I fabbisogni formativi e professionali del settore grafico. Rapporto finale

Autore: 
Claudia Donati, Luigi Bellesi
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2016
Numero pagine: 
86
Codice: 
978-88-95640-74-7
C. DONATI L. BELLESI I FABBISOGNI FORMATIVI E PROFESSIONALI DEL SETTORE GRAFICO Anno 2016 Rapporto finale © 2016 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma Tel.: 06 5107751 - Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it PREMESSA....................................................................................................................... 5 1. Le dinamiche di settore .......................................................................................... 7 2. Le previsioni di assunzione secondo i dati del Sistema Informativo Excelsior 13 3. Un focus sulla condizione professionale dei qualificati nei percorsi IeFP ........ 19 4. L’indagine sulle aziende grafiche .......................................................................... 23 5. Le interviste a responsabili aziendali.................................................................... 41 6. L’Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti grafiche di Trento ........................ 51 7. Un osservatorio privilegiato sui fabbisogni formativi e professionali del settore: il ruolo e le attività dell’ENIPG – Ente Nazionale Istruzione Professionale Grafica.............................................................................................. 59 8. Gli strumenti di rilevazione ................................................................................... 63 Indice ............................................................................................................................. 79 3 SOMMARIO 5 Il settore grafico soffre, in questo periodo, di una duplice debolezza: da un la- to, quella dovuta all’innovazione tecnologica che ha cambiato profondamente sia il modo di lavorare, sia le figure professionali richieste sia, infine, le richieste e le ca- ratteristiche del mercato; dall’altro, e in parte di conseguenza, una contrazione del mercato stesso, ancora più accentuata in questo ultimo periodo di crisi economica, che sta provocando la chiusura o il mero galleggiamento di numerose imprese, spe- cie di piccola e piccolissima dimensione. In questo contesto di profonda trasformazione, è apparso necessario, per un en- te come il CNOS-FAP che vede nella formazione di profili del settore grafico uno dei punti di forza della propria offerta formativa, avviare una riflessione sui fabbi- sogni formativi e professionali del settore, sotto vari punti di vista: – i fabbisogni di competenze e di figure professionali alla luce dell’innovazione tecnologica e dei mutamenti della domanda; – i nuovi spazi aperti sul mercato del lavoro dall’innovazione tecnologica, dai nuovi canali di comunicazione online (dal mercato elettronico ai social network), dai processi di internalizzazione delle funzioni di comunicazione e pubblicità da parte delle imprese, soprattutto di medio-grande dimensione. L’obiettivo è stato quello di trarre elementi utili alla migliore delineazione e ag- giornamento dei profili professionali formati, alla luce delle esigenze rilevate, con particolare riferimento alle figure proprie dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale – IeFP, che maggiormente “soffrono” delle attuali tendenze del com- parto grafico, ma più generale di ricostruire una possibile “filiera” formativa che, nell’ambito della Formazione Professionale, permette all’allievo di raggiungere una più alta specializzazione, attraverso la frequenza del 4° anno di specializzazione e di percorsi IFTS e ITS o, attraverso un sistema di crediti, i corsi di istruzione tecni- ca ed universitari. PREMESSA 7 L’analisi delle recenti dinamiche del settore grafico ha preso in considerazione non solo il “settore grafico” in senso stretto, comunemente inteso come quello della stampa e dell’editoria – e dei servi ad esse connessi, ma si è allargato quando possi- bile alle attività economiche legate al web, alla pubblicità, alle attività fotografiche, ecc. ovvero a quei segmenti economici che possono costituire un potenziale sbocco occupazionale per le figure “grafiche” attualmente formate nell’ambito dell’offerta di formazione tecnica e professionale. Si tratta in gran parte di segmenti di mercato molto interessanti in quanto caratterizzati, anche nel periodo di crisi economica, da dinamiche espansive in termini di numero di imprese attive e di addetti. Come mostra la Tabella 1, infatti, tra il 2011 ed il 2014, sia il comparto della stampa sia quello dell’editoria hanno subito una contrazione del numero di imprese attive e dei relativi addetti. In particolare, per quanto riguarda la “stampa e servizi connessi alla stampa” si è passati da circa 19.700 imprese a 18.211 e si sono persi più di 10.000 addetti. Il segmento dell’“edizione di libri, periodici ed altre attività editoriali”, nel medesimo arco temporale, ha subito una contrazione del 6,9% del numero di imprese attive, e del 9,3% in termini di addetti. Viceversa, sono più che raddoppiate le imprese attive nel campo dei portali web, passate da 530 a 1.377 ed i relativi addetti sono passati da 889 a 2.018. Si trat- ta di piccoli numeri che però possono costituire una proxy della realtà occupaziona- le rappresentata dal mondo “informatico” in tutte le sue forme, ed in cui la specia- lizzazione grafica individua un sempre più ampio bacino occupazionale. Se, infine, il numero di imprese attive come “agenzie pubblicitarie” risulta essere in diminu- zione, appare essere in consistente incremento il numero di addetti (+42,6%). 1. LE DINAMICHE DI SETTORE 8 T ab . 1 - Im pr es e e ad de tt i a ll e im pr es e at ti ve p er a lc un i s et to ri d i a tt iv it à ec on om ic a, 2 01 1- 20 14 (v .a .) (* ) G li a dd et ti s on o di f on te I np s e si r if er is co no a l I II tr im es tr e de ll ’a nn o F on te : st im e C en si s su d at i T el em ac o- In fo ca m er e A nn o 20 11 A nn o 20 14 Im pr es e A dd et ti* d el le Im pr es e A dd et ti* d el le at tiv e im pr es e at tiv e at tiv e im pr es e at tiv e 18 S ta m pa e r ip ro du zi on e di s up po rti r eg is tra ti 20 .1 12 91 .2 37 18 .5 58 80 .9 40 18 .1 S ta m pa e s er vi zi c on ne ss i a lla s ta m pa 19 .6 99 90 .4 17 18 .2 11 80 .3 51 18 .1 2 A ltr a st am pa 13 .5 74 68 .2 85 12 .8 85 61 .6 79 18 .1 3 La vo ra zi on i p re lim in ar i a lla s ta m pa e a i m ed ia 4. 16 5 12 .5 57 3. 59 6 10 .2 98 18 .1 4 Le ga to ria e s er vi zi c on ne ss i 1. 80 0 8. 30 0 1. 60 1 7. 53 1 58 A tti vi tà e di to ria li 10 .7 23 44 .3 72 10 .0 61 40 .0 50 58 .1 E di zi on e di li br i, pe rio di ci e d al tre a tti vi tà e di to ria li 10 .2 89 40 .8 73 9. 57 8 37 .0 90 58 .1 9 A ltr e at tiv ità e di to ria li 69 2 1. 48 9 83 3 1. 80 6 58 .2 E di zi on e di s of tw ar e 43 4 3. 49 9 48 3 2. 96 0 63 .1 2 P or ta li w eb 53 0 88 9 1. 37 7 2. 01 8 63 .9 1 A tti vi tà d el le a ge nz ie d i s ta m pa 48 1 1. 92 8 44 3 1. 75 9 73 .1 1 A ge nz ie p ub bl ic ita rie 18 .4 01 38 .4 56 18 .3 49 54 .8 48 74 .1 0 A tti vi tà d i d es ig n sp ec ia liz za te 15 .9 36 26 .8 81 17 .0 30 28 .6 45 74 .1 0. 2 A tti vi tà d ei d is eg na to ri gr af ic i 7. 42 0 11 .2 25 8. 05 9 12 .2 40 74 .2 0 A tti vi tà fo to gr af ic he 14 .4 44 19 .8 20 13 .7 99 17 .6 07 74 .2 0. 2 La bo ra to ri fo to gr af ic i p er lo s vi lu pp o e la s ta m pa 5. 66 9 11 .1 78 5. 35 1 9. 75 9 9 I dati diffusi dalle associazioni della filiera “Carta, stampa ed editoria” non fan- no che confermare lo scenario di crisi attuale, che trova motivazione non solo nelle più generali dinamiche recessive, ma anche nella progressiva e di più lunga deriva contrazione della domanda di “carta stampata”, dovuta alla concorrenza della comunicazione su supporto informatico e telematico (dall’ebook, alla pubblicità on- line, tanto per fare qualche esempio) e alla innovazione tecnologica. Tutti fattori che hanno inciso prima di tutto e soprattutto sulle dinamiche occupazionali. Guardando alle macrovariabili della filiera (cfr. Tab. 2), infatti, il segno meno caratterizza in maniera più frequente le variazioni annue di fatturato, vendite inter- ne, import, consumi, solo a partire dal 2008, mentre per il numero di addetti la con- trazione è costante in tutto il periodo considerato (2004-2014). Solo l’export assu- me un andamento più altalenante segnando una ripresa significativa nel 2010 e nel 2011, seguita da un biennio di segno negativo e stime in rialzo per il 2014. Entrando nel dettaglio dei diversi comparti che compongono la filiera “Carta, stampa ed editoria, il calo complessivo dei consumi, in termini di fatturato” (cfr. Tab. 3), che si registra nel decennio 2004-2014 e che in media è pari al -24,6%, appare molto marcato per i comparti dell’editoria, e nello specifico, dell’editoria periodica non specializzata (-57,6%) e specializzata (-49,2%) e dell’editoria quoti- diana (-44,9%). Cala, anche se in misura minore, anche il fatturato dell’editoria libraria, che negli ultimi due anni considerati, 2013 e 2014, è sceso sotto la soglia dei 3.000 mln di euro. In termini occupazionali (cfr. Tab. 4) tra il 2004 ed il 2014 la filiera ha perso 52.657 addetti, pari al -20, 4%. La contrazione più consistente si è verificata nel comparto dell’editoria specializzata (-51,5%), seguita dai quotidiani (-29,1%), dall’import di macchine per la grafica e la stampa (-23,7%) e dall’industria della stampa, cartotecnica e trasformazione (-21,5%). 10 T ab . 2 - L a di na m ic a de ll e m ac ro va ri ab il i d el la F il ie ra ( m ln d i e ur o) * V al or i a gg re ga ti ** S ti m e F on te : U ff ic i S tu di A ss oc ia zi on i d i f il ie ra 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 ** Fa ttu ra to * 41 .0 76 41 .2 40 41 .7 95 42 .6 27 40 .2 41 34 .4 22 35 .5 14 36 .0 08 33 .0 41 31 .4 89 30 .8 62 Ve nd ite in te rn e 33 .2 20 33 .1 27 33 .3 89 33 .8 83 31 .4 09 26 .8 11 26 .7 70 26 .8 09 23 .9 54 22 .3 25 21 .3 79 E xp or t 7. 85 6 8. 11 2 8. 40 6 8. 74 4 8. 83 2 7. 61 1 8. 74 4 9. 19 9 9. 08 7 9. 16 4 9. 48 3 Im po rt 5. 39 5 5. 54 3 5. 85 3 6. 15 0 5. 82 3 4. 99 8 5. 75 3 5. 98 2 5. 37 6 5. 28 5 5. 52 3 C on su m o ap pa re nt e 38 .6 15 38 .6 70 39 .2 42 40 .0 33 37 .2 32 31 .8 09 32 .5 23 32 .7 91 29 .3 30 27 .6 10 26 .9 02 S al do b ila nc ia 2. 46 1 2. 56 9 2. 55 3 2. 59 4 3. 00 9 2. 61 3 2. 99 1 3. 21 7 3. 71 1 3. 87 9 3. 96 0 co m m er ci al e E xp or t/f at tu ra to 19 ,1 % 19 ,7 % 20 ,1 % 20 ,5 % 21 ,9 % 22 ,1 % 24 ,6 % 25 ,5 % 27 ,5 % 29 ,1 % 30 ,7 % Im po rt pe ne tra tio n 14 ,0 % 14 ,3 % 14 ,9 % 15 ,4 % 15 ,6 % 15 ,7 % 17 ,7 % 18 ,2 % 18 ,3 % 19 ,1 % 20 ,5 % A dd et ti 25 8. 52 1 25 7. 01 3 25 3. 41 5 25 1. 46 8 24 3. 94 3 23 4. 11 7 22 4. 84 3 21 9. 52 7 21 3. 34 0 20 9. 21 0 20 5. 86 4 VA R IA ZI O N I Fa ttu ra to 2, 5% 0, 4% 1, 3% 2, 0% -5 ,6 % -1 4, 5% 3, 2% 1, 4% -8 ,2 % -4 ,7 % -2 ,0 % Ve nd ite in te rn e 2, 0% -0 ,3 % 0, 8% 1, 5% -7 ,3 % -1 4, 6% -0 ,2 % 0, 1% -1 0, 7% -6 ,8 % -4 ,2 % E xp or t 4, 5% 3, 3% 3, 6% 4, 0% 1, 0% -1 3, 8% 14 ,9 % 5, 2% -1 ,2 % 0, 9% 3, 5% Im po rt 2, 9% 2, 7% 5, 6% 5, 1% -5 ,3 % -1 4, 2% 15 ,1 % 4, 0% -1 0, 1% -1 ,7 % 4, 5% C on su m o ap pa re nt e 2, 1% 0, 1% 1, 5% 2, 0% -7 ,0 % -1 4, 6% 2, 2% 0, 8% -1 0, 6% -5 ,9 % -2 ,6 % A dd et ti -0 ,4 % -0 ,6 % -1 ,4 % -0 ,8 % -3 ,0 % -4 ,0 % -4 ,0 % -2 ,4 % -2 ,8 % -1 ,9 % -1 ,6 % 11 T ab . 3 - Il fa tt ur at o* d el la fi li er a pe r co m pa rt i ( m ln d i E ur o) * V al or i a gg re ga ti ** S ti m e ** * D at i c om pr en si vi d ei r ic av i d a pu bb li ci tà F on te : U ff ic i S tu di A ss oc ia zi on i d i f il ie ra 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 ** P ro du zi on e di m ac - 1. 57 0 1. 64 0 1. 67 0 1. 72 0 1. 82 0 1. 50 0 1. 72 0 1. 87 0 2. 04 0 2. 04 0 2. 11 0 ch in e pe r la g ra fic a e la c ar to te cn ic a Im po rta zi on e di m ac ch i- 56 0 45 0 48 6 55 6 43 0 38 0 26 0 22 7 19 5 19 5 19 5 ne p er la g ra fic a e la s ta m pa P ro du zi on e di c ar ta 6. 91 5 7. 06 5 7. 25 0 7. 66 0 7. 14 5 6. 00 5 6. 94 0 7. 26 0 6. 75 0 6. 78 5 6. 71 0 e ca rto ne E di to ria li br ar ia 3. 61 9 3. 64 1 3. 66 9 3. 68 6 3. 67 7 3. 55 7 3. 47 9 3. 43 9 3. 16 7 2. 99 8 2. 98 5 E di to ria q uo tid ia na ** * 3. 88 2 3. 83 9 3. 94 2 3. 85 9 3. 51 5 3. 09 6 2. 89 3 2. 83 2 2. 55 2 2. 31 8 2. 14 0 E di to ria p er io di ca 5. 07 0 5. 09 6 5. 11 1 5. 06 9 4. 31 3 3. 42 2 3. 42 4 3. 28 1 2. 84 2 2. 35 2 2. 15 2 no n sp ec ia liz za ta ** * E di to ria p er io di ca 1. 20 0 1. 20 0 1. 22 4 1. 24 0 1. 19 0 1. 00 0 92 0 88 0 75 0 65 0 61 0 sp ec ia liz za ta ** * In du st ria d el la 18 .2 60 18 .3 09 18 .4 43 18 .8 37 18 .1 51 15 .4 62 15 .8 78 16 .2 19 14 .7 45 14 .1 51 13 .9 60 st am pa , c ar to te cn ic a e tra sf or m az io ne To ta le C on su m i 41 .0 76 41 .2 40 41 .7 95 42 .6 27 40 .2 41 34 .4 22 35 .5 14 36 .0 08 33 .0 41 31 .4 89 30 .8 62 12 T ab . 4 - L’ oc cu pa zi on e ne ll a F il ie ra d el la c ar ta (n um er o di a dd et ti ) 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 ** P ro du zi on e di m ac - 7. 40 0 7. 30 0 7. 30 0 7. 20 0 7. 20 0 7. 00 0 7. 00 0 6. 95 0 6. 90 0 6. 90 0 6. 95 0 ch in e pe r la g ra fic a e la c ar to te cn ic a Im po rta zi on e di m ac - 1. 05 0 1. 08 0 1. 10 0 1. 10 0 1. 05 0 1. 02 0 98 0 90 0 80 0 80 0 80 1 ch in e pe r la g ra fic a e la s ta m pa P ro du zi on e di c ar ta 23 .7 00 23 .4 00 23 .0 00 22 .7 00 21 .8 00 20 .9 00 20 .8 00 20 .5 00 19 .9 00 19 .7 00 19 .6 00 e ca rto ne E di to ria li br ar ia 17 .6 50 17 .8 00 17 .8 00 17 .8 00 17 .7 00 17 .5 00 17 .5 00 17 .4 00 17 .1 00 17 .0 00 16 .9 00 E di to ria q uo tid ia na 13 .7 51 13 .7 64 13 .8 57 13 .7 26 13 .3 75 12 .9 39 12 .3 03 11 .8 49 11 .1 76 10 .4 69 9. 74 4 E di to ria p er io di ca 2. 03 0 3. 18 7 3. 32 5 3. 33 7 3. 28 0 3. 28 8 2. 89 1 2. 91 2 2. 87 2 2. 68 4 2. 43 1 no n sp ec ia liz za ta * E di to ria p er io di ca 6. 80 0 6. 80 0 6. 80 0 6. 80 0 6. 46 0 5. 26 0 4. 47 0 4. 19 0 3. 77 0 3. 47 0 3. 30 0 sp ec ia liz za ta In du st ria d el la 18 6. 14 0 18 3. 68 2 18 0. 23 3 17 8. 80 5 17 3. 07 8 16 6. 21 0 15 8. 89 9 15 4. 82 6 15 0. 82 2 14 8. 18 7 14 6. 13 8 st am pa , c ar to te cn ic a e tra sf or m az io ne To ta le a dd et ti 25 8. 52 1 25 7. 01 3 25 3. 41 5 25 1. 46 8 24 3. 94 3 23 4. 11 7 22 4. 84 3 21 9. 52 7 21 3. 34 0 20 9. 21 0 20 5. 86 4 * S ol o gi or na li st i, gl i a dd et ti g ra fi ci s on o co m pr es i n el d at o di A ss og ra fi ci ** S ti m e F on te : U ff ic i S tu di A ss oc ia zi on i d i F il ie ra 13 Le informazioni fornite annualmente dal Sistema Informativo Excelsior del Ministero del lavoro ed Unioncamere permettono di monitorare le esigenze delle imprese in termini di nuove assunzioni, secondo una classificazione di queste ultime in macro comparti economici. In funzione degli obiettivi conoscitivi del presente studio, gli andamenti della domanda di lavoro delle industrie della carta, della cartotecnica e della stampa sono stati posti a confronto con quelli dei servizi dei media, della comunicazione, dei ser- vizi informatici e delle telecomunicazioni. Questi ultimi, infatti, pur essendo molto ampi dal punto di vista delle tipologie di imprese che vi afferiscono, e con richieste di figure professionali in gran parte non afferenti al settore grafico, sia pure inteso in senso lato, possono costituire una proxy del progressivo ampliamento del merca- to del lavoro per la grafica digitale. Una prima riflessione che scaturisce dall’analisi dei dati Excelsior riguarda la conferma della riduzione del mercato del lavoro in questo settore. Come evidenzia- to nella Tabella 5, infatti, anche se in maniera più altalenante, la quota di imprese del settore carta, cartotecnica e stampa che prevedono di effettuare assunzioni nel corso dell’anno considerato è scesa dal 22,6% del 2006 al 12,6% del 2014. Que- st’ultimo dato costituisce comunque una piccola ripresa rispetto al 2013, dove tale valore si era fermato all’11,8%. Andamenti analoghi si registrano anche per i servizi dei media e della comuni- cazione, ma la quota di aziende che esprimono bisogno di nuovo personale si man- tiene comunque su livelli superiori. In particolare, passa dal 26% del 2006 al 15,7% del 2013, per poi risalire al 16,8% l’anno successivo. 2. LE PREVISIONI DI ASSUNZIONE SECONDO I DATI DEL SISTEMA INFORMATIVO EXCELSIOR 14 T ab . 5 - P re vi si on i d i a ss un zi on e ne ll e im pr es e, n el le im pr es e es po rt at ri ci e n el le im pr es e in no va tr ic i, an ni 2 00 6- 20 14 ( va l. % ) 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 % d i i m pr es e ch e pr ev ed on o as su nz io ni In du st rie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa 22 ,6 26 ,5 27 ,1 17 ,3 16 ,7 20 ,3 12 ,3 11 ,8 12 ,6 To ta le in du st ria 26 ,3 30 ,8 31 ,5 19 ,4 18 ,6 24 ,1 14 ,4 13 ,4 14 ,2 S er vi zi d ei m ed ia e d el la c om un ic az io ne 26 ,0 28 ,9 29 ,9 22 ,9 21 ,2 24 ,5 18 ,6 15 ,7 16 ,8 S er vi zi in fo rm at ic i e d el le te le co m un ic az io ni 23 ,7 26 ,6 29 ,1 22 ,0 20 ,0 21 ,9 17 ,6 16 ,8 18 ,3 To ta le s er vi zi 21 ,5 23 ,9 26 ,8 20 ,1 18 ,7 21 ,7 14 ,4 13 ,0 13 ,8 % d i i m pr es e es po rt at ric i c he p re ve do no a ss un zi on i In du st rie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa 33 ,1 38 ,1 41 ,0 25 ,4 30 ,0 33 ,2 23 ,1 25 ,1 24 ,4 To ta le in du st ria 36 ,0 41 ,4 41 ,3 25 ,7 28 ,5 36 ,2 24 ,5 25 ,5 28 ,8 S er vi zi d ei m ed ia e d el la c om un ic az io ne 38 ,9 44 ,0 42 ,1 33 ,6 24 ,9 19 ,6 24 ,3 16 ,5 13 ,3 S er vi zi in fo rm at ic i e d el le te le co m un ic az io ni 37 ,1 44 ,1 43 ,0 36 ,3 32 ,9 37 ,7 39 ,7 29 ,9 46 ,0 To ta le s er vi zi 30 ,1 33 ,6 35 ,4 24 ,4 24 ,0 28 ,6 20 ,7 20 ,7 23 ,4 % d i i m pr es e in no va tr ic i c he p re ve do no a ss un zi on i In du st rie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa 33 ,9 36 ,7 39 ,3 23 ,5 26 ,2 27 ,7 19 ,8 17 ,1 19 ,7 To ta le in du st ria 37 ,5 40 ,4 43 ,4 26 ,2 27 ,1 33 ,5 23 ,2 24 ,0 28 ,0 S er vi zi d ei m ed ia e d el la c om un ic az io ne 35 ,9 41 ,7 40 ,6 28 ,6 32 ,4 03 5 02 6 18 ,7 19 ,4 S er vi zi in fo rm at ic i e d el le te le co m un ic az io ni 37 ,5 37 ,9 42 ,4 36 ,8 33 ,2 37 ,0 29 ,2 28 ,4 33 ,5 To ta le s er vi zi 32 ,3 33 ,6 37 ,7 28 ,0 25 ,4 29 ,8 21 ,7 22 ,0 25 ,9 F on te : e la bo ra zi on i C en si s su d at i M in is te ro d el la vo ro -U ni on ca m er e “S is te m a In fo rm at iv o E xc el si or ” 15 Un fattore dirimente rispetto al potenziale occupazionale è costituito senza dubbio dalla struttura del mercato delle imprese e dal loro livello di innovatività. La quota di imprese esportatrici o innovative che prevedono assunzioni risulta es- sere costantemente più elevata della media, pur risentendo nel corso del periodo considerato degli andamenti economici complessivi. Rispetto al dato medio di im- prese del settore carta, cartotecnica e stampa che prevedono assunzioni, pari come si è visto a 12,6% nel 2014, tra le imprese esportatrici del medesimo settore, tale valore sale al 24,4% e tra quelle innovative al 19,7%. Il fenomeno è ancora più mar- cato tra le imprese di servizi informatici e delle comunicazioni, mentre in quelle dei media e della comunicazione si osserva una situazione divergente: tra le imprese esportatrici la percentuale di imprese che prevedono assunzioni è inferiore al dato medio del settore, mentre tra quelle innovatrici è superiore. I dati Excelsior forniscono altre informazioni interessanti in merito alle carat- teristiche del personale richiesto (cfr. Tab. 6). In primo luogo, sia nel settore “grafico” sia nel complesso dell’industria, così come dei servizi, si osserva nel corso degli anni una significativa diminuzione delle imprese che segnalano di avere difficoltà di reperimento del personale. In particola- re, nell’industria della carta, cartotecnica e stampa erano il 31,5% nel 2006 e, a par- te un picco del 42% registrato nel 2010, sono scese in maniera abbastanza costante fino al 13,6% del 2014. In secondo luogo, aumenta negli anni la richiesta di personale con titoli di stu- dio medio alti. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno non specifico del set- tore “grafico”, ma che dà il segno di come quest’ultimo sia stato interessato da pro- fonde trasformazioni ed innovazioni nelle modalità e negli strumenti di produzione. La previsione di assunzione di personale laureato, nelle industrie della carta, carto- tecnica e stampa interessa appena il 6% di queste nel 2006 e sale al 15,3% nel 2014; la quota di imprese del settore che intendono assumente diplomati passa, nel mede- simo periodo, dal 42,8% al 51,9%. È evidente dunque come nel tempo si sia pro- gressivamente ridotto lo spazio occupazionale riservato ai titoli di studio più bassi, tra cui le qualifiche di operatore grafico che costituiscono l’offerta privilegiata della Formazione Professionale grafica erogata dal CNOS-FAP. Come emerge dalla Tabella 7, se si considera il complesso delle assunzioni pre- viste dalle industrie del settore “grafico” quelle considerate di difficile reperimento dalle imprese intervistate costituiscono, nel 2014 appena l’11,5% del totale, mentre erano più di una su 4 nel 2006 (27,2%). Tali difficoltà di reperimento diminuiscono sia perché l’offerta sembrerebbe essere in molti casi uguale o più alta della doman- da (tra il 2010 ed il 2014 le difficoltà dovute al difficile reperimento per ridotto numero di candidati, passa dal 10,3% delle figure richieste al 4,0%), sia perché sembra aumentare l’adeguatezza dei candidati rispetto alla posizione da ricoprire (le difficoltà dovute all’inadeguatezza passano in quattro anni dal 14,3% al 7,4%). Significativo è anche il fatto che aumenta la quota di posizioni professionali per le quali è richiesta una esperienza specifica (dal 46,8% al 54,0%) ed al contempo 16 diminuisce quella delle assunzioni per le quali si prevede la necessità di ulteriore formazione (dal 77,5% al 62,0%). Infine, è possibile rilevare come nel tempo vi sia stata, nel settore, una progres- siva introduzione di figure professionali nuove e/o innovative. Infatti, considerando che tra il 2006 ed il 2014 non si è assistito ad un aumento del numero di addetti complessivo del settore, la diminuzione della quota di assunzioni previste per sosti- tuzione di analoga figura (che passa dal 32,1% al 28,1%) può verosimilmente indi- care che i posti di lavoro relativi a figure tradizionali siano stati almeno parzialmen- te sostituiti con posti per figure con mansioni e competenze diverse. 17 T ab . 6 - P re vi si on i d i a ss un zi on i p er d if fi co lt à di r ep er im en to d el p er so na le p er ti to lo d i s tu di o ri ch ie st o (v al % ) F on te : e la bo ra zi on i C en si s su d at i M in is te ro d el la vo ro -U ni on ca m er e “S is te m a In fo rm at iv o E xc el si or ” 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 % d i i m pr es e ch e se gn al an o di ffi co ltà d i r ep er im en to d el p er so na le In du st rie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa 31 ,5 37 ,2 31 ,2 22 ,8 42 ,0 24 ,7 22 ,3 16 ,5 13 ,6 To ta le in du st ria 40 ,0 43 ,5 35 ,1 25 ,1 38 ,7 25 ,5 24 ,8 18 ,5 17 ,1 S er vi zi d ei m ed ia e d el la c om un ic az io ne 33 ,0 32 ,3 29 ,4 23 ,8 28 ,4 15 ,8 16 ,1 13 ,9 9, 7 S er vi zi in fo rm at ic i e d el le te le co m un ic az io ni 28 ,2 28 ,1 29 ,6 22 ,5 41 ,5 23 ,7 27 ,3 24 ,5 28 ,3 To ta le s er vi zi 29 ,5 32 ,4 28 ,1 24 ,8 37 ,5 21 ,4 19 ,5 15 ,6 15 ,3 % d i i m pr es e ch e pr ev ed on o di a ss um er e la ur ea ti In du st rie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa 6, 0 8, 4 6, 8 10 ,4 8, 4 8, 8 11 ,3 13 ,4 15 ,3 To ta le in du st ria 7, 4 7, 6 8, 1 10 ,6 12 ,5 11 ,0 15 ,8 16 ,8 15 ,2 S er vi zi d ei m ed ia e d el la c om un ic az io ne 14 ,1 15 ,5 14 ,6 20 ,0 37 ,5 33 ,2 44 ,2 44 ,4 28 ,2 S er vi zi in fo rm at ic i e d el le te le co m un ic az io ni 25 ,7 27 ,9 26 ,4 29 ,9 39 ,5 40 ,2 47 ,6 45 ,7 48 ,0 To ta le s er vi zi 10 ,0 10 ,5 10 ,6 12 ,1 14 ,6 13 ,9 16 ,6 17 ,3 16 ,1 % d i i m pr es e ch e pr ev ed on o di a ss um er e di pl om at i In du st rie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa 42 ,8 47 ,7 55 ,4 55 ,8 55 ,3 52 ,2 55 ,5 57 ,3 51 ,9 To ta le in du st ria 31 ,5 33 ,1 40 ,7 44 ,7 47 ,8 40 ,9 42 ,9 44 ,0 46 ,4 S er vi zi d ei m ed ia e d el la c om un ic az io ne 41 ,9 43 ,8 53 ,7 56 ,9 71 ,0 71 ,3 64 ,5 57 ,9 62 ,7 S er vi zi in fo rm at ic i e d el le te le co m un ic az io ni 67 ,2 64 ,4 63 ,2 63 ,6 69 ,5 66 ,4 62 ,4 62 ,3 55 ,9 To ta le s er vi zi 47 ,6 49 ,1 55 ,3 54 ,8 57 ,4 49 ,9 55 ,0 53 ,7 53 ,5 18 F on te : e la bo ra zi on i C en si s su d at i M in is te ro d el la vo ro -U ni on ca m er e “S is te m a In fo rm at iv o E xc el si or ” T ab . 7 - P re vi si on i d i a ss un zi on i n el le I nd us tr ie d el la c ar ta , c ar to te cn ic a e st am pa , p er a lc un e ca ra tt er is ti ch e ri ch ie st e (v al . % ) 20 06 20 14 % d i a ss un zi on i p re vi st e co ns id er at e di d iff ic ile r ep er im en to 27 ,2 11 ,5 pe r rid ot to n um er o di c an di da ti 10 ,3 4, 0 (2 01 0) pe r in ad eg ua te zz a de i c an di da ti 14 ,3 7, 4 (2 01 0) % d i a ss un zi on i p re vi st e, p er c ui è r ic hi es ta e sp er ie nz a sp ec ifi ca 46 ,8 54 ,0 % d i a ss un zi on i p re vi st e co n ne ce ss ità d i u lte rio re fo rm az io ne 77 ,5 62 ,0 % d i a ss un zi on i p re vi st e pe r so st itu zi on e di a na lo ga fi gu ra 32 ,1 28 ,1 19 3. UN FOCUS SULLA CONDIZIONE PROFESSIONALE DEI QUALIFICATI NEI PERCORSI IEFP Come già accennato, in ambito grafico, il CNOS-FAP è particolarmente pre- sente nella Formazione Professionale di figure professionali di livello intermedio. In seguito alla riforma del segmento post scuola secondaria di I grado, che ha visto tra l’altro l’attivazione dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale - IeFP, nei centri del CNOS-FAP vengono nello specifico erogati percorsi per la formazio- ne dell’operatore grafico (percorsi triennali, che in alcune realtà regionali, possono essere seguiti da un ulteriore anno di specializzazione). In virtù di una specifica indagine realizzata dall’ISFOL sulla condizione occu- pazionale dei qualificati IeFP a tre anni dal conseguimento del titolo è possibile disporre di prime informazioni rispetto all’appeal esercitato da questa figura nel mondo del lavoro. Purtroppo i dati risentono di due fattori di criticità, rispetto agli obiettivi del presente studio: da un lato, riguardano un numero esiguo di qualificati in quanto fanno riferimento a quelli dell’a.f. 2008/2009 e quindi ai primissimi – e limitati in numero – percorsi IeFP attivati dalle Regioni; dall’altro non distinguono tra i due indirizzi di cui si compone la figura professionale, che è normata a livello naziona- le (indirizzo tradizionale e indirizzo digitale). Ciononostante si tratta di dati interessanti per quanto – occorre anticipare da subito – non brillanti, che ribadiscono le crescenti difficoltà di collocamento nel mercato del lavoro di figure di livello medio basso. Si tratta, d’altronde, di una pro- blematica ben presente al CNOS-FAP, tanto da costituire uno dei motivi principali che hanno portato alla decisione di realizzare il presente approfondimento. Passando in concreto all’analisi dei dati, come riportato nella Tabella 8, emer- ge chiaramente come l’operatore grafico, rispetto al complesso dei qualificati IeFP, si distingua per maggiori difficoltà occupazionali. Su 256 qualificati, a tre anni di distanza dal conseguimento del titolo, solo 81, pari al 31,6% del totale, risultavano occupati, contro una media dei qualificati IeFP pari al 50%. Per il resto, il 28,5% era disoccupato, ma avendo alle spalle almeno una espe- rienza di lavoro (contro una media del 23,5%), il 24,6% non era ancora riuscito a trovare un lavoro (contro una media del 18,6%) ed il 12,65% era ancora in forma- zione (contro una media del 6,6%). Anche in relazione ai soli 81 operatori grafici occupati, la situazione denota più ombre che luce. Infatti, la maggior parte (79,0%) in realtà afferma che il lavoro che svolge non è quello per il quale aveva studiato durante il corso di qualifica (cfr. Tab. 9) e per un altro 3,7% lo è solo in parte. Nel complesso dei qualificati in- tervistati, la quota di posizioni incoerenti con la qualifica conseguita è del 39,8%. Dal punto di vista dell’utilità della qualifica conseguita, a prescindere dalla coe- 20 renza con il lavoro effettivamente svolto, lo scenario è più diversificato, ma chiara- mente peggiore rispetto a quello complessivo. Appena il 23,5% dei qualificati in ambito grafico ritiene che il titolo consegui- to sia un requisito necessario ed utile (contro una media del 54,3%), mentre vice- versa il 61,7% afferma che si tratta di un requisito né necessario né utile (contro un dato complessivo del 30,6%). Per il resto, un altro 6,2% dichiara che si tratta di un requisito necessario ma non utile (l’analoga quota del totale dei qualificati è pari al 5,7%) ed infine l’8,6%, pensa che sia utile nonostante non sia necessario (dato medio 9,4%). 21 T ab . 8 - C on di zi on e pr ev al en te a 3 a nn i d al la q ua li fi ca p er ti po lo gi a di q ua li fi ca p ro fe ss io na le - a .f. 2 00 8/ 20 09 ( v. a. ) C on di zi on e pr ev al en te a 3 a nn i In fo rm az io ne Ti po lo gi a E x la vo ra to ri D is oc cu pa ti S tu de nt e S tu de nt e S tu de nt e In fo rm az io ne In at tiv i O cc up at i To ta le di q ua lif ic a or a m ai o cc up at i in a ltr i t ip i ne lla s cu ol a al l’U ni ve rs ità to ta le di so cc up at i pr im a di fo rm az io ne su pe rio re O pe ra to re g ra fic o v. a. 73 63 9 4 19 32 7 81 25 6 O pe ra to re g ra fic o di st r. % 28 ,5 24 ,6 3, 5 1, 6 7, 4 12 ,5 2, 7 31 ,6 10 0, 0 To ta le q ua lif ic he v .a . 1. 18 3 94 0 67 58 21 0 33 5 64 2. 51 9 5. 04 1 To ta le d is tr. % 23 ,5 18 ,6 1, 3 1, 2 4, 2 6, 6 1, 3 50 ,0 10 0, 0 F on te : I S F O L , S ec on da in da gi ne s ug li e si ti d ei p er co rs i d i I eF P (s et te m br e 20 13 ) La q ua lif ic a co ns eg ui ta è u n re qu is ito n ec es sa rio Il la vo ro c he s vo lg i è q ue llo p er c ui a ve vi ed u til e pe r il pr op rio la vo ro st ud ia to d ur an te il c or so d i q ua lif ic a R eq ui si to S ì, è un N o, n on è N o, n on è S ì, S ì, N o To ta le ne ce ss ar io re qu is ito un r eq ui si to un r eq ui si to co m pl et am en to in p ar te e ut ile ne ce ss ar io ne ce ss ar io ne ce ss ar io m a no n è ut ile e no n è ut ile m a è ut ile O pe ra to re g ra fic o v. a. 19 55 0 7 14 3 64 81 O pe ra to re g ra fic o di st r. % 23 ,5 6, 2 61 ,7 8, 6 17 ,3 3, 7 79 ,0 10 0, 0 To ta le q ua lif ic he v .a . 1. 33 6 14 1 75 4 23 1 1. 19 5 28 6 98 1 2. 46 2 To ta le q ua lif ic he d is tr. % 54 ,3 5, 7 30 ,6 9, 4 48 ,5 11 ,6 39 ,8 10 0, 0 T ab . 9 - U ti li tà e c oe re nz a tr a fo rm az io ne e la vo ro s vo lt o a 3 an ni d al la q ua li fi ca , a .f. 2 00 8- 20 09 F on te : i nd ag in e IS F O L , 2 01 3 23 Il progetto di ricerca ha previsto, tra l’altro, la realizzazione di una indagine ca- wi presso le imprese del comparto grafico, i cui relativi indirizzari sono stati forniti dal Committente. Come riportato nella Tabella 10, hanno risposto 134 imprese di differente tipo- logia, con una prevalenza (31,3%) di imprese grafiche “a ciclo completo”, cioè in cui sono presenti almeno due differenti lavorazioni proprie di tali imprese. Nello specifico, di queste, la totalità opera nella fase di stampa, il 92,7% esegue anche lavorazioni di prestampa, il 75,6% di legatoria ed il 43,9% di cartotecnica. Il resto del panel è composto da imprese di diversa natura, tra le quali soprattutto service di stampa tradizionale e/o digitale (11,9%), studi grafici e agenzie di comunicazioni (entrambi pari al 10,4% del totale) e web agency (8,2%). Nel gruppo “altro” sono comprese soprattutto imprese che effettuano lavora- zioni particolari, come la serigrafica, la tampografia, la stampa di etichette, ecc. Nella maggior parte dei casi, a rispondere alle domande è stato uno dei titolari (titolare/socio: 44,0%), oppure l’amministratore delegato dell’azienda (15,7%). Più in generale, tutti gli intervistati coprono ruoli di responsabilità: si tratta, infatti, di direttori (6,7%), responsabili amministrativi (5,2%) responsabili produzione e/o qualità (4,5%), direttori commerciali (2,2%), responsabili comunicazione o risorse umane (2,2%) (cfr. Tab. 11). Molto diversificata è la gamma di servizi offerti (cfr. Tab. 12). Coerentemente con la tipologia di aziende intervistate, il servizio più diffuso è la progettazione grafica offerta dal 69,5% del totale. Seguono la stampa digitale di piccolo formato (49,6%), la stampa commerciale (43,5%) e il packaging (33,6%). Meno diffusa è la flessografia (4,6%), la stampa interattiva (6,1%) il book on demand (7,6%), la stampa 3D (7,6%) e il web to print (11,5%). Molto interessante e significativo dell’evoluzione in corso nel settore è il dato relativo ai servizi che si intendono attivare nei prossimi due anni. Ai primi posti, in- fatti, si collocano tutti servizi correlati alle tecnologie digitali o alle tecnologie più avanzate, spesso con una forte impronta commerciale. Il 20,5% delle imprese inten- de attivare un servizio di stampa 3D, il 15,9% pensa di cimentarsi nel Seo o social media marketing ed una quota analoga nel web marketing (cfr. Tab. 12). Seguono web design (13,6%) e mobile design (12,5%). 4. L’INDAGINE SULLE AZIENDE GRAFICHE 24 Tab. 10 - Tipologia di impresa intervistata (v.a. e val. %) v.a. % Impresa grafica “a ciclo completo” 42 31,3 in cui sono presenti le seguenti lavorazioni: prestampa 92,7 stampa 100,0 legatoria 75,6 cartotecnica 43,9 Cartotecnica 4 3,0 Legatoria 3 2,2 Service di prestampa (tradizionale - digitale) 3 2,2 Service di stampa (tradizionale - digitale) 16 11,9 Studio fotografico 2 1,5 Studio grafico 14 10,4 Web agency 11 8,2 Agenzia di comunicazione 14 10,4 Altro 23 17,2 Non indicato 2 1,5 Totale 134 100,0 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Tab. 11 - Ruolo dell’intervistato (val. %) % Titolare/socio 42,5 Amministratore delegato/amministratore unico 11,5 Direttore 9,2 Responsabile/addetto amministrativo 5,7 Responsabile produzione/qualità 5,7 Presidente 3,4 Direttore/responsabile commerciale 3,4 Responsabile comunicazione 2,3 Responsabile risorse umane/formazione 2,3 Altro 8,0 Non indicato 5,7 Totale 100,0 25 T ab . 1 2 - Ti po lo gi a di s er vi zi o ff er ti a tt ua lm en te e s er vi zi c he s i i nt en do no a tt iv ar e ne i p ro ss im i d ue a nn i ( va l. % ) F on te : in da gi ne C N O S -F A P - C en si s, 2 01 5 S er vi zi o ffe rti S er vi zi fu tu ri P ro ge tta zi on e gr af ic a 71 ,1 W eb m ar ke tin g 19 ,2 S ta m pa d ig ita le p ic co lo fo rm at o 47 ,0 S ta m pa 3 D 17 ,3 S ta m pa c om m er ci al e 41 ,0 W eb d es ig n 17 ,3 P ac ka gi ng 37 ,3 W eb to p rin t 17 ,3 W eb d es ig n 33 ,7 M ob ile d es ig n 15 ,4 Fo to gr af ia 30 ,1 S eo e s oc ia l m ed ia m ar ke tin g 15 ,4 E di to ria d ig ita le 28 ,9 V id eo e m ul tim ed ia 13 ,5 S ta m pa d ig ita le g ra nd e fo rm at o 28 ,9 P ac ka gi ng 13 ,5 S ta m pa e di to ria le 27 ,7 Fo to gr af ia 9, 6 S ta m pa a d at i v ar ia bi li 27 ,7 S ta m pa in te ra tti va ( R ea ltà a um en ta ta , Q rc od e) 9, 6 S eo e s oc ia l m ed ia m ar ke tin g 25 ,3 E di to ria d ig ita le 7, 7 Le ga to ria e c ar to te cn ic a 20 ,5 Le ga to ria e c ar to te cn ic a 7, 7 W eb m ar ke tin g 20 ,5 P ro ge tta zi on e gr af ic a 7, 7 S er ig ra fia 18 ,1 M er ch an di si ng 5, 8 M ob ile d es ig n 18 ,1 B oo k on d em an d 5, 8 V id eo e m ul tim ed ia 16 ,9 S ta m pa d ig ita le p ic co lo fo rm at o 3, 8 M er ch an di si ng 16 ,9 S ta m pa d ig ita le g ra nd e fo rm at o 3, 8 W eb to p rin t 12 ,0 S ta m pa a d at i v ar ia bi li - S ta m pa 3 D 8, 4 S ta m pa c om m er ci al e - B oo k on d em an d 8, 4 S ta m pa e di to ria le - S ta m pa in te ra tti va ( R ea ltà a um en ta ta , Q rc od e) 4, 8 Fl es so gr af ia - Fl es so gr af ia 3, 6 S er ig ra fia - A ltr o 19 ,3 A ltr o 7, 7 26 4.1. IL PROFILO STRUTTURALE DELLE AZIENDE Il panel di imprese intervistate è costituito per il 18,8% di realtà di “antica” isti- tuzione (prima del 1970), per il 21,1% da imprese nate tra il 1971 ed il 1985, per il 32% da imprese che hanno avviato le proprie attività tra il 1986 ed il 2000 e, infine, per il 28,1% da imprese più giovani, nate dopo il 2000 (cfr. Fig. 1). La maggior parte delle imprese, in linea con l’indirizzario fornito dal CNOS- FAP, è dislocata nelle Regioni settentrionali (52,2% nel nord est e 24,6% nel nord ovest); per il resto, il 14,2% è attivo nelle aree centrali del paese, il 4,5% al sud ed il restante 4,5% non ha fornito tale informazione (cfr. Fig. 2). Come evidenziato nella Tabella 13, inoltre, l’83,1% delle imprese intervistate è dislocata su un’unica sede. Per quanto riguarda il restante 16,9%, esso si compone da un 9,8% di imprese che hanno una o più sedi in altre Regioni italiane, da un 4,8% di imprese che hanno un’altra sede nella stessa provincia e un ulteriore 3,2% in altra provincia della stessa Regione. Infine, solo lo 0,8% ha una o più sedi all’este- ro, vuoi strutture produttive vuoi strutture commerciali. Più in generale, i rapporti di lavoro con l’estero riguardano una quota margina- le di imprese intervistate. Infatti, il 48,5% di esse non ha nessuna quota di fatturato derivante da presenza e/o esportazione verso l’estero, il 24,6% copre con l’estero meno del 10% del proprio fatturato, ed il 16,4% più del 10% (cfr. Fig. 3). 4.2. L’INNOVAZIONE IN AZIENDA Al momento della rilevazione, nella prima metà del 2015, la situazione delle imprese intervistate era nella maggior parte dei casi abbastanza positiva, dato il pro- lungarsi della crisi economica. Infatti, solo il 22,4% sta attraversando una fase di ridimensionamento (per diversi fattori, dalla diminuzione del fatturato o degli utili, alla riduzione del personale, ecc.), mentre la maggioranza relativa, pari al 33,6% ha dichiarato di essere in una fase stazionaria, in attesa di tempi migliori. 27 Fig. 1 - Aziende intervistate per periodo di inizio dell’attività (val. %) Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Fig. 2 - Aziende intervistate per ripartizione geografica (val. %) Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 28 Tab. 13 - Aziende intervistate, per disponibilità di altre sedi dipendenti dalla sede principale (val. %) % Sì 16,9 nella stessa Provincia 4,8 in altre Provincie della Regione 3,2 in altra/e Regioni italiane 8,9 all’estero, strutture produttive 0,8 all’estero, strutture commerciali 0,8 No 83,1 Totale 100,0 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Fig. 3 - Aziende interviste per quota di fatturato derivante da presenza/esportazione all’estero (val. %) Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Sul versante opposto, d’altronde, troviamo una quota non indifferente di impre- se che sono riuscite a crescere nonostante la crisi in atto (26,9%) ed un altro 11,9% che, dopo un periodo di difficoltà, si trova in ripresa (cfr. Tab. 14). Nel complesso, si tratta di imprese abbastanza innovative, almeno per alcuni aspetti. Come emerge dai dati riportati nella Tabella 15, i comparti che nell’opinio- ne degli intervistati si caratterizzano per un alto livello di innovazione sono quello dei prodotti e/o servizi offerti (42,8%), del processo produttivo (44,2%), dei sistemi informatici e delle tecnologie (43,9%) e soprattutto dei servizi al cliente (50,0%). Su livelli intermedi di innovazione si collocano l’organizzazione del lavoro (il 28,0% dichiara che vi è un basso livello di innovazione) ed i servizi di supporto alla 29 produzione e alla vendita, quali ad esempio le analisi di mercato, la pubblicità, le strategie di marketing (37,7% a bassa innovazione). Il 29,0% di imprese intervistate, infine, non fa ricerca e sviluppo (probabilmente anche a causa della piccola dimen- sione aziendale) e solo il 16% si ritiene altamente innovativa sotto questo aspetto. Leggendo questi dati congiuntamente a quelli della tabella seguente (cfr. Tab 16), è possibile ipotizzare che la crisi in atto abbia funzionato da volano per la spin- ta all’innovazione di impresa. Infatti, gli aspetti per i quali le aziende si sono dichia- rate ad alta innovazione sono in gran parte il frutto di innovazioni rilevanti introdot- te negli ultimi tre anni. Nello specifico, il 75,4% delle imprese ha introdotto inno- vazione creando nuovi prodotti e/o servizi ed il 70,5% ha introdotto nuove tecnolo- gie/macchinari funzionali al miglioramento dei processi di lavoro. Inoltre, più della metà (52,7%) ha esplorato nuovi settori di attività ed il 48,1% ha migliorato i cana- li di vendita e la funzione commerciale. Per il resto, il 45,2% ha migliorato la ge- stione finanziaria, il 42,6% è entrato in nuovi mercati territoriali ed il 31,5% ha ac- quisito certificazioni (di qualità, ambientali, ecc.). Per quanto riguarda le nuove tecnologie o i macchinari acquistati negli ultimi tre anni (cfr. Tab. 17), più dei due terzi delle imprese (73,5%) ha comprato computer e quasi la metà (45,5%) ha acquistato Adobe creative suite. Il 44,7% ha acquistato almeno una macchina per stampa digitale in piccolo formato ed il 28,8% altri soft- ware specifici per il settore grafico. Anche per il futuro, l’acquisto più probabile, per il 44,9% delle imprese sarà quello di altri computer, seguito da Adobe creative suite (19,5%). Significativo è il fatto che appena il 6,8% delle imprese dichiara di non avere effettuato alcun acquisto negli ultimi tre anni e che appena l’11% prevede di non farne nei prossimi tre anni. Tab. 14 - Aziende intervistate, per fase attuale (val. %) % Crescita nonostante la crisi (es. fase caratterizzata da un aumento del 26,9 fatturato, miglioramento della redditività, delle quote di mercato e/o incremento dell’occupazione) Ripresa dopo un periodo di difficoltà 11,9 Stazionarietà in attesa di tempi migliori (es. le condizioni di mercato e le evoluzioni 33,6 della domanda per il momento impediscono all’azienda di crescere) Ridimensionamento (es. il fatturato è in diminuzione, la struttura 22,4 è diventata più piccola, gli utili ridotti) Non indicato 5,2 Totale 100,0 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 30 Tab. 15 - Opinione degli intervistati sul livello di innovazione della propria impresa (val. %) Alto Medio Basso Non Totalepertinente Prodotti/Servizi 43,8 47,3 7,1 1,8 100,0 Processo produttivo e impianti 44,2 35,7 8,5 11,6 100,0 (tecniche utilizzate, impianti, ...) Organizzazione del lavoro (sistema di 19,7 41,7 28,0 10,6 100,0 incentivi, modalità valutazione risultati, ecc.) Servizi di supporto alla produzione e 14,6 34,6 37,7 13,1 100,0 alla vendita (analisi di mercato, strategie di marketing, pubblicità, ...) Sistemi informatici e tecnologie 43,9 42,4 11,4 2,3 100,0 Servizi al cliente (assistenza e consulenza 50,0 41,7 3,0 5,3 100,0 al cliente, post vendita, ecc.) Ricerca e sviluppo 16,0 37,4 17,6 29,0 100,0 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Tab. 16 - Innovazioni rilevanti introdotte negli ultimi tre anni (val. %) % Creazione di nuovi prodotti e/o servizi 75,4 Introduzione di nuove tecnologie/macchinari funzionali 70,5 al miglioramento dei processi di lavoro Ingresso in nuovi settori di attività 52,7 Miglioramento dei canali di vendita/funzione commerciale 48,1 Miglioramento gestione finanziaria 45,2 Ingresso in nuovi mercati territoriali 42,6 Introduzione certificazioni (di qualità, ambientali, ecc.) 31,5 31 T ab . 1 7 - A cq ui st i e ff et tu at i n eg li u lt im i t re a nn i e in te nz io ne d i a cq ui st o ne i p ro ss im i t re a nn i ( va l. % ) A cq ui st at i D a ac qu is ta re C om pu te r 73 ,5 C om pu te r 44 ,9 A do be c re at iv e su ite 45 ,5 A do be c re at iv e su ite 19 ,5 M ac ch in a da s ta m pa d ig ita le p ic co lo fo rm at o 44 ,7 A ltr o so ftw ar e sp ec ifi co p er il s et to re g ra fic o 16 ,1 A ltr o so ftw ar e sp ec ifi co p er il s et to re g ra fic o 28 ,8 A ttr ez za tu ra fo to gr af ic a 13 ,6 A ttr ez za tu ra fo to gr af ic a 22 ,7 A ttr ez za tu ra d i l eg at or ia , c ar to te cn ic a 13 ,6 S of tw ar e pe r la g es tio ne d el la p ro du zi on e 22 ,7 M ac ch in a da s ta m pa d ig ita le p ic co lo fo rm at o 12 ,7 A ttr ez za tu ra d i l eg at or ia , c ar to te cn ic a 19 ,7 S of tw ar e pe r la g es tio ne d el la p ro du zi on e 11 ,9 M ac ch in a da s ta m pa d ig ita le g ra nd e fo rm at o 18 ,9 S ta m pa nt e 3d 11 ,0 P lo tte r da in ta gl io 13 ,6 M ac ch in a da s ta m pa d ig ita le g ra nd e fo rm at o 8, 5 M ac ch in a da s ta m pa o ff se t 12 ,9 S of tw ar e 3d 7, 6 C tp – c om pu te r to p la te 10 ,6 P lo tte r da in ta gl io 6, 8 M ob ile d ev ic es p er la p ro du zi on e 9, 1 A ttr ez za tu ra a ud io -v id eo 5, 9 A ttr ez za tu ra a ud io -v id eo 7, 6 M ob ile d ev ic es p er la p ro du zi on e 5, 9 S of tw ar e 3d 6, 1 A ltr i s is te m i d i s ta m pa 5, 9 S ta m pa nt e 3d 6, 1 M ac ch in a da s ta m pa o ff se t 5, 1 A ltr i s is te m i d i s ta m pa 1, 5 C tp – c om pu te r to p la te 4, 2 A ltr o 6, 1 A ltr o 9, 3 N es su n ac qu is to d i m ac ch in ar i/t ec no lo gi e/ st ru m en ti 6, 8 N on h o in te nz io ne d i a cq ui st ar e 11 ,0 al cu n m ac ch in ar io /te cn ol og ia F on te : in da gi ne C N O S -F A P - C en si s, 2 01 5 32 4.3. RISORSE UMANE E FABBISOGNI DI COMPETENZE La dimensione delle aziende intervistate, in termini di addetti, è principalmente medio piccola e piccolissima: il 41,0% ha al massimo 5 addetti, l’11,9% tra i 6 ed i 9 addetti, il 14,2% tra i 10 ed i 19 addetti e, infine, il 26,9% ha oltre 19 addetti. Tale in- formazione non è fornita dal 6,0% del totale delle imprese intervistate (cfr. Tab. 18). Si tratta di una situazione di stabilità per il 45,5% del totale, almeno in riferi- mento all’ultimo triennio. Vi è però un 27,4% di aziende che, nell’arco di tempo considerato, ha incrementato il proprio personale, mentre, viceversa, il 23,9%, ha registrato una contrazione degli addetti (cfr. Fig. 4). In realtà, a prescindere dalla variazione o meno, la maggioranza delle imprese nel triennio ha dovuto acquisire nuove professionalità o ha dovuto aggiornare le competenze presenti in azienda (cfr. Tab. 19). Fenomeno abbastanza prevedibile se si considera l’innovazione e l’acquisto di nuovi macchinari che è stato dichiarato. Più in particolare, il 38,3% ha dovuto acquisire professionalità e/o competenze del tutto nuove, che prima non erano presenti, il 28,6% ha dovuto potenziare alcune aree di competenza, che erano diventate obsolete ed il 15,8% ha dovuto effettuare sostituzio- ni di personale non più presente, ad esempio per pensionamento o licenziamento. Anche tra il 45,1% di aziende che non hanno acquisito professionalità o com- petenze vi è comunque una quota non indifferente di realtà in cui ciò non è avvenu- to per impedimenti vari e non perché non ve ne fosse la necessità. Si tratta del 14,2% di imprese che hanno dichiarato di non avere potuto farlo, ma di avere biso- gno di nuove professionalità/competenze, del 12,0% che avrebbe bisogno di poten- ziare alcune aree di competenze e del 4,5% che avrebbe bisogno di sostituire figure non più presenti in azienda. Nel complesso, solo il 19,5% di imprese intervistate dichiara di non avere alcun bisogno. Tab. 18 - Aziende intervistate, per numero di addetti (val. %) % Fino a 5 addetti 41,0 6-9 addetti 11,9 10-19 addetti 14,2 Oltre 19 addetti 26,9 Non indicato 6,0 Totale 100,0 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 33 Fig. 4 - Variazioni del personale negli ultimi tre anni (val. %) Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Tab. 19 - Fabbisogni di nuove competenze (aggiornamento del personale) e professionalità (introduzione di nuove figure professionali), negli ultimi tre anni (val. %) % Sì, l’azienda ha dovuto acquisire professionalità/competenze del tutto nuove 38,3 che prima non erano presenti Sì, l’azienda ha dovuto potenziare alcune aree di competenza, 28,6 che erano diventate obsolete (aggiornamento del personale) Sì, l’azienda ha dovuto acquisire professionalità, in sostituzione di professionalità 15,8 non più presenti (ad es. per pensionamento, licenziamento, ecc.) Totale sì 54,9 No, non ho potuto farlo ma avrei bisogno di acquisire professionalità/competenze 14,2 del tutto nuove che non sono presenti in azienda No, non ho potuto farlo ma avrei bisogno di potenziare alcune aree di competenza, 12,0 che sono diventate obsolete No, non ho potuto farlo ma avrei bisogno di acquisire professionalità, 4,5 in sostituzione di professionalità non più presenti (ad es. per pensionamento, licenziamento, ecc.) No, non ho alcun bisogno 19,5 Totale no 45,1 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 34 Le aree funzionali per le quali c’è stato o ci sarebbe bisogno di introdurre nuo- ve professionalità o di rafforzare le competenze sono quella commerciale e marke- ting e quella della produzione (cfr. Tab. 20). Per la prima area, il 64,7% delle imprese dichiara di avere o di aver avuto bisogno di nuove professionalità, il 51,9% di avere dovuto o di dover rafforzare le competenze ed il 43,7% di aver bisogno o di aver sostituito figure in uscita. Anche in relazione alla produzione, tutte e tre le tipologie di bisogno riguardano sempre una quota che sfiora il 50% di imprese (rispettivamente il 48,0%, il 49,0% ed il 47,9%). Particolarmente interessante, considerato il più basso livello di innovatività di- chiarato in quest’ambito, è il fatto che il 37,3% delle imprese abbia dichiarato di aver avuto o piuttosto di avere bisogno di nuove figure professionali da impegnare nell’area della ricerca e sviluppo. Alla richiesta di specificare più dettagliatamente di quale tipo di figura profes- sionale l’azienda avrebbe bisogno, in relazione alle aree della produzione e della ri- cerca e sviluppo (cfr. Tab. 21), le aziende si esprimono con un forte orientamento verso le professionalità legate all’informatica ed al web. Al primo posto, infatti, si colloca il web/mobile designer (44,6%), seguito dal programmatore (39,2%) e dal web producer (23,0%). Su livelli di necessità decisamente inferiori si collocano le figure più tradizionali, quali il prestampatore (14,9%), lo stampatore tradizionale (13,5%) e lo stampatore in ambito digitale (12,2%). Per tutte le figure indicate, le aziende dichiarano che prenderebbero in con - siderazione anche una persona in possesso di una qualifica triennale coerente (in media, tale eventualità riguarda il 67,2% delle imprese), ma in molti casi appare evidente che il rispondente in effetti non dia molta importanza al titolo quanto all’esperienza pregressa (cfr. Tab. 22). È il caso del fotografo e di molte delle figure commerciali indicate, ma anche dello stampatore digitale. Una scelta più consapevole è quella effettuata da coloro che prenderebbero in considerazione un qualificato triennale perché ritengono si tratti di una formazione valida. Tale opinione è più diffusa tra le imprese in relazio- ne alle figure del videomaker (66,7%) e del legatore (40,0%). Occorre comunque precisare che si tratta di dati con una valenza solo indicati- va, visto il numero ridotto di imprese e di figure segnalate. 