, nel contesto della lunga tradizione della cooperazione italiana che negli ultimi decenni si era consolidata anche in campo sociale315. b) HORIZON-svantaggio I progetti selezionati, 36 regionali e 6 multiregionali (cfr. Tab. n. 23) nella prima fase dell’iniziativa (bando 1995) hanno iniziato la loro attività solo nel 1996316 e l’hanno conclusa nel 1998. I progetti Horizon Svantaggio operano su due livelli di utenza: i gruppi-bersaglio (3.577 unità)317 e le figure di operatori ad essi collegati (1.108)318. 311 Cfr. ad esempio i progetti di: IRECOOP Veneto, Arcobaleno (costituzione di un centro servizi per le cooperative sociali). 312 Cfr. ad esempio i progetti di Comunità di Capodarco Nazionale, multiregionale (due strutture territoriali informativi orientativi e di programmazione di percorsi d’inserimento lavorativo dei disabili). 313 Cfr. ad esempio i progetti di Comunità di Capodarco Nazionale, multiregionale (avvio e supporto di un’impresa sociale). 314 Cfr. ad esempio i progetti di: Service COOP Processo di integrazione dei lavoratori nel mercato del lavoro, multi regionale. 315 I progetti menzionati nelle note 110-115 sono descritti in ISFOL (a cura di TURRINI O., PEPE D., RUGGERI V., CHECCUCCI P.), La valorizzazione dei progetti di qualità I FASE - Rapporto di monitoraggio dell’Iniziativa Occupazione Roma, 1999. 316 Questo avvio ritardato è dovuto al processo di riformulazione dei progetti approvati; riformulazione che ha comportato un notevole ridimensionamento dei progetti multiregionali, una forte riduzione delle ore di formazione, una leggera riduzione del numero dei beneficiari finali e una forte variazione dei partenariati internazionali. 317 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997, Angeli, Milano 1997, p. 499. Il dato sulle unità è diverso da quello riportato in ISFOL, La valorizzazione dei progetti di qualità, op. cit. che è di 3.988. La differenza probabilmente è dovuta ai tempi diversi di elaborazione: i dati del Rapporto sono del 1977, mentre quelli del saggio menzionato sono aggiornati a “febbraio 1999”. Ciò che risulta di difficile comprensione invece sono le differenze nella composizione del target, per cui nel Rapporto gli immigrati (439) rappresentano il 27,5% mentre nel saggio (2507) costituiscono il 62,9% dell’utenza complessiva di HORIZON-svantaggio. 318 Analoghe considerazioni a quelle della nota precedente vanno fatte anche per il numero degli storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 211 212 Per quanto riguarda il primo livello, la maggior parte dei progetti (cfr. Graf. n. 30) è indirizzata agli immigrati (439), cui seguono gli ex-tossicodipendenti (321) i detenuti ed ex-detenuti (308). Gli andamenti italiani non sono dissimili da quelli europei. Nelle graduatorie dei gruppi-bersaglio relative a tutti i Paesi dell’UE troviamo ai primi tre posti le categorie che occupano le stesse posizioni nelle classifiche italiane, anche se con valori diversi (ma con una forbice contenuta). Il 32% dei progetti (in Italia il 27,5%) si rivolge a immigrati considerati in tutta Europa il target più vulnerabile e quello maggiormente a rischio di esclusione, in conseguenza soprattutto di barriere di tipi culturale e linguistico, che generano razzismo, discriminazione e xenofobia. Importanti anche la seconda e terza posizione, rispettivamente dei tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti e dei detenuti ed ex detenuti, per i quali l’Inioperatori. Le differenze tra le due fonti sono notevoli: il Rapporto conta 1.108 operatori (di cui 286 formatori pari al 26%), il saggio 4.608 (di cui 2.805 formatori pari 60,9%). Tabella n. 23 - Volet HORIZON-svantaggio (Ia fase) ripartizione progetti regionali e multiregionali per aree Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys ed Europs Grafico n. 30 - Volet HORIZON-svantaggio (Ia fase) gruppi-bersaglio destinatari di progetti in Italia e nella UE (valori %) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 212 213 319 Vedi ISFOL, Rapporto Isfol 1997, Angeli, Milano, 1997 p. 501. 320 Cfr. ad esempio i progetti di AGEFORM (Emilia Romagna) Euro T.R.A.M.P. per persone sieropostive, che prevede azioni di ricerca, formazione, progettazione e implementazione banca dati e rete telematica regionale, produzione di CD-rom e ipertesto, di sensibilizzazione e diffusione dei risultati; Arcisolidarietà (Lazio) Andrea per il reinserimento di persone detenute ed ex detenute che prevede attività di orientamento, di formazione, di accompagnamento, in azienda, di addestramento per la costituzione e gestione di una impresa sociale. 321 Cfr. ad esempio i progetti di: CRESM (Sicilia) Dentro e fuori dal carcere per il reinserimento di detenuti che vede il coinvolgimento in organismi periferici dell’Amministrazione penitenziari, il Tribunale di sorveglianza, l’amministrazione comunale e provinciale; IS.FOR.COOP (Liguria) per migliorare la competitività delle cooperative sociali di svantaggiati e disabili che ha attivato la Federazione regionale solidarietà e lavoro, Consorzio progetto Liguria e lavoro, Consorzio delle cooperative liguri. ziativa rappresenta un’opportunità per l’inclusione lavorativa non solo per motivi economici ma anche per un riscatto sociale. Il secondo livello di utenza comprende quelle figure che operano a favore delle categorie più a rischio di esclusione sociale e dal mercato del lavoro. Tra questi i progetti selezionati in Italia privilegiano soprattutto i formatori (286) e gli operatori sociali (196), mentre attenzione minore è rivolta alle agenzie formative primarie, come quelle scolastiche (57 insegnanti, cfr. Graf. n. 31). I progetti hanno per la maggior parte come attività prevalente la formazione e nel Sud dell’Italia spesso il progetto si realizza con i paradigmi “scolastici” della Formazione Professionale regionale319. L’esigenza di approcci integrati320, di interventi a rete coinvolgenti le realtà di sviluppo locale appare comunque condivisa dalla maggior parte dei promotori321. Le modalità di realizzazione della dimensione transnazionale sono state quelle più tradizionali: scambio di visita tra beneficiari intermedi (operatori) e tra utenti finali. Grafico n. 31 - Volet HORIZON - svantaggio (Ia fase) operatori destinatari dei progetti in Italia storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 213 214 5.3.2. NOW Nel 1995 risultano complessivamente presentati 553 progetti tra regionali e multiregionali, dei quali sono stati approvati 67: 55 progetti regionali e 12 progetti multi regionali (cfr. Tab. n. 24). La maggior parte dei progetti approvati risultano presentati nelle Regioni meridionali ed in particolare Sicilia, Puglia, Campania e Calabria; fra le Regioni Centro-Nord risulta un maggiore coinvolgimento dell’Emilia Romagna e del Piemonte. Rispetto agli assi di attività (sistemi, formazione, occupazione, informazioni)322 i progetti NOW, sia quelli presentati che quelli approvati, nella maggior parte dei casi hanno previsto un’azione integrata che coinvolga tutti e quattro gli assi (34%); nel 50% dei casi, infatti, le attività progettuali prevedono interventi di Formazione Professionale e di supporto all’avvio d’impresa. In minoranza sono i progetti che riguardano un solo asse. Il settore economico prevalente risulta essere il terziario, soprattutto per le Regioni meridionali. Le aree maggiormente interessate sono: turistica alberghiera, ristorazione, promozionale e pubblicitaria, distribuzione commerciale, informatica e telematica, istruzione e formazione. Le beneficiarie finali, 31.299 donne, hanno un’età media compresa prevalentemente tra i 18 ed i 40 anni. Sono prevalentemente in possesso di Diploma di scuola media superiore oppure di Laurea e sono soprattutto disoccupate (51,6%), occupate (11%), rientranti al lavoro dopo periodi di lunga assenza (14,8%) (cfr. Graf. n. 32). Se si incrocia il dato relativo alle “destinatarie finali” con quello relativo alla “distribuzione territoriale” per macrocircoscrizioni si scopre che la categoria “donne disoccupate” (media nazionale 51,6%) è più rappre- 322 Il PO così declina per il “volet” NOW: Asse A, Sistemi: riguarda lo sviluppo della cooperazione e delle reti fra Enti pubblici della formazione e dell’occupazione; Asse B, Formazione: riguarda la messa a punto, in un approccio integrato, di misure personalizzate e flessibili di formazione e di altre misure concomitanti in materia d’informazione, orientamento, consulenza, formazione nelle imprese e sostegno sul luogo di lavoro; Asse C, Occupazione: riguarda la creazione di posti di lavoro e di sostegno, in particolare tramite la cooperazione transnazionale, all’avvio di piccole imprese e cooperative femminili; Asse D, Informazione: riguarda le azioni di diffusione delle informazioni e di sensibilizzazione in particolare tramite la cooperazione transnazionale. Tabella n. 24 - Volet NOW (Ia fase) progetti regionali ripartiti per aree e multiregionali Fonte: Elaborazione Isfol su dati del Ministero del Lavoro storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 214 215 sentata al Meridione (62,2%), le tipologie di “donne occupate” e “immigrate” (media nazionale rispettivamente di 11% e 1,6%) sono più presenti nel Nord-Est (con il 16,7% per le prime e 3,7% per le seconde) mentre la classe “rientranti nel mercato del lavoro” (media nazionale 14,8%) ha una maggiore rilevanza nel Centro (22,2%)323. I profili professionali in uscita riguardano prevalentemente: le neo-imprenditrici, le operatrici di servizi nel terziario e i tecnici di gestione. Nel 30% dei casi viene rilasciata anche la qualifica professionale. Per quanto riguarda i destinatari intermedi si registra questa gradatio (per i valori assoluti e relativi vedi Graf. n. 33): al primo posto i formatori, seguiti con una forbice di 24 punti percentuali da operatori sindacali. In terza posizione gli operatori di organizzazioni datoriali, seguiti con valori identici o molto vicini da responsabili di risorse umane, operatori di orientamento e operatori sociali. Chiudono questa classifica gli operatori di servizi per l’occupazione appaiati agli operatori dei Centri di formazione e, ultimi (con un distacco dai formatori di 24,3 punti percentuali), gli insegnanti. La maggior parte delle partnership relative ai progetti NOW sono state attivate con la Spagna, la Francia, la Germania e la Grecia. In linea con gli altri volet del programma OCCUPAZIONE le innovazioni NOW riguardano la progettazione formativa supportata da ricerche e analisi sui fabbisogni324, l’uso delle metodologie non-tradizionali nei processi formativi325, ma so- 323 ISFOL (a cura di TURRINI O., PEPE D., RUGGERI V., CHECCUCCI P.) La valorizzazione dei progetti di qualità op. cit., p. 90. 324 Cfr. ad esempio i progetti di: IFOLD (Sardegna) Anfitrite, COSPE (multiregionale) Impresa- Hirundo, CEIS (Sicilia) Le donne fanno impresa in Europa. 325 Cfr. ad esempio i progetti di: ISTUD (Lombardia) Wemp che ha sperimentato tecnologie telematiche per lo sviluppo di distance learning e distance consulting nei processi di creazione d’impresa, Unione Industriale del Fermano (Marche) che ha predisposto software di autoistruzione e ha utilizzato formazione a distanza. Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys Grafico. n. 32 - Volet NOW (Ia fase) destinatari finali (valori assoluti e %) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 215 216 prattutto l’integrazione tra percorsi formativi e percorsi per l’entrata nella vita attiva326, le interazioni tra soggetti, istituzionali e funzionali, operanti nel territorio327 e la creazione di strutture stabili di informazione assistenza e consulenza328. 5.3.3. YOUTHSTART Se il problema della disoccupazione negli Anni ’90 continuava ad essere uno dei maggiori problemi negli Stati membri dell’Unione Europea, che faceva registrare un tasso medio dell’11,1%329, quello della disoccupazione giovanile, con un tasso del 20% circa, rappresentava un problema nel problema330. Tra i giovani più 326 Cfr. ad esempio i progetti di: COSPE (multiregionale) Impresa-Hirund, ISTUD (Lombardia) Wemp, IFOLD (Sardegna) Anfitrite che articolano le loro attività in: ricerca, formazione in presenza e in alternanza, assistenza allo start-up d’impresa. 327 Cfr. ad esempio i progetti di: ISTUD (Lombardia) Wemp che ha coinvolto l’Assolombarda, la Regione, le istituzioni femminili, le consigliere di parità, le Camere di Commercio, Istituti bancari, Comune di Bologna Incubator and business growth network sorretto da CNA, Lega delle Cooperative, Cassa di Risparmio di Bologna. 328 Cfr. ad esempio i progetti di: Arcidonna (Sicilia) Eurodonna in progress, CEIS (Sicilia) Le donne fanno impresa in Europa, che prevede uno sportello per la consulenza a donne che intendono diventare imprenditrici, ISTUD (Lombardia) Wemp che prevede la creazione di un Centro servizi nelle imprese per le donne, per realizzare ricerca, formazione, consulenza e servizi per la valorizzazione del potenziale femminile e per la gestione della diversità nelle organizzazioni; Comune di Bologna Incubator and business growth network finalizzato alla costruzione di un incubatore d’impresa femminile. 329 Molto più alto di quello dei maggiori partner commerciali: infatti era il doppio rispetto a quello dell’America e il quadruplo rispetto a quello del Giappone. 330 Nel 1996 il Forum Europeo della Gioventù (European Youth Forum il cui obiettivo è quello di migliorare le condizioni di vita dei giovani in Europa e di dar loro la possibilità di partecipare attivamente nella costruzione dell’Europa e della società) ha lanciato una campagna europea della durata di Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys Grafico n. 33 - Volet NOW (Ia fase) destinatari intermedi (valori assoluti e %) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 216 217 esposti a rischio di disoccupazione erano quelli che abbandonavano gli studi senza qualifiche formalmente riconosciute o senza essere riusciti a completare il percorso per il riconoscimento. Il loro tasso di disoccupazione era infatti quattro volte superiore ai coetanei con qualifica. In questo contesto e sull’onda delle proposte e sollecitazioni dei diversi Consigli europei331 nasce e si sviluppa una nuova iniziativa comunitaria, YOUTHSTART dedicata ai giovani che si trovano nella fase che va dalla prima alla tarda adolescenza, ossia quella dai 14 ai 19 anni. Il target di YOUTHSTART nei confronti di questo universo, ampio e composito, è rappresentato dalle categorie che più di altre avevano un accesso problematico al mercato del lavoro, quelle gravate da una situazione di svantaggio sociale e cioè giovani immigrati, nomadi, minoranze etniche, religiose e linguistiche nonché giovani appartenenti a famiglie monoparentali, ex-tossicodipendenti, ex-detenuti, minori a rischio, senzatetto (cfr. Fig. n. 46). un anno contro la disoccupazione giovanile, denominata “Chiediamo un futuro”, per sottolineare il fatto che 12 milioni di giovani devono avere la possibilità di ottenere un impiego duraturo e soddisfacente. La campagna è culminata nella Giornata internazionale di azione contro la disoccupazione svoltasi durante la presidenza irlandese. Il Forum ha chiesto alla classe politica di “adottare, durante la conferenza intergovernativa, provvedimenti concreti per combattere la crisi della disoccupazione giovanile”. 331 I Consigli europei che si sono succeduti negli ultimi anni avevano progressivamente perfezionato e finalizzato la lotta contro la disoccupazione nell’Unione e, in particolare, contro le difficoltà dei gruppi maggiormente a rischio: i disoccupati di lungo periodo, le donne e i giovani. L’idea centrale di YOUTHSTART, che cioè gli Stati membri e l’Unione devono concentrare i loro sforzi per meglio soddisfare le esigenze dei giovani alle prese con la disoccupazione, era stata definita per la prima volta nel Libro bianco della Commissione “Crescita, Competitività, Occupazione” (1993). Essa era poi stata inglobata in un Piano d’Azione per l’Occupazione, che chiedeva lo sviluppo dei Sistemi di Istruzione e Formazione degli Stati membri, unitamente ad un miglioramento significativo del mercato del lavoro. Il Piano proponeva misure specifiche per i giovani che abbandonano gli studi senza una formazione adeguata. Il Consiglio Europeo di Essen nel 1994 ha sottolineato l’importanza di dedicare maggiore attenzione ai bisogni specifici dei giovani, migliorando l’accesso alla Formazione Professionale e producendo sforzi particolari per chi abbandona la scuola con scarse qualifiche. Il Consiglio ha individuato cinque settori chiave nei quali agire: a) qualificare gli investimenti nel settore della Formazione Professionale; b) aumentare il coefficiente occupazionale del lavoro, soprattutto mediante azioni a livello locale; c) ridurre i costi non salariali del lavoro; d) migliorare l’efficacia delle politiche passando da provvedimenti passivi a provvedimenti attivi riguardanti il mercato del lavoro; e) rafforzare le misure in favore dei gruppi maggiormente colpiti dalla disoccupazione. Alla fine del 1995 il Consiglio di Madrid ha deciso di adottare una serie di proposte specifiche a favore di chi è più colpito dalla disoccupazione e, riguardo ai giovani, ha proposto che “gli Stati membri, le classi dirigenti e il mondo del lavoro garantiscano adeguate vie di accesso per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. A tutti i giovani dovrebbe essere offerto un livello di istruzione, di formazione e di esperienza lavorativa che li renda idonei al mercato del lavoro”. Nel giugno del 1996 il Consiglio di Firenze ha richiesto: a) un’iniziativa congiunta da parte dei partner sociali per l’integrazione dei giovani, compresa una migliore combinazione fra l’avvio della vita lavorativa e forme innovative di organizzazione del tempo di lavoro (quali le temporanee sospensioni dell’attività professionale, il pensionamento graduale, l’orientamento professionale); b) uno sviluppo più efficace degli strumenti basati sui programmi, in particolare YOUTHSTART e LEONARDO. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 217 218 L’iniziativa, inoltre, considerava meritevole di attenzione particolare la situazione di svantaggio che derivava ai giovani dalla loro appartenenza ad alcuni territori. Tali erano considerati le zone urbane a rischio, le zone rurali spopolate e le regioni in declino industriale. Nel corso della prima fase, è stato privilegiato un approccio indiretto; cioè sono state attivate azioni destinate prevalentemente ai formatori, agli operatori dell’orientamento, agli assistenti sociali e a tutte le categorie di operatori a contatto con il mondo giovanile. All’avviso pubblico del 1995 erano stati presentati 207 progetti di cui 169 regionali e 38 multiregionali. Ne furono approvati solo il 25%, pari a 54 progetti, di cui 8 multiregionali (cfr. Tab. n. 25). I 25 progetti delle Regioni meridionali hanno avuto a disposizione 41 miliardi e 624 milioni (di cui solo la Sicilia 11 miliardi e mezzo) rispetto ai 23 miliardi e 91 milioni dei progetti del Centro-Nord. Ai multiregionali sono stati riservati 16 miliardi e 227 milioni. I giovani destinatari finali sono stati 13.979. Di questi, per quanto riguarda la prima priorità (categorie), il gruppo più numeroso è rappresentato dai giovani a bassa scolarità (16,9%), tutti gli altri gruppi presentano valori molto bassi che in termini relativi non superano l’1%. Per quanto riguarda, invece, la priorità “zone” i più rappresentati sono i 2.072 giovani che abitano in aree urbane svantaggiate (14,8%), che precedono i coetanei delle aree industriali in declino (4,9%) e delle zone rurali spopolate (2,7%). Il problema del reclutamento dei giovani svantaggiati, non intercettabili con i canali tradizionali, è stato superato facendo ricorso a modalità inusuali, quali i contatti con leader informali, la realizzazione di assemblee cittadine, incontri con sin- Figura n. 46 - Volet YOUTHSTART: Priorità Tabella n. 25 - YOUTHSTART (Ia fase) progetti regionali ripartiti per aree e multiregionali Fonte: Elaborazione Isfol su dati Ministero del Lavoro storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 218 219 daci. Una modalità, laboriosa ma efficace, è stata quella del contatto diretto dei giovani drop-out identificati attraverso elenchi di nominativi forniti dalle scuole. I destinatari intermedi sono stati 2.234, il 63% appartenenti al mondo dell’Istruzione e della Formazione (35% formatori, 17% operatori dei Centri di formazione e 11% insegnanti), il 7% al mondo del lavoro (operatori datoriali e sindacali 3% ciascuno e responsabili risorse umane 1%) e il 21% all’area dei servizi (sociali 10%, orientativi 8%, per l’impiego 3%). Interessante l’esame delle tipologie dei soggetti impegnati nella realizzazione dei progetti (titolari, attuatori e partner locali). La maggior parte dei progetti sono gestiti (titolari) o realizzati (attuatori) da Enti privati (circa 1’88% contro il 12% di Enti pubblici), nella maggioranza dei casi associazioni senza fini di lucro. La presenza degli Enti pubblici appare invece molto più consistente (121 a fronte di 128 appartenenti al settore privato), se si considera la tipologia ed il numero dei partner locali dei progetti, mediante i quali si attua l’approccio bottom-up. Forte è tra i partner locali l’incidenza dei soggetti appartenenti agli Enti locali (53), alle associazioni di categoria e alle parti sociali (65). Significativa, ma probabilmente inferiore alle aspettative, è la partecipazione del mondo scolastico e universitario, rappresentato da 35 partner locali (di cui 10 Università). È poi da segnalare la partecipazione del mondo imprenditoriale (27 imprese), pari a quella del cosiddetto privato sociale (26 soggetti). Tuttavia l’elevato numero di partner locali sostenitori dei progetti non si traduce sempre in una partecipazione significativa alle attività progettuali332. Fonte: Elaborazione Isfol su dati R.T.I. Consedin-Finsiel-Unisys Grafico n. 34 - Volet YOUTHSTART (Ia fase) destinatari finali 332 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997 op. cit., p. 510. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 219 220 Per quanto riguarda la transnazionalità i progetti hanno avviato 140 partenariati, prevalentemente (82) con Paesi del bacino mediterraneo: 35 Spagna, 29 Francia, 18 Grecia. Se dovessimo puntare sull’aspetto innovativo più importante di YOUTHSTART possiamo senz’altro individuarlo nella sperimentazione e nella validazione di un percorso formativo che si muove, salvo variazioni anche significative, su questo paradigma: orientamento, formazione di base, formazione alla professione ed inserimento lavorativo333. Va segnalato, però, che questo modello era già stato adottato in alcuni Enti di Formazione Professionale. Il valore aggiunto di YOUTHSTART sta nella validazione del modello e nel processo successivo di mainstreaming. 5.3.4. Analisi e valutazione di OCCUPAZIONE Una lettura “tipologica” dei progetti OCCUPAZIONE ci suggerisce una distinzione in due grandi gruppi, trasversali ai “volet” e ai target: – progetti mirati a favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro dipendente; – progetti finalizzati alla creazione di nuovo lavoro. Da un lato ci sono quindi i progetti che, particolarmente nelle aree dove il tessuto economico e sociale è in grado di offrire delle prospettive occupazionali, mirano ad elaborare, sperimentare, affinare strumenti di avvicinamento tra il mercato ed i soggetti in cerca di occupazione. In particolare si punta sul supporto individuale nella transizione verso il mercato del lavoro dipendente mediante l’accompagnamento all’inserimento lavorativo. Esso punta a minimizzare quelle diversità responsabili di dinamiche di esclusione ed autoesclusione in ambienti lavorativi già strutturati. Strategia vincente solo a condizione che si attivino interventi per il mutamento dell’ambiente sociale (modificando stereotipi negativi su target specifici come, ad esempio, quello dei detenuti) e lavorativo in senso logistico (predisposizione delle postazioni e del contesto organizzativo all’accoglienza dello svantaggiato come, ad esempio, nel caso di un invalido)334. Dall’altro lato si muovono gli interventi mirati all’inserimento professionale dei target group dell’Iniziativa attraverso lo sviluppo dell’imprenditorialità. Il modello trova il suo spazio in contesti socio-economici nei quali la creazione di lavoro risulta una strada più facilmente percorribile rispetto alla competizione con gli altri gruppi 333 Cfr. ad esempio i progetti di: Cooperativa animazione Valdocco (Piemonte) Proteo che si articola in formazione degli operatori, orientamento, livellamento, formazione in alternanza, creazione di cooperativa, Tecnova (Molise) Youthstart multimedia che prevede le fasi di pre-orientamento, formazione teorico-pratica, primo inserimento in attività lavorativa, orientamento ex-post, strat-up d’impresa; MCG (Sicilia) Une Europe des jeunes en mouvement vers l’emploi strutturato nei momenti di formazione alla professionalità (4 figure) anche in alternanza, cosituzione di una impresa, orientamento per la definizione di percorsi individuali di accesso al mercato del lavoro per quanti non interessati alla imprenditorialità. 334 La strategia specifica del modello si muove prevalentemente sulle azioni di accompagnamento in azienda da parte di un tutor, job-coatcher in qualità di facilitatori del processo di transizione. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 220 221 di lavoratori nell’ambito dell’incontro domanda/offerta335. In questo gruppo rientrano anche i progetti finalizzati alla promozione e al rafforzamento dell’impresa sociale, che si muovono nella logica di rafforzare, in termini di servizi, le imprese sociali esistenti e promuovere la germinazione di nuove imprese. L’interesse per l’impresa sociale non è casuale nell’ambito dell’Iniziativa: essa infatti costituisce, per particolari target, il principale canale di accesso al lavoro336. L’uno e l’altro percorso spesso prevedono servizi di orientamento in grado di offrire ai gruppi svantaggiati la possibilità di accesso alle informazioni relative ai servizi territoriali, alle normative che possono agevolare l’inserimento per specifici target, alle dinamiche del mercato locale anche in termini di disponibilità di iniziative formative e di attività di stage, ma anche per avere un supporto alle scelte personali337. I progetti OCCUPAZIONE vanno però soprattutto letti nell’ottica della innovazione. Questa era la funzione loro attribuita nell’economia dei sistemi di formazione, del lavoro e dell’inclusione. Che l’obiettivo prioritario dell’Iniziativa fosse proprio la ricerca e la sperimentazione di innovazioni capaci di suscitare cambiamenti nelle politiche formative ed occupazionali è dimostrato anche dalla particolare rilevanza delle dotazioni finanziarie dei progetti. I due miliardi stanziati, ad esempio, per un progetto NOW, non servono, come è ovvio, soltanto ad occupare le 30 beneficiarie del progetto. Un costo così alto non sarebbe infatti giustificato da un risultato numericamente così poco rilevante. Il budget stanziato per il progetto dovrà invece permettere l’elaborazione e la sperimentazione di un modello che, per dimostrarsi efficace, dovrà, è vero, occupare le 30 beneficiarie del progetto, ma anche dimostrare di essere sostenibile (apportatore, cioè, di effetti positivi permanenti nel tempo) e riproducibile (applicabile, cioè, in altre situazioni e contesti). Una volta elaborato e sperimentato il prototipo innovativo ed una volta appurata la sua efficacia, sostenibilità e riproducibilità, risulterà necessario realizzare una 335 Dapprima il modello offre al target un bagaglio informativo sul mercato, sulle normative e sui servizi territoriali e inoltre curare la dimensione motivazionale. Segue il momento formativo per acquisire conoscenze ed abilità spendibili sul mercato nei settori tradizionali e nei nuovi bacini di impiego e competenze necessarie per la creazione e gestione della neo-impresa (in forma singola o associata) nonché capacità organizzativa e di autopromozione. Il successivo passaggio verso la creazione di impresa prevede l’assistenza nel momento della transizione verso la libera attività imprenditoriale, che può esplicarsi con interventi di consulenza erogati da parte di operatori appositamente preparati; incubatori di impresa; tutorschip da parte di altre imprese. 336 I servizi in oggetto si riferiscono ad analisi di fattibilità, analisi di mercato, analisi dei fabbisogni di impresa nonché consulenze per la elaborazione di piani di impresa. 337 I servizi di orientamento sperimentati dai progetti si presentano fortemente individualizzati. Questa personalizzazione caratterizza sia i progetti che hanno previsto il servizio di orientamento professionale, per indirizzare il destinatario verso la professione maggiormente vicina al suo curriculum, sia quelli che hanno previsto “servizi di orientamento integrati”, a servizi orientativi più mirati alla “mediazione sociale”, ovvero l’interpretazione del problema e la individuazione delle soluzioni e, in alcuni casi, una azione di bilancio delle competenze. Sovente l’utente riceve un sostegno psicologico nonché un rafforzamento della personalità attraverso un counselling di tipo motivazionale. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 221 222 serie di azioni finalizzate al trasferimento del modello all’interno del sistema di riferimento (sistema formativo, dell’inserimento al lavoro ecc.) per una sua applicazione su vasta scala. Ma in cosa consistono gli aspetti maggiormente innovativi dei progetti OCCUPAZIONE della prima fase? Prima di individuarli occorre affermare con molta chiarezza che le innovazioni di cui parleremo non sono state prodotte nell’ambito di progetti OCCUPAZIONE. Certamente, però, in questa Iniziativa trovano una sintesi, una maturazione, un tasso di utilizzazione e una tematizzazione mai precedentemente riscontrati. Le innovazioni a cui facciamo riferimento, e che presentano un grande livello di trasferibilità nel sistema formativo, riguardano l’integrazione secondo una duplice accezione: l’integrazione delle azioni e degli attori. I progetti si presentano come interventi integrati secondo una duplice accezione del termine, in quanto l’integrazione riguarda le azioni e gli attori. OCCUPAZIONE sviluppa percorsi integrati di azioni complementari finalizzate all’inserimento professionale. Queste azioni sono di diversa natura, riconducibili a 7 macroaree: ricerca, orientamento, formazione, creazione di impresa, inserimento lavorativo, supporto all’inserimento lavorativo e alla creazione di impresa, informazione e diffusione. L’utilizzo di azioni afferenti alla maggioranza delle 7 macroaree appare un elemento costante nei progetti appartenenti a tutti e quattro i settori dell’Iniziativa OCCUPAZIONE. Infatti il 68% dei progetti svolge azioni relative a 6 o 7 delle aree descritte, il 22% dei progetti ne considera da 4 a 5 mentre soltanto il 10% delle proposte progettuali si concentra su meno di 4 aree di attività. Ciò testimonia la crescente consapevolezza da parte degli operatori che l’inserimento socio-lavorativo del soggetto svantaggiato è un processo per il quale è necessario attivare un insieme di misure in grado di rispondere ai diversi aspetti nei quali si manifesta il disagio. In concreto, la soluzione consiste nell’inserire i beneficiari in un percorso che li accompagni dall’accoglienza fino all’inserimento lavorativo proseguendo le azioni di supporto oltre l’inserimento stesso. L’Iniziativa OCCUPAZIONE si configura come il luogo deputato per eccellenza a realizzare questo tipo di percorsi sperimentali, sia per la varietà e tipologie di azioni finanziabili (cfr. Fig. n. 47), sia per il carattere esplicitamente richiesto agli interventi sia, infine, per la rilevante dotazione finanziaria dei progetti. In pratica, nei percorsi integrati, l’elemento formativo, considerato il principale strumento di sviluppo di risorse umane, ma spesso utilizzato come unico mezzo di qualificazione, viene a caratterizzarsi come uno degli elementi del percorso, sia pure di valenza fondamentale. La formazione, cioè, non è più l’unica strategia. Pur rimanendo una risorsa fondamentale viene affiancata, nel percorso verso l’inclusione socio-lavorativa, da altre azioni. Il percorso tipico si articola in queste tappe: – presa in carico del soggetto (pubblicizzazione degli interventi e reclutamento dei beneficiari); – azioni e servizi per favorire la permanenza del soggetto nel percorso e a garantirne storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 222 223 un esito positivo (tutoraggio, supporto psicologico, counselling motivazionale, sensibilizzazione dell’ambiente sociale che ruota attorno ai destinatari); – esame delle competenze del soggetto, del suo potenziale e delle prospettive che il mercato ed il territorio gli offrono (orientamento al mercato, bilancio delle competenze); – qualificazione e preparazione del beneficiario (sviluppo delle competenze tecniche e trasversali); – sperimentazione delle competenze acquisite dal soggetto (formazione in alternanza, stage, inserimento lavorativo in imprese di transizione, incubatori d’impresa); – inserimento lavorativo (come lavoratore dipendente o come lavoratore autonomo o imprenditore); – azioni e servizi per supportare il beneficiario nella fase iniziale dell’inserimento, quella maggiormente a rischio (servizi di consulenza ai singoli soggetti ed alle neo imprese, prosecuzione del tutoraggio individuale o di impresa). L’integrazione delle azioni non rappresenta solo una operazione di tecnica ingegneristica ma anche una operazione culturale. Infatti, se prima il focus, l’attenzione del sistema formativo era sull’intervento, ora si sposta sul soggetto, sulla persona del beneficiario. La prospettiva dell’uniformità lascia il posto a quella della personalizzazione. Non si parte dall’offerta, peraltro standardizzata e preconfezionata, buona per tutte le situazioni ma dai bisogni del singolo inserito in un determinato contesto. Un percorso formativo per ex detenuti può aver avuto esiti didattici positivi: tutti hanno Figura n. 47 - Azione OCCUPAZIONE: tipologie di attività presenti nei progetti storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 223 224 acquisto le competenze professionali obiettivo dell’intervento. Ma se non ci sono servizi che promuovono presso il mondo aziendale una cultura dell’accoglienza degli ex detenuti e se questi non sono “accompagnati” nella prima fase del loro ingresso nel mercato del lavoro, l’intervento formativo probabilmente risulterà fallimentare. E ancora: un progetto può rispondere ad un’analisi del fabbisogno territoriale puntuale e pertinente e usufruire di un programma didattico di tecnologie e di docenti ottimi, ma se non viene destinato alle persone “giuste”, perché è mancato un processo di informazione e di orientamento, è destinato all’insuccesso. Come rischia la “mortalità infantile” una neo azienda o un’impresa in gestazione se non viene sottoposta all’assistenza, alla consulenza e al sostegno di un “incubatore d’impresa” così un allievo con un bagaglio di competenze ancora non ben strutturato ha maggiori chances di successo se lo si fa transitare per un breve periodo in un “laboratorio d’impresa”, ambiente composto da piccole aziende produttive strettamente legate all’Ente di Formazione. All’integrazione delle azioni viene a sommarsi nei progetti OCCUPAZIONE l’interazione degli attori. La costituzione di reti territoriali, caratteristica distintiva dell’Iniziativa (“approccio bottom-up”) ha portato al coinvolgimento di attori chiave nei territori di realizzazione dei progetti. Enti locali, parti sociali, Enti di Formazione, Enti del privato sociale, Imprese, Asl, provveditorati, agenzie per l’impiego, si sono ritrovati a colloquiare anche in aree dove il loro tradizionale scollamento costituiva uno dei principali ostacoli alla inclusione delle fasce deboli. Quanto sperimentato per alcuni target vale per i percorsi d’inserimento lavorativo destinati a tutti. Il grande merito dell’approccio bottom-up di OCCUPAZIONE è stato quello di far prendere consapevolezza che un progetto per l’inserimento lavorativo debba necessariamente coinvolgere più attori. In altri termini, il richiamare attorno ad un progetto soggetti diversi non dà solo un valore aggiuntivo all’iniziativa, non rappresenta solo un approccio più “adeguato”, non è una ottimizzazione di qualcosa che già in sé è completo, ma è un percorso “obbligato” perché la sua complessità esige soluzioni che rinviano a competenze e skills dei diversi soggetti che costituiscono il tessuto sociale e istituzionale del territorio. Dall’analisi delle buone pratiche sperimentate all’interno dei progetti si evince la tendenza alla trasformazione delle agenzie educative e formative in vere e proprie agenzie di servizi per l’informazione, l’orientamento e l’inserimento lavorativo. È l’affermazione del modello agenziale delle strutture formative, tema caro alla pubblicistica del settore e alla legislazione della Formazione Professionale di seconda generazione. Le strutture formative, cioè, non si connotano più solo come luogo e soggetto di percorsi formativi, ma come servizi che precedono e seguono la formazione strictu senso. E d’altra parte la formazione stessa, sempre più, esce dai confini ristretti dell’aula e dalla modalità face to face. Oltre alla prassi (ormai generalizzata) della formazione in alternanza si diffonde, grazie allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione la formazione a distanza. La diversificazione dei prodotti delle agenzie formative esige acquisizione di competenze nuove da parte del personale che in esse opera. Per questo molti progetti hanno puntato alla definizione e alla formazione storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 224 225 delle diverse figure di operatori impegnati nell’erogazione dei nuovi servizi: operatori dell’orientamento, tutors, mediatori culturali. 5.4. ADAPT - Adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e al miglioramento del mercato del lavoro L’iniziativa comunitaria ADAPT nasce con l’intento di sperimentare azioni innovative che introducano in Europa un Sistema di Formazione Professionale Continua338. Finora non erano mancati interventi formativi di aggiornamento, riqualificazione o riorientamento nel mercato dal lavoro. Si trattava però, almeno nel nostro Paese, di azioni estemporanee, occasionali e contingenti. Era mancato un sistema organico, cioè un insieme strutturato e coordinato. Tale iniziativa era fortemente suggerita dalla necessità di rispondere a fabbisogni formativi per far fronte ad una pluralità di fenomeni che negli ultimi anni si erano progressivamente manifestati in maniera più evidente e generalizzata: l’accelerazione delle trasformazioni industriali, l’emergere di una società dell’informazione, l’innovazione dei sistemi di produzione, i cambiamenti tecnologici nei diversi settori339. Un’attenzione particolare viene riservata da ADAPT alle piccole e medie imprese, sia per la loro rilevanza nelle economie nazionali della Comunità sia per la scarsa cultura e per le difficoltà di queste a progettare e gestire processi formativi340. Attenzione più che giustificata anche dalla situazione del nostro Paese. Si consideri infatti, che il censimento generale del 1991 dell’ISTAT341 dimostrava che la struttura produttiva italiana si fondava sulle PMI. Rispetto a quelle di grandi dimensioni che rappresentavano lo 0,1% del totale, le imprese di piccole dimensioni costituivano il 94,1% del totale e quelle medie il 5,8%342. Sono beneficiari dell’iniziativa343: 338 Comunicazione agli Stati membri del 1 luglio 1994 (in G.U.C.E. C 180 dell’1.7.1994). 339 Cfr. Reference IP/95/501 del 24 maggio 1995. Nel lanciare i nuovi programmi operativi di ADAPT il Commissario Flynn ha affermato che le industrie europee si trovano di fronte a nuovi metodi di produzione e di lavoro: “Ad esempio, circa l’80% delle tecnologie produttive attuali saranno obsolete alla fine del secolo, mentre l’80% dei lavoratori che saranno chiamati a gestire le nuove tecnologie sono già entrati nel mondo del lavoro; dobbiamo raccogliere la sfida dei mutamenti tecnologici e i programmi ADAPT forniranno assistenza in questo processo”. 340 Le PMI, infatti, costituiscono a livello comunitario una priorità, per due diverse ragioni: da un lato si era constatato che da circa venti anni esse rappresentavano il vero motore dell’innovazione e dell’occupazione e parallelamente si accentuavano le difficoltà delle grandi imprese ad adattarsi alle procedure lunghe e difficili del cambiamento (proprio in un momento in cui l’ambito di intervento delle imprese si globalizzava a livello mondiale); dall’altro lato tale vitalità delle PMI, come pure la loro flessibilità nell’organizzazione interna, appariva controbilanciata dalla difficoltà di accesso alle fonti di finanziamento per la formazione ed ai vari strumenti finanziari, compresi quelli comunitari e dalla scarsa capacità nella previsione di propri bisogni di competenze nuove e nella gestione dei relativi processi formativi. 341 ISTAT, 7° Censimento generale dell’industria e dei servizi, ISTAT, Roma 1991. 342 La maggior parte di queste erano unilocalizzate e solo il 5,8% svolgeva l’attività in due o più unità. La natura giuridica prevalente riguardava le imprese individuali (71,7%), mentre le società erano il 27,5% e le altre forme giuridiche lo 0,8%. 343 Il processo di definizione del concetto di Formazione Professionale Continua nel tempo si è polarizzato in due filoni che raggruppano i diversi tentativi di chiarificazione. Un primo gruppo tende a storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 225 226 – i lavoratori occupati nelle imprese. La categoria più importante delle persone coinvolte da ADAPT è quella dei lavoratori e delle lavoratrici minacciati di disoccupazione nel quadro delle imprese sottoposte alle trasformazioni industriali; – i lavoratori che hanno appena perduto il loro lavoro a causa di una ristrutturazione dell’impresa o di un settore, per favorire la creazione di posti di lavoro indipendenti; – i lavoratori temporaneamente disoccupati per una situazione di sospensione temporanea del loro contratto in seguito a problemi legati ai mutamenti industriali; – i lavoratori che prestano la loro opera a tempo parziale, in seguito ad una riorganizzazione comprendente una modifica dell’orario di lavoro; i lavoratori potenzialmente occupabili nei nuovi posti di lavoro creati dopo un riorientamento ed una riqualifica professionale. Alle criticità di un target così composito ADAPT risponde con misure articolate in quattro assi (cfr. Fig. n. 48)344. In considerazione dell’importanza che ciascun definire in maniera ampia e a maglie larghe la Formazione Professionale Continua, utilizzando un criterio ad excludendum: Formazione Professionale Continua è tutto ciò che non rientra nella Formazione Professionale Iniziale; un secondo filone tende ad individuare una definizione molto più restrittiva: i beneficiari della Formazione Professionale Continua sono i lavoratori occupati. L’uno e l’altro filone effettuano un’operazione di selezione e riduzione della complessità che questa tematica presenta e che si manifesta nel percorso normativo che il nostro Paese ha realizzato in materia dall’art. 35 della Costituzione (cfr. CEDEFOP, Glossarium della formazione professionale, 1994; ISFOL, La formazione continua in Italia, F. Angeli, Milano 1995; GALLINA V., LICHTNER M. (a cura di), L’educazione in età adulta. Primo rapporto nazionale, F. Angeli, Milano 1994; LION C., Formazione continua in Italia: Nodi critici e prospettive di sviluppo in Professionalità, n. 48, 1998, pp. 13-20). 344 Asse 1 - Azioni di formazione, consulenza e orientamento. Tale asse prevede azioni di ricerca e studio; azioni per lo sviluppo di nuove qualifiche e competenze professionali; azioni di orientamento; azioni di assistenza tecnica e di formazione; nel dettaglio potranno essere finanziate le seguenti misure: a) il sostegno sotto forma di consulenza per gruppi di imprese per assisterle nella identificazione delle conseguenze dei mutamenti industriali, nella definizione ed elaborazione di piani commerciali e delle corrispondenti azioni formative; b) il sostegno allo sviluppo ed alla realizzazione di programmi formativi per nuove qualifiche e competenze migliorando la collaborazione tra organismi formativi, Centri di ricerca, Enti di sviluppo e le imprese; c) lo sviluppo e la diffusione di sistemi di orientamento e consulenza per lavoratori colpiti dalle trasformazioni economiche ed in particolare quelli minacciati di disoccupazione o quelli delle PMI; d) l’assistenza alle PMI per l’elaborazione e l’attuazione di programmi formativi; e) formazione per migliorare le capacità degli imprenditori e dei dirigenti ad adattarsi alle trasformazioni e ad elaborare i relativi piani commerciali. Asse 2 - Anticipazione, promozione dei collegamenti in rete e nuove opportunità di lavoro. All’interno di tale asse, le misure riguardano: a) l’anticipazione delle tendenze del mercato del lavoro e delle esigenze connesse con le trasformazioni dell’ambiente nell’industria e nei servizi, attraverso la creazione e lo sviluppo a livello europeo di reti settoriali e regionali incaricate di analizzare le tendenze dei mercati, dei sistemi di produzione, dell’organizzazione delle imprese, delle relazioni industriali, dell’occupazione e delle necessarie qualifiche; lo sviluppo a livello locale di strutture di sostegno e di servizio offerti alle imprese; b) l’incoraggiamento alla collaborazione ed alla formazione di attività economiche per creare nuove opportunità di lavoro; c) il sostegno alle iniziative locali di sviluppo dell’occupazione. Asse 3 - Adattamento delle strutture e dei sistemi di sostegno: a) la promozione della collaborazione e degli scambi fra imprese e centri di ricerca nel settore del trasferimento delle tecnologie per i mercati locali del lavoro e per i settori economici più colpiti dalle trasformazioni e formazione destistoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 226 227 gruppo di azioni riveste nell’economia generale dell’iniziativa, a ciascun asse è stata assegnata dal programma operativo italiano una quota percentuale delle risorse finanziarie disponibili: 40% al primo, 35% al secondo, 15% al terzo e 10% al quarto. L’Isfol è stato incaricato dal Ministero del Lavoro quale Struttura Nazionale di Supporto (SNS). L’iniziativa prevede due periodi di programmazione: un primo bando di gara nel secondo semestre 1995345 ed un secondo bando all’inizio del 1997. nata alle imprese ed Enti di formazione professionale; b) sostegno ai programmi di formazione dei formatori in materia di adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e alle trasformazioni dei sistemi produttivi; c) il sostegno alle azioni che promuovono la collaborazione tra imprese a livello regionale, interregionale e transnazionale, in particolare la formazione alla creazione di strutture per la fornitura di servizi (ricerca, progettazione, marketing, ecc.). Asse 4 - Azioni di informazione, di diffusione e di sensibilizzazione: a) sviluppo di banche dati sull’occupazione; b) diffusione delle migliori prassi produttive e scambio di esperienze sulla base di una strategia interregionale e transnazionale; c) studi relativi ai mutamenti industriali, considerando in particolare la gestione, l’organizzazione, le innovazioni tecnologiche, le nuove prassi ed i nuovi sistemi produttivi, i sistemi di comunicazione e di informazione, i fattori ambientali ed il loro impatto sull’occupazione e le competenze/qualifiche della forza lavoro, connessi con impatto sull’occupazione e le competenze/qualifiche della forza lavoro, connessi con i metodi ed i risultati della formazione, della formazione dei formatori e delle attività di orientamento professionale; b) le azioni per accrescere la consapevolezza dei vari settori economici, dei servizi di formazione e dell’occupazione, degli istituti di ricerca, delle camere di commercio e dell’industria, delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e dei pubblici poteri, in particolare attraverso uno specifico scambio di seminari e la pubblicazione di manuali sulle prassi migliori; sostegno ai servizi di informazione e alle strutture di supporto come le reti per la diffusione delle informazioni. Cfr. ISFOL Cd Rom Uno sguardo su ADAPT. 345 Circolare del Ministero del Lavoro e P.S. n. 77/95 del 28 giugno 1995 in GU, serie generale n. 158 dell’8 luglio 1995. Figura n. 48 - Iniziativa ADAPT: assi storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 227 228 I soggetti che hanno titolo a presentare iniziative sono: le imprese, le amministrazioni pubbliche, i rappresentanti delle parti sociali ed economiche, con preferenza per gli organismi bilaterali, gli organismi pubblici e privati di Formazione Professionale, gli istituti di insegnamento superiore pubblici e privati, i servizi per l’impiego, gli istituti di ricerca. Quanto alla parte finanziaria (cfr. Tab. n. 26), circa 530 miliardi di lire il Fondo Sociale Europeo interverrà con un cofinanziamento del 35% per le azioni svolte nelle Regioni dell’Obiettivo 1 e del 45% per le azioni svolte nelle Regioni del Centro-Nord. È prevista, inoltre, una partecipazione finanziaria dei privati alle azioni di almeno il 15% nelle Regioni dell’Obiettivo 1 e del 25% nelle Regioni del Centro-Nord. Ai progetti di interesse multiregionale (per rispondere a fabbisogni formativi del personale di strutture formative o aziende dislocate su più sedi) è riservata una quota pari al 20% dell’ammontare complessivo previsto. Il processo di selezione dei progetti segue questa procedura: ciascuna Regione valuta e sceglie i progetti “regionali” di propria competenza, il Ministero seleziona i “multiregionali”346 sui quali, precedentemente, le Regioni interessate hanno espresso un parere sulla esigibilità e fornito indicazioni di priorità. Il passaggio regionale risponde alla necessità di evitare eventuali sovrapposizioni tra azioni finanziate da ADAPT e quelle a carico del FSE (Obiettivo 4). Come già detto la transnazionalità era la condizione sine qua non per l’approvazione dei progetti, al fine di organizzare tra gli Stati membri il trasferimento di know-how e la diffusione delle prassi migliori, in particolare verso le Regioni dell’Obiettivo 1. I partenariati devono essere formati da almeno 3 partners attivi347 di Stati membri diversi. 346 Il Comitato di valutazione dei multiregionali si è avvalso di una scheda per l’identificazione e la valutazione dei progetti articolata in otto parti, di cui l’ottava appositamente rivolta alla qualità dell’Iniziativa e nella quale sono rinvenibili elementi qualitativi fondati su: livello di definizione del progetto, presenza di strumenti di valutazione in itinere ed ex-post; presenza di elementi di certificazione, presenza di azioni di pubblicizzazione e di diffusione. 347 Per attivi si intendono i partner il cui progetto abbia ricevuto l’approvazione ufficiale presso il rispettivo Stato membro. Tabella n. 26 - Iniziativa ADAPT: sintesi finanziaria 1995-1999 (importi in ECU) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 228 229 L’avviso di gara del 1995 (prima fase) ha fatto registrare la presentazione di 482 proposte progettuali di cui 375 progetti regionali e 107 multiregionali348; nel mese di maggio del 1996 ne sono stati approvati rispettivamente 141 e 41 (cfr. Tab. n. 27). I 182 progetti (regionali e multiregionali) approvati si distribuiscono per asse e per Regione come ilustrato nei grafici sottostanti Come si può notare nel Grafico 35 la percentuale di distribuzione dei progetti del primo asse (67%) ha superato la quota prevista (40%) dal Programma Operativo. Per rientrare nei limiti prefissati, nella seconda fase, gli altri assi verranno dotati di maggiori risorse. Alcuni dati quantitativi349: i progetti regionali approvati si distribuiscono tra Nord, Centro e Meridione rispettivamente con i valori percentuali di 42%, 28% e 30% (cfr. Graf. n. 36). Cinque Regioni hanno più di 10 progetti: una del Sud (Campania), una del Centro (Lazio) e tre del Nord (Piemonte, Lombardia e Veneto). 348 ISFOL (a cura di DI STEFANO A., FRACCAROLI F., NICOLETTI P.), ADAPT e la realtà italiana, Grafica 891 S.r.L., Roma 1996. 349 ISFOL, Rapporto Isfol 1996, F. Angeli, Milano 1996, p. 579. Tabella n. 27 - Iniziativa ADAPT. Quadro progetti presentati e approvati (Ia fase 1995-1997) Grafico n. 35 - Iniziativa ADAPT. Distribuzione progetti approvati per assi - valori assoluti e percentuali (Ia fase 1995-1997) Fonte: CONSEDIN storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.25 Pagina 229 230 350 Sono 29 i progetti su questo tema, pari a circa il 16% del totale. Ricordiamo, a titolo esemplificativo i progetti della Provincia di Como (Lombardia), ASSEFOR (Campania), SYS-DAT Consulenze (Provincia di Trento), LASER (Valle d’Aosta), DAEMETRA (Veneto e Lombardia), CONFINDUSTRIA Siracusa e Ragusa (Sicilia), FITA-CONFINDUSTRIA (multiregionale Toscana, Lazio, Friuli Venezia Giulia e Basilicata), MACROSISTEMI (multiregionale: Emilia Romagna, Marche e Toscana). 351 Su tali aspetti 48 progetti pari al 26% del totale. Cfr. tra gli altri i progetti di: IRES (Friuli Venezia Giulia) osservatorio sulle trasformazioni professionali e sulle imprese, COSVIFOR (Piemonte) sviluppo strumenti innovativi in campo gestionale, Consorzio Formazione Industriale Treviso (Veneto) Grafico n. 36 - Iniziativa ADAPT. Distribuzione progetti approvati per Regione – valori assoluti e percentuali - (Ia fase 1995-1997) Sul piano gestionale si registra una buona presenza di organismi che operano a livello nazionale (Enti sindacali, associazioni industriali, Enti di Formazione) ed una buona presenza di imprese e consorzi di impresa ed Enti pubblici. Quanto ai beneficiari, si osserva una presenza di lavoratori occupati pari a quasi il 60% per i progetti regionali, 62% per i progetti multiregionali, 25% di minacciati di disoccupazione per i progetti regionali e 36% multi regionali. I progetti finanziati a livello multiregionale e regionale hanno globalmente coinvolto 524 partner transnazionali che hanno riguardato tutti i Paesi dell’Unione Europea, in modo particolare la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e la Germania. L’Isfol ha sistematizzato i progetti approvati all’interno di sette aree tematiche che spesso si sovrappongono e spesso presentano significative interconnessioni tra loro (cfr. Fig. n. 49): – Interventi a favore delle PMI. Fanno riferimento a questa prima categoria i progetti per l’introduzione di sistemi di qualità e di certificazione nelle PMI per adeguarle alle nuove normative in materia e per diffondere fra i dirigenti e gli operatori la “cultura della qualità”350. Insistono su questo ambito anche gli interventi mirati a rinnovare e qualificare i sistemi di gestione delle PMI, che proprio perché di piccole dimensioni, hanno notevoli difficoltà nel favorire l’innovazione gestionale, amministrativa e organizzativa e la formazione del personale351; storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 230 231 Sempre in quest’area si collocano i progetti che intendono far fronte al problema della globalizzazione dei mercati e ai processi di internazionalizzazione e che mirano ad incrementare la competitività di imprese che per le loro caratteristiche strutturali sono ancora prevalentemente orientate al prodotto e non al mercato352. Altro tema riguarda l’adeguamento dei sistemi tecnologici, produttivi ed organizzativi alle nuove norme sulla sicurezza353. Infine vanno menzionati i progetti che perseguono interventi strutturali di carattere settoriale, riferiti quindi a gruppi omogenei di aziende che sono presenti su di un determinato territorio354; – Interventi su nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni. Rientrano in questa categoria gli interventi che si propongono di fronteggiare i cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Si tratta di un’area strettamente connessa con la precedente (molto spesso infatti tali interventi sono mirati all’innovazione nelle PMI). Considerata, però, la specificità e la rilevanza del problema, l’Isfol ne fa una trattazione autonoma355. Alcuni interventi riguardano l’adeguamento strutturale e professionale di interi settori produttivi356, altri, intervengono in contesti altamente innovativi realizzazione di una rete transnazionale per il supporto alla direzione strategica delle PMI, Istituto Tagliacarne (Lazio, Veneto, Basilicata) per il miglioramento dell’accesso e della gestione delle informazioni strategiche da parte delle PMI, FEDERINDUSTRIA (Marche) creazione di network di supporto alle imprese, Centro Sviluppo (Valle d’Aosta) interventi integrati di assistenza consulenza e formazione, CEFOPA (Sicilia) formazione e consulenza, Centro Regionale per la PMI (Friuli Venezia Giulia) rete transnazionale per il supporto alla direzione strategia delle PMI, CRUED (Umbria) Centro servizi per PMI, ISIDE (Lazio) aggiornamento nel settore agricolo su gestione d’impresa, IPI (Veneto) controllo di gestione nelle PMI, ISFOR (Puglia) sviluppo di una rete per informazione e consulenza su aspetti economici commerciali finanziari e fiscali, Associazione Professionisti Sardi (Sardegna) aggiornamento in materia di organizzazione e gestione aziendale ENEA (multi regionale: Friuli, Lazio, Piemonte e Molise) rete multifunzionale per l’informazione, la formazione, la consulenza ed il “follw-up” alla PMI. 352 Sono 19 progetti pari al 10% del totale. Cfr. ad esempio i progetti di: SYNECTICS (Campania), CAVITAL (Marche), Commercialisti e Legali Associati (Umbria), Centro per lo Sviluppo e la Diffusione della Cultura d’Impresa (Molise), CUOA (Veneto), Consorzio Piemontese di Formazione per il Commercio Estero (Piemonte), IRES (multi regionale: Basilicata e Emilia Romagna), COREP (multi regionale: Piemonte e Puglia), CONFINDUSTRIA (multi regionale: Veneto, Piemonte, Bolzano, Emilia Romagna e Marche). 353 L’Italia si è adeguata alle normative comunitarie inerenti la sicurezza e la prevenzione sul lavoro con il D.L. 19/9/1994 n. 626. Cfr. i progetti di: CONSORZIO SCUOLA LAVORO (Lazio). 354 Cfr. ad esempio i progetti di: HIDROCONTROL (Sardegna) per aziende impegnate nella gestione di risorse idriche, TEXILIA (multi regionale: Piemonte, Lombardia, Toscana, Puglia) e ASCONTEX (Lombardia) settore tessile, CCIAA (Lombardia) commercio al dettaglio, ISVILAT (Basilicata) settore lattiero caseario, Provincia di Livorno, trasporto marittimo, Consorzio Lecole (Campania) biotecnologia e agricoltura biologica, FEDERGASACQUA (Lazio) industria dell’acqua, TESI (Lombardia) sistema bancario, Comune di Pescia (Toscana) settore florovivaistico, CERTAM (multi regionale Emilia Romagna, Lazio e Campania), gestione servizi aeroportuali. 355 Circa 15 azioni sono state progettate su tale versante (pari all’8% del totale). 356 Cfr. ad esempio il progetto di Assindustria Pistoia settore della moda, SIGMA TRAVEL SYSTEM (multi regionale: Calabria, Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Piemonte, Puglia e Sardegna) settore delle agenzie di viaggi, FILIS-CGIL, FIS-CISL, UILSIC-UIL (multi regionale: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Sicilia) nel settore della moda. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 231 232 e di rilevanza sociale come quello medico-sanitario357, altri ancora affrontano lo sviluppo delle risorse umane e i mutamenti nelle qualifiche indotte dall’inserimento di nuove tecnologie come, ad esempio, le reti telematiche, l’automazione d’ufficio, gli strumenti multimediali per l’istruzione e il telelavoro358; – Interventi a favore del settore turistico. Una terza “famiglia” di interventi riguarda lo sviluppo del settore turistico specie in aree del Mezzogiorno d’Italia359. Tali proposte si pongono l’obiettivo prevalente di far crescere la cultura dell’accoglienza turistica in strutture ricettive di dimensioni medio-piccole. Alcuni progetti sono strettamente legati alla tematica dell’innovazione tecnologica360, ma la maggior parte è mirata a far crescere la qualità dei servizi di ricezione, in- 357 Cfr. ad esempio i progetti di: Associazione ASTRAFE (Sicilia) e Regione Toscana. 358 Cfr. ad esempio i progetti di: Istituto per la Matematica Applicata-CNR (Liguria) indagine sulle qualità cognitive in relazione all’uso di tecnologie informatiche e elaborazione modello formativo, Associazione Amitiè (Emilia Romagna) analisi di fabbisogni derivati dalle tecnologie dell’informazione, IFOA (Lombardia) formazione per tecnici e utilizzatori di sistemi multimediali, DATOR (Provincia di Bolzano) sensibilizzazione PMI all’uso di tecniche multimediali, ERFAPI-Ente Bilaterale Regionale toscano per la Formazione Professionale e l’ambiente (multi regionale: Toscana e Umbria) formazione su sistemi informatici di gestione. 359 Si tratta, nel complesso, di circa 17 interventi (9% del totale). 360 Cfr. ad esempio il progetto di ICI - Istituto Culturale Italiano (Marche). Figura n. 49 - Iniziativa ADAPT: connessioni tra le aree tematiche storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 232 233 crementando la professionalità del personale361. Altri progetti prevedono, invece, la creazione di imprese nel settore turistico legate allo sviluppo del cosiddetto turismo ambientale362; – Interventi di tutela ambientale. Si tratta di iniziative363 che, in alcuni casi, sono strettamente legate allo sviluppo del settore turistico (creazione e sviluppo di parchi naturali intesi come opportunità di crescita del territorio; sfruttamento turistico di zone altamente qualificate dal punto di vista culturale ed ambientale) 364 e nelle quali è presente un ulteriore filone di intervento che agisce sulle PMI per sensibilizzarle alle tematiche emergenti dello “sviluppo compatibile” (trattamento di rifiuti e scorie; sistemi produttivi eco-compatibili; procedure di eco-audit; riduzione dell’inquinamento, ecc.)365; – Interventi a favore dell’occupazione. Numerosi sono i progetti con tali finalità generali, anche se i casi in cui vi è un’effettiva ed esplicita priorità in questo ambito si limitano a circa una dozzina. Si tratta di interventi rivolti ad imprese collocate in aree territoriali in fase di declino industriale, di azioni rivolte a lavoratori espulsi o in fase di espulsione da processi produttivi, da iniziative che intendono promuovere nuove opportunità di occupazione e lo sviluppo di “nuove professioni”366; 361 Cfr. ad esempio i progetti di: ESSENTHIA (Piemonte) per operatori del turismo termale, IRES (Liguria) sviluppo in rete delle capacità di accoglienza turistica, Centro Interdipartimentale di Ricerca - Università di Napoli, creazione della figura del responsabile locale della promozione turistica, SIB (Lazio) per agenti di sviluppo turistico locale, DAEMETRA (Veneto) formazione per operatori dell’accoglienza, Consorzio Lecole (Basilicata) formazione per imprenditori, quadri e personale, Regione Toscana riqualificazione operatori commerciali dei centri storici, INNOVA formazione per operatori e “classe politica”, ARCIDONNA (Sicilia) formazione formatori e operatori, IAL Nazionale (multiregionale Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto e Abruzzo) borsa di formazione-lavoro per lavoratori stagionali del turismo. 362 Cfr. i progetti di: Società Cooperativa Apice (Basilicata) turismo rurale, CESCOT NAZIONALE (multiregionale Toscana, Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio e Sardegna) agriturismo. 363 Sulla tematica ambientale intervengono in modo diretto, esplicito e prioritario circa 13 progetti (7% del totale). 364 Cfr. ad esempio il progetto di API (Sardegna) formazione per operatori di parchi regionali, UIL (Puglia) formazione su vecchie professioni per salvaguardare territorio montuoso, WWF (multi regionale: Campania, Calabria, Sardegna, Basilicata) trasferimento di modelli gestionali di aree protette e provessi formativi a formatori. 365 Cfr. ad esempio i progetti di: Provincia di Biella, per la formazione di ecomanegers, Parco Scientifico e Tecnologico di Salerno e Aree Interne della Campania per la formazione di restauratori nel settore edilizio, Regione Toscana per la riqualificazione di operatori commerciali dei centri storici, Consorzio Lavoro e Ambiente (Molise) creazione di uno sportello per la consulenza in tema di sviluppo ecocompatibile, CSEA (multi regionale: Emilia Romagna, Piemonte e Umbria), creazione di un osservatorio sulle professioni ambientali, Associazione Atelier (Sicilia) costruzione di reti di telelavoro specializzate nella gestione delle risorse umane delle PMI operanti nel recupero del patrimonio edilizio. 366 Cfr. ad esempio i progetti di: SIMKI (Lombardia) per la creazione di sportelli per la mobilità, CILO (Piemonte) formazione in settori tecnici e di gestione aziendale e per formatori di istituzioni formative, Fondazione LABOS (Lazio) promozione di opportunità lavorative nei servizi zonali di assistenza, Consorzio Impresa Sociale (Friuli Venezia Giulia) nuove figure professionali nel campo dei servizi alla persona. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 233 234 – Interventi a favore dell’economia sociale. È l’area che interessa le imprese di produzione e servizi che agiscono senza scopo di lucro e con spiccate finalità di carattere sociale367. Un primo raggruppamento è rivolto all’offerta di servizi nell’ambito del terzo settore, del volontariato sociale e dei servizi a carattere socioassistenziale alla persona368 (si tratta di un comparto economico interessato da profonde trasformazioni connesse prevalentemente con la crisi dei sistemi di welfare e con il parziale e progressivo “ritiro” del settore pubblico da alcune aree di intervento), un secondo raggruppamento di interventi riguarda invece il settore della cooperazione369; – Interventi per lo sviluppo del sistema formativo. Infine, l’ultima area di intervento370 riguarda le azioni centrate sul tema della Formazione Professionale Continua intesa sia come sistema pubblico-privato di iniziative371, sia come insieme di tecniche e di strumenti operativi per favorire l’apprendimento di competenze professionali372. 367 Si tratta di un numero limitato di progetti (circa 10 pari al 5% del totale). 368 I progetti sono finalizzati ad incrementare la capacità di gestione delle imprese private e a formare il personale di tali strutture che spesso è costituito da lavoratori con bassa qualificazione. Cfr. ad esempio i progetti di Consorzio Solco Camunia (Lombardia), CNCA Coordinamento nazionale Comunità di Accoglienza (multi regionale: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto) formazione di managers dell’impresa sociale. 369 Cfr. ad esempio i progetti di: Consorzio fra cooperative sociali ELPENDÙ (Puglia), Federazione Trentina delle COOPERATIVE (Provincia di Trento), EFESO (Emilia Romagna), IRECOOP (Veneto), AGCI (Emilia Romagna), Compagnia FINANZIARIA INDUSTRIALE (Multi regionale), CeIS (multi regionale: Lazio, Lombardia, Umbria). 370 È costituita da 14 progetti pari all’8% del totale. 371 Cfr. ad esempio i progetti di: Akademia (Marche) formazione di tutors e quadri, FORMAPER (Lombardia) ricerca sui modelli gestionali e i bisogni di formazione nella piccola impresa, APDAI (Piemonte) riqualificazione dirigenti industriali, ENFIND (Basilicata) indagine sui fabbisogni formativi e percorsi formativi PMI, De Lorenzo Formazione (Calabria, Campania) strutturazione di un nucleo locale per supportare formazione continua, Associazione di Rappresentanza Imprenditoriale (Piemonte) reti informative, materiale per autoformazione, piani di formazione, FEDERAPI (Piemonte) osservatorio sui profili professionali emergenti, Regione Emilia Romagna rete europea per la gestione dell’innovazione economica e sociale, Regione Calabria servizi integrati di assistenza consulenza e formazione continua a neo imprese, Confartigianato Emilia Romagna avvio di un sistema di formazione permanente, Excellent (Lombardia) progettare e sperimentare un sistema di formazione a distanza individuale e assistita, EUROBIC ABRUZZO E MOLISE (Abruzzo) osservatorio sulle costruzioni e sui fabbisogni formativi e moduli di formazione, ECIPAR CNA (Emilia Romagna) analisi di fabbisogni formativi, CENSIS (Lazio) sperimentazione di una metodologia per lo sviluppo di “training plans”, Provincia di Rieti (Lazio) costruire una struttura di servizi per la FP, BOFFIN (Liguria) formazione formatori e responsabili delle risorse umane, Associazione Campo (multi regionale: Basilicata, Campania, Bolzano, Lazio e Liguria) formazione formatori aziendali, Daemetra (multi regionale: Sardegna, Lombardia e Lazio) formazione a distanza per riqualificazione personale PMI, Connet Formazione, (multi regionale: Abruzzo, Campania, Molise, Puglia e Lazio) osservatorio permanente dell’innovazione professionale, Sinform (multi regionale: Emilia Romagna, Toscana, Piemonte e Lombardia) servizi telematici per la formazione continua e la sua certificazione. 372 Cfr. ad esempio i progetti di: Federindustria (Marche) sperimentazione di tecnologie telematiche per distance learning e distance consulting. Federlombarda sviluppo di una offerta di prodotti formativi e strumenti gestionali, FOSVI (Campania) analisi dei fabbisogni, elaborazione di software forstoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 234 235 Tra i meriti di ADAPT va senz’altro annoverato quello di aver portato a maturazione il concetto che la formazione di lavoratori occupati di fronte ai cambiamenti continui e in ogni campo (tecnologico,organizzativo, di mercato, ecc.) rappresenti un bene comune per il lavoratore e per l’azienda. Infatti, in quanto strumento di manutenzione della professionalità, rappresenta per il lavoratore un antidoto contro la sua obsolescenza e per il sistema aziendale uno strumento per aumentarne il tasso di competitività. Anche ADAPT contribuisce al superamento della visione “scolasticistica” che identifica la Formazione Professionale, in questo caso continua, con il percorso formativo. Adottando una logica che non parte dal prodotto (e che quindi mette l’accento su un tipo di intervento standardizzato) ma dal mercato (portatore di una pluralità di bisogni) ADAPT mette in campo una grande varietà di strategie e strumenti: ricerca, analisi di fabbisogni, formazione (in presenza, a distanza, ecc.), orientamento, tutoring, assistenza e consulenza, monitoraggio e valutazione, sistemi informativi, elaborazione di prodotti e software multimediali, costruzione di data base, reti e osservatori, centri specialistici, servizi per l’infanzia (micronidi, ludoteche, ecc.) centri d’incontro per l’età evolutiva, sportelli informativi, convegni e workshop. Quindi non più solo formazione, non più solo il “corso” ma una pluralità di opportunità per la soluzione di un problema che spesso non è solo formativo. A volte, ad esempio, prima della formazione si tratta di individuare e analizzare nuove figure professionali ed elaborare nuovi percorsi e strumenti formativi, altre volte è necessario attivare un processo di autodiagnosi organizzativa assumendo come riferimento pratiche organizzative e gestionali eccellenti precedentemente individuate e sistematizzate in un data base; oppure si ritiene opportuno creare uno sportello di consulenza per gruppi di imprese per la formulazione di piani di aggiornamento professionale. Tra i meriti di ADAPT, pertanto, va annoverato il suo contributo alla definizione dello statuto epistemologico della Formazione Professionale. Di contro, va segnalato un uso eccessivo o sproporzionato di alcune di queste strategie o strumenti. Si pensi, ad esempio, quanti progetti ADAPT hanno previsto la costruzione di osservatori (“sull’occupazione nel settore cooperativo”, “per il monitoraggio delle relazioni sindacali”, “sugli aspetti teconologici, normativi e di mercato delle PMI”, “sulle professioni ambientali”, “sulle PMI”, “nel settore editoriale”. Un osservatorio, per sua natura, si configura come uno strumento “pesante”, destinato a durare nel tempo e prodotto da operazioni complesse per la definizione mativo e teledidattica, Comerint (Campania) creazione di un centro per l’erogazione di servizi formativi, IAT (Lazio) creazione di un centro per l’occupazione e la formazione nell’audiovisivo, Pragma (Provincia di Trento) percorsi di formazione a carattere pilota, HKE (Lombardia) standardizzazionne di un sistema di programmazione dei fabbisogni formativi nelle PMI. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 235 236 di un sistema informativo e per la costruzione del software informatico, da attività impegnative e onerose per la raccolta e la sistematizzazione dei dati e da azioni continue per l’alimentazione del sistema e la diffusione dei dati e delle informazioni. Caratteristiche queste che mal si conciliano con il carattere “episodico” e “contingente”, anche se “esemplare”, di un progetto e, spesso, con la struttura e le finalità dei soggetti attuatori e che invece si adattano alle finalità e alla struttura di un Ente pubblico territoriale. Considerazioni analoghe possono essere fatte per quelle strutture, definite di volta in volta “sportelli” o “centri servizi” (di informazione, di consulenza, di assistenza), prospettati come permanenti. 6. La normativa regionale in materia di Formazione Professionale 6.1. Il quadro normativo nel periodo 1990-97 Il corpus normativo delle Regioni e Province Autonome in materia di Formazione Professionale è composta da 223 leggi. Ricordiamo che ad alcune Regioni Autonome373 le competenze statali in materia di Formazione Professionale sono state trasferite in tempi diversi: alla Valle d’Aosta nel 1978374, alla Sardegna nel 1975375, alle Province Autonome di Trento e Bolzano nel 1972376. Il tasso di maggiore produzione legislativa appartiene all’Abruzzo con 33 provvedimenti, mentre quello minore alla Provincia Autonoma di Trento (cfr. Graf. n. 37). Nel periodo considerato da questo volume (1990-1997) sono state emanate 10 leggi organiche o ordinamentali (nel senso che regolamentano tutti gli aspetti del sistema formativo-professionale) e 49 leggi che si configurano: a) come leggi di modifica o di interpretazione autentica di precedenti provvedimenti (21 leggi); b) come leggi che prorogano o derogano da impegni assunti con precedenti normative 373 La principale differenza tra lo statuto di una Regione a statuto speciale rispetto ad una a statuto ordinario, detto (statuto di diritto comune), è che mentre lo statuto ordinario è adottato e modificato con legge regionale, lo statuto speciale è adottato e modificato con Legge Costituzionale. Le Regioni a statuto speciale sono state costituite con queste Leggi Costituzionali: Regione Siciliana, Regio Decreto n. 455 del 15 maggio 1946, convertito nella Legge Costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma della Sardegna, Legge Cost. n. 3 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma Valle d’Aosta, Legge Cost. n. 4 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, Legge Cost. n. 5 del 26 febbraio 1948; Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Legge Cost. n. 1 del 31 gennaio 1963. 374 L. 16 maggio 1978, n. 196 Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d’Aosta e DPR 22 febbraio 1982, n. 182 Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti soppressi con l’art. 1 bis del D.L. 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella L. 21 ottobre 1978, n. 641. 375 DPR 22 maggio 1975, n. 480. 376 DPR 01.11.1973, n. 689 Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino - Alto Adige concernente addestramento e Formazione Professionale. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 236 237 (5); c) come leggi con uno spettro normativo limitato: agli aspetti finanziari (11), alle strutture formative (2), al personale (2), all’istituto della delega (5) ad un’offerta formativa particolare (1) al personale (2). La Regione che ha approvate più leggi, con 10 provvedimenti varati, è l’Abruzzo, mentre la Toscana e la Provincia Autonoma di Trento non modificano il quadro legislativo precedente (cfr. Prosp. n. 25). Nel 1990 è stato approvato il maggior numero di leggi, 11 (cfr. Graf. n. 38). Grafico n. 37 - Numero di leggi in materia di Formazione Professionale emanate dalle Regioni e Province Autonome dal trasferimento delle competenze statali Grafico n. 38 - Numero di leggi regionali relative alla Formazione Professionale approvate per anno nel periodo 1990-97 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 237 238 Prospetto n. 25 - Leggi relative alla Formazione Professionale dal dopoguerra al 1997 (in neretto le leggi organiche) (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 238 239 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 239 240 NOTE: Valle d’Aosta I L. reg. 01.06.1982, n. 12, Promozione di una fondazione per la FP agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima. II L. reg. 05.05.1983, n. 28, Disciplina della Formazione Professionale in Valle d’Aosta. III L. reg. 24.08.1992, n. 53, Modificazione della legge regionale 1° giugno 1982, n. 12, concernente Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima. IV L. reg. 22.05.1997, n. 18, Modificazioni alla legge regionale 1° giugno 1982, n. 12, Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima, già modificata dalla legge regionale 24 agosto 1992, n. 53. Piemonte I L. reg. 25.02.1980, n. 8, Disciplina delle attività di formazione professionale. II L. reg. 03.09.1984, n. 50, Modificazioni dell’art. 14, 1° comma della L. r. 25 febbraio 1980, n. 8 Disciplina delle attività di formazione professionale. III L. reg. 19.04.1995, n. 63, Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale. IV L. reg. del 19 dicembre 1995, n. 88, Proroga dell’entrata in vigore di alcune norme della legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 “Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale”. V L. reg. 30.04.1996, n. 21, Modificazione dell’articolo 22 della legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale. VI L. reg. 17.06.1997, n. 34, Modifiche alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 (Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale). VII L. reg. n. 44 del 04.08.1997 Sostituzione dell’articolo 25 bis della legge regionale 25 febbraio 1980, n. 8 (Disciplina delle attività di formazione professionale), richiamato in vigore dall’articolo 2 della legge regionale 3 luglio 1996, n. 36 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 “Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale”). (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 240 241 Liguria I L. reg. 07.08.1979, n. 27, Disciplina delle attività di formazione professionale. II L. reg. 05.11.1993, n. 52, Disposizioni per la realizzazione di politiche attive del lavoro. III L. reg. 06.09.93, n. 43, Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale. IV L. reg. 14.08.1995, n. 41, Disposizioni in materia di promozione occupazionale. V L. reg. 23.01.1996, n. 4, Modifica dell’articolo 2 della legge regionale 6 settembre 1993 n. 43 “Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale”. VI L. reg. 04.09.1997 n. 37, Modificazioni alla legge regionale 5 novembre 1993 n. 52 (disposizioni per la realizzazione di politiche attive del lavoro). Lombardia I L. reg. 17.07.1972, n. 21, Norme provvisorie sullo svolgimento di funzioni in materia di formazione professionale di cui al D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10. II L. reg. 04.09.1973, n. 44, Proroga della legge regionale 17 luglio 1972, n. 21 contenente “Norme provvisorie sullo svolgimento di funzioni in materia di formazione professionale di cui al D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10”. III L. reg. 09.09.1974, n. 60, Proroga della legge regionale 17 luglio 1972, n. 21 contenente “Norme provvisorie sullo svolgimento di funzioni in materia di formazione professionale di cui al D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10”. IV L. reg. 16.06.1975, n. 93, Ordinamento della formazione professionale in Lombardia. V L. reg. 07.06.1980, n. 95, Disciplina della formazione professionale in Lombardia. VI L. reg. 04.06.1981, n. 27, Modifiche e aggiunte alla L. reg. 07.06.1980, n. 95. VII L. reg. 10.06.1981, n. 31, Norme di riordino di disposizioni di spesa previste da leggi regionali, in conformità con le disposizioni della L. reg. 31.3.1978, n. 34, artt. 11-16. VIII L. reg. 27.08.1983, n. 68, Modifiche ed aggiunte alla L. reg. 7.6.1980, n. 95. IX L. reg. 08.05.1990, n. 35, Sostituzione del nono comma dell’art. 19 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 concernente la disciplina della formazione professionale in Lombardia, già modificato dall’articolo unico della L.R. 4 giugno 1981, n. 27 e poi sostituito dall’art. 5 della L.R. 27 agosto 1983, n. 68. X L. reg. 19.09.1992, n. 31, Deroga agli artt. 10, 11 e 12 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni. XI L. reg. 12.08.1993, n. 25, Modifica alla Legge Regionale 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni. XII L. reg. 27.10. 1993, n. 31, Attribuzione dell’indennità di funzione ai docenti della formazione professionale ai sensi dell’accordo nazionale di lavoro per il triennio 1988-1990. XIII L. reg. 09.04.1994, n. 9, Modifica dell’art. 48 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni. XIV L. reg. 12.12.1994, n. 42, Interventi per lo sviluppo della formazione professionale superiore, anche in raccordo con le università. XV L. reg. 05.01.1995, n. 1, Norme transitorie in materia di formazione professionale finalizzate allo sviluppo del processo di delega alle province. Provincia Autonoma di Trento I L. prov. 04.07.1959, n. 9, Provvedimenti a favore dell’istruzione professionale. II L. prov. 03.03.1987, n. 21, Ordinamento della formazione professionale. Provincia Autonoma di Bolzano I L. prov. 27.08.1962, n. 9, Addestramento professionale dei lavoratori. II L. prov. 05.09.1964, n. 14, Modifica alla legge provinciale 27 agosto 1962, n. 9. III L. prov. 12.11.1992, n. 40, Ordinamento della formazione professionale. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 241 242 Veneto I L. reg. 25.01.1974, n. 8, Contributi della Regione a favore di istituzioni di formazione professionale di interesse regionale. II L. reg.13.06.1975, n. 81, Provvedimenti urgenti in materia di formazione professionale. III L. reg. 28.01.1977, n. 3, Rifinanziamento legge regionale 25 gennaio 1974, n. 8, concernente contributi della Regione a favore di istituzioni di formazione professionale di interesse regionale. IV L. reg. 13.09.1978, n. 59, Ordinamento della formazione professionale. V L. reg. 21.03.1983, n. 13, Integrazioni e modifiche alla legge regionale 13 settembre 1978, n. 59, concernente l’ordinamento della formazione professionale. VI L. reg. 30.01.1990, n. 10, Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro. VII L. reg. 30.04.1990, n. 34, Instaurazione rapporti a collaborazione professionale con personale esperto di formazione professionale. VIII L. reg. 07.05.1991, n. 10, Modifiche alla legge regionale 30 gennaio 1990, n. 10 “Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro”. Friuli Venezia Giulia I L. reg. 31.12.1965, n. 35, La formazione professionale dei lavoratori nella Regione Friuli Venezia Giulia. II L. reg. 29.07,1969, n. 23, Disposizioni transitorie relative alla legge regionale 31 dicembre 1965, n. 35 concernente la formazione professionale dei lavoratori nella Regione Friuli Venezia Giulia. III L. reg. 10.01.1977, n. 1, Interventi in materia di formazione professionale. IV L. reg. 18.05.1978, n. 42, Ordinamento della formazione professionale. V L. reg. 21.05.1979, n. 21, Attribuzione all’Istituto regionale per la formazione professionale della gestione dei corsi merletti. VI L. reg. 05.11.1979, n. 62, Rifinanziamento della legge regionale 18 maggio 1978, n. 42, concernente l’ordinamento della formazione professionale. VII L. reg. 09.07.1980, n. 22, Rifinanziamento dell’ articolo 9 della legge regionale 18 maggio 1978, n. 42, concernente l’ordinamento della formazione professionale. VIII L. reg. 3.11.1980, n. 59, Assunzioni di personale a tempo determinato per lo svolgimento dei corsi nei centri di formazione professionale dell’IRFoP. IX L. reg. 08.04.1982 Interventi urgenti per la riqualificazione professionale di lavoratori dipendenti da aziende in crisi. X L. reg. 08.04.1982, n. 26, Interventi per il potenziamento dei centri di formazione professionale IRFoP. XI L. reg. 16.11.1982, n. 76, Ordinamento della formazione professionale. XII L. reg. 20.05.1982, n. 29, Interpretazione autentica dell’art. 4 recante: Disciplina delle attività di formazione professionale nella regione Abruzzo. XIII L. reg. 01.06.1987, n. 16, Norme integrative e modificative della legge regionale 16 novembre 1982, n. 76. XIV L. reg. 26.08.1991, n. 35, Modifiche ed integrazioni all’ordinamento della formazione professionale. XV L. reg. 30.10.1995, n. 41, Norme finanziarie in materia di formazione professionale. Emilia Romagna I L. reg. 24.07.1979, n. 19, Riordino, programmazione e deleghe della formazione alle professioni. II L. reg. 10.04.1984, n. 17, Acquisizione di strutture pubbliche e private di formazione professionale da parte della regione Emilia Romagna. III L. reg. 06.05.1985, n. 19, Prime norme sulla ristrutturazione dei Centri di formazione professionale della Regione Emilia Romagna. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 242 243 IV L. reg. 31.01.1987, n. 5, Modifiche alla legge regionale 24.07.1979 concernente “Riordino, programmazione e deleghe della formazione alle professioni”. V L. reg. 07.11.1995, n. 54, Riordino della funzione di gestione delegata ai comuni in materia di formazione professionale. Toscana I L. reg. 17.01.1976, n. 6, Interventi per la FP e delega delle relative funzioni agli enti locali. II L. reg. 15.11.1980, n. 86, Esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale. III L. reg. 21.02.1985, n. 16, Disciplina degli interventi in materia di formazione professionale. IV L. reg. 31.08.1994, n. 70, Nuova disciplina in materia di formazione professionale. Marche I L. reg. 23.08.1976, n. 24, Ordinamento della formazione professionale e delega delle funzioni. II L. reg.03.09.1978, n. 17, Modificazioni e integrazioni della L. reg. 23.08.1976, n. 24 recante norme sull’ordinamento della formazione professionale e delega delle funzioni III L. reg. 26.03.1990, n. 16, Ordinamento del sistema regionale di formazione professionale. IV L. reg. 28.03.1990, n. 18, Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento del personale addetto alle attività di formazione professionale. V L. reg. 28.01.1991, n. 4, “L. R. 28 marzo 1990, n. 18 “Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento del personale addetto alle attività di formazione professionale”. VI L. reg. 18.01.1996, n. 2, Delega alle Province delle funzioni amministrative relative alle attività formative cofinanziate dall’Unione Europea. Umbria I L. reg. 25.08.1978, n. 47, Norme in materia di formazione professionale. II L. reg. 01.03.1980, n. 16, Disciplina dei corsi liberi a carattere professionale. III L. reg. 11.11.1980, n. 69, Piano di attività di formazione professionale. IV L. reg. 23.12.1980, n. 76 Disciplina temporanea delle assunzioni a termini nei centri regionali di formazione professionale. V L. reg. 21.10.1981, n. 69, Norme sul sistema formativo regionale. VI L. reg. 11.08.1983, n. 30, Modificazioni e integrazioni alla legge regionale 21 ottobre 1981, n. 69. VII L. reg. 12.03.1984, n. 16, Modificazione della L. reg. 21 ottobre 1981, n. 69, recante norme sul sistema formativo regionale, così come modificata e integrata dalla legge regionale 11 agosto 1983. VIII L. reg. 26.04.1985, n. 33, Ulteriori modificazioni della legge regionale 21 ottobre 1981, n. 69, recante norme sul sistema formativo regionale. IX L. reg. 28.05.1991, n. 14, Ulteriori modificazioni ed integrazioni della l.r. 21/10/81, n. 69 - norme sul sistema formativo regionale - atto quarto. Lazio I L. reg. 30.01.1973, n. 4, Norme per l’esercizio provvisorio delle funzioni amministrative relative all’istruzione artigiana e professionale, trasferite alla Regione dal DPR 15-1-1972, n. 10. II L. reg. 06.04.1978, n. 14, Disciplina delle attività di formazione professionale. III L. reg. 18.12.1979, n. 99, Riconoscimento dei corsi di formazione professionale gestiti dai privati. IV L. reg. 17.11.1979, n. 86, Istituzione del ruolo del personale della formazione professionale della regione Lazio. V L. reg. 23.07.1983, n. 50, Norme per l’istituzione dell’albo regionale degli operatori della formazione professionale. VI L. reg. 05.09.1983, n. 57, Definizione dei rendiconti di spesa dei corsi di formazione professionale gestiti da enti terzi e finanziati dalla Regione Lazio. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 243 244 VII L. reg. 03.07.1984, n. 36, Modificazioni alla legge regionale 23 luglio 1983, n. 50, concernente: Norme per l’istituzione dell’albo regionale degli operatori della FP. VIII L. reg. 25.02.1991, n. 23, Ordinamento della formazione professionale. Molise I L. reg. 16.02.1972, n. 4, Integrazione dell’assegno giornaliero, di cui all’articolo 4 della Legge 2 aprile 1968, n. 424, in favore dei lavoratori disoccupati che frequentano i corsi di addestramento professionale in preparazione dell’insediamento FIAT nel Molise. II L. reg. 05.08.1972, n. 9, Fondo per l’addestramento professionale dei lavoratori. III L. reg. 13.09.1974, n. 15, Proroga delle norme di cui alla legge regionale 16 febbraio 1972, n. 4, a favore dei lavoratori disoccupati che frequentano i corsi di addestramento professionale in preparazione dell’insediamento FIAT nel Molise nell’anno 1974. IV L. reg. 02.06.1973, n. 12, Proroga delle norme di cui alla legge regionale 16 febbraio 1972, n. 4, a favore dei lavoratori disoccupati che frequentano i corsi di addestramento professionale in preparazione dell’insediamento FIAT nel Molise nell’anno 1973. V L. reg. 17.11.1983, n. 3, Disciplina della formazione professionale nel Molise. VI L. reg. 19.04.1985, n. 8, Disposizioni integrative alla legge regionale 17 gennaio 1983, n. 3 recante norme sulla disciplina della formazione professionale in Molise. VII L. reg. 28.10.1987, n. 14 Modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 3 del 17 gennaio 1983 ed abrogazione della legge regionale n. 8 del 19 aprile 1985. VIII L.reg. 29.05.1990, n. 27, Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali nn. 3/83 e 14/87 in materia di Formazione Profesionale. IX L. reg. 30.05.1995, n. 10, Nuovo ordinamento della formazione professionale. Abruzzo I L. reg. 16.10.1972, n. 22, Norme per l’esercizio delle funzioni o delegate alla Regione con D.P.R. 15.1.1972, n. 10, in materia di Istruzione Artigiana e Professionale. II L. reg. 13.03.1973, n. 11, Modifiche e integrazioni alla L. Reg. 16.10.1972, n 22 concernente norme per l’esercizio delle funzioni trasferite delegate alla Regione con D.P.R. 15.1.1972, n. 10, in materia di Istruzione Artigiana e Professionale. III L. reg. 06.06.1975, n. 56, Delega alle Prov.delle funzioni amministrative in materia di beneficenza pubblica, istruzione artigiana e professionale, assistenza scolastica, viabilità, caccia e pesca nelle acque interne. IV L. reg. 25.11.1976, n. 63. Interventi straordinari per la riqualificazione professionale dei lavoratori. V L. reg. 05.12.1979, n. 63, Disciplina delle attività di formazione professionale nella Regione Abruzzo. VI L. reg. 02.06.1980, n. 44, Ruolo del personale addetto alle attività di Formazione Professionale gestite dalla Regione Abruzzo. VII L. reg. 15.09.1981, n. 48, Erogazione agli Enti gestori dei corsi di FP dei maggiori oneri ad essi derivanti dalla applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro degli operatori del settore, per le attività ricadenti nel periodo 1° ottobre 1980/30 settembre 1982. VIII L. reg. 20.05.1982, n. 29, Interpretazione autentica dell’art. 4 recante “Disciplina delle attività di formazione professionale nella regione Abruzzo”. IX L. reg. 27.08.1982, n. 63, Modifiche ed integrazioni alla legge n. 63 del 5 dicembre 1979 recante: “Disciplina delle attività di formazione professionale nella Regione Abruzzo”. X L. reg. 14.01.1983, n. 4, Acquisizione e/o costruzione di strutture immobiliari per l’attività dl formazione professionale nella Regione Abruzzo. XI L. reg. 06.12.1983, n. 76, Conferimento di incarichi e supplenze presso i Centri Regionali di Formazione Professionale. XII L. reg. 26.04.1984, n. 33, Modifica della legge regionale 5 dicembre 1979, n. 63, recante Disciplina delle attività di Formazione Professionale nella Regione Abruzzo. XIII L. reg. 07.05.1985, n. 29, Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 1979, n. 63, recante Disciplina delle attività di FP nella regione Abruzzo. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 244 245 XIV L. reg. 16.09.1987, n. 61, Erogazione agli Enti gestori dei corsi di FP dei maggiori oneri ad essi derivanti dall’applicazione del CCNL 1983/86 degli operatori del settore convenzionato, per le attività ricadenti nel periodo 1° ottobre 1983 - 31 agosto 1984. XV L. reg. 01.12.1987, n. 81, Norme integrative per l’inquadramento del personale proveniente dagli ex CFP. XVI L. reg. 12.01.1988, n. 3, Ulteriori norme integrative per l’inquadramento nel ruolo organico regionale del personale insegnante presso i Centri di Formazione Professionale. XVII L. reg. 12.01.1988, n. 6, Norme in materia di erogazione dei fondi agli enti di Formazione Professionale. XVIII L. reg. 30.03.1988, n. 37, Estensione dei benefici di cui alle LL.RR. 1.12. 87 n. 81 e 12.1. 88 n. 3 riguardanti: “Norme integrative per l’inquadramento del personale proveniente dagli ex CFP. XIX L. reg. 28.12.1988, n. 101, Norme integrative alle disposizioni di cui alle leggi regionali 5 dicembre 1979, n. 63, e 27 agosto 1982, n. 63, in materia di Formazione Professionale. XX L. reg. 13.07.1989, n. 56, Provvedimenti urgenti in materia di Formazione Professionale. XXI L. reg. 07.09.1989, n. 80, Proroga alle disposizioni di cui agli articoli 9,10,11,12 e 13 della L. R. 28.12.88, n. 101, “Norme integrative alle disposizioni in materia di FP”. XXII L. reg. 06.12.1990, n. 94, Istituzione della scuola per le professioni della montagna, presso il Centro Regionale di Formazione Professionale di Sulmona. XXIII L. reg. 18.12.1990, n. 96, Proroga delle disposizioni di cui alle Leggi regionali 28 Dicembre 1988, n. 101 e 7 Settembre 1988, n. 80, in materia di formazione professionale. XXIV L. reg. 28.12.1992, n. 101, Rifinanziamento dell’art. 14 della LR 28.12.1988, n. 101, in materia di Formazione Professionale. XXV L. reg. 02 06 1993, n. 20, Proroga e modificazione degli artt. 9, 10, 11 e 12 della legge regionale 28 dicembre 1988, n. 101 e successive, concernenti la formazione professionale. XXVI L. reg. 12.04.1994, n. 96. L. reg. 12.01.1988, n. 6, “Norme in materia di erogazione dei fondi agli Enti di Formazione Professionale”. Modifica dell’art. 2 lettera. XXVII L. reg. 17.01.1995, n. 2, Proroga delle LL.RR. 28.12.1988, n 101 e 2.6.1993, n 20 concernenti la FP. XXVIII L. reg. 07.11.1995, n. 54 Riordino della funzione di gestione delegata ai comuni in materia di Formazione Professionale. XXIX L. reg. 17 .05.1995, n 111, Formazione Professionale. XXX L. reg. 29.10.1996, n. 107, Interventi urgenti in materia di formazione professionale. XXXI L. reg. 09.04.1997, n. 34, Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione professionale degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo. XXXII L. reg. 23.05.1997, n. 47, Proroga della l. reg. 28.12.88, n.101 e successive modificazioni e proroghe concernenti la FP. XXXIII L. reg. 17.12.1997, n. 139, Modifiche ed integrazioni alle LL.RR. 9.4.97, n. 34 e 22.4.97 n. 38 “Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione professionale degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo”. Puglia I L. reg. 07.05.1975, n. 38, Norme sullo svolgimento delle funzioni trasferite alla Regione, ai sensi del DPR n. 10 del 15.1.1972, in materia di Consorzi provinciali per l’istruzione tecnica. II L. reg. 21.03.1977, n. 9, Commissione consultiva regionale per la formazione professionale. III L. reg. 17.10.1978, n. 54, Formazione professionale. IV L. reg. 12.08.1981, n. 44, Costituzione di una Commissione di indagine sulla formazione professionale. V L. reg. 15.04.1982, n. 18, Proroga dei termini fissati dalla legge regionale 12 agosto 1981, n. 44 “Costituzione di una Commissione di indagine sulla formazione professionale”. VI Scioglimento dell’Associazione CIAPI in Puglia e trasferimento alla gestione diretta della formazione. professionale dei CIAPI di Bari e Foggia. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 245 246 VII L. reg. 19.11.1982, n. 33, Modifica alla legge regionale approvata dal Consiglio regionale con deliberazione n. 268 del 21 settembre 1982 “Scioglimento dell’Associazione CIAPI in Puglia e trasferimento alla gestione diretta della formazione professionale dei CIAPI di Bari e Foggia”. VIII L. reg. 17.06.1983, n. 9, Normativa per l’utilizzazione del personale della formazione professionale. IX L. reg. 10.12.1983, n. 21, Disposizioni per la formazione professionale in aziende di medio - grande dimensione. X L. reg. 25.01.1984, n. 8, Interpretazione autentica art. 4 legge regionale 17 giugno 1983, n. 9. XI L. reg. 25.02.1986, n. 5, Modifica agli artt. 1 e 6 della legge regionale 17 giugno 1983, n. 9 “Normativa per l’utilizzazione del personale della formazione professionale”. XII L. reg. 18.01.1987, n. 8, Normative per l’utilizzazione del personale della formazione professionale. Modifica legge regionale 17 giugno 1983, n. 9 e legge regionale 25 febbraio 1986, n. 5. XIII L. reg. 08.09.1988, n. 26, Misure urgenti per il finanziamento delle attività di formazione professionale. Modifiche ed integrazioni alla vigente legislazione regionale. XIV L. reg. 19.07.1994, n. 28, Integrazioni e modifiche alla legge regionale n. 18 del 23 agosto 1993. XV L. reg. 28.03.1997, n. 11, Misure urgenti per la formazione professionale. XVI L. reg. 28.03.1997, n. 12, Modifiche della legge regionale “Misure urgenti per la formazione professionale”. XVII L. reg. 12.12.1997, n. 20, Modifica della legge regionale 28 marzo 1997, n. 11 “Misure urgenti per la formazione professionale”. Basilicata I L. reg. 01.03.1980, n. 13, Disciplina del servizio di formazione e orientamento professionale in Basilicata. II L. reg. 24.01.1989, n. 3, Istituzione dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro. III L. reg. 02.03.1990, n. 7, Ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale. IV L. reg. 13.04.1996 n. 22, Modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7 ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale e sue successive modificazioni ed integrazioni. V L. reg. 11.11.1996 n. 55, Interpretazione autentica dell’art. 4, comma 2, della l.r. 13.4.1996, n. 22, recante modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7, concernente l’ordinamento e la disciplina del sistema formativo regionale. Campania I L. reg. 09.11.1974 n. 63, Istituzione di botteghe - scuola nel territorio della Regione Campania. II L. reg. 28.04.1975, n. 21, Svolgimento provvisorio delle funzioni di cui all art. 3 DPR 15 gennaio 1972, n. 10, in materia di Consorzi Provinciali per l’Istruzione Tecnica. III L. reg. 01.09.1976, n. 17, Modifica alla legge regionale 9 novembre 1974, n. 64, concernente: “Istituzione del titolo di maestro artigiano e dell’albo dei maestri artigiani della Campania”. IV L. reg. 30.07.1977, n. 40, Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale, in B.U.R., n. 34 del 06.08.1977. V L. reg.19.11.1977 n. 62, Istituzione di corsi di aggiornamento per riconversione delle attività formative destinati a personale docente e non docente occupato in attività di FP alla data di entrata in vigore della l. reg. 30 luglio 977, n. 40. VI L. reg. 09.08.1978, n. 22, Scioglimento dell’Associazione CIAPI - Chiusura del CFP “A. Marino” di S. Nicola la Strada( CE) ed inquadramento, ai sensi dell’art. 26 della L. reg. 30 luglio 1977, n. 40, del personale in servizio nel ruolo del personale della Giunta regionale della Campania. VII L. reg. 04.05.1979, n. 29, Modifica della legge regionale 30 luglio 1977, n. 40, relativa alla normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 246 247 VIII L. reg. 17.03.1981, n. 19, Normativa per il pagamento al personale degli Enti di FP di cui alle lettere b) e c) dell’art. 6 della legge regionale 0 luglio 1977, numero 40. IX L. reg. 28.08.1981, n. 62, Modifiche alla legge regionale 30 luglio 1977 n. 40. Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale. X L. reg. 25.01.1982, n. 5, Inquadramento nel ruolo del personale della Giunta regionale della Campania del personale dei disciolti Consorzi provinciali per la Istruzione tecnica. XI L. reg. 22.04.1982, n. 20, Integrazione della legge regionale 17 marzo 1981, n. 19 concernente: “Normativa per il pagamento al personale degli Enti di FP di cui alle lettere B) e C) dell’art. 6 della legge regionale 30 luglio 1977, n. 40”. XII L. reg. 22.04.1982, n. 24, Istituzione dell’Albo regionale degli operatori della formazione professionale. XIII L. reg. 26.04.1985, n. 33, Modifiche all’art. 79 della legge regionale 30 luglio 1977 n. 40. Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale. XIV L. reg. 02.08.1982, n. 35, Indirizzi e direttive fondamentali per l’esercizio delle funzioni delegate agli enti locali in materia di botteghe scuola. XV L. reg. 06.10.1982, n. 62, Utilizzo in attività formativa ordinaria del personale già impegnato nel progetto speciale per 4.000 disoccupati della città di Napoli. XVI L. reg. 09.07.1984, n. 32, Istituzione del ruolo speciale della Giunta regionale ad esaurimento del personale della formazione professionale. XVII L. reg. 21.01.1985, n. 9, Norme per l’esercizio delle funzioni in materia di orientamento professionale. XVIII L. reg. 08.03.1985, n. 18, Istituzione dei Centri Pilota. XIX L. reg. 28.03.1985, n. 25, Modifiche all’art. 9 della L. Reg. 30 luglio 1977, n. 40, concernente “Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale”. XX L. reg. 26.04.1985, n. 33, Modifiche all’art. 7 della L. reg. 28 agosto 1981, n. 62 concernente “Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale”. XXI L. reg. 16.03.1986, n. 10, Osservatorio regionale del Mercato del Lavoro. XXII L. reg. 28.03.1985, n. 21, Modifiche all’art. 9 della legge regionale 30 luglio 1977 n. 40. Normativa per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione professionale. XXIII L. reg. 28.03.1987, n. 19, Riconoscimento dei corsi di formazione professionale autofinanziati. XXIV L. reg. 18.07.1991, n. 14, Modifiche ed integrazioni alla L. Reg. 9.07.84, n. 32 concernente: Istituzione del ruolo speciale della Giunta Regionale ad esaurimento del Personale della Formazione professionale. Calabria I L. reg. 16.05.1980, n. 8, Ordinamento del personale addetto al settore della formazione professionale. II L. reg. 22.11.1984, n. 35, Scioglimento dell’Associazione CIAPI Centri Interaziendali di Addestramento Professionale per l’Industria - di Catona e Crotone. III L. reg. 19.04.1985, n. 18, Ordinamento della formazione professionale in Calabria. IV L. reg. 26.08.1986, n. 40, Rettifica della tabella dell’art. 47 della legge regionale 19 aprile 1985, n. 18. V L. reg. 12.04.1988, n. 12, Centri Interaziendali Addestramento Professionale per l’Industria (C.I.A.P.I.) di Catona e Crotone. Personale a tempo indeterminato. Modificazioni della legge regionale 22 novembre 1984, n. 35. VI L. reg. 16.03.1990, n. 15, Istituzione di un ruolo speciale ad esaurimento della Giunta regionale per il personale della formazione professionale convenzionata. VII L. reg. 05.05.1990, n. 35, Sostegno all’attività dell’Istituto superiore per il turismo - Corsi di formazione per lo svolgimento di attività turistica. VIII L. reg. 21.03.1994, n. 10, Interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, della legge regionale 16 marzo 1990, n. 15. IX L. reg. 13.04.1996 n. 22, Modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7 ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale e sue successive modificazioni ed integrazioni. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 247 248 Sicilia I L. reg. 06.03.1976, n. 24, Addestramento professionale dei lavoratori. II L. reg. 18.06.1977, n. 45, Aggiunte e modifiche alla L. reg. 6.3.1976, n. 24. III L. reg. 13.08.1979, n. 201, Norma aggiuntiva all’art. 9 della L. reg. 6.3.1976, n. 24. IV L. reg. 12.03.1986, n. 12, Misure urgenti a favore dei lavoratori disoccupati nel settore edile. Modifiche all’art. 4 della L. reg. 13.12.1983, n. 120, all’art. 6 della L. reg. 27.12.1969, n. 52 e all’art. 12 della L. reg. 6.3.1976, n. 24, art. 7. Sardegna I L. reg. 26.01.1976, n. 3, Esercizio delle funzioni amministrative delegate dallo Stato in materia di istruzione artigiana e professionale. II L. reg. 13.05.1976, n. 26, Assunzione a tempo determinato di personale insegnante per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale. III L. reg. 29.11.976, n. 65, Norme integrative alla legge regionale 26 gennaio 1976, n. 3, esercizio delle funzioni delegate dallo Stato in materia istruzione artigiana e professionale nel Centro interaziendale sardo per l’addestramento professionale nell’industria (CISAPI). IV L. reg. 16.06.1977, n. 20, Assunzione a tempo determinato di personale insegnante per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale programmati per l’anno 1976-1977. V L. reg. 24.05.1979, n. 41, Assunzione a tempo determinato di personale insegnante per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale programmati per l’anno 1978-1979. VI L. reg. 01.06.1979, n. 46, Scioglimento dell’Associazione CISAPI (Centro Interaziendale sardo addestramento professionale industria) ed inquadramento, ai sensi della legge regionale 17.08.1978, n. 51, del personale in servizio nel ruolo speciale regionale della formazione professionale. VII L. reg. 01.06.1979, n. 47, Ordinamento della formazione professionale in Sardegna. VIII L. reg. 23.12.1981, n. 40, Ulteriori disposizioni transitorie per l’applicazione della legge regionale 1º giugno 1979, n. 47, recante norme sull’ordinamento della formazione professionale. IX L. reg. 02.03.1982, n. 7, Inquadramento nel ruolo unico regionale del personale del ruolo speciale della formazione professionale e modifiche ed integrazioni delle leggi regionali 17 agosto 1978, n. 51, e 1º giugno 1979, n. 47. X L. reg. 27.08.1982, n. 20, Norme transitorie per l’applicazione della legge regionale 1º giugno 1979, n. 47, riguardante l’ordinamento della formazione professionale in Sardegna. XI L. reg. 31.01.1983, n. 6, Norme transitorie per l’assunzione con contratto a termine di personale docente della formazione professionale per l’anno formativo 1982-1983. XII L. reg. 11.08.1983, n. 17, Disposizioni transitorie per l’applicazione della legge regionale 1° giugno 1979, n. 47, recante: “Ordinamento della formazione professionale in Sardegna”. XIII L. reg. 11.08.1983, n. 18, Modifica all’articolo 7 della legge regionale 1° giugno 1979, n. 47. Recante: “Ordinamento della formazione professionale in Sardegna”. XIV L. reg. 06.04.1984, n. 10, Norme transitorie per l’assunzione con contratto a termine di personale docente della formazione professionale per l’anno 1983-1984. XV L. reg. 23.03.1985, n. 4, Disposizioni transitorie per l’applicazione della legge regionale 1° giugno 1979, n. 47, recante norme sull’ordinamento della formazione professionale in Sardegna. XVI L. reg. 13.06.1989, n. 42, Assunzione di personale docente presso i centri degli enti privati e presso i centri regionali di formazione professionale - Modifica degli articoli 5, 6 e 7 della legge regionale 2 marzo 1982, n. 7. 6.2. La legislazione organica Le dieci leggi organiche appartengono a Regioni che: o rivedono la loro normativa emanata prima della Legge quadro (Veneto e Marche nel 1990, Provincia Autonoma di Bolzano e Lazio nel 1992, Liguria nel 1993); o provvedono ad emanare una nuova legge (Basilicata nel 1990, Toscana nel 1994, Piemonte, Abruzzo e Molise nel 1995) pur avendo già regolamentato il settore dopo la L. n. 845/78. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 248 249 377 In B.U.R. VENETO, n. 8/1990. 378 Cfr. vol. II, p. 112. Di queste dieci leggi forniamo una rapida informazione, seguendo l’ordine cronologico di emanazione. Regione Veneto - La L. reg. 30.01.1990, n. 10 Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro377 può essere definita la prima legge di seconda generazione, secondo l’espressione utilizzata dall’Isfol378. La prima perché vi si ritrovano insieme tutti gli elementi che caratterizzano questa tipologia di legislazione regionale, (la programmazione unitaria delle politiche attive del lavoro, la messa a regime dei sistemi di valutazione ex ante, in itinere ed ex post, il modello agenziale del CFP, ecc.) e che in leggi degli Anni ’80 cominciano a comparire a livello embrionale o comunque in forma non compiuta. La struttura della legge si muove su due traiettorie: la previsione di una programmazione unitaria di tutte le componenti della politica del lavoro e la regolamentazione di ciascuna componente. La Regione adotta un programma triennale, che stabilisce: a) gli obiettivi degli interventi rispetto al programma regionale di sviluppo; b) le tipologie di intervento della Formazione Professionale, della informazione e dell’orientamento al lavoro, della politica del lavoro e delle iniziative non ricorrenti dell’Osservatorio del mercato del lavoro e della professionalità; c) l’ammontare delle risorse e la ripartizione tra i vari interventi. La Giunta regionale attua il programma triennale attraverso la predisposizione di piani annuali. Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale presenta al Consiglio con la nuova proposta di programma una relazione sui risultati di quello precedente. Nella formazione del Programma triennale un ruolo strategico è rappresentato da un Comitato interassessorile, denominato Gabinetto economico, composto da assessori, chiamato a garantire il coordinamento di tutti gli interventi e la congruità con il Programma Regionale di Sviluppo. Spetta al Gabinetto economico elaborare la proposta del Programma triennale e di sovrintendere alla sua attuazione. Spetta, invece, al servizio di programmazione e valutazione per le politiche formative “predisporre gli elementi utili alla elaborazione del programma triennale”. Inoltre, per assicurare al Piano triennale una base conoscitiva tecnico-scientifica, l’Osservatorio Regionale del Mercato del Lavoro e della professionalità, con un’attività sistematica, rileva dati, svolge analisi, proiezioni e previsioni e diffonde informazioni relative alle dinamiche della domanda e dell’offerta e del sistema produttivo e formativo.. Le norme che riguardano i soggetti che possono realizzare interventi formativi riproducono la distinzione classica tra gestione diretta (Giunta regionale nei propri CFP) e gestione convenzionata (gli Enti od organismi della L. n. 845/78, le associazioni di impresa, le imprese e loro consorzi, gli istituti di Istruzione Secondaria superiore). Per interventi destinati a ruoli apicali o a professioni innovative la Regione storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 249 379 In B.U.R. BASILICATA, 7 marzo 1990. 250 ha la possibilità di convenzionarsi o di consorziarsi con Università, Centri di ricerca, Istituti di formazione, Camere di commercio, Enti di promozione settoriale, associazioni di imprese e loro consorzi. Regione ed Enti operano normalmente attraverso i CFP che non sono solo luogo di realizzazione dell’intervento formativo ma anche sede in cui si erogano una pluralità di servizi connessi alle politiche del lavoro. La Legge elenca tutte le possibili azioni formative che praticamente riguardano tutti gli utenti e tutte le posizioni rispetto al mercato del lavoro. Ogni azione formativa, anche quelle di carattere ricorrente, deve essere predisposta mediante l’elaborazione di un apposito progetto (cfr. Fig. n. 50) che indichi: a) il raccordo con la domanda formativa del territorio e le relative possibilità occupazionali; b) i requisiti di partecipazione, le modalità di selezione e le eventuali azioni di orientamento richieste; c) gli obiettivi che si intendono raggiungere; d) le risorse necessarie, anche in terrmini di personale; e) le attività didattiche e valutative (continue e finali) e la loro articolazione; f) le eventuali forme di alternanza formazione-lavoro; g) il piano dei costi. La Giunta regionale può promuovere la costituzione di Centri polo per la ricerca e la sperimentazione. Regione Basilicata - Le scelte che caratterizzano la L. reg. n. 7 del 2 marzo 1990 Ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale379 possono essere così sintetizzate: a) necessità di introdurre un sistema di valutazione di efficienza ed efficacia delle attività formative, per realizzare il quale viene creato un’apposita unità operati- Figura n. 50 - Struttura del Progetto (L. reg. 10/90 Veneto) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 250 251 va, alla quale spetta anche l’elaborazione degli ordinamenti didattici; b) la riproposizione classica del processo programmatorio articolato in piano pluriennale ed annuale; c) la possibilità da parte della Regione di sostenere finanziariamente moda lità formative anche non legate ad una strutturazione corsuale o anche non realizzate nel territorio regionale; d) il superamento del modello di Centro di Formazione Professionale come sede logistica di mera erogazione corsuale, per l’assunzione di un modello organizzativo che valorizzi il CFP nel ruolo di terminale-territoriale delle politiche attive del lavoro di competenza regionale. In questa accezione il Centro di Formazione Professionale si connota per una pluralità di funzioni che vedono come referenti o la Regione stessa (partecipazione alla rilevazione sistematica del mercato del lavoro) o il sistema produttivo (consulenza e assistenza tecnica nella progettazione e gestione di fenomeni formativi) o una utenza “territoriale” (servizi di orientamento, come da Fig. n. 51). È evidente la logica sottesa da questa impostazione: rompere l’autarchica situazione di isolamento della Formazione Professionale, per reinserirla in un circuito di produttivi rapporti istituzionali e funzionali; e) la riaffermazione della impostazione “ideologica” della Legge quadro in merito al problema della gestione (convenzione con soggetti culturalmente e tecnicamente parametrati) ma nello stesso tempo recupero della logica “funzionale” (per l’attività di alta qualificazione la possibilità di convenzionarsi o costituire appositi consorzi con imprese, organismi di ricerca, Università...); f) la delega alle Comunità montane solo della gestione dei Centri regionali; g) la regolamentazione di servizi e attività di orientamento, da realizzarsi nei CFP, collegati in rete con una struttura centrale di documentazione (vedi Fig. n. 51 ). L’articolato, poi, contiene molte norme di dettaglio che regolamentano la quotidianità della vita del sistema (relative al controllo sociale dei CFP, come posizioni e commissioni di esami, struttura delle convenzioni…). Figura n. 51 - Attività e servizi del sistema di orientamento (L. reg. 7/90 Basilicata) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 251 252 Regione Marche - La L. reg. 26 marzo 1990 n. 16 Ordinamento del sistema regionale di formazione professionale380 sostituisce una vecchia legge del 1976, la n. 24. È un provvedimento che recepisce alcune istanze della nuova cultura della Formazione Professionale, ma in parte rimane ancorato a posizioni degli Anni ’70. Una delle novità più rilevanti è il nuovo soggetto di delega: non più i Comuni con il vincolo di associazione, ma la Provincia. Alla Regione spettano funzioni strategiche e alla Provincia quelle attuative. Per questo viene affidata alla Provincia la predisposizione del Piano annuale e alla Regione quello triennale (determinazione degli obiettivi, delle risorse finanziarie e dei criteri della loro ripartizione tra la Regione e gli Enti delegati e tra le varie attività). La Provincia nella formazione del Piano annuale si avvale di un comitato tecnico consultivo (composto da rappresentanti delle Istituzioni locali, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, del mondo della Scuola). Spetta alla Provincia anche la stipula delle convenzioni, l’erogazione dei finanziamenti, la vigilanza e il controllo sulle attività degli Enti, ma anche la realizzazione degli interventi per l’orientamento professionale. Grande centralità viene riservato al concetto di progetto e alla prassi della progettazione. I soggetti attuatori presentano le proprie proposte di intervento sotto forma di progetto formativo e le Province provvedono alla costituzione di appositi uffici di progettazione. Per quanto riguarda la gestione vengono riproposte le previsioni della Legge quadro, relativamente sia ai soggetti che ai requisiti che debbono possedere. I CFP pubblici sono chiamati Scuole regionali e sono governate da un Consiglio di amministrazione, mentre nei CFP degli Enti opera un Comitato di controllo sociale che esprime pareri su tutti gli aspetti della vita del centro: bilanci preventivi e consuntivi; proposte di attività da inoltrare all’Ente delegato; programmi didattici adottati dagli organi dei docenti e le verifiche periodiche e finali; piani di utilizzazione del personale docente e non docente. Sono queste le ultime previsioni che ci richiamano la cultura di democrazia diretta degli Anni ’70. Provincia Autonoma di Bolzano - La L. prov. 12.11.1992, n. 40 Ordinamento della formazione professionale sostituisce la L. reg. n. 9 del 1962381. Essa si caratterizza per un impianto essenziale, che detta principi e disegna a grandi linee il sistema programmatorio (pluriennale e annuale) e quello gestionale, (strutture organizzative provinciali della Formazione Professionale o di terzi: privati, Enti pubblici, Istituti ed Università mediante convenzione, che possono ricevere contributi, fino ad un massimo dell’80% delle spese di gestione); entra più in dettaglio nella declinazione delle tipologie formative (di breve durata, annuali, pluriennali o a cicli modulari). Grazie all’autonomia legislativa “esclusiva” in materia di addestramento-formazione di cui beneficia la Provincia, la L. n. 40/92 prospetta soluzioni non proponibili in Regioni a statuto ordinario. Infatti, prevede interventi formativi utili per conseguire: a) “l’adempimento dell’ultima fase dell’obbligo scolastico in alternativa alla 380 In B.U.R. MARCHE, 30 marzo 1990, n. 43. 