35 Tab. 20 - Aree per le quali è stato/sarebbe necessario acquisire nuove competenze e professionalità (val. %) Tab. 21 - Figure di cui avrebbe principalmente bisogno nelle aree “produzione” e “ricerca e sviluppo” (v.a. e val. %) Nuove Nuove Figure in professionalità competenze sostituzione Ricerca e sviluppo 37,3 39,4 8,5 Staff/supporto 22,5 20,2 18,3 Risorse umane 9,8 9,6 4,2 Produzione 48,0 49,0 47,9 Legale 2,0 8,7 - Commerciale - Marketing 64,7 51,9 43,7 Amministrazione e gestione 22,5 26,9 18,3 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 v.a. % Web/mobile designer 33 44,6 Programmatore 29 39,2 Web producer 17 23,0 Progettista 13 17,6 Prestampatore 11 14,9 Stampatore tradizionale 10 13,5 Stampatore in ambito digitale 9 12,2 Cartotecnico 9 12,2 Legatore 7 9,5 Video maker 3 4,1 Tecnico-commerciale 2 2,7 Fotografo 2 2,7 Bim manager 1 1,4 Magazziniere 1 1,4 Web developer 1 1,4 Addetto comunicazione 1 1,4 Capo commessa 1 1,4 Controller 1 1,4 Responsabile commerciale estero 1 1,4 Commerciale 1 1,4 commerciale-marketing 1 1,4 addetto marketing 1 1,4 Totale aziende 74 (*) erano possibili tre risposte Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 36 T ab . 2 2 - In te rv is ta ti c he p re nd er eb be ro in c on si de ra zi on e un a pe rs on a in p os se ss o di q ua li fi ca p ro fe ss io na le tr ie nn al e co er en te c on la fi gu ra ri ch ie st a (v al . % ) S ì, se a ve ss e Sì , p er ch é Sì , p er ch é Sì , To tal e No , p er ch é No , p er ch é No , p er ch é No , To tal e To ta le an ch e un a rit en go a bb ia si tra tta d i pe r a ltr i sì è ne ce ss ar ia la fo rm az io ne si tra tta pe r a ltr i no es pe rie nz a ac qu isi to un a fig ur a m ot ivi un a fo rm az io ne at tu al m en te di fi gu re m ot ivi di la vo ro un a va lid a m ol to te cn ica im pa rti ta è tro pp o pr eg re ss a fo rm az io ne op er at iva su pe rio re in ad eg ua ta es ec ut ive P ro ge tti st a 18 ,2 27 ,3 9, 1 – 54 ,5 27 ,3 9, 1 9, 1 – 45 ,5 10 0, 0 P re st am pa to re 22 ,2 33 ,3 11 ,1 – 66 ,7 33 ,3 – – – 33 ,3 10 0, 0 S ta m pa to re 28 ,6 14 ,3 42 ,9 – 85 ,7 14 ,3 – – – 14 ,3 10 0, 0 tra di zi on al e S ta m pa to re in 66 ,7 11 ,1 11 ,1 – 88 ,9 – – 11 ,1 – 11 ,1 10 0, 0 am bi to d ig ita le Fo to gr af o 10 0, 0 – – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 C ar to te cn ic o 20 ,0 – 40 ,0 10 ,0 70 ,0 10 ,0 20 ,0 – – 30 ,0 10 0, 0 Le ga to re – 40 ,0 50 ,0 – 90 ,0 – – 10 ,0 – 10 ,0 10 0, 0 P ro gr am m at or e 18 ,5 3, 7 22 ,2 7, 4 51 ,9 25 ,9 7, 4 11 ,1 3, 7 48 ,1 10 0, 0 W eb /M ob ile d es ig ne r 35 ,7 7, 1 10 ,7 – 53 ,6 25 ,0 10 ,7 7, 1 3, 6 46 ,4 10 0, 0 W eb p ro du ce r 33 ,3 16 ,7 16 ,7 16 ,7 83 ,3 16 ,7 – – – 16 ,7 10 0, 0 V id eo m ak er 33 ,3 66 ,7 – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 A ltr a fig ur a 40 ,0 20 ,0 – 10 ,0 70 ,0 10 ,0 20 ,0 – – 30 ,0 10 0, 0 Bi m m an ag er – – – – – – – 10 0, 0 – 10 0, 0 10 0, 0 C om m er ci al e - m ar ke tin g – – – 10 0, 0 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 M AG AZ ZI N IE R E 10 0, 0 – – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 Te cn ic o- co m m er ci al e 10 0, 0 – – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 W eb d ev el op er – – – 10 0, 0 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 Ad de tto – – – – – – – – – 10 0, 0 10 0, 0 co m un ic az io ne Ad de tto m ar ke tin g – – – – – 10 0, 0 – – – 10 0, 0 10 0, 0 R es po ns ab ile 10 0, 0 – – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 co m m er ci al e es te ro C ap o co m m es sa – 10 0, 0 – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 C om m er ci al e 10 0, 0 – – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 C on tro lle r – – – – – – 10 0, 0 – – 10 0, 0 10 0, 0 Te cn ic o- co m m er ci al e – 10 0, 0 – – 10 0, 0 – – – – – 10 0, 0 To ta le 28 ,5 15 ,3 19 ,0 4, 4 67 ,2 18 ,2 7, 3 5, 8 1, 5 32 ,8 10 0, 0 F on te : in da gi ne C N O S -F A P - C en si s, 2 01 5 37 Per alcune figure, infine, l’opzione qualificato triennale è motivata dal fatto che si tratta di professionalità molto operative, come nel caso del legatore (50% di indi- cazioni) e dello stampatore tradizionale (42,9%). Un ultimo elemento di riflessione è costituito dalle competenze che dovrebbero possedere le figure professionali richieste dalle imprese. Come sintetizzato nella Tabella 23, per quanto riguarda le competenze di base, il 68,9% delle imprese segnala la cono- scenza complessiva del settore grafico, seguita a breve distanza (63,5%) dalle conoscen- ze informatiche. Su livelli inferiori si colloca la conoscenza della lingua inglese (45,9%) e quella del marketing (36,5%). In relazione alle skill trasversali, la più importante per le aziende, in quanto segnalata dal 66,2% del totale, è il problem solving, seguito dalla capacità di innovare (60,8%) e dalla flessibilità (52,7%). Molto importante, in quanto segnalata dal 44,6% delle imprese intervistate è anche la capacità di lavorare in gruppo. Infine, in relazione alle competenze tecniche, le segnalazioni si focalizzano principalmente, con una percentuale di imprese pari al 56,8%, sulle competenze di gestione del flusso di lavoro e con analoga percentuale (56,8%) sulle competenze nel web, web marketing e social media marketing, ad ulteriore riprova di quanta im- portanza strategica abbia acquisito questo aspetto nel settore delle industrie grafi- che. L’ambito informatico è rafforzato dalla indicazione di competenze di program- mazione informatica da parte del 47,3% delle imprese. Tab. 23 - Opinione degli intervistati circa le più importanti conoscenze di base/skill/competenze tecniche che dovrebbero possedere le figure professionali richieste (val. %) v.a. % Conoscenze di base Conoscenze del settore grafico 51 68,9 Conoscenze informatiche 47 63,5 Lingua inglese 34 45,9 Conoscenze di marketing 27 36,5 Capacità di lettura e comprensione di testi, conoscenze matematiche di base 12 16,2 Altre lingue straniere 8 10,8 Altre conoscenze di base 4 5,4 Skill trasversali Problem solving 49 66,2 Capacità di innovare 45 60,8 Flessibilità 39 52,7 Capacità di lavorare in gruppo 33 44,6 Capacità di rapportarsi con i clienti 26 35,1 Capacità di rapportarsi con colleghi e superiori 23 31,1 Altri skill trasversali – – Competenze tecniche Competenze nel web, web marketing e social media marketing 42 56,8 Competenze di gestione del flusso di lavoro 42 56,8 Competenze di programmazione informatica 35 47,3 Competenze specialistiche della figura 25 33,8 Competenze di editoria digitale 17 23,0 Competenze di audio/video 10 13,5 Altre competenze tecniche 3 4,1 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 38 4.4. L’IMPORTANZA DELL’AGGIORNAMENTO Un ultimo aspetto oggetto di approfondimento nell’ambito della indagine pres- so le aziende grafiche è stato quello dell’aggiornamento del personale già presente nella struttura. Appare significativo evidenziare come, secondo l’opinione del 33,6% di inter- vistati, la formazione continua e l’aggiornamento del personale sia un aspetto cui le aziende tengono molto, anche se esplicitano che, in effetti, da questo punto di vista un qualche sforzo in più andrebbe fatto (cfr. Tab. 24). Solo in meno di una azienda su tre (29,1%) l’aggiornamento del personale è considerato strategico e pressoché tutti i dipendenti sono annualmente coinvolti in percorsi di formazione/aggiornamento. Vi è poi un 21,6% di realtà imprenditoriali in cui pur avendo la formazione un ruolo di primo piano, a causa della difficile situazione di bilancio si è dovuto effettua- re dei tagli a questa voce di bilancio ed un 11,9% in cui, oramai si fa poco o nulla. D’altro canto, è opinione degli intervistati – ma anche modalità aziendale più frequente – che la migliore occasione di apprendimento sia il quotidiano lavoro in azienda (48,0%). Nel 41,5% dei casi, invece, l’aggiornamento professionale del personale passa attraverso la partecipazione a fiere ed eventi specifici del settore in cui opera l’azienda, oppure (39,8%) per la partecipazione a corsi o seminari orga- nizzati da enti di Formazione Professionale (cfr. Tab. 25). Modalità meno diffuse sono il ricorso a formatori sia interni sia esterni o a consulenti (34,1%) e le stesse relazioni con clienti e fornitori, considerate occasioni per trasferire anche nuove conoscenze (31,7%), e la frequenza di corsi e seminari organizzati dalle associazioni di rappresentanza (23,6%). Abbastanza marginale è, infine, la partecipazione ad attività formative orga - nizzate da soggetti diversi dai precedenti oppure i contatti con enti di ricerca o poli tecnologici. 39 Tab. 24 - Importanza dell’aggiornamento delle competenze per l’azienda (val. %) % È centrale, pressoché tutti i dipendenti sono annualmente coinvolti 29,1 in percorsi di formazione/aggiornamento L’azienda tiene molto a questo aspetto, anche se forse qualche sforzo in più 33,6 potrebbe essere fatto Pur avendo un ruolo di primo piano, la difficile situazione economica 21,6 sta imponendo dei tagli anche su tale voce del bilancio L’azienda ormai fa poco o nulla 11,9 Non indicato 3,7 Totale 100,0 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Fonte: indagine CNOS-FAP - Censis, 2015 Tab. 25 - Modalità aziendali per l’aggiornamento professionale dei propri dipendenti (val. %) % Attraverso il lavoro quotidiano in azienda, che costituisce la migliore 48,0 occasione di apprendimento Attraverso la partecipazione a fiere ed eventi specifici del settore 41,5 in cui opera l’azienda Attraverso la partecipazione a corsi/seminari organizzati da enti 39,8 di formazione professionale Attraverso dei consulenti o formatori (sia interni sia esterni) 34,1 Attraverso lo scambio con fornitori e/o clienti che diventa occasione 31,7 per trasferire nuove conoscenze, tecniche di produzione, etc. Attraverso la partecipazione a corsi/seminari organizzati 23,6 dalle associazioni di rappresentanza Attraverso la partecipazione a corsi/seminari organizzati da altri soggetti 18,7 Attraverso contatti con enti di ricerca, poli tecnologici, etc. 4,9 Altro 4,1 41 5.1. CONSIDERAZIONI DI SINTESI Nell’ambito del presente progetto di ricerca sono state realizzate anche alcune interviste a responsabili aziendali e testimoni privilegiati, per approfondire alcuni aspetti inerenti alle trasformazioni in atto nel settore grafico, le implicazioni in termini di personale e competenze e i contenuti principali che dovrebbero essere inseriti nella formazione di figure professionali di base. Il contesto di riferimento dei referenti intervistati, che ovviamente operano tut- ti nel settore grafico in senso ampio, è molto diversificato, in quanto si è cercato di dar conto, nei limiti di interviste qualitative, delle diverse realtà produttive che com- pongono il puzzle della filiera grafica-comunicazione in termini di tipologia e mo- dalità di produzione, dimensione aziendale, reazioni a fronte della crisi del settore. Il quadro che è emerso è del tutto ambivalente, fluido, probabilmente anche a causa del periodo di crisi e della profonda trasformazione ancora in atto in molte aziende, che non permette di delineare linee di sviluppo certe, se non per le realtà più grandi e consolidate. Un altro fattore di complessità è dovuto al fatto che ciascuna delle realtà inter- vistate sta evolvendo in maniera del tutto originale, in alcuni casi aprendosi anche spazi di mercato nuovi per chi opera in campo grafico (ad esempio nel settore com- merciale e logistico). Ciononostante dalla lettura delle interviste è possibile dedurre alcuni punti co- muni, che possono costituire un valido riferimento per la progettazione formativa. In primo luogo, vi è concordanza sul fatto che le figure di base hanno sicura- mente uno spazio ridotto di mercato e soffrono, almeno in parte, della concorrenza di profili informatici. Tutti gli intervistati hanno sottolineato che l’operatore grafico deve possedere attitudini informatiche spiccate, avere propensione al web e deve sa- per gestire file. Una maggiore divergenza di opinione vi è invece sul tipo di formazione: c’è chi consiglia una formazione tecnica solida ma generalista, non specializzata, in quanto il veloce cambiamento tecnologico e del mercato di riferimento potrebbe rendere obsoleta una figura specialistica. Inoltre, il lavoro nel settore grafico è oramai mol- to diversificato, contemplando tutti gli aspetti della comunicazione, e configuran- dosi sempre più come “servizio” al cliente oltre che come produzione di un “pro- dotto specifico”, in cui la carta ha un ruolo importante ma non più esclusivo. L’operatore grafico deve conoscere il settore, nelle sue diverse componenti, il ciclo e l’organizzazione del lavoro; deve avere competenze operative, magari non approfondite, ma che lo rendano in grado di potersi inserire in contesti lavorativi differenti. 5. LE INTERVISTE A RESPONSABILI AZIENDALI 42 In alcuni casi, vengono citate alcune nicchie di specializzazione, quali quella della legatoria, sottolineando che stanno scomparendo i bravi professionisti. In molti sottolineano, d’altro canto, come un ambito da coltivare maggiormen- te sia quello della cartotecnica e del packaging in generale, che avrà sempre un suo spazio, non potendo essere sostituito da una produzione “virtuale”. In linea generale, gli interlocutori si concentrano soprattutto sulle competenze afferenti alle fasi di stampa e post stampa, ritendendo che la fase di pre-stampa, se affrontata dal punto di vista del “lavoro creativo”, è sovradimensionata nell’econo- mia del percorso professionale per operatore grafico (ma anche nel percorso scola- stico quinquennale) sia in termini di spazi occupazionali (e soffre la concorrenza di altre filiere formative), sia di competenze che è possibile acquisire in soli tre anni. Più proficuo potrebbe essere sviluppare la capacità di saper valutare la qualità e la correttezza di un prodotto da stampare, che sempre più frequentemente viene fornito direttamente dal cliente. È il caso ad esempio di molti stampati commercia- li. L’operatore grafico dovrebbe essere in grado di verificare la presenza, ad esem- pio di errori di ortografia o la qualità complessiva del documento dal punto di vista della resa grafica. Infatti, alcuni interlocutori sottolineano che, proprio nell’ottica del “servizio al cliente”, anche a fronte di una richiesta di mera stampa, la soddisfa- zione del committente rispetto al prodotto finale può essere inficiata anche da aspet- ti non imputabili all’impresa grafica. L’attenzione alla qualità del prodotto è ritenuta dagli intervistati un “fatto” ormai scontato, non più elemento di concorrenza sul mercato, rispetto al quale con- tano sempre di più i tempi di consegna e i “servizi” offerti. Da questo punto di vista, un ultimo elemento sottolineato da molti è quello del- l’aggiungere, alle competenze tecniche di settore, forti competenze commerciali ed economiche. In ogni azienda c’è sempre più bisogno di persone che sappiano gesti- re anche economicamente le commesse e che sappiano tenere relazioni con il clien- te. Anche laddove non vi è rapporto diretto con il cliente, conoscere il preventivo e saper valutare i costi della produzione si ritiene sia fondamentale per svolgere il proprio lavoro, con efficacia ed efficienza. A differenza di quanto ci si poteva aspettare, minore enfasi è attribuita dagli in- tervistati, alla conoscenza delle lingue straniere, che per una figura operativa assu- me una rilevanza marginale rispetto al possesso di competenze trasversali, quali il lavoro di gruppo e soprattutto la capacità di inserimento consapevole nella struttura organizzativa e nel processo produttivo. Per quanto riguarda nello specifico la figura dell’operatore grafico formato nei percorsi IeFP, l’opinione prevalente è che i possibili ambiti lavorativi sia stiano pro- gressivamente riducendo nelle imprese del settore, soprattutto in quelle che stanno puntando sull’innovazione tecnologica sia nell’area della produzione sia in quella gestionale. Pur riconoscendo che si tratta di una formazione solida, che permette di acquisire le indispensabili competenze di base, si sottolineano le criticità di inseri- mento dovute sia all’immaturità complessiva di ragazzi troppo giovani, sia alla 43 necessità di acquisire ulteriori conoscenze e competenze che richiedono tempi più lunghi di studio. La complessità del settore, le nuove tecnologie, l’efficientamento dei tempi di produzione aprono la strada ad una riflessione su come prefigurare una filiera stabi- le di professionale in ambito grafico, che valorizzi il “saper fare” anche a livelli di complessità più elevata e di progressiva specializzazione. Di seguito, sono dettagliati a titolo esemplificativo alcuni dei “passi” più signi- ficativi delle interviste realizzate. 5.2. STATEMENTS – La reazione alle modifiche del settore “Abbiamo un mercato nervoso, ma abbastanza costante; costanza garantita dal fatto che abbiamo pochi, ma grandi clienti, con cui abbiamo fatto accordi quadro, predisponendo un listino di base di riferimento da cui estrapolare ciascuna specifi- ca commessa. La nostra particolarità è data dal fatto che, trovando difficoltà sul mercato grafico, ci siamo spostati sul customer service a monte e a valle, offrendo servizi diversi che vanno dal call center alla logistica-distribuzione”. “Noi siamo un supermercato digitale, stampiamo su qualunque supporto e riu- sciamo a combinare la produzione veloce ed industriale con l’estrema personalizza- zione. Ciò, unitamente al fatto che riusciamo ad avere pagamenti veloci e sicuri – dato che il cliente paga direttamente ed in anticipo - ci permette di essere forti sul mercato anche in questo periodo di crisi”. “Siamo entrati in crisi ma abbiamo reagito agendo su vari fronti: oltre ad una necessaria riduzione del personale, abbiamo spinto sul versante della commercia- lizzazione e dell’internazionalizzazione, alla ricerca di nuovi mercati, e abbiamo operato nella direzione di una riduzione dei costi, adottando metodologie organiz- zative innovative e introducendo metodi di manutenzione preventiva dei macchina- ri, che riducono le possibilità di guasti improvvisi e dunque di interruzione della produzione. L’ultimo ambito di reazione è stato quello relativo alla qualità del pro- dotto ed alla velocità dei tempi di consegna”. “Lavorando nel comparto editoriale, abbiamo sentito molto forte la crisi; la pri- ma reazione è stata quella di fortificarci, consolidare il nostro mercato, piuttosto che attaccare altri pianeti commerciali. La strada scelta è stata quella di agire non nel campo della politica dei prezzi, ma su quello della fidelizzazione del cliente. Attra- verso acquisizioni e fusioni, stiamo ora sviluppando anche il comparto della stampa digitale, sempre in campo editoriale, ed abbiamo avviato un laboratorio innovativo di servizi di prestampa (servizi di creatività e applicazioni digitali) ma solo per i nostri clienti”. “La nostra strategia di reazione alla crisi è stata quella di unire le forze con 44 un’altra azienda; abbiamo unito le competenze, abbiamo potuto diversificare la tipologia di macchine a disposizione, abbiamo potuto selezionare i clienti. Puntia- mo soprattutto sulla stampa tradizionale, con una particolare attenzione alla qualità. Siamo specializzati, in cataloghi d’arte, di moda, ed in editoria specializzata, ma non trascuriamo il commerciale”. “Sono amministratore dell’azienda che attualmente lavora più o meno per il 30% del proprio fatturato e dei propri volumi prodotti in Italia mentre il resto, il 70%, è all’estero; quindi tutto sommato la crisi ci ha colpiti, siamo in difficoltà, ma meno di altre aziende che lavorano esclusivamente a livello nazionale. Certamente la crisi si sente perché morde un po’ ovunque, è un periodo difficile sicuramente. Non siamo un’impresa di stampa, facciamo lavorazioni in alluminio per il settore alimentare, ma abbiamo un reparto stampa per decorare l’involucro esterno, con lo- ghi, immagini, informazioni”. “Per reagire alla crisi che ha colpito le piccole imprese come la mia, ho dovuto fare una riduzione del personale, allargarmi al commerciale, fare una selezione se- vera della clientela, allontanando i cattivi pagatori. Inoltre, anche in accordo con al- tre imprese cerco di offrire ai miei clienti un servizio completo”. “A livello di strategie stiamo cercando di fare un po’ entrambe le cose;: mante- nere il settore di qualità e tradizionale, affiancato al sistema digitale”. “Dopo aver investito nei macchinari, nei tempi più recenti abbiamo puntato sui software per la gestione delle immagini e sulle certificazioni di qualità Sul mercato, nazionale ed internazionale, sempre più spesso prima ancora del preventivo ti chie- dono se possiedi certificazioni. Infine, seguendo l’andamento del mercato ci siamo aperti a settori secondo noi promettenti: in primo luogo la cartotecnica, ed il packa- ging più in generale, puntando però sul mondo del lusso, sulla fascia medio-alta, con un forte grado di personalizzazione; in secondo luogo offriamo servizi web, tramite free lance, ai nostri clienti, per ampliare la gamma di servizi disponibili, ma sempre senza entrare in una concorrenza poco produttiva con le agenzie specializzate; infi- ne, offriamo un servizio di gestione integrata delle immagini, ad esempio per azien- de internazionali che hanno bisogno che nelle loro campagne pubblicitarie ci sia uni- formità di immagine a prescindere dal luogo in cui viene effettuata la stampa”. – Il futuro del settore grafico: scenari generali e prospettive individuali “Secondo me è possibile individuare due fenomeni che contribuiscono ad defi- nire il futuro assetto del settore grafico: La comunicazione stampata (quotidiani, settimanali, ecc.), l’editoria si stanno sempre di più contraendo e sono destinate ad un’ulteriore contrazione; c’è una evo- luzione verso la comunicazione digitale, che si presenta in modo diverso dal tradi- zionale, anche il quotidiano prende forme diverse... non è il quotidiano cartaceo messo sul web – in questa evoluzione c’è spazio per la formazione grafica, che por- ta una competenza di impaginazione, di comunicazione, ecc., una cultura grafica 45 che può essere messa a disposizione di queste nuove forme di comunicazione, ma non è più centrata sull’operatore di arti grafiche: vi sono altre figure che provengo- no da studi informatici, di fotografica e così via; d’altro canto, l’arte grafica potrebbe avere una valenza molto importante nel- l’evoluzione del packaging nella sua globalità; molti beni, alimentari e non, devo essere confezionati, spediti, riconosciuti ecc., e qui entra in gioco il contenitore che è un oggetto di comunicazione (immagine, brand, ecc.) ci sono le indicazioni tecni- che (anche norme di legge) e poi c’è la funzione fisica della protezione del prodotto – e quindi vi è la compresenza di molte componenti che non sono solo grafiche ma anche funzionali (es. resistenza meccanica, supportare dei carichi, rispetto del con- tatto degli alimenti, ecc.). Si tratta di contenuti che non sono più quelli comunica- ti/insegnati tradizionalmente nelle scuole grafiche. Si tratta di una sfida formidabile da affrontare”. “Con la tecnologia ha assunto importanza la velocità. Prima un’immagine per potere diventare un libro stampato, passava per 5-7 aziende...c’era il ritocco foto- grafico, ecc. Oggi è saltato tutto. La captazione dell’immagine viene fatta con l’i- phone con un dettaglio valido per essere riprodotto e poi si impagina con program- mi scaricabili da internet. Se l’impaginazione la facciamo vedere ad un cultore del- l’arte grafico, questo dice non ci siamo...Ma la comunicazione oggi, ha un valore importante che è quello della velocità di fruizione...come la musica (dal wi.fi al mp3). Tutte le aziende devono diventare digitali. Devono avere una gestione digita- le, per essere veloci”. “La velocità delle operazioni oggi è importante, e con i nostri software velociz- ziamo le procedure operative. Altro fattore dirimente è la personalizzazione del pro- dotto/servizio”. “Uno sviluppo potrebbe essere in questo recupero di parti di stampa offset, anche se abbiamo una connotazione digitale, che possono essere utili al processo. Si sta potenziando molto l’ecommerce. Distribuendo materiali abbiamo imparato a gestire il trasporto. E quindi potremmo pensare di gestire anche spedizioni di ecommerce”. “In futuro, la distribuzione sarà molto richiesta. Le aziende si concentrano sul- le commesse ma poi buttano soldi per la distribuzione degli stampati. ...Io penso che ci siano troppi che fanno creatività. Io preferisco andare a cercarmi un fornitore di “creatività” e farmelo fare. Non ho interesse ad acquisire un creativo, preferisco un informatico, magari che sappia qualcosa di grafica. Anche un ragazzo della scuola grafica. Deve essere focalizzato sulle attività operative”. “Molte imprese si stanno orientando sul ciclo completo e sull’ampliamento e personalizzazione dei servizi. Il ciclo dal punto di vista tecnologico si è ridotto mol- tissimo e si ridurrà ancora. Tutte le aziende devono diventare digitali. Devono ave- re una gestione digitale, per essere veloci. Però anche questo non è abbastanza, è un mercato che si sta riducendo come servizio da parte delle arti grafiche (ad es. comu- 46 nione, matrimoni, una volta gli inviti erano oggetti estremamente importanti, ades- so se li fanno in casa). Quel segmento lì della comunicazione sta diventando perso- nale o aziendale, senza coinvolgimento dell’azienda grafica. Ma c’è la comunica- zione outdoor che si sta sviluppando tantissimo... come nel caso di un edificio in re- stauro, con la pubblicità sulle impalcature. Diventa una comunicazione che prima non c’era. Autobus, metro, oggetti in movimento con comunicazioni pubblicitarie... led... altra comunicazione molto importante. In sintesi, il settore tradizionale deve essere reinventato, in moltissimi casi non ha un futuro... Però ci sono altre tecniche, modalità, valori da diffondere”. “Da una parte c’è il mercato tradizionale ancora fortemente preponderante ri- spetto a quello digitale, ora non ricordo francamente i dati in termini percentuali, ma la stampa online rispetto alla tradizionale è ancora fortemente minoritaria, per cui abbiamo appena graffiato la superficie, abbiamo appena toccato una minima parte delle sue potenzialità. Il servizio di stampa online ha grandi potenzialità: stam- pare qualunque cosa su qualunque materiale, a prezzi ragionevoli, senza spostarmi da casa, e ricevendo la merce dove decido io”. “È in corso una riscoperta della tradizione grafica, dei vecchi macchinari, dei font storici, sfruttando però le moderne tecnologie digitali. Saper raccontare la pro- pria storia è importante. Perché un cliente sceglie una azienda piuttosto che un’al- tra, a parità di servizi e competenze? Ci deve essere un quid in più, un appeal, che può essere espresso dalle aziende grafiche che sanno raccontare la propria storia”. “Stanno chiudendo tante aziende tipografiche, si va verso la creazione di realtà enormi, ed il piccolo andrà a sparire, a meno che non riesca a crearsi la propria pic- cola nicchia e ad offrire qualità e flessibilità. Sicuramente un settore da perseguire è quello della stampa digitale”. “Per una piccola azienda come la mia, il futuro è oltre che nella qualità e nell’attenzione al cliente nel lavoro di nicchia, nel lavoro manuale tradizionale con le vecchie macchine che permettono di fare lavorazioni particolari, di pregio”. Figure professionali e competenze “Nel mio settore particolare, sarebbe sicuramente utile ed interessante avere corsi di formazione per litografi, per personale dunque che sia in grado di stampare non su carta ma su metallo. Alcune caratteristiche della figura sono uguali a quelle di uno stampatore su carta, come tecniche di base, ma poi ci sono tutte le differen- ziazioni, le “malizie”, dovute al diverso tipo di supporto. Il corso non sostituisce l’“addestramento sul campo”, ma possedere un’infarinatura più essere utile”. “Abbiamo difficoltà – e come noi le imprese concorrenti – a trovare personale di esperienza che sappia lavorare in macchina direttamente, che conosca la compo- nente meccanica, ma anche quella elettronica ed abbia esperienza nella colorime- tria. Sarebbe utile spingere la formazione in questo senso, magari anche con corsi 47 oltre il triennio, ad esempio di quattro anni. Anche nel campo della stampa digitale, su cui ci stiamo affacciando ora, si fatica a trovare personale qualificato”. “È fondamentale sviluppare la passione per questo mestiere. Noi accogliamo molti ragazzi in visita ed in stage, ma quando chiediamo loro perché hanno scelto questo percorso non sanno cosa rispondere, e non conoscono a volte tutte le figure professionali del settore grafico. La maturità si sviluppa attraverso lo studio, non so- lo di contenuti tecnici, sono importanti le contaminazioni, gli stimoli, un sapere un po’ più olistico…prendiamo ragazzi in stage, ma solo dal quarto anno in su, perché li inseriamo in progetti precisi, con specifici obiettivi. Però attualmente cerchiamo architetti, progettisti di cartotecnica, esperti di autocad, di software, di rendering. In generale, l’offerta per altre figure di base è superiore alla domanda”. “Preferiamo inserire personale maggiorenne, anche per una questione di nor- me contrattuali. Ma al di là di questo, a quell’età difficilmente hanno una forma mentis che ne permette un proficuo inserimento, non hanno la maturità per capire come è il mondo del lavoro, a prescindere dalle competenze tecniche che possiedo- no. A parte la preferenza verso giovani con almeno venti anni, per i ruoli operativi non prendiamo in considerazioni laureati, perché dopo anni di studio, sono più grandi, hanno anche altre esigenze economiche, se possono lasciano il reparto o l’a- zienda per posizioni più consone”. “È vero che il reparto prestampa è molto costoso e forse poco produttivo, ma nello stesso tempo è un servizio al cliente, molti stampano da noi perché abbiamo molte competenze di prestampa e facciamo il controllo dei file: molti studi grafici mandano file non corretti”. “Gli operatori esperti che vengono dalla stampa tradizionale, se si sono aggior- nati alle nuove tecnologie, sono preziosi, sono in grado di gestire perfettamente file complessi, quali quelli della cartotecnica, perché conoscono il montaggio manuale e sanno riconoscere se il file è corretto da questo punto di vista”. “Se mi potessi permettere un’assunzione, sa cosa prenderei? Un ingegnere ge- stionale per gestire il sito e tutta la piattaforma internet. Tutte le grandi aziende ti- pografiche che hanno “fatto il salto” si sono avvalse di ingegneri gestionali per la creazione di piattaforme per la vendita dei prodotti”. “Alcune figure professionali sono necessarie all’impresa, ma come figure ester- ne: ad esempi i bravi allestitori, che sappiano fare la carbonatura delle copertine”. “Per mia esperienza le persone che provengono dall’istituto tecnico sono le più affidabili, la formazione di 5 anni è necessaria, anche perché noi abbiamo la certifi- cazione di qualità e l’operatore deve essere in grado di compilare schede, fare un rapportino di lavoro. La formazione deve essere generalista nel senso che l’opera- tore deve conoscere tutto il processo produttivo anche se è inserito in un ambito specifico, ma se dovessi assumere domani mi orienterei verso diplomati ed anche laureati con conoscenza tipografica”. 48 “Se potessi prenderei un allestitore, che sappia fare bene il lavoro manuale ed un operatore in grado di controllare i file e, se richiesto dal cliente, sappia anche crearli, conoscendo il processo di stampa. Ma c’è poco spazio ormai nel settore, per le figure di base. Ed i più giovani poi si presentano male, chiedendo solo informa- zioni sulla paga e sull’orario lavorativo. Non vogliono lavorare il sabato, mentre il nostro lavoro è orami senza orario. Vi sono dei giorni in cui si fa poco o niente ed altri in cui si lavora ventiquattro ore di seguito. Bisogna uscire dal percorso forma- tivo con umiltà. Ritengo poi che sia sempre più importante che abbiano capacità dialettiche, che siano in grado di interagire con le persone. Io mi orienterei su un di- plomato, che abbia conoscenze informatiche”. “Io penso che ci siano troppi profili che fanno creatività, non ho interesse ad acquisire un creativo, preferisco un informatico, magari che sappia qualcosa di gra- fica, focalizzato sulle attività operative”. “Abbiamo avuto grandi delusioni per l’aspetto commerciale. I ragazzi che ven- gono dalle scuole grafiche sono poco spendibili sull’aspetto commerciale. Insisterei su questo, su come si fa un preventivo, come si gestisce una commessa, perché og- gi le aziende devono andare a cercarsi il cliente. Consiglierei dunque di unire com- petenze di stampa, legatoria, ecc. con quelle di gestione database e commerciali. Occorre considerare che, a parte il settore grafico, vi sono sempre più aziende che hanno internalizzato la funzione comunicazione/marketing”. “Per la gestione della stampa si deve essere in grado di risolvere le problemati- che di supporto del colore, dell’inchiostro, conoscere la perforazione e la lucidatura, conoscere e saper utilizzare i diversi materiali su cui è possibile stampare. Io poten- zierei anche il post stampa, soprattutto la legatoria. Un bravo piegatore e allestitore è importante per l’azienda e si tratta di una figura non sostituibile con un informatico, che non sa apprezzare la parte estetica. Un ultimo aspetto da sviluppare è la capacità di lettura e di individuazione di eventuali errori ortografici e grammaticali”. “Le competenze tecniche sono necessarie, ma lo studente deve essere consape- vole che il macchinario e la tecnica possono cambiare velocemente e che bisogna impadronirsi della logica, arrivare al risultato, predisponendo un contenuto affinché qualcuno lo possa percepire. Preferisco per tutti i livelli, dalla figura di base al lau- reato, una formazione generalista: strumenti e competenze vaste, con punti fermi. Vi sono aspetti che non cambiano se cambia la tecnologia: 10 anni avevamo le pel- licole, ma il concetto di immagine, di colore, la bidimensionalità, la tridimensiona- lità sono concetti base, patrimonio universale”. “Non solo per il nostro settore, c’è una grande carenza di programmatori. Nel- l’ambito del web to print, anche in produzione, non è importante il titolo di studio, bisogna sapere capire un processo produttivo che è ultraottimizzato per avere tempi rapidissimi. Direi che c’è bisogno di una forte curiosità intellettuale e sicuramente conoscere bene come funziona internet. Per i nuovi assunti, facciamo un test di am- missione, il candidato deve sì dimostrare di conoscere la macchina, ma più impor- 49 tate è l’approccio nei confronti del lavoro, deve essere una persona duttile, versati- le, adattabile, curiosa”. “Recentemente abbiamo acquisito nuove professionalità per potenziare la fun- zione logistica e quella di programmazione e pianificazione. In futuro avremmo bi- sogno di figure in grado di gestire la stampa digitale, ma che conoscano tutto il ci- clo produttivo, che sappiano inserirsi in maniera consapevole all’interno dei proces- si. Si tratta di figure trasversali, non riconducibili alle tradizionali classificazioni. Per quanto riguarda le competenze specifiche, un po’ di informatica serve sempre, conoscenze di prestampa e poi, più specificamente, conoscere le caratteristiche della carta, degli inchiostri, la gestione del colore ed infine competenze legate alla finitura, alla legatoria”. “Sicuramente avremo bisogno di figure che si occupano di sistemi informativi, in considerazione della spinta verso il mondo digitale e poi di figure correlate al marketing sul web. In generale, cerchiamo attitudini informatiche spiccate, non si deve esser solo un bravo impaginatore, ma anche saper gestire il dato digitale in maniera più complessa ed articolata, sapere costruire siti. Non trascurerei una co- noscenza minima, anche se meglio approfondita, di una lingua, quantomeno l’ingle- se che è la chiave interpretativa minima per poter utilizzare i software. In linea ge- nerale, ritengo più funzionale formare una figura specializzata con però una apertu- ra mentale all’apprendimento che non una figura con conoscenze e competenze più ampie, ma senza propensione all’apprendimento”. “Il settore offre sbocchi molto limitati alle figure con una formazione di base, bisogna avere più professionalità e più cultura e sempre più le aziende coprono le posizioni operative con diplomati o addirittura laureati. Ritengo che ci sarà sempre bisogno di stampatori, sempre più di stampa digitale, ma in numeri ridotti rispetto al passato, e di legatori. Inoltre, c’è necessità di reintrodurre la formazione finaliz- zata alla gestione anche economica della commessa, importante per tutti, ma soprat- tutto per le figure manageriali o che hanno la responsabilità di un reparto”. 51 L’Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti grafiche di Trento trae le sue origi- ni dalle esperienze educative e dal sistema di valori propri della Congregazione fon- data nel 1847 dal beato L. Pavoni, sacerdote bresciano che dedicò la sua vita ai gio- vani poveri e fondò la prima scuola grafica in Italia a Brescia nel 1821. In questa struttura, convenzionata con la Provincia Autonoma di Trento, religiosi e laici offrono agli adolescenti e ai giovani una proposta educativa che concorre alla for- mazione della persona in tutte le sue componenti: cognitiva, emozionale, religiosa, relazionale e valoriale. Si tratta di una istituzione prestigiosa, che anche in virtù di essere dislocata ed operare nell’ambito di una Provincia Autonoma come quella di Trento, con com- petenze particolari in ambito educativo, ha la possibilità di sperimentare soluzioni organizzative e didattiche innovative. Per questo motivo, è apparso opportuno verificare quale strategia e quale offerta formativa l’Artigianelli di Trento abbia sviluppato negli ultimi anni per fornire una risposta efficace sia alle esigenze delle imprese sia a quelle della propria utenza. Nello specifico, è stato intervistato il prof. Marco Franceschini, coordinatore didattico e responsabile dell’Alta Formazione. 6.1. L’OFFERTA FORMATIVA A fronte delle profonde trasformazioni che hanno interessato il comparto grafi- co, l’offerta formativa della scuola grafica di Trento è stata interessata da significa- tive innovazioni che ne hanno ridisegnato profondamente contenuti e struttura. Gli spazi occupazionali nel settore, infatti, si sono progressivamente ristretti, e non solo a causa della recente crisi economica, ma anche per la crisi strutturale del comparto dell’editoria e della stampa “su carta” e per l’introduzione della digitaliz- zazione nei processi produttivi. Mentre negli Anni ’80-’90 per i qualificati dei percorsi di Formazione Professio- nale di base attivati dall’Istituto era praticamente garantita la piena occupazione, col tempo il mercato del lavoro di riferimento si è progressivamente contratto, in genera- le, e ha assunto caratteristiche nuove, aprendosi a settori “attigui” e richiedendo una formazione allo stesso tempo più ampia (si pensi all’informatica) e più specialistica. Fino al 2000, l’Artigianelli si è caratterizzato come scuola grafica professiona- le di durata triennale orientata alla grafica e alla stampa, che formava profili molto specifici, come i tipografi ed i fotolitografici, qualifiche ormai obsolete. 6. L’ISTITUTO PAVONIANO ARTIGIANELLI PER LE ARTI GRAFICHE DI TRENTO 52 Nel corso di 15 anni è veramente cambiato tutto nel settore della comunicazio- ne, della grafica, ecc. e la scuola ha cercato di innovarsi di conseguenza. Attualmente oltre al triennio iniziale, l’istituto propone un quarto anno di stu- dio, attivabile nell’ambito dei percorsi IeFP-Istruzione e Formazione Professionale, ma garantisce anche la possibilità di proseguire ulteriormente fino a percorsi di “alta formazione”. Nello specifico, la filiera formativa proposta si articola in: 1) Un triennio di formazione per il conseguimento della qualifica di operatore gra- fico multimediale, in linea con la normativa nazionale. 2) Un quarto anno per il conseguimento del diploma di tecnico grafico multime- diale, anch’esso previsto nel quadro dei percorsi IeFP. 3) Dopo il 4° anno è possibile iscriversi al 5° anno di scuola secondaria di II gra- do. Inoltre, a partire dal corrente anno scolastico è in atto una sperimentazione, denominata CAPES, che istituisce sperimentalmente un nuovo percorso che porta al conseguimento di un titolo equivalente alla “maturità professionale” nel settore delle “produzioni artigianali ed industriali”. 4) Percorsi di Alta Formazione che, nella Provincia Autonoma di Trento, corri- spondono sostanzialmente a quelli attivati negli Istituti Tecnici Superiori, formando un “tecnico superiore nelle arti grafiche”. In buona sostanza, anche in virtù dell’autonomia della Provincia, e delle sue competenze in tema di istruzione e formazione, l’Istituto Pavoniano ha potuto negli anni sperimentare innovazioni e soluzioni metodologiche e strutturali che possono essere di riferimento (come lo sono state altre esperienze nel passato) per proporre miglioramenti ed innovazioni a livello nazionale. Occorre poi considerare che la possibilità di proporre soluzioni di studio così di- versificate, che abbracciano anche la formazione superiore, è garantita anche dal fat- to che, sulla base del quadro nazionale di riferimento, la Provincia di Trento ha isti- tuito il quarto anno del percorso di IeFP, azione che non tutte le Regioni hanno fatto. In linea generale, l’Istituto ritiene che, nonostante la possibilità di conseguire una qualifica triennale e un titolo per il 4° anno ulteriore, il percorso ideale per gli operatori grafici sia quantomeno quello quinquennale, perché non è possibile svi- luppare adeguate competenze nella multimedialità in soli tre anni. Per rispondere al mercato di riferimento, infatti, è necessario non fermarsi alla “carta”, ma affrontare il web, le apps, i video, la fotografia, tanti ambiti professionali da approfondire. Tale prospettiva è comunicata ed illustrata molto chiaramente ai ragazzi che in- tendono iscriversi al primo anno. Nei fatti, è dall’anno formativo 2006-2007 che nessun allievo dell’Artigianelli si ferma al terzo anno, e solo qualcuno si ferma al quarto anno, ma perché trova lavoro di solito nell’azienda in cui effettua lo stage. Se tutti arrivano dunque al quinto anno, potendo oggi anche scegliere tra le due opzioni proposte (quinto anno scolastico, in convenzione con un istituto secondario di II grado oppure percorso sperimentale all’interno dell’istituto Pavoniano-Artigia- 53 nelli), quote significative di diplomati richiedono di continuare gli studi nei percor- si di Alta formazione, che sono percorsi biennali aperti a tutti i diplomati, che pun- tano sulla ulteriore specializzazione e nei quali è possibile sviluppare progetti inno- vativi. Il titolo rilasciato è equivalente a quello dei percorsi di Istruzione tecnica su- periore e corrisponde al livello 5 del framework europeo. Le innovazioni introdotte nella propria offerta formativa hanno comportato un profondo cambiamento nell’istituto, anche dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi, dell’aggiornamento e delle competenze richieste ai docenti; sono stati assunti nuovi docenti e si fa ricorso anche a molti consulenti esterni, cui vengono affidati soprattutto i moduli più avanzati e specialistici. 6.2. L’IMPOSTAZIONE DIDATTICA DEL PERCORSO GRAFICO La ridefinizione dell’offerta formativa dell’Istituto Pavoniano di Trento non ha riguardato solo la costruzione di una filiera coerente che permette di conseguire ti- toli via via più elevati, ma ha soprattutto implicato un ripensamento profondo dei contenuti e delle modalità didattiche, l’adozione di soluzioni innovative e l’attiva- zione di sperimentazioni didattico-metodologiche ed organizzative. Il quadro complessivo della struttura, delle discipline e delle metodologie adot- tate è illustrato sinteticamente nella Figura 5. Come è possibile osservare, si tratta di una strutturazione a rete, in cui non so- lo vi è una progressione verticale a livello di anno di corso, ma anche una connes- sione logica ed un’articolazione che aumenta progressivamente di complessità nel- l’ambito dei diversi filoni disciplinari. Per quanto riguarda il percorso triennale, la scelta di fondo è stata non solo quella di puntare decisamente sul multimediale, ma anche di raggruppare tutte le di- scipline tecniche in un’unica disciplina denominata “grafica multicanale” che inclu- de tutti i processi di lavorazione, dalla fotografia, il video, la stampa, la progettazio- ne, il web, la creazione delle apps, ecc. Questo per far arrivare ai ragazzi il messaggio che oggi, in base alle analisi del mercato del lavoro settoriale effettuate dall’Istituto, occorre partire da competenze molto ampie, per poi specializzarsi successivamente. L’obiettivo è quello di svilup- pare negli studenti la capacità di saper conoscere e gestire tutti i processi che ven- gono attivati in un progetto di comunicazione. Inoltre, molta importanza è attribuita alle discipline di base, soprattutto all’area umanistica, che hanno un peso significativo in termini di ore di lezione. Tale scelta è stata effettuata anche andando controcorrente rispetto alle richieste degli impren- ditori, che mettono l’accento soprattutto sulla preparazione “tecnica” degli studenti, che richiedono “ragazzi preparati, che devono essere bravi sulle macchine”, ma che fanno riferimento al breve periodo, alle attuali dotazioni tecnologie e strumentali, alle attuali caratteristiche del mercato; si è cercato, invece, di assumere una prospet- 54 tiva di respiro più ampio, fornendo quelle competenze che permettano agli studenti di essere in grado di aggiornarsi negli anni, di essere reattivi rispetto ad un lavoro che probabilmente tra 10-20 sarà completamente diverso. Un altro motivo sotteso alla suddetta scelta è la considerazione, l’importanza della comunicazione in termi- ni di contenuti e non solo di capacità esecutiva: gli studenti che si approcciano al settore grafico oggi devono essere in grado di scrivere e parlare bene, di sviluppare le cosiddette life skill. La parte oraria dedicata alle materie tecniche grafiche, come già accennato rag- gruppate sotto la denominazione “grafica multimediale”, prevede in effetti una par- te di ore (6 ore settimanali che diventano 8 al terzo anno) relativa alla “flussografi- ca”, dedicata allo sviluppo e realizzazione di progetti che coinvolgono attività ine- renti tutto il flusso operativo grafico. Nello specifico, ogni trimestre gli studenti sono chiamati a sviluppare un pro- getto, in maniera individuale: ad esempio il progetto di una rivista, di cui devono curare tutti gli aspetti, i contenuti, la comunicazione, l’impaginazione, la realizza- zione a stampa e/o web, ecc. Rimanendo nell’ambito della “grafica multicanale”, anche nel triennio, nono- stante l’impostazione generalista complessiva, vi è comunque spazio per una perso- nalizzazione e prima specializzazione di tipo orientativo. Infatti, il percorso triennale prevede anche delle ore (4 ore settimanali) in cui il gruppo classe (di solito molto numeroso, in quanto composto da 27-28 ragazzi) vie- ne diviso in tre sottogruppi, i quali sviluppano tre progetti in ambiti tecnici grafici diversi. La divisione avviene in base alle inclinazioni, interessi e capacità potenzia- li dello studente, ed in questo caso il progetto viene sviluppato attraverso un lavoro di gruppo, sotto la guida di un docente. 55 F ig . 5 - Q ua dr o co m pl es si vo d el la s tr ut tu ra , d el le d is ci pl in e e de ll e m et od ol og ie a do tt at e (I st it ut o P av on ia no A rt ig ia ne ll i pe r le A rt i gr af ic he d i T re nt o) . 