381 In B.U.R. BOLZANO (Prov.), del 18 settembre 1962. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 252 253 frequenza di una scuola secondaria superiore”; b) “diplomi previsti per specifiche aree professionali, ai sensi e per gli effetti della normativa comunitaria”. Segnaliamo due caratteristiche ulteriori, tipiche del mondo formativo tedesco: l’insistenza sull’alternanza formazione-lavoro in azienda (“durante l’anno scolastico; durante le ferie scolastiche; a conclusione dei corsi”) e una standardizzazione dei percorsi didattici e relative prove d’esame. Regione Lazio - Con la legge di Bolzano, la L. reg. n. 23 del 25 febbraio 1992382 della Regione Lazio ha in comune quasi solo il nome: Ordinamento della formazione professionale. Tanto era snella quella (quasi una Legge “quadro”) quanto è strutturata questa. La Legge provinciale si occupava solo di Formazione Professionale, quella della Regione Lazio dell’Orientamento e della Formazione Professionale (sia finanziata sia solo autorizzata) ma come “settori d’intervento” di un “sistema unitariamente programmato”, quello delle politiche formative. La Legge introduce nel sistema laziale la delega alle Province e alla Città metropolitana. Alla Regione, oltre ai rapporti con le autorità nazionali comunitarie ed internazionali, spettano le funzioni di programmazione (predisposizione dei piani pluriennali ed annuali) e di indirizzo (definizione dello schema-tipo delle convenzioni, degli indirizzi di programmazione didattica e dei requisiti per il riconoscimento dell’idoneità delle strutture e delle attrezzature) la vigilanza e il controllo delle attività. Alle Province, di fatto, veniva delegata solo la gestione dei Centri di Formazione Professionale regionali, dei Centri dei Comuni in convenzione con la Regione, degli interventi formativi in agricoltura svolti dall’Ente regionale di sviluppo agricolo nel Lazio (ERSAL). La Legge prevedeva anche la possibilità di delegare alle Province competenze relative ai piani di FSE, trascorso un triennio dalla emanazione della Legge stessa. Tra i soggetti attuatori, individuati sulla falsariga di quanto prevede la L. n. 845/78, vengono esplicitamente previsti gli enti bilaterali (costituiti sulla base di accordi nazionali tra associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative). I soggetti attuatori operano in Centri di Formazione Professionale, in strutture aziendali o in altre strutture idonee. La Legge, poi, dettaglia norme relative alla vita dei Centri di Formazione (collegio dei docenti, comitato di partecipazione sociale) ai rapporti tra Regione e soggetti/strutture operative (convenzioni, finanziamenti, rendicontazione), che più opportunamente potevano figurare in un Regolamento attuativo. Regione Liguria - La Legge n. 52 del 5 novembre 1993, Disposizioni per la realizzazione di politiche attive del lavoro383, prevede un unico atto programmatorio di tutti gli strumenti che attuano la politica del lavoro: a) il monitoraggio dell’attività produttiva e dell’occupazione; b) l’Orientamento professionale; c) la Formazione Professionale; d) la promozione occupazionale. 382 In B.U.R. LAZIO, 10 marzo 1992, n. 7. 383 In B.U.R. LIGURIA, 24 novembre 1993 n. 24. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 253 254 384 Rispetto a quella convenzionata, dove le spese (definite in relazione a parametri prefissati) sono completamente coperte, nella “sovvenzionata” si eroga solo un “contributo”, definito in sede di Piano triennale. Per realizzare il monitoraggio dell’attività produttiva e dell’occupazione la Legge istituisce l’Osservatorio del Mercato del Lavoro come struttura organizzativa regionale, la cui attività tecnico-scientifica è indirizzata e coordinata da un apposito Comitato. L’Orientamento professionale, svolto dalle Province, tramite strutture pubbliche o soggetti privati convenzionati, è rivolto a tutte le utenze, giovanili ed adulte, inserite nel mondo della Scuola o in stato di disoccupazione e inoccupazione, e si realizza mediante attività informative e formative, che si concretizzano in interventi all’interno di percorsi formativi, nella diffusione di materiali informativi e nella consulenza individuale. La Formazione Professionale (“insieme organico di attività teoriche, pratiche e di esperienze di lavoro finalizzate al conseguimento di un definito livello professionale), accompagna tutti gli snodi dei processi di transizione: dalla scuola al lavoro, dalla disoccupazione al lavoro e dal lavoro al lavoro (l’elenco delle tipologie dei destinatari degli interventi prevede, tra gli altri, quanti abbiano concluso il biennio iniziale di Scuola Secondaria superiore). Spetta alla Provincia la definizione del Piano annuale degli interventi. All’atto della prima iscrizione ad un corso ogni allievo viene munito di un libretto formativo personale nel quale viene registrato il suo curriculum formativo. Le soluzioni prospettate per i soggetti che possono proporre-realizzare attività formative si muovono rigorosamente all’interno delle previsioni della Legge quadro: a) strutture pubbliche (che con la delega alle Province diventano Centri provinciali per la Formazione Professionale); b) Enti, iscritti in un Albo regionale a seguito dell’accertamento di requisiti predefiniti e che sostanzialmente sono quelli della L. n. 845/1978; c) imprese. La Legge prevede per gli Enti di formazione, oltre alla possibilità di un’attività convenzionata, anche un’attività “sovvenzionata”384 in pre- Figura n. 52 - Gli strumenti per la politica attiva del lavoro (L. reg. n. 52/93 Liguria) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 254 255 senza di un accordo tra le parti sociali che garantisca l’occupazione dei partecipanti al termine dell’intervento formativo. Sono regolamentate anche le attività realizzate da privati con fini di lucro. Il regime di delega alle Province (relativo alla programmazione attuativa e alla gestione della Formazione Professionale e dell’Orientamento), introdotto con questa Legge, ha inizio con il 1° gennaio 1994, data in cui vengono trasferiti i beni mobili e immobili e il personale dei Centri di Formazione Professionale e delle strutture di orientamento, gestiti, fino ad allora dalla Regione. Regione Toscana - La L. reg. n. 70/94 Nuova disciplina in materia di formazione professionale385 sostituisce una norma di 9 anni prima. La nota di fondo di questa Legge va forse ravvisata nell’idea di integrazione e partecipazione allargata. Viene richiamata l’espressione europea del “dialogo sociale” con le parti sociali per la loro partecipazione all’osservazione del mercato del lavoro e alla programmazione e verifica di efficacia ed efficienza degli interventi relativi a contratti a causa mista o alla Formazione Continua o ai lavoratori in situazione critica. Vengono usate le espressioni “collaborazione, reciproco coordinamento delle attività e idonee forme di integrazione operativa” con l’ordinamento scolastico statale e con le Università, da realizzarsi mediante intese, accordi anche di programma e convenzioni. In particolare, possono essere programmati e realizzati progetti integrati di orientamento e formazione curricolare e professionale: a) per la prevenzione o recupero della dispersione scolastica e universitaria; b) per gli allievi della Scuola Secondaria superiore e dei corsi universitari, per favorire ed accelerare l’inserimento lavorativo al termine del ciclo di studi; c) per il recupero e consolidamento di conoscenze e competenze per soggetti adulti. L’idea dell’integrazione tocca anche i centri di interesse regionale, una novità rispetto alla legislazione precedente. Questi centri sono organismi o moduli organizzativi, partecipati o riconosciuti dalla Regione; operano in riferimento a specifici comparti di attività economiche o a gruppi omogenei di professionalità e svolgono attività a carattere formativo o ad esse connesse (studio, ricerca applicata, sperimentazione, documentazione, consulenza ed assistenza tecnica). Nei centri di interesse regionale è garantito l’apporto integrato di almeno una agenzia formativa, l’Università, almeno una impresa o consorzio o associazione di imprese dell’area tematica di riferimento del centro. L’individuazione dei centri di interesse regionale e la partecipazione o il riconoscimento della Regione è di competenza del Consiglio regionale. Per quanto riguarda gli altri soggetti gestionali la Legge toscana va al di là della Legge quadro. Infatti, oltre ai soggetti menzionati nella Legge quadro (pubblici e del privato sociale) la norma si spinge ad includere “altri soggetti, costituiti senza fini di lucro”. La Legge riserva un particolare rilievo ai corsi riconosciuti o “assentiti”. Gli interventi e le attività sono programmati ed attuati in rapporto di reciproco 385 In B.U.R. TOSCANA, n. 60, parte prima del 7 settembre 1994. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 255 256 coordinamento con le attività di osservazione e di governo del mercato del lavoro, di Orientamento e di Istruzione professionale, di promozione e sostegno del diritto allo studio e di aiuto all’occupazione. La nuova norma cambia il soggetto di delega: non le Comunità montane ma le Province. Questo configura un nuovo iter programmatorio, di cui parleremo più diffusamente nella scheda riservata alla Regione. Molto spazio è riservato alla valutazione, monitoraggio e controllo di gestione. Tutti gli interventi sono soggetti a valutazione, preventiva, in corso di attuazione e successiva, da parte della Regione o delle Province. Le Province redigono ed approvano, contestualmente alla rendicontazione finale degli interventi previsti nel programma annuale, una relazione sull’attività. La Regione attua il monitoraggio degli interventi programmati mediante la rilevazione e la raccolta, l’elaborazione e la valutazione di informazioni e dati significativi, nell’ambito di apposito sistema informativo. I dati di sintesi risultanti dall’attività di monitoraggio sono raccolti annualmente in apposito documento corredato da una relazione esplicativa, valutativa e propositiva; tale documento è poi inoltratato alla Giunta e al Consiglio. Regione Piemonte - La L. n. 63/95386 del Piemonte, come quella laziale, si occupa dell’Orientamento e Formazione Professionale, come rivela chiaramente il titolo Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale. All’inizio sono elencati i criteri con cui si intende organizzare il sistema: a) organicità (gli obiettivi formativi mettono in relazione i fattori tecnologici, economici, sociali, culturali e informativi con la produzione di beni e servizi e la partecipazione allo sviluppo sociale ed economico); b) progettualità (le azioni sono ricondotte ad obiettivi 386 In B.U.R. PIEMONTE, 19 aprile 1995, suppl. al n. 16. Figura n. 53 - I Centri di interesse regionale (L. reg. n. 70/94 Toscana) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 256 257 espliciti e coerenti); c) flessibilità (rispondenza alle esigenze delle singole persone e alle dinamiche del sistema economico e produttivo); d) continuità (le azioni sono organizzate per l’intero arco della vita); e) concertazione con le parti sociali; f) pluralismo (valorizzazione delle proposte formative presenti sul territorio); g) integrazione con il sistema scolastico e con il mondo produttivo; h) distinzione delle competenze tra Regione e Province387. Le diverse attività formative, che riguardano tutto l’arco della vita, sono caratterizzate da una pluralità di azioni formative integrate. In particolare, esse si caratterizzano per la differenziazione didattica di modalità e strumenti di attuazione e comprendono, tra le altre, azioni di individuazione ed accoglienza degli utenti, di orientamento e rimotivazione, di docenza in aula e di esercitazioni in laboratorio, di formazione aperta, di autoistruzione assistita, di apprendimento esperienziale guidato. Le azioni di Orientamento professionale (supporti informativi sulle opportunità formative e lavorative; unità didattiche, moduli e stages di orientamento nei percorsi scolastici e di Formazione Professionale; consulenza e azioni di supporto decisionale individuali e collettive) sono realizzate dai Comuni, dalle Comunità montane, dalle Province che provvedono sia direttamente o tramite Enti da essi costituiti o partecipati o mediante convenzione con Enti con finalità statutaria di Orientamento professionale e dalle agenzie di Formazione Professionale. La Legge prevede la delega alle Province in materia: di individuazione dei fabbisogni formativi (secondo le specifiche tecniche definite dalla Giunta Regionale), formulazione di proposte e pareri obbligatori sui Programmi triennali e sulle diret- 387 Alcuni dei criteri erano presenti anche nella L. n. 8/80 (progettualità, flessibilità, pluralismo) altri presenti nella vecchia Legge sono presenti nella nuova con denominazioni nuove (programmazione prima e organicità ora, apertura prima e concertazione ora), altri ancora compaiono solo nella nuova Legge (delega e integrazione). Figura n. 54 - Criteri di organizzazione del sistema regionale (L. reg. 63/95 Piemonte) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 257 258 tive annuali, approvazione e di progetti territoriali e dei piani Provinciali di politica del lavoro, riconoscimento dei corsi “liberi”, nomina delle commissioni di esame. Il processo programmatorio si realizza mediante tre tipi di documenti: Programma triennale (riguarda gli obiettivi e le strategie), Direttive annuali (riguarda modalità attuative del Programma triennale), Piano annuale (definisce interventi e soggetti attuatori). Soggetti attuatori e relativi requisiti sono, sostanzialmente, quelli previsti dalla Legge quadro. Cambia il nome delle loro strutture operative: non più Centri di Formazione, ma Agenzie formative. Grande rilevanza ha il tema della valutazione. Regione Abruzzo - La L. reg. n. 111/95 è la seconda legge che la Regione approva dopo l’emanazione della Legge quadro nazionale. La precedente, la n. 63 del 1979, viene esplicitamente abrogata. Naturalmente l’una e l’altra normativa rimangono sulla scia della Legge quadro, ma nella Legge n. 111/95 si avverte il peso del dibattito e delle acquisizioni culturali dei decenni ’80 e ’90. Segnaliamo le differenze più importanti. Nella nuova Legge: a) non si parla più di delega, precedentemente affidata alle Comunità montane e non montane; b) vengono regolamentati sia la Formazione Professionale (iniziale, superiore e continua) che l’Orientamento professionale, le cui attività (formazione, informazione e consulenza), almeno sul versante pubblico, sono attuate dai Centri Regionali di Formazione Professionale; c) si insiste con particolare enfasi su “un sistema integrato”, nel senso che viene valorizzata la partecipazione (scambio di informazioni e conoscenze ma anche di progettazione comune di interventi) delle organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro, delle amministrazioni del Sistema Scolastico, delle Università, dei Centri di ricerca, degli attori della Formazione Professionale. Per promuovere il sistema integrato, la Legge prevede momenti di coordinamento e di gestione specifici. Infatti, per favorire e coordinare le interazioni di questa rete di soggetti si istituiscono e si riorganizzano specifici “Organismi tecnici regionali”: l’Osservatorio del Mercato del La- Figura n. 55 - Organismi tecnici regionali (L. reg. n. 111/95 Abruzzo) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 258 259 voro, l’Ufficio regionale per la gestione amministrativa e contabile, il Comitato tecnico di valutazione e controllo (monitoraggio, valutazione ex ante, in itinere ed ex post, controlli di efficacia e di efficienza) e il Coordinamento regionale delle attività di Orientamento professionale (indirizzo e coordinamento dei centri pubblici di orientamento e di quelli organizzati da operatori e strutture private, cfr. Fig. n. 55). Sul piano gestionale, invece, si danno vita a Centri di interesse regionale per realizzare interventi di elevata qualità; Centri composti, anche in forma temporanea, almeno, da un’agenzia formativa, da un’Università, da un’impresa o associazione di imprese. Regione Molise - La L. reg. n. 10/1995 Nuovo ordinamento della formazione professionale388 abroga e sostituisce la normativa emanata 12 anni prima, la n. 3/1985 Disciplina della formazione professionale nel Molise. In linea con le leggi regionali di “seconda generazione” la n. 10/95 prevede una programmazione unitaria delle politiche del lavoro: orientamento, formazione, osservazione del mercato del lavoro e misure per l’occupazione e l’imprenditorialità. Per le attività di orientamento, il Piano annuale stabilirà la possibilità di utilizzare i CFP pubblici e convenzionati. L’Osservatorio del Mercato del Lavoro viene costituito come sezione dell’Assessorato regionale alla formazione. A differenza dell’Abruzzo che recede dalla delega delle funzioni a soggetti sub-regionali, il Molise la introduce per la prima volta, affidandola alle due Province. Gli ambiti di competenza della Regione vengono così delimitati: oltre ai rapporti con autorità nazionali e internazionali, le spettano le funzioni relative alla programmazione, regolamentazione, indirizzo, coordinamento e valutazione, mentre alle Province sono riservate la gestione dei Centri di Formazione Professionale ex regionali, la vigilanza tecnica ed amministrativa sulle attività formative convenzionate, la nomina delle commissioni d’esame, la stipula e la revoca delle convenzioni con i soggetti attuatori. Particolarmente dettagliate risultano le procedure per la pianificazione annuale delle attività: il processo inizia con l’emanazione di direttive sugli obiettivi (ripartizioni finanziarie per settori/aree produttive, per tipologie formative definite in relazione alle utenze e ai livelli professionali per provincia) e sulle modalità con le quali gli interventi formativi devono essere progettati ed attuati. Segue la proposta delle iniziative da parte dei soggetti attuatori mediante progetti, elaborati su formulari predefiniti dalla Regione, e la loro valutazione per accertarne la rispondenza agli obiettivi programmatici e alle specifiche esigenze socio-economiche territoriali, l’adeguatezza e fattibilità tecnica, la conformità alle direttive regionali e la congruità dei costi previsti. Le risultanze di tale processo valutativo costituiranno il Programma annuale. Per l’acquisizione di competenze imprenditoriali e manageriali, di alte specializzazioni o di ruoli professionali avanzati si può fa ricorso a imprese, Università, organismi di ricerca e di formazione, anche mediante la costituzione di 388 In B.U.R. MOLISE, del 01/04/95 n. 7. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.26 Pagina 259 260 appositi consorzi o società miste o società consortili. La legge allarga ulteriormente il panel di soggetti attuatori includendo anche gli istituti scolastici, da soli o in consorzio, anche insieme ad Enti e aziende per azioni formative destinate agli alunni ancora inseriti nella scuola media superiore o qualificati o diplomati. La L. n. 10/95 assume il modello di CFP agenziale, cioè di una struttura che non si limita alla erogazione degli interventi formativi, ma è anche in grado di realizzare sperimentazioni didattiche, attività di formazione a distanza, servizi per l’Orientamento professionale e per l’osservazione di fenomeni attinenti al mercato del lavoro, attività di progettazione formativa e di informazione, assistenza e consulenza sulle politiche formative ed occupazionali delle piccole imprese. La Legge, infine, prevede la costituzione di un consorzio aperto alla partecipazione delle Province e dei soggetti attuatori, per attività di studio ed erogazione di servizi nel campo delle politiche formative ed occupazionali. La quota di partecipazione della Regione non può essere inferiore al 51% del capitale iniziale. 6.3. Lettura sinottica della legislazione organica Se si escludono la Legge della Provincia di Bolzano e quella delle Marche, gli altri provvedimenti esaminati possono essere considerati come leggi della “seconda generazione”389. Con questa espressione l’Isfol definisce un modello normativo delle 389 Cfr. volume II, p. 112. Figura n. 56 - Servizi erogabili dal CFP (L. reg. n. 10/95 Molise) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 260 261 leggi regionali, che pur rifacendosi necessariamente alla Legge quadro del 1978, tiene presente le acquisizioni del dibattito della seconda metà degli Anni ’80 e dei primi Anni ’90 (in particolare, come vedremo più avanti, una programmazione unitaria di tutto l’arco delle politiche attive del lavoro, la previsione di un’attività sistemica di monitoraggio-valutazione, la configurazione del CFP come sede di erogazione di una pluralità di servizi attinenti le politiche del lavoro). Non comprendiamo in questo gruppo di normative la legge marchigiana per la sua posizione singolare: acquisisce alcuni elementi della nuova cultura, ma per altri ripropone posizioni, a nostro avviso, “più attardate” e comunque nell’insieme non presenta in maniera sistematica gli elementi caratterizzanti le leggi di seconda generazione. Non includiamo in questa tipologia di leggi nemmeno quella Toscana. È vero che dà molto spazio al processo di valutazione, ma, per quanto riguarda quello di programmazione si limita a prevedere un blando “reciproco coordinamento” tra attività formativa e l’osservazione del mercato del lavoro, l’orientamento e l’aiuto all’occupazione. Un’annotazione preliminare importante, che vale per la produzione normativa, in genere, per quella della Formazione Professionale, in particolare. Nel corpus legislativo della Formazione regionale si verifica, in misura considerevole, uno scollamento tra norma e la sua effettiva applicazione. La Legge prevede comportamenti, procedure e istituzioni che non riscontriamo nella struttura e nella prassi delle Regioni. D’altra parte la stessa Legge quadro presenta ampie zone normative a cui non si è dato mai seguito. Alcuni esempi: la configurazione nuova dei CFP come erogatori di una pluralità di servizi afferenti le politiche del lavoro, presenti nei provvedimenti di Basilicata e Molise, ha avuto parziali ed effimere realizzazioni; i Centri di interesse regionale per realizzare interventi di elevata qualità dell’Abruzzo sono rimasti sulla carta. 6.3.1. Il rapporto Formazione Professionale e politiche attive del lavoro La prima acquisizione riguarda il rapporto della Formazione Professionale nei confronti delle politiche attive per il lavoro, le politiche cioè che tendono a prevenire la disoccupazione mediante iniziative da parte delle istituzioni pubbliche per promuovere l’occupazione e l’inserimento lavorativo, inteso sia come lavoro dipendente sia come auto-impiego e quindi creazione di nuova imprenditorialità390. 390 BAGLIONI P., Il ragno e la ragnatela: le politiche attive del lavoro a livello locale, F. Angeli, Milano 1985; BORZAGA C., BRUNELLO G., L’impatto delle politiche attive del lavoro in Italia, Edizioni Scientifiche Italiane, Roma 1997; MONTANINO A., Dalle politiche passive alle politiche attive del lavoro: il ruolo della formazione professionale, Centro studi Confindustria, Roma 1998; GRASSELLI P., MONTESI C. (a cura di), Le politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune, F. Angeli, Milano 2010; CANTALUPI M., DEMURTAS M., Politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e valutazione: esperienze e percorsi in Italia e in Europa, Il Mulino, Bologna 2009; ALTIERI L., TOGNI D., Valutazione e politiche attive del lavoro: esperienze in Emilia Romagna, F. Angeli, Milano 2005; FANELLI N., Le politiche attive del lavoro: analisi sociologico-giuridica di un caso di decentramento amministrativo, Editrice Montefeltro, Urbino 1999. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 261 262 In questa definizione i potenziali destinatari delle politiche attive sono tutti coloro che non sono ancora nella vita attiva391. Per meglio comprendere l’importanza di un approccio preventivo e quindi attivo, occorre, in primo luogo differenziarlo dal cosiddetto approccio curativo, quello, cioè delle politiche passive per l’occupazione. In modo particolare, nei decenni precedenti, nel nostro Paese, ma anche in altri Stati membri dell’UE, le politiche del mercato del lavoro si sono concentrate soprattutto sui sistemi di protezione sociale e sui meccanismi di sicurezza contro le perdite del reddito, mettendo in moto un meccanismo che alleviava i danni della disoccupazione per coloro che perdevano il lavoro, ma che tuttavia produceva inevitabilmente una situazione di disoccupazione a lungo termine. In questo modo, le risorse finanziarie erano destinate in maniera predominante, attraverso sussidi, alle politiche passive di sostegno della disoccupazione. Quindi politiche dispendiose e che comunque non intervenivano sulle cause prime, cioè i cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro. Progressivamente, però l’atteggiamento dell’Unione europa cambia e nel Trattato di Amsterdam392, del giugno 1997, inserisce il nuovo capitolo “Occupazione”, al fine di coordinare le politiche nazionali in tale materia393. 391 Altre definizioni sono più selettive in quanto i destinatari esclusivi sono persone con particolari esigenze e difficoltà. In una parola gli “svantaggiati”, cioè quelli che sono portatori di criticità occupazionali relative al loro status o al tempo trascorso di attesa del lavoro o all’età, cosi come apprezzati dalle diverse normative nazionali e regionali: LOMBARDI M. (a cura di), Percorsi di integrazione degli immigrati e politiche attive del lavoro, F. Angeli, Milano 2005; CHIAMBRETTO M.L., GENOVESE L., Cooperazione sociale e politiche attive del lavoro: il diritto al lavoro per le persone svantaggiate, Atti del Convegno svoltosi a Torino il 29 febbraio e il 1 marzo 1997 promosso da Regione Piemonte e Comune di Torino, F. Angeli, Milano 1998. 392 I trattati sull’Unione Europea sono un insieme di trattati internazionali tra gli Stati membri che pongono le basi dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Essi danno vita alle varie istituzioni dell’Unione, alle loro procedure e agli obiettivi dell’Unione. Il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (Trattato di Roma, effettivo dal 1958) ed il Trattato sull’Unione Europea (Trattato di Maastricht, effettivo dal1993), costituiscono congiuntamente la base legale dell’UE. Essi sono pertanto conosciuti come trattati fondativi o trattati istitutivi; questi due trattati sono stati modificati diverse volte a partire dalla loro approvazione, per mezzo di trattati emendativi. Quello di Amsterdam si configura, quindi, come un Trattato emendativo. 393 La piena occupazione è sempre stata uno degli obiettivi della Comunità, già presente nel Trattato di Roma. Sin dal principio il Fondo Sociale Europeo (FSE) è stato uno strumento di sostegno volto a promuovere l’occupazione e la mobilità dei lavoratori. Tuttavia, prima del 1997, la cooperazione fra gli Stati membri consisteva soprattutto nella tradizionale collaborazione fra governi in seno a organizzazioni internazionali come l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) piattaforme multilaterali di cooperazione europea e internazionale soprattutto in materia di mercato del lavoro. I problemi strutturali e le difficoltà macroeconomiche degli Anni ’90 hanno fatto emergere l’esigenza di una risposta coordinata a livello europeo. Il “Libro bianco Delors” del 1993 sulla crescita, la concorrenzialità e l’occupazione ha costituito il primo passo verso una vera cooperazione a livello europeo. Sulla base di tale Libro bianco, il Consiglio europeo di Essen identifica cinque obiettivi chiave che gli Stati membri si impegnano a perseguire: “sviluppo delle risorse umane tramite la formazione professionale”, “sostegno agli investimenti produttivi per mezzo di politiche salariali moderate”, “miglioramento dell’efficacia delle istituzioni del mercato del lavoro”, “individuazione di nuove risorse di occupazione attraverso iniziative locali e promozione dell’accesso al mercato del lavoro per alcune categorie specifiche come i giovani, i disoccustoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 262 263 Su questa base i capi di Stato e di Governo avvieranno la Strategia Europea per l’Occupazione (SEO)394, nel corso del vertice di Lussemburgo395. La SEO, dal punto di vista delle politiche attive, ha rappresentato una vera e propria svolta, perché ha posto come principio politico l’obiettivo della prevenzione e dell’attivazione precoce nelle politiche occupazionali e l’importanza di aiutare le persone pati di lunga durata e le donne”. Tuttavia gli obiettivi al centro della “strategia di Essen” erano di difficile realizzazione senza un fermo impegno da parte degli Stati membri. In tale contesto il nuovo capitolo relativo all’occupazione del Trattato di Amsterdam, pur preservando la competenza degli Stati membri nel settore della politica dell’occupazione, rafforza l’approccio comunitario in maniera globale per tutti gli Stati membri dà l’avvio ad una strategia coordinata per l’occupazione. La promozione di una manodopera qualificata e di un mercato del lavoro più reattivo ai mutamenti economici diventa una “questione di interesse comune”. Il trattato costituisce anche il fondamento giuridico per l’istituzione di un comitato dell’occupazione e introduce il voto a maggioranza qualificata nei settori relativi all’occupazione, il che agevola il processo decisionale. 394 L’obiettivo della SEO è ridurre la disoccupazione in maniera significativa a livello europeo in cinque anni. La SEO istituisce un quadro di sorveglianza multilaterale che comprende in particolare una relazione congiunta annuale sull’occupazione, linee direttrici per l’occupazione che fungeranno da base per i Piani di Azione Nazionali (PAN) elaborati dagli Stati membri e le raccomandazioni del Consiglio dei Ministri destinate ai diversi Stati membri. Il coordinamento delle politiche nazionali in materia di occupazione è volto essenzialmente ad impegnare gli Stati membri in una serie di obiettivi comuni incentrati su quattro pilastri, ossia l’idoneità al lavoro, l’imprenditorialità, l’adattabilità e le pari opportunità: a) l’idoneità al lavoro: la lotta alla disoccupazione di lunga durata e la disoccupazione dei giovani, la modernizzazione dei Sistemi di Istruzione e Formazione, un monitoraggio attivo dei disoccupati proponendo loro un’alternativa nel campo della formazione o dell’occupazione (prima di raggiungere i sei mesi di disoccupazione per i giovani disoccupati e i 12 mesi per i disoccupati di lunga durata), la riduzione del 50% dell’abbandono scolastico, nonché l’attuazione di un accordo quadro fra i datori di lavoro e le parti sociali finalizzato all’apertura delle imprese alla formazione e all’acquisizione di un’esperienza; b) l’imprenditorialità: l’applicazione di regole chiare, stabili e affidabili volte alla creazione e alla gestione di imprese e la semplificazione degli obblighi amministrativi per le piccole e medie imprese (PMI). La strategia propone una significativa riduzione del costo derivante dall’assunzione di personale aggiuntivo, una semplificazione del passaggio al lavoro indipendente e della creazione di micro-imprese, lo sviluppo di mercati del capitale di rischio per facilitare il finanziamento delle PMI e la riduzione degli oneri fiscali che gravano sul lavoro entro il 2000; c) l’adattabilità: la modernizzazione dell’organizzazione, la flessibilità del lavoro, la predisposizione di contratti adattabili ai diversi tipi di lavoro, il sostegno alla formazione in seno alle imprese eliminando ostacoli fiscali e mobilitando aiuti statali per migliorare le competenze della popolazione attiva, la creazione di posti di lavoro duraturi e il funzionamento efficiente del mercato del lavoro; d) le pari opportunità: la lotta alle disparità uomo-donna e un maggiore tasso di occupazione femminile da raggiungere con l’attuazione di politiche in materia di interruzione della carriera, congedo parentale, lavoro part-time, servizi di qualità di custodia dei figli. Inoltre la SEO propone agli Stati membri di facilitare il ritorno al lavoro, nello specifico per le donne. In modo particolare, la Strategia europea occupazionale, ha invitato gli Stati membri a coordinare le loro politiche in materia di lavoro intorno a quattro pilastri d’azione prioritaria (occupabilità, imprenditorialità, adattabilità, pari opportunità). 395 Il Consiglio Europeo Straordinario di Lussemburgo, tenutosi nel novembre 1997, ha sancito definitivamente la Strategia Europea rendendola operativa e dando il via ad una serie di indicazioni per gli Stati membri al fine di realizzare in ogni Paese un ciclo annuo di programmazione e controllo delle politiche occupazionali, noto come “processo di Lussemburgo”. Questi elementi, nell’insieme, hanno permesso in concreto di avviare in Italia un modo diverso di fare politica per l’impiego, promovendo diversi strumenti, strategie, programmi e soluzioni innovative per attuare una politica preventiva. Sono da richiamare, a questo proposito, la riforma dei Servizi per l’impiego (decreto legislativo 469/97), il primo Piano d’Azione Nazionale per l’occupazione (NAP) del 1998 predisposto secondo i principi del procedimento lussemburghese, l’avvio della programmazione FSE 2000-2006. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 263 264 prima che siano disoccupate o al momento in cui lo diventano, piuttosto che occuparsi delle loro esigenze solo quando sono prive di lavoro per un certo periodo di tempo. In che maniera le leggi regionali della seconda generazione fanno propria la prospettiva delle politiche attive del lavoro? Non tanto perché considerano la Formazione Professionale uno strumento di tali politiche. Infatti, questa visione era già presente nella Legge quadro, quanto perché allargano il loro spettro normativo anche agli altri strumenti delle politiche del lavoro, sia quando parlano di programmazione degli interventi sia quando parlano delle strutture chiamate a realizzare questi interventi. In questo secondo caso viene chiamata in ballo un’altra acquisizione del dibattito degli ultimi anni; acquisizione per la quale i CFP da struttura di erogazione di interventi formativi dovrebbero diventare strutture che erogano servizi anche relativi alle politiche attive del lavoro. Ricordiamo che le leggi in esame individuano come strumenti delle politiche del lavoro, oltre alla Formazione Professionale, anche l’Orientamento e le misure incentivanti l’occupazione e la imprenditorialità. Qualche Regione annovera tra queste politiche l’osservazione del mercato del lavoro; qualche altra, più correttamente, considera la raccolta e l’analisi dei dati sulla domanda e sull’offerta di lavoro realizzata da appositi osservatori una operazione tecnica preliminare e funzionale alla adozione delle politiche attive. Come evidenzia il Prospetto 26 tutte le leggi di seconda generazione di questo periodo prevedono che la programmazione, strategica e pluriennale o attuativa e annuale, comprenda interventi e attività sia della Formazione che dell’Orientamento professionale; Veneto, per prima, Liguria e Molise, poi, allargano lo spettro programmatorio regionale anche alle misure per la occupazione e l’imprenditorialità e l’osservazione del mercato del lavoro. La Legge veneta esplicita questo disegno già dal primo articolo “Gli interventi […] sono adottati in un quadro programmatico unitario”. La Legge laziale apre con dichiarazioni solenni di principio sulle strategie della politica attiva del lavoro, considerate “quali settori d’intervento di un sistema unitariamente programmato”, ma poi regolamenta solo procedure e struttura dei piani della Formazione e Orientamento professionale. Prospetto n. 26 - Politiche attive considerate nella programmazione regionale storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 264 265 Per quanto riguarda, invece i soggetti che realizzano gli interventi di politica attiva, la situazione prospettata dalle leggi regionali è più eterogenea. Il Veneto mantiene uno spettro molto ampio: i CFP possono realizzare anche attività di “informazione e orientamento al lavoro e di osservazione del mercato del lavoro”, “di assistenza e consulenza a favore delle imprese e di terzi” e per quanto riguarda più propriamente la Formazione Professionale anche la “sperimentazione didattica ed organizzativa”. Su questa scia si pone il Molise: i CFP possano realizzare oltre che interventi di formazione anche attività per l’Orientamento professionale, per l’osservazione di fenomeni attinenti al mercato del lavoro, ma anche di consulenza alle aziende sulle politiche formative ed occupazionali; il Lazio, più prudentemente, prevede la possibilità di affidare ai CFP interventi formativi e orientativi (ma mediante convenzione anche ad Enti pubblici e altri soggetti professionalmente idonei). Prima del Lazio si era messa su queste posizioni la Basilicata. 6.3.2. La valutazione del Sistema Un’altra grande acquisizione del dibattito di quegli anni viene recepita nelle Leggi che stiamo esaminando: la valutazione del Sistema della Formazione Professionale. Il Veneto lega il tema a quello del programma triennale, da un punto di vista concettuale: “Nel processo di programmazione, la Regione adotta come modalità ordinaria la valutazione dell’efficacia ed efficienza degli interventi […]” e da un punto di vista operativo-procedurale: “Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale con la nuova proposta di programma una relazione sui risultati di quello precedente” (cfr. Fig. n. 57). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la Basilicata che prevede la “valutazione di efficacia e di efficienza” dei “progetti organici” contenuti nei programmi triennali ed annuali. Per espletare tali compiti la legge lucana istituisce una apposita unità operativa. Il Lazio negli articoli iniziali dichiara di voler disciplinare “il processo di programmazione- valutazione”. Di fatto, però, la normativa si limita a parlare di valuta- Prospetto n. 27 - Politiche attive realizzate nei CFP storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 265 266 zione: a) negli articoli relativi al Piano pluriennale, quando prevede a carico del Piano la individuazione di “criteri, metodi e parametri per la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia delle iniziative formative[…]” (art. 4) e b) nell’articolo che si occupa di definire le “attività di formazione e studio” a supporto della qualità del sistema regionale, dove si prevedono “studi e ricerche per la definizione di criteri, metodi, parametri per la valutazione della efficienza e dell’efficacia delle iniziative formative” da realizzare da parte di soggetti pubblici ed Enti di ricerca (art. 11). La Regione Liguria, sulla scia del Veneto, pone a carico di ogni Programma triennale l’operazione di valutazione del “precedente funzionamento del Sistema regionale di Formazione Professionale”, e in particolare “della corrispondenza tra risultati ottenuti e le esigenze del sistema economico”. La Legge della Regione Piemonte riserva al tema maggiore rilevanza, dichiarando la valutazione un asse portante dell’azione regionale (“L’azione di valutazione è centrale per il governo del sistema di formazione e orientamento professionale a tutti i suoi livelli”), stabilendone con chiarezza la prospettiva (“La valutazione assume come criterio fondamentale quello della qualità”) e specificandone gli oggetti (progetti, azioni, processi, strutture e professionalità operanti), individuandone le fasi con le relative finalità (“preventiva, con finalità di selezione-accertamento di prerequisiti; in corso di attuazione, con finalità di monitoraggio e vigilanza; successiva immediata, con finalità di verifica; successiva di medio periodo, con finalità di valutazione di impatto”). Figura n. 57 - Il processo di valutazione (L. reg. n. 63/95 Veneto) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 266 267 La L. reg. n. 63/95, però non si limita a dichiarazioni di principio e di massima, ma avanza soluzioni operative organiche ed innovative: prevede, infatti, un soggetto che periodicamente provveda all’elaborazione dei modelli valutativi (il Comitato Guida per la qualità), sulla base dei criteri stabiliti dal Programma triennale e un soggetto che realizzi le operazioni di valutazione (il Nucleo regionale di valutazione). Il prodotto finale di questo laborioso processo di predisposizione di modelli, concettuali ed operativi, di raccolta di informazioni e di operazioni valutative è rappresentato dal Rapporto triennale sullo stato del sistema di formazione e orientamento professionale. Anche la Legge abruzzese, L. n. 111/95, si preoccupa di individuare un soggetto che si occupi della valutazione del Sistema Formativo regionale. Ma, mentre la normativa piemontese affida il compito di elaborare i modelli valutativi e il compito di realizzare la valutazione a due strutture diverse, la L. reg. dell’Abruzzo individua nel Comitato tecnico di valutazione e di controllo il soggetto che svolge l’una e l’altra funzione. Funzione che riguarda tutto ciò che concerne “monitoraggio, valutazione ex ante, in itinere ed ex post, nonché quelle relative ai giudizi di qualità e ai controlli di efficacia e di efficienza”. Il Comitato è presieduto da un dirigente della Regione, ed ha una struttura articolata in nuclei specializzati in relazione alle aree programmate di intervento. Annualmente il Comitato redige, insieme all’Osservatorio Regionale del Mercato del Lavoro, un rapporto che valuta i risultati del Programma annuale. Tutta l’attività del Comitato ha come orizzonte di riferimento “gli indirizzi generali per la valutazione degli interventi formativi” definiti dal Piano pluriennale e i “criteri uniformi specifici e le modalità uniformi per la valutazione dei progetti e la verifica delle attività e dei risultati” specificati dal Capitolato d’oneri, un documento tecnico- operativo, che accompagna il Piano Triennale. Anche la L. n. 10 della Regione Molise dà rilevanza al tema (art. 11). Prevede, infatti, dopo un periodo di sperimentazione, “una sistematica ed organica attività di monitoraggio sull’attuazione delle iniziative formative programmate e valutazione degli esiti delle attività formative” specificandone la prospettiva “sotto il profilo dell’efficacia, intesa come raggiungimento degli obiettivi prefissati e, come efficienza, intesa come rapporto tra obiettivi raggiunti e risorse impegnate”. La Legge abbozza anche un modello concettuale della valutazione di efficacia: “riguarderà gli esiti occupazionali, la utilizzazione delle competenze acquisite durante la formazione nella prestazione lavorativa, le competenze professionali acquisite anche se non ancora esercitate”. A questa precisione concettuale non corrisponde, però, un’individuazione chiara dei compiti delle strutture chiamate dalla Legge ad occuparsi di valutazione. Infatti, in allegato alla Legge viene menzionato, nel nuovo organigramma del Settore Formazione Professionale, un Ufficio Valutazione e monitoraggio, ma senza che ne siano declinati i compiti (Allegato A) e tantomeno vengono definiti i rapporti funzionali tra questo Ufficio e il costituendo Consorzio, a prevalente capitale, regionale, a cui la Legge affida competenze in ordine a “valutazione delle proposte forstoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 267 268 mative, monitoraggio sull’attuazione delle iniziative e valutazione dei risultati ottenuti anche in relazione alle risorse impegnate”. Se disponiamo le posizioni espresse dalle leggi regionali nelle varie macrofasi in cui si articola un processo idealtipico della valutazione (definizione di criteri e parametri di valutazione, elaborazione di modelli di valutazione, attività di monitoraggio e valutazione, risultati prodotti (cfr. Fig. n. 58) si può notare i diversi livelli di maturazione del tema, almeno sul piano normativo, da parte delle Regioni che si sono dotate nel periodo considerato di una legge organica (cfr. Prosp. n. 28). Alcune, infatti, provvedono ad individuare il soggetto che realizza i compiti di tutte le fasi (Piemonte e Abruzzo), altre invece si limitano a far carico alla Giunta Regionale, nella predisposizione del Programma pluriennale, della definizione dei Figura n. 58 - Fasi di un processo di valutazione di sistema Prospetto n. 28 - Soggetti che intervengono nel processo di valutazione del sistema storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 268 269 criteri e a successive attività di ricerca la elaborazione di metodologie e strumenti di valutazione (Lazio), altri prevedono solo l’output finale del processo (Liguria), altri (Molise e Basilicata), infine individuano i soggetti senza specificarne con chiarezza le competenze. Nonostante queste eterogeneità tutte le Leggi esaminate parlano di valutazione. E ne parlano per la prima volta. Le Leggi precedentemente in vigore nelle Regioni che stiamo considerando non utilizzavano mai il termine valutazione, (né la n. 27/79 della Liguria, né la n. 63/79 dell’Abruzzo, né la n. 8/80 del Piemonte), o lo usavano con significati e per contesti diversi (come la n. 10/90 del Veneto, che la riferisce ai processi didattici396 o la n. 14/79 del Lazio che la usa per connotare una relazione di fine attività da parte degli Enti)397, né termini o concetti che contenessero l’idea di un esame e di un giudizio “complessivo” delle attività realizzate e delle strutture utilizzate (cioè del sistema nella sua interezza) assumendo come criteri l’efficacia e l’efficienza. 7.Caratterizzazioni e connotazioni strutturali e funzionali del Sistema di Formazione Professionale regionale 7.1. I macrofenomeni che caratterizzano gli Anni ’90 Per gli Anni ’80 avevamo individuato due fenomeni come quelli che più hanno caratterizzato la Formazione Professionale di quel decennio: le diversità regionali che si sono consolidate in sistemi regionali e il processo di adultizzazione delle utenze. Se cerchiamo di individuare i macrofenomeni maggiormente rappresentativi dei cambiamenti della cultura e della prassi della Formazione Professionale degli Anni ’90, li ravvisiamo: nella importanza decisiva del FSE per la Formazione Professionale italiana tanto che si può parlare di una sua dipendenza culturale e finanziaria e nella nascita e prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua per occupati. 7.2. La dipendenza culturale e finanziaria della Formazione Professionale italiana dalla Ue La Formazione Professionale vive in questo decennio una situazione di fecondo travaglio. Una cosa è certa: la Formazione Professionale delineata dalla Legge quadro 845 non c’è più: o c’è sempre di meno. È, infatti, in forte evoluzione soprat- 396 Art. 22 “Nel certificato di frequenza dovrà essere indicato il tipo di iniziativa formativa di cui trattasi, la durata, le caratteristiche essenziali e la valutazione di profitto”. 397 Art. 25 “Entro il mese di gennaio di ogni anno i suddetti enti presentano una relazione economico- finanziaria sull’attività dei propri centri, che comprenda: la valutazione generale dell’attività formativa svolta”. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 269 270 tutto a causa delle opportunità-sollecitazioni-condizionamenti del FSE, sempre più presente nelle attività e nella regolamentazione del sistema formativo professionale, tanto da poter parlare di una dipendenza (finanziaria e culturale) del nostro Paese nei confronti dell’Unione Europea. 7.2.1. La dipendenza finanziaria Tale situazione di “dipendenza” della Formazione Professionale italiana dalla UE non è determinata da necessità istituzionali né prioritariamente da scelte di carattere politico-formative; ma è dovuta soprattutto a motivazioni di ordine tecnicofinanziario. Le Regioni, infatti, per poter aumentare il volume delle iniziative e diversificarne le tipologie, in misura crescente utilizzano le loro risorse (peraltro rimaste sostanzialmente invariate nel corso degli anni) come sponda pubblica, accanto a quelle messe a disposizione dal Fondo di Rotazione398, per poter utilizzare il cofinanziamento dell’Unione Europea. In altri termini: aumentando le risorse del FSE le Regioni aumentavano la loro quota di cofinanziamento, attingendo alle risorse proprie o a quelle che derivavano loro dal Fondo di Rotazione Ma se le risorse regionali sono utilizzate in maniera consistente, spesso in maniera prevalente, talvolta in maniera esclusiva come sponda al cofinanziamento in tutte le tipologie di offerta formativa, allora la formazione programmata e realizzata con il contributo del FSE diventa consistente, prevalente esclusiva. In altri termini il FSE non interviene solo su alcuni segmenti del volume di attività realizzato dalle Regioni, come avveniva nel passato, ma almeno nella maggior parte di esso. Per misurare il fenomeno descritto si può ricorrere all’indice di dipendenza399, calcolato misurando l’incidenza delle attività dal FSE (e relativa quota di finanziamento regionale) sul totale delle attività approvate dalle amministrazioni responsabili. L’indice di dipendenza del sistema di FP italiano dal FSE per quanto riguarda le azioni e i costi, assumendo come anno di riferimento il 1995, è illustrato nei Grafici 39 e 40. Tale indice per l’intero Paese è pari al 61,3% in termini di azioni, e al 68,3% in termini di spesa; i valori salgono, però, al 69,6% e al 73,2% se si include anche la quota relativa ai POM. La dipendenza dai finanziamenti comunitari presenta una variabilità non rilevante tra circoscrizioni geografiche, mentre differenze più marcate appaiono dal confronto tra le singole Regioni. 398 Il Fondo di Rotazione, istituito dalla Legge 183/87, è lo strumento con il quale lo Stato garantisce la copertura della quota parte nazionale degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali. Le risorse del Fondo – gestito dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica – sono ripartite tra le Regioni (ognuna intestataria di un conto corrente presso la Ragioneria Generale dello Stato) per la copertura delle rispettive quote di cofinanziamento. 399 Cfr. ISFOL, Rapporto nazionale di valutazione del FSE (1994-1995) F. Angeli, Milano 1977. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 270 271 L’analisi con esclusione dei POM mette in evidenza i seguenti fenomeni: – in 11 Regioni il grado di dipendenza dal FSE in termini finanziari è superiore al 90% ed in 4 di queste (tutte del Mezzogiorno) è pari al 100%; – le Regioni (o Province) in cui il grado di dipendenza risulta più contenuto sono in prevalenza quelle a statuto autonomo o speciale, con eccezione della Lombardia che, ancora nel 1995, non aveva attivato se non in minima parte il FSE; – il Mezzogiorno appare più «dipendente» dal FSE rispetto al Centro-Nord in termini di spesa (rispettivamente 71,8% e 65,8%). Se escludiamo la Lombardia, i cui valori bassissimi stanno ad indicare il perdurare di una fase di difficoltà amministrativa, seguita a vicende giudiziarie, le altre Grafico n. 39 - Indici di dipendenza dal FSE delle Regioni del Centro-Nord (valori % calcolati su azioni e costi) Grafico n. 40 - Indici di dipendenza dal FSE delle Regioni del Sud, della circoscrizione Centro- Nord, della circoscrizione Sud e dell’Italia senza o con POM (valori % calcolati su azioni e costi) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 271 272 Regioni o Province Autonome possono essere collocate in quattro categorie, che potremmo denominare “consistente”, se l’attività realizzata con il concorso del FSE si colloca nella fascia percentuale 30-50; “prevalente” per la fascia percentuale 50- 75; “molto prevalente” nella fascia 75-99 e “esclusiva” per le Regioni che realizzano con il FSE tutta la loro attività. Come illustra il Grafico 41 A) e B): 3 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche e Sicilia) e la Provincia Autonoma di Bolzano rientrano nella prima categoria; 3 Regioni (Veneto, Emilia Romagna e Lazio) e la Povincia Autonoma di Trento rientrano nella categoria “prevalente”; la maggior parte delle Regioni, invece, si colloca nella terza (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Campania e Sardegna) e infine, nella categoria “esclusiva” troviamo Molise, Basilicata, Puglia e Calabria. 7.2.2. La dipendenza culturale Naturalmente il FSE non eroga solo risorse finanziarie, ma indica precise scelte programmatiche e impartisce disposizioni regolamentari, o meglio lega le prime alle seconde. Il cofinanziamento è concesso, infatti, subordinatamente al rispetto di vincoli programmatici e procedurali. L’insieme delle decisioni assunte con la riforma dei Fondi Strutturali del 1988 e con la sua revisione del 1993 nonché e i programmi e le iniziative comunitarie operative negli Anni ’90, non rappresenta solo la politica di Formazione Professionale della Comunità/Unione, ma costituisce un riferimento decisivo per il nostro Paese a tal punto da configurarsi sostanzialmente come il quadro programmatico-regolamentare da cui si fanno derivare le più importanti scelte di carattere contenutistico e procedurale che connotano i sistemi formativi regionali. Per questo abbiamo parlato di dipendenza culturale. Locuzione impropria se si tiene presente sia il contributo determinante dei paesi membri nella elaborazione dei Piani e dei programmi, sia la condivisibilità sostanziale delle scelte effettuate dalla UE; connotazione corretta, però, si constata, su un piano meramente fenomenologico, che le Regioni, alle quali Grafico n. 41 A) e B) - Distribuzione delle Regioni e Province in quattro categoria di indici di dipendenza. (A = V.A; B = V.%) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 272 273 il nostro ordinamento costituzionale affida la competenza in materia di Formazione Professionale, hanno disegnato e debbono necessariamente disegnare le proprie programmazioni di attività ed i propri assetti sulle decisioni della Comunità, per cui mutamenti profondi e organici, anche se condivisi e partecipati, sono stati e sono indotti da sollecitazioni esogene alle Regioni stesse. Per misurare l’impatto della politica del FSE nei confronti del processo e di coinvolgimento nei conronti dei destinatari dei nostri sistemi regionali si possono utilizzare due tipi di analisi: – osservare la presenza di disposizioni comunitarie che intervengono nelle diverse fasi del processo produttivo della Formazione Professionale (programmazione, orientamento, gestione, monitoraggio valutazione); – rilevare le tipologie di destinatari delle offerte formative promosse con risorse finanziarie comunitarie. La prima analisi (cfr. Prosp. n. 29) rileva la presenza di disposizioni del FSE e del Programma LEONARDO DA VINCI, anche se con diseguale insistenza, per tutte le fasi del ciclo, a dimostrazione della pervasività della normativa comunitaria Prospetto n. 29 - Presenza di disposizioni del FSE nei processi e fasi del ciclo della Formazione Professionale storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 273 274 Prospetto n. 30 - Tipologie di utenze destinatarie di attività realizzate con il cofinanziamento del FSE (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.27 Pagina 274 275 nei confronti di tutti i processi e fasi dei sistemi regionali. Abbiamo più volte sottolineato che la Formazione Professionale si sia nel tempo configurata come un sistema aperto a tutti i fabbisogni formativi, di giovani ed adulti, in qualsiasi momento si trovino del processo di transizione. Nel Prospetto 30 si dimostra come tutte le tipologie di utenza della Formazione Professionale regionale siano coinvolte in attività cofinanziate dal FSE, dai giovanissimi della formazione di prima qualificazione postobbligo agli occupati, dagli studenti degli Istituti Professionali di Stato e degli Istituti tecnici ai disoccupati di lunga durata, dai portatori di handicap o comunque con svantaggi ai managers. Questa pervasività e onnipresenza del FSE rappresentano per i nostri sistemi regionali un fattore di innovazione radicale e organica. Come esempi della capacità di incidere e cambiare in profondità le logiche e le modalità di intervento della Formazione Professionale italiana analizziamo due ambiti, quello della tipologia di azione e quello del modello programmatorio, prima e dopo le riforme del 1988 e 1993 del FSE. a) Un modo nuovo di fare formazione: dalla visione “corsuale” alla visione “pluriservizi” Per anni si è lamentata la subalternità, in termini di cultura ed in termini di riferimento, del sistema formativo regionale rispetto a quello scolastico. Le origini di una tale situazione (almeno se si circoscrivono gli avvenimenti all’arco temporale che inizia dal dopoguerra), possono essere collocate nei primi Anni ’50, quando l’“addestramento professionale” si apre all’utenza giovanile. (Segue) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 275 276 Inizia in questo periodo quel processo di omologazione dell’addestramento professionale sulla scuola e, in particolare, su quella più vicina per finalità e struttura: gli Istituti professionali di Stato. Un processo per cui, con il tempo, le “monografie dei profili professionali” del Ministero del Lavoro sembrano una editio minor dei “programmi” della Direzione generale dell’Istruzione Professionale del Ministero della Pubblica Istruzione. Il primo CCNL degli operatori della Formazione Professionale convenzionata (1971) contribuisce in maniera determinante alla “scolasticizzazione” del Sistema di Formazione Professionale (locuzione che sostituisce quella di addestramento, senza dubbio meno corretta, ma che soprattutto aveva il torto di avere una connotazione “plebea”) sia istituendo la “carriera del formatore” (non più un esperto del settore prestato alla formazione, ma un tecnico disciplinare in pianta stabile), sia regolamentando l’attività didattica secondo paradigmi organizzativi tipicamente scolastici (orari settimanali delle lezioni, ecc.). Ne derivava l’immagine di un CFP come di una piccola scuola, con un organigramma che vedeva al vertice il direttore e sotto, a pettine, i formatori. Negli Anni ’80 si registra una inversione di tendenza; appaiono, infatti, i primi fermenti – deboli peraltro – di segno contrario al processo di scolasticizzazione. Un primo segnale possiamo coglierlo nella contrattualistica degli operatori della Formazione Professionale dove l’impegno dei formatori non poggia più su orari settimanali ma si realizza all’interno di un monte ore annuo. Un altro segno è rappresentato dalla forte insistenza sulla pubblicistica dello stage come momento di recupero della dimensione operazionale e rottura dei ritmi della formazione d’aula. Va registrato però che le sollecitazioni culturali e le previsioni contrattuali hanno avuto una scarsa incidenza sulla prassi formativa quotidiana, segnata, ancora, pesantemente da ritmi scolastici e dalla formazione d’aula. Figura n. 59 - Innovazioni apportate dal FSE storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 276 277 Al di là dei risultati ottenuti, però, è palese l’insufficienza culturale per una fondazione epistemologica della Formazione Professionale; si intuisce che non è scuola, ma si stenta a riconoscervi una autonoma fisionomia. La riforma dei Fondi Strutturali del 1988 porta un contributo determinante per una nuova impostazione del problema: – quello che è definito Sistema di Formazione Professionale è chiamato ad erogare non solo formazione ma anche orientamento e aiuto all’occupazione; – le prospettiva non indica solo un allargamento di opportunità-servizi ma cambia i punti di riferimento di costruzione del sistema stesso: la centralità non è più il corso, ma l’utente che deve entrare nella vita attiva e che può avere necessità: di formazione, di orientamento (nella duplice accezione di “rimotivazione” o come conoscenza delle “opportunità”), di un aiuto finanziario (al datore di lavoro) per ammortizzare l’improduttività di un rapporto di lavoro iniziale, di azioni di orientamento/accompagnamento per l’inserimento lavorativo, di azioni di start-up per iniziative di autopromozione o creazione di impresa, di aiuti finanziari per la job creatio (cfr. Figg. n. 59 e n. 60). La formazione, inoltre, non è solo processo didattico d’aula ma è anche formazione a distanza, è tutoring, è stage. Questa visione, che riscatta l’immagine di una formazione identificata solo con un processo didattico e le dà uno spettro operativo meno circoscritto, rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione di una cultura autonoma della formazione e per la destrutturazione dei precedenti assetti del sistema formativo-professionale esemplati su quelli scolastici. Se si coniugano tutte queste possibilità relative al “prodotto” erogabile si ha un quadro della gestione del sistema ben lontano dall’immagine del CFP-facsimile di una scuola. Figura n. 60 - Pluralità di servizi erogabili da un CFP storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 277 278 Questo, che forse è l’aspetto più dirompente della normativa UE, rappresenta anche l’aspetto meno “recepito” inizialmente dalla nostra Formazione Professionale degli Anni ’90: i programmi operativi a titolarità regionale approvati in sede UE, infatti, rivelano una drastica riduzione del range delle opzioni possibili previste dai Quadri Comunitari di Sostegno e dai Documenti Unici di Programmazione, in termini di tipologia di azioni. b) Un modo nuovo di programmare: dall’“allocazione amministrativa delle risorse” alla “programmazione per obiettivi” In secondo luogo, le procedure per l’accesso al FSE hanno proposto un modo nuovo di fare programmazione. Il FSE accetta di cofinanziare attività formative solo se queste rientrano in macro-obiettivi precedentemente definiti sotto il profilo tipologico, territoriale e finanziario. Questo modo nuovo progressivamente soppianta concettualizzazioni presenti nella legislazione e procedure utilizzate nelle prassi delle Regioni (concettualizzazioni e procedure, peraltro, contradditorie). Le concettualizzazioni che vengono superate nella normativa regionale, sono quelle che affidano alla Regione la responsabilità dell’intero processo programmatorio, sia nella fase della pianificazione strategica (analisi macro dei fabbisogni regionali e conseguente fissazione degli obiettivi), sia in quella della programmazione attuativa (analisi micro dei fabbisogni e conseguente definizione degli interventi da realizzare, dove e da chi...). Ma in effetti mancando un quadro generale di riferimento entro il quale proporre iniziative formative, le procedure adottate dalle Regioni si limitano a selezionare e ad erogare le risorse finanziarie all’offerta formativa proposta dai soggetti gestori in base a criteri discrezionali e contingenti, per i quali spesso la titolarità di chi propone conta più della qualità della formazione richiesta. Il modello programmatorio “per obiettivi” adottato dal FSE, per le esigenze di carattere tecnico-finanziario prima richiamate tende progressivamente a diventare l’unico modello di processo programmatorio regionale. La sua adozione comporta cambiamenti a catena: cadono, infatti, sia la tradizionale distinzione delle attività in base alle diverse fonti finanziarie, sia la diversità delle tipologie (formazione a carattere consolidato e a carattere progettuale), sia la diversità degli atti programmatici (piano ordinario e piano di FSE). Il nuovo modello di programmazione tende anche a far cadere o comunque mette in crisi l’organizzazione del governo regionale in materia di politiche del lavoro da una parte e delle politiche formative dall’altra senza interazioni o collegamenti tra loro. Le sollecitazioni che vengono dall’Europa, infatti, sono per una programmazione unica o comunque unitaria (cfr. Fig. n. 61). Le considerazioni precedenti riguardano il soggetto pubblico; ma notevoli anche gli input che gli atti comunitari forniscono circa il ruolo dei soggetti attuatori al processo programmatorio. Questi non vengono visti solo come realizzatori dell’intervento, ma anche come soggetti in grado, per la loro presenza sul territorio, di leggere e rappresentare necesstoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 278 279 sità formative di realtà economiche e sociali quotidianamente contattate e condivise. Tale logica, presente, soprattutto, nel programma operativo dell’iniziativa comunitaria OCCUPAZIONE, si pone in aperto contrasto con la visione classica della Formazione Professionale del nostro Paese, per la quale alla Regione spettava, in esclusiva, la programmazione, e all’Ente di Formazione la gestione. Il FSE, infatti, riconosce a tali Enti una valenza anche programmatoria che si concretizza nell’analisi del fabbisogno a livello locale e nella progettazione formativa. 7.3. Nascita e prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua L’apporto del FSE è intervenuto anche nel far sì che la Formazione Professionale abbia potuto nel tempo allargare il suo spettro operativo a nuove utenze oltre quella tradizionale della prima formazione post-obbligo. È stato così negli Anni ’70 ed avviene così anche negli Anni ’90. Negli Anni ’70 il FSE contribuisce a sostenere la riqualificazione del personale occupato coinvolto in processi di ristrutturazione e riconversione. Nella prima metà degli Anni ’80 il FSE consente l’espansione della formazione per diplomati e laureati, in conseguenza di una nuova consapevolezza che la formazione rappresenti un fattore strategico dello sviluppo del sistema produttivo. Nella seconda metà del decennio il FSE favorisce la formazione per le fasce più a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, a seguito soprattutto dell’acquisizione di una cultura di pari opportunità. Con la regolamentazione comunitaria 1994-99 (Ob. 4 e ADAPT) il FSE, negli Anni ’90, consente lo spostamento del focus dell’attenzione sulla Formazione Continua; si rivolge, infatti, ai lavoratori già occupati presso le imprese, con particolare Figura n. 61 - Innovazioni apportate dal FSE per il processo programmatorio storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 279 280 attenzione alle piccole e medie, sia perché esse rappresentano la parte maggiore del tessuto produttivo italiano, sia perché appaiono oggi più distanti dalla logica e dalla pratica dei processi di formazione continua. 7.3.1. “L’anello mancante della formazione continua” Nel 1992, il Censis, nel suo Rapporto annuale400, titolava un paragrafo della sezione dedicata ai Processi formativi “L’anello mancante della formazione continua” 401. In effetti ciò che mancava in Italia non erano gli interventi di Formazione Continua. Infatti, negli Anni ’80 e all’inizio del decennio si poteva registrare un numero significativo di attività formative professionalizzanti per occupati realizzate da una pluralità di soggetti quali le imprese, le Università, le società di consulenza ma 400 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1992, F. Angeli, Milano 1992, p. 107. 401 In materia di Formazione Continua, tra gli altri, cfr. AA.VV., Educazione permanente. Orientamenti concettuali, operativi e istituzionali, Quaderni Regione Lombardia, nn. 54-55; AMBROSINI M., Le risorse umane, in AA.VV., L’impresa condivisa, Ipsoa, Milano 1990; AMIETTA P.L., Learning organisation. Che cosa deve apprendere l’organizzazione, in Rivista Aif, n. 7, 1989; Atti del convegno nazionale, L’Educazione degli adulti: prospettive per gli anni novanta, Firenze 1989; BOBBA L., TAMBORLINI A., BOCCA G., Transizione, orientamento, formazione. permanente, in Osservatorio Isfol, n. 3, 1990; DE MASI D. (a cura di), Verso la formazione post-industriale, F. Angeli, Milano 1993; FORTER-CONFCOMMERCIO, La formazione professionale continua nel commercio al dettaglio in Italia, Tipografia Settevene, Roma 1994; INFELISE L., La formazione in Impresa: nuove frontiere in Europa, F. Angeli, Milano 1994; INFELISE L., La formazione continua in Italia: esigenze e prospettive di sviluppo, in Professionalità, n. 9, 1992; ISFOL, Formazione professionale contrattata e politiche delle risorse umane, F. Angeli, Milano 1990; ISFOL, Offerta di formazione professionale per adulti, F. Angeli, Milano 1990; OSBAT L., Tendenze innovative nella formazione continua, F. Angeli, Milano 1985; PELLEGRINI C. (a cura di), Analisi della politica contrattuale nel campo della formazione continua, F. Angeli, Milano 1994. Figura n. 62 - Espansione delle utenze della Formazione Professionale regionale favorita dal FSE dagli Anni ’70 agli Anni ’90 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 280 281 anche dal Sistema Formativo regionale. Infatti, secondo le rilevazioni Isfol sulle attività programmate dalle Regioni nel 1990-91 gli adulti coinvolti in azioni di qualificazione riqualificazione aggiornamento specializzazione erano circa 130.000 (quasi il 35% di tutti gli allievi di quell’anno) la maggior parte dei quali persone occupate402. Ciò che mancava quindi nel nostro Paese non erano le attività, ma un Sistema di Formazione Continua, intendendo per sistema “un insieme coordinato e intenzionalmente orientato di parti che si muovono verso determinati obiettivi comuni all’interno di un quadro normativo di riferimento unitario”403. Perchè un insieme di attività costituisca un sistema occorrono, dunque, almeno due elementi: – obiettivi comuni raggiungibili solo se si ha una stessa identità espressa da una definizione chiara per cui quell’insieme di interventi non è confondibile e riducibile ad altri; – un quadro normativo, che prima di essere un fenomeno che ne regolamenta il funzionamento, rappresenti una legittimazione sociale. Nei primi anni del decennio, nonostante un ricco e articolato panel di iniziative, la Formazione Continua non ha né una definizione certa e condivisa nè una normativa di riferimento. Non è ancora chiaro che cosa essa sia: incerta la sua definizione e confusi i confini con altri sistemi formativi. In un testo di quegli anni404 si legge: Oggi, in Italia, non è possibile parlare di un unico fondamento concettuale al termine formazione continua: su questi aspetti è in corso una discussione e le opinioni non sono ancora concordi. Infatti si assiste ad una progressiva diffusione del termine, utilizzato però con significati contrastanti negli stessi testi normativi405, mentre risultano carenti gli sforzi per una sua chiarificazione. Si tratta, in ogni caso, del normale processo che precede la sintesi e traduzione in “idee e linguaggi condivisi” di prassi e culture che hanno origini diverse. Il tempo per questo sembra essere maturo. 402 Cfr. ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, Roma 1991, p. 11 e 18. L’Isfol fa riferimento alla categoria “adulti” senza fare distinzione tra occupati e non. E in effetti gli allievi in percorsi di qualificazione (30.000) potrebbero essere occupati e non, ma i 100.000 dei percorsi di riqualificazione aggiornamento e specializzazione sono senz’altro nella quasi totalità occupati. 403 ISFOL, La formazione continua in Italia, F. Angeli, Milano 1994, p. 20. 404 Ibidem, p. 33. 405 Nel DPR 616/77, art. 35. “[...] i servizi e le attività destinate [...] al perfezionamento, alla riqualificazione [...] professionale, per qualsiasi attività professionale, per qualsiasi finalità, compresa la formazione continua, permanente, ricorrente [...]”; nella L. 845/78 art. 2 “(attività) finalizzate alla diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per svolgere ruoli professionali e rivolti al primo inserimento, alla qualificazione, alla riqualificazione, all’aggiornamento e alla specializzazione, in un quadro di formazione permanente”; nella L. n. 236/93 “Interventi di formazione continua a lavoratori occupati (...), interventi di riqualificazione o aggiornamento professionali per dipendenti [...] nonché interventi di formazione professionale destinati ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità”. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 281 282 Per il Censis, nel 1992, il termine Formazione Continua comprendeva tutte quelle attività formative che non si collocavano nella formazione iniziale (post-obbligo, post-diploma, post-laurea) e che avevano come potenziale utenza i lavoratori occupati, i disoccupati e per alcuni versi, i soggetti al primo inserimento occupazionale406. E la L. n. 36/93, che, come vedremo, avrà un grande ruolo nello sviluppo della Formazione Continua, la definirà ancora come un’offerta formativa destinata ad occupati, occupati a rischio (lavoratori in CIGS) e non occupati (già impegnati in Lavori Socialmente Utili); ma aggiunge una specificazione importante: la Formazione Continua non è solo quella promossa dalle aziende, ma anche quella a cui il lavoratore partecipa per autonoma scelta. Acquisizione culturale fondamentale, perché configura la Formazione Continua non più come opportunità per le aziende, ma anche come risorsa personale del lavoratore, non più (solo) come formazione aziendale, ma (anche) come un segmento della formazione lungo l’arco della vita di ogni persona. Da questa definizione, comunque, che comprendeva occupati e disoccupati, progressivamente si va verso l’accezione francese di Formazione Continua come formazione di soli occupati. Accezione che si consolida progressivamente fino a stabilizzarsi nel dibattito e nella letteratura del nostro Paese verso la fine degli Anni ’90. Per quanto riguarda la mancanza di una legislazione specifica, occorre notare che una legge è frutto di una maturazione culturale condivisa di alcuni valori. Nel nostro caso il valore è quello precedentemente enunciato: la Formazione Continua è una risorsa e un fattore di sviluppo per il sistema produttivo e per le persone e quindi è un fenomeno in cui convergono interessi tra sistema sociale (i singoli o le famiglie) e sistema economico (le imprese). E in Italia questo valore ha tardato ad affermarsi per diversi fattori407: – la separazione (non solo di fatto ma anche dal punto di vista normativo, istituzionale e concettuale) tra la formazione promossa e realizzata dagli organi pubblici (principalmente dalle Regioni) e quella realizzata dalle imprese; – la sostanziale posizione di disinteresse (in alcuni casi pregiudiziale), sino a tutti gli Anni ’70 e primi Anni ’80, da parte del sindacato per il tema della formazione degli occupati; – la sostanziale resistenza delle imprese ad un approccio positivo alla formazione e sviluppo del proprio personale e la netta e teorizzata distinzione operata tra formazione (quella manageriale e quella tecnico-specialistica) e addestramento; – le linee-guida che hanno caratterizzato le politiche pubbliche del lavoro sino alla fine degli Anni ’80, principalmente preoccupate di far fronte ai problemi di disoccupazione giovanile e tecnologica. Sempre nei primi anni del decennio è evidente il gap tra l’Italia e i principali partners europei (Germania, Francia, Spagna e Regno Unito) dove lo sviluppo e 406 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1992, op. cit., p 110. 407 ISFOL, La formazione continua in Italia, op. cit., p. 21. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 282 283 il consolidamento di un Sistema di Formazione Continua poteva contare sul protagonismo dei soggetti pubblici, che si proponevano nel doppio ruolo di soggetti regolatori del negoziato tra le parti sociali e di attori nella definizione delle strategie d’azione (secondo la triangolazione Stato-impresa-rappresentanze degli occupati). Il Prospetto 31 descrive l’insieme degli strumenti normativi adottati dai 5 grandi Paesi della Comunità Europea, fornendone una comparazione sinottica secondo tre diverse prospettive: Prospetto n. 31 - Quadro legislativo e accordi sui diritti alla FC in cinque Paesi comunitari Fonte: Commissione delle Comunità Europee - Task Force, risorse umane, 1992 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 283 284 – i diritti acquisiti su base normativa; – la struttura dei diversi quadri di negoziato, descrivendo come la normativa viene tradotta nella contrattazione delle parti; – la definizione reale dei diritti derivanti dall’impatto della normativa esistente sul sistema di contrattazione e sugli accordi di settore e categoria. Come si può constatare l’Italia è l’unico tra i Paesi considerati a non garantire una regolamentazione della materia, rinunciando, così, a quel ruolo propulsore che il soggetto pubblico può svolgere nell’indirizzare promuovere e sostenere la funzione strategica della FC. 7.3.2. “Verso un sistema di formazione continua” Abbiamo citato in apertura del paragrafo precedente un titolo del Rapporto Censis del 1992 che connotava la Formazione Continua come un “anello mancante”. Cinque anni più tardi, l’Isfol titola un paragrafo sul suo Rapporto annuale “verso un sistema di formazione continua”. Cosa avviene in questo lasso di tempo per cui si va dalla constatazione di un sistema mancante all’annuncio di una sua “iniziale” implementazione, come il termine usato dall’Isfol (“verso”) lascia supporre? In questi anni si è assistito ad un tentativo di riorientamento di tutti i singoli pezzi di un potenziale Sistema di Formazione Continua, e ciò si deve in particolare a tre fattori innovativi: – il primo proviene dal mondo dell’impresa. In questo ambito, infatti, il processo di innovazione dell’organizzazione del lavoro e di ristrutturazione dei processi produttivi dovuti sia a motivi di carattere strutturale (innovazione tecnologica, automazione degli impianti di produzione), sia all’introduzione di nuove normative (adeguamento alla legge sulla tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro D.Lgs. 626/96, esigenze di certificazione di qualità dei prodotti in base a direttive comunitarie) inducono verso una maggiore attenzione alla Formazione Continua; – il secondo nasce dal contesto politico-istituzionale. A partire dal protocollo di intesa fra Governo e parti sociali sulla politica dei redditi siglato nel luglio del 1993408 (che chiede tra l’altro la finalizzazione delle risorse finanziarie alla For- 408 Accordo Governo-Sindacati del 23 luglio 1993 Presidenza del Consiglio dei Ministri - Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (3 luglio 1993) a- L’accordo ha dedicato una specifica attenzione alle innovazioni da introdurre nella gestione del mercato del lavoro e alle linee di riforma della Formazione Professionale. Sul versante delle innovazioni in materia di Istruzione e FP l’accordo fissa alcune linee guida dell’azione di governo, quali: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione; la valorizzazione degi degli apporti della Formazione Professionale con funzioni di prevenzione e recupero della dispersione scolastica; la valorizzazione del ruolo delle parti sociali nella definizione di orientamenti delle politiche formative, nella valutazione e controllo sia a livello nazionale che a scala regionale,la promozione di raccordi tra scuola e lavoro; il conseguimento di un maggiore coordinamento tra le diverse istituzioni competenti in materia di formazione la revisione della Legge quadro sulla Formazione Professionale. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 284 285 mazione Continua) e dalla Legge n. 236/93 del 19 luglio, da considerarsi come il primo momento normativo su cui poter sviluppare la Formazione Continua, divengono palesi alcuni indirizzi ormai intrapresi da organi di Governo e parti sociali; – un volume importante di risorse finanziarie, comunitarie e nazionali, destinate alla Formazione Continua. a) Le basi normative della Formazione Continua: la L. n. 236/93 “Con il varo della Legge 236/93 Interventi urgenti a favore dell’occupazione si pongono le basi per la nascita e lo sviluppo, nel nostro Paese, di un Sistema di Formazione Continua cofinanziato da risorse nazionali”409, osserva il maggiore esperto Isfol in questa materia. Quindi è una Legge che rappresenta una tappa importante nella storia della Formazione Continua. Ma occupa un posto di rilievo, anche, nella storia della Formazione Professionale in genere, perché: “mette ordine” nelle fonti di finanziamento della Formazione Professionale, cioè riporta ad un quadro unitario il disorganico e frammentario insieme di norme che disciplinavano la materia dei flussi finanziari. Infatti, la L. 236 costituisce il Fondo unico per la formazione professionale, dove vengono fatte affluire le risorse finanziarie: – del fondo di rotazione (art. 25 della L. 845/78; nel 1993 ammontava a 802 miliardi). La dotazione di tale Fondo era costituita dai due terzi delle maggiori entrate derivanti dall’aumento del contributo per l’assicurazione obbligatoria contro la di disoccupazione involontaria, ovvero due terzi dello 0,30 delle retribuzioni soggette a tale obbligo; – destinate a progetti formativi avviati in casi di rilevanti squilibri locali tra domanda e offerta di lavoro (art. 26 L. 845/78 art. 26; per il 1993 sono stati stanziati 973 miliardi) e all’insieme delle attività connesse all’attuazione delle competenze dello Stato, previste dagli artt. 18 e 22 della L. n. 845/78; – della L. n. 40/87, destinate agli Enti di Formazione Professionale convenzionati; – del Fondo per la mobilità della manodopera (art. 26 della 1.675/77). In complesso il Fondo per la Formazione Professionale riunisce risorse, secondo il bilancio preventivo relativo al 1993, del Ministero del Lavoro, per un ammontare di oltre 1.800 miliardi di lire di cui 938 miliardi derivanti da fondi residui non spesi nel 1992. Non vengono fatte confluire nel Fondo per la Formazione Professionale: – le risorse della L. 492/88 che prevede misure in favore di programmi di innovazione dell’intero Sistema di Formazione; 409 ISFOL (a cura di FRIGO F.), La formazione continua nella L. 236/93 L’esperienza della circolare n. 174/96, F. Angeli, Milano 2001, p. 5. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 285 286 – il Fondo comune disciplinato dalla L. n. 281/70 (art. 8) destinato a finanziare le attività formative per giovani che abbiano terminato il percorso scolastico, ovvero attività di Formazione Iniziale. Il quadro delle fonti, dopo questo intervento della L. n. 236, sembra rispondere ad un disegno di semplificazione e ragionevolezza (cfr. Fig. n. 63): all’innovazione del sistema formativo si provvede con le risorse della L. n. 40/87, per la Formazione Iniziale dei giovani c’è il Fondo comune, per le azioni a favore dei disoccupati e occupati c’è il Fondo per la Formazione Professionale. L’importanza di questa Legge per la Formazione Continua, invece, sta nelle previsioni dei commi 3 e 3 bis dell’articolo 9, là dove si prevede che il Ministero del Lavoro, Regioni e Province Autonome possono finanziare interventi formativi in favore dei lavoratori occupati del settore privato in posizione di lavoro dipendente, o di lavoratori appartenenti a specifiche categorie. Più in particolare possono essere finanziati: – interventi di Formazione Continua, di aggiornamento o riqualificazione, per operatori della Formazione Professionale, quale che sia il loro inquadramento professionale, dipendenti (in base alla Legge n. 40/87) dagli Enti di Formazione Professionale; – interventi di Formazione Continua per lavoratori occupati in aziende beneficiarie dell’intervento straordinario di integrazione salariale; – interventi di riqualificazione o aggiornamento professionali per dipendenti da aziende che contribuiscono in misura non inferiore al 20% del costo delle attività; Figura n. 63 - Fonti finanziarie per la Formazione Professionale a seguito delle disposizioni della L. n. 36/93 art. 9 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 286 287 – interventi di Formazione Professionale destinati a lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, formulate congiuntamente da imprese e gruppi di interesse e dalle organizzazioni sindacali, anche a livello aziendale. La destinazione del Fondo per la Formazione Professionale è decisa dal Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro del Tesoro per quanto attiene ai due terzi del fondo stesso, da destinare al cofinanziamento degli interventi formativi per i quali è richiesto il contributo del Fondo Sociale Europeo. La destinazione della restante quota (un terzo) viene decisa “dal Ministro del lavoro, d’intesa con le Regioni, acquisendo il preventivo parere della Commissione centrale per l’impiego”. Ai fini di assicurare l’effettiva prassi di concertazione la Legge istituisce un Sottocomitato per la Formazione Professionale nel quale siano rappresentati Regioni e parti sociali. Una struttura normativa, questa dell’art. 9, tutto considerato fragile. Ma su questo gracile humus normativo prenderà l’avvio il Sistema di Formazione Professionale Continua nel nostro Paese. b) Un Piano per la Formazione Continua: la Circolare n. 174/96 del Ministero del Lavoro Ciò che la L. n. 236 prevede come possibilità, la Circolare Ministeriale 174/96 attua. Infatti, la circolare “Disposizioni per la gestione dei fondi relativi all’art 9, comma 3 della L. 236/93 per interventi di formazione continua” promuove un piano di attività chiamato anche, con una certa enfasi, “la via italiana alla formazione continua” 410 e dove, tra l’altro, il Ministero del Lavoro è chiamato ad un insolito protagonismo operativo. Le attività sono: “finalizzate a creare un sistema nazionale di formazione professionale continua rivolte a soggetti adulti, occupati o disoccupati con particolare riferimento alle attività cui il lavoratore partecipa per autonoma scelta, al fine di adeguare o di elevare il proprio livello professionale, ad altri interventi formativi promossi dalle aziende, in stretta connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo”. Complessivamente il Piano del Ministero del Lavoro prevede un impegno finanziario pari a 207 miliardi, destinati a tre linee di lavoro: – azioni di sistema, finalizzate a realizzare i presupposti di una cultura e di una strumentazione omogenea e diffusa relativamente alle attività di Formazione Continua. In questo quadro sono comprese azioni per la personalizzazione e la flessibilizzazione dei percorsi formativi, attraverso meccanismi e strumentazioni ad hoc (come ad esempio il tutoraggio). Immediatamente collegato a questo punto troviamo l’attivazione di percorsi individuali di orientamento, rimotivazione, outplacement, anche attraverso l’utilizzo di congedi per lavoratori. Queste azioni, che avevano una dotazione finanziaria di 80 miliardi, sono 410 ISFOL (a cura di FRIGO F.), La formazione continua nella L. 236/93 L’esperienza della circolare n. 174/96, op. cit., p. 11. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 287 288 programmate dalle Regioni, sulla base di criteri e indirizzi individuati dal Ministero del Lavoro; – azioni di riqualificazione e riconversione degli operatori degli enti ex Legge n. 40/87 art. I. Su queste azioni (65 miliardi di dotazione) si concentra l’intenzione di avviare un radicale processo di trasformazione delle strutture chiamate ad erogare gli interventi formativi. Le azioni sono programmate dalle Regioni; – azioni formative aziendali. Nell’ambito di questa terza linea di attività trovano esplicitazione i progetti più esemplari e sperimentali in quanto a procedure, organizzazione, contenuti e finalità. Esempi in questo senso possono essere: Prospetto n. 32 - Linee di lavoro previste dalla Circolare del Ministero del lavoro n. 174/96 storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 288 289 azioni che istituiscano reti interaziendali su necessità o esuberi di professionalità; azioni dedicate alla formazione di tutor aziendali, di responsabili di orientamento, di outplacement, di Formazione Continua; sperimentazione di nuove professionalità e dei relativi percorsi formativi. Sulle azioni formative proposte dalle aziende le Regioni svolgono funzioni di selezione, approvazione e finanziamento. Per quanto riguarda le azioni di sistema l’Isfol distribuisce i 61 progetti approvati in 18 aree tematiche (cfr. Tab. n. 28). La maggior concentrazione di progetti – 10 – si ha per la formazione a distanza, mentre 8 sono i progetti relativi alla tematica della certificazione/crediti formativi, 6 quelli della Formazione Continua in settori rilevanti (telecomunicazioni, turismo, informatica, ambiente, servizi idrici, edilizia, commercio…) e delle problematiche relative ai Sistemi territoriali di Formazione Continua. Gli altri 31 progetti si distribuiscono nelle altre aree tematiche (Sistemi territoriali di FC, Qualità della/nella FC, Reti di FC, Diffusione della FC presso imprese, in particolare PMI, FC e sicurezza, Valutazione e monitoraggio delle competenze, FC e distretti industriali, Integrazione della FC nei sistemi di FP, Nuove metodologie e modelli per i sistemi di FC, Cooperazione tra scuola e impresa, FC e previdenza integrativa, Formazione e contratti a causa mista, Orientamento e ricollocamento adulti, Nuova imprenditorialità e auto imprenditorialità, Formatori per la FC). Tabella n. 28 - Distribuzione dei progetti e relative risorse finanziarie ricadenti nelle Azioni di sistema (Circ. Min. Lav. n. 174/96) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 289 290 La decisione di destinare 65 miliardi di lire alla riqualificazione e alla riconversione di formatori (nonché di personale non docente) – una cifra superiore a quanto destinato per il primo anno all’insieme degli interventi per la formazione aziendale – è stata presa sull’abbrivio di una lettura a dir poco drammatica dello stato di difficoltà in cui versavano alcuni Enti nazionali di Formazione Professionale riconosciuti dalla Legge n. 40 del 1987 come soggetti di utilità sociale, perché hanno dato vita a quella specifica area del Sistema formativo che viene chiamata del “privato sociale”. I numeri che sono stati evocati per esprimere la situazione difficile alla quale occorreva far fronte indicavano almeno 2500 “esuberi potenziali”, sul totale dei circa 16.000 dipendenti, che si doveva cercare di collocare in altre posizioni, nello stesso Sistema formativo o al di fuori di esso. Numeri eccessivi se si considera che, al termine delle varie fasi del difficile negoziato tra Enti e Regioni, siano stati elaborati progetti per “accompagnare” non più di 500 dipendenti. Il fatto poi che i 500 fossero più aggiornati che riconvertiti411 la dice lunga sulle possibilità di incidere su quel personale, su cui, generose, ma ingenue (e dispendiose) politiche regionali avevano tentato di intervenire già negli Anni ’80412. Per la terza tipologia di Azioni viene previsto uno stanziamento di 62 miliardi di lire, ripartiti tra le Regioni e Province Autonome nella misura indicata dal Grafico 42 A) e B). Nonostante che l’art. 9 della L. n. 236, all’art. 3 e 3bis, comprendesse, come abbiamo già notato, nella dizione “formazione continua” sia gli occupati che i disoccupati, la circolare riserva i 62 miliardi per interventi formativi destinati solo ad occupati allo scopo di promuovere la prassi della formazione aziendale, in particolar modo presso le PMI. 411 Cfr. ISFOL (a cura di FRIGO F.), La formazione continua nella L. 236/93 L’esperienza della circolare n. 174/96, op. cit., p. 17. 412 Cfr. volume II, pp. 223-24. Grafico n. 42 A) e B) - Ripartizione tra Regioni e Province Autonome delle risorse finanziarie (milioni di lire) per le azioni di formazione aziendale (A = Centro Nord; B = Sud) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 290 291 La priorità attribuita alle piccole e medie imprese, oltre che enunciata nel testo della circolare, viene concretamente fatta valere nella delimitazione dell’ammontare del contributo a non più di 50 milioni per la singola impresa e a non più di 200 milioni per progetto interaziendale. L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere progetti sperimentali, che favoriscano l’innovazione nella formazione aziendale e che possano dar luogo alla diffusione su larga scala dei modelli di maggior successo. c) Le risorse per la Formazione Continua Perché si possa parlare di Sistema di Formazione Continua, abbiamo detto, occorrono due elementi: una definizione chiara che la distingua da altre offerte formative e una base normativa che rappresenti anche un fenomeno di legittimazione sociale. In effetti c’è un ulteriore elemento indispensabile: la disponibilità di risorse finanziarie adeguate per quantità e continue nel tempo. Una cosa è certa: la nascente Formazione Continua gode di un volume finanziario straordinario. Nel 1997, ad esempio, poteva contare a livello nazionale su oltre 679 miliardi e 349 milioni circa. Infatti ai 207 miliardi di provenienza nazionale, ex L. 236/97 e Circolare 174/96, vanno sommati almeno 339 miliardi e 496 milioni per le Regioni del Centro-Nord provenienti dall’Ob.4 e ulteriori 132 miliardi e 852 milioni provenienti da due POM del Meridione: il POM “Emergenza occupazione Sud”, che stanzia nel corso dell’anno 1997 L. 30.983.177.808 per interventi di Formazione dei formatori e il POM “Formazione dei formatori e funzionari della pubblica amministrazione”, basato su una medesima tipologia di interventi e che prevede, sempre per il 1977, lo stanziamento di 101.869.553.098 (cfr. Tab. n. 29). Ai 679 miliardi e 349 milioni, inoltre, andrebbero aggiunte, per l’Obiettivo 1, la quota annua del FSE che alimenta il sub-asse 7.3 “Formazione continua per occupati” nelle Piccole medie e grandi imprese e che alimenta gli interventi per occupati negli assi settoriali. Una somma annua ingente che per essere gestita necessita di una Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 291 292 regia, centrale e regionale, perché non è difficile evitare fenomeni di concorrenza e di sovrapposizioni, dati i molti punti di convergenza tra il Piano della Circolare 174 e le politiche perseguite dal FSE sia nell’Obiettivo 4 che nell’Obiettivo 1. I rischi di concorrenza si presentano soprattutto nell’area degli interventi destinati agli utenti occupati (le azioni di formazione aziendale, per quanto riguarda la L. 236, le azioni di “adeguamento delle risorse umane” per quanto riguarda l’Obiettivo 4 per le Regioni del Centro-Nord e le azioni di Formazione Continua ricadenti nell’Asse 7 sub-asse 3 e negli assi settoriali). Mentre i rischi di sovrapposizione e di parallelismo riguardano le azioni di sistema della L. n. 236 e dell’Obiettivo 4 e i POM. Senz’altro quindi la Formazione Continua può contare su risorse finanziarie adeguate. Adeguate però contingenti, in quanto derivate da fonti finanziarie a termine mentre la Formazione Continua, per essere un vero sistema e non un fenomeno episodico, deve contare su fonti di finanziamento stabili nel tempo. L’Accordo per il lavoro del 1996 trova una soluzione, facendo propria una proposta, nata negli ambienti sindacali e che verrà ripresa dal pacchetto Treu413, “sviluppare la formazione continua con l’attribuzione graduale ed integrale del contributo dello 0,30”414. 7.4. Gli aspetti strutturali del Sistema formativo regionale Sui dati strutturali del sistema relativi alle attività (e alla loro distribuzione per tipologia formativa e settori economici) e agli allievi abbiamo tre fonti statistiche: una dell’Istat e due dell’Isfol, di cui la prima censisce le attività realizzate annualmente, la seconda, invece quelle programmate. La fonte Istat, utilizzata tra l’altro nei Rapporti Isfol dei primi Anni ’80 e ripresa nel Rapporto Isfol del 1996 e 1997, basa la sua raccolta di informazioni sugli Enti 413 Per pacchetto Treu si intende quell’insieme di misure “contro la disoccupazione” ideate principalmente da Tiziano Treu, Ministro del Lavoro del Governo Dini e presentate da questi il 12 aprile 1995 ed emanate con la Legge 24 giugno 1997 n. 196. 414 Patto per il lavoro - 24 settembre 1996 - Presidenza del Consiglio. Tabella n. 29 - Risorse nazionali e comunitarie disponibili per le attività di Formazione Continua (anno 1997) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 292 293 che promuovono e gestiscono le attività in maniera ricorrente (il cosiddetto consolidato storico). Metodo rischioso, perché rivolgendosi agli Enti che abitualmente fanno formazione, sfugge all’indagine quelli di nuova costituzione o quelli che realizzano interventi formativi in maniera occasionale o discontinua. Il quadro informativo che ne deriva è senz’altro incompleto e i dati proposti sottodimensionati. La prima indagine Isfol ha come referenti le Regioni e le Province Autonome alle quali viene richiesta la compilazione di una scheda con un layout predefinito dall’Isfol. Ha il grande pregio di rilevare dati di consuntivo. Ma, almeno nella prima metà degli Anni ’90, molte sono le criticità che ne rendono problematico l’uso; le prime serie di dati figurano nel Rapporto Isfol 1997 (e sono definiti provvisori) e in quello del 1998. La prima criticità è rappresentata dall’attualità dei dati: il fatto che le attività programmate in un anno siano avviate nell’anno successivo o attuate a cavallo di due anni costringe il rilevatore a lavorare su dati di due anni prima. La seconda criticità è rappresentata dalla completezza e copertura dell’indagine. Infatti i referenti regionali spesso non seguono i modelli di rilevazione inviati dall’Isfol e trasmettono dati parziali (solo interventi finanziati con fondi regionali o solo con il FSE) o utilizzando sistemi classificatori diversi e quindi offrendo dati poco omogenei con quelli richiesti415. La seconda indagine Isfol prende in considerazione le attività programmate dalle singole Regioni e Province Autonome nei Piani annuali. Gli aspetti negativi di un simile tipo di indagine, come abbiamo più volte sottolineato, sono legati al fatto di dover ragionare sul programmato e quindi su dati di preventivo, alla diversa struttura e al differente livello di organicità di dettaglio dei Piani regionali416. Aspetti negativi ampiamente compensati da quelli positivi, individuabili anzitutto nel fatto che in realtà, tra programmato e realizzato vi è uno scarto minimo e, in secondo luogo, nell’autorevolezza delle fonti, nell’attualità temporale dei dati così raccolti, nella possibilità di copertura dell’intero territorio nazionale. C’è poi da sottolineare che l’esperienza maturata dall’Isfol in materia (la prima serie di dati ha riguardato l’a.f. 1984-85) ed il progressivo miglioramento e perfezionamento della rilevazione e del trattamento dei dati portano a ritenere soddisfacentemente attendibili i risultati di questa indagine; attendibilità il cui livello aumenta se si fa riferimento non tanto al dato quantitativo in sé considerato (cioè ai valori assoluti e al semplice raffronto fra anni), quanto alla situazione strutturale che tale dato evidenzia (e cioè alla composizione percentuale). Con le cautele che suggeriscono le annotazioni precedenti, in questa sede utilizziamo tutte e due le fonti Isfol. 415 Nonostante il progressivo affinamento della impostazione e degli strumenti operativi di questo tipo di indagine la sua debolezza strutturale sta nel fatto che, tra la programmazione e l’avvio di una attività, può esserci uno scarto, anche consistente, tanto che un corso programmato in un determinato anno può essere realizzato l’anno successivo. 416 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1995, op. cit., p. 191. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 293 294 7.4.1. Le attività L’indagine Isfol sulle attività programmate dai Piani regionali utilizza due sistemi classificatori: uno per le tipologie di offerte formative e un altro per settori di attività economica. Nella prima classificazione, l’Isfol riconduce gli interventi programmati a tre macrocategorie: – formazione al lavoro, che comprende la prima qualificazione e il secondo livello (nel quale confluiscono le attività post diploma, post-laurea, quelle connesse ai diplomi universitari e quelle di “raccordo” con la scuola); – Formazione Continua, che comprende “disoccupati adulti” ed occupati; – formazione per utenze specifiche, che comprende, oltre alle attività per categorie sociali del disagio e per le donne, anche gli interventi formativi previsti da leggi statali e/o regionali. Tale classificazione ingloba sostanzialmente anche quella utilizzata dal Quadro comunitario di sostegno Italia dell’Obiettivo 3 e dal Documento unico di programmazione dell’Obiettivo 4 del Fondo Sociale Europeo417. Quanto alla classificazione delle attività corsuali per settore di attività economica, le Regioni ricorrono ai sistemi più diversi: si va infatti da macro-categorie (quali “primario”, “secondario”, “terziario”), a sistematizzazioni molto dettagliate. Al riguardo l’indagine Isfol ha elaborato una specifica classificazione articolata in 28 settori a loro volta suddivisi in 127 aree professionali L’indagine Isfol fornisce dati per tutto il periodo considerato da questo volume, ad esclusione degli anni formativi 1993-94 e 1994-95 (cfr. Tab. n. 30). Il numero dei corsi è in costante aumento, passando dai 18.532 del 1989- 90 a 26.251 del 1996-97; unica eccezione è l’anno 1992-93 dove si verifica una flessione. La causa prima degli aumenti negli ultimi anni è senz’altro dovuta alla maggiore dotazione e utilizzazione del FSE, dopo la riforma del 1993. Importante è considerare come negli anni cambino i rapporti percentuali tra le diverse offerte formative e, soprattutto, se è corretta la tesi dell’“esplosione della formazione continua”, con cui abbiamo titolato questo volume. Se analizziamo i dati del Grafico 43 constatiamo come la Formazione Continua guadagni, nel 1996-97, rispetto all’anno di riferimento iniziale, 14 punti percentuali, facendo registrare il 44,5% di tutto il volume corsuale programmato rispetto al 30,2% di sei anni prima. È opportuno considerare che nel sistema classificatorio dell’Isfol la formazione per adulti è sinonimo di Formazione Continua, in quanto comprende, come ancora avveniva anche nella letteratura del settore, sia la formazione per occupati che quella per disoccupati adulti. I corsi per i primi erano comunque molto più numerosi che gli interventi per i secondi. I dati disaggregati per il 1995/96 417 Le correlazioni sono in particolare le seguenti: Prima qualificazione: asse 2 sub-assi 1 e 2, obiettivo 3. Secondo livello: asse 2 sub-assi 3 e 4, obiettivo 3. Adulti disoccupati: asse 1 obiettivo 3; occupati: asse 2 ob. 4, Corsi specifici: assi 3 e 4 obiettivo 3. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 294 295 e 1996-97 parlano di un rapporto di 3 a 1 (esattamente 7.822 corsi per occupati e 2.178 per disoccupati per il primo anno e 8.623 per occupati e 3.317 per disoccupati nel secondo anno)418. Se si tiene conto che la maggior parte degli utenti della categoria dei corsi speciali per utenze specifiche sono adulti, si può concludere che la formazione iniziale, comprendente il primo e secondo livello, è diventata nel 1996- 97 nel Paese minoritaria. Rispetto a questi scenari possiamo reiterare la constatazione fatta per gli Anni ’80. Allora era il secondo livello ad acquisire posizioni importanti sulla scena della Formazione Professionale regionale. Ora è la formazione destinata ad utenze adulte e prevalentemente occupate. Ulteriore testimonianza della capacità e duttilità della Formazione Professionale a connotarsi potenzialmente come sistema di formazione ricorrente, inteso come sistema aperto a tutti i fabbisogni formativi di giovani ed adulti, in qualsiasi momento questi si trovino del processo di transizione dalla scuola al lavoro, dalla disoccupazione al lavoro, dal lavoro al lavoro. In un panorama di istituzioni formative immobili, la Formazione Professionale regionale ha raccolto le sollecitazioni di una domanda di formazione diversificata e si è strutturata in una offerta formativa tipologicamente articolata. Ma tanta letteratura non se ne accorge e continua anche quegli anni a recitare la falsa litania di una Formazione Professionale regionale immobile e passata soprattutto nella prima formazione. La prima formazione che passa da 7.733 corsi dell’inizio del decennio a 6.156 (1.577) dell’a.f. 1996-97, ma dopo avere raggiunto, nell’anno precedente, gli 8.559 interventi (cfr. Tab. n. 30). Quindi valori assoluti oscillanti e non stabilizzati, ma certamente valori percentuali in progressiva diminuzione. Dal primo all’ultimo anno di riferimento la prima qualificazione perde 18 punti percentuali. Dal 41,7% del 1989-90 al 23,2% del 1996-97, dopo, però, avere fatto registrare il 37% nei quattro anni formativi intermedi. L’importanza di peso, però, non dipende solo da 418 Cfr. SISTAN (Sistema statistico Nazionale) e ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1996-97, Roma 1998, p. 11. Grafico n. 43 - Evoluzione del numero di corsi dall’a.f. 1989-90 all’a.f. 1996-97 (V.A.) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.28 Pagina 295 296 una diminuzione consistente delle attività riservate ai giovani post-obbligo, ma anche dall’aumento della altre offerte formative, che stanno godendo di un trend particolarmente positivo. Trend positivo non solo della formazione per adulti, ma anche per il secondo livello, che nel 1996-97 arriva al 22% circa di tutta l’attività programmata per quell’anno. La media nazionale, però, ha il torto di omologare e appiattire le differenze territoriali. Per restituire rilievo a tali differenze, verifichiamo l’incidenza percentuale delle tipologie corsuali nella programmazione delle attività delle Regioni nel 1995- 96. Assumiamo i dati di questo anno formativo, perché più in linea con quelli che l’hanno preceduto e quindi particolarmente rappresentativo di questo periodo: – Primo livello (media nazionale 37,2%): 7 Regioni (Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Lazio, Puglia, Sicilia) fanno registrare valori che si collocano sopra il 40%; 8 (Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia Romagna, Marche, Campania, Calabria, Sardegna e Basilicata) tra il 20 e il 40%. La Regione con la maggiore percentuale di corsi di prima qualificazione rispetto alle altre offerte formative è la Sicilia con il 73,9%; l’Umbria ha, invece, la percentuale più bassa. – Secondo livello (media nazionale 10,2%): undici Regioni superano la media nazionale. Qualcuna con percentuali molto alte: la Basilicata con il 42,7% e il Molise con il 39,3%. Sono le Regioni del Nord ad abbassare la media. La spiegazione più plausibile di questo fenomeno sta nel fatto che, come succede per i percorsi scolastici, al Sud anche un percorso di Formazione Professionale costituisce un’alternativa ad un mercato del lavoro che non c’è; un percorso peraltro reso appetibile anche (spesso soprattutto) da un sussidio economico. La Formazione Continua (media nazionale 45,1%) disaggregata in 11,1% di corsi per disoccupati e 34,0% per occupati. Nella maggior parte delle Regioni (14) la per- Tabella n. 30 - Attività programmate (aa.ff. 1989-90, 1990-91, 1991-92, 1992-93, 1995-96, 1996- 97; V.A. e V.%) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 296 297 centuale più alta è quella degli interventi per occupati. Da segnalare il valore record della Liguria (79,6%) per il segmento degli occupati e quello della Calabria (59,7%) per il segmento dei disoccupati. In tutte le Regioni del Centro-Nord (ad esclusione del Veneto e del Lazio) la Formazione Continua rappresenta l’offerta formativa più consistente; nel Meridione, solo in Calabria e in Sardegna gli interventi per un’utenza adulta, occupata o disoccupata, ha la meglio sul primo o sul secondo livello. Tabella n. 31 - Corsi programmati dalle Regioni nel 1995-96 per Regione e tipologia formativa (V.%) Grafico n. 44 - Evoluzione del numero di corsi dall’a.f. 1989-90 all’a.f. 1996-97(V.%) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 297 298 I corsi per utenze speciali (media nazionale 7,5%): tutte le Regioni si discostano poco dal valore medio nazionale, ad esclusione della Toscana (39,7%) e della Campania (36,5%). E, in entrambi i casi, gli interventi che danno una dimensione così rilevante a questa offerta formativa sono quelli previsti da specifiche normative regionali o nazionali, in particolare quelli per l’iscrizione al registro degli esercenti del commercio o per agenti del commercio. La distribuzione dei corsi programmati nelle Regioni rispetto ai settori economici ci consegna queste evidenze (cfr. Tab. n. 32): – il 58,1% dei corsi programmati riguarda attività lavorative che ricadono nel macro-settore del terziario; il 37,2% nel macrosettore dell’industria ed artigianato e, invece, una quota residuale (4,7%) nell’agricoltura; – nell’ambito del terziario le percentuali maggiori dei corsi si riscontrano, nei lavori d’ufficio (19,1%), nei servizi socio educativi (11,40%) e nell’informatica (7,8%). La distribuzione negli altri settori o aree professionali non supera il 5%; – nell’ambito dell’industria e dell’artigianto i corsi della meccanica e quelli dell’elettronica occupano saldamente le prime due posizioni rispettivamente con il 16,2% e il 7,6%; – la maggiore concentrazione di corsi finalizzati alla prima qualificazione si verifica nel comparto professionale dei Lavori d’ufficio (21,4%), della meccanica (15,4%) e dell’elettricità elettronica (14,3%). I corsi di questi tre settori rappresentano il 51% del volume corsuale programmato nel 1995-96; – il 78% dei corsi di II livello riguardano qualifiche o certificazioni relative ad attività del terziario; fanno registrare la presenza più numerosa nel comparto dei Lavori d’ufficio (25,7%). Di rilievo anche i valori percentuali nell’informatica (14,7%), nei servizi socio-educativi (12,8%) e nel turismo (8,75%); – anche i corsi della Formazione Continua si collocano prevalentemente nei settori del terziario (rispettivamente con il 63,7% e il 51,8%). E anche per i corsi per disoccupati i Lavori d’ufficio rappresentano l’area di maggiore concentrazione, mentre gli interventi per occupati fanno registrare una cospicua presenza nel settore della meccanica 25,6%; – il settore della distribuzione commerciale e l’area dei servizi socio-educativi raccolgono oltre il 60% degli interventi per utenze speciali. I risultati dell’altra fonte Isfol che censisce l’attività realizzata appaiono nel Rapporto Isfol del 1998 e sono relativi all’anno solare 1996 (cfr. Tab. n. 33)419. Il sistema classificatorio delle offerte formative utilizzato prevede queste tipologie di attività: I livello, II livello, Disoccupati, Occupati, Occupazione critica, Soggetti a rischio di esclusione, altri interventi non classificabili. L’attività formativa realizzata nel 1996 risulta fortemente concentrata nelle Regioni del Nord, nelle quali viene attuato più della metà (53,6%) del volume corsuale 419 ISFOL, Rapporto Isfol 1998, F. Angeli, 1998, p. 351 e ss. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 298 299 annuo; in particolare l’Emilia Romagna con 3.281 corsi e la Lombardia con 2.949 corsi realizzati, sono le Regioni con la maggiore attività formativa. Nel Centro sono Toscana (1.582) e Lazio (1.435) a svolgere ben il 75,4% dell’attività dell’area; nel Sud la distribuzione è piuttosto uniforme fatta eccezione della Sicilia (2.524) in cui l’attività formativa è più rilevante. Analizzando le distribuzioni percentuali nelle varie tipologie formative, si osserva che complessivamente l’offerta formativa maggiore è indirizzata ai lavoratori occupati (28,1%), in particolare nel Nord (40,0%); nel Centro invece è più concentrata sul secondo livello (26,6%) e al Sud sul primo livello (42,5%). Tabella n. 32 - Corsi programmati dalle Regioni per settori economici e tipologia formativa (a.f. 1996-97) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 299 La maggior parte dell’attività formativa è finanziata dai fondi comunitari, in particolare nel Nord questi ricoprono il 71,5% dell’attività e nel Centro il 76,3%. Nel Sud mancano i dati di Sicilia e Sardegna. La Provincia Autonoma di Bolzano 300 Tabella n. 33 - Corsi realizzati per tipologia formativa e Regioni (V.A. e V.%) (1) Non disponibile; (2) Dati stimati storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 300 301 (63,5%), il Veneto (68,6%) e il Friuli Venezia Giulia (59,8%) mostrano un impegno finanziario maggiore dei fondi regionali; cinque Regioni hanno utilizzato solo fondi comunitari (Lombardia, Umbria, Molise, Campania, Basilicata e Calabria) o più correttamente hanno utilizzato le risorse regionali solo come sponda al finanziamento del FSE (cfr. Graf. n. 45). a) Un linguaggio e un’offerta nuova: l’integrazione tra sistemi Nella Tabella 30 che riferiva il numero delle attività programmate dall’a.f. 1988-89 all’a.f. 1995-96 abbiamo seguito l’evoluzione, in valori assoluti e relativi, del II livello. In quelle percentuali, accanto a quelle per i corsi del post-diploma e del post laurea, c’erano anche i cosi detti corsi di raccordo o di integrazione Scuola-Formazione Professionale. È un’offerta formativa che non nasce in questo periodo; l’avevamo rilevata anche nei decenni precedenti, ma era ancora a livello embrionale. In questo decennio si sviluppa, però, fino a costituire quantitativamente e tipologicamente una nuova offerta formativa, anche se di dimensioni ridotte. Con la crescente presenza di questa offerta prendono piede, nel linguaggio corrente, termini che non avremmo mai sospettato di usare qualche anno addietro: integrazione, interazione, collaborazione intersistemica. Mentre assistiamo allo stallo sul piano politico-parlamentare nei confronti della riforma della Scuola Media superiore e della Formazione Professionale, sempre annunciate e mai effettuate, i sistemi formativi procedono se non ad un’autoriforma almeno a ridisegnare e reimpostare i rapporti vicendevoli, perché le innovazioni culturali spesso vanno più veloci delle riforme per via legislativa. Le elaborazioni concettuali maturate in questi anni parlano chiaro, parlano di interazioni e non di steccati, di collaborazione e non di conflittualità. Non per un im- Grafico n. 45 - Il peso percentuale del FSE nella realizzazione delle attività (a. 1996) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 301 302 provviso buonismo ma per nuove consapevolezze che nascono dalla costatazione che il ritmo delle trasformazioni tecnologiche ha stravolto i ritmi e i tempi della formazione ed il mix cultura di base - cultura specialistica - professionalizzazione - cultura organizzativa sono ormai componenti inscindibili. Anzi costituiscono una dotazione personale che ciascuno dovrebbe possedere, riaggiornare e ricombinare per tutto l’arco della propria vita attiva, a prescindere dalla posizione lavorativa che ricopre o ricoprirà (cfr. Fig. n. 64). Pertanto, una scuola per chi studierà ancora e una scuola per chi lavorerà non serve più. E di conseguenza non si giustifica più, e non è funzionale, lasciare che un elevato grado di rigidità, di non permeabilità, impedisca di fatto quell’osmosi che aprirebbe le strade per una loro fruizione più dinamica da parte delle differenti utenze. Dunque, i sistemi sono ancora bloccati dalle morse di mancate riforme o normative quadro, ma, al loro interno, non sono così asfittici come si potrebbe supporre. Esistono molteplici e significativi interventi ed esperienze, nate proprio nell’intento di favorire un raccordo tra il Sistema Istruzione, compresa l’Università, e quello della Formazione Professionale (e spesso, tra questi ultimi ed i rappresentanti delle parti sociali) e che si esprime soprattutto in queste forme: – interventi per giovani tra i 14 e i 16 anni, per favorire i reciproci passaggi tra sistema scolastico e Sistema di Formazione Professionale, sulla base della valorizzazione dei crediti formativi, contro la dispersione scolastica; – moduli integrativi dei curricola scolastici realizzati nell’ambito della Formazione Professionale regionale attraverso attività di stage, laboratori, in particolare rivolti ad alunni del 4° e 5° anno della scuola superiore; – corsi post-diploma e post-qualifica, realizzati congiuntamente da Scuola e Formazione Professionale regionale; Figura n. 64 - Dotazione personale in continuo riaggiornamento e ricombinazione storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 302 303 – attività in collaborazione tra Università, Formazione Professionale e aziende per la realizzazione dei diplomi universitari, attività dei consorzi Università/imprese nell’ambito del programma Comett; – interventi per adulti privi della licenza dell’obbligo scolastico e con bisogni di qualificazione/riqualificazione (cfr. Fig. n. 65). Come si può notare dal Grafico 46 questa tipologia di attività conosce un trend positivo, tanto che nel 1988-89 rappresentava l’1,1% di tutto il volume corsuale programmato per quell’anno formativo; nell’a.f. 1995-96, invece, con 591 interventi e circa 14.000 allievi faceva registrare un peso percentuale pari al 2,6%. Figura n. 65 - Tipologie di attività realizzate in interazione Scuola-Formazione Professionale Grafico n. 46 - Evoluzione quantitativa delle attività di integrazione (V.% dal 1988-89 al 1995-96) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 303 304 Cercando di scandagliare più in profondità questi dati, scopriamo che la distribuzione per macrosettore vede la netta prevalenza del terziario (con 469 interventi), seguito dall’industria-artigianato (115) e dall’agricoltura (7). La ripartizione geografica rileva una netta prevalenza del Nord-Est (338 interventi) con il 67%, che distanzia il Nord-Ovest (128) di 45 punti percentuali. Chiudono il Centro e il Meridione con 29 e 36 attività che rappresentano il 5% e il 6% di tutti gli interventi programmati rientranti un questa offerta formativa420. La Regione cui spetta il primato è l’Emilia Romagna con 274 interventi. Questo trend positivo è in gran parte merito di una consistente produzione di documenti ufficiali di impegno reciproco tra le parti, quali convenzioni, protocolli d’intesa, accordi. A partire dal 1989, con una costante accelerazione si è assistito ad un’attivazione di accordi tra le maggiori istituzioni per promuovere una vera integrazione tra i diversi sistemi formativi. Il Ministero della Pubblica Istruzione ed, in particolare, la Direzione Generale dell’Istruzione Professionale (DGIP), si è particolarmente attivato nei confronti dei sistemi formativi regionale e imprenditoriale. D’altro canto le Regioni ed il mondo imprenditoriale hanno risposto con particolare disponibilità. Quasi tutte le Regioni hanno stipulato una convenzione con il MPI, come analoghe intese sono state firmate con le più rappresentative organizzazioni imprenditoriali (Confindustria, Confapi, Associazioni artigianali). Molte anche le convenzioni tra le singole aziende o gruppi di aziende con le Regioni ed il MPI. È frequente inoltre una partecipazione a livello locale di tutti e tre i soggetti interessati (Istituzione scolastica, Ente regionale, azienda o associazione territoriale di aziende)421. La molteplicità degli accordi stipulati, di cui si riassumono i contenuti principali, evidenziano il tentativo delle diffe- 420 ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1996-97, Roma 1998, p. 29. 421 ISFOL, Rapporto Isfol1995, F. Angeli, Milano 1995, pp. 303-304. Grafico n. 47 - Ripartizione geografica delle attività di raccordo-integrazione (a.f. 1995-96, V.%) storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 304 305 renti istituzioni di proporre soluzioni alle pressanti esigenze di integrazione, in mancanza di un quadro normativo chiarificatore. Obiettivi comuni a tutte le convenzioni, sia pure con differenti formulazioni (sempre un po’ enfatiche come è tipico di questo tipo di letteratura), sono: – la realizzazione di programmi di integrazione e raccordo per migliorare e coordinare l’offerta formativa nel territorio regionale anche per il tramite di innovazioni metodologico-didattiche e modifica dei programmi; – la realizzazione di attività formative post-diploma e post-qualifica al fine anche di un doppio riconoscimento della qualifica (titolo di studio e qualifica professionale riconosciuta dalla Regione); – la riorganizzazione degli insediamenti delle strutture di Formazione Professionale statali e regionali presenti sul territorio; – l’utilizzo reciproco delle strutture, delle attrezzature e del personale nell’ambito di un programma coordinato di interventi; – la creazione di comitati di consultazione permanente. Su questo versante è particolarmente importante il protocollo d’intesa stipulato nel febbraio del 1994 tra Ministero della Pubblica Istruzione e Conferenza dei Presidenti delle Regioni per la conclusione di accordi regionali e provinciali. Tra tante esperienze in materia d’integrazione tra sistemi ne proponiamo alcune particolarmente significative che hanno riguardato il biennio della Formazione Professionale (il progetto Promos in Lombardia e quello per la riqualificazione della formazione di base in Provincia di Trento), il post-secondario (Progetto SFI della Regione Umbria e Progetto attività formative integrate dell’Emilia Romagna) e la Formazione Continua. a) Il progetto Promos in Lombardia. La sperimentazione formativa di Promos, avviata nel 1993, riguarda corsi di primo livello per giovani in possesso della licenza dell’obbligo, nei settori amministrativo ed elettrico-elettronico, arricchiti con contenuti del biennio secondario superiore dei nuovi programmi della Commissione Brocca (260 ore aggiuntive per ciascun anno formativo). Il progetto ha l’obiettivo di far conseguire agli allievi un attestato di qualifica regionale di I° livello, e crediti formativi, valutabili per una prosecuzione degli studi in percorsi dell’Istituto Tecnico Industriale Statale o dell’Istituto Professionale di Stato ad indirizzo coerente. Per prevenire l’abbandono scolastico sono state utilizzate metodologie didattiche di sostegno e motivazione allo studio. La possibilità di spendere i crediti per un rietro nel circuito scolastico avviene in base ad appositi accordi tra Sistema scolastico e Sistema regionale. b) Progetto per la riqualificazione della formazione di base della Provincia Autonoma di Trento. A partire dall’anno formativo 1994/95 è stata avviata in tutti i Centri di Formazione Professionale della Provincia di Trento la sperimentazione di un percorso formativo innovativo, di durata triennale, strutturato in un biennio di orientamento e polivalente per aree monoprofessionali (industria e artigianato, storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 305 306 terziario, alberghiero-ristorazione, abbigliamento, servizi), più un terzo anno di specializzazione, al cui termine si ottiene l’attestato di qualifica. Il biennio di base è strutturato in area comune e area di monosettore per un monte di 36 ore settimanali. Nell’area comune (17 ore settimanali) viene impartito l’insegnamento di italiano, storia, matematica e lingua straniera. Nelle restanti 19 ore settimanali vengono impartiti insegnamenti di scienze, linguaggi e comunicazione, modelli organizzativi, tecnologie e processi operativi riferiti alla monoarea settoriale. Il biennio, oltre a consentire l’accesso al terzo anno di qualifica, permette anche di entrare nel mondo del lavoro, mediante l’istituto dell’apprendistato e, avendo rafforzato l’area delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, offre un’altra opportunità: il rientro al terzo anno della scuola media superiore (cfr. Fig. n. 66). Nel segmento post-secondario da tempo si sperimentano forme di integrazione tra Scuola, Formazione Professionale ed imprese, tanto da poter affermare che rappresenta probabilmente un osservatorio privilegiato per la rilevazione delle possibili forme di raccordo tra sistemi. In questi anni, in particolare, due fenomeni, i progetti di post-qualifica (ex progetto ’92) e l’avvio di alcuni diplomi universitari, specie nell’area ingegneristica, stanno imprimendo all’area del post-secondario una spiccata caratterizzazione di “formazione integrata”. Infatti, per i corsi post-qualifica degli Istituti Professionali di Stato, si prevede un biennio integrato Scuola-Formazione Professionale422; per i diplomi universitari sono state realizzate esperienze di collaborazione tra Università, imprese e sistema formativo regionale. A titolo esemplificativo ne proponiamo due: c) Progetto SFI della Regione Umbria. Nato negli Anni ’90, il progetto SFI (Sistema Formativo Integrato) attua sinergie formative tra Regione, Scuola e sistema delle imprese nel post-diploma presso Istituti Tecnici e Professionali. La 422 Cfr. paragrafo 3.8.2.b. Il biennio post-qualifica e la terza area. Figura n. 66 - Possibilità di percorsi formativi o formativo-lavorativi dopo il biennio storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 306 307 gestione congiunta dei corsi pilota prevede: responsabile del corso (nominato dalla Regione); tutor di Formazione Professionale (nominato dalla Regione); tutor di scuola (docente nominato dalla scuola); tutor d’impresa (nominato dagli imprenditori); équipe tecnico scientifica composta da tecnici di tutti i sistemi interessati. I punti forti del processo sono costituiti da: integrazione totale tra FP regionale, scuola e impresa in ogni fase del processo formativo; innovazione metodologica nella progettazione formativa; flessibilità delle figure professionali proposte che, configurandosi come figure di area e di processo, sono adattabili alle modificazioni del mercato del lavoro. d) Progetto attività formative integrate nella Regione Emilia-Romagna. Il progetto, attuato d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione, è stato predisposto per la gestione dei corsi post-qualifica. I principi guida sono: gli Istituti Professionali di Stato interessati al progetto, che normalmente attuano un programma composto da un biennio di qualifica (un anno di specializzazione ed un biennio terminale) definiscono in accordo con la Regione una progettazione formativa che integri le esperienze di alternanza scuola-lavoro e la metodologia maturata nei CFP regionali alla normale programmazione ministeriale. Questa integrazione, mirata nel biennio di qualifica alla prevenzione contro la dispersione scolastica, deve svolgersi il più possibile nei tempi scolastici come percorso didattico a tutti gli effetti e non “aggiuntivo”; i corsi integrati sono percorsi scolastici realizzati congiuntamente dalla Scuola, dalla FP con la collaborazione delle imprese e caratterizzati, sul piano didattico, da una globale coerenza ed unitarietà; la progettazione delle attività, nel rispetto delle direttive regionali in materia di FP, deve essere effettuata per moduli e congiuntamente per l’intero percorso, l’individuazione di due coordinatori di progetto, rispettivamente per la Scuola e per la FP, responsabili dell’integrazione tra tutti i moduli del progetto stesso. Al termine del ciclo formativo i giovani diplomati acquisiranno, oltre al titolo di studio statale, le corrispondenti qualifiche professionali riconosciute dalla Regione. Lo sviluppo di un sistema integrato riguarda anche la Formazione Continua. Un caso interessante su questo versante è costituito da un progetto di formazione per adulti privi dell’obbligo. e) Progetto di formazione di base e preprofessionale della Regione Piemonte. Il progetto, nato dall’intesa tra il MPI e Regione Piemonte, realizza interventi di formazione di base e pre-professionali rivolti ad adulti (oltre i 16 anni), privi della licenza dell’obbligo, con particolare attenzione per i soggetti a rischio di emarginazione dal mercato del lavoro. Al termine dei corsi si prevede il conseguimento della licenza media e la possibilità di proseguire l’iter formativo nei corsi di qualificazione professionale. In tali corsi sperimentali di scuola media è prevista l’integrazione con moduli formativi della durata di 50 ore, destinati ad attività pre-professionali; tali moduli sono strutturati sia per il trasferimento di competenstoriaFORMAZ3- 2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 307 308 ze specializzanti sia per l’esercizio delle competenze nelle aree disciplinari previste dai curricoli scolastici per questo tipo di corsi sperimentali. Per i modelli pre-professionali, la programmazione, lo svolgimento e la gestione d’aula prevede un lavoro d’équipe tra i docenti della scuola ed i formatori della FP. Le esperienze illustrate, e proposte solo a titolo di esempio di una realtà che sta diventando anche quantitativamente un fenomeno non trascurabile, rappresentano percorsi formativi efficienti, in quanto ottimizzano l’utilizzo delle strutture e delle risorse, evitando inutili sovrapposizioni e competitività, e arricchiscono l’offerta formativa di nuove opportunità con particolare attenzione alle tendenze del mercato e ai bisogni delle utenze. Ma queste esperienze testimoniano, anche, una evoluzione nei rapporti tra il Sistema scolatico statale e quello formativo regionale, perché superano concettualmente ed operativamente storiche barriere, ridefinendo le finalità educative e l’“identità” dei sistemi anche sul piano pragmatico, confermando al Sistema scolastico la sua funzione di formazione di base ed al Sistema di FP la sua funzione professionalizzante. Naturalmente si sente la mancanza di un quadro normativo di più ampio respiro che ne sostenga lo sviluppo. 7.4.2. Le qualifiche La qualifica professionale, sulla base della normativa vigente, nel nostro Paese si acquisisce con l’attestato che le Regioni rilasciano, secondo quanto prescrive l’art. 14 della Legge quadro n. 845/78, con un diploma degli Istituti Professionali di Stato, con l’attestazione di un’impresa (ad esempio, a seguito di contratti a causa mista di apprendistato e formazione/lavoro) e con l’accertamento di professionalità, ai sensi dell’art. 14 della L. n. 56/87423 (cfr. Fig. n. 67). 423 Cfr. L. 56/87 “Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro”, Art. 14 Accertamento della professionalità. “Ai fini dell’iscrizione nelle liste di collocamento, la sezione circoscrizionale per l’impiego ha facoltà di effettuare l’accertamento della professionalità del lavoratore avvalendosi delle strutture e degli organismi di formazione professionale competenti, previsti dalla Legge 21 dicembre 1978, n. 845, ovvero delle attrezzature messe a disposizione dalle imprese”. Figura n. 67 - Certificazioni di qualifica professionale storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 308 309 a) La incomunicabilità tra sistemi formativi e mondo del lavoro La contrattazione collettiva utilizza delle declaratorie che indicano in maniera generica le mansioni e le competenze richieste ai lavoratori e quindi offrono pochi input al mondo della Formazione che deve elaborare percorsi di acquisizione delle conoscenze e competenze professionali. I titoli rilasciati dagli Istituti Professionali di Stato, per preoccupazioni di polivalenza didattica, rispondono più al concetto di area professionale che di qualifica, senz’altro non utilizzabile nel mondo del lavoro. Il mondo della Formazione Professionale regionale, infine, non ha solo problemi di dialogo con gli altri sistemi che producono qualifiche, ma addirittura li ha al proprio interno, cioè non solo non dialoga con gli IPS e con il mondo della contrattualistica del lavoro, ma su questo versante le Regioni non dialogano tra loro. Abbiamo, infatti, dimostrato, nel secondo volume, che nei Sistemi regionali per quanto riguarda le qualifiche (il traguardo più importante della Formazione Professionale) e i percorsi per raggiungerle si viva una situazione di totale deregulation. Beninteso non perché le Regioni non regolamentino in materia (anche se succede pure questo), quanto perché ciascuna regolamenta per sé e nessuno per tutte. Per cui la qualifica di operatore contabile raggiungibile in Molise con un percorso di 900 ore, nel vicino Abruzzo si ottiene con un corso che dura 1600 e nella Calabria addirittura con uno di 2400 ore. Se consideriamo che l’esempio riportato non rappresenta la patologia ma la fisiologia del sistema, si deve concludere che la possibilità di comunicazione tra i sistemi regionali è molto problematica, perché ciascuno crea prodotti non riconoscibili dagli altri. Il Ministero del Lavoro che, in questa materia, dovrebbe avere una qualche funzione regolatrice424 o comunque essere di riferimento per tutti, si limita a pubblicare da anni un elenco alfabetico di denominazioni delle occupazioni (circa 5.000) che, nonostante gli aggiornamenti, si presenta obsoleto, sia per l’impianto metodologico che per i contenuti, e parziale, perché elenca solo occupazioni dipendenti, tralasciando il lavoro autonomo425. Conseguenza di questo stato di cose: convivenza di tre sistemi non dialoganti tra loro perché basati su criteri e categorie diversi. Dialogo che non c’è perché la storia di ciascuno è molto diversa, ma anche perché non lo si vuole, come insegna il progetto Fasce di Professionalità. b) Tentativi per la certificazione e riconoscibilità delle qualifiche Questo progetto426, nato da una previsione della Legge quadro realizzato dal - l’Isfol è stato il tentativo più importante, nel nostro Paese, per arrivare alla “definizione delle qualifiche professionali, dei loro contenuti tecnici, culturali ed operativi e delle prove di accertamento per la loro attribuzione”. 424 Va ricordato che il Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, attuativo della delega di cui all’art. 1 della Legge 22 luglio 1975, n. 382, e che all’art. 4 attribuisce allo Stato la funzione di indirizzo e coordinamento nelle materie trasferite o delegate, tra le quali l’istruzione artigiana e professionale. 425 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1994, F. Angeli, Milano 1994, p. 145. 426 Cfr. Volume II, pp. 183-187. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 309 310 Le difficoltà incontrate nella decretazione dei risultati del Progetto, che pur aveva incontrato larghi consensi dal punto di vista tecnico-metodologico, erano dovute non tanto alla sua utilità, quanto al fatto che le intenzioni della L. n. 845 che legavano il tema della Formazione (e la conseguente qualificazione e certificazione) ad altre due questioni di importanza cruciale, quali l’avviamento al lavoro e l’inquadramento contrattuale in azienda, incontravano l’ostilità ferma dei sindacati, dei lavoratori e dei datori, che ritenevano queste due materie di loro pertinenza esclusiva. Se buttiamo uno sguardo al di là dei nostri confini per vedere come abbiano regolamentato la materia i nostri principali partners europei, rileviamo la presenza di due modelli, rappresentati da Germania427 e Francia428, dove nel primo c’è continuità tra qualifica appresa in formazione e qualifica esercitata sul lavoro, mentre nel secondo modello non c’è da parte del mondo del lavoro un automatico riconoscimento della qualifica erogata dal Sistema formativo. Ma nei primi Anni ’90 tutti i partners europei, a prescindere dai modelli di erogazione e riconoscimento delle qualifiche che hanno adottato, avevano a che fare con una scadenza, 1° gennaio 1993, quando entra in vigore il Trattato di Maastricht e prende concretamente avvio la fase più ambiziosa del processo di unificazione e di integrazione europea: la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Naturalmente il concetto di “libera circolazione” delle persone non sta ad indicare solo lo spostamento fisico da un Paese all’altro, ma anche quello, ben più significativo, di reale collocazione professionale a livelli analoghi a quelli del Paese di provenienza. Pertanto il mercato del lavoro unico europeo che si configura ha bisogno di regole chiare e concordate che permettano un riconoscimento reciproco delle qualifiche, per evitare penalizzazioni ed azzeramenti di bagagli professionali acquisiti nei Paesi d’origine. Questa preoccupazione era stata da tempo avvertita dalla Comunità che, già con decisione del 16 luglio 1985429, avviava la corrispondenza delle qualifiche di Formazione Professionale tra gli Stati membri della Comunità europea. L’obiettivo del progetto era quello di predisporre gli strumenti tecnici su cui fondare, se non un 427 In Germania sono circa 370 le professioni basate su una formazione riconosciuta; esse coprono l’intero spettro dell’occupazione specializzata. Per ciascuna di esse vengono stabilite dal Bibb (Istituto federale per la Formazione Professionale) tutte le specifiche: qualifiche, profilo, contenuti e durata della formazione, prova di verifica; tali specifiche vengono approvate da una commissione tripartita a livello nazionale, e varate con decreti governativi. Il sistema di qualificazione professionale è quindi in Germania fortemente centralizzato per ciò che concerne la definizione delle qualifiche e degli standard relativi; è invece caratterizzato da un progressivo decentramento relativamente all’autonomia degli organismi che erogano formazione. La qualifica professionale in Germania è di tre tipi (relativamente al settore industriale, al terziario e all’arte e mestieri) ed è sostanzialmente un titolo valido a livello nazionale; la sua acquisizione rappresenta il riconoscimento sociale di un percorso formativo, in quanto il certificato conseguito è accettato sia sul mercato del lavoro che dalle imprese. 428 In Francia esiste un sistema nazionale di definizione delle qualifiche professionali, il “Rome” (Repertorio operativo dei mestieri e delle occupazioni), elaborato dall’Anpe (Agenzia nazionale per l’impiego) per la gestione del mercato del lavoro; in tale repertorio non vengono indicati né il percorso formativo relativo, né standard formativi e di durata. Le qualifiche indicate sono 460, e vengono definite secondo le competenze tecniche di base della professione relativa. 429 Cfr. volume II, p. 189 e ss. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 310 311 reciproco riconoscimento di qualifiche professionali e diplomi di qualifica, almeno una loro “corrispondenza”, come recita testualmente la decisione, che garantisce sul livello qualitativo della formazione ricevuta. Con questo progetto si intendeva contribuire alla chiarezza fornendo informazioni reciprocamente accettate che, pur non rappresentando il terreno per un automatico riconoscimento delle qualifiche a livello aziendale, consentissero al datore di lavoro di operare scelte non al buio. Sulla base di questa logica di fondo il Cedefop, su mandato della Comunità, aveva attivato una serie di analisi settoriali per definire le caratteristiche professionali, oltre che le denominazioni formali, delle più importanti professioni riconducibili al livello II della griglia elaborata in sede comunitaria430. La metodologia di lavoro seguita prevedeva, sulla base di studi preparatori, messi a punto dal Cedefop e dai suoi esperti, riunioni plenarie dei dodici Paesi della Comunità per definire e meglio precisare l’apporto e le caratterizzazioni nazionali delle professioni indagate; ogni delegazione era costituita da un membro istituzionale e da due membri in rappresentanza dei datori di lavoro e dei sindacati. Come detto nel volume II il progetto iniziale che prevedeva la corrispondenza delle qualifiche per 19 settori431 non è stato mai concluso (cfr. Prosp. n. 33). Ad un certo punto si è avuta la sensazione che si stava costruendo una cattedrale nel deserto dato lo scarso, se non nullo, impatto del progetto a livello nazionale. Nell 1992 l’Europa cambia prospettiva, con la Direttiva 92/51/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE432. La Direttiva introduce un sistema generale di riconoscimento dei diplomi professionali rilasciati dopo il completamento di studi d’Istruzione Superiore o post secondari di almeno un anno, oppure al termine di alcuni tipi di Formazione Professionale post secondaria breve. 430 Cfr. volume II, p. 192: LIVELLO 2: Formazione che dà accesso a questo livello: Istruzione obbligatoria e Formazione Professionale (compreso in particolare l’apprendistato). Questo livello corrisponde ad una qualifica completa per l’esercizio di una attività ben definita con la capacità di utilizzare i relativi strumenti e tecniche. Si tratta principalmente di un lavoro esecutivo che può essere autonomo nei limiti delle tecniche ad esso inerenti. Per quanto concerne il nostro Paese è il caso di ricordare che queste professioni ricadono a cavallo tra le attività di tipo qualificato e quelle di tipo specialistico, a seconda dei settori indagati. 431 Horeca (albergazione e ristorazione), Riparazione veicoli a motore, Edilizia, Agricoltura, Elettrico/ elettronico Abbigliamento, Tessile, Metallurgico, Lavori amministrativi (banche / assicurazioni), Chimica, Commercio, Trasporti, Agro-alimentare, Turismo, Lavori in legno, Lavorazioni in ferro / acciaio, Lavorazioni in cuoio; Industria agroalimentare. 432 In G.U. n. L. 209 del 24/07/1992 p. 25-45. Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1994, op. cit., p. 124: “l’elemento fortemente innovativo di tale direttiva va ravvisato nella istituzione di nuovi criteri identificativi delle professionalità e delle competenze intese come una sorta di “bene di scambio prioritario” nel mercato unico europeo. Tali criteri identificativi sono sostanzialmente espressi dai concetti di: attività professionale regolamentata; standardizzazione autocertificata dei percorsi di qualificazione per ciascuna figura o professione regolamentata; costruzione di sistemi di trasferibilità dei titoli e delle competenze certificate”. storiaFORMAZ3-2_storiaFORM1 28/05/14 12.29 Pagina 311 312 Dove sta il cambio di prospettiva rispetto al progetto della Corrispondenza delle qualifiche? Nell’abbandono dei meccanismi di validazione ex ante dei titoli e delle qualifiche per l’adozione di meccanismi di validazione ex post delle competenze acquiste la termine di un percorso d’istruzione o di formazione. No alla standardizzazione preliminare unica, sovranazionale e transnazionale, dei percorsi che fanno acquisire competenze, ma costruzione di un modello standard di descrizione e trasmissione delle informazioni sulle competenze possedute ed offerte dai soggetti in ingresso su altri mercati del lavoro. Il datore di lavoro e/o l’autorità pubblica ospitante saranno liberi di valutare caso per caso l’idoneità e la coerenza delle competenze ascritte nel curriculum personale con i propri fabbisogni. La filosofia della risoluzione del Consiglio del 1992 e che cambia radicalmente l’impostazione del dibattito può essere così sintetizzata: – mettere in condizione gli individui che lo desiderano di presentare le loro qualifiche professionali, la loro formazione, le esperienze lavorative in modo chiaro ed efficace ai potenziali datori di lavoro in tutto il territorio comunitario; – aiutare gli imprenditori ad avere un facile accesso a descrizioni delle qualifiche e delle principali esperienze lavorative, al fine di stabilire la rilevanza delle competenze dei candidati provenienti da altri Paesi membri rispetto ai lavori offerti. In questa prospettiva il problema diventa quali informazioni siano necessarie a livello comunitario perché sia possibile per un individuo mettere in risalto le proprie conoscenze e competenze in un contesto diverso da quello nazionale, e quali indicatori sintetici di descrizione, omogenei e concordati a livello europeo, siano in grado di cogliere gli aspetti fondamentali di una qualifica espressi in termini di conoscenze Prospetto n. 33 - Elenco delle professioni esaminate nei settori tessile e metallurgico storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 312 313 e competenze. Occorre, però, che tali informazioni siano veicolate a livello europeo da uno strumento con un codice di comunicazione di comune interpretazione. Questo strumento viene abitualmente chiamato “Portfolio”; ad un suo prototipo ha lavorato una équipe formata da rappresentanti degli Stati membri. Lo schema base di portfolio prevede una sorta di questionario tematico aperto; le variabili prese in considerazione sono: dati anagrafici, informazioni e dati sul percorso d’Istruzione e Formazione, informazioni e dati sulle qualifiche conseguite, informazioni e dati sull’esperienza lavorativa, dati sulla conoscenza delle lingue straniere, informazioni su esperienze di soggiorno, studio e lavoro all’estero, informazioni sulle conoscenze e competenze integrative in vario modo conseguite, per le quali non si dispone di una certificazione433. Come, di consueto, l’iniziativa comunitaria mette in moto interventi analoghi nei Paesi membri. In Italia, dopo una gestazione laboriosa, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale emana, il 12 marzo 1996, un Decreto dal titolo: “Adozione degli indicatori minimi da riportare negli attestati di qualifica professionale rilasciati dalle Regioni e Province Autonome, con allegato modello di attestato”. Gli indicatori minimi sono: – dati anagrafici del titolare del certificato; – denominazione e durata del corso frequentato; – profilo professionale di riferimento; – struttura presso la quale l’esperienza formativa è stata realizzata; – requisiti di accesso al corso; – elementi atti a rendere comprensibili i contenuti educativi del corso, la loro estensione in ore, l’eventuale presenza di tirocini in imprese o stages; – tipo di prova della valutazione finale. Tutti questi elementi sono raccolti in un modello che viene allegato al Decreto Ministeriale (cfr. Prosp. n. 34). L’art. 1 ne specifica lo scopo: “favorire l’adozione di criteri comuni per la certificazione dei percorsi formativi e per armonizzare, a livello nazionale, il formato degli attestati in coerenza con le indicazioni e le priorità individuate dalla UE” e le premesse al testo normativo e all’allegato, per scongiurare equivoci che, in passato, avevano compromesso l’esito del Progetto fasce di qualifica, si affretta a precisare che: 433 Le opzioni significative adottate dal gruppo di lavoro sembrano essere le seguenti: a) il percorso di Istruzione-Formazione di base prevede una logica unitaria e paritetica tra carriera scolastica e carriera di Formazione Professionale; b) le qualifiche conseguite nel percorso formativo rappresentano gli output formali e certificati raggiunti al termine di ciascuna fase o momento del percorso educativo e per ogni qualifica si richiede anche l’indicazione delle applicazioni lavorative cui può dare accesso nel proprio Paese; c) le competenze comunque acquisite sono sostanzialmente riferibili a quanto noto come core skills o competenze trasversali conseguite dal soggetto nella sua esperienza complessiva di vita e di lavoro. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 313 314 “i problemi della trasparenza delle certificazioni formative sono separati dai problemi dell’accesso alla vita attiva da parte dei titolari, in quanto materia soggetta alla contrattazione con le parti sociali”. Questo strumento, che certifica i percorsi formativi e armonizza i modelli regionali di attestati di qualifica preesistenti dovrebbe divenire la vera carta di identità professionale di ogni persona. In alcune Regioni l’idea del portfolio era già stata introdotta, prima dell’emanazione del D.M., nella normativa per la Formazione Professionale anche se con denominazioni diverse: “libretto professionale” in quella del Veneto (1990), “passaporto formativo” nella Legge della Provincia di Bolzano (1992); “libretto formativo personale” in quella della Regione Lazio (1992); “libretto personale di certificazione professionale” nei testi della Liguria (1993) e del Molise (1995) e infine “libretto formativo individuale” nella normativa del Piemonte (1995). Da notare che il modello di attestato allegato al D.M. articola le competenze in tre tipologie: di base, tenico-professionali e trasversali. Dietro questa classificazione c’è una precedente abbondante attività di ricerca, internazionale e italiana, in primis dell’Isfol, sul c.d. sistema delle Unità formative capitalizzabili. La filosofia che sottostà a questo sistema è quella della massima valorizzazione dei percorsi formativi e professionali individuali, e quindi della capitalizzazione dei risultati anche parziali che via via i soggetti acquisiscono nel corso della loro esperienza, a qualunque punto la interrompano. Ciò implica, per essere praticabile, che: – i diversi subsistemi formativi siano articolati in segmenti (unità) singolarmente certificabili e reciprocamente riconoscibili, – che la stessa esperienza di lavoro sia certificabile e riconoscibile per segmenti in termini di competenze acquisite, a loro volta corrispondenti a determinate unità formative. L’unità capitalizzabile sarebbe quindi il denominatore comune che metterebbe, finalmente, in dialogo sistemi autoreferenziali. Da queste premesse muove l’approccio “per unità di competenza”, la cui idea base è quella di definire un “repertorio di competenze”, da parte di una apposita istanza nazionale, che copra l’insieme delle attività su cui si basano le professioni, distinguendo fra competenze di base, tecnico-professionali e trasversali. Con questa impostazione l’Italia si mette sulla scia di esperienze estere, soprattutto quella delle “unités capitalisables” e del “Réferéntiel” francesi434 e 434 Nel novembre 1996, su iniziativa del Ministro del Lavoro Jacques Barrot, è stato predisposto un rapporto (1996 - Dare un nuovo slancio alla formazione professionale), il cui punto focale è il riconoscimento dell’esigenza di riconoscere le competenze professionali comunque acquisite e la conseguente proposta di costruire un Référentiel nazionale delle qualifiche e delle competenze, che viene definito come una «griglia unica di definizione e di composizione delle competenze». Il Référentiel dovrà essere costruito per ambiti professionali e per livelli, e costituito di elementi (unità) semplici ma capitalizzabili, che corrispondano alle competenze professionali di base. Questi elementi saranno specifici per un ambito professionale o comuni per più ambiti o a più livelli e potranno avere un contenuto teorico, o pratico, o combinato. Caratteristica comune è che dovranno essere trasferibili (spendibili) all’impresa (nel lavoro). Il Référentiel sarà costruito e aggiornato da una Struttura tripartita nazionale storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 314 315 quella degli “occupational standards” definiti dal NCVQ inglese435. In merito l’Isfol afferma che: “la certificazione centrata sulle competenze rappresenta […] un passaggio ‘storico’ necessario per operare un decisivo salto di qualità, passando dalla certificazione dei percorsi frequentati a quella delle competenze ‘effettivamente acquisite’”. (costituita da rappresentanti degli imprenditori, dei lavoratori e dei formatori). I diplomi, i titoli omologati, i CQP dovranno trovare tutti la loro collocazione rispetto al Référentiel nazionale, corrispondendo ciascuno ad un gruppo organizzato di unità capitalizzabili. Così l’insieme delle possibili certificazioni si esprimerà in un linguaggio comune e rappresenterà delle realtà comparabili. 435 In Francia esiste un sistema nazionale di definizione delle qualifiche professionali, il “Rome” (Repertorio operativo dei mestieri e delle occupazioni), elaborato dall’Anpe (Agenzia nazionale per l’impiego) per la gestione del mercato del lavoro; in tale repertorio non vengono indicati né il percorso formativo relativo, né standard formativi e di durata. Le qualifiche indicate sono 460, e vengono definite secondo le competenze tecniche di base della professione relativa. Prospetto n. 34 - Struttura del modello di attestato e note di compilazione (il modello allegato al D.M. è compilato in italiano, inglese, francese e tedesco) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 315 316 Naturalmente qui non è in ballo la definizione di uno strumento, ma la revisione complessiva dell’intero Sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale nel Paese. Ciò richiede evidentemente processi politici e tecnici di analisi, progettazione, verifica e legittimazione di portata nazionale e un forte coinvolgimento delle parti sociali. In questo senso va l’istituzione, con D.P.C.M. del 18 novembre 1996, di un “Comitato di Ministri per le politiche della formazione connesse con le politiche del lavoro” a cui, tra l’altro viene conferito il compito di “definire un sistema di certificazione quale strumento idoneo a conferire unitarietà e visibilità ai percorsi formativi di ogni persona lungo tutto l’arco della vita, nonché a promuovere il riconoscimento dei crediti formativi comunque maturati ed a documentare le competenze effettivamente acquisite”436. 7.4.3. Gli allievi Dall’indagine Isfol sulle attività di Formazione Professionale realizzate da Regioni e Province Autonome nell’anno 1996, gli allievi iscritti risultano 406.920437; la parallela indagine Isfol sull’attività programmata per l’a.f. 1995-96 ne prevedeva 407.175438. Si può notare una maggiore affluenza soprattutto in Emilia Romagna (97.294) e in Lombardia (63.975) dove si concentra rispettivamente il 23,9% e il 15,7% della popolazione totale iscritta ai corsi di formazione. Come, del resto intuibile, la concentrazione maggiore è localizzata nel Nord Italia (62.5% del totale) segue il Sud con 88.607 allievi (21,8%) e infine il Centro con 63.872 allievi (15,7%). Nel Sud emerge indubbiamente la Sicilia con 39.595 allievi che costituiscono il 44,7% dell’attività formativa svolta nel Meridione. Osservando la distribuzione degli iscritti fra le diverse tipologie formative (cfr. Graf. n. 48) si rileva che gli allievi complessivamente sono più numerosi nei corsi per occupati (33,6%), seguiti dal I e II livello, rispettivamente al 21,9% e 21,8%. 436 In G.U. serie generale n. 290 dell’11.12.1996. 437 ISFOL, Rapporto Isfol 1998, F. Angeli, Milano 1998, p. 357. 438 ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1996-97, Roma 1998, p. 19. Grafico n. 48 - Allievi iscritti per tipologia corsuale (V.%) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 316 317 Distinguendo però le varie realtà territoriali notiamo che, mentre nell’Italia settentrionale si registra un 45,1% di allievi iscritti a questa tipologia di corsi, nell’Italia centrale si registra una concentrazione nei corsi di secondo livello (28,7%), mentre nel Meridione è il primo livello ad essere più frequentato (43,7%). Rapportando gli allievi ai corsi si nota che la densità è crescente man mano che si sale dal Mezzogiorno al Nord, si passa infatti dai circa 15 allievi per corso nel Sud, ai 16 allievi per corso nel Centro per arrivare nel Nord dove si registrano oltre 22 allievi per corso. Abbiamo un’ulteriore serie di dati, derivata dall’analisi dei Programmi di attività regionali, circa il peso percentuale della utenza della Formazione regionale sul totale della popolazione attiva di ciascuna Regione (cfr. Graf. n. 49). Se distribuiamo i valori del Grafico 49 in quattro categorie – incidenza irrilevante (meno dello 0,5%), incidenza poco significativa (dall’1,5% allo 0,7%), incidenza apprezzabile (dal 2 al 3%) e incidenza importante (sopra il 3%) – abbiamo la situazione che segue: – 4 Regioni, due del Centro-Nord (Liguria ed Umbria) e due del Meridione (Calabria e Campania) si collocano nella categoria con valori più bassi; – 9 Regioni, il gruppo più numeroso, presenta dei valori compresi nell’intervallo della categoria che abbiamo denominato “poco significativa” e sono, in ordine decrescente, Emilia Romagna, Sicilia, Piemonte, Veneto, Marche, Abruzzo, Lazio, Toscana, Sardegna; – 4 Regioni, Basilicata, Molise, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano fanno registrare una “incidenza apprezzabile”; Grafico n. 49 - Peso percentuale dell’utenza della Formazione Professionale nei confronti della popolazione attiva di ciascuna Regione/Provincia Autonoma Nostra elaborazione su dati ISFOL e ISTAT storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 317 318 – la Provincia Autonoma di Trento e la Regione Valle d’Aosta superano la soglia del 3% e quindi vanno inserite nella prima categoria, quella della “incidenza importante”. a) Gli allievi della Formazione Iniziale La Formazione Continua è diventata nel nostro Paese la prima offerta del Sistema Formativo regionale e, naturalmente, quella più frequentata. Gli allievi della Formazione Continua (quasi 176.000), ormai, sono quasi il doppio dei giovani della Formazione Iniziale (89.009). Giovani che fino a 20 anni prima rappresentavano l’utenza unica del Sistema regionale, che veniva per questo motivo connotato come “giovanilistico”. Sono in tanti, in questo periodo, sull’onda lunga della espansione delle attività per adulti, che teorizzano le equazioni “formazione professionale = formazione continua” e “giovani = scuola”. Ma chi sono questi giovani che frequentano corsi del Sistema regionale? Cerchiamo di dare “un volto” a questi 89.000 giovani che si sono iscritti alla Forma- Tabella n. 34 - Allievi iscritti per tipologia formativa e per Regione (anno 1996) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 318 319 zione Iniziale nel 1996, per capire se ha ancora un senso, come lo ha avuto per i decenni passati, che il Sistema regionale continui ad interessarsi di questo segmento giovanile. Un’indagine di qualche anno dopo (1999), ma le cui conclusioni in larga misura sono applicabili anche ai giovani del 1996, fa questa identikit439: – gli allievi sono prevalentemente concentrati (55% del totale) nella fascia di età 15-16 anni; consistente la presenza di ragazzi di nazionalità extracomunitaria (13%); – un terzo degli allievi proviene da famiglie di operai o di braccianti; il 20% da famiglie di piccoli imprenditori e lavori autonomi, mentre circa il 17% deriva da famiglia impiegatizia. Comunque la metà appartiene a famiglie monoreddito. Nei casi in cui lavora anche la mamma si registra un 30% occupato nell’area tecnico-impiegatiza, oltre un quarto operaia o bracciante e all’incirca la stessa percentuale si riscontra relativamente alle professioni quali alti dirigenti o imprenditori; un numero significativo, pari al 13%, sono insegnanti o dell’area socio-sanitaria; – il titolo di studio posseduto dai genitori è in larga misura rappresentato dall’obbligo scolastico; di questi il 30% dei padri e il 25% delle madri è a livello della scuola elementare o non possiede alcun titolo; – la carriera scolastica relativa all’obbligo si è svolta per quasi il 70% dei maschi e per l’80% delle ragazze senza bocciature. Alcuni (circa 18%) hanno frequentato altri corsi di formazione; – di quanti hanno lasciato la scuola media superiore (40,1% ) meno del 20% ha proseguito per oltre due anni. I motivi dell’abbandono della scuola media superiore possono essere ricondotti a quattro ordini: emergere di altre scelte e caduta delle motivazioni iniziali (45%), l’insuccesso (15%), problemi relazionali (10%) e problemi personali (20%); – il mondo del lavoro è un pianeta pressoché sconosciuto. Poche e poco significative le esperienze fatte (solo il 7% aveva un’occupazione fissa). Più della metà degli intervistati considerano il lavoro come fonte per soddisfare esigenze materiali, poco più di un terzo vede nel lavoro una opportunità di gratificazione personale; – oltre un terzo del totale ha scelto il corso di formazione “per trovare il lavoro” o “perché qui si fa molta pratica”; – un quarto si è iscritto al corso a seguito dei consigli dei genitori o insegnanti; mentre il 16% dichiara che “non aveva altro da fare”. L’identikit dell’allievo della Formazione Iniziale regionale, come ricostruito nelle sue connotazioni di fondo, presenta tratti comuni e caratteristiche diverse 439 VANNINI I., Prima dell’innalzamento dell’obbligo. Un’indagine empirica tra gli iscritti alla FP, in “Professionalità”, n. 56 (2000) pp. 93-91; cfr. anche CATANI M., Target e bisogni della formazione professionale iniziale, Ibidem, pp. 69-82. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 319 320 dall’“allievo tipo” di fine Anni ’70. In comune ha la derivazione da famiglie di estrazione socio-economica medio, medio-bassa e le aspettative nei confronti del percorso formativo come chance per entrare nel mercato del lavoro. Di diverso gli allievi di fine Anni ’90 hanno la composizione del gruppo classe che fa registrare presenze di compagni extracomunitari, la poca o quasi nulla conoscenza del mondo del lavoro (mentre i loro coetanei di venti anni prima avevano già fatto esperienze di lavoro significative 44%, o le stavano facendo in concomitanza con la formazione 39%), ma soprattutto un numero maggiore (41% rispetto al 15%) hanno tentato, senza successo, la Scuola Secondaria superiore. Il dato che emerge maggiormente è il rapporto dell’allievo della Formazione Professionale iniziale con la scuola: infatti se al 41% di drop out della Scuola Secondaria superiore si somma il 30% dei maschi e il 20% delle femmine che sono stati bocciati almeno una volta nella scuola dell’obbligo si arriva a 61-71% di allievi che hanno avuto rapporti problematici con la scuola. Il commento lo affidiamo all’Isfol, che a proposito della tendenza di riservare alla Formazione Professionale regionale solo le offerte formative che partono dal post-diploma, nel 1990 afferma: “[…] La constatazione di partenza è che l’utenza della formazione professionale di base è rappresentata per i due terzi dai giovani che escono dalla scuola media dopo un percorso scolastico, se non accidentato, certo non soddisfacente, e per un terzo dai giovani che abbandonano durante il biennio la scuola media superiore. In entrambi i casi si tratta di una popolazione che ha avuto rapporti o traumatici o comunque non sereni con l’istituzione scolastica. In questa ottica la abusata e logora espressione della formazione professionale come scuola di serie B dovrebbe essere cambiata in quella meno folcloristica ma più corretta di scuola per cittadini che il sistema della pubblica istruzione considera cittadini di serie B. Rimane il fatto che a questi giovani o si prospetta un prematuro e dequalificato inserimento nel lavoro o si offre loro una “scuola” che formi […] utilizzando metodologie non scolastiche, ma empirico-induttive, volte a risalire dall’esperienza concreta alla concettualizzazione astratta […]. In altri termini la giustificazione della formazione professionale di base passa solo attraverso la “pedagogia” che esprime”440. Un’ulteriore informazione su questo segmento del Sistema regionale ci viene mettendo in relazione il numero degli allievi della prima qualificazione con il numero dei loro coetanei della fascia di età 14-16 anni. La conclusione, come sempre quando si parla di Regioni, è l’estrema eteogenità delle situazioni (cfr. Graf. n. 50): nel 1970-71 a Trento un ragazzo su quattro va in un Centro di Formazione Professionale; in Friuli Venezia Giulia, quasi 14 su 100; in Sicilia quasi il 10% e in Lombardia quasi il 9%. Ma in Toscana solo 7 su 1000 e in Umbria appena poco più di uno su cento. 440 ISFOL, Caratterizzazioni regionali del sistema di formazione professionale, F. Angeli, Milano 1990. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 320 321 7.4.4. Le strutture e il personale Abbiamo già esaminato il dibattito, cominciato negli Anni ’80441, sulla nuova configurazione dei Centri di Formazione Professionale442. Condivisa l’analisi di partenza: i Centri di Formazione Professionale hanno subìto una involuzione tipica degli apparati burocratico-istituzionali, in quanto tendono a sviluppare servizi che perdono di vista il referente principale della propria attività (l’utenza) e si concentrano sempre più sulle necessità degli operatori che gestiscono il servizio e tendono ad interpretare in senso normativo il controllo sulle attività di servizio, finendo quindi per privilegiare le procedure sui risultati. È anche condiviso il modello alternativo al CFP tradizionale e che terminologicamente viene reso con l’espressione “agenzia formativa”, cioè un CFP potenzialmente in grado di: – realizzare anche servizi non formativi, quali attività a carattere informativo per l’orientamento professionale, attività di consulenza alle PMI in ordine alla progettazione di interventi formativi, ecc.; – realizzare tutte le funzioni del ciclo formativo: analisi del fabbisogno, progettazione, programmazione formativa e valutazione. Il modello agenziale, quindi, provvede ad un allargamento dello spettro operativo (non più solo Formazione Professionale) e ad un ampliamento delle attività relative alla Formazione Professionale (funzioni a monte e a valle della gestione corsuale). I CFP sono vissuti in un regime di mercato protetto, grazie all’equazione per cui il possesso di personale dipendente a tempo indeterminato si traduceva in autorizzazione pressoché automatica ad effettuare corsi di formazione. Il nuovo processo di programmazione e selezione, di cui parleremo in seguito, rompe questa logica. 441 Cfr. Volume II, p. 230. 442 Cfr. AA.VV., L’innovazione organizzativa nelle strutture di FP, in Professionalità 15 (1993), pp. 37-97. Grafico n. 50 - Peso percentuale degli allievi della prima qualificazione post-obbligo nella fascia d’età 14-16 anni (a.f. 1970-71) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 321 322 Ciò significa che i CFP, per assicurare la loro sopravvivenza, devono essere competitivi mediante l’acquisizione o il consolidamento di capacità progettuali e strutturarsi con competenze interne di carattere prevalentemente metodologico (analisi del fabbisogno, progettazione, ecc...) ed utilizzare per le competenze disciplinari risorse esterne. Su questa tematica gli Anni ’90 continuano e affinano le intuizioni degli Anni ’80443. Il problema è che, dopo tanto parlare e legiferare, non si vedono realizzazioni significative. O meglio: il modello non trova applicazione generalizzata nella parte che prevede l’erogazione di servizi anche non formativi, ma viene progressivamente e da tutti realizzato nella parte che prevede l’arricchimento delle funzioni, in particolare quelle relative all’analisi del fabbisogno, della progettazione e della programmazione formativa. In altri termini il vecchio CFP continuerà ad occuparsi di Formazione Professionale (raramente anche di orientamento) quasi mai di altri servizi (eccetto in casi sporadici come l’APOF, l’Agenzia Provinciale dell’Orientamento e della Formazione in Basilicata), ma svilupperà capacità progettuali perché cambiano le regole del gioco. Si passerà, infatti, da un tipo di programmazione in cui le proposte di attività venivano discrezionalmente scelte dal decisore politico, ad un tipo di programmazione per bando e selezione mediante comparazione tecnica dei progetti. Ma quanti sono i CFP in Italia? L’Isfol, nella sua indagine ricorrente Statistiche della Formazione Professionale, censisce, sulla base dei Piani di attività annuali elaborati da ogni Regione, le sedi formative a seconda della natura della titolarità gestionale (diretta, delegata, convenzionata con Enti pubblici o Enti privati) e la tipologia di strutture. Quest’ultima distingue le sedi formative in CFP (sedi destinate alla Formazione Professionale e quindi abitualmente utilizzate a tale scopo) sedi occasionali (sedi normalmente non destinate ad attività di Formazione Professionale, ma solo occasionalmente) e sedi nominali (i Piani regionali non indicano la localizzazione degli interventi ma solo il soggetto che li realizzerà). Nell’a.f. 1992- 93 i CFP rilevati dall’Isfol erano 1.527 (cfr. Tab. n. 35), di cui più di un terzo concentrati in Sicilia (cui spetta il primato con 304 sedi) e in Lombardia (cfr. Graf. n. 51). Il rapporto tra CFP convenzionati e Centri pubblici, direttamente gestiti dalla Regione o delegati (normalmente) alle Province è di 80 a 20. Nel 1991 il Censis ha condotto un’indagine su 500 CFP del Mezzogiorno raccogliendo le opinioni degli operatori, che hanno manifestato una esigenza diffusa dell’innovazione del prodotto444. Tale esigenza si manifesta tanto nell’aspirazione a poter disporre di attrezzature più aggiornate (65.5% del campione) e di personale docente maggiormente qualificato (54.9% sul totale), quanto nella necessità di realizzare sperimentazioni e di introdurre tecnologie e metodologie didattiche innovative (segnalata dal 45.1% degli intervistati). 443 PACELLA G., MARTUFI S., PASCAZI D. e altri, Il nuovo ruolo del CFP come agenzia dei servizi, in Formazione e lavoro, nn. 138-139, 1992. 444 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1991, F. Angeli, Milano 1991, p. 205. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 322 323 Al di là delle opinioni degli operatori, riferite ad un possibile futuro, afferma il Censis, emergono comunque, in ciascuna delle Regioni esaminate, alcuni Centri di Formazione che possono essere considerati come veri e propri “poli di vitalità” del Tabella n. 35 - Strutture formative per tipologia di sede e per Regione (a.f. 1992-93) Grafico n. 51 - CFP distribuiti per Regione (a.f. 1992-93) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 323 324 sistema: “Questi centri si caratterizzano per un rapporto continuo di scambio e di interazione con la realtà scolastica ed economica circostante; per la presenza di personale, docente e non, qualificato e motivato; per la continua ricerca di soluzioni innovative nella programmazione e nella realizzazione dell’attività didattica. Si tratta, per lo più, di esperienze isolate all’interno di un contesto disorganico e deteriorato …”. Un’indagine effettuata nel 1996-1997 dall’Isfol, nell’ambito delle attività di assistenza tecnica al Ministero del Lavoro per la realizzazione dei programmi di FSE445, rileva che il Sistema Formativo regionale impiega complessivamente circa 25.700 addetti, di cui il 44% nelle Regioni meridionali e il 56% in quelle del Centro- Nord (cfr. Graf. n. 52 e Tab. n. 36). Come per i CFP, le Regioni con il numero più elevato di personale sono la Sicilia e la Lombardia che impiegano, rispettivamente, circa 5.300 e 3.800 addetti. 445 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1997, F. Angeli, Milano 1997, pp. 477-478. Grafico n. 52 - Personale del sistema formativo regionale (a.f. 1996-97) Tabella n. 36 - Obiettivi ritenuti prioritari per il potenziamento del proprio Centro di Formazione Professionale da parte di operatori (V %) (Totale maggiore di 100 perché era possibile dare più di una risposta) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 324 325 Sul totale complessivo degli operatori, circa il 63% è rappresentato da formatori, cioè personale impegnato nella progettazione e nella docenza. Il resto degli addetti si occupa di attività di gestione e amministrazione. Le Regioni centro-settentrionali presentano un’incidenza percentuale dei Formatori sul personale complessivo leggermente superiore a quella delle Regioni del Sud. Dall’analisi dei dati storici emerge una progressiva riduzione del personale del Sistema Formativo: dal 1990446 il numero degli addetti è complessivamente diminuito di circa 1’8%, passando da circa 28.000 a 25.000 unità. Tale processo non ha interessato le figure professionali operanti nella gestione e amministrazione che sono aumentate del 10%, ma solo i formatori impegnati in attività diretta, per i quali si evidenzia una riduzione del 16%. In particolare, la riduzione è più vistosa nelle Regioni dell’Ob. 1 e nei CFP regionali, che registrano rispettivamente il 30% e il 20% in meno di formatori. Una riduzione, peraltro, in linea con la filosofia della flessibilità organizzativa di quegli anni, che chiedeva uno snellimento dell’organico, soprattutto nell’area della docenza, per far spazio ad apporti consulenziali. Occorre ricordare che a partire dal 1994 grazie alle risorse del FSE per l’innovazione dei sistemi e alle risorse della L. n. 136 - Circolare Ministero del Lavoro n. 174/96, vegono attivati molti interventi formativi per il personale del Sistema regionale447. 7.4.5. La spesa e i costi a) La spesa La spesa per la Formazione Professionale può essere esaminata secondo tre diverse modalità di classificazione: sulla base dei piani di previsione di spesa da parte della Regione; sulla base degli impegni di spesa che la Regione ha deliberato e sulla base dei pagamenti effettivi erogati ai soggetti attuatori. Queste tre variabili riflettono i tre momenti istituzionali entro cui viene decisa e destinata la spesa per la formazione, infatti: – i dati dei piani previsionali sono il risultato di una contrattazione politica tra Regioni, Stato e Unione Europea: sono, quindi, strettamente connessi ai rapporti tra queste Istituzioni; – le decisioni che portano all’individuazione delle modalità di assegnazione dei finanziamenti (“impegni”) risentono, invece, prevalentemente delle dinamiche interne alle amministrazione regionali; 446 Vedi Volume II, p. 212. 447 Fra i progetti di formazione-formatori si sottolineano quello dell’Isfol “FADOL, Progetto sperimentale di formazione a distanza” avviato nel 1989, veicolato in un primo momento per via postale e poi attraverso la rete telematica Seva-Fortel. FADOL ha fatto registrare “una resa piuttosto elevata, nel complesso superiore a quello di corsi di aggiornamento di tipo tradizionale”. Vedi ISFOL, Rapporto Isfol 1991, op. cit., p. 331. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 325 326 – i pagamenti effettivi, infine, danno un quadro dell’efficienza di spesa delle Regioni nell’attuazione dell’intervento. In linea teorica i valori delle tre variabili dovrebbero essere vicini; in realtà, problematiche diverse fanno sì che i valori siano estremamente diversi. Tutti i dati relativi alle tre variabili hanno una fonte unica: l’Isfol che li ha ricavati dall’analisi dei bilanci regionali, previsionali e consuntivi. Lo stato dell’informazione, però, è diverso. Infatti, l’Isfol ha ricostruito la spesa sui bilanci di previsione fin dagli Anni ’80448, per cui disponiamo di una serie storica che ci dà informazioni sulle variazioni di risorse finanziarie disponibili ogni anno da parte di ciascuna Regione. Per quanto riguarda, invece, i bilanci consuntivi, che forniscono informazioni sui flussi finanziari reali, le prime elaborazioni Isfol riguardano l’anno 1995. Reiteratamente l’Isfol sottolinea la grande eterogeneità della struttura dei bilanci regionali e quindi la loro comparabilità. Il Grafico 53 presenta l’evoluzione della spesa prevista per la Formazione Professionale del nostro Paese dal 1990 al 1997. Nell’ultimo anno considerato, le risorse finanziarie sono più che raddoppiate rispetto agli inizi del decennio passando da circa due mila e 300 miliardi di lire del 1990 a quattro mila e 800 miliardi di lire del 1997. In questo intervallo di anni si assiste ad una crescita continua, ad esclusione del 1994; crescita più contenuta nel triennio 1990-93 e più consistente nel triennio 1995-97. Il contenimento della spesa stanziata nel 1994 è dovuto soprattutto al ritardo di adeguamento delle Regioni nella fase di transizione tra il sessennio del FSE 1988- 1994 e il sessennio 1994-99. La lievitazione annuale delle risorse, però, non significa necessariamente aumento reale delle disponibilità finanziarie. Il tasso di inflazione spesso annulla o comunque ridimensiona gli aumenti. 448 Cfr. vol. II, pp. 234-236. Grafico n. 53 - Evoluzione della spesa stanziata per la FP in Italia (1990-1997) Fonte: Elaborazione Isfol sui bilanci regionali di previsione storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 326 327 Ad esempio: nel triennio 1990-93, si rileva un incremento globale del 41,2% concentrato, però, prevalentemente nel biennio 1990-91 (31,3%, mentre nel 1992 e 1993 l’aumento percentuale è rispettivamente del 2% e del 5,4%). Se analizziamo, però, la serie storica dei dati in base ai valori calcolati in lire costanti (cfr. Tab. n. 37) la crescita nel 1991 rispetto all’anno precedente è solo del 10,9% e non del 31,3%, nel 1992 si verifica una flessione dell’1,9% e non un aumento dello 0,5% e, infine, nel 1993 si registra un incremento appena dell’1,2% e non del 5,4%. Quindi nel periodo considerato c’è un potenziamento dell’impegno regionale a favore della Formazione Professionale molto più contenuto (20,9%) di quanto la serie storica dei dati in lire correnti potrebbe far pensare (41%). L’evoluzione nel tempo dell’ammontare degli stanziamenti finanziari si presenta a livello regionale in modo estremamente diversificato (cfr. Tab. n. 38). Per quanto riguarda il periodo 1990-93 si può segnalare che la Regione nella quale si presenta una crescita notevolmente superiore alla media generale del 27,0% è l’Abruzzo (+ 355,6)449. Crescite più contenute, ma superiori al 50%, si riscontrano in Liguria (79,3%), Veneto (59,2%), Sicilia (55,3%), Friuli Venezia Giulia (54,3%) e Lombardia (52,5%): in tutte queste Regioni (eccetto la Lombardia)450 sull’aumento ha influito 449 Un così elevato incremento è generato prevalentemente: dalle assegnazioni a due capitoli di spesa che nel 1990 ancora non erano stati istituiti, e riguardanti: il primo, i corsi di Formazione Professionale previsti dall’art. 26 della Legge 845/78 (59,4 miliardi), il secondo, la realizzazione di corsi a carico del Fondo di Rotazione (9,2 miliardi); dalla rimarchevole espansione degli stanziamenti per le attività formative da attuare con l’intervento del Fondo Sociale Europeo, che si espandono da 15,0 a 60,4 miliardi. 450 Per la Lombardia, i maggiori stanziamenti sono da imputare, oltre che ad un generalizzato aumento di assegnazioni alla quasi totalità delle voci di spesa, anche al nuovo capitolo riguardante le competenze fisse del personale di ruolo della Formazione Professionale dei Centri pubblici. Tabella n. 37 - Spesa regionale per la FP in lire correnti e in lire costanti (1990-1993) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.39 Pagina 327 328 l’istituzione solo nel 1991 di quei capitoli che riguardano le spese finanziate dalla CEE e cofinanziate dallo Stato e dalla Regione conseguenti alla riforma dei fondi strutturali. Aumenti superiori alla media generale si registrano anche in Umbria e Marche, in Calabria (47-48%), in Piemonte e nella Provincia Autonoma di Bolzano (41%), in Emilia-Romagna (36,5%) e nella Provincia Autonoma di Trento (33,2%). Tra le Regioni che presentano una flessione figura la Toscana, i cui stanziamenti scendono da 86,5 a 32,8 miliardi (–62,1%)452. Per quanto riguarda, invece, il periodo 1995-97, se analizziamo i dati per circoscrizioni geografiche rileviamo risultati diametralmente opposti tra Nord e Centro- Sud: l’Italia nord-occidentale e quella orientale presentano delle diminuzioni nella previsione della spesa complessiva: rispettivamente dell’8,7% e del 12,7%; al con- 451 Nel Rapporto Isfol 1994, p. 86, da cui è tratta la tabella, le somme del 1990 e 1992 sono erroneamente indicate in 2.599,9 (invece che 2.336,7) e 3.252,0 (invece che 3.130,3). 452 Tale ridimensionamento è dovuto in gran parte alla sensibile contrazione delle somme iscritte ai capitoli collegati all’attuazione dei programmi operativi degli Obiettivi 2, 3 e 4 di cui al regolamento CEE 2052/88. Tabella n. 38 - Evoluzione della spesa stanziata per la FP nelle singole Regioni (anni 1990-1997) Fonte: Elaborazione Isfol su bilanci regionali451 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 328 329 trario nelle Regioni del Centro c’è stato un aumento di stanziamenti del 23,1% e nell’Italia meridionale un incremento ancora più marcato del 34%. In quest’ultimo caso pesa la situazione “anomala” della Campania che fa registrare un incremento da 23,6 miliardi del 1995 ai 394,7 del 1997. Indicatori importanti per verificare quanto conti la Formazione Professionale per le Regioni sono: la spesa effettivamente sostenuta (e non solo stanziata) per le attività e i Sistemi formativo-professionali in relazione agli abitanti e in relazione alla forza lavoro. Abbiamo preso a tale proposito i dati del 1995. Per quanto riguarda la prima variabile (cfr. Tab. n. 39 prima colonna) le posizioni della Regioni possono essere ricondotte a tre tipologie: – nella prima rientrano le Regioni che hanno speso oltre 200.000 lire per abitante: è il caso della Basilicata (che sfiora quasi le 400.000 lire!), della Valle d’Aosta e delle due Province Autonome; – nella seconda sono comprese le Regioni che hanno speso tra le 100 e le 200.000 lire: sono quattro del Meridione (Molise, Sicilia, Abruzzo e Sardegna), una del Centro (Umbria) e due del Nord-Est; Tabella n. 39 - Spesa delle Regioni rispetto agli abitanti, la forza lavoro e il totale della spesa regionale (bilanci consuntivi 1995) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 329 330 – nella terza sono incluse le Regioni che spendono meno di 100.000 lire: nell’ordine decrescente sono Calabria, Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Piemonte, Campania, Lazio, Marche, Toscana e Puglia che chiude la classifica con appena 42.834 lire spese. La media italiana, pari a 93.951 lire, segmenta le Regioni quasi a metà: 11 spendono di più (anche molto di più) e 10 spendono di meno (anche molto di meno). Ai due opposti ci sono due Regioni, meridionali e confinanti, la Basilicata e la Puglia. Tra le due ci sono 341.440 lire di differenza! Per quanto riguarda la spesa delle Regioni per la Formazione Professionale rispetto alla forza lavoro (persone occupate o in cerca di occupazione, secondo la definizione Istat) possiamo notare che le variazioni rispetto alla situazione precedentemente descritta non sono sostanziali. A ridosso delle posizioni di testa (Bolzano, Trento, Valle d’Aosta e Basilicata), tutte al di sopra delle 300.000 lire, si collocano la Sardegna e la Sicilia (cfr. Tab. n. 39 seconda colonna). Seguono, ma con oltre 100.000 lire di differenza Friuli, Molise, Liguria ed Emilia Romagna. Tutte le altre sono al di sotto delle 100.000 lire e della media nazionale (99.534). Maglia nera la Calabria con appena 27.748 lire. Ma quanto incide la spesa per la Formazione Professionale sul bilancio delle Regioni? In media l’1,39% (cfr Tab. n. 39 terza colonna). Ma è una media che mette insieme il 5,14% della Basilicata con lo 0,46% della Puglia. Nei primi quattro posti Tabella n. 40 - Posizioni di classifica delle Regioni rispetto agli indicatori della Tabella 39 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 330 331 figurano quattro Regioni del Meridione (oltre la Basilicata menzionata, la Sicilia, l’Abruzzo, la Campania) seguite dalle due Province Autonome: tutte con valori superiori al 2%. Il gruppo delle Regioni che hanno fatto registrare spese comprese tra l’1% e il 2% dell’intero bilancio consuntivo è quello più numeroso. In ordine decrescente di percentuale di spesa figurano: Molise, Sardegna, Umbria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli, Calabria, Lazio, Emilia Romagna e Marche. Hanno valori sotto l’l% la Liguria, la Toscana e la già ricordata Puglia. Qual è il livello di efficienza amministrativa delle Regioni? Un indicatore per misurarle è dato dalla quantità di impegni assunti e di pagamenti effettuati rispetto alle previsioni di competenza dell’anno. Gli indici ricavati per il triennio 1995-97 sono riportati nella Tabella 41. Tabella n. 41 - Indicatori sulla spesa per la Formazione Professionale da parte delle Regioni (%) (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 331 332 Nei tre anni considerati il totale delle risorse impegnate rispetto a quelle programmate non ha mai superato i due terzi (precisamente 65% nel 1995, 66,3% nel 1996 e, in regresso nel 1997, con il 60,3%). Di contro, i pagamenti effettivi sono cresciuti molto rispetto alla competenza e, soprattutto, rispetto agli impegni annuali di spesa: segnale che sono stati pagati molti dei residui pregressi. Nel Nord-Ovest d’Italia, il volume degli impegni di spesa rispetto alle spese previste per competenza è cresciuto nel tempo (passando dal 54,3% del 1995 al 72,2% del 1997), allo stesso modo sono cresciuti i pagamenti effettivi rispetto alle cifre programmate ed impegnate di 14,3 punti percentuali passando dal 41,2% al 56,4% alla fine del triennio (cfr. Graf. n. 54a). Tutte le Regioni della circoscrizione non hanno fatto registrare progressioni lineari, ma andamenti discontinui. Le migliori performances rispetto alle previsioni di competenza della Valle d’Aosta sono state nel 1997 con l’82,7% di impegni assunti e nel 1996 con il 67,3% di pagamenti effettuati; quelle del Piemonte rispettivamente del 1996 e 1997 con il 72,9% e il 67,4%. La Liguria ha una regressione negli impegni per cui passa dall’86,2% del 1995 al 68,3% del 1997. Anche il Veneto fa registrare un decremento negli impegni (dal 78,2% nel primo anno al 68,0% nel terzo), (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 332 333 ma un andamento altalenante nei pagamenti (rispettivamente con 26,8% nel 1995 e 66,1% e 63,5% negli anni successivi). La Lombardia fa registrare sul versante impegni un deciso incremento 39,3% nel 1995, 59,2% nel 1996 e 69,8% nel 1997, non abbiamo dati completi per quanto riguarda i pagamenti, ma quelli disponibili sono decisamente bassi. Nell’Italia nord-orientale gli impegni di spesa sono sempre stati molto alti ed alta è stata la percentuale dei pagamenti rispetto alle risorse programmate ed impiegate; in particolare nel 1996 il totale dei pagamenti effettuati è stato addirittura superiore del totale delle risorse impegnate (cfr. Graf. n. 54b). Nello specifico, a parte il Friuli Venezia Giulia che registra valori percentuali al di sotto del 50%, in tutte le altre Regioni del Nord-Est la percentuale di impegni sulle previsioni di competenza Grafico n. 54a - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del Nord-Ovest (1995-97; V.%) Grafico n. 54b - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del Nord-Est (1995-97; V.%) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 333 334 è stata molto alta (con valori che sfiorano il 100% nelle due Province Autonome di Trento e di Bolzano). La percentuale dei pagamenti sulla competenza e sugli impegni è stata molto alta – nei tre anni – nelle due Province Autonome, in Emilia Romagna ed in Friuli Venezia Giulia. Il Veneto ha avuto un deciso salto percentuale dal 1995 al 1996, passando dal 26,8% al 66,1%, mentre nell’anno successivo ha fatto registrare un decremento di 2,6 punti. Riguardo all’Italia centrale (cfr. Graf. n. 54c), le cifre sono complessivamente molto inferiori rispetto alle due circoscrizioni del Nord: gli impegni non sono mai superiori al 70% delle risorse programmate (nel 1995 e nel 1997 addirittura meno della metà); anche i pagamenti effettivi non sono stati alti. Di contro, le Marche e la Grafico n. 54c - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del Meridione (1995-97; V.%) Grafico n. 54d - Impegni e pagamenti rispetto alle previsioni di competenza delle Regioni del Meridione (1995-97; V.%) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 334 335 Grafico n. 55 - Capacità realizzativa (periodo 1995-98) Toscana hanno riportato buone percentuali sia sul versante impegni (arrivando la prima all’85,0% nel 1997 e la seconda al 90,4% nel 1996) sia sul versante pagamenti (raggiungendo la Regione tirrenica il valore massimo di 69,6% nel 1997 e il 70,6% quella adriatica nel 1996). Cauto un giudizio sulle Regioni del Sud a causa della incompletezza dei dati. Comunque, Regioni come il Molise, la Basilicata e la Sardegna hanno registrato percentuali medio-alte di impegni sulle previsione di competenza. La Sardegna presenta buoni risultati anche sul versante dei pagamenti. L’Abruzzo, invece, è abbondantemente al di sotto della media nazionale e della circoscrizione sia per i pagamenti (22,3% nel 1995) che per gli impegni (26,7% nel 1995). Il Grafico 55 riporta quanto le Regioni siano riuscite a spendere delle risorse impegnate in un arco di tempo triennale. Più precisamente, nel grafico in esame è riportato il rapporto, per ogni Regione, tra il totale degli impegni di spesa assunti tra il 1995 e il 1997 e la spesa effettuata dal 1995 (solo quella per competenza) la spesa totale (competenza e residui) pagata nel 1998. Questi dati possono dare un’idea della capacità relizzativa delle Regioni, in quanto ci dicono quanti impegni di spesa sono riusciti a portare a termine nell’arco di tempo considerato. Complessivamente, tra il 1995 e il 1998, le Regioni italiane sono riuscite a portare in pagamento il 77,1% degli impegni di spesa assunti nel triennio 1995-97. Diversi, naturalmente, gli andamenti delle singole circoscrizioni. Se disponiamo i risultati in ordine decrescente abbiamo la situazione seguente: Nord-Est 86,3%, Nord-Ovest 80,6%, Centro 74,6% e Meridione 70,9%. Una classifica che in questo periodo si ripropone quasi sempre identica anche per altri indicatori, economici e non economici. Riguardo alle singole Regioni: nel Nord solo la Liguria (62,6%) e il Veneto (75,2%) hanno mancato la soglia dell’80% di pagamenti. Eccellente la prestazione della Provincia Autonoma di Trento (90,4%) e primato all’Emilia-Romagna (94,1%) che si distanzia di 17 punti percentuali dalla media nazionale. (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 335 336 Nel Centro, dove pesa il dato negativo del Lazio con il 64,5% (–12,6 rispetto alla media dell’Italia), buone le prestazioni di Toscana (che sfiora il 90%) e Marche (84,6%). Nel Meridione spiccano i risultati di Sardegna (95,3%) e Puglia (91%) soprattutto rispetto ai deludenti dati di Molise (55,9%) e Campania (23%). b) I costi Quanto costa la formazione di un allievo di un intervento di primo o secondo livello? quanto l’aggiornamento di un occupato? L’interrogativo solleva tre ordini di problemi che riguardano la conoscibilità, la standardizzazione, la congruità dei costi della Formazione Professionale. Il primo ordine di problemi attiene alla sfera della trasparenza (necessità di carattere amministrativo, sociale e politico di conoscere i costi e i fattori che li determinano); il secondo, a quello della omogeneità (necessità di sostenere spesa analoga per analogo servizio); il terzo, a quello della economicità (necessità di assicurare un rapporto congruo tra costo sostenuto e servizio reso). Per conoscere il costo delle diverse offerte formative occorre conoscerne la durata oraria e il parametro finanziario orario. (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 336 337 Il prodotto delle due variabili, infatti, fornisce il costo per allievo che rappresenta l’indicatore finanziario più adeguato per una valutazione di congruità, economicità ed omogeneità dei costi. Di fatto, però, le diverse impostazioni delle Regioni determinano carenze conoscitive relative all’una o all’altra variabile. Difficoltà che rende problematica la ricostruzione di un quadro organico e comparabile dei costi di tutta la Formazione Professionale. Ad esempio, alcune Regioni non hanno definito la durata oraria dei singoli segmenti formativi; altre non hanno fissato parametri finanziari orari ma solo parametri di alcune voci di costo; altre, infine, si limitano a stabilire progetto per progetto la congruità tra costi reali e qualità delle proposte. Pur in assenza di un tale quadro complessivo gli elementi a disposizione è possibile rilevare diverse difformità, anche consistenti. In particolare: – le differenze per gli stessi segmenti formativi raggiungono in alcuni casi valori abnormi come nel caso ad esempio, tra la Formazione per allievi degli Istituti Tecnici e degli Istituti Professionali di Stato e la Formazione Professionale di primo livello (cfr. Prosp. n. 35); – il costo del personale docente non interno varia per la stessa fascia di tipologia di prestazioni professionali fino a toccare il rapporto di 2 a 1, ad esempio, dalle 200.000 lire orarie nelle Marche si va alle 100.000 in Sicilia (cfr. Prosp. n. 36); – le indennità di frequenza, genericamente previste in alcune Regioni, sono invece fortemente limitate in termini di categorie di beneficiari in altre (cfr. Prosp. n. 37); – le spese per i progetti sono escluse in alcune Regioni mentre vengono riconosciute, fino ad un ordine di 15 milioni di lire, in altre; – all’interno della stessa Regione, poi, si rilevano differenze di costo per gli stessi interventi, a seconda della natura della gestione o delle fonti finanziarie. Tali differenze sono frutto di sedimentazioni gestionali più che di plausibili scelte tecnico-politiche; esse, da qualche tempo, hanno fatto ingrossare le fila di coloro che reclamano la “standardizzazione” dei costi su base nazionale. In parte il problema era conosciuto anche dalla Commissione Europea che, in una nota al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale453, ha sollecitato un’analisi dei costi medi ora/allievo, dei programmi operativi 1994/99. L’assenza di una risposta sul versante italiano ha indotto i servizi comunitari a predisporre una indicazione di base costruita tenendo conto dei valori medi dichiarati dalle Regioni che avevano già presentato le schede finanziarie nei programmi operativi. 453 Commissione Europea, Direzione Generale V, nota n. 013193 del 24.06.94. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.40 Pagina 337 338 Prospetto n. 35 - Comparazione dei parametri regionali di costo (Regioni: Liguria, Lazio e Marche) (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 338 339 A questo ha fatto seguito la richiesta da parte della CEE ai titolari dei programmi operativi, di adeguare i dati finanziari inseriti nel sistema telematico ed il formale invito alle Regioni a verificare, ed eventualmente correggere, le schede finanziarie già presentate. Le indicazioni di parametrazione finanziaria definita dalla Commissione Europea, per il loro carattere vincolante ai fini del riconoscimento delle spese in sede di rendicontazione al FSE, hanno determinato un riadeguamento dei parametri regionali. A tale proposito va, però, osservato che, data la loro competenza costituzionale in materia di Formazione Professionale, la Regione e la Provincia Autonoma hanno la piena autonomia nel determinare i parametri di costo. Pertanto qualsiasi tentativo, nazionale o europeo, di omologare i parametri deve necessariamente prevedere il loro consenso. La UE può determinare dei limiti parametrali, ma sono limiti di riconoscimento della sua parte di cofinanziamento, che non rappresentano per la Regione/Provincia Autonoma uno standard di costo da adottare necessariamente nei suoi rapporti con i soggetti gestionali, ma solo la quota di finanziamento che la Comunità mette a disposizione. In altri termini, la Regione o Provincia Autonoma può utilizzare anche parametri di costo superiori a quelli previsti dalla Comunità. Rimane il problema della plausibilità dei costi parametrali. (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 339 340 Prospetto n. 36 - Comparazione dei parametri regionali relativi al compenso per il personale con rapporto professionale (Regioni: Lombardia, Abruzzo, Provincia Autonoma di Trento, Marche, Sicilia) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 340 341 7.5. I soggetti di governo e di attuazione 7.5.1. Gli Assessorati regionali Il Sistema di Formazione Professionale regionale si è sempre caratterizzato per un interesse prevalente per la dimensione “gestionale”; l’attenzione, cioè, è stata riservata, per lo più, al prodotto (il corso), piuttosto che al processo. Di conseguenza anche il modello organizzativo della struttura di governo del sistema, cioè l’Assessorato regionale è costruito attorno a due momenti: la pianificazione (intesa nell’accezione amministrativo-politica di allocazione di risorse) e la gestione-controllo dei fondi. Inesistenti le funzioni di analisi del fabbisogno, di ricerca e sviluppo; marginali o marginalizzati gli uffici che si occupavano di didattica, di valutazione di efficaciaefficienza. Situazione imputabile a carenze di ordine culturale, ma anche di ordine finanziario. Infatti, tutte le disponibilità economiche erano fagocitate dalla gestione e pertanto non c’erano risorse per finanziare sia processi di ricerca per l’elaborazione di cultura, modelli, procedure, strumenti operativi innovativi, sia processi di formazione, di acquisizione di competenze tecniche da parte di un funzionariato la cui professionalità si muove quasi esclusivamente su paradigmi amministrativi nei livelli bassi, e giuridico-amministrativi nei livelli alti. Le cospicue risorse finanziarie messe a disposizione dagli assi degli obiettivi dei Fondi Strutturali relative al rafforzamento del sistema rappresentano uno stru- Prospetto n. 37 - Comparazione dei parametri regionali relativi alla indennità di frequenza (Regioni: Provincia Autonoma di Trento, Lombardia, Liguria, Lazio, Umbria, Marche, Sicilia) Prospetto n. 38 - Comparazione dei parametri regionali relativi alla preventivazione delle spese progettuali (Regioni: Provincia Autonoma di Trento, Lombardia, Liguria, Lazio, Trento, Umbria, Marche, Sicilia) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 341 342 mento importante per supportare tali processi. Ma quella che può essere un’occasione straordinaria di riforma dei sistemi di regia della Formazione regionale deve fare i conti con diversi condizionamenti, ritardi e criticità tradizionali. In particolare ciò che può compremettere la riforma dei sistemi è una pluralità di fattori: a) la mancanza di una ricerca sui modelli gestionale dei Sistemi di Formazione Professionale; b) la carenza di disegni strategici unitari di riforma; c) la tradizionale struttura organizzativa per compartimenti stagni degli Assessorati; d) le modalità con cui formare i funzionari regionali impegnati nel settore. a) Il primo condizionamento è rappresentato dalla mancanza di una ricerca di tipo modellistico-gestionale. La ricerca del settore, infatti, arriva a questo appuntamento non sufficientemente attrezzata, a causa soprattutto della qualità e della tipologia della sua produzione precedente che appare: o di valore mediocre (buona parte della ricerca finanziata con i fondi del MLPS ex art. 18 Legge 845/78) o interessata a tematiche lontane dalla gestione della Formazione Professionale e quindi con bassi livelli di spendibilità operativa nel settore (come è il caso di molta attività di indagine dell’Isfol). Per molti anni l’ambiente della “ricerca”, disdegnando per una sorta di aristocrazia intellettuale, la “quotidianità” della gestione del settore, si limitava a diagnosticarne e a giudicarne la criticità, senza proporre modelli alternativi. Si diceva cioè ciò che la Formazione Professionale doveva essere, ma mai come operativamente poteva diventarlo. Questo ordine di insufficienza segna anche l’azione dei consulenti, cresciuti numericamente negli ultimi tempi a ritmi vertiginosi (insieme ai soldi messi a disposizione del FSE) e promossi tali sul campo con sbrigativi processi di selezione. b) La riforma dei sistemi aveva la necessità, come ogni riforma, di un “progetto strategico complessivo” che orientasse le diverse linee operative, del disegno di un mosaico dove posizionare le tessere. L’area operativa in cui possono intervenire i fondi messi a disposizione per il rafforzamento del sistema riguardano tutte le fasi del ciclo produttivo della Formazione Professionale (analisi del fabbisogno, programmazione delle attività, gestione degli interventi, valutazione di efficacia ed efficienza). Spesso la riforma di ciascuna di queste aree o segmenti di aree viene affidata a consulenze diverse (anche per la necessità di muoversi in contemporanea su più fronti per spendere le risorse disponibili entro i tempi definiti dai documenti della programmazione comunitaria). In tale situazione, se non è stato definito un quadro strategico complessivo, all’interno del quale si colloca l’operatività di ciascun soggetto consulenziale, si rischia di innestare politiche centrifughe e contrapposte; in altri termini, o la Regione ha una strategia o rischia di introitarne diverse. Si va incontro a quella che, per le riunioni di lavoro, la letteratura definisce “sindrome dell’animale a molte teste”: mancando un filo comune, ciascuno segue il proprio filo del discorso per cui ci si trova a discutere contemporaneamente di aspetti diversi sullo stesso tema o addirittura di temi diversi. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 342 343 c) È nota la situazione di segmentazione a compartimenti stagni dell’organizzazione degli Assessorati; tale condizionamento, se non rimosso, rischia di isterilire ogni processo di riforma, che è complessivo ed ha successo solo se coinvolge tutte le funzioni. Aver adottato, ad esempio, sistemi di valutazione ex ante che consideravano la qualità dei progetti di Formazione Professionale proposti, ma non essere intervenuti nelle culture e nella strumentazione operativa dei funzionari addetti al controllo della gestione, significa vanificare ogni sforzo innovativo. d) Soprattutto nel primo quinquennio si sono moltiplicate le iniziative di Formazione del personale degli Assessorati. Iniziative indispensabili. Le formule didattiche utilizzate, però, ancora molto basate sulla Formazione e sul tutoring d’aula, difficilmente riescono a rimuovere cultura e procedure di tipo burocratico- amministrativo e a far acquisire competenze di ordine tecnico. La formula più efficace è quella di un tutoring on the job (formatori e funzionari costruiscono insieme la strumentazione operativa) nella quale si coniugano competenze metodologiche (formatore) e competenze disciplinari (funzionari). 7.5.2. La delega ai soggetti sub-regionali Tra i soggetti di governo del Sistema Formativo dobbiamo includere anche i soggetti sub-regionali, almeno per quelle Regioni dove si sia proceduto alla delega di funzioni programmatorie e amministrative e non solo relative alla gestione dei CFP, ereditati dalle Regioni negli Anni ’70 da INAPLI, ENALC, INIASA454. Su questa materia dobbiamo tenere in considerazione tre questioni: a) se l’Istituto della delega sia stato previsto e, se previsto, sia stato effettivamente attivato; b) a quale soggetto sia stato conferita la delega; c) l’ampiezza delle competenze delegate. Se si escludono la Valle d’Aosta (in cui Regione e Provincia coincidono) e le due Province Autonome, le Regioni che non hanno previsto questo Istituto sono quattro: il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, l’Abruzzo e la Sicilia. Singolare la posizione dell’Abruzzo: con la L. reg. n. 63/79 affidava la delega alle Comunità montane e non montane, ma con la successiva L. reg. 111/95 non prevedeva più nessuna delega. Tra quante hanno previsto questo Istituto cinque non l’hanno attivato, almeno nel nostro periodo di riferimento e sono: il Lazio, il Molise, la Puglia, la Basilicata, la Campania e la Calabria. Pertanto solo sette Regioni hanno effettivamente attivato la delega: Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Sardegna. Tutte le 13 Regioni che hanno previsto questo Istituto hanno scelto come soggetto di delega la Provincia. Rispetto ai decenni precedenti, quando era stato privilegiato il soggetto amministrativo a livello territoriale più basso, il Comune, anche se, 454 VERGANI A., La delega alle Province in materia di formazione professionale: il quadro complessivo, Informazioni Cisem, 1-4, pp. 2-20. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 343 344 Prospetto n. 39 - Soggetti di delega e funzioni trasferite il più delle volte, nella forma associativa di Consorzi di Comuni o Comunità montane, si verifica una generalizzata inversione di tendenza che vede nella Provincia il soggetto di delega più adeguato. (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 344 345 (Segue) Notavamo già precedentemente che, a parte alcune rare eccezioni, l’affidamento della delega non aveva fatto registrare un bilancio esaltante, anzi che era stato proprio il livello di delega quello che aveva creato più problemi alla funzionalità storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 345 455 Cfr. volume II, p. 121. 456 Cfr. G.U., Supplemento Ordinario n. 135 del 12.06.1990. 457 Cfr. Capo V La Provincia Art. 14. (Funzioni). “Spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nei seguenti settori: …) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla Formazione Professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale”. 458 Ibidem. 346 complessiva del sistema. La Formazione Professionale, annotavamo455, è un fenomeno complesso che implica, per coloro che se ne occupano, conoscenze e capacità metodologiche multidisciplinari (di carattere didattico, sociologico, giuslavoristico, giuridico, amministrativo, contabile, ecc.). La rarità, però, di tale competenze nella Pubblica Amministrazione fa sì che queste siano inversamente proporzionali al livello di decentramento realizzato. In questo senso vanno lette le prese di posizione normative delle Regioni, e di cui daremo conto nelle schede riservate alle singole Regioni, che, rivedendo le precedenti soluzioni, hanno spostato la delega a livelli più alti, trasferendola dalle Comunità montane e associazioni intercomunali alle Province. Un impulso forte in questo senso è venuto dalla Legge 142/90, “Ordinamento delle autonomie locali”456 che individua nella Provincia il soggetto sub-regionale destinatario di delega457. Abbiamo precedentemente sostenuto458 che in materia di delega le Regioni presentino due architetture fondamentali (cfr. Fig. n. 68): la prima si caratterizza per un forte accento sul momento sub-regionale con una dilatazione dell’Istituto sia sul versante della programmazione sia sul versante gestionale sia su quello amministrativo- procedurale; la seconda mantiene alla Regione la regia dell’intero sistema: le deleghe sono per lo più limitate alla gestione dei centri pubblici, mentre i soggetti sub-regionali partecipano all’elaborazione della programmazione, soprattutto in termini di pareri e proposte. Figura n. 68 - Modelli di delega delle funzioni nella legislazione sulla Formazione Professionale storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 346 347 È evidente che, spostando le responsabilità della delega, si amplia anche il panel delle competenze, per cui il modello più adottato è il secondo. Va comunque osservato che i testi normativi su questa materia non presentano livelli di chiarezza e comprensione immediate: per indicare le funzioni delegate, infatti, talvolta elencano dettagliatamente le competenze trasferite, altre volte usano espressioni sintetiche (“funzioni amministrative” o “funzioni amministrative non regionali). 7.5.3. Gli Enti di Formazione La Legge quadro aveva assunto, sul problema dei soggetti che gestiscono le attività, posizioni nette e conclusive rispetto al dibattito che si era aperto qualche anno prima, in coincidenza col trasferimento delle competenze in materia di Formazione Professionale alle Regioni. Secondo la Legge n. 845/78 hanno titolarità gestionale: le strutture pubbliche; le strutture di Enti emanazione delle organizzazioni democratiche e nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, di imprese e loro consorzi, del movimento cooperativo o di associazioni con finalità formative e sociali; le imprese e i loro consorzi. Tale soluzione rispondeva ai tipi di offerta formativa allora erogati dalla Formazione Professionale per i giovani post obbligo (il segmento più consistente del sistema ereditato dal Ministero del Lavoro) e i lavoratori occupati di aziende in ristrutturazione (un’area quantitativamente ridotta, ma che beneficiava del cofinanziamento del FSE). Rispetto al dibattito, la soluzione prospettata (priorità del soggetto pubblico, soggetto privato “culturalmente” connotato e “tecnicamente parametrato”) rappresentava una mediazione tra i fautori della “pubblicizzazione” (si legga “regionalizzazione delle strutture formative con relativo personale” e non “regionalizzazione del personale senza le relative strutture”, soluzione adottata negli Anni ’80 dalle Regioni Calabria, Campania e Marche) e quanti invece propendevano per assetti più “liberistici”, mentre il ruolo di soggetto formativo assegnato all’impresa rappresentava una affermazione “ideologica” importante. Il modello gestionale delineato dalla Legge quadro veniva, in parte, trasformato negli anni successivi; infatti le strutture pubbliche, per le quali la Legge prevedeva una valorizzazione, si ridimensionano sotto il profilo del volume corsuale erogato e si impoveriscono sotto il profilo formativo (si disperde così il patrimonio dell’INAPLI, ENALC e INIASA costruito in circa 50 anni). Le strutture degli Enti consolidano una presenza (già significativa grazie soprattutto ad una programmazione delle attività, da parte delle Regioni, attenta a non sconvolgere i livelli occupazionali esistenti, con scelte d’interventi formativi che spiazzassero la professionalità degli operatori presenti nei CFP degli Enti), e di fatto diventano l’unico soggetto gestionale ad occupare la scena della formazione al lavoro. Ma questo modello, con la presenza egemone degli Enti entra progressivamente in crisi con la differenziazione graduale dell’offerta formativa. Come più volte segnalato, il Sistema Formativo-Professionale ha allargato nel tempo i suoi target di riferimento mediante un processo di sedimentazioni successive. Infatti, senza eliminare, né sostanzialmente ridimensionare in termini assoluti, le offerte formative precedenti, la Formazione Professionale si è aperta prima ad un’utenza qualificata (metà Anni ’80), sucstoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 347 348 cessivamente ai soggetti coinvolti in fenomeni di nuove povertà ed emarginazioni (fine Anni ’80) e infine alla manutenzione della professionalità di soggetti occupati (primi Anni ’90). Tali aperture, come abbiamo a più riprese osservato, promosse e rese possibili dalle risorse messe a disposizione del FSE hanno sollecitato e favorito l’ingresso nel settore di nuovi soggetti gestionali. Si consideri peraltro che, mentre la normativa italiana, nazionale e regionale, è attenta al soggetto gestionale (e quindi alla sua fisionomia giuridica), la Comunità è più attenta all’azione formativa (e quindi alla tipologia ed alla qualità dell’intervento). L’ingresso di nuovi soggetti, però, non ha risolto la presenza degli Enti che, nel frattempo, si sono posizionati in termini diversi: qualcuno infatti è rimasto ancorato alla Formazione di base e quindi ad un paradigma organizzativo basato sulla ricorrenza; qualcun altro, invece, si è aperto alle nuove offerte formative e quindi si è più spostato sulla dimensione progettuale. Nonostante la tenuta delle posizioni, sta di fatto, però, che l’Ente non è più il soggetto esclusivo della Formazione al lavoro; e se per qualche Regione è ancora una risorsa su cui puntare, per altre è una presenza da contenere, per altre ancora non è più una presenza caratterizzante, ma solo una opportunità accanto ad altre. Queste tre posizioni sono espresse dalla legislazione regionale di questo periodo; si trovano emblematicamente nelle normative prodotte dal Piemonte (L. reg. n. 63/95), dalla Basilicata (L. reg. n. 22/96) e dall’Abruzzo (L. reg. n. 111/95). Le tre Leggi assumono rispetto al problema degli Enti di Formazione tre diverse posizioni politiche: denominabili rispettivamente come politica di “valorizzazione” “da riserva indiana”, e “di dissolvenza” (cfr. Fig. n. 69). La politica della valorizzazione degli Enti da parte della Legge piemontese si esprime: – in alcune declaratorie: “il principio del pluralismo” inteso come molteplicità dei soggetti attuatori e diversità di proposte formative è una connotazione essenziale del Sistema di Formazione Professionale; – nella parità di condizioni riservate a soggetti pubblici o privati per cui ciò che conta non è la natura del soggetto ma la qualità della formazione da erogare: “nessun ente pubblico o privato può vantare verso la Regione posizioni di privilegio o preferenza per l’attuazione della politica regionale di formazione professionale”; – nella previsione delle azioni di formazione rivolte agli operatori; – nella messa a disposizione di contributi per un adeguamento tecnologico delle attrezzature didattiche. La politica da “riserva indiana” della Regione Basilicata consiste nel perimetrare la sfera operativa degli Enti tradizionali entro e non oltre specifiche tipologie formative predefinite in sede di Piano. Ma se l’Ente tradizionale fosse portatore di fabbisogni formativi reali e di un progetto qualitativamente valido perché non dovrebbe competere su un piano di pari condizioni con altri soggetti? La politica di dissolvenza espressa dalla Regione Abruzzo consiste nell’azzerare le posizioni consolidate e nell’omologare l’Ente di FP ad altri soggetti, tutti ricompresi sotto la generica espressione “agenzia” e tutti certificati ed iscritti in apposito elenco. Per essere storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.41 Pagina 348 349 iscritto in tale elenco delle agenzie formative regionali, l’Ente (è scomparsa la connotazione “senza scopo di lucro”) deve positivamente superare i controlli da parte di un comitato tecnico di valutazione (artt. 14 e 24). Figura n. 69 - Tipologie di politiche espresse nella legislazione regionale degli Anni ‘90 nei confronti degli Enti gestori della L. 845/78 Prospetto n. 40 - Posizioni di alcune Leggi regionali sugli Enti di Formazione della L. n. 845/78 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 349 350 7.6. I processi 7.6.1. I modelli di programmazione I modelli di programmazione di fatto utilizzati dalle Regioni possono essere ricondotti a tre idealtipi (cfr. Fig. n. 70). Nel primo modello la programmazione è vista sostanzialmente come atto amministrativo di allocazione di risorse finanziarie: il suo presupposto sta nell’identificazione dell’azione politica nell’azione amministrativa; l’implicazione principale sta nella oculata regolazione di flussi finanziari in modo tale che il livello di mediazione raggiunto sia sufficiente a garantire il mantenimento di equilibri e di pacificazione sociale tra governo regionale e operatori della Formazione Professionale. I limiti riguardano: l’assoluta discrezionalità del responsabile politico tendenzialmente portato a favorire la titolarità più che la qualità della formazione proposta; la preoccupazione delle logiche interne al sistema più che la rispondenza del sistema alle logiche del mercato del lavoro; la debolezza della Regione che si limita ad accettare o rifiutare una proposta formativa in assenza di un quadro programmatico di riferimento; la sopravvalutazione del ruolo degli operatori che si trovano a rilevare e segnalare dei bisogni formativi senza nessun altro riferimento che la propria cultura. Nel secondo modello la programmazione è vista come definizione degli interventi ed allocazione ottimale delle risorse; il presupposto sta nella connotazione forte dell’azione amministrativa; l’implicazione principale sta nella disponibilità di strumenti di lettura dell’ambiente. I limiti riguardano: l’ingenua convinzione che sia l’osservazione del mercato del lavoro a rendere trasparenti i bisogni di competenze professionali, a decifrare la complessità dei mercati territoriali sub-regionali fornendo scenari realistici in termini di previsione di fabbisogni formativi per singoli ruoli/figure professionali. La criticità fondamentale di questo modello è il caricare la Regione di eccessive responsabilità affidandole tutto; dalla elaborazione delle poli- Figura n. 70 - Modelli di programmazione storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 350 351 tiche alla individuazione dei fabbisogni e alla successiva definizione di cosa fare (quali qualifiche e a quale livello) e dove fare. Nel terzo modello la programmazione è intesa come strumento per la definizione di linee guida per l’azione amministrativa e per l’orientamento degli attori del Sistema formativo: il presupposto sta nella razionalità debole dell’azione amministrativa; l’implicazione principale sta nel connotare l’azione programmatoria della Regione come un’azione di indirizzo forte attraverso l’enunciazione di obiettivi e nella valorizzazione del ruolo degli operatori per i quali viene positivamente prevista una capacità propositiva. È questo il modello del FSE che valorizza il ruolo proprio della Regione come soggetto di indirizzo e il ruolo dei soggetti gestori come rilevatori dei fabbisogni formativi per la loro condizione strutturale di rappresentare necessità formative di realtà quotidianamente vissute. Il paradigma procedurale di tale modello si articola nei seguenti passaggi fondamentali: – alla Regione spetta la fissazione degli obiettivi a seguito di una “macro-analisi” del suo sistema socioeconomico; – ai soggetti promotori spetta la proposta di interventi che rispondano agli obiettivi regionali a seguito di una “micro analisi” effettuata sul proprio territorio (fabbisogno economico), su particolari fasce di utenza (fabbisogno sociale), su specifici contesti produttivi (fabbisogno aziendale); – la Regione valuta la proposta dei soggetti promotori, mediante l’analisi degli esiti delle edizioni precedenti per quanto riguarda le attività a carattere ricorrente e mediante l’analisi del progetto per quanto riguarda le attività a carattere progettuale. Nel modello programmatorio precedentemente descritto il soggetto promotore non ha solo una valenza gestionale ma anche una valenza programmatoria; viene assunto non solo per la sua capacità di realizzare interventi corsuali ma anche nella sua potenzialità di rilevare bisogni formativi. Tale impostazione recupera una delle due motivazioni forti che hanno determinato la scelta pluralistica della Legge quadro per quanto riguarda i soggetti promotori: essi sono scelti non solo per la loro capacità di esprimere diverse visioni culturali- metodologiche formative, ma, come precedentemente accennato, per la loro condizione genetica di rappresentare necessità formative. D’altra parte la segnalazione del bisogno formativo da parte dei soggetti promotori non può avere un valore assoluto ma deve essere riportato e misurato con le linee di priorità che la Regione, unico soggetto di programmazione territoriale, si è data; questa filosofia istituzionale ha delle ricadute operative evidenti sugli attuali assetti: il soggetto gestore riceve dalla Legge la titolarità, non il diritto, a realizzare interventi formativi. I soggetti gestori possono cioè “fare formazione” in quanto è ritenuta dalla Regione “utile” (funzionale agli obiettivi socio-economici predefiniti), “efficace” (per il raggiungimento degli obiettivi) e “fattibile” (sotto il profilo delle risorse), e non automaticamente per il solo fatto di avere i requisiti giuridici e tecnici previsti dalla Legge. In altri termini, se è la natura del soggetto a dargli la potenziale storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 351 352 titolarità gestionale, è la qualità del progetto formativo a consentirgli di fatto l’autorizzazione a gestire. 7.6.2.Analisi del fabbisogno L’analisi dei fabbisogni è solitamente indicata come quel momento del processo formativo nel quale vengono rilevate e analizzate le necessità professionali e formative proprie del contesto territoriale, settoriale e/o aziendale nel quale si agisce. Quindi l’analisi dei fabbisogni è l’elemento fondamentale del raccordo, strutturale e funzionale, tra Sistema formativo e Sistema produttivo ed è il momento cronologicamente e strategicamente fondante l’intero Sistema formativo459. Sul tema si registra, in questo periodo, una vivacità di proposte e di sperimentazioni di modelli come, ad esempio, quello presentato sul piano teorico dall’Isfol e le sue successive applicazioni, a carattere sperimentale, intraprese dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Ravenna460, le esperienze della Provincia Autonoma di Bolzano e l’indagine dell’Associazione degli industriali (curata da N. Schiavone) nel Veneto461. Sul tema della rilevazione dei fabbisogni, insiste lo stesso “Protocollo di intesa sulla formazione professionale e sugli organismi paritetici bilaterali” siglato a Roma nel Gennaio 1993 dalla Confindustria e da CGIL, CISL e UIL. In esso viene stabilito che gli organismi paritetici bilaterali (riconosciuti formalmente e coordinati da una struttura paritetica nazionale) esercitino un ruolo attivo nei confronti delle istituzioni preposte alla programmazione della Formazione attraverso la predisposizione di un sistema permanente di rilevazione dei fabbisogni formativi (in termini di fabbisogni, critici, emergenti fragili e in declino), promosso e gestito dalle parti sociali. Le sollecitazioni del Protocollo sono state infine recepite anche a livello legislativo, laddove la L. 236/93 all’articolo 9 comma 1 stabilisce che Regioni e Province Autonome “possono stipulare convenzioni con organismi paritetici istituiti in attua- 459 Cfr. TEZZA E., Fabbisogno formativo e domanda di formazione, in Professionalità 23 (1994), pp. 31-36; BRIVIO E., L’analisi dei fabbisogni formativi in azienda, in Professionalità 24 (1994) pp. 58-67. 460 Cfr. ISFOL e Studio Meta, Lineamenti per un modello di rilevazione dei fabbisogni professionali a livello locale, presentato alla Conferenza europea sulle Metodologie di analisi dei fabbisogni di formazione (Roma, dicembre 1991) e pubblicato in Osservatorio Isfol, n. 6, 1992. Le sperimentazioni (effettuate a Faenza relativamente al comparto della ceramica e nel comprensorio Canavese per il comparto dello stampaggio a caldo) sono state presentate a Roma nel maggio del 1993. 461 L’indagine sui fabbisogni formativi promossa dall’Associazione Industriali di Vicenza ha utilizzato il sistema di rilevazione “Federveneto-Spin” recepito nell’accordo Confindustria-Sindacati del 20 gennaio 1993 e nel successivo protocollo di intesa con il Governo (23 luglio 1993). L’indagine, svolta nel primo trimestre del 1996, ha riguardato i settori manifatturieri presenti nella Provincia e l’edilizia. Sono state intervistate 401 aziende, pari al 20% delle aderenti all’Associazione, per un totale di 41.000 addetti (44% degli occupati di dette imprese). Per tutte le figure, settore per settore è stata ricavata una scheda che raccoglie le indicazioni e le descrizioni fornite dalle imprese, nella media e nelle diverse classi dimensionali. Ogni scheda contiene: il tasso di presenza (% imprese); il tasso di ricorso a risorse esterne (% imprese); l’indice di tensione “Spin” (variabile tra –100 e +100), che misura il livello di interesse in una prospettiva di medio termine (due anni); il peso attribuito alle diverse competenze (scala da zero a 10); il livello di istruzione ritenuto adeguato (% imprese); la modalità di formazione ritenuta più adeguata (% imprese). storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 352 353 zione di accordi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale” con il finanziamento a carico del Fondo per la Formazione Professionale. Sotto il termine di analisi si comprendono tre operazioni diverse (cfr. Fig. n. 71): rilevazione, analisi e anticipazione dei fabbisogni (quest’ultima dimensione molto comune quale obiettivo comunitario): – la rilevazione è la raccolta/sistematizzazione di esigenze espresse in modo esplicito dal sistema produttivo; – l’analisi è un concetto più ampio del precedente in quanto, oltre a rilevare i bisogni espressi, individua, interpreta e sistematizza anche quelle esistenti allo stato latente, ma non ancora espressi; – l’anticipazione è un approccio che tende a prefigurare bisogni che oggi non esistono ma che domani potrebbero esistere se si verificassero certe condizioni. La rilevazione è l’approccio più oggettivo, mentre l’anticipazione è quello più incerto, in quanto si basa sulla prefigurazione di scenari che dipendono da molte variabili non controllabili. Negli Anni ’80 si riteneva che tale funzione fosse appieno realizzata dagli osservatori del mercato del lavoro; negli Anni ’90, invece, si è ritenuto maggiormente produttivo il ricorso alle parti sociali. L’assunto di fondo che ha guidato la progettazione e lo sviluppo degli osservatori è che il governo efficace del Sistema di Formazione Professionale è garantito dalla capacità di acquisire il maggior numero possibile di informazioni e dati sulle dinamiche del mercato del lavoro; tale assunto, in sé del tutto ragionevole, ha trovato nell’esperienza concreta forti ostacoli attuativi. Il primo ostacolo, di carattere generale, riguarda la leggibilità del mercato del lavoro, resa opaca dalla complessità, mutevolezza e, in parte, imprevedibilità dei fenomeni legati all’evoluzione dei sistemi produttivi territoriali. Un secondo ostacolo riguarda gli osservatori: spesso, i Figura n. 71 - Tipologie di analisi storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 353 354 loro programmi di indagine non tengono in considerazione le esigenze programmatorie della Formazione Professionale. Un terzo ostacolo interessa il versante formativo: in particolare si fa riferimento all’incapacità, da parte di chi programma la Formazione, di tradurre i dati forniti dagli osservatori in fabbisogni formativi. Da ultimo va considerata, come ulteriore ostacolo, la difficoltà degli imprenditori di leggere i fabbisogni formativi delle proprie imprese462. Nel 1994 l’Isfol ha studiato questo fenomeno463, arrivando alla conclusione che ricorrere alle imprese per acquisire, in forma diretta, orientamenti e indirizzi programmatici, è una via poco percorribile. Per valutare la consapevolezza da parte delle aziende dei propri fabbisogni di risorse umane, l’Isfol ha sottoposto ad un panel di esperti (imprenditori managers e quadri d’azienda, amministratori di enti locali, sindacalisti, ecc.) un’ipotesi preformulata, richiedendo di esaminarla ed eventualmente modificarla464. Questa ipotesi (cfr. Graf. n. 56) suddivide le consapevolezza da parte delle aziende dei propri fabbisogni in tre livelli gerarchici: a) programmare lo sviluppo delle risorse umane e definirne livelli e percorsi formativi (livello più alto); b) prevedere i propri fabbisogni di manodopera secondo orizzonti temporali differenti e scalati (livello intermedio); c) stimare i fabbisogni attuali (livello più basso). 462 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1995, F. Angeli, Milano 1995, p. 128 “D’altra parte le aziende sono più propense e abituate ad indirizzare i loro sforzi verso la comprensione del mondo esterno, vedi il mercato, che non a far emergere, interpretare, sistematizzare le necessità e le potenzialità espresse dall’ambiente interno”. 463 Ibidem, pp. 124-126. 