56 I tre ambiti previsti per i sottogruppi sono: al primo anno, processi di stampa, fotografia (che viene realizzata con metodologia CLIL-in lingua inglese) e grafica e packaging. Quest’ultimo ambito è stato introdotto nell’ultimo anno scolastico perché quello del packaging è un settore in forte crescita; al secondo anno, processi di stam- pa, video e packaging ed al terzo anno, processi di stampa, video e rivista digitale. Il quadro orario è completato da un progetto nuovo, denominato St-art, acroni- mo scelto proprio per dare l’idea di una partenza, di “un qualcosa che si accende”. Si tratta una personalizzazione e specializzazione più accentuata, in quanto lo stu- dente sceglie, a partire dal secondo anno, un’area di interesse/specializzazione e porta avanti il suo progetto. Questa opzione ha anche una forte valenza motivazionale, perché permette allo studente di impegnarsi nell’ambito che gli piace di più e in cui vorrebbe inserirsi. Dal punto di visto organizzativo, la scuola fa ricorso anche ai docenti e professioni- sti esterni. Le aree del progetto St-art sono design, animazione, controllo qualità, ICT, Social e serigrafia e sono state individuate in base ad analisi dei fabbisogni e alla conoscenza del mondo produttivo grafico. Il quarto ed il quinto anno di corso sono coerenti e strettamente correlati ai con- tenuti e alle metodologie sviluppate nei precedenti tre anni di corso, ma vengono rafforzate le metodologie innovative ed il raccordo con il mondo del lavoro. In particolare, il quarto anno si caratterizza per essere svolto in alternanza scuo- la lavoro, e per una più decisa impostazione progettuale. Il quarto anno, in base al- l’esperienza dell’intervistato, è un anno fondamentale, di snodo, in cui lo studente “spicca il volo”, comprende il valore dell’autonomia, apprende a rispettare i tempi di lavoro reali e a verificare l’importanza delle competenze sviluppate. In relazione alle competenze tecniche, al quarto anno, gli studenti possono sce- gliere di frequentare 4 moduli sui 5 proposti (web, progettazione, workflow, comu- nicazione in modalità CLIL e preventivistica), lavorando sempre per progetti. Que- sti ultimi prevedono anche il coinvolgimento di “committenti esterni” – solitamente associazioni non profit per non fare concorrenza al mercato – con cui gli studenti entrano in relazione in un rapporto fornitore-cliente (e devono affrontare problema- tiche quali i tempi di consegna, preventivi, ecc.) Al quinto anno di corso, infine, l’impostazione della didattica si fonda su tre progetti trimestrali, relativi al project work, al web e alle tecnologie e processi di produzione, rispetto ai quali gli studenti sono tenuti a preparare tre tesine da presen- tare all’esame finale. Esso si caratterizza inoltre per la possibilità di effettuare uno stage all’estero. 6.3. IL RAPPORTO CON LE IMPRESE La rete di relazioni e contatti per le imprese del settore grafico in senso ampio è fondamentale. L’istituto può contare su circa 50 imprese con le quali si è svilup- 57 pata nel tempo una collaborazione molto stretta, agevolata dal fatto che la Provin- cia di Trento ha un’estensione limitata che facilita le relazioni sul territorio. La rete relazionale comunque travalica i confini provinciali: le esperienze di stage sono svolte, come si è detto, all’estero (al quinto anno), ma anche in imprese di province limitrofe come Verona e Milano. L’abbinamento studente-azienda viene effettuato a partire dalle competenze e/o inclinazioni dello studente stesso e le esperienze di lavoro vengono realizzate in di- verse tipologie di azienda. Soprattutto negli ultimi anni, capita sempre più spesso che lo stage venga realizzato in imprese che non appartengono al settore grafico, ma che hanno al proprio interno un ufficio marketing, piuttosto che di sviluppo grafico o di comunicazione. Per quanto la classica tipografia rimanga un riferimento impor- tante, siamo andati a cercare le nicchie di mercato, tra le quali ad esempio il settore dell’arredamento e della moda. Gli esiti occupazionali dei diplomati sono ritenuti soddisfacenti. In relazione agli ultimi diplomati, circa il 50% si è inserito nel mondo del lavoro (con forme più o meno stabili: assunzioni, lavoro interinale, tirocini), ma l’altro 50% si è orientato verso il proseguimento degli studi, nell’Alta Formazione ma anche all’università. Quest’ultimo aspetto è considerato del tutto positivo, perché consente di presentare l’offerta dell’istituto come un’offerta valida, che permette di giungere ai più alti livelli educativi e allo stesso tempo fornisce un’adeguata preparazione a chi vuole inserirsi subito nel mondo del lavoro. 59 7.1. LE ATTIVITÀ DELL’ENIPG L’ENIPG – Ente Nazionale Istruzione Professionale Grafica è un ente bilatera- le nato 60 anni fa, costituito tra le associazioni nazionali sindacali e datoriali del set- tore grafico. La finalità istituzionale è quella coordinare e potenziare le iniziative volte alla Formazione Professionale delle maestranze grafiche ed alla loro elevazio- ne culturale, costituendo, in tal modo, il qualificato tramite tra il settore del lavoro e quello della scuola. Esso costituisce dunque un osservatorio privilegiato dell’evoluzione del settore e dei fabbisogni formativi e professionali emergenti. Ma soprattutto si pone come “facilitatore” dello scambio di informazioni e collaborazione tra soggetti della formazione e mondo del lavoro, con l’obiettivo di tenere alto l’“understanding” del settore e tracciare la direzione della formazione grafica iniziale e continua. Da questo punto di vista, le trasformazioni profonde indotte dalle innovazioni tecnologiche e dalla pervasività del digitale nel settore grafico, una volta sostanzial- mente identificabile nella stampa e nell’editoria, hanno ormai ampliato significati- vamente i “confini” del settore a tutto ciò che concerne la comunicazione visiva e la pluralità di mezzi e strumenti con cui essa si realizza. La formazione in campo grafico ha di conseguenza ampliato i suoi orizzonti: temi quali il packaging, il web e gli strumenti multimediali sono diventati/devono diventare parte integrante dell’offerta formativa. A seguito della crisi del settore, dovuta in gran parte alla rivoluzione digitale e alla contrazione dei mercati tradizionali e poi acuita dalla crisi economica degli ultimi anni, è emerso con tutta evidenza come un ambito che ha saputo reagire alla crisi, e che risulta di estremo interesse sul versante dell’offerta formativa, è quello della cartotecnica, rispetto al quale l’ENIPG sta sensibilizzando il mondo della scuola e della formazione. Il settore della cartotecnica ha saputo fronteggiare le difficoltà di mercato con strumenti innovativi, con l’innovazione delle tradizionali forme di packaging, guardando sia alle soluzioni ecoambientali, sia a quelle corre- late al mantenimento dei prodotti. La collaborazione con il sistema scolastico si concretizza in una pluralità di at- tività, nell’ambito della cornice rappresentata da specifici protocolli d’intesa con il MIUR. Dopo un primo protocollo, scaduto nel 2014, è stato recentemente (27 apri- le 2015) rinnovato il reciproco impegno, con un protocollo finalizzato a rafforzare 7. UN OSSERVATORIO PRIVILEGIATO SUI FABBISOGNI FORMATIVI E PROFESSIONALI DEL SETTORE: IL RUOLO E LE ATTIVITÀ DELL’ENIPG - ENTE NAZIONALE ISTRUZIONE PROFESSIONALE GRAFICA 60 il rapporto tra scuola e mondo del lavoro, che vede anche il coinvolgimento del- l’ARGI, l’Associazione Italiana Fornitori Grafica che raggruppa 34 fornitori di macchine da stampa, attrezzature e servizi dedicati all’industria grafica. Tra le attività qualificanti il rapporto con il sistema scolastico è possibile citare il “Progetto Scuole” avviato recentemente da ARGI e ENIPG, dedicato a sostenere le 37 scuole grafiche appartenenti al circuito ENIPG attraverso la fornitura di mate- riali per i laboratori didattici, a titolo sostanzialmente gratuito, contenuti culturali e stage formativi per gli studenti. L’obiettivo è quello di far sì che gli studenti appro- dino al mondo del lavoro con una esperienza pregressa sulle macchine di ultima generazione, e dunque con un curriculum più appetibile per le aziende del settore. Tale iniziativa funge anche da stimolo all’aggiornamento dei docenti, che sono chiamati a misurarsi con le più recenti innovazioni tecnologiche. L’azione di sensibilizzazione ed informazione rispetto alle innovazioni e ai set- tori trainanti nel mondo grafico è perseguita anche attraverso la realizzazione di con- corsi, anch’essi rivolti agli studenti di scuole grafiche e/o istituti d’istruzione grafi- ca. Le più recenti iniziative hanno riguardato diverse forme di comunicazione, quali le etichette, i loghi, il packaging ed attualmente è in corso un bando per la progetta- zione di un gadget originale, in carta o cartone e la realizzazione di un manifesto.1 L’ENIPG ritiene strategica anche la formazione dei formatori e ha implemen- tato una piattaforma per l’erogazione di contenuti in modalità FAD, attraverso la quale, oltre all’aggiornamento sull’andamento del mercato, sono disponibili spazi di discussione e vi è la possibilità di mettere in contatto scuole e case costruttrici. Tale piattaforma verrà utilizzata nel 2016 anche per la predisposizione e diffusio- ne di materiali didattici relativi al mondo della previdenza e della sanità complemen- tare. I giovani che si inseriscono oggi nel mercato del lavoro devono essere consape- voli delle trasformazioni del sistema di welfare ed essere in grado di valutare il valo- re, nel lungo periodo, di un contratto di lavoro, al di là del mero stipendio mensile. Sul versante lavorativo, l’Enipg è infine attiva nella formazione continua, svol- gendo un ruolo di raccordo tra le imprese e Fondimpresa, il più importante fondo interprofessionale per la formazione continua, e partecipando ai bandi nazionali in- detti dal Fondo stesso. 7.2. I FABBISOGNI PROFESSIONALI E FORMATIVI DEL SETTORE ED IL RUOLO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DI BASE In base ai dati diffusi dal MIUR in occasione dell’evento dedicato a celebrare il sessantesimo anniversario dell’ENIPG, le iscrizioni ai percorsi tecnici e profes- sionali in ambito grafico negli ultimi due anni si sono triplicate, a testimonianza 1 Il Bando di concorso è stato indetto dall’Associazione Italiana dei Musei della Stampa e della Carta - AIMSC, in collaborazione con l’ENIPG e l’Associazione Francesco Griffo. 61 della forte attrazione che il settore esercita presso le giovani generazioni, anche se dal punto di vista delle opportunità lavorative, la quota di occupazione per i diplo- mati si è ridotta rispetto agli anni passati, quando ha raggiunto punte dell’80-85%. Meno opportunità occupazionali vengono registrate per la qualifica triennale. Il mondo della grafica è oggi così vasto e complesso che ha bisogno soprattutto di competenze più elevate rispetto a quelle che possono essere sviluppate in soli tre anni di studio. L’ENIPG ritiene che sia necessario almeno un quarto anno che per- metta di sviluppare ulteriormente quelle competenze generali e trasversali che sono la base ineludibile per lavorare in ambito grafico. È opinione degli intervistati che il triennio iniziale debba avere un’impronta generalista, in quanto solide conoscen- ze di base di tutto il ciclo produttivo e di tutta la filiera nelle sue diverse componen- ti sono un elemento imprescindibile per qualunque ulteriore specializzazione. Successivamente, è oramai necessario mettere in conto la frequenza di uno – meglio due anni – di specializzazione. Il consolidamento di una filiera di Formazione Professionale grafica è uno degli aspetti critici dell’attuale assetto del sistema, che si caratterizza per una diso- mogeneità e discontinuità dell’offerta nelle diverse realtà regionali: solo poche Regioni hanno attivato il quarto anno di IeFP, i percorsi di IFTS sono quasi del tutti scomparsi e pochi sono i percorsi ITS di istruzione superiore. Una maggiore continuità nell’offerta è strumentale anche al rafforzamento del legame e della collaborazione con il mondo imprenditoriale. Collaborazione, che in questo periodo di crisi è resa ancora più difficile dal fat- to che le imprese si sono concentrate solo sulla produzione – ed alcune sulla ristrut- turazione e sugli investimenti tecnologici ed organizzativi – in un approccio di bre- ve periodo che porta a trascurare gli investimenti in formazione. Gli intervistati, dal loro osservatorio, hanno infatti rilevato una diminuzione delle richieste di formazione continua e lamentano la necessità di far ripartire la “catena di trasmissione” fabbisogni-formazione tra istituzioni educative ed imprese del settore con un approccio anticipatorio rispetto alle innovazioni ed esigenze fu- ture. Ovviamente il disorientamento di molte imprese rispetto alle proprie prospet- tive di sopravvivenza e sviluppo, all’assetto futuro del mercato della comunicazio- ne, rende in questo momento arduo individuare con certezza i propri fabbisogni for- mativi e professionali e ciò si ripercuote chiaramente anche sul sistema di forma- zione iniziale. Oltre alle attività già citate, l’ENIPG sottolinea l’importanza del processo di aggiornamento e revisione delle figure professionali individuate a livello nazionale nell’ambito del contratto nazionale della grafica e dell’editoria, attualmente in cor- so di rinnovo, che ha preso atto di tutta una serie di innovazioni in maniera fedele e significativa. Dal punto di vista delle competenze, il triennio iniziale dovrebbe essere fina- lizzato a sviluppare competenze di base e competenze trasversali, a far sì che lo stu- dente acquisisca una conoscenza generale del processo produttivo e delle regole ba- 62 se della comunicazione grafica: per fare un esempio, non si può progettare una rivi- sta se non si sa come viene operativamente fatta, se non si conoscono i limiti di una brossura, di un punto metallico, di un filo refe. Occorre poi saper interpretare le esi- genze del cliente e conoscere il valore economico di una commessa e, fondamenta- le, è necessario saper lavorare in gruppo. Su queste solide basi, si dovrebbe innestare una formazione più specialistica, possibilmente articolata in un biennio, e con la possibilità di proseguire ulterior- mente con la formazione superiore. Il monitoraggio continuo del settore è fondamentale per la predisposizione di un’offerta formativa che non rincorra le novità di breve periodo. Ad esempio, per quanto rimanga una realtà produttiva interessante nell’ambito del digitale, la stam- pa on demand ha visto un significativo ridimensionamento delle aspettative iniziali. Peraltro il “mondo dei supporti”, dei materiali su cui stampare è oggi praticamente infinito e la comunicazione vive a ritmi sostenutissimi (dove una volta c’era il ma- nifesto statico oggi troviamo gli schermi a led, su cui scorrono molti messaggi ogni minuto), ma le regole di base, quelle di impaginazione ad esempio, o di uso ed ac- costamento dei colori, rimangono le stesse perché servono a facilitare la comunica- zione, a rendere più agevole e piacevole la lettura. L’operatore grafico specializzato deve essere in grado di “fare la differenza”, anche dal punto di vista dell’accuratez- za del messaggio visivo. 63 8. GLI STRUMENTI DI RILEVAZIONE IL QUESTIONARIO PER L’INDAGINE CAWI SULLE IMPRESE 64 QUESTIONARIO SUI FABBISOGNI PROFESSIONALI E FORMATIVI DEL SETTORE GRAFICO Roma, 2015 65 A. INFORMAZIONI GENERALI SULL’IMPRESA 1. Tipologia impresa (indicare l’attività principale una sola risposta) - Impresa grafica “a ciclo completo” q Dom. 1a - Cartotecnica q - Legatoria q - Service di prestampa (tradizionale – digitale) q - Service di stampa (tradizionale – digitale) q - Studio fotografico q - Studio grafico q - Web agency q - Agenzia di comunicazione q - Altro (specificare________________________) q 1.a. (Per imprese grafiche “a ciclo completo”) Specificare fasi di lavorazione presenti: - Prestampa q - Stampa q - Legatoria q - Cartotecnica q 2. Quali tipologie di servizi offrite attualmente? E quali servizi attualmente non presenti pensate di introdurre nei prossimi due anni? (sono possibili più risposte) Servizi Servizi che offerti si intende introdurre nei prossimi 2 anni - Fotografia q q - Stampa digitale piccolo formato q q - Stampa commerciale q q - Editoria digitale q q - Stampa editoriale q q - Stampa 3D q q - Video e multimedia q q - Legatoria e cartotecnica q q - Merchandising q q - Packaging q q - Progettazione grafica q q - Flessografia q q - Serigrafia q q - Web design q q - Mobile design q q - Seo e sociale media marketing q q - Web marketing q q  66 - Web to print q q - Book on demand q q - Stampa interattiva (Realtà aumentata, Qrcode) q q - Stampa digitale grande formato q q - Stampa a dati variabili q q - Altro servizio 1 (specificare __________________) q q - Altro servizio 2 (specificare __________________) q q 3. Da che anno è attiva l’impresa?  4. Provincia in cui è dislocata l’azienda (se si dispone di più sedi rispondere per la sede principale se le altre sedi sono dipendenti dalla principale, o in caso di appartenenza ad un gruppo o altre forme di aggregazione rispondere per la sede/sedi di competenza)  5. L’impresa ha altre sedi? (anche in questo caso riferirsi solo alle eventuali altre sedi “dipendenti dalla sede principale”) - Sì, nella stessa provincia q - Sì, in altre provincie della regione q - Sì, in altra/e regioni italiane q - Sì all’estero, strutture produttive q - Sì all’estero, strutture commerciali q - No q 6. Può indicare quanta parte del fatturato proviene dalla presenza/esportazione all’estero?  7. Come definirebbe la fase che la sua azienda sta attraversando? (una sola risposta) - Crescita nonostante la crisi (es. fase caratterizzata per esempio da un aumento del fatturato, miglioramento della redditività, delle quote di mercato e/o incremento dell’occupazione q - Ripresa dopo un periodo di difficoltà q - Stazionarietà in attesa di tempi migliori (es. le condizioni di mercato e le evoluzioni della domanda per il momento impediscono all’azienda di crescere) q - Ridimensionamento (es. il fatturato è in diminuzione, la struttura è diventata più piccola, gli utili ridotti) q 67 8. Qual è il suo ruolo nell’impresa? (indicare la funzione svolta dal rispondente) - Amministratore delegato q - Presidente q - Direttore q - Titolare q - Altro (specificare __________________________) q B. L’ORIENTAMENTO ALL’INNOVAZIONE 9. Come definirebbe rispetto ai seguenti aspetti dell’attività aziendale il livello di innovazione della sua impresa (1 risposta per riga) Alto Medio Basso Non pertinente2 - Prodotti/Servizi q q q q - Processo produttivo e impianti q q q q (tecniche utilizzate, impianti, ...) - Organizzazione del lavoro (sistema di q q q q incentivi, modalità valutazione risultati, ecc. ) - Servizi di supporto alla produzione e alla q q q q vendita (analisi di mercato, strategie di marketing, pubblicità, ...) - Sistemi informatici e tecnologie q q q q - Servizi al cliente (assistenza e q q q q consulenza al cliente, post vendita, ecc.) - Ricerca e sviluppo q q q q 10. Negli ultimi tre anni la sua azienda ha attuato innovazioni rilevanti sui seguenti ambiti di attività? (1 risposta per riga) Sì No - Creazione di nuovi prodotti e/o servizi q q - Ingresso in nuovi mercati territoriali q q - Ingresso in nuovi settori di attività q q - Miglioramento gestione finanziaria q q - Introduzione certificazioni (di qualità, ambientali, ecc.) q q - Miglioramento dei canali di vendita/funzione commerciale q q - Introduzione di nuove tecnologie/macchinari funzionali al miglioramento dei processi di lavoro q q 2 Indicare non pertinente quando la funzione non è attiva nella sua impresa (può essere il caso di piccole imprese che non fanno ricerca e sviluppo ecc.) 68 11. Negli ultimi tre anni ha acquistato: (sono possibili più risposte) - Macchina da stampa digitale piccolo formato q - Computer q - Adobe creative suite q - Ctp - computer to plate q - Macchina da stampa off set q - Software per la gestione della produzione q - Altro software specifico per il settore grafico q - Attrezzatura fotografica q - Plotter da intaglio q - Attrezzatura di legatoria, cartotecnica q - Software 3d q - Macchina da stampa digitale grande formato q - Mobile devices per la produzione (specificare tipologia es tablet, smartphone ________) q - Attrezzatura audio-video q - Stampante 3d q - Altri sistemi di stampa (specificare tipologia come ad esempio macchina tampografica, macchina serigrafica, macchina flessografica, ecc. ____________________) q - Altro (specificare ____________________________) q - Nessun acquisto di macchinari/prodotti/servizi q (esclude tutte le altre)  (per tutti) 12. Nei prossimi tre anni ha intenzione di acquistare uno o più dei seguenti macchinari/tecnologie? - Macchina da stampa digitale piccolo formato q - Computer q - Adobe creative suite q - Ctp – computer to plate q - Macchina da stampa off set q - Software per la gestione della produzione q - Altro software specifico per il settore grafico q - Attrezzatura fotografica q - Plotter da intaglio q - Attrezzatura di legatoria, cartotecnica q - Software 3d q - Macchina da stampa digitale grande formato q - Mobile devices per la produzione (specificare q tipologia es tablet, smartphone _________________) - Attrezzatura audio-video q 69 - Stampante 3d q - Altri sistemi di stampa (specificare tipologia come ad esempio macchina tampografica, macchina serigrafica, macchina flessografica, ecc. ___________________) q - Altro (specificare ____________________________) q - Non ho intenzione di acquistare macchinari/tecnologie (esclude tutte le altre) q C. RISORSE UMANE IN IMPRESA 13. Numero addetti totale nel 2014 (compresi collaboratori, titolari, soci, ecc. se lavoratori):  di cui: - Dipendenti  - Fino a 18 anni  - Da 20 a 24 anni  - Con contratto di apprendistato  14. Negli ultimi tre anni, il numero dei lavoratori nella sua azienda è? (1 sola risposta) - Aumentato q - Diminuito q - Rimasto invariato q D. FABBISOGNI DI COMPETENZE 15. Negli ultimi tre anni, l’azienda ha avuto bisogno di acquisire nuove compe- tenze (aggiornamento del personale) e professionalità (introduzione di nuove figure professionali)? (possibili più risposte alternative, o sì o no) - Sì, l’azienda ha dovuto acquisire professionalità/compe- tenze del tutto nuove che prima non erano presenti q - Sì, l’azienda ha dovuto potenziare alcune aree di competenza, che erano diventate obsolete (aggiornamento del personale) q - Sì, l’azienda ha dovuto acquisire professionalità, in sostituzione di professionalità non più presenti (ad es. per pensionamento, licenziamento, ecc.) q 70 - No, non ho potuto farlo ma avrei bisogno di acquisire professionalità/competenze del tutto nuove che non sono presenti in azienda q - No, non ho potuto farlo ma avrei bisogno di potenziare alcune aree di competenza, che sono diventate obsolete q - No, non ho potuto farlo ma avrei bisogno di acquisire professionalità, in sostituzione di professionalità non più presenti (ad es. per pensionamento, licenziamento, ecc.) q - No, non ho alcun bisogno ( andare alla domanda 20) q  Per tutti tranne per chi ha indicato di non avere alcun bisogno alla dom. 15 16. Può indicare per quali delle seguenti aree è stato/sarebbe necessario acquisi- re nuove professionalità e competenze (possibili più risposte per colonna) Nuove Nuove Figure in professionalità competenze sostituzione - Ricerca e sviluppo q q q - Staff/supporto q q q - Risorse umane q q q - Produzione q q q - Legale q q q - Commerciale - Marketing q q q - Amministrazione e gestione q q q  Se ha risposto agli item 1 (ricerca e sviluppo) e/o 4 (Produzione) della domanda 16 (per le nuove professionalità e/o figure in sostituzione) 17. Può indicare quali sono le figure professionali di cui ha o avrebbe principal- mente bisogno? (da 1 ad un massimo di 3, in ordine di importanza. Indichi la definizione che si avvicina di più alla figura di cui ha/avrebbe bisogno; se altro tipo di figura professionale aggiungere) (Per ognuna che viene scelta specificare esattamente di che figura si tratta) 1° Figura 2° Figura 3° Figura professionale professionale professionale q q q - Progettista q q q - Prestampatore q q q - Stampatore tradizionale q q q - Stampatore in ambito digitale q q q - Fotografo q q q - Cartotecnico q q q 71 - Legatore q q q - Programmatore q q q - Web/Mobile designer q q q - Web Producer q q q - Video Maker q q q - Altra figura (specificare ____________) q q q - Altra figura (specificare ____________) q q q - Altra figura (specificare ____________) q q q 18. Per una o più delle figure professionali indicate, prenderebbe in considera- zione una persona in possesso di qualifica professionale triennale coerente con la figura richiesta (tre anni di studio dopo la terza media)? (una risposta per ciascuna figura professionale indicata) 1a 2a 3a figura figura figura - Sì, se avesse anche una esperienza di lavoro pregressa q q q - Sì, perché ritengo abbia acquisito una valida formazione q q q - Sì, perché si tratta di una figura molto operativa q q q - Sì, perché _____________________________________ q q q - No, perché è necessaria una formazione tecnica superiore q q q - No, perché la formazione attualmente impartita è inadeguata q q q - No, perché si tratta di figure troppo esecutive q q q - No, perché ____________________________________ q q q 19. Quali sono le più importanti conoscenze di base/skill/competenze tecniche che dovrebbero possedere le figure professionali richieste? (indicarne al massimo due per ciascun gruppo proposto e figura professionale) 1° Figura 2° Figura 3° Figura professionale professionale professionale Conoscenze di base - Lingua inglese q q q - Altre lingue straniere q q q - Conoscenza del settore grafico q q q - Conoscenze informatiche q q q - Capacità di lettura e comprensione di testi, conoscenze matematiche di base q q q - Conoscenze di marketing q q q - Altro (specificare _________________) q q q Skill trasversali - Capacità di innovare q q q - Flessibilità q q q - Capacità di lavorare in gruppo q q q 72 - Problem solving q q q - Capacità di rapportarsi con colleghi e superiori q q q - Capacità di rapportarsi con i clienti q q q - Altro (specificare ________________) q q q 1° Figura 2° Figura 3° Figura professionale professionale professionale Competenze tecniche - Competenze nel web, web marketing e social media marketing q q q - Competenze di audio/video q q q - Competenze di editoria digitale q q q - Competenze di programmazione informatica q q q - Competenze di gestione del flusso di lavoro q q q - Competenze specialistiche della figura (specificare) q q q - Altro (specificare ________________) q q q E. LA FORMAZIONE  Per tutti 20. Che rilievo assume l’aggiornamento delle competenze per l’azienda? - È centrale, pressoché tutti i dipendenti sono annualmente coinvolti in percorsi di formazione/aggiornamento q - L’azienda tiene molto a questo aspetto, anche se forse qualche sforzo in più potrebbe essere fatto q - Pur avendo un ruolo di primo piano, la difficile situazione economica sta imponendo dei tagli anche su tale voce del bilancio q - L’azienda ormai fa poco o nulla q 21. Generalmente, come l’azienda cura l’aggiornamento professionale dei propri dipendenti? (possibili più risposte) - Attraverso la partecipazione a corsi/seminari organizzati dalle associazioni di rappresentanza q - Attraverso la partecipazione a corsi/seminari organizzati da enti di formazione professionale q - Attraverso la partecipazione a corsi/seminari organizzati da altri soggetti (specificare ________________________________) q 73 - Attraverso lo scambio con fornitori e/o clienti che diventa occasione per trasferire nuove conoscenze, tecniche di produzione, etc. q - Attraverso la partecipazione a fiere ed eventi specifici del settore in cui opera l’azienda q - Attraverso dei consulenti o formatori (sia interni che esterni) q - Attraverso contatti con enti di ricerca, poli tecnologici, ecc. q - Attraverso il lavoro quotidiano in azienda, che costituisce la migliore occasione di apprendimento q - Altro (specificare ________________________________) q 22. Può indicare quali sono gli argomenti/competenze sui quali ritiene di avere bisogno di formare/aggiornare il suo personale nei prossimi due anni? ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ 75 LA GRIGLIA DI DOMANDE PER L’INTERVISTA IN PROFONDITÀ 76 A. Descrizione dell’azienda - Settore, tipi di lavorazione, dimensione, mercati, tipologia di clienti (individua- li, grandi aziende, ecc., lavorazione conto terzi, ecc.) - Ruolo dell’intervistato/intervistati nell’azienda B. Strategie di mercato e organizzative - Reazione alla crisi - Ampliamento/diminuzione portafoglio prodotti/servizi – nuove nicchie di mercato - Caratteristiche ed evoluzione delle domanda - Modello organizzativo dell’azienda e modifiche apportate negli ultimi anni, per rispondere alle sfide del mercato - Quale tipo di servizio di grafica e comunicazione non è in grado attualmente di soddisfare con i suoi processi? C. Innovazione tecnologica e sviluppi futuri - Innovazioni tecnologiche eventualmente effettuate, e motivazione dell’innova- zione - Qual è stato l’impatto del digitale sulla azienda - Quali sono a suo parere i nuovi campi di applicazione che la grafica ha scoper- to rispetto a tre anni fa? - Quali saranno i mercati/i prodotti più importanti nel prossimo futuro e come l’azienda si sta attrezzando per rispondere alle nuove esigenze - Quanto usufruisce del servizio di stampa online? Ritiene che il servizio di queste aziende sia soddisfacente? (vantaggi, svantaggi) (forse solo per aziende prestampa?) D. Mercato del lavoro e fabbisogni di personale/competenze - Eventuali Nuove figure professionali introdotte in azienda e motivazione/fab- bisogni di competenze/figure non soddisfatte - Con quale altre figure professionali l’azienda grafica sente il bisogno di colla- borare sempre più frequentemente? (architetto, interior design, responsabile di comunicazione, ecc.) - Eventuali bisogni di competenze/figure nel futuro prossimo – figure chiave nel- l’azienda del futuro E. Formazione ed aggiornamento del personale - Quali sono i punti di debolezza dell’attuale organico di personale? Ed i punti di forza? GRIGLIA PER CONDUZIONE INTERVISTE - CASI DI STUDIO AZIENDALI 77 - Quali sono i limiti che spesso riscontra nel personale della sua azienda? (flessi- bilità, dinamicità, ecc.) - Quale formazione/aggiornamento è oggi necessaria e quale lo sarà nel prossimo futuro F. Giudizio sulla figura dell’operatore grafico – titolo triennale/quadriennale post scuola media (percorsi di IEFP) - Nella azienda, lavorano figure di tipo operativo? Se si, che tipo di competenze, studi ed esperienze hanno? - Ha mai avuto in stage/tirocinio/apprendistati giovani dei corsi di formazione per operatore grafico? Che giudizio può dare? - Ha ancora spazio nella filiera grafica? (operatore grafico “tradizionale” per im- prese di prestampa, stampa, poststampa e operatore grafico “multimediale” maggiormente orientato al web, apps, ecc.) - Perché si e perché no? - Guardando alle competenze in uscita, cosa secondo lei andrebbe potenziato? - Per migliorare l’appetibilità della figura dell’operatore grafico, ritiene che pos- sa essere valida la individuazione e realizzazione di un percorso di specializza- zione postqualifica che preveda, dopo il 4 anno, un percorso di IFTS (istruzio- ne e formazione tecnica superiore, della durata di 6 mesi, un anno) e successi- vamente /in alternativa un percorso di ITS (Istruzione tecnica superiore, della durata di due anni)? - Vi sono secondo lei figure operative, diverse dall’operatore grafico, (ad esem- pio, più specialistiche) che hanno spazi di mercato? 79 INDICE SOMMARIO...................................................................................................................... 3 PREMESSA....................................................................................................................... 5 1. Le dinamiche di settore ....................................................................................... 7 2. Le previsioni di assunzione secondo i dati del Sistema Informativo Excelsior ..... 13 3. Un focus sulla condizione professionale dei qualificati nei percorsi IeFP ...... 19 4. L’indagine sulle aziende grafiche........................................................................ 23 4.1. Il profilo strutturale delle aziende.................................................................. 26 4.2. L’innovazione in azienda ............................................................................... 26 4.3. Risorse umane e fabbisogni di competenze................................................... 32 4.4. L’importanza dell’aggiornamento.................................................................. 38 5. Le interviste a responsabili aziendali ................................................................. 41 5.1. Considerazioni di sintesi ................................................................................ 41 5.2. Statements ...................................................................................................... 43 6. L’Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti grafiche di Trento...................... 51 6.1. L’offerta formativa ......................................................................................... 51 6.2. L’impostazione didattica del percorso grafico ............................................... 53 6.3. Il rapporto con le imprese .............................................................................. 56 7. Un osservatorio privilegiato sui fabbisogni formativi e professionali del settore: il ruolo e le attività dell’ENIPG - Ente Nazionale Istruzione Professionale Grafica ........................................................................................... 59 7.1. Le attività dell’ENIPG ................................................................................... 59 7.2. I fabbisogni professionali e formativi del settore ed il ruolo della Formazione Professionale di base......................................................... 60 8. Gli strumenti di rilevazione ................................................................................ 63 Il questionario per l’indagine Cawi sulle imprese ................................................. 63 La griglia di domande per l’intervista in profondità.............................................. 75 81 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 82 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della forma- zione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multi- medialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valuta- zione, 2014 2015 PELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rap- porto finale, 2015 ALLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NICOLI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 83 CNOS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referenti dell’autova- lutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 MALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOS- FAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 MALIZIA G. - TONINI M., Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 2016 ALLULLI G., From the Lisbon Strategy to Europe 2020, 2016 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 84 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta- to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 85 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preven- tivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei per- corsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP, 2015 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 86 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Forma- zione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodo- logici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 067827819 - Fax 067848333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Finito di stampare: maggio 2016

L'impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la Federazione CNOS-FAP

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
126
Codice: 
978-88-95640-65-5
L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP Stimoli per la Federazione CNOS-FAP Anno 2015 A cura del CNOS-FAP ©2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it Rapporto di ricerca curato da: Luca Dordit, Silvio Pugliese, Fabio Dario, Arduino Salatin (ISRE) Giulia Carfagnini (CNOS-FAP) SOMMARIO INTRODUZIONE .......................................................................................................................................................................................... 5 1. L’impresa formativa: elementi di analisi dallo scenario italiano ed europeo .................................................................... 9 2. Esperienze e buone pratiche di impresa formativa nella Formazione Professionale in Italia ........................................................................................................ 41 3. Modello Organizzativo di Funzionamento dell’impresa formativa................................ 79 4. Orientamenti sul modello organizzativo per l’implementazione dell’impresa formativa nella rete CNOS-FAP ......................................................................................... 93 5. Aspetti giuridici e fiscali per l’avviamento di un’impresa formativa .......................... 99 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA .................................................................................................................................................... 109 APPENDICE .................................................................................................................................................................................................... 111 INDICE ....................................................................................................................................................................................................................................................... 117 3 5 INTRODUZIONE La cosiddetta via italiana al sistema duale ha assunto negli ultimi tempi una rinno- vata attenzione sia da parte delle forze politiche che dell’opinione pubblica. L’obiettivo di fondo, mutuato in particolare dal successo del sistema tedesco, è quello di fare del rap- porto tra scuole e imprese una politica continuativa e condivisa di investimento sulla competitività del Paese, oltre che un fattore di innovazione delle aziende e del tessuto eco- nomico nazionale, potenziando in particolare gli strumenti dell’orientamento, della formazione per l’inserimento lavorativo e del sostegno all’imprenditorialità giovanile. L’esperienza pratica al di fuori del contesto scolastico viene ritenuta infatti un valore fondamentale sia se intesa come avvicinamento alle opportunità professionali, sia in termini educativi. Per questa ragione, la possibilità di fare percorsi di apprendimento “in assetto lavorativo” (ai sensi del D.L. 44/2011) in contesti aziendali profit, così come pubbliche o del no profit, dovrebbe costituire un passaggio inderogabile per tutti gli studenti che hanno superato i 15 anni. La situazione attuale dell’Italia tuttavia non sembra delle più positive: infatti sono meno del 9% gli studenti della scuola secondaria di secondo grado che oggi fanno Alternanza Scuola-Lavoro coinvolgendo solo lo 0,75% delle imprese. Sono dati che an- che la Country Specific Recommendation dell’Unione Europea propone all’Italia di mo- dificare, attraverso azioni rapide ed incisive (Consiglio dell’Unione Europea, 2014). (...) È necessario compiere sforzi per migliorare la qualità dell’insegnamento e la dotazione di capitale umano a tutti i livelli di istruzione. (...) per assicurare una transizione agevole dal- la scuola al mercato del lavoro, sembrano cruciali, nel ciclo di istruzione secondaria superiore e terziaria, il rafforzamento e l’ampliamento della formazione pratica, aumentando l’appren- dimento basato sul lavoro e l’istruzione e la formazione professionale. (...) Raccomanda che l’Italia adotti provvedimenti nel periodo 2014-2015 al fine di: (...) accre- scere l’apprendimento basato sul lavoro negli istituti per l’istruzione e la formazione profes- sionale del ciclo secondario superiore e rafforzare l’istruzione terziaria professionalizzante. Sul piano finanziario, inoltre, le linee guida predisposte dal Governo Renzi ac- cennano a vari strumenti di incentivazione delle imprese, tra cui quello chiamato School Guarantee, pensato per premiare l’investimento che crea occupazione giova- nile. L’impresa che investe risorse, ad esempio su un istituto professionale, un istitu- to tecnico, un CFP o un polo formativo, potrà ricevere incentivi nel momento in cui si dimostri il “successo formativo” dei processi didattici (alternanza, didattica labo- ratoriale, ...) sviluppati nell’istituto/rete di riferimento. In pratica, l’azienda interes- sata ad investire negli istituti tecnici e professionali o in un polo tecnico-professionale può finanziare percorsi di alternanza scuola-lavoro, ristrutturando o avviando un 6 laboratorio. Può anche occuparsi del suo funzionamento, garantendone un utilizzo efficace e ottenendo degli incentivi aggiuntivi rispetto allo School Bonus, ma dopo aver dimostrato che il suo investimento e lavoro ha condotto al successo formativo nei percorsi di alternanza scuola-lavoro In tema di riassetto metodologico, nel documento La Buona Scuola1 vengono individuati i principali filoni di policy su cui il MIUR intende concentrarsi nei pros- simi anni (MIUR, 2014). Nel documento vengono enucleate alcune delle direttrici per la modernizzazio- ne del settore che pone in relazione scuola e lavoro, sia in termini di valorizzazione della formazione esperienziale in ambiente di lavoro, sia nell’ottica di facilitare la transizione tra sistema educativo e mercato del lavoro (cfr. Fig. n. 1). Figura n. 1 - La Buona Scuola. Scuola e lavoro. Misure prioritarie 1 Nel momento in cui la ricerca viene pubblicata il documento La Buona Scuola è diventato Legge 107/2015 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione; in essa sono contenuti tutti i provvedi- menti e le disposizioni legislative in materia di alternanza scuola-lavoro, che però attuano solo in parte quanto precedentemente previsto nel documento La Buona Scuola. È stata inoltre prodotta dal MIUR una Guida ope- rativa per le attività di alternanza scuola-lavoro, scaricabile dal sito https://labuonascuola.gov.it/area/a/25282/ (novembre 2015). In appendice viene riportato il paragrafo della guida che presenta “l’impresa formativa simulata” come possibile modalità di realizzazione dell’alternanza scuola-lavoro. Fonte: MIUR, 2014 7 Si tratta di misure che tendono a potenziare e rendere obbligatorio il sistema del- l’Alternanza scuola-lavoro, oltre che a promuovere la Bottega Scuola per il rilancio dei mestieri d’arte. Inoltre, nelle linee guida si introduce la possibilità offerta agli istituti tecnici e professionali di realizzare in forma sperimentale, nell’ultimo biennio, un tipo di formazione in alternanza tra scuola e lavoro (D. L. 104/2013). Accanto agli interventi ora ricordati, nel testo La Buona Scuola si fa strada anche l’ipotesi di introdurre la formula delle imprese didattiche in ambito scolastico. In questa pro- spettiva, agli istituti di istruzione superiore e di Istruzione e Formazione Professio- nale verrebbe riconosciuta la possibilità di commercializzare beni o servizi prodotti o svolgere attività di “impresa formativa strumentale”, utilizzando i ricavi per inve- stimenti nell’attività didattica. A tale proposito, il documento insiste sul fatto che, per creare le condizioni di sostenibilità per l’impresa formativa, sia necessario incorag- giare l’uso della doppia contabilità – attualmente diffusa soprattutto negli gli istituti agrari – a tutti i tipi di scuole, accordando la possibilità di produzione in conto terzi all’universo delle scuole. In riferimento a tale scenario, il dibattito in corso sembra però ignorare del tut- to, da un lato l’esperienza della formazione professionale in questo campo, dall’altro quella del terzo settore (imprese sociali), confinandoli l’una a mero strumento di recupero scolastico, utile per contrastare la dispersione formativa e lenire la disoc- cupazione giovanile, l’altro ad intervento di tipo assistenzialistico. In realtà, nel campo della IeFP non mancano sia buone tradizioni (dai “cantieri scuola” a simulimpresa), sia pratiche significative (in particolare nel campo alber- ghiero e della ristorazione o in esperienze di inclusione sociale) che vanno ben stu- diate e riprese, anche per rispondere alle nuove sfide in corso (sia dal mondo giova- nile che dalle imprese) ricercando nuove risposte organizzative e formative. La ricerca si propone in particolare di: – analizzare la normativa esistente (e in corso di definizione) in materia di impresa formativa, sul piano giuridico generale, giuslavoristico, amministrativo e fiscale, comparandola a quella di altri paesi europei (come ad esempio le Entreprises de Formation par le travail in Belgio o le Student Companies in Norvegia), – analizzare le esperienze esistenti nella Formazione Professionale in Italia (e nel privato sociale ad essa eventualmente collegato), al fine di identificare le buone pratiche e i relativi profili giuridici e modelli organizzativi più efficaci, – individuare le questioni cruciali, gli ostacoli e i possibili fattori di successo da considerare ai fini di una possibile trasferibilità del modello di “impresa forma- tiva sociale” nei contesti degli enti di FP in Italia, – definire dei criteri guida organizzativi da proporre in eventuali sperimentazioni ad hoc promosse dal CNOS-FAP. La ricerca assume come quadro di riferimento principale l’evoluzione organiz- zativa dei CFP nei contesti territoriali e in relazione ai cambiamenti culturali, econo- mici e sociali che incidono oggi sul nuovo ruolo della formazione e dell’impresa. In particolare essa si prefigge di approfondire i seguenti elementi: 8 – rassegna critica della normativa in materia di impresa sociale, didattica e formativa, – modelli di relazione tra imprese e CFP: stato dell’arte e nuove tendenze, – buone pratiche in materia di impresa formativa e sociale nella Formazione Professionale, – modelli di funzionamento dell’impresa formativa e/o sociale – forme di governance di un’impresa formativa. Sul piano metodologico, il lavoro si basa su: – un’attività di analisi documentale sulle fonti giuridiche ed amministrative rela- tive all’impresa didattica/formativa/sociale, – un’analisi desk delle pratiche significative nel campo della scuola e dell’IeFP, ivi comprese alcune esperienze europee, – dei focus group (e/o interviste) a livello territoriale, da un lato con esperti di va- ria estrazione disciplinare, dall’altro presso i CFP del CNOS-FAP (ed eventuali altri Enti) per raccogliere le esperienze e/o per validare le linee di interpretazio- ne e di proposta. Nel primo capitolo viene curata una sintetica rassegna di studi di caso, prenden- do in considerazione due delle più significative misure di policy messe a punto negli anni recenti a livello europeo in tema di impresa formativa. I due modelli di policy sono in primo luogo descritti nel dettaglio e quindi raffrontati tra loro, individuandone i principali elementi di convergenza e di differenziazione. In tal modo verranno fat- te emergere alcune costanti che caratterizzano i processi di modernizzazione del set- tore, pur nella molteplicità e variabilità delle soluzioni implementate, derivanti dalle diverse peculiarità nazionali. I case study si riferiscono alle Entreprises de formation par le travail (EFT) sorte nella regione vallone (Belgio francese) ed al Junior Achie- vement Young Enterprise Company Programme, praticato in Danimarca, che rappre- senta attualmente l’esperienza di punta europea nel campo dell’educazione impren- ditoriale in ambiente scolastico. Lo scopo del secondo capitolo consiste essenzialmente nel condurre un’analisi finalizzata a ricercare casi e progetti di imprese formative e di esperienze di forma- zione in assetto lavorativo in Italia dai quali trarre elementi peculiari e fattori critici per valutare la fattibilità/sostenibilità di tali progetti. Nel terzo capitolo viene presentata una riflessione finalizzata ad individuare ed estrapolare aspetti rilevanti dei modelli organizzativi emergenti dalla letteratura e dallo studio dei casi italiani analizzati, necessari per la realizzazione di un’impresa formativa. Nel quarto capitolo vengono individuate delle proposte progettuali per definire i possibili elementi costitutivi prioritari del modello organizzativo di un’impresa formativa nel medio periodo. Nel quinto e ultimo capitolo vengono sintetizzate le fattispecie giuridiche e organizzative che possono essere consigliate ai responsabili e agli operatori dei CFP e assunte come tali nel breve periodo. 9 1. L’impresa formativa: elementi di analisi dallo scenario italiano ed europeo Le indicazioni nazionali in materia di impresa didattica o formativa fanno rife- rimento ad un quadro di policy piuttosto ampio a livello europeo, con diversi ele- menti di convergenza, ma anche di eterogeneità. In molti casi tali policy sono state ideate partendo dal fenomeno dei giovani collocati al di fuori dei percorsi formativi e lavorativi. Per questo appare opportuno richiamare anzitutto tale fenomeno, per poi fornire un quadro di sintesi delle principali iniziative in corso e passare ad ana- lizzare qualche caso più specifico. 1.1. Il fenomeno dei NEET I giovani che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o forma- tivo (denominati comunemente con l’acronimo NEET) possono trovarsi in condi- zioni sociali negative quali l’isolamento, la mancanza di autonomia, i comporta- menti a rischio e una salute psichica e fisica instabile, che li espongono, in uno stadio successivo della vita, a maggiori rischi di disoccupazione e di esclusione so- ciale. I giovani in situazione NEET sono più o meno vulnerabili ed hanno caratteri- stiche e necessità diverse. Per questo, secondo l’Unione Europea, c’è bisogno di un approccio «su misura» al fine di (re)integrarli, con efficacia e successo, nel mercato del lavoro, nel sistema di istruzione o formazione e nella vita sociale. Il lavoro gio- vanile, le attività di volontariato, la cittadinanza attiva e l’apprendimento non for- male e informale possono svolgere un ruolo importante e complementare appor- tando un valore aggiunto per tutti i giovani, nella transizione verso il mercato del lavoro: colmare la distanza tra i sistemi di istruzione e di occupazione, completare il sistema di istruzione formale, procurare fiducia in se stessi, capitale sociale e svi- luppo personale e accrescere le competenze trasversali di tipo relazionale e quelle tecniche che migliorano l’occupabilità. Le conclusioni comuni della conferenza UE sulla gioventù organizzata dalla presidenza lituana dal 9 al 12 settembre, 2013, sottolineano la necessità di adattare l’istruzione alle necessità dei giovani e alle esigenze del mercato del lavoro per agevolare la transizione dalla scuola al mondo del lavoro e migliorare le condizioni per l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro. Secondo il pronunciamento del Consiglio europeo (Consiglio dell’Unione Eu- ropea, 2013), occorre assicurare un approccio olistico e una cooperazione interset- 10 toriale per accrescere l’inclusione sociale dei giovani in situazione NEET. È fonda- mentale l’investimento sociale nelle competenze e capacità delle persone lungo tutto l’arco della vita per migliorarne la possibilità d’integrarsi nel mercato del lavoro e nella società. Tutte le misure, le azioni e gli strumenti politici dovrebbero essere coordinati e attuati a livello locale, regionale, nazionale ed europeo e do- vrebbero interessare una pluralità di parti interessate alla progettazione e realizza- zione delle misure per l’inclusione sociale dei giovani. Le conclusioni intendono affrontare il tema dell’esclusione sociale dei NEET in maniera più sistematica, con misure nel settore della prevenzione, l’istruzione, la formazione e l’apprendimento non formale, così come della transizione dall’istru- zione all’occupazione. 