464 L’ipotesi di base è stata formulata tenendo conto dei dati del Censimento dell’Industria 1991 riguardanti le classi dimensionali delle imprese e le suddivisioni per settori delle imprese stesse. Grafico n. 56 - Consapevolezza dei propri fabbisogni di risorse umane da parte delle aziende italiane storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 354 355 Le conclusioni (le opinioni degli intervistati sono sostanzialmente in linea con le ipotesi formulate dai ricercatori Isfol) mettono in rilievo come il 75% delle imprese non sia in grado di vedere il proprio sviluppo organizzativo oltre il breve termine. Più precisamente il 51,5% valuta solo il fabbisogno quali-quantitativo immediato e il 24,5% è in grado di prevedere il fabbisogno di risorse umane (quali e quante) a 4 mesi. I modelli di analisi in questo periodo particolarmente utilizzati sono lo SPIN e l’EXCELSIOR. Il modello SPIN è stato sviluppato dal 1992 da parte della Confindustria (in Veneto ed Emilia-Romagna) e dalla Regione Piemonte; una prima sperimentazione era stata effettuata nel 1992/93 nell’area del Canavese465. La finalità generale è quella di pervenire ad un sistema strutturato (a livello regionale) di rilevazione e monitoraggio dei fabbisogni formativi dei Sistemi professionali locali. L’obiettivo del modello è fornire, al Sistema della Formazione Professionale, un flusso sistematico di informazioni sulla domanda espressa dalle imprese, attendibili e gestibili. La metodologia è articolata in due aree: esplicitazione della domanda dei fabbisogni professionali da imprese; misurazione del grado di interesse di queste rispetto alla gamma delle professionalità individuate. L’espressione della domanda si articola nelle seguenti fasi: – analisi del ciclo produttivo ideale relativo al settore prescelto e delle innovazioni tecnologiche/organizzative ipotizzabili a breve termine (l’analisi è effettuata con l’ausilio di esperti dei settori); – individuazione delle modalità formative necessarie (archetipi) da parte di esperti; – sondaggi con le imprese del settore per verificare le ipotesi degli esperti sugli archetipi; – revisione e completamento del quadro degli archetipi, che verrà successivamente sottoposto ad indagine campionaria per verificarne e misurarne l’interesse. La misurazione del grado di interesse da parte delle imprese per gli archetipi delle modalità formative è effettuata attraverso un’indagine campionaria basata su un modello qualitativo in grado di fornire previsioni di tipo strutturale sui fabbisogni delle imprese sulla base di tre variabili: a) la presenza in azienda delle figure individuate; b) la previsione di sviluppo in azienda; c) la reperibilità sul mercato. Il modello EXCELSIOR è sviluppato dal 1992, rappresenta una sorta di specificazione o sviluppo ulteriore (con inserimento di variabili qualitative) del sistema di 465 Regione Piemonte, Ass. lavoro e occupazione, ORML, Assoc. industriali del Canavese: La domanda di formazione nel comparto dello stampaggio a caldo nell’area del Canavese (1993); Regione Piemonte: Messa a punto di una rete di monitoraggio dei fabbisogni formativi delle imprese del Piemonte (1996); Confindustria/Federazione dell’Industria del Veneto: La domanda di formazione dell’industria del Veneto, seconda rilevazione (1994); Confindustria/Federazione dell’industria Emilia-Romagna: Progetto per un sistema di rilevazione dei fabbisogni formativi dell’industria dell’E milia-Romagna (1996). storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 355 356 rilevazione SIRPEL utilizzato dall’IReR della Lombardia466. L’obiettivo è generale e duplice: – individuare il grado di saturazione di manodopera dei diversi bacini territoriali, in modo da fornire supporto informativo ai soggetti interessati, allo scopo di agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; – orientare le scelte dei decisori istituzionali e degli operatori del settore in materia di politiche della Formazione Professionale. Le variabili rilevate sono costituite dalle imprese/unità locali e dagli addetti, distinti in dipendenti ed indipendenti. Le informazioni hanno significatività a livello locale (regionale e provinciale). Lo schema del processo di generazione dei dati è il seguente: ricostruzione della struttura dell’occupazione, per comune, dimensione, attività economica delle unità locali; indagine campionaria sulla struttura dell’occupazione e del lavoro prevista per sostituzione o ampliamento. 7.6.3. La progettazione Il problema della titolarità gestionale, finora diversamente risolto dalle Regioni, esplode come problema nazionale quando si apre il dibattito se le procedure di appalto- concorso previste dalla Direttiva CEE 50/92467 si dovessero applicare anche alle attività di Formazione Professionale. La Direttiva era stata emanata in funzione dell’instaurazione del mercato interno, previsto entro il 31 dicembre 1992. Il mercato interno comportava la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali e questo implicava, tra l’altro, l’adozione di procedure per la aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi su tutto il territorio comunitario. Di fatto sul problema dell’applicabilità delle procedure concorsuali anche alle attività formative si registrano posizioni diverse: – il Consiglio di Stato si esprime per l’applicabilità della direttiva: allorché la prestazione del servizio viene disciplinato da atti latu sensu contrattuali, la direttiva trova applicazione, anche nell’ipotesi in cui leggi e regolamenti prevedono un obbligo ovvero una facoltà di stipulare convenzioni o in genere schemi pattizi comunque denominati. Tale posizione viene motivata con la considerazione che: “se l’ordinamento interno ritiene che certe prestazioni di servizi debbano essere effettuate da entità senza fini di lucro, non si possono escludere dalla partecipazione alle gare le imprese di altri Stati membri per avere esse una ordinaria causa lucrativa. La partecipazione degli Enti non lucrativi, se ammessa accanto alle imprese lucrative, deve svolgersi sullo stesso piano di parità”. 466 Unioncamere, Min. del Lavoro e Previdenza Sociale, Nuove imprese e domanda di lavoro nella Provincia di Lucca (1994); Unioncamere, Min. del lavoro e previdenza sociale, Imprese, occupazione, domanda di formazione nelle province di Modena, Ascoli Piceno e L’Aquila (1994). 467 Direttiva 92/50 CEE del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 356 357 – Per il Coordinamento interregionale, invece, la FP esula dal campo di applicazione della norma comunitaria: secondo il coordinamento, infatti, la direttiva disciplina la prestazione di servizi che si fonda su contratti di appalto, cioè contratti a titolo oneroso e sostanzialmente di natura privatistica; la FP costituisce invece, a tutti gli effetti, un servizio di interesse gestito secondo lo schema della “concessione traslativa” che, avendo ad oggetto una funzione pubblica e non l’adempimento di un’obbligazione civilistica “strictu sensu” intesa, assolve compiti pubblicistici ed, in ragione di ciò, su di essa può esercitarsi legittimamente potere di autotutela della pubblica amministrazione. – Il Garante della concorrenza e del mercato468 si allinea di fatto sulle posizioni del Consiglio di Stato: l’autorità, in assenza di una definizione rigorosa delle organizzazioni “no profit”, ritiene preferibile, sotto il profilo della concorrenza, una selezione degli operatori sulla base di centri di qualità e prezzo piuttosto che sulla base della natura delle imprese. – La Commissione Varesi469 incaricata della predisposizione delle linee di riforma della Legge n. 845/78 inserisce una prospettiva nuova nel dibattito, in quanto non parte da considerazioni meramente giuridiche, ma dalla diversità dell’offerta formativa dei sistemi regionali. Possono essere operate distinzioni tra le attività di Formazione Professionale di base e le attività di alternanza, Formazione Continua e Formazione Superiore. Queste ultime potrebbero essere affidate con la procedura dell’appalto concorso, riproponendo le parti inattuate della Legge quadro: standard qualitativi, qualificazione dei controlli, capacità di elaborazione e determinazione dei fabbisogni. Di fatto la linea che risulterà vincente è quella dell’appalto. Questo implica una precisa procedura, del tutto nuova per il Sistema formativo e che prevede questi macro-passaggi: avviso pubblico da parte della Regione o del soggetto delegato, risposta all’avviso mediante un progetto da parte dei soggetti aventi titolo a presentarli, selezione dei progetti da parte dell’amministrazione pubblica che ha emanato l’avviso mediante valutazione comparativa e pianificazione (elenco dei progetti ammessi e finanziabili). In questa fase è evidente la centralità del progetto che da l’incipit a tutto il processo programmatorio. Ma la centralità del progetto riguarda anche la fase della ge- 468 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, meglio nota come Antitrust, è stata istituita in Italia nel 1990. È un’Istituzione indipendente, che prende le sue decisioni sulla base della Legge, senza possibilità di ingerenze da parte del Governo né di altri organi della rappresentanza politica. L’Autorità garantisce il rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali tra imprese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni in grado di creare o rafforzare posizioni dominanti dannose per la concorrenza, con l’obiettivo di migliorare il benessere dei cittadini. 469 VARESI PIER ANTONIO (1950), professore ordinario di Diritto del Lavoro presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica, sede di Piacenza. Dal 1986 al 2009 è stato Presidente dell’Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Trento. È direttore scientifico della collana “Politiche del lavoro” pubblicata presso F. Angeli. Dal 2013 è Presidente dell’Isfol. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 357 358 stione, dove viene realizzato il percorso formativo descritto nel progetto e con le risorse umane strumentali logistiche finanziarie indicate dal progetto. Inoltre, la centralità del progetto è riscontrabile anche nel processo di monitoraggio che misura il rispetto e gli scostamenti tra quanto previsto dal progetto e quanto effettivamente realizzato e le risorse effettivamente utilizzate rispetto a quelle previste. Infine, il progetto è centrale anche nel processo di valutazione perché per verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti (efficacia) in relazione alle risorse disponibili (efficienza) occorre far riferimento a quanto prevedeva il progetto (cfr. Fig. n. 72). I progetti sono predisposti sulla base di formulari predefiniti dalle Regioni. E, agli inizi degli Anni ’90, presentano, nella maggior parte dei casi, carenze ed inadeguatezze in ordine allo spettro (minimalista) e alla natura (prevalentemente amministrativa) delle informazioni che veicolano. Nel periodo considerato da questo volume si assiste ad una progressivo abbandono da parte delle Regioni di formulari con una fisionomia quasi esclusivamente “amministrativa” per l’adozione di formulari a “struttura complessa” che rendono ragione degli aspetti motivazionali, professionali, didattici, strumentali e finanziarii di un progetto formativo. Infatti, se il progetto rappresenta il disegno che verrà realizzato nella prassi formativa, questo deve essere compiutamente e dettagliatamente definito in tutte le sue parti, perché obiettivi, percorsi e risorse siano chiari a chi eroga (soggetto gestore/docente), a colui cui è destinato (allievi), a chi ha il compito di monitorare e valutare sotto il profilo della efficacia ed efficienza (la Regione). Per essere completo un progetto non può limitarsi né all’esposizione di un problema, né all’elaborazione di una risposta: non è solo analisi e non è solo proposta. E l’uno e l’altro aspetto, non sono giustapposti ma interrelati. Figura n. 72 - Funzione del “progetto formativo” nei diversi processi con cui si realizza un percorso formativo storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 358 359 Non esiste un formulario ideale. Esistono però formulari ben costruiti e altri no. Quelli ben costruiti sono quelli che rispondono, in successione logico-cronologica a questi interrogativi: – Qual è il problema che dà origine alla richiesta di attivazione di un intervento formativo? È un problema per la soluzione del quale occorre formare nuovo personale (formazione al lavoro o per inoccupati e disoccupati) o aggiornare o specializzare personale in compiti nuovi o innovativi (formazione sul lavoro)? – Quali sono le competenze da acquisire per realizzare i compiti necessari alla soluzione del problema? – Qual è l’itinerario formativo per acquisire tali competenze? – Quali sono le condizioni di fattibilità in termini di prerequisiti da parte dei soggetti che verranno avviati al percorso formativo e in termini di risorse strutturali dotazionali umane necessarie per realizzare tale itinerario? – Quante risorse finanziarie occorrono per realizzare tale intervento? Ciascuno di questi interrogativi diventa un’area tematica e può dar luogo a sezioni diverse del formulario (cfr. Fig. n. 73): – analisi del fabbisogno, per esplicitare la rilevanza e l’entità del problema che sta all’origine della richiesta di attivazione di un intervento formativo; – analisi della professionalità, per individuare, mediante l’analisi dei compiti, le competenze che rappresentano gli obiettivi formativi; – struttura del programma formativo, per elaborare un percorso didattico, articolato secondo l’ingegneria ciclico-modulare, idoneo a far raggiungere gli obiettivi/ competenze individuate nella fase 2); Figura n. 73 - Sezioni di un formulario base per la presentazione di progetti formativi storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 359 360 – definizione delle condizioni di fattibilità, con l’esplicitazione delle risorse logistiche, strutturali, dotazionali e umane; – preventivazione finanziaria. 7.6.4. La selezione e il monitoraggio dei progetti Negli Anni ’90 non solo nasce “il progetto”470, come sopra descritto, ma nasce anche “la selezione dei progetti” con l’uso di sistemi parametrati, cioè con l’attribuzione di punteggi, secondo scale predefinite, alle diverse variabili del progetto per poter compilare delle graduatorie in base alle quali determinare i progetti accettabili471. Quanto più gli strumenti sono standardizzati e il numero delle variabili considerate è maggiore tanto più si riduce la discrezionalità del valutatore, a beneficio sia della trasparenza e sia della efficienza della valutazione. Diversi sono i modelli adottati in quegli anni, perché diversi erano i formulari utilizzati per predisporre il progetto. Ma soprattutto c’era una cultura, ormai condivisa ed urgente, di adottare sistemi prescrittivi che coniugassero efficacia programmatoria e trasparenza valutativa. Una cultura che venne presto meno, tanto che ripresero le vecchie abitudini. Tecnicamente non era difficile: bastava diminuire le variabili da giudicare e aumentare la possibilità di giudizi discrezionali. Si tornava così alle vecchie prassi, ma con un’aggravante: l’ipocrisia. Ma, a parte questi fenomeni che toccano l’etica politica, il sistema elaborato, anche se applicato correttamente, aveva dei rischi. C’era, infatti, il rischio di premiare il progetto non l’intervento migliore. Di qui la necessità di introdurre come prassi quotidiana il monitoraggio delle attività472, cioè la verifica puntuale ed organica dell’effettiva realizzazione del progetto in tutte le sue componenti: didattiche, strutturali, dotazionali, umano-professionali, finanziarie. 7.7. La valutazione ex post dei progetti La valutazione ex post473 ha oggetti diversi in relazione alle diverse tipologie formative; infatti: per le attività a carattere progettuale la valutazione verte soprattutto sul raggiungimento degli obiettivi occupazionali (quanti allievi hanno trovato occupazione coerente con la formazione ricevuta), e professionali (quantità e tipo- 470 Cfr. ISFOL (a cura di MONTEDORO C.), Elementi di progettazione integrata per la formazione di qualità, Roma 2000. 471 Sulla materia cfr. GHERGO F., Esperienze regionali di valutazione della f.p.: filosofie istituzionali, modelli e strumenti, in Osservatorio Isfol n. 6, 1995, Numero monografico; VERGANI A., La valutazione ex ante dei progetti formativi, in Professionalità 37 (1997), pp. 11-17. 472 Cfr. TEZZA E. e VERNA G., Il monitoraggio della formazione professionale in Professionalità 17 (1993), pp. 17-24; VERNA G., Il monitoraggio dei PIC, documento di lavoro Ministero del Lavoro, febbraio 1993. 473 Cfr. VERGANI A., Una applicazione di indicatori descrittivi ad un sistema di formazione professionale, in Professionalità 12 (1992), pp. 52-58. E Valutazione dell’efficacia degli interventi formativi in Professionalità 30 (1995), pp. 19-29; L’efficacia occupazionale di interventi di fp in Professionalità 34 (1996) pp. 15-24; CARDUCCI P., PUGLIESI R., La valutazione economica della formazione in Professionalità 26 (1955), pp. 13-22. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 360 361 logia di formazione ricevuta ed effettivamente utilizzata nella performance lavorativa); per le attività a carattere ricorrente verte anche sul raggiungimento degli obiettivi formativi (competenze trasversali, non disciplinari, acquisite nel corso e spendibili in qualsiasi processo lavorativo). Ma la valutazione ex post e, in generale la valutazione, è una tematica in cui la cultura e la prassi della Formazione Professionale degli Anni ’90 ha fatto progressi rilevanti e, perciò, merita un approfondimento particolare. 7.8. L’attività di ricerca in materia di valutazione nei primi Anni ’90 7.8.1. Dalla valutazione docimologica a quella sugli effetti della Formazione Solo alla fine degli Anni ’80 e agli inizi degli Anni ’90 la Formazione Professionale regionale ha cominciato a porsi in maniera significativa il problema della valutazione. Fino ad allora l’attività scientifica sulle tematiche attinenti la valutazione della formazione era sempre stata in Italia alquanto limitata e comunque circoscritta agli interventi e alle problematiche di tipo scolastico, ed orientata soprattutto alle verifiche dei livelli di apprendimento, con i contributi soprattutto di Visalberghi474, (1955) di Vertecchi (1984)475 e Gattullo (1988)476 e la così detta valutazione formativa, ovvero l’attività di valutazione di competenza dei formatori, svolta dagli stessi al fine di migliorare sia i contenuti che le metodologie di insegnamento e per adeguare la Formazione alle specifiche caratteristiche dei gruppi-utenti. A partire dagli Anni ’90 si è assistito ad un certo sviluppo della ricerca e delle sperimentazioni anche relativamente ad altri segmenti della Formazione: prima del segmento della Formazione aziendale, poi di quello della Formazione Professionale regionale. Sul versante aziendale l’investimento in formazione assumeva, sempre prima degli Anni ’90, caratteri di episodicità, ed anche se in alcune grandi aziende esso assumeva una certa consistenza ed era strettamente vincolato al raggiungimento di precisi obiettivi di sviluppo, nel suo insieme non era coordinato nell’ambito di una “politica” della formazione aziendale, non costituiva insomma un sistema, cioè un insieme organico di obiettivi e mezzi. Contrariamente a quanto avveniva in alcuni Paesi europei477, i processi di valutazione riguardavano pertanto, quando esistevano, 474 VISALBERGHI A., Misurazione e valutazione nel processo educativo, Comunità, Milano 1955. 475 VERTECCHI B., Manuale della valutazione. Analisi degli apprendimenti, Editori Riuniti, Roma 1984 (II ed. 1998). 476 GATTULLO M., Didattica e docimologia. Misurazione e valutazione nella scuola,Armando Editore, Roma 1988. 477 In Paesi come la Germania e soprattutto la Francia l’esistenza di una politica organica per la Formazione degli occupati (Formazione Continua) ed il coinvolgimento anche finanziario delle aziende ha provocato, negli ultimi 20 anni, esigenze di valutazione dell’efficienza e della redditività degli interventi e ciò ha, in ricaduta, stimolato la ricerca e la sperimentazione in questo settore (ad esempio sviluppo di metodi di audit della formazione, analisi dell’investimento in formazione come investimento sul capitale immateriale delle imprese, etc.). storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 361 362 solo segmenti molto limitati di intervento. L’assenza, inoltre, di incentivi pubblici per la formazione degli adulti occupati478 faceva sì che non esistessero in Italia né i soggetti né i vincoli o gli stimoli per un consistente e sistematico impegno nella valutazione della formazione delle e nelle imprese. Da ultimo (fine Anni ’80 ma soprattutto inizi Anni ’90) la valutazione non strettamente attinente la didattica, ma riguardante gli effetti anche di natura economica della Formazione ed il controllo organizzativo degli interventi investe anche il segmento della Formazione Professionale regionale. Tale ritardo è stato, in parte, determinato dall’assetto istituzionale della Formazione Professionale nel nostro Paese. Infatti, la Formazione che si attua al di fuori delle istituzioni scolastiche non dà luogo a certificazioni formali standardizzate e non si basa su programmi-tipo che possano essere considerati tali ai fini delle verifiche dei risultati e dell’efficacia degli interventi in essi inscritti. Anche le modalità di finanziamento non vincolavano, se non in rari casi, gli organismi a dimostrare l’utilità, sia essa economica che sociale, degli interventi che realizzano. L’interesse in questi anni per la valutazione si concretizza in studi e ricerche che nel giro di qualche anno daranno al tema non solo una buona base teorica, ma anche buoni strumenti. Nell’arco di qualche anno, alcune ricerche produrranno modelli teorici e modelli operativi che rimarranno un punto fermo per il Sistema Formativo regionale. In questa sede esamineremo alcune ricerche che hanno avuto una indubbia importanza nel far crescere una cultura e una prassi valutativa nella Formazione Professionale regionale. Tali indagini sono state realizzate dalla Fondazione Brodoloni (1993), dalla Provincia di Trento - Fondazione Clerici (1989), dal CRPL e dalla Regione Veneto (1990), dall’Isfol (1993), dall’ENAlP (1989), dall’IPALMO(1991). 7.8.2. Quadro di sintesi dell’attività di ricerca Uno sguardo di sintesi su questo complesso di attività di studio ed elaborazione rivela le connotazioni che seguono. a. La maggior parte delle ricerche tratta la valutazione della Formazione in quanto valutazione ex post. Pochi sono gli studi che affrontano i problemi ed i metodi della valutazione ex ante mentre analisi e proposte metodologiche per la valutazione in itinere, e dunque per il monitoraggio delle azioni, sono presenti in vari studi. b. Si nota in queste ricerche un tentativo propedeutico di razionalizzare il tema “valutazione”, forse proprio per il fatto che questi studi sono, per l’Italia, “studi di prima generazione”479, e che quindi non trovano in esperienze e riflessioni 478 Ricordiamo che la formazione per occupati finanziata con risorse pubbliche fa il suo ingresso con la regolamentazione dei Fondi Strutturali 1994-1999 (Ob. 4). 479 Cfr. a tale proposito ISFOL-CEE (a cura di BULGARELLI A.), La valutazione nel FSE - metodologia di valutazione ex-post dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1992. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 362 363 precedenti un alveo di riferimento. Razionalizzazione che consiste nel “creare un linguaggio” ed una tassonomia di categorie logiche per inquadrare i diversi aspetti e momenti della valutazione, e per situare contributi di riflessione e di proposta metodologica “in funzione” delle diverse esigenze valutative che possono esprimersi, sia da parte di chi gestisce la Formazione (es. Enti ed organismi), sia da parte di chi ne costituisce il garante o l’istituzione di tutela e finanziamento (es. i decisori pubblici) sia, infine, da parte dei “protagonisti diretti della formazione” (es. i formatori). c. Se lo sviluppo di tali riflessioni è comune a tutti i lavori sul tema, non certo analoghe sono le scelte che vengono compiute. c1 La differenza principale dei diversi approcci consiste nel “livello” in cui vengono situati gli obiettivi della Formazione. Alcuni degli studi analizzati pongono in premessa ed in termini di scelta strategica, proprio il problema della definizione della scala gerarchica degli obiettivi, e il problema dell’individuazione dei livelli pertinenti di tale scala a seconda delle finalità specifiche delle attività di valutazione. Se, infatti, nel caso della valutazione della formazione strettamente intesa come attività didattica, è relativamente semplice fissare il livello degli obiettivi di riferimento (in quanto in tal caso l’obiettivo è “l’apprendimento”) ben diverso è fissare obiettivi pertinenti alla valutazione di efficienza di una “entità di formazione” (struttura, organismo, ecc.) e particolarmente complesso è fissare gli obiettivi della Formazione intesa come strumento di crescita economica e socia1e di un gruppo di individui o addirittura di una collettività (ad esempio al livello regionale). Su tali argomenti è interessante quanto sviluppato in IPALMO ed in Fondazione Brodolini sia rispetto alle esigenze della valutazione ex ante della Formazione (analisi, ranking e selezione di progetti), sia rispetto alle verifiche del suo impatto su micro e su macro-contesti. c2 Altro elemento che contraddistingue alcuni degli studi menzionati rispetto ad altri è la presa in considerazione o meno delle “risorse” della Formazione intese sia come potenzialità che come costi rispetto ai quali verificare gli effetti o i benefici. In alcuni casi gli autori si orientano a considerare la Formazione come un processo di implementazione delle competenze e della spendibilità sul mercato (anche in termini di mobilità oltre che di inserimento) da parte dei soggetti. Da cui deriva l’opzione per una valutazione degli effetti netti delle azioni in termini di vantaggi relativi acquisiti attraverso la formazione. Nell’analisi delle risorse impiegate nel processo di formazione e rispetto alle quali valutare gli effetti, in alcuni studi si prendono in considerazione soltanto le risorse fisiche, in altri anche le risorse finanziarie, in altri ancora tra le risorse utilizzate (o previste) viene incluso anche il patrimonio iniziale degli allievi in termini di prerequisiti (culturali, professionali e comportamentali). c3 Per quanto riguarda la valutazione dei risultati e degli effetti della FormastoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 363 364 zione gli approcci sono tanti quanti i livelli a cui vengono situati gli obiettivi della Formazione. Come prima detto per alcuni autori il risultato è la “riuscita” in termini di acquisizione della qualificazione (con tutto ciò che essa comporta), per altri il risultato consiste nel vantaggio relativo acquisito in termini di probabilità di accesso e progressione nel lavoro, per altri ancora il risultato o l’effetto della Formazione, consiste nel suo contributo alla crescita economica di una determinata collettività. Le diverse scelte concettuali, in termini di definizione delle risorse richieste o impiegate, e degli effetti attesi o conseguiti, porta gli autori alla costruzione di tipologie differenziate di strumenti valutativi. c4 Alcune delle ricerche esaminate, infine, analizzano l’intervento formativo come un processo consequenziale di programmazione, gestione e verifica degli esiti ed affrontano, pertanto, il tema della valutazione in maniera integrata prendendo in conto tutti i vari momenti in cui esso si esplicita. Per concludere si può notare come in quasi tutte le ricerche siano presenti: riflessioni di tipo semantico e tassonomico, allestimento di strumenti per la rilevazione e l’analisi dei diversi fenomeni attinenti, costruzione di indici ed indicatori, nonché verifiche applicative su specifici segmenti di attività formative o studi di casi. 7.8.3 Rassegna delle ricerche a. La ricerca realizzata dalla Fondazione Brodolini, commissionata dal Ministero del Lavoro, riguarda prevalentemente le problematiche e le metodologie della valutazione ex ante dei progetti. In proposito viene proposta una griglia per la selezione delle variabili caratterizzanti un progetto di Formazione ed una matrice per l’elaborazione di indicatori complessi. Tali indicatori vengono raggruppati in quattro tipologie: indicatori di adeguatezza mezzi-obiettivi, indicatori di coerenza pedagogico didattica, indicatori di funzionalità rispetto all’utenza, indicatori di compatibilità organizzativa (cfr. Fig. n. 74). Figura n. 74 - Indicatori della valutazione ex ante nel modello della Fondazione Brodolini storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 364 365 Per il ranking dei progetti ai fini della selezione degli stessi (da parte dei decisori) viene proposta una verifica in due tempi, l’una basata sul controllo della compatibilità tra obiettivi e mezzi fisici (compresa strumentazione didattica e curriculum), l’altra sul calcolo del rendimento della Formazione tenuto conto dei costi preventivati e degli effetti, anche indotti, attesi. Lo studio si conclude con un esercizio di verifica applicato ad alcuni interventi realizzati in Italia per la qualificazione dei giovani disoccupati di lungo periodo in settori ad alta intensità di innovazione tecnologica. b. La ricerca, commissionata dalla Provincia Autonoma di Trento alla Fondazione Clerici si articola in 4 parti. La parte introduttiva propone le definizioni e la tipologizzazione delle diverse finalità e dei diversi approcci alla valutazione della Formazione Professionale. La seconda parte articola la struttura di un intervento di Formazione in quattro aree principali ed in 22 sub-aree nell’ambito delle quali vengono individuate le variabili principali di osservazione ai fini della valutazione. Nella terza sezione i ricercatori elaborano una serie di indici ed indicatori di efficacia (sbocchi occupazionali, utilizzazione delle competenze, appetibilità aziendale, miglioramento economico, soddisfazione) e di efficienza (strutturale e gestionale). L’ultima parte individua alcuni fattori di ponderazione ai fini di una relativizzazione del valore degli indici rispetto al contesto socio-economico in cui si attua la Formazione e rispetto ad alcune caratteristiche specifiche attinenti la stessa azione formativa (es. l’utilizzazione o meno di supporti e tecnologici e didattici). Vengono infine proposti due questionari per la rilevazione sistematica dei dati, sia di una struttura che di un intervento di formazione. c. Il risultato della ricerca effettuata dal CRPL480/Regione Veneto481 è rappresentato da un modello (definito ‘semplice’) che si articola in cinque azioni valutative, tra loro integrate482: valutazione differenziale, interna, dell’apprendimento, degli effetti e degli impatti, monitoraggio (cfr. Fig. n. 75). 480 Il Centro regionale per le politiche del lavoro era stato istituito con la denominazione Centro per la promozione dell’occupazione ai sensi dell’art. 8 della Legge regionale 6 maggio 1985, n. 51. Era una unità organizzativa operante nell’ambito della Segreteria regionale per le attività produttive. Il Centro svolgeva, tra l’altro, le funzioni di progettazione degli interventi di politica del lavoro, la verifica dell’efficacia delle leggi nazionali e regionali per l’occupazione, la verifica dei risultati a esse conseguenti e la prospettazione di nuovi campi di intervento; l’effettuazione di indagini, studi e ricerche rilevanti per gli interventi regionali di politica del lavoro. Successivamente con L. n. 31. del 16.12.1998 le funzioni svolte dal Centro regionale delle politiche sono attribuite all’Ente Veneto Lavoro. 481 Regione Veneto Centro Regionale per le politiche della formazione - Un modello semplice per la valutazione dei progetti formativi, Venezia 1990. 482 Ibidem, p. 7 “Lo spunto originario può essere ricondotto alle seguenti considerazioni: a) Qualsiasi attività formativa é riconducibile ad un progetto ed in questo senso assume tutti gli elementi cardine che identificano un progetto: obiettivi, azioni, tempi e costi. b) Qualsiasi attività formativa in quanto attuata in una situazione di ‘risorse limitate’ si configura come un progetto di investimento, ed in questo senso assume tutti gli elementi che identificano un progetto di investimento, sia organizzativi che valutativi. c) Qualsiasi attività formativa, in quanto progetto di investimento, deve fornire un listoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 365 366 vello di redditività che non può esimersi dall’essere rappresentato in termini quantitativi. d) Qualsiasi attività valutativa implica la progettazione delle azioni: appare, infatti, necessario, più che verificare gli effetti di una attività con un’azione separata e finale, accompagnare la progettazione delle azioni con un parallelo processo valutativo onde accertare fin dalle prime fasi del progetto la coerenza degli obiettivi, la congruenza delle risorse e la fattibilità delle azioni, monitorandone lo stato di avanzamento. e) Qualsiasi attività di formazione al lavoro, intendendo per formazione professionale la ‘comunicazione organizzata per l’apprendimento di un ruolo lavorativo. 483 Rilevanza (l’importanza del fatto formativo commisurata agli effetti desiderati) che concerne il giudizio sul metodo seguito, sugli obiettivi individuati e sul contenuto del progetto; l’adeguatezza della formulazione, che riguarda le modalità di formulazione del programma formativo sotto il profilo dei contenuti e dell’organizzazione didattica: la congruenza, la relazione cioè tra risorse richieste e quelle necessarie; la coerenza, vale a dire la continuità logica delle fasi progettuali; lo sforzo sostenuto, la relazione tra sforzi finanziari e obiettivi intermedi; l’avanzamento, l’analisi del grado di attuazione delle attività; l’efficacia, confronto fra obiettivi raggiunti e quelli prefissati; l’efficienza, relazione tra risorse e risultati. 484 Da segnalare che il modello propone degli indicatori particolarmente sensibili al fenomeno formativo come quello sul risparmio per allievo e quello sullo spreco delle ore per allievo Figura n. 75 - Azioni valutative previste nel modello CRPL - Regione Veneto La valutazione differenziale si basa sulla distinzione del progetto formativo in fasi (analisi dei bisogni, progettazione, realizzazione, rendicontazione). La valutazione di ogni fase consente di migliorare i risultati finali, poiché i risultati intermedi di ogni singola fase sono input della fase successiva. Le componenti della valutazione differenziale sono: la rilevanza, l’adeguatezza della formulazione, la congruenza, lo sforzo sostenuto, l’avanzamento, l’efficacia, l’efficienza483. La valutazione interna è un giudizio che riguarda l’efficienza dei progetti. Vengono fissati degli indicatori finanziari e si compie il confronto fra il preventivo ed il rendiconto evidenziando la percentuale di variazione. L’innovazione più significativa é quella di aver individuato delle rappresentazioni grafiche (nomogrammi) che consentono di capire l’andamento di un corso con un solo colpo d’occhio484. Per la valutazione dell’apprendimento occorre stabilire gli obiettivi formativi secondo l’impostazione data da Bloom misurando, prima e dopo, la variazione del “cambiamento”. Infine la valutazione degli effetti e degli impatti è realizzata mediante la verifica di alcuni indicatori di conseguimento (numero di occupati, percentuale di occustoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 366 367 pati coerenti con la formazione seguita, tempo di attesa medio, indici di miglioramento salariale); verifica realizzata attraverso delle indagini telefoniche assistite da computer. Il monitoraggio consente di calibrare il progetto utilizzando diversamente le risorse se lo stato di avanzamento manifesta delle devianze rispetto agli obiettivi previsti485. L’adozione dei criteri di efficacia e di efficienza comporta necessariamente una ripartizione delle risorse pubbliche ancorata alla produttività delle azioni, all’ammissione cioè dei progetti più meritevoli. Per questo il modello in esame suggerisce l’adozione di un sistema ripartizionale, che ripartirsca territorialmente le risorse secondo la ricchezza delle aree considerate privilegiando quelle con reddito minore; riconosca una proporzionalità alla produttività (efficacia-efficienza) degli operatori che offrono il servizio nelle aree oggetto degli interventi pubblici. d. Il modello applicativo di valutazione dell’ENAIP si compone di 16 parametri afferenti a tre categorie di variabili: “tecniche” attinenti alle relazioni che intercorrono tra risorse ed effetti caratterizzanti l’azione formativa; “sociali” attinenti alle relazioni che intercorrono tra azione formativa e suo contesto ambientale e culturale; “economiche” attinenti alle relazioni tra costi e rendimento qualitativo (tecnico e sociale) dell’azione. I parametri vengono inoltre raggruppati secondo due fattori: l’azione formativa ed i rapporti tra questa ed il suo contesto. I parametri utilizzati, di primo e di secondo livello (sintesi di quelli di primo livello), sono categorie valutative circoscritte da definizioni convenzionali. La descrizione qualitativa o la misurazione quantitativa di ogni parametro rispetto alle varie fasi dell’intervento è: di tipo previsionale (ipotesi valutative preventive); di tipo consuntivo (dati rilevati per ogni fase); di tipo sommario (dati di consuntivo di tutte le fasi). I parametri di secondo livello riguardano (nella Figura 76 sono in maiuscolo neretto): la “convenienza” (punto di vista economico); la “utilità”, la “opportunità”, la “fattibilità” (punto di vista sociale); la “validità” e la “trasferibilità” (punto di vista tecnico). La valutazione di ogni parametro di secondo livello è definita dalla valutazione congiunta in termini ponderati dei parametri di primo livello (nella figura sono in corsivo). Ogni parametro è misurato da alcuni indicatori. Ad esempio, il parametro di primo livello, Rilevanza sociale (importanza dell’iniziativa formativa correlata all’importanza del problema a cui l’iniziativa stessa intende rispondere), è misurato da sette indicatori. Uno di questi è rappresentato dal grado di univocità sociale e/o scientifica del problema; ad esso si può attribuire 5, 3 o 1 punto a seconda che “il problema ha una definizione non ambigua e definita”, la definizione del problema è accettabile ma non completa, la definizione del problema è carente. L’approccio proposto dall’ENAIP è un approccio di tipo “audit” 485 La struttura del monitoraggio viene derivata dalla esperienza degli Organismi internazionali, primo fra tutti la Banca Mondiale che introdusse questa ‘continua sorveglianza` nei progetti formativi verso la metà degli Anni ’70. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 367 368 dove viene analizzato tutto il processo formativo dalla fase di progettazione a quella delle valutazioni di tipo differito. I parametri, e dunque il percorso valutativo, possono essere selezionati secondo le caratteristiche dell’azione formativa e le esigenze di valutazione anche a fini decisionali. e. Strettamente metodologico, ma molto vicino alle esigenze valutative delle amministrazioni regionali, appare lo studio effettuato dall’Isfol sull’applicazione dell’analisi multicriteri. Le potenzialità del metodo risiedono nella sua adeguatezza ad effettuare “sintesi valutative” ovvero a sottomettere i progetti di Formazione ad un’analisi che prende in conto simultaneamente più criteri di giudizio. Il metodo appare, inoltre, particolarmente idoneo ad agevolare le scelte del decisore in quanto permette di effettuare scenari alternativi accordando peso differenziato o variabile ai diversi criteri di giudizio. Lo studio effettuato dall’Isfol definisce, ai fini dell’utilizzazione dell’analisi multicriteri, una serie di indicatori o criteri valutativi idonei per la valutazione, sia ex ante, sia ex post dei progetti di formazione e permette, inoltre, di compiere valutazioni separate per tipologia di progetti (settori, utenti, aree territoriali). f. Un’ulteriore ricerca dell’Isfol, elaborata con la collaborazione dello IARD486, mette a punto un modello (cfr. Fig. n. 77) che presenta queste peculiarità: ha un carattere modulare, utilizzabile nei corsi di prima qualificazione e nei corsi 486 La sintesi del rapporto di ricerca è rinvenibile in ISFOL, Formazione. un sistema a rischio. Carta delle priorità per la qualità e l’integrazione della formazione professionale, Roma 1991, pp. 66-105. Figura n. 76 - Schema riassuntivo del modello ENAIP storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 368 369 di perfezionamento, in attività rivolte al mercato come in quelle orientate al posto, in iniziative di routine e in iniziative esplicitamente programmate; temporalmente si colloca, in linea di massima, entro una prospettiva ex-post. L’unità di analisi è costituita, usualmente, dalla singola azione formativa; il soggetto dalla cui prospettiva si effettua la valutazione, è il soggetto responsabile della programmazione e del controllo (a livello di Centro, di Sistema regionale e di Sistema nazionale); l’opzione valutativa è centrata, in gran parte, sull’output formativo e fa perno su tre categorie di valutazione: efficacia, efficienza e soddisfazione. L’efficacia si misura con indicatori relativi a tre ambiti: i prerequisiti di carattere generale (i relativi indicatori misurano la dotazione di risorse – competenze culturali, capacità di autoapprendimento, conoscenze e abiti comportamentali – con le quali il soggetto affronta la sua imminente esperienza professionale); i prerequisiti di atteggiamento (verso il lavoro e autoconsapevolezza delle risorse personali con cui affrontare il lavoro) gli esiti occupazionali (i relativi indicatori misurano la capacità della Formazione Professionale di favorire la concreta presenza dei suoi frequentanti sul mercato del lavoro e la loro effettiva assunzione) e professionali (gli indicatori verificano le attività lavorative nelle quali gli allievi sono impegnati, e le competenze specifiche e organizzative apprese in formazione e abitualmente utilizzate sul lavoro). L’efficienza, invece, si misura con indicatori di produttività e quelli costi/efficacia. Gli indicatori di produttività sono: di tipo strutturale (considerati quando si fa riferimento al Centro, possono essere distinti in indicatori di prodotto e di processo: i primi utilizzano al denominatore il numero degli allievi, i secondi il numero dei formati), di selezione (confrontando numero di iscritti con quelli dei frequentanti e dei qualificati gli indicatori, misurano il grado di dispersione formativa e il grado di selettività del corso) di tipo gestionale (sono indicatori utilizzati per razionalizzare la spesa: costo per allievo, costo orario, tasso di utilizzo finanziario, etc.). Gli indicatori costi/efficacia misurano il costo per allievo occupato, coerentemente al percorso formativo frequentato e quindi sono in grado di offrire “l’indice di spreco”. Infine la soddisfazione degli allievi riguarda l’auto percezione del corsista sui risultati pro- Figura n. 77 - Categorie valutative del modello Isfol-IARD storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 369 370 dotti dal processo formativo ed è riconducibile a due giudizi: il primo sulla gestione dell’intervento formativo, il secondo sulla congruenza fra Formazione ricevuta e collocazione lavorativa. g. Lo studio487, commissionato dalla Direzione Generale Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e condotto dall’IPALMO, Istituto per le relazioni tra Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente)488, ha come finalità specifica la valutazione dei progetti di formazione realizzati nei Paesi in via di sviluppo e nell’ambito della cooperazione bilaterale. Tuttavia le definizioni e le metodologie proposte risultano in gran parte valide anche nel caso della valutazione ex post dei progetti realizzati in Italia soprattutto quando essi beneficino di finanziamenti appositi, quali quelli del Fondo Sociale Europeo. Lo studio propone metodologie e parametri di valutazione differenziati per tipologie di progetti, classificati secondo un’apposita tassonomia che tiene conto del grado di “estensione” degli obiettivi dell’intervento, ovvero sia dei cambiamenti che si intendono conseguire in un determinato contesto (Regione, azienda, etc.), sia dei fabbisogni del committente o utilizzatore della Formazione (il singolo allievo, un ulteriore progetto di sviluppo, un’azienda, etc.). Dal momento che la ricerca dell’IPALMO è focalizzata sulla valutazione ex post degli interventi, vengono proposte prevalentemente metodologie di rilevazione e di costruzione di indicatori riguardanti gli effetti della Formazione. A seconda della tipologia del progetto, ovvero del livello dei suoi obiettivi (definiti secondo le tipologie accennate), gli effetti analizzati riguardano in alternativa o in integrazione tra loro: l’apprendimento, la spendibilità effettiva delle competenze acquisite da parte dei formati, il contributo che 1’utilizzazione di tali competenze fornisce a determinati obiettivi di sviluppo, siano essi attinenti a specifici contesti produttivi o più genericamente attinenti allo sviluppo/progresso di una collettività. Vanno menzionate, infine, le diverse ricerche e sperimentazioni applicative condotte attraverso sistemi di tipo “audit”, certo non idonei ad effettuare valutazioni di sintesi su un grande numero di attività o progetti, ma sicuramente opportune qualora si desideri effettuare analisi e soprattutto diagnosi in profondità di strutture o Sistemi di Formazione. Strumentazioni di tipo audit possono essere efficacemente utilizzate, ad esempio, per l’individuazione dei problemi di attivazione connessi con i programmi operativi. Con analisi di tipo “audit” è possibile, infatti, fare emergere i problemi attinenti 487 IPALMO, Valutare lo sviluppo: metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti, Volume I, F. Angeli, Milano 1991. 488 L’IPALMO di Roma è un istituto internazionalistico nato agli inizi degli Anni ’70 con la mission di sensibilizzare il panorama politico, economico e culturale italiano sui temi di politica internazionale, i rapporti Nord-Sud, la cooperazione allo sviluppo. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 370 371 alle procedure, ai ruoli dei diversi attori istituzionali, alla condivisione o meno delle strategie formative connesse con le diverse misure di intervento. Le metodologie di tipo audit appaiono particolarmente idonee a valutare gli interventi cofinanziati, in quanto gli elementi di sfondo rispetto ai quali mettere a raffronto la messa in opera effettiva delle azioni sono in gran parte contenuti nei regolamenti comunitari, nei Programmi Operativi, nei Quadri Comunitari di Sostegno, etc. La messa a punto delle metodologie di tipo “audit” è stata effettuata dall’Isfol e dalla Regione Emilia Romagna, con sperimentazioni effettuate sia in dipartimenti di sviluppo delle risorse umane di grandi imprese, sia presso strutture formative a gestione pubblica o consortile. L’attività di ricerca menzionata ha costituito un substrato efficace ai fini dell’elaborazione di strumenti e metodologie operative anche da parte dei soggetti direttamente coinvolti nelle attività di programmazione, gestione e controllo delle attività di formazione. Attingono infatti a tale background conoscitivo sia la Guida operativa per la valutazione elaborata dal Ministero del Lavoro, sia i progetti formulati da diverse amministrazioni regionali al fine di dar vita a dispositivi permanenti di controllo e valutazione della Formazione al livello locale. La Guida operativa del Ministero del Lavoro costituisce uno strumento pragmatico per la valutazione di tutte le attività progettuali che direttamente o indirettamente traggono finanziamenti da fondi comunitari, regionali ed in genere pubblici. La Guida propone una metodologia di valutazione con connotazioni abbastanza originali in quanto include indicatori idonei all’apprezzamento dell’organizzazione didattica e costituisce una soluzione “aperta”: è, infatti, potenzialmente complementare sia alle metodologie di valutazione già adottate al livello comunitario in riferimento ai Quadri Comunitari di Sostegno finanziario ed ai programmi operativi, sia alle metodologie eventualmente adottate al livello regionale o da parte di organismi di Formazione che seguano approcci o criteri diversi o più sofisticati. La metodologia di valutazione proposta rispetta esigenze di sperimentalità e di progressività, finalizzate ad una graduale integrazione della valutazione nell’ambito della programmazione degli interventi formativi. La guida si caratterizza per un’articolata griglia di indicatori utili per la valutazione sia ex ante che ex post dei progetti di Formazione, finalizzati alla verifica sia dell’efficienza che dell’efficacia. L’iter valutativo è basato su indicatori economici derivanti da dati statistici regionali e nazionali, e su dati ottenuti con studi analitici descrittivi e con analisi di tipo qualitativo. La Guida propone di sottoporre a valutazione (cfr. Fig. n. 78): – obiettivi di efficienza, analizzabili attraverso criteri di natura prettamente finanziaria (riferiti ai soggetti), ed economica (riferiti alla collettività nel suo insieme); – obiettivi di efficacia data dalla capacità dell’intervento formativo di raggiungere gli obiettivi dichiarati al momento della progettazione dell’intervento; storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 371 372 – obiettivi di pertinenza, riferiti alla capacità di sviluppare azioni formative consonanti con i requisiti strategici, metodologici e tecnici definiti dall’attore della valutazione; – obiettivi di rispondenza, riferiti alla capacità del prodotto formativo di aderire alle necessità degli utenti diretti (individui) e indiretti (imprese). Nel caso di Sistemi formativi di natura pubblica, si definisce come presenza di particolari requisiti di priorità associati all’intervento; – obiettivi di rilevanza dati dalla capacità dell’azione formativa di evidenziarsi, all’interno della specifica classe di interventi, per il tono più marcato delle innovazioni (organizzative, tecnologiche, metodologiche). La rilevanza è specificata in relazione all’importanza dei problemi a cui la Formazione Professionale deve far fronte, al risultato cui essa mira ed al contesto in cui si intende realizzare l’azione formativa; – obiettivi di effetto moltiplicatore dato dalla capacità dell’azione formativa di dare vita ad un circuito positivo nel contesto di riferimento consentendo la riproducibiltà della stessa azione a condizioni più favorevoli. La trasferibilità in tal senso può riguardare la dimensione strategica, il progetto nel suo insieme, le singole parti dell’azione formativa. La Guida si compone di quattro parti: – la prima costituita da un “Glossario” comprendente i principali termini della valutazione; – la seconda denominata “Strumento” tratta gli indicatori relativi alla valutazione dei progetti di Formazione. Tale parte si articola in due sezioni. La prima sezione contiene istruzioni per l’uso della Guida e propone un inquadramento di tutti gli indicatori in diverse tipologie progettuali, in modo che il valutatore sia in grado di fornire risposte mirate rispetto alle diverse situazioni progettuali che si possono presentare. L’individuazione di queste diverse tipologie progettuali, Figura n. 78 - Obiettivi da sottoporre a valutazione nella Guida del Ministero del Lavoro storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 372 373 a cui sono stati assegnati indicatori particolari, tendono ad individuare le esigenze differenziate dei diversi utilizzatori/valutatori ed a fare in modo che i risultati possano essere utilmente confrontati nell’ambito delle esperienze valutate. La seconda sezione definisce i criteri di individuazione di valori standard e di soglia. L’insieme degli indicatori è ripartito in: indicatori finanziari, economici, didattici ed organizzativi; – la terza parte denominata “Base informativa” comprende un’introduzione sugli archivi di dati esistenti presso le amministrazioni regionali e sulla costruzione di tali archivi che ancora non esistono ma che costituiscono la base indispensabile di qualsiasi azione valutativa; – la quarta parte della Guida è composta da una serie di schede facilmente utilizzabili per la raccolta e l’organizzazione dei dati e delle informazioni necessarie alla costruzione degli indicatori. La Guida è stata presentata agli utilizzatori potenziali nel corso di un Seminario tenutosi a Torino nell’aprile 1992. Sulla base di alcune considerazioni, sia di ordine metodologiche operativo, espresse dalle amministrazioni regionali, sono state apportate alcune modifiche ed è stato selezionato, in via sperimentale, un set di indicatori di base che mira a dare una certa comparabilità ed omogeneità alle attività di valutazione che si effettuano ai diversi livelli locali. 8. Organizzazione, attività e politiche della Formazione Professionale nelle Regioni e Province Autonome 8.1. Premessa Nel secondo volume abbiamo messo in forte evidenza come la Formazione Professionale del nostro Paese, dopo il trasferimento delle competenze in materia dallo Stato alle Regioni, progressivamente si sia differenziata da Regione a Regione in maniera così peculiare da poter parlare non più di Sistema ma di Sistemi regionali della Formazione Professionale. Con un’ espressione un po’ ad effetto, ma senz’altro vera, possiamo affermare che non esiste un Sistema nazionale di Formazione Professionale, ma esistono 19 Sistemi regionali e due provinciali (di Bolzano e Trento). Questo fatto ci induce, come peraltro abbiamo proceduto per gli Anni ’80, a ricostruire le vicende legislative-regolamentari e il quadro delle attività e delle risorse (strutturali e finanziarie) di ciascuna Regione e Provincia Autonoma. In questa ricostruzione facciamo riferimento a questa traccia tematica: a. esame delle Leggi del settore approvate nel periodo di riferimento; b. analisi del processo programmatorio e gestionale (nel caso sia stata emanata un nuova legge organica); c. approfondimenti su alcune iniziative sperimentali o regolamentazioni, che abbiano una valenza paradigmatica per il settore o anticipino soluzioni che verstoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 373 374 ranno prese a livello nazionale (come, ad esempio, il Progetto di riqualificazione della Formazione di base della Provincia di Trento o la disciplina sull’accreditamento delle strutture delle sedi formative dell’Emilia Romagna). Una particolare attenzione viene riservata al tema della valutazione; d. confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il confronto riguarda il numero dei corsi previsti dai Piani sia per tipologia formativa sia per macro settore e per settore o area professionale; e. ricostruzione delle sedi formative, operanti all’inizio del decennio (a.f. 1990- 91) distinte per tipologia di struttura (CFP, sede occasionale o sede nominale) e per natura della gestione (pubblica: diretta o delegata; convenzionata: con soggetti pubblici o privati) e rassegna delle principali presenze di Enti convenzionati; f. ricostruzione della spesa per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza). Le fonti utilizzate per i dati quantitative sono dell’Isfol: – i dati quantitativi relativi alle attività e alle sedi formative sono tratti dai volumi Statistiche della formazione professionale - anno formativo 1990-91489 e anno formativo 1995-96490; – le informazioni sugli Enti dal volume Distribuzione dei Centri di formazione professionale in Italia - anno formativo 1992-93491. Le une e le altre fonti costituiscono una sintesi dei risultati dell’indagine Struttura tipologica della formazione professionale che l’Isfol realizzava annualmente sulla base dei Piani di attività elaborati dalle singole Regioni e dalle due Province Autonome: – i dati sulla spesa sono tratti dall’indagine sui bilanci di previsione di competenza regionali e riportati ogni anno nel Rapporto Isfol. 489 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle regioni nel 1989-91, Roma, novembre 1991. 490 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle regioni nel 1995-96, Roma, novembre 1998. 491 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, Roma 1994. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 374 375 8.2. Regione Valle d’Aosta Il riferimento legislativo della Formazione Professionale della Regione Valle d’Aosta492 è sempre la Legge n. 28 del 5 maggio 1983 Ordinamento della FP in Valle d’Aosta. Come abbiamo già osservato, Legge e Sistema formativo molto spesso corrono parallelamente. La Valle d’Aosta è un esempio di Regione in cui si manifesta questo fenomeno. La norma del 1983, infatti, cercava di importare in Regione il modello programmatorio-gestionale presente nelle altre Regioni: forte presenza di Enti, pubblici e privati, esclusivamente dedicati alla Formazione, come soggetti sia di proposta sia di realizzazione delle attività. E la Regione, invece, continua ad utilizzare, per la programmazione e per l’attuazione degli interventi, il modello tradizionale in cui, da una parte gli Assessorati segnalano al Servizio di formazione e orientamento professionale (istituito con l’art. 17 della Legge menzionata e posto alle dirette dipendenze della Presidenza della Giunta) le necessità di interventi formativi connessi alle politiche settoriali di propria competenza o delle aziende che rientrano nei comparti di propria pertinenza, dall’altra l’Agenzia del lavoro propone interventi, prevalentemente, a favore dell’offerta di lavoro. Gli interventi che entreranno nel Piano annuale sono realizzati o dagli Assessorati (anche mediante due fondazioni di cui parleremo) o dalle aziende o dall’Agenzia del lavoro. Più in particolare l’elaborazione del Piano annuale segue questo iter: a) il Servizio di formazione e orientamento professionale ripartisce indicativamente tra gestione convenzionata e diretta e tra gli Assessorati e l’Agenzia del lavoro le risorse finanziarie – definite dal Piano regionale pluriennale e dai Programmi operativi degli Obiettivi 3 e 4 del FSE – sulla base del peso relativo dei differenti settori economici e delle loro prospettive di sviluppo; b) gli Assessori e l’Agenzia del lavoro presentano al Servizio le loro proposte di intervento e quelle delle aziende dei settori di loro pertinenza nell’ambito di uno o più obiettivi fissati dal Programma regionale pluriennale; c) il Servizio procede alla selezione delle proposte basata su modalità analiticocomparative e sull’utilizzazione di sistemi di valutazione parametrati. La selezione si articola in tre fasi successive concettualmente ed operativamente distinte (cfr. Fig. n. 79): 492 Nel periodo considerato da questo volume in Valle d’Aosta ci sono state due Legislature – parte della IX (1988-93) e tutta la X (1993-97) – e si sono succeduti 4 giunte, presiedute da Augusto Rollandin (UV) 1988-1990, Gianno Bondaz (DC) 1990-92, Ilario Lavin (AL) 1992-93 e Dino Vierin (1993-98). storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 375 376 – verifica di ammissibilità del progetto, che rileva la rispondenza delle attività progettate agli obiettivi predeterminati; naturalmente, se viene rilevata una “non-corrispondenza”, il progetto non viene accolto; – verifica di accettabilità tecnica dei progetti, effettuata sulla base di una griglia di valutazione che analizza per ciascun progetto variabili relative: a) pertinenza e rilevanza socio-economica delle motivazioni della richiesta di finanziamento; b) completezza e correttezza metodologico-formale nella definizione del ruolo professionale e nella individuazione delle competenze; c) compatibilità delle competenze da acquisire con la tipologia delle utenze coinvolte anche sotto il profilo di eventuali prerequisiti richiesti; d) plausibilità dei risultati previsti (esiti occupazionali degli allievi da qualificare, o implicazioni economico-contrattuali per le persone occupate da specializzare); e) congruità del programma didattico-formativo e della durata complessiva dell’intervento rispetto alle competenze da acquisire; f) adeguatezza del rapporto tra volume di attività del personale docente e quello del personale non docente; g) ammissibilità ed adeguatezza delle spese preventivate; – definizione del grado di priorità di ciascun progetto, nell’ambito di quelli ritenuti accettabili, mediante l’attribuzione di un punteggio assegnato ad alcune variabili che connotano il progetto formativo sotto il profilo dell’efficacia (rispondenza agli obiettivi formativi e tipologia dell’intervento) e dell’efficienza (dimensione dell’utenza coinvolta ed entità del finanziamento). Figura n. 79 - Fasi della selezione dei progetti storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 376 377 Da notare che il sistema utilizzato per stabilire la graduatoria non è solo parametrato, ma anche obiettivo, in quanto utilizza solo indicatori quantitativi. Per le tre fasi della valutazione la Regione si è dotata di specifiche griglie; per la presentazione dei progetti ha utilizzato invece un formulario che favorisce l’evidenziazione dei risultati dell’analisi del fabbisogno e della professionalità, ma che dà poco rilievo alla programmazione didattico-formativa. Su questo tema sono da sottolineare i meriti storici della Valle d’Aosta: la Regione, infatti, non solo è stata la prima ad aver adottato nella valutazione ex ante dei progetti il sistema parametrato, ma lo ha adottato in un periodo nel quale la cultura della trasparenza, e quindi la necessità di procedure prescrittive non rappresentava ancora dei valori e delle istanze condivise e nel quale, comunque, sembrava utopistico sottrarre la formazione del programma delle attività alla discrezionalità del soggetto politico, per riservarla esclusivamente alla valutazione tecnica di funzionari ed esperti. Abbiamo accennato sopra al fatto che gli Assessorati possono realizzare interventi formativi anche con Fondazioni. La Regione, infatti, persegue delle formazioni settoriali, per l’agricoltura e per il turismo, utilizzando due fondazioni493 chiamate a gestire, contemporaneamente, attività di formazione e di istruzione professionale. La Tabella 42 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macro settore e comparto professionale. Nel 1995-96 sono stati programmati 308 corsi, mentre nel 1990-91 solo 192494. Gli allievi del 1990-91 erano 2.811 e quelli dell’a.f. 1995-96 erano 5.975 pari rispettivamente al 3,7% e al 7,8% della popolazione in età attiva (15-60 anni)495. Si consideri la rilevanza di quest’ultimo valore: infatti, realizzando questo volume corsuale per 5 anni, la metà circa dei residenti in età di lavoro della Valle d’Aosta poteva beneficiare di una opportunità formativa. Se si osserva la distribuzione degli interventi per tipologia corsuale è immediato dedurre che gran parte del maggiore volume corsuale dell’a.f. 1995-96 rispetto al 1990-91 (116 corsi in più) sia stato appannaggio dei corsi di prima qualificazione, prima qualificazione che nel 1990-91 rappresentava solo il 17% di tutti i corsi pro- 493 La fondazione è un ente costituito da un patrimonio preordinato al perseguimento di un determinato scopo. È creata dalla persona fisica o giuridica (fondatore) che destina il patrimonio allo scopo; i fondatori possono essere più d’uno. La disciplina giuridica delle fondazioni è contenuta principalmente nel Libro I, Titolo II, Capo II del Codice civile. 494 ISFOL (a cura di GHERGO F., RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1989-91, op. cit., p. 40 e SISTAN (Sistema Statistico Nazionale) e ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1996-97, op. cit., p. 58. 495 La popolazione in età lavorativa (15-60 anni) ammontava a 75.943 unità nel 1991 e a 76.540 nel 1996. Cfr. ISTAT Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1992-2001 e Anni 1982-1991. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.42 Pagina 377 378 grammati mentre nel 1995-96 arriva addirittura al 41%. Notavamo nel II volume496 che negli Anni ’80 la Formazione di base era sottodimensionata rispetto alla media nazionale. Ora addirittura, considerando che la media nazionale è pari a 34,6%, la Valle d’Aosta sopravanza il valore nazionale di quasi 6 punti! Verosimilmente tale nuova situazione è il frutto di un maggior peso riservato nel Programma annuale alle proposte dell’Agenzia del Lavoro, chiamata ad intercettare e a rappresentare soprattutto i fabbisogni dell’offerta, giovanile ed adulta. Il valore relativo raggiunto dalla formazione di prima qualificazione nel 1995- 96 comporta un abbassamento dei valori dei corsi del II livello (che passano dall’8% al 4%, aumentando il gap con il valore medio nazionale di circa 10 punti) e di quelli per adulti che subiscono una forte flessione passando dal 71% al 45%. 496 Cfr.Volume II, p. 239. Tabella n. 42 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 378 379 In valori assoluti, invece, le due offerte formative mantengono sostanzialmente la consistenza dell’inizio decennio: 15 corsi di II livello e 136 per adulti rispetto ai 13 e ai 133 del 1995-96. Se disaggreghiamo497 i dati grezzi del numero dei corsi della Tabella 42 veniamo a conoscenza (cfr. Graf. n. 57) che: – dei 126 corsi di prima qualificazione 14 hanno una durata annuale, 89 biennale e 23 triennale; – i 13 percorsi di II livello sono tutti destinati a diplomati e 2 rientarno nella tipologia delle integrazione; – la dizione “adulti” mette insieme 18 corsi per disoccupati e 115 per occupati; – dei 36 “corsi speciali”, 13 sono destinati alle categorie “deboli” e 23 sono previsti da leggi, nel senso che per esercitare certe attività la legislazione prevede un apposito percorso formativo. 497 Cfr. Tav. III. 4 in SISTAN (Sistema statistico Nazionale) e ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1989- 91, op. cit., p. 80. Rispetto al decennio precedente il dato più rimarchevole è la perdita della centralità della Formazione per soggetti adulti; fenomeno in controtendenza rispetto alle altre Regioni dove, proprio in questi anni, si assiste ad un suo rilevante sviluppo. Per quanto riguarda i macrosettori le variazioni tra il 1990-91 e 1995-96 non riguardano, per usare un gergo ciclistico, le posizioni di classifica (che vedono in tutti e due gli anni presi a riferimento il settore industriale precedere quello Terziario ed Agricolo), quanto l’entità dei distacchi. Nel 1995-96 il volume corsuale programmato dell’Industria e artigianato con l’81% aveva un differenziale di 24,3 punti sul Terziario (19%) e di 78 sull’Agricoltura (3%). Nel 1990-91 i divari erano un po’ Grafico n. 57 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 379 380 meno sensibili: l’Industria con il 56,7% precedeva il Terziario (36%) di 20,7% e l’Agricoltura di quasi 50 punti. All’interno dei macrosettori si possono notare andamenti non stabili tra i due anni presi a riferimento: nell’Industria, ad esempio, nel 1990-91 gli interventi programmati più numerosi erano quelli del settore dell’abbigliamento e calzature con 29 corsi. Nel 1995-96 il primato spetta a quelli del settore meccanica e metallurgia con 20 interventi. Dinamiche analoghe si verificano nel terziario: rispetto al 1990-91 il comparto turistico passa da 0 a 13 corsi, la ristorazione da 9 a 25, i servizi socio-educativi da 4 a 27, l’informatica da 2 a 12 corsi mentre i trasporti da 14 ad 1. Sempre nel Terziario assistiamo all’esplosione dei corsi raggruppati sotto la dizione “lavori d’ufficio”: 155 mentre all’inizio del decennio erano solo 26. Questa area professionale sembra intercettare il maggior numero dei 129 corsi programmati in più nel 1995-96 rispetto al 1990-91. La spiegazione più plausibile di questo fenomeno sta nel fatto che i fabbisogni di alcuni settori, date le ridotte dimensioni del mercato del lavoro valdostano, vengono saturati nel giro di qualche anno e pertanto è opportuno rivolgere le attenzioni ai fabbisogni di altri settori ed aree professionali. La Tabella 43 sulla tipologia di gestione e tipologia di struttura delle sedi formative ci consegna queste evidenze: – la Formazione Professionale della Valle d’Aosta, da un punto di vista logistico, è un Sistema destrutturato. Lo dimostra il rapporto percentuale tra CFP (8,3%) da una parte e Sedi occasionali (69,4%) e nominali (19,4%) dall’altra; – la Regione, per la realizzazione delle attività formative si avvale in misura prevalente di soggetti privati. Lo attesta il rapporto percentuale tra sedi utilizzate direttamente dalla Regione (19,4%) e da Enti pubblici (19,4%) da una parte, e sedi utilizzate da soggetti privati dall’altra (61,1%); Grafico n. 58 - Corsi programmati dalla Valle d’Aosta nell’a.f. 1995-96 per tipologia (valori %; 100 = tot. Corsi) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 380 381 I tre CFP dell’area pubblica che figurano in tabella sono rispettivamente dell’Agenzia del Lavoro, della Fondazione Institut Agricole Régional498 e della Fondazione per la Formazione Professionale turistica499. 498 Il corpus legislativo che riguarda la fondazione è il seguente: Legge regionale 1° giugno 1982, n. 12, Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 30 giugno 1982, n. 7, modificata con: a) Legge regionale 24 agosto 1992, n. 53 Modificazione della legge regionale 1° giugno 1982, n. 12, concernente “Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima”; cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 1° settembre 1992, n. 38; b) Legge regionale 22 maggio 1997, n. 18 Modificazioni alla legge regionale 1° giugno 1982, n. 12 Promozione di una fondazione per la formazione professionale agricola e per la sperimentazione agricola e contributo regionale alla fondazione medesima, già modificata dalla legge regionale 24 agosto 1992, n. 53. Cfr B.U.R. VALLE D’AOSTA, 3 giugno 1997, n. 25. Nel 1951 l’Amministrazione Regionale affidava alla Casa Ospitaliera del Gran San Bernardo, tenuta dai Canonici Regolari della Congregazione Ospedaliera del Gran San Bernardo, l’incarico di fondare e gestire “L’école pratique d’agriculture”, per fornire conoscenze e competenze pratiche ai giovani destinati ad essere piccoli imprenditori agricoli. Nel tempo l’ècole cambia la struttura del percorso formativo, tanto da configurarsi prima come Centro di Formazione Professionale e poi come Istituto professionale: inizialmente, infatti, il percorso è articolato in tre semestri, poi diventa biennale e infine triennale nell’anno formativo 1960/1961. Dall’anno 1978/1979 l’ècole assume un piano formativo nuovamente biennale, con modificazioni tali da consentire la presentazione degli alunni, in qualità di privatisti, presso Istituti Professionali di Stato ad indirizzo agrario per il conseguimento di un diploma di qualifica. Nello stesso periodo, l’Amministrazione Regionale affidava all’école l’incarico di svolgere attività di ricerca e sperimentazione nel settore agronomico, economico, frutticolo, vitivinicolo e zootecnico. Nel 1982, con la legge regionale 1 giugno 1982 n. 12 il patrimonio umano e materiale dell’école pratique d’agriculture confluisce in una fondazione denominata Institut Agricole Régional. Scopo della fondazione, recita l’art. 2, “è lo svolgimento, in Valle d’Aosta, di attività di istruzione tecnico-professionale e di formazione professionale, nonché di ricerca e sperimentazione in campo agricolo, anche in riferimento alle esigenze di tutela ambientale e di difesa del territorio proprie dell’ambiente di montagna”. Progressivamente si avvertirà l’esigenza di prolungare il corso di studi (anno scolastico 1993/1994), con l’attivazione di un corso di studi quinquennale previsto per gli Istituti Professionali statali e con l’iter per il riconoscimento legale, terminato nel 1997, anno a partire dal quale gli alunni conseguono in sede il diploma di Agrotecnico. A decorrere dall’anno scolastico 2001/2002 all’Institut Agricole Régional è stato altresì riconosciuto lo status di scuola paritaria. La stretta connessione tra formazione, ricerca applicata e collegamento con le aziende agricole valdostane farà raggiungere all’Institut successi considerevoli. Nei campi di selezione sono allevati molti vitigni autoctoni valdostani, recuperati nelle vecchie vigne con un paziente lavoro di ricerca. Questo ha consentito la nascita di alcuni tra i grandi vini valdostani. La Fondazione era finanziata dalle rette degli allievi della Scuola, dai proventi delle attività produttive e dai contributi regionali, spesso anche di derivazione comunitaria. 499 Il corpus legislativo che riguarda la fondazione è il seguente: Legge regionale 28 giugno 1991, Tabella n. 43 - Sedi di Formazione nell’anno 1990-91 Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 381 382 Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 59. Gli stanziamenti più bassi e più alti sono sono quelli del 1991 (18,8 miliardi di lire) e del 1996 (28,6 miliardi); la media del periodo è pari a 23 miliardi e 65 milioni di lire. Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 81,7% superiore alla media italiana (77,1%). Nel 1995 la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 293.998 e quella rispetto alla forza lavoro è di 364.383. In entrambi i casi i valori sono superiori rispetto alla media italiana che si ferma a 93.951 lire e 99.534 lire. La spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari all’1,42%. Anche in questo caso superiore alla media nazionale che fa registrare l’1,39%. n. 20 Promozione di una fondazione per la formazione professionale turistica, cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 9 luglio 1991, n. 30; modificata da: a) Legge regionale 24 agosto 1992, n. 52 Modificazione della legge regionale 28 giugno 1991, n 20, concernente: “Promozione di una fondazione per la formazione professionale turistica”, cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 1 settembre 1992, n. 38; b) Legge regionale 14 gennaio 1994, n. 2 Finanziamenti di spesa nei diversi settori regionali di intervento e rideterminazione delle autorizzazioni di spesa di leggi regionali in vigore, assunti in coincidenza con l’approvazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 1994 e pluriennale 1994/1996 (Legge finanziaria per gli anni 1994/1996), cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 27 gennaio 1994, n. 6; c) Legge regionale 18 gennaio 2001, n. 4 Integrazioni alla legge regionale 28 giugno 1991, n. 20 (Promozione di una fondazione per la formazione professionale turistica), già modificata dalle leggi regionali 24 agosto 1992, n. 52 e 14 gennaio 1994, n. 2 cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, 30 gennaio 2001, n. 6); d) Legge regionale 28 aprile 2011, n. 7 Modificazioni alla legge regionale 28 giugno 1991, n. 20 (Promozione di una fondazione per la formazione professionale turistica) cfr. B.U.R. VALLE D’AOSTA, del 10 maggio 2011, n. 19. Nel 1956 ad Etroubles è stata fondata la prima “Scuola alberghiera”. Ospitava a regime convittuale, 25 giovani (solo maschi) per corsi della durata di sei mesi. Attraverso tappe successive le sedi divennero due, rispettivamente per maschi e femmine, sempre in strutture alberghiere in locazione e per periodi semestrali. Una svolta decisiva avvenne nell’anno 1973: la durata del percorso venne portata ad un primo periodo di otto mesi (da ottobre a maggio), seguito da un apprendistato obbligatorio di tre mesi da compiere esclusivamente in Valle d’Aosta. Successivamente i corsi divennero “modulari” tanto che, nell’arco del triennio, un giovane poteva frequentare tutte le specializzazioni (cucina, sala-bar, ricevimento). Nell’anno 1989 viene inaugurata una nuova sede a Châtillon, ideata per 80 allievi, sempre a regime convittuale. Nel 1991, viene istituita con la L. reg. n. 20 del 28/06/1991 la “Fondazione per la formazione professionale turistica” di cui fa parte integrante la “Scuola Alberghiera”. La Fondazione, con il supporto economico della Regione, ha per finalità la realizzazione di attività formative articolate in corsi di diverso livello e la gestione di percorsi di formazione e riqualificazione rivolte agli operatori del settore turistico. Nel 2001, con la Legge Regionale n. 4 del 18 gennaio 2001, alla Fondazione verrà anche riconosciuta la possibilità di svolgere attività di istruzione tecnico-professionale mediante l’istituzione e la gestione di corsi di studi quinquennali ad indirizzo turistico-alberghiero in armonia con la normativa vigente in materia. Nasce così l’Istituto Professionale Regionale Alberghiero, anch’esso a regime convittuale Sempre nel 2001, con L. reg. n. 7, la Fondazione diventerà di totale proprietà regionale. Nel 2001, con la Legge Regionale n. 4 del 18 gennaio 2001, alla Fondazione verrà anche riconosciuta la possibilità di svolgere attività di istruzione tecnico-professionale mediante l’istituzione e la gestione di corsi di studi quinquennali ad indirizzo turistico-alberghiero in armonia con la normativa vigente in materia. Nasce così l’Istituto Professionale Regionale Alberghiero, anch’esso a regime convittuale. Sempre nel 2001, con L. reg. n. 7, la Fondazione diventerà di totale proprietà regionale. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 382 383 In una ipotetica classifica regionale rispetto a questi tre valori la Valle d’Aosta si pone nella parte alta, rispettivamente al secondo posto per la spesa per abitante, al terzo per quella rispetto alla forza lavoro, al tredicesimo per la spesa del settore rispetto al totale della spesa regionale. Grafico n. 59 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 383 384 8.3. Regione Piemonte Le connotazioni generali del Sistema formativo piemontese degli Anni ’80500, in larga misura, sono rintracciabili anche nel decennio successivo: assetto organizzativo strutturato, peso consistente degli Enti storici, distribuzione geografica dei CFP abbastanza correlata alla struttura e alle vocazioni produttive locali, una cultura e una prassi della valutazione consolidati501. L’evento più rilevante degli Anni ’90 è l’adozione di una nuova Legge organica regionale, che sostituisce quella del 1980. Infatti, nel 1995, il Consiglio approva la L. reg. n. 63 Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale, che subirà numerose modifiche nel corso degli anni; modifiche che non incideranno, però, nella struttura portante del provvedimento502. Le caratteristiche della nuova normativa possono essere rintracciate: – sotto un profilo formale, nella declaratoria dei criteri-valori adottati per la programmazione- gestione del Sistema (organicità, progettualità, delega, flessibilità, continuità, concertazione, pluralismo, integrazione); – sotto un profilo sostanziale, nella perimetrazione delle competenze (tra Regione e Province), e nella promozione di interazioni e collaborazioni tra soggetti istituzionali (mediante intese, accordi di programma e convenzioni quadro con il 500 Cfr. vol. II, p. 245. 501 I presidenti della giunta regionale, dal 1970 al 1999, erano eletti dal consiglio regionale. In seguito alla Riforma del 1999, l’elezione del Presidente della Regione avviene per suffragio universale e diretto. L’elenco dei Presidenti vede: a) per la V Legislatura: Gian Paolo Brizio (DC) guida dal 25 luglio 1990 al 22 febbraio1994 un pentapartito (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI; assessore alla Formazione Professionale il DC Cerchio). Gli succede Sergio Marchisio (PLI) che il 22 febbraio viene eletto Presidente, ma si dimette subito perché la sua Giunta non ottiene la fiducia. Ritorna Brizio, dal 25 febbraio 1994 al 7 giugno 1994 alla guida di “un governo tecnico e istituzionale” e dal 7 giugno 1994 al 8 marzo1995 un governo appoggiato da DC, PCI-PDS, Socialisti, Verdi, Indipendenti socialisti, Pensionati, Laburisti, Antiproibizionisti (Assessore con delega alla Formazione Professionale il PCI-DS Luciano Marengo); per la VI legislatura Enzo Ghigo (F. I. dal 23 aprile 1995- 15 aprile 2000 a capo di una Giunta di Centrodestra). 502 Legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale, cfr. B.U. 19 aprile 1995, suppl. al n. 16; modificata da: a) Legge regionale n. 88 del 19 dicembre 1995 Proroga dell’entrata in vigore di alcune norme della legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’ cfr. B.U. 27 Dicembre 1995, n. 52; b) Legge regionale n. 21 del 30 aprile 1996 Modificazione dell’articolo 22 della legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’; cfr. B.U. 08 Maggio 1996, n. 19; c) Legge regionale n. 36 del 3 luglio 1996 Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’ cfr. B.U. 10 Luglio 1996, n. 28; d) Legge regionale n. 34 del 17 giugno 1997 Modifiche alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 (Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale) cfr. B.U. 25 Giugno 1997, n. 25; d) Legge regionale n. 44 del 4 agosto 1997 Sostituzione dell’ articolo 25 bis della legge regionale 25 febbraio 1980, n. 8 (Disciplina delle attività di Formazione Professionale), richiamato in vigore dall’articolo 2 della legge regionale 3 luglio 1996, n. 36 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’) cfr. B.U. 13 Agosto 1997, n. 32. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 384 385 Ministero della Pubblica Istruzione e gli organi periferici da esso dipendenti o collegati) e tra soggetti funzionali (collaborazione e consorziamento tra le Agenzie formative); – nella rilevanza del tema della valutazione (a cui la Legge dedica l’intero titolo IV), per cui vengono previsti due soggetti e due documenti specifici: a) il Comitato guida per la qualità elabora un Piano regionale per la qualità (cfr. Fig. n. 80) che definisce requisiti e standard – di progetti, azioni, processi, strutture e operatori – sulla base dei quali si realizza la valutazione in tutte le sue fasi temporali: preventiva (con finalità di selezione-accertamento di prerequisiti), in corso di attuazione (con finalità di monitoraggio e vigilanza); successiva immediata (con finalità di verifica); successiva di medio periodo (con finalità di valutazione di impatto); b) il Nucleo regionale di valutazione verifica annualmente il raggiungimento degli obiettivi contenuti nel Piano regionale per la qualità e realizza un Rapporto triennale sullo stato del Sistema di Formazione e Orientamento professionale. Nell’ambito dell’attività di valutazione di qualità un ruolo centrale è rivestito dalla misurazione e valutazione dei risultati formativi e dalla loro certificazione. Il processo programmatorio si concretizza in due documenti: – il Programma triennale delle azioni di Formazione e Orientamento professionale, che indica gli obiettivi e la strategia dell’intervento regionale, nell’ambito delle indicazioni definite dall’Unione europea e dalle Autorità nazionali, e le ri- Figura n. 80 - Piani regionali per la qualità (L. reg. Piemonte n. 63/95 art. 11) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 385 386 sorse che si prevede di destinare, in base agli stanziamenti del bilancio pluriennale della Regione503; – le direttive annuali che determinano le modalità attuative del programma triennale (cfr. Prosp. n. 41). Sono approvate dalla Giunta Regionale su proposta del Segretariato per la formazione e l’orientamento professionale (presieduto dall’Assessore è composto dal responsabile del Settore Formazione Professionale della Regione e da esperti in rappresentanza delle associazioni dei datori di lavoro e delle organizzazioni dei lavoratori), una volta acquisito il parere delle Province tramite apposite conferenze di servizio. 503 Esso pertanto contiene: a) la stima dei fabbisogni di Formazione Professionale; b) gli obiettivi specifici da conseguire con riferimento alle peculiarità presenti nei diversi contesti territoriali e all’andamento dei diversi comparti economico-produttivi; c) gli orientamenti generali ai quali deve ispirarsi la programmazione didattica e i criteri per la formulazione dei progetti di formazione e di ricerca; d) gli indirizzi dell’attività di ricerca e sperimentazione; e) i criteri con i quali la Regione sostiene l’attività degli Enti gestori; f) i criteri di priorità per gli investimenti finalizzati allo sviluppo delle risorse professionali del sistema e all’adeguamento e allo sviluppo delle dotazioni tecnologiche dei Centri di Formazione Professionale e delle sedi formative; g) i criteri per la valutazione e certificazione delle azioni di formazione e orientamento professionale; h) i criteri per la ripartizione e l’impiego delle risorse finanziarie, comprensive dei fondi comunitari, nazionali e propri, in relazione agli obiettivi indicati; i) i criteri per la implementazione e gestione del sistema informativo regionale in materia di formazione e orientamento professionale. Il programma triennale indica anche le attività formative che, previste in leggi specifiche o direttamente connesse a politiche settoriali regionali, sono gestite dagli Assessorati titolari delle relative competenze. Figura n. 81 - Piano annuale (L. reg. Piemonte n. 63/95 art. 19) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 386 387 È un nuovo paradigma programmatorio quello proposto dalla L. reg. n. 637/95. Prima la sequenza prevedeva: Piano pluriennale (a carattere strategico), Proposta di attività (avanzata dai soggetti attuatori), valutazione “discrezionale” delle proposte e Piano Annuale (contiene l’elenco delle proposte accolte). Ora, invece, si articola in Piano pluriennale, Direttive, Bandi o Avvisi pubblici, Presentazione Progetti, Valutazione comparativa “obiettiva” delle Proposte. Nuovo paradigma anche nei rapporti tra Regione e soggetti delegati. Nella L. reg. n. 8/80 soggetti di delega erano i Consorzi dei Comuni, ora le Province. Nella Prospetto n. 41 - Struttura delle Direttive annuali storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 387 388 vecchia normativa l’oggetto delegato riguardava “le funzioni amministrative” (cioè funzioni amministrative strictu sensu e quelle attuative); in altri termine era “l’intero sistema formativo” ad essere delegato. Ora, invece, i rapporti sono definiti secondo schemi più complessi: spetta alla Regione la funzione di governo (che si esprime, soprattutto, nella definizione dei Programmi pluriennali e direttive annuali, dei criteri e delle modalità di attuazione del sistema di valutazione e monitoraggio, degli standard formativi e delle modalità di certificazione degli esiti formativi) e la funzione di vigilanza e controllo. La Provincia, invece, concorre a questa funzione di governo nel processo di programmazione (individuando i fabbisogni formativi e formulando proposte e pareri obbligatori sui Programmi triennali e sulle Direttive annuali); inoltre, si occupa dell’approvazione e vigilanza sui c.d. corsi liberi e del coordinamento delle azioni di orientamento professionale e scolastico in collaborazione con gli organi della Pubblica Istruzione. Per quanto riguarda la rilevazione dei fabbisogni professionali e formativi dal 1995 vige una convenzione tra l’Assessorato alla Formazione Professionale regionale e le Province; in base alla quale spetta alla Regione, mediante il Segretariato per la Formazione Professionale e l’orientamento professionale il ruolo di coordinamento. Tale coordinamento si espime nella definizione delle specifiche tecniche per rendere omogenei i criteri di raccolta delle informazioni effettuata dalle Province con proprie modalità. L’approccio metodologico adottato è quello del «modello Spin»504. E i Centri Regionali di Formazione Professionale? L’art. 15 della L. reg. n. 63/95 prevede: “La Regione promuove la costituzione di società consortili senza scopo di lucro composte in forma congiunta da Enti pubblici e soggetti privati a livello locale, cui affidare la gestione dei propri centri di Formazione Professionale”. E al personale di ruolo, che opera presso i Centri di Formazione Professionale, è assicurata la facoltà di opzione, tra la permanenza alle dipendenze della Regione ed il trasferimento alle dipendenze delle società consortili citate505. La titolarità dei Centri regionali rimane alla Regione fino alla costituzione delle società consortili o come stabilisce la L. reg. n. 36/96, non oltre il 31 agosto 1998506. 504 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1996, op. cit., p. 185. 505 “Il personale che opta per la permanenza alle dipendenze della Regione viene collocato in un ruolo organico ad esaurimento ed è assegnato funzionalmente alle società citate, fatti salvi i diritti alla mobilità interna e al trattamento giuridico, economico, previdenziale e pensionistico riconosciuti alla generalità dei dipendenti dell’Ente Regione. Il personale medesimo può altresì essere trasferito alle Province, in applicazione dell’articolo 10, comma 3. Il personale che opta per il trasferimento alle dipendenze delle societa’ consortili, continua a rimanere in servizio presso la Regione fino alla data del trasferimento conservando fino a tale data lo stato giuridico ed economico di dipendente regionale”. 506 Un’altra L. reg., la 13/98 Modifica alla legge regionale 13 aprile 1995, n. 63 ‘Disciplina delle attività di formazione e orientamento professionale’, come da ultimo modificata dalla legge regionale 4 agosto 1997, n. 44, (cfr. B.U. 27 Maggio 1998, n. 21), garantisce il completamento delle attività formative di durata biennale iniziate nell’anno formativo 1998/1999. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 388 389 A parte questa rilevantissima novità che sopprime la forma gestionale con cui avevano operato prima lo Stato, attraverso i suoi Enti nazionali (Enalc, Inali, Iniasa), e poi la Regione, la normativa della L. reg. n. 63/95 sui soggetti attuatori, o meglio sulle Agenzie formative, come le chiama, sostanzialmente non si discosta dalla L. n. 845/78. Le tipologie di soggetti sono quelle previste dalla Legge quadro: a) Enti pubblici che svolgano attività di Formazione Professionale; b) Enti senza fini di lucro che siano emanazione o delle organizzazioni democratiche e nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, del movimento cooperativo, o di associazioni con finalità statutarie formative e sociali; c) consorzi e società consortili con partecipazione pubblica, (che abbiamo precedentemente considerato); d) imprese e loro consorzi (cfr. Fig. n. 82). Ciò che c’è di singolare nella Legge piemontese e che non si trova in altre normative regionali è la dichiarazione dell’assoluta parità tra soggetti pubblici e soggetti privati: “Nessun ente pubblico o privato può vantare verso la Regione posizioni di privilegio o preferenza per l’attuazione della politica regionale di Formazione Professionale. Il principio del pluralismo, inteso come molteplicità dei soggetti attuatori e diversità di proposte formative è una connotazione essenziale del sistema di Formazione Professionale”. Ciò che determinerà la differenza e farà sì che sia preferito un soggetto, pubblico o privato, sarà la valutazione di ogni singola proposta riferita ad ogni singolo progetto formativo507. Nel corso del decennio progressivamente si arriva a modelli di valutazione per la selezione dei progetti formativi, fortemente strutturati508. Modelli diversi perché diverse sono le tipologie di progetto che possono riguardare: a) azioni formative per l’occupazione; b) azioni formative per specifiche occasioni di occupazione; c) azioni formative per occupati. Rientrano nella prima tipologia le azioni formative e orientative seguenti: – Corsi di Formazione Professionale finalizzati al mercato del lavoro. – Corsi pluriennali di I livello (post obbligo scolastico). – Percorsi integrati post qualifica con gli Istituti Professionali di Stato (terza area regionale di professionalizzazione). – Percorsi integrati post diploma con gli Istituti Tecnici di Stato (ITS) o con gli Istituti Professionali di Stato (IPS). 507 In applicazione della L. reg. 27/94, entro 60 giorni dalla data di presentazione, il Settore Formazione Professionale invia agli operatori che hanno presentato domanda, la comunicazione di avvio del relativo procedimento di istruttoria. La comunicazione indicherà l’ufficio responsabile del procedimento, le modalità di informazione e di visione degli atti connessi e i termini di presentazione di eventuali documenti integrativi e di conclusione del procedimento. 508 Regione Piemonte Direzione Formazione Professionale - Lavoro Direttiva annuale sulla Formazione Professionale finalizzata alla lotta contro la disoccupazione (Mercato del Lavoro) Anno Formativo 1998-99. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 389 390 Figura n. 82 - Agenzie formative (L. reg. Piemonte n. 63/95 art. 11) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 390 391 – Rientri Formativi con gli ITS. – Progetti sperimentali o di interesse regionale. – Corsi di Formazione Professionale permanente. Le azioni orientative509, legate a specifiche metodologie sono Orientamento Retravailler e orientamento che prevede l’utilizzo dello strumento Bilancio delle competenze510. Invece, rientrano nella seconda tipologia le azioni formative per disoccupati previste dall’asse 3 Lotta alla disoccupazione511 e all’asse 5b Promozione delle zone a economia rurale512 del FSE 1993-99. Rientrano nella terza tipologia le azioni formative513 per occupati previste da alcuni assi e sub-assi dell’Ob.2 Riconversione delle regioni gravemente colpite dal declino industriale 514, dell’Ob. 4 Adattamento delle competenze dei lavoratori e delle lavoratrici ai mutamenti industriali e all’evoluzione dei sistemi di produzione515 e dell’Ob. 5b516, destinate a lavoratori impie- 509 La durata di ognuna delle azioni di orientamento non dovrà essere inferiore a 20 ore o superiore a 100 ore. Le azioni di orientamento dovranno essere strettamente collegate ad interventi formativi e/o di stage della durata di almeno tre mesi. 510 Il bilancio delle competenze è un percorso finalizzato alla migliore conoscenza e valorizzazione delle proprie risorse. Consente all’individuo di: conoscere e diventare consapevole delle proprie risorse personali per potersi orientare e gestire nella proprie scelte professionali; aumentare la fiducia in se stesso e potenziare l’autostima; narrare la propria storia per mettere in luce esperienze di vita, competenze acquisite, capacità inespresse, sogni da realizzare e aspirazioni spesso sconosciute allo stesso soggetto. 511 Asse che prevede azioni destinate a: a) disoccupati adulti sopra i 25 anni con titolo di studio inadeguato, b) disoccupati giovani, sotto i 32 anni già assunti con CFL, sotto i 25 anni con qualifica o diploma, sotto i 27 anni laureati c) donne disoccupate: senza titolo di studio, che intendendono reinserirsi nel mercato del lavoro, con titolo di studio inadeguato. 512 Asse che prevede azioni destinate a disoccupati del settore agricolo, artigianato e PMI, turistico, ambientale. 513 Queste azioni formative sono realizzabili con 2 modalità : a) mediante un corso di formazione strutturato per gruppi di allievi con caratteristiche omogenee, comprensivo di progetto didattico ed operativo, indicazione preventiva di strutture e strumenti, sistema di verifica dei risultati; tale modalità è denominata “corso strutturato”; b) mediante un percorso formativo destrutturato, a carattere individuale, comprensivo di progetto di massima, previsione temporale ed organizzativa di esecuzione, sistema di rilevazione in itinere dello sviluppo del percorso; modalità denominata “percorso individuale”. 514 Asse 1 - “Sviluppo e rafforzamento del tessuto delle piccole e medie imprese”: Subasse 1 - “Formazione per occupati”; Asse 2 - “Turismo”: Subasse 1 - “Formazione per occupati”; Asse 3 - “Promozione e diffusione dell’innovazione tecnologica nelle P.M.I.”; Subasse 1 - “Formazione per occupati” ;Asse 4 - “Ambiente”: Subasse 1 - “Formazione per occupati”;Asse 7 - “Valorizzazione delle risorse umane” Subasse 1 - “Riqualificazione della grande impresa”; Subasse 2 - “Riqualificazione degli Enti pubblici economici”. 515 Asse 1 - “Anticipazione e attività di supporto alla programmazione”: Subasse 1 - “Interventi formativi”;Asse 2 - “Interventi di accompagnamento / adeguamento delle risorse umane in relazione ai mutamenti strutturali del sistema economico - produttivo”: Subasse 1 - “Interventi in aree di occupazione critica”; Subasse 2 - “Sviluppo delle competenze dei lavoratori e dei responsabili delle PMI”. 516 Asse 1 - “Formazione Professionale nel settore agricolo”: Subasse 2 - “Formazione per occupati”; Asse 2 - “Formazione Professionale nel settore artigiano e della PMI”: Subasse 2 - “Formazione per occupati delle piccole e medie imprese”; Asse 3 - “Formazione Professionale nel settore turistico”: Subasse 2 - “Formazione per occupati”; Asse 4 - “Formazione Professionale nel settore ambientale”: Subasse 2 - “Formazione per occupati”. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 391 392 gati in ruoli esecutivi e/o privi di livelli di qualificazione di base, lavoratori impiegati in ruoli di responsabilità e/o funzioni specialistiche, quadri e dirigenti, agenti517, titolari e amministratori di piccole e medie imprese, inclusi i coadiuvanti, operatori di organismi di formazione, funzionari e operatori di organismi rappresentativi delle parti sociali, lavoratori posti in cassa integrazione guadagni ordinaria. Torniamo ai modelli di valutazione per la scelta dei progetti da finanziare e passiamo ad esaminare quello utilizzato dalla Regione Piemonte per la valutazione ex ante dei progetti relativi alla prima delle tre tipologie considerate: azioni formative per l’occupazione (cfr. Prosp. n. 42). I criteri di valutazione sono raggruppati in cinque classi: – due classi riguardano il soggetto che propone l’azione formativa; il soggetto verrà giudicato sulle attività pregresse (max 270 punti) relativamente agli esiti occupazionali conseguiti, alla capacità di realizzazione dimostrata e alla mancanza di irregolarità amministrativo-contabili e sull’adeguatezza della struttura e delle dotazioni (180 punti); – tre classi riguardano il progetto, che viene valutato per la congruenza (260 punti) tra profilo professionale e contenuti, strumenti e modalità attuative, per la rispondenza (200 punti) ai fabbisogni formativi rilevati dalla Regione o segnalati dalle aziende o connessi a delle priorità predefinite, per la innovazione nelle strategie e metodologie formative (90 punti). 517 Sotto la dizione “Agenti” si intendono compresi i lavoratori sotto elencati, nei confronti dei quali l’operatore proponente abbia stipulato un contratto nelle forme previste dalle rispettive norme legislative di riferimento: agenti di commercio e/o rappresentanti, agenti di affari in mediazione, agenti di assicurazione e broker, agenti di prodotti finanziari. Prospetto n. 42 - Quadro sinottico dei criteri per la valutazione finalizzata alla selezione dei progetti formativi (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 392 393 518 Il punteggio di questo criterio (G1) sarà azzerato in presenza di corsi che non richiedono l’utilizzo di strumenti e il suo valore sarà ripartito percentualmente fra i criteri F e H. I punteggi riferiti ai criteri sono assegnati mediante elaborazione informatizzata di dati certificati e già in possesso dell’Amministrazione regionale; i punteggi riferiti ai restanti criteri sono assegnati a seguito di esame di merito. Non sono in ogni caso da considerarsi finanziabili attività formative che abbiano ottenuto un punteggio inferiore a 400 punti. Lo schema di valutazione esaminato costituisce una sorta di modello paradigmatico; nel senso che i modelli utilizzati per le altre tipologie rappresentano delle declinazioni, degli adattamenti, delle contestualizzazioni di questo modello base. La Regione ha provveduto ad una sistematica opera di standardizzazione dei percorsi formativi al termine dei quali si possono conseguire 6 tipi di certificazione: (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 393 394 frequenza, frequenza con profitto, qualifica, specializzazione, abilitazione professionale, patente di mestiere. Le direttive del 1997-98 contengono un primo elenco di qualifiche e specializzazioni, distribuite in 6 settori: industria, artigianato, terziario, socio-sanitario e pubblica amministrazione, turistico-alberghiero, agricoltura. Ciascun settore si articola in comparti, all’interno dei quali si collocano le denominazioni e la durata oraria delle qualifiche e delle specializzazioni, che a loro volta possono avere uno o più indirizzi (cfr. Prosp. n. 43). Le Direttive contengono anche: – l’elenco delle qualifiche/specializzazioni e relativi indirizzi ancora in sperimentazione. Le qualifiche/specializzazioni, in fase di valutazione, entreranno a far parte del primo elenco, una volta validate519; 519 Settore Industria: A) comparto metalmeccanico manutentore stampi per materie plastiche, operatore di saldocarpenteria leggera (1100 qu), tecnico sicurezza e qualità del prodotto (1000 sp) operatore di saldatura/sistemi mig-mag, carpenteria, elettrodo rivestito, tig, disegnatore meccanico/01 con sistemi cad, particolarista, meccanico generico (1000 - 1200 qu) operatore collaudo e controllo (600 qu), tecnico di stampi per lamiere (600 sp); B) comparto elettromeccanico addetto manutenzione impianti elettrici industriali e plc (800 qu) impianti elettrici civili, cablatore impianti industriali (1200 qu), montatore cablatore di impianti frigoriferi (600 qu) operatore su impianti elettrici L. 46/90, installatore (2400 qu)/impianti telefonici, tecnico installatore (1200 sp) impianti di automazione civile, impianti telefonici; C) comparto elettronico tecnico sistemi elettronici, tecnico trattamento segnali analogico digitali, tecnico sistemi radiomobili (500 sp)/periferiche hardware e firmware, operatore sistemi di telecomunicazione (600 SP); D) comparto abbigliamento tecnico dell’abbigliamento (800 - 1200 sp)/modellista cad, modellistica industriale, costumistica teatrale, operatore delle confezioni (600 - 1200 qu)/riparatore, cucitore, biancheria intima, confezioni per bambini; E) comparto grafico: tecnico di editoria per la stampa (500 sp), tecnico di produzione editoria multimediale (1000 sp); F) comparto informatica industriale: tecnico progettista con sistemi cad (1200 sp), edile-architettonico, industrial design, stampi; G) comparto automazione industriale: tecnico progettista di impianti automatici (1200 sp), operatore impianti automatici (300 sp) per linee di produzione e controllo di qualita, per magazzini automatizzati, operatore meccanico (400 - 600 sp)/con sistemi cad-cat, con sistemi cad-cam, sistemi flessibili di produzione; H) comparto edilizio costruzioni: muratore strutturista (2400 qu), operatore di cantiere, tecnico d’impresa edile, tecnico procedure edilizie italiane e francesi, costruttore installatore di componenti architettonici (1200 qu)/serramenti in alluminio; I) comparto alimentare: tecnico lattiero caseario (1200 sp); L) comparto energetico tecnico ambiente energia e sicurezza (1000 sp)/auditing e normative, cicli produttivi e riutilizzo materiali; M) comparto collaudo e controllo qualità: tecnico del sistema di qualità (1000 sp), tecnico collaudo e controllo qualità (1100 sp), tecnico della programmazione e del controllo di qualità (1000 sp); N) comparto abbigliamento: operatore moda (1200 sp), stilista (500 sp); O) comparto edilizio costruzioni: restauratore edile, muratore strutturista (2400 qu), operaio edile (1200 qu), operatore del colore e arredo urbano (1200 qu); P) comparto legno e affini: addetto manutenzione manufatti lignei antichi (2400 qu), operatore manutenzione manufatti lignei antichi (800 sp), falegname (2400 qu)/ebanista, ebanista intagliatore, mobiliere, restauratore arredo ligneo; P) comparto alimentare: pasticciere (1000 qu); Q) comparto artistico e tipico: tecnico orologiaio (1200 qu)/riparatore, tappezziere in stoffa; R) comparto servizi: manutentore generico civile (1200 qu), installatore manutentore (1200 qu)/impianti idraulici civili, impianti di refrigerazione, montatore manutentore di sistemi videotecnici (1200 sp) manutentore di elettronica automobilistica (1200 sp). Settore Terziario: A) comparto servizi amministrativi: tecnico gestione commesse aziendali, operatore su macchine/elettroniche e computerizzate (600 qu), tecnico contabile analista e fiscale (600 sp), tecnico gestione aziendale (600 sp)/contabilità, bilancio e controllo, commercio internazionale, creazione d’impresa, impresa cooperativa, sistemi informativi, analisi e intermediazione finanziaria, contabilità generale, ufficio commerciale, marketing e vendite, tecnico gestione dell’impresa edile (400 sp), operatore settore assicurativo (600 sp)/produttore; B) comstoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 394 395 – l’elenco delle denominazioni per cui è previsto l’attestato di frequenza520; parto servizi di informatica gestionale: tecnico di produzione elettronica testi e stenotipia michela (1200 sp), operatore d’ufficio automatizzato (1000 - 1200 qu), tecnico gestione aziendale informatizzata (1000 sp)/(la qualifica è standard, i seguenti indirizzi non sono standard contabilità industriale, analisi finanziaria, pianificazione e controllo, marketing, agenzia viaggi, tecnico linguaggio di programmazione (300 sp) 01 c/cobol, pascal, progettista software (2400 sp)/applicativi gestionali, di sistema, su sistemi telematici, applicativi, interfacce grafiche, sistemi distribuiti, sistemi informativi aziendali, di sistema ed applicativi distribuiti, elaborazione interfacce grafiche bi e tridimensionali; C) comparto servizi ambientali tecnico certificazione qualità agroalimentare (1200 sp), tecnico normative ambientali (400 sp), tecnico in sistemi informativi territoriali (1000 sp); D) comparto servizi commerciali: tecnico marketing e comunicazione (1000 sp) operatore marketing e comunicazione (600 qu), tecnico sviluppo relazioni commerciali internazionali (1000 sp), tecnico vendita mercato estero (1000 sp)/area francese, area inglese, segretario direzione commerciale (600 sp), redattore tecnico professionale (500 sp), tecnico pubbliche relazioni e ufficio stampa (1000 sp) arrangiamento e programmazione musicale; F) comparto della cultura, comunicazione, informazione: tecnico organizzazione meetings e congressi (1000 sp); G) comparto servizi grafici e multimediale: tecnico di computer graphics (1000 sp)/disegno e animazione, tecnico di archiviazione multimediale (900 sp). Settore Socio Sanitario e Pubblica Amministrazione: A) comparto servizi amministrativi: esperto in diritto nella pubblica amministrazione informatizzata (2400 sp), operatore pubblica amministrazione (600 sp)/contabilità stato ed enti locali; B) comparto attività educative e culturali: tecnico per il rilievo grafico e fotografico dei beni (800 sp)/architettonici, artistici, storici, archeologici; C) comparto attività di erogazione servizi sanitari: meccanici ortopedici ernisti (1500 qu), tecnico delle apparecchiature biomediche (1400 sp); D) comparto attività di erogazione di servizi socioassistenziali: animatore professionale (2400 sp) D.C.R. 31/7/95 n. 17 - educatore prima infanzia art. 17 L.r. 3/73; art. 1 L.r. 16/80 e D.G.R. conseguenti. Settore Turistico Alberghiero: A) comparto attività turistiche: tecnico di agenzia viaggi (1200 sp); B) comparto servizi ristorazione: tecnico gestione ristorazione collettiva (800 sp). Settore Agricoltura: A) comparto colture e giardinaggio: operatore di giardinaggio (500 qu)/floricoltura, ortocoltura, frutticoltura, operatore agricolo (450-600 qu)/ortofrutticoltura biologica, vivaista, vivaista (800 sp), addetto garden center (800 sp), operatore addetto alla sistemazione e manutenzione delle aree verdi (600 qu); B) comparto agroalimentare: tecnico gestione sistemi agricoli integrati (900 sp), operatore controllo di qualità (600 sp)/processi agroindustriali, ambiente e alimenti; C) comparto forestazione: operatore valorizzazione risorse territoriali (600 sp)/agricole collinari, forestali e montane. Settore Commercio: A) comparto piccola distribuzione: commesso addetto alle vendite (1200 qu)/vetrinista, addetto vendite (400 - 600 qu)/piccola distribuzione; B) comparto grande distribuzione: addetto vendite (400 - 600 qu)/grande distribuzione, operatore distribuzione commerciale (400 qu), aiuto banconiere (600 qu)/spaccio carne. 520 Preparazione al lavoro/01 pasticceria, 02 gelateria, 03 acconciatura, 04 tintostireria, 05 vendita, 06 servizi di agenzia, 07 elettromeccanica , 08 meccanica, 09 serramentistica, 10 macchine tessili, 11 restauro in legno, 12 lavorazione legno, 13 florovivaismo, 14 modellistica in legno, 15 motoristica, 16 carrozzeria, 17 riparazioni auto, 18 servizi alberghieri, 19 maglieria, 20 abbigliamento, 21 lattoniere, 22 gommista, 23 elettrauto, 24 riparazioni auto cicli motocicli, 25 tappezzeria, 26 carpenteria, 27 manutenzione civile, 28 installazione impianti elettrici, 29 banco bar e tavola fredda, 30 serigrafia - tipografia, 31 idraulica, 32 avicoltura, 33 decorazione ambienti, 34 servizi domestici, 35 macchine utensili, 36 panificazione, 37 manutenzione elettroidraulica, 38 pulizie industriali, 39 montaggio componenti, 40 servizi alla distribuzione, 42 confezioni, 43 servizi di ristorazione orientamento retravailler; conduzione di gru/primo modulo; restauro edile/primo modulo; operai edili in c.f.l.; gestione d’ufficio amministrativo di impresa edile, paghe e contributi, posa in opera piastrelle ceramica/primo modulo, alto perfezionamento musicale/01 viola, 02 violoncello, 03 contrabbasso, 04 pianoforte, 05 violino, 06 corno, 07 tromba, 08 percussioni, 09 flauto, 10 fagotto, 11 clarinetto, 12 oboe, introduzione al cad/3d/cam, 2d, conduzione/01 macchine utensili a c.n., 02 di robot, 03 di sistemi cam, 04 di impianti automatizzati; automazione di base; gestione della produzione; elementi operativi/01 alle m.u., 02 alle m.u. a c.n., 03 di officina meccanica, 04 di p.l.c., 05 linee di produzione; fondamenti di costruzioni meccaniche/01 serramentistica, 02 carpenteria, 03 saldatura, 04 montaggio macchine, 05 saldatura tubi; meccanica di base; fondamenti di manutenzione; elementi di costruzione e manutenzione arredo storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 395 396 – l’elenco dei moduli standard521; – l’elenco delle denominazioni dei corsi di preparazione alle patenti di mestiere522; – l’elenco delle attività di formazione per portatori di handicap (lieve medio e medio grave)523 e per l’integrazione di portatori di handicap lieve e medio-lieve nei corsi ordinari524. urbano; metodologia controllo qualità meccanica; strumenti per la qualità aziendale; gestione qualità aziendale; elementi lavorazione legno; installazione impianti/01 elettrici civili, 02 telefonici interni; aggiornamento tecniche lavorazione carni suine; saldatura/01 elettrica, 02 mig – mag, 03 tig; controlli non distruttivi; fondamenti degli impianti elettrici/01 civili, 02 industriali; manutenzione degli impianti elettrici/01 civili, 02 industriali, manutenzione civile/01 impianti idraulici, termoidraulica, elettronica di base (componentistica relativa), aggiornamento tecnologico/01 settore tessile, 02 controllo e garanzia della qualità, 03 elettronica aggiornamento nel ruolo/01 assistente capo reparto,confezioni/01 modellismo su computer, tecniche di editoria elettronica per la stampa, tecnologie cad/01 elettrico, 02 edile, 03 modellazione solida e rendering, 05 meccanico, 06 architettonico, 07 2d; tecnologie meccaniche/ 01 con sistemi cad-cat, 02 con sistemi cad-cam, 04 con sistemi a c.n.; presentazione dinamica di modelli/01 3d studio; progettazione meccanica/01 con sistemi cad; manutenzione impianti/01 automatizzati, 02 p.l.c.; tecnologie per sistemi con p.l.c.; tecnologie per impianti elettropneumatici; introduzione al sistema di qualità/01 piccola media impresa, programmazione/01 di m.u. a c.n., 02 software p.l.c.; elettronica auto; manutenzione di bruciatori; taglio cucito/01 costumista tradizionale; tappezzeria mobili antichi; schedatura tessili antichi; manutenzione impianti ascensori e montacarichi; montaggio e riparazione di biciclette; aggiornamento sul restauro di orologeria storica; tecniche settore assicurativo/ 01 produzione, lingua inglese/01 livello base. 02 livello avanzato, 03 tecnico; aggiornamento / 01amministrativo, 02 tecnico commerciale, 03 diritto del lavoro, 04 linguistico, 05 contabilità, 06 bilancio, 07 gestione sistemi multitastiera reti locali, 10 macchine tessili, tecniche certificazione di prodotto, gestione cooperative; sviluppo competenze aziendali/01 analisi di bilancio, 02 contabilità industriale, 03 controllo del budget, 04 controllo di gestione, 05 contabilità azienda artigiana, 06 gestione, elementi operativi su p.c.; master pianificazione territoriale e mercato immobiliare; elementi di informatica/01 automazione d’ufficio, 02 elaborazione testi, utilizzo di pacchetti applicativi su p.c./01 editoria da tavolo, 02 automazione d’ufficio, 03 contabilità, 04 ambiente windows, 05 controllo di gestione, 06 progettazione e design d’interni, 07 elaborazione grafica, 08 elaborazione dati, 09 archiviazione dati, gestione trattamento rifiuti aziendali; master in ingegneria ambientale; linguaggi di programmazione/ 01 c, 02 clipper, 03 ambiente windows, 04 visual basic, 05 object oriented; gestione e organizzazione d’ufficio con sistemi informatici, aggiornamento professionale per danzatori/01 classico, 02 contemporaneo, 03 jazz; formazione per attori; cucina per mense scolastiche; manutenzione macchine agricole; giardinaggio e floricoltura; autocertificazione c.e. macchine industriali. 521 Utilizzo di pacchetti applicativi su p.c. / fogli elettronici (150 ore), elaborazione testi (200 ore), data base (150 / 200 ore), fatturazione (150 ore) 522 Saldatore patentato/01 su lamiera (UNI 4634), 02 su tubi (UNI 4633), 04 su tubi (UNI 6918), 05 su tubi (OSSIGAS - UNI 5770/66), 06 su tubi INOX (TIG - UNI 6917/71), 07 su tubi (TIG - UNI 6548/69), 08 su lamiera (MAG - UNI 7710) 10 EN 287; conduttore generatori di vapore/II grado, I grado; conduttore impianti termici. 523 Formazione specifica rivolta a soli portatori di handicap lieve, medio e medio-grave: corso per disabili con scuola di stato (800 Qualifica o Frequenza con profitto), propedeutico alla Formazione Professionale (500 - 800 Frequenza), prelavorativo (2400 Frequenza o Frequenza con profitto) formazione al lavoro (1200 - 2400 Frequenza con profitto) avvio al lavoro (800 - 1200 Frequenza con profitto). Le tre “Frequenze con profitto” prevedono i seguenti indirizzi: 01 Aiutante idraulico, 02 Aiuto magazziniere impiantista, 03 Saldatore al banco, 04 Aiutante meccanico d’auto, 05 Aiutante di segreteria, 06 Aiuto magazziniere con mansioni operative e contabili, 07 Aiutante centro stampa, 08 Aiuto operatore di macchine utensili, 09 Aiutante manutentore di aree verdi, 10 Cucitore, 11 Ausiliario della confezione, 12 Aiutante servizi bar e ristorazione, 13 Aiutante servizi di pulizia, 14 Addetto ai servizi preparatori alla vendita. 524 Tali allievi possono conseguire la qualifica relativa al corso in cui sono inseriti o in subordine storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 396 397 Nello scorrere le innumerevoli denominazioni si ha l’idea della grande pervasività della FP. Specularmente vi ritroviamo tutte le tipologie di operazioni professionali del sistema produttivo. La Tabella 44 propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (1995-96). Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macro settore e comparto professionale. Nel 1995-96 sono stati realizzati 181 corsi in più rispetto al 1990-91. Forti le variazioni tra macro settori: l’agricoltura passa da 467 corsi a 33, facendo registrare un decremento di 434 interventi, mentre l’industria aumenta di 225 unità e il terziario di 390. Questa variazioni determinano anche un forte cambiamento nel peso di ciascun comparto: il settore agricolo passa dal 36,6% ad un irrilevante 0,2; l’industria e l’artigianato aumentano di 10 punti, mentre il terziario addirittura di oltre 23 punti percentuali. I cambiamenti tra macrosettori si riflettono anche nel cambiamento dei rapporti tra comparti, ma con evidenze minori: nei due anni formativi presi in considerazioni, infatti, se non si tiene conto dell’agricoltura, le prime quattro posizioni sono sempre mantenute dagli stessi comparti. Nell’ordine: meccanica e metallurgia, elettricità ed elettronica, lavori d’ufficio e informatica. Insieme nel 1990-91 erano 718 e rappresentavano il 55% dell’intero volume corsale, nel 1995-96 diventano 955 pari al 65% dell’intero volume corsuale programmato. Tra gli altri comparti gli aumenti più significativi sono registrati dall’artigianato artistico (da 9 a 75) dai servizi socio-educativi (da 4 a 68) da acconciatura estetica (da 0 a 41) dal turismo (da 3 a 44) dall’edilizia (da 3 a 41). Il comparto che ha fatto registrare il maggiore aumento è stato quello dei lavori d’ufficio; aumento in valori assoluti di 137 corsi, in valori relativi del 189%. Comunque anche gli altri comparti nell’a.f. 1995-96 fanno registrare aumenti, anche se contenuti. Infatti, tutti aumentano, ad esclusione dell’agricoltura. Per quanto riguarda, invece, la variabile “tipologia formativa” gli aumenti riguardano sia il primo (+29) che il secondo livello (+33), ma soprattutto le attività destinate agli adulti (+ 595). L’unico saldo negativo riguarda i corsi speciali che diminuiscono nel 1995-96 rispetto al 1990-91 di 472 unità. una delle frequenze con profitto previste dal corso stesso, come da elenco seguente: A) Denominazione qualifica: Impiantista termoidraulico, Costruttore di carpenteria e saldatura, Costruttore al banco con ausilio di M.U., costruttore su M.U., Meccanico d’auto, Addetto al settore grafico, Addetto lavori d’ufficio ind. Automazione d’ufficio. Addetto lavori d’ufficio, Giardiniere, Operatore dell’abbigliamento ind. Confezioni artigianali, Operatore dell’abbigliamento ind. Confezioni industriali, Addetto sala/bar; B) Denominazione frequenza con profitto Aiutante idraulico, Aiuto magazziniere impiantista, Saldatore al banco, Saldatore al banco, Aiuto operatore su macchine utensili, Aiuto operatore su macchine utensili, Aiutante meccanico d’auto Aiutante centro stampa, Aiutante di segreteria, Aiuto magazziniere con mansioni operative contabili, Aiutante manutentore di aree verdi, Cucitore, Ausiliario della confezione, Aiutante servizi bar e ristorazione. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.43 Pagina 397 398 Tabella n. 44 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e 1995-96) * Per n. 1 corso non è desumibile dai Piani la tipologia formativa Prospetto n. 43 - Quadro delle qualifiche/specializzazioni e relativi indirizzi (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.44 Pagina 398 399 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.44 Pagina 399 400 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.44 Pagina 400 401 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.44 Pagina 401 402 A seguito di questi spostamenti in valori assoluti, il peso delle singole tipologie si modifica come da Grafico 61. Mentre il primo e il secondo livello mostrano delle variazioni contenute (–3,5% I livello, +0,5% II livello) la Formazione per adulti fa un balzo impressionante di circa 40 punti a detrimento, soprattutto, dei corsi speciali che invece regrediscono di circa 37 punti. Tra i 1476 corsi dell’a.f. 1995-96 occorre menzionare anche 13 corsi programmati per varie qualifiche e nei diversi comparti pro- (Segue) Figura n. 83 - Certificazioni rilasciate al termine degli interventi formativi storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.44 Pagina 402 403 duttivi da realizzarsi in collaborazione tra Scuola e Formazione Professionale. Secondo quanto stabilito dall’intesa del luglio 1992 tra Direzione tecnica del MPI e Regione Piemonte, questi corsi sono destinati a persone adulte, occupate o disoccupate, prive di qualificazione o con bassi livelli di scolarità, a forte rischio emarginazione a causa delle nuove dinamiche del mercato del lavoro. L’integrazione con il sistema scolastico prevede la possibilità, al termine del biennio di formazione, sia di ottenere la qualifica di primo livello, sia di proseguire gli studi inserendosi al terzo anno degli istituti tecnici. Tali corsi sono caratterizzati da contenuti innovativi, con interventi di orientamento e di rimotivazione, riconoscimento di crediti maturati in esperienze formative o lavorative, flessibilità organizzativa nella creazione di moduli525. La distribuzione dei corsi per Provincia riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna; una parziale discrepanza tra la Provincia di Torino, che da sola conta la metà della popolazione regionale e il numero dei corsi assegnati (poco più del 40%). 525 Cfr. Rapporto Isfol. Grafico n. 60 - Variazione del peso delle tipologie formative Grafico n. 61 - Distribuzione corsi e allievi per Provincia storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 403 404 I 32.440 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,08% della popolazione attiva (14-60); i 12.907 allievi della prima qualificazione rappresentano l’8,7% della leva dei 14-16enni526. Il numero dei CFP (93) sta ad indicare un livello di strutturazione del settore; il rapporto tra CFP e sedi occasionali (18 a 82%), invece ci consegna l’immagine di una Formazione Professionale regionale molto delocalizzata nella struttura. Il 12% dei CFP sono regionali; del restante 88% tre su quattro sono del privato sociale. Un privato soviale che può contare su tutti gli Enti maggiori su scala nazionale, sia di estrazione sindacale che di ispirazione cristiana. L’Ente con il maggior 526 La popolazione attiva ammontava a 2.839.209, i 14-16enni a 159.372. Cfr. Geo-demoista.it, Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio -Anni 1982-1991. Tabella n. 45 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) Grafico n. 62 - Spesa per la Formazione Professionale secondo i bilanci regionali di previsione (di competenza; aa. 1990-1997) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 404 405 numero di CFP è l’ENAIP delle ACLI con 13 sedi; seguono il CIOFS delle Salesiane con 11, il CNOS-FAP dei Salesiani e lo IAL della CISL con 7. Per quanto riguarda il volume di corsi assegnato la classifica precedente subisce delle variazioni. L’ENAIP è sempre l’Ente più presente con 144 corsi, seguito dallo IAL con 115, il CNOS-FAP con 59 e il CIOFS con 54. Considerevole la presenza della Casa di Carità Arti e Mestieri che pur disponendo di sole tre sedi527 realizza un volume corsule elevato (73 corsi assegnati) e, anche se in minor misura, dell’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo (2 CFP con 19 corsi). 527 Negli Anni ’90 l’Ente si espanderà anche nelle sedi di Torino “Città dei Ragazzi” (1995), di Ivrea e Novi Ligure (1997) e di Susa (1998), oltre quelle di Torino, Corso Brin e Grugliasco. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 405 406 528 Che verrà sostituita, almeno per quanto riguarda la Formazione Professionale, con la L. reg. n. 28 dell’11 maggio 2009 Sistema educativo regionale di istruzione, formazione e orientamento, B.U.R. LIGURIA, n. 8 del 20 maggio 2009. 529 Composto dall’assessore regionale e dagli assessori provinciali competenti, da rappresentanti della Commissione regionale per l’impiego e da esperti designati dal Consiglio. 530 Cfr. art. 18, “Piani annuali di formazione professionale 1. Sulla base del programma triennale e dei suoi eventuali aggiornamenti […] la provincia elabora e approva sentite preventivamente le organizzazioni rappresentative degli imprenditori e dei lavoratori il piano annuale di formazione professionale. 2. Il piano contiene: a) l’elenco dei corsi con l’indicazione di quelli al termine dei quali viene rilasciato l’attestato di qualifica; b) la definizione dei corsi e la durata dei cicli formativi; c) l’indicazione per i corsi che proseguono oltre l’esercizio finanziario dei fondi necessari alla prosecuzione distinguendo quelli che fanno carico al bilancio in corso da quelli che devono trovare allocazione nel bilancio successivo; d) i programmi di attività formative svolte in collaborazione con la scuola pubblica; e) i programmi per l’aggiornamento e la riqualificazione del personale; f) il programma delle iniziative 8.4. Regione Liguria Fino al novembre del 1993 la legge organica di riferimento del settore rimane la L. reg. n. 27/79. Una longevità normativa sorprendente se si considera che la n. 27 è stata approvata prima della Legge quadro nazionale. La nuova norma sul sistema formativo regionale è contenuta nel titolo terzo di un provvedimento legislativo, la L. reg. n. 52 del 5 novembre 1993, che non tratta solo di Formazione Professionale ma di tutti gli strumenti della politica attiva del lavoro, come peraltro lascia intuire la denominazione del provvedimento stesso: Disposizioni per la realizzazione di politiche attive del lavoro528. Gli strumenti che attuano la politica del lavoro (il monitoraggio dell’attività produttiva e dell’occupazione, l’orientamento professionale, la Formazione Professionale, la promozione occupazionale) hanno un’unica gestazione programmatoria che si concretizza in un unico atto: il Piano triennale delle politiche del lavoro, da approvarsi entro il 31 marzo precedente la scadenza del triennio ed aggiornabile annualmente in tutto o in parte in relazione alla verifica dei risultati raggiunti e/o degli eventuali mutamenti socio economici e/o delle risorse finanziarie disponibili. La Giunta regionale nell’elaborazione del Piano si avvale del Comitato regionale per la formazione529 che ha il “compito di formulare proposte e pareri sul programma triennale sui suoi aggiornamenti e sui piani annuali delle singole Province nonché quando necessario su problemi che emergono nel corso dell’attuazione degli stessi”. Nel processo programmatorio è importante anche il ruolo della Provincia. Infatti, per quanto riguarda il Piano triennale, fornisce alla Regione “analisi di valutazione”, frutto di consultazioni con le Organizzazione Sindacali, datoriali e dei lavoratori e delle Camere di Commercio e, per l’orientamento, dei Distretti scolastici e delle Università. Mentre l’elaborazione e l’approvazione del Piano annuale (entro il 30 giugno di ogni anno) sono di pertinenza della Provincia, sentite preventivamente le Organizzazione Sindacali imprenditoriali e dei lavoratori530. La Legge, inoltre, per storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 406 407 dare un supporto scientifico alla programmazione prevede “il monitoraggio dell’attività produttiva e dell’occupazione”, realizzato da un Osservatorio regionale sul mercato del lavoro531. Gli articoli della Legge che parlano di questa struttura rappresentano una riscrittura della L. reg. n. 20/84 che istituiva tale organismo tecnico quasi dieci anni prima532. L’Osservatorio del mercato del lavoro è una “struttura organizzativa regionale”, la cui attività tecnico-scientifica è indirizzata e coordinata da un apposito Comitato (presieduto dall’Assessore regionale competente e composto da rappresentanti dell’Unione regionale delle camere di commercio, dell’ISTAT, dell’INPS dal direttore dell’Ufficio regionale del lavoro da esperti competenti in discipline economiche-statistiche e in discipline giuridiche del lavoro indicati dall’Università ed esperti designati dalle organizzazioni rappresentative degli imprenditori e dei lavoratori. Entro il 15 novembre di ogni anno la Giunta regionale approva il piano di lavoro dell’Osservatorio relativo all’anno successivo ed entro il 31 marzo presenta al Consiglio regionale una relazione sull’attività svolta nell’anno precedente e su quella prevista nel piano di lavoro per l’anno in corso. Abbiamo affermato che i modelli di Osservatorio del mercato del lavoro si possono distinguere a seconda del tipo di programmazione che sono chiamati a supportare dalla Legge che li istituisce. In altri termini, la raccolta, sistematizzazione e analisi dei dati e delle informazioni è funzionale alla programmazione della Formazione Professionale e orientamento (primo modello), o alla programmazione delle politiche del lavoro (secondo modello) o della programmazione socio economica? Quello della Regione Liguria appartiene senz’altro alla seconda tipologia. Per quanto riguarda il processo gestionale la nuova Legge ligure non presenta novità. Le soluzioni prospettate per i soggetti che possono proporre-realizzare attività formative si muovono rigorosadi sperimentazione e di innovazione didattica. 3. Nella definizione dei profili si tiene conto dei contratti collettivi di lavoro e delle disposizioni comunitarie. 4. La provincia può contribuire con proprie risorse al finanziamento delle iniziative corsualii contemplate dal programma triennale e può finanziare ulteriori corsi inseriti nel piano annuale. 5. Il piano può essere modificato nel corso dell’anno cui si riferisce per sopravvenute esigenze. 6. Entro novanta giorni dall’approvazione del programma triennale le province approvano il piano annuale. I successivi piani annuali compresi nel triennio sono approvati dalle province entro il 30 giugno. Entro novanta giorni dall’approvazione degli aggiornamenti o delle modificazioni del piano triennale le Province approvano le corrispondenti modifiche al piano annuale. Il piano annuale ed i suoi aggiornamenti immediatamente dopo l’approvazione sono inviati alla Regione per gli adempimenti di competenza”. 531 Cfr. art. 8, comma 1 (Compiti dell’Osservatorio). L’Osservatorio ha i seguenti compiti: a) svolgere analisi sullo stato e sulle tendenze dei diversi settori della produzione e dei servizi in relazione al volume ed alle tipologie dell’assorbimento di occupazione nel breve, medio e lungo periodo anche con particolari approfondimenti sulle aree produttive particolarmente importanti per l’economia regionale; b) individuare i mutamenti in atto o prevedibili nelle professionalità e nella composizione quantitativa e qualitativa della forza lavoro anche con riguardo al Mercato unico Europeo; c) accertare ed aggiornare costantemente l’andamento delle iscrizioni e della conclusione dei corsi nella Scuola dell’obbligo nella Scuola Media superiore e nell’Università; d) studiare, promuovere e gestire specifici progetti di ricerca su particolari aree del mercato del lavoro. 532 Cfr. L. reg. n. 20 del 28 marzo 1984 Istituzione dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro, in B.U.R. LIGURIA, n. 16 del 18.4.1984. Non si comprende perché la L. reg. n. 52/93 parla di “istituzione” (cfr. art. 7) di un Osservatorio, quando questo era stato “istituito” (cfr. art. 2) con la L. reg. n. 20/84. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 407 408 mente all’interno delle previsioni della Legge quadro (cfr. Fig. n. 84): a) strutture pubbliche (che, con la delega alle Province, diventano Centri provinciali per la Formazione Professionale); b) Enti, iscritti in un Albo regionale a seguito dell’accertamento di requisiti predefiniti e che sostanzialmente sono quelli della L. n. 845/1978; c) imprese. La maggiore novità introdotta dalla L. reg. n. 52/93 è l’istituto della delega. Il soggetto delegato è la Provincia. Nella legislazione regionale ci sono due tendenze rispetto all’ampiezza della delega533. Una prima prospettiva si caratterizza per un forte accento sul momento sub-regionale con una dilatazione dell’istituto sia sul versante della programmazione, sia sul versante gestionale, sia su quello amministrativo- procedurale. Un secondo orientamento limita le deleghe alla gestione dei Centri di Formazione Professionale pubblici, mentre i soggetti sub-regionali destinatari delle delega partecipano al processo di programmazione soprattutto in termini di pareri e proposte. In quale delle due tendenze si colloca la L. reg. n. 52/93? Senz’altro nella prima se consideriamo il ruolo della Provincia nei processi programmatorio, gestionale ed amministrativo (cfr. Fig. n. 85). Abbiamo già preso atto di quanto competa alla Provincia nella programmazione delle attività di Formazione Professionale. In quella a carattere strategico, che si concretizza nel Piano triennale, la Provincia è chiamata a fornire, non un semplice parere su un documento elaborato dalla Regione, ma degli input e delle indicazioni operative da cui quel documento prenderà il via; input e informazioni, peraltro supportate dalle attività dell’Osservatorio e partecipate e condivise con una pluralità di soggetti che operano nell’economia (Organizzazioni Sindacali datoriali e dei lavoratori) o nelle istituzioni (Camere di Commercio, Università, Distretti scolastici) del territorio. La programmazione attuativa, invece, quella annuale, abbiamo già visto è un’incombenza esclusivamente provinciale. Inoltre (e siamo al processo gestionale) 533 Cfr. paragrafo 7.5.2. Figura n. 84 - Soggetti gestionali (L. reg. n. 52/93) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 408 409 Figura 85 - Processo programmatorio (L. reg. n. 52/93) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 409 410 viene delegata alla Provincia la gestione pubblica della Formazione Professionale e quindi trasferiti i Centri regionali e il relativo personale e le attività di orientamento, da realizzarsi tramite strutture pubbliche o soggetti privati con i quali la Provincia si convenziona. Sul Piano amministrativo sono molte le funzioni delegate: il recepimento dei progetti di Formazione presentati da parte dei soggetti proponenti (art. 20); la nomina delle commissioni di esami (artt. 25 e 41); il rilascio degli attestati (art. 19); l’adozione di misure per far conseguire agli allievi che ne sono sprovvisti l’obbligo scolastico (art. 26); la stipula di convenzioni con l’Università per attività di livello elevato (art. 35); la disciplina delle modalità di funzionamento del collegio dei formatori, istituito presso ogni Centro Provinciale di Formazione Professionale (art. 33); la determinazione del personale dei Centri (art. 34); la concessione dei contributi per le attività sovvenzionate (art. 40); i provvedimenti di istituzione di corsi che dovranno essere svolti direttamente dai Centri Provinciali e i provvedimenti di attribuzione di corsi che verranno realizzati dagli enti e da imprese o gruppi di imprese (art. 42); l’attività ispettiva per la verifica del possesso dei requisiti di idoneità da parte delle sedi formative (art. 43); la predisposizione di piani di aggiornamento e di riqualificazione del personale della Formazione Professionale (art. 45); la redazione della relazione alla Regione delle attività realizzate (art. 49); la deliberazione di approvazione del rendiconto necessario per il rimborso CEE (art. 50). Da questa data entrano in vigore anche nuovi assetti organizzativi dell’Assessorato della Formazione Professionale regionale dove viene istituito il Servizio per le politiche attive del lavoro534 in sostituzione dei Servizi lavoro ed occupazione e Servizio Formazione Professionale535. Oltre alla Legge organica n. 52/93, in questi anni la Liguria emana tre Leggi, tutte di natura gestionale e tutte riferite a problematiche finanziarie. Le prime due (la n. 43/93 e la n. 4/96) riguardano il finanziamento agli Enti536, la terza (la n. 25/96) il 534 Cfr. L. reg. 52/93 Tabella B (art. 60 comma 1) Competenze del servizio per le politiche attive del lavoro “Attività di osservazione analisi della produzione e dell’occupazione programmazione degli interventi compresi quelli comunitari della produzione e dell’occupazione in raccordo con gli altri Servizi regionali interessati. In tema di formazione e di orientamento professionale: indirizzi generali coordinamento monitoraggio dell’attività formativa studi e ricerche documentazione controllo dell’efficacia e dell’efficienza dei corsi professionali assistiti dagli interventi finanziari della Regione e della Comunità Europea attività ispettive studio ed impostazione di progetti formativi speciali indicazioni e criteri per la sperimentazione l’aggiornamento e la riqualificazione del personale della formazione professionale. Rapporti con la Commissione Europea il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale l’Isfol e il coordinamento delle Regioni. Rapporti con la Commissione regionale per l’impiego e l’Agenzia regionale per l’impiego. Affari di competenza regionale in materia di emigrazione di collocamento e della cooperazione”. 535 Previsti dalla tabella G allegata alla L. reg. 27 agosto 1984 n. 44. 536 Cfr. L. reg. n. 43 del 6 settembre 1993 Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale in B.U.R. LIGURIA, n. 20 del 22 settembre 1993 e L. reg. n. 4 del 23.01.1996 Modifica dell’articolo 2 della legge regionale 6 settembre 1993 n. 43 “Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale” in B.U.R. LIGURIA, n. 3 del 14 febbraio 1996. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 410 411 compenso per le commissioni d’esami537. Particolarmente importante la prima che, contrariamente a quanto suggerisce il titolo (Disposizioni per accelerare le procedure di finanziamento in materia di formazione professionale), non tratta solo di anticipazioni e acconti, ma anche del ripianamento dei bilanci: un problema che allora assillava gli Enti, soprattutto quelli di maggiori dimensioni, non solo in Liguria, ma in tutta Italia. Una situazione debitoria determinata sia dagli interessi passivi maturati con le banche alle quali gli Enti ricorrevano necessariamente per far fronte alle spese di gestione correnti, dati i ritardi (talora considerevoli) nei pagamenti da parte della Regione sia, spesso, per i parametri finanziari insufficienti a coprire tutte le spese. Le soluzioni prospettate dalla Liguria si muovono su due traiettorie. La prima tende a scongiurare per il futuro situazioni debitorie, nel caso di carenza di liquidità da parte della Regione, da cui derivi l’impossibilità di corrispondere gli acconti previsti dalla normativa, la Giunta regionale può stipulare una convenzione con istituti bancari per l’apertura di una linea di credito a favore degli Enti gestori. L’apertura di credito è concessa nei limiti delle rate trimestrali già maturate e le condizioni di interesse applicate alla linea di credito non dovranno essere superiori a quelle previste dal tesoriere regionale per le anticipazioni di tesoreria. Comunque gli interessi passivi connessi all’utilizzo delle aperture di credito sono a carico della Regione. La seconda soluzione tende effettivamente a sanare la situazione debitoria pregressa: la Giunta regionale può erogare agli Enti gestori un contributo per il ripianamento delle documentate passività commisurato all’entità delle passività certificate entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge. Contestualmente la Giunta regionale ri- 537 L. reg. n. 25 del 4 giugno 1996 Nuova Disciplina dei Compensi ai Componenti di Collegi Commissioni e Comitati operanti presso la Regione. Modifiche alla Legge Regionale 28 Giugno 1994 n. 28 (Disciplina degli Enti Strumentali della Regione) e alla Legge Regionale 5 Aprile 1995 n. 20 (Norme per l’Attuazione dei Programmi di Investimento in Sanità per l’Ammodernamento del Patrimonio Immobiliare e Tecnologico) in B.U.R. LIGURIA, n. 13 del 19 giugno 1996 n. 13. Il compenso per le commissioni d’esame viene fissato in 50.000 lire a giornata per ciascun membro e 60.000 per i presidenti. Grafico n. 63 - Distribuzione allievi per Provincia storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 411 412 solve anche attraverso transazioni le pendenze in corso fra la Regione e gli Enti di Formazione Professionale. La seconda Legge, la L. reg. n. 4/96, che riguarda solo le passività maturate negli anni 1990-91, specifica i casi in cui può essere erogato il contributo: canoni di locazione e interessi bancari passivi538. Il regime di delega alle Province ha inizio con il 1 gennaio 1994, data in cui vengono trasferiti i beni mobili e immobili e il personale dei Centri di Formazione Professionale e delle strutture di orientamento, gestiti, fino ad allora, dalla Regione. I CFP trasferiti alle Province sono 10 (6 a Genova, 1 ad Imperia, 2 a La Spezia, 1 a Savona) e il personale pari a 208 unità (cfr. Tab. n. 46 e Graf. n. 64). I dipendenti trasferiti conservano la posizione giuridica ed economica e l’anzianità maturata. Il profilo professionale di “docente”, che assume la denominazione di “formatore”, è spalmato nella VI e VII qualifica funzionale. Un confronto con i dati del 1984 evidenzia cambiamenti quantitativi e qualitativi importanti: innanzitutto l’organico della Formazione Professionale della Regione nel 1993 diminuisce di 119 unità, pari al 36,4 % di tutti i dipendenti del 1984; nel 1984 i formatori erano 220 pari al 67% di tutto il personale; nel 1993 erano 148 pari al 71%; i docenti con laurea nel 1984 rappresentavano solo il 13,6%; dieci anni 538 Cfr. art. 1 “La Giunta regionale nei limiti dello stanziamento del bilancio può concedere agli Enti gestori di cui all’articolo 5 della Legge 21 dicembre 1978 n. 845 un contributo ‘una tantum’ a fronte dei seguenti oneri derivanti dall’applicazione dei rapporti convenzionali stipulati con la Regione: a) canoni di locazione corrisposti per l’utilizzazione dei locali ove si sono svolte attività formative ammesse ai contributi comunitari negli anni 1990 e 1991; b) interessi passivi bancari derivanti da linee di finanziamento aperte al fine di sopperire alle necessità conseguenti l’applicazione dei rapporti convenzionali stessi”. Grafico n. 64 - Personale regionale trasferito alle Province - distribuzione per qualifica (v.%.) Tabella n. 46 - Personale regionale trasferito alle Province - distribuzione provinciale per qua - lifica (v.a.) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 412 413 539 Non è possibile fare la comparazione tra a.f. 1990-91 e 1995-96 perché per quest’ultimo anno formativo, l’Isfol rileva 3483 corsi programmati, un dato non in linea con il volume corsuale abitualmente pianificato dalla Liguria. Pertanto ogni comparazione risulterebbe viziata dalla eccezionalità di questo dato. dopo sono l’81%. Quest’ultimo dato in particolare dà il senso e le dimensioni dei cambiamenti intervenuti; non sono solo cambiati l’offerta formativa (II livello e Formazione Continua) e i suoi destinatari (più adulti e più istruiti) sono cambiati anche i docenti (con titoli di studio più alti e, forse, con una minore esperienza lavorativa). Nell’anno formativo 1990-91539 la Liguria ha programmato 355 corsi (cfr. Tab. n. 47): il 54,9% sono della macroarea Industria e Artigianato, il 44,5%, del Terziario, mentre l’Agricoltura, con appena due corsi, non va oltre un irrilevante 0,6%. I corsi più numerosi sono quelli dei settori Meccanico metallurgico (101 interventi) ed Elettricità elettronico (59). Il primo settore del terziario per numerosità di interventi è Lavori d’ufficio (59). Tabella n. 47 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 413 414 Grafico n. 65 - Variazione della dotazione organica dal 1984 al 1993 Grafico n. 66 - Settori con numero di corsi più numerosi (a.f. 1990-91) Tabella n. 48 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 414 415 Per quanto riguarda la tipologia formativa abbiamo, in sintesi, la situazione seguente: i corsi di qualificazione di base (205) fanno registrare il 57,7% del volume corsuale complessivo: un valore superiore di oltre 20 punti alla media nazionale (37%); il secondo livello (58 interventi) si allinea al dato nazionale (16,3%); i corsi per adulti, occupati e disoccupati (73, pari al 20,6%) sono di 14,5 punti sotto il valore nazionale (35,1); i corsi speciali (19) fanno registrare un peso percentuale pari a 5,4 rispetto alla media italiana di 111,3. Nell’anno formativo 1992-93, l’anno che precede l’attivazione delle deleghe alle Province, i rapporti di forza tra gestione diretta e gestione convenzionata vede la seconda in netta prevalenza con una gap di 16 punti percentuali: 14% la diretta e 86% convenzionata540. Tra le presenze più rilevanti nell’area convenzionata spicca su tutte l’ENAIP con 9 CFP distribuiti in tutte le Province liguri; segue la Scuola Edile con 4 (Genova, La Spezia, Imperia, Legino prov. Savona). Da segnalare la storia541 di questo Ente: opera dal 1946 a seguito di un accordo tra i rappresentanti dell’Associazione Imprenditoriale e delle Organizzazioni Sindacali di categoria, che stabilì la creazione e il finanziamento di una scuola professionale per l’aggiornamento e la formazione delle maestranze del settore. È quindi da considerarsi antesignano degli Enti bilaterali542. Lo IAL ha tre sedi (a Genova, Sampierdarena, Carcare prov. Savona), il CIPA della CIA (Confederazione Italiana Agricoltura) ne ha due (Sanremo e Bordighera). Altri enti storici (il CNOS-FAP dei Salesiani, il CIOFS delle Salesiane, l’ENDO - FAP della Piccola Opera della Divina Providenza di don Orione, i Pavoniani, l’ECIPA della Confederazione Nazionale dell’Artigianato) ne hanno solo una. Da segnalare, per la numerosità dei corsi realizzati, la SOGEA della Confindustria (Genova) e il Villaggio del ragazzo dell’Opera diocesana Madonna (Cogorno prov. Genova). I tre Enti convenzionati pubblici sono i comuni di Varazze, Lavagna e Imperia. Per quanto riguarda le risorse finanziarie per il periodo 1990-97, il Grafico 67 evidenzia il 1990 come l’anno in cui vengono previste le risorse minori (112,5 miliardi di lire) e il 1996 quelle maggiori (342,9 miliardi). La media annua si aggira sui 199 miliardi. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realiz- 540 SISTAN-ISFOL (Sistema statistico nazionale) (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei Centri di formazione professionali in Italia - anno formativo 1992-93, Roma 1994. 541 Dalla nascita le numerose iniziative formative sono state realizzate direttamente nei cantieri produttivi, dove gli allievi acquisisivano le conoscenze e competenze tecniche professionali attraverso la realizzazione di vere proprie opere edili e in muratura. Con gli Anni ’80 viene abbandonata l’organizzazione di “impresa edile” per proporsi come Ente Formativo. 542 Ricordiamo che gli Enti bilaterali sono Enti privati costituiti dai sindacati e dai datori di lavoro per disposizioni di legge o contrattuali nell’ambito di determinati settori di lavoro. Sono paritetici perché i rappresentanti dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro sono in numero eguale tra loro. Cfr. lo Statuto della Scuola edile genovese del 20 novembre 1976, art. 6 “L’Ente è retto da un Consiglio di Amministrazione composto da 12 Consiglieri, dei quali: 6 designati dalla Sezione Edili dell’Associazione Industriale della provincia di Genova; 6 designati dalle Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori stipulati e firmatari del presente Statuto (Sindacati Provinciali della FILLEA, FILCA e FeNEAL), in misura paritetica tra loro, salvo quanto verrà diversamente concordato fra le rispettive Federazioni Nazionali. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 415 416 zata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 67. Gli stanziamenti più bassi e più alti sono sono quelli del 1990 (263 miliardi di lire) e del 1997 (524,4 miliardi di lire); la media del periodo è pari a 353,76 miliardi di lire. Scarsa la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 62,6%, inferiore di quasi 11 punti percentuali alla media italiana (77,1%). Nel 1995 la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 81.883 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 109.087. Nel primo caso è inferiore alla media italiana (93.951 lire) di quasi 12.000 lire, nel secondo è superiore (99.534 lire) di quasi 10.000 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari allo 0,88. Anche in questo caso inferiore alla media nazionale che fa registrare l’1,39%. In una ipotetica classifica regionale rispetto a questi tre valori la Lombardia si pone al quindicesimo posto per la spesa per abitante, al nono per quella rispetto alla forza lavoro, al diciannovesimo per la spesa del settore rispetto al totale della spesa regionale. Grafico n. 67 - Spesa per la Formazione Professionale Secondo i bilanci regionali di previsione (di competenza; aa. 1990-97) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 416 417 543 Da segnalare che nel 1992, a seguito di indagini da parte del PM De Pasquale su corsi FSE mai realizzati, scoppia uno scandalo giudiziario a carico dei vertici politici e amministrativi della Regione e di amministratori di enti di Formazione Professionale. 544 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 19, 2º suppl. ord. del 11 Maggio 1990. 545 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 39, 1º suppl. ord. del 24 Settembre 1992. 546 Cfr. volume II. 547 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 32, 1º suppl. ord. del 14 Agosto 1993. 548 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 15, 1º suppl. ord. del 14 Aprile 1994. 8.5. Regione Lombardia Avevamo presentato negli Anni ’80 la Lombardia come una Regione che “per un lungo periodo era stato un autorevole punto di riferimento per la Formazione Professionale del nostro Paese”. Purtroppo lo stesso giudizio non si può reiterare per gli Anni ’90, nei quali la sua leadership culturale appare appannata543. In questo periodo il riferimento normativo organico per la Formazione Professionale lombarda rimane la L. reg. n. 95/80, abbondantemente modificata da provvedimenti emessi in questo periodo: – L. reg. 8 maggio 1990, n. 35 Sostituzione del nono comma dell’art. 19 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 concernente la disciplina della formazione professionale in Lombardia, già modificato dall’articolo unico della L.R. 4 giugno 1981, n. 27 e poi sostituito dall’art. 5 della L.R. 27 agosto 1983, n. 68544, riguarda l’elevazione dei compensi per le commissioni di esami. – L. reg. 19 settembre 1992, n. 31 Deroga agli artt. 10, 11 e 12 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni545. Autorizza, per il triennio 1993-96, la Giunta regionale, mediante il Comitato interassessorile, ad elaborare una proposta di Piano triennale dopo aver consultato le Province. Nel testo modificato, invece, le procedure si svolgevano secondo questo iter: le Province elaborano una Proposta di Piano triennale provinciale, sulla base di un Schema redatto dalla Regione, mentre il Comitato interassessorile elabora la Proposta di Piano regionale546. – L. reg. 12 agosto 1993, n. 25 Modifica alla Legge Regionale 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni547: sopprime il Registro provinciale dei soggetti promotori di attività libere di Formazione Professionale. – L. reg. 9 aprile 1994, n. 9 Modifica dell’art. 48 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95 “Disciplina della formazione professionale in Lombardia” e successive modificazioni548. Riguarda i Centri alberghieri. La Regione può dare in comodato strutture di proprietà regionale ai Centri di Formazione Professionale convenzionati. Può anche affittare tali strutture ai privati che, però, in base a delle convenzioni, dovranno garantire gli spazi per la convittualità. La norma fa evidentemente ristoriaFORMAZ3- 3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 417 418 ferimento a strutture logistiche grandi, in parte utilizzabili per attività albergihiere private e in parte, almeno in alcuni mesi dell’anno, per l’attività di Formazione Professionale alberghiera. – L. reg. 5 gennaio 1995, n. 1 Norme transitorie in materia di formazione professionale finalizzate allo sviluppo del processo di delega alle province549. La L. reg. n. 95/80 prevedeva un regime di doppia delega: la gestione dei Centri di Formazione Professionale, dipendenti dalla Regione, era delegata ai Comuni, alle loro associazioni o alle comunità montane, ad eccezione di quelli la cui rilevanza tecnico- formativa o utenza particolare richiedessero la gestione diretta da parte della Regione; alcune funzioni amministrative erano affidate alle Province. Più in particolare spettava loro: a) la vigilanza e tutela degli enti, istituzioni e organizzazioni locali operanti nel settore; b) la nomina dei componenti degli organi collegiali degli enti, delle istituzioni e delle organizzazioni; c) l’accertamento del possesso dei requisiti per il riconoscimento di idoneità dei CFP; d) la vigilanza, di concerto con la Regione, sull’attività, funzionalità e rispondenza delle iniziative formative svolte dai Centri di Formazione Professionale pubblici o convenzionati; e) il riconoscimento dei corsi liberi di Formazione Professionale; f) l’assegnazione dei contributi ai CFP per le attività complementari; g) la nomina dei comitati di controllo sociale dei centri. Con il provvedimento in esame anche la gestione dei Centri dipendenti dalla Regione viene delegata alle Province e il personale, che prima era posto in posizione di comando presso i Comuni o Comunità montane, ora viene messo alle dipendenze funzionali delle Province, conservando il ruolo organico regionale. Dopo questa Legge il quadro complessivo delle competenze delegate alle Province è quello illustrato nella Figura 86. Una norma finale precisa, però che le disposizioni esaminate “hanno efficacia fino all’adozione di una nuova legge organica di settore […] che porti a compimento il processo di delega”. Si dovrà aspettare anni… Altre due leggi sono approvate, nel periodo di riferimento di questo volume, che non costituiscono delle modifiche alla L. reg. n. 95/80: – L. reg. 27 ottobre 1993, n. 31 Attribuzione dell’indennità di funzione ai docenti della formazione professionale ai sensi dell’accordo nazionale di lavoro per il triennio 1988-1990550. Ai docenti che svolgono un’attività non inferiore alle 800 ore annue nei Centri di Formazione Professionale regionali viene riconosciuta una indennità di funzione, pari a 850.000 lire. – La L. reg. 12 dicembre 1994, n. 42 Interventi per lo sviluppo della formazione professionale superiore, anche in raccordo con le università551, che si occupa 549 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 2, 1º suppl. ord. del 10 Gennaio 1994. 550 In B.U.R. LOMBARDIA, n. 32, 1º suppl. ord. del 14 Agosto 1993. 551 In B.U.R LOMBARDIA, n. 50, 3º suppl. ord. del 16 Dicembre 1994. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 418 419 della formazione dei diplomati universitari e dei laureati. Per questi giovani vengono previsti corsi sperimentali ed “altre attività specifiche”, attuati in via diretta dalla Regione o con la collaborazione, regolatata da convenzione, con le Università. Questa collaborazione non si limita agli interventi formativi, ma si estende anche ad una attività di ricerca sul fabbisogno di formazione superiore per “individuare aree di maggiore prospettiva occupazionale”. Su questi due versanti, quello degli interventi corsuali e quello dell’analisi dei fabbisogni, la giunta regionale, annualmente approva un programma annuale. La normativa dichiara di mirare all’“obiettivo della graduale costituzione di poli formativi regionali operanti nell’area della formazione professionale superiore regionale, in raccordo con le università nonché con istituti scolastici ed imprese”. Per questo obiettivo la Legge prevede anche “opere di riqualificazione ed adeguamento delle strutture adibite alla formazione”. È la prima volta che compare in una legge l’espressione di “poli per la formazione superiore”, espressione ed idea che avranno una loro fortuna nella seconda metà del decennio successivo. Per avere una base dati di tipo mercatolavoristico per orientare la programmazione regionale della attività formative, l’Osservatorio sul Mercato del Lavoro552 ha attivato a partire dal 1992 un sistema di rilevazione permanente sulla domanda di lavoro (progetto “Sirpel”). Tale iniziativa svolge indagini, con cadenza periodica annuale, caratterizzate da: 552 Cfr. volume II, p. 272. Figura n. 86 - Funzioni delegate alle Province dopo la L. reg. 1/95 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 419 420 – informazioni annuali qualitative, ma anche quantitative e statisticamente significative, sulla struttura della domanda di lavoro e sugli occupati – dell’anno di riferimento e quelli previsti per il biennio successivo; – campo di osservazione allargato all’intero mercato del lavoro (a partire dal 1996 è stato inserito nell’universo di osservazione: l’artigianato, il commercio al dettaglio e le imprese di servizi di piccole dimensioni); – riferimento ai mercati locali del lavoro, con significatività a livello provinciale. Le indagini sono effettuate attraverso un questionario inviato all’intero universo delle imprese (101.000 sono state le unità locali interessate nel 1994). La previsione delle assunzioni per il biennio successivo avviene per qualifiche professionali, classificate secondo l’area funzionale, il livello di inquadramento, ed indicando anche i requisiti scolastici e formativi richiesti. L’utilizzazione dei risultati è affidata in particolare all’Assessorato regionale, per la programmazione delle attività formative ed ai CITE (Centri per l’Innovazione Tecnologica Educativa della Lombardia) per l’orientamento scolastico e professionale553. La Tabella 49 propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (1995-96). Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macro settori e settori o aree professionali. Nell’a.f. 1995-96 sono stati realizzati 211 corsi in meno rispetto all’a.f. 1990- 91. Forti le variazioni tra macrosettori: l’Agricoltura passa da 349 corsi a 137, facendo registrare un decremento di 212 interventi, quanti, grosso modo, ne guadagna l’Industria che passa da 1.098 a 1.315. Flette, vistosamente, il Terziario che perde 216 corsi. Queste variazioni determinano anche cambiamenti nel peso di ciascun macrosettore: quello agricolo dimezza la sua incidenza percentuale, passando dal 10,7% al 4,5%; l’industria e l’artigianato aumentano quasi di 10 punti, mentre il terziario ne perde 3,5. Nei due anni formativi presi in considerazione, per il macrosettore Industria e Artigianato le prime due posizioni sono occupate da Meccanica ed Elettricità ed elettronica (che insieme rappresentavano rispettivamente il 65% e il 57% di tutto il macrosettore). Nel Terziario, invece, all’inizio dei decennio i corsi più numerosi sono quelli dell’Informatica e dei Servizi socio educativi, invece, a metà Anni ’90 Lavori d’ufficio e Servizi socio-educativi. Il fattore di maggiore cambiamento intersettoriale è rappresentato dall’offerta formativa per le utenze adulte. Tra gli altri comparti gli aumenti più significativi sono registrati dall’Artigianato artistico (86 corsi in più) e dalla Grafica fotografia cartotecnica (76) per quanto riguarda il Secondario. Mentre i Lavori d’Ufficio e l’area dei Servizi socioeducativi, rispettivamente con un aumento di 347 e 220 interventi, fanno registrare i maggiori incrementi per il Terziario. Le diminuzioni maggiori si verificano nel set- 553 Cfr. volume II, p. 267. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 420 421 tore dell’Abbigliamento e calzature (–18 corsi) e in quello del Legno (–15), per quanto riguarda i settori dell’industria; quello dei Trasporti (–29) e quello dello Spettacolo (–11) sono i più penalizzati del Terziario, dove però il dato delle Varie (–366) rappresenta un fattore di grande disturbo per la leggibilità delle situazioni. Per quanto riguarda invece la variabile “tipologia formativa” il primo livello perde in valori assoluti 318 corsi e in valori relativi circa 7 punti percentuali (da 47,4% a 40,3%); ma sono in decremento anche il secondo livello con 219 corsi, che si traducono in una incidenza percentuale più che dimezzata (da 10,8% a 4,4%) e i corsi speciali (–74) che ridimensionano il loro peso da 7,7%, a 5,9%. Da segnalare nel secondo livello che dei 135 corsi programmati rilevati dall’Isfol, 105 sono interventi di raccordo-integrazione con il sistema scolastico. Tabella n. 49 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) * Di cui 11 non classificabili storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.45 Pagina 421 422 L’unica offerta formativa ad aumentare è quella destinata ad utenze adulte, disoccupate ed occupate; con 414 interventi in più diventa la tipologia formativa con il maggior numero di corsi, superando la prima qualificazione di base, e fa lievitare il suo peso relativo da 33,5% a 49,4%. L’exploit della Formazione Continua è dovuto soprattutto alla componente degli occupati con 1.216 corsi rispetto ai 293 per disoccupati. La maggiore concentrazione di corsi per occupati si verifica nell’area dei Servizi socio educativi; area dove c’è una presenza massiccia anche dei corsi speciali554. Se confrontiamo i dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri: la prima formazione in Lombardia è al di sopra della media italiana (34,6%) di oltre 6 punti percentuali; il secondo livello, con il suo ridotto 4,4% è inferiore di oltre 8 punti; le attività per adulti (49,4%) si distanziano dal valore nazionale (45,1%) di oltre 4 punti in più e infine i corsi speciali, che rappresentano il 5,9%, sono superiori al dato medio nazionale che si ferma al 7,5%. 554 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1995-96 op. cit. p. 60. Grafico n. 68 - Variazioni numero corsi dei settori e aree professionali negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 422 423 Nell’a.f. 1995-96 gli allievi di tutte le tipologie formative previsti nei Piani di attività ammontavano a 57.297. I 64.750 allievi previsti per l’a.f. 1990-91 rappresentano il 2,4% della popolazione attiva (14-60); i 31.587 allievi della prima qualificazione rappresentano l’8,8% della leva dei 14-16enni555. La distribuzione per Provincia dei corsi (e dei relativi allievi) rispecchia sostanzialmente la demografia di ciascuna (cfr. Graf. n. 70). Al di là degli aspetti quantitativi che, come si conviene ad un settore di una Regione popolosa, si esprime con grandi numeri, menzioniamo alcune iniziative sperimentali realizzate in Lombardia in questi anni: 555 La popolazione attiva ammontava a 2.688.720; i 14-16enni a 356.881. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 69 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 Grafico n. 70 - Distribuzione dei corsi e relativi allievi per Provincia storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 423 424 a) Il progetto D. Progetto di pronto intervento nell’area dei disagio giovanile, che vede la collaborazione dell’Assessorato all’Istruzione e alla Formazione Professionale della Regione Lombardia e ELFAP (Ente Lombardo Formazione Addestramento Professionale). Il progetto si pone l’obiettivo di favorire il reinserimento sociale e formativo di giovani disagiati adottando strategie educative e didattiche personalizzate. Il target è costituito da giovani che presentano: difficoltà nell’iter scolastico e abbandono della scuola, precedenti esperienze di lavoro precario, insuccessi ed insoddisfazioni personali. Il progetto si articola in quattro fasi: accoglienza, orientamento, formazione personalizzata e integrazione scolastica, o formativa, o lavorativa secondo le opzioni maturate dal giovane. b) Il progetto Promos. La sperimentazione, avviata nel 1993 per i corsi di primo livello, è rivolta a giovani in possesso della licenza dell’obbligo, nei settori amministrativo ed elettrico-elettronico. Obiettivi del progetto sono: l’acquisizione da parte degli allievi di un attestato di qualifica regionale di 1° livello, cui si aggiunge l’acquisizione di crediti formativi nei confronti del sistema scolastico, valutabili ai fini di una prosecuzione degli studi in percorsi ad indirizzo coerente (Istituo Tecnico Industriale o Istituto Tecnico Commerciale); la prevenzione dell’abbandono scolastico, utilizzando metodologie didattiche, sperimentate nella Formazione Professionale, di sostegno e motivazione allo studio. Il programma prevede l’insegnamento di aree professionali e di aree comuni desunte dai programmi della Commissione Brocca; l’attività didattica si svolge in un piccolo gruppo-classe; il percorso formativo è preceduto da moduli di orientamento e di counseling a rinforzo della motivazione. Il progetto viene attuato con la collaborazione dell’Assessorato all’Istruzione e alla Formazione Professionale della Regione Lombardia, dell’ELFAP e l’ENAIP (Ente Nazionale Acli Istruzione Professionale)556. c) Il progetto Metti in luce il tuo futuro, realizzato in collaborazione tra Ministero della Pubblica Istruzione, Regione Lombardia e Provincia di Milano, riguarda i rientri formativi nell’area del post obbligo, con l’obiettivo di favorire la ripresa degli studi e migliorarne l’inserimento nel mondo del lavoro. Il percorso è strutturato in un biennio al termine del quale è possibile ottenere una qualifica regionale di primo livello e l’idoneità all’iscrizione al terzo anno di un istituto tecnico in un indirizzo coerente con il percorso seguito nel biennio. Il target di utenza è costituito da giovani che compiano i diciassette anni nell’anno solare, che abbiano abbandonato la Secondaria superiore o la Formazione Professionale di base da almeno due anni o che abbiano interrotto gli studi dopo la licenza media. Sono riconosciuti i crediti formativi maturati attraverso esperienze di lavoro o formative, in base a criteri stabiliti dal comitato scientifico e 556 Cfr. ISFOL, Rapporto Isfol 1995, op. cit., p. 306. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 424 425 del Consiglio di classe. Il percorso sperimentale, attivo già da un quinquennio, prevede un biennio strutturato su 25 ore settimanali, di cui 10 dedicate all’area d’indirizzo professionale, suddivise in cinque giorni; lo svolgimento dei corsi può avere luogo in orario pomeridiano o serale, in funzione delle esigenze espresse dall’utenza. Sono previste inoltre alcune ore extra curricolari per il recupero di conoscenze di base o per rafforzare le competenze in funzione del proseguimento degli studi. Per quanto riguarda la docenza, l’area generale è affidata ai docenti degli Istituti tecnici e l’area tecnico-professionale ai docenti della Formazione Professionale; il Consiglio di classe è presieduto alternativamente dal preside o dal direttore del centro di formazione. L’integrazione tra i due Sistemi formativi si concretizza in più fasi: nella definizione dei profili culturali- professionali, a cui partecipano tutti i docenti in base alle competenze specifiche di ognuno, e nella programmazione annuale, per individuare gli obiettivi trasversali alle diverse aree disciplinari e nella realizzazione dei percorsi congiuntamente definiti. Per l’a.f. 1992-93 l’Isfol ha censito 472 sedi operative557, di cui 246 (pari al 52%) CFP, definiti dalla L. reg. 95/89 “strutture didattiche polivalenti destinate stabilmente alla formazione professionale”. 557 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia op. cit., pp. 31-53. Tabella n. 50 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) Da ricordare che nel 1992-93 è ancora operativa la delega ai Comuni o loro consorzi o alle Comunità montane. I CFP dell’area pubblica (delegati e regionali) rappresentano il 26,8% e l’area convenzionata il 73,2%. Gli 89 CFP sviluppano un volume di attività pari a 692 corsi; la media corsi per CFP è pari a 9,9. I centri pubblici fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 10,1, leggermente inferiore il valore dei CFP convenzionati pari a 9,8. Questi ultimi, come sempe sono di estrazioni culturali diverse. Ne tentiamo un elenco non esaustivo e in ordine sparso: ELFAP è un consorzio di enti (Como, Clu- Nostra elaborazione su base Isfol. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 425 426 sone, Treviglio, Bergamo, Remedello, Brescia, Mompiano, Vismara, Monza, Milano, Carate, Desio, Mantova, Stiviere, Saronno); ELFAP – Istituto Suore Canossiane (Milano, Cuggiono, Lodi), Pro Juventute Don C. Gnocchi (Milano), ENFAPI (Brescia, Caccivio, Lenno, Erba, Cremona), Fondazione Luigi Clerici (Merate, Lecco, Abbiategrasso, Milano, S. Giuliano Milanese, Parabiago, Rho, Brugherio, Mortara, Pavia), IAL della CISL (Gravedona, Cremona, Milano, Viadana, Porto Mantovano), ACIST (Milano), ENAIP delle ACLI (Romano di Lombardia, Dalmine, Almè, Botticino Sera, Costa Volpino, Bergamo, Treviglio, Lomazzo, Mornasco, Como, Cantù, Milano, Melzo, Mantova, Sondrio Varese, Busto Arsizio), ENFAP (Milano), Scuola Andrea Fantoni, Scuola Rodolfo Vantini (Rezzato), Scuola Addestramento Roè Volciano (Salò), Scuola d’arti e mestieri G. Castellini (Como) Associazione Scuole Professionali G. Mazzini (Cinisello Balsamo), CAPAC (Milano), CIFAP (Centro Interprovinciale Formazione Addestramento professionale: Sesto S. Giovanni), EMIT (Ente Morale Istruzione Tecnica Feltrinelli (Milano), ESEM (Ente Scuola Edile milanese (Milano), Istituto per la formazione al giornalismo (Milano), Istituto ricerche farmacologiche “Mario Negri” (Milano), Istituto Rizzoli Insegnamento Arti Grafiche (Milano), Scuola agraria del Parco di Monza, Sociaetà Incoraggiamento arti e mestieri, (Milano), Teatro alla Scala (Milano), Unione Artigiani della Provincia di Milano (Milano, Lodi, Monza, Saronno). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 71. Gli stanziamenti più bassi e più alti sono sono quelli del 1990 (263 miliardi di lire) e del 1997 (524,4 miliardi); la media del periodo è pari a 353,76. Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 80,1% superiore alla media italiana (77,1%), ma nel Nord solo la Liguria e il Veneto hanno valori più bassi. Grafico. n. 71 - Spesa per la Formazione Professionale secondo i bilanci regionali di previsione (di competenza; aa. 1990-1997) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 426 427 La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 82.323 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 72.677 lire. Nel primo caso è inferiore alla media italiana (93.951 lire) di 11.660 lire, nel secondo (99.534 lire) di oltre 26.000 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari all’1,29%. Anche in questo caso inferiore alla media nazionale che fa registrare l’1,39%. In una ipotetica classifica regionale rispetto a questi tre valori la Lombardia si pone nella parte medio bassa, rispettivamente al quattordicesimo posto per la spesa per abitante e per quella rispetto alla forza lavoro, all’undicesino per la spesa del settore rispetto al totale della spesa regionale. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 427 428 558 Cfr. vol. II, p. 287. 559 Cfr. B.U.R. TRENTINOALTO-ADIGE, n. 48 del 24.11.1992. 8.6. Provincia Autonoma di Bolzano Abbiamo già evidenziato nel volume precedente558 come la presenza nel territorio della Provincia Autonoma di Bolzano di più comunità linguistiche e culturali si rifletta anche nell’organizzazione del Sistema di Formazione Professionale: sia a livello di governo che delle strutture che erogano formazione (cfr. Fig. n. 87). Pertanto c’è un dipartimento per l’Istruzione e Formazione tedesca e ladina e uno per l’Istruzione e Formazione italiana: l’uno e l’altro mediante le rispettive “aree” governano le scuole professionali che operano sul territorio. Ma c’è anche un terzo dipartimento che si occupa di Formazione Professionale: quello per l’Agricoltura e foreste, che promuove e organizza una capillare rete di scuole “agrarie”, “fruttivicole” e di “economia domestica”. Questo sistema è stato regolato dalla L. prov. n. 9, Addestramento professionale dei lavoratori del 1962 fino al 1992, quando la Provincia, con L. prov. 12 novembre 1992, n. 40 Ordinamento della formazione professionale559 si dota di una nuova normativa organica. Figura. n. 87 - Struttura organizzativa che governa la Formazione Professionale nella Provincia Autonoma di Bolzano storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 428 429 Si consideri, peraltro, che secondo lo statuto di autonomia del 1972, la Formazione Professionale risulta una competenza esclusiva della Provincia Autonoma560, che è quindi legittimata a dotarsi in modo autonomo ed esclusivo di leggi e regolamenti che disciplinino tale settore. La L. prov. n. 40/92 si caratterizza per un impianto essenziale, che detta principi e disegna a grandi linee sia il sistema programmatorio sia quello gestionale (cfr. Fig. n. 88). La Provincia adotta un Piano pluriennale “al fine di assicurare la coerenza tra gli interventi formativi e quelli di politica del lavoro, in riferimento agli indirizzi delle Comunità Europee ed in accordo con il sistema scolastico generale”, che rappresenta il quadro di riferimento per la programmazione annuale degli interventi in materia di Formazione Professionale. Gli uffici provinciali competenti in materia di Formazione Professionale, predispongono annualmente i Programmi operativi, che contengono un elenco dei corsi annuali e pluriennali, ed indicano il profilo professionale, le modalità di iscrizione, di gestione e di realizzazione, nonché la durata ed i contenuti dei corsi stessi. Sia per l’elaborazione del Piano pluriennale che per i Programmi operativi l’unico soggetto interpellato per la Formazione Professionale561 è la Commissione Provinciale. 560 Cfr. vol. II, p. 287, nota n. 387. 561 Istituita nell’ambito della Commissione provinciale per l’impiego che ne definisce la composizione e le modalità di funzionamento. Ne fanno parte di diritto: gli assessori provinciali aventi competenza in materia di apprendistato e di Formazione Professionale, di cui uno con funzioni di presidente e i direttori delle ripartizioni provinciali competenti in materia di Formazione Professionale e di apprendistato. Figura n. 88 - Processo programmatorio pluriennale ed annuale (L. prov. n.40/92) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 429 430 Quanto mai essenziali e sommarie le previsioni relative ai soggetti attuatori (artt. 4 e 8; cfr. Fig. n. 89): la declaratoria si limita a individuare la tipologia di soggetti, senza mai precisare, soprattutto per quelli non pubblici, quali debbano essere i requisiti per poter essere dichiarati idonei a proporre e realizzare attività formative. Recita l’art. 8: “Per l’attuazione delle attività formative la Provincia si avvale: delle proprie strutture, scuole o centri di formazione professionale; di sedi e mezzi didattici delle scuole a carattere statale, previa intesa con l’autorità scolastica competente; di strutture appartenenti a terzi, enti pubblici o privati”. Si noti il termine “privati”, usato per designare gli attuatori “non pubblici”. Espressione corretta sotto un profilo strettamente giuridico, ma quanto mai non idonea a identificare la tipicità di tali soggetti, almeno come li ha connotati il dibattito prima, durante e dopo l’elaborazione della Legge quadro. Dibattito che tutt’al più usava il termine “privato sociale”; espressione che coniuga e l’aspetto giuridico-formale e l’identità sociologica-sostanziale. Ente privato, sì, ma chiamato a svolgere funzioni pubbliche. Ente privato, ma espressione delle realtà sociali, e nello stesso tempo, da una parte, radicato nel territorio, di cui è in grado di intercettare i bisogni professionali e tradurli in progetti formativi e dall’altra, portatore di una “proposta formativa” e quindi potenzialmente adeguato sotto il profilo tecnico e educativo. Il testo è essenziale, si è detto, quasi scarno nelle previsioni che riguardano il processo programmatorio e gestionale, ma dà indicazioni di dettaglio sulle tipologie di Figura n. 89 - Soggetti gestionali (L. prov. n. 40/92) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 430 431 Formazione che il sistema può erogare, riconducibili a quattro categorie: azioni di formazione e di orientamento al lavoro; azioni di formazione sul lavoro; corsi di preparazione agli esami per l’abilitazione all’esercizio delle professioni ed ai concorsi pubblici; azioni di formazione e di cooperazione con l’impresa (cfr. Prosp. n. 44). Segnaliamo due caratteristiche ulteriori, tipiche del mondo formativo tedesco: lo stretto rapporto tra struttura di formazione e sistema produttivo e la forte standardizzazione della struttura didattica dei corsi. Per quanto riguarda l’intensità del rapporto Scuole-CFP e aziende, la L. reg. 40/92 prevede: a) la stipula di “protocolli di intesa o convenzioni, con disciplina dei relativi oneri, per l’uso di attrezzature, di locali e di risorse umane, al fine di erogare azioni di formazione adeguate ai fabbisogni formativi del mercato del lavoro” (art. 9 comma 2); b) un’alternanza formazione- lavoro in azienda sistematica (“durante l’anno scolastico; durante le ferie scolastiche; a conclusione dei corsi” per fare acquisire agli allievi “esperienze pratiche nell’ambito produttivo”, per “avvicinarli progressivamente al mondo del lavoro” e per “favorire il miglioramento della conoscenza delle lingue”) (art. 9 comma 1). La standardizzazione dei percorsi didattici riguarda i programmi e le relative prove d’esame. Contrariamente a quanto avviene, normalmente, negli altri sistemi formativi dove la preoccupazione è la standardizzazione delle qualifiche (cioè il traguardo del percorso formativo) nella Provincia Autonoma di Bolzano c’è anche la preoccupazione di definire il percorso (“il programma”) e i modi per accertare se l’allievo effettivamente arrivi al traguardo (“articolazione e contenuti delle prove d’esame per il conseguimento delle qualifiche e dei diplomi professionali e di abilitazione”) (artt. 10, 11, 12). L’art. 12 prevede l’emanazione di un regolamento, entro un anno dall’entrata in vigore della Legge, che disciplini dettagliatamente gli aspetti organizzativi e proce- Prospetto n. 44 - Tipologie di interventi storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 431 432 durali interni della scuola562. In effetti i regolamenti saranno tre: il primo563 riguarda i programmi delle Scuole agrarie, fruttivicole e di economia domestica, gli altri due l’organizzazione didattica delle altre scuole professionali564. Per l’a.f. 1990-91 l’Isfol ha censito 66 sedi operative, di cui 22 (pari al 33%) strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale (cfr. Tab. n. 51). Nella legislazione e nei documenti amministrativi tali strutture vengono denominate Scuole professionali (mai CFP). Tra le 15 scuole direttamente gestite vanno menzionate: le due scuole alberghiere provinciali di Merano, in lingua italiana e tedesca, e le scuole professionali di lingua tedesca di Silandro, Bressanone, Merano, Bolzano, Brunico e quelle di lingua italiana di Merano, Bressanone, Bolzano (una per l’industria e l’artigianato e l’altra per il commercio e il turismo) e, sempre in lingua italiana la scuola provinciale in agricoltura di Vadena. Vanno però menzionate, anche se non sono comprese nella tabella, le strutture formative di competenza del Dipartimento agricoltura e foresta: le scuole provinciali agrarie “Fürstenburg” a Burgusio/Malles, “Mair am Hof” a Teodone/Brunico, “Salern” a Varna; la scuola provinciale fruttiviticola “Laimburg” a Vadena; le scuole 562 L’art. 12 precisa le tematiche del regolamento: la durata delle unità di lezione; le valutazioni, promozioni, ripetizioni dell’anno scolastico e le misure disciplinari; le modalità di giustificazione delle assenze; l’utilizzo dei beni prodotti e dei servizi resi dalle officine o dai laboratori della scuola, nell’ambito delle esercitazioni pratiche; le competenze degli organi collegiali. 563 Decreto del Presidente della Giunta provinciale 9 settembre 1993, n. 35 Approvazione del regolamento di esecuzione dell’articolo 5 della legge provinciale 12 novembre 1992, n. 40, concernente l’ordinamento della formazione professionale in B.U.R. TRENTINO-ALTO ADIGE, 28 settembre 1993, n. 46. 5641) Decreto del Presidente della Giunta provinciale 22 dicembre 1994, n. 63 Regolamento concernente gli aspetti organizzativi della scuola - legge provinciale 12 novembre 1992, n. 40: Ordinamento della formazione professionale in B.U.R. TRENTINO-ALTO ADIGE, nel B.U. 11 aprile 1995, n. 16. 3) Decreto del Presidente della Giunta provinciale 25 novembre 1996, n. 45 Programmi ed orari di insegnamento per il biennio per i servizi alberghieri e della ristorazione e per il biennio tecnico artigianale nelle scuole professionali provinciali in lingua tedesca e ladina in Suppl. n. 1 al B.U.R. TRENTINOALTOADIGE, 18 marzo 1997, n. 13. Tabella n. 51 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 432 433 565 La Confesercenti è un’associazione di categoria che rappresenta le piccole e medie imprese italiane del commercio, del turismo e dei servizi. È stata fondata a Roma nel 1971. Nel 2008 rappresentava oltre 270.000 imprese che occupano oltre 800.000 persone; è suddivisa in 75 associazioni di categoria e in 21 federazioni regionali. Tabella n. 52 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) provinciali di economia domestica a Corces, la “Frankenberg” a Tesimo, Teodone a Brunico, “Griesfeld” a Egna, ad Aslago di Bolzano, la “Bühlerhof” a Sarnes/Bressanone. I due CFP che compaiono in tabella sono dell’ENAIP di Bolzano e del CESCOT della Confesercenti565. Nella Tabella 52, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico negli anni formativi 1990-91 e 1995-96. Un confronto tra le due annualità è reso problematico dal numero dei corsi censiti dall’Isfol per l’a.f. 1995-96 (solo 100), sottodimensionato rispetto alla media degli altri anni del decennio. Non desumibile dai Piani la tipologia formativa storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.46 Pagina 433 434 Da un punto di vista settoriale, sia nella prima che nella seconda annualità considerata, il settore prevalente è il Terziario: pesa il 67% all’inizio degli Anni ’90 e addirittura il 72% a metà decennio. I corsi programmati più numerosi nel settore e nelle aree professionali dell’Industria sono, in ordine decrescente: elettricità ed elettronica, meccanica e metallurgia, edilizia. In quelle del Terziario, nel 1990-91, l’informatica (il 27% dei corsi di tutto il Terziario), i lavori d’ufficio e la ristorazione e nel 1995-96 i servizi socioeducativi e i lavori d’ufficio. Per quanto riguarda l’evoluzione tra le due annualità prese a confronto, il dato più rilevante è l’espansione delle attività per adulti, e in particolare per i disoccupati, ai quali sono destinati 49 interventi (agli occupati 28)566. I 7.337 allievi previsti per l’a.f. 1990-91 rappresentano l’1,08% della popolazione attiva (14-60enni); i 556 allievi della prima qualificazione rappresentano il 3% della leva dei 14-16enni567. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni e delle Province Autonome, realizzata all’Isfol, la spesa provinciale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 73. Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1990 (44,7 miliardi di lire) e del 1997 (137 miliardi); la media del periodo è pari a 76,95 miliardi. Buona la capacità realizzativa della Provincia (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è 89,6% superiore alla media italiana (77,1%) e del Nord dove viene preceduta solo dalla Provincia di Trento (90,45%). 566 SISTAN (Sistema statistico nazionale-Isfol). 567 La popolazione attiva ammontava a 292.340; i 14-16enni a 18.461. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - anni 1982-1991. Grafico n. 72 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 434 435 La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 271.134 lire (solo Basilicata, Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Trento fanno registrare valori più alti) e quella rispetto alla forza lavoro è di 481.059 lire (la più alta di tutto il Paese). Nell’uno e nell’altro caso la spesa della Provincia è superiore alla media italiana di 177.183 e di 381.525 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Provincia è pari al 2,49%. Solo la Sicilia ha un valore percentuale maggiore (3,15%) mentre la media italiana si ferma a 1,39%. Grafico n. 73 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (aa. 1990-97) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 435 436 8.7. Provincia Autonoma di Trento Nel periodo considerato la Provincia di Trento non emana nessuna Legge sulla Formazione Professionale e quindi la L. prov. n. 21/87 rimane la normativa di riferimento. È importante segnalare il livelli di eccellenza raggiunti dal Sistema di Formazione Professionale di quegli anni tanto che, “appannata” la leadership culturale della Lombardia (particolarmente prestigiosa durante il lungo assessorato di Filippo Hazon), assurge ad un ruolo di riferimento per tutte le Regioni. Le politiche della Formazione Professionale (elaborate dall’Assessorato provinciale) e quelle del lavoro (elaborate dall’Agenzia provinciale del lavoro)568 diventano patrimonio comune anche a livello nazionale. La Formazione Professionale della Provincia può contare su un’ottima base informativa prodotta dall’Osservatorio del mercato del lavoro (all’interno dell’Agenzia del lavoro) che provvede all’analisi della domanda e dei fabbisogni occupazionali e formativi del territorio, con due tipi di indagine. La prima è l’Indagine previsionale di manodopera, attivata nel 1987, realizzata mediante un questionario postale inviato ad un campione delle imprese con meno di 4 dipendenti ed all’universo di quelle con almeno 4 dipendenti. La rilevazione consente di avere dati relativamente: – all’andamento ed alla composizione dell’occupazione, per ramo di attività e per categoria professionale (apprendisti, operai, impiegati, dirigenti, quadri, con indicazione dei CFL); – alla previsione dell’occupazione per figure professionali (le indicazioni delle imprese sono tradotte in codici Istat), con l’indicazione della difficoltà o meno per il reperimento sul territorio. La seconda indagine ricorrente, attivata dal 1986 con periodicità trimestrale ed annuale, è uno studio sulle figure professionali richieste dal mercato del lavoro locale, condotto utilizzando le autorizzazioni dei contratti di formazione lavoro, gli annunci pubblicati sulla stampa locale, i bandi di concorso. I risultati vengono integrati ed analizzati insieme con quelli provenienti dall’indagine previsionale prima descritta. Tutte le informazioni vengono poi trasferite ai servizi per l’orientamento professionale e per le iniziative formative; questi effettuano una verifica telefonica delle indicazioni fornite dalle imprese, approfondendo anche una serie di dati suppletivi, quali i titoli di studio ed altri requisiti eventualmente richiesti. 568 Istituita con la Legge Provinciale n. 19/83, è la struttura che idea e realizza gli interventi di politica attiva del lavoro. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 436 437 La base informativa necessaria per una buona programmazione delle attività formativa proviene alla Provincia anche da un’attività ricorrente di valutazione, degli esiti e di sistema569. A queste acquisizioni del decennio precedente si aggiunge, a metà degli Anni ’90, una radicale innovazione della Formazione di base, che contiene, addirittura, anticipazioni delle riforme che verranno realizzate dopo il 2000. Ne facciamo una trattazione dettagliata in considerazione della capacità di raccogliere e metabolizzare quanto di meglio c’era in questo periodo nella cultura della Formazione Professionale, dando vita ad un’offerta organica di prima qualificazione, in cui sono coniugati aspetti innovativi di architettura istituzionale (anche intersistemici come, ad esempio, la possibilità di transizione dalla Formazione alla scuola media superiore e viceversa) con nuovi aspetti operativo-procedurali (ad esempio, gli strumenti per la valutazione degli apprendimenti e delle competenze acquisite). Per comprendere il valore di quanto progettato, sperimentato e messo a regime dalla Provincia in particolare per quanto attiene i rapporti Scuola e Formazione Professionale si consideri le discussioni estenuanti (e inconcludenti) in Parlamento, sul problema della possibilità di assolvere l’obbligo d’Istruzione anche nella Formazione Professionale. Il Progetto per la riqualificazione della formazione di base570 è stato avviato nel 1994, con una metodologia di ricerca-intervento che ha consentito di progettare, sperimentare, realizzare azioni di supporto e accompagnamento, monitorare, correggere le criticità, verificare i risultati, senza mai interrompere i processi, l’organizzazione del servizio, il rispetto delle scadenze e degli impegni verso l’utenza. Prende l’avvio da un Protocollo d’intesa sottoscritto dalla Provincia con le forze sociali con l’intento dichiarato, tra gli altri, di “mettere il sistema in grado di posizionarsi adeguatamente a fronte ad una ventilata riforma del sistema scolastico che prefigurava l’innalzamento dell’obbligo a 16 anni e rispetto al quale si volevano creare le condizioni per poterlo assolvere anche nella formazione professionale”. L’impianto iniziale, definito, progettato e sperimentato nel triennio 1994-97, è stato adattato (senza mai stravolgere la filosofia e l’impianto di base) ai cambiamenti del quadro normativo nazionale e degli indirizzi politici e culturali emergenti a livello europeo571. La scelta di fondo, già operata nel Protocollo d’intesa, è stata quella di prolungare da due a tre anni il percorso formativo e di articolare il biennio orientativo e po- 569 Cfr. volume II, p. 304 e ss. Con periodicità ricorrente l’Osservatorio ha prodotto la ricerca Esiti occupazionali dei qualificati dei centri di formazione professionale. 570 Per la descrizione del progetto ci rifacciamo “abbondantemente” a TURRINI O., Apprendimento permanente e dintorni in Professionalità n. 32 annuario 2012-2013. 571 Il progetto, oltre alla fase iniziale che stiamo descrivendo, viene rivisto una prima volta alla luce dell’avvento della “cultura delle competenze”, della riforma Berlinguer, dell’innalzamento dell’obbligo a 15 anni e dell’introduzione dell’obbligo formativo (1998-2002) e una seconda, a seguito del progetto di innovazione del sistema, della riforma Moratti (2003-2005) e degli accordi Stato-Regioni. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 437 438 livalente su aree macro professionali, seguito da un terzo anno per il conseguimento dell’attestato di qualifica. La filosofia che sottosta a questo impianto è quella di arricchire culturalmente il biennio ed al tempo stesso di migliorare la qualificazione professionale in uscita dal percorso, che potrà beneficiare di una maggiore consapevolezza dei fondamenti scientifici e tecnologici della professionalità e quindi di un’identità professionale culturalmente fondata. Inoltre, il biennio ha una forte valenza orientativa che favorisce una progressiva e guidata presa di coscienza delle scelte possibili da parte degli allievi, che a 14 anni scelgono solo il macrosettore di riferimento, mentre a 16 anni optano per una precisa qualifica o per il rientro nella scuola o nel lavoro. Infatti, il progetto trentino si muoveva nell’ottica che la Formazione Professionale fosse un sottosistema del più ampio sistema formativo o, come si dirà nel primo decennio del 2000, di Istruzione e Formazione. Nel ridefinirne l’intelaiatura si è dunque tenuto conto del fatto che bisognava garantire, dopo il biennio: – la possibilità di entrare o rientrare nel canale dell’Istruzione agli allievi che intendessero proseguire gli studi; – la possibilità di acquisire la qualifica mediante l’apprendistato a chi invece volesse entrare nel mondo del lavoro. I macrosettori previsti per il biennio sono 6 – industria e artigianato, terziario, alberghiero e della ristorazione, abbigliamento, servizi alla persona, grafico (cfr. Fig. n. 91) – mentre i percorsi di qualifica sono 18. Figura n. 90 - Struttura triennale della formazione di base nella Provincia Autonoma di Trento storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 438 439 Nel bienno il percorso formativo si articola in aree disciplinari comuni ed aree disciplinari di indirizzo. L’area comune (17 ore settimanali) è uguale per tutti i settori formativi572, in modo da consentire agli allievi del biennio di raggiungere uno standard di “apprendimenti culturali di base” che garantisca anche una pari dignità rispetto al biennio scolastico e quindi la spendibilità ai fini dell’eventuale assolvimento dell’obbligo. L’introduzione delle discipline rappresenta un novità rispetto al passato ed avviene secondo una logica di maggiore comunicazione con la scuola. Nel tradizionale corso biennale di qualifica le materie culturali venivano affrontate prevalentemente in un’ottica funzionale e strumentale al settore di qualifica. Il nuovo impianto intende invece garantire il dialogo tra l’area comune e di indirizzo, che concorrono insieme a creare una cultura professionale. Nell’area di indirizzo ci sono 4 ambiti disciplinari con una denominazione uguale in tutti i macrosettori: scienze, linguaggi e comunicazione, modelli organizzativi, tecnologie e processi operativi, per complessive 19 ore settimanali. I quattro ambiti disciplinari si differenziano all’interno di ciascun macrosettore per finalità, contenuti e durata. La denominazione individuata per queste aree è funzionale non solo ad un’omogeneità d’impianto, ma anche a dare un segnale di cambiamento sostanziale del percorso, per evitare che, dietro un apparente rinnovamento ci fosse una riproposizione diluita delle vecchie materie e dei vecchi contenuti. Nel corso della progettazione si è passati, previo accordo sindacale, ad un’impostazione dell’orario che da settimanale è diventata annuale, per complessive 1100 ore, suddivise come da figura. Il terzo anno di qualifica, articolato in moduli, acquista una particolare flessibilità, in quanto le qualifiche attivate sono rese costantemente coerenti con la dinamica del mondo del lavoro e del territorio, sia quanto a specializzazioni previste, sia quanto a specifiche competenze professionali promosse. La sua progettazione è stata realizzata attraverso questi tre passaggi: – la rilevazione e l’analisi del fabbisogno espresso dal sistema produttivo, che ha visto il coinvolgimento e la testimonianza di 230 imprese dei vari comparti economici; – l’individuazione delle caratteristiche, in termini di conoscenze e competenze, dei profili professionali che hanno portato ad identificare 18 qualifiche professionali approvate dal Comitato provinciale di Programmazione della Formazione Professionale; – la definizione, sulla base dei profili professionali di riferimento, degli obiettivi e dei contenuti dei singoli percorsi di qualifica a partire da quelli previsti nei primi due anni. 572 L’area comune comprende: italiano, storia, diritto ed economia, matematica, lingua straniera, oltre a educazione fisica e religione. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 439 440 Figura n. 91 - Struttura del Biennio della Formazione di base nella Provincia Autonoma di Trento storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 440 441 L’articolazione del terzo anno prevedeva tre aree: a) un’area di “cultura professionale e contesto organizzativo”, la cui durata poteva variare, a seconda delle qualifiche, dalle 100 alle 200 ore annue, che comprendeva 6 moduli obbligatori per tutte le qualifiche573; b) un’area “professionale” (la cui durata poteva variare a seconda delle qualifiche da 700 a 800 ore annue), costituita da un’area tecnico-scientifica ed un’area operativa che prevedevano moduli obbligatori per tutte le qualifiche574; c) lo stage (della durata minima di 200 ore, aumentabili in relazione alle esigenze di ciascuna qualifica ed articolabili anche in più momenti) da collocare nelle diverse fasi del percorso formativo del terzo anno. I lavori si sono svolti con questi tempi575. Si è progettato il primo anno (1994), l’anno successivo lo si è sperimentato in forma generalizzata (1994-95) e contemporaneamente si è progettato il secondo anno. Nel 1995-96 si è sperimentato il secondo 573 I moduli erano legislazione sociale e del lavoro, cultura d’impresa e autoimprenditorialità, comunicazione e comportamenti professionali, igiene e sicurezza del lavoro, preparazione e rielaborazione dei risultati dello stage, ricerca attiva del lavoro. 574 I moduli erano: la conoscenza del processo produttivo, l’antinfortunistica in riferimento alla particolare qualifica professionale, la conoscenza tecnica della lingua straniera. 575 Tutto il ciclo del progetto è stato supervisionato da una Commissione istituzionale presieduta dall’Assessore alla Formazione Professionale e composta da rappresentanti della Provincia, degli Enti gestori, del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero del Lavoro. Per la progettazione del percorso sono state costituite commissioni tecniche, composte da insegnanti, da rappresentanti delle associazioni imprenditoriali e professionali, esperti. Prospetto n. 45 - Qualifiche acquisibili al terzo anno storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 441 442 anno e si è progettato il terzo. La progettazione del terzo anno ha comportato una consistente fase di analisi dei fabbisogni che ha messo a diretto confronto il mondo della formazione con le imprese, ai fini della definizione delle nuove qualifiche e del profilo professionale. Nel 1996-97 si è sperimentato il terzo anno. A giugno 1997 sono usciti i primi qualificati col nuovo sistema. Il progetto si è caratterizzato per una pluralità di fattori, di natura didattica e organizzativa: – l’adeguamento organizzativo e strumentale. Tutta la macchina organizzativa del Sistema della Formazione Professionale ha dovuto adeguarsi al nuovo impianto, dall’organizzazione dei rapporti con l’utenza e le famiglie alla gestione delle aule e dei laboratori; – l’orientamento come processo continuo. Esso è stato ripensato e dotato di strumenti coerenti. Per l’orientamento, sono state individuate una serie di tappe, che contrassegnano il percorso del triennio (cfr. Fig. n. 92): 1. La fase che precede l’iscrizione al Centro, nella quale vengono stabiliti i rapporti con la scuola media o con le scuole superiori nel caso di riorientamento degli allievi verso la Formazione Professionale, al fine di favorire una conoscenza e scelta consapevole del percorso della Formazione Professionale. 2. L’accostamento al Centro di famiglie ed allievi in vista dell’iscrizione, visto come fonte informativa dei bisogni di apprendimento ma anche di orientamento. 3. La fase dell’accoglienza nei primi giorni, volta a favorire i processi di identificazione con la scelta fatta; ad elaborare un bilancio iniziale delle risorse in termini di apprendimento professionale; nonché a sviluppare una corretta immagine nei confronti dei processi di Formazione Professionale ed in particolare di quello scelto. 4. La progettazione di percorsi di recupero e di rimotivazione per casi problematici, sia dal punto di vista dell’apprendimento, sia da quello personale (disorientamento) e familiare. 5. L’inserimento nel corso dell’attività formativa (con diversa valenza e calibratura nel biennio e nel terzo anno) di moduli o unità didattiche a valenza orientante576. 576 I moduli mirano a promuovere: a) una cultura del lavoro, sia come comprensione dei processi produttivi e dei sistemi organizzativi, sia come comprensione del territorio e delle opportunità di inserimento e di carriera lavorativa; b) una maturazione del senso di responsabilità (rispetto degli ambienti e delle attrezzature, sicurezza) e di ricerca del benessere (salute, buone relazioni) sul posto di lavoro; c) la comprensione e preparazione a un ruolo professionale vissuto in maniera positiva e partecipativa; d) lo sviluppo di valori e motivi che guidino e sostengano la scelta lavorativa (onestà, solidarietà, coscienza ecologica e sociale, apertura alla Formazione Continua); e) sviluppo di un atteggiamento proattivo aperto al protagonismo nella vita professionale (imprenditorialità, mobilità). storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 442 443 6. La registrazione alla fine del primo anno dell’emergere di un chiaro indirizzo nella scelta da compiere nel secondo anno, oppure di una fase ancora di incertezza e la progettazione di piani di intervento conseguenti. 7. L’individuazione di metodologie e strumenti per aiutare gli allievi nel corso del secondo anno a formulare realistiche e consapevoli scelte di percorso formativo. 8. L’elaborazione, alla fine del secondo anno, di un giudizio di orientamento, che dovrebbe avere un carattere vincolante sia per quelli che possono inserirsi nel contesto scolastico, sia per quelli che scelgono la qualifica, sia per quelli che possono venire indirizzati verso un percorso di apprendistato. 9. La fase dedicata a far emergere, nel corso del terzo anno, ulteriori problematiche riguardanti l’inserimento nel mondo del lavoro e l’acquisizione di una cultura professionale. 10. La fase delle azioni di sostegno e assistenza all’inserimento nel mondo del lavoro, dopo il conseguimento della qualifica. – La costruzione di un nuovo processo di valutazione degli apprendimenti e delle competenze. La valutazione è stata completamente reimpostata, sia metodologicamente sia per quanto riguarda la strumentazione specifica. Sono stati definiti i criteri per la valutazione (in ingresso, in itinere e finale), gli strumenti di certificazione e le modalità per l’esame di qualifica dove, anticipando la riforma della scuola, è stata introdotta la valutazione in centesimi. Si è cercato di introdurre Figura n. 92 - Tappe del percorso di orientamento nel triennio storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 443 444 una concezione della valutazione che aiutasse il sistema ad essere più promozionale che selettivo, soprattutto temendo il pericolo che l’introduzione di una più forte dimensione culturale comportasse maggiori difficoltà per un’utenza tradizionalmente debole, e quindi un aumento di ritiri e bocciature. Perciò la valutazione degli apprendimenti si connota come un processo basato sull’integrazione di tre fattori: i risultati delle prestazioni, l’osservazione da parte del docente, l’autovalutazione da parte dell’allievo. Tale processo parte dal bilancio iniziale delle risorse personali in termini di apprendimento professionale, si sviluppa durante il percorso formativo attraverso metodologie di osservazione e di raccolta di documentazione in un dossier per ciascun allievo, coinvolgendo l’allievo stesso nella sua costruzione e gestione, e consente di esprimere la valutazione finale mediante un supporto di documentazione che costituisca la base di un bilancio conclusivo e della comunicazione alle famiglie. In sostanza si è anticipato il concetto di portfolio, ora generalizzato anche nella scuola. Si è introdotta la distinzione tra diversi documenti di valutazione e le differenti funzioni che essi assumono (cfr. Fig. n. 93): la pagella (certifica pubblicamente e periodicamente i risultati conseguiti durante il percorso, sulla base di format e descrittori formalmente approvati dalla Giunta Provinciale - cfr. Prosp. n. 46)577; l’attestato di qualifica (per il quale si è adottato il format, a titolo sperimentale, dal Ministero del Lavoro)578; i documenti interni579; il portfolio (cartella che comprende una selezione dei lavori svolti dall’allievo e la loro valutazione)580. 577 Nel biennio, viene dato un giudizio relativamente alle aree disciplinari e un giudizio complessivo dell’area comune e dell’area d’indirizzo. Nel secondo anno la pagella include anche un giudizio di orientamento (verso il proseguimento degli studi o verso il percorso di qualifica o verso l’apprendistato) che diventa vincolante ai fini della possibilità di rientrare nel percorso scolastico. Particolarmente innovativa è stata la pagella del terzo anno. Coerentemente con l’impostazione progettuale, che ha rotto lo schema tradizionale delle discipline o ambiti disciplinari (che invece caratterizza il biennio e le relative pagelle), per il terzo anno si è adottata un’impostazione basata sulle competenze. Essa ha una notevole valenza comunicativa verso il mondo del lavoro; inoltre, ha implicato una diversa organizzazione delle procedure valutative degli insegnanti, poiché al conseguimento di determinate competenze concorrono contenuti che fanno riferimento a più docenti. 578 La definizione del nuovo attestato di qualifica ha comportato la messa in atto di una serie di strategie per valorizzarlo, in modo da fornire un valore aggiunto all’allungamento del percorso. A questo proposito sono state stipulate intese con il Ministero dell’Industria, con la Commissione Provinciale per l’Artigianato, con la Camera di Commercio, con le Ferrovie, con la Telecom che, di fatto, hanno equiparato l’attestato di qualifica rilasciato dalla Provincia di Trento al diploma dell’Istruzione professionale, ai fini dell’inserimento lavorativo. 579 In essi vengono riportati giudizi relativi ai risultati conseguiti da ciascuno e dai vari gruppi sulla base del processo formativo attivato, al fine di regolare meglio l’azione formativa del Centro e dei singoli docenti. 580 Il portfolio o dossier, inteso sia come strumento di valutazione, che di autovalutazione ha valenza più o meno ufficiale a seconda di come è organizzato e gestito; può essere progettato, organizzato e valutato dal docente stesso, o dal docente e dall’allievo in collaborazione, o dall’allievo in maniera più autonoma. Il portfolio può essere inteso come portfolio di lavoro, riferito a singole discipline, utilizzato durante il quadrimestre e facilmente accessibile agli studenti; oppure come dossier permanente, riferito a singole discipline o a tutte le discipline, che include una parte significativa della documentazione raccolta e che è base di riferimento per la valutazione di fine quadrimestre o di fine anno. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 444 445 – La programmazione di Centro. Si è introdotto il concetto (anch’esso anticipatore del POF: Piano dell’Offerta Formativa) di una programmazione a livello di Centro di Formazione Professionale, verificabile da parte della Provincia, con il Figura n. 93 - Documenti per la valutazione e certificazione degli apprendimenti e competenze Prospetto n. 46 - Struttura della pagella del terzo anno storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 445 446 compito di adattare e concretizzare il programma formativo in base alle specificità del Centro581. – L’introduzione di una funzione organizzativa nuova: il coordinatore della sperimentazione, con il compito di accompagnare e supportare le équipes di docenti sia per l’aspetto didattico che per quello organizzativo, tenendo i rapporti con i coordinatori degli altri CFP e con gli eventuali esperti esterni. – La formazione dei formatori. Consistenti attività formative sono state organizzate per mettere tutti i docenti in grado di conoscere e condividere il nuovo impianto e i nuovi programmi (ordinamenti didattici). Un ulteriore elemento innovativo è stato il collegamento con il Sistema scolastico. In Provincia di Trento, prima del Progetto di riqualificazione, veniva attivato da parte del Sistema della Formazione Professionale un anno cosiddetto “di raccordo con la scuola”, successivo al conseguimento della qualifica biennale, che consentiva, previo esame, il rientro nel quarto anno degli Istituti Tecnici. Durante la progettazione del secondo anno della Formazione Iniziale (1995) si è constatato che l’articolazione del biennio, così come si andava a configurare, presentava caratteristiche tali da poter garantire, pur nella specificità dei metodi e dei contenuti della Formazione Professionale, l’acquisizione di competenze valide, come “credito formativo” (a quel tempo non era ancora usuale il termine di credito formativo), sul versante del Sistema scolastico, e quindi valide per prevedere il rientro nell’Istruzione Secondaria superiore, rispetto a quegli indirizzi che avevano analoga strutturazione di corso di studi (un biennio ed un triennio). Per verificare questa possibilità di passaggio è stata costituita, su richiesta della Provincia, con decreto del Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione generale Istruzione Tecnica), una commissione paritetica Provincia-Ministero, che ha effettuato uno studio comparato sui programmi ed un’indagine specifica sulla preparazione degli allievi della Formazione Professionale e dell’Istruzione Tecnica. Sono state elaborate delle prove, a cura dell’IPRASE (Istituto Provinciale Ricerca e Sperimentazione Educativa), che sono state somministrate agli allievi delle prime classi del settore industria e artigianato e dell’istruzione tecnica industriale. Dall’indagine è emerso che il 25% degli allievi della Formazione Professionale aveva ottime probabilità di inserimento positivo nella scuola, avendo le stesse capacità degli allievi dell’istruzione tecnica. Su queste basi si è pervenuti alla sottoscrizione nell’ottobre del 1995 del Protocollo d’intesa tra la Provincia Autonoma di Trento ed il MPI - Direzione Generale Istruzione tecnica, che prevedeva la possibilità di transitare dal secondo anno del 581 Per consentire una reale contestualizzazione del progetto formativo nell’ambito del CFP, le migliori condizioni didattiche nella realizzazione del percorso, la possibilità di personalizzare l’intervento rispetto alle caratteristiche e al bilancio delle risorse dei ragazzi, viene assegnato un ulteriore budget di risorse, in termini di monte ore annuo aggiuntivo (piuttosto consistente) per ogni CFP, che può essere utilizzato in modo flessibile, modulare, in base alle necessità che si presentano in corso d’anno, secondo criteri didattici ed organizzativi definiti nella programmazione del Centro. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 446 447 biennio del macrosettore dell’industria e artigianato al terzo anno degli Istituti Tecnici Industriali e degli Istituti Tecnici per Geometri. Nel novembre 1996 è stato sottoscritto un secondo protocollo tra le stesse parti, che prevedeva di allargare la possibilità di transito dal macrosettore terziario agli Istituti Tecnici Industriali582. La realizzazione sperimentale del passaggio dalla Formazione Professionale all’Istruzione Tecnica in attuazione dei Protocolli d’Intesa ha visto lo sforzo congiunto di individuare modalità operative, che ne cogliessero appieno e ne valorizzassero lo spirito: modalità nuove per cui il passaggio non avveniva più tramite un esame, ma un colloquio583. Gli allievi transitati all’Istruzione Tecnica si aggiravano intorno all’8% degli iscritti al secondo anno della Formazione Professionale di base. Pur non essendo esplicitamente previsto nei Protocolli d’Intesa nella fase attuativa si è introdotto il principio della reciprocità, ossia sono stati definiti, in accordo con la Provincia e la Sovrintendenza scolastica, dei criteri per favorire la transizione dal Sistema scolastico a quello della Formazione Professionale. Tali criteri, ispirati alla filosofia del bilancio delle competenze, sono stati definiti con una circolare a firma congiunta dell’Assessore alla Formazione Professionale e del Sovrintendente scolastico provinciale. Ciò valorizza la pari dignità dei due Sistemi e consente di superare la tradizionale e negativa definizione di “drop-out”, recuperandola in positivo nella logica dei crediti formativi. Gli allievi transitati dalla Scuola Secondaria superiore alla For- 582 La possibilità di rientro non è generalizzata, ma è condizionata da alcuni vincoli: a) gli allievi devono risultare promossi ed avere formalizzato nella pagella un giudizio di orientamento favorevole al rientro scolastico; b) gli allievi devono superare positivamente un colloquio, con cui si effettua un bilancio dei livelli di apprendimento già documentati nella propria cartella personale (portfolio). Non un esame di ammissione, quindi, ma un momento di verifica complessiva. Il colloquio è effettuato presso il Centro di Formazione Professionale dell’allievo alla presenza di una commissione paritetica costituita dal Preside e da un docente dell’Istituto Tecnico di destinazione, designati dalla Sovrintendenza scolastica provinciale e dal Direttore e da un docente del CFP di provenienza, designati dalla Provincia. 583 Ciò ha significato affrontare due ordini di problemi, uno culturale, per superare le diffidenza dall’una e dall’altra parte, l’altro tecnico, per configurare il colloquio che consente la transizione in modo tale che diventasse un momento di verifica dell’effettivo orientamento e non un esame. Per risolvere il primo problema si è avviata una nuova fase di dialogo e collaborazione tra Sistemi, non abituati a confrontarsi. A questo fine sono stati organizzati diversi incontri a valenza informativa/formativa con Direttori e docenti della FP e Presidi e docenti degli Istituti Tecnici, con la partecipazione dei componenti della commissione paritetica MPI e Provincia Autonoma di Trento, rappresentanti del Ministero della Pubblica Istruzione ed il Sovrintendente Scolastico Provinciale. Per il secondo problema è stato avviato un percorso che prevede un programma di incontri tra i docenti dei CFP ed i docenti degli Istituti Tecnici interessati, per un esame congiunto dei dossier degli allievi. Ciò avviene nel secondo quadrimestre, dopo che si è individuato il gruppo di allievi potenzialmente interessato al rientro nella scuola. Tali incontri consentono anche di individuare eventuali necessità di rinforzo o di approfondimento, da effettuare durante la seconda metà dell’anno formativo nella fase finale, secondo le necessità riscontrate. Questo percorso fornisce gli elementi necessari ai docenti del CFP per formulare un giudizio finale di orientamento, che risulta vincolante per l’ammissione al colloquio, come risultato di un processo di accompagnamento gestito in comune accordo tra CFP e Istituto Scolastico di destinazione dell’allievo. Il colloquio finale con la commissione paritetica, secondo le modalità previste dai Protocolli sottoscritti, ha di conseguenza prevalentemente la funzione di esplicitare la scelta e le motivazioni di rientro nel Sistema scolastico, attraverso un’autopresentazione ed un’autovalutazione da parte dell’allievo. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 447 448 mazione Professionale sono stimabili in circa il 20%. Conseguentemente, le modalità operative adottate nei CFP prevedono un colloquio di verifica delle motivazioni e dell’orientamento dell’allievo, che ha intenzione di inserirsi in un determinato macrosettore, o in una determinata qualifica professionale e la realizzazione di un bilancio delle sue risorse personali e delle sue conoscenze (utilizzando eventualmente anche strumenti quali test, prove pratiche, ecc.) al fine di individuare il livello di inserimento e le eventuali condizioni di ingresso (ad es. moduli specifici di recupero). In base ai risultati del colloquio con l’allievo, che risulta formalizzato in una apposita relazione del CFP, il Direttore decide l’inserimento in un particolare anno di corso e classe ed il tipo di supporto/integrazione eventualmente necessario per accompagnare l’inserimento nel processo formativo intrapreso. Il colloquio costituisce anche la modalità operativa per consentire il reingresso dei giovani che hanno maturato esperienze lavorative e che analogamente a coloro che interrompono gli studi secondari superiori maturano l’esigenza di proseguire nella formazione: in questo caso l’esperienza lavorativa fa parte del bilancio delle risorse personali del soggetto. Anche nell’ambito dell’ammissione di candidati privatisti all’esame di qualifica professionale viene assunto il principio del bilancio delle risorse e la valorizzazione delle esperienze di lavoro e di formazione per quanto concerne la parte di valutazione del percorso formativo pregresso, accanto alla realizzazione di un colloquio orale integrativo, che ha la finalità di accertare la conoscenza degli elementi fondamentali del profilo professionale della qualifica, e che viene effettuato prima della partecipazione alle prove d’esame previste per tutti i candidati (esterni ed interni). Nella Tabella 53, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico (articolato in comparti/aree professionali) negli anni 1990-91 e 1995-96. Da un punto di vista macrosettoriale, nei due anni formativi presi a riferimento, i corsi più numerosi sono quelli del terziario, seguiti da quelli dell’industria-artigianato e in terza posizione, ma con dimensioni molto contenute, l’agricoltura. Il peso dell’industria-artigianato e del terziario aumenta di circa tre punti dall’inizio del decennio al 1995-96, a discapito dell’agricoltura; anche se tutti e tre i macrosettori diminuiscono in valori assoluti (agricoltura –39 corsi; industriaartigianato –60; terziario –105). Le prime due posizioni del settore industria e artigianato sono occupate da Meccanica e metallurgia (71 corsi) ed Elettricità ed elettronica (44 corsi) nel 1990-91, da Edilizia (71 corsi) e Meccanica (59 corsi) nella programmazione 1995-96. Anche nel terziario accade lo stesso fenomeno: la prima posizione è tenuta in tutte e due gli anni dall’area Lavori d’ufficio (rispettivamente con 91 e 74 interventi), cambia il secondo posto, dove l’area dell’Informatica (66 corsi) sostituisce il settore della Ristorazione. Se analizziamo le variazioni più importanti a livello di settori e aree professionali rileviamo la situazione descritta dal Grafico 75. Nel macrosettore industria e artigiantao la maggior parte di loro subiscono dei decrementi, alcuni (Elettricità ed elettronica e Abbigliamento) molto accentuati. Solo l’artigianto artistico fa registrare un’impennata con un +53 corsi. Più equilibrata la situazione del settore terziario, storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 448 449 dove però i dati vengono in qualche modo “inquinati” dal collasso totale dei corsi precedentemente registrati sotto la voce Varie. Notevoli, comunque, gli aumenti dell’Informatica (+37 corsi) e dell’area dei Servizi socio-educativi (+29 corsi). La formazione per l’utenza adulta ha il primato sia all’inizio che a metà degli Anni ’90, rispettivamente con 49,7% e il 47,6% (cfr. Graf. n. 76). Quest’ultimo dato si scompone in 41,7% di occupati e 5,9% di disoccupati. Nel 1995-96 la prima qualificazione guadagna 2 punti percentuali rispetto a cinque anni prima, mentre il secondo livello regredisce in maniera vistosa, passando da circa il 9% ad un residuale 2%. Raddoppia il suo peso la categoria dei corsi speciali (grazie soprattutto ai corsi per l’acquisizione di patenti di mestiere o comunque previsti da particolari norme nazionali o regionali, che rappresentano il 12,2% rispetto allo 0,4% dell’altro seg- Tabella n. 53 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) * 10 corsi non sono classificabili (la tipologia formativa non è desumibile dai Piani) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.47 Pagina 449 450 mento di questa tipologia, costituito da interventi a favore di categorie deboli). In Provincia di Trento la Formazione Continua (in questi anni, nel lessico comune, comprende sia occupati che disoccupati adulti) è sempre superiore alla media nazionale: 49,7% nel 1990-91 rispetto a 45,1% del dato nazionale e 47,6% nel 1995-96 rispetto al 45,1%. Grafico n. 74 - Variazioni del peso percentuale dei macrosettori nella programmazione 1990-91 e 1995-96 Grafico n. 75 - Variazioni del numero di corsi in alcuni settori e aree professionali dell’Industria e artigianato e terziario storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.48 Pagina 450 451 Nel 1990-91 gli allievi previsti ammontavano a 11.610 e rappresentavano il 3,9% della popolazione attiva (14-60); i 4.457 allievi della prima qualificazione costituivano il 24,8 % della leva dei 14-16enni584. Ad inizio decennio le rilevazioni Isfol dai Piani di attività censivano 53 sedi, di cui 34 CFP (cfr. Tab. n. 54). Il rapporto tra CFP a titolarità pubblica e quelli di soggetti convenzionati-privati è di 14,7% e 85,3%, mentre la media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sul 9,95 (12,5 area pubblica e 8,55 area convenzionata privata). Tra questi ultimi l’ENAIP fa registrare di gran lunga la presenza più consistente e capillare (Tesero, Ossana, Varone di Riva, Villazzano, Tione, Cles, Arco, Valsugana, Fiera di Primero e Trento). Degni di menzione sono: l’Istituto Agrario “San 584 La popolazione attiva ammontava a 293.700; i 14-16enni a 17.949. Cfr. Geo-demoista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 76 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa. ff. 1990-91 e 1995-96 Tabella n. 54 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.48 Pagina 451 452 Michele Alto Adige”585 e l’Università Popolare Trentina586 (Arco, Trento, Tione, Cles), la Cassa e Scuola Edile e l’ANNFAS (con una disseminazione di laboratori nelle sue strutture di accoglienza per portatori di handicap). Espressione dell’impegno cattolico sono: l’Istituto Pavoniano degli Artigianelli (Trento), l’Opera A. Barelli587 (Rovereto e Levico), l’Istituto Suore Canossiane (Trento), l’Istituto Beata Vergine Maria (Rovereto). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 77 gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1990 (66,2 miliardi di lire) e del 1997 (127,6 miliardi); la media del periodo è pari a 92,8 miliardi. Ottima la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) pari al 94,1%: la migliore performance del nostro Paese; superiore alla media italiana (77,1%) di ben 17 punti. 585 L’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (IASMA), oggi “Fondazione Edmund Mach” (FEM) è stato fondato dal Parlamento della Regione austro-ungarica del Tirolo, con sede a Innsbruck, il 12 gennaio 1874. L’Istituto aveva lo scopo di promuovere una rinascita dell’agricoltura tirolese ed ebbe come primo direttore Edmund Mach. Nel 1990 è stato costituito come Ente provinciale con L. prov. n. 28 del 5 novembre 1990. 586 Il Centro di Formazione Professionale dell’Università Popolare Trentina nasce nel 1982 nell’ambito dell’Università Popolare Trentina, un’associazione culturale operante fin dal secondo dopoguerra e che ancor oggi organizza e propone corsi destinati per lo più ad adulti. 587 Ha le sue origini nell’Associazione “Opera per l’assistenza e la preparazione professionale della donna” che, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, avvia a Rovereto una “scuola-laboratorio” con lo scopo di offrire un’occupazione e un punto di riferimento a giovani donne in precarie condizioni economiche e familiari. La piccola scuola, presto supportata da una Casa Alloggio, cresce rapidamente in dimensioni e qualità. Nel 1952 è riconosciuta “Centro di Addestramento” dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Nel 1964, l’Associazione privata si trasforma in Ente Pubblico di Assistenza e Beneficienza. Nel 1968 viene inaugurata l’attuale sede di Rovereto, con annesso convitto, e nel 1975 è aperta la sede distaccata di Levico Terme. Grafico n. 77 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (1990-97) storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.48 Pagina 452 453 La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 275.421 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 427.020 lire. Nel primo caso è superiore alla media italiana (93.951 lire) di oltre 333.000 lire, nel secondo è superiore al dato nazionale (99.534 lire) di 327.000 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari a 2,4%, superiore alle media nazionale che fa registrare l’1,39%. In una classifica delle “prestazioni” regionali rispetto a questi tre indicatori la Provincia di Trento si posizionerebbe rispettivamente al terzo posto per la spesa per abitante, al secondo per la spesa rispetto alla forza lavoro e al quinto posto per la spesa della FP rispetto alla spesa totale. storiaFORMAZ3-3_storiaFORM1 28/05/14 12.48 Pagina 453 454 8.8. Regione Veneto Il Veneto è una delle nove Regioni che nel periodo considerato da questo volume si dotano di una nuova Legge organica: L. reg. 30 gennaio 1990, n. 10 - Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro588 (cfr. Fig. n. 94). Legge paradigmatica di quelle concepite ed emanate tra la fine degli Anni ’80 e la prima metà degli Anni ’90 e che rientrano nelle cosiddette Leggi di seconda generazione che si caratterizzano, rispetto a quelle emanate a ridosso della Legge quadro, per una considerazione della Formazione Professionale come parte integrante del sistema delle politiche del lavoro e interagente con le altre componenti di questa politica (informazione, orientamento al lavoro e misure per la promozione dell’occupazione). Come alcune Leggi di seconda generazione, la L. reg. n. 10/90 si presenta con questa struttura: a) Previsione di una programmazione unitaria di tutte le componenti della politica del lavoro; b) Regolamentazione di ciascuna componente589. La Regione adotta un programma triennale che stabilisce: a) gli obiettivi degli interventi rispetto al programma regionale di sviluppo; b) le tipologie di intervento della Formazione Professionale, dell’informazione e dell’orientamento al lavoro, della politica del lavoro e delle iniziative non ricorrenti dell’Osservatorio del mercato del lavoro e della professionalità; c) l’ammontare delle risorse e la ripartizione tra i vari interventi (cfr. Fig. n. 95). 588 Cfr. B.U.R. VENETO, n. 8/1990. 589 Al Titolo II ordinamento della formazione professionale, al Titolo III informazione e orientamento al lavoro, al Titolo IV interventi regionali di politica del lavoro e di promozione. Figura n. 94 - Componenti della politica del lavoro (L. reg. 10/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 454 455 La Giunta regionale attua il programma triennale attraverso la predisposizione di piani annuali all’interno dei quali può prevedere variazioni che non incidano sulle scelte fondamentali del programma. Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale con la nuova proposta di programma una relazione sui risultati di quello precedente. Nella formazione del Programma triennale entrano in gioco due soggetti: uno politico e l’altro tecnico. Quello politico è rappresentato da un Comitato interassessorile, denominato Gabinetto economico590, chiamato a garantire il coordinamento di tutti gli interventi e la congruità con il Programma Regionale di Sviluppo, opera all’interno della Giunta regionale e si avvale della consulenza di un comitato tecnico scientifico composto da un numero non superiore a 7 esperti nominati dalla Giunta regionale. La Legge specifica che spetta al Gabinetto economico elaborare la proposta del Programma triennale e di sovrintendere alla sua attuazione (art. 3, comma 4). Il soggetto tecnico, invece, è rappresentato dal Servizio di programmazione e valutazione per le politiche formative, istituito all’interno del Dipartimento per il coordinamento delle attività formative. Ad esso spetta “predisporre gli elementi utili alla elaborazione del programma triennale” (art. 4). Inoltre, per assicurare al Piano triennale una base conoscitiva tecnico-scientifica l’Osservatorio regionale del mercato del lavoro e della professionalità, con un’attività sistematica, rileva dati, svolge analisi, proiezioni e previsioni e diffonde informazioni relative alle dinamiche della domanda e dell’offerta e del sistema produttivo e formativo591. Tale struttura opera sulla base dei programmi indicati dal Gabinetto economico, ed è inserita nel Dipartimento Piani e Programmi. Se si considera il numero di soggetti che partecipano alla formazione del Programma e la diversa loro collocazione nell’organigramma del Governo regionale si può affermare che la programmazione triennale, nella Regione Veneto, è un atto collegiale della Giunta. Al termine di ogni triennio, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale con la nuova proposta di programma una relazione sui risultati di quello precedente. 590 È presieduto dal Presidente della Giunta regionale ed è composto dagli assessori ai quali sono affidate le materie: bilancio e programmazione, formazione professionale, lavoro. 591 Cfr. Art. 5 - Osservatorio del mercato del lavoro e della professionalità. “All’Osservatorio sono attribuite le seguenti funzioni: a) rilevazione ed elaborazione dei dati sulle unità produttive e l’attività economica, sullo stato dell’occupazione e della disoccupazione, sui flussi delle forze di lavoro e della popolazione; b) rilevazione ed elaborazione dei dati sulla popolazione scolastica e universitaria e sui connessi flussi al lavoro e alle attività di formazione professionale; c) rilevazione ed elaborazione dei dati sulle attività in materia di informazione e orientamento al lavoro, formazione professionale e interventi di sostegno all’occupazione; d) raccolta dei dati sulle dinamiche di domanda e offerta rilevabili presso le sedi delle sezioni circoscrizionali per l’impiego; e) svolgimento di analisi, proiezioni e previsioni sull’andamento del mercato del lavoro e sulla dinamica delle professioni, anche al fine di fornire elementi per la definizione delle politiche regionali in tema di occupazione, formazione professionale e sostegno all’occupazione; f) pubblicazione e diffusione di dati informativi, nonché di studi e ricerche sulle materie previste nelle lettere precedenti”. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 455 456 La predisposizione del piano annuale, attuativo del programma triennale, spetta alla Giunta regionale, che interpella per un parere la Commissione consiliare competente; il piano può prevedere variazioni che non incidano sulle scelte fondamentali del programma. Le norme che riguardano i soggetti che possono realizzare interventi formativi (art. 9) riproducono la distinzione classica tra gestione diretta (Giunta regionale nei propri CFP) e gestione convenzionata. Figura n. 95 - Processo programmatorio (L. reg. 10/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 456 457 In questa seconda categoria rientrano gli Enti od organismi della L. n. 845/78 (che possono avvalersi anche degli apporti delle imprese), le associazioni di impresa, le imprese e loro consorzio (che possono avvalersi degli apporti degli Enti), gli Istituti di Istruzione Secondaria superiore. La Legge, inoltre, prevede per la Regione la possibilità di convenzionarsi o di consorziarsi con Università, Centri di Ricerca, Istituti di Formazione, Camere di Commercio, Enti di promozione settoriale, associazioni di imprese e loro consorzi per interventi formativi rivolti a coloro che intraprendono un’attività di imprenditoria, o per l’acquisizione di capacità manageriali o di professionalità orientate all’innovazione (cfr. Fig. n. 96). Regione ed Enti operano normalmente attraverso i CFP. E come in ogni Legge di seconda generazione che considera la FP come strumento della politica del lavoro, programmata secondo una visione unitaria insieme agli altri strumenti e in interazione con essi, nella L. reg. 10/90 il CFP non è solo luogo di realizzazione dell’intervento formativo ma è sede in cui si erogano una pluralità di servizi connessi alle politiche del lavoro: informazione e orientamento al lavoro, osservazione del mercato del lavoro, assistenza e consulenza a favore delle imprese e di terzi. Anche per quanto riguarda l’intervento formativo, nella visione del CFP delle Leggi di seconda generazione, non ci si limita al momento attuativo (il corso), ma si realizzano tutti i processi che precedono e seguono la realizzazione del percorso for- Figura n. 96 - Soggetti gestionali (L. reg. 10/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 457 592 Cfr. vol. II, p. 230 e ss. 458 mativo: in particolare quelli legati alla progettazione dell’intervento e alla verifica del risultati. Tutti questi elementi che connotano il nuovo modello di CFP, denominato “agenziale”592 si ritrovano nell’art. 10: “Nell’ambito di tali azioni i centri possono essere sede di sviluppo dell’offerta formativa, di sperimentazione didattica e organizzativa, di progettazione formativa, di assistenza e consulenza a favore delle imprese e di terzi, di verifica delle azioni intraprese. I centri possono svolgere compiti di informazione e orientamento al lavoro e di osservazione del mercato del lavoro, anche al fine di realizzare una equilibrata distribuzione territoriale dei propri servizi”. Il testo parla di progettazione formativa. Infatti, ogni azione formativa, anche quelle di carattere ricorrente, deve essere predisposta mediante l’elaborazione di un apposito progetto che indichi: a) il raccordo con la domanda formativa del territorio e le relative possibilità occupazionali; b) i requisiti di partecipazione, le modalità di selezione e le eventuali azioni di orientamento richieste; c) gli obiettivi che si intendono raggiungere; d) le risorse necessarie, anche in termini di personale; e) le attività didattiche e valutative (continue e finali) previste e la loro articolazione; f) eventuali forme di alternanza formazione-lavoro presenti; g) il piano dei costi. Prospetto n. 47 - Tipologia di attività formative ed utenti previsti dalla legislazione veneta storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 458 459 L’unica legge che il Veneto emana nel periodo di riferimento di questo volume, oltre naturalmente alla n. 10/90, è la L. reg. 30 aprile 1990, n. 34593 che prevede per i CFP pubblici la possibilità “in caso di assoluta necessità e per specifiche esigenze didattiche e organizzative, di instaurare rapporti di collaborazione professionale con esperti, esterni all’amministrazione regionale; rapporti che non potranno avere una durata superiore alle singole attività formative di riferimento”. Nella Tabella 55, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico (articolato in comparti/aree professionali) negli anni 1990-91 e 1995-96. Il sistema classificatorio delle tipologie formative utiliz- 593 Legge regionale 30 aprile 1990, n. 34 Instaurazione rapporti a collaborazione professionale con personale esperto di formazione professionale in B.U.R. VENETO, n. 34/1990. Tabella n. 55 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 459 460 zato dall’Isfol, almeno per l’annualità 1991, ha una articolazione molto sintetica (primo e secondo livello, attività per adulti e corsi speciali, comprensivi di attività a favore di disabili e corsi per il conseguimento di patenti di mestiere o certificati di abilitazioni, regolati dalla normativa). Da un punto di vista macrosettoriale nella prima annualità il settore prevalente è l’agricoltura a causa di un numero di corsi per adulti (e quindi di breve durata) eccezionale (633 pari al 40,6% del volume corsuale complessivo), seguita dal terziario (32,7%) e dall’industria e artigianato o terziario (26,7%). Nel 1995-95, che riflette andamenti più in linea con i valori medi di quegli anni, il macrosettore industria e artigianato fa registrare i valori più alti (53,4%) distanziando il terziario (45,7%) di quasi 8 punti mentre l’agricoltura fa registrare un residuale 0,8%. Più significativo del dato precedente è quello che scaturisce dal confronto tra le due annualità prese a riferimento per quanto riguarda i settori. Nell’uno e altro anno le prime due posizioni del settore industria e artigianato sono occupate da meccanica e metallurgia e elettricità ed elettronica. Insieme rappresentano l’80% dei corsi del settore secondario nel 1990-91 e il 66,6% del 1995-96. In questa seconda annualità, dove l’industria e artigianato aumenta in valori assoluti di 110 corsi, si verifica una espansione considerevole del settore dell’artigianato artistico (+51 corsi, 34 in più nella prima qualificazione e 23 destinati ad un’utenza adulta) della grafica cartografica e cartotecnica (+23 soprattutto, a causa dell’incremento di interventi per adulti). Più fluida la situazione tra le due annualità nel settore terziario, che aumenta in valori assoluti di 239 corsi, passando da 300 a 539, e che fa registrare aumenti quasi generalizzati da parte dei comparti ed aree professionali che lo compongono; infatti flettono solo il comparto attività promozionali e pubblicità e cooperazione, in maniera contenuta (rispettivamente da 20 a 17 e da 4 a 0) ed ecologia e ambiente, in modo più rilevante (da 10 a 2). Discreti gli aumenti delle aree professionali lavori d’ufficio (da 163 a 198) e informatica (da 18 a 53) grazie ad un incremento delle attività formative destinate ad un’utenza adulta e del comparto della ristorazione (da 32 a 46 corsi) determinato soprattutto da un maggior numero di corsi di prima qualificazione. Eccezionale nelle dimensioni e per la tipologia formativa l’aumento del comparto acconciatura ed estetica. Infatti passa da 5 a 101 corsi di cui 82 in più nel primo livello. Cospicuo anche l’aumento del comparto socio-educativo (da 2 a 59) per un notevole apporto sia dei corsi di prima qualificazione (da 0 a 21) che dei corsi speciali (da 0 a 36). Per quanto riguarda la distribuzione dei corsi per tipologia formativa, le variazioni tra le due annualità riguardano sia le posizioni in classifica, per usare un’immagine calcistica, che i distacchi (cfr. Graf. n. 78). Nell’anno formativo 1990-91 in prima posizione ci sono i corsi per adulti con il 45%. Ma qui il dato è fortemente condizionato dai 633 interventi a favore degli adulti che lavorano nell’agricoltura (che verosimilmente si esaurivano in qualche decina di ore). Nonostante questa “presenza ingombrante” i 644 corsi di prima qualificazione rappresentano il 41%. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 460 461 In terza posizione troviamo i corsi speciali (patenti di mestiere e abilitazioni professionali regolati da norme e interventi per le c.d. fasce deboli) con l’8% e, infine, le attività formative per diplomati e laureati con il 6%. L’anno formativo 1995-96, che, come già detto, ci consegna una situazione più in linea con le altre annualità degli Anni ’90, presenta questo ordine decrescente: la qualificazione di base raggiunge il 70% di tutto il volume dei corsi programmati, seguita, con 51 punti percentuali di distacco, dai corsi per adulti che si fermano al 19%, dai corsi speciali al 10% e, fanalino di coda con appena l’1%, dai corsi di secondo livello (cfr. Graf. n. 78). In valori assoluti rispetto al 1990-91 si prospetta questa evoluzione: hanno avuto un incremento solo i corsi di base (+167), mentre sono diminuiti: di poco, i corsi speciali (–2); molto quelli del secondo livello (–81); quelli per adulti crollano da 693 a 228 (da ricordare, però, la presenza “anomala nel 1990-91 dei corsi agricoli). Le statistiche dell’Isfol ci consentono per questa annualità di dettagliare i dati (cfr. Graf. n. 79): tra gli 831 interventi di prima qualificazione l’80% dei corsi ha una durata biennale, quasi il 12% sono triennali o corsi post qualifica, mentre appena meno dell’1% sono annuali. Tutte le attività di II livello sono riservate a giovani diplomati, nessuna fa raggiungere una qualifica ma rappresenta solo una opportunità di acquisizione di competenze; un solo intervento è finalizzato al raccordo tra Formazione Professionale e Istruzione. Dei 228 interventi per utenza adulta, 88 sono per discoccupati (di cui 14 di qualificazione o riqualificazione e 74 di aggiornamento o specializzazione) e 140 per occupati (81 di qualificazione o riqualificazione e 59 di aggiornamento o specializzazione). Sotto la dizione “corsi speciali”, infine, sono compresi 75 corsi destinati a persone appartenenti alle cosiddette categorie deboli (portatori di handicap, detenuti, ecc.) e 37 sono finalizzati all’acquisizione di patenti di mestieri o abilitazioni professionali. Se confrontiamo questi ultimi dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri: la prima formazione in Veneto è al di sopra della media italiana (34,6%) di oltre 35 punti percentuali; il secondo livello, con il suo sparuto 1% è infe- Grafico n. 78 - Variazioni del peso percentuale dele tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.16 Pagina 461 462 riore di quasi 12 punti; le attività per adulti (19%) si distanziano dal valore nazionale (45,1%) di circa 26 punti e infine i corsi speciali, che rappresentano il 10% sono superiori al dato medio nazionale che si ferma al 7,5%. I 30.644 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,6% della popolazione attiva (14- 60 anni); i 12.951 allievi della prima qualificazione rappresentano lo 0,7% della leva dei 14-16enni594. Per quanto riguarda le sedi formative operanti in Regione abbiamo due serie di informazioni, entrambe di fonte Isfol; la prima è quella che censisce da Piani di attività il numero e la tipologia di struttura e fa riferimento all’a.f. 1990-91595; l’altra elenca tutti i CFP dell’a.f. 1992-93596. I risultati della prima indagine dell’Isfol sono riportati nella Tabella 56, da cui si possono trarre queste considerazioni: – la forte prevalenza delle sedi usate solo occasionalmente (85%) sulle sedi utilizzate in maniera continua ed esclusiva per le attività formative sta ad indicare un sistema abbastanza destrutturato e poco consolidato. Ma su questo dato pesano i 633 corsi del settore agricolo. Infatti, gli interventi in agricoltura sono di breve durata, con un carattere informativo e normalmente utilizzano sedi non destinate ad attività formative (alberghi, sedi di associazioni, ecc.); – la netta prevalenza della gestione convenzionata (81,6%) per quanto riguarda i CFP. 594 La popolazione attiva ammontava a 2.880.190; i 14-16enni a 181.392. Cfr. Geo-demo istat.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 595 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. 596 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. Grafico n. 79 - Corsi programmati per tipologia formativa (a.f. 1995-96) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 462 463 L’altra fonte di indagine (relativa all’a.f. 1992-93) censisce 89 CFP, di cui 17 regionali597 e 72 dell’area convenzionata. Gli 89 CFP sviluppano un volume di attività pari a 692 corsi; la media corsi per CFP è pari a 7,75. I centri regionali fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 7,41; leggermente superiore il valore dei CFP convenzionati pari a 7,86. Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP sono la FICIAP598 con 24 e l’ENAIP con 22 sedi. Seguono a grande distanza lo IAL della CISL, il CNOS-FAP dei Salesiani e l’ANFFAS (Associazioni Nazionale Fanciulli e Adulti Subnormali) con 3 sedi, il CIF (Centro Italiano Femminile) e il CIOFS delle Salesiane con 2. Meritano una menzione, anche se hanno un solo CFP: l’IRPEA (Istituti Riuniti Padovani di Educazione e Assistenza)599, la Provincia Padovana Frati Minori conventuali, l’Associazione la Nostra Famiglia a Conegliano (TV), l’Associazione Lepido Rocco a Motta di Livenza (TV), la Congregazione poveri Servi della Divina Provvidenza a Verona600, l’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo. Come si può dedurre anche dalle sigle la presenza di soggetti d’ispirazione e cultura cattolica sono di gran lunga la componente più consistente. 597 Situati a: Fonzaso (BL), Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (2), Chioggia, Mestre, San Donà di Piave (VE), Chiampo, Lonigo, Bassano del Grappa (VI), Vicenza, Bovolone, Zevio (VR), Verona. 598 È una federazione di Enti d’ispirazione cristiana. La sua origine risale nel Veneto al 1959 diffondendosi, in seguito, in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Basilicata e Abruzzo. 599 IRPEA istituto di ispirazione cristiana. Nasce nel 1985 come IPAB, con Decreto regionale n. 385 del 24 aprile 1985, dalla fusione di altre 3 IPAB, già antiche Opere Pie. “I Pii Conservatori, Soccorso e Gasperini” (1576), “I Pii Istituti San Rosa e Vanzo” (1598-1743) e l’“Istituto Camerini Rossi” (1869). Per salvaguardare l’integrità dei patrimoni e il proseguimento delle finalità istituzionali, il Vescovo di Padova era il Presidente. È diventata IPAB a seguito della Legge Crispi del 1890. L’Istituto si trasformera in Fondazione (il nuovo statuto è del 2003). 600 I Poveri Servi della Divina Provvidenza, o Opera Don Calabria, sono un istituto religioso maschile con Sede a Verona. La congregazione trae origine dalla Casa Buoni Fanciulli, fondata proprio a Verona nel 1907 dal sacerdote Giovanni Calabria (1873-1954), per l’assistenza all’infanzia povera e abbandonata. L’istituto è stato approvato definitivamente dalla Santa Sede il 15 dicembre 1956. Il fondatore, beatificato nel 1988, è stato proclamato santo il 18 aprile 1999 da Papa Giovanni Paolo II. Tabella n. 56 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 463 464 Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 80. Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1990 (142,5 miliardi di lire) e del 1995 e 1996 (542 miliardi); la media del periodo è pari a 265 miliardi e 475 milioni di lire. Mediocre la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 75,2%, inferiore, anche se di poco, alla media italiana (77,1%) e, in maniera marcata, alle Regioni del Nord (82,2%) dove solo la Liguria ha una performance peggiore (62,6%). Dai bilanci consuntivi del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 111,196 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 69.102 lire. Nel primo caso la spesa del Veneto è superiore alla media italiana di circa 17.000 lire, nel secondo è inferiore di circa 30.000 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Provincia è pari all’1,25% rispetto al valore medio italiano di 1,39%. Grafico n. 80 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (1990-97) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 464 465 601 Vol. II, p. 108 e p. 324. 602 L. Reg. 26 agosto 1991, n. 35 Modifiche ed integrazioni all’ordinamento della formazione professionale in B.U.R. 27/08/1991, n. 108, relativa all’erogazione del 90% dei contributi ai corsi di prima qualificazione ad approvazione del Piano avvenuta. 603 L. reg. 30 ottobre 1995, n. 41 Norme finanziarie in materia di formazione professionale in B.U.R. 08/11/1995, n. 45. 604 Vol. II, p. 322. 8.9. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Il Sistema di Formazione Professionale della Regione Friuli Venezia Giulia anche negli Anni ’90 continua ad avere come riferimento normativo più importante la L. reg. n. 76/82 Ordinamento della formazione professionale601. Nel periodo considerato da questo volume registriamo solo due Leggi che contengono, peraltro, solo norme di natura finanziaria: l’una riguarda la prima qualificazione602 e l’altra interessa l’I.R.Fo.P. l’Istituto Regionale di Formazione Professionale603 che rappresenta la componente pubblica nella gestione delle attività formative. Infatti, mentre nelle altre Regioni i CFP dell’INAPLI, ENALC ed INIASA sono diventati uffici periferici regionali, il Friuli ha adottato una soluzione diversa: ha trasferito il patrimonio degli enti nazionali disciolti, con contratto di comodato, ad un nuovo soggetto l’I.R.Fo.P. L’istituto, fino alla sua soppressione nel 2001, ricopre un ruolo importante nel Sistema formativo del Friuli Venezia Giulia per numero dei CFP, per numero di corsi e anche per qualità gestionale. Non sappiamo se questa qualità gestionale sia merito della formula organizzativo-istituzionale messa in campo dalla Regione, certo è che in Friuli registriamo una migliore performance della componente pubblica rispetto alla maggior parte delle altre Regioni. Dato questo ruolo è opportuno ripercorrere, in sequenza cronologica604, le vicende legislative che hanno interessato l’IRFoP, tenendo presente il contesto istituzionale particolare a causa dello statuto autonomo di questa Regione: – 1963: lo Statuto speciale prevede la potestà legislativa del Friuli Venezia Giulia in materia di “istruzione artigiana e professionale successiva alla scuola obbligatoria”; – 1965: la Regione esercita questa potestà emanando la L. reg. n. 35 che prevede la possibilità da parte della Regione di concorrere alle iniziative formative promosse dal Ministero del lavoro con l’erogazione di propri finanziamenti e contributi; – 1975: il D.P.R. n. 902 “trasferisce anche alla Regione Friuli Venezia Giulia le funzioni amministrative ed i compiti in materia di istruzione artigiana e professionale, già trasferiti alle Regioni a statuto ordinario”. E così il Friuli eredita anche il patrimonio di INAPLI, ENALC ed INIASA, rappresentato da 20 centri con circa 620 postazioni e più di 300 operatori; storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 465 466 – 1978: viene approvata la L. reg. n. 42605. È una normativa con preoccupazioni prevalentemente amministrativo-gestionali; un terzo dell’articolato fa riferimento alla costituzione e al funzionamento dell’I.R.Fo.P. L’istituto ha personalità giuridica di diritto pubblico (art. 27) “è strumento di attuazione del piano regionale della formazione professionale” (art. 29) ed ha come organi il consiglio di amministrazione (in cui sono rappresentati, secondo uno modello di relazioni industriali molto comune in quel periodo: l’istituzione regionale, le forze sociali, la componente tecnica e quella in rappresentanza del personale; cfr. Fig. n. 97), il presidente e il collegio dei revisori (art. 30); – 1978: la L. reg. n. 77606 inquadra il personale già dipendente dall’ENALC, INAPLI ed INIASA con effetto dal 1 luglio 1976, nel ruolo unico regionale; – 1982: la nuova Legge organica, la n. 76/82 incrementa il personale dell’I.R.Fo.P. di ulteriori 120 unità, reclutate tra il personale a tempo determinato (art. 48 e tabella). L’I.R.Fo.P. ha una presenza capillare sul territorio: ha CFP a Gorizia e Provincia (Grado e Gradisca d’Isonzo, a Pordenone (tre) e Provincia (Arba e Azzano Decimo) a Trieste (3), a Udine (una sede plurisettoriale con 70 corsi) e Provincia (Lignano 605 L. reg. n. 42, del 18 maggio 1978, Ordinamento della formazione professionale, in B.U.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, n. 40, del 19 maggio 1978. In attesa di un provvedimento organico come si configurava la n. 42, nel 1977, era stata approvata la L. reg. n. 1, del 10 gennaio 1977, Interventi in materia di formazione professionale, in B.U.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, n. 1, dell’11 gennaio 1977. 606 L. reg. Inquadramento nel ruolo unico regionale di personale in posizione di comando e trasferito alla Regione Friuli - Venezia Giulia, in B.U.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, del 27/06/1978, n. 056. Figura n. 97 - CdA dell’IRFOP storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 466 467 Sabbiadoro, Piano d’Arta, Paularo, Paluzza, Cervignano del Friuli, San Pietro Na.)607. La cura da parte della Regione della componente pubblica della gestione non va a scapito della componente privata. Lo dichiara apertamente la L. reg. n. 76/82 quando afferma di ispirarsi al “pluralismo istituzionale sociale e culturale” e lo dimostra la situazione rilevata dall’Isfol sulle sedi operative del Friuli nell’a.f. 1990- 91 (cfr. Tab. n. 57). Su 73 sedi il 71% appartiene all’area privata-convenzionata e su 49 CFP 36 sono degli Enti (73%). L’altra rilevazione Isfol sulla distribuzione CFP in Italia nell’a.f. 1992-93 censisce 44 CFP. Consistente la presenza di Enti, nazionali o locali, emanazione di sindacati o di soggetti che operano nel mondo del lavoro: lo IAL della CISL con 4 CFP a Pordenone e Aviano (PN), a Gemona e Codroipo (UD); l’ENAIP con 4 CFP, e normalmente, tutti con numerose attività: a Pasian di Prato (UD) con 88 corsi, due a Trieste (uno con 79 corsi e l’altro con 35) e a Pordenone; l’ENFAP della UIL con due sedi a Gorizia e Monfalcone. Rientra in questo gruppo anche la Scuola di Qualificazione per gli operai edili di Trieste608 e il CFP paritetico dell’ESMEA Ente Scuola Maestranze Edili ed Affini609. Ben rappresentata anche l’area di ispirazione cristiana 607 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 81-84. 608 È stata fondata nel 1960 con lo scopo di formare i ragazzi attraverso i percorsi di prima formazione. In una prima fase questa attività, finanziata dalla Regione, ha rappresentato l’unico ambito di azione dell’Ente. Successivamente la Scuola, per adeguare la formazione dei lavoratori alle normative in materia di ambiente e di sicurezza nei luoghi di lavoro, ha ampliato l’offerta avviando anche i percorsi per i liberi professionisti iscritti agli Ordini e ai Collegi collegati al settore. 609 Nel luglio 1949 viene costituita ad Udine la Cassa Edile di Mutualità ed Assistenza; tra gli scopi statutari dell’Ente rientrava anche l’Istruzione professionale delle maestranze edili che venne allora affidata ad un settore della Cassa, appunto la Scuola Maestranze Edili, che godeva di un’informale autonomia, ristretta alla sola gestione degli interventi formativi. Nel 1983, le Parti Sociali hanno riconosciuto la necessità di dare ai problemi della Formazione Professionale un ruolo centrale e svincolato rispetto ai compiti istituzionali della Cassa: viene così costituita l’ESMEA - Ente Scuola Maestranze Edili ed Affini della Provincia di Udine. Nel 2008 si è integrata con il Comitato Paritetico per la Prevenzione degli Infortuni e ha cambiato la propria sigla in C.E.F.S. - Centro Edile per la Formazione e la Sicurezza. Tabella n. 57 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 467 468 con 4 CFP di Casa Serena (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine) e con 1 dell’Opera Villaggio del Fanciullo (Trieste), della Fondazione Opera Sacra Famiglia610, del CNOS-FAP dei Salesiani (Udine), del CIOFS delle Suore salesiane (Trieste), della Casa dell’Immacolata (Udine). Da menzionare infine, due enti a carattere locale, ma con un forte radicamento nel territorio, come l’Ente friulano di assistenza a Cividale (con 43 corsi)611 o di servizio alla popolazione residente di lingua slovena612 come l’Istituto Regionale Sloveno Istruzione Professionale a Gorizia e a Trieste. Molto alto il rapprto CFP/corsi; la media regionale si attesta, infatti, sul 19,04% (20,27% I.R.Fo.P e 18,2% i CFP dell’area convenzionata). Nella Tabella 58, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96. Tra i due anni di riferimento c’è un aumento di 126 corsi: dell’incremento se ne avvantaggia soprattutto il terziario, che passa da 121 a 633 e che incamera anche le perdite del settore agricolo che flette da 141 a 150. Sostanzialmente invariato il numero dei corsi dell’industria e artigianato. Se disponiamo in ordine decrescente i 10 settori/aree professionali con più corsi del 1995-96 abbiamo il Grafico 81, da cui ricaviamo queste evidenze: solo due settori dell’industria rientrano in questa classifica, il meccanico e l’elettrico-elettronico; tra i primi tre (lavori d’ufficio, meccanica e informatica) e il quarto (elettricità ed elettronica) c’è una differenza di più o quasi 100 corsi. Rispetto al 1990-91 gli aumenti più sensibili sono rappresentati dalle aree professionali del lavoro d’ufficio (+103) e dell’informatica (+29) e dai settori meccanico- metallurgico e distribuzione commerciale (+27) e grafico (+14). Le diminuzioni più marcate sono costituite dai settori dell’elettricità-elettronica (–10), del tessile e dell’abbigliamento e calzature (–9). 610 La fondazione sviluppa le attività iniziate nel 1945 dall’Opera Sacra Famiglia Società di Mutuo Soccorso, Istruzione ed Assistenza Sociale. 611 Nel 1948 la Provincia cedette gli immobili di Cividale all’“Ente friulano Assistenza” di Udine, con l’incarico dell’educazione e dell’istruzione degli “orfani del Friuli e degli orfani dei profughi delle zone del confine orientale italiano”. Il numero dei giovani ospitati, orfani di guerra, orfani di lavoratori, ragazzi in situazione di disagio economico e psicologico, il cui ricovero era finanziato dal Ministero dell’Assistenza postbellica e dal Ministero degli Interni, arrivò in quegli anni a superare il migliaio. Accanto alla scuola elementare, la scuola di avviamento professionale e tecnica a indirizzo agrario, vennero istituiti anche dei nuovi corsi biennali per la qualificazione professionale di meccanici, elettricisti e falegnami, riconosciuti dal Consorzio provinciale per l’istruzione tecnica di Udine e alcuni anni dopo, nel 1955, venne fondato il Centro Addestramento Professionale. Nel 1970 cambiò per l’ennesima volta nome, diventando “Istituto Friulani per la Gioventù”. Gli allievi iscritti al C.A.P., a partire dal 1965, potevano alloggiare gratuitamente nell’istituto. 612 Lo sloveno è diffuso nella parte orientale della Regione a ridosso del confine con la Slovenia (circa 61.000 parlanti e possiede il riconoscimento del suo uso in sede amministrativa ufficiale nei 6 Comuni della Provincia di Trieste e in 8 Comuni su 25 della Provincia di Gorizia, nei quali vi sono scuole statali di ogni ordine e grado in lingua slovena (l’italiano viene studiato a parte, ma alla pari) e viene fornita la Carta d’identità bilingue. È inoltre riconosciuta in 18 Comuni su 136 della Provincia di Udine. La lingua slovena è tutelata dalla Legge statale 482/99 e dalla L. 38/01 del 23 febbraio 2001 Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli Venezia Giulia e dalla L. reg. n. 26 del 16.11.2007 Norme regionali per la tutela della minoranza linguistica slovena. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 468 469 Tabella n. 58 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e 1995-96) Grafico n. 81 - Settori ed aree professionali con maggior numero di corsi (a.f. 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 469 470 Importanti le variazioni tra le due annualità prese a riferimento per quanto riguarda la tipologia di formazione (cfr. Graf. n. 82). I corsi destinati agli “adulti” (420 occupati e 171 disoccupati) aumentano in valori assoluti (passando da 462 corsi a 591) e relativi (dal 50% al 57% di tutto il volume di attività del 1995-96). Diminuiscono sensibilmente gli interventi di I livello: da 293 a 181 e in valori percentuali dal 32% al 17%. Il decremento determina uno scostamento notevole dalla media nazionale (34,6%). Anche nel 1990-91 si registrava un gap con la media italiana, ma era più contenuto: 32% il dato regionale rispetto al 37% di quello nazionale. I 181 corsi del 1995-96 sono per lo più biennali (145); solo 7 gli annuali e 29 i triennali o post-qualifica. Il primo livello viene superato per numero di corsi anche dal II livello (dizione che comprende, lo ricordiamo, interventi per diplomati, per laureati e corsi di raccordo-integrazione) che fa un balzo da 38 a 188 interventi, grazie soprattutto ai corsi di raccordo (ben 114). Nessun intervento per i laureati. Degli 84 interventi del 1995-96 che sono registrati sotto la dizione “corsi speciali”, 35 sono destinati alle “categorie deboli” e 54 per esercitare attività per cui le leggi settoriali richiedono uno specifico percorso formativo. Grafico n. 82 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 Grafico n. 83 - Distribuzione del numero dei corsi e dei relativi allievi tra le Province storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 470 471 I 18.438 allievi del 1990-91 rappresentano il 2,4% della popolazione attiva (14- 60 anni); i 5.981 allievi della prima qualificazione rappresentano il 13,8% della leva dei 14-16enni613. Sempre per quell’a.f. la distribuzione provinciale dei corsi614 e di conseguenza il coinvolgimento del numero degli allievi riflette sostanzialmente il numero della popolazione attiva (14-60 anni) di ciascuna delle 4 Province del Friuli: Gorizia 2,3; Pordenone 2,4; Trieste 2,8 e Udine 2,1. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 84. Gli stanziamenti più bassi e più alti sono quelli del 1994 (49,3 miliardi di lire) e del 1995 (110,1 miliardi); la media del periodo è pari a 85 miliardi e 325 milioni di lire. Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 89,3%. Supera la media italiana (77,1%) di oltre 12 punti e quella del Nord (82,2%) di 7 punti circa. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 112.645 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 113.046. Nell’uno e nell’altro caso la spesa del Friuli Venezia Giulia è superiore alla media italiana, rispettivamente di 28.694 lire e di 13.512 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari all’1,16% rispetto al valore medio italiano di 1,39%. 613 La popolazione attiva regionale ammontava a 778.233; i 14-16enni a 43.345. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 614 La popolazione attiva di ciascuna Provincia ammontava a: Gorizia 90.226, Pordenone 181.450, Trieste 164.053, Udine 342.504. Grafico n. 84 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (1990-97) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 471 472 615 Nel periodo considerato da questo volume le Giunte regionali sono state formate con coalizioni di sinistra presiedute da Enrico Boselli (PSI) 1987-90, Pier Luigi Bersani (PDS) 1990-93 e 1995- 96 e Antonio La Forgia (PDS) 1996-99. 8.10. Regione Emilia Romagna La L. reg. n. 19 del 1979 Riordino, programmazione e deleghe della formazione alle professioni, la Legge organica di riferimento del Sistema formativo dell’Emilia Romagna615, rimane in vigore anche negli Anni ’90. Occorre ricordare che la n. 19 procedeva ad una doppia delega (cfr. Fig. n. 98): – alle Province e al Coordinamento di Rimini alcune funzioni amministrative: la formulazione ed approvazione di programmi pluriennali e dei piani annuali, la vigilanza, la promozione e la pianificazione degli interventi per l’occupazione giovanile, l’orientamento professionale, la stipula delle convenzioni, l’autorizzazione all’istituzione e gestione dei corsi liberi, l’erogazione dei contributi, la nomina delle commissioni d’esame, il rilascio dell’attestato di qualifica; – ai Comuni, invece, la gestione dei Centri di Formazione Professionale della Regione; l’istituzione e la nomina dei consigli di gestione sociale dei centri pubblici e convenzionati e la stipula delle convenzioni con le autorità scolastiche. Figura n. 98 - Il sistema delle deleghe nella L. reg. n. 19/79 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 472 473 L’unica Legge degli Anni ’90, la L. reg. 7 novembre 1995 n. 54 Riordino della funzione di gestione delegata ai comuni in materia di formazione professionale616 entra in questa materia apportando considerevoli modifiche: 1) i Centri di Formazione Professionale della Regione cessano di essere strutture organizzative regionali e passano alla competenze dei Comuni, individuati dalla Giunta Regionale in relazione all’ubicazione dei CFP; 2) i CFP trasferiti ai Comuni possono essere trasformati, secondo quanto prevede la Legge sull’Ordinamento delle autonomie locali (L. n. 142/90)617, in diverse forme di gestione (cfr. Fig. n. 99): - enti pubblici di gestione: aziende speciali618 e istituzioni619; - società per azioni o a responsabilità limitata620. I Comuni e le Province, per una gestione associata dei CFP, possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali. Al consorzio possono partecipare altri Enti pubblici; 3) la scelta delle forme di gestione avviene in un Accordo tra la Regione, i Comuni delegati e la Provincia competente. L’Accordo stabilisce anche il contingente di personale necessario ai nuovi soggetti; 616 In B.U.R. EMILIA ROMAGNA, n. 164 del 10 novembre 1995. 617 L. 8 giugno 1990 n. 142 Ordinamento delle autonomie locali in G.U. 12 giugno 1990 n. 135 S.O. La L. reg. n. 54/95 esclude che i Comuni possano adottare come modalità gestionali quelli previsti dai commi a e b dell’art. 23 cioè la forma in economia e in concessione. 618 L’azienda speciale, utilizzabile per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale, è Ente strumentale dell’Ente locale. È dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, da approvarsi da parte del consiglio comunale. Organi dell’azienda sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dal proprio statuto. 619 L’istituzione, utilizzabile per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale, è organismo strumentale dell’ente locale. È dotato di autonomia gestionale. Organi dell’istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell’ente locale. 620 Sono a prevalente capitale pubblico costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio. Sono adottate se si ritiene opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati. Figura n. 99 - Forme gestionali previste dalla Legge sulle Autonomie locali (L. n. 142/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 473 474 4) i Comuni procedono alla costituzione delle forme gestionali entro un anno dalla entrata in vigore della Legge; 5) i beni, immobili e mobili, di proprietà della Regione vengono assegnati in comodato agli Enti pubblici di gestione..Nei casi in cui la gestione venga realizzata tramite SpA pubblica o mista pubblico-privato i beni vengono assegnati in comodato ai Comuni delegati che provvedono, mediante convenzioni, alla loro assegnazione in uso alle società; 6) il Presidente della Giunta regionale, entro un anno dalla costituzione delle forme gestionali e comunque non oltre il 31 dicembre 1996, trasferisce il personale delle “soppresse strutture organizzative denominate Centri di formazione professionale”, ai Comuni e agli Enti pubblici di gestione, che lo inseriscono nelle proprie piante organiche (e parallelamente la Regione riduce la propria in misura corrispondente). Se gli Enti di gestione sono società per azioni pubbliche o società per azioni miste pubblico-privato, il trasferimento è effettuato nei confronti del Comune che provvede, mediante convenzione, all’assegnazione in distacco di questo personale alla società. Il personale che, a seguito dell’Accordo, risulti eccedente rispetto alle esigenze della gestione comunale può essere trasferito “agli Enti locali destinatari della delega nella medesima materia”. Il personale trasferito conserva la posizione giuridica ed economica in godimento all’atto del trasferimento e usufruisce delle incentivazioni alla mobilità621; 7) in ogni forma di gestione devono essere presenti le funzioni “di direzione, di coordinamento della progettazione e della gestione formativa, di ricerca e sviluppo e di amministrazione”, da realizzarsi con il personale trasferito dalla Regione, il personale assunto dalle forme gestionali, le collaborazioni esterne, il personale posto in mobilità dagli Enti di Formazione, tramite convenzione da stipularsi tra gli Enti datori di lavoro del personale interessato e le forme gestionali; 8) tra la Regione, i Comuni delegati ricompresi in un medesimo ambito provinciale e la Provincia competente si perviene, con cadenza triennale, ad un Accordo: strumento con il quale la Regione e gli Enti delegati definiscono in particolare, previa verifica dei risultati conseguiti, obiettivi ed impegni reciproci per la gestione della funzione delegata. La L. reg. n. 19/79 prevedeva all’art. 13 che la Giunta emanasse delle Direttive agli Enti delegati (sulla base degli Indirizzi programmatici poliennali del Consiglio). Con il sistema delle Direttive, la Regione realizza un’efficace regia dell’intero sistema, nonostante che la delega, ampia e nota a molti soggetti, rappresentasse un rischio per dinamiche centrifughe. Sta di fatto che l’Emilia Romagna, anche grazie a questo strumento, realizza un modello di governance che assicura equilibrio tra le competenze della Regione e quelle delle autonomie. 621 Previste all’art. 23 della L. reg. 9 agosto 1993, n. 28. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 474 475 Un modello dove la Regione elabora le strategie e le regole del sistema, la Provincia e il Circondario di Rimini programmano e i Comuni gestiscono. Un modello dove la necessaria “rigidità” delle regole, che assicurano la certezza del diritto, si coniuga alla opportuna “flessibilità” in grado di tener conto delle situazioni e dei contesti specifici. Tra le Direttive particolarmente importanti sono quelle del 1997-99 (cfr. Prosp. n. 48) per tre ordini di considerazioni. Perché, per la prima volta in un documento unico vengono raggruppati i testi applicativi relativi alla formazione prevista in più Leggi (L. reg. 19/79, L. reg. 39/83 e L. reg. 45/96). Perché si raccolgono, in un testo unico, normative che in passato facevano riferimento a direttive separate (direttive sui piani e le attività di formazione, direttive sulle commissioni d’esame, ecc.). Perché il campo di applicazione delle Direttive riguarda l’insieme dei piani e dei progetti approvati dalla Regione e dalle Province nei vari settori della Formazione e dell’Orientamento: piani provinciali di Formazione e Orientamento, piani regionali e progetti sperimentali, progetti comunitari a titolarità regionale, progetti multiregionali facenti riferimento ad una approvazione da parte della Regione (L. 236, Parco progetti, ecc.). C’è un quarto motivo per cui queste Direttive sono particolarmente importanti: perchè l’Emilia Romagna, prima fra tutte le Regioni, definisce la disciplina dell’ac- Prospetto n. 48 - Indice delle Direttive per il triennio 1997-99 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.17 Pagina 475 476 creditamento delle sedi formative e orientative. L’accreditamento è un atto con cui la Regione riconosce un organismo idoneo a proporre e realizzare attività formative e orientative e viene concesso dopo che la Regione abbia verificato che l’organismo possieda tutti i requisiti precedentemente definiti dalla Regione stessa. Le Direttive menzionate, al Cap. III, con il titolo “Criteri e procedure per l’accreditamento degli organismi attuatori di iniziative formative e di servizi di orientamento” contengono l’insieme di tali requisiti. Con questo atto l’Emilia Romagna non solo disciplina questa materia prima delle altre Regioni, ma condiziona tutto il processo normativo successivo. Il modello di accreditamento adottato, infatti, influenzerà in maniera determinante, la stesura dell’Allegato A dell’Accordo Stato-Regione del 18 febbraio del 2000622, da cui scaturirà il Decreto del Ministero del Lavoro n. 165/2001, che rappresenterà la norma nazionale di riferimento per tutte le regolamentazioni regionali successive. La procedura di accreditamento prevista dalle Direttive (cfr. Fig. n. 100): a) intende favorire una selezione dinamica a monte tra i soggetti che si candidano per la gestione di attività formative, senza creare situazioni monopolistiche e senza disincentivare la candidatura di nuovi soggetti qualificati che intendono concorrere nell’ambito dei bandi; b) viene richiesta ai soggetti che si propongono di realizzare attività formative in regime di concessione, comprese le scuole, quando esse si candidano per acqui- 622 Conferenza Stato-Regioni Seduta del 18 febbraio 2000, Oggetto: Accordo tra il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano per l’individuazione degli standards minimi delle qualifiche ALLEGATO A (Accreditamento delle strutture formative). Figura n. 100 - Modello di accreditamento delle strutture formative dell’Emilia Romagna storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 476 477 sire la cotitolarità diretta di progetti e ai soggetti che richiedono il riconoscimento di “corsi liberi”623; non viene richiesta ai soggetti che svolgono servizi di assistenza tecnica e alle imprese singole che attuano direttamente iniziative formative in modo occasionale per il proprio personale624; c) è esteso sia alle attività a carattere corsuale, sia alle attività erogate con modalità “aperte” e personalizzate (formazione a distanza; open learning; tirocini; percorsi individuali di formazione continua), sia allo svolgimento di singole fasi del processo formativo nell’ambito di progetti integrati; d) si applica all’“unità locale” presso la quale viene realizzata la formazione; unità locale che può usufruire pienamente delle risorse messe a disposizione dal proprio sistema più ampio di appartenenza, a patto che si tratti di risorse chiaramente identificate, reperibili con continuità presso la sede attuativa; e) riguarda due tipi di requisiti: generali (natura giuridica, situazione economica, locali dedicati alla formazione, dotazione minima trattamento e competenze del personale; cfr. Prosp. n. 49/A) e specifici, relativa ai seguenti ambiti: - Formazione Iniziale (cfr. Prosp. n. 49/B), - Formazione Superiore (cfr. Prosp. n. 49/C), - Contratti per causa mista (apprendistato e CFL)625, - Formazione Continua/permanente (cfr. Prosp. n. 49/D), - Progetti integrati d’area. Per gestire progetti integrati che ricomprendono attività formative relative a due o più tra i sopra richiamati ambiti, occorre essere in possesso degli accreditamenti corrispondenti. Per i Progetti integrati d’area626 occorre disporre dei requisiti specifici relativi agli ambiti di formazione che compongono il progetto integrato627. 623 Cfr. Art. 10 della L. reg. n. 19/79. 624 Non viene richiesta la procedura di accreditamento ai soggetti coinvolti occasionalmente dalla Regione e dalle Province per l’attuazione di iniziative sperimentali altamente innovative o per progetti particolari in attuazione di nuove norme o nuovi programmi, possono essere incaricati anche in assenza di accreditamento. In tale caso, l’accertamento dei requisiti avviene di volta in volta in concomitanza con la valutazione dei progetti. 625 Per i Contratti per causa mista (CFL e apprendistato) mancando la definizione delle condizioni di attuazione dei CFL e dell’apprendistato riformati secondo quanto previsto dall’accordo sul lavoro del settembre 1996, le attività formative corrispondenti rientreranno nell’ambito di progetti sperimentali regionali e provinciali e non prevedono, per ora, forme prestabilite di accreditamento degli organismi. 626 Il Progetto Integrato è un complesso di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate tra di loro che convergono verso un comune obiettivo di sviluppo del territorio e giustificano un approccio attuativo unitario. 627 Inoltre, per essere soggetto gestore “capo fila” di un progetto integrato d’area in Emilia Romagna, occorre dimostrare di possedere i seguenti requisiti aggiuntivi: a) competenze del personale: disporre di un progettista/coordinatore con competenze socio-economiche e con competenze metodologiche sulla progettazione integrata formazione/sviluppo socio economico; b) solidità del sistema di relazioni e radicamento sul territorio: b1) conoscere l’area mediante una esperienza precedente significativa e qualificata di intervento di almeno un anno nell’area; b2) collaborazione diretta e formalizzata con gli Enti locali responsabili dello sviluppo sociale ed economico dell’area. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 477 478 Con i 5 ambiti specifici le Direttive prevedono un possibile intreccio di 5 ambiti “speciali” con accreditamento “aggiuntivo”: – Formazione rivolta ai portatori di handicap ed altre utenze “speciali” (tossicodipendenti - ristretti - migranti - giovani “a rischio”)628; – Settore Socio assistenziale629; – Percorsi individuali di reinserimento lavorativo per disoccupati di lunga durata630 e per lavoratori in CIG631; – Area informazione, consulenza e formazione orientativa632; – Aree coperte da Scuole regionali specializzate633. 628 In aggiunta rispetto ai requisiti generali e ai requisiti per i singoli ambiti di accreditamento, si richiede: a) Competenze del personale: disporre di almeno 1 coordinatore didattico e 2 docenti con preparazione metodologica specifica (acquisita nell’ambito dei progetti sperimentali regionali, dell’università, di esperienze lavorative equivalenti); b) Sistema delle relazioni: fare parte di una o più reti locali finalizzate per il supporto all’inserimento lavorativo delle persone in difficoltà (con enti locali, associazioni imprenditoriali, sindacali, associazioni del volontariato, altre associazioni di tutela di singole categorie, laboratori per il reinserimento lavorativo, ecc.). 629 Competenze del personale: tutto il personale didattico (progettisti, coordinatori, docenti) deve essere in possesso di una preparazione contenutistica e di una formazione metodologica e psico-pedagogica adeguata. In particolare, i docenti dovranno possedere accertata esperienza nell’ambito dei servizi sociali e sanitari. 630 L’art. 9 della L. reg. n. 45/96 prevede la concessione di contributi per le spese d’inserimento e tutoraggio alle imprese che assumono a tempo indeterminato nell’ambito di percorsi formativi e di riqualificazione i seguenti soggetti di età superiori ai 40 anni: lavoratori iscritti nelle liste di mobilità; lavoratori ammessi al trattamento di integrazione salariale; lavoratori iscritti alle liste di prima classe da almeno 12 mesi. 631 In aggiunta rispetto ai requisiti generali e ai requisiti per la Formazione Continua, si richiede: competenze del personale (disporre di almeno un esperto in bilancio di competenze e funzioni di tutoring ad adulti in fase di reinserimento). 632 Competenze del personale: i soggetti che intendono candidare progetti nelle aree dell’orientamento devono poter disporre di personale le cui competenze professionali rispondano ai requisiti definiti nei documenti della Regione Emilia Romagna: “analisi della professionalità dei servizi di orientamento” (1996) e “unità formative e capitalizzabili per l’orientamento” (1997). Sistema delle relazioni: dimostrare rapporti di collaborazione con la rete dei servizi di orientamento di emanazione provinciale, regionale e nazionale e con la rete dei servizi per l’impiego. 633 Per i settori nell’ambito dei quali operano scuole specializzate (“Ristorazione”, “Polizia municipale”, ecc.) l’eventuale accreditamento di altri organismi formativi al di fuori delle scuole medesime potrà avvenire, previo confronto tra i soggetti interessati (Regione Emilia Romagna, Scuola specializzata, Amministrazione Provinciale interessata) ed esclusivamente per particolari fabbisogni formativi tali da richiedere una presenza territoriale strutturata. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 478 479 634 Le imprese singole possono richiedere l’accreditamento regionale per attività interne. Tale accreditamento non le abilita a svolgere attività formative al di fuori delle propri esigenze. 635 Conforme a quanto indicato nel regolamento per la “Rendicontazione attraverso il bilancio”. 636 Ed i quadri di raccordo previsti dal suddetto regolamento. 637 Personale che svolge docenze per più di 30 ore nell’ambito dei singoli corsi/attività. Prospetto n. 49 - Quadro sinottico dei requisiti per l’accreditamento degli organismi di formazione (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 479 480 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 480 481 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 481 Prima di spostare l’attenzione sulle attività programmate, vorremmo menzionare due iniziative che riguardano la prima fase del processo programmatorio: l’osservazione sistematica del mercato del lavoro. La prima riguarda l’Osservatorio sul mercato del lavoro della provincia di Bologna. Negli Anni ’80 l’Osservatorio faceva una Rilevazione periodica dei fabbisogni formativi con interviste dirette ad aziende. Visti la limitata efficacia dimostrata ed il livello insoddisfacente dei risultati ottenuti, la Provincia di Bologna ha deciso di percorrere una strada del tutto diversa proponendo una Indagine sulla domanda di formazione professionale delle imprese bolognesi nella quale, in sostanza, veniva sottoposto alle aziende della Provincia con più di 10 dipendenti – escluse quelle pubbliche e agricole – il piano della Formazione Professionale nella parte relativa alla formazione specifica per lavoratori ed imprenditori; le aziende esprimevano il loro interesse per le singole proposte corsuali e davano indicazioni sull’attività formativa svolta nell’anno precedente attraverso la compilazione di un questionario semiaperto. Obiettivi dichiarati di questa nuova procedura erano: fornire informazioni alle aziende sulla programmazione formativa pubblica; riconoscimento delle esigenze aziendali in un’ottica di Formazione Continua; fornire supporto ai CFP nel raccordo con le aziende per l’interpretazione delle esigenze interne alle strutture produttive. L’Osservatorio del mercato del lavoro della Regione Emilia Romagna, che operava all’interno dell’Assessorato alla FP, ha invece scelto nel 1991 la strada della 482 (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 482 483 collaborazione con altre iniziative regionali, aggiungendo ai loro questionari altre domande, per avere dati di tipo qualitativo sui profili professionali richiesti e per i quali si ha difficoltà di reperimento sul mercato del lavoro regionale. A partire dal 1993 la collaborazione avviene con la sola CNA (Confederazione Nazionale Artigianato), con cadenza annuale. L’indagine è basata su un campione piuttosto ampio di imprese artigiane (era di oltre 1.550 unità nel 1994), distribuite in undici settori di attività; la rilevazione viene effettuata con intervista diretta. Tale iniziativa si poneva due obiettivi principali: verificare i rapporti tra la domanda e l’offerta di manodopera, ai diversi livelli di scolarità e di Formazione Professionale e fornire informazioni per la programmazione provinciale delle attività di formazione e di orientamento professionale, giacché i dati sulle mansioni e sui profili, quando la significatività lo permette, sono su base provinciale. Va comunque sottolineato il fatto che viene effettuata un’operazione di postclassificazione, rispetto ai dati forniti dalle imprese sui profili, sulla base di aree di qualificazione professionale, in modo da facilitare le attività di programmazione formativa. A questa indagine si accompagnano, quali strumenti di ampliamento della conoscenza, altre due iniziative di ricerca: l’una sulle caratteristiche dell’offerta giovanile, l’altra sullo sviluppo demografico regionale. La Tabella 59 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macrosettore e comparto professionale. Nel 1995-96 sono stati realizzati 495 corsi in più rispetto al 1990-91. A livello di macrosettori diminuisce l’agricoltura che passa da 410 corsi a 188, facendo registrare un decremento di 222 interventi; consistente l’aumento dell’industria con 133 unità; eccezionale quello del terziario con 584 (grazie soprattutto all’exploit dei servizi socio-educativi: + 470). Queste variazioni determinano anche delle variazioni, più o meno rimarchevoli, nel peso di ciascun macrosettore (cfr. Graf. n. 85): quello agricolo passa dal 18,9% ad un modesto 7%; l’industria e l’artigianato aumentano di appena 0,4 punti, mentre il terziario di oltre 12 punti percentuali. Nel macrosettore industria e artigianato, nelle annualità prese a riferimento, le prime due posizioni sono occupate dalla meccanica e dall’elettricità elettronica, anche se subiscono delle variazioni di segno opposto: la prima cresce (+91) la seconda flette (–20). Dalla terza posizione si registrano dinamiche non omogenee: aumentano l’edilizia (+34), l’artigianato artistico (+42) e la grafica (+41); diminuiscono i settori dell’alimentare e dell’abbigliamento (rispettivamente con –51 e –6). Nel macrosettore terziario, invece, i comparti o le aree professionali che crescono in maniera esponenziale sono: i Servizi socio educativi, che passano dalle 50 attività dell’inizio del decennio alle 530 di metà Anni ’90 e i Lavori d’Ufficio con 267 corsi in più (da 286 a 553 interventi). Più contenuti gli aumenti di Spettacolo (+32) e Turismo (+15). Gli altri comparti in territorio positivo, Credito e assicurazioni e Beni culturali non superano le dieci unità. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 483 484 Tabella n. 59 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) Grafico n. 85 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e 1995-96 1) Un corso non è classificabile (la tipologia formativa non è desumibile dai Piani ); 2) n. 3 corsi non sono classificabili (la tipologia formativa non è desumibile dai Piani); 3) Un corso non è classificabile (il comparto/area professionale non è desumibile dai Piani); 4) Un corso non è classificabile (il comparto/area professionale non è desumibile dai Piani). storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 484 485 Grafico n. 86 - Aumenti e decrementi dei comparti e delle aree professionali del Terziario nella programmazione delle attività negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 Grafico n. 87 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 Fanno, invece, registrare decrementi: consistenti (–124) la Distribuzione Commerciale (soprattutto a causa del minor numero dei percorsi formativi per le abilitazioni REC e RAC), più contenuti il comparto della Ristorazione (–24). Di minore entità le diminuzioni dell’Acconciatura (–11) e dell’Ecologia e ambiente (–8). Per quanto riguarda le tipologie formative (cfr. Graf. n. 86) c’è un avanzamento in valori assoluti quasi generalizzato: aumentano i corsi di prima qualificazione, quelli di secondo livello e quelli destinati ad utenza adulta, rispettivamente con 105, 203 e 106 interventi. Solo i corsi speciali regrediscono di 140 attività. Questa situazione determina nuovi equilibri tra le tipologie formative, perché necessariamente è cambiato il loro peso percentuale (cfr. Graf. n. 87): la prima qualificazione passa dal 50% al 46%, il secondo livello dal 17% al 22%, i corsi speciali dal 17% al 22% e quelli per utenze adulte si riducono di un punto (da 22% a 21%). storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 485 486 Come detto per altre Regioni, l’Isfol per la seconda annualità, quella dell’a.f. 1995-96, fornisce informazioni più dettagliate per ciascuna offerta formativa638; dei 566 corsi di primo livello l’82% sono biennali, il 7% annuali e l’11% triennali. Per l’utenza più giovane e più critica del sistema regionale è stato ideato e realizzato un Progetto Giovani in stato di disagio sociale da parte dell’AECA (Associazione Emiliana Centri Autonomi) e l’Assessorato regionale alla Formazione Professionale. Obiettivo del progetto è quello di reinserire il giovane nel tessuto sociale attraverso una serie di azioni integrate quali: a) recupero delle capacità di analisi del contesto socio-ambientale; b) completamento dell’iter scolastico obbligatorio; c) acquisizione di capacità professionali spendibili nel mercato del lavoro; d) raggiungimento della qualifica professionale. La realizzazione del progetto è stata preceduta da un’intensa azione di formazione dei formatori, finalizzata a fornire strumenti di natura sociologica e psico-pedagogica per agevolare gli insegnanti nella conduzione del gruppo classe. Riprendiamo l’analisi della Tabella 59: invece dei 563 corsi di II livello, 260 sono destinati a diplomati, 28 a laureati e ben 274 a corsi in integrazione tra Scuola e Formazione Professionale. A questo proposito va segnalato un progetto, di cui abbiamo già parlato, attuato d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione, per la gestione dei corsi postqualifica degli Istituti Professionali. I principi guida sono: – gli Istituti Professionali di Stato interessati al progetto, con la Regione, definiscono una progettazione formativa che integri le esperienze di alternanza scuola-lavoro e la metodologia maturata nei CFP regionali alla normale programmazione ministeriale; – questa integrazione, mirata nel biennio di qualifica alla prevenzione contro la dispersione scolastica, deve svolgersi il più possibile nei tempi scolastici come percorso didattico a tutti gli effetti e non come percorso “aggiuntivo”; – i corsi integrati sono percorsi scolastici realizzati congiuntamente dalla Scuola, dal Sistema Formativo regionale con la collaborazione delle imprese, e caratterizzati, sul piano didattico, da una globale coerenza ed unitarietà; – la progettazione delle attività, nel rispetto delle direttive regionali in materia di FP, deve essere effettuata per moduli e congiuntamente per l’intero percorso; – l’individuazione di due coordinatori di progetto, rispettivamente per la Scuola e per il Sistema Formativo regionale, responsabili dell’integrazione tra tutti i moduli del progetto stesso. Al termine del ciclo formativo i giovani diplomati acquisiranno, oltre al titolo di studio statale, le corrispondenti qualifiche professionali riconosciute dalla Regione. 638 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1995- 96, op. cit., p. 94. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.18 Pagina 486 487 I corsi destinati, secondo la dizione dell’Isfol, ad un’utenza adulta, comprendono percorsi formativi (di qualificazione, riqualificazione, orientamento al lavoro, aggiornamento, specializzazione, perfezionamento) per occupati (1.186 interventi) e disoccupati (221). La Tabella 59 ci segnala che nell’a.f. 1995-96 sono stati previsti 129 corsi speciali: 97 interventi per categorie deboli e 36 per interventi richiesti dalla legislazione nazionale e regionale per potere esercitare delle attività. Se confrontiamo i dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri: la prima formazione in Emilia Romagna è al di sotto della media italiana (34,6%) di oltre 12 punti percentuali; il secondo livello, invece, supera il valore nazionale (12,6%) di quasi 9 punti e mezzo: le attività per adulti (150%) si distanziano dal valore nazionale (45,1%) di quasi 5 punti e infine i corsi speciali, che rappresentano circa il 12%, sono superiori al dato medio nazionale che si ferma al 7,5%. I 38.582 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,5% della popolazione attiva (14- 60 anni); gli 8.321 allievi della prima qualificazione rappresentano il 6% della leva dei 14-16enni639. La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi coinvolti (cfr. Graf. n. 88) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna. Nell’a.f. 1990-91, su un totale di 430 sedi i CFP sono 141, pari al 32,8% (cfr. Tab. n. 60). Il rapporto tra CFP e sedi è un dato importante perché misura il livello di strutturazione del Sistema. Nel caso dell’Emilia Romagna siamo sotto la media italiana (40,1%) di 7 punti. 639 La popolazione attiva ammontava a 2.530.620; i 14-16enni a 137.891. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 88 - Distribuzione dei corsi e relativi allievi per Provincia storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 487 488 Sempre per quanto riguarda i CFP, il rapporto tra gestione pubblica (23 delle Province e 5 di altri Enti pubblici) e gestione convenzionata privata è di 19,8% e 80,2%. L’altra indagine Isfol relativa all’a.f. 1992-93640 rivela che la componente più rappresentata nell’ambito dei CFP privati convenzionati è quella di matrice sindacale o ad essa vicina. Tra gli altri menzioniamo: lo IAL della CISL con 15 CFP (Imola, Bologna 2, Castrocaro Terme, Forli, Cesena, Cesenatico, Carpi, Pavullo, Serramozzi, Piacenza, Pinarella di Cervia, Parma, Ravenna e Reggio Emilia); l’ENAIP delle ACLI con 10 CFP (Bologna 2, Ferrara 2, Rimini, Forlì, Cesena, Fidenza, Parma, Reggio Emilia); l’ECAP della CGIL con 5 CFP (Bologna, Imola, Forli, Salita San Giuliano, Ravenna); l’ENFAP della UIL con 3 CFP (Bologna, Forli, Ferrara); l’Ente bilaterale IIPLE, Istituto per l’Istruzione Professionale dei Lavoratori Edili (Bologna)641; l’EFAL del MCL Movimento Cristiano Lavoratori (San Lazzaro di Savena, Bologna); IFOA della Camera di Commercio (Bologna). 640 SISTAN-ISFOL (a cura di RUBERTO A. e GHERGO F.), Distribuzione dei Centri di Formazione Professionale in Italia - anno 1992-93. op. cit., pp. 85-97. 641 Fondato nel 1947. Tabella n. 60 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) Importante anche la presenza di soggetti d’ispirazione cristiana, associati nell’AECA: A.L.F.A OPERA DIOCESANA “Giovanni XXIII”; CEFAL (Ravenna); CIOFS/FP delle Salesiane (Bibbiano, Bologna, Parma); CNOS-FAP dei Salesiani (Bologna e Forlì); EDSEG “Città dei agazzi” (Modena); ENAC - Istituto Canossa (Fidenza, PR); ENDO-FAP “Don Orione” (Borgonovo Val Tidone, PC); ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo “Istituto Lugaresi” (Cesena, Ravenna); FOMAL Fondazione Opera Madonna del Lavoro (Bologna e San Giovanni in Persiceto); NAZARENO (Carpi); OPERA DELL’IMMACOLATA (Bologna); OPERA DON CALABRIA “Città del Ragazzo” (Ferrara); OSFIN (Rimini), SACRO CUORE (Lugo); SAN GIUSEPPE (Cesta). storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 488 489 Nel complesso le prestazioni di questi soggetti sono buone, in risposta anche ad un atteggiamento positivo nei loro confronti da parte della Emilia Romagna, unica delle Regioni governate da coalizioni di sinistra a non aver mai perseguito politiche di pubblicizzazione degli enti o di regionalizzazione del personale della Formazione Professionale convenzionata. La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sul 5,08% (3,6% area pubblica e 7,5% area convenzionata privata). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 89. Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono quelli del 1990 (158,3 miliardi di lire) e del 1997 (323,3 miliardi); la media del periodo è pari a 246,84 miliardi. Ottima la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): è di 94,1%. La migliore performance del nostro Paese; superiore alla media italiana (77,1%) di ben 17 punti. La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 86.937 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 103.358 lire. Nel primo caso è inferiore alla media italiana (93.951 lire) di 10 mila e 800 lire, nel secondo è superiore al dato nazionale (99.534 lire) di circa 3.880 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari all’1,6% inferiore alla media nazionale che fa registrare l’1,39%. Grafico n. 89 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (1990-97) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 489 490 8.11. Regione Toscana Dal trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni fino agli Anni ’90 la Toscana emana quattro Leggi sul Sistema formativo regionale (la n. 6/76, la n. 86/80, la n. 16/85 e infine la n. 70 del 1994) e tutte e quattro sono Leggi organiche. La novità più importante dell’ultima, L. reg. 31.08.1994, n. 70, Nuova disciplina in materia di formazione professionale642 è l’individuazione di un nuovo soggetto di delega e di una nuova configurazione dei rapporti tra Regione e soggetti sub-regionali destinatari della delega. In precedenza soggetti delegati erano i Comuni in forma associata e le Comunità montane. A loro spettava la predisposizone del Piano di attività relativo al proprio territorio e l’attuazione degli interventi, direttamente o mediante terzi con lo strumento della convenzione; alla Provincia, invece, spettava l’approvazione dei Piani di attuazione dei Comuni e delle Comunità Montane, il supporto tecnico-didattico e organizzativo per l’attuazione del programma e il coordinamento delle iniziative di orientamento professionale e la verifica di efficienza. La n. 70/94 invece concentra tutte le deleghe nella Provincia (cfr. Fig. n. 101). Nella nuova ripartizione delle funzioni alla Regione spettano: a) i rapporti con le altre Regioni, con gli organi centrali e regionali dello Stato e con l’Unione Europea; b) l’autorizzazione per la presentazione di progetti relativi a programmi di interesse nazionale o comunitario; c) la vigilanza ed il rilascio delle certificazioni ed attestazioni prescritte da disposizioni statali e dall’Unione europea; d) attività di ricerca, studio e documentazione, incluse quelle di osservazione del mercato del lavoro di interesse regionale; e) attività a carattere sperimentale e progetti innovativi; f) formazione degli operatori del sistema regionale; g) l’istituzione di borse di studio per la frequenza di corsi per particolari specializzazioni; h) iniziative e interventi che, in relazione agli obiettivi formativi, alla tipologia dell’utenza ed alla molteplicità delle sedi formative, risultino di interesse di più Provincie. 642 In B.U.R. TOSCANA, n. 60, parte prima del 7 settembre 1994. Figura n. 101 - Funzioni delegate alla Provincia storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 490 491 Ma è di competenza della Regione anche la regolamentazione del Sistema formativo sia nella fase della progettazione, che in quella della gestione amministrativa, della rendicontazione, del riconoscimento della idoneità delle sedi, della spendibilità delle qualifiche643. Alle Province, invece, spetta la pianificazione e l’attuazione degli interventi del proprio territorio, direttamente o mediante affidamento ad altri soggetti idonei. Ma alle Province sono conferite anche competenze, di natura consultiva, su materie proprie della Regione e relative: – alle funzioni programmatorie (definizione dello schema di programma); – alle funzioni di regolamentazione del sistema (definizione delle procedure e modalità per l’elaborazione, la presentazione e l’istruttoria amministrativa dei progetti, per la gestione degli interventi e per la rendicontazione delle attività); – alle funzioni di valutazione (criteri specifici e modalità uniformi per la valutazione dei progetti e la verifica delle attività e dei risultati; la pubblicizzazione degli interventi e la predisposizione degli archivi e dei flussi informativi su basi informatiche). Su altre competenze regionali (vigilanza, valutazione, monitoraggio, controllo) le Province sono chiamate ad un rapporto di collaborazione. Alla luce di queste modifiche necessariamente cambia anche il processo programmatorio, sia quello strategico pluriennale, sia quello attuativo annuale. Mentre la competenza sul primo rimane della Regione, fermo restando le consultazioni e i pareri delle Province, nel Programma annuale, invece, confluiscono le attività programmate dalle Province e gli elenchi delle attività autorizzate, riconosciute ed assentite dalla Regione (cfr. Fig. n. 102). Il Piano Triennale Regionale, in linea peraltro con la maggior parte delle Regioni, non si limita ad indicare obiettivi e a ripartire le risorse finanziarie, ma contiene anche indicazioni e criteri relativi alla gestione delle attività. Gli articoli della Legge che riguardano i soggetti attuatori ruotano attorno a tre concetti giurici: l’autorizzazione, il riconoscimento e l’assenso. a) Nella prima categoria rientrano le agenzie formative: “le strutture e le articolazioni organizzative per l’esercizio delle funzioni in materia di formazione pro- 643 Più in particolare: la definizione delle procedure e modalità per l’elaborazione, la presentazione e l’istruttoria amministrativa dei progetti, per la gestione degli interventi e per la rendicontazione delle attività; le disposizioni per i requisiti di idoneità e la definizione dei criteri per l’organizzazione ed il funzionamento dei Centri di Formazione Professionale e delle sedi formative; l’individuazione dei requisiti, condizioni e criteri per l’accreditamento dei soggetti attuatori degli interventi e per la certificazione della qualità delle iniziative; le disposizioni per la riconoscibilità e spendibilità sul mercato del lavoro delle qualifiche e l’elaborazione dei programmi essenziali per il loro conseguimento e gli eventuali moduli capitalizzabili; la definizione dei requisiti minimi di ammissione ai relativi corsi, lo svolgimento delle prove di selezione e di esame, la nomina ed il funzionamento delle commissioni di esame, i contenuti e le modalità di redazione dei relativi verbali, lo svolgimento degli stages applicativi e dei tirocini pratici, l’accertamento e la documentazione dei risultati, i modelli dei certificati di frequenza e degli attestati di qualificazione e di specializzazione. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 491 492 Figura n. 102 - Piano regionale triennale per la Formazione Professionale e Programma annuale storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 492 493 fessionale”. Sotto questa definizione amplissima rientrano i Centri di interesse regionale: “organismi o moduli organizzativi” partecipati o riconosciuti dalla Regione; operano in riferimento a specifici comparti di attività economiche o a gruppi omogenei di professionalità, e svolgono attività a carattere formativo o ad esse connesse (studio, ricerca applicata, sperimentazione, documentazione, consulenza ed assistenza tecnica). Nei Centri di interesse regionale è garantito l’apporto integrato di almeno un’agenzia formativa, l’Università, almeno una impresa o consorzio o associazione di imprese dell’area tematica di riferimento. L’individuazione dei Centri di interesse regionale e la partecipazione o il riconoscimento della Regione è di competenza del Consiglio regionale. Sono agenzie formative anche i Centri di Formazione Professionale della Provincia e le altre strutture da essa istituite e tutte le altre sedi formative dei soggetti previsti dalla legge quadro. Rispetto alla n. 845/78, la norma toscana aggiunge due nuovi tipi di soggetti: uno sul versante pubblico e uno su quello privato (cfr. Fig. n. 103). Infatti, sul versante pubblico, oltre la Provincia sono previsti “le amministrazioni, gli enti e gli organismi pubblici o di diritto pubblico interno od internazionale con specifiche finalità di formazione” e, sul versante privato, oltre gli Enti, emanazione di associazioni e fondazioni con finalità formative, “altri soggetti, costituiti senza fini di lucro”. Anche i requisiti richiesti alle agenzie Figura n. 103 - I soggetti attuatori (L. reg. n. 70/94) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 493 494 formative sono quelli contemplati dalla Legge nazionale del 1978. Rientrano nella categoria delle agenzie formative anche le “imprese” “per interventi formativi rivolti al personale interno o direttamente finalizzati all’inserimento lavorativo sulla base di accordi sindacali”. b) La categoria del riconoscimento invece riguarda le attività di Formazione Professionale per la cui frequenza viene richiesta una retta. c) Mentre quella dell’assenso riguarda “le attività volontarie di formazione professionale” realizzate da Enti pubblici644. 644 Cfr. art. 41, terzo comma del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616. Tabella n. 61 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 494 495 Nella Tabella 61, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96. Tra i due anni di riferimento c’è un diminuzione di 318 corsi. Le perdite sono concentrate nel settore agricolo (–97 corsi) e nell’industria artigianato (–152 corsi) e non sono compensate dagli aumenti del terziario (+70). Queste variazioni determinano anche delle modifiche rilevanti nel peso di ciascun macro-settore: quello agricolo passa dal 9,5% ad un residuale 0,4%; l’industria e l’artigianato fanno un balzo in avanti di 43 punti, mentre il terziario subisce un vistoso decremento di 33,9 punti percentuali. Se disponiamo in ordine decrescente i 10 settori che nel 1995-96 avevano più corsi, abbiamo la situazione illustrata dal Grafico 90, da cui ricaviamo queste evidenze: a) solo tre settori dell’industria rientrano in questa classifica, il Meccanico, l’Artigianato artistico e l’Edilizia; b) il settore della Distribuzione commerciale, da solo rappresenta il 40% di tutti gli interventi formativi; risultato determinato dai corsi per l’iscrizione al Registro Esercenti Commerco (REC) o al Registro Agenti Commercio (RAC). Questo dato (considerata la brevissima durata dei corsi e il numero degli interventi, particolarmente elevato solo in questo anno) può rappresentare un fenomeno distorsivo per la ricostruzione del quadro delle attività programmate nel 1995-96. Rispetto al 1990-91 gli unici settori che incrementano corsi (non considerando la Distribuzione commerciale) sono l’Artigianato Artistico (+10) e l’Acconciatura ed estetica (+74); le diminuzioni più sensibili sono quelle della Meccanica (–50), dei Lavori d’ufficio (–61), dell’Elettricità-elettronica (–30), del Tessile e della Ristorazione che azzerano la loro presenza (passando rispettivamente da 19 e 30 corsi a 0). Importanti le variazioni tra le due annualità prese a riferimento per quanto riguarda la tipologia di formazione (cfr. Graf. n. 91). Nel 1995-96 i corsi destinati agli “adulti” (190 per occupati e 107 per disoccupati) diminuiscono in valori assoluti (da 552 corsi a 301) e relativi (dal 52,6% al 41,1% di tutto il volume di attività programmato per quell’anno). Diminuiscono gli interventi di I livello: da 142 a 130, ma au- Grafico n. 90 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 495 496 mentano in valori percentuali dal 13,5% al 17,8%. Valori molto lontani dalla media nazionale sia a metà Anni ’90 (dato italiano 34,6%) che all’inizio del decennio (37%). I 130 corsi del 1995-96 sono per lo più biennali (119); solo 11 quelli triennali o di post-qualifica. Eccezionale il decremento del II livello (dizione che comprende, lo ricordiamo, interventi per diplomati e per laureati e corsi di raccordo-integrazione) che passa da 230 interventi a 10, facendo registrare una diminuzione del proprio peso percentuale da 21,1% ad un irrilevante 1,4%. Solo 2 i corsi per diplomati, 8 di integrazione con il sistema scolastico e nessuno per laureati. Dei 290 interventi del 1995-96 che sono registrati sotto la dizione “corsi speciali” nessuno è destinato alle “categorie deboli”; tutti infatti riguardano interventi formativi previsti dalla normativa per esercitare delle attività. È in questa categoria che si colloca il fenomeno dei corsi per l’iscrizione al REC e RAC, che per dimensioni rappresenta un fenomeno alterante il quadro complessivo dei dati sul volume corsuale programmato nel 1995-96. Grafico n. 91 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 Grafico n. 92 - Settori e Aree professionali con il maggior numero di corsi (a.f. 1995.96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 496 497 I 16.524 allievi previsti nel 1990-91 rappresentano lo 0,73% della popolazione attiva (14-60 anni); i 2.398 allievi della prima qualificazione rappresentano l,9% della leva dei 14-16enni645. La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi coinvolti (cfr. Graf. n. 93) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna Provincia. L’Isfol646 ha censito, per l’anno 1992-93, 64 sedi (cfr. Tab. n. 62): 30 CFP e 34 strutture occasionalmente utilizzate per interventi formativi. I 30 CFP sviluppano un volume di attività pari a 266 corsi; la media corsi per CFP è pari a 8,8. I Centri regionali fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 10,5; decisamente inferiore il valore dei CFP convenzionati, pari a 2,3. In questi numeri c’è la politica di decenni della Regione Toscana nei confronti dei soggetti attuatori. 645 La popolazione attiva ammontava a 2.260.257; i 14-16enni a 128.582. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 646 SISTAN-ISFOL (a cura di RUBERTO A. e GHERGO F.) Distribuzione dei Centri di Formazione Professionale in Italia - anno 1992-93, op. cit., pp. 99-104. Tabella n. 62 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1992-93) Grafico n. 93 - Distribuzione dei corsi e relativi allievi per Provincia storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.19 Pagina 497 498 La Regione non ha mai parlato di pubblicizzazione delle strutture o di regionalizzazione del personale degli Enti del privato sociale. Non ne ha avuto bisogno, perché da tempo gli Enti di Formazione non ci sono più, almeno in maniera significativa. Non sono stati mai tenuti presenti come possibili risorse. Se si leggono le norme toscane su questo tema si possono rilevare le stesse posizioni delle altre Regioni. Ma la prassi è stata completamente diversa: in Toscana, infatti, nel tempo si è sedimentato una posizione di monopolio da parte dei CFP pubblici. La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sul 4,9. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 94. Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono rispettivamente quelli del 1992 (27,3 miliardi di lire) e del 1997 (200,2 miliardi); la media del periodo è pari a 78,9 miliardi. Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): 89,5%, superiore alla media italiana (77,1%) di ben 17 punti. La spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 45.749 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 55.110 lire. Nel primo caso è inferiore alla media italiana (93.951 lire) di 48.000 lire, nel secondo (99.534 lire) di circa 44.000 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari allo 0,55%. Anche in questo caso siamo sotto la media nazionale, che fa registrare l’1,39%. Grafico n. 94 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (1990-97) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 498 499 647 Per il periodo di riferimento la Regione è stata sempre retta da Giunte di centrosinistra. 648 In B.U.R. MARCHE, 30 marzo 1990, n. 43. 649 Ibidem. 650 In B.U.R. MARCHE, 9 febbraio 1991, n. 12. 651 In B.U.R. MARCHE, 25 gennaio 1996, n. 7. 652 In B.U.R. MARCHE, 13 marzo 1997, n. 19. 653 Cfr. paragrafo, 2. 8.12. Regione Marche Nel periodo 1990-97 le Marche647 emanano cinque Leggi: – la prima e la più importante è la L. reg. 26 marzo 1990, n. 16 Ordinamento del sistema regionale di formazione professionale648, una Legge organica che sostituisce la vecchia normativa approvata prima della Legge quadro nazionale del 1978, n. 24/76; – la seconda, che attua la politica di regionalizzazione del personale degli Enti di Formazione Professionale prevista nella L. reg. n. 16/90, è la L. reg. 28 marzo 1990, n. 18 “Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento del personale addetto alle attività di formazione professionale”649; – la terza, che si limita ad apportare delle modifiche numeriche alla tabella del personale contenuta nella L. reg. n. 16/90, è la L. reg. 28 gennaio 1991, n. 4 “L. reg. 28 marzo 1990, n. 18 “Istituzione del ruolo regionale speciale ad esaurimento del personale addetto alle attività di formazione professionale”650; – la quarta, che amplia lo spettro delle competenze delegate alle Province, è la L. reg. 18 gennaio 1996 n. 2 “Delega alle Province delle funzioni amministrative relative alle attività formative cofinanziate dall’Unione Europea”651; – la quinta, che provvede ad erogare rimborsi agli Enti gestori per spese sostenute e non coperte dal finanziamento ordinario, è la L. reg. 3 marzo 1997, n. 22 “Rimborso agli Enti gestori di formazione professionale - Legge Regionale 24 maggio 1980, n. 39”652. Sulla struttura della L. n. 16/1990 abbiamo già riferito in altra parte del volume653. Qui ci limitiamo a ricostruire il processo programmatorio e il quadro dei soggetti che possono attuare iniziative formative. Come vedremo successivamente, nella ripartizione delle competenze tra Regione e soggetti delegati, la prima ha riservato a se stessa le funzioni strategiche. Tra queste l’elaborazione del programma pluriennale che stabilisce gli obiettivi, definisce le risorse finanziarie e specifica i criteri per la loro ripartizione tra Regione e Province e tra attività. Il Programma annuale, invece, spetta alle Province (cfr. Fig. n. 104). In effetti il processo comincia dalle Comunità Montane. Sono loro ad avanzare proposte “in ordine agli indirizzi ed alle attività di formazione professionale da privilegiare nell’ambito del territorio comunitario”. Gli Enti delegati tengono conto delle proposte storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 499 500 delle Comunità montane e sulla base delle indicazioni del Piano triennale e delle direttive che annualmente la Giunta impartisce (obiettivi, risorse e disposizioni tecnico- amministrative) predispongono il Programma annuale, che: Figura n. 104 - Processo programmatorio (L. reg. n. 16/1990) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 500 501 a) determina indirizzi e criteri specifici: per le attività di progettazione finalizzate all’elaborazione dei curricoli formativi, per le attività formative, per le attività di orientamento professionale; b) indica l’ammontare delle risorse finanziarie a disposizione, distinte in base alla loro provenienza e alla loro destinazione, ai diversi tipi di attività, ai settori o comparti economici ed alle aree territorali. I soggetti che in base alle previsioni del Programma annuale intendono attuare interventi presentano il “progetto formativo”, la cui struttura viene minuziosamente specificata (cfr. Prosp. n. 50). I soggetti che possono presentare progetti formativi sono sostanzialmente quelli della Legge quadro. Accanto alla gestione diretta da parte della Regione, che in regime di delega viene trasferita alle Province, è prevista una gestione in convenzione o con strutture di enti o con aziende: per gli uni e per le altre i requisiti richiesti sono quelli della L. n. 845/78 (cfr. Fig. n. 105). Prospetto n. 50 - Struttura del Progetto formativo storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 501 502 La L. reg. n. 16/90 ridisegna il rapporto tra Regione ed Enti delegati. Viene ampliato lo spettro di competenze delegate e viene individuato un nuovo soggetto di delega: non più solo la gestione degli ex CRFP, ma anche funzioni amministrative, non più i Comprensori ma le Province. Ampliamento della delega e cambio del soggetto sono naturalmente interrelati, nel senso che se si delegano anche funzioni amministrative è nella logica delle cose che si punti ad un soggetto che abbia competenze istituzionali su un territorio più vasto di quello del comprensorio. Figura n. 105 - Soggetti gestionali (L. reg. n. 16/1990, art. 9) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 502 503 La ripartizione delle competenze tra Regione e Province effettuata dalla L. reg. n. 16/90 è quella illustrata nella Figura 106: alla Regione spetta la programmazione strategica e tutte le attività ad essa preliminari e funzionali (come l’osservazione e l’analisi dei fabbisogni), la regolamentazione amministrativa e contabile per assicurare regole omogenee a tutti gli attori del sistema, la progettazione formativa (intesa dalla Legge come analisi delle dinamiche evolutive e dei processi di trasformazione del sistema produttivo e dei ruoli professionali, la predisposizione di curricula formativi per acquisire le competenze di tali ruoli), l’aggiornamento e la riqualificazione degli operatori, gli studi e le ricerche che possono contribuire ad alzare la qualità del sistema, il coordinamento delle attività orientative (di studio, di elaborazione e diffusione materiali informativi, cartacei e multimediali, di consulenza)654. Figura n. 106 - Ripartizione delle competenze tra Regione e Province (LL. regg. 16/90 e 2/96) 654Art. 20. Le attività di orientamento professionale comprendono tra l’altro: a) la realizzazione di attività di ricerca sulla situazione e sulle prospettive del mercato del lavoro; b) la raccolta sistematica delle informazioni utili ai fini dell’attività di orientamento; c) la diffusione delle informazioni nelle storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 503 504 Alla Provincia, invece, compete la programmazione annuale e tutte le operazioni successive che attuano i piani annuali: la raccolta e la selezione di proposte di attività, la stipula delle convenzioni, l’erogazione dei finanziamenti, la vigilanza sullo svolgimento delle attività degli Enti, la gestione degli ex CRFP (denominati Scuole regionali), la nomina delle commissioni di esame e la rendicontazione. Accanto alla Formazione Professionale, spetta alla Regione l’autorizzazione, il controllo e la nomina delle commissioni di esame delle c.d. “attività libere” e la realizzazione degli interventi dell’orientamento. Nel 1996, con la nuova la L. reg. n. 2, la Regione trasferisce agli Enti delegati anche la gestione del FSE. In questo modo le Marche si conformano alla cultura istituzionale di quegli anni che prevede per le Regioni solo ruoli prevalentemente strategici, di programmazione, controllo e valutazione (presente anche se poco accentuata) e per i soggetti delegati, ruoli prevalentemente attuativi. Quasi contestualmente all’approvazione del nuovo ordinamento del sistema viene emanata la Legge che provvede alla regionalizzazione del personale della formazione convenzionata. Due giorni dopo la L. n. 16/90, viene approvata la n. 18, che istituisce il ruolo regionale speciale ad esaurimento degli operatori della Formazione Professionale. Il ruolo speciale ha una dotazione complessiva di 350 posti, che la L. reg. n. 4/91 porterà a 365, ripartiti in qualifiche funzionali (cfr. Graf. n. 95). Può essere immesso nel ruolo speciale il personale non di ruolo della Regione e il personale con contratto a tempo indeterminato degli Enti, iscritto all’Albo regionale655. Per l’immissione in ruolo occorre aver superato un concorso riservato per titoli ed esami, dopo aver partecipato a corsi di aggiornamento e riqualificazione. Abbiamo già parlato degli obiettivi di questa politica656 (portata avanti esclusivamente da giunte regionali di sinistra): alleggerire il peso del consolidato storico corsuale di prima qualificazione, dove lavoravano questi operatori, per spostare il fulcro del sistema a favore di iniziative destinate ad utenze più adulte e, nello stesso tempo, utilizzare questo personale in funzioni vicine alla Formazione Professionale (osservatorio del mercato del lavoro, orientamento professionale). scuole, …, e negli ambienti di lavoro, …; d) la diffusione delle informazioni, anche attraverso apposite pubblicazioni e la produzione di materiale informativo multimediale; e) la consulenza e l’assistenza a favore degli insegnanti delle scuole statali e non statali e dei Centri di Formazione Professionale, anche attraverso la messa a disposizione di materiale di documentazione e di informazione. 655 L’albo, previsto dalla L. reg. 10 novembre 1981 n. 34 Disciplina per il personale addetto all’attività di formazione professionale, in B.U.R. MARCHE, 12 novembre 1981, n. 116, si articolava in tre sezioni suddivise in graduatorie distinte per mansioni e discipline d’insegnamento: 1) Personale dipendenti dagli Enti privati di Formazione Professionale con contratto a tempo indeterminato alla data dell’8.9.1976; 2) personale dipendente dagli Enti privati di Formazione Professionale con contratto a tempo indeterminato dal 9.9.1976 fino all’entrata in vigore della L. reg. 16/81; 3) nuovi aspiranti in possesso dei requisiti professionali richiesti. 656 Cfr. volume II, par. 5.5.3. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 504 505 Ma occorre far presente la difficoltà di utilizzare, per compiti che prevedono competenze disciplinari di livello superiore, un personale che in larga misura ha un livello d’istruzione medio (solo il 12,9% è laureato). La nuova configurazione che ha determinato l’allargamento della delega (in particolare per le attività di orientamento), la centralità riservata alla progettazione e ai processi di riqualificazione e aggiornamento del personale determinano una riorganizzazione delle strutture regionali che hanno competenza in materia; il Servizio Formazione Professionale e problemi del lavoro si articola in 4 uffici (cfr. Fig. n. 107): progettazione formativa, orientamento professionale, aggiornamento e riqualificazione personale FP, problemi del lavoro e dell’occupazione. Grafico n. 95 - Dotazione del ruolo speciale ad esaurimento distinta per qualifiche funzionali (L. reg. 4/91) Figura n. 107 - Struttura organizzativa regionale che governa la Formazione Professionale storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 505 506 La L. reg. n. 16/90 stabilisce una distinzione tra i CFP della Regione e delegati alle Province e i CFP degli Enti. Una distinzione di nome ma anche di configurazione giuridica. I CFP pubblici si chiamano Scuole regionali di Formazione Professionale, sono dotate di autonomia amministrativa e hanno 4 “organi di governo” (cfr. Fig. n. 108): il consiglio di amministrazione (organo deliberante nominato dal soggetto delegato) 657, il direttore (nominato dall’Ente delegato presiede il C.d.A. e ne esegue le delibere), il consiglio dei docenti della scuola, il collegio dei docenti di corso. Le scuole regionali sono quelle elencate in allegato alla L. reg. 16/90 (Ancona, Pesaro, Jesi, Urbino, Macerata, S. Elpidio a Mare, San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno 2, e alberghiere a Senigallia, Tolentino, Ascoli Piceno). I CFP sono “unità organizzative di base costituite con carattere di stabilità e di continuità per lo svolgimento delle attività formative”. Gli organi di governo del Centro sono: il direttore, il consiglio degli operatori del Centro, il collegio dei docenti di corso (cfr. Fig. n. 108). Per il controllo sociale della gestione dei Centri di 657 Ed è composto, oltre che dal direttore della scuola: da un rappresentante designato dall’ente delegato; da un rappresentante designato unitariamente dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentantive dei lavoratori dipendenti; da un rappresentante designato dalle organizzazioni maggiormente rappresentative dei lavoratori autonomi; da un rappresentante designato dalle organizzazioni maggiormente rappresentative dei datori di lavoro; da un rappresentante dei portatori di handicaps o delle loro famiglie, da un rappresentante designato dal personale docente della scuola, da un rappresentante designato dal personale non docente della scuola, da un rappresentante degli studenti. Figura n. 108 - Organi di governo delle Scuole Regionali e dei CFP degli Enti storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 506 507 Formazione Professionale è istituito in ciascun centro un comitato658 nominato dall’ente delegato. Le scelte operate dalle Marche sono decisamente controtendenza: quando il dibattito a livello nazionale metteva l’accento sulla funzionalità e sulle competenze strategiche delle strutture formative (analisi dei fabbisogni, progettazione formativa, valutazione in itinere ed ex post) e prospettavano modelli di CFP proiettati all’esterno, le Marche insistono sui loro assetti interni, proponendo modelli di rappresentanza burocratici (come il Consiglio di Amministrazione per le Scuole regionali) o ideologici da Anni ’70 (come il controllo sociale per le strutture convenzionate) e peraltro con delle composizioni pletoriche (9 membri per il C.d.A. e 7 per il Comitato di controllo sociale). Sempre a proposito di sedi formative nella Tabella 63 vengono riportati i dati dell’indagine Isfol sulle strutture formative, relativa all’anno formativo 1990-91659, dalla quale possiamo trarre queste considerazioni: – la netta prevalenza delle sedi utilizzate per attività occasionali e non ripetitive (80,3%) sulle Scuole regionali e sui CFP (19,7%), cioè sulle sedi utilizzate in maniera continua ed esclusiva per le attività formative, dà un’immagine del Sistema formativo abbastanza destrutturato. Ma è un’immagine che non rende pienamente la situazione reale. In quell’anno, infatti, è stato programmato un numero molto alto di corsi agricoli (cfr. Tab. n. 64) che, normalmente, avendo un carattere informativo e di aggiornamento, sono di breve durata e realizzati in ambienti abitualmente non destinati ad attività formative (alberghi, sedi di associazioni) che sono facilmente raggiungibili dall’utenza; 658 Composto da: un rappresentante designato dall’ente delegato, un rappresentante designato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, un rappresentante designato dalle organizzazioni dei lavoratori autonomi; un rappresentante designato dalle organizzazioni degli imprenditori; un rappresentante designato dal consiglio degli operatori del centro; due rappresentanti designati dall’assemblea degli allievi dei corsi. 659 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. Tabella n. 63 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.20 Pagina 507 508 – per quanto riguarda i CFP, cioè le strutture dedicate esclusivamente alla formazione, si verifica una contenuta prevalenza di quelli della gestione convenzionata (23, pari al 56,1%) su quelli della gestione pubblica (3, pari a 43,9%). Un’altra indagine Isfol, relativa all’a.f. 1992-93660, censisce 32 CFP, di cui 15 Scuole regionali661 e 17 dell’area convenzionata privata. I 32 CFP sviluppano un volume di attività pari a 267 corsi; la media corsi per CFP è pari a 8,3. I Centri regionali fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 8,1. Leggermente superiore il valore del rapporto nei CFP convenzionati, pari a 8,5. 660 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. 661 Situati a: Fonzaso (BL), Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (2), Chioggia, Mestre, San Donà di Piave (VE), Chiampo, Lonigo, Bassano del Grappa (VI), Vicenza, Bovolone, Zevio (VR), Verona. Tabella n. 64 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (aa.ff. 1990-91 e 1995-96) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 508 509 Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP sono l’ENAIP con 4 sedi (Ancona, Fabriano, Fermo e Pergola) e lo IAL della CISL con 3 (Osimo, Falconara, San Benedetto). Tutti gli altri Enti, la maggior parte dei quali espressione della cultura cattolica, hanno una sola sede: il CNIPA, Consorzio Nazionale Istruzione Professionale Artigiana, ex OSFIN Opera S. Filippo Neri della Confartigianato (Ancona), gli Artigianelli (Fermo), la Comunità di Capodarco (Fermo), l’Isituto delle Canossiane (Porto San Giorgio), l’Istituto Stella maris (Porto Civitanova) e l’ENAP Don Orione (Fano). Nel 1980 la L. reg. 24 maggio n. 39662 “allo scopo di favorire la maggiore qualificazione delle proposte formative provenienti da organismi diversi dagli enti delegati” concedeva contributi agli Enti di Formazione. In effetti il provvedimento, al di là delle finalità dichiarate, rappresentava un modo per sanare le passività che gli enti avevano maturato nelle gestioni precedenti. Passività dovute a due fattori: l’insufficienza del parametro finanziario a coprire le spese sostenute e gli interessi passivi maturati per prestiti bancari resisi necessari per far fronte alle spese correnti, in particolare del personale, dato che i finanziamenti regionali abitualmente venivano erogati con molto ritardo. Agli Enti destinatari di quei contributi, la L. reg. 3 marzo 1997663 “autorizza ad erogare, […], un rimborso integrativo a parziale copertura dei maggiori oneri di carattere finanziario da essi sostenuti e non contemplati in occasione dei precedenti provvedimenti di finanziamento”. Il rimborso per quell’anno ammontava a 1.860 milioni. Nell’elenco delle voci di spesa per le quali gli Enti possono richiedere i rimborsi figura anche una generica espressione “oneri finanziari sostenuti dagli Enti suddetti per la gestione dell’attività formativa autorizzata e finanziata”. È il linguaggio faticoso della burocrazia quando vuole realizzare qualcosa senza dichiararlo apertamente. La Tabella 64 ci offre un confronto tra corsi programmati nel 1990-91 e quelli del 1995-96. Nella prima annualità gli interventi sono 545, nella seconda 411. Il decremento si spiega soprattutto con una flessione di tutti i macrosettori (Industria e artigianato –2 e Terziario –33) ma soprattutto di quello agricolo che passa da 100 a 9 corsi. Si consideri, peraltro, che i 100 corsi in questione erano destinati ad adulti, ed erano di brevissima durata. Comunque la diminuzione è abbastanza generalizzata: su 22 settori/aree professionali presenti nella Tabella 64 ben 13 fanno registrare un decremento, talora contenuto (l’Alimentare, i Beni culturali, l’Abbigliamento e calzature, lo Spettacolo), talora più marcato (Grafica, Ecologia ed Ambiente, Cooperazione, 662 Qualificazione delle proposte formative degli organismi diversi dagli enti delegati gestori delle attività di formazione professionale in B.U.R. MARCHE, 26 maggio1948. 663 Rimborso agli Enti gestori di formazione professionale - Legge Regionale 24 maggio 1980, n. 39 in B.U.R. MARCHE, 13 marzo 1997, n. 19. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 509 510 Distribuzione Commerciale), talora molto accentuato (Lavori d’Ufficio, Elettricità, Informatica). Segnaliamo, invece, in territorio positivo, i settori con il maggior aumento: Servizi socio-educativi (+32) e Artigianato artistico (+23). La classificazione per le tipologia corsuali utilizzata dalle Marche664 (cfr. Prosp. n. 51) tiene conto solo delle attestazioni e certificazioni da raggiungere e prescindere dalla tipologia di utenze (giovani o adulti) e dalla loro scolarità di partenza (I e II livello). 664 Cfr. Regolamento Regionale 5 agosto 1992, n. 33 Disciplina Amministrativa e contabile delle attività di formazione professionale in B.U.R. 6 agosto 1993, n. 68-bis, art. 4. Grafico n. 96 - Evoluzioni quantitative dei settori tra il 1990-91 e il 1995-96 Prospetto n. 51 - Sistema classificatorio delle tipologie corsuali Fonte: Regolamento Disciplina Amministrativa e contabile delle attività di formazione professionale storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 510 511 Il sistema utilizzato dall’Isfol nell’indagine sulle attività programmate negli anni formativi 1990-91 e 1995-96 offre queste informazioni (cfr. Graf. n. 97): – diminuiscono in valori assoluti sia il primo che il secondo livello che passano rispettivamente da 193 a 119 (–74) e da 83 a 39 (–44) corsi; – diminuisce anche il loro peso percentuale: il primo livello passa da 35,4% a 28,9%. In entrambe le annualità, comunque, i valori sono inferiori alle medie nazionali che erano, rispettivamente, 37% nel 1990-91 e 34,6% nel 1995-96. Il secondo livello flette da 15,2% a 9,2%. Subiscono un decremento anche le altre due tipologie: quelle rivolte ad utenze adulte e i corsi speciali. Più contenuto per le prime (–6) e più marcato per i secondi (–10). Ma, mentre i corsi per adulti aumentano il loro peso di ben 12 punti percentuali, i corsi speciali mantengono sostanzialmente il loro che si attesta tra il 5% e il 6% circa. Per il 1995-96 l’Isfol ci fornisce un quadro di maggiore dettaglio, da cui rileviamo che la gran parte dei 119 corsi di primo livello sono di durata biennale; sono solo 5 i corsi che i ragazzi frequentano dopo la qualifica. I corsi di secondo livello sono quasi esclusivamente destinati a diplomati. Nessun corso è riservato a laureati e solo 5 sono di integrazione con la scuola. Delle 238 attività per adulti 125 hanno come allievi persone occupate e 108 allievi che cercano una collocazione nel mercato del lavoro. Infine, nel composito raggruppamento dei corsi speciali, 14 avranno come utenti persone che rientrano nelle “categorie deboli” e 6 quelli finalizzati al conseguimento di una certificazione che li abiliti a specifiche professioni o compiti. I 9.199 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,5% della popolazione attiva (14- 60enni); gli 8.321 allievi della prima qualificazione rappresentano il 6% della leva dei 14-16enni665. 665 La popolazione attiva ammontava a 903.510; i 14-16enni a 54.655. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991 Grafico n. 97 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 511 512 La distribuzione dei corsi nella programmazione dell’a.f. 1995-96 e di conseguenza quella degli allievi tra le 4 Province marchigiane non riflette il numero della loro popolazione residente (cfr. Graf. n. 98). Infatti, Macerata, con 49,5%, precede Pesaro con il 27,5%, Ascoli Piceno con il 12,7% ed Ancona con solo il 12,1%. Se si fosse seguito il criterio dell’attribuzione dei corsi in relazione alla popolazione, l’ordine decrescente sarebbe stato completamente rovesciato: più corsi alla Provincia di Ancona che vanta il 30,6% della popolazione regionale, poi Ascoli Piceno con il suo 25,2%, Pesaro con il 23,5% e, infine, Macerata con il 20,6%. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 99. Gli stanziamenti più bassi e quelli più alti sono sono quelli del 1994 (43,8 miliardi di lire) e del 1993 (136,5 miliardi); la media del periodo è pari a 82.112 miliardi. Grafico n. 98 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti per l’a.f. 1990-91 Grafico n. 99 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (1990-97) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 512 513 Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): 84,6% superiore alla media italiana (77,1%) di 7,5 punti. Per l’ a.f. 1995-96 la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 46,359 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 50.200 lire. Nel primo caso è inferiore alla media italiana (93.951 lire) di circa 47.000, nel secondo si discosta dal dato nazionale (99.534 lire) di circa 53.000 lire. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è pari all’1,03%, inferiore alla media nazionale che fa registrare l’1,39%. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 513 514 8.13. Regione Umbria Nel periodo considerato l’Umbria emana una sola Legge la n. 14 del 28.05.1991 Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 21 ottobre 1981, n. 69 “Norme sul sistema formativo regionale”. La modifica più importante riguarda il soggetto di delega. La n. 69 individuava nelle Associazioni intercomunali il destinatario delle deleghe regionali. In effetti l’istituto è stato attivato solo nel 1987. Ma non ci volle molto a capire che l’averla affidata ad un soggetto sub-provinciale non era la scelta giusta. E pertanto come già avevano fatto la Toscana, l’Emilia Romagna e le Marche, anche l’Umbria alza il livello di decentramento scegliendo la Provincia. Con la sostituzione del soggetto si amplia anche l’oggetto della delega. Mentre le Associazioni intercomunali avanzavano alla Regione una Proposta di Piano annuale, ora sono le Province ad “adottare” il piano di iniziative da assumere nel proprio territorio. I due piani provinciali vengono poi assunti dal Piano attuativo annuale regionale e tale inserimento equivale alla loro approvazione. Con queste modifiche il quadro della ripartizione di competenze tra i due soggetti può essere così sintetizzato: alla Regione i rapporti con le autorità nazionali e comunitarie e le funzioni della programmazione strategica e del controllo sull’attuazione dei piani annuali, alle Province “le funzioni amministrative relative all’organizzazione, gestione e vigilanza degli interventi di formazione, orientamento professionale, promozione educativa ed educazione permanente”. La Regione, però, può attuare direttamente iniziative “di rilevante interesse” che non risultino realizzabili da parte degli Enti delegati, e attività e servizi di documentazione, studio, progettazione, sperimentazione e aggiornamento. Per la predisposizione del Piano del 1993666, la Regione e le due Amministrazioni provinciali di Perugia e di Terni hanno sperimentato un nuovo modello di programmazione fondato su un percorso procedurale, che ha trovato un riconoscimento formale in un apposito protocollo di intesa. L’idea, che è alla base del nuovo approccio operativo, si ispira ad una metodologia che prevede momenti di confronto interni ed esterni, tra le Amministrazioni e gli altri soggetti sia pubblici che privati. Il primo passo è stato quello di costituire un Gruppo di lavoro667 con il compito di governo tecni co di tutto il processo. Il Gruppo di lavoro ha proceduto alla elaborazione di un primo documento di carattere preliminare. Si tratta di Lineamenti pro- 666 CALISTRI F. e DE VINCENZI R., Una metodologia operativa di programmazione e di valutazione ex ante degli interventi formativi cofinanziati dal F.S.E. in Osservatorio Isfol, 1994, n. 2, pp. 43-62. 667 Composto da: il dirigente dell’Area formazione e lavoro della Regione, il responsabile della Programmazione della FP della Regione; il responsabile dell’Osservatorio regionale del mercato del lavoro; i dirigenti degli Uffici FP delle Province; i consulenti del CRAS. La CRAS Spa è una società di consulenza fondata nel 1983, che svolge attività di ricerca, progettazione, formazione, monitoraggio, valutazione e assistenza tecnica in ambito nazionale e internazionale. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 514 515 grammatici che tracciano un quadro abbastanza dettagliato della situazione socio economica regionale e prospettano le opzioni strategiche che si intendeva perseguire (tenendo anche presente i vincoli e le opportunità offerte dal FSE). Sulla base di questo documento si è passati ad un tavolo regionale di Dialogo Sociale con gli attori economici più significativi, con un duplice obiettivo: da una parte aprire una discussione e raccogliere elementi di consenso e di dissenso rispetto alle linee strategiche delineate, dall’altro raccogliere, in assenza di un sistema a regime di analisi territoriale del mercato del lavoro, informazioni circa i fabbisogni formativi necessari allo sviluppo del sistema produttivo regionale, utilizzando quindi i diversi partecipanti quali testimoni privilegiati. Figura n. 109 - Struttura del Piano attuativo annuale regionale (LL. regg. n. 69 e n. 14/91 art. 7) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 515 516 Operativamente il Dialogo Sociale è stato organizzato attraverso dei forum668. Durante lo svolgimento dei primi tre forum sono state distribuite delle schede di rilevazione, nelle quali si chiedeva un giudizio sulle attività formative svolte in passato e l’indicazione, sia generale che specifica, sul fabbisogno formativo e su quello di manodopera e professionalità. La raccolta delle schede è avvenuta al quarto e ultimo incontro, nel quale oltre alle indicazioni richieste nelle schede, sono stati registrati tutti gli spunti, i suggerimenti e i consigli forniti dai partecipanti. Successivamente è stato organizzato un incontro con i rappresentanti delle Aree operative della Regione (Industria, Artigianato, Beni culturali, Turismo, ecc.) ai quali è stato chiesto di esprimere sia una considerazione sull’andamento occupazionale del settore di appartenenza, sia un giudizio di merito sulle indicazioni e i suggerimenti raccolti nei forum. In base alle indicazioni emerse nei forum e successivamente analizzate e confrontate con le informazioni disponibili circa l’attività formativa pregressa, si è giunti alla definizione conclusiva del Documento di Programmazione delle attività formative per il 1993. Nel documento sono stati individuati i profili professionali prioritari verso cui indirizzare la Formazione di secondo livello (post-diploma e post-laurea), che rappresentano la traduzione e la selezione delle indicazioni (anche in termini di fabbisogni) emerse nei forum. Sulla base del Documento di programmazione delle attività formative per il 1993 le Amministrazioni provinciali hanno provveduto a predisporre appositi Documenti di programmazione provinciale, approvati dai rispettivi Consigli, nei quali venivano sviluppate, le indicazioni contenute nel documento regionale. Successivamente le Amministrazioni provinciali provvedevano ad elaborare dei Bandi pubblici dove venivano indicate le aree professionali o le professionalità specifiche per le quali i soggetti proponenti potevano presentare progetti. Contemporaneamente alla realizzazione dei forum, il Gruppo di lavoro ha messo mano alla elaborazione di una nuova modulistica, sia per la presentazione dei progetti (formulari) sia per la loro valutazione (schede di valutazione). Il nuovo formulario chiedeva informazioni circa le attività pregresse, la disponibilità delle attrezzature didattiche, la descrizione del programma didattico (obiet- 668 Ai forum hanno partecipato: le Associazioni di categoria (dell’Industria, dell’Artigianato, del Commercio e dell’Agricoltura) e le Organizzazioni Sindacali; i Centri di Formazione pubblici, gli Enti di Formazione (quali emanazione delle Associazioni di categoria) e le principali Agenzie formative private, che rappresentano il mercato della formazione operante in Umbria; le Agenzie giovani e le Agenzie per l’impiego, quali «soggetti esperti» dei processi in atto nel mercato del lavoro locale e regionale; le Istituzioni pubbliche e private direttamente coinvolte nelle dinamiche sociali, economiche e aziendali quali: i Comuni e le Comunità montane più importanti, i Provveditorati agli studi, l’Istituto per il Commercio estero e la Unioncamere; altri soggetti operanti sul territorio, quali, ad esempio, il Centro Pari Opportunità e la Legambiente. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 516 517 tivi e contenuti), il curriculum del coordinatore e le caratteristiche dei docenti (cfr. Prosp. n. 52). La revisione della modulistica di presentazione dei progetti formativi ha dunque rappresentato il passaggio propedeutico fondamentale alla progettazione e alla messa a punto delle schede di valutazione nelle quali fosse possibile attribuire un punteggio numerico ad ogni progetto presentato. Le schede di valutazione sono schede informatizzate, composte da alcuni indicatori, desumibili direttamente dalla modulistica di presentazione delle domande, e da alcuni indici ricavati a partire da tali informazioni. Le schede sono state testate attraverso una simulazione del processo valutativo di alcuni progetti presentati negli anni passati. La sperimentazione effettuata ha evidenziato la necessità di ricorrere a tre differenti schede: – scheda di valutazione dei progetti di Formazione post-diploma dell’Area tecnica; – scheda di valutazione dei progetti di Formazione post-diploma dell’Area gestionale (in questi primi due tipi di valutazione sono stati utilizzati gli stessi indicatori, ma è stato attribuito loro un peso differente); – scheda di valutazione dei progetti di qualificazione e di riqualificazione aziendale. Prospetto n. 52 - Struttura del formulario per la presentazione dei progetti Figura n. 110 - Struttura della valutazione di progetti di Formazione storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 517 518 Non sono state redatte schede per la valutazione della Formazione di base (realizzata nei Centri pubblici). La valutazione dei progetti del post-diploma, è stata operata raggruppando i progetti confrontabili, relativi cioè ad uno stesso profilo professionale e utilizzando una serie di indicatori e indici di carattere quantitativo e qualitativo, riguardanti la struttura e il progetto. In generale la valutazione della struttura ha inciso per il 20% sul totale del punteggio attribuibile, il rimanente 80% è dipeso dalle informazioni relative al progetto presentato. Ad ogni indicatore è stato attribuito un peso specifico (compreso tra 0,4 e 2,5)669; in fase di valutazione, ad ogni indicatore viene dato un punteggio (da 0 a 10), nella sua imputazione esso viene automaticamente moltiplicato per il peso specifico. La somma dei valori che ne deriva contribuisce a determinare il punteggio finale del progetto formativo esaminato. Infine, nel caso in cui il progetto risulti presentato in consorzio con altri soggetti, al punteggio finale viene sommato un valore aggiuntivo, poiché il consorziamento e la collaborazione era una delle scelte strategiche del Documento di programmazione. Per quanto riguarda, invece, la scheda di valutazione dei progetti di qualificazione e di riqualificazione aziendale la valutazione dei progetti non può essere effettuata confrontando tra loro più progetti. Dunque, per ogni progetto analizzato è stata compilata una scheda dove oltre ad attribuire i punteggi agli indicatori è sembrato opportuno dare una indicazione analitica sul progetto. Solo al termine delle analisi di tutti i progetti presentati, i punteggi ottenuti sono stati confrontati analiticamente. La valutazione dei progetti è stata effettuata da appositi Nuclei di valutazione provinciali670. Ultimata la fase valutativa e individuati i soggetti cui affidare le attività, le Province hanno provveduto ad adottare il Piano attuativo e, come abbiamo visto esaminando il processo programmatorio, ad inviarlo successivamente alla Regione per l’inserimento nel Piano attuativo annuale regionale. Rispetto agli anni precedenti due sono le novità di maggiore rilievo nel percorso programmatorio fatto dall’Umbria. La prima è rappresentata dal fatto che il processo di selezione degli interventi da realizzare non parte più dalle indicazioni dei soggetti attuatori, ma dalle priorità definite dalla Regione e dalle Province. La seconda novità è costituita dal fatto che si arriva a definire le priorità attraverso un processo governato da Regioni e Province ma che coinvolge una pluralità 669 Viene attribuito sulla base della capacità riconosciutagli di individuare alcuni elementi che definiscono la qualità di un progetto formativo e l’affidabilità della struttura richiedente. 670 Ognuno dei quali composto dal Responsabile dell’Ufficio EP. della Provincia e dai diversi componenti dell’Ufficio (responsabile della programmazione, del monitoraggio e controllo, della rendicontazione e della didattica), nonché da un esperto del Cras con il compito di gestire le schede di valutazione. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 518 519 di soggetti che operano sul territorio, a diverso titolo interessati alla Formazione Professionale671. 671 Vedi il giudizio sui comportamenti di alcuni soggetti partecipanti ai forum “[…], c’è da registrare che le forze sociali invitate a partecipare ai diversi incontri (dai Sindacati alla Confindustria), sono risultate poco attrezzate al Dialogo Sociale: più orientate a salvaguardare l’attività formativa consolidata, svolta dai loro Enti formativi, e meno inclini a interagire con l’Amministrazione sulle dinamiche in atto nel mondo del lavoro e della produzione” in CALISTRI F. e DE VINCENZI R., Una metodologia operativa di programmazione e di valutazione ex ante degli interventi formativi cofinanziati dal F.S.E. in Osservatorio Isfol, op. cit., p. 66. 672 Formula: n. di ore di teoria a contenuto x/n. di ore totali di teoria x 10. 673 Formula: n. di ore di pratica/n. di ore tot/2 o 3 x 10. Il presupposto di fondo è che il punteggio max si avrà solo quando il numero di ore dedicate alla pratica corrisponde a 1/2 del monte ore per il profili dell’Area Tecnica e a 1/3 per i profili dell’Area gestionale. 674 Formula: Spesa personale docente/ (Spesa tot./2) x 10. Il punteggio massimo si avrà quando la spesa per il personale docente corrisponde al 50% della spesa totale. 675Aprescindere dall’esame finale. Prospetto n. 53 - Scheda di valutazione per i Progetti Post-diploma Area tecnica e Gestionale storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 519 520 La Tabella 65 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91) e cinque anni dopo (a.f. 1995-96). Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macrosettore e comparto professionale. Nel 1995-96 sono stati realizzati 362 corsi in più rispetto al 1990-91. A livello di macrosettori aumenta l’Agricoltura che passa da 28 corsi a 57; consistente l’aumento dell’Industria con 95 unità, eccezionale quello del Terziario con 362 (grazie soprattutto all’exploit del settore dei Servizi socio-educativi + 70, dell’Informatica +37 e dell’area professionale Lavori d’ufficio +115). Queste variazioni non determinano rilevanti spostamenti del peso percentuale dei tre macrosettori. (cfr. Graf. n. 100). Il settore agricolo rimane intorno all’8%, l’Industria oscilla tra il 32,8% e il 29,3%, mentre il Terziario guadagna nel 1995-96 quasi 4 punti rispetto all’inizio del decennio. Nel macrosettore Industria e artigianato, nelle annualità prese a riferimento, le prime due posizioni sono occupate dalla Meccanica e dall’Elettricità elettronica, (in entrambi i casi aumento il loro volume corsuale rispettivamente di 21 e 33 corsi). Dalla terza posizione si registrano dinamiche generalmente positive: aumentano l’Edilizia (+15) l’Alimentare (+9) e la Grafica (+16); l’unica diminuzione la fa registrare la Chimica che azzera la propria presenza. Nel macrosettore terziario invece i comparti o le aree professionali che crescono in maniera esponenziale sono: i Servizi socio educativi, che passano dalle 6 attività dell’inizio del decennio, a 79 di metà Anni ’90 e i Lavori d’ Ufficio con 117 corsi in più (da 45 a 162 interventi). Cresce in misura significativa l’area professionale dell’Informatica (da 26 a 53). 676 Formula: n. di ore di teoria/(n. di ore tot. /2) x 10. 11, punteggio massimo, si avrà solo quando il numero di ore di teoria coprirà il 50% dell’intera durata del corso. Prospetto n. 54 - Scheda di valutazione per i Progetti di qualificazione e riqualificazione aziendale storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 520 521 Più contenuti gli aumenti di Ecologia (+9) e Turismo (+4). In territorio negativo troviamo la Cooperazione (–5) e tutti gli altri settori che sono compresi nella categoria Varie (–59). Per quanto riguarda le tipologie formative (cfr. Tab. n. 65) c’è un avanzamento in valori assoluti dei corsi di prima qualificazione (+20), dei corsi speciali (+12) ma soprattutto di quelli destinati ad utenza adulta (+340). Solo i corsi di II livello regrediscono di 10 attività. Questa situazione determina nuovi equilibri tra le tipologie formative, perché necessariamente è cambiato il loro peso percentuale (cfr. Graf. n. 101): la prima qualificazione passa dall’11,9% all’8,5%, il secondo livello dal 18,1% al 9,6%, i corsi speciali dal 14,7% al 22% e quelli per utenze adulte dal 50% al 73,1%! Grafico n. 100 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e 1995-96 Grafico n. 101 - Aumenti e decrementi dei comparti e delle aree professionali del Terziario nella programmazione delle attività negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.21 Pagina 521 522 Se confrontiamo i dati dell’Umbria del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri: la prima formazione è al di sotto della media italiana (34,6%) di oltre 26 punti percentuali; il secondo livello è inferiore al valore nazionale (12,6%) di 4 punti: le attività per adulti sopravanzano il valore nazionale (45,1%) di 28 punti e infine i corsi speciali, sono leggermente superiori al dato medio nazionale che si ferma al 7.5%. Come detto per altre Regioni, l’Isfol per la seconda annualità (a.f. 1995-96) fornisce informazioni di maggiore dettaglio per ciascuna offerta formativa677. Dei 59 corsi di primo livello 46 sono biennali e 13 annuali. Invece, dei 66 corsi di II livello, 26 sono destinati a diplomati, 29 a laureati e 11 a corsi in integrazione 677 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1995- 96, op. cit., p. 94. Tabella n. 65 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 522 523 tra Scuola e Formazione Professionale. L’Umbria è la Regione con il numero di corsi di II livello in cui le attività per laureati sono più numerose di quelle per diplomati. I corsi destinati, secondo la dizione dell’Isfol, ad un’utenza adulta, comprendono percorsi formativi per occupati nella misura di 363 interventi e per disoccupati nella misura di 125. Da notare infine che, dei 60 corsi speciali, 50 riguardano la Formazione per l’iscrizione al R.E.C. e al R.A.C. (Registro Esercenti Commercio e Registro Agenti Commercio). Nel 1990-91, gli allievi previsti ammontavano a 1.720 e rappresentavano lo 0,26% della popolazione attiva (14-60enni); i 410 allievi della prima qualificazione costituivano l’1,35 % della leva dei 14-16enni678. La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi coinvolti (cfr. Graf. n. 103) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna. 678 La popolazione attiva ammontava a 509.418; i 14-16enni a 30.312. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 102 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 (valori approssimati) Grafico n. 103 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti per l’a.f. 1990-91 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 523 524 Nella Tabella 66 vengono riportati i dati dell’indagine Isfol sulle strutture formative, relativa all’anno formativo 1990-91679 e dalla quale possiamo trarre queste considerazioni: – la netta prevalenza delle sedi usate utilizzate per attività occasionali e non ripetitive (80,3%) sulle Scuole regionali e sui CFP (19,7%), cioè sulle sedi utilizzate in maniera continua ed esclusiva per le attività formative dà un’immagine del Sistema formativo abbastanza destrutturato. Ma è un’immagine che deve tener conto del peso percentuale dei corsi per adulti e speciali, normalmente di breve durata e frequentemente realizzati in ambienti occasionalmente usati per la Formazione Professionale. – per quanto riguarda i CFP, cioè le strutture dedicate esclusivamente alla Formazione, si verifica una situazione di parità tra quelli della gestione convenzionata e quelli della gestione pubblica. Tra i soggetti convenzionati menzioniamo il CNOS dei Salesiani con 3 sedi (Perugia, Foligno e Marsciano), l’ENAIP (Perugia, Terni) con 2 sedi, ITER della Confcommercio680, la Scuola Operaia Bufalini (Città di Castello)681 e la Scuola edile (Terni e Orvieto), il CST “Centro Italiano di Studi Superiori sul Turismo e sulla Promozione Turistica” (Assisi). Per una comprensione del quadro dei soggetti attuatori si rammenta che l’Umbria con L. reg. n. 30/81 aveva istitutito “il ruolo unico speciale ad esaurimento del personale operante nel sistema formativo regionale” nel quale sono confluiti tutti gli operatori a tempo indeterminato della gestione convenzionata682. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 104. 679 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. 680 Operativo dal 1995. 681 Nata nel 1909. 682 Cfr. vol. II, p. 378. Tabella n. 66 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 524 525 Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (27,7 miliardi di lire) e quelli più alti sono sono quelli del 1997 (98,1 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 50 miliardi. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con un modesto 71,6%, inferiore alla media italiana (77,1%) si colloca, nella classifica regionale, nella 15ma posizione. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 143.147 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 79.534. Nel primo caso il valore abruzzese supera di molto quello nazionale (93.951 lire), nel secondo invece (media nazionale 99.534 lire) è più basso. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale dell’Umbria è di 1,65%, un dato che la colloca, tra le Regioni, in nona posizione. Grafico n. 104 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 525 526 8.14. Regione Lazio Nel 1992, il Lazio683 approva la L. reg. 25 febbraio 1992, n. 23 Ordinamento della Formazione Professionale684 che sostituisce la n. 14/78. Abbiamo già illustrato, anche se sommariamente, la struttura generale del provvedimento. In questa sede ci limitiamo a ripercorre il processo programmatorio e a ricostruire il quadro dei soggetti attuatori. La L. n. 23 è un provvedimento che si inserisce nella categoria di leggi regionali di “seconda generazione”, la cui caratteristica fondamentale è la regolamentazione nella stessa normativa di tutte le politiche del lavoro o di alcuni suoi segmenti. È questo il caso della legge laziale che, in apertura (art. 1) dichiara di voler disciplinare il processo di programmazione-valutazione dei settori orientamento e Formazione Professionale. La procedura per la formazione del Piano pluriennale è abbastanza lineare (cfr. Fig. n. 111): spetta alla Giunta regionale proporre il Piano pluriennale, dopo aver sentito la Consulta Regionale per la Formazione Professionale e la Commissione regionale per l’impiego. I riferimenti documentali del Piano sono le indicazioni dell’Osservatorio regionale del mercato del lavoro, il programma regionale di sviluppo e i piani settoriali regionali. In sostanza, il Piano pluriennale indica: a) i fabbisogni, gli obiettivi, le priorità e le previsioni finanziarie, a livello regionale e provinciale, delle attività formative e dei progetti di Orientamento professionale, b) i criteri, i metodi ed i parametri per la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia delle iniziative. Oltre queste indicazioni, che costituiscono la struttura portante di ogni documento programmatico di natura strategica, il Piano pluriennale deve offrire, anche e più in particolare, indicazioni su: a) modalità e criteri per le attività di Formazione ed aggiornamento del personale, b) previsioni finanziarie per l’acquisto, la costruzione, l’adeguamento e la trasformazione delle strutture immobiliari e per l’acquisto delle attrezzature tecnico-didattiche, c) modalità, criteri e procedure per il finanziamento, la rendicontazione e la gestione degli interventi. La proposta di piano pluriennale è accompagnata da una relazione sulle iniziative formative realizzate nell’ambito del piano pluriennale precedente. L’approvazione del Piano pluriennale spetta al Consiglio regionale, mentre la predisposizione e l’approvazione del Piano annuale, attuativo di quello pluriennale, 683 Nel periodo 1990-97 il Lazio è stato governato prevalentemente da governi di centrosinistra, guidati da B. Landi PSI (1987 - luglio ’90), R. Gigli DC (luglio ’90 - agosto ’92), G. Pasetto DC (agosto ’92 - febbraio ’94), C. Proietti PSI (febbraio ’94 - gennaio ’95), A. Osio (gennaio - giugno ’95) alla guida di una composita maggioranza tra Popolari, Partito della Sinistra, Verdi e altri partiti laici; P. Badaloni (l’Ulivo) (1995-2000). 684 In B.U.R. LAZIO, 10 marzo 1992, n. 7. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 526 527 è di competenza della Giunta, che dovrà consultarsi con la Consulta regionale per la Formazione Professionale, la Commissione regionale per l’impiego e la Commissione consiliare competente. Le previsioni relative ai soggetti attuatori si muovono sulla linea tracciata dalla Legge quadro (cfr. Fig. n. 112). Di singolare c’è la posizione relativa ai soggetti che possono realizzare interventi di qualificazione di base per i giovani che abbiano assolto l’obbligo scolastico. La Legge li “sottrae” al mercato della Formazione Professionale e li riserva esclusivamente o agli Enti delegati o agli Enti che già avevano operato, in regime di convenzione, attività formative per giovani, previste dalla L. reg. n. 14/78. Figura n. 111 - Processo programmatorio triennale (L. reg. n. 23/1992, art 3) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 527 528 La L. reg. n. 14/78 prevedeva l’Istituto della delega. Destinatari erano i soggetti amministrativi più decentrati sul territorio: i Comuni (che potevano associarsi in Consorzi comprensoriali) e le Circoscrizioni per quanto riguarda la città di Roma. La materia delegata riguardava “la gestione amministrativa dei centri di Formazione Professionale a gestione diretta della regione685 e ogni proposta utile alla redazione dei piani di intervento annuale” (art. 20). La L. reg. n. 23/92 individua nuovi soggetti, le Province e la Città metropolitana686, amplia l’oggetto della delega gestionale e attribuisce competenze in materie anche non gestionali. I soggetti delegati gestiranno i Centri regionali di Formazione Professionale687, i 685 Art. 20, comma 2 “Nella gestione amministrativa si comprende tra l’altro: 1) la vigilanza tecnica ed amministrativa sullo svolgimento delle attività; 2) la formulazione di proposte alla Regione per l’acquisto, la locazione, la costruzione, l’ampliamento di centri di Formazione Professionale ivi comprese le relative attrezzature”. 686 La Città metropolitana è uno degli Enti locali territoriali previsti nella Costituzione italiana, all’articolo 114: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. 687 Cfr. Art. 32: “Il personale di ruolo della Regione in servizio presso i centri viene assegnato funzionalmente alle province ed alla città metropolitana, resta inserito nel ruolo regionale della Formazione Professionale che si trasforma in un ruolo ad esaurimento e conserva integralmente lo stato giuri- Figura n. 112 - Soggetti attuatori (L. reg. n. 23/1992, art. 18-19) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 528 529 corsi in agricoltura svolti dall’ERSAL688 Ente regionale per lo sviluppo dell’agricoltura laziale e i CFP di alcuni Comuni e possono essere autorizzati dalla Regione a rilevare i Centri di Formazione Professionale di Enti che ne dismettano la gestione anche esercitando il diritto di prelazione nel caso in cui qualche altro Ente avanzi la propria candidatura. Ma i soggetti delegati possono essere autorizzati dalla Regione anche per attività di studio, di ricerca, di documentazione, di sperimentazione, per l’elaborazione Figura n. 113 - Le competenze riservate alla Regione e ai soggetti delegati (L. reg. n. 23/1992, art. 5-33) dico ed economico del restante personale regionale e la retribuzione complessiva percepita al momento dell’assegnazione. I beni mobili ed immobili costituenti le strutture dei centri regionali di Formazione Professionale sono ceduti in uso alle Province ed alla città metropolitana nel cui territorio sono situati, con apposito provvedimento della Giunta regionale”. 688 Ente di diritto pubblico strumentale della Regione con il compito di promuovere, applicare e diffondere le innovazioni tecnologiche di interesse agricolo e zootecnico e valorizzare le produzioni tipiche laziali con particolare attenzione al settore enogastronomico. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 529 530 di specifici progetti formativi nell’ambito del territorio di competenza, e per la organizzazione e gestione di corsi di Formazione per gli operatori della Formazione Professionale e dell’orientamento. In tutto il periodo considerato la configurazione organizzativo-istituzionale della Formazione Professionale di questa Regione è quella ereditata dal decennio precedente e si articola in due aree: la n. 29 “Formazione Professionale di base” e la n. 30 “interventi formativi specifici”689. Ciò che rende plausibile tale distinzione non è tanto la differenza di fonti finanziarie né la natura dei soggetti gestionali che peraltro possono operare nell’una e nell’altra area, quanto la tipologia di competenza delle due aree organizzative: da una parte una Formazione più a carattere strutturale, più orientata al mercato, dall’altra una Formazione più a carattere congiunturale e più orientata ad occasioni lavorative specifiche. Anche il Lazio, nella redazione del piano annuale e del programma operativo per gli Obiettivi n. 3 e 4 del FSE relativi a partire dal 1994, ha adottato il sistema di programmazione per obiettivi, la progettazione processuale e multifattoriale e il sistema di valutazione parametrata. Il paradigma del modello di programmazione per obiettivi, calato nell’iter procedurale previsto dalla L. reg. n. 23/92, dà origine a questa sequenza: 1) redazione del Piano annuale che assume come obiettivi gli assi e i sub-assi del Programma Operativo e che specifica le tipologie di azioni, finanziabili solo con risorse regionali o cofinanziabili con risorse statali/comunitarie; 2) pubblicizzazione degli obiettivi/assi/subassi con l’indicazione delle relative risorse; 3) richiesta di finanziamento di attività rientrante negli obiettivi/assi/subassi mediante una scheda progetto; 4) valutazione delle schede-progetto e attribuzione di un punteggio che determini una graduatoria all’interno di ciascun subasse; 5) definizione delle iniziative finanziabili. 689 Cfr. vol. II, p. 386. Prospetto n. 55 - Sistemi di programmazione progettazione e valutazione ex ante storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 530 531 I formulari utilizzati per la richiesta del contributo finanziario per l’attivazione degli interventi presentano delle connotazioni originali per struttura, spettro informativo e modello di progettazione690. Analizzando la struttura, tradizionalmente le Regioni utilizzano un formulario unico per tutte le tipologie formative. Il Lazio è la prima Regione che partendo da un paradigma comune predispone più formulari in risposta a differenziate tipologie di intervento691. Nel caso dello spettro informativo, i formulari abitualmente usati si limitavano ad indicazioni generiche sulla programmazione didattica e sul preventivo finanziario. Il formulario laziale, invece, si occupa dell’analisi del fabbisogno, della professionalità, della programmazione formativa e di tutti gli aspetti della gestione (logistica, strutture, dotazioni e personale). Quindi da informazioni relative ad una fase (quella della gestione didattica), si passa ad una informazione su tutte le fasi; di qui il nome di progettazione processuale. Da informazioni di natura quasi esclusivamente didattica e amministrativo-finanziaria, si passa ad informazioni anche di natura mercato lavoristico e sulla struttura professionale; di qui il nome di progettazione multifattoriale (cfr. Prosp. n. 56). Originale per modello di progettazione. I formulari tradizionali si limitavano ad una progettazione di massima. Il modello laziale richiede una progettazione di dettaglio. Per la compilazione dei primi occorrevano un po’ di competenze didattiche e amministrative. Per redigere un formulario laziale occorrono competenze anche di natura mercato lavoristico. Se prima era sufficiente un docente o un addetto all’amministrazione ora occorre chi sappia fare ricerca. Comprensibile quindi l’impatto traumatico che l’adozione di tali formulari ha determinato sulla platea dei soggetti attuatori. 690 Ibidem, Osservatorio, p. 22. 691 Vd. Osservatorio, p. 18. Prospetto n. 56 - Progettazione multifattoriale (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 531 532 (Segue) (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.22 Pagina 532 533 I formulari sono accompagnati da una Guida che, per ciascuna delle schede nelle quali si articolano, precisa la finalità, specifica la struttura, esplicita il significato della terminologia tecnica utilizzata e offre indicazioni procedurali. È uno strumento che nello stesso tempo è un manuale per l’uso, finalizzato alla corretta compilazione dei formulari e una guida alla progettazione, finalizzata alla acquisizione di (Segue) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 533 534 cultura e competenze operativo-procedurali per la elaborazione di progetti di Formazione Professionale. La selezione dei progetti si articola in tre fasi concettualmente ed operativamente diverse e cronologicamente successive: a. verifica di ammissibilità, finalizzata a rilevare la rispondenza delle attività progettate agli obiettivi predefiniti dalla Regione; b. verifica di accettabilità tecnica, finalizzata a rilevare: - la rispondenza agli standard di durata degli interventi previsti dalla Regione, - la rilevanza del problema che dà origine alla richiesta e il fatto che per la sua soluzione la Formazione Professionale è opportuna o necessaria, - la correttezza metodologica nella analisi dei compiti e nella individuazione delle competenze, - la individuazione degli obiettivi formativi finali, - l’adeguatezza del percorso formativo elaborato, - l’adeguatezza e la congruità delle risorse logistiche, strutturali, rotazionali; c. definizione del grado di priorità dei progetti ritenuti accettabili, nell’ambito del subasse di riferimento, mediante un punteggio che rappresenta la sommatoria di punteggi parziali attribuiti a numerose variabili (fino a 85!). Tutte e tre le fasi sono realizzate utilizzando una griglia che, similmente al formulario, contiene parti comuni utilizzabili per tutte le tipologie formative e parti differenziate per ciascuna di esse. Nella Tabella 67, di fonte Isfol, sono quantificati i corsi programmati, per tipologia formativa e settore economico (articolato in comparti/ aree professionali) negli anni 1990-91 e 1995-96. Nella seconda annualità i corsi programmati (1.430) sono 102 in più della prima (1.328), grazie soprattutto all’aumento notevole degli interventi del terziario (+167) che compensano il decremento sensibile dell’industria e artigianato (–68). I settori e le aree professionali che subiscono gli aumenti (cfr. Graf. n. 105) sono, in ordine decrescente: il turismo che fa un exploit (+113), l’informatica (+56), l’elettricità e i lavori d’ufficio (+41) le attività promozionali e la pubblicità (+31) e infine l’edilizia e l’ecologia (+26). Sull’altro versante, quello delle diminuzioni, a parte i servizi socio educativi che flettono di 82 corsi passando da 105 a 23 interventi, i decrementi che toccano gli altri settori sono al di sotto dei 10 corsi. Dalla Tabella 67 si ricava che quasi tutte le tipologie aumentano in valori assoluti. Aumentano in misura contenuta i corsi speciali (+20, da 15 a 40). Aumentano in misura notevole i corsi di prima qualificazione (+57 ) che passano da 621 a 678. Aumentano in maniera eccezionale le attività per adulti (+272; da 542 a 267). L’unica sorpesa viene dal II livello che nel 1995-96 perde 240 corsi rispetto all’inizio del decennio. Queste variazioni determinano anche diversi equilibri percentuali. La prima formazione, che nel 1990-91 rappresentava il 46,7% (superiore alla media nazionale che faceva registrare il 37%) si porta a 47,4% (aumentando la forbice rispetto al valore nastoriaFORMAZ3- 4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 534 535 zionale che si ferma al 34,6%). Gli interventi per adulti aumentano in termini relativi di quasi 18 punti: passano dal 20% al 37,9% (ma in entrambi i casi non raggiungono la media italiana, che era del 35,1% nel 1990-91 e di 45,4% nel 1995-96). I corsi speciali raddoppiano il loro peso passando dall’1,1% al 2,8% (media nazionale 11,3 % nel primo anno di riferimento al 7,3% al secondo). Il secondo livello sprofonda da un’iniziale 30,8% (valore italiano 16,3%) a 11,8% (media nazionale 12,7%); le defezioni si verificano in quei settori che nel 1990-91 avevano fatto registrare il numero dei corsi più alto (elettricità-elettronica, lavori d’ufficio e informatica). L’indagine Isfol sulle attività programmate nel 1995-96 ci offre maggiori informazioni su ciascuna offerta formativa. Tra i corsi di prima qualificazione (678) 401 sono biennali e 277 annuali; non si registrano corsi post-qualifica. Solo 13 interventi di II livello, sui 170 programmati, sono finalizzati all’ottenimento di una qualifica; tutti gli altri si configurano come percorsi formativi per acquisire competenze. 144 interventi sono destinati a diplomati e 144 a laureati. La maggior parte dei 542 corsi destinati ad una popolazione adulta è riservata ai disoccupati (il 64% degli interventi di questa tipologia formativa e quasi un quarto di tutti i corsi programmati quell’anno). Sia per i disoccupati che per gli occupati la maggior parte delle attività (437) è finalizzata alla qualificazione o riqualificazione. Tutti i corsi speciali sono riservati a persone che rientrano nella categoria allora denominata delle “fasce deboli”. Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 29.983; di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva, cioè gli inoccupati, e quanti avevano perso un’occupazione, cioè i disoccupati, erano 25.066. Grafico n. 105 - Settori e aree professionali che subiscono le maggiori variazioni tra 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 535 536 Tabella n. 67 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) 1) Per un corso non è possibile individuare dai Piani la tipologia formativa; 2) Per n. 4 corsi non è possibile individuare dai Piani la tipologia formativa; 3) Per n. 7 corsi non è possibile individuare dai Piani la tipologia formativa Grafico n. 106 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 536 537 Gli allievi del 1990-91, 25.611, rappresentano lo 0,5% della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione, 12.453, rappresentano il 5,7% della leva dei 14-16enni692. La distribuzione dei corsi per Provincia e di conseguenza il numero degli allievi coinvolti (cfr. Graf. n. 107) riflette sostanzialmente il numero di abitanti di ciascuna. Nell’anno formativo 1990-91 sono state utilizzate 404 sedi: 250 solo occasionalmente impiegate per attività formative e 154 strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale. Nel computo non teniamo in considerazione le voci “sede nominale” e “altro-non indicato”693. Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del Sistema formativo, è di 62 a 38. Mentre il rapporto tra i 35 CFP pubblici (16 Centri regionali che rappresentano la gestione diretta e 19 di Enti pubblici) e i 119 di Enti di Formazione o soggetti privati è di 22.8 a 77,2. 692 La popolazione attiva ammontava a 3.443.123; i 14-16enni a 217.298. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 693 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della Formazione Professionale 1991, op. cit., p. 104. Tabella n. 68 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) Grafico n. 107 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 537 538 L’indagine Isfol sulla distribuzione dei CFP, relativa all’a.f. 1992-93694, censisce 96 CFP, di cui 18 gestiti dalle Amministrazioni Comunali di Cassino (2), Pontecorvo, Alatri, Albano, Tivoli, Anzio e Roma (11). La cospicua dotazione dell’Amministrazione capitolina è dovuta in parte all’acquisizione di CFP dell’ENAIP, dell’ENAP e del CNIPA. Nell’area convenzionata posto di assoluto rilievo ha lo IAL della CISL con 34 sedi, di cui 6 a Roma e 28 nelle altre Province (Cassino, Veroli, Frosinone, Terracina, Sezze, Latina (3), Anzio, Aprilia, Cecchina, Priverno, Civitavecchia, Montelibretti, Guidonia, Sora, Tivoli, Albano, Marino, Pomezia, Rieti, Colleferro, Passo Corese, Rocca Priora, Tarquinia, Viterbo (2), Montefiascone). Rilevante anche la presenza di un altro Ente di emanazione sindacale, l’ENFAP della UIL, che vanta 14 CFP, 3 a Roma e 11 nelle altre Province (Ripi, Anagni, Latina, Aprilia, Rieti, Velletri, Monterotondo, Pomezia, Fiumicino-Torrimpietra, Viterbo, Tarquinia). Il terzo Ente per numero di CFP è il CIOFS delle Salesiane con 9 centri: a Roma (6), Colleferro, Civitavecchia, Ladispoli. Completano il quadro degli Enti d’ispirazione cristiana: il CNOS-FAP dei Salesiani con 3 Centri (tutti a Roma), e sempre nella capitale: l’Elis dell’Opus Dei, l’ENDO degli orionini (2), l’ENGIM dei Padri giuseppini del Murialdo, le Suore Domenicane, sul versante della formazione per portatori di handicap il don Guanella e l’Istituto S. Alessio - Margherita di Savoia695. In Pro- 694 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.) Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. 695 Il Centro nasce nell’aprile del 1988 dalla fusione di due IPAB preesistenti, la cui presenza nella realtà cittadina risale agli anni immediatamente a ridosso dell’unificazione del Paese. L’“Istituto dei Ciechi di S. Alessio” si fondava sulla particolare iniziativa del Pontefice Pio IX che intendeva in tal modo dare una risposta ai primari bisogni manifestati dai giovani minorati della vista: “... pel ricovero e per la educazione de’ poveri fanciulli ciechi dello Stato Pontificio” come recita testualmente il documento ufficiale vaticano. Dalla sede originaria sull’Aventino, presso l’Istituto dei Padri Somaschi, la struttura si trasferì, negli Anni ’40, nella sede di servizio di Viale Carlo Tommaso Odescalchi. L’“Ospizio Margherita di Savoia per i poveri ciechi” assolse, invece, alla specifica necessità, colta dalla Regina d’Italia, di assicurare un ricovero a persone disabili, soprattutto di sesso femminile e in età avanzata, bisognose di cura e assistenza. Grafico n. 108 - Enti con maggior numero dei CFP nel Lazio (a.f. 1992-93) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 538 539 vincia di Roma merita una particolare menzione il CFP S. Girolamo Emiliani dei Padri Somaschi di Ariccia. Fuori dall’area sindacale e della cultura cattolica vanno ricordati: il Consorzio Alto Lazio che opera nel viterbese (Tarquinia, Civita Castellana, Viterbo), il CNIPA Consorzio Nazionale Istruzione Professionale Artigiana (Poggio Mirteto e Viterbo), l’ANAPIA - Associazione Nazionale Professionale Istruzione e Addestramento (Roma). La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sull’8,6% (10,5 area pubblica e 8,2 area convenzionata privata). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 109. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1994 (63 miliardi) e quelli più alti sono quelli del 1996 (357,6 miliardi di lire); la media del periodo è pari a 218 miliardi e 462 milioni. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) è scarsa: è di 64,5%. Il dato peggiore delle Regioni del Centro. Inferiore alla media italiana (77,1%) di oltre 12 punti. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 57.282 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 67.604 lire. Nell’uno e nell’altro caso i valori sono molto lontani da quelli nazionali; rispettivamente di 36.669 lire in meno per quanto riguarda la spesa per abitante (spende di meno solo la Toscana) e di 31.930 in meno per quanto riguarda la spesa rispetto alla forza lavoro (spendono di meno solo la Campania, la Calabria, le Marche e la Toscana). Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di 1,09%. Anche in questo caso il Lazio è lontano dal valore medio nazionale che si attesta sull’1,39%. Grafico n. 109 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 539 540 8.15. Regione Abruzzo La L. reg. n. 111/95 è la seconda Legge che la Regione approva dopo l’emanazione della Legge quadro nazionale. La precedente, la n. 63 del 1979, viene esplicitamente abrogata. La n. 111 può essere annoverata tra le normative di II generazione e come le Leggi di questo gruppo, non si limita a regolamentare la Formazione Professionale (iniziale, superiore e continua) ma anche l’Orientamento professionale (formazione, informazione e consulenza). Abbiamo già riscontrato casi regionali degli Anni ’90 in cui si cambiava il soggetto delegato (vedi ad es. Lazio e Marche), passando dalle istituzioni più vicine al territorio, quali i Comuni (anche se chiamati ad operare in associazione con altri Comuni), a soggetti istituzionali con competenze su aree geografiche più vaste, quali le Province. È uno dei tanti segni dei cambiamenti della cultura istituzionale dell’epoca. Se negli Anni 70-80 l’idea vincente era quella della massima partecipazione che ben si coniugava con il massimo del decentramento, negli Anni ’90 prevale l’idea dell’efficacia amministrativa che è più garantita da un soggetto che governa una porzione del territorio regionale consistente. Nel caso dell’Abruzzo, che nella Legge del 1979 aveva scelto come soggetto delegato le Comunità montane e non montane, si assiste ad un fenomeno diverso: l’abbandono dell’Istituto della delega. Scelta non traumatica dal momento che, di fatto, la Regione non aveva mai provveduto a rendere operativa la delega. Se si vuole rintracciare un filo conduttore della nuova Legge la si può trovare nell’idea di rete. La Legge, infatti, insiste con particolare enfasi su “un sistema integrato”, nel senso che viene valorizzata la partecipazione (scambio di informazioni e conoscenze ma anche di progettazione comune di interventi) delle organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro, delle amministrazioni del Sistema scolastico, delle Università, dei Centri di ricerca, degli attori della Formazione Professionale. Ma per far funzionare un sistema integrato dei soggetti attuatori, occorre un’azione di governo coordinata. Di qui l’esigenza di istituire o riorganizzare specifici “Organismi tecnici regionali”: l’Osservatorio del Mercato del Lavoro, l’Ufficio regionale per la gestione amministrativa e contabile, il Comitato tecnico di valutazione e controllo (monitoraggio, valutazione ex ante, in itinere ed ex post, controlli di efficacia e di efficienza) e il Coordinamento regionale delle attività di Orientamento professionale (indirizzo e coordinamento dei centri pubblici di orientamento e di quelli organizzati da operatori e strutture private). Il processo programmatorio ha come output tre documenti: il Piano triennale, a carattere strategico, il Programma annuale a carattere attuativo e tra l’uno e l’altro il Capitolato d’oneri, che sulla base del triennale detta procedure, modalità e offre strumenti per la pianificazione annuale e per la sua attuazione. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 540 541 I contenuti del Piano triennale possono essere ricondotti a tre ambiti (cfr. Fig. n. 114): – quello della programmazione delle attività (distribuzione della quantità e tipologia degli interventi e relative risorse finanziarie per settori produttivi); – quello della definizione dei criteri (per gli investimenti in materia di adeguamento e sviluppo delle sedi operative di FP, per la revisione del sistema delle qualifiche e della certificazione, per il riconoscimento delle attività libere, per il monitoraggio e il controllo dei risultati delle attività, per la progettazione formativa e gli indirizzi per la programmazione didattica e per l’attività di ricerca e sperimentazione); – quello delle prescrizioni indirizzi e direttive (in generale per la Giunta e le agenzie formative circa l’attuazione del Programma annuale, in particolare per la valutazione degli interventi formativi; per la struttura base della convenzione). Figura n. 114 - Processo programmatorio triennale (L. R. n. 111/1995) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 541 542 Nell’iter per la formazione-autorizzazione del Piano vengono coinvolti una pluralità di soggetti, con ruoli e funzioni diverse: l’Osservatorio del Mercato del Lavoro fornisce i dati, i centri di interesse regionale e il comitato tecnico di valutazione offrono la loro consulenza, le parti sociali prestano il loro concorso e la Commissione regionale esprime pareri (ma il testo utilizza il mitico verbo del lessico normativo istituzionale “sentita”). La Giunta regionale contestualmente alla predisposizione della proposta di piano ed “al fine generale di informazione e garanzia dell’imparzialità e del buon andamento, omogeneità e trasparenza delle procedure di pianificazione annuale e di gestione attuativa dei piani”, formula un Capitolato d’oneri e lo approva entro 30 gg. dall’approvazione del piano triennale. Il Capitolato contiene disposizioni e direttive per tutte le fasi del processo, dalla elaborazione e selezione dei progetti, fino alla definizione dei modelli di certificazione ed attestazioni (cfr. Fig. n. 115). La procedura che porta alla formazione del Piano annuale prevede come operazione iniziale la redazione dello Schema di Piano annuale da parte della Giunta, Schema di Piano che, in buona sostanza, specifica la ripartizione per obiettivi e assi prioritari di intervento delle risorse finanziarie, articolata secondo le varie tipologie. Su questa base le agenzie formative e gli altri soggetti interessati, presentano, entro luglio, alla Giunta regionale, i progetti di interventi formativi, per i quali è richiesto il finanziamento. Entro il mese di settembre la Giunta approva il Piano annuale che contiene: a) i piani di dettaglio degli interventi promossi dalle Agenzie formative e dagli altri soggetti realizzatori; b) le attività promosse dalle imprese in favore dei propri dipendenti; Figura n. 115 - Contenuti del Capitolato d’oneri (L. R. n. 111/1995) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 542 543 c) l’indicazione dei progetti promossi dalla Regione; d) l’indicazione dei progetti relativi a programmi di interesse comunitario o nazionale. Il Piano prevede anche il finanziamento da riservare ad appalto concorso, “che non può essere comunque inferiore al 40% delle risorse disponibili, salvo gli obblighi derivanti dall’applicazione della normativa comunitaria”. Poche le innovazioni rispetto alla legislazione delle altre Regioni e più che altro di carattere formale e linguistico per quanto riguarda i soggetti attuatori. La L. reg. n. 111/95 istituisce l’elenco ufficiale delle agenzie formative regionali. Con tale nome si connota qualsiasi struttura pubblica o privata organizzata sul territorio, destinata alla realizzazione delle iniziative di Formazione e Orientamento professionale e di quelle connesse. Sono considerate tali: a) i Centri regionali di Formazione Professionale; b) le strutture organizzate da: b1) amministrazioni, Enti e organismi pubblici o di diritto pubblico interno o internazionale con specifiche finalità di Formazione; b2) Enti, comunque denominati, costituiti anche congiuntamente da organizzazioni democratiche rappresentative a livello nazionale o regionale dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori o del movimento cooperativo; b3) Enti in qualsiasi forma costituiti da associazioni o fondazioni con finalità formative o sociali; b4) imprese e loro consorzi. L’elenco ufficiale delle agenzie formative regionali è adottato per ciascun periodo di riferimento del piano triennale. Ai fini dell’iscrizione e del mantenimento nell’elenco ufficiale spetta al comitato tecnico di valutazione accertare la sussistenza dei requisiti e delle condizioni prescritti (cfr. Fig. n. 116). Per attività connesse agli interventi formativi e di orientamento, (studio, ricerca applicata, sperimentazione, documentazione, consulenza e assistenza tecnica) la n. 111/95 prevede una nuova figura: i Centri di interesse regionale, “organismi specializzati in grado di fornire prestazioni di elevato livello qualitativo”. Nei Centri di interesse regionale deve essere garantito l’apporto integrato di tre componenti: a) almeno un’agenzia formativa con esperienza nella specializzazione di riferimento; b) almeno un’università, o ente di ricerca di interesse nazionale con sede nella Regione; c) almeno un’impresa o una struttura associativa di imprese afferenti alla specializzazione di riferimento. Ma la L. n. 111/95 non è l’unica Legge che l’Abruzzo emana tra il 1990 e il 1997. La più importante, ma non l’unica. Vanno, infatti, menzionate: – la n. 94/90696 che dà vita, presso il CRFP di Sulmona, ad una Scuola per le professioni di montagna; 696 L. reg. n. 94 del 06 giugno 1990 Istituzione della scuola per le professioni della montagna, presso il Centro Regionale di Formazione Professionale di Sulmona in B.U.R. ABRUZZO, 27 dicembre 1990 n. 19. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.23 Pagina 543 544 – la n. 96/90697, la n. 20/93698, la n. 2/95699 e 47/97700 che prorogano alcune norme di leggi precedenti che consentivano l’utilizzazione di personale in quiesenza per la revisione dei rendiconti arretrati e per le commissioni di esame; 697 L. reg. n. 96 del 18 dicembre 1990 Proroga delle disposizioni di cui alle Leggi regionali 28 Dicembre 1988, n. 101 e 7 Settembre 1988, n. 80, in materia di formazione professionale in B.U.R. ABRUZZO, 27 dicembre 1990 n. 19. 698 L. reg. n. 20 del 02 giugno 1993 Proroga e modificazione degli artt. 9, 10, 11 e 12 della legge regionale 28 dicembre 1988, n. 101 e successive, concernenti la formazione professionale in B.U.R. ABRUZZO, 11 giugno 1993 n. 21. 699 L. reg. n. 2 del 17 gennaio 1995 Proroga delle LL.RR. 28.12.1988, n 101 e 2.6.1993, n 20 concernenti la Formazione Professionale. 700 L. reg. n. 47 del 23 maggio 1997 Proroga della legge regionale 28 dicembre 1988, n.101 e successive modificazioni e proroghe concernenti la formazione professionale. Figura n. 116 - Sedi e soggetti di attuazione (L. R. n. 111/1995) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 544 545 – la n. 1/94701 e la n. 74/94702 a favore del Centro Internazionale di Addestramento Professionale nell’Industria (CIAPI) di Chieti-Pescara, di cui la Regione è socio di maggioranza; la prima autorizza a contrarre un mutuo decennale per il ripianamento della situazione debitoria; la seconda eroga un contributo per le spese correnti; – la n. 54/95703 che autorizza il finanziamento (1.298 milioni di lire) di un programma straordinario triennale di Formazione Professionale nel Settore Artigianato a favore di giovani da avviare ad attività formative presso botteghe scuola della Regione; – la L. reg. 101/92704, che eroga 915 milioni di lire agli Enti di Formazione per concorrere al ripianamento o alla riduzione delle passività dall’anno formativo 1982-1983, derivanti dai maggiori oneri sostenuti per la retribuzione del personale e relativi oneri riflessi, in conseguenza dei ritardati pagamenti da parte della Regione; – la L. n. 26/94705 e la L. 107/96703 finalizzate alla tempestività nelle procedure di erogazione delle risorse finanziarie. La prima modifica una norma precedente portando al 100% invece che al 90% la copertura delle previsioni di spesa del personale mediante accredito da parte della Regione sul conto corrente bancario dell’istituto tesoriere intestato all’ente gestore ed utilizzato esclusivamente per le retribuzioni del personale e gli oneri riflessi. La seconda prevede delle anticipazioni per le spese del personale dipendente iscritto nell’Albo; – la L. reg. n. 134/96707, che istituisce l’Osservatorio sul mercato del lavoro; – la L. reg. n. 34/97708 e la L. reg. 139/97709 che prevedono misure per la riqualificazione la riconversione e la ricollocazione professionale degli operatori del Sistema formativo. 701 L. reg. n. 1 del 04 gennaio 1994 Interventi urgenti a favore del CIAPI di Chieti - Pescara in B.U.R. ABRUZZO, 18 gennaio 1994 n. 2. 702 L. reg. n. 74 del 2 novembre 1994 Contributo alla Associazione CIAPI di Chieti - Pescara. 703 L. reg. 19 aprile 1995, n 54 Intervento straordinario per la Formazione Professionale nel Settore Artigianato. 704 L. reg. n. 101 del 28 dicembre 1992 Rifinanziamento dell’ art. 14 della LR 28-12-1988, n. 101, in materia di Formazione Professionale in B.U.R. ABRUZZO, 29 dicembre 1992, n. 44 705 L. reg. n. 26 del 12 aprile 1994 LR 12-1-1988, n. 6 “Norme in materia di erogazione dei fondi agli Enti di Formazione Professionale”. Modifica dell’art. 2 lettera A in B.U.R. ABRUZZO, 27 aprile 1994, n. 13. 706 L. reg. 29 ottobre 1996, n. 107 Interventi urgenti in materia di formazione professionale. 707 L. reg. 17 dicembre 1996, n. 134 Norme sull’Osservatorio regionale del mercato del lavoro in B.U.R. ABRUZZO, n. 24 del 23.12.1996. 708 L. reg. n. 34 del 9 aprile 1997 Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione professionale degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo. 709 L. reg. n. 139 del 17 dicembre 1997 “Modifiche ed integrazioni alle LL.RR. 9.4.97, n. 34 e 22.4.97 n. 38”. “Misure incentivanti la riqualificazione, la riconversione e la ricollocazione professionale degli operatori del sistema formativo e disciplina dell’Albo”. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 545 546 Un’attenzione particolare merita l’ultimo gruppo di normative citate. Normative che, per “evitare che i processi di trasformazione e flessibilizzazione in atto nel sistema erogatore dell’offerta formativa si risolvano nella traumatica espulsione degli operatori dipendenti dagli enti” (art. 1, L. n. 34) si propongono due obiettvi per due tipologie di operatori: quelli che possono continuare a lavorare nel Sistema formativo e quelli invece per i quali non sussistano possibilità di permanervi. Per i primi si procede ad un riposizionamento degli operatori all’interno del comparto formativo: a) adeguandone le competenze mediante programmi di riqualificazione, riconversione ed aggiornamento professionale; programmi elaborati dagli Enti e autorizzati dal Piano annuale; b) applicando i meccanismi di flessibilità dell’orario di lavoro (part-time). Per la ricollocazione dei lavoratori “in esubero”710 si prevedono dotazioni finanziarie: a) per la creazione di nuove imprese, in forma societaria o cooperativistica711, che operino a1) nell’indotto al sistema formativo712, a2) o in qualsiasi altro settore; b) per il il reimpiego in attività autonome individuali713; c) per sostenere programmi di lavoro socialmente utili. Per quanto riguarda, invece, l’Osservatorio del Mercato del Lavoro, abbiamo già rilevato714 che già dal 1982 con la L. reg. n. 74, l’Abruzzo si era dotato di questa struttura. Cosa cambia con la legge n. 34 del 1997 che ha per titolo Norme sull’Osservatorio del mercato del lavoro? Non cambiano le finalità. In entrambe l’attività scientifica di raccolta, sistematizzazione, analisi e documentazione delle informazioni intende supportare la programmazione socioeconomica, la programmazione dell’orientamento e Formazione Professionale e le misure per la massima occupazione. Non cambiano, sostanzialmente, gli ambiti di indagine; anche se la Legge del 1982 usa espressio- 710 Destinatari dei benefici previsti per le situazioni di cui a2) b) c) sono gli operatori degli enti e del CIAPI che versino nelle seguenti condizioni, intese cumulativamente: a) siano iscritti all’albo istituito b) siano destinatari di provvedimenti di licenziamento per riduzione di personale divenuti definitivi in data successiva al 1.1.1995; c) non maturino i requisiti di Legge per la corresponsione del trattamento di quiescenza entro 18 mesi successivi al licenziamento. 711 I contributi accordati non possono eccedere l’importo del contributo “de minimis”, pari a 100.000 ECU nel triennio. Le agevolazioni consistono in: contributo a fondo perduto per spese di costituzione della società o cooperativa, per spese di impianto ed attrezzature, per spese di gestione relative al primo anno di attività; prestito quinquennale senza interessi fino a concorrenza dei 2/3 delle spese di investimento eccedenti il contributo a fondo perduto, fatto salvo il valore soglia del regime “de minimis”. 712 Destinatari dei benefici sono gli operatori degli Enti e del CIAPI che versino nelle condizioni a) e c) della nota n. 646. La Regione finanzia progetti mirati alla realizzazione di piccole imprese a struttura collettiva interessate a rilevare porzioni di servizi di supporto alla formazione, consistenti nell’organizzazione di stages e tirocini pratici, di attività di orientamento, amministrative, operative in senso lato, comunque connesse alle necessità dell’ente. Il progetto, di durata almeno triennale, deve essere supportato da intese tra i lavoratori rappresentanti dalle OO.SS. del comparto e l’Ente di appartenenza. Una volta che la Regione abbia assicurato il finanziamento i lavoratori interessati rassegnano le dimissioni dal rapporto d’impiego con l’Ente. 713Atal fine è corrisposto un incentivo non superiore a L. 60 milioni per spese di impianto, attrezzature, locazione della sede dell’attività. 714 Cfr. vol. II, p. 131. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 546 547 ni onnicomprensive, mentre quella del 1997 ne fa un elenco dettagliato. Naturalmente non cambiano nemmeno le modalità di lavoro che sono quelle tipiche della ricerca sociologica e documentale. Cambia, invece, la configurazione organizzativa. Infatti, l’Osservatorio della Legge 74/82 era “una unità operativa regionale flessibile, affidata alla direzione di un comitato intersettoriale formato dai Componenti la Giunta regionale preposti ai Settori Formazione Professionale, Programmazione e Lavoro e presieduto da quest’ultimo”. Invece, l’Osservatorio della L. 34/97 è “una struttura articolata risultante dal concorso di un apparato amministrativo715, innestato sul Servizio lavoro ed emigrazione (n.d.r. del Settore formazione professionale, lavoro ed emigrazione), e di un comitato tecnico scientifico (n.d.r. 5 membri) composto da esperti altamente qualificati, esterni all’amministrazione regionale716. 715 Art. 1 comma 3 “Il supporto amministrativo dell’O.R.M.L. ha natura giuridica ed organizzativa di Ufficio, cui è preposto un dirigente regionale; esso è articolato in due Unità Operative denominate rispettivamente: U.O. Assistenza tecnica; U.O. Segreteria amministrativo-contabile. 716 Art. 3, comma 4 “Il comitato tecnico-scientifico si compone di 5 membri, tutti da individuare tra soggetti dotati di elevata qualificazione scientifica e professionale nei settori della ricerca di base ed applicata, nelle tecniche avanzate di elaborazione e diffusione dati, in possesso altresì di una documentabile conoscenza delle problematiche relative alla formazione professionale ed alle politiche attive del lavoro”. Comma 5. “Ai fini della costituzione del comitato, nel termine decadenziale di gg. 20 dalla richiesta del competente servizio regionale, ciascuno dei sott’elencati soggetti prospetta alla Giunta regionale tre nominativi in possesso di documentati requisiti coerenti con le indicazioni del comma precedente: Facoltà di Economia e Commercio della Università “D’Annunzio” di Chieti; Facoltà di Scienze Politiche della Università di Teramo; Agenzia regionale per l’impiego; Confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale; Confindustria, Confapi, Confagricoltura, Confcommercio, Confesercenti, C.N.A., Lega delle Cooperative. Figura n. 117 - Struttura ambiti tematici e finalità dell’Osservatorio regionale del Mercato del Lavoro (L. reg. n. 34/97) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 547 548 Inoltre, nella normativa del 1982 si prevedevano degli Osservatori territoriali, a livello comprensoriale e intercomprensoriale. Nella nuova normativa, invece, non ce n’è traccia. Nelle more della ridefinizione delle piante organiche regionali, le risorse umane necessarie ad assicurare l’ordinario funzionamento dell’Ufficio possono essere reperite tra i dipendenti degli Enti di Formazione Professionale (a tempo indeterminato entro la data del 2.10.1985 e “già impegnati con esito soddisfacente” presso l’O.R.M.L) mediante una convenzione con l’Ente di provenienza. Nel Regolamento di attuazione della Legge 111/95 l’Abruzzo adotta il sistema classificatorio delle attività, con il titolo “aree di intervento”, riprodotto nel Prospetto 57. Nella Tabella 69 viene riportato il numero dei corsi programmati, all’inizio e a metà decennio, 1990-91 e 1995-96, classificati secondo il sistema Isfol- Orfeo. Molte le sintonie tra le due classificazioni. Nel 1995-96 sono stati programmati 154 interventi in meno rispetto all’inizio del decennio. I decrementi sono generalizzati, nel senso che investono tutti i macrosettori. Infatti l’Agricoltura perde 35 interventi (soprattutto sul versante delle attività destinate agli adulti, –38) e l’Industria e l’Artigianato rispettivamente 67 e 35 (a causa di un vistoso collasso della prima qualificazione con –75 e –55). Nella diminuzione dei corsi nel Terziaro influiscono in maniera decisiva i corsi speciali che passano da 66 a 0. Tra i due anni di riferimento si assiste anche a delle variazioni molto consistenti nel peso delle diverse tipologie formative. 717 Regolamento di attuazione della legge regionale sulla formazione professionale del 17 maggio 1995, n. 111, in B.U.R. ABRUZZO, n. 30 gennaio 1996, n. Speciale. Prospetto n. 57 - Aree di intervento (Regolamento n. 12/95, art. 3) Fonte: Deliberazione CR. REGOLAMENTO 7 novembre 1995, n. 12/95717 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 548 549 Si consideri che il primo livello, che faceva registrare il 47,4% (mentre il dato nazionale si fermava al 37%), precipita, nell’a.f. 1995-96, al 17,5%, distante dalla media nazionale (34,6%) di circa 17 punti. In quell’anno dei 64 corsi di prima qualificazione 48 sono biennali e 16 annuali. Tabella n. 69 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) Grafico n. 110 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 549 550 Il secondo livello, invece, da un iniziale 14,2% del 1990-91, inferiore alla media nazionale (16,3%) sale al 22,4% nella composizione percentuale Del 1995- 96, aumentando anche rispetto al dato nazionale (12,8%). Da notare che nel 1995-96 tutti i corsi (82) di questa offerta formativa erano destinati solo a diplomati, ad esclusione di 3 interventi di integrazione Formazione Professionale - Scuola. Sensibile l’aumento delle attività destinate ad utenze adulte (197 corsi per occupati e 20 per disoccupati) che fanno lievitare il peso percentuale dal 23,7% a quasi il 60% (59,4%)! L’azzeramento dei corsi speciali del terziario (corsi per agenti ed esercenti di commercio) comporta anche la quasi scomparsa di questa offerta formativa nel 1995-96, quando fa registrare un irrilevante 0,5%. Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due anni assunti a riferimento? Dei 20 settori (più la categoria “varie”) considerati nella Tabella 69, 15 subiscono delle perdite; tra questi 10 perdono più di due corsi (cfr. Graf. n. 111). In ordine decrescente registriamo le perdite consistenti dei settori Elettricità- elettronico (–45) Abbigliamento (–25) Acconciatura (–21) Distribuzione commerciale (–17) Ristorazione (–14). Perdite che si concentrano soprattutto nel primo livello ad esclusione della Distribuzione commerciale che flette nei corsi speciali. Gli altri settori o aree professionali che diminuiscono (Edilizia, Alimentare, Grafica, Artigianato artistico, Spettacolo, Servizi socio educativi) mantengono le perdite di interventi sotto le 10 unità (ma occorre anche tener presente il dato del 1990-91, talora, come per esempio nel caso dell’Alimentare e dello Spettacolo, molto basso, per cui una diminuzione corrisponde ad un dimezzamento o ad un azzeramento). In territorio positivo spicca il valore dell’area professionale Lavori d’ufficio che balza da un iniziale 55 corsi a 121. Gli altri settori (Meccanica, Grafica, Artigianato Artistico, Turismo, Attività Promozionali e Pubblicità) fanno registrare incrementi molto contenuti. Grafico n. 111 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 550 551 Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 6.708; di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva, cioè gli inoccupati, e quanti avevano perso un’occupazione, cioè i disoccupati, erano 2.955. Gli allievi del 1990-91, 7.947, rappresentano l’1,0% della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualifica, 3.800, rappresentano il 7,2% della leva dei 14-16enni718. La distribuzione dei corsi per Provincia riflette sostanzialmente la classifica per numero di abitanti di ciascuna che vede al primo posto Chieti, seguite da L’Aquila, Pescara e Teramo. Nell’anno formativo 1990-91 sono state utilizzate 158 sedi: 110 solo occasionalmente dedicate alla Formazione e 48 strutture esclusivamente utilizzate per la Formazione Professionale719 (cfr. Tab. n. 70). Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del Sistema formativo, è di 30 a 70. Mentre il rapporto tra gli 11 CFP pubblici (10 Centri regionali che rappresentano la gestione diretta e 1 di un Ente pubblico) e i 37 di Enti di Formazione o soggetti privati è di 23 a 77. L’indagine Isfol sulla distribuzione dei CFP, relativa all’a.f. 1992-93720, censisce 49 CFP, di cui 8 direttamente gestiti dalla Regione (Avezzano, Tagliacozzo, 718 La popolazione attiva ammontava a 785.194; i 14-16enni a 52.494. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 719 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. 720 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. Grafico n. 112 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 551 552 L’Aquila, Sulmona, Francavilla, Montesilvano, Pescara, Teramo). Nell’area convenzionata, l’Ente con il maggior numero di CFP è l’ENAP con 10 CFP (Civitella Rovereto, Carsoli, Pescina, Sulmona, Lanciano, Chieti, Pescara, Torre dè Passeri, Roseto, Atri) che strappa il primato all’ENAIP delle ACLI con 9 (L’Aquila, Lanciano, Ortona, Sulmona, Chieti, Pescara (2), Teramo e Alba Adriatica). Posto di rilievo ha lo IAL della CISL con 5 sedi (Giulianova, S. Egidio, Teramo Pescara (2). Meno rilevante la presenza dell’altro Ente sindacale, l’ENFAP della UIL che opera in tre sedi (Lanciano, Teramo, Torricella). Nell’area d’ispirazione cattolica rileviamo queste presenze: CNOS dei Salesiani (L’Aquila, Vasto, Ortona), CIOFS delle Salesiane (L’Aquila e Catignano), l’Opera Juventutis (Pescara e Chieti)721, l’Istituto Padre Kolbe (Vasto)722 l’A.F.G.P., Associazione Formazione Giovanni Piamarta emanazione della Congregazione “Sacra Famiglia di Nazareth” (Roseto degli Abruzzi), l’ENDO degli orionini. Chiude l’elenco degli Enti il CNIPA, Consorzio Nazionale Istruzione Professionale Artigiana (Castiglion Messer Marino e Vasto) e il CIAPI, Centro Interaziendale Addestramento Professionale Integrato (Chieti scalo). La media regionale del rapporto CFP/corsi si attesta sull’7,1% (9,0% area pubblica e 6,5% area convenzionata privata). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 113. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (40,7) e quelli più alti sono quelli del 1997 (209,2 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 151 miliardi. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con l’85,8% (media italiana 77,1%) si colloca all’ottava posizione. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ri- 721 È un Ente morale con personalità giuridica fondato dal Vescovo di Penne - Pescara Mons. Antonio Jannucci. Negli Anni ’80 si è specializzato nella formazione dei portatori di handicap per facilitarne l’inserimento nel mercato del lavoro nei diversi settori dell’artigianato artistico, dell’ecologiaverde, dell’editoria. 722 Il CFP Padre Massimiliano Kolbe “Ente per la Formazione e l’Addestramento Professionale” opera nel campo della Formazione Professionale dal 1982. In Abruzzo l’Ente si caratterizza per una consolidata esperienza formativa per giovani portatori di handicap, avendo alle spalle l’Istituto S. Francesco d’Assisi ed annessa Casa di Cura e Riabilitazione Psichiatrica e una Cooperativa Lavoro attiva anche nel settore agricolo e artigianale. Tabella n. 70 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 552 553 cava che la spesa della FP per abitante è pari a 164.991 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 95.826. Nel primo caso il valore abruzzese supera di molto quello nazionale (93.951 lire), nel secondo invece (media nazionale 99.534) è più basso. Il peso della spesa per la FP rispetto alla spesa totale della Regione è di 2,62%, un dato che la colloca dietro solo alla Basilicata e Sicilia. Grafico n. 113 Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 553 554 723 Pubblicata in B.U.R. MOLISE, del 01/04/95 n. 7. 8.16. Regione Molise Nel 1995 il Molise vara la L. reg. n. 10/1995 Nuovo ordinamento della formazione professionale723 che abroga e sostituisce la normativa emanata 12 anni prima, la n. 3/1985 Disciplina della formazione professionale nel Molise. La nuova normativa del Molise è una Legge di “seconda generazione”. Come le altre che sono collocabili in questa categoria, la n. 10/95 non si limita solo a regolamentare la Formazione Professionale, ma amplia il suo spettro normativo anche all’orientamento professionale, all’osservazione del mercato del lavoro e alle misure per l’occupazione e l’imprenditorialità. Naturalmente la prospettiva non è quella di una regolamentazione dei segmenti della politica attiva del lavoro in un unico contenitore normativo, ma una legiferazione in un’ottica di sistema che tratti, cioè, ognuno di questi segmenti come interrelato ed interagente con gli altri. Per questo la Legge molisana tende ad assicurare l’unitarietà delle politiche attive del lavoro in un unico processo e in un unico documento programmatorio: il Piano triennale delle politiche attive del lavoro. Il piano triennale contiene: a) un’analisi dello stato e delle tendenze del mercato del lavoro regionale e delle misure pubbliche con impatto sulla struttura occupazionale; b) la determinazione delle priorità espresse in progetti-obiettivi relativi a ciascuna delle tre politiche menzionate e dell’osservazione del mercato del lavoro; c) la determinazione di interventi per l’adeguamento e/o l’acquisizione di strutture, arredi, attrezzature; d) l’individuazione delle risorse professionali da utilizzare e gli eventuali fabbisogni formativi da soddisfare; e) la previsione di spesa per ciascun progetto-obiettivo e le relative fonti di finanziamento (cfr. Fig. n. 118). Da un punto di vista procedurale la predisposizione della proposta di piano triennale spetta all’Assessorato al lavoro e alla Formazione Professionale, dopo aver consultato le forze sociali ed imprenditoriali e dopo aver acquisito proposte e pareri delle Province, in qualità di soggetti delegati. Al termine di ogni triennio la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale, con la nuova proposta di piano, una relazione sui risultati di quello precedente. Particolarmente dettagliate risultano le procedure per la pianificazione annuale delle attività: il processo inizia con l’emanazione di direttive sugli obiettivi (ripartizioni finanziarie per settori/aree produttive, per tipologie formative, per Provincia) e sulle modalità con le quali gli interventi formativi devono essere progettati, proposti ed attuati. Segue la proposta delle iniziative da parte dei soggetti attuatori mediante progetti, elaborati su formulari predefiniti dalla Regione, e la loro valutazione per accertarne la rispondenza agli obiettivi programmatici e alle specifiche esigenze socioeconomiche territoriali, l’adeguatezza e fattibilità tecnica; la conformità alle distoriaFORMAZ3- 4_storiaFORM1 28/05/14 13.24 Pagina 554 555 rettive regionali e la congruità dei costi previsti. Le risultanze di tale processo valutativo costituiranno il Programma annuale. Per quanto riguarda i soggetti gestionali la L. n. 10/95 inserisce in un paradigma consolidato (gestione diretta, delegata, indiretta) anche delle innovazioni. Oltre ai soggetti “tradizionali” (Regione, Province, Enti, imprese e loro consorzi) la Legge include tra i soggetti attuatori anche le associazioni di categoria e gli ordini professionali per i propri associati. Figura n. 118 - Contenuti del Piano triennale (L. reg. n. 10/95) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 555 556 Per l’acquisizione di competenze imprenditoriali e manageriali, di alte specializzazioni o di ruoli professionali avanzati si può fare ricorso a imprese, Università, organismi di ricerca e di formazione, anche mediante la costituzione di appositi consorzi o società miste o società consortili. La Legge allarga ulteriormente il panel di soggetti attuatori includendo anche gli Istituti scolastici, da soli o in consorzio, o anche insieme ad Enti e aziende per azioni formative destinate agli alunni ancora inseriti nella Scuola media superiore o qualificati o diplomati. A supporto del processo programmatorio opera l’Osservatorio del Mercato del Lavoro, costituito come sezione dell’Assessorato regionale alla Formazione La n. 10/ 95, per la prima volta introduce l’Istituto della delega, affidandola alle due Province. In base a tale innovazione gli ambiti di competenza della Regione vengono così delimitati: oltre ai rapporti con autorità nazionali e internazionali, le spettano le funzioni relative alla programmazione, regolamentazione, indirizzo, coordinamento e valutazione, mentre alle Province sono riservate la gestione dei Centri di Formazione Professionale ex regionali, la vigilanza tecnica ed amministrativa sulle attività formative convenzionate, la nomina delle commissioni d’esame, la stipula e la revoca delle convenzioni con i soggetti attuatori. Secondo la cultura istituzionale del tempo alla Regione spettano le funzioni considerate strategiche, alla Provincia quelle di natura attuativa. Figura n. 119 - Soggetti attuatori (L. reg. n. 10/95) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 556 557 In relazione a questi mutamenti istituzionali la L. n. 10/95 provvede anche ad una diversa organizzazione degli Uffici dell’Assessorato alla Formazione Professionale (cfr. Fig. n. 120). La L. reg. n. 10/95 assume il modello di CFP agenziale, cioè di una struttura che non si limita alla erogazione degli interventi formativi, ma è in grado anche di realizzare sperimentazioni didattiche, attività di Formazione a Distanza, servizi per l’Orientamento professionale e per l’osservazione di fenomeni attinenti al mercato del lavoro, attività di progettazione formativa e di informazione, assistenza e consulenza sulle politiche formative ed occupazionali anche delle piccole imprese. La Figura n. 120 - Organizzazione degli uffici dell’Assessorato alla FP (L. reg. n. 10/95, all. A) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 557 558 Legge, infine, prevede la costituzione di un consorzio aperto alla partecipazione delle Province e dei soggetti attuatori, per attività di studio ed erogazione di servizi nel campo delle politiche formative ed occupazionali. La quota di partecipazione della Regione non può essere inferiore al 51% del capitale iniziale. Per la predisposizione del Piano di attività 1994 il Molise ha adottato per la prima volta sia il modello di programmazione per obiettivi sia la valutazione parametrata724, applicati non solo alle attività formative a carattere progettuale, ma anche al consolidato storico di formazione post-obbligo. Per l’occasione la Regione ha adottato un nuovo formulario per la presentazione dei progetti. Il nuovo formulario, che per alcune parti recepisce la versione lucana, rappresenta un superamento dei modelli abitualmente utilizzati dalle Regioni sia nella filosofia che nell’architettura: – nella filosofia, giacché se il progetto rappresenta il disegno che verrà realizzato nella prassi formativa, esso deve essere compiutamente e dettagliatamente definito in tutte le sue parti affinché obiettivi, percorsi e mezzi siano chiari a chi eroga (soggetto gestore/docente) il servizio formativo, a chi questo è destinato (allievi) ed a chi ha il compito di monitorarlo e valutarlo sotto il profilo dell’efficacia e dell’efficienza (la Regione); – nell’architettura, perché si abbandona la fisionomia «amministrativa» dei formulari tradizionali per adottare una struttura complessa che renda ragione degli aspetti motivazionali, professio nali, didattici, strumentali e finanziari implicati. In particolare, il nuovo formulario si articola in alcune parti logicamente e sequenzialmente con nesse: – analisi del fabbisogno, volta ad esplicitare la rilevanza del problema che sta all’origine della richiesta di attivazione di un intervento formativo; – analisi della professionalità, volta a definire, mediante l’individuazione dei compiti, le competenze che rappresentano l’ambito entro il quale verranno scelti gli obiettivi formativi; – struttura del programma formativo, finalizzato alla elaborazione del percorso didattico ed articolato secondo l’ingegneria ciclico-modulare; – condizione di fattibilità, finalizzata all’esplicitazione delle risorse logistiche, strutturali, dotazionali e umane necessarie per la realizzazione del progetto. Per la valutazione è stata predisposta una griglia a maglie molto strette, che attribuisce un punteggio a ciascuna delle tante variabili (indicatori ed indici) che concorrono a definire la rilevanza, la rispondenza, la fattibilità formativa. L’applicazione del sistema di valutazione parametrata anche alle attività di prima qualificazione suscita più di una perplessità. Usare gli stessi strumenti di valutazione anche per la Formazione di base significa mettere sullo stesso piano un’attività a carattere ricorrente con una a carattere progettuale: è una contraddizione in termini. 724 Vedi la scheda della Regione Lazio. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 558 559 La Tabella 71 ci offre un confronto tra corsi programmati nel 1990-91725 e quelli del 1995-96726. Nella prima annualità gli interventi sono 422, nella seconda 247. Il decremento si spiega soprattutto con una flessione di tutti i macrosettori (Agricoltura –4, Industria e artigianato –69 e Terziario –102) a causa di una dèbacle dei corsi destinati ad adulti, che passano dai 201 dell’inizio del decennio ai 64 di metà decennio. Comunque la diminuzione è abbastanza generalizzata: su 24 settori/aree professionali presenti nella Tabella 71 ben 20 fanno registrare un decremento, talora molto contenuto (Minerali non metalliferi, Legno, Tessile, Attività promozionali e pubblicitarie), talora più marcato (Chimica, Edilizia, Turismo, Spettacolo, Ecologia, Beni culturali, Grafica, Ecologia ed ambiente, Cooperazione, Distribuzione com- 725 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 74. 726 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71. Tabella n. 71 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 559 560 merciale), talora molto accentuato (Meccanica, Abbigliamento e calzature, Artigianato artistico, Distribuzione commerciale, Informatica e varie). L’unico valore positivo è quello del settore turistico (+7). Tra i due anni di riferimento si assiste anche a delle variazioni molto consistenti nel peso delle diverse tipologie formative. Si assiste a dei veri smottamenti, dovuti al fatto che a metà decennio, in controtendenza rispetto alla dinamica nazionale, il numero di attività destinate agli adulti subisce un decremento notevole: da 261 corsi a 64. Si consideri che il primo livello, che faceva registrare il 18% (mentre il dato nazionale era del 37%), sale nell’a.f. 1995-96 al 34,4% eguagliando, sostanzialmente, la media nazionale (34,6%). Grafico n. 114 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il 1995-96 Grafico n. 115 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 560 561 Il secondo livello, invece, da un iniziale 10,1% del 1990-91, inferiore alla media nazionale (16,3%) arriva al 39,3% nella composizione percentuale del 1995- 96, aumentando a dismisura anche rispetto al dato nazionale (12,8%). Da notare che nel 1995-96 tutti i corsi (97) di questa offerta formativa erano destinati solo a diplomati. Molto sensibile la diminuzione delle attività destinate ad utenze adulte (19 corsi per disoccupati e 45 per occupati) che fanno precipitare il peso percentuale dal 61,8% al 25,9%! Ed è una diminuzione che tocca sia l’industria-artigianato (–84) sia il terziario (–110). Il quasi azzeramento dei corsi speciali comporta anche la riduzione del loro peso relativo nella composizione dell’offerta formativa molisana del 1995-96 ad un irrilevante 0,4% (un solo corso per categorie deboli). Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 3.904; di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva (inoccupati), e quanti avevano perso un’occupazione (disoccupati), erano 2.510; ad inizio decennio, invece, erano 4.830 e rappresentavano il 2,3 % della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione, 796, rappresentano il 7,9% della leva dei 14-16enni727. La distribuzione dei corsi per Provincia riflette sostanzialmente i rapporti tra le stesse per numero di abitanti. Nell’anno formativo 1992-93 sono state utilizzate 151 sedi (cfr. Tab. n. 72): 111 solo occasionalmente impiegate per attività formative e 40 strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale728. 727 La popolazione attiva ammontava a 204.293; i 14-16enni a 10.044. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 728 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. 729 Diversamente da quanto fatto finora con altre Regioni, assumiamo i dati del 1991-92 (SISTANISFOL, a cura di GHERGO F. e RUBERTO A., Statistiche della formazione professionale Attività programmate nel 1991-92, p. 77); perché quelli del 1990-91 contengono dei refusi che li rendono non utilizzabili. Cfr. ISFOL, a cura di GHERGO F. e RUBERTO A., Statistiche della formazione professionale 1992- 93, op. cit., p. 162. Di queste, 3 sono Istituti scolastici, 2 sono Centri di Formazione Professionale regionali e 35 CFP di Enti. Tra questi il primato spetta allo IAL della CISL con 7 sedi (Campobasso, Larino, Termoli, Busso, Riccia, S. Agapito, Venafro), seguito Tabella n. 72 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1991-92729) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 561 562 dall’ENFAP della UIL con 6 (Trivento, Campobasso, Termoli, Larino, Agnone, Isernia) e l’ENAIP delle ACLI con 4 (Campobasso, Trivento, Termoli, Isernia). Altri Enti presenti con loro strutture e che hanno una diffusione multi regionale sono l’ANAPIA (Campobasso) e lo IAROS (Campobasso). Lungo è l’elenco di Enti solo a carattere locale: INTERHOTEL (Campobasso e Termoli), FOMEA (Campobasso e Termoli), CENTRO STUDI (Campobasso e Isernia), ENIFORM (Campobasso), Magistero sperimentale del Molise, Iniziative turistiche Molisane (Campitello Matese). Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del Sistema formativo, è di 26,0 a 74. Mentre il rapporto tra le 5 strutture pubbliche e i 35 CFP di soggetti privati è di 12,5 a 87,5%. La media di corsi per ogni CFP è pari a 5,6. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 117. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1994 (20,4 miliardi) e quelli più alti sono sono quelli del 1997 (63 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 44 miliardi. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con l’85,8% (media italiana 77,1%) si colloca all’ottava posizione. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 173.657 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 146.435. In entrambi i casi i valori molisani superano la media nazionale (rispettivamente di 93.951 e 99.534 lire) e posizionano la Regione al quinto e al settimo posto tra le Regioni con una maggiore spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di 1,88 %, un dato che la colloca dietro a Basilicata, Valle d’Aosta e le due Province Autonome. Grafico n. 116 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 562 563 Grafico n. 117 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 563 564 730 L. reg. n. 14 del 18/07/1991 Modifiche ed integrazioni alla Legge Regionale 9 luglio 1984, n. 32 concernente: Istituzione del ruolo speciale della Giunta Regionale ad esaurimento del Personale della Formazione professionale, in B.U.R. CAMPANIA, n. 2 del 22/07/1991. 8.17. Regione Campania Abbiamo raccontato nel volume II l’evento che ha caratterizzato profondamente il Sistema formativo campano: la regionalizzazione di 3.780 operatori dei CFP dei Comuni, Comunità montane ed Enti di Formazione Professionale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla data del 29 settembre 1984, che venivano inseriti “in un ruolo speciale della Giunta regionale ad esaurimento”. Il processo era stato messo in moto da una Legge del luglio di quell’anno, la n. 32/84, che destinava questo personale: – alle attività corsuali dei Centri Regionali di Formazione Professionale, – alle attivtà di ricerca-sperimentazione-diffusione dei Centri Pilota, – alle attività di ricerca-informazione-consulenza dei Centri di orientamento (62, uno per ogni distretto scolastico), – e alle attività di raccolta sistematizzazione e analisi di dati da parte degli Osservatori territoriali sul mercato del lavoro. Naturalmente il personale prima di essere utilizzato in tali mansioni usufruiva di un periodo di aggiornamento (per il quale era previsto un impegno finanziario di circa 21 miliardi e 500 milioni). Disegno ineccepibile sulla carta. In realtà era un’operazione destinata al fallimento, per una convergenza di cause. Primo: erano sbagliate le motivazioni reali (non quelle dichiarate): garantire l’occupazione degli operatori mediante la loro pubblicizzazione. La preoccupazione prima non era quella di avviare servizi (di orientamento, di osservazione del mercato del lavoro, di sperimentazione didattica) di cui c’era una grande necessità o di una riqualificazione del settore, di cui si avvertiva un vero bisogno, ma di mettere al sicuro con un contratto pubblico più di tre mila persone! Secondo: non erano sufficienti dei (brevi) percorsi di aggiornamento per mettere il personale, peraltro con bassi livelli di scolarità complessiva (solo il 6,8% era laureato), in condizione di lavorare per compiti specialistici e che esigevano specifiche competenze disciplinari. Terzo: per avere un qualche successo le operazioni previste dovevano avere una tempistica e una sincronia precise (istituzione per via legislativa dei nuovi servizi, realizzazione dei servizi, aggiornamento degli operatori, prove concorsuali e assegnazione del personale alle nuove funzioni). Le operazioni, invece, si sono accavallate e tutto è andato avanti in una grande confusione. Nel periodo preso in esame da questo volume la Campania emana una sola Legge: la n. 14/91730 che modifica la n. 32 di sette anni prima. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 564 565 Non si tratta di una Legge che corregge solo in alcuni punti la normativa precedente ma ne sovverte in gran parte l’architettura. Infatti, la modifica principale consiste nell’abrogazione dell’art 5 della L. n. 32 che destinava il personale inserito nel ruolo regionale ad esaurimento “anche ad altre strutture del settore quali: i centri pilota, l’orientamento professionale, l’osservatorio sul mercato del lavoro, […]” e parallelamente il personale “è utilizzato per le attività di formazione professionale nei centri di cui alle lettere a), b), e c) dell’articolo 6 della legge regionale 30 luglio 1977, n. 40”, cioè nei CFP della Regione, dei Comuni e degli Enti! È una dichiarazione di fallimento; è la sconfessione della politica di regionalizzazione del personale perseguita negli Anni ’80: 3.714 “docenti e non docenti”, come li chiama la Legge, tornano nei CFP da dove erano venuti, ma da dipendenti pubblici regionali, a tutti gli effetti. Infatti, la L. reg. n. 14/91 li toglie dal ruolo speciale ad esaurimento e li colloca definitivamente nel ruolo della Giunta regionale. 731 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 74. 732 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71. Grafico n. 118 - Organico, livello funzionale e qualifica funzionale I dati relativi alle attività programmate, sia dell’a.f. 1990-91731 sia del 1995- 96732, danno l’idea di un sistema che funziona a scappamento ridotto. Si consideri che, ad inizio decennio, i corsi programmati dalla Campania (5 milioni e 600 mila abitanti) sono 582, come la confinante Basilicata (610.000 abitanti) e quasi la metà del vicino Abruzzo (che conta un milione e 200 mila residenti). VIII Direttore laureato - Direttore diplomato; VII: Docente laureato - Docente diplomato - Direttore non diplomato - Segretario laureato; VI: Docente diplomato - Docente non diplomato - Segretario diplomato - Segretaruo non diplomato Collaboratore Amministrativo diplomato - Direttore non diplomato; V: Docente non diplomato - Segretario non diplomato - Collaboratore Collaboratore amministrativo diplomato - Collaboratore amministrativo non diplomato, IV: Operatore Tecnico ed Operatore Amministrativo, II: Ausiliario Servizi Generali Tot. 3714 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.25 Pagina 565 566 Tra i due anni di riferimento non esistono grandi differenze nel numero di corsi programmati: 582 nel 1990-91 e 536 nel 1995-96 (cfr. Tab. n. 73). I rapporti percentuali tra i macrosettori si mantengono sostanzialmente gli stessi: l’Industra oscilla tra il 25,9% e il 27,2% e il Terziario tra il 74,1% e il 71,2%. I corsi in Agricoltura, presenti solo nel 1995-96 si attestano su un marginale 1,6%. Variano in maniera evidente i rapporti percentuali tra le diverse offerte formative. Il primo livello, che nel 1990-91 con il 45% faceva registrare valori superiori alla media nazionale (37%) di 8 punti, nella seconda annualità, con il 29,6% si pone al di sotto del dato italiano di 5 punti. In cinque anni, la prima qualificazione ha perso in valori assoluti 103 interventi e in peso percentuale 15,4 punti. Le perdite si registrano sia nel macrosettore industria-artigianato (–47, concentrate soprattutto nei corsi di Meccanica ed Elettricità elettronica) sia nel macrosettore terziario (–59 a causa soprattutto del tracollo dei corsi dell’area Lavori d’ufficio: –53 attività). Nel 1995-96 il II livello aumenta di 132 corsi e quindi il suo peso percentuale subisce una balzo in avanti dal 4% al 29%. Nell’uno e nell’altro caso i valori sono molto distanti dalla media nazionale, che nel Tabella n. 73 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) Fonte: ISFOL storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 566 567 1990-91 si attestava sul 16,3% e nel 1995-96 sul 12,7%: quasi –12 punti all’inizio del decennio e quasi +17 a metà decennio in quest’ultima annualità (cfr. Graf. n. 119). Del tutto anomala la situazione dei corsi per adulti rispetto agli andamenti nazionali. Quando nel 1990-91 il valore percentuale italiano per questa offerta formativa era del 35,1% la Campania rimaneva a zero; quando nel 1995-96 il dato nazionale era del 45,4% quello campano faceva registrare un modesto 4,6% (che in valori assoluti si concretizzava in 25 corsi, 14 per disoccupati e 11 per occupati). Storia a parte fanno i corsi speciali. Gli altissimi numeri del 1990-91 (296 corsi) e quelli alti del 1995-96 (196) sono determinati dalla gran quantità di interventi per esercenti e per agenti del commercio. A metà decennio dei 196 corsi raggruppati sotto questa categoria, 108 erano finalizzati all’acquisizione di patenti e certificati richiesti espressamente dalla normativa, nazionale o regionale, per poter esercitare specifiche attività, 88 erano destinati per le cosiddette “fasce deboli”. Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-95 ammontavano a 7.560; di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva, cioè gli inoccupati, e quanti avevano perso un’occupazione, cioè i disoccupati, erano 7.395. Ad inizio decennio invece erano 11.119 e rappresentavano lo 0,2 % della popolazione attiva (14-60); gli allievi della prima qualificazione, 4.759 rappresentano il 1,6% della leva dei 14-16enni733. Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due anni assunti a riferimento? Dei 21 settori (più la categoria “varie”) considerati nella Tabella 73, 6 subiscono delle perdite (cfr. Graf. n. 120). In ordine decrescente registriamo: – il decremento eccezionale (–136) del comparto della Distribuzione Commerciale (abbiamo già accennato al fatto che il fenomeno è imputabile alla diminuzione drastica dei corsi per esercenti ed agenti del commercio), – i decrementi consistenti dell’Industria estrattiva (–16) e dell’Abbigliamento e calzature (–11), – i decrementi più contenuti di Meccanica e Acconciatura (–7) e Edilizia e Lavoro d’Ufficio (–4). 733 La popolazione attiva ammontava a 3.635.215; i 14-16enni a 297.990 Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 119 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 567 568 In territorio positivo spiccano i valori dei comparti dei Servizi socio-educativi e dell’Informatica con 37 corsi in più rispetto al 1990-91. Altri settori (Turismo, Ristorazione, Attività promozionali e pubblicità, Artigianato artistico) fanno registrare incrementi cospicui. Tra i 14 e i 18 corsi in più rispetto al 1990-91. Più modesti gli aumenti del settore Legno (+8) dell’Ecologia e ambiente (+7). La distribuzione dei corsi per Provincia (cfr. Graf. n. 119) riflette sostanzialmente i rapporti tra le cinque Province campane per numero di abitanti. Nell’anno formativo 1990-91 sono state utilizzate 59 sedi (cfr. Tab. n. 74): 12 solo occasionalmente impiegate per attività formative e 47 strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale734. Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del sistema formativo, è di 20 a 80. Mentre il rapporto tra le 45 strutture pubbliche e i 2 CFP di soggetti privati è di 96 a 4. 734 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. Grafico n. 120 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il 1995-96 Tabella n. 74 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 568 569 Tra i CRFP menzioniamo quelli con un maggior volume corsuale: il Pacinotti di Napoli (79 corsi), il Galotta di Salerno (53 corsi), il Lorenzo de Medici di Napoli (42), il Torricelli di Pomigliano d’Arco (32), il Barsanti di Benevento (31), il S. Giovanni Bosco di Piano Sorrento (18), il Pastore di Caserta (22) e l’Antonio Marino di S. Nicola la Strada (17)735. La media di corsi per ogni CRFP è pari a 16,2. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 121. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1995 (23,6 miliardi) e quelli più alti sono quelli del 1997 (394,7 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 189 miliardi di lire. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con l’85,8% (media italiana 77,1%) si colloca all’ottava posizione. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: – la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 59.277 lire (oltre 34.000 lire più bassa della media italiana); – e quella rispetto alla forza lavoro è di 14.755 (–84.779 lire rispetto al dato nazionale). Questi valori posizionano la Regione al diciassettesimo e all’ultimo posto tra le Regioni con una maggiore spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di 1,88 % un dato che la colloca dietro a Basilicata, Valle d’Aosta, le due Province Autonome e Molise. 735 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Distribuzione dei Centri di Formazione Professionale in Italia - anno formativo 1995-96, Roma, 1998, pp. 245-248. Grafico n. 121 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 569 570 736 Cfr. paragrafo 6.2. 737 Art. 8 (Valutazione delle iniziative). 1. Al fine di verificare la coerenza con gli obiettivi programmatici, l’attuazione dei progetti organici di Formazione Professionale contenuti nei programmi triennali e annuali è sottoposta a valutazione di efficienza e di efficacia. 2. È istituita presso l’Ufficio Formazione Professionale una unità operativa per l’espletamento dei compiti di cui al presente articolo e di quelli previsti dai successivi art. 10 punto 3 ed art. 28. 738 L. reg. 13 aprile 1996 n. 22 Modifiche ed integrazioni alla l.r. 2.3.1990, n. 7 ordinamento e disciplina del sistema formativo regionale e sue successive modificazioni ed integrazioni in B.U.R. BASILICATA, 20 aprile 1996 n. 20. 739 Cfr. paragrafo 7.6.3. 740 Cfr. paragrafo 7.6.1. 8.18. Regione Basilicata Il 2 marzo 1990, con la Legge n. 7, redatta con l’assistenza tecnica dell’Isfol, la Regione si dota di una nuova normativa organica, che va a sostituire la n. 13 del 1980 e rimarrà in vigore fino al 2003. Si tratta, come abbiamo annotato in un paragrafo precedente736, di una Legge di seconda generazione. Ne contiene i tre elementi caratterizzanti: una programmazione che non si limita solo alle attività di Formazione Professionale ma anche all’orientamento (art. 6 lett. h); l’importanza riservata al tema della valutazione (art. 8)737 e la configurazione del CFP in senso “agenziale” (art. 18). La L. reg. 7/90 viene modificata, qualche anno dopo, dalla L. reg. 22/96738. Nell’esposizione delle previsoni normative terremo conto anche delle modifiche e delle integrazioni. Il processo programmatorio strategico (cfr. Fig. n. 121) si muove con linearità procedurale. È stato eliminato il Comitato consultivo regionale, sostituito dalla Commissione Regionale per l’impiego. Il Programma triennale presenta una struttura semplice e organica: riguarda le scelte politiche prioritarie, le attività formative e di orientamento da realizzare, le strutture e il personale che erogano i servizi e gli aspetti finanziari. Prima che si adottassero le procedure concorsuali previste dalla Direttiva CEE 50/92739 la Basilicata ha adottato, per la selezione dei progetti, la valutazione comparativa. Il progetto si articola in tre parti costitutive: il programma didattico; i curricola dei tutor, docenti, ed esperti; l’indicazione delle strutture e delle dotazioni didattiche. La prospettazione di tali elementi deve essere effettuata secondo uno schema dettagliatamente previsto. Il progetto non conteneva l’analisi del fabbisogno e quindi le motivazioni che davano luogo alla richiesta di interventi formativi, perché, prima della riforma dei Fondi strutturali del 1993, la Basilicata aveva scelto per la predisposizione dei programmi di attività a carattere non ricorrente un modello di programmazione “a razionalità forte”740. È, infatti, la Regione a stabilire non solo gli obietivi e le tipologie formative (primo, secondo livello, disoccupati) ma anche le figure professionali (di cui viene definito lo standard, la durata oraria, i storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 570 571 costi e la sede di svolgimento). Resta solo da decidere il soggetto gestionale cui affidare l’attività di formazione: questo, come detto sopra, viene scelto mediante la valutazione comparativa di progetti esecutivi che esplicitano, come detto, il programma e le risorse umane e logistico-dotazionali che intendono seguire. L’aggiudicazione della gara è appannaggio del progetto con il massimo punteggio ottenuto sommando i punteggi parziali relativi, oltre alle tre parti di cui sopra, anche all’attività formativa pregressa del soggetto proponente e all’offerta economica (per ogni 0,20 di ribasso sull’importo base viene assegnato un punto, fino ad un massimo di 20). Questa impostazione (a parte il sistema pianificatorio dall’alto – viene voglia di chiamarlo di “tipo sovietico” – che determina anche il corso di qualifica da realizzarsi nel più sperduto paese lucano) ha grandi meriti. Tra tutti va segnalato lo schema proposto per l’elaborazione del programma didattico che, per correttezza metodologica e per organicità dei contenuti, rappresenta Figura n. 121 - Processo programmatorio pluriennale (L. reg. 7/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 571 Per quanto riguarda il processo gestionale (cfr. Fig. n. 122) nessuna novità da parte della L. reg. 7/90 per quanto riguarda la tipologia dei soggetti attuatori. La titolarità potenziale: 572 un paradigma da assumere come necessario riferimento da chiunque intenda predisporre formulari per la presentazione di progetti formativi; è grazie a tale schema (unitamente alla norma che esclude i progetti che non conseguano almeno i 70/100 del punteggio massimo previsto per ciascuna delle parti valutate) che in Basilicata si è raggiunto, complessivamente, un livello di elaborazione progettuale di gran lunga superiore a quelli abitualmente presenti in sistemi formativi di altre Regioni. Ci sono, però, anche delle perplessità riguardanti: da un lato i soggetti gestionali, giacché sono state erroneamente identificate le imprese di cui parla la Legge 845/78 (art. 5) con le imprese di formazione; dall’altro, alcune scelte tecniche relative ai punteggi. A quest’ultimo riguardo, ad esempio, il ribasso economico, oltre che essere uno strumento inadeguato di selezione perché dà vita ad un ribasso generalizzato da parte di tutti i soggetti, inserisce una prassi mercantile che mal si concilia con la cultura della Formazione Professionale; sarebbe stato più opportuno, in questa logica, premiare chi, a parità di condizioni economiche, avesse offerto più o migliori opportunità formative e non decurtare le risorse finanziarie, con il rischio di depauperare la qualità della docenza e/o la tipologia e la quantità delle risorse strutturali- dotazionali. Riservare, poi, come prevede il sistema lucano, la valutazione massima al possesso di titoli universitari da parte dei docenti significa privilegiare una cultura accademica in un luogo formativo che ha soprattutto, e nel Mezzogiorno in particolare, necessità di cultura aziendale. Figura n. 122 - Soggetti gestionali (L. reg. 7/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 572 573 – è della Regione se decide di operarare direttamente, come peraltro fa con i CFP di Bella, Tricarico e Tursi; – degli Enti come individuati e connotati dall’art. 5 della L. n. 845/78 o delle imprese o loro consorzi, se la Regione decide di operare indirettamente; – di soggetti pubblici territoriali, se decide il trasferimento di competenze mediante l’istituto della delega. Se le previsioni in questa materia non si discostano da quelle della Legge quadro, novità importanti ci sono per quanto riguarda la delega e la configurazione del CFP e l’affidamento delle attività. Sul primo versante interviene la L. n. 22/96: la delega relativa alla gestione dei CFP di Brienza, Lauria, Avigliano, Rionero in Vulture, S. Arcangelo e Senise, delegate alle rispettive Comunità Montane741, con la L. reg. 13/80, viene trasferita “con decorrenza dalla approvazione del Programma Triennale di Formazione Professionale 1997/99 alle Province di Potenza e Matera competenti per territorio”. I CFP di Potenza e di Matera potranno essere utilizzati quali Centri Pilota per l’Innovazione Formativa o messi a disposizione degli Enti delegati742. 741 Comunità montane del Melandro, del Vulture, dell’Alto Basento, del Medio Sinni, del Medio Agri Sauro e del Lagonegrese. 742 La L. 22/96 precisa: 4. Le modalità di trasferimento ed esercizio delle funzioni delegate nonchè i poteri d’indirizzo, coordinamento e vigilanza riservati al Consiglio ed alla Giunta regionale ed i relativi limiti saranno fissati con Legge regionale successiva. Con la medesima Legge, da emanarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente Legge, saranno regolati i rapporti finanziari, conseguenti alla delega, tra la Regione e le Province di Matera e Potenza ed il trasferimento alle stesse del personale di ruolo e di quello a tempo indeterminato in servizio, alla data di approvazione del Programma Triennale di FP 1997/99, nei Centri Regionali di FP della Regione e nei Centri di Formazione Professionale delle Comunità montane di cui al precedente punto 1, anche mediante la costituzione di Organismi specifici per la Formazione Professionale partecipati da Enti pubblici e privati. Figura n. 123 - Servizi potenziali del CFP (L. reg. n. 7/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 573 574 Sul secondo versante, invece, la L. 7/90 ripropone il modello di CFP multi servizi. Oltre alle funzioni (eventuali beninteso) relative all’orientamento, all’osservazione del mercato del lavoro o a servizi di progettazione formativa d’informazione, di assistenza e consulenza sulle politiche formative e occupazionali anche a favore di terzi, il modello lucano del CFP agenziale include anche la sperimentazione didattica e la formazione a distanza (cfr. Fig. n. 123). Per quanto riguarda, invece, l’affidamento delle attività, la L. 22/96, fa una distinzione tra Enti: – a quelli che continuativamente per almeno tre anni alla data del 31.12.1992 hanno realizzato corsi “in strutture operative per la formazione possedute stabilmente e ininterrottamente nello stesso triennio” verranno affidate attività in relazione alla consistenza numerica del personale a tempo indeterminato (alla data del 31.12.1992); – a quelli che non hanno maturato queste situazioni, l’affidamento delle attività avviene “mediante valutazione dei progetti presentati”. La Legge intende, in maniera palese, salvaguardare il personale a tempo indeterminato che poteva perdere il posto di lavoro nel caso di attività affidate per via concorsuale. Scatta l’equazione, che abbiamo più volte rilevato, per cui la difesa del personale coincide con la difesa dell’Ente. Ma dove l’obiettivo è la difesa dei lavoratori e la difesa degli Enti solo il mezzo per perseguire l’obiettivo. Un tipo di personale per il quale “vanno adottate tutte le misure di salvaguardia dei livelli occupazionali”; tipo di personale, peraltro, in via di estinzione, se si considera che la Legge prevede che la loro sostituzione avvenga con personale a prestazione professionale. Ma prima che la L. reg. 22/96 configurasse la situazione come sopra descritta il quadro dei soggetti gestori sostanzialmente è quello rilevato dall’Isfol all’inizio del decennio, nell’a.f. 1990-91, quando le attività programmate venivano realizzate in 24 sedi (22 CFP e 2 occasionali). L’alto numero di strutture permanentemente dedicate alla formazione rispetto a quelle utilizzate solo occasionalmente suggerisce l’immagine di un sistema molto strutturato (cfr. Tab. n. 75). Ricordiamo che la dizione “sede nominale” indica che nel Piano viene menzionato solo il soggetto dell’attività e non la sede di svolgimento. Le 14 sedi (di cui una occasionale) dell’area convenzionata sono dell’ENAIP, delle suore Canossiane, dei Padri Trinitari e delle Salesiane del CIOFS. Tabella n. 75 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 574 575 I dati relativi ai corsi programmati negli aa.f.f. 1990-91743 e 1995-96744 confermano quanto constatato per gli Anni ’80: il Sistema formativo lucano vanta un volume corsuale rilevante. Si consideri che, ad inizio decennio, se la Lombardia (8.850.000 abitanti) avesse avuto lo stesso rapporto corsi/popolazione della Basilicata (750 corsi circa per 610.000 abitanti) avrebbe dovuto programmare oltre 11.000 corsi! Tra i due anni di riferimento non esistono grandi differenze nel numero di interventi programmati: 774 nel 1990-91 e 742 nel 1995-96 (cfr. Tab. n. 76). I rapporti percentuali tra i macrosettori, però, cambiano in maniera consistente: le variazioni maggiori si registrano per l’agricoltura che passa da un peso percentuale di 32,4 punti a 6,3 e dell’industria-artigianato che in parallelo aumenta da 7,8% a 38,7%. Il terziario sostanzialmente ha lo stesso peso nell’uno (59,8%) e nell’altro anno (55,0%). Variano anche, e in maniera evidente, i rapporti percentuali tra le diverse 743 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 74. 744 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71. Tabella n. 76 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 575 576 offerte formative. Il primo livello, che nel 1990-91 con il 29,8% – valore inferiore alla media nazionale (37%) di 7,2 punti – nella seconda annualità scende al 20%, aumentando il gap dalla media italiana (34,6%) di oltre 14 punti. In cinque anni la prima qualificazione ha perso in valori assoluti 72 interventi e in peso percentuale quasi 10 punti. Le perdite sono tutte concentrate in agricoltura. Nel 1995-96 il II livello aumenta di 197 corsi e quindi il suo peso percentuale su - bisce un balzo in avanti dal 15,5% al 42,7%. Nel primo anno lo scostamento negativo dal valore medio nazionale (16,3%) è di appena un punto (–0,8). Nel secondo anno, quando la media italiana si attesta a 12,7% il gap positivo raggiunge i 30 punti percentuali. In quell’anno, infatti, i corsi per giovani diplomati/laureati con 317 interventi diventano la prima offerta del Sistema regionale. Del tutto anomala la situazione dei corsi per adulti rispetto all’andamento nazionale. Quando nel 1990-91 il valore percentuale italiano per questa offerta formativa era del 35,1% la Basilicata faceva registrare il 50,9%; quando nel 1995-96 il dato nazionale era del 45,4%, quello lucano faceva registrare un modesto 19,5% (che in valori assoluti si concretizzava in 227 corsi, 82 per disoccupati e 145 per occupati). Storia a parte fanno i corsi speciali, che rappresentano il 5,2% del volume corsuale programmato all’inizio del decennio e il 6,6% cinque anni dopo. La composizione interna a questa offerta formativa vede la prevalenza degli interventi a favore delle categorie deboli rispetto agli interventi previsti da normative nazionali o regionali. Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 11.936; di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva (inoccupati) e quanti avevano perso un’occupazione (disoccupati) erano 1,251. Ad inizio decennio, invece, erano 10.151 e rappresentavano il 2,6% della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione 2.923 rappresentavano il 10% della leva dei 14-16enni745. 745 La popolazione attiva ammontava a 386.485 abitanti; i 14-16enni a 29.305 Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 122 - Variazione del peso percentuale delle tipologie formative negli anni 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.26 Pagina 576 577 La distribuzione dei corsi e dei relativi allievi tra le due Province lucane appare sbilanciato a favore della Provincia di Potenza (cfr. Graf. n. 123). Il capoluogo di Regione contava circa 402.000 abitanti, quasi il doppio di Matera (208.000). Ma la distribuzione dei corsi privilegia Potenza riservandole quasi il 90% degli interventi. Almeno in questo caso l’accusa rivoltale di proporsi come Città-Regione sembra avere qualche fondamento. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 124. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1993 (106,7 miliardi) e quelli più alti sono quelli del 1995 (198,1 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 146 miliardi di lire. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con l’82,9% supera la media italiana (77,1%) di 5,8 punti. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 384.274 lire (oltre 290.000 lire più bassa della media italiana); quella rispetto alla forza lavoro è di 357.622 (258.000 lire in più rispetto al dato nazionale). Grafico n. 123 - Distribuzione provinciale dei corsi e degli allievi Grafico n. 124 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 577 578 Questi valori posizionano la Regione al primo e al quarto posto tra le Regioni con una maggiore spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di 5,14%, un dato che la colloca al primo posto fra tutte le Regioni e Province Autonome. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 578 579 746 L. reg. n. 15 del 16 marzo 1990, Istituzione di un ruolo speciale ad esaurimento della Giunta regionale per il personale della formazione professionale convenzionata, (data della legge modificata con errata corrige B.U.R., n 33/1990), in B.U.R., 23 marzo 1990, Art. II. 747 ECAP CGIL, IAL CISL, ENFAP UIL, ENAIP ACLI, ANAPIA, CIPA, Padri Giuseppini del Murialdo, IRIPA, CENASCA CONDOFURI, CENASCA Regionale, ENAPRA, ISPATA, ENIPLA, ERCAPAICA, OIERMO, Padri Catechisti Rurali, CIF Catanzaro, CIF Regionale, CIOFS, CIFAP, EFAL, ANAP, ESAC - Corsi Alberghieri FLORENS. 748 Cfr. Art. 4 “Il personale di cui alla presente legge è utilizzato nelle attività formative previste dall’art. 31 della legge regionale 19 aprile 1985, n. 18 e, per la parte eccedente le esigenze dei piani formativi annuali, nelle strutture da istituire a livello regionale e provinciale in attuazione degli artt. 36, 37, 38, e 39 della legge regionale 19 aprile 1985, n. 18” nonché presso gli uffici dell’innovazione tecnologica di cui all’art. 28, settore 69, della legge regionale 21 aprile 1987, n. 11 ed ancora, ove necessario, presso gli Enti locali destinatari delle deleghe regionali”. 8.19. Regione Calabria L’unica Legge che viene approvata dalla Calabria nel periodo preso in considerazione è la n. 15/90746, che “regionalizza” il personale degli Enti di Formazione Professionale. Tale personale, infatti, può presentare domanda per l’ammissione ad un concorso riservato per essere inserito nel ruolo organico regionale in una apposita sezione speciale ad esaurimento. Gli operatori interessati a questa operazione sono quelli: – assunti prima della entrata in vigore della Legge organica (19 aprile 1985); – con un’anzianità di almeno 5 anni; – con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; – in servizio presso gli Enti della gestione convenzionata, elencati nell’allegato747. Tutta l’operazione prende le mosse da una giudizio sostanzialmente negativo sul personale. Per i decisori politici, infatti, gli operatori ai quali è destinato il provvedimento rappresentano un elemento di rigidità del Sistema formativo. Il loro livello medio di istruzione, il tipo di competenze disciplinari possedute e di mansioni espletate lo rendono difficilmente utilizzabile per i nuovi interventi formativi, dei quali si riteneva ci fosse bisogno. In considerazione, peraltro, che la Regione ne sosteneva anche se indirettamente i costi, si riteneva più opportuna e produttiva una sua utilizzazione all’interno dell’amministrazione regionale. In quale area operativa dell’Amministrazione? Si ripercorre la strada tracciata da altre Regioni. Infatti, muovendosi sulla scia dei modelli normativi già sperimentati dalla legislazione umbra e, soprattutto, campana, la Calabria decide di impiegare gli operatori provenienti dagli Enti convenzionati in attività formative a titolarità regionale, ma anche in attività di orientamento e di osservazione del mercato del lavoro presso “strutture da istituire a livello regionale e provinciale” nonché presso gli uffici dell’innovazione tecnologica748 (cfr. Fig. n. 124). storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 579 580 L’elenco delle destinazioni possibili per gli operatori corrisponde ai momenti operativi previsti dall’Ordinamento degli Uffici del 1987749, che articolava le aree funzionali in settori. Nell’area A/15 Lavoro, emigrazione e Formazione Professionale rientravano anche i settori 68 Formazione Professionale e 69 Orientamento Professionale, Mercato del Lavoro, Innovazione tecnologica. Al settore 68 spettava : “la trattazione degli affari riguardanti i piani pluriennali ed annuali dei corsi di formazione professionale; la cura dei rapporti con la gestione convenzionata; la vigilanza e controllo sulle attività formative anche per la verifica del corretto utilizzo dei finanziamenti erogati; l’impostazione di progetti ed interventi formativi speciali; la cura dei rapporti con gli organismi comunitari”. Al settore 69 competeva: “l’elaborazione di studi e programmi degli interventi formativi; iniziative di sperimentazione e di progettazione didattico - metodologico; elaborazione e sperimentazione di programmi, sussidi didattici ed audiovisivi; promozione di convegni e seminari; aggiornamenti, qualificazione e riqualificazione del personale docente ed amministrativo; osservazione del mercato del lavoro; orientamento professionale; educazione permanente”. Oltre a espletare i compiti nelle attività formative, di orientamento, di osservazione sul Mercato del Lavoro, di studio, ricerca, sperimentazione ed elaborazione di sussidi didattici ed educazione permanente gli operatori potevano anche essere impiegati presso gli “Enti locali destinatari delle deleghe regionali”. Con un panel di opportunità così vasto non doveva essere problematico “sistemare” 650 persone (l’Isfol per l’a.f. 1989-90 parla di 440 docenti e 203 non docenti). 749 Legge Reg. 21 aprile 1987, n. 11 Ordinamento degli uffici regionali, in B.U.R. CALABRIA, n. 24 del 27 aprile 1987. Figura n. 124 - Personale degli Enti di Formazione Professionale “regionalizzato” (L. Reg. 15/90) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 580 581 Anzi si attivavano servizi ancora non operativi o attività ancora non sviluppate e si rendevano più efficienti gli uffici delle Province alle quali la L. n. 18 delegava alcune funzioni amministrative. Abbiamo citato come modelli di riferimento l’Umbria e la Campania. Replichiamo le critiche fatte all’una e all’altra. Ci troviamo di fronte ad un piano che presenta, all’apparenza, un alto livello di plausibilità. Al contrario quanto normato ha un grado di fattibilità molto basso. Infatti, bastava porsi alcuni interrogativi per capire che questa manovra presentava rischi evidenti di fallimento: – Perché mai un personale giudicato, almeno in gran parte, con competenze obsolete e inadeguate per la formazione può far fronte a compiti nuovi per i quali occorrono competenze disciplinari specifiche? – Perché mai un personale degli Enti convenzionati ritenuto inadatto per una nuova Formazione risulta abile ed arruolato per la Formazione realizzata dalla Regione nelle sue sedi? – Per acquisire un bagaglio di competenze mancanti è sufficiente, come fa la Legge, prevedere un intervento di aggiornamento, di cui non si stabilisce la durata, ma soprattutto non ha un modello organizzativo cui fare riferimento? In altri termini il personale che verrà avviato ad attività di orientamento e osservazione sul mercato del lavoro quali competenze dovrà acquisire se ancora non solo le strutture devono essere istituite ma non esiste nemmeno un progetto sulla loro organizzazione e funzionamento?750 750 La legge, infatti afferma che “A tal fine, il regolamento di attuazione della legge regionale 19 aprile 1985, n. 18, da emanare entro 6 mesi dall’entrata in vigore di questa legge, provvederà, con specifica e dettagliata normativa, all’articolazione degli uffici dell’Osservatorio sul mercato del lavoro e dell’orientamento professionale e determinerà il personale, per numero e qualifica, da assegnare a ciascun ufficio”. Figura n. 125 - Aree e settori del sistema formativo (L. reg. n. 11/87) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 581 582 È la logica approssimativa che crede che basti una Legge per creare un’organizzazione delle competenze e una funzionalità accettabile. L’importante è fare una norma che, in questo caso, soddisfa i diretti interessati che diventano pubblici dipendenti, con tutto ciò che questo significa in termini di sicurezza occupazionale e di status, soddisfa i politici che rivendicano il merito dell’operazione per incassare consensi elettorali e, cosa strana, soddisfa anche gli Enti. Mentre, infatti, in Umbria e in Campania la “regionalizzazione” del personale si è tradotta, di fatto, in una eliminazione degli Enti convenzionati, in Calabria, invece, gli Enti continuarono ad operare, non più nelle attività consolidate, ma su interventi di carattere progettuale e utilizzando personale con rapporto di collaborazione professionale. Peraltro questo precisa la Legge (e questo era il progetto originario) che modifica l’art. 34 della L. reg. 19 aprile 1985, n. 18, sostituendolo con il seguente: “Qualora gli interventi di formazione professionale prevedano l’insegnamento di specifiche materie richiedenti parti colare esperienza o specializzazione tecnico-scientifica, la Regione e gli altri soggetti che svolgono corsi di formazione professionale con finanziamenti pubblici, possono ricorrere mediante collaborazioni professionali ad esperti provenienti dal mondo delle imprese, dei servizi, delle libere professioni, degli istituti scientifici, universitari e di ricerca”. Occorre precisare peraltro che la soddisfazione degli Enti proveniva dal fatto che, trasferendo alla Regione il personale a tempo indeterminato (quasi tutto impegnato nella qualificazione di base) si privavano di operatori il cui costo, spesso, non era completamente coperto dai parametri finanziari. Liberati da questo “pesi” gli Enti potevano proporsi per la realizzazione di altre attività utilizzando contratti a prestazione professionale. Grafico n. 125 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 582 583 Che la manovra portasse di fatto ad un ridimensionamento del I e del II livello lo dimostra in maniera inequivocabile la Tabella 77 che compara il numero dei corsi programmati nel 1990-91751 con quelli del Piano annuale del 1995-96752. A metà decennio sono stati previsti 178 interventi in meno dell’inizio degli Anni ’90. E le perdite sono tutte concentrate nel I e II livello, che flettono rispettivamente di 60 e 135 corsi. Queste variazioni determinano anche diversi equilibri percentuali. La prima Formazione, che nel 1990-91 rappresentava il 28,5% (valore inferiore di 8,5 punti alla media nazionale che faceva registrare il 37%) scende al 24,5% (aumentando la forbice di circa 10 punti rispetto al valore nazionale che si ferma al 34,6%). Il secondo livello sprofonda da un iniziale 36,2% al 6%. Se nel primo caso il dato calabrese sopravanzava il valore medio nazionale (16,3%) di quasi 20 punti, nel secondo 751 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 78. 752 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71. Tabella n. 77 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a. f. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 583 584 caso rimane sotto la media italiana (12,7%) di oltre sette punti. In cinque anni il peso del secondo livello in Calabria è sceso di 30 punti percentuali. Gli interventi per adulti (disoccupati ed occupati) aumentano in termini relativi di quasi 33 punti: passano dal 32,8% al 65,79%. Ma se nel primo anno non raggiungono la media italiana del 35,1%, nel secondo, invece, la surclassano: il valore medio italiano infatti nel 1995-96 si ferma al 45,4%. I corsi speciali sono pochi in termini assoluti e contano poco in termini relativi sia nel 1990-91 (8% e 1,9%) sia nel 1995-96 (9% e 3,8%). Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due anni assunti a riferimento? Dei 26 settori (compresa l’agricoltura e la categoria “varie”) considerati nella Tabella 77 subiscono delle perdite superiore ai due corsi (cfr. Graf. n. 126). In ordine decrescente registriamo: – il decremento eccezionale (–73) dell’area dell’Informatica (le perdite si concentrano soprattutto nel II livello e negli interventi per gli adulti); – decrementi consistenti nell’Agricoltura ed Elettricità-elettronica (–22) nell’Acconciatura (–14) ed Abbigliamento e Calzatura (–11); – decrementi più contenuti nelle Attività promozionali e pubblicità (–7), nella Cooperazione e nei Beni culturali (–6) , nella Ristorazione e nello Spettacolo (–5). In territorio positivo aumenta di 25 corsi l’Artigianato artistico (da 12 a 37 interventi) e la Meccanica (10 corsi in più) grazie soprattutto ad un aumento dei corsi di aggiornamento per adulti, La distribuzione su base provinciale dei corsi programmati nel 1990-91 e la conseguente ripartizione degli allievi viene illustrata dal Grafico 127. Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-96 ammontavano a 5.402 (meno della Valle d’Aosta e della Provincia di Trento che in quell’anno prevedevano ri- Grafico n. 126 - Evoluzioni quantitative dei settori e aree professionali tra il 1990-91 e il 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 584 585 spettivamente 5.975 e 8.060 allievi); di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva (inoccupati) e quanti avevano perso un’occupazione (disoccupati) erano 3.955. Ad inizio decennio invece erano 5.881 e rappresentavano lo 0,4 % della popolazione attiva (14-60enni); gli allievi della prima qualificazione, 1.711, rappresentavano il 1,6% della leva dei 14-16enni753. Per quanto riguarda le sedi formative operanti in Regione abbiamo due serie di informazioni, entrambe di fonte Isfol: la prima è quella che censisce dai Piani di attività il numero e la tipologia di struttura delle sedi e fa riferimento all’a.f. 1990-91754; l’altra elenca tutti i CFP dell’a.f. 1992-93755. Entrambe possono essere assunte come rappresentative della situazione che precede e che segue l’emanazione e l’applicazione della L. reg. n. 15/90. I risultati della prima indagine dell’Isfol sono riportati nella Tabella 78, da cui si possono trarre queste considerazioni: – la prevalenza (58,6%) di sedi utilizzate in maniera continua ed esclusiva per le attività formative sulle sedi usate solo occasionalmente (41,4%), sta ad indicare un sistema abbastanza strutturato e consolidato; – la prevalenza (87,7%) della gestione convenzionata, comprensiva di CFP e sedi occasionali, su quella pubblica (12,35), indica un sistema che fa abbondante ricorso al privato sociale. 753 La popolazione attiva ammontava a 1.308.678; i 14-16enni a 103.678 Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 754 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. 755 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. Grafico n. 127 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 585 586 L’altra fonte di indagine (relativa all’a.f. 1992-93) censisce 58 CFP, di cui 19 regionali756 e 39 dell’area convenzionata. I 58 CFP sviluppano un volume di attività pari a 296 corsi; la media corsi per CFP è pari a 5,1. I centri regionali fanno registrare un rapporto corsi/CFP pari a 5,5; inferiore il valore dei CFP convenzionati pari a 4,9. I CRFP in Provincia di Cosenza sono 9 (4 nel capoluogo e a Longobucco, Mendicino, Bisignano, Camigliatello, Castrovillari), 3 in Provincia di Catanzaro (Vibo Valentia, Crotone, Lamezia Terme) e 7 in Provincia di Reggio Calabria (2 nel Capoluogo e a Roccella Jonica, Bagnara Calabra, Catona, Lureana di Borrello, Locri). Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP (3) sono l’ENAIP delle ACLI (Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria), lo IAL della CISL (Cosenza, Reggio, Lamezia) e il CIOFS delle Salesiane (Reggio, Soverato, Spezzano Albanese). Tra gli Enti a carattere interregionale, con meno di tre CFP, ricordiamo: il CIFAP Centro Interprovinciale Formazione e Addestramento Professionale (Cosenza e Reggio Calabria), l’ANAPIA (Catanzaro), l’ENFAP della UIL (Reggio Calabria), il CENASCA Centro Nazionale Associazionismo Sociale Cooperazione Autogestione promosso dalla CISL757 (Condofuri), il CIF (Reggio Calabria), e l’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo (Rossano Scalo). Sono Enti a carattere regionale: l’Unitas Catholica (Reggio Calabria) l’IRACEB Istituto Regionale per le Antichità Calabresi Classiche e Bizantine”758 (Rossano). Da menzionare anche l’Ente bilaterale Scuola Edile di Reggio Calabria759. 756 Situati a: Fonzaso (BL), Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (2), Chioggia, Mestre, San Donà di Piave (VE), Chiampo, Lonigo, Bassano del Grappa (VI), Vicenza, Bovolone, Zevio (VR), Verona. 757 Il CENASCA ha lo scopo di promuovere il lavoro nel campo dell’economia sociale, del nonprofit, dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione, dell’autogestione e di tutte le forme di lavoro associato, atipico e innovativo, promuovendo ed organizzando iniziative e attività in tutti i settori economici e sociali e realizzando specifici progetti. 758 Istituito con Legge regionale 9 novembre 1989, n. 6 «Norme per la costituzione dell’istituto regionale per le antichità calabresi Classiche e Bizantine (IRACEB). 759 L’Ente Bilaterale per l’Edilizia della Provincia di Reggio Calabria nasce il 29 febbraio 1960 con la denominazione di “Centro per la Formazione delle maestranze edili ed affini della provincia di Reggio Calabria”. Nel marzo 2001 prenderà il nome di “Ente Scuola Edile per l’Industria Edilizia ed Affini della provincia di Reggio Calabria”. Nell’ottobre 2002 con l’accorpamento del “CPT - Comitato Tabella n. 78 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 586 587 Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 128. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (67,7 miliardi di lire) e quelli più alti sono sono quelli del 1995 (180,9 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 118 miliardi di lire. La capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) è dell’85,4% (media italiana 77,1%). Sotto questo aspetto nel Meridione meglio della Calabria fanno solo la Sardegna (95,3%) e la Puglia (91%). Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 87.485 lire, inferiore alla media italiana (93.951) di quasi 6.500 lire; quella rispetto alla forza lavoro è di 27.748 distante dal dato nazionale (99.534 lire) di quasi 72.000 lire (per la precisione 71.786). Questi valori posizionano la Regione al dodicesimo e al sedicesimo posto tra le Regioni relativamente alla spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale nei confronti della spesa totale della Regione è di 1,10%. Anche in questo caso la Regione si pone al di sotto del valore medio nazionale (1,39%). Paritetico Provinciale per la prevenzione infortuni, l’igiene e l’ambiente di lavoro di Reggio Calabria e provincia”, Ente fondato nel 1998, prende la denominazione di ESEFS - “Ente Scuola Edile per la Formazione e la Sicurezza della Provincia di Reggio Calabria”. L’Ente è un istituto paritetico bilaterale, senza scopo di lucro, costituito secondo quanto previsto dal Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori Edili ed Affini. Grafico n. 128 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 587 588 8.20. Regione Puglia Nel periodo considerato da questo volume vengono emanate solo Leggi di modifica ed integrazioni alla legislazione precedente. Questo complesso di norme (5 Leggi) possono essere ricondotte a due gruppi: il primo è formato dalla L. reg. 18/93 e dalla Legge di modifica, il secondo dalla L. 11/97 e dalle 2 Leggi di modifica. Apre l’elenco la L. reg. n. 18 del 23.08.1993 Misure urgenti per il finanziamento delle attività di formazione professionale. È una Legge omnibus, una miscellanea di previsioni su tematiche gestionali diverse: riconoscimento di spese sostenute, durata del piano annuale, tempi di pagamenti, liquidazioni di oneri derivanti da disposizioni precedenti, disciplina della mobilità di personale, assunzioni di nuovo personale con CTD o modifiche di alcuni commi della Legge organica della Formazione Professionale, la n. 54/78 (durata dell’anno formativo, erogazione dei finanziamenti agli enti, rendicontazione, mobilità del personale, sistemi di controlli…). Isoliamo in questa sommatoria di previsioni normative alcuni commi che riguardano il personale. Avevamo segnalato760 che, nel biennio 1985-1986, 500 operatori avevano partecipato ad una attività di riqualificazione di 1.152 ore per essere avviati a nuove attività nell’Osservatorio del Mercato del Lavoro (nella struttura regionale e in quelle provinciali, denominate osservatori territoriali) in servizi per l’orientamento e in Centri-pilota (individuati tra CRFP e CFP di Enti convenzionati e con la funzione di elaborare prototipi formativi e di erogare formazione settoriale-specialistica). La L. n. 18/93 sembra mutare il progetto originario, in quanto prevede: – che sia la Regione a realizzare “le attività relative alla progettazione formativa, all’orientamento professionale ed alla osservazione del mercato del lavoro e delle professioni”761; – che per questi compiti si avvalga della collaborazione delle Amministrazioni provinciali; – che le Province possono utilizzare “funzionalmente” gli operatori che hanno partecipato ai percorsi di riqualificazione, “ferma restando la dipendenza giuridica ed economica dagli Enti di appartenenza”. La L. reg. 19.07.1994, n. 26 Integrazioni e modifiche alla legge regionale n. 18 del 23 agosto 1993 allarga la programmazione regionale delle attività anche “a quelle autonomamente finanziate”, regolamenta le commissioni d’esami di qualifica 760 Cfr. volume II, p. 448. 761 Cfr. art. 10 comma 5 “Le attività relative alle progettazioni formative, all’orientamento professionale e alle osservazioni del mercato del lavoro e delle professioni sono approvate dalla Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare, previa verifica della finanziabilità dei progetti da parte della CEE e del Fondo Nazionale della Formazione Professionale”. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 588 589 762 Art. 26 (Albo regionale degli operatori della Formazione Professionale). Presso l’Assessorato alla Pubblica Istruzione, che lo costituisce e lo aggiorna annualmente sono istituiti l’Albo regionale dei docenti della Formazione Professionale dei lavoratori il quale si compone di tre parti e l’elenco del personale non docente. Agli effetti della presente Legge per docente si intende sia l’insegnante teorico che l’insegnante pratico. Nell’ambito di ciascuna parte, le iscrizioni nell’Albo dei docenti avvengono in ordine alfabetico per provincia e per gruppo di insegnamenti. Nella prima parte vi sono iscritti, di ufficio, i docenti dipendenti dall’Ente Regione e comandati (Ndr. Alle Province e ai Consorzi di Enti locali). Nella seconda parte vi sono iscritti, a domanda, i docenti assunti dagli Enti gestori alla data del 30/9/1977. Nella terza parte sono iscritti i docenti che aspirano a partecipare a concorsi per l’assunzione banditi dagli Enti delegati o convenzionati, ovvero i docenti che desiderino essere utilizzati come supplenti presso i vari Centri. 763 Il provvedimento poi detta norme: a) per la decorrenza finanziaria e contabile del piano di formazione professionale 1997; b) attività formative per utenze particolari: la Regione assume a proprio carico gli oneri non finanziati dalla Unione Europea e dallo Stato in riferimento ad attività formative destinate ad utenze particolari: tossicodipendenti, portatori di handicaps, ristretti in istituti di pena, minori interessati da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, minori ad alto rischio; c) attività formativa autonomamente finanziata: la Regione riconosce le attività formative autonomamente realizzate nell’anno 1996 che abbiano ottemperato ad alcune condizioni. 764 Non è possibile fare la comparazione tra aa.ff. 1990-91 e 1995-96, come abbiamo fatto per le altre Regioni, perché per quest’ultimo anno formativo l’Isfol rileva solo 608 corsi programmati (cfr. SISTAN- ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 71), un dato non in linea con il volume corsuale abitualmente pianificato dalla Puglia. Pertanto ogni comparazione risulterebbe viziata dalla eccezionalità di questo dato. 765 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 74. per estetista, definisce la decorrenza finanziaria e contabile del Piano annuale 1993- 94, e specifica che la mobilità del personale avviene tra Enti di Formazione e tra Ente e soggetti delegati. Il secondo blocco di normative è rappresentato dalla L. reg. 28.03.1997, n. 11 Misure urgenti per la formazione professionale e dalle Leggi di modifica: a) L. reg. del 28.03.1997, n. 12 Modifiche della legge regionale “Misure urgenti per la formazione professionale”; b) L. reg. 12.1.2.1997, n. 20 Modifica della legge regionale 28 marzo 1997, n. 11 “Misure urgenti per la formazione professionale”. La L. n. 11 detta nuove procedure di programmazione: a) il 40% delle risorse finanziarie disponibili nelle singole annualità del sottoprogramma del Programma Operativo Plurifondo (POP) Puglia 1994-1999, è assegnato sulla base di avvisi; b) il restante 60% è “assegnato con procedura di selezione che privilegi interventi formativi che possano essere attuati utilizzando gli operatori di cui all’albo ed all’elenco762 previsti dall’art. 26 della lr 54/ 1978”763. La soluzione proposta intende rispondere alle sollecitazioni dell’UE di adottare procedure di tipo concorsuale, ma anche alla preoccupazione di difendere i livelli occupazionali maturati dal personale con CTI. Nel 1990-91764 sono stati programmati 1.417765 corsi (cfr. Graf. n. 129): il 47,6% sono del Terziario, il 30,9% dell’Industria e Artigianato, mentre l’Agricoltura storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 589 590 (grazie soprattutto ad un numero consistente di interventi, 438, destinati ad un’utenza adulta, di solito, lo rammentiamo, di breve se non brevissima durata) fa registrare il 21,5%. Questo numero di corsi nel primario eccezionalmente alto va tenuto sempre presente nell’analisi, in quanto fattore altamente condizionante il quadro Tabella n. 79 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91) Grafico n. 129 - Numero di corsi del settore Industria e Artigianato storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 590 591 complessivo dei dati. I corsi programmati più numerosi dell’Industria sono quelli del settore Elettricità elettronica (95 interventi) e Meccanica metallurgia (81 interventi). Il primo settore del terziario per numerosità di interventi è l’Informatica (206 interventi) e l’area professionale Lavori d’ufficio (145 interventi): insieme rappresentano oltre la metà del volume corsuale programmato nel macrosettore Terziario. Per quanto riguarda la tipologia formativa abbiamo, in sintesi, la situazione seguente: – i corsi di qualificazione di base (323) fanno registrare il 22,8%, del volume corsuale complessivo; un valore inferiore di circa 14 punti alla media nazionale (37%); – il secondo livello (230 interventi) con il 16,2% si allinea al dato nazionale (16,3%); – i corsi per adulti, occupati e disoccupati (749, di cui 417 in agricoltura, pari al 52,9%) sopravanzano il valore nazionale (35,1%) di quasi 18 punti; – i corsi speciali (19) fanno registrare un peso percentuale pari all’8%, inferiore di 3 punti rispetto alla media italiana di 11,3%. Grafico n. 130 - Numero di corsi dei settori del Terziario Grafico n. 131 - Peso percentuale delle tipologie formative (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.27 Pagina 591 592 La distribuzione dei corsi per le 5 Province pugliesi (e di conseguenza la ripartizione degli allievi previsti) riflette sostanzialmente il numero degli abitanti di ciascuna Provincia (cfr. Graf. n. 132). Gli allievi erano 23.570 e rappresentano lo 0,9 % della popolazione attiva (14- 60enni); gli allievi della prima qualificazione, 5.517, rappresentano il 2,6% della leva dei 14-16enni766. Nell’a.f. 1990-91, su un totale di 146 sedi i CFP sono 122, pari all’83,6% (cfr. Tab. n. 80). Il rapporto tra CFP e sedi è un dato importante perché misura il livello di strutturazione del sistema (un numero maggiore di CFP dà l’idea del consolidamento e della ricorrenza, mentre più sedi occasionali danno l’idea della prevalenza della dimensione progettuale e della flessibilità). Nel caso della Puglia siamo ben al di sopra della media italiana (40,1). Sempre per quanto riguarda i CFP, il rapporto tra gestione pubblica (19 delle Province e 2 della Regione) e gestione convenzionata privata è di 17,3% e 82,7%. Il rapporto CFP/corsi è di 7,8. Migliore (8,1) il valore dei CFP degli Enti rispetto a quelli pubblici (7,8). 766 La popolazione attiva ammontava a 2.606.594 abitanti; i 14-16enni a 215.084 Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. Grafico n. 132 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 Tabella n. 80 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 592 593 Dall’altra indagine Isfol relativa all’a.f. 1992-93767 si ricava: sono solo due gli Enti con un numero di CFP superiore a 10: l’ENAIP (con 19) e l’EPCPEP (Ente Pugliese per la Cultura Popolare e l’Educazione Professionale, con 15). L’Ente delle ACLI è presente in tutte le Province (Bari, Modugno, Andria, Acquaviva delle Fonti, Ruvo di Puglia, Monopoli, Molfetta, Barletta, Brindisi, Orto Nova, San Severo, Foggia, Lucera, Lecce, Novoli, Tricase, Taranto, Martina Franca). L’EPCPEP ha una diffusione capillare in Provincia di Bari (Rutigliano, Alberobello, Trani, Molfetta, Terlizzi, Andria, Gravina, Bitonto, Conversano, Turi, Gioia del Colle, Bari) e una presenza a Brindisi e Foggia; tutti gli altri Enti non arrivano a 5 CFP. Tra questi lo IAL della CISL con 3 (Taranto, Casarano, IIP Istituto Istruzione Professionale); 3 (Brindisi, Modugno, Trani) l’IFAP Istituto per la Formazione e l’Addestramento Professionale dell’IRI; 3 (Brindisi, Bari, Foggia) l’IRAPL Istituto Regionale Addestramento Perfezionamento Lavoratori; 3 (Manfredonia, San Severo, Lucera), TECNOPOLIS C.S.A.T.A. 1 (Valenzano), il CNIPA Consorzio Nazionale Istruzione Professionale Artigianato 1 (Bari), il CEFME Centro per la formazione delle maestranze edili 1 (Andria). Cospicua la presenza di Enti di cultura cattolica: oltre i Salesiani con il CNOS-FAP (Lecce) e le Salesiane con il CIOFS (Fragagnano, Martina Franca, Taranto, Ruvo di Puglia, Bari) segnaliamo l’Istituto Maschile S. Pietro Apostolo (Cagnano Varano, San Menajo, Vico del Grgano), l’ITCA Istituto Terziario Cappuccini dell’Addolorata (S. Severo, S. Giovanni Rotondo, Lecce), l’Ente Diocesano D’apostolato sociale (Taranto). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 133. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1996 (38,9 miliardi di lire) e quelli più alti sono sono quelli del 1991 (264,8 miliardi di lire); la media del periodo è pari a 154 miliardi di lire circa. Buona la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97) con il 91% (media italiana 77,1%). Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che: la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 42.834 lire, inferiore alla media italiana (93.951 lire) di oltre 50.000 lire; e quella rispetto alla forza lavoro è di 85.477 lire, distante dal dato nazionale (99.534 lire) di quasi 14.000 lire. Questi valori posizionano la Regione al ventunesimo e al dodicesimo posto tra le Regioni relativamente alla spesa rispetto agli abitanti e rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale nei confronti della spesa totale della Regione è di 0,46%. Anche in questo caso la Regione si pone al di sotto del valore medio nazionale (1,39%). 767 SISTAN-ISFOL (a cura di RUBERTO A. e GHERGO F.), Distribuzione dei Centri di Formazione Professionale in Italia - anno 1992-93, op. cit., pp. 85-97. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 593 594 Grafico n. 133 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 594 595 8.21. Regione Sicilia La Sicilia è l’unica Regione a mantenere, anche negli Anni ’90, una Legge regionale sulla Formazione Professionale (la n. 24/76) emanata prima della Legge quadro del 1978, addirittura due anni prima, lontana, quindi, anche da quel clima culturale molto fecondo da cui è scaturita la norma nazionale. A questa incapacità di dare regole più aggiornate al Sistema formativo fa riscontro la capacità di promuovere un volume di attività consistente, tanto da connotarsi come “Regione erogatrice” piuttosto che “Regione regolatrice”. Quando si parla degli aspetti quantitativi la Sicilia si colloca sempre nelle prime posizioni nelle classifiche regionali per numero di corsi, di allievi, di sedi operative e di risorse finanziarie a disposizione. Numeri importanti se si considera che nell’a.f. 1995-96 i corsi programmati erano 2.516 pari all’11% di tutto il volume corsuale nazionale (di questi 1.859 di primo livello corrispondente al 23,3% del dato italiano), gli allievi previsti 39.473 (9,7% di tutti gli allievi dei sistemi regionali di tutte le Regioni) e 511 le sedi formative di cui 251 CFP (rispettivamente pari al 13,2% e al 9,7% su base nazionale). Inoltre la Regione ha avuto a disposizione una ingente quantità di risorse finanziarie. Nel periodo 1990-97, in media ogni anno, poteva impegnare 518 miliardi e 65 milioni di lire, toccando punte, come nel 1997, di quasi 800 miliardi (precisamente 796,1 miliardi di lire). Naturalmente, l’immobilismo sul piano culturale-regolamentare da un lato e l’entità delle attività dall’altro, un’offerta formativa quasi esclusivamente per i giovani e un sistema gestionale quasi monopolizzato dagli Enti, possono indurre il sospetto che il Sistema formativo siciliano vada avanti per inerzie e interessi gestionali, con scarsa o nulla attenzione alle esigenze dell’utenza. Sospetto che è diventato spesso aperta condanna nella letteratura del settore quando si parla di “formazione di assistenza” invece che “formazione per il mercato” 768. Per dare una valutazione del fenomeno Sicilia partendo dai fatti, ci avvaliamo di una indagine769 che ha riguardato l’utenza dei Corsi di Formazione di base nell’anno formativo 1991-92 gestiti dagli Enti confederali (ECAP della CGIL, IAL della CISL ed ENFAP della UIL) e dal CNOS-FAP dei Salesiani nei 9 capoluoghi di Provincia della Regione. L’indagine ha raggiunto un numero complessivo di 1.112 unità770 chiamate ad esprimere, in un’intervista telefonica, una valutazione sul grado di produttività / efficacia delle attività frequentate. 768 PITRUZZELLA G., La formazione professionale in Sicilia. Profili giuridico istituzionali, F. Angeli, 2000. 769 PINO E., Attività formative e tendenze occupazionali in Sicilia, in Osservatorio Isfol 1994, n. 2 marzo aprile, pp. 74-94. 770 Se si assume come base di calcolo il totale degli utenti per le sedi cittadine dei Centri di Formazione che risultano previsti in 11.360 unità si tratta di una percentuale pari al 9,9% del totale. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 595 596 Il campione è rappresentato dal 71,2% di ragazze (801) e dal 28,8% di ragazzi (321). Questo dato offre indicazioni su due fenomeni che caratterizzano gli assetti del sistema formativo siciliano; fenomeni tra loro correlati: – la femminilizzazione della Formazione Professionale, peraltro speculare alle caratteristiche generali della disoccupazione in Sicilia, dove esiste il più alto tasso di disoccupazione femminile; – la progressiva crescita di attività formative nei settori sociali e terziari, più appetibili per le donne, a scapito dei percorsi formativi nell’industria e nell’agricoltura, tradizionalmente più richiesti dagli uomini771. L’età dei soggetti coinvolti nell’inchiesta converge (per quasi l’80%) nelle fasce 15-20 anni e 20-25. La polarizzazione indica un concentrazione dei processi formativi nelle fasce giovanili dove peraltro è possibile rilevare il massimo di disoccupazione, mentre sono del tutto marginali le attività formative rivolte a soggetti adulti e in condizione lavorativa. Si tratta di due blocchi di utenti di pari consistenza che si collocano rispettivamente nei processi formativi successivi all’obbligo e al diploma. Infatti, il 66% del campione (15-20 anni) ha frequentato solo la scuola dell’obbligo e il 70% dei 20-25enni possiede un titolo superiore all’obbligo. In particolare i titoli di studio in ingresso sono quelli del Grafico 134. Delle 801 donne il 55,5% possiede almeno il diploma; mentre dei 321 maschi il 49,9%. Il campione ha frequentato 78 differenti tipi di profili; i dieci più frequentati sono quelli del Grafico 135 che hanno visto la partecipazione di 635 allievi. 771 PINO E. e CARNESI F. (a cura di), Analisi dei processi formativi in Sicilia, Palermo 1991; Coop Progetto Meridione Messina La disoccupazione in Sicilia; PINO E., Condizione femminile e mercato del lavoro, Rivista Segno, 1991; PINO E. (a cura di), Caratteristiche della offerta formativa e tipologia dell’utenza in Sicilia, 1992, ciclost. Grafico n. 134 - Livelli di studio del campione storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 596 597 Gli altri utenti (411) sono distribuiti nell’ambito di 68 profili professionali con una dispersione molto larga. Si noti l’assenza di profili connessi all’Industria, all’Agricoltura, al Turismo. L’unico corso che fuoriesce dal settore commercio, così come classificato dal Piano regionale 1991-92, è la qualificazione per assistenti agli anziani nell’ambito sociale. Se volessimo rag gruppare diversamente le attività per aree professionali più ampie ed omogenee ne risulterebbe che: 1) l’area informatica coprirebbe il 25,3% delle attività formative; 2) l’area del lavoro di ufficio comprensiva dei profili tradizionali (dattilografo e steno) e di quelli innovativi (stenotipisti e operatori di ufficio automatizzati) si attesterebbe complessivamente al 16%; 3) quella estetica, anche qui tradizionale (come i parrucchieri) od innovativa (come gli estetisti) sfiorerebbe il 12% (11,6%); 4) l’area di intervento sociale rimarrebbe al 5%. Si tratta quindi di una utenza cui si offre (e che in qualche modo ricerca): a) una competenza in materia informatica come veicolo per uno sviluppo professionale più adeguato; b) una competenza nelle professioni dipendenti tradizionalmente rivolte alle donne come le aree del lavoro di ufficio; c) una qualificazione di quegli ambiti, come l’estetica, che possono sempre permettere con riferimento esclusivo al target femminile delle rapide possibilità di immissione nel lavoro in forma autonoma o alle dipendenze; d) una qualificazione nel sociale per i lavori di assistenza agli anziani nel cui ambito l’istituzione regionale ha stanziato risorse importanti e notevoli possibilità di occupazione (anche se non continuativa). Grafico n. 135 - I corsi più frequentati dal campione storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 597 598 Se incrociamo i dati relativi all’attività di qualificazione con quelli del sesso si scopre che nel Sistema formativo regionale opera un meccanismo di differenziazione che assegna agli uomini una possibilità di accesso ai profili di più alto contenuto tecnologico (informatica: per la qualifica di programmatore) mentre posiziona le donne nelle tradizionali collocazioni del lavoro operativo/subalterno d’ufficio (con una presenza dell’89%), nelle attività di cura all’aspetto della persona (99%) e, infine, nelle attività di accudimento dei soggetti deboli (87%). Il 19,3% degli intervistati ha frequentato più di un corso (il 16,3%, corrispondente a 184 unità, ha partecipato a due interventi; il 3,1%, pari a 35 giovani, a 3 interventi e lo 0,3%, equivalente a 4 intervistati, 4 interventi). Le motivazioni che sono state addotte si dividono al 50% tra quelli che hanno reiterato l’attività formativa per “interesse al corso” e quelli invece che hanno partecipato a due o più corsi “perché non avevano trovato lavoro” (41%) o “per l’indennità di frequenza” (8%). In effetti le ultime due risposte si equivalgono; nel senso che la seconda esplicita quello che non ha il coraggio di dire la prima. Chi non ha trovato lavoro dopo la frequenza di un primo corso crede opportuno frequentarne un secondo se non un terzo o addirittura un quarto perché almeno si assicura una qualche fonte di reddito. Si consideri, infatti, che dal 1991-92 si è provveduto a determinare una indennità di frequenza fortemente rivalutata rispetto agli anni precedenti. Se si guarda all’impatto occupazionale dell’attività formativa rilevata a distanza di un anno dalla sua conclusione si ricava che la percentuale generale di coloro che hanno dichiarato di possedere una occupazione risulta pari al 25,2%. Si tratta, infatti, di 283 unità su un totale di 1.122; 176 sono le donne e 107 gli uomini. Se scomponiamo questo tasso generale per sesso rileviamo che le donne, che rappresentano il 71,4% degli intervistati, risultano occupate nella misura del 22%; mentre i maschi che costituiscono il 28,6% del campione, risultano occupati nella misura del 33,3%. Si tratta indubbiamente di un andamento tipico delle condizioni del mercato del lavoro in Sicilia che confermano i fenomeni di esclusione lavorativa riferita alle donne; esclusione che in questa Regione raggiunge la percentuale più alta del Paese. Se si distribuiscono gli occupati (almeno 5) per qualifica, abbiamo i risultati resi dal Grafico 136 dove i percorsi formativi con maggior successo risultano quelli dell’Informatica con il 26% (programmatore con il 15% e operatore PC con l’11%). In questa classifica rientrano 158 ex allievi, gli altri 115 risultano distribuiti in 34 profili formativi. Come si deduce dal Grafico 137 non vi è una correlazione assoluta tra numero di partecipanti ai vari tipi di processi di qualificazione e il numero di occupati; infatti, compaiono qui alcune qualifiche dei settori Industria e Turismo, che non erano comprese nella graduatoria dei primi 10 corsi più frequentati. Il Grafico 138 restituisce, invece, il rapporto tra allievi frequentanti e allievi occupati nelle 11 qualifiche che hanno contribuito a far conseguire almeno 5 posti di lavoro. In quale tipo di lavoro hanno trovato collocazione i 289 allievi che si sono occupati? La grande maggioranza, 73,7%, nel lavoro dipendente; l’11,6% nel lavoro storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 598 599 autonomo artigianale; il 4,2% nel lavoro autonomo commerciante; il 5,5% esercita la professione libera. Un restante 3,8% non è classificato. Grafico n. 136 - Distribuzione degli allievi/allieve occupati per percorsi di qualifica (collocazione = 0 < a 5 unità) Grafico n. 137 - Rapporto tra frequentanti e occupati Grafico n. 138 - Occupati per tipo di lavoro storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 599 600 Da tutto ciò deriva una serie di ipotesi interpretative per cui: – il lavoro dipendente è quello che assicura circa i 2/3 di sbocco lavorativo ai soggetti in formazione. In esso trovano accesso tutte le principali qualifiche dei diversi settori, ivi compreso quelle del settore industriale e turistico (che risultano minoritarie nell’ambito delle attività formative) e trovano sbocco prevalente anche le nuove qualifiche del terziario (stenotipisti); – nel lavoro autonomo commerciale ed artigiano si polarizzano le professionalità di tipo estetico che permettono probabilmente l’avvio di attività a basso costo fisso. Tutto ciò dà l’idea di un sistema connotato per un mercato del lavoro tradizionale con una organizzazione del lavoro arretrata in cui cominciano a trovare alcuni profili più moderni ed innovativi corrispondenti alle esigenze emerse in particolare nel settore privato convenzionato (assistenti agli anziani, stenotipisti). Uno degli elementi finali che l’indagine ha rilevato è la percezione della utilità del processo formativo ai fini dell’occupazione. La richiesta è stata avanzata a quanti hanno dichiarato di essere occupati. Le risposte sono sorprendenti: formulano un giudizio positivo sulla efficacia occupazionale dei percorsi “solo” il 48%; peraltro la maggioranza di questi (32,7%) si attesta su un tiepido “abbastanza”, solo l’11,6% esprime un convinto “molto” e una quota residuale arriva ad un “moltissimo” (cfr. Graf. n. 139). Considerando la sostanziale attendibilità dei risultati della ricerca (anche se gli intervistati sono solo frequentanti di CFP delle città capoluogo), possiamo affermare che questa indagine ci consegna queste caratteristiche di fondo del Sistema formativo della Regione Sicilia (cfr. Graf. n. 126): – l’utenza è prevalentemente giovanile (80% rientra nella fascia 15-25 anni), sia sul versante del post-obbligo che di quello del post-diploma; Grafico n. 139 - Valutazioni sulla utilità della formazione ricevuta da parte di chi ha trovato lavoro storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 600 601 – il target è soprattutto femminile (70% di tutti gli allievi); fenomeno che tendenzialmente sposta l’offerta di corsi dai settori dell’industria e dell’agricoltura, tradizionalmente più richiesti dai maschi, a quelli del terziario e del sociale sentiti come più congeniali dalle donne; – le donne si iscrivono soprattutto a percorsi formativi finalizzati all’acquisizione di competenze di tipo operativo mentre i maschi in interventi per profili con più alto contenuto tecnologico; – l’offerta formativa si frastaglia in innumerevoli qualifiche e profili professionali; l’informatica è l’unica area che riesce a intercettare una quota d’utenza vicina al 25%; – un numero considerevole di allievi (quasi il 20%) frequenta in successione più corsi, ma la metà di loro, lo fa per assicurarsi una fonte di reddito mediante l’indennità di presenza; – dopo un anno dal conseguimento della qualifica un allievo su quattro entra nel mercato del lavoro (le allieve femmine una su cinque, i maschi uno su tre), soprattutto nel lavoro dipendente (2 su 3 allievi); – più della metà degli allievi occupati esprime una valutazione negativa sulla utilità della formazione ricevuta. La Tabella 81 ci propone un confronto tra i corsi programmati in due anni formativi, all’inizio del decennio (a.f. 1990-91)772 e cinque anni dopo (a.f. 1995-96)773. Il confronto riguarda il numero dei corsi programmati sia per tipologia formativa sia per macrosettore e comparto professionale. 772 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 779. 773 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 76. Figura n. 126 - Connotazioni del sistema formativo siciliano storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 601 602 Nel 1995-96 sono stati realizzati 100 corsi in più rispetto al 1990-91. A livello di macrosettori: l’Agricoltura aumenta in maniera quasi impercettibile (da 170 a 173), consistente il decremento dell’Industria (–86), rilevante l’aumento del Terziario (+183, dovuto soprattutto all’exploit dei Lavori d’ufficio). Tabella n. 81 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) Grafico n. 140 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 602 603 Queste variazioni determinano anche dei cambiamenti, più o meno rimarchevoli, nel peso di ciascun comparto: il settore agricolo passa dal 7% al 6,8%; l’industria e l’artigianato diminuiscono di 4,4 punti, a vantaggio del Terziario che ne guadagna 4,6. Nel macrosettore Industria e artigianato, nelle annualità prese a riferimento, le prime due posizioni sono occupate dalla Meccanica e dall’Elettricità elettronica, anche se subiscono delle variazioni di segno opposto: la prima decresce (–26 corsi), la seconda cresce anche se leggermente (+4). Dalla terza posizione si registrano dinamiche non omogenee: aumentano l’Edilizia (+16), l’Artigianato artistico (+76) e la Grafica (+41); diminuiscono i settori dell’Alimentare, della Grafica e soprattutto dell’Abbigliamento (rispettivamente con –8, –17 e –117). Nel macrosettore Terziario invece i settori o le aree professionali che crescono sono: i Lavori d’ufficio (in maniera esponenziale, da 490 a 736), i Servizi sociali ed educativi (da 146 a 156) e il Turismo (da 72 a 127). Fanno, invece, registare decrementi consistenti l’Informatica –211 (soprattutto a causa della drastica riduzione dei percorsi formativi di primo e secondo livello, non compensata dal maggior numero di interventi destinati ad una utenza adulta) e l’Ecologia –42, (per l’azzeramento dei corsi di questo settore nelle attività per gli adulti). Di minore entità le diminuzioni dell’Acconciatura (–23), dei Beni culturali e della Ristorazione (cfr. Graf. n. 141). A proposito di settori ed aree professionali, l’indagine menzionata metteva in luce una caratteristica negativa del sistema siciliano: la frantumazione dell’offerta formativa in un numero impressionante di qualifiche e profili professionali. Va ricordato che per l’anno formativo 1993-94 si è proceduto ad una riclassificazione e semplificazione delle denominazioni delle qualifiche da conseguire al termine dei corsi. In effetti, si è trattato di una razionalizzazione minima: le tipologie di qualifi- Grafico n. 141 - Aumenti e decrementi dei settori e delle aree professionali del Terziario nella programmazione delle attività negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 603 604 cazione sono passate da 550 a 320. Erano esageratamente troppe prima, sono rimaste troppe dopo. Per quanto riguarda le tipologie formative (cfr. Graf. n. 142) c’è un exploit in valori assoluti dei corsi di prima qualificazione (+623) a fronte di una consistente flessione del II livello (–158) e dei corsi speciali (–65) e di una una débacle dei corsi per occupati e disoccupati adulti (–196). Questa situazione determina nuovi equilibri tra le tipologie formative, perché necessariamente è cambiato il loro peso percentuale: la prima qualificazione fa un impressionante balzo da 54% a 74%. Tale exploit fa regredire il peso percentuale delle altre offerte formative: il secondo livello dal 25% al 18%, i corsi speciali dall’8% al 3% e quelli per utenze adulte dal 13% al 5%. I 40.153 allievi del 1990-91 rappresentano l’1,3% della popolazione attiva (14- 60enni); i 22.932 allievi della prima qualificazione rappresentano il 9,4% della leva dei 14-16enni774. Come detto per altre Regioni, l’Isfol per la seconda annualità, quella dell’a.f. 1995-96, fornisce informazioni di maggiore dettaglio per ciascuna offerta formativa775. Dei 1.859 corsi di primo livello “solo” il 43,8% sono biennali e il 54% annuali (il valore più alto tra tutte le Regioni). Invece, dei 452 corsi di II livello, la quasi totalità, 450, sono destinati a qualificare i diplomati, 2 sono corsi in integrazione tra Scuola e Formazione Professionale; nessun corso per laureati. 774 La popolazione attiva ammontava a 3.139.845; i 14-16enni a 243.539 Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 775 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata dalle Regioni nel 1995- 96, op. cit., p. 94. Grafico n. 142 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 604 605 I corsi destinati, secondo la dizione dell’Isfol, ad un’utenza adulta, comprendono percorsi formativi (di qualificazione, riqualificazione, orientamento al lavoro, aggiornamento, specializzazione, perfezionamento) per occupati (79 interventi) e disoccupati (39 interventi). Infine, gli 87 corsi speciali sono tutti riservati alle categorie deboli. Se confrontiamo i dati del 1995-96 con quelli nazionali abbiamo questi riscontri: la prima formazione in Sicilia è al di sopra della media italiana (34,6%) di oltre 39 punti percentuali; il secondo livello invece, pur avendo una flessione importante, supera il valore nazionale (12,6%) di più di 5 punti: le attività per adulti che si attestano su un mediocre 4,7% si distanziano addirittura di oltre 40 punti dal valore nazionale (45,1%) e infine i corsi speciali, che rappresentano il 3,4% sono molto inferiori al dato medio nazionale (7,5%). La distribuzione dei corsi e relativi allievi per le 9 Province della Sicilia viene riportata nel Grafico 143. È una distribuzione che sostanzialmente rispecchia il numero di abitanti di ciascuna di esse. Nella Tabella 82 vengono riportati i dati Isfol sulle strutture formative, relativi all’anno formativo 1990-91776, dai quali possiamo trarre queste considerazioni: – la prevalenza delle sedi utilizzate per attività occasionali e non ripetitive (407, pari al 70,1% di tutte le sedi della Regione) sui CFP, cioè sulle sedi utilizzate in maniera continua ed esclusiva per le attività formative (261, equivalenti al 31,9%), dà l’immagine di un Sistema formativo capillarmente distribuito sul territorio, ma anche parcellizzato. Non c’è paese che non abbia la sua “piccola sede”; 776 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. Grafico n. 143 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.28 Pagina 605 606 – c’è un regime quasi monopolistico della gestione convenzionata. La ridottissima presenza pubblica era, infatti, rappresentata solo dai CFP dei CIAPI nei quali peraltro la Regione era socio di maggioranza e dava una quota corsuale quasi simbolica realizzata da Comuni ed Amministrazioni provinciali in sedi occasionali e per attività non ricorrenti. Contrariamente infatti a quanto avvenuto per altre Regioni, l’INAPLI, l’INIASA e l’ENALC, una volta trasferite alle Regioni, hanno cessato l’attività formativa e il personale è stato impegnato negli Uffici regionali (prevalentemente) e negli Uffici ed Ispettorati provinciali del lavoro (in Sicilia dipendenti dalla Regione). Un’altra indagine Isfol relativa all’a.f. 1992-93777, censisce 309 CFP, tutti di Enti convenzionati (solo 2 del CIAPI)778 (cfr. Graf. n. 144). L’Ente con il maggior numero di CFP è l’ENAIP con 47 sedi. Tutti nelle prime posizioni sono gli Enti di emanazione sindacale: ECAP della CGIL (34), IAL della CISL (26) ed ENFAP della UIL (21). Nell’alta classifica troviamo anche il CE.FO.P.779 (34 sedi) e il CIOFS delle Salesiane (28). I CFP di questi sette Enti, tutti al di sopra delle 20 sedi, rappresentano il 61,5% di tutti i CFP disseminati nella Regione. Nella fascia da 20 a 10 CFP troviamo solo l’ENAP (13). Più affollata la classe 10-5 corsi, dove rileviamo, in ordine decrescente: l’IRECOOP della Confederazione cooperative italiane780 e l’ANFE Associazione nazionale famiglie migranti (8)781, il CNOS-FAP dei Salesiani, l’IRFAP e il 777 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. 778 La differenza tra la prima e la seconda indagine sul numero dei CFP censiti è dovuto prevalentemente al fatto che alcune sedi distaccate vengano considerate come CFP invece che sedi occasionali. 779 Il CE.FO.P, nato nel 1978 come emanazione della Comunità Braccianti. 780 La Confederazione cooperative italiane, meglio conosciuta con la sigla Confcooperative, è una delle principali associazioni di cooperative italiane. Fondata nel 1919, si basa sui principi dell’Alleanza cooperativa internazionale e sulla dottrina sociale della Chiesa. La sede centrale è a Roma e ha un’organizzazione che si articola orizzontalmente in 22 unioni regionali, 81 unioni provinciali e 7 unioni interprovinciali. 781 È un’associazione senza fini di lucro fondata nel 1947, con sede nazionale a Roma. La Delegazione Regionale Sicilia opera dagli Anni ’50. Tabella n. 82 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 606 607 CESIFOP Centro siciliano per la Formazione Professionale (6), l’Enapra Ente nazionale per la ricerca e la formazione in agricoltura della Confagricoltura (7)782, il CRSRT Centro regionale siciliano radio e televisione e l’ACS Associazione cultura e sport. Nell’ultima fascia notiamo la presenza di Enti a diffusione nazionale: l’ENGIM dei Padri Giuseppini del Murialdo, il CIF del Centro Italiano Femminile e l’ENDO della congregazione fondata da Don Orione. Il rapporto tra CFP e corsi è pari a 6.5. Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 145. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1990 (353,4 miliardi di lire) e quelli più alti sono quelli del 1997 (796,1 miliardi di lire); la media del periodo è pari a circa 568 miliardi. Mediocre la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): con il 70,9% (media italiana 77,1%) si colloca alla sedicesima posizione tra tutte le Regioni. Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 172.216 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 259.92788. Nel primo e nel secondo caso i valori siciliani superano di molto quelli nazionali (rispettivamente di 93.951 lire e di 99.534 lire). In una classifica regionale la Sicilia si pone in quinta posizione per spesa per abitante e in sesta per spesa rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di 3,9%, un dato che la colloca dietro solo alla Basilicata e lontano dalla media nazionale di 1,71%. 782 La Confagricoltura (Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana) è una delle principali organizzazioni degli agricoltori in Italia, oltre che la più antica per data di costituzione. Si articola in 18 sezioni regionali e 95 provinciali, oltre che per Federazioni di prodotto. Grafico n. 144 - Numero di CFP per Enti di formazione storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 607 608 Grafico n. 145 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione (di competenza) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 608 609 783 Alla Regione Autonoma della Sardegna vengono “delegate” le funzioni amministrative dello Stato in materia di “istruzione artigiana e professionale” solo nel 1975, con il D.P.R. n. 480. 784 Cfr. vol. II, p. 462. 785 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e MINELLI G.), Statistiche della formazione professionale - Attività programmata nel 1995-96, op. cit., p. 77. 786 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 80. Grafico n. 146 - Peso dei macrosettori nella programmazione delle Attività degli anni 1990-91 e 1995-96 8.22. Regione Autonoma della Sardegna Nel periodo considerato da questo volume la Regione Sardegna non ha emanato nessuna legge in materia di Formazione Professionale. La normativa organica di riferimento rimane pertanto la L. reg. n. 47 Ordinamento della formazione professionale in Sardegna del 1 giugno 1979, emanata a ridosso della Legge quadro del 1978 e quattro anni dopo aver ricevuto la delega dallo Stato783. Nel decennio 1980-1990 sono state varate numerose Leggi, che apportano modifiche alla n. 47 o dettano disposizioni relative al personale (inquadramento e assunzioni). La più importante è la L. n. 42/89 che propone un nuovo paradigma di programmazione784. Nel frattempo, nel 1988 la Regione, con la Legge n. 33, si era dotata di un Osservatorio sul Mercato del Lavoro, come settore operativo dell’Agenzia del lavoro. Nel 1995-96785 la Regione ha programmato 225 interventi in più rispetto all’inizio del decennio786. Gli aumenti sono generalizzati, nel senso che investono tutti i macrosettori. Infatti, l’Agricoltura guadagna 9 interventi, l’Industria e l’artigianato storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 609 610 118 e il Terziaro 92. In tutti e tre i casi gli incrementi sono dovuti all’aumento dei corsi destinati ad adulti (disoccupati e occupati) che passano da 121 del 1990-91 ai 358 del 1995-96 (cfr. Tab. n. 83). La composizione percentuale del 1995-96 muta rispetto agli inizi del decennio: l’Agricoltura regredisce di 2,5%, il Terziario, nonostante gli aumenti in valori assoluti, diminuisce di 3,9 punti, mentre l’Industria sale del 5,3%. Quali sono i settori e le aree professionali che crescono o diminuiscono nei due anni assunti a riferimento? Dei 20 settori (più la categoria “Varie”) considerati nella Tabella 83, 3 subiscono delle perdite (l’Abbigliamento-calzaturiero, il Credito e i Beni culturali) mentre tutti gli altri aumentano. In territorio positivo e oltre i 20 corsi in più, spiccano i valori dei Servizi socio educativi (68) dell’Artigianato Artistico (46), della Informatica (22) della Meccanica (30), della Elettricità e della Distribuzione commerciale (20). Gli altri settori o aree professionali fanno registrate aumenti cospicui (Grafica e Turismo rispettivamente con 19 e 16 interventi in più) o più contenuti (Pubblicità e Acconciatura). Tabella n. 83 - Corsi programmati per tipologia formativa e settore economico (a.f. 1990-91 e 1995-96) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 610 611 Tra i due anni di riferimento si assiste anche a delle variazioni molto consistenti nel peso delle diverse tipologie formative (cfr. Graf. n. 148). Si consideri che il primo livello, che faceva registrare il 44% (mentre il dato nazionale si fermava al 37%), scende, nell’a.f. 1995-96, al 29,1%, distante dalla media nazionale (34,6%) di circa 5,5 punti. In quell’anno dei 257 corsi di prima qualificazione 256 sono biennali e 1 annuale. Il secondo livello, invece, da un iniziale 25,3% del 1990-91, superiore la media nazionale (16,3%), flette al 19,5% nella composizione percentuale del 1995- 96, pur rimanendo sopra al dato nazionale (12,8%). Da notare che nel 1995-96 dei 145 corsi di questa offerta formativa 134 erano destinati a diplomati e 11 a laureati. Sensibile l’aumento nell’a.f. 1995-96 delle attività destinate ad utenze adulte (123 corsi per occupati e 235 per disoccupati) che fanno lievitare il peso percentuale dal 23,2% al 48,1%. I corsi speciali (24 per il conseguimento di patenti ed abilitazioni, mentre 1 per categorie a rischio di emarginazione) passano da una percentuale di 8,5 a 3,4. Grafico n. 147 - Aumenti e decrementi dei settori e delle aree professionali nella programmazione delle attività nell’a.f. 1995-96 rispetto al 1990-91 Grafico n. 148 - Variazioni del peso percentuale delle tipologie formative negli aa.ff. 1990-91 e 1995-96 storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 611 612 Gli allievi previsti dal Piano annuale 1995-95 ammontavano a 11.275; di questi quanti non erano mai entrati nella vita attiva (inoccupati) e quanti avevano perso un’occupazione (disoccupati) erano 8.881. Gli allievi dell’inizio del decennio, invece, ammontavano a 5.027 e rappresentano il 4,6% della popolazione attiva (14- 60); i 3.444 allievi della prima qualificazione rappresentano il 4% della leva dei 14- 16enni787. Il Grafico 145 illustra la distribuzione su base provinciale dei corsi programmati nell’a.f. 1990-91 e la conseguente ripartizione degli allievi. Sempre all’inizio del decennio per la realizzazione delle attività formative sono state utilizzate 245 sedi (cfr. Tab. n. 84): 145 solo occasionalmente impiegate per attività formative e 102 strutture esclusivamente dedicate alla Formazione Professionale788. 787 La popolazione attiva ammontava a 1.093.197 abitanti; i 14-16enni a 85.08. Cfr. Geo-demo ista.it Ricostruzione Intercensuaria della popolazione per età e sesso al 1° gennaio - Anni 1982-1991. 788 ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Statistiche della formazione professionale 1991, op. cit., p. 104. Grafico n. 149 - Distribuzione su base provinciale dei corsi programmati e degli allievi previsti nell’a.f. 1990-91 Tabella n. 84 - Sedi formative regionali per tipologia di gestione e di struttura (a.f. 1990-91) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 612 613 Il rapporto tra sedi occasionali e CFP, che indica il grado di strutturazione del Sistema formativo, è di 40 a 60. Mentre il rapporto tra i 16 CFP regionali e gli 86 CFP di Enti di Formazione è di 16 a 84. L’indagine Isfol sulla distribuzione dei CFP, relativa all’a.f. 1992-93789, censisce 45 CFP di cui 6 direttamente gestiti dalla Regione (2 a Cagliari, Nuoro, Tonara, Sassari e Oristano). Nell’area convenzionata gli Enti con il maggior numero di CFP sono l’ENAIP con 7 (Selargius, Demomannu, Ales, San Gavino Monreale, Cagliari, Lanusei, Chilivani) e l’ENAP con 6 (Anna Arresi, Ghilarza, Morgongiori, Orosei, Nuoro, Tempio Pausania). Seguono lo IAROS Istituto Addestramento e Ricerche Organizzazione Sistemi con 5 CFP (Cagliari, Nuoro, Sassari 2, Oristano) e lo IAL con 4 (S. Elena, Oristano, Alghero 2). Il CIOFS delle Salesiane è presente a Cagliari, Giuspini e Macomer. Il CIF, Centro Italiano Femminile, associazione collocabile sul versante della cultura cattolica, opera a Sassari, Olbia e Iglesias. Infine, da menzionare il CNOS-FAP dei Salesiani che ha una sede a Selargius e l’ANAP, Associazione Nazionale Addestramento Professionale (a Pratosardo e S. Giusta). La media regionale del rapporto CFP/corsi è molto bassa, pari a 2,0 (2,0 area pubblica e 2,0 area convenzionata privata). Da un’analisi dei bilanci di previsione delle Regioni, realizzata dall’Isfol, la spesa regionale per ciascun anno del periodo in esame è quella di cui al Grafico 150. Gli stanziamenti più bassi sono quelli dell’anno 1994 (207,4 miliardi di lire) e quelli più alti sono quelli del 1990 (290,7 miliardi di lire); la media del periodo è pari a 235 miliardi e 325 milioni. Mediocre la capacità realizzativa della Regione (pagamenti entro il 1998 degli impegni assunti nel triennio 1995-97): con il 70,9% (media italiana 77,1%) si colloca alla sedicesima posizione tra tutte le Regioni. 789 SISTAN-ISFOL (a cura di GHERGO F. e RUBERTO A.), Distribuzione dei CFP in Italia, op. cit., pp. 67-77. Grafico n. 150 - Spesa regionale per la Formazione Professionale secondo i bilanci di previsione di competenza (a.f. 1990-1997) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 613 614 Dal bilancio consuntivo del 1995 si ricava che la spesa della Formazione Professionale per abitante è pari a 123.454 lire e quella rispetto alla forza lavoro è di 293.464 lire. Nel primo e nel secondo caso i valori siciliani superano quelli nazionali (rispettivamente di oltre 29,500 e di 193.930 lire). Rispetto alle altre Regioni la Sicilia si pone in nona posizione per spesa per abitante e in quinta per spesa rispetto alla forza lavoro. Il peso della spesa per la Formazione Professionale rispetto alla spesa totale della Regione è di 1,76%, poco sopra alla media nazionale (1,71%), percentuale che colloca la Sardegna come ottava in una ipotetica classifica delle Regioni che spendono di più nella Formazione Professionale rispetto alla spesa totale. storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 614 615 8.23. Quadri sinottico-comparativi di indicatori finanziari e gestionali Tabella n. 85 - Quadro sinottico di indicatori finanziari e gestionali dei Sistemi regionali della Formazione Professionale (lo sfondo azzurro indica che il valore è superiore alla media nazionale; lo sfondo verde indica che il valore è inferiore alla media nazionale) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 615 616 Tabella n. 86 - Posizioni di classifica delle Regioni rispetto agli indicatori finanziari e gestionali della Tabella 85. (lo sfondo azzurro indica che il valore in base al quale è stata stilata la classifica è superiore alla media nazionale; lo sfondo verde indica che il valore è inferiore alla media nazionale) storiaFORMAZ3-4_storiaFORM1 28/05/14 13.29 Pagina 616 617 B. Formazione Professionale e occupazione B.1 FORMAZIONE PROFESSIONALE E OCCUPAZIONE GIOVANILE 1. I contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione e lavoro 1.1. Un tentativo di revisione della formazione in alternanza: l’Accordo sulla politica dei redditi (1993) Il 3 luglio 1993 viene raggiunto, con il protocollo di mediazione del Ministro del Lavoro on.le Scotti1, un accordo sulla politica dei redditi2 frutto di contrattazione trilaterale. È il primo, tentativo di combinare l’uso della spesa pubblica per contenere il conflitto sociale e gli sforzi per combattere la disoccupazione. La pattuizione riguarda misure in tre diverse aree di intervento: il costo del lavoro, la regolamentazione del mercato del lavoro, le relazioni industriali3. Nella seconda area, Governo e parti sociali si sono impegnati ad introdurre una serie di innovazioni in materia di: a) apprendistato e b) contratti di formazione e lavoro. a) Per l’apprendistato, le innovazioni sono finalizzate a: - riqualificare l’Istituto, in senso duale, attuando la Formazione complementare intesa come elemento modulare di rinforzo; - tener conto della prospettata elevazione dell’età dell’obbligo scolastico nella 1 On.le ENZO SCOTTI (1933). Dal 1954 al 1958 è stato responsabile del Centro di Ricerca della CISL, occupandosi delle politiche di sviluppo in Italia e in particolare nel Mezzogiorno. Nel 1968 viene eletto deputato per la DC. Dal 1978 al 1992 ricopre la carica di Ministro in diversi dicasteri, varcando anche le soglie del Viminale e della Farnesina. Nel 1984 è stato eletto Sindaco di Napoli. Nel 1989 è capogruppo DC alla Camera. Nel 1991, da Ministro degli Interni, con il decreto-legge 345/91, istituisce la Direzione Investigativa Antimafia. Nel periodo del suo dicastero (1990-92) sono state promulgate le leggi più importanti che hanno permesso alle forze dell’ordine ed ai magistrati di agire contro l’organizzazione mafiosa. Aderisce all’MPA con cui è candidato alle elezioni del 2008 venendo nominato dal segretario e leader Raffaele Lombardo presidente nazionale del partito. Il 22 gennaio 2010, dopo essere stato espulso dal MPA, diventa Presidente nazionale del nuovo partito Noi Sud. 2 Presidenza del Consiglio dei Ministri - Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (3 luglio 1993). 3 La prima parte, il costo del lavoro, riguarda la revisione delle basi per il calcolo dell’indicizzazione del costo della vita e la fissazione del tetto massimo di aumenti salariali). La seconda parte, regolamentazione del mercato del lavoro, tratta della introduzione procedure di assunzione più flessibili, riduzione orario di lavoro, maggiore utilizzo tempo parziale. La terza, infine, relazioni industriali, ha come oggetto l’introduzione di misure per ridurre i conflitti a livello locale. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 617 618 determinazione dei limiti di età inferiore e superiore per accedere all’apprendistato; - procedere all’individuazione di qualifiche specifiche, con gli opportuni rinvii alla contrattazione collettiva; - introdurre più stringenti modalità di certificazione dei risultati formativi conseguiti. b) Quanto ai contratti di formazione e lavoro, le innovazioni riguardano: - l’innalzamento della fascia di età per l’accesso al contratto di formazione e lavoro; - la previsione di specifici assetti del contratto in relazione al tipo di qualificazione da conseguire (bassa/media/elevata), ed alle finalità (di formazione e di adattamento al lavoro, prevedendo una minor durata e una formazione off the job ridotta); - possibilità alle imprese di reclutare nuovi contrattisti solo dopo verifica che almeno il 60% dei contratti stipulati in precedenza sia stato trasformato in rapporti di lavoro stabile; - la previsione della certificazione dei risultati formativi; - la definizione di criteri uniformi sul territorio nazionale per i progetti di CFL inseriti nei programmi operativi regionali di FSE. Di tutti questi punti, molti (tra questi tutti quelli che riguardano l’apprendistato) sono rimasti dichiarazioni d’intenti; alcuni (solo dei contratti formazione e lavoro) sono stati tradotti in iniziative legislative. 1.2. Il contratto di formazione e lavoro Parte dell’Accordo viene recepito con la L. n. 451/94 . Ma già all’inizio del decennio l’impianto normativo della L. n. 863/864 aveva subito modifiche ed integrazioni da parte della L. n. 407/19905. Due le previsioni di particolare rilievo di questo provvedimento: – la prima: i datori di lavoro non possono procedere a nuove assunzioni con il contratto di formazione e lavoro se non hanno mantenuto in servizio almeno il 50% dei giovani contrattualizzati negli ultimi 24 mesi (art. 8, comma 6); – la seconda impedisce la stipula di contratti di formazione e lavoro per l’acquisizione di “professionalità elementari, connotate da compiti generici o ripetitivi” (art. 8, comma 5). L’una e l’altra norma rappresentano giusti correttivi ad un uso affaristico e speculativo di questo contratto. Al di là della indiscutibile plausibilità e opportunità 4 Cfr. volume II, par. B. 2.2.3. 5 Legge 29 dicembre 1990, n. 407 Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993 in G.U. 31 dicembre 1990, n. 303. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 618 619 della norma non si può non constatare il suo carattere limitativo in una fase espansiva nella utilizzazione di questo contratto. Secondo un paradigma abituale, però, quando il trend diventa negativo come succede a partire dall’anno 1991, le norme diventano più flessibili e a maglie meno strette. È quanto si verifica con i decreti relativi alle pattuizioni dell’Accordo del 3 luglio 1993 e i relativi provvedimenti normativi che, se da una parte alzano il limite da 50% a 60% di contrattisti stabilizzati a tempo indeterminato per potere procedere a nuove assunzioni con il contratto di formazione e lavoro, dall’altra abbassano ulteriormente i limiti minimi della formazione formale, dei processi di apprendimento off the job. L’Accordo del 3 luglio 1993 trova una prima sistemazione legislativa nel Decreto Legge n. 178/93 riguardante interventi di politica del lavoro. Il decreto, in scadenza, è stato fatto proprio dal nuovo Governo (Presidente del Consiglio on.le Berlusconi, Ministro del Lavoro on.le Mastella) che lo ha reiterato subito dopo il suo insediamento con il Decreto Legge n. 299 del 17 maggio 1994, convertito con Legge 19 luglio 1994, n. 4516. Il provvedimento (art. 16 comma 2) modifica aspetti portanti il contratto di formazione e lavoro: a) lo rende accessibile ai giovani della fascia di età 16-32 anni; b) prevede due tipologie di contratto: tipo A e tipo B. Il tipo A, di durata massima di 24 mesi, è finalizzato all’acquisizione di professionalità medie ed elevate; la formazione teorica prevista è fissata rispettivamente in 80 e 130 ore. Per questa tipologia contrattuale continua a valere il regime vigente di riduzione dei contributi previdenziali modulato territorialmente; viene prevista la certificazione della professionalità del lavoratore al termine del contratto di formazione e lavoro. Il tipo B, di durata massima fissata in 12 mesi, prevede un impegno formativo off the job limitato (20 ore complessive sulla disciplina del rapporto di lavoro, l’organizzazione del rapporto di lavoro e la prevenzione ambientale e antinfortunistica). Per questa seconda tipologia contrattuale “d’inserimento” i benefici contributivi sono concessi ex post, in regime di compensazione degli oneri dovuti all’INPS, subordinatamente all’avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato; per il contratto di tipo B è previsto che il datore di lavoro rilasci al lavoratore un semplice attestato sull’esperienza di lavoro svolta7. 6 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, recante disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali” in G.U. 19 luglio 1994, n. 167. 7Alcuni, con la nuova normativa in materia di contratti di formazione e lavoro (art. 16 della Legge n. 451/94) che ha introdotto il contratto di tipo B “di inserimento professionale”, avevano ritenuto implicitamente abrogata la sopraccitata norma (art. 8, comma 5, legge n. 407/90). Il Ministero del Lavoro storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 619 620 con la circolare n. 20/97 “ha chiarito” (con un artificio letterario) che il contratto di tipo B è applicabile a tutte le professionalità in genere con esclusione di quelle indicate dall’art. 8, comma 5, della Legge n. 407/90. 8 Sono poi da segnalare le semplificazioni procedurali che si aggiungono a quelle già previste per i contratti ex accordo tra le parti sociali, e riguardanti: a) la verifica di conformità dei contratti, ora effettuata dagli uffici del lavoro in luogo delle Commissioni regionale per l’impiego; b) le prescrizioni ministeriali (introduzione della clausola del silenzio/assenso) ed il sostegno alla contrattazione collettiva in materia di formazione e responsabilizzazione delle parti sociali nella fissazione degli standard Figura n. 127 - Tipologie di CFL previste dalla L. n. 451/94 Nella L. n. 451/94, inoltre, sono contenute due previsioni di portata generale: – l’ampliamento delle categorie di datori di lavoro che possono ricorrere ai contratti di formazione e lavoro. Agli imprenditori, ai consorzi di imprese, agli Enti pubblici economici ed ai liberi professionisti già previsti si aggiungono ora gruppi d’imprese per un contratto di formazione lavoro “multimpresa”, associazioni professionali, socioculturali e sportive, fondazioni; – la possibilità di stabilire, nei contratti collettivi di lavoro, un inquadramento iniziale del giovane di livello inferiore a quello previsto al termine del contratto di formazione e lavoro. Appaiono di un qualche rilievo: la diversa caratterizzazione degli incentivi dei due contratti, l’estensione delle tipologie di datori di lavoro che possono farvi ricorso, la possibilità di organizzare un contratto formazione lavoro “multimpresa” (anche se va ricordato che la responsabilità resta ad un unico datore di lavoro che funge da general contractor)8. L’abbassamento ulteriore, invece, del limite minimo storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 620 621 dei processi di apprendimento off the job (nel contratto di tipo B addirittura 20 ore, pari a mezza settimana lavorativa, cioè l’1,04% della durata del contratto) rappresenta un depotenziamento ulteriore della dimensione formativa del contratto, già assolutamente precaria. Viene quasi la tentazione di concludere che durate così ridotte servono solo come pretesto per giustificare il nome di contratto di formazione e lavoro. Il decennio precedente si era chiuso con 529.297 giovani contrattisti; il valore più alto registrato da questo istituto. Dall’anno successivo (1990), infatti, comincia un trend negativo che durerà fino al 1993. In quattro esercizi (1990-1993) il contratto di formazione e lavoro perde il 58,4% del suo target, passando da più di 529.000 giovani a poco meno di 190.000. Dal 1994, si verifica una inversione di tendenza e inizia un andamento progressivo per tutto il quadriennio 1994-97 che non riuscirà però a recuperare le perdite. Nel 1997, infatti, i giovani avviati con questo contratto saranno quasi 282.000, il 53,3% del 1989. 1.3. L’apprendistato Nel periodo 1990-1997 l’apprendistato, rimasto nella sua struttura normativa di base quello disegnato dalla L. n. 25/1955, subisce una costante e progressiva erosione quantitativa, tanto da perdere in questo volgere di pochi anni più di 136.000 giovani, quasi un quarto della sua dotazione complessiva (cfr. Graf. n. 152). La causa va individuata anche nella concorrenza del contratto di formazione e relativi ai profili professionali e formativi; la considerazione dei dipendenti in contratto di formazione e lavoro nel computo dei dipendenti ai fini dell’applicazione della normativa sulle assunzioni obbligatorie e la regola secondo cui gli imprenditori possono procedere a nuove assunzioni con contratto di formazione e lavoro solo se hanno proceduto a stabilizzare una parte di “ex-contrattisti”. Grafico n. 151 - Numero di giovani avviati con contratto di formazione e lavoro (anni 1990-97) storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 621 622 lavoro ma non solo. Il fatto che tutti e due i contratti a causa mista (cfr. Graf. n. 153) nei primi quattro anni facciano registrare decrementi (nel 1993, rispetto al 1990 si contano circa 370.000 giovani in meno) rimanda come possibile causa all’andamento negativo dell’economia in genere e del mercato del lavoro, in particolare. A partire dal 1994 quando inizia la ripresa economica i diversi andamenti (negativo quello dell’apprendistato, positivo quello del contratto di formazione) si spiegano, invece con il maggior gradimento di quest’ultimo da parte del mondo imprenditoriale, che sembra aver valutato positivamente le revisioni apportate dalla L. n. 451/94. Grafico n. 152 - Numero avviati con contratto di apprendistato (anni: 1990-1997) Grafico n. 153 - Numero avviati con apprendistato e CFL (anni 1990-97) Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro M.L.P.S. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 622 623 Per quanto riguarda la distribuzione degli apprendisti per circoscrizione geografica (cfr. Graf. n. 154) rileviamo che alle spalle del Nord-Ovest, che occupa sempre la prima posizione con valori percentuali che oscillano tra il 38% e il 43%, si posiziona il Centro che, ad esclusione del 1990, supera sempre il Nord-Est (con valori attorno al 20-22%) e il Sud (che si muove tra un massimo di 19,6% e uno minimo di 12,7%). Per quanto riguarda il genere i rapporti sono quasi sempre nell’ordine di 62% (uomini) e 38% (donne) (cfr. Graf. n. 155). Solo in tre attività economiche Commercio turismo alberghi e pubblici esercizi e Credito, Assicurazioni e Gestioni finanziarie e Attività e servizi vari le donne hanno una rappresentanza superiore agli uomini. In tutte le altre tipologie di attività, specie nelle industrie (estrattive, manifatturiere e delle costruzioni) la superiorità quantitativa degli uomini è netta9. 9 OSSERVATORIO DEL MERCATO DEL LAVORO del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale News-Informazioni statistiche del lavoro nn. 1-2 febbraio 1998, p. 10. Grafico n. 154 - Numero apprendisti per circoscrizione geografica Grafico n. 155 - Apprendisti per genere (%) Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro M.L.P.S. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 623 624 L’apprendistato anche negli Anni ’90 rimane essenzialmente uno strumento tipico dell’Industria, soprattutto quella delle costruzioni e quella manifatturiera (in particolare la meccanica e l’abbigliamento). Importante, comunque, risulta l’utilizzazione dell’apprendistato da parte del Commercio e Turismo. Tutti gli altri settori, considerati insieme, hanno una dotazione di apprendisti che mediamente supera di poco il 10% del totale10. Nell’Italia settentrionale si concentra (cfr. Graf. n. 156a) la maggioranza dei contratti. Se prendiamo in esame l’ultimo anno considerato, il 1997, rileviamo che nel Nord sono stati stipulati 249.254 contratti su 393.138 stipulati in tutto il Paese, pari quindi al 64%. Risultato ottenuto grazie soprattutto ai dati di Lombardia e Veneto, uniche Regioni a superare e con largo margine le 50.000 unità e che da sole rappresentano il 36% del totale nazionale e il 57% del totale dell’Italia settentrionale. 10 Ibidem. Tabella n. 87 - Apprendisti per settori economici (anni: 1990-1997) Grafico 156a - Distribuzione regionale di apprendisti e stabilimenti che hanno impegnato apprendisti - Italia settentrionale (anno 1977) Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro M.L.P.S. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.38 Pagina 624 625 Un dato interessante è fornito dal rapporto, a livello di ciascuna Regione, tra numero di apprendisti e numero di stabilimenti che li hanno utilizzati. Questo rapporto a livello nazionale è di 1,4 (393.138 apprendisti in 274.448 aziende). In altri termini, mediamente le imprese italiane che hanno fatto ricorso all’apprendistato nel 1997 hanno stipulato contratti con 1,4 giovani. Nel Nord abbiamo i rapporti seguenti: 2 il Veneto; 1,8 l’Emilia Romagna; 1,6 il Friuli Venezia Giulia; 1,4 la Lombardia, seguono le altre con valori minori. Nel 1997, nel Centro sono attivi 83.532 contratti di apprendistato, pari al 21,2% del totale nazionale (cfr. Graf. n. 156b). Di questi nella sola Toscana ne sono stati attivati più di 53.000 (che rappresentano il 13,6% del totale nazionale e il 64,2% del totale della circoscrizione) da parte di quasi 16.000 aziende e quindi con un rapporto apprendisti/stabilimenti di 3,3. Grafico n. 156c - Distribuzione regionale di apprendisti e stabilimenti che hanno impegnato apprendisti - Italia meridionale e insulare (anno 1977) Grafico n. 156b - Distribuzione regionale di apprendisti e stabilimenti che hanno impegnato apprendisti - Italia centrale (anno 1977) storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 625 626 Più modesti i valori delle altre Regioni: nell’ordine Marche, Lazio e Umbria. In Italia meridionale e insulare nel 1997 ci sono 60.352 apprendisti, pari al 15,3% del totale nazionale; di questi quasi un terzo sono impiegati in aziende della Puglia che fa registrare un rapporto apprendisti/stabilimenti di 1,5. Seguono la Campania e la Sicilia i cui apprendisti rappresentano rispettivamente il 14,5% e il 13,3% del Sud del nostro Paese. Infine il dato relativo alla tipologia di impresa: le aziende artigiane che nel 1997 ospitano apprendisti sono 134.255 e quelle non artigiane 140.193 (cfr. Graf. n. 157). 1.4. Il costo dei contratti a causa mista Due sono le componenti da tenere in considerazione nella stima dei costi per i contratti a causa mista: quella relativa alla Formazione e quella relativa al sostegno per l’inserimento nel mondo del lavoro. Sul primo versante occorre tenere presente le differenze tra l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro. Le attività di Formazione complementare realizzate per gli apprendisti, nei pochissimi casi in cui esistono, sono finanziate con le risorse regionali e conteggiate nella spesa regionale per la Formazione Professionale. I costi della formazione complementare dei giovani avviati con contrattti di formazione e lavoro (nei pochi casi in cui viene attuata anche questa parte della legge) sono invece completamente supportati dall’impresa, anche se è prevista la possibilità di richiedere sussidi. Sul secondo versante occorre mettere in luce l’apporto finanziario dello Stato che si traduce in una minore entrata dovuta alle agevolazioni contributive connesse ai due istituti. Una ricerca dell’Isfol del 199711 ha stimato che, se nel 1995 i datori di lavoro 11 ISFOL, Formazione in alternanza: situazione ed esperienze in atto in Osservatorio Isfol, n. 1-2, 1997. Grafico n. 157 - Tipologia di imprese storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 626 627 avessero corrisposto i normali contributi ad apprendisti e contrattisti, lo Stato avrebbe incassato circa 3.300 miliardi di lire. Infatti, considerando un salario medio mensile di L. 800.000 per ogni apprendista e L. 1.000.000 per un contrattista di formazione e lavoro, il mancato gettito è quantificabile in 1.894 miliardi per l’apprendistato12 e 1.440,5 miliardi di lire per il contratto di formazione e lavoro. Questo mancato introito da parte dello Stato (e che naturalmente ha rappresentato per le spese un “risparmio”) viene però in parte recuperato con la tassazione sul reddito; pertanto, la somma netta non incassata dallo Stato ammonterebbe a circa 2.000 miliardi, di cui 1.250 per l’apprendistato e 750 per i CFL. Ai benefici contributivi riconosciuti dallo Stato, vanno poi aggiunti ulteriori benefici riconosciuti dalle Regioni. Numerose risultano infatti le normative regionali che offrono incentivi alle aziende per l’assunzione di apprendisti, la stabilizzazione della loro posizione professionale ed il reintegro dei costi di formazione sostenuti dalle imprese. 1.5. E la Formazione? A fronte di un tale investimento finanziario da parte dello Stato, pochi risultano gli interventi di Formazione complementare realizzati dalle Regioni (per l’apprendistato) e dalle aziende (per il contratto di formazione e lavoro). 1.5.1. Apprendistato Com’è noto nei primi anni di vita della Legge il Ministero del Lavoro tentò di attuare anche la parte relativa alla Formazione complementare, nonostante difficoltà dovute a lacune normative e carenze organizzative. Tale impegno è progressivamente venuto meno e, con il passaggio delle competenze in materia di Formazione Professionale alle Regioni, si è assistito all’estinzione di fatto dei corsi complementari. Nessuna Regione ha avviato un programma strutturato di formazione complementare per apprendisti. In questo deserto formativo rappresenta un’oasi la Provincia Autonoma di Bolzano, dove esiste un Sistema di Formazione complementare dal 1955, divenuto obbligatorio per tutti gli apprendisti dal 1981. Sicuramente su questa particolarità pesa l’influenza della cultura austriaca e tedesca. Il 7 aprile 1997 con Legge provinciale n. 6 è stato emanato il nuovo Ordinamento dell’apprendistato che non ha introdotto rilevanti modifiche. In questa Provincia solo le aziende appositamente autorizzate possono assumere apprendisti. L’autorizzazione è divenuta con la nuova Legge di durata illimitata (è sempre prevista la possibilità di revoca) ed è subordinata all’accertamento che il datore di lavoro possegga i necessari requisiti professionali e pedagogici e che l’azienda abbia caratteristiche tecniche ed organizzative adeguate. Le attività professionali oggetto dell’apprendistato sono state individuate dalla com- 12 Non sono conteggiate le agevolazioni contributive concesse in caso di trasformazione del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 627 628 missione provinciale per l’apprendistato nei settori della produzione e dei servizi. Sono stati descritti circa 120 profili professionali e, di concerto con le parti sociali, i relativi “piani di insegnamento”. Questi contengono un’elencazione delle tecniche e delle nozioni che l’azienda è tenuta a impartire agli apprendisti. I giovani apprendisti di Bolzano devono obbligatoriamente frequentare la Scuola Professionale, generalmente per tre anni, secondo quanto previsto dal piano di insegnamento. L’insegnamento è impartito in corsi annuali, con un giorno di frequenza alla settimana nel periodo settembre-maggio, o in corsi a tempo pieno di pari durata. Per gli apprendisti che presentano lacune o criticità di apprendimento, le scuole professionali possono organizzare corsi di recupero. La Provincia e le associazioni di categoria possono organizzare Corsi di Formazione extraziendale per colmare eventuali carenze formative e avvicinare gli apprendisti alle nuove tecnologie. Entrambi questi tipi di corsi sono facoltativi. L’attività formativa si concentra in maniera prioritaria sull’acquisizione delle abilità professionali. All’interno dell’impresa l’imprenditore ha l’obbligo di istruire l’apprendista secondo il piano formativo relativo all’attività professionale oggetto dell’apprendistato. Il periodo di apprendistato può durare fino a cinque anni: dopo i primi tre anni in cui è obbligatoria la frequenza della scuola professionale, l’apprendista riceve solo l’insegnamento in azienda. Al termine del periodo di apprendistato i giovani che abbiano superato positivamente la scuola sono ammessi a sostenere un esame sia teorico che pratico. Con il superamento di tale esame viene rilasciato un attestato di qualifica con indicazione del voto ottenuto per ciascuna delle due parti d’esame e di un giudizio complessivo (cfr. Fig. n. 128). Nel 1996 sono stati 1.696 i giovani che hanno sostenuto tale esame e 1.445 hanno conseguito l’attestato finale. Un’altra iniziativa significativa, anche se non ugualmente sistematica, è stata attivata dall’Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Trento, che dal 1988 organizza Corsi di Formazione complementare per apprendisti e per giovani avviati con CFL. I corsi per apprendisti si rivolgono agli apprendisti artigiani. Il progetto formativo è triennale e si sviluppa in 400 ore annue di Formazione, di cui 240 svolte in azienda e le restanti 160 ore nei Centri di Formazione Professionale. La Formazione in azienda segue un modello generale definito consensualmente tra le associazioni artigiane e l’Agenzia del lavoro e un programma particolare concordato con il datore di lavoro negli obiettivi, modalità, strumenti di sostegno e tempi. Periodicamente, l’insegnante dei corsi teorici insieme all’artigiano effettua verifiche dell’apprendimento in azienda in riferimento agli obiettivi individuati. I corsi teorici si sviluppano lungo due direttrici: fornire agli apprendisti le conoscenze scientifiche e le abilità tecnico-operative di base relative al profilo professionale di riferimento; approfondire le capacità socio-relazionali dei giovani utenti che, nel momento dell’ingresso nella vita adulta, consentano loro di sviluppare una più solida identità professionale. L’esperienza acquisita dai datori di lavoro viene valorizzata attraverso l’utilizzo degli artigiani in qualità di docenti, con interventi occastoriaFORMAZ3- 5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 628 629 sionali o inserimento a tempo pieno nei corsi teorici. È prevista la possibilità per i giovani che abbiano completato il triennio, previo esame, di accedere al terzo anno dell’Istruzione professionale per conseguire il diploma di qualifica13. 13 La prima edizione dei corsi si è tenuta nel 1988 ed ha interessato tre settori: meccanico, legno e autoriparazioni. Negli anni successivi si sono aggiunti interventi nei settori idraulico, elettrico e grafico, dell’acconciatura, dell’edilizia e carrozzeria. Sono in corso di attivazione anche le prime offerte sul versante del commercio, che riguardano i commessi del settore abbigliamento e alimentare. I giovani partecipanti sono cresciuti in maniera costante: da 43 della prima edizione fino a 170 dell’edizione 1995-96. Figura n. 128 - L’apprendistato nella Provincia Autonoma di Bolzano storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 629 630 La Regione Valle d’Aosta ha iniziato nel 1987 la sperimentazione di un intervento formativo per apprendisti artigiani denominato “Apprendistato come chance”. Il percorso formativo dura generalmente 2 anni. Il I anno si articola su 180 ore raggruppate in blocchi settimanali; si propone di offrire una “piattaforma” di abilità propedeutiche all’esercizio della professionalità in qualsiasi contesto lavorativo ed è quindi uguale per tutti i settori. Nel II anno, che prevede 200 ore di insegnamento, il curricolo è mirato allo specifico settore d’impiego, per poi specializzare ad un solo profilo professionale. Per profili professionali, il cui contenuto presenta particolari complessità, è previsto un terzo anno di corso. Il progetto ha coinvolto 361 giovani nella prima edizione. Successivamente un calo dell’utenza, in gran parte spiegato da una riduzione degli incentivi agli imprenditori artigiani14, ha spinto l’Agenzia del lavoro valdostana a elaborare un progetto di integrazione della proposta formativa per gli apprendisti con quella rivolta ai contrattisti di formazione e lavoro. Per consentire il raggiungimento di volumi di utenza tali da rendere possibile l’attivazione di una gamma di corsi differenziata in relazione alle specifiche necessità dell’utenza l’offerta formativa è stata divisa in moduli15, variamente combinati in un percorso formativo della durata massima di tre anni. Al di là dell’impegno più o meno sistematico da parte delle due Province Autonome e dell’Ente strumentale della Valle d’Aosta, non si registrano iniziative di rilievo da parte dei soggetti territoriali competenti in materia di Formazione Professionale. Vanno segnalate solo sporadiche iniziative formative da parte delle rappresentanze sindacali datoriali e dei lavoratori, come quella dell’Esem di Milano16 o l’attività a carattere innovativo a cura della Confederazione Nazionale dell’Artigianato (CNA) e successivamente dell’Artigianform (Consorzio formato da CNA, 14 Si è assistito ad un netto calo della partecipazione a partire dal 1992 quando da un rimborso agli imprenditori di tre milioni annui per ogni apprendista in formazione si è passati ad un rimborso proporzionale alla frequenza, che si aggira intorno a L. 600/700.000, tanto che nel 1995 gli apprendisti coinvolti sono stati solo 140. Nel 1996 non è stata avviata la prima annualità dei corsi. 15 I moduli riguardano: l’acquisizione di abilità di comportamento organizzativo; la conoscenza delle normative e delle istituzioni riguardanti il lavoro; l’acquisizione di competenze di comparto di qualifica di specializzazione. 16 Alcune associazioni sindacali e datoriali del comparto edile hanno raggiunto un accordo sulla Formazione complementare per apprendisti già nel 1984. I corsi sono stati affidati all’Ente scuola edile milanese (ente paritetico tra gli imprenditori edili, Assimpredil e ANCE, e le organizzazioni sindacali dei lavoratori delle costruzioni, Feneal-UIL, Filca-CISL, Fillea-CGIL) e durano quattro anni, articolati in 160 ore per i primi tre anni (pari a quattro settimane l’anno) e 128 ore l’ultimo anno. I profili professionali sono due: muratori e verniciatori. La formazione impartita è di natura sia teorica che pratica. È previsto un rimborso forfettario alle aziende a carico della Cassa edile. Nei primi anni di attività i corsi hanno raccolto un’utenza consistente, che è andata via via scemando soprattutto a causa dell’assenza delle associazioni artigiane tra i firmatari dell’accordo costitutivo. Nel 1996 si sono tenuti sei corsi, con circa 100 partecipanti. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 630 631 Confartigianato, CGIL, CISL e UIL) due progetti, il primo nel 199217 e il secondo nel 199518. L’innovatività di queste sperimentazioni sta nel ricorso alla formazione a distanza mediante strumenti multimediali accanto alla tradizionale formazione in aula. L’uso di particolari software per la formazione in autoapprendimento ha agevolato e stimolato l’approccio dei giovani apprendisti, consentendo di superare la diffidenza dei giovani per il ritorno in formazione. 1.5.2. Contratti di formazione e lavoro Nei primi Anni ’80 l’istituzione dei CFL rilanciava in generale la discussione sul tema della formazione in azienda e stimolava le parti sociali a raggiungere accordi su specifici percorsi formativi. Da allora le associazioni sindacali e datoriali si sono alacremente attivate per costituire Enti bilaterali con il compito, tra gli altri, di progettare e realizzare percorsi formativi, prevedendo forme di rimborso dei costi sostenuti a carico di appositi “Fondi formazione”. Le associazioni sindacali più attive erano quelle degli artigiani. Le iniziative sono per lo più sperimentali, non obbligatorie e con una utenza ridotta. I contenuti formativi sono spesso essenziali, limitati alle 20 ore di formazione generale sulla contrattualistica e sulle norme di sicurezza sul lavoro. È il caso, ad esempio, degli Enti bilaterali delle associazioni artigiane costituiti in Piemonte e Lombardia, dove i corsi complementari per i CFL avvengono per formazione a distanza19. In Toscana invece le 20 ore di formazione si attuano per lezione in aula. L’Ente bilaterale dell’Emilia Romagna (Eber) realizza attività formative in aula dal 1992 che hanno coinvolto 10.000 giovani, prevalentemente in possesso di sola 17 Il primo progetto, “Progetto innovativo di formazione a distanza” ha coinvolto circa 150 apprendisti artigiani di due settori: autoriparazioni e editoria grafica. Sono stati organizzati 15 interventi corsuali in 7 Regioni, della durata di 300 ore ognuno, articolati in formazione in aula, formazione in azienda e 50 ore in autoistruzione. La presenza di tutor specificamente formati, assicurava il collegamento fra i tre momenti formativi e il supporto e la verifica della formazione in autoapprendimento. I contenuti, individuati attraverso una indagine sui fabbisogni formativi per operatori dei settori interessati, sono stati ripartiti in tre aree tematiche: formazione al sociale, formazione all’impresa e formazione tecnico-professionale. 18 Il secondo progetto un ampliamento del primo, di cui mantiene la metodologia, ha interessato le stesse Regioni, coinvolgendo, accanto agli apprendisti artigiani, anche una parte di giovani con CFL per un totale di circa 1.000 partecipanti. Sono stati realizzati circa 50 corsi in otto settori: autoriparazione, edilizia, installazione di impianti tecnici, tac, estetica/acconciatura, tipografico, legno, meccanica di riproduzione. La formazione in aula (200 me) così articolata: 50 ore di formazione al sociale, 50 ore di formazione all’impresa, 35 ore di alfabetizzazione informatica e 65 ore di formazione tecnico professionale distinta per i diversi settori coinvolti. Le ore di formazione in azienda prevedono 30 ore di visite-studio ad aziende leader del settore finalizzate ad una verifica dei contenuti appresi e 20 ore destinate alla verifica in azienda sotto la guida del datore di lavoro e l’assistenza del tutor. 19 Sono state predisposte delle dispense di 20 ore forfettarie di autoapprendimento uguali per tutti i settori, con schede di autovalutazione. Non c’è alcuna forma di monitoraggio da parte dell’Ente. Il giovane «formato» rilascia all’azienda una dichiarazione di aver effettuato la formazione. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 631 632 licenza media. Mediamente più del 50% dei contrattisti avviati nella Regione viene coinvolto nella formazione extra-aziendale. Accanto a queste esperienze minimali, si registrano iniziative più consistenti sotto il profilo dei contenuti formativi. L’Istituto Veneto per il Lavoro (I.V.L.) organizza corsi per giovani contrattisti. L’attività è iniziata nel 1990 in seguito a un accordo tra associazioni datoriali e sindacali dell’artigianato rinnovato il 22.6.1995. Il primo accordo prevedeva un Corso di Formazione della durata di 40 ore destinato a tutti i CFL del settore artigiano e tenuto a livello provinciale. Con il nuovo accordo sono stati diversificati i percorsi formativi. Nel 1996 le tipologie offerte sono 3 differenziate per titolo di studio e tipologia contrattuale. La prima tipologia prevede solo un corso base di 20 ore, è destinato a giovani in possesso della sola licenza media impiegati con CFL di tipo B20. La seconda tipologia formativa si rivolge a giovani in possesso di diploma o qualifica, inquadrati nel livello tecnico o come operai specializzati21. Infine la terza tipologia si rivolge a giovani laureati e prevede un corso di 160 ore22. Per sostenere il costo del corso è previsto un rimborso alle aziende da parte dell’Ente bilaterale dell’artigianato veneto che può arrivare fino al 50% della spesa. La partecipazione dei giovani contrattisti di formazione-lavoro è quasi totale, tanto che nel 1996 sono stati realizzati 276 corsi con la partecipazione di 4.900 allievi. Oltre il 90% dei corsi era della seconda tipologia (60 ore). In Provincia di Milano, un accordo fra API (Associazione Piccole e Medie Industrie) e CGIL-CISL-UIL ha dato vita al progetto “Milanolavora” nel cui ambito si organizzano anche corsi di formazione complementare per giovani assunti con CFL. L’esperienza è stata avviata nel 1992 con 2 tipologie di corso di 60 ore ognuna destinate alla formazione di operatori d’ufficio e operatori polivalenti della produzione di qualità; successivamente si è aggiunta una terza tipologia formativa di sole 20 ore, concepita come corso “base” per tutti i contrattisti23. L’Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Trento propone “corsi a catalogo”, di durata variabile fra le 80 e 130 ore, completamente gratuiti, che riguardano l’informatica, marketing e tecniche di vendita, contabilità e antinfortunistica. Le aziende con almeno 6 contrattisti possono organizzare i corsi nella propria sede sempre in forma gratuita. I percorsi formativi sono strutturati in moduli, componibili secondo le esigenze peculiari delle aziende. Nel 1996 i giovani coinvolti sono stati 585. La Regione Basilicata ha realizzato due progetti finanziati dal FSE denominati 20 La formazione verte sulla legislazione del lavoro, i contratti, norme di sicurezza sul lavoro, illustrazione della busta paga. 21 Il corso si compone del modulo base più un modulo tecnico di 40 ore dedicate a una formazione differenziata per settori e per qualifica. Sono stati individuati 5 macrosettori rilevanti per l’economia veneta. 22Al modulo base di 20 ore, si aggiunge un modulo tecnico ampliato a 120 ore e 20 ore di stage in azienda con formazione per affiancamento. 23 In poco tempo il corso breve è diventato nettamente dominante sugli altri: nel 1996 su 22 corsi realizzati, 19 erano di 20 ore. Dal 1992 sono stati realizzati 67 corsi, per un totale di 1.225 partecipanti e 1.058 aziende interessate. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 632 633 “Agrippa 1” e “Agrippa 2”. Il primo progetto si rivolge a giovani destinati ad essere assunti con CFL. In una fase preventiva sono state raccolte le richieste di assunzione da parte delle aziende della Regione, in tutti i settori produttivi, che assommavano a circa 600. La Regione si è quindi assunta il compito di effettuare la formazione, mediante Enti convenzionati, prima che il contratto di lavoro venisse stipulato e in presenza comunque di un impegno formale all’assunzione da parte delle imprese. L’intervento formativo consiste in 700 ore, articolate in 300 ore di formazione teorica in aula e le restanti dedicate alla parte applicativa da svolgersi in azienda in formazione per affiancamento. In azienda, la Regione garantisce il tutoraggio da parte degli Enti convenzionati che hanno svolto la parte teorica. Il secondo progetto “Agrippa” si rivolge a giovani già assunti dalle aziende, prevalentemente con CFL, ma anche con contratti di apprendistato. Il progetto dà la possibilità alle aziende di piccole dimensioni, che sono la maggior parte in Basilicata, di uno stesso comparto, di consorziarsi in Associazioni Temporanee di Imprese (ATI) e di richiedere un finanziamento regionale per effettuare la formazione. Il percorso formativo viene delineato dalla stessa ATI, ed è articolato in una parte teorica uguale per tutti i giovani delle aziende associate e una parte pratica da realizzarsi nell’azienda datrice di lavoro. Il tutoraggio previsto viene realizzato attraverso le associazioni di categoria o le stesse ATI. La Regione ha posto vincoli limitatissimi: durata massima di 600 ore, massimali di costo e copertura dei soli costi della formazione teorica per gli apprendisti. 2. Nuovi sistemi di alternanza: work experiences 2.1. Premessa Il Patto per il Lavoro del 24 settembre 1996 tra Governo (Presidente del Consiglio Romano Prodi e Ministro del Lavoro, Tiziano Treu) e parti sociali, impegna i contraenti a “diffondere l’esperienza dello stage, prevedendo forme di incentivazione per le imprese che offrano tali opportunità formative”. La ratio della previsione è quella di “favorire l’inserimento professionale mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”. Ci troviamo di fronte, quindi, ad una nuova categoria di strumenti delle politiche attive: non alternanza lavoro-formazione, ma alternanza studio-lavoro, o alternanza disoccupazione-lavoro; non le tradizionali finalità dei contratti a causa mista (promozione dell’occupazione e della Formazione) ma finalità oltre che formative anche orientative. In questa categoria saranno compresi il tirocinio formativo24 e la borsa di lavoro. 24 Il termine tirocinio è spesso affiancato o sostituito da stage; vocabolo francese che, per attitudine anglofona, è correntemente pronunciato all’inglese: significa pratica. In inglese invece si dice training: anche qui, naturalmente, sta per pratica, allenamento. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 633 634 L’uno e l’altra previsti dalla L. n. 196/97 (rispettivamente all’art. 18 e 26) si concretizzano in una esperienza lavorativa che rappresenta sia una occasione di formazione (on the job) sia una opportunità orientativa, perché, al giovane grazie alla conoscenza diretta del mondo del lavoro, viene facilitata la scelta professionale. Ma in questa categoria va incluso anche un istituto varato nel 1994: il Piano d’inserimento professionale. Per una comparazione tra i tre istituti vedi il Prospetto n. 58. 2.2. Il piano d’inserimento professionale Con l’art. 15 della Legge n. 451/1994 modificato dalla Legge 608/1996, viene attivato un nuovo istituto di politica attiva del lavoro: il Piano d’Inserimento Professionale (PIP). 25 Appartengono alla prima classe: i lavoratori disoccupati in cerca di prima occupazione; i lavoratori disoccupati ma avviati a tempo parziale con orario non superiore a 20 ore settimanali e i lavoratori con un contratto a tempo determinato che non superi i quattro mesi all’anno; i lavoratori da lungo tempo in cassa integrazione o iscritti nelle liste di collocamento da lungo periodo (comma aggiunto dell’art. 8 della Legge n. 407/90). Prospetto n. 58 - Quadro sinottico-comparativo dei PIP, Tirocini formativi e Borse di lavoro storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 634 635 L’istituto, però, rimarrà in incubazione per 4 anni, fin quando non saranno definite, con un intervento ministeriale, le procedure amministrative di attivazione26. Proposto ai giovani di età compresa tra i 19 e i 32 anni (fino ai 35 per i disoccupati di lunga durata) del Meridione o delle aree interessate da processi di deindustrializzazione (Ob. 2 dei Fondi strutturali), il piano è attuato attraverso due tipologie di progetti: a) progetti che prevedono lo svolgimento di lavori socialmente utili e la partecipazione ad iniziative formative finalizzate al recupero dell’istruzione di base, alla formazione di secondo livello per giovani già in possesso del diploma; b) progetti che prevedono periodi di formazione e lo svolgimento di una esperienza lavorativa per figure professionalmente qualificate. I PIP possono essere utilizzati da singole aziende iscritte alle Associazioni o da singoli professionisti iscritti agli Ordini o ai Collegi Professionali che hanno promosso i Piani stessi nel territorio della Provincia27. L’ impegno di lavoro può essere di 80 ore mensili (per la durata massima di 12 mesi) o di 160 ore mensili (per la durata massima di 6 mesi). Per ogni ora di formazione svolta e di attività prestata al giovane é corrisposta un’indennità pari a lire 7.500; di queste, quelle relative alla formazione sono recuperate dal datore di lavoro come credito INPS, quelle relative all’attività lavorativa nella misura del 50% sono a carico del datore, l’altra metà viene recuperato come credito INPS. L’utilizzazione dei giovani (iscritti ad apposite liste di disponibilità presso i Centri per l’Impiego) da parte delle aziende28: – non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro, – non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento, – non preclude al datore di lavoro la possibilità di assumerli, al termine dell’esperienza, con contratto di formazione e lavoro, relativamente alla stessa area professionale. 26 Intervento che si concretizzerà con la Circolare MLPS del 19.8.1977. 27 Non sono ammessi ai Piani quei soggetti utilizzatori che: 1) abbiano licenziato negli ultimi dodici mesi per riduzione di personale, o che abbiano in corso sospensioni o riduzioni di orario, per personale in possesso delle medesime qualifiche professionali oggetto del Piano stesso; 2) singole Amministrazioni pubbliche sia pure appoggiandosi ad un’Associazione firmataria di una convenzione quadro ed all’interno di un progetto esecutivo. Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale determina i limiti del ricorso all’istituto in rapporto al numero dei dipendenti del soggetto presso cui é svolta l’esperienza lavorativa. 28 L’assegnazione del giovane avviene a cura delle sezioni circoscrizionali per l’impiego, sulla base dei criteri dettati dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale; per quanto riguarda aree ad altro tasso di disoccupazione sulla base di criteri fissati dalle Commissioni Regionali per l’impiego. Sempre relativamente a queste ultime aree il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale può disporre, in considerazione della specificità, anche territoriale, dell’emergenza occupazionale, modalità straordinarie, ivi compresa l’adozione di criteri quali il carico familiare, l’età anagrafica e il luogo di residenza (Art. 9. octies). storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 635 636 Come abbiamo già detto i PIP saranno operativi solo nel 1998, quindi fuori dall’ambito temporale di questo volume. Per offrire, però, una dimensione del fenomeno, forniamo i dati finanziari relativi alle quote del Fondo per l’occupazione stanziate nel 1997 alle Regioni nelle tre Circoscrizioni: 180 sono i miliardi stanziati per un coinvolgimento stimato di 50.000 unità. La quota maggiore è spettata alle Regioni del Mezzogiorno (69,1% del totale). In questa circoscrizione la concentrazione maggiore si verifica per la Sicilia29 e la Campania, entrambe con un importo pari a circa 28 miliardi di lire, seguite dalla Calabria e dalla Puglia, rispettivamente con 25,7 e 14,0 miliardi. 29 Per questa Regione, oltre all’utilizzo del Fondo per l’Occupazione, è stato previsto il ricorso al cofinanziamento europeo per far fronte ad un elevato numero di richieste (per circa 50.000 giovani) da parte delle aziende e dei professionisti iscritti agli Ordini e Collegi professionali. Grafico n. 159 - Stanziamenti alle Regioni del Centro per i PIP (milioni di lire) Anno 1997 Grafico n. 158 - Stanziamenti alle Regioni del Nord per i PIP (milioni di lire) - Anno 1997 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 636 637 Fra le due rimanenti circoscrizioni alle quali è destinato il 30,8% delle risorse, pressoché, equamente distinte, emerge la somma assegnata al Lazio che, con 20,5 miliardi, assorbe l’11,4% del totale nazionale. 3. Formazione ed imprenditorialità 3.1. Il quadro normativo Negli Anni ’80 avevamo segnalato la buona valutazione riservata dalla letteratura del settore alla Legge n. 44/86 che promuoveva l’occupazione giovanile, intrecciando servizi consulenziali e percorsi formativi30. Il tema formazione e imprenditorialità viene declinato anche negli Anni ’90, replicando la formula della L. n. 44 che, in questo decennio, viene rifinanziata e in parte riconfiguarata da due leggi: – la L. n. 275/199131, che prevede 600 miliardi di lire per il biennio 1992-93 e pone le premesse per un’Agenzia che si occupi di promozione della cultura d’impresa; 30 Naturalmente prendiamo in esame solo i provvedimenti che intendono promuovere la imprenditorialità anche mediante la previsione di percorsi formativi. Per questo non prendiamo in considerazione altri tipi di leggi ad esempio la L. n. 236 che favorisce l’imprenditorialità giovanile in particolare la nascita di nuove società o cooperative formate prevalentemente da giovani tra i 18 ed i 35 anni. Ma prevedendo solo agevolazioni di natura finanziaria. 31 Legge 11 agosto 1991, n. 275 Modifiche ed integrazioni al decreto-legge 30 dicembre 1985, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1986, n. 44, recante Misure straordinarie per la promozione e lo sviluppo della imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno, in G.U. 27 agosto 1991, n. 200. Grafico n. 160 - Stanziamenti alle Regioni del Meridione per i Piani d’inserimento professionale (milioni di lire) Anno 1997 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 637 638 – la L. n. 95/199532, terminale di una serie di decreti legge ripetutamente reiterati33, che: a) prevede finanziamenti per gli anni 1994 (100 miliardi), 1995 (100 miliardi), 1996 (300 miliardi); b) allarga l’ambito territoriale in cui può operare la L. 44; ambito prima limitato al Meridione ora anche alle aree del Centro Nord interessate da processi di deindustrializzazione (Ob. 2 dei Fondi strutturali) e da ritardi di sviluppo (Ob. 5b); c) autorizza il Presidente del Comitato per la imprenditorialità giovanile “a costituire una società per azioni, denominata Società per l’imprenditorialità giovanile, cui è affidato il compito di produrre servizi a favore di organismi ed enti anche territoriali, imprese ed altri soggetti economici, finalizzati alla creazione di nuove imprese e al sostegno delle piccole e medie imprese, costituite prevalentemente da giovani tra i 18 e i 29 anni, ovvero formate esclusivamente da giovani tra i 18 e i 35 anni”. 32 Legge 29 marzo 1995, n. 95 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 1995, n. 26, recante disposizioni urgenti per la ripresa delle attività imprenditoriali. 33 Decreti legge: 31 maggio 1994, n. 331, 30 luglio 1994, n. 478, 30 settembre 1994, n. 559, e 30 novembre 1994, n. 658. Dato che sulla base di questi decreti erano stati adottati atti e provvedimenti, l’art 1 comma 2 della L. n. 95/1995 ne dispone la validità e ne fa salvi gli effetti prodottisi e rapporti giuridici da essi originati. Tra gli effetti, il più importante è senz’altro la costituzione della Società per l’imprenditorialità giovanile nel luglio del 1994. storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 638 639 INDICE SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 PREFAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Capitolo V GLI ANNI ’90. LA CRESCENTE DIPENDENZA DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DALL’EUROPA. VERSO UN SISTEMA DI FORMAZIONE CONTINUA . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 INTRODUZIONE. Gli eventi e i fenomeni del decennio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 A. Il Sistema di Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE del 1988 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1.2. Le riforme dei Fondi strutturali del 1988 e del 1994 e la coesione economica e sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1.3. La riforma dei Fondi strutturali del 1988 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 1.3.1. Il quadro regolamentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 1.3.2. I principi fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 1.3.3. Gli obiettivi prioritari e le risorse finanziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 1.3.4. I tassi del contributo comunitario, gli impegni e i pagamenti . . . . . . 39 1.3.5. La sorveglianza e la valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 1.4. Il regolamento 4255/88 del FSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 1.4.1. Le azioni ammissibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 1.4.2. Campo di applicazione e destinatari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 1.4.3. Forme di intervento e modalità di presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . 45 1.4.4. Il processo programmatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 1.5. Il FSE in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 1.5.1. La programmazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 1.5.2. Considerazione valutative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 2. I Programmi e le Iniziative comunitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 2.1. I Programmi e le Iniziative: due diversi strumenti comunitari . . . . . . . . . . . . 62 2.2. I Programmi comunitari del periodo 1990-94 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 2.2.1. COMETT II (1990-94) - Cooperazione fra le Università e le imprese in materia di formazione nell’ambito delle tecnologie . . . . . . . . . . . . 63 2.2.2. EUROTECNET II (1990-94) - Innovazione nella Formazione Professionale derivante dal mutamento tecnologico nella Comunità europea 66 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 639 640 2.2.3. FORCE (1991-94) - Sviluppo della Formazione Professionale Continua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 2.2.4. PETRA II (1992-94) - Formazione Professionale dei giovani . . . . . . 74 2.3. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali (1990-93) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 2.3.1. Le Iniziative comunitarie: filosofia, caratteristiche e aspetti procedurali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 2.3.2. Le Iniziative comunitarie del gruppo “Risorse Umane” . . . . . . . . . . 79 2.3.3. EUROFORM (1991-94) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 2.3.4. NOW (1991-94) - Iniziativa per la promozione delle pari opportunità per le donne nel settore dell’impiego e della Formazione Professionale 83 2.3.5. HORIZON (1991-94) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 3. La riforma della Scuola Secondaria superiore e la Formazione Professionale 95 3.1. Convergenze, divergenze e schieramenti politici in materia di riforma della Secondaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 3.2. I dati del problema del prolungamento dell’obbligo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 3.3. Il cuore del problema: l’identità specifica della Scuola e della Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 3.4. Un problema antico: giudizi e pregiudizi sulla Formazione Professionale . . 104 3.5. Tentativi di riforma della Secondaria nella decima Legislatura (1987-92) . . 107 3.5.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PCI, PSI, PRI, MSI-DN) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 3.5.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo d’Istruzione anche con la Formazione Professionale regionale (DC) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 3.5.3. La proposta di mediazione del DDL Mezzapesa . . . . . . . . . . . . . . . . 119 3.5.4. Il dibattito sul DDL Mezzapesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 3.6. Tentativi di riforma della Secondaria nell’undicesima Legislatura (1992-94) 124 3.6.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PSI, PDS, MSI-DN) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 3.6.2. Proposta per l’assolvimento dell’obbligo anche con la Formazione Professionale regionale (Testo Unificato della VII Commissione) . . . 127 3.7. Tentativi di riforma della Secondaria nella dodicesima Legislatura (1994-96) 131 3.7.1. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo nella Scuola (PRC) . . . . . . 134 3.7.2. Proposte per l’assolvimento dell’obbligo anche nella Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136 3.8. La via amministrativa alle riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 3.8.1. Le innovazioni sperimentali: il Progetto Brocca e il Progetto ’92 . . . 141 3.8.2. Gli Istituti Professionali e il Progetto ’92: dall’antagonismo all’interazione con la FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 4. La riforma dei Fondi strutturali e del FSE (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 4.1. I Memorandum sull’Istruzione e la Formazione (1991) . . . . . . . . . . . . . . . . 148 4.2. Il Libro bianco di Delors . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 4.3. Il Trattato di Maastricht (1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 4.4. Il “Secondo Pacchetto Delors” e il Consiglio di Edimburgo (1992) . . . . . . . 153 4.5. La revisione dei Fondi strutturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 640 641 4.5.1. Il quadro regolamentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 4.5.2. Gli Obiettivi prioritari, i criteri di ammissibilità e i Fondi strutturali 157 4.5.3. Risorse finanziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 4.5.4. Processo programmatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 4.5.5. Campo di intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 4.5.6. Valutazione ex ante, sorveglianza e valutazione ex post . . . . . . . . . . . 164 4.5.7. Partnership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 4.6. La programmazione del FSE in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 4.6.1. Piani di sviluppo, QCS e DOCUP, Programmi operativi e risorse finanziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 4.6.2. La struttura degli Obiettivi e la partecipazione finanziaria del FSE . 168 4.6.3. Parametri di costo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 5. I Programmi e le Iniziative comunitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 5.1. Programmi comunitari del periodo 1995-99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 5.1.1. LINGUA – Promozione della conoscenza delle lingue straniere . . . . 182 5.1.2. LEONARDO DA VINCI - Programma d’azione per lo sviluppo di una politica di Formazione Professionale della Comunità europea (1995-99) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185 5.1.3. SOCRATES (1995-99) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 5.2. Le Iniziative comunitarie connesse alla riforma dei Fondi strutturali del 1993 203 5.3. OCCUPAZIONE e sviluppo delle risorse umane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 5.3.1. HORIZON . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209 5.3.2. NOW . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214 5.3.3. YOUTHSTART . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 216 5.3.4. Analisi e valutazione di OCCUPAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 220 5.4. ADAPT – Adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e al miglioramento del mercato del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225 6. La normativa regionale in materia di Formazione Professionale . . . . . . . . . . . 236 6.1. Il quadro normativo nel periodo 1990-97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236 6.2. La legislazione organica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 248 6.3. Lettura sinottica della legislazione organica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260 6.3.1. Il rapporto Formazione Professionale e politiche attive del lavoro . . 261 6.3.2. La valutazione del Sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265 7. Caratterizzazioni e connotazioni strutturali e funzionali del Sistema di Formazione Professionale regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269 7.1. I macrofenomeni che caratterizzano gli Anni ’90 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269 7.2. La dipendenza culturale e finanziaria della Formazione Professionale italiana dalla Ue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269 7.2.1. La dipendenza finanziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 270 7.2.2. La dipendenza culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272 7.3. Nascita e prima implementazione di un Sistema di Formazione Continua . . 279 7.3.1. “L’anello mancante della formazione continua” . . . . . . . . . . . . . . . . 280 7.3.2. “Verso un sistema di formazione continua” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284 7.4. Gli aspetti strutturali del Sistema formativo regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292 7.4.1. Le attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 641 642 7.4.2. Le qualifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 308 7.4.3. Gli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 316 7.4.4. Le strutture e il personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321 7.4.5. La spesa e i costi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325 7.5. I soggetti di governo e di attuazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341 7.5.1. Gli Assessorati regionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341 7.5.2. La delega ai soggetti sub-regionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343 7.5.3. Gli Enti di Formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347 7.6. I processi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350 7.6.1. I modelli di programmazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350 7.6.2. Analisi del fabbisogno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 352 7.6.3. La progettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 356 7.6.4. La selezione e il monitoraggio dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360 7.7. La valutazione ex post dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360 7.8. L’attività di ricerca in materia di valutazione nei primi Anni ’90 . . . . . . . . . 361 7.8.1. Dalla valutazione docimologica a quella sugli effetti della Formazione 361 7.8.2. Quadro di sintesi dell’attività di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362 7.8.3. Rassegna delle ricerche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 364 8. Organizzazione, attività e politiche della Formazione Professionale nelle Regioni e Province Autonome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373 8.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373 8.2. Regione Valle d’Aosta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375 8.3. Regione Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384 8.4. Regione Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 406 8.5. Regione Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 417 8.6. Provincia Autonoma di Bolzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428 8.7. Provincia Autonoma di Trento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 436 8.8. Regione Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 454 8.9. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 465 8.10. Regione Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 472 8.11. Regione Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 490 8.12. Regione Marche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499 8.13. Regione Umbria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514 8.14. Regione Lazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526 8.15. Regione Abruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 540 8.16. Regione Molise . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 554 8.17. Regione Campania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 564 8.18. Regione Basilicata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 570 8.19. Regione Calabria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 579 8.20. Regione Puglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 588 8.21. Regione Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 595 8.22. Regione Autonoma della Sardegna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 609 8.23. Quadri sinottico-comparativi di indicatori finanziari e gestionali . . . . . . . . . 615 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 642 643 B. Formazione Professionale e occupazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617 B.1. Formazione Professionale e occupazione giovanile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617 1. I contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione e lavoro . . 617 1.1. Un tentativo di revisione della formazione in alternanza: l’Accordo sulla politica dei redditi (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617 1.2. Il contratto di formazione e lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 618 1.3. L’apprendistato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 621 1.4. Il costo dei contratti a causa mista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 626 1.5. E la Formazione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627 1.5.1. Apprendistato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627 1.5.2. Contratti di formazione e lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631 2. Nuovi sistemi di alternanza: work experiences . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633 2.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633 2.2. Il piano di inserimento professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634 3. Formazione ed imprenditorialità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 637 3.1. Il quadro normativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 637 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 643 storiaFORMAZ3-5_storiaFORM1 28/05/14 13.39 Pagina 644 645 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. 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Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. 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