1.2. Principali linee di policy a livello europeo 1.2.1. Il Programma Youth Guarantee La Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 aprile 2013 sul- l’istituzione di una “Garanzia per i Giovani” invita gli Stati a garantire ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o di tirocinio o altra misura di formazione entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale. La natura dell’iniziativa è essenzialmente preventiva: l’obiettivo è quello di offrire prioritariamente una risposta ai giovani che ogni anno si affacciano al mer- cato del lavoro dopo la conclusione degli studi, ma nello specifico contesto italiano tale iniziativa deve prevedere anche azioni mirate ai giovani disoccupati e scorag- giati, che hanno necessità di ricevere un’adeguata attenzione da parte delle strutture preposte alle politiche attive del lavoro. Più in dettaglio, la Raccomandazione: – sancisce un principio di sostegno ai giovani fondato su politiche attive di istru- zione, formazione e inserimento nel mondo del lavoro; – indica la prevenzione dell’esclusione e della marginalizzazione sociale come chiave strategica che deve ispirare l’azione degli Stati; – innova profondamente il bilancio europeo, introducendo un finanziamento im- portante, con valenza anche anticiclica, nelle Regioni dove la disoccupazione giovanile risulta superiore al 25%; – indica con chiarezza che l’obiettivo deve essere quello di realizzare risultati si- gnificativi, misurabili, comparabili e che l’azione cui tendono le politiche deve essere quella di offrire ai giovani l’accesso ad “una opportunità di lavoro qua- litativamente valida”. La Raccomandazione distingue chiaramente l’aspetto di riforma strutturale della Garanzia dall’introduzione di un ampio ventaglio di iniziative a favore dei giovani sostenute sia da risorse nazionali, sia dal finanziamento proveniente dalla Youth Em- 11 ployment Initiative, sia dal Fondo Sociale Europeo (FSE) e relativo cofinanziamento nazionale. In questo senso, anche le modalità di finanziamento dell’iniziativa sottoli- neano la natura strutturale degli interventi previsti. La Garanzia viene, quindi, resa operativa grazie ad un Piano di attuazione elaborato dagli Stati membri. 1.2.2. L’ Alliance for Apprenticeships Il 30 gennaio 2012, i membri del Consiglio europeo si sono impegnati ad au- mentare notevolmente il numero di apprendistati e tirocini per assicurare che essi rappresentino reali opportunità per i giovani. Conseguentemente, la Commissione ha annunciato un piano per gli apprendistati come parte dell’iniziativa “Ripensare l’istruzione” e del Pacchetto per l’impiego dei giovani. Con la comunicazione del dicembre 2012 “Aiutare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro” essa ha indivi- duato tre fattori di cruciale importanza per garantire il successo degli apprendistati. Essi sono: – un’efficace cooperazione tra scuole e istituti di formazione, da un lato, e imprese, dall’altro; – la qualità della formazione e della qualifica acquisita; – l’integrazione dei contratti di apprendistato nei sistemi di istruzione e forma- zione nazionali o regionali e la creazione di un quadro normativo chiaro. Inoltre, la Commissione ha messo in luce l’importanza di introdurre politiche che incentivino le imprese ad offrire un numero sufficiente di posti di apprendi- stato. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto dal Consiglio europeo del 7-8 feb- braio 2013 che ha invitato la Commissione a creare un’Alleanza europea per l’ap- prendistato per contribuire a risolvere il problema della disoccupazione dei giovani. A tale tema la Commissione ha dedicato la comunicazione “Lavorare insieme per i giovani d’Europa, invito ad agire contro la disoccupazione giovanile” del 19 giugno 2013, con la quale è stato preannunciato il lancio dell’Alleanza, definita dal Consiglio europeo del 27-28 giugno 2013 come una delle iniziative chiave per so- stenere l’occupazione giovanile. L’Alleanza europea per l’apprendistato, lanciata il 2 luglio 2013 e supportata dal Consiglio con una risoluzione dell’ottobre 2013, intende coinvolgere autorità pubbliche, partner sociali ed economici, istituti di formazione professionale, rap- presentanti dei giovani ed altri attori rilevanti, come le Camere di Commercio, al fine di coordinare e diffondere diverse iniziative per il miglioramento dei sistemi di apprendistato. Con una dichiarazione congiunta, le parti sociali europee e la Com- missione si sono impegnate a mettere in atto numerose azioni al fine di rafforzare l’accesso, l’offerta, la qualità e l’attrattività delle forme di apprendistato. L’Alleanza per l’apprendistato comprende tre ambiti di intervento: – la riforma dei sistemi di apprendistato, tramite il peer-to-peer learning, il tra- sferimento delle conoscenze, la creazione di partenariati internazionali e tra di- versi attori all’interno dei singoli Paesi membri e la diffusione dei modelli di apprendimento basati sul lavoro. Inoltre, la Commissione ha messo a disposi- 12 zione un servizio di assistenza, disponibile fino alla fine del 2014, per soste- nere le autorità nazionali che si occupano dello sviluppo di programmi di apprendistato e stage; – la diffusione dei benefici che gli apprendistati possono offrire agli studenti, alle imprese e alla società nel suo complesso. Infatti, nei Paesi dotati di un si- stema duale (come in Germania ed Austria) si registra un livello di disoccupa- zione molto più basso rispetto a quelli dove la formazione professionale e i modelli di apprendimento sul lavoro non sono altrettanto diffusi; – la messa a disposizione di risorse europee di cofinanziamento e la mobilita- zione del settore privato. 1.3. Studi di caso relativi all’impresa formativa/didattica in altri Paesi europei Nel seguito vengono illustrati 2 casi (rispettivamente belga e danese) che si ri- tengono interessanti in relazione al contesto italiano. Per inquadrare secondo un or- dine coerente i principali modelli di impresa formativa ricavabili, ci si avvale di uno schema interpretativo articolato su tre assi distinti ed interrelati. Esso consente di mettere a fuoco gli elementi che appartengono a ciascuna delle diverse dimen- sioni in gioco e di evidenziarne, quando necessario, le interazioni. Tali assi possono essere richiamati come di seguito (cfr. Fig. n. 2): a) Asse progettuale: mette in relazione il governo del sistema con i processi di ap- prendimento. Riguarda la capacità di attivare progetti specifici e differenziati in base ai bisogni formativi che emergono dagli utenti. La relazione tra organizza- zione e apprendimento:  si esplicita nella progettazione di setting formativi;  si pianifica nella diversificazione dell’offerta formativa;  si valuta mediante l’analisi della qualità e dell’efficacia dell’intervento proposto. Nel presente rapporto l’asse progettuale viene denominato Modello formativo. Figura n. 2 - Schema di riferimento per l’esame analitico del sistema formativo 13 B) Asse didattico: pone in relazione l’insegnamento con l’apprendimento. Rap- presenta la comunicazione formativa primaria. La relazione tra insegnamento e apprendimento:  si esplicita nella strutturazione dei contenuti disciplinari;  si pianifica nelle scelte delle strategie, metodologie e tecnologie per l’apprendimento;  si valuta mediante feedback quali – quantitativi dell’apprendimento e dell’insegnamento. Nel presente rapporto l’asse didattico viene denominato Ambiente di appren- dimento. C) Asse gestionale: pone in relazione il governo del sistema con i processi di inse- gnamento. Va inteso come l’organizzazione degli insegnamenti e il coordina- mento degli interventi formativi. La relazione tra organizzazione e insegna- mento:  si esplicita nell’organizzazione sequenziale e trasversale dei curricoli;  si pianifica ottimizzando le risorse intellettuali e tecnologiche;  si valuta ricercando l’efficienza del sistema formativo. Nel presente rapporto l’asse didattico viene denominato Modello organizza- tivo-gestionale. 1.3.1. Belgio francofono (Région wallonne) In Belgio l’esperienza più interessante è quella delle Entreprises de formation par le travail (EFT), (termine che può essere tradotto con la denominazione “impre- se di formazione attraverso il lavoro”). Esse rispondono alla finalità di promuovere una formazione rivolta a soggetti svantaggiati basata sul modello di apprendimento in situazione reale di lavoro all’interno dell’impresa. Sul piano operativo, le ETF sono autorizzate a produrre ed a commercializzare beni e/o servizi, nei limiti necessari alla realizzazione dei propri obiettivi formativi, contrariamente a quanto avviene per ulteriori tipi di servizi analoghi, in primis gli organismi di inserimento socio-professionale (OISP). I programmi proposti dalle ETF si articolano in una componente di formazione teorica, personalizzata in relazione ai fabbisogni individuali degli allievi, una com- ponente di formazione workplace ed una forma di supporto ed accompagnamento di carattere psico-sociale offerta allo stagiaire, oltre che ad una quota spendibile even- tualmente presso un’azienda esterna sotto forma di stage. La durata dei percorsi for- mativi va da un minimo di trecento sino ad un massimo di 2.100 ore e comunque non può superare i diciotto mesi, compresa la durata della formazione svolta in azienda. Nel 2014 sono operanti nel Belgio francofono all’incirca 70 di queste Entreprises de formation par le travail. 14 1.3.1.1. Quadro legislativo e di policy Il quadro legislativo che definisce l’intera materia è regolato dal Décret du 1er avril 2004 relatif à l’agrément et au subventionnement des organismes d’insertion socioprofessionnelle et des entreprises de formation par le travail. Il decreto è entrato in vigore dalla data del primo gennaio 2007, in virtù dell’Arrêté du Gouver- nement wallon du 21 décembre 2006. Entrambe le forme di policy citate nel testo normativo, ossia tanto l’impresa formativa per il lavoro (EFT), quanto gli organismi di inserimento socio-professio- nale (OISP), rispondono ad una finalità comune mediante strumenti differenziati. La finalità comune consiste nell’esercitare un’azione di supporto all’inserimento socio-professionale, basata su un approccio di tipo sistemico, con il concorso di una pluralità di attori, pubblici e privati. Le forme di intervento sono disciplinate dal quadro regolamentare sul sostegno individualizzato per i soggetti in cerca la- voro (decreto del 12 gennaio 2012) e sulla costituzione di partenariati per l’inseri- mento lavorativo (decreto del governo vallone del 28 giugno 2012). Oltre a favorire la promozione di pari opportunità nell’accesso alla formazione ed all’occupazione, le due diverse tipologie di servizio, entrambe erogate in forma gratuita, sono accomunate dalla finalità di ottimizzare le traiettorie di sviluppo socio-professionale di ciascun beneficiario, mediante un approccio basato sul parte- nariato tra istituzioni formative e pubblica amministrazione. La partnership si stabi- lisce tra attori e soggetti distinti che, sulla base di funzioni diverse e complemen- tari, concorrono a fornire un servizio integrato per rendere possibile la transizione dei beneficiari verso il mercato del lavoro. Le pratiche formative devono rispon- dere al requisito di promuovere l’emancipazione sociale, individuale e collettiva, anche in una logica di contrasto alle diverse forme di discriminazione. Il coordina- mento tra le diverse azioni e servizi offerti mira a garantire un accesso durevole al mercato del lavoro, sulla base delle competenze acquisite. Più nello specifico, la formula dell’EFT è orientata a garantire ai beneficiari la possibilità di:  sviluppare le capacità di governare i propri processi formativi mediante l’ac- quisizione di comportamenti professionali e di competenze tecniche che con- sentano l’accesso ad un perfezionamento professionale o ad una riqualifica- zione professionale e, successivamente, al mercato del lavoro;  essere supportati nella definizione di un progetto professionale, ivi compreso un progetto di formazione professionale;  godere di forme di accompagnamento nella realizzazione di un bilancio delle competenze;  essere supportati nella realizzazione del progetto professionale, riattivando – ove necessario – i necessari legami sociali, in vista dello sviluppo di un’auto- nomia sociale. Per poter partecipare alle attività promosse dalle ETF, i richiedenti devono es- sere maggiorenni e rientrare nella categoria degli inoccupati in cerca di lavoro regi- 15 strati presso la rete del Servizio vallone della formazione professionale e del lavoro (FOREM). Inoltre devono avere assolto l’obbligo scolastico e non aver conseguito un diploma di istruzione secondaria superiore2. Attualmente, per effetto di un decreto del governo vallone promulgato nel 2008, i requisiti cui devono rispondere le organizzazioni che intendano costituire una EFT sono i seguenti: – provvedere all’offerta formativa nei confronti di tutti i soggetti che rientrino nello status di potenziali beneficiari della ETF; – combinare un approccio teorico con la messa in situazione entro un reale ambiente di lavoro di produzione di beni e servizi. In particolare, la produzione di beni e servizi è definita parte essenziale della metodologia formativa adottata dalla EFT. Tale produzione di beni e servizi deve rientrare nei limiti e nel rispetto dei livelli definiti dal governo in materia di salari per i lavoratori che svolgano attività a tempo pieno e in rapporto al livello di inqua- dramento dell’allievo in funzione dell’attività svolta. 1.3.1.2. Modello formativo Il progetto formativo specifico che connota l’impresa formativa per il lavoro prevede l’inserimento degli allievi in un ambiente di lavoro reale, all’interno di un’impresa di produzione di beni o servizi. In questo senso, la formazione fornita dipende largamente dal tipo di occupazione e dalla figura professionale al centro dell’intenzionalità formativa. Il progetto formativo deve dunque adattarsi in termini puntuali all’ambiente professionale, così come al profilo di competenze richieste per poter esercitare in termini adeguati una particolare attività professionale. Oltre al set di competenze tecniche richieste, il percorso formativo è incentrato in modo altrettanto preciso sullo sviluppo di competenze di carattere trasversale e – non da ultimo – di atteggiamenti ed abiti professionali coerenti con l’occupazione pre- scelta. Ad esempio aspetti quali la puntualità, l’accuratezza, la cura dei materiali e delle relazioni – e più in genere la responsabilità individuale –, non di rado posti in secondo piano in programmi formativi focalizzati sulle sole competenze tecniche, giocano un ruolo decisivo nel ciclo formativo presso l’EFT. Va quindi tenuto pre- sente che le finalità cui risponde la formazione si articolano su due piani distinti e interconnessi. Da un lato gli apprendimenti riguardano un’occupazione specifica, connotata da precise richieste da parte del mercato del lavoro in termini di cono- scenze ed abilità peculiari. Dall’altro, altrettanto rilevanti ai fini del successo for- mativo sono gli aspetti legati alla capacità di prendere in mano la propria vita, ac- quisendo un’autonomia critica nella definizione del proprio progetto di sviluppo 2 Le EFT possono in parte derogare da tali requisiti – in forza di un successivo decreto del 2008 – ampliando il plafond dei propri beneficiari anche ad inoccupati ultra ventiquattrenni in cerca di lavoro e – sino ad una quota del 20% degli allievi – a soggetti che beneficino di indennità per inabilità al lavoro. 16 personale e professionale. È proprio questa combinazione di approcci e di piani che contraddistingue il modello formativo delle EFT rispetto ad ulteriori interventi nel campo dell’inserimento socio-professionale. L’impianto formativo che trova luogo nelle EFT può essere riassunto enu- cleandone i tratti fondamentali.  Formazione mediante il lavoro. Consiste nell’introdurre gli allievi in una struttura di lavoro all’interno della quale si sperimenteranno compiti determi- nati, secondo la pratica della “formation sur le tas”, ossia workplace. Il tiroci- nante in tal modo sviluppa in maniera esplicita ed implicita una serie di com- petenze tecniche e sociali, in un ambiente caratterizzato dalle relazioni dell’al- lievo con gli altri colleghi e con i formatori. È importante notare che la compo- nente di formazione workplace può essere somministrata negli stessi locali dell’EFT oppure presso ulteriori luoghi di lavoro appositamente individuati in base ai fabbisogni formativi. Nel concreto, l’allievo progredisce nello sviluppo della propria professionalità all’interno di un’impresa. A seconda del livello di apprendimento di volta in volta raggiunto e delle specifiche competenze al centro del percorso formativo, al tirocinante potranno essere affidati compiti progressivamente complessi e potrà essere inserito – in fasi specifiche del per- corso – in postazioni di lavoro diverse per svolgere mansioni tra loro correlate, oppure l’esperienza può essere effettuata presso più di un’azienda.  Formazione tecnica. Riguarda l’apprendimento dei saperi e delle conoscenze teoriche e procedurali associati alla pratica professionale. La formazione di ca- rattere tecnico, svolta nell’ambiente della classe, mette in gioco soluzioni pe- dagogiche e metodologiche selezionate dai formatori e promuove negli allievi lo sviluppo della concentrazione in attività di studio, l’applicazione al lavoro, così come l’apprendimento di conoscenze di tipo generale che vengono mobi- litate nell’ambito applicativo. Oltre che apprendere un insieme di conoscenze di natura tecnica, lo scopo cui rinvia questa componente del percorso forma- tivo consiste inoltre nel far riflettere l’allievo sul proprio processo di apprendi- mento, contribuendo inoltre a sviluppare alcune competenze psicologiche e so- ciali che non sono necessariamente legate alla professione prescelta.  Formazione di base. Consiste in una forma di assistenza allo studio, principal- mente nel campo delle competenze linguistiche e matematiche. Va considerato che, nell’economia dei percorsi svolti presso le EFT, la quota di attività didat- tica destinata al potenziamento delle competenze di base non risulta essere par- ticolarmente consistente. La ragione consiste nel fatto che gli allievi nella con- dizione di dover colmare gravi lacune nel campo dell’alfabetizzazione funzio- nale, prima di accedere all’EFT sono tenuti necessariamente a frequentare ap- positi corsi tenuti presso organismi di inserimento socio-professionale (OISP). La formazione di base può includere anche una quota di formazione alla citta- dinanza, che sono destinate a sensibilizzare gli studenti su aspetti dell’am- biente socio-culturale, sia a livello istituzionale che all’interno dell’impresa. A 17 titolo di esempio, una parte della formazione di base può vertere su una pre- sentazione delle istituzioni belghe e sulla lettura e comprensione dei regola- menti interni della EFT.  Accompagnamento psico-sociale personalizzato e orientamento. Questo aspet- to della formazione è andato assumendo via via uno spazio sempre maggiore a fronte della differenziazione del profilo dei partecipanti e della complessità crescente del mercato del lavoro. Il supporto e l’accompagnamento personaliz- zato si attua attraverso una serie di fasi successive: – definizione di un progetto formativo personalizzato; – valutazione in itinere degli obiettivi conseguiti e da conseguire; – supporto alla ricerca di lavoro (placement); – simulazione del colloquio di lavoro.  Stage in impresa esterna (opzione). Il quadro legislativo offre la possibilità per le EFT di inviare i propri allievi presso una o più aziende esterne, per un’e- sperienza di stage, ai fini del completamento della formazione. La formazione in azienda affina, completa ed integra quanto appreso presso le EFT, inte- grando le conoscenze con le abilità specifiche corrispondenti al profilo profes- sionale richiesto. La permanenza in azienda rappresenta pertanto il momento cruciale della formazione. La programmazione prevede quindi la possibilità di un adattamento ulteriore del piano formativo individuale, concordato con il tutor, per adeguare l’efficacia dell’intervento agli obiettivi dell’azione forma- tiva. L’alternanza formativa favorisce la motivazione allo studio e accelera il processo di apprendimento, aiutando il giovane tirocinante nella conoscenza del mondo del lavoro (ritmi, logiche, stili di impresa) e delle competenze ri- chieste. Il tutor aziendale accompagna l’allievo attraverso il percorso che si ar- ticola in un progressivo e graduale approccio al contesto produttivo. La meto- dologia impiegata trova la sua espressione in una serie di strategie specifiche: – attivare processi di apprendimento in situazione; – acquisire conoscenze e abilità legate alla figura professionale; – confrontare e discutere le proprie esperienze con i propri colleghi tirocinanti e con i formatori. 1.3.1.3. Governance e modello organizzativo-gestionale A. Requisiti per la costituzione di una EFT Per essere autorizzata ad esercitare la propria attività dalla Regione Vallone, ciascuna ETF deve rispondere ad una serie di precise condizioni. In primo luogo, deve essere costituita sotto la forma di un’associazione senza scopo di lucro (ASBL), di un Centro pubblico di azione sociale (CPASS) o di un’associazione di CPASS. Nel primo caso, le associazioni senza scopo di lucro hanno personalità giuridica e sono costituite da un minimo di tre persone, unite dalla finalità di realiz- zare uno scopo di carattere non lucrativo. Nel caso dei CPASS, sono servizi di tipo 18 pubblico, previsti dalla legislazione belga sin dal 1976, organizzati a livello comu- nale e finalizzati al contrasto del disagio sociale e al reinserimento nella vita so- ciale e attiva delle persone svantaggiate. Inoltre, tra i prerequisiti per la costituzione di una EFT figura l’aver portato a completamento il processo di formalizzazione del partenariato con il FOREM, ossia il Servizio vallone della formazione professionale e del lavoro. Il partenariato si basa sulla cooperazione al servizio integrato di inserimento socio-professionale, regolato dal Décret du 12 janvier 2012 relatif à l’accompagnement individualisé des demandeurs d’emploi et au dispositif de coopération pour l’insertion. Secondo quanto previsto dal quadro normativo, l’accompagnamento individualizzato rappre- senta il processo regionale di supporto offerto dal FOREM alle persone in cerca di occupazione, in collaborazione con uno o più attori sul territorio. Il dispositivo di cooperazione definisce i principi e le modalità di cooperazione tra il servizio pub- blico e ulteriori soggetti – sia pubblici che privati – al fine di contribuire alla messa in opera dell’accompagnamento individualizzato, sulla base di un contratto di coo- perazione. Il dispositivo prevede che, dopo una prima fase di accoglienza e di ana- lisi della situazione, svolta dagli operatori presso il FOREM, si giunga alla reda- zione di un piano d’azione, contenente gli obiettivi dell’accompagnamento indivi- dualizzato. Qualora tali obiettivi risultino in linea con l’offerta formativa e di ulte- riori servizi aggiuntivi promossa da una specifica EFT, entro il settore di impiego prescelto, la struttura viene coinvolta nella presa in carico dell’utente. A partire da questo momento, il soggetto in cerca di occupazione viene assegnato all’EFT per la realizzazione di un piano d’azione circostanziato, i cui esiti sono valutati con rego- larità mediante un ciclo di sedute di monitoraggio. Il modello di partenariato tra FOREM e attori pubblici e privati che concorrono alla gestione di interventi di po- litica attiva del lavoro ha dato prova in questi anni di un elevato livello di efficacia nel contrasto dei fenomeni di disoccupazione, in particolare nei confronti della fa- scia giovanile svantaggiata. Oltre ai requisiti fin qui citati, un ulteriore richiesta vincolante posta alla EFT consiste nel siglare con l’allievo un contratto di formazione, che definisca ed espli- citi la quota di formazione specifica, di accompagnamento psicosociale – che non può essere inferiore in termini di ore al 10% del percorso complessivo – e le forme assunte dalla valutazione individuale, sulla base di obiettivi specifici stabiliti di co- mune accordo. B. Rapporti tra EFT ed impresa Lo stage, che può trovare luogo presso una o più imprese, viene offerto agli studenti solo dopo aver completato una formazione minima di 150 ore. Per essere nelle condizioni di offrire uno stage ai propri allievi, la EFT deve rispondere alle seguenti condizioni:  Formalizzare con l’azienda e il tirocinante una convenzione contenente i seguenti requisiti minimi: 19 – le competenze tecniche oggetto dello stage; – il calendario dello stage; – i compiti assegnati al tirocinante e l’attrezzatura che verrà utilizzata; – la nomina di un tutor da parte dell’impresa; – il monitoraggio della formazione in azienda, almeno a cadenza bisettima- nale da parte di un formatore dell’EFT, compresa una visita in azienda.  Redigere, a conclusione di ciascuno stage di durata sino a 160 ore, un rapporto di valutazione che comprenda una valutazione delle competenze tecniche acquisite.  Redigere, a conclusione di ciascuno stage di durata superiore alle 160 ore, un rapporto di valutazione a metà e un secondo al termine dello stage, che com- prenda una valutazione delle competenze tecniche acquisite. Per le EFT la durata massima dello stage in impresa è fissata su una soglia di 520 ore, mentre lo stage orientativo (finalizzato alla messa a punto di un progetto di sviluppo professionale) ha una durata massima di 160 ore. C. Integrazione tra servizi erogati presso EFT e FOREM La formazione in alternanza tra componente d’aula e workplace, che ha luogo presso la EFT ed eventualmente all’esterno, all’interno di una o più imprese, va in- quadrata entro il più ampio processo che copre l’attività svolta in collaborazione tra il sistema dei servizi l’impiego (FOREM) e l’ETF stessa. Se nelle pagine prece- denti le varie fasi ed i loro elementi componenti sono stati descritti in forma anali- tica, ora è possibile visualizzarle in un quadro d’insieme, prendendo a riferimento il processo completo, a partire dalla presa in carico gestita dai servizi per l’impiego, passando per la componente formativa, sino alla fase conclusiva di placement (cfr. Fig. n. 3). Una prima fase, in capo al FOREM, cura la presa in carico e concorda con il beneficiario un piano d’azione dettagliato. Nel caso l’utente presenti gravi lacune nel grado di alfabetizzazione funzionale (lingua, matematica), l’inserimento nella EFT sulla base di una convenzione che dettaglia gli obiettivi del percorso forma- tivo è preceduta da un ciclo di messa a livello, da effettuare presso gli OISP. Nella fase successiva il beneficiario mantiene i rapporti con gli operatori del FOREM per il monitoraggio dello stato di avanzamento del piano d’azione ed al tempo stesso fa il suo ingresso nel percorso formativo in alternanza, che si con- clude con una valutazione finale, valida ai fini della certificazione delle compe- tenze acquisite. La terza fase, consistente nell’avvio dell’utente verso il mercato del lavoro, si sostanzia in attività di placement curate nuovamente dalla rete dei servizi per il lavoro. 20 Figura n. 3 - Rappresentazione schematica dell’integrazione tra servizi erogati da parte di EFT e FOREM 1.3.1.4. Ambiente di apprendimento Le figure di sistema A partire dal 2005 la federazione degli organismi per la formazione e l’inseri- mento lavorativo (Interfédération des Organismes de Formation et d’Insertion Wal- lonie-Bruxelles ASBL) ha condotto un’analisi sui fabbisogni delle diverse figure impegnate nel modello formativo delle EFT. La delineazione delle diverse figure 21 funge anche da punto di riferimento per il sistema di formazione dei formatori. Di seguito si sintetizza lo schema delle competenze che qualificano le diverse figure professionali: a) Formatori presso le ETF – Competenze specialistiche:  dominio pedagogico: definire gli obiettivi di un corso, costruire un corso adattato ai bisogni dell’utenza, applicare una pedagogia differenziata per li- velli di apprendimento, analizzare le motivazioni degli allievi, applicare metodologie di valutazione degli apprendimenti;  dominio psicologico e sociologico: comprendere ed interpretare le rappre- sentazioni degli allievi in rapporto alla formazione, all’occupazione, alle prospettive di sviluppo personale e professionale;  dominio psico-sociale: comprendere ed interpretare le problematiche psico- sociali degli allievi, mettere in atto tecniche di supporto psico-sociale. – Competenze trasversali:  saper essere: fronteggiare le criticità, comunicare efficacemente con gli al- lievi, gestire situazioni di conflitto e far applicare le regole, lavorare colla- borativamente in équipe, sia all’interno della EFT che con attori esterni. b) Operatori nel processo di accompagnamento psico-sociale – Competenze specialistiche:  dominio psico-sociale: comprendere ed interpretare le problematiche psico-sociali degli allievi, mettere in atto tecniche di supporto psico-so- ciale, applicare tecniche di rimotivazione a livello individuale e di gruppo, applicare tecniche di coaching;  dominio pedagogico: applicare metodologie di monitoraggio e valuta- zione del piano formativo personalizzato, applicare metodi e tecniche di animazione delle riunioni. – Competenze trasversali:  saper essere: comunicare efficacemente con gli utenti, gestire situazioni di conflitto e far applicare le regole, lavorare collaborativamente in équipe, sia all’interno della EFT che con attori esterni. Il processo di apprendimento nella formazione in alternanza Alla base del modello formativo promosso dall’EFT si ha uno schema di tipo duale, in virtù del quale la formazione si svolge alternativamente in due setting, il primo di tipo teorico, presso la EFT, il secondo di tipo pratico-operativo, presso la ETF ed eventualmente in impresa, ponendo la formazione in stretta relazione con le pratiche professionali. L’apprendimento in azienda non si realizza mediante la semplice attività lavorativa, seguita e supervisionata da un tutor. Infatti la norma- tiva esclude l’impiego degli stagiaire alla stregua di lavoratori addetti alla produ- zione, tanto che – a differenza di quanto avviene ad esempio per i sistemi duali che 22 caratterizzano il mondo germanico – il soggetto non viene inserito nell’impresa sulla base di un contratto di lavoro. L’allievo apprende vivendo la pratica professio- nale entro un’organizzazione formativa strutturata, finalizzata ad una qualificazione professionale, sulla base di precisi obiettivi di apprendimento, il cui raggiungi- mento viene monitorato per tutta la durata del processo formativo. L’esperienza di workplace è accompagnata da tecnici interni all’azienda e formatori appartenenti alla EFT, qualificati anche sul versante didattico e pedagogico, in un contesto ade- guato e controllato da istanze istituzionali3. 1.3.2. Danimarca La rete mondiale Junior Achievement Young Enterprise (JA-YE), che opera nel campo dell’istruzione e formazione all’imprenditorialità nel settore educativo – dalla scuola primaria sino all’università – ha trovato nel contesto danese un luogo particolarmente fertile per la realizzazione dei propri programmi. In Danimarca, Young Enterprise, la fondazione istituita nel 2009 dal governo per l’implementa- zione della Strategia per l’istruzione e la formazione professionale all’imprendito- rialità, con il compito di fornire alle scuole un supporto diretto nella realizzazione di attività di educazione imprenditoriale, è membro della JA-YE Europe. La Fondazione promuove una molteplicità di programmi formativi, in fun- zione ai diversi gradi in cui si struttura il sistema educativo danese. Considerando lo scopo della ricerca, si ritiene di dover prendere in considerazione il Company Programme, che, applicando la metodologia del learning-by-doing, intende far ac- quisire agli studenti del sistema secondario superiore competenze nel campo im- prenditoriale. Gli studenti – di età compresa tra i 15 ed i 19 anni – al termine di una fase preliminare di avvio del programma, sono posti immediatamente in situazione, con il compito di condurre una mini-impresa, presidiando l’intera gamma di attività che concorrono al suo ciclo di vita, dalla costituzione, alla gestione ordinaria, sino alla sua messa in liquidazione al termine dell’annualità formativa. Gli allievi, ap- partenenti sia al sistema dell’istruzione generale che della formazione professio- nale, vengono supportati in parte dai propri insegnanti, debitamente formati, con il concorso di consulenti aziendali – in forma di mentori – che operano a titolo volon- tario. Nel corso delle attività sono messi alle prese con la conduzione di un’impresa reale, che svolge le proprie attività in ambiente protetto, godendo del supporto di figure dedicate e praticando un regime di gestione fiscale semplificata. 2 L’approccio soggiacente alla strutturazione dell’ambiente di apprendimento nei sistemi duali rin- via al modello di apprendimento dall’esperienza di Daniel Kolb (1984, 2001). 23 1.3.2.1. Quadro legislativo e di policy A partire dai primi anni Duemila il governo danese ha attuato un numero di iniziative volte a rafforzare lo spirito imprenditivo e la concreta pratica imprendito- riale nel sistema educativo. Attualmente è in corso un processo che ha portato all’integrazione delle competenze in campo imprenditoriale nel sistema educativo danese, sia nella struttura del curricolo che all’interno di attività complementari da realizzarsi negli spazi extra curricolari. Nel complesso, a partire dal 2010, le tema- tiche imprenditoriali sono state al centro di un forte processo di crescita, sia presso le scuole che nelle istituzioni dedite alla Formazione Professionale. Nel 2009 il Governo ha varato la Strategia per l’istruzione e la formazione professionale all’imprenditorialità. Si tratta di una strategia complessiva diretta a favorire un più stretto rapporto tra il sistema dell’education e la promozione dello spirito e della pratica imprenditoriale, anche mediante la creazione di apposite strutture di supporto alle istituzioni scolastiche e formative. Tra le diverse misure attuate, ha istituito la Foundation for Entrepreneurship Activities and Culture – Young Enterprise ed ha finanziato la creazione della International Danish Entre- preneurship Academy (IDEA) e dell’Øresund Entrepreneurship Academy. Gli obiettivi fissati dal governo danese per le proprie politiche di settore nel- l’arco temporale 2010-2015, coinvolgono tutti gli ordini e gradi del sistema educa- tivo, a partire dalla scuola primaria e secondaria di primo grado (Danish Folke- skole), passando per la scuola secondaria e la formazione professionale superiori, sino all’educazione terziaria di tipo accademico e professionale. Il punto di riferimento per la strategia messa a punto dal governo è costituito da una visione ampia della formazione all’imprenditorialità, collegata ad una pro- spettiva di innovazione, che riassume in sé diversi livelli di applicazione. Da un lato, per imprenditorialità - in un significato che può trovare ampia applicazione nel mondo della scuola - si intende il processo mediante il quale, partendo dalla percezione di un’opportunità, si giunge alla definizione di un’idea imprenditoriale ed alla sua realizzazione, con una conseguente creazione di valore. La creazione di valore non deve essere necessariamente di natura economica. Oltre ad un generale spirito imprenditivo, si distingue un secondo livello – più circoscritto in termini di soggetti potenzialmente interessati e più impegnativo dal punto di vista delle com- petenze da acquisire – che riguarda l’avvio di una nuova attività e la sua messa in opera. Ad un ulteriore livello di impiego si distingue l’applicazione della logica im- prenditoriale all’interno dell’azienda. In questo caso ci si riferisce ad una visione classica dell’innovazione, che la descrive nei termini di sviluppo di nuovi processi e/o prodotti in un’impresa esistente. L’educazione secondaria superiore in Danimarca comprende sia l’istruzione generale che la Formazione Professionale. La strategia del governo fissa una serie di obiettivi sia sul piano dell’educazione secondaria superiore, sia – in modo più circoscritto – in relazione alle sue due componenti principali. Dal punto di vista dell’educazione secondaria superiore in genere, le finalità della strategia riguardano 24 il fatto che tutti i giovani devono poter acquisire conoscenze sui metodi innovativi e le competenze imprenditoriali, in quanto parte della loro educazione secondaria superiore. In termini concreti l’applicazione di un tale principio significa che:  la valutazione delle competenze imprenditoriali degli allievi deve essere inclusa nelle prove di accertamento del livello degli apprendimenti raggiunti, tanto a livello disciplinare che interdisciplinare;  i giovani presenti nel sistema di educazione secondaria superiore devono poter scegliere i contenuti della formazione imprenditoriale, per quanto possibile;  agli insegnanti con ruoli rilevanti nell’educazione secondaria superiore deve essere riconosciuta la possibilità di ottenere qualifiche e di partecipare a pro- grammi di formazione in servizio sugli aspetti teorici e metodologici legati al- l’innovazione e di qualificarsi per l’insegnamento di tematiche imprenditoriali;  gli allievi di talento dovrebbero avere la possibilità di partecipare a programmi di sviluppo delle loro capacità, al fine di sviluppare i propri progetti o idee imprenditoriali. Quando la normativa sulla Formazione Professionale è stata riveduta nel corso del 2007, i campi di apprendimento afferenti all’innovazione e all’imprenditorialità sono stati interessati da un processo di potenziamento, insieme ad un riconosci- mento del loro valore formativo. La finalità generale cui tende il dispositivo nor- mativo ora sottolinea con maggiore forza come i percorsi di formazione professio- nale “devono rispondere efficacemente ai bisogni espressi dal mercato del lavoro nel poter contare su risorse umane capaci di innovazione e creatività”. In questa prospettiva, all’incirca la metà dei percorsi di Formazione Professio- nale include attualmente l’innovazione e l’imprenditorialità come discipline di base, così come l’innovazione e l’imprenditorialità vengono apprese all’interno di progetti in un ampio numero di percorsi della VET. Tutte le istituzioni formative offrono opportunità di apprendimento nella creazione di impresa come materia fa- coltativa. Supervisionando la messa a punto dei programmi scolastici, il Ministero dell’Istruzione si assicura che l’innovazione venga incorporata nei contenuti di studio in modo interdisciplinare e che la valutazione delle competenze degli allievi in tema di innovazione siano incluse negli esami finali. Se quelli citati precedentemente costituiscono gli obiettivi per il sistema edu- cativo secondario superiore, si possono ora richiamare anche gli obiettivi specifici per la Formazione Professionale, derivanti dalla strategia del governo danese. Anche in questo caso si parte da una finalità generale, che consiste nell’ampliare in termini significativi il peso proporzionale che l’imprenditorialità detiene nell’eco- nomia della programmazione didattica annuale. Sul versante applicativo, si indivi- duano una serie di obiettivi operativi:  lo sviluppo di prove d’esame e di test che consentano di accertare e documen- tare il possesso di significative competenze imprenditoriali nel settore della Formazione Professionale;  le attività devono essere stabilite con il concorso delle imprese che maggior- 25 mente promuovano negli allievi lo sviluppo del pensiero e della pratica dell’in- novazione, muovendo dai reali problemi segnalati dalle aziende. Allo scopo di favorire l’implementazione ed il monitoraggio delle policy ed al tempo stesso di supportare il sistema educativo nell’implementazione della strategia, il governo danese ha istituito la Fondazione Young Entreprise, per la promozione della cultura imprenditoriale. La fondazione è sorta sulla base di un accordo tra mini- steri dell’Istruzione, della Scienza Tecnologia e Innovazione, e dell’Economia. Il nuovo organismo, concepito sul modello della statunitense Kauffman Foundation, ha il compito di supportare l’implementazione della strategia e presenta le caratteri- stiche di un’interfaccia con il sistema educativo a tutti i suoi livelli e con i principali stakeholder. Inoltre fornisce alle scuole ed alle imprese il necessario supporto finan- ziario, oltre a coordinare le visite in azienda ed a fornire personale qualificato per do- cenze ed attività formative. Uno dei compiti della Fondazione consiste nell’indagare ed analizzare le traiettorie di sviluppo della formazione all’imprenditorialità, oltre che l’impatto cui abbia dato luogo nel tempo su diversi gruppi e categorie di destinatari. Le attività includono differenti studi ed approcci a seconda delle caratteristiche della misura interessata e del livello di istruzione considerato. In Danimarca operano all’incirca 1.900 tra istituti comprensivi (Folkeskole) ed istituti di istruzione e formazione secondaria superiore. L’attività della fondazione si concentra prevalentemente sul supporto alle strutture organizzativamente meno articolate, che necessitano di forme di sussidio e di accompagnamento maggior- mente consistenti. In linea con quanto accade per ulteriori attività che mettano in relazione il sistema educativo con il tessuto produttivo locale, la gran parte dei pro- grammi attuati dalla Fondazione vengono cofinanziati dalle imprese e dalle loro as- sociazioni di categoria. 1.3.2.2. Modello formativo Il Company Programme rappresenta un modello formativo in cui gli studenti imparano a trasferire una business idea dal progetto alla realtà, dando vita ad un’impresa e scoprendone mediante l’esperienza diretta come funzioni e quali ne siano le caratteristiche sotto il profilo strategico, organizzativo e gestionale. Gli al- lievi eleggono il consiglio di amministrazione tra i loro pari, raccolgono il capitale sociale necessario all’avvio dell’impresa, mettono sul mercato e finanziano un pro- dotto o servizio di loro scelta. Al termine del ciclo di vita del programma redigono una relazione conclusiva e presentano il bilancio ai propri azionisti. Il programma viene condotto prevalentemente in ambito curricolare – o in alternativa mediante attività extracurricolari – per una durata tra le 12 e le 26 settimane, con un impegno medio di circa tre ore la settimana. a. Principi guida generali L’obiettivo principale del Company Programme promosso dalla Fondazione Young Enterprise (membro di JA-YA Europe) è quello di consentire agli studenti di 26 sviluppare – e partecipare ad – attività economiche reali, benché strutturate su scala ridotta, in modo da poter sperimentare in termini diretti e concreti il processo me- diante il quale sia possibile dar vita ad un’impresa a partire dall’idea imprendito- riale, passando per la definizione del business plan e giungendo sino alla condu- zione delle attività richieste per la sua conduzione in termini di successo sul mer- cato. Junior Achievement Young Enterprise ha fissato una serie di principi guida, la cui funzione è quella di orientare il percorso educativo in tutto il suo sviluppo, così da costituire una rete concettuale che determini l’impostazione da fornire all’im- pianto formativo. Se ne riportano di seguito le linee fondamentali:  offrire a tutti i giovani la possibilità di partecipare ai programmi di formazione imprenditoriale, indipendentemente dal loro background e dalle abilità di cui dispongano;  supportare gli allievi nello sviluppo di attitudini e competenze orientate all’im- presa, al successo personale, all’apprendimento per tutto l’arco della vita e ed all’occupabilità;  proporre programmi formativi basati sulla pratica e l’attività diretta, che poten- zino nei ragazzi la comprensione del valore e del ruolo socio-economico giocato dall’impresa;  coinvolgere nell’offerta dei programmi soggetti volontari, appartenenti al mondo dell’impresa o ad esso esterni, che possano collaborare con il corpo insegnante;  assicurare che i programmi rispondano a standard elevati, riflettendo le mi- gliori pratiche correnti nella conduzione dell’impresa, le regole di comporta- mento etico ed una consapevolezza delle responsabilità nei confronti dei porta- tori di interessi, compresi i consumatori e la comunità;  stabilire e mantenere standard di qualità dell’offerta formativa;  fornire un’adeguata forma di riconoscimento del successo formativo conse- guito da ciascun partecipante all’attività formativa;  gestire e supportare lo staff ed i volontari nel conseguimento di elevati stan- dard di offerta formativa;  lavorare in partnership con individui ed organizzazioni per massimizzare l’effi- cacia ed efficienza delle attività;  riconoscere il contributo alla realizzazione delle attività fornito sia da volon- tari, che da insegnanti, sponsor, supporter, mondo della scuola e dell’impresa. b. Competenze al centro del percorso formativo Le capacità e competenze acquisite attraverso il programma sono raggruppa- bili in due categorie distinte ed interconnesse, che comprendono le competenze tra- sversali e le competenze imprenditoriali. In aggiunta al loro impatto sulle compe- tenze di tipo trasversale ed imprenditoriale, le mini-aziende consentono agli stu- denti di poter raccogliere elementi di analisi e di giudizio, utili ai fini decisionali sul loro futuro percorso formativo o occupazionale. 27 Le skill di carattere tecnico-professionale al centro del percorso formativo sono le seguenti:  raccogliere quote di finanziamento mediante la vendita di azioni  aprire ed utilizzare il conto bancario della propria azienda  effettuare ricerche di mercato  lavorare insieme per creare un business plan  sviluppare il prodotto o servizio realizzato dall’impresa  vendere e promuovere il prodotto o servizio realizzato dall’impresa  presidiare gli aspetti commerciali del business  gestire le risorse finanziarie aziendali  partecipare a fiere in rappresentanza della propria azienda  competere con altre scuole in concorsi appositamente previsti (es. Azienda dell’anno) Oltre alle abilità imprenditoriali più marcatamente connesse alla pratica di conduzione di un’azienda, gli studenti possono sviluppare competenze, atteggia- menti e comportamenti maggiormente legati ad una prospettiva di sviluppo della dimensione imprenditiva, tra cui:  pensiero creativo e di problem solving  capacità di comunicazione e di presentazione  fiducia in se stessi e pensiero positivo  lavoro di squadra e leadership  negoziazione e processo decisionale  definizione degli obiettivi e gestione del tempo  gestione del rischio c. Fasi di sviluppo del programma Il Company Programme ha una durata di un anno scolastico/formativo e si articola su cinque fasi cardine.  Motivazione e idee. La fase è centrata sullo sviluppo della creatività e su ses- sioni di brainstorming dirette a generare l’idea imprenditoriale.  Organizzazione. Dopo aver definito la business idea, il nome ed il marchio dell’impresa, con il supporto di specialisti volontari, appartenenti al tessuto delle imprese locali (mentori), viene nominato il consiglio di amministrazione e stabiliti ruoli, funzioni e modello di gestione delle risorse umane.  Implementazione e consolidamento. La fase si concentra sulla raccolta del capitale di partenza, cui segue la definizione del prodotto (bene o servizio) in considerazione degli esiti di un’analisi di mercato, al fine di perfezionare il business plan, anche alla luce di quanto avviene nello scenario internazionale.  Passare all’azione. A questo stadio di sviluppo del progetto gli allievi si occu- pano dei concreti processi di produzione e dei meccanismi di approvvigiona- mento delle materie prime o dei semilavorati (beni) ed in genere dei processi 28 di fornitura interna ed esterna basati sulla catena del valore (beni e servizi). Successivamente si passa alla vendita dei prodotti, mantenendo inoltre sotto presidio gli aspetti amministrativo-contabili e di bilancio.  Competere. Beni e servizi vengono venduti presso la scuola e la comunità lo- cale, per cui il successo o il fallimento dell’impresa non è determinato dal giu- dizio degli insegnanti, ma dal giudizio dei consumatori e più in generale dalla capacità di condurre l’impresa, nella misura in cui venga incontro alle reali ne- cessità espresse a livello territoriale. La competizione si realizza anche tra mini-imprese, nell’ambito di competizioni tra classi e tra scuole.  Chiudere l’impresa. Al termine dell’annualità, l’impresa viene posta in liquida- zione dopo aver saldato i dividendi agli azionisti. 1.3.2.3. Governance e modello organizzativo-gestionale Come si è osservato in precedenza, le attività didattiche trovano nella scuola il loro ambiente educativo, mediante il coordinamento di una serie di figure che in- cludono gli insegnanti, i mentori ed il personale di staff della Fondazione Young Entreprise. Oltre all’attività svolta in ambito curricolare, vi è la possibilità di pro- grammare ulteriori spazi di apprendimento in ambito extracurricolare, ad esempio mediante visite aziendali, partecipazione a fiere, incontri con gli operatori finan- ziari locali, competizioni tra scuole. Va comunque tenuto presente che, dal punto di vista organizzativo, il baricentro dell’attività didattica è costituito dall’istituzione scolastica o formativa. La Fondazione, oltre a coordinare gli interventi presso le scuole, eroga e coordina la formazione degli insegnanti, predispone la distribuzione dei sussidi didattici: il manuale dello studente, la guida per gli insegnanti ed i mentor, il Kit Student Company e relativo CD Rom, le attività seminariali a tema. È previsto in forma sistematica l’uso di strumenti di comunicazione digitale, quali il sito del Company Programme, la piattaforma digitale interattiva ed ulteriori banche dati. Inoltre cura il monitoraggio dell’attività – in collaborazione con gli in- segnanti – e la valutazione di impatto del modello formativo sull’intero sistema scolastico e formativo danese, producendo annualmente un report valutativo. Le di- verse fasi che scandiscono la realizzazione delle attività e che presentano una parti- colare rilevanza sul versante organizzativo possono essere visualizzate come di seguito (cfr. Fig. n. 4). La fase di avvio del programma prevede un insieme di step che vanno dalla ri- cerca e reclutamento delle aziende sponsor e dei volontari con funzioni di mentori, all’individuazione di un coordinatore ed un consulente per ciascuna mini-impresa, all’abbinamento tra impresa e singola scuola o rete di scuole, all’individuazione degli insegnanti referenti per ciascuna scuola, sino alla formazione degli insegnanti e dei mentori ed alla pianificazione delle diverse componenti che concorrono alla realizzazione del programma. 29 Le possibili alternative alla programmazione didattica si ripartiscono tra pro- grammazione in ambito curricolare ed extra-curricolare. Nel primo caso, il più dif- fuso in Danimarca, i corsi generalmente sono rivolti a studenti di specifiche classi, nella forma standard che prevede un impegno di 2-3 ore settimanali o in quella in- tensiva che accorpa la durata del corso in poche settimane con un impegno di 3-5 giorni la settimana. Sempre nell’ipotesi di programmazione curricolare, l’attività può coinvolgere l’intero corpo degli studenti di una scuola (anche nella formula che individua una o più classi di età), con un impegno esteso all’intera settimana di studio per una serie di settimane. Nel caso di una programmazione extra-currico- lare, le soluzioni maggiormente praticate riguardano l’erogazione di corsi in orario serale che raccolgano studenti di varie scuole (2-3 ore settimanali) o corsi pomeri- diani – al termine delle ore di lezione curricolare – rivolti agli studenti di una sola scuole, per un impegno medio dalle 3 alle 6 ore settimanali. Si ricorda che, in media, i percorsi presentano un’estensione dalle 40 alle 80 ore complessive. Il ciclo di vita annuale del percorso formativo – si ricorda che al termine di ciascuna annualità scolastica la mini-impresa viene posta in liquidazione – mette in relazione le attività realizzate da parte delle tre componenti chiave del modello, ossia gli studenti, gli insegnanti ed i mentori. Gli studenti hanno la responsabilità sull’intera gamma di aspetti riguardanti la costituzione, gestione, sviluppo e consolidamento dell’impresa, esercitando la pro- pria capacità decisionale su aspetti che vanno dai beni e servizi prodotti, ai processi produttivi, alla strategia commerciale e di vendita, sino alla gestione della contabi- lità e del bilancio. Per fare ciò, si impegnano in attività che vanno dalla definizione dell’idea imprenditoriale al suo sviluppo progettuale e successivamente alla costi- tuzione dell’impresa ed alla sua conduzione sotto il profilo amministrativo, orga- nizzativo-gestionale e produttivo. Si noti che, nel caso di produzione di beni, la fabbricazione avviene in forma diretta o mediante l’acquisto di componenti per un successivo assemblaggio. Il prodotto o servizio viene immesso nel mercato locale dopo aver definito una strategia di vendita, tenendo sotto controllo gli aspetti finan- ziari e contabili, oltre alla gestione del management e delle risorse umane. Al ter- mine dell’annualità l’impresa suddivide i dividendi tra gli azionisti e viene posta in liquidazione. 30 Figura n. 4 - Schema del processo di sviluppo del Company Programme Ad assegnare il compito di costituire la mini-impresa sono gli insegnanti, che forniscono la propria assistenza per tutto l’arco di vita del programma, dallo sviluppo dell’idea imprenditoriale e al concept del prodotto /servizio, supportando successiva- mente gli allievi nel lavoro di team per la conduzione dell’impresa. Inoltre, curano il supporto ai mentori per la gestione dell’attività corrente e si raccordano con la Fonda- zione per il monitoraggio costante delle attività. I mentori, a loro volta, operano sia presso la scuola che mediante forme di comu- nicazione on-line con gli studenti, supportata dall’uso di una piattaforma digitale. Costituiscono una risorsa permanente di aiuto pratico nelle diverse fasi di sviluppo 31 del programma, in termini di conoscenze e di expertise, oltre che di percezione dei bisogni espressi dalla comunità locale. Non hanno la funzione di guidare le mini-im- prese ma al contrario agiscono indirettamente, in qualità di modelli di ruolo. 1.3.2.4. Ambiente di apprendimento Sotto il profilo delle teorie dell’educazione all’imprenditorialità, il dibattito odierno evidenzia una pluralità di posizioni, a seconda che gli studiosi utilizzino un paradigma di tipo causale e lineare della programmazione didattica nel settore im- prenditoriale (Neck e Greene, 2011), o si propongano di intervenire prevalente- mente sulle rappresentazioni che gli studenti hanno del fenomeno imprenditoriale (Sarasvathy e Venkataraman, 2011), o ancora, adottino un approccio maggiormente centrato sugli aspetti processuali che conducono allo sviluppo delle competenze imprenditoriali (Blenker et alii, 2011). Rispetto al dibattito in corso in sede scienti- fica, il modello proposto da JA-YE, a detta dei suoi stessi ideatori, non propende per una particolare chiave interpretativa, ma al contrario l’enfasi è posta su quattro aspetti ritenuti avere una funzione cardine.  In primo luogo l’attenzione è posta sull’azione concreta, interpretata come l’a- bilità ed il desiderio di realizzare iniziative che producano un valore, mediante la cooperazione, sulla base di capacità di organizzare, specificare, pianificare ed attuare attività, esercitando l’analisi e l’assunzione del rischio.  La seconda componente del processo formativo è costituita dalla creatività, in- tesa come abilità di scoprire e creare idee e opportunità, combinando in modo nuovo conoscenze, esperienza e risorse personali.  Ulteriore dimensione imprenditoriale è rappresentata dall’ambiente-contesto, di cui si ritiene necessaria la conoscenza e la comprensione in termini sociali, culturali ed economici, come punto di partenza per azioni che creino valore.  Infine il modello si concentra sull’attitudine imprenditoriale, concepita come il complesso di risorse personali con cui lo studente risponde alle sfide ed ai compiti, ossia come fiducia nella propria abilità ad agire nel mondo, realiz- zando i propri sogni e piani d’azione. Il Company Programme è centrato sulla conduzione diretta di una mini-im- presa e si avvale quindi di una serie di conoscenze e di skill trasversali la cui acqui- sizione si svolge all’interno dell’attività didattica ordinaria. Per fare ciò, le quattro dimensioni imprenditoriali richiamate precedentemente sono poste in relazione con i core subject, ossia con le materie proposte in classe dagli insegnanti e con il curri- colo proprio della scuola e del più ampio sistema educativo, in rapporto al suo ordine e grado (cfr. Fig. n. 5). Nel modello l’educazione imprenditoriale è intesa perciò come parte integrante della pratica educativa, basata sugli obiettivi e contenuti propri dell’istituzione sco- lastica o formativa. Il programma, data la sua prospettiva di carattere interdiscipli- nare, può trovare applicazione nelle diverse tipologie in cui è strutturato il sistema della scuola secondaria superiore, opportunamente adattato e declinato dai diversi 32 dipartimenti scolastici: da quello tecnico-scientifico, a quello economico-sociale, passando per le discipline a carattere linguistico e matematico. Le discipline maggiormente coinvolte risultano essere le lingue straniere, ma- tematica, ICT, cittadinanza, geografia, comunicazione, scienze, arte, design e tecnologia. Più in generale, un buon terreno di applicazione viene individuato anche in relazione alle key skill ed all’orientamento professionale. Figura n. 5 - JA-YE. Progression Model Figure chiave di sistema  Insegnante: riveste il ruolo di facilitatore e di comunicatore con tutte le per- sone coinvolte nella realizzazione del programma. Gli attori che prendono parte all’intervento sono infatti molteplici: studenti, mentori, quadri della Fon- dazione, membri del personale locale, autorità locali del sistema dell’educa- tion, amministratori e altro personale della scuola, genitori, organi di stampa e imprese locali. Gli insegnanti assumono sia un ruolo didattico, accompa- gnando studenti nel processo di apprendimento durante la fase di implementa- zione che manageriale, fornendo supporto ai business mentor nel loro ruolo di consulenti. Inoltre assolvono a funzioni di carattere amministrativo, tra cui il supporto per gli aspetti logistici e l’organizzazione dell’attività in classe, la promozione delle attività del Company Programme presso gli studenti e il con- trollo della loro partecipazione alle attività. Gli insegnanti sono preventiva- mente formati all’inizio di ogni anno scolastico da personale della Fondazione Young Entreprise, che ricopre un ruolo di supporto verso gli insegnanti ed i mentori nel corso dell’intero anno scolastico.  Mentori aziendali: ciascuna mini-impresa di norma è seguita da uno o due mentori. I mentori sono volontari, provenienti dalla rete locale delle imprese, disposti a condividere le loro conoscenze e competenze con gli studenti. Il ruolo del mentore è quello di fornire consulenza, non di dirigere e di guidare la mini-impresa. Si tratta di una funzione chiave nel programma, che consente agli allievi di rapportarsi direttamente con chi possiede conoscenze e compe- tenze distintive ed è in grado di fornire adeguata consulenza, mirata alle esi- genze dei soggetti in formazione. La Foundation for Entrepreneurship Activi- 33 ties and Culture – Young Enterprise ha responsabilità diretta per il recluta- mento dei mentori e per l’erogazione della formazione. In alcuni casi i consu- lenti aziendali vengono individuati direttamente da insegnanti, famiglie, col- leghi, etc. I mentori vengono passati al vaglio del controllo del casellario giu- diziario per valutare la loro idoneità per lavorare con utenti minorenni e viene loro richiesto di firmare un codice di condotta prima di iniziare l’attività. La Fondazione monitora l’attività dei mentori durante l’intero anno scolastico e collabora con gli insegnanti in caso di criticità. Gli obiettivi del mentore ri- guardano il supporto agli studenti per:  sviluppare le capacità personali, tra cui il lavoro di squadra, la comunica- zione interpersonale e di gruppo, decision-making, gestione del tempo, svi- luppo del pensiero creativo;  acquisire un’adeguata comprensione di come funziona l’impresa nei diversi settori che la compongono: commerciale, finanziario ed amministrativo, processo produttivo, qualità e customer satisfaction;  acquisire un’adeguata comprensione del processo di creazione della ric- chezza, mediante la partecipazione al capitale, gli aspetti finanziari, il valore aggiunto, le strategie di innovazione. 1.4. Elementi di convergenza e di differenziazione tra i casi esaminati I due studi di caso esaminati in precedenza evidenziano sia un insieme di ele- menti comuni e convergenti, che ne richiamano i legami di comunanza su molte- plici piani di osservazione, sia un nucleo di fattori di differenziazione – a volte estremamente marcata – che rinviano ad eterogenei contesti di policy e alla varietà di categorie di utenza. Nei paragrafi che seguono si approfondiranno gli elementi di convergenza e di differenziazione di tipo maggiormente macroscopico, nell’inten- zione di fornire adeguati spunti all’analisi ed alla riflessione condotta nei capitoli successivi. Ciò che preme circoscrivere e commentare sono le principali tendenze comuni e gli elementi di eterogeneità, anche allo scopo di ricavare utili indicazioni sui fattori di mainstreaming consolidatisi a livello internazionale, accanto alle pe- culiarità e alle specificità ancorate ai contesti nazionali determinati ed agli sviluppi che i modelli formativi esaminati hanno conosciuto al loro interno. 1.4.1. Elementi di convergenza 1.4.1.1. Quadro legislativo e di policy Cornice normativa e regolamentare articolata Un primo aspetto su cui è opportuno richiamare l’attenzione è costituito dal quadro legislativo e di policy che caratterizza i due casi esaminati. Pur nella mar- cata difformità delle finalità cui rispondono le diverse politiche pubbliche, in en- 34 trambi i casi le misure analizzate si inquadrano dentro una precisa cornice di tipo normativo e regolamentare, adeguatamente definita anche rispetto a più ampie stra- tegie messe a punto dai governi. Nel Belgio francese le forme di intervento cui ri- spondono le Entreprises de formation par le travail sono disciplinate dal quadro re- golamentare sul sostegno individualizzato ai soggetti in cerca lavoro e sulla costitu- zione di partenariati per l’inserimento lavorativo. Ciò sta a significare che le im- prese formative ricoprono una funzione di primo piano nel dispiegamento degli in- terventi di politica attiva del lavoro, fornendo un’opportunità rivolta a soggetti svantaggiati di supporto all’inserimento socio-professionale, allo scopo di ottimiz- zare le traiettorie di sviluppo dei propri beneficiari, grazie ad un approccio basato sul partenariato tra istituzioni formative e pubblica amministrazione. Nel contesto danese, parimenti, il governo ha varato recentemente una specifica Strategia per l’istruzione e la formazione professionale all’imprenditorialità, diretta a favorire un più stretto rapporto tra il sistema dell’education e la promozione dello spirito e della pratica imprenditoriale, mediante forme di forte collaborazione tra pubblico e privato. Modelli di intervento a carattere sistemico e multiattore Un tratto ulteriore che concorre ad accomunare i due tipi di approccio di poli- tica pubblica consiste nel fatto che, sottesi ai due casi considerati, si individuano analoghi modelli di intervento che possono essere definiti di tipo sistemico e mul- tiattore. L’approccio sistemico si palesa tanto nel caso belga - che mette in connes- sione le politiche attive del lavoro con quelle a carattere formativo e socio-assisten- ziale – quanto nella realizzazione del Company Programme al centro del caso da- nese, in cui il concetto di educazione imprenditoriale assume un significato ampio ed articolato. Anche in quest’ultima prospettiva, le politiche rivolte alla formazione imprenditoriale prevedono una serie di connessioni con il sistema dell’education e le traiettorie di sviluppo locale. Quanto al carattere multiattore proprio dei diversi scenari tratteggiati, in forme analoghe danno vita a sistemi a rete ad elevata connettività, all’interno dei quali il servizio pubblico (o la Fondazione danese che svolge le funzioni di ente gestore dell’intero corpo di politiche per la formazione imprenditoriale) realizza la presa in carico dei beneficiari, coinvolgendo nella realizzazione degli interventi attori e sog- getti provenienti sia dal settore privato (in primis le imprese), sia quello del cosid- detto privato sociale. La rete opera su obiettivi convergenti e differenziati, ricono- scendo alle pratiche di monitoraggio e valutazione della qualità degli interventi svolti un ruolo strategico per la tenuta del sistema. Regime fiscale specifico, in deroga alla normativa di settore Oltre agli aspetti ora richiamati, un fattore decisivo che sembra stabilire una relazione tra i due casi posti sotto osservazione è dato dalla presenza, nel quadro le- gislativo, di un regime di deroga - di cui godono sia le EFT in Vallonia che le 35 micro-imprese scolastiche danesi – che consente loro di operare come ambienti di lavoro reali in condizione protetta. In tutti i casi le unità organizzative che operano a fini formativi (EFT, mini-imprese), benché si reggano sull’attività professionale espletata da allievi in formazione e non da lavoratori, sono autorizzate a produrre ed a commercializzare beni e/o servizi, nei limiti necessari alla realizzazione dei propri obiettivi formativi, ora in esenzione IVA, ora sulla base di una contabilità semplificata. 1.4.1.2. Modello formativo Formazione multidimensionale La logica comune su cui sono impostate le due distinte misure di intervento che, come si è osservato, risulta essere di tipo sistemico, si riverbera anche sul piano dei modelli formativi adottati. Le EFT ad esempio forniscono un tipo di for- mazione che insiste su un’ampia gamma di dimensioni complementari. Oltre al set di competenze tecniche, al centro di una determinata professione o occupazione, il percorso formativo in ambiente di lavoro reale è incentrato sullo sviluppo di com- petenze di carattere trasversale e di abiti professionali adeguati. In aggiunta, il per- corso comprende una quota di formazione tecnica che riguarda l’apprendimento dei saperi e delle conoscenze teoriche e procedurali, associati alla pratica professio- nale, così come una componente di istruzione di base avente ad oggetto il raggiun- gimento di un livello funzionale minimo di competenze nella literacy linguistica e matematica. Negli anni recenti ha preso sempre maggiore impulso l’accompagna- mento personalizzato, che costituisce il versante psico-sociale della formazione presso le EFT, orientato alla definizione di un progetto di sviluppo personale e pro- fessionale, così da abilitare gli allievi ad una gestione della propria carriera forma- tiva e di lavoro. Il Company Program, dal canto suo, si propone di porre gli stu- denti in situazione sin dalle prime fasi dell’intervento, per abilitarne le capacità ri- chieste per lo sviluppo ed il presidio di attività economiche reali, benché strutturate su scala ridotta. Così facendo, consente agli allievi di sperimentare in termini diretti e concreti il processo che conduce dalla generazione dell’idea imprenditoriale, alla definizione del business plan, sino alla conduzione di una micro-impresa, curando il presidio di una vasta gamma di variabili interne ed esterne che ne determinano il successo, o il fallimento, sul mercato. Formazione abilitante alla gestione della navigazione professionale e delle ulte- riori transizioni Uno degli aspetti che assumono un ruolo cardine in entrambi i modelli forma- tivi esaminati è costituito dalla prospettiva sulla base della quale si intende favorire da parte dell’utenza la possibilità di una navigazione professionale, per usare un termine mutuato da Le Boterf, in cui le persone, riconosciute sempre più attive e responsabili rispetto al proprio futuro professionale, debitamente formate allo scopo, devono essere in grado gestire le fasi di transizione: di carriera, di studio, di 36 condizione sociale, etc. Per poterlo fare in forma adeguata, devono essere state for- mate a compiere di volta in volta il punto sulla loro situazione, fissando obiettivi realisticamente perseguibili in termini di acquisizione di competenze e trovando presso contesti di apprendimento diversificati le competenze ricercate (o le loro componenti, in termini di learning outcomes) utili ad un riposizionamento sul mer- cato del lavoro. Tutto ciò comporta quindi un ribaltamento della prospettiva, come la si intendeva sino ad un passato recente, con una forte centratura sull’utente. A tale proposito è significativo il fatto che la convenzione stipulata tra FOREM e le diverse EFT contiene, in forma dettagliata, gli obiettivi formativi da conseguire non solo in termini di competenze correlate all’esercizio del mestiere, ma anche ad abi- lità di programmazione del proprio processo complessivo di sviluppo. Nella con- venzione, accanto ai risultati formativi attesi, trovano collocazione anche i criteri di valutazione grazie a cui ne verrà accertato il possesso da parte del beneficiario, in esito al percorso. Similmente, nel modello praticato in Danimarca, l’attenzione è posta in egual misura agli aquis di natura tecnico-specialistica, abilitanti alla con- duzione efficace di un’impresa che voglia operare con successo sul mercato, così come alle dimensioni di carattere personale ne accompagnano il percorso di realiz- zazione. Si tratta di aspetti che attengono alla capacità di saper tradurre un’idea in azione, alla creatività, alla propensione all’ascolto dei bisogni espressi dalla comu- nità locale e, più in generale, al senso di fiducia nella propria abilità ad agire nel mondo, realizzando i propri sogni e piani d’azione. 1.4.1.3. Governance e modello organizzativo-gestionale Funzione connettiva del piano formativo personalizzato Al centro del modello organizzativo, tanto nel caso belga che in quello analiz- zato in Danimarca, si pone il piano formativo personalizzato, centrato sui bisogni del beneficiario, che costituisce l’elemento pivot dell’intero processo di erogazione di servizi differenziati, prodotti da una rete di attori distinti. Nel primo caso, il piano è la derivazione applicativa di un precedente piano d’azione concordato dai beneficiari con gli operatori dei servizi per l’impiego (FOREM), che curano la presa in carico del soggetto. Il piano personalizzato fornisce gli elementi salienti per la costruzione della successiva convenzione che regola i rapporti tra FOREM ed EFT, dettagliando gli obiettivi del percorso formativo ed i criteri di accerta- mento dei risultati conseguiti. Nella fase successiva il beneficiario mantiene i rap- porti con gli operatori del FOREM per il monitoraggio dello stato di avanzamento del piano d’azione ed al tempo stesso fa il suo ingresso nel percorso formativo in alternanza e connotato da un elevato grado di multidimensionalità, che si conclude con una valutazione finale, valida ai fini della certificazione delle competenze ac- quisite. Nella fase conclusiva, nuovamente a cura del FOREM, il piano personaliz- zato guida le successive mosse nell’avvio dell’utente verso il mercato del lavoro, grazie ad attività di placement. Nel caso l’inserimento presentasse motivi di insuc- cesso si interverrà nuovamente sul piano personalizzato, riorientandone gli obiettivi 37 e, conseguentemente, intervenendo anche sul versante dell’acquisizione di nuove competenze nel sistema formativo. Anche nel caso del Company Programme, l’attività di educazione imprendito- riale si connota per la forte enfasi posta sulla personalizzazione dei percorsi. Va ri- cordato che, accanto alla concreta esperienza di conduzione di una mini-impresa, gli studenti sono interessati anche da un percorso parallelo di acquisizione di soft skill che si svolge all’interno dell’attività didattica corrente, in rapporto alle disci- pline presenti nel curriculum scolastico. Anche nel caso danese, ciascuno studente concorda con gli insegnanti un piano formativo individualizzato che possa preve- dere anche attività da svolgersi con gruppi di apprendimento non limitati alla pro- pria classe. Oltre a ciò, nel corso dell’esperienza imprenditoriale condotta in situa- zione (mini-imprese), gli allievi godono di forme di accompagnamento individuale operate tanto dagli insegnanti, quanto dai mentori. Ruolo chiave delle figure di processo Nell’economia dei due diversi modelli presi in considerazione, si distinguono una serie di figure di sistema che si richiamano vicendevolmente. Si tratta sostanzial- mente di figure di processo, che intervengono per accompagnare i soggetti in forma- zione, fornendo da un lato risorse informative e dall’altro supportandoli nella rifles- sione operata sulle proprie traiettorie di sviluppo formativo e professionale. Nell’e- sperienza danese, il mentore supporta gli studenti nella crescita delle capacità perso- nali, tra cui il lavoro di squadra, la comunicazione interpersonale e di gruppo, il deci- sion-making, la gestione del tempo e lo sviluppo del pensiero creativo. Inoltre ne fa- cilita l’acquisizione di un’adeguata comprensione di come funziona l’impresa nei di- versi settori che la compongono, così come del processo di creazione della ricchezza, mediante la partecipazione al capitale, gli aspetti finanziari, il valore aggiunto, le strategie di innovazione. In Belgio, i formatori presso la EFT operano in funzione di supporto ed accompagnamento intervenendo su molteplici piani: analizzando le mo- tivazioni degli allievi ed applicando metodologie di valutazione degli apprendimenti, così come interpretando le rappresentazioni degli allievi in rapporto alla formazione, all’occupazione, alle prospettive di sviluppo personale e professionale. Oltre a ciò, sono formati per comprendere ed interpretare le problematiche psico-sociali degli allievi, mettendo in atto tecniche di supporto psico-sociale. 1.4.1.4. Ambiente di apprendimento Apprendere in contesti esperienziali e di apprendimento non formale ed informale Al cuore di entrambi i modelli posti sotto analisi, si scorge un forte elemento di comunanza, dato dalla centralità del ruolo giocato dalle strategie e metodologie attive, ad iniziare dal learning by doing, a cui si vedono associati tanto l’apprendi- mento significativo, quanto l’apprendimento esperienziale in un reale contesto di lavoro (workplace). Il learning by doing, ossia l’apprendimento attraverso il fare, costituisce il fon- 38 damento primo delle molteplici attività realizzate sia nelle Entreprises de formation par le travail, sia nell’ambito del Company Programme. L’apprendimento di tipo esperienziale avviene per modifica del precedente campo cognitivo della persona. Non consiste solo in un’aggiunta di nuove unità di conoscenza, ma in una modifica del sapere precedente. L’obiettivo in questo caso non si riduce semplicemente al- l’insegnamento del nuovo ma nuovi collegamenti che l’individuo deve instaurare nella mente tra elementi nuovi ed elementi già presenti nell’esperienza e nel suo campo psicologico, cognitivo ed emozionale (rappresentazioni mentali, concezioni, tendenze emozionali, atteggiamenti ecc.). Più nello specifico, il workplace learning rinvia all’importanza dei processi di formazione di tipo non formale ed informale che si attuano all’interno del luogo di lavoro, oltre che alle conoscenze tacite che costituiscono una componente determinante delle competenze distintive. 1.4.2. Elementi di differenziazione 1.4.2.1. Quadro legislativo e di policy Sotto il profilo delle policy, in precedenza si è molto insistito sugli elementi di convergenza tra i due casi richiamati. Il maggiore fattore di differenziazione pare essere costituito invece dalla finalità ultima cui rispondono le due misure di politica pubblica. Nel caso belga, le EFT sono finalizzate al rafforzamento del livello di oc- cupabilità e di capacità di governare il proprio percorso di sviluppo personale e professionale da parte di soggetti svantaggiati, in vista di un loro successivo inseri- mento o reinserimento nel mercato del lavoro. Diversamente, il Company Pro- gramme non fa parte di una misura specifica di politica attiva del lavoro, pur inqua- drandosi all’interno di una strategia nazionale per l’educazione imprenditoriale, ma risponde allo scopo di fornire ad un’ampia quota della popolazione studentesca l’opportunità di maturare soft skill funzionali al diffondersi di uno spirito imprendi- tivo e competenze tecniche per condurre un’impresa. 1.4.2.2. Modello formativo Formazione duale versus formazione in alternanza tra ambiente esterno ed interno Alla base del modello formativo promosso dall’EFT si ha un modello di ap- prendimento di tipo duale, in virtù del quale la formazione si svolge in forma alter- nata tra aula/laboratorio e reale ambiente di lavoro, quest’ultimo esperito presso la EFT ed eventualmente in un’impresa esterna impresa. L’allievo apprende vivendo la pratica professionale entro un’organizzazione formativa strutturata, finalizzata ad una qualificazione professionale, sulla base di precisi obiettivi di apprendimento, il cui raggiungimento viene monitorato per tutta la durata del processo formativo. Allo schema di formazione duale sotteso modello formativo proprio dell’ETV fa riscontro un approccio difforme che qualifica il caso danese. In questo caso, di estremo interesse, l’alternanza non viene praticata tra la componente teorica e quella pratica, bensì tra ambiente interno ed esterno alla scuola. Ciò significa che i 39 luoghi in cui la formazione viene erogata, di per sé non connotano più il contenuto di tale formazione. Detto in altri termini, nella scuola gli allievi acquisiscono com- petenze sia in contesto formale (lezioni/laboratori supportati dai docenti) che in contesto non formale (seminari, approfondimenti tematici, ricerche di mercato, svi- luppo della business idea e del business plan, etc.). Parimenti, in ambiente esterno maturano skill di tipo esperienziale mediante la partecipazione a fiere, competi- zioni tra scuole, etc. A fare da tessuto connettivo tra interno ed esterno si pone l’e- sperienza di conduzione della mini-impresa, che per sua natura appartiene sia all’ambiente interno alla scuola (setting di apprendimento strutturato, con il sup- porto di figure specifiche – i mentori) che a quello esterno, rappresentato dal mer- cato. Qui gli allievi acquisiscono competenze sia in contesto non formale che infor- male. A questo proposito, un’interessante linea di riflessione consiste nel fatto che oggi, sempre più, gli analisti ritengono che uno dei principali fattori di successo di un’impresa risieda nella sua capacità di spostare i confini che delimitano il proprio interno, includendovi una parte delle variabili esterne, in termini di comportamenti di scelta e preferenze degli utenti, sistemi e organizzazione di risorse reperibili in outsourcing, distretti virtuali, etc. 41 2. Esperienze e buone pratiche di impresa formativa nella Formazione Professionale in Italia Nel seguito vengono riportati i risultati dell’analisi di 4 casi emblematici di implementazione di “impresa formativa” in Italia e 3 casi di buone pratiche relative ad esperienze di attuazione di progetti di formazione “in assetto lavorativo” all’in- terno della rete CNOS-FAP. Verrà quindi presentata una valutazione comparata dei casi e delle esperienze finalizzata ad evidenziare e approfondire caratteristiche co- muni e distintive e a ricercare elementi determinanti per la realizzazione di un pro- getto di impresa formativa. 2.1. Criteri di scelta delle esperienze e dei casi proposti La ricerca dei casi emblematici è stata condotta previa analisi della letteratura, interviste ad esperti e opinion leader sul tema e la definizione di alcuni criteri mini- mali di scelta. Sono stati definiti i seguenti criteri per la scelta dei casi: – Presenza di casi differenti per dimensione (almeno una realtà piccola e una grande). – Presenza di eterogeneità nei processi/prodotti. – Imprese operanti in regioni differenti (almeno tre). – Disponibilità dell’interlocutore a realizzare una intervista frontale e/o in video- conferenza o telefonica di almeno 45 minuti. E i seguenti criteri per la scelta delle esperienze: – Esperienze maturate all’interno della Rete dei Centri di formazione CNOS- FAP. – Esperienze che prevedono attività di formazione in assetto lavorativo (capita- lizzata o meno). – Esperienze già vissute, in corso, o solo anche progettate e in attivazione. – Disponibilità a realizzare un’intervista telefonica e/o in videoconferenza o telefonica di almeno 30 minuti. Le interviste prevedevano l’utilizzo di una check list strutturata (inviata dove possibile in anticipo agli intervistati) con i seguenti item, rispettivamente per Casi e ed Esperienze. 42 CASI ESPERIENZE 1. Genesi e tappe salienti 1. Genesi e storia dell’iniziativa del progetto impresa formativa 2. Configurazione attuale dell’impresa 2. Studenti coinvolti 3. Quadro normativo 3. Prodotti/servizi realizzati regionale di riferimento 4. Prodotti/Servizi, “clienti” 4. Processo Formativo e attività connesse alla formazione 5. Offerta Formativa 5. Organizzazione e gestione dell’iniziative 6. Numeri dell’attività 6. Prospettive, sviluppi, criticità 7. Partnership attivate 8. Attuazione del processo formativo 9. Organizzazione processi gestionali 10. Prospettive, sviluppi, criticità Le realtà oggetto di analisi sono state le seguenti: CASI ESPERIENZE Cometa Formazione SCS, Como CFP CNOS-FAP, settore: Restauro Moto d’epoca, BRA (CN) Piazza dei Mestieri, Torino CFP CNOS-FAP, settore: Ristorazione, Este (PD) YGES IT Integrazione e Transizione, CFP CNOS-FAP, settore: Cooperativa Sociale a R.L, We Media, Valdocco, Torino Este (Padova) Ristorante le Torri, Bologna Lievito Madre SCS, Trento 2.2. Analisi dei casi Riportiamo nel seguito le schede di sintesi – dei 5 casi analizzati, – delle 3 esperienze CNOS-FAP. Caso 1 - COMETA FORMAZIONE S.C.S a) Genesi e sviluppo del progetto “impresa formativa” L’avventura di Cometa inizia quasi 30 anni fa ad opera di due fratelli, Erasmo 43 e Innocente Figini, che nel tempo hanno dato vita ad una piccola “città nella città” aperta a bambini e ragazzi e alle loro famiglie. Una quotidianità vissuta con 600 ragazzi. Le difficoltà quotidiane vissute con i ragazzi sono diventate occasione di giudizio, e di scelte operative. L’esperienza dell’accoglienza e dell’educazione dei figli ha connotato l’avvio di una proposta scolastica aperta con coraggio alla realtà e capace di affrontare la questione del senso. Le tappe che hanno condotto all’at- tuale configurazione si possono far risalire alla costituzione nel 2000 dell’Associa- zione Cometa, una associazione di Volontariato, Fondazione Cometa nel 2001 per la destinazione definitiva del patrimonio agli scopi dell’accoglienza e dell’educa- zione, una Associazione Sportiva Cometa società dilettantistica nata nel 2002, un ente di formazione nato nel 2003 “Cometa Formazione Srl” poi trasformata nel 2008 in Cometa Formazione scs (società cooperativa sociale) con lo scopo inizial- mente di attivare i tirocini ma è nel 2004 che ha inizio il cammino verso l’impresa formativa con l’attivazione del corso di “ri-motivazione scolastica” con una durata di 6 mesi, destinato a 16 ragazzi in obbligo di istruzione e formazione e successiva- mente (settembre 2004) l’attivazione di un Corso biennale di “Servizi alle imprese” ed un corso annuale di orientamento, destinato a 40 ragazze ragazzi che avevano abbandonato la scuola. Queste esperienze consentono di sviluppare un know how “solido” di gestione di percorsi formativi lunghi, destinati ad una utenza “difficile” con un utilizzo significativo dell’alternanza e di laboratori di attività pratiche. Il 2005 rappresenta l’anno di consolidamento con l’attivazione del primo corso trien- nale DDIF (Diritto Dovere Istruzione e Formazione) settore Tessile, al quale segui- ranno la Ristorazione ed il Legno. Nello stesso anno si attiva il progetto sperimen- tale “liceo del lavoro” (Progetti di rilevanza regionale in Lombardia): percorsi for- mativi in alternanza personalizzati, destinati ragazze e ragazzi in DDIF che ave- vano abbandonato la scuola; i percorsi sono tuttora in corso e in nove anni hanno coinvolto circa 450 ragazzi (50-55 all’anno). A marzo 2008, in seguito al varo del DM 139 8/2007 (decreto Fioroni), Cometa si è trasformata in cooperativa sociale, per poter mantenere l’accreditamento della regione Lombardia. Il 2008 rappresenta il primo passo verso l’impresa formativa con il progetto per la creazione della “Bottega scuola” avente la duplice mission, formativa e di salvaguardia della tradizione artigiana. Allo scopo era stata costituita un’azienda artigiana per realizzare progetti di arredo su misura; circa 40 allievi in DDIF al- l’anno (15-18 anni) impegnati in corsi brevi. Il progetto Bottega Scuola nasce da una donazione di 100 scocche di sedie da bruciare che trasformate in pezzi unici sono stati messi in mostra con vendita all’asta finale. Un grande successo e di con- seguenza una forte azione motivazionale su tutti gli attori impegnati. Da qui nasce anche una riflessione sul come “fare scuola”. Si parte dalla considerazione del perché si fatica a tenere a scuola i ragazzi e ci si pone la domanda: come mai i ra- gazzi si comportano bene in azienda e non a Scuola? La risposta di molti intervi- stati è stata: “perché nelle aziende si fa sul serio e a scuola è per finta”. Si avvia così nel 2010 il processo (ancora in corso) con l’obiettivo di integrare scuola e la- 44 voro e mettere a sistema l’esperienza sedie (e similari) che aveva dimostrato di po- terlo fare. Si mettono in cantiere due progetti importanti: – Apprendistato per la qualifica di 3 anni (già prima della pubblicazione del de- creto sull’apprendistato) con la ristorazione, estendendolo successivamente ad altri settori. L’obiettivo era di rendere il processo di lavoro ambito di apprendi- mento con un significativo lavoro di riprogettazione della didattica. – Botteghe di Cometa ovvero i corsi del triennio e i quarti anni concepiti come botteghe rinascimentali, dalle qui la necessita di riorganizzazione delle compe- tenze di base e professionali, un processo ancora in atto che ha comunque rea- lizzato importanti risultati; le Unità Formative relative alle competenze profes- sionali sono state riordinate secondo quattro stadi legati alle fasi di realizza- zione di un prodotto/sevizi: ideare, progettare, realizzare mentre le competenze trasversali di base in due: amministrare e promuovere b) Configurazione Attuale Allo stato attuale Cometa formazione è inserita in una realtà complessa, articolata in differenti forme giuridiche finalizzate comunque a perseguire la mission originaria di cometa, di garantire a ragazzi e famiglie Accoglienza Educazione e Lavoro. Associazione Cometa accoglie minori in Comunità Familiare ed in famiglia, attua una presa in carico globale dei bambini nel rispetto e valorizzazione del loro contesto d’appartenenza, accompagna e sostiene le famiglie. Fondazione Cometa promuove iniziative culturali, di ricerca scientifica, manifestazioni, seminari, convegni, pubblicazioni, at- tività editoriali d’approfondimento scientifico e culturale delle at- tività svolte da Cometa a favore dei minori e della famiglia, so- stenendone la proposta culturale originaria. Associazione Sportiva Cometa sviluppa la conoscenza e la pra- tica delle attività motorie-sportive e delle attività ricreative, cul- turali e formative, mettendo al centro la crescita della persona. Cometa Formazione nasce dall’esperienza dell’Associazione per coniugare un percorso educativo con apprendimento di ade- guati strumenti di formazione tecnica e inserimento nel mondo del lavoro, offrendo in parallelo corsi di formazione per gli adulti. 45 Il Manto è il soggetto che sviluppa i servizi socio-educativi pro- mossi da Cometa nei confronti dei minori e delle loro famiglie e a favore del territorio. Amici di Cometa è un gruppo di primari imprenditori associati per promuovere le iniziative e le attività di Cometa. Contrada degli Artigiani è una cooperativa nata per realizzare attività artigianali di eccellenza con l’obiettivo primario di creare opportunità lavorative per i ragazzi che hanno difficoltà ad inse- rirsi nel mondo del lavoro. Cometa ha promosso dal 2014 in partnership tra gli altri con i principali alberghi del territorio (tra cui Villa d’Este, Grand Hotel di Como e di Tremezzo, Hotel Terminus e Villa Flori) e le pri- marie catene alberghiere (Starwood, Accor, NH Hotels) un per- corso di formazione superiore post diploma con la Fondazione ITS del Turismo e dell’ospitalità. L’Accademia IATH (Interna- tional Academy of Tourism and Hospitality) offre un corso bien- nale di Management alberghiero e uno annuale di cucina. (www.iath.it) c) Quadro normativo regionale di riferimento Le principali normative di riferimento sono le seguenti: – INTERPELLO n. 3/2011 a MLPS: Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – for- mazione in assetto lavorativo nell’ambito di attività di produzione e vendita di beni e servizi – enti di istruzione e formazione professionale regionali. – DM 1 febbraio 2001, n. 44:Regolamento concernente le “istruzioni generali sull’istruzione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche”. – Regione Lombardia, L.R. 6 agosto 2007, n. 19: Norme sul sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia. d) Servizi, “clienti” e attività connesse Il titolo II dello Statuto della cooperativa (riportato integralmente di seguito) definisce in due articoli il dominio di attività e servizi della cooperativa, dai quali si evince l’obiettivo di integrare formazione e lavoro ovvero predisporre gli “spazi normativi” per farlo. 46 TITOLO II: SCOPO OGGETTO ART. 3 La Cooperativa nasce dall’esperienza di Cometa (e dai suoi sviluppi, Associazione Cometa, Fondazione Cometa, etc.), in continuità con gli scopi di accoglienza ed educazione e di cre- scita umana. La Cooperativa persegue l’interesse generale della comunità alla promozione e alla integra- zione sociale dei cittadini in conformità con quanto stabilito dalla lettera a), comma 1 dell’ar- ticolo 1 dalla Legge 381/91. Lo scopo che i Soci della Cooperativa intendono perseguire è quello di ottenere, tramite la gestione in forma associata della società, continuità di occupazione, migliori condizioni eco- nomiche, sociali e professionali. Per il conseguimento dello scopo ed in relazione alle concrete esigenze produttive la Coope- rativa stipula con i Soci contratti di lavoro ulteriori, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di lavoro a progetto. Analoghi contratti di lavoro potranno essere stipulati dalla Cooperativa anche con soggetti non Soci, al fine del conseguimento dello scopo sociale. La cooperativa potrà svolgere la propria attività anche con soggetti non soci. ART. 4 Per il raggiungimento dello scopo sociale la cooperativa potrà svolgere servizi di educazione rivolti alla crescita, all’istruzione e alla formazione dei giovani. A titolo esemplificativo potrà: – gestire ed erogare servizi educativi destinati all’istruzione e formazione dei giovani fino a diciotto anni; – gestire asili nido; – gestire scuole primarie e secondarie di ogni ordine e grado; – gestire e svolgere ogni altra attività educativa volta alla formazione dei giovani finalizzata alla crescita umana, all’accompagnamento alla vita adulta e all’inserimento al lavoro; – svolgere attività di educazione degli adulti volta all’accrescimento della cultura del lavoro; – promuovere con ogni mezzo la cultura del lavoro nel rispetto della centralità della persona anche attraverso attività di formazione continua, superiore o permanente; – svolgere e gestire percorsi successivi al secondo ciclo, di istruzione e formazione tecnica superiore, di durata annuale, biennale o triennale; – organizzare e gestire seminari convegni attività di accoglienza per stage corsi o percorsi scolastici residenziali; – promuovere gestire progettare attività di ricerca e monitoraggio, anche su affidamento di istituzioni pubbliche e/o private, in relazione alle tematiche dell’educazione, della forma- zione e del lavoro; – promuovere realizzare e gestire attività di educazione, formazione extrascolastica della persona anche attraverso attività di carattere ludico, ricreativo, sportivo; – realizzare attività di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica. Potrà inoltre promuovere l’educazione della persona anche attraverso la realizzazione di ser- vizi per il lavoro a titolo esemplificativo e non esaustivo potrà: – favorire lo sviluppo e la tutela delle pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso al lavoro e nella crescita professionale; – promuovere misure personalizzate a favore dei lavoratori, con particolare riferimento ai lavo- ratori svantaggiati, anche attraverso forme di mediazione culturale per i lavoratori stranieri; – sviluppare forme adeguate di accompagnamento delle persone disabili nell’inserimento nel mercato del lavoro. La Cooperativa potrà svolgere altra attività connessa o affine a quelle sopra elencate, nonché compiere tutti gli atti e concludere tutte le operazioni di natura immobiliare, mobiliare, pro- duttiva, finanziaria, necessarie od utili alla realizzazione degli scopi sociali e comunque diret- 47 tamente o indirettamente attinenti ai medesimi, ivi compresa la facoltà di partecipare ad altre società che abbiano oggetto affine o connesso al proprio, rilasciare fideiussioni od altre ga- ranzie, raccogliere prestiti esclusivamente dai soci, raccolta effettuata esclusivamente ai fini del conseguimento dell’oggetto sociale, e nei limiti di legge, materia attualmente regolamen- tata dal Dlgs n. 385/1993; è pertanto tassativamente vietata la raccolta del risparmio tra non soci sotto qualsiasi forma; le attività finanziarie non possono essere prevalenti o nei confronti del pubblico. Per il raggiungimento degli scopi sociali la cooperativa potrà anche integrare la propria atti- vità con quella di enti cooperativi e non, promuovendo e aderendo a consorzi, fondazioni o ad altri enti associativi nonché aderire ad un gruppo paritetico cooperativo ai sensi dell’art. 2545 septies c.c.. La Cooperativa potrà, inoltre, assumere partecipazioni in altre imprese a scopo di stabile investimento e non di collocamento sul mercato. La Cooperativa potrà partecipare a gare d’appalto e/o bandi indetti da Enti Pubblici o Privati, direttamente o indirettamente anche in A.T.I. e/o A.T.S., per lo svolgimento delle attività pre- viste nel presente Statuto. I prodotti e servizi realizzati da Cometa Formazione sono essenzialmente: ristorazione, accoglienza e progetti di interventi artigianali di recupero. e) Offerta Formativa L’offerta formativa è articolata, copre i settori ristorazione, legno, tessile e può essere riassunta come segue. A) SCUOLA PROFESSIONALE (percorsi di formazione professionale per i ragazzi in obbligo formativo di età compresa tra i 14 e i 17 anni con Licenza di Scuola Secondaria di primo grado) I percorsi di Istruzione e Formazione Professionale si caratterizzano per la pro- posta di indirizzi articolati con diverse prospettive professionali in uscita, a partire dalle vocazioni territoriali proprie del Comasco che favoriscono disponibilità di competenze, prospettive di sviluppo e inserimento lavorativo. Sono così privilegiati la tradizione della produzione tessile e quella artigianale del legno, lo sviluppo cre- scente della realtà alberghiera e di ristorazione legata al turismo, la quale offre ai giovani opportunità diversificate e interessanti di impiego lavorativa. I percorsi formativi sono basati sul metodo del project work, ovvero tutte le at- tività formative sono volte ad accompagnare l’allievo nella progettazione e realiz- zazione di un prodotto o di un servizio. In tal senso, i percorsi di diploma profes- sionale sono organizzati come vere e proprie Botteghe Artigianali, in cui i ragazzi acquisiscono conoscenze e abilità in un contesto di formazione in assetto lavora- tivo. Oggi le Botteghe sono quattro: – Bottega del GUSTO (bar, ristorazione e pasticceria); – Bottega del TESSUTO; – Bottega del LEGNO; – Bottega della NATURA. B) SCUOLA SU MISURA (percorsi su misura di formazione tecnica e di accom- pagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro) 48 Si tratta di: – PERCORSI SPERIMENTALI PERSONALIZZATI destinati a Giovani tra i 16 e i 20 anni che hanno difficoltà a permanere nei percorsi formativi istitu- zionali o ne sono al di fuori. – PERCORSI DI PREVENZIONE DELLA DISPERSIONE SCOLASTICA che si rivolgono sia a studenti della scuola Secondaria Superiore che a ra- gazzi che devono terminare la scuola Secondaria di Primo grado e sono svolte anche in convenzione con gli Istituti scolastici di provenienza – LICEO DEL LAVORO destinato a minori di età compresa tra i 16 ed i 19 anni, in dispersione scolastica, compresi i minori stranieri non accompagnati4. – MINIMASTER ALBERGHIERO i cui percorsi prevedono un anno di forma- zione per la professionalizzazione di giovani di circa 18 anni per l’inserimento nel mondo del lavoro. Il percorso prevede circa 450 ore di formazione per la gestione della sala e 6 mesi di tirocinio nei più belli alberghi del lago di Como. L’ultimo mese del percorso prevede l’attivazione di un contratto di sommini- strazione per i ragazzi negli alberghi dove hanno fatto il tirocinio5. – APPRENDISTATO i cui percorsi sono rivolti a giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni con una delle seguenti caratteristiche: sono in possesso del solo titolo di studio di scuola Secondaria di Primo grado; frequentano la scuola Secondaria Superiore e intendono proseguire tale percorso al fine di conseguire la qualifica o il diploma professionale; hanno precedentemente frequentato in tutto o in parte la scuola Secondaria Superiore senza conse- guire il titolo e intendono conseguire la qualifica o diploma mediante apprendistato. C) COMETA ACADEMY (percorsi di formazione professionale per coloro che, pur avendo ottenuto un diploma o una qualifica, faticano a inserirsi nel mondo del lavoro) Si tratta di: – AFFIANCAMENTO ALLA RICERCA DEL LAVORO Il servizio è indirizzato agli EX ALLIEVI in uscita dai percorsi della Scuola Oliver Twist di Cometa, per orientarsi e muoversi come protagonisti attivi nel mercato del lavoro – FORMAZIONE PER CHI LAVORA I corsi si rivolgono principalmente alle persone/aziende dei settori manifat- 4 È previsto un percorso formativo di tipo modulare e flessibile che prevede: – accesso e uscita durante tutto l’anno formativo – durata definita dal raggiungimento degli obiettivi concordati – valutazione periodica del progetto formativo individuale e riprogettazione degli obiettivi. 5 Il percorso è gratuito per i partecipanti, gode di un finanziamento Formatemp grazie a GI Group Spa e di altri finanziamenti privati. Gli allievi hanno ottimi tassi di inserimento lavorativo, anche presso le aziende dove si sono formati. 49 turiero, del turismo, della ristorazione e dei servizi. In tale contesto Cometa offre alle aziende anche il servizio di orientamento alla ricerca di fondi per il finanziamento6. f) I “numeri” dell’impresa formativa I numeri riferiti all’articolazione complessiva di Cometa sono significativi: – 5 comunità familiari costituite da 14 figli naturali e 24 in affido residenziale. – 105 bambini e ragazzi coinvolti nelle attività diurne, – 60 famiglie coinvolte nell’esperienza dell’accoglienza e dell’affido, – 1000 minori aiutati a recuperare la motivazione allo studio e reinserirsi nel percorso scolastico con specifici corsi d’orientamento nella scuola secondaria – 300 le famiglie dei ragazzi complessivamente seguite con continuità da Cometa – 390 ragazzi inseriti nei percorsi di formazione professionale, – 700 aziende coinvolte nei percorsi educativi della scuola, – 200 volontari che supportano le attività, – 250 operatori retribuiti a vario titolo coinvolti nella realizzazione delle attività. Relativamente alla realtà prettamente formativa dell’obbligo formativo, i nu- meri sono altrettanto importanti:  400 allievi nei settori ristorazione, legno, tessile e “liceo del lavoro” e ripartiti per classi come segue: – 4 prime classi, – 4 seconde classi, – 4 terzi anni, – 3 quarti anni, – 1 quinto anno, – 2 gruppi di liceo del lavoro, – 1 gruppo di minimaster, – 1 gruppo di apprendisti per la qualifica. g) Partnership attivate Cometa istituisce frequentemente partnership con importanti aziende ed istitu- zioni, finalizzate a differenti obiettivi: ottenere supporto tecnico ed economico in progetti a forte valenza sociale, realizzare assieme percorsi formativi specifici, organizzare in modo proficuo l’alternanza. 6 Le principali tipologie di attività sono le seguenti: – percorsi annuali, biennali, triennali per minori in DDIF che desiderano conseguire la qualifica professionale; – corsi di formazione per apprendisti e percorsi realizzati in integrazione con la scuola secon- daria di secondo grado; – attività di rilevanza regionale a carattere innovativo e sperimentale per la lotta alla dispersione scolastica tra i giovani; – percorsi formativi anche per adulti di Alta Formazione e Formazione Continua, secondo il principio della formazione lungo tutto l’arco della vita (lifelong learning). 50 A titolo esemplificativo si riporta la partnership con il Gruppo INDITEX per l’area tessile, che ha permesso la realizzazione con successo di – Visite e stage in aziende del gruppo. – Concorsi di idee. – Corsi di formazione specifici. – Colloqui di lavoro. h) Gestione economico-finanziaria Fatturazione prestazioni  Le fatturazioni dei prodotti/servizi venduti vengono direttamente gestite dalle organizzazioni che li erogano.  Modalità di remunerazione degli studenti coinvolti  Per i beneficiari di azioni formative non è prevista in generale remunerazione, per i ragazzi maggiorenni si cerca di recuperare qualche borsa di studio dalle collaborazioni con i privati. Finanziamento attività  I costi per le attività realizzate sono coperti in parte dai ricavi della vendita di prodotti e servizi, in parte da contributi di partner e sostenitori e in parte da fi- nanziamenti pubblici. i) Attuazione del Processo formativo I processi formativi sono attuati da Cometa Formazione in forma integrata tra attività didattica e formazione in situazione, in tutto il loro ciclo di vita, dalla pro- gettazione alla valutazione, Utilizzando il paradigma elaborato da Cometa per realizzare la formazione per compe- tenze: Ideare, Progettare, Realizzare e Valutare. La realizzazione dei percorsi forma- tivi segue il principio di operare il più possibile in situazione lavorativa e a tale scopo l’elemento centrale sono le bot- teghe scuola che rappresentano i custodi delle competenze del fare. La progettazione, riprogettazione e valutazione della formazione è un pro- cesso articolato e ad alto coinvolgi- mento; acconto ai momenti collegiali a livello classe, bottega e corso esiste un momento collettivo che coinvolge tutti i formatori a fine anno formativo di circa 6 settimane. 51 Un ruolo fondamentale nel processo formativo è attribuito a i formatori che devono essere contemporaneamente maestri e docenti. L’integrazione tra formazione alle competenze di base e professionalizzanti viene assicurata cercando di assegnare i docenti delle competenze di basi a speci- fiche filiere formative. l) Organizzazione e Processi gestionali Il modello organizzativo può essere considerato come un ibrido tra quello di una scuola e quello di un’azienda ovvero tende a coniugare la semplicità ed effi- cacia gestionale dell’azienda e i meccanismi di coinvolgimento e partecipazione della scuola. Gli organi di governo dell’impresa formativa sono essenzialmente tre: – Il CdA di Cometa formazione, che garantisce il presidio dei processi decisio- nali della cooperativa e il processo di pianificazione e controllo strategica (investimenti, politiche, ecc.); – La Direzione generale, che presidia il processo di programmazione e controllo operativo delle attività di cometa formazione; – I responsabili delle botteghe (maestri), che assumono il duplice ruolo di garan- tire la gestione tecnico operativa della bottega (sono anche i preposti) e assicu- rarne l’efficacia didattica. I meccanismi di coordinamento sono in parte simili a quelli di qualunque scuola: – Il Collegio docenti; – i Consigli di classe. E in parte peculiari di Cometa Formazione sono: – Il pomeriggio formativo, un pomeriggio alla settimana dedicato alla forma- zione dei docenti, che costituisce anche un momento di scambio e approfondi- mento; – il pranzo settimanale, un giorno alla settimana tutti i docenti pranzano assieme che costituisce un momento destrutturato di coordinamento ma anche una mo- dalità di consolidamento identitario e valoriale; – le settimane di Formazione-Azione di luglio: 6-7 settimane nelle quali i formatori entrano in formazione per co-progettare assieme l’anno formativo successivo; – il percorso di formazione-accompagnamento per l’inserimento di nuovi docenti. m) Prospettive, sviluppi, criticità Le maggiori criticità nonché opportunità di sviluppo si possono ricondurre alla messa a sistema dei processi di ricerca, progettazione sviluppo e gestione della didattica integrata scuola–lavoro. È proprio in questa prospettiva che assume parti- colare importanza la collaborazione con la Scuola di Dottorato Formazione della Persona e Mercato del Lavoro dell’Università di Bergamo. 52 Caso 2 - LA PIAZZA DEI MESTIERI a) Genesi e sviluppo del progetto impresa formativa La Piazza dei Mestieri ha iniziato la sua attività nel 2003 con l’acquisto e il re- cupero dell’edificio Ex Conceria Fiorio, sito in via Jacopo Durandi 13, per adibirlo a scuola per la formazione e l’avviamento al lavoro per ragazzi dai 14 ai 25 anni. Allo scopo viene creata da un gruppo di privati l’omonima fondazione “La Piazza dei Mestieri”, il cui scopo è ben definito nello statuto: “La Fondazione ha finalità educative e di stimolo allo sviluppo dell’imprenditoria lo- cale. Nel perseguire i suoi fini educativi, la Fondazione intende operare per favorire la preparazione e l’avviamento dei giovani al lavoro, l’istruzione degli stessi, migliorando e innovando i servizi educativi, ponendo attenzione particolare alle politiche di inclu- sione sociale e alla prevenzione delle diverse forme di disagio giovanile e ai fenomeni di dispersione scolastica”. Va sottolineato che tra i soci promotori della fondazione (tutti privati) vi è la presidente di un’agenzia formativa (Immaginazione Lavoro) e di due banche. La caratterizzazione di impresa formativa già nella genesi della fondazione, è riscontrabile nello stesso statuto della fondazione che nelle finalità recita: “Nel perseguire il fine dell’inserimento lavorativo dei giovani e lo sviluppo dell’impren- ditoria locale, la Fondazione intende realizzare strutture insediative per lo stabilimento di attività economico-produttive e di servizi, nonché sviluppare attività di accompagna- mento all’imprenditoria locale”. Conseguentemente la fondazione ha costituito associazioni e cooperative per poter realizzare eventi, produzione e servizi, illustrati più avanti. b) Configurazione attuale La Piazza dei Mestieri è attualmente una realtà di dimensioni significative che realizza: – Accoglienza, sportelli informativi ed orientativi. – Supporto scolastico. – Formazione e percorsi di alternanza. – Attività ludico creative. – Spazi e momenti aggregativi. – Attività musicali, teatrali, cinematografiche. – Laboratori protetti. – Supporto all’inserimento lavorativo. – Produzione, promozione e vendita di prodotti e servizi Dal punto di vista organizzativo è articolata in tre forme giuridiche distinte ma fortemente integrate: – “Fondazione Piazza dei Mestieri”, custode e promotore della mission e delle 53 finalità ispiratrici nonché gestore delle strutture e del patrimonio utilizzato per la realizzazione delle attività. – Associazione “Piazza dei Mestieri”, che ha una finalità aggregativa e promo- zionale sociale nei confronti dei giovani e di promozione, coinvolgimento, sensibilizzazione nei confronti di istituzioni, opinion leader e imprese. – “La Piazza” Soc. Coop., che ha lo scopo di realizzare la produzione e la ven- dita di beni e servizi e nel contempo garantire i “laboratori reali” per la realiz- zazione della formazione in situazione e orientamento. c) Quadro normativo regionale di riferimento La Regione Piemonte non ha una normativa specifica per le imprese forma- tive, per cui il riferimento principale riguarda le normative regionali sulla Forma- zione Professionale. d) Servizi, “clienti” e attività connesse Riferimento all’oggetto Statutario: Scopi (Attività ed iniziative) Per raggiungere i propri scopi, la Fondazione potrà far sorgere e sostenere centri di aggre- gazione polivalenti per giovani, introducendo e sperimentando modalità di cogestione dove gli stessi potranno accedere a proposte inerenti l’orientamento, l’attività imprenditoriale, l’inserimento in percorsi di alternanza, la formazione tecnico-professionale, le attività di sostegno al percorso scolastico, ad attività culturali, sportive e ricreative. La Fondazione intende valorizzare le reti di volontariato esistenti sul territorio e favorirà l’aggregazione dei soggetti pubblici e privati che operano nel campo delle politiche giova- nili, con particolare attenzione a quelle di inclusione sociale. La Fondazione si farà parte attiva nell’attuazione di iniziative di informazione e di sensibiliz- zazione dei giovani, delle loro famiglie e degli operatori pubblici e privati, relativamente alla promozione di tutti gli strumenti che possono favorire la promozione sociale dei giovani. La Fondazione potrà altresì intraprendere attività di ricerca sociale sui temi del disagio giovanile e su ogni altro tema oggetto delle finalità istituzionali della stessa. In tale contesto, la Fondazione potrà inoltre porre in essere iniziative per studiare, sollecitare e favorire l’emanazione di provvedimenti legislativi e amministrativi nel campo delle poli- tiche per i giovani. Tutte le attività potranno essere svolte dalla Fondazione sia direttamente che indirettamente, attraverso la concessione – sotto qualsiasi titolo – dei beni della Fondazione ad Associazioni, Enti di Formazione, Cooperative, Società operanti nei settori sopra descritti, enti pubblici e privati. La Fondazione potrà partecipare a ogni tipo di iniziativa volta – direttamente o indiretta- mente – al raggiungimento dello scopo sociale. 4. Attività strumentali, accessorie e connesse Per il raggiungimento dei suoi scopi la fondazione potrà tra l’altro: a. stipulare ogni opportuno atto o contratto, anche per il finanziamento delle operazioni de- liberate, tra cui, senza l’esclusione di altri, l’assunzione di mutui, a breve o a lungo ter- mine, l’acquisto, in proprietà od in diritto di superficie, di immobili, la stipula di conven- zioni di qualsiasi genere con Enti Pubblici o Privati, che siano considerate opportune ed utili per il raggiungimento degli scopi della Fondazione; segue 54 b. amministrare e gestire i beni di cui sia proprietaria, locatrice, comodataria o comunque posseduti; c. stipulare convenzioni per l’affidamento in gestione di parte delle attività; d. partecipare ad associazioni, enti ed istituzioni, pubbliche e private, la cui attività sia rivolta, direttamente od indirettamente, alla promozione della musica, della cultura e del- l’arte; la Fondazione potrà, ove lo ritenga opportuno, concorrere anche alla costituzione degli organismi anzidetti e alla costituzione di altri soggetti giuridici il cui scopo sia diret- tamente o indirettamente connesso agli scopi istituzionali della fondazione; e. erogare borse di studio. e) Servizi erogati I prodotti e servizi realizzati sono legati alla tradizione locale, di buona qualità e con una gamma ampia e sono offerti a clienti privati e istituzioni pubbliche. La produzione ed erogazione è assicurata da tre Business Unit della coopera- tiva di produzione “la Piazza dei Mestieri”: – Servizio Grafico:  Biglietti da visita; Locandine, Cartoline; Buste da lettera e carte intestate;  Brochure; Pieghevoli; Tessere su supporti speciali (PVC);  Cartelline; Adesivi; Flyer. – Cioccolato: Produzione di vari tipi di cioccolato con differenti confezioni. – Ristorante: Produzione ed erogazione di pasti secondo un menù prestabilito di piatti tipici della cucina regionale con apertura diurna e serale, tutta la settimana. – Birrificio: Produzione e imbottigliamento di birra, venduta direttamente in “piazza” o commercializzata. f) Offerta Formativa I differenti “laboratori” che realizzano i prodotti e servizi si appoggiano com- pletamente all’offerta formativa “Immaginazione Lavoro”, che copre differenti filiere formative:  Corsi Obbligo Istruzione.  I corsi Mercato del Lavoro (FSE).  Corsi Formazione Continua Individuale.  Corsi a finanziamento privato (normalmente organizzati con associazioni ed altre istituzioni partner). h) I “Numeri” dell’attività Nei tanti anni di attività la Piazza ha prodotto ed erogato significativi volumi di pro- dotti servizi all’anno (centinaia di ettolitri di birra, centinaia di quintali di cioccolato, mi- gliaia di pasti). Relativamente alla mission educativa, in 10 anni oltre 1.500 giovani ado- lescenti sono “passati in Piazza” e hanno raggiunto risultati eccellenti, oltre il 90% ha perseguito con successo il proprio percorso educativo e la grande maggioranza ha trova- to un’occupazione coerente con il mestiere a cui ha dedicato i suoi studi. Cuochi, bar- man, pasticcieri, cioccolatieri, grafici, acconciatori, meccanici fanno oggi parte del nostro tessuto produttivo, spesso occupando posizioni di grande prestigio. 55 A puro titolo di esempio si riportano anche i numeri maturati nella settimana dedicata alla ricorrenza del primo decennale della fondazione (2004-2014): Oltre 4.500 persone hanno partecipato al decennale di Piazza dei Mestieri, nelle botteghe che si affacciano sulla Corte sono stati venduti 370 kg di cioccolato, il Birrificio ha spillato 1.250 litri di birra, il Ristorante ha servito 1.050 pasti. I ragazzi coinvolti nelle attività dei vari servizi della piazza sono sull’ordine delle centinaia all’anno. h) Partnership attivate La Piazza dei Mestieri utilizza regolarmente le partnership nella sua attività e solo per citarne alcune del 2014: – L’OREAL, con la quale sono stati organizzati eventi e che ha contribuito a for- mare i docenti e fornire in comodato d’uso prodotti; – BANCA INTESA, che partecipa nel finanziare eventi concordati; – COMPAGNIA DI SAN PAOLO con la quale sono stati presentati progetti formativi; – TORINO FILM FESTIVAL. i) Gestione economico-finanziaria Fatturazione prestazioni Le fatturazioni dei prodotti/servizi vengono direttamente gestite dalla Coope- rativa la Piazza che coordina le tre BU che li erogano. Modalità di remunerazione degli studenti coinvolti Per i beneficiari di azioni formative non è prevista in generale remunerazione, per i ragazzi maggiorenni si cerca di recuperare borse di studio dalle collaborazioni con i privati. Finanziamento attività I costi per le attività realizzate sono coperti in parte dai ricavi della vendita di prodotti e servizi, in parte da contributi di partner e sostenitori e in parte da finan- ziamenti pubblici. l) Attuazione del Processo formativo I processi formativi sono sostanzialmente gestiti dal partner Immaginazione Lavoro (agenzia formativa accreditata dalla regione Piemonte). Le articolazioni operative che fanno capo alla Cooperativa di produzione La Piazza, intervengo in fase di erogazione della formazione attraverso i Maestri e i loro assistenti che fun- gono da “tutor aziendali”; questi ultimi collaborano anche nel processo di valuta- zione degli allievi in formazione. m) Organizzazione e Processi gestionali L’organizzazione e i processi gestionali della Piazza dei mestieri sono artico- lati e si sviluppano su due livelli: A livello di fondazione (il CdA, il presidente e le funzioni amministrative) pre- 56 sidiano il processo di gestione delle strutture e infrastrutture che vengono di volta in volta affidate alle articolazioni operative che producono ed erogano; – A livello operativo è la cooperativa “La piazza dei Mestieri” che presidia tutti i processi operativi e gestionali necessari alla realizzazione dei servizi e pro- dotti: Progettazione e produzione, promozione e commercializzazione, ac- quisti, amministrazione e controllo. – Il Governo della Cooperativa di produzione è affidato al un CdA e al presi- dente mentre in ciascuna BU vi è un “Maestro”, eccellenza del mestiere (Chef, nel ristorante, Mastro birrario, ecc.) coadiuvato da uno o più assistenti, che oltre a fare da tutor per i ragazzi in formazione, hanno anche l’obiettivo di garantire la formazione di loro futuri sostituti. n) Prospettive, sviluppi, criticità La maggiore criticità dichiarata riguarda sempre lo sforzo per la sostenibilità delle azioni mentre le azioni di sviluppo sono orientate a sviluppare la rete di im- prese e sperimentare i contratti di rete. Altra importante iniziativa è l’attivazione del progetto “Amici della Piazza” che consiste nell’istituzione di un “club” perso- naggi ed esperti di alto profilo con i quali si discutono nuove idee progettuali e investimenti. Caso 3 - YGES IT a) Genesi e sviluppo del progetto impresa formativa Nel 1996 il CNOS-FAP Manfredini di Este attiva un progetto Youthstart fina- lizzato a sperimentare e studiare i modello di inserimento e transizione al lavoro delle Enterprise d’Insertion. A conclusione del progetto, sulla base delle indica- zioni fornite dal comitato scientifico, un gruppo di soggetti privati e istituzioni (Ispettoria San Zeno, Fondazione IREA, un imprenditore e tre professionisti) fon- dano la cooperativa sociale di tipo B, YGES per occuparsi di inserimento e transi- zione al lavoro attraverso attività di grafica, servizi alle imprese e assemblaggio. Negli anni successivi uno dei soci fondatori (l’Ispettoria S. Zeno ) lascia la coope- rativa che rafforza la collaborazione con la Fondazione IREA Morini Pedrina Pelà Tono, la quale era già parte integrante della sua compagine sociale. La cooperativa già dalla sua nascita si orienta al mercato profit (i clienti facenti parti della Pubblica Amministrazione rappresentano una percentuale di fatturato inferiore al 15%); as- sieme ad altre cooperative (it2, Itaca, CEFF e IRAFOM) è socio fondatore di EVT (Enterprise Vocation Transition), associazione tra cooperative sociali ed organismi di formazione che ha come scopo la promozione dei modelli di impresa sociale con l’obiettivo sviluppare e realizzare percorsi di transizione al lavoro di persone con difficoltà. A rafforzare la sua vocazione di legame con il mondo del lavoro la YGES ha 57 trasferito la sua sede in uno stabile nuovo e funzionale alla propria attività, in zona industriale di Este. La filosofia di fondo che ha ispirato, guidato lo sviluppo e costituisce un obiet- tivo latente della cooperativa è che bisogna essere in grado di produrre prodotti e servizi di qualità, che siano apprezzati dal mercato e capaci di motivare i ragazzi che ci lavorano. b) Configurazione attuale Oggi YGES IT Integrazione e Transizione è una Cooperativa Sociale a R.L, ha 2 dipendenti e circa 10 persone con progetto di inserimento. I beneficiari sono gio- vani maggiorenni, qualificati o diplomati con problemi e difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. c) Quadro normativo regionale di riferimento Nella Regione Veneto i riferimenti principali sono i seguenti: – DGR 801 del 27/5/2014 – Allegato B. – Legge 361/1991-Inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. d) Servizi, “clienti” e attività connesse La tipologia e il dominio di attività sono delineate nello statuto della coopera- tiva nello scopo e nell’oggetto, dei quali si riporta di seguito uno stralcio: Art. 3 Scopo: ...la cooperativa si pone l’obiettivo di porre in essere tutte le iniziative possi- bili per l’inserimento nel mondo del lavoro e nel contesto socia dei soggetti socialmente emarginati o vantaggiati quali, specialmente, minori in età lavorativa in situazione di diffi- coltà famigliare, detenuti ed ex detenuti, ex tossicodipendenti ricercando ed ottenendo tra- mite la gestione in forma associata, opportunità di occupazione lavorativa alle migliori con- dizioni economiche sociali e professionali. Un elenco dettagliato delle possibili attività che la cooperativa potrebbe fare è riportato all’art. 4 (Oggetto sociale), del quale si riporta di seguito solo uno stralcio dove alle lettere A-E sono riportate le attuali attività svolte: 58 e) Servizi erogati In linea generale la YGES produce prodotti e realizza servizi per clienti privati ed aziende nell’ambito della grafica, la stampa digitale, cartotecnica, assemblaggi e servizi alle imprese. In particolare, la cooperativa realizza i seguenti servizi: 59 settore attività Prodotti - servizi Legatoria artigianale – cartotecnica, – rilegatura a mano di materiale speciale, – produzione di una propria linea di prodotti per la cartoleria. Corporate identity – Dare espressione all’immagine che fa parlare di sé con ogni mezzo: comunicazione online e off-line. Print service – Servizio di stampa digitale con gestione dati variabili, – stampa offset e di grande formato. Servizi alle imprese – Assemblaggio e finissaggio di materiale plastico, elettrico ed elettronico, – Altri servizi. f) I “Numeri” dell’attività Nei circa 15 anni di attività la Yges è stata impegnata mediamente in 10 pro- getti di inserimento all’anno e dal 2002 sono stati inseriti con successo 16 persone (una media di 1-2 all’anno). Il fatturato realizzato con la produzione e i servizi ero- gati ammonta mediamente a 180-200.000 €. g) Partnership attivate Delle varie collaborazioni attive, quella che possiamo considerare una part- nership più significativa di YGES IT è quella con la Fondazione IREA Morini Pe- drina Pelà Tono (consolidata dalla sua partecipazione alla compagine sociale). La partnership interessa differenti aspetti ma è molto forte nell’attuazione dei processi formativi e nella gestione di casi difficili. Le due istituzioni condividono tra l’altro la sede, il che consente una reale integrazione e il rafforzamento della partnership. f) Gestione economico-finanziaria La gestione economico-finanziaria è tutta in capo alla direzione della coopera- tiva dotata di un sistema di pianificazione e controllo economico.  Fatturazione prestazioni Tutto il ciclo dell’ordine e le fatturazioni sono gestite dalla cooperativa  Modalità di remunerazione degli studenti coinvolti Per le persone impegnate a tempo pieno sul lavoro sono previste delle borse lavoro (300-400 euro); vi sono altri percorsi che non prevedono remunerazione o prevedono piccoli rimborsi  Finanziamento attività Le attività vengono finanziate per il 70-80% con le risorse provenienti dai ricavi da vendite a privati e circa il 15-20% da convenzioni con l’ente pubblico. 60 i) Attuazione del Processo formativo L’analisi dei bisogni, progettazione e l’erogazione di azioni formative viene realizzata e gestita dai dalle maestranze della cooperativa in stretta collaborazione con la fondazione IREA, che detiene competenza e know-how sulla formazione e con particolare riferimento a persone svantaggiate e con disturbi dell’apprendi- mento. IREA fornisce anche un supporto consulenziale e operativo nell’eventuale gestione di “casi difficili”. La fondazione è anche un organismo di formazione accreditato dalla regione Veneto. Un ruolo fondamentale nel processo formativo è assunto di capiarea che, oltre alle responsabilità di gestione operativa del reparto, rappresentano i formatori sul campo per i ragazzi. l) Organizzazione e processi gestionali – L’organizzazione della cooperativa è essenziale e molto focalizzata: Direzione della Cooperativa, assunta da un consigliere delegato. – Responsabili di area che garantiscono la gestione dei reparti produttivi: Assemblaggio, Grafica, Stampa. – Il CdA, come principale meccanismo decisionale e di coordinamento. I Processi attivati, sono tutti i processi gestionali e operativi tipici di un’a- zienda di produzione e la cooperativa e certificata ISO 9000, grazie ad un bando regionale che ha finanziato il progetto. m) Prospettive, sviluppi, criticità Le maggiori criticità dichiarate sono da ricondurre alla sostenibilità economica della cooperativa che deve sostenere una competizione in posizione di debolezza per la vendita di prodotti e servizi compresa la partecipazione a bandi pubblici. La cooperativa sta lavorando molto sullo sviluppo dei clienti e la costruzione di rapporti stabili e di fiducia. Caso 4 – RISTORANTE DIDATTICO “LE TORRI” – CEFAL a) Genesi e sviluppo del progetto impresa formativa Nel 1996 il CEFAL attiva un progetto Youthstart finalizzato a sperimentare e studiare l’impresa di transizione sulla base del modello francese. Nel 1998 sulla base degli esiti del progetto viene creata la cooperativa Sociale IT2 con lo scopo di supportare la transizione al lavoro di ragazzi svantaggiati, all’interno della quale viene sviluppato i ristorante formativo due torri, con l’obiettivo di realizzare una “impresa-laboratorio” per sviluppare azioni formative in situazione lavorativa. Nel 2011 il ristorante “le Torri” viene rilevato come “ramo d’impresa” del CEFAL con l’obiettivo di: – fare formazione attraverso il lavoro, 61 – realizzare una Scuola di ristorazione che valorizzasse la cucina bolognese ed i prodotti tipici del territorio, – dare una risposta ai giovani, (in primo luogo, ma non solo) che cercano occu- pazione e alle imprese di ristorazione che necessitano personale qualificato. b) Configurazione attuale Oggi “le Torri” dispongono di un’ampia sala con bar che può ospitare oltre 100 persone e di una cucina nella quale possono lavorare fino a 15 operatori o al- lievi in formazione, può ospitare convegni e meeting di lavoro in quanto dispone anche di tre sale riunioni delle quali la più grande ha una capienza di 60 posti. c) Offerta formativa e tipologia di beneficiari Fatta eccezione per lo staff di gestione del ristorante formativo (Cuoco e Re- sponsabile di sala) lo status del beneficiario nel ristorante formativo è quello di persona in formazione, non di lavoratore, ma il ristorante formativo è una impresa con dei clienti veri. Gli allievi, ragazze e ragazzi in obbligo formativo, acquisi- scono competenze praticando il mestiere, beneficiando, inoltre di servizi di sup- porto pedagogico e di accompagnamento socio-lavorativo. Il presupposto è che l’allievo apprenda meglio attraverso un’esperienza che non è simulata, ma calata in un vero contesto produttivo i cui standard di qualità devono risultare adeguati al mercato. d) Quadro normativo regionale di riferimento Non vi sono norme di riferimento specifiche per l’impresa formativa a livello regionale dell’Emilia Romagna. e) Servizi, “clienti” e attività connesse Il dominio di attività del ristorante didattico è incluso nel Titolo 2 dello statuto CEFAL, riportato qui di seguito. TITOLO II: SCOPO – OGGETTO Art. 3 (Scopo mutualistico) La Cooperativa può ricevere prestiti da soci, finalizzati al raggiungimento dell’oggetto so- ciale, secondo i criteri ed i limiti fissati dalla legge e dai regolamenti. Le modalità di svolgi- mento di tale attività sono definite con apposito Regolamento approvato dall’Assemblea dei soci. La Cooperativa, retta e disciplinata secondo il principio della mutualità senza fini di speculazione privata, si propone di attuare i propri fini statutari sulla base dei principi del pensiero sociale cristiano ed ha per scopo di svolgere in modo organizzato e senza fini di lucro attività di formazione e consulenza a favore di associazioni, operatori economici, orga- nismi soci, soggetti aziendali, privati e pubblici, nazionali e stranieri, enti pubblici. Inoltre la Cooperativa, per meglio rispondere ai propri fini sociali, potrà rivolgere la propria attività alla ricerca ed alla promozione di occasioni di lavoro in particolare per i giovani, promuo- vendo iniziative finalizzate allo sviluppo della imprenditorialità giovanile e delle risorse umane. La Cooperativa può svolgere la propria attività anche con terzi, tendendo comunque alla prevalenza dell’attività nei confronti dei soci. La Cooperativa è opera del Movimento segue 62 Cristiano Lavoratori ed aderisce alla Confederazione Cooperative Italiane. La Cooperativa aderisce inoltre alle finalità ed alle iniziative della CONFAP (Confederazione Nazionale For- mazione Aggiornamento Professionale) di cui è socia. Art. 4 (Oggetto sociale) Considerata l’attività mutualistica della Società, così come definita all’articolo precedente, nonché i requisiti e gli interessi dei soci come più oltre determinati, la Cooperativa ha come oggetto: la gestione di interventi di formazione e di consulenza a fa- vore di associazioni, operatori economici, organismi soci, enti pubblici, utenti privati; la pro- gettazione e la gestione di corsi e seminari di formazione rivolti ai soci, ad utenti privati, personale di qualsiasi livello di aziende private o pubbliche, di organizzazioni o associazioni, di Enti pubblici e di ogni organismo che ne faccia richiesta;  la gestione di interventi di consulenza presso aziende private o pubbliche, organizzazioni, Enti pubblici, associazioni o ogni altro organismo che ne faccia richiesta;  la promozione di iniziative imprenditoriali, soprattutto se rivolte a giovani in cerca di prima occupazione, fasce sociali deboli oppure caratterizzate dall’uso di modelli organiz- zativi avanzati, nuove tecnologie, o che si inseriscono in aree di attività innovative.  la realizzazione di progetti internazionali di sviluppo e cooperazione, nel quadro di pro- grammi bilaterali promossi da organismi internazionali.  la produzione e/o la commercializzazione di attrezzature, strumentazioni, pacchetti e sup- porti didattici in quanto integranti del servizio di formazione e consulenza;  la promozione di specifiche iniziative volte all’inserimento sociale ed al lavoro di persone svantaggiate quali, ad esempio, ma non limitatamente, disabili, tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti, carcerati ed ex carcerati, malati psichici, minori in situazioni di diffi- coltà, invalidi fisici, ecc.;  gestire attività scolastiche, formative e didattiche con particolare riferimento ai percorsi di istruzione e formazione professionale rivolti a giovani nel cui ambito si realizza anche l’assolvimento dell’obbligo di istruzione;  offrire assistenza attraverso l’ospitalità in convitto o semiconvitto fornendo ogni servizio relativo al soggiorno e al tempo libero;  offrire accoglienza, sia in termini di attività educativo-assistenziali sia in termini di assi- stenza sanitaria a qualsiasi soggetto in condizione di svantaggio quali ad esempio, ma non limitatamente, disabili, tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti, carcerati ed ex carce- rati, malati psichici, minori in situazioni di difficoltà, invalidi fisici, ecc.;  la promozione e la gestione di iniziative a scopo educativo, ricreativo e sportivo; Per il conseguimento degli scopi sociali, la cooperativa potrà avvalersi del ricavato delle prestazioni, delle risorse dei soci, di erogazioni, di mutui, di contributi e sussidi prestati da persone fisiche e giuridiche, dallo Stato italiano e da altri Stati, dalla Unione Europea, da Enti pubblici e privati, Regioni, Province, Comuni, Istituzioni economiche ed altri organismi locali, nazionali ed internazionali. La Cooperativa potrà compiere tutti gli atti e negozi giuridici necessari o utili alla realizza- zione degli scopi sociali, ivi compresa la costituzione di fondi per lo sviluppo tecnologico o per la ristrutturazione o per il potenziamento aziendale e l’adozione di procedure di pro- grammazione pluriennale finalizzate allo sviluppo o all’ammodernamento aziendale, ai sensi della legge 31.01.92, n. 59 ed eventuali norme modificative ed integrative; potrà, inoltre, emettere obbligazioni ed altri strumenti finanziari ed assumere partecipazioni in altre im- prese a scopo di stabile investimento e non di collocamento sul mercato. f) Servizi erogati Il ristorante formativo Le torri è collocato a Bologna in zona fiera; dispone di un’ampia sala con bar che può ospitare oltre 100 persone e di una cucina nella quale possono lavorare fino a 15 operatori o allievi in formazione. Il ristorante può 63 ospitare convegni e meeting di lavoro in quanto dispone anche di tre sale riunioni delle quali la più grande ha una capienza di 60 posti. I clienti possono essere privati cittadini o istituzioni che possono fruire di due linee di servizio: – consumazione di pasti al ristorante, secondo il menù prestabilito, essenzial- mente piatti tipici della cucina regionale oppure istituzioni, – organizzazioni di eventi (ricorrenze, meeting aziendali, ecc) basati sulla risto- razione, erogati sulla base delle richieste e comunque erogati nella sede del ri- storante formativo. Il ristorante è aperto al pubblico, con o senza prenotazione, a pranzo dal lunedì al venerdì ed il lunedì sera. Solo su specifica richiesta nelle altre serate o in giorni festivi. Questa scelta sulla modalità di erogazione dei servizi è molto importante, perché consente il mantenimento di una condizione non concorrenziale con altri servizi. g) I “Numeri” dell’attività Il ristorante inizia la sua attività già nel 1998 all’interno della Cooperativa sociale IT2, ma è nel 2011 che viene rilevato dal CEFAL e assume la configura- zione attuale di ristorante didattico all’interno di una impresa formativa. All’interno del ristorante lavorano a rotazione fino a 15 operatori o allievi in formazione. h) Partnership attivate Il ristorante formativo ha in attivo essenzialmente 2 partnership: – con la Società Felsinea ristorazione, che ha distaccato le due persone per la gestione della sala e della cucina e assicura le competenze necessarie per lo svolgimento dei servizi di supporto alla ristorazione – con la cooperativa sociale IT2 con la quale si ha un rapporto stretto e continua- tivo e si organizzano attività di stage e altre iniziative funzionali agli obiettivi del ristorante Va naturalmente sottolineato che il CEFAL, del quale Le Torri è parte, man- tiene continui rapporti con aziende di ristorazione. i) Gestione economico-finanziaria Fatturazione prestazioni Le prestazioni per i servizi erogati vengono fatturate direttamente da CEFAL e gestita in contabilità separata. Modalità di remunerazione degli studenti coinvolti Per gli studenti che lavorano nel ristorante non sono previste forme di remunerazio- ne o premialità tranne che per quelli maggiorenni per i quali sono utilizzati dei voucher. Finanziamento attività I ricavi dall’erogazione dei servizi coprono circa il 25% dei costi di gestione del ristorante mentre i costi rimanenti vengono coperti con fondi provenienti dall’attività finanziata. 64 j) Attuazione del Processo formativo L’analisi dei bisogni e la progettazione formativa per gli studenti del ristorante formativo (come per gli altri indirizzi) viene gestita dai tutor e dai formatori dell’area CEFAL IeFP con la collaborazione dei tutor del ristorante. L’erogazione delle azioni formative viene realizzata essenzialmente dai tutor del ristorante in collaborazione con gli specialisti della società Felsinea Ristorazione. Il percorso formativo degli allievi del ristorante formativo si articola in tre fasi: un primo periodo di formazione “di base” all’interno dell’area IeFP CEFAL, un secondo e consistente periodo in situazione lavorativa all’interno del ristorante formativo e un terzo periodo in alternanza con gli stage in azione del settore. La valutazione formativa è invece un processo integrato che vede contemporaneamente coinvolti i tutor del ri- storante formativo e i formatori dell’area. k) Organizzazione e Processi gestionali A) Organizzazione L’organizzazione e i processi gestionali del ristorante formativo si collocano all’interno della più ampia cornice dell’impresa formativa CEFAL, della quale il risto- rante rappresenta un ramo di impresa. In particolare vi sono le seguenti funzioni/ruoli:  Direzione dell’impresa formativa  Responsabili di area: – IeFP (Istruzione e Formazione Professionale); – Sociale; – Imprese, Territorio e relazioni internazionali.  Funzioni di Staff – Sede di RA; – Amministrazione, Finanza e Controllo; – Pianificazione e Monitoraggio Attività e Risorse Umane;  Meccanismi di coordinamento – Comitato di Coordinamento dell’impresa formativa (Componenti: Direttore Responsabili di area e Responsabili funzioni); – Riunione mensile del ristorante didattico (Componenti: Coord. IeFP, Tutors Ristorante, resp. Pianificazione e monitoraggio). Organi collegiali – Consiglio di classe (Formatori IeFP e Tutors Ristorante). Processi attivati I processi di gestione economico-finanziaria del ristorante, ad eccezione degli incassi, sono interamente gestita dal CEFAL, che utilizza la contabilità separata per il ristorante. Il processo di marketing è gestito dal CEFAL mentre il ristorante di occupa della gestione del sito Web e della promozione di eventi specifici. Il ristorante è escluso dal sistema di assicurazione qualità che invece si applica all’intera impresa formativa CEFAL. 65 La gestione delle partnership e delle reti è in capo al CEFAL, all’area “Im- prese, Territorio e Relazioni Internazionali”. l) Prospettive, sviluppi, criticità Le maggiori criticità dichiarate vanno ricondotte alla sostenibilità economica del ristorante educativo, i cui ricavi, come accennato, sono ben lontani dalla coper- tura dei costi e le strategie di servizio hanno una seri di limiti. Caso 5 - LIEVITO MADRE (TN) a) Genesi e sviluppo del progetto impresa formativa Lievito Madre nasce a Pergine Valsugana (Trento) a maggio 2012 come coo- perativa sociale di tipo B ad opera del direttore centro di formazione alberghiero di Levico, di un docente e di un imprenditore trentino. La «Lievito Madre», con determina provinciale del dirigente competente del 15 maggio, è stata iscritta nel Registro provinciale degli enti cooperativi di Trento avendo l’ente di controllo verificato che erano state rispettate tutte le prescrizioni di legge e che il numero e i requisiti dei soci «corrispondono a quelli stabiliti dalla legge e dall’atto costi- tutivo». L’idea di base dei fondatori era di utilizzare il lavoro come strategia e stru- mento per la realizzazione di percorsi guidati al mondo del lavoro. L’idea nasceva dall’analisi dei dati di abbandono della scuola da parte di ragazze e ragazzi in ob- bligo formativo; l’obiettivo era di creare alternativa alla “classe” convenzionale per sostituirla con “laboratori veri”. La cooperativa è nata rilevando un ristorante esi- stente (locanda-albergo “Mezzolago” che lavorava su base stagionale (aprile-set- tembre); la mission era di era realizzare una ristorazione di qualità per clienti pri- vati. b) Configurazione attuale Lievito Madre è attualmente una cooperativa sociale con 6 dipendenti che ge- stisce la locanda-albergo a Mezzolago (TN), opera su base stagionale e propone menù con pasti di qualità. c) Quadro normativo provinciale di riferimento A livello provinciale non vi sono specifiche norme per l’impresa formativa alle quali la Cooperativa Lievito Madre ha fatto riferimento. d) Servizi, “clienti” e attività connesse Riferimento all’oggetto Statutario: Art. 4 (Oggetto sociale) Considerata l’attività mutualistica della Società, così come definita all’arti- 66 colo precedente, l’attività della Cooperativa ha come oggetto: a) la ristorazione e la gestione di strutture alberghiere; b) la gestione dei servizi alberghieri e di ristorazione all’interno di strutture pubbliche o private dedicate a soggetti portatori di bisogni socio-sanitari; c) la gestione di ristoranti didattici; la gestione di centri benessere; la ge- stione di attività turistico-ricreative; l’espletamento di azioni e progetti for- mativi professionalizzanti anche rivolti a studenti frequentanti il Secondo ciclo d’Istruzione in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente; la motivazione e formazione di soci e dipendenti all’autoimprenditorialità; la realizzazione di percorsi formativi che promuovano l’integrazione e la collaborazione tra scuola e realtà socio-economica del territorio; d) catering con prodotti elaborati all’interno delle proprie strutture o in colla- borazione con altre realtà; e) organizzazione e gestione di eventi in proprio e in collaborazione con altre realtà; f) vendita per l’asporto dei prodotti realizzati all’interno delle proprie strut- ture o in collaborazione con altre realtà; g) confezionamento e trasporto delle produzioni realizzate all’interno delle proprie strutture o in collaborazione con altre realtà; h) supporto ad altre istituzioni (case di riposo, istituzioni scolastiche e forma- tive, associazioni) per l’attivazione e la gestione dei servizi di ristorazione; i) costituzione e gestione di centri studi e biblioteche (anche on line) dedicate al settore dell’accoglienza; j) educazione al lavoro manuale con finalità dirette alla promozione umana e al- l’integrazione sociale con particolare riferimento al reinserimento di soggetti svantaggiati quale intervento in grado di sviluppare la loro personalità ed au- tonomia e di favorire la loro partecipazione attiva alla vita della collettività; k) la gestione di progetti che, fornendo opportunità di professionalizzazione e di lavoro in logica di filiera formativa, siano volti a favorire ed assistere l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro al termine del percorso sco- lastico; la produzione la vendita e l’affitto di biciclette, con particolare at- tenzione alle reti di bikesharing e le collaborazioni con Enti pubblici e pri- vati per la gestione di servizi di mobilità sostenibile; la gestione e manuten- zione di aree agricolo-forestali per la valorizzazione e la conservazione di prodotti locali, con particolare attenzione alla promozione del rapporto con la natura e gli animali quale rafforzamento educativo e quale evoluzione del modello della fattoria didattica; la gestione di progetti finalizzati al so- stegno di soggetti anche portatori di svantaggio sociale o psico-fisico attra- verso l’ausilio di animali; la partecipazione a bandi pubblici e privati per la gestione delle attività previste dallo statuto. La Cooperativa potrà compiere tutti gli atti e negozi giuridici necessari o utili alla realizzazione degli scopi sociali; potrà, inoltre, assumere partecipazioni in 67 altre imprese a scopo di stabile investimento e non di collocamento sul mercato. La Cooperativa può ricevere prestiti da soci, finalizzati al raggiungimento del- l’oggetto sociale, secondo i criteri ed i limiti fissati dalla legge e dai regolamenti. Le modalità di svolgimento di tale attività sono definite con apposito Regolamento approvato dall’Assemblea sociale. Modifiche all’oggetto approvate in assemblea soci nel 2013 ...di integrare l’art. 4), lettera c), dello statuto sociale prevedendo le seguenti attività: “la gestione di centri benessere; la gestione di attività turistico-ricreative; l’espletamento di azioni e progetti formativi professionalizzanti anche rivolti a stu- denti frequentanti il Secondo ciclo d’Istruzione in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente; la motivazione e formazione di soci e dipendenti all’au- toimprenditorialità; la realizzazione di percorsi formativi che promuovano l’inte- grazione e la collaborazione tra scuola e realtà socio-economica del territorio”; – di sostituire la lettera K) dell’art. 4) dello statuto, come segue: “la gestione di progetti che, fornendo opportunità di professionalizzazione e di lavoro in logica di filiera formativa, siano volti a favorire ed assistere l’inseri- mento dei giovani nel mondo del lavoro al termine del percorso scolastico; la pro- duzione la vendita e l’affitto di biciclette, con particolare attenzione alle reti di bi- kesharing e le collaborazioni con Enti pubblici e privati per la gestione di servizi di mobilità sostenibile; la gestione e manutenzione di aree agricolo-forestali per la valorizzazione e la conservazione di prodotti locali, con particolare attenzione alla promozione del rapporto con la natura e gli animali quale rafforzamento educativo e quale evoluzione del modello della fattoria didattica; la gestione di progetti fina- lizzati al sostegno di soggetti anche portatori di svantaggio sociale o psico-fisico attraverso l’ausilio di animali; la partecipazione a bandi pubblici e privati per la gestione delle attività previste dallo statuto.” e) Servizi erogati Nei suoi due anni di vita la Cooperativa ha realizzato essenzialmente servizi di ristorazione all’interno della locanda ristorante “Mezzolago”. f) Offerta formativa e tipologia di beneficiari La Cooperativa non ha una vera e propria offerta formativa ma essenzialmente ospita studenti in stage dagli istituti alberghieri. g) I “Numeri” dell’attività Nei quasi tre anni di attività (2012-2014) hanno lavorato nel ristorante: – sette persone il 1° anno, dei quali 5 provenienti dalla struttura di San Patri- gnano e 2 dell’Istituto alberghiero di Levico con contratti a termine; – il 2° anno si sono aggiunte altre 7 persone tra stagisti e assunzioni stagionali; – il terzo anno, in seguito all’accordo con l’agenzia del lavoro, sono stati assunte 68 6 persone (5 operatori di cucina e sala e un tutor). h) Partnership attivate La Cooperativa ha attivato una partnership stretta e costante con l’Istituto alberghiero di Levico che, oltre alle strutture formative, fornisce supporto metrolo- gico mentre si sono avvicendate due partnership importanti: – con imprenditori locali in fase di avvio, che hanno garantito le garanzie finan- ziarie in fase di avvio; – con San Patrignano (che aveva una comunità a San Vito di Pergine Valsugana), che ha fornito know-how e prodotti. Nel 2014 la Lievito Madre è entrata in un consorzio con altre cooperative tren- tine allo scopo di poter fruire di economie di scopo e rafforzare la sua visibilità. i) Gestione economico-finanziaria La gestione economico-finanziaria è completamente in capo alla cooperativa. Fatturazione prestazioni Le fatturazioni delle prestazioni e tutte le transazioni relative agli acquisti ven- gono fatte direttamente dalla cooperativa. Modalità di remunerazione degli studenti coinvolti Per gli studenti coinvolti maggiorenni viene utilizzata l’assunzione stagionale mentre per gli studenti in stage si utilizzano le borse di 79 € alla settimana dell’A- genzia del Lavoro di Trento. Finanziamento attività La Cooperativa è nata con l’obiettivo di ripagare i costi interamente con i ri- cavi dei servizi prodotti ma nel 2014, preso atto della difficile sostenibilità è stato presentato un piano d’impresa all’Agenzia del Lavoro (nell’ambito delle misure di sostegno alle fasce svantaggiate) che ha consentito un abbattimento del 40% del costo del lavoro a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato di 6 persone. j) Attuazione del Processo formativo Il processo formativo realizzato nella Cooperativa è attualmente minimale, limitandosi all’erogazione dello stage mentre la progettazione e valutazione è in carico all’Istituto alberghiero di Levico (partner della Lievito Madre). Organizzazione e Processi gestionali L’organizzazione della Cooperativa è essenziale ovvero quella prevista dallo statuto: – l’assemblea dei soci, che decide sulle strategie e gli investimenti ma funziona anche come organismo collegiale allargato; – il CdA, composto dal Presidente, Vicepresidente e un socio (insegnante dell’isti- tuto alberghiero), che definisce e approva decisioni rilevanti ai fini gestionali; – il Direttore, coincidente con il socio gestore dell’albergo, che è responsabile della gestione operativa e quotidiana del ristorante – locanda. 69 m) Prospettive, sviluppi, criticità Vi sono criticità di contesto, legate ad una normativa di supporto allo sviluppo di imprese formative e delle criticità specifiche emerse nel progetto della coopera- tiva Lievito Madre che si possono sintetizzare nella necessità di: – Sviluppare i portafogli dei servizi per uscire dalla stagionalità che limita note- volmente lo sviluppo. – Potenziare le competenze gestionali della Cooperativa. – Sviluppare partnership efficaci. Esperienza 1 - CNOS-FAP BRA a) Genesi e storia dell’iniziativa L’iniziativa formativa in situazione lavorativa “Moto d’epoca” nasce nel 2014 e si svilupperà nel 2015 per l’incontro di passioni: – i fratelli Mariano e Piero Costamagna, proprietari della BRC di Cherasco (CN) (un’azienda di dimensioni significative leader nella progettazione di sistemi di iniezione gassosa di GPL e Metano) entrambi ex allievi salesiani e appassio- nati di moto d’epoca coadiuvati da due docenti soci del Club Ruote d’Epoca Cherasco (CN); – un team di formatori del CNOS-FAP di BRA, appassionati di formazione e progetti innovativi; – un gruppo di 12 ragazzi di età inferiore a1 6/17 anni, volenterosi e disposti ad investire un pomeriggio la settimana del loro tempo extra-scolare, supportati dai propri genitori; – il Club Ruote d’Epoca di Cherasco, che accetta la sfida di mettersi in gioco per un progetto a valenza socio educativa. In conseguenza ad una serie di momenti di studio e preparazione dell’iniziativa si arriva a disegnare il percorso che si conclude con la lettera invito, che si riporta di seguito. b) Corso di formazione in assetto lavorativo “Restauro moto d’epoca” Finalità, struttura e modalità di realizzazione del corso La finalità del corso e di riscoprire la tradizione motoristica italiana, valoriz- zando l’importanza culturale e sociale del restauro volto a formare i futuri esperti e conservatori del patrimonio motoristico italiano. Il corso consentirà di acquisire le conoscenze tecniche di una grande serie di interventi, finalizzate ad individuare le soluzioni più idonee, per saper affrontare tutte le variabili critiche che si presentano in un intervento di restauro. Il corso si svolge al di fuori dell’attività formativa quindi senza responsabilità del CFP di Bra, presso la sede della Sanino Vintage di Cherasco, nella giornata di 70 martedì dalle 14.30 alle 17.30. I ragazzi dovranno recarsi perciò presso la sede del- l’azienda, l’attività viene classificata come extra curriculare e ciò consente di avere la copertura assicurativa del centro di formazione. Discorso analogo vale per i tutor CNOS-FAP (3 formatori) che presenziano il corso. Gli studenti sono suddivisi in gruppi da 4, ognuno dei quali lavora per il restauro di una moto. Nel periodo di corso gli studenti sono seguiti direttamente da tecnici soci del Club Moto d’Epoca Cherasco che li guideranno nel lavoro di restauro ma fruiranno anche di brevi lezioni teoriche. Contenuti del corso I contenuti del corso riguarderanno appunti storici sul motociclismo, l’evolu- zione della tecnica, il valore storico/culturale e la stima della moto d’epoca, la pia- nificazione delle procedure di restauro, la ricerca e la documentazione, la revisione del motore, il cambio e la trasmissione, l’alimentazione e l’accensione, il telaio, in- terventi sugli elementi in lamiera, le sospensioni, le ruote e i freni, l’impianto elet- trico, gli accessori e il loro ripristino, la normativa e le procedure per il recupero della documentazione, la re-immatricolazione, l’assicurazione e la messa in strada della moto. Tipologia di Studenti coinvolti Sono coinvolti 12 studenti di 16/17 anni, frequentanti il secondo anno (quelli del terzo fanno lo stage) dei quali uno con disturbi di apprendimento. Come esplici- tato nella lettera di adesione inviata ai genitori, la partecipazione è volontaria e richiede il consenso sia dell’allievo che dei genitori. c) Prodotti/servizi realizzati L’attività di lavoro degli studenti in formazione consentirà di restaurare 4 moto d’epoca che saranno esposti al pubblico in collaborazione con i partner del progetto. d) Gestione economico-finanziaria dell’iniziativa L’attività non ha fruito di alcun finanziamento e tantomeno vi è stata remune- razione per i prodotti/servizi realizzati durante il corso. Tutte le attrezzature, le la- vorazioni (sabbiatura, verniciature, cromature...), si sono realizzate a carico del Club Ruote d’Epoca a cui rimane la proprietà fisica del motociclo. Per gli studenti coinvolti non sono previsti remunerazioni o rimborsi mentre si prevede una premialità da realizzare a fine percorso. e) Prospettive, Sviluppi, Criticità L’iniziativa è molto interessante ma è da valutare fattibilità della messa a sistema 71 e sostenibilità, a fronte proprio della sostenibilità degli elementi caratterizzanti: – Passione dei ragazzi per lo specifico lavoro. – Partner industriali “appassionati” e disponibili a cedere conoscenza. – Coinvolgimento “gratuito” dei docenti e delle maestranze. – Conoscenza del settore (da parte di tutti gli attori), molto complesso. – Sponsorship. Esperienza 2 - CNOS-FAP VALDOCCO a) Genesi e storia dell’iniziativa L’iniziativa è di entità ridotta ma emblematica di possibili famiglie di inizia- tive analoghe che potrebbero popolare in futuro e per questa ragione viene presen- tata. L’avvio del progetto risale al 2012 allorquando due studenti del settore gra- fico, di qualifica iniziale uno dei quali ancora nel CFP di Valdocco e l’altro “transi- tato” all’istruzione presentano ai formatori del CFP il progetto “We Media”, consi- stente nella richiesta di una “ospitalità” e supporto nella creazione di un laboratorio dove poter sperimentare l’applicazione delle conoscenze apprese nel percorso di studio per cimentarsi con la realizzazione di prodotti e servizi multimediali. L’idea era convincente e i progettisti/formatori del CFP hanno risposto positi- vamente e i promotori di WE Media realizza un video con i quale illustrava e pro- muoveva l’idea chiedendo agli studenti l’adesione all’iniziativa. Il gruppo cresce raggiungendo i 15 iscritti e, supportato dai formatori del CFP, realizza delle produzioni e servizi multimediali. I leader sono i due fondatori, che hanno comunque individuato una vice; il gruppo si è dato anche un regolamento che viene tuttavia promosso solo all’interno del CFP e non all’esterno. L’iscrizione al gruppo avviene attraverso la compilazione di un modulo che, oltre alle genera- lità, richiede di indicare un ruolo ovvero le competenze che si intendono mettere in campo. b) Tipologia di studenti coinvolti Gli studenti coinvolti sono circa 15, tutti interni al CFP, uno dei quali un disa- bile al 100; potenzialmente l’adesione è aperta a tutti gli studenti del CFP che vogliano aderire. c) Prodotti/servizi realizzati Tra le realizzazioni più significative vanno menzionati: – Ideazione e realizzazione puntata 0 di una sit-com ambientata nel CFP sullo stile di Camera caffé sulle tematiche di vita del centro Filmati per realizzare una Sit Com “camera caffè”. – Supporto multimediale i tre eventi annui realizzati dai tre CFP CNOS-FAP di Torino. 72 – Gestione della pagina Facebook del CFP Valdocco. – Supporto e realizzazione di materiale multimediale a supporto dell’organizza- zione di eventi di scuole del torinese. – Prodotti multimediali realizzati ad hoc in occasione del Buongiorno del CFP sulle diverse tematiche (Giornate sulla neve del CFP, Festa di don Bosco, Festa di Maria Ausiliatrice). – Concorso multimediale EUROCLIP sul tema Don Bosco e i Giovani. – Preparazione di contributi video per ebook “Laboratorio di Nazaret” (ed. SEI/CNOS-FAP). d) Processo formativo La formazione direttamente o indirettamente maturata dai componenti del gruppo nelle realizzazioni sopra citate non è stata purtroppo capitalizzata in termini di riconoscibilità terza e non sono per il momento previste modalità per il futuro. e) Organizzazione e Gestione economico-finanziaria dell’iniziativa Il gruppo ha un’organizzazione molto informale e si coordina attraverso il gruppo WhatsApp che hanno creato; come già anticipato la gestione è in mano ai due fondatori e alla vice dagli stessi nominata. La remunerazione dei lavori svolti avviene attraverso una sorta di scambio in natura, ovvero con l’acquisto e la donazione in comodato di attrezzature e tecnologie. f) Prospettive, Sviluppi, Criticità L’iniziativa è interessante e, come accennato in premessa, peculiare per la sua natura ed eblaitica ma la sostenibilità è molto debole a meno di una maggiore strut- turazione del gruppo ed una sua istituzionalizzazione da parte del CFP (ad esempio “ospitando” il gruppo tra gli ex allievi). Esperienza 3 - CNOS-FAP ESTE a) Genesi e storia dell’iniziativa L’iniziativa di coinvolgere allievi ed ex allievi in situazioni lavorative reali deve la sua nascita e sviluppo alla concomitanza di più eventi, sinteticamente ripor- tati di seguito. – Nel 2005-2006 il CFP CNOS-FAP “Manfredini” viene rilanciato con una serie di investimenti che migliorano le strutture e infrastrutture e una ridefinizione strategia dell’approccio alla formazione con attenzione alla formazione con- tinua, possibile con il significativo miglioramento strutturale; – Nel 2008 viene attivato l’indirizzo ristorazione con l’avvio del triennio di base di qualifica, in linea con la ridefinizione strategica che prendeva atto dell’im- portanza di tale indirizzo nell’ambito del contesto operativo del CFP caratteriz- zato da interessi turisti e culturali; 73 – Nel 2009 arriva il nuovo responsabile della Filiera Formazione continua, che inizia un lavoro di sviluppo del settore ristorazione ancora sotto le sue potenzialità; – Normativa della la Regione Veneto che riconosce la possibilità agli organismi di formazione di attivare aziende formative per svolgere la parte tecnico-pro- fessionale in situazione lavorativa per i settori ristorazione ed handicap. A fronte degli eventi citati il Manfredini ha iniziato l’organizzazione e realiz- zazione di servizi ristorativi, qualche anno dopo l’attivazione del settore ristora- zione coinvolgendo gli allievi in corso di studio ed ex allievi e a seguito della deli- bera della Regione Veneto del 2014 si sta interrogando sulla possibilità e fattibilità dell’impresa formativa. b) Tipologia di studenti coinvolti Gli studenti coinvolti, su base volontaria, sono allievi frequentanti i corsi e/o ex allievi; i primi, essendo minorenni, vengono coinvolti a fronte di una liberatoria dei genitori mentre i secondi sulla base delle adesioni. In linea generale non è prevista remunerazione per gli studenti coinvolti. c) Prodotti/servizi realizzati I servizi ristorativi sono organizzati e svolti all’interno del Manfredini, che è dotato di una significativa struttura ricettiva (parcheggi, sale cucine, aule, aula magna ecc), sono destinati a privati ed istituzioni: – Pranzi, cene e rinfreschi legati ad eventi personali (battesimi, matrimoni, ecc...) – Pranzi, cene e rinfreschi destinati ad eventi organizzati da aziende ed istitu- zioni (assemblee, meeting di lavoro, eventi celebrativi); un esempio è costi- tuito da pranzi e cene erogate in occasione dell’assemblea di una grossa coope- rativa ospitata all’interno del Manfredini. d) Numeri dell’attività In linea di massima si realizzano sull’ordine della decina di eventi all’anno con un coinvolgimento di 50-60 tra allevi ed ex allievi. e) Processo formativo La formazione direttamente o indirettamente maturata dagli studenti coinvolti nelle attività sopracitate non è ancora purtroppo capitalizzata in termini di ricono- scibilità e si sta riflettendo sulle modalità per superare questa carenza. f) Organizzazione e Gestione economico-finanziaria dell’iniziativa L’organizzazione per la preparazione ed erogazione dei servizi non ha una sua configurazione autonoma ma poggia sui differenti settori e professionalità esistenti al Manfredini, dove convivono più soggetti: l’Associazione (che non ha personalità giuridica); il CFP e il Collegio, Ente ecclesiastico accreditato per i servizi al lavoro, avente personalità giuridica e accreditato a realizzare attività ristorative. La ge- 74 stione economico-finanziaria degli eventi e relativi servizi con i processi collegati (acquisti, fatturazioni ecc.) è in capo al collegio, supportato comunque dagli altri settori in relazione alle specifiche competenze. g) Prospettive, Sviluppi, Criticità La maggiore criticità riguarda la non capitalizzazione delle attività formative fruite dagli allievi in situazione lavorativa. 2.3. Analisi comparata dei casi 2.3.1. Genesi e finalità prevalente del progetto I cinque casi evidenziano come tratto comune la motivazione di fondo e la convinzione che il lavoro rappresenti l’elemento essenziale per un approccio effi- cace alla formazione, sia essa prevalentemente destinata a far transitare i ragazzi dalla scuola al lavoro (caso YGES, Lievito Madre, La piazza dei Mestieri), sia essa destinata a alla formazione dei giovani da avviare alla professione (La Cometa For- mazione, Ristorante Educativo). Altro elemento comune molto importante consiste nelle mission delle funzioni produttive delle imprese che evidenzia e privilegia la qualità dei prodotti servizi e il legame stretto con il contesto socioeconomico locale. Gli elementi distintivi riguardano prevalentemente la mission e conseguente- mente l’organizzazione dell’impresa formativa: – due di essi (Ristorante formativo e YGES) nascono dall’esperienza in progetti europei e più in generale dalla partecipazione a reti europee per sperimentare in Italia percorsi di transizione al lavoro di persone in disagio sul modello delle Enterprise d’Insertion francesi e mantengono tale la mission; – una (Lievito Madre), trae la motivazione dalle esperienze dei progetti di San Patrignano e dalla convinzione che il lavoro è nel contempo formativo ed edu- cativo e la mission è caratterizzata dalla componente di recupero di situazioni di disagio sociale attraverso il lavoro come fattore educativo e formativo e dall’avviamento e inserimento al lavoro; – due di essi (Piazza dei mestieri e Cometa Formazione), sebbene con motiva- zioni e percorsi distinti, partono dall’esperienza dell’accoglienza e dall’avvia- mento al lavoro di ragazzi in condizione di disagio e mantengono la motiva- zione di fondo nella mission mentre l’impostazione, l’organizzazione e l’ope- ratività sono molto diverse. Questi ultimi due casi (Piazza dei mestieri e Cometa) sono anche interessanti perché dimostrano che a parità di motivazione e mission si possono utilizzare stra- tegie, strutture e forme organizzative differenti per conseguire uno scopo simile. È superfluo notare che in quasi tutti i casi analizzati vi sia una forte azione di traino esercitata da un gruppo di persone. 75 2.3.2. Ruolo della normativa regionale Premesso che la normativa relativa all’impresa formativa è ancora in divenire a livello nazionale mentre è maggiormente sviluppata in alcune regioni, relativa- mente ai casi analizzati l’esistenza di una norma regionale si ha in Lombardia e in Veneto ed ha indubbiamente incentivato e facilitato i progetti di sviluppo dell’im- presa formativa. In Lombardia, la Cooperativa Cometa ha essenzialmente basato lo sviluppo dell’impresa formativa su due elementi normativi: – la risposta del Ministero del Lavoro all’interpello dell’Università di Bergamo (del quale la stessa Cometa di è fatta promotrice) che, facendo riferimento a all’art. 38 del Decreto Interministeriale n. 44/2001 stabilisce che le “istituzioni scolastiche nell’esercizio dei compiti di formazione ed educativi, hanno facoltà di svolgere attività di servizi per conto terzi, nonché di alienare i beni prodotti nell’esercizio di attività didattiche o di attività programmate”. – La L.R. n. 19/2007 art. 24 aggiornato, dalla Legge Regionale 21 febbraio 2011, n. 3, che stabilisce “Le istituzioni formative di cui al comma 1, lettera c), dotate di aree e strumentazione connesse all’esercizio di un’attività aziendale, possono utilizzare tali spazi e attrezzature a fini didattici in coerenza con l’offerta forma- tiva; a tal fine predispongono uno specifico progetto nel piano dell’offerta forma- tiva. Eventuali utili provenienti dall’alienazione di beni e servizi prodotti nello svolgimento dell’attività didattica sono oggetto di contabilità separata e sono de- stinati all’incremento delle strutture e della qualità dei servizi di formazione”. In Veneto, la norma è stata introdotta nel 2014 con il Dgr n. 801 del 27 maggio 2014, che riferendosi proprio alla risposta a succitato interpello dell’Università di Bergamo stabilisce: “In attuazione di quanto chiarito dal Ministero del lavoro con interpello n. 3 del 2 febbraio 2011, che ha sancito l’applicabilità dell’art. 38 del Decreto Interministeriale n. 44/2001 – recante “Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche” anche a tutti gli enti d’istru- zione e formazione professionale regionali regolarmente accreditati per l’eroga- zione dei servizi in Diritto dovere, in via sperimentale per l’anno formativo 2014- 2015 è data facoltà agli Organismi di formazione che realizzano interventi di se- condo anno per “Operatore della ristorazione” di avviare una azienda formativa finalizzata a svolgere la parte tecnico-professionale del percorso “in assetto lavo- rativo”, al fine di favorire l’apprendimento “in situazione reale”, e superare le di- stanze tra realtà scolastica e lavorativa. Analoga facoltà è riconosciuta agli orga- nismi formativi che realizzano interventi specifici per allievi disabili che non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento ordinario, limitatamente a questa particolare tipologia di intervento, in cui la formazione in assetto lavorativo può costituire uno strumento particolarmente utile a favorire l’interazione con il territorio e l’inclusione sociale”. Tale normativa è funzionale sia alla YGES che a al CFP CNOS-FAP Manfre- dini (citato nelle esperienze) che tuttavia non l’ha ancora utilizzata. 76 Degli altri casi analizzati, il ristorante formativo “Le Torri”, ovvero il CEFAL di cui il ristorante è parte, ha fatto riferimento alla succitata risposta all’interpello, mentre sia il caso La Piazza dei Mestieri su Torino che Lievito Madre su Trento non hanno avuto la possibilità di fare rifermento a specifiche norme e ciò ha in- fluito sulla strutturazione delle cooperative e sulle modalità che hanno utilizzato per attivare il processo formativo. 2.3.3. Tipologia di attività sulla quale si attiva la formazione Quattro dei cinque casi analizzati hanno attivato l’impresa formativa proprio sui servizi di ristorazione che si conferma come una sorta di attività elettiva per realizzare l’impresa formativa e a parte il caso YGES, gli altri casi riguardano atti- vità di tipo artigianale (birra, cioccolato, grafica, restauro), dove il concetto di qua- lità, capolavoro e la possibilità di agire e valutare competenze distintive ha un effetto non trascurabile sulla messa a punto di processi formativi in assetto lavora- tivo efficace. Un aspetto collegato molto importante riguarda la possibilità che tali attività/prodotti/servizi hanno di riferirsi/collegarsi al contesto socioeconomico del- l’impresa formativa, che rappresenta un elemento non trascurabile e citato in tutti i casi analizzati. 2.3.4. Strategia e processo formativo È proprio dal punto di vista delle strategie e dell’impostazione del processo for- mativo dove troviamo in modo chiaro aspetti comuni e aspetti marcatamente distintivi. Iniziando dai fattori comuni possiamo concludere come sia strategica e pre- sente in tutti i casi analizzati la figura del “maestro” ovvero del formatore di riferi- mento nell’assetto lavorativo. Questo riassume in se alcune qualità e competenze fondamentali: – leadership di competenza sull’attività lavorativa; – capacità di gestire dinamiche di gruppo; – competenze sul processo formativo; – competenze dell’educatore; – capacità di integrazione con le varie discipline. Altro fattore che accomuna i vari casi è la consapevolezza dell’importanza di impostare i processi formativi per competenze che tuttavia si differenzia notevol- mente nelle modalità con le quali si sostanzia. Un elemento che differenzia notevolmente i casi riguarda il livello di interna- lizzazione e integrazione del processo formativo con i processi produttivi; in linea generale possiamo distinguere due tendenze: l’orientamento all’integrazione com- pleta fra i due processi contro l’orientamento a una duplice specializzazione forma- zione-produzione che si complementano e si integrano in specifici momenti del percorso formativo. In particolare, i casi analizzati possono essere classificati in base al livello di integrazione tra i due processi come segue. 77 a) Il caso Cometa Formazione, rappresenta il livello più alto di integrazione tra i due processi; tutto il processo formativo, dalla progettazione, all’erogazione e alla va- lutazione è gestito in modo collegiale e integrato da formatori di base, maestri e formatori delle competenze professionalizzanti. La produzione viene realizzata dalle “botteghe” che rappresentano dei laboratori del fare. b) Il caso Ristorante formativo “Le Torri” ha un buon livello di integrazione se lo si considera come “laboratorio” (o bottega se si utilizza il termine di Cometa Forma- zione) di CEFAL mentre ha una scarsa integrazione se lo consideriamo a se stante. c) Nel caso YGES le competenze del processo formativo e le capacità realizzative sono allocate presso il partner IREA, mentre le competenze del processo produt- tivo sono allocate nei reparti produttivi ovvero nei capireparto YGES; sottoli- neando comunque che i due sono legati da una partnership forte e condividono fi- sicamente la sede operativa. d) Anche nel caso Piazza dei Mestieri le competenze sono distinte, quelle formative al- l’interno dell’agenzia formativa Immaginazione Lavoro e quelle di produzione nei differenti rami di impresa della cooperativa di produzione la Piazza. La partnership tra i due risiede sia nelle partecipazioni incrociate di soci e nella condivisioni di sedi. e) Nel caso della Lievito Madre, le competenze sono distinte essendo quella forma- tiva allocata in un centro di formazione alberghiera e quelle di produzione nel ristorante, dove gli operatori sono differenti. Le motivazioni di queste differenze sono imputabili da un lato ad una scelta stra- tegica e dall’altro alla tipologia di attività e di destinatari della formazione. Chiara- mente, operare con destinatari in obbligo formativo pone l’esigenza di una buona inte- grazione tra i due processi ma questa può essere egualmente ottenuta seguendo le due strade. Ciò che è certo è che la scelta dell’una o l’altra strada comporta una differente organizzazione interna ma anche una differente potenzialità innovativa. 2.3.5. Organizzazione processi gestionali Anche sul modello organizzativo possiamo individuare elementi comuni e dif- ferenze significative; un elemento che accomuna tutti i casi riguarda l’utilizzo del modello di cooperativa, sociale o di produzione a seconda della strategia di integra- zione di cui al punto precedente, come modello di governane organizzativa. Nel caso di YGES, la mission dell’iniziativa di supportare l’inserimento di persone svantaggiate, comporta una scelta quasi obbligata per la cooperativa. Di tipo B mentre i casi Lievito Madre e Cometa hanno scelto la forma di cooperativa sociale. Un caso più articolato è quello della piazza dei mestieri dove abbiamo una coope- rativa di produzione per la realizzazione di prodotti e servizi, una Fondazione per la gestione delle strutture e un’associazione per gestire e venti e coinvolgimento. I casi si differenziano a livello di organizzazione per la gestione dell’operati- vità; si va dai casi con organismi essenziali di gestione (CdA e Direttore) a casi più articolati (Cometa CEFAL-Le Torri) con la presenza di organi collegiali, necessari nel caso i beneficiari siano in obbligo formativo. 78 Differenziazioni sostanziali li troviamo anche sull’attivazione e allocazione dei processi gestionali, e si va dal caso YGES e Lievito Madre dove i processi gestio- nali e operativi sono formalizzati e gestiti interamente dalla cooperativa, al caso Cometa dove la finalità è simile ma i modelli sono differenti. Differente è la situa- zione nella Piazza dei Mestieri dove i processi sono allocati in articolazioni orga- nizzative differenti o nel ristorante “le Torri”, dove i processi gestionali sono allo- cati in CEFAL. 2.3.6. Criticità Le criticità rilevate tendono ad accomunare la totalità dei casi e sono ricondu- cibili, con sfumature diverse alla sostenibilità economica messa a dura prova dai vincoli e dalla mancanza di una normativa chiara e rispettosa delle peculiarità di queste organizzazioni. Vi sono poi, ma in misura minore, delle criticità legate ai casi specifici; si va dal caso Cometa dove gli sforzi maggiori sono legati alla sistematizzazione dei pro- cessi attivati in modo sperimentale, al caso Lievito Madre dove necessita riesame del portafoglio servizi e riposizionamento o il caso YGES dove gli sforzi maggiori riguardano le azioni commerciali. 2.4. Considerazioni di sintesi sulle pratiche analizzate Le esperienze analizzate, benché in numero ridotto, rappresentano dei casi em- blematici di progetti embrionali di impresa formativa e nello stesso tempo mettono a nudo le debolezze ovvero le azioni necessarie per fare il salto. Anche in questo caso possiamo osservare alcuni elementi comuni: – la sponsorship di un formatore dei centri di formazione che rappresenta anche il garante dell’iniziativa; – la disponibilità degli studenti a mettersi in gioco. Vi sono poi delle specificità delle singole esperienze anch’esse significative e per certi aspetti illuminanti. Nel caso delle moto d’epoca è interessante la partnership creata sul territorio tra i tre attori (CFP, Azienda e Associazione motociliste) che impone una interes- sante riflessione sulla potenza e funzionalità delle reti anche come alternativa a mo- delli differenti. Il caso We Media pone invece in primo piano la necessità per i CFP di ripen- sare il loro modo di porsi nei confronti degli studenti per offrire spazi e servizi di apprendimento in situazione lavorativa. Questa diventa una condizione sempre più necessaria in presenza della web Technology. Il caso Manfredini mette in evidenza la necessità di cambiare l’attuale moda- lità operativa per cogliere le potenzialità della formazione in assetto lavorativo, specialmente in presenza di una norma (Regione Veneto) che consente di farlo. 79 3. Modello Organizzativo di Funzionamento dell’impresa formativa In questo capitolo viene presentata una proposta di modello organizzativo di un’impresa formativa sulla base di tre elementi: strategia organizzativa, struttura e ruoli organizzativi, processi operativi e gestionali. Per fare ciò, si è proceduto con l’estrapolazione di elementi emersi dalla letteratura europea, nonché dai due casi analizzati nel capitolo 1, per considerare poi i casi di studio italiani e le buone pra- tiche rilevate all’interno della rete CNOS-FAP. Infine vengono proposte delle con- siderazioni conclusive con alcuni aspetti critici relativi alla fattibilità del modello. 3.1. Lo schema di analisi Lo schema di analisi si focalizza sui seguenti punti chiave: A. Strategia organizzativa L’individuazione di un modello organizzativo, qualunque sia il settore/ambito di riferimento, non può che discendere dalla strategia di prodotto/servizio che si in- tende perseguire. Definire una strategia di servizio per un’impresa formativa pre- suppone tre azioni prevalenti: – definire i beneficiari del servizio; – considerare le variabili determinanti del contesto; – scegliere una focalizzazione beneficiario-contesto in relazione al proprio know-how, mission, punti di forza e aspirazione del management. Nel caso delle scuole e degli enti di formazione quando parliamo del contesto non possiamo trascurare che, oltre alle variabili socio economiche dei beneficiari ovvero del contesto dove essi vivono, vanno considerati altri due aspetti peculiari e determinanti: – i concorrenti, i potenziali entranti e i servizi sostitutivi, che in questo caso sono riconducibili alla struttura del sistema scuola e formazione cosi come normato a livello nazionale-regionale (anche in connessione con settori limitrofi come il Lavoro, la Ricerca, le Politiche Sociali); – la normativa nazionale e regionale di riferimento per lo sviluppo dell’impresa formativa. B. Struttura e ruoli organizzativi Quando parliamo di struttura organizzativa ci riferiamo in generale alla distri- buzione delle responsabilità per il: 80 – governo strategico dell’impresa (Governance, trattata nel secondo capitolo della ricerca); – governo operativo e gestionale dei processi per realizzare in modo efficace ed efficiente i servizi (trattato in questo capitolo). Anche in questo caso dobbiamo tener conto della specificità di queste imprese che derivano dall’essere produttori ed erogatori di un pubblico servizio e perciò vincolate a mantenere organi e meccanismi dettati dalle normative. I ruoli costituiscono una variabile molto importante del modello organizzativo, perché saranno agiti dalle persone che rappresentano l’anima e il motore di qual- siasi organizzazione. La loro definizione consiste nell’individuare le responsabilità e i comportamenti attesi e i requisiti auspicabili di competenza. Nelle organizza- zioni formative e ancora di più nelle scuole i ruoli riconosciuti sono: il dirigente, l’insegnate/formatore, il Responsabile Amministrativo; i loro contenuti sono spesso eccessivamente regolamentati e predefiniti e bisogna utilizzare deleghe ed artifici vari per assicurare il governo della complessità di tali organizzazioni. Rimane invece pressoché simile a tutti gli altri tipi di organizzazione la necessità di ripen- sare e riconfigurare il profilo di competenze. C. Processi Così come nelle aziende di produzione abbiamo la centralità dei processi pro- duttivi (processi primari) e un ruolo di supporto dei processi gestionali ed ausiliari nel caso della formazione ed istruzione è a fortiori necessario distinguere il pro- cesso formativo, che è strutturalmente il processo primario, dai processi di sup- porto che sono spesso in parte presidiati parzialmente della scuola perché anch’essi regolamentati centralmente (caso della selezione, assunzione, formazione e valuta- zione del personale, acquisto e gestione delle strutture, ecc,). 3.2. Elementi emergenti dalla letteratura europea e dallo studio dei casi italiani Ambedue i casi europei analizzati (EFT Belga e JA-YE Danesi) mettono in eviden- za l’importanza e il ruolo determinante delle relazioni di rete sul territorio nelle quali le imprese formative operano, che comprendono i servizi socio-educativi, le aziende e altre istituzioni del territorio. Tuttavia mentre nel caso belga è prevalente la rete istituzionale, fortemente normata e regolamentata, il caso Danese è molto più articolato e potenzial- mente più utile al fine di estrapolare elementi progettuali per l’impresa formativa. Dal punto di vista organizzativo e dei modelli gestionali, il caso delle EFT non evidenzia particolari elementi che non siano riscontrabili in un buon Centro di Formazione Professionale italiano, tra le quali: – Gestire il rapporto con le imprese con le quali organizzare l’alternanza; – Organizzare e attrezzare laboratori per effettuare la formazione in assetto lavo- rativo (laddove non venga realizzata in un’azienda); 81 – Sviluppare/disporre di competenze di progettazione integrata tra formazione in aula e formazione in assetto lavorativo degli operatori; – Sviluppare/disporre di competenze necessarie per gestire percorsi personaliz- zati di supporto al bilancio delle competenze e di accompagnamento dei ra- gazzi al lavoro. Molti e più interessanti sono invece gli elementi che emergono dal caso delle JA-YE Danesi, dove il quadro normativo è meno vincolante e stringente di quello Belga ma il governo Danese è presente con politiche e indirizzi chiari e focalizzati. Per effetto della differente modalità di normazione in questo caso la rete è molto più sostanziale e si crea dal basso. Gli elementi rilevanti dal punto di vista organizzativo possono essere riassunti come segue: – esistenza di una fondazione terza rispetto al governo e agli organismi di forma- zione che opera a supporto dello sviluppo delle policies su una base professio- nale e non burocratica. Questo elemento è molto importante e andrebbe pro- mosso anche in Italia, magari con modalità diverse da quello danese ma con finalità analoghe; – il company program consente la realizzazione di prodotti servizi reali, che ven- gono venduti e generano ricavi ed eventuali guadagni per gli studenti impegnati; – necessità per l’organismo di formazione di ripensare e trasformare il proprio modello operativo sotto differenti aspetti: a) sviluppare la capacità di integrare le progettazioni curriculari con le attività extra curriculari legate allo svolgimento dei progetti d’impresa da parte degli studenti; b) attivare, sviluppare una rete di rapporti con le imprese sponsor dei progetti di sviluppo delle business idee; c) attivare, sviluppare e mantenere la rete di mentor, figura centrale per il suc- cesso del company program; d) un cambiamento profondo del profilo di competenze degli insegnanti ai quali viene richiesto di trasformarsi da “insegnante discipline” a formatore e coach dei ragazzi. D’altro canto i casi italiani mettono in evidenza alcuni aspetti similari a quelli europei e altri specifici delle singole esperienze. Un elemento comune ai casi europei riguarda l’esistenza di una normativa di ri- ferimento che, laddove esiste (Lombardia e Veneto) ha favorito lo sviluppo dell’im- presa formativa. Vi sono poi altri aspetti assimilabili che possiamo riassumere in: – sviluppo di partnership tra organismo di formazione e imprese che ospitano la formazione in assetto lavorativo; – potenziamento delle competenze dei formatori per la progettazione nell’ottica del lavoro; – attività formativa finalizzata alla realizzazione di prodotti e servizi reali e com- mercializzabili. 82 Vi sono poi elementi specifici dei casi italiani molto interessanti: – l’istituzione delle botteghe-scuola e la figura del “maestro” particolarmente evidente nei casi Cometa e Piazza dei Mestieri; – la progettazione integrata tra formazione di base e formazione in assetto lavo- rativo, attivata e in fase di sperimentazione alla Cometa; – l’integrazione di un ristorante formativo all’interno di un organismo di forma- zione (CEFAL e Cometa); – l’attivazione di partnership dal basso sulla base di reti locali di attori differenti (Esperienza “moto d’epoca”); – la capacità di “stare sul mercato” anche in presenza di situazione di svantaggio (Yges, Lievito Madre). 3.3. Verso un modello organizzativo coerente con l’implementazione organizzativa 3.3.1. Strategia organizzativa Dato il quadro normativo di riferimento nazionale e regionale che, come evi- denziato nei capitoli precedenti, è determinante nel definire il quadro operativo e le opzioni strategiche, in questa sede ci si limita a proporre delle possibili azioni. L’approccio strategico deve inizialmente identificare i beneficiari e l’offerta formativa che si intende proporre. In tale situazione vi sono tre opzioni possibili, ciascuna delle quali richiede un differente sforzo: – beneficiari in obbligo formativo; – beneficiari non in obbligo formativo; – situazione mista. La scelta dell’opzione condiziona significativamente il tipo di strategia di part- nership da attivare; se si opta per rivolgersi a beneficiari in obbligo formativo biso- gnerà disporre dei requisiti di accreditamento e strutture, processi e competenze sono regolamentati. In questo caso l’organismo formativo può decidere di svilup- pare internamente strutture e competenze richieste e non ancora possedute oppure mutuarle da accordo di rete. Naturalmente, gli organismi di formazione che hanno già un’offerta destinata all’obbligo formativo (e intendono mantenerla) possono scegliere tra l’opzione 1 e 3 ossia se limitare l’offerta al solo obbligo oppure estenderla al post obbligo. Dato che la fonte di complessità si deve all’obbligo formativo ci riferiremo proprio a tale caso. Con riferimento a quanto emerso dall’analisi dei casi e dalla letteratura, vi sono quattro possibili opzioni strategiche di organizzazione del servizio di forma- zione che riportiamo di seguito, ognuno dei quali ha punti di forza e di debolezza: – Sviluppare strutture e processi dell’impresa formativa al proprio interno, sotto forma di ramo di attività, magari su una filiera formativa già esistente (nei casi analizzati il riferimento più simile è quello CEFAL-Ristorante le Torri); – Sviluppare delle partnership con organismi terzi, finalizzate ad acquisire com- 83 petenze, strutture e know-how per realizzare la formazione in assetto lavora- tivo (nei casi analizzati, possono essere assimilati la Yges, Lievito Madre e l’esperienza Moto d’epoca); – Creare/partecipare ad una rete che consente di integrare/complementare know- how e competenze (Piazza dei Mestieri e Cometa sono assimilabili a questa opzione); – Creare un’impresa formativa su specifiche filiere (ex novo o come sviluppo di filiere già esistenti (assimilabile a questo caso è Cometa Formazione). 3.3.1.1. Strategie di rete Una particolare attenzione per la loro importanza, già emersa nell’analisi della letteratura e dei casi, va riservata alle strategie di rete7, e in particolare a quelle uti- lizzabili per un’impresa formativa. Le reti, per loro natura e caratteristiche, possono essere considerate modelli or- ganizzativi messi in atto per conseguire uno scopo. In linea generale una rete non necessariamente necessita di una guida, intesa come super-ente avente poteri parti- colari, ma certamente ha bisogno di un momento di coordinamento che sappia ela- borare strategie e ottimizzare le risorse. La rete richiede anche l’attivazione di un sistema informativo al fine di raccogliere e diffondere le informazioni in tutte le en- tità aderenti; inoltre di un sistema di ricerca ed elaborazione del know-how; infine di formazione del personale per garantire la presenza di atteggiamenti e compe- tenze coerenti con i fini della rete stessa. Per realizzare una rete, sono comunque necessari alcuni requisiti essenziali che possiamo riassumere come segue: – conoscenza reciproca tra i vari soggetti in gioco, in relazione al ruolo che rico- prono ed in rapporto alle diverse modalità di aggregazione cui essi partecipano; – esistenza di un sistema informativo (non necessariamente formale) adeguato, ovvero in grado di garantire lo scambio tra i nodi/soggetti della rete; – esistenza di un piano di ricerca ed elaborazione del know-how per dotare il contesto di rete di competenze peculiari; – definizione/esistenza di regole minime di partecipazione che favoriscano l’interazione tra i soggetti e la loro possibile cooperazione al fine di servizi dal valore incrementale; 7 Sono tanti gli autori che si sono cimentati nella definizione ed esplicitazione del concetto di rete e tra questi due vengono ritenuti utili per inquadrare il tema in questa sede: “L’organizzazione rete è un modello stabile di transazioni cooperative, tra attori individuali o collettivi, che costituisce un nuovo at- tore collettivo” (Pichierri, 1999); “Insieme di relazioni relativamente stabili, di natura non gerarchica e interdipendente, fra una serie di attori collettivi, ovvero di organizzazioni di carattere pubblico e privato che hanno in comune interessi e/o norme rispetto ad una politica e che si impegnano in processi di scam- bio per perseguire tali interessi comuni riconoscendo che la cooperazione costituisce il miglior modo per realizzare i loro obiettivi” (Boerzel, 1998). 84 – definizione di regole di associazione dei vari attori nella prospettiva di una poli- tica di servizi coerente con le prospettive della politica istituzionale della rete. La rete risponde a molte esigenze della modernità con una soluzione che si ca- ratterizza per due tratti distintivi, diventati oggi sempre più importanti. Prima di tutto, la divisione del lavoro realizzata in rete non sopprime l’autonomia e dunque l’intelligenza, la capacità di valutare il rischio dei singoli nodi. Essa consente dunque di valorizzare l’intelligenza fluida delle persone e delle imprese personali, che possono nella rete trovare i canali utili a valorizzare la propria conoscenza (con ade- guate economie di scala), senza perdere l’autonomia decisionale e la capacità di valu- tare e affrontare il rischio in base al giudizio personale. Le reti non sono sempre e completamente burocrazie e proprio per questo la conoscenza che circola tra un nodo e l’altro non è meramente replicativa: a ogni ri-uso le persone coinvolte rifondono le conoscenze da usare e le ripensano riflessivamente in rapporto al contesto che cambia, ai significati che vengono associati, ai clienti da servire ecc. La rete innerva modelli di business che non rispondono solo all’imperativo dell’efficienza (replicativa), ma che possono creare valore e dare vantaggi competi- tivi anche sul terreno della flessibilità e della creatività. Per questo fatto, le rela- zioni a rete devono a loro volta essere reversibili e aperte, per non frenare questo tipo di produzione del valore, che passa per la flessibilità e la creatività delle idee. Il secondo tratto distintivo che caratterizza le reti è la loro funzione abilitante nei confronti di operatori di piccola dimensione, che sono decentrati nelle periferia del sistema produttivo e apparentemente esclusi dalle sue risorse cognitive più rile- vanti. Questa condizione di perifericità e di esclusione cessa se questi operatori en- trano a far parte di una rete che non è periferica e non è esclusa. La rete trasferisce ai suoi membri le proprie capacità complessive, rimuovendo una barriera. La rete consente di distribuire nella filiera, tra più imprese e tra più persone, i costi, i rischi e il fabbisogno finanziario dell’investimento in conoscenze e in asset materiali, riducendo moltissimo le barriere all’ingresso per nuove iniziative imprenditoriali e nuovi specialisti. Questa caratteristica è di importanza fondamentale per le innovazioni che na- scono nei rapporti tra chi offre servizi e competenze e chi li usa: essere in rete è fondamentale per chi produce le conoscenze necessarie per fornire servizi innova- tivi che, per rendere, devono essere impiegate in un bacino d’uso ampio; ma allo stesso modo è fondamentale per chi usa tali servizi: lavorare in rete con molti for- nitori consente di scegliere la qualità di avere accesso a basso costo a servizi perso- nalizzati e in continuo movimento. La rete consente a questi sistemi complessi di divisione del lavoro trans-setto- riali e trans-territoriali di realizzare innovazioni di sistema perché investimenti, rischi e competenze specializzate potranno essere distribuite tra tanti micro-innovatori, ma- gari sotto la regia di un leader, consentendo a ciascuno di essi di affrontare problemi che sono a misura della sua esperienza, della sua finanza e della sua disponibilità a rischiare, affidandoli di fatto agli altri membri della cordata (se ci sono). 85 Questo fatto favorisce anche i pionieri e gli innovatori, perché il legame di rete fornisce loro uno sbocco potenziale di dieci, venti possibili users del prodotto o della soluzione che hanno in mente di realizzare. Le reti si fanno per poter realizzare progetti che non sarebbero perseguibili in un contesto di puro mercato, dove ognuno agisce e sceglie per conto suo, senza dare alcun affidamento agli altri, al di fuori delle clausole sancite nei contratti. Ma il percorso verso l’innovazione strategica è pieno di sassi e per niente lineare. Sarebbe difficile ad esempio contrattualizzare tutto sin dall’inizio. Il le- game di rete sopperisce a questo fallimento del mercato, se consente di immaginare che gli altri partner prescelti abbiano interesse a mantenere in vita la divisione del lavoro e la relazione allacciata. Per capire come lavorano le reti e come creano valore, bisogna studiare “in po- sitivo” il loro funzionamento. In una filiera che si organizza a rete, gli operatori ot- tengono i vantaggi della specializzazione e del riuso della conoscenza purché ac- cettino di lavorare in una condizione di interdipendenza, che va gestita dialogica- mente, passando per un terreno accidentato, costellato di conflitti, accordi e adatta- menti reciproci. Alcune di queste dinamiche si sviluppano spontaneamente, dando luogo a relazioni che crescono e si modificano in modo imprevedibile; in altri casi, la governance della rete si appoggia a una leadership riconosciuta, se esiste. 3.3.2. Struttura e ruoli organizzativi 3.3.2.1. L’organizzazione in rete Come delineato in precedenza, a livello macro lo sviluppo di un’impresa for- mativa si dovrà necessariamente collocare all’interno di una rete, indispensabile per disporre delle competenze e risorse necessarie per attuare un processo com- plesso qual è la formazione in assetto lavorativo oppure in alternativa, sviluppare delle partnership finalizzate ad acquisire il know-how mancante. a) Le partnership L’esperienza delle partnership è una strada già nota agli organismi di forma- zione che in differenti occasioni l’hanno sperimentata (IFTS, grandi progetti FSE, LEONARDO, LLL, ecc), ma molto spesso ha rappresentato un’esperienza spot, senza quella continuità nei legami e nell’integrazione che riescono a fare la diffe- renza nel fornire quei vantaggi necessari allo sviluppo dell’impresa formativa. Questo rischio è latente perché connesso alla natura stessa delle partnership, che possono andare bene in presenza di un numero ristretto di partner (l’ottimo è due) ma tende a mostrare i sui limiti in presenza di molti attori in aggiunta alla necessità di costruire legami di lunga durata. Da ciò la proposta sostenuta in questa sede di orientarsi alle strategie di rete oppure, dove possibile, sviluppare al proprio interno delle partnership molto ristrette, vicine all’acquisizione o alla fusione. 86 b) Il contratto di rete Il comma 4-ter dell’articolo 3 del D.L. n. 5/2009 stabilisce che “Con il con- tratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mer- cato” (primo periodo). Elemento essenziale del ‘‘contratto di rete’’ è il ‘‘programma comune di rete’’ sulla base del quale gli imprenditori ‘‘si obbligano... a collaborare in forme e ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi infor- mazioni o prestazioni di natura industriale commerciale tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa’’. Il concetto di ‘‘imprenditore’’ va inteso in senso alquanto ‘‘ampio’’, nel ri- flesso che anche un’attività economica svolta non per il mercato (lucrativa o meno) è potenzialmente in grado di conseguire gli stessi obbiettivi che un insieme di Impren- ditori imprimono al contratto di rete. Il contratto di rete, inoltre, ‘‘può anche prevedere l’istituzione di un fondo pa- trimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso’’ (secondo periodo). Sebbene l’istituzione del fondo patrimoniale comune e la nomina dell’organo comune non costituiscano elementi essenziali ai fini della validità di un contratto di rete, per quanto si dirà nel seguito deve ritenersi che solo le imprese (enti non commerciali) aderenti a contratti di rete che prevedano l’istitu- zione del fondo patrimoniale comune possono accedere all’agevolazione fiscale. A completamento delle indicazioni di principio, il comma 4-ter stabilisce, alle lettere da a) a f), il contenuto puntuale del contratto di rete. In particolare, in base alla let- tera c) il contratto di rete deve indicare ‘‘la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun parteci- pante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’isti- tuzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo’’. La medesima lettera c) precisa altresì che ‘‘se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice ci- vile...’’. Contabilmente, quindi, è possibile identificare un ente non-profit, nel con- testo del contratto, che funge da ‘‘collettore’’ delle risorse impiegate (collettiva- mente) dai vari enti per la costruzione della rete. 3.3.2.2. Presidi organizzativi e organismi di coordinamento La struttura organizzativa dell’impresa formativa deve essere snella, ma nel contempo capace di assicurare un duplice obiettivo: – garantire lo sviluppo e il mantenimento delle competenze distintive necessarie al funzionamento dell’impresa formativa; 87 – assicurare la progettazione, erogazione, valutazione dei servizi formativi e pro- duttivi dell’impresa formativa. Dal punto di vista delle funzioni di presidio essenziali, indipendentemente dalla loro copertura (una persona potrebbe presidiare più funzioni) si potrebbe pen- sare alle seguenti funzioni di presidio: a) Direzione dell’impresa formativa, dovrebbe assicurare la gestione economica ed operativa dell’impresa attraverso il presidio del processo di pianificazione e controllo ed il coordinamento delle varie funzioni previste nella struttura organizzativa; b) Relazioni con le Imprese, Territorio e Reti, dovrebbe assicurare lo sviluppo delle relazioni con le imprese, con le famiglie le istituzioni del territorio favo- rendo la creazione di reti e garantendone la gestione; c) Amministrazione Finanza e Controllo, dovrebbe garantire il supporto alla di- rezione nel controllo economico e finanziario dell’impresa formativa e nelle attività di acquisto; d) Sviluppo Risorse Umane, dovrebbe assicurare il presidio della selezione, valu- tazione e formazione dei formatori e tutor dell’impresa formativa; e) Coordinamento didattico, dovrebbe assicurare il coordinamento dei formatori e assieme a loro il presidio della ricerca, sviluppo e monitoraggio delle meto- dologie didattiche; f) Coordinamento di Area/settore, dovrebbe garantire il presidio dello sviluppo e mantenimento del know how tecnico-produttivo e delle metodologie di forma- zione in assetto lavorativo. Meccanismi di coordinamento L’attivazione e il regolare funzionamento di meccanismi e momenti di coordi- namento è un elemento molto importante del modello organizzativo, in quanto assi- cura una gestione partecipata e condivisa dell’impresa a tutti i livelli. Bisogna tuttavia evitare la proliferazione delle finalità inappropriate di tali momenti che rischierebbe di rallentare i processi decisionali e abbassare oltremodo l’efficienza dell’ impresa formativa. Di seguito vengono identificati e classificati i meccanismi di coordinamento ritenuti essenziali: – Comitato di Coordinamento dell’impresa formativa al quale partecipano i re- sponsabili di funzione e di area e finalizzato al coordinamento operativo delle attività dell’impresa formativa, si riunisce su base periodica e programmata ed è gestito dal direttore dell’impresa; – Coordinamento di area/settore di produzione/formazione, alla quale parteci- pano i tutor e formatori che intervengono nella formazione degli allievi in quell’area/settore, garantisce il coordinamento metodologico e operativo tra i formatori nonché la ricerca di innovazioni e miglioramenti delle metodologie didattiche; garantisce anche uno scambio continuativo con le istituzioni pro- duttive di riferimento dell’area/settore; 88 – Riunione Coordinamento docenti (collegio docenti per obbligo formativo), ga- rantisce la possibilità di sviluppare il senso di apparenza e di comunità professio- nale e consente la condivisione di scelte e decisioni importanti ai fini didattici; – Consiglio di classe (formatori della classe), al quale partecipano tutti i formato- ri della specifica classe ed ha lo scopo di effettuare la programmazione e con- trollo didattico della classe e effettuare in modo collegiale la valutazione degli allievi. 3.3.2.3. Ruoli organizzativi I ruoli chiave dell’impresa formativa non sono dissimili da quelli di un Centro di Formazione Professionale mentre cambiano i contenuti ovvero le aree di respon- sabilità e le competenze necessarie per un esercizio efficace degli stessi. Riferen- doci all’impresa formativa e focalizzandoci sui ruoli determinanti e maggiormente impattanti, ne possiamo individuare tre: il formatore, il “maestro”, il tutor di alter- nanza. 1. Formatore Nell’ottica dell’impresa formativa il ruolo convenzionale del docente deve evolvere verso il ruolo di formatore/educatore, orientato al fare e a sviluppare le competenze di cittadinanza e professionali degli allievi con una forte attenzione alla funzione orientativa ed educativa dei valori del lavoro. Alle tradizionali responsabilità di presidio degli aspetti pedagogici del pro- cesso formativo si dovranno sommare/potenziare alcune responsabilità: – monitoraggio del mercato del lavoro con particolare attenzione ai settori di competenza dell’organismo formativo di appartenenza; – monitoraggio delle aziende partners, lettura sistematica del loro contesto pro- duttivo e dei cambiamenti emergenti; – estrapolazione dei contenuti della disciplina di competenza ai processi lavora- tivi dei settori; – lettura delle vocazioni individuali e dei talenti degli allievi. Il profilo delle competenze necessarie per esercitare il ruolo dovrà essere potenziato almeno sui seguenti versanti: – Leggere e interpretazione delle dinamiche del mercato de lavoro. – Relazionarsi efficacemente con interlocutori del settore produttivo (beni e servizi) e di istituzioni tecniche e scientifiche. – Progettare strumenti di valutazione e sviluppo in relazione al settore applicativo. – Valutare potenzialità. 2. Maestro Rappresenta una figura chiave nell’organizzazione dell’impresa formativa, è anch’esso un formatore con le medesime responsabilità di presidio, alle quali se ne aggiungono altre peculiari: 89 – definire ed attuare un processo lavorativo del settore di competenza; – valutare l’efficienza e la conformità di esecuzione di un processo di lavoro del proprio ambito di competenza; – valutare la qualità di un prodotto/servizio prodotto; – gestire le risorse tecniche e umane reparto di produzione. Il profilo delle competenze necessarie per esercitare il ruolo comprenderà quelle del formatore e se ne aggiungeranno nuove e peculiari: – Programmare e controllare il lavoro. – Gestire un gruppo di lavoro. – Risolvere problemi tecnici e organizzativi. – Valutare la prestazione lavorativa. – Leadership. 3. Tutor di alternanza Ha lo stesso profilo del formatore con alcune responsabilità aggiuntive di pre- sidio e un potenziamento di altre presenti: – integrarsi in gruppi di lavoro aziendali; – predisporre (singolarmente o in collaborazione) percorsi di apprendimento in azienda; – risolvere problemi emergenti nel periodo di permanenza degli allievi in azienda; – valutare gli apprendimenti degli allievi in assetto lavorativo. Dal punto di vista del profilo di competenze, in aggiunta a quelle del formatore vi saranno le seguenti: – partecipare/gestire un gruppo di lavoro; – valutare una prestazione lavorativa; – orientarsi e relazionarsi all’interno di una organizzazione di produzione; – risolvere problemi logistici e operativi. 3.3.3. Processi L’implementazione di un modello organizzativo adeguato al funzionamento dell’impresa formativa comporta dei cambiamenti anche sulla processualità ovvero sulle metodologie con le quali vengono svolte le attività per conseguire i risultati attesi. Accanto ai tradizionali processi, diventa essenziale per l’impresa formativa garantire il presidio di: a) pianificazione e controllo economico (che può subire impatti più o meno marcati in relazione al suo stato di sviluppo nell’organismo di formazione). L’impresa formativa richiede infatti due requisiti aggiuntivi rispetto a quelli di un normale CFP: l’attivazione di un processo di fatturazione dei servizi e della contabilità analitica, quale condizione essenziale per procedere alla contabilità separata. Di fatto molti CFP, in seguito ai processi di accredita- 90 mento regionale, si sono dotati di sistemi di contabilità analitica e comunque di sistemi contabili avanzati. b) Marketing e promozione. I CFP hanno storicamente prestato, per varie ra- gioni, poca attenzione a questo processo e solo negli ultimi anni hanno ini- ziato a riconsiderare il marketing come uno strumento importante per rile- vare bisogni e relativa soddisfazione mentre rimane ancora scarsa l’atten- zione sulla promozione. C) Pianificazione e controllo della produzione del prodotto/servizio. Si tratta di un processo completamente nuovo per gli organismi di formazione, da implementare per la realizzazione dell’assetto lavorativo. D) Ricerca, sviluppo e mantenimento delle reti. Si tratta di un processo più o meno sviluppato negli organismi di formazione, normalmente in risposta a richieste di bandi sovralocali o europei che dovrebbe tuttavia diventare strutturale e sistematico. 3.4 Considerazioni di sintesi In conclusione è opportuno tracciare qualche considerazione sulle condizioni di fattibilità e sostenibilità di quanto proposto. – Una prima considerazione riguarda il requisito generale della cultura organiz- zativa e gestionale richiesta da un progetto di impresa formativa in relazione alla cultura prevalente degli organismi di formazione, del contesto aziendale e di quello istituzionale. La cultura sottesa dall’impresa formativa, come si evince dalla stessa parola “impresa” e come si intuisce dal modello di struttura e ruoli organizzativi proposti in questa sede, identifica la cultura dell’impren- ditorialità e della responsabilità, non ancora sviluppata in modo adeguato negli organismi di formazione ai quali è stato da sempre richiesto di rispondere bu- rocraticamente alle richieste del pianificatore pubblico. Va comunque sottoli- neato che negli ultimi dieci anni gli organismi di formazione hanno fatto molti passi avanti nello sviluppo di tale cultura. D’altro canto le istituzioni pubbliche fanno ancora più fatica a misurarsi con tale necessità e né è prova la difficoltà a produrre una normativa adeguata allo sviluppo dell’impresa formativa, come è stato fatto in Danimarca. Inoltre le imprese, che dovrebbero costituire il partner strategico per tale progetto (vedi il ruolo determinante svolto dalle im- prese nel programma JA-YE danese), non sono riusciti ancora a sviluppare una loro cultura della formazione come processo strategico, che di certo non faci- lita lo sviluppo di reti con le imprese formative nei quali il loro ruolo deve essere proattivo e non passivo. – Una seconda considerazione riguarda le opzioni strategiche disponibili per rea- lizzare l’impresa formativa e in particolare l’opzione di internalizzare la for- mazione in assetto lavorativo con la creazione di “botteghe scuola” nell’im- 91 presa formativa, rilevata e studiata nel caso Cometa. Questa opzione si è dimo- strata molto efficace ma bisogna sottolineare due aspetti:  L’attività lavorativa riguarda il lavoro artigianale, che consente uno stretto legame tra prestazione effettuata e rilevazione dei risultati qualitativi (capo- lavoro realizzato) ed economici con la vendita di prodotti come “pezzi unici”. Due condizioni che facilitano la realizzazione della formazione in as- setto lavorativo; la stessa cosa è difficile da realizzare all’interno di processi produttivi industriali in larga scala con supply chain “lunghe” e si dovrà ne- cessariamente andare a delle partnership e integrazioni maggiori (ricadendo nelle problematiche culturali accennate);  L’internalizzazione della formazione in assetto lavorativo (sempre caso Co- meta) ha reso necessario e stringente un ripensamento della progettazione e gestione del processo formativo nell’ottica dello sviluppo delle competenze. Questo è molto importante perché rappresenta un passaggio obbligato per la realizzazione dell’impresa formativa (e non solo). – Una terza considerazione riguarda la necessità di sviluppare i ruoli del forma- tore verso maggiori responsabilità di presidio di processi tipici delle imprese industriali e quindi con relative competenze associate. Questo non è affatto un passaggio facile perché significa nella maggior parte dei casi far cambiare “pelle” al docente e si può andare incontro a resistenze o nelle migliori situa- zioni a desistenze. Bisogna allora ripensare i percorsi di selezione e sviluppo dei formatori. – Una quarta considerazione riguarda i processi da implementare ex novo e in particolare la pianificazione e controllo della produzione e, in misura minore, il marketing. Oltre alle considerazioni precedenti sull’internalizzazione (cri- tiche per il processo di produzione) si pone un problema di disponibilità di competenze distintive per tali attività. In molti casi non si può pensare di svi- luppare internamente le competenze (sarebbe un processo lungo e spesso con scarse possibilità di successo) e sarà quindi necessario acquisire all’esterno tali competenze. – Una quinta e ultima considerazione riguarda il ruolo della direzione che dovrà gestire il progetto di realizzazione dell’impresa formativa; si tratta di cambia- menti radicali e profondi che incidono sul “corredo genetico” degli organismi di formazione e richiedono perciò una forte leadership, con determinazione e passione. 93 4. Orientamenti sul modello organizzativo per l’implementazione dell’impresa formativa nella rete CNOS-FAP Nei capitoli precedenti sono state già ipotizzate delle possibili linee di sviluppo gene- rali del modello organizzativo dell’impresa formativa sulla base degli elementi emersi dal- la letteratura e dallo studio dei casi italiani. In questa sezione si proverà ad identificare ed estrapolare elementi del modello particolarmente indicati per lo sviluppo di progetti di im- presa formativa nella rete CNOS-FAP. Allo scopo si farà riferimento alle tre esperienze di sperimentazione di formazione in assetto lavorativo della rete CNOS-FAP analizzate, uti- lizzando lo stesso schema di analisi presentato nel capitolo 3, ovvero considerando come elementi prioritari del modello organizzativo: strategia, struttura e ruoli organizzativi, pro- cessi. È opportuno sottolineare che sebbene si farà riferimento alle specifiche esperienze analizzate le indicazioni avranno un carattere generale, in modo da poter essere interpreta- te dai nodo della rete CNOS-FAP, in relazione al loro contesto operativo. 4.1. Strategia Organizzativa Abbiamo visto come gli elementi rilevanti della strategia dell’impresa formativa riguardano: – la scelta dei beneficiari; – la focalizzazione beneficiario-Settore; – le strategie di rete. Le tre esperienze CNOS-FAP analizzate, oltre che esempi emblematici di progetti propedeutici all’impresa formativa, costituiscono anche un campione interessante delle fi- liere/settori formativi target della rete CNOS-FAP: due casi in settori di eccellenza CNOS- FAP quali la Grafica e la Meccanica ed un caso in un settore meno presente ma in sviluppo (la ristorazione). Una prima osservazione è di tipo generale e riguarda le opzioni strategiche praticabi- li dai CFP CNOS-FAP in relazione ai tre elementi sopra citati. La varietà di situazioni con- testuali e di tipologia di offerta formativa presente nella rete CNOS-FAP, in relazione alle opzioni strategiche illustrate nel capitolo 4, ci spinge a concludere che non esiste una sola opzione ottimale per tutta la rete ma è possibile selezionarne quella ritenuta più adeguata rispetto alla specifica collocazione del CFP e agli orientamenti della direzione locale. A supporto delle tesi proposte, si proverà a ragionare proprio sulle esperienze analiz- zate ovvero sulla loro prospettiva di sviluppo verso un’impresa formativa, riassumendo le considerazioni come illustrato nello schema seguente. 94 Elementi della strategia Esperienza We Media Valdocco (TO) In questo caso si hanno ambedue i tipi di beneficiario e ciò è coerente con il progetto e assicura anche una valenza formativa peculiare da ricercarsi nel lavoro comune tra chi ha terminato il percorso formativo (e cerca di transitare al mercato del lavoro) e chi lo deve completare e utilizza una preziosa opportunità, mentre ambedue stanno partecipando ad un progetto d’impresa. Questa caratteristica è coerente con l’iniziativa e può estendersi a molte altre situazioni. Il livello di focalizzazione beneficiario-settore è abbastanza forte e riguarda i media e l’innovazione. A parità di beneficia si potrebbe anche optare in altri settori affini. Non è stata attivata una vera e propria strategia di rete; il progetto si è sviluppato nell’ambito del CFP. L’attivazione di una rete darebbe al progetto una spinta notevole per raggiungere nuovi traguardi. Moto d’Epoca-Bra (CN) In questo caso i beneficiari sono in obbligo formativo e la scelta è coerente con la tipologia di idea progetto e di partnership; ci potrebbe essere la possibilità di estenderla ad altre famiglie di beneficiari o a tipologie miste ma necessita una ricerca dei fattori di creazione di valore aggiunto. Il livello di focalizzazione beneficiari-settore è medio ovvero gli stessi beneficiari potrebbero essere destinati ad un progetto di differente settore (sempre dell’area tecnico-meccanica) È stata attivata una stra- tegia di rete, promossa e sviluppata dal CNOS-FAP sulla base di legami di ex allievi e passioni comuni. Questo “cocktail” è molto interessante e potrebbe essere industrializzato. Ristorazione –Este (VE) Anche in questo caso, come per We Media, coe- siste il coinvolgimento di due tipologie di beneficiari ma i presupposti della coesistenza sono diffe- renti; nel primo caso si tratta di un “progetto d’im- presa” mentre in questo caso di partecipare ad un’opportunità di cimen- tarsi su compiti reali. La focalizzazione beneficiari-settore è molto alta; potrebbe essere cambiata mantenendo i beneficiari ma su altre tipologie di servizio similari alla ristorazione. Non c’è una vera e propria strategia di rete ma accordi impliciti di collaborazione tra differenti servizi della casa salesiana. Scelta beneficiari Focalizzazione Beneficiario-Settore Strategia di rete 95 Sempre riferendoci alla prospettiva di sviluppo delle tre esperienze è tuttavia possibile individuare alcuni elementi comuni, qualsiasi sia il contesto: – in qualsiasi situazione bisogna mirare anche al coinvolgimento di beneficiari in obbligo formativo, molto importante e punto di eccellenza per la tradizione salesiana nonché settore dove i CFP salesiani detengono un know-how distin- tivo. Va tra l’altro considerato che molti organismi di formazione riescono a realizzare percorsi formativi di qualità fuori dall’obbligo formativo con benefi- ciari maggiorenni (dove ci sono tra l’altro pochi vincoli) mentre sono pochi quelli che riescono ad essere efficaci con popolazioni di 14-16 anni; – focalizzare l’attenzione e gli sforzi su filiere/settori dove il CFP possiede una esperienza consolidata e relazioni forti con il territorio; ciò consente di mini- mizzare lo sforzo sulle attività di sviluppo e nel contempo costituisce una ga- ranzia di successo. Naturalmente possono presentarsi casi dove le opportunità maggiori risiedono in settori non coperti dal CFP e dove la direzione intende entrare; in tali casi occorre valutare bene le partnership da sviluppare e il ruolo che il CFP può realisticamente ricoprire; – puntare a sviluppare strategie di rete a partire da reti parzialmente esistenti nella FP o da reti differenti ma già operanti nell’universo salesiano (associa- zioni ex allievi, amici dei Salesiani, partnership formative, ecc). La forza delle reti non sta tanto nello specifico prodotto-servizio realizzato quanto nella qua- lità/quantità degli attori che popolano la rete e nella qualità delle loro relazioni; – puntare alla stabilizzazione delle rete ovvero sviluppare una propria capacità di gestione strutturata e sistematica, capace di ripensare e ridefinire continua- mente la rete nonostante i singoli individui che la compongono. Questo è un passaggio fondamentale per passare da un progetto pilota o laboratorio ad una “impresa formativa”. 4.2. Struttura e Ruoli L’analisi della letteratura e dei casi riportata nel capitolo 2 ha evidenziato la necessità di dotarsi di strutture organizzative di rete e di presidi organizzativi e an- cora di più di ruoli organizzativi specifici per lo sviluppo dell’impresa organizza- tiva. L’analisi delle esperienze della rete CNOS-FAP ha mostrato delle carenze significative su questo fronte, come si evince dalla tabella comparativa seguente. Con riferimento alle specificità delle tre esperienze analizzate, è possibile identificare delle linee di sviluppo comuni, indipendentemente dalla specifica dell’organismo formativo che la promuove: a) Riesaminare le attuali partnership attive e scegliere la struttura di rete più ade- guata al governo operativo. La linea di indirizzo potrebbe essere la seguente: – laddove la finalità formativa è strettamente connessa alla mission e il know- how e specifico del CNOS-FAP è consigliato optare per strutture di rete “a centro di gravità concentrato”; 96 Struttura organizzativa Esperienza Cnos-Fap Scelta della rete Meccanismi di coordinamento Ruoli emergenti We Media Valdocco (TO) L’organizzazione dell’iniziativa poggia su un alto livello di informalità. Non c’è una struttura di rete, neanche riconducibile a delle partnership formali e tantomeno una struttura formale di governo operativo. Il coordinamento è ridotto al minimo ed è garantito da riunioni ristrette tra presidente e vicepresidente nonché da un regolamento predisposto di recente. I ruoli emergenti sono essenzialmente quello dei due fondatori/impren- ditori/coordinatori dell’iniziativa. Moto d’Epoca-Bra (CN) L’organizzazione a presidio dell’iniziativa è assicurata direttamente dal CFP. Esiste una rete in forma di partnership tra CNOS- FAP BRA, Azienda BRC, Soci del Club Ruote d’epoca, assimilabile ad una “rete con centri multipli “di responsabilità. Il coordinamento è garan- tito dalla predisposizione di un progetto formativo condiviso e dal lavoro a stretto contatto tra tutor CNOS-FAP, Esperti azien- dali e docenti del Club Ruote d’epoca. I ruoli emergenti sono: - i docenti esterni “appassionati” degli oggetti realizzati - tutor dell’alternanza CNOS-FAP - i meccanici-restauratori in azienda Ristorazione –Este (VE) Anche in questo caso l’organizzazione a presidio dell’iniziativa è garantita dal CFP CNOS-FAP e non esiste una organizzazione di rete vera e propria quanto piuttosto una collaborazione tra differenti servizi interni dei della casa Salesiana. Il coordinamento è assicurato dal CFP ovvero dai responsabili di gestione degli eventi nominati al suo interno. Non vi sono nuovi ruoli emergenti quanto piuttosto dei formatori del CFP ai quali viene assegnato il ruolo durante l’evento (chef, responsabile di sala, ecc). 97 – nei casi di centratura dei servizi su aspetti meno importanti per il CNOS- FAP si può compartecipare reti a “centri di gravità multipli” o partecipare a reti “a struttura gerarchica”; b) Regolamentare la rete ed il suo funzionamento atteso con lo strumento ritenuto più adatto: da un regolamento condiviso alla forma più strutturata quale il con- tratto di rete; c) Istituire dei meccanismi di coordinamento che coinvolgono, a vari livelli, i ruoli chiave coinvolti nei processi primari dell’impresa formativa e i vari partner che sostengono la rete; d) Definire ed attivare i ruoli chiave dell’impresa formativa, secondo quanto defi- nito nel capitolo 4. A partire dai “maestri”/capireparto; e) Individuare i titolari dei ruoli chiave secondo principi di competenza, motiva- zione e passione; f) Attivare un processo di sviluppo dei ruoli chiave dell’impresa formativa. 4.3. Processi Abbiamo visto che tra i processi emergenti come fondamentali per l’imple- mentazione dell’impresa formativa troviamo: – Marketing e promozione. – Pianificazione e controllo Produzione del prodotto/servizio. – Ricerca, Sviluppo e mantenimento delle reti. Purtroppo l’analisi delle esperienze evidenzia l’assenza di presidi formalizzati per tali processi. Le indicazioni comuni in tale situazione possono quindi essere riassunte nelle seguenti: – Identificare e definire il processo di produzione di beni e servizi sul quale si voglia effettuare la formazione in assetto lavorativo. – Decidere se è fattibile realizzare al proprio interno il processo oppure mutuarlo da una realtà terza con la quale attivare una partnership. – Riesaminare/definire il processo formativo offerto ai beneficiari orientato alle competenze (come esplicitato nel capitolo 4) e attivare un processo di imple- mentazione all’interno del CFP. – Riesaminare attivare la strategia di rete per l’attuazione del processo formativo. – Definire ed attivare un processo di marketing e promozione dell’impresa formativa, del suo processo formativo e dei suoi prodotti/servizi. 99 5. Aspetti giuridici e fiscali per l’avviamento di un’impresa formativa Tenendo conto delle varie fattispecie esaminate nei precedenti capitoli, sul piano pratico per l’avviamento di un’impresa formativa a breve termine, cioè a partire dalla realtà attuale di un CFP, è possibile suggerire all’attenzione dei CFP le seguenti fattispecie giuridiche ed organizzative: – Gli accordi di rete tra scuole e istituzioni formative. – I contratti di rete d’impresa. – Le cooperative per la transizione scuola-lavoro. Naturalmente dipenderà dalle condizioni specifiche del CFP e dalle normative nazionali e regionali in materia la scelta più opportuna. 5.1. Gli Accordi di rete tra istituzioni scolastiche e formative L’art. 7 del D.P.R. 275/99 prevede quanto segue: 1. Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento della proprie finalità istituzionali. 2. L’accordo può avere a oggetto attività didattiche, di ricerca, sperimenta- zione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; di amministrazione e contabilità, ferma restando l’autonomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni e servizi, di organizzazione e di altre attività coerenti con le finalità istituzionali; se l’accordo prevede attività didattiche o di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, è approvato, oltre che dal consiglio di circolo o di istituto, anche dal collegio dei docenti delle singole scuole interessate per la parte di propria competenza. 3. L’accordo può prevedere lo scambio temporaneo di docenti, che libera- mente vi consentono, fra le istituzioni che partecipano alla rete i cui docenti abbiano uno stato giuridico omogeneo. I docenti che accettano di essere impegnati in progetti che prevedono lo scambio rinunciano al trasferimento per la durata del loro impegno nei progetti stessi, con le modalità stabilite in sede di contrattazione collettiva. 4. L’accordo individua l’organo responsabile della gestione delle risorse e del raggiungimento delle finalità del progetto, la sua durata, le sue competenze e i suoi poteri, nonché le risorse professionali e finanziarie messe a disposizione della rete dalle singole istituzioni; l’accordo è depositato presso le segreterie delle scuole, ove gli interessati possono prenderne visione ed estrarne copia. 100 5. Gli accordi sono aperti all’adesione di tutte le istituzioni scolastiche che intendano parteciparvi e prevedono iniziative per favorire la partecipazione alla rete delle istituzioni scolastiche che presentano situazioni di difficoltà. 6. Nell’ambito delle reti di scuole, possono essere istituiti laboratori finalizzati tra l’altro a: a. la ricerca didattica e la sperimentazione; b. la documentazione, secondo procedure definite a livello nazionale per la più ampia circolazione, anche attraverso rete telematica, di ricerche, espe- rienze, documenti e informazioni; c. la formazione in servizio del personale scolastico; d. l’orientamento scolastico e professionale. 7. Quando sono istituite reti di scuole, gli organici funzionali di istituto pos- sono essere definiti in modo da consentire l’affidamento a personale dotato di spe- cifiche esperienze e competenze di compiti organizzativi e di raccordo interistitu- zionale e di gestione dei laboratori di cui al comma 6. 8. Le scuole, sia singolarmente che collegate in rete, possono stipulare con- venzioni con università statali o private, ovvero con istituzioni, enti, associazioni o agenzie operanti sul territorio che intendono dare il loro apporto alla realizzazione di specifici obiettivi. 9. Anche al di fuori dell’ipotesi prevista dal comma 1, le istituzioni scolastiche possono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale. Tali accordi e convenzioni sono depositati presso le segreterie delle scuole dove gli interessati possono pren- derne visione ed estrarne copia. 10. Le istituzioni scolastiche possono costituire o aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere compiti istituzionali coerenti col Piano dell’offerta formativa di cui all’articolo 3 e per l’acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgi- mento dei compiti di carattere formativo. Come si può evincere dalla lettura della norma, il rapporto è limitato ai soli ac- cordi tra istituzioni scolastiche al fine di fornire un’offerta formativa organica e mi- rata, appare improponibile il rapporto con il mondo produttivo volto a creare delle sinergie o degli esperimenti a 360 gradi. 5.2. Contratto di rete d’impresa Un’ipotesi interessante può essere fornita dal contratto di rete disciplinato dalla L. 33/2009 e dalla L. 122/2010. Si tratta ora di vedere se sia possibile colle- gare le singole unità in modo da creare sinergie utili alla formazione degli allievi. Il contratto di rete è un accordo con il quale più imprenditori s’impegnano a collaborare al fine di accrescere, sia individualmente (cioè la propria impresa) che 101 collettivamente (cioè le imprese che fanno parte della rete), la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. A tale scopo, con il contratto di rete le imprese si obbligano, sulla base di un programma comune, a:  collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie attività;  scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica;  esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale e la no- mina di un organo comune incaricato di gestire l’esecuzione del contratto o di sin- gole parti o fasi dello stesso. Dal punto di vista imprenditoriale, le reti si distin- guono da altre forme di collaborazione, in quanto si focalizzano sul perseguimento di uno scopo ovvero obiettivi strategici comuni di crescita, piuttosto che incentrare il rapporto tra le imprese partecipanti esclusivamente sulla condivisione di rendi- menti. Pertanto, la rete svolgerà una funzione di coordinamento ed interazione tra i partecipanti, mentre l’assunzione delle decisioni strategiche resterà in capo a cia- scuna impresa separatamente ancorché in funzione del perseguimento dello scopo indicato nel contratto. La rete non si qualifica come un nuovo soggetto giuridico assimilabile, per esempio, ad altre forme di aggregazione, come A.T.I. e consorzi. La rete risulta essere semplicemente un contratto tra più soggetti. La norma precisa che il contratto di rete può essere stipulato da “più imprendi- tori”. I contraenti debbano dunque essere imprenditori indipendentemente dalla loro rispettiva natura (sono quindi incluse anche le imprese individuali, le società e gli imprenditori pubblici anche non commerciali). Possono, pertanto, far parte del contratto di rete anche enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività di impresa non necessariamente commerciale; così come aziende senza scopo di lucro, non essendo preclusa la possibilità di realizzare reti miste in cui siano presenti soggetti con e senza scopo di lucro. Per quanto concerne la partecipazione alla rete, il contratto ha una struttura aperta, caratterizzata dalla possibilità di nuovi ingressi nella rete e dovrà quindi necessariamente prevedere i criteri di adesione di nuovi soggetti, fermo restando il rispetto dei requisiti soggettivi sopra indicati. Il contratto deve essere stipulato necessariamente nella forma dell’atto pub- blico o della scrittura privata autenticata e ciò è previsto “ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater”. La pubblicità del contratto è assicurata me- diante la sua iscrizione al Registro delle imprese, nella sezione in cui è iscritta cia- scuna impresa contraente. Con l’iscrizione nel registro delle imprese si acquista la soggettività giuridica intesa come idoneità ad essere titolare di diritti e di doveri. La necessaria specificazione degli obiettivi strategici, che le parti contraenti si 102 prefiggono con l’esecuzione del contratto di rete, deve essere accompagnata dal- l’indicazione delle modalità con cui le parti misureranno, durante l’esecuzione del contratto di rete, il rispettivo avanzamento verso tali obiettivi. Si tratta di mecca- nismi di non facile definizione, che hanno lo scopo di consentire una verifica medio tempore sulla attitudine del contratto di rete a dare soddisfazione a tutte le parti contraenti. Il contratto di rete non può essere stipulato a tempo indeterminato, essendo obbligatorio prevederne una specifica durata. Ciò non impedisce che le parti possano procedere alla sua rinnovazione, anche prevedendone il rinnovo ta- cito in assenza di comunicazione di disdetta da parte di chi non intenda mantenere il vincolo del contratto di rete. Le parti possono decidere di inserire nel contratto, a loro discrezione, secondo scelte di opportunità:  L’istituzione di un fondo patrimoniale comune. Il fondo ha un preciso vincolo di destinazione, essendo finalizzato all’attuazione del programma di rete ovvero al perseguimento degli obiettivi strategici (crescita della capacità innovativa e della competitività). Quando si procede all’istituzione del fondo patrimoniale, il con- tratto deve obbligatoriamente prevedere la misura ed i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi, che i contraenti si obbligano a versare. Il programma può prevedere che il conferimento possa es- sere effettuato anche mediante la costituzione di un patrimonio destinato ad un singolo affare.  La nomina di un organo comune incaricato di gestire l’esecuzione del contratto al quale potrà essere conferito un mandato con rappresentanza che gli permet- terà di agire in nome e per conte delle imprese aderenti. La nomina dell’organo comune, prima prevista come obbligatoria, è nella previsione della novella del 2010, mera facoltà dei contraenti. Ove i contraenti procedano alla nomina del- l’organo comune, debbono necessariamente indicare nel contratto di rete: – il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto pre- scelto a svolgere l’incarico; – i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti; – le regole relative alla sua eventuale sostituzione;  Previsione di cause facoltative di recesso anticipato dal contratto. Le parti pos- sono prevedere nel contratto specifiche cause di recesso anticipato da parte del singolo contraente. 5.2.1. Aspetti gestionali Come si Gestisce Per quanto attiene alla gestione della rete, è la stessa disciplina di legge che impone che il contratto debba prevedere le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto d’interesse comune. La legge, tuttavia, non impone regole specifiche; si può, pertanto, ipotizzare la previsione dell’assun- zione di decisioni con criteri che possono prevedere la maggioranza semplice dei 103 retisti, o maggioranze qualificate – eventualmente solo per alcune specifiche ma- terie – ovvero ancora l’unanimità dei partecipanti su tutte o anche solo su alcune decisioni. La Responsabilità Nell’ambito del contratto di rete e, segnatamente, nella sua fase di esecuzione, è possibile distinguere tre diversi profili di responsabilità contrattuale: 1) la responsabilità nei rapporti interni tra le imprese aderenti alla rete; 2) la responsabilità verso i terzi con i quali si intrattengono rapporti contrattuali funzionali all’attuazione del programma di rete; 3) la responsabilità dell’organo comune in conseguenza del suo operato come mandatario. Le Agevolazioni Nei confronti della rete d’impresa è stato istituito un regime di sospensione d’im- posta per gli utili di esercizio che le parti abbiano accantonato in apposita riserva e destinato al fondo patrimoniale per la realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete, che sia stato asseverato dagli organismi abilitati. Così come la rete non è un soggetto giuridico, parimenti sul piano fiscale non è un soggetto tributario e, quindi, non può rappresentare il centro d’imputazione, attivo o passivo, delle attività poste in essere in esecuzione del programma di rete. Sull’applicazione del contratto nel mondo della formazione emergono tuttavia alcune perplessità operative e gestionali. Se è vero che è possibile dar vita a reti miste (imprese ed enti non profit) resta comunque uno schema di contratto riservato ad im- prenditori e in questo giocano un ruolo decisivo le Camere di Commercio che potreb- bero rifiutare l’iscrizione di un soggetto i cui componenti non sono iscritti al registro delle imprese. Per quanto riguarda la gestione, non prevedendo un modello specifico, si lascia li- bertà ai partecipanti che provenendo da mondi diversi (imprese ed enti di formazione) potrebbero avere obiettivi e visioni diverse creando di fatto la paralisi della struttura. 5.3. La Cooperativa per la transizione scuola-lavoro (CPT) Nata grazie al Protocollo siglato nel 1995 tra Confederazione Cooperative Ita- liane e Ministero della Pubblica Istruzione per la diffusione dell’educazione coope- rativa nelle scuole italiane può rappresentare un’esperienza imprenditoriale da svolgere sin dall’interno della Scuola o dell’Università, grazie alla quale un gio- vane può acquisire una precisa professionalità, strettamente correlata agli studi se- guiti. Permette inoltre di inserirsi nel mondo del lavoro non attraverso una semplice simulazione, ma attraverso una vera impresa, la “propria” impresa. Può pertanto avere una notevole valenza ai fini occupazionali. 104 L’educazione cooperativa in generale e la CPT in particolare possono contri- buire all’ammodernamento del sistema scolastico italiano, favorendo l’incontro e la collaborazione tra scuola e realtà socio-economica, compresa quella rappresentata dal Movimento Cooperativo. Ciò è utile sia ai fini della più profonda motivazione allo studio dei giovani, sia per la loro più completa formazione umana e culturale, sia per una valida preparazione all’inserimento professionale nel mondo del lavoro. 5.3.1. Aspetti giuridici e organizzativi La CPT è un’impresa cooperativa, avente come soci gli alunni dell’ultimo anno del percorso formativo e del primo anno successivo, uno o più dei loro inse- gnanti. In essa la scuola ha un ruolo molto importante. Mette infatti a disposizione la sede, l’assistenza e la consulenza dei docenti, macchinari ed attrezzature (tele- fono, fax, computer, strumenti specifici dei vari settori di produzione di beni o ser- vizi, ecc.), consentendo così alla cooperativa un considerevole risparmio sul fronte dell’acquisto dei beni, ma soprattutto offrendo la propria conoscenza del territorio e la propria credibilità di fronte alle imprese allo scopo di procurare le prime com- messe di lavoro. Il principio della “porta aperta” consente l’entrata e l’uscita dei soci senza che ciò influisca sull’attività produttiva e senza la necessità di modifiche statutarie. È di particolare importanza in questo tipo di attività dato che un’impresa che nasce in ambito scolastico/formativo è caratterizzata dalla continua entrata di nuovi soci (gli alunni che a mano a mano si diplomano, oppure che a mano a mano vengono a conoscenza dell’attività della cooperativa e chiedono di farne parte), nonché dall’u- scita di vecchi soci (i giovani che trovano un diverso tipo di occupazione). Da ciò consegue l’importanza della variabilità del capitale sociale, che au- menta o si riduce in relazione all’ingresso o all’uscita dei soci, senza che ciò com- porti la necessità di modificare lo statuto. Vi è poi un altro importante principio: la democraticità della partecipazione nell’Assemblea, nella quale ogni socio persona fisica ha un solo voto, indipenden- temente dall’eventuale possesso di ammontari diversi di quote od azioni di capitale sociale. Ciò consente di evitare che i soci si dividano in “quelli che comandano” e “quelli che eseguono”, consentendo così a tutti di imparare a gestire la propria impresa. In una società cooperativa, inoltre, gli utili non vengono distribuiti ai soci in proporzione al capitale versato, ma altrimenti destinati. Ciò è di grande importanza in un’impresa che nasce in ambito scolastico, dato che per i suoi soci l’obiettivo principale non deve essere il guadagno, bensì l’acquisizione di una precisa profes- sionalità, direttamente correlata agli studi seguiti. La società cooperativa ha la possibilità di avere, oltrechè i soci ordinari, i soci sovventori. Quindi la scuola, uno o più enti pubblici o anche altri potranno aiutare la CPT per quanto riguarda le esigenze di finanziamento. 105 5.3.2. Possibili vantaggi La costituzione e la gestione di una Cooperativa per la Transizione Scuola/La- voro reca vantaggi per gli alunni, per gli insegnanti, per la scuola, per il contesto socio-economico nel quale l’istituto scolastico opera, per la società in generale. Vediamo perché. I vantaggi per gli alunni I vantaggi per gli alunni sono evidenti. Essi infatti, grazie alla Cooperativa per la Transizione, avranno l’opportunità di godere di un reddito; di attuare concreta- mente quanto hanno appreso durante gli studi; di entrare nel mondo del lavoro in un ambiente protetto, grazie all’assistenza degli insegnanti ed al sostegno della scuola. Avranno soprattutto la possibilità di sviluppare il loro spirito imprendito- riale, ma in ogni caso, anche se opteranno per il lavoro dipendente, avranno vissuto un’esperienza che “fa curriculum”, che verrà cioé presa positivamente in conside- razione da eventuali, successivi datori di lavoro. I vantaggi per i docenti/formatori Gli insegnanti saranno agevolati nel loro lavoro dal fatto di avere degli alunni maggiormente motivati, grazie alla possibilità di offrire uno sbocco lavorativo, im- mediato e concreto, ai loro studi. Saranno inoltre facilitati e professionalizzati dalla possibilità di far conoscere “dal vivo” agli alunni (e non soltanto a quelli diretta- mente coinvolti nella CPT, ma anche a quelli di altre classi) il funzionamento di un’impresa, nei suoi vari aspetti (economico, finanziario, di gestione delle risorse umane, ecc.). Gli insegnanti stessi saranno stimolati ad un continuo aggiornamento delle proprie competenze, soprattutto a motivo della necessità – da parte della CPT – di “rimanere sul mercato”, cogliendone le mutevoli esigenze e seguendone il continuo sviluppo. Potranno inoltre essere remunerati per il loro lavoro. I vantaggi per l’istituzione formativa La scuola o il CFP avrà il vantaggio di qualificare la propria attività, dimo- strando che i progetti educativi posti in essere nel suo ambito possono avere un di- retto sbocco lavorativo. L’attività della CPT consentirà inoltre all’istituto scolastico di intensificare e qualificare i contatti con altre realtà socio-economiche del terri- torio. Grazie a questo si potranno formare i giovani tenendo conto delle esigenze del tessuto produttivo locale e potrà essere applicata in modo proficuo l’autonomia scolastica. La pubblicità derivante all’istituto scolastico dall’attività della CPT, in- fine, supera largamente i costi che questo dovrà sopportare, soprattutto nella fase iniziale della vita della CPT, la quale – una volta avviata – potrà a sua volta acqui- sire beni ed attrezzature utili anche per l’attività didattica della scuola. I vantaggi per il contesto socio-economico Le imprese operanti nel territorio potranno disporre di personale formato in un 106 Istituto sempre più in grado di comprendere e considerare le loro esigenze, nonché di persone “allenate” a lavorare con gli altri, in spirito di fattiva e proficua collabo- razione, perseguendo insieme precisi obiettivi, in una logica imprenditoriale. La stessa attività economica della CPT si inserisce poi positivamente sul mercato offrendo alle imprese supporto e servizi, con la capacità di rispondere in modo fles- sibile alle loro esigenze. I vantaggi per la società in generale La diffusione delle CPT permetterà innanzitutto di combattere il fenomeno degli abbandoni scolastici. Molti giovani infatti decidono di non proseguire gli studi poi- ché non vedono una diretta connessione tra questi ultimi e “la vita reale”. Il sapere invece che le materie studiate consentono uno sbocco lavorativo motiverà gli studen- ti a proseguire nel loro impegno scolastico. Grazie alle Cooperative per la Transizio- ne inoltre i giovani non si orienteranno esclusivamente al lavoro dipendente, ma im- pareranno a conoscere e ad apprezzare la possibilità di dar vita ad una propria impre- sa. Ciò è di considerevole importanza a livello sociale dato che – come è ben noto – il lavoro dipendente in futuro sarà sempre più difficile da trovare. Tutto questo avrà po- sitivi riflessi non solo per quanto riguarda il mondo scolastico e l’occupazione, ma anche per la formazione dei cittadini in generale. Il metodo cooperativo infatti forma e motiva le persone al protagonismo economico e sociale, e di questo ci sarà in futu- ro sempre più necessità. Basti pensare, ad esempio, alla dismissione da parte dello Stato e di altri enti pubblici di una serie di servizi, dei quali i cittadini dovranno per- tanto farsi carico direttamente. La formula cooperativa infatti è l’ideale per questo tipo di attività; lo scopo mu- tualistico, tipico della cooperazione, è basilare. Un’impresa che nasce in ambito sco- lastico-formativo infatti non ha certamente come scopo primario il lucro, ma deve svolgere un’attività i vantaggi della quale si riflettano direttamente sui soci (con i quali la scuola ha innanzitutto un rapporto di tipo formativo) essendo mirata alla loro crescita intellettuale, morale, sociale, imprenditoriale. Da ciò consegue il principio della rilevanza della compagine sociale, che pertanto è incentivata a lavorare proficuamente, sentendosi la vera protagonista dell’attività. In una CPT inoltre i soci non hanno una remunerazione certa; i loro emolumenti dipen- dono dagli effettivi guadagni della società, e questo li sprona ulteriormente ad impe- gnarsi. Tale aspetto, parallelamente, rappresenta un vantaggio per la cooperativa, che può svolgere la propria attività senza un eccessivo aggravio dei costi di lavoro. La limitazione del capitale contribuisce a dare la conferma del fatto che i soldi sono in questo tipo di attività soltanto uno strumento, e non il fine ultimo. Del resto i soci, essendo giovani ed alla loro prima esperienza lavorativa, non avrebbero consi- stenti somme da impegnare. Essi rischiano pertanto solo il loro lavoro, cioè di non poter contare su una remunerazione certa, mentre il capitale è limitato al minimo indispensabile. Sono del resto tutelati dal fatto che la cooperativa è tenuta a versare per loro i contributi all’Ente previdenziale. 107 5.3.3 Aspetti gestionali La CPT quindi è una vera impresa ed il gestirla comporta la necessità di una serie di competenze e di attitudini che è bene i giovani apprendano gradualmente ed in modo ap- profondito. Dovrebbe quindi nascere nel penultimo o nell’ultimo anno delle scuole me- die superiori e negli anni precedenti è auspicabile che i ragazzi inizino a conoscere la struttura in modo da poter fare delle scelte consapevoli. Affinché una CPT possa nascere c’è bisogno di tutti. La cooperativa ha logicamen- te, innanzitutto, la necessità di avere una compagine sociale. È indispensabile pertanto che le finalità, la struttura, l’attività della CPT siano ben conosciute da tutti i potenziali soci, attuali e futuri. Tale obiettivo si raggiunge con attività di sensibilizzazione e di formazione rivolta in particolare agli alunni ed ai docenti di una determinata scuola. La scuola-CFP che ospita la CPT mette innanzitutto a disposizione – come già det- to – la propria conoscenza del territorio, grazie alla quale la cooperativa potrà ottenere le prime commesse di lavoro, la sede ed alcune attrezzature. Sono di grande importanza inoltre la competenza e la professionalità dei docenti, del personale tecnico e ammini- strativo. L’attività e gli scopi della Cooperativa per la Transizione dunque devono essere co- nosciuti e condivisi: – dalla scuola, nelle sue varie articolazioni; – dagli enti locali che possono fornire supporti consulenziali, economici, logistici (ad esempio consentendo l’utilizzo di attrezzature e/o partecipando alle spese di gestione); – dalle realtà socio-economiche del territorio ma non solo del territorio, possono fornire idee, commesse di lavoro, assistenza; – dai mass-media pubblicizzano la CPT. Ciò le consente di essere conosciuta per quanto concerne le sue finalità ed il suo lavoro e pertanto di poter operare sul mer- cato. È quindi molto importante coinvolgere radio, televisioni, stampa, ecc. La costituzione della CPT La Cooperativa va successivamente costituita per atto pubblico redatto dal notaio. Ulteriori adempimenti riguardano l’iscrizione presso il Registro delle imprese della Camera di Commercio, al Registro Prefettizio, ecc. Le fonti finanziarie La CPT si finanzierà innanzitutto con le quote sociali. Potranno poi esservi conferi- menti effettuati da soci sovventori. La cooperativa potrà inoltre fruire di finanziamenti da parte di Enti pubblici. A tale proposito va sottolineato il fatto che quasi tutte le Regioni italiane si sono dotate di una legge specifica per favorire lo sviluppo della cooperazione e prevedono strumenti per l’incentivazione finanziaria di nuova imprenditorialità cooperativa. Esistono poi norme regionali che prevedono aiuti economici per i vari settori di attività (agricoltura, cultura, turismo, sport, ecc.). 108 La CPT potrà inoltre essere finanziata dalle varie leggi finalizzate a favorire l’imprenditoria giovanile. Ulteriori fonti di finanziamento potranno derivare dall’emissione di contributi da parte della scuola, dei genitori degli alunni, dalle imprese ecc. La CPT, superata una prima fase, potrà contare sulla vendita dei propri prodotti e servizi. Le società cooperative, in considerazione del loro ruolo sociale, godono di varie agevolazioni. La gestione operativa La gestione di una CPT non si discosta sostanzialmente da quella delle altre cooperative. È indispensabile tuttavia trattare alcune peculiarità della CPT. Riveste grande importanza innanzitutto il ruolo del promotore della Coopera- tiva per la Transizione, che tuttavia – in considerazione dell’inesperienza e della giovane età dei soci – dovrà proseguire la sua azione anche dopo la costituzione della CPT. Dovrà infatti mantenere costanti la coesione e la motivazione del gruppo nonché fare da tramite tra i committenti e la compagine sociale. Avrà inoltre il compito di curare i rapporti tra la cooperativa e la scuola che la ospita. Un discorso a parte merita poi la variabilità della compagine sociale per la quale è opportuno prevedere, tramite apposita clausola statutaria o regolamento, le modalità d’ingresso e di uscita. Il fine della CPT è quella di “allenare” i giovani al mondo del lavoro, sarebbe opportuno quindi definire le procedure d’ingresso e i termini di uscita. La formazione del personale Tutte le persone interessate all’attività della CPT (in particolare i potenziali soci, ma anche gli insegnanti, gli addetti tecnici ed amministrativi della scuola che potranno in vario modo collaborare con la cooperativa, ed altri) dovranno essere messi in grado di seguire un’attività formativa che li renda consapevoli delle fina- lità e delle modalità di lavoro della CPT. 109 Bibliografia e sitografia ANDERS RASMUSSEN (2013), Entrepreneurship Education. Progression Model, The Danish Foundation for Entrepreneurship – Young Enterprise, Copenhagen. Arrêté du Gouvernement Wallon du 21 décembre 2006 portant exécution du décret du 1er avril 2004 relatif à l’agrément et au subventionnement des organismes d’insertion socioprofessionnelle et des entreprises de formation par le travail. Arrêté ministériel du 25 mars 2009 portant exécution des dispositions de l’arrêté du Gouvernement wallon du 21 décembre 2006 portant exécution du décret du 1er avril 2004, relatif à l’agrément et au subventionnement des organismes d’insertion socioprofessionnelle et des entreprises de formation par le travail. Arrêté ministériel du 30 décembre 2008 portant exécution des dispositions de l’arrêté du Gouverne- ment wallon du 21 décembre 2006 portant exécution du décret du 1er avril 2004, relatif à l’a- grément et au subventionnement des organismes d’insertion socioprofessionnelle – OISP et des entreprises de formation par le travail – EFT. ASSOCIAZIONE ITALIANA POLITICHE INDUSTRIALI (a cura di) “Fare reti d’impresa: dai nodi distrettuali alle maglie lunghe: una nuova dimensione per competere”. Presentazione Aldo Bonomi, Il sole 24 ore, Milano 2009. BLENKER P., KORSGAARD S., NEERGAARD H., & THRANE C. 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Orientamenti europei e quadro normativo nazionale [...] La legge 107/2015, infine, nel commi dal 33 al 43 dell’articolo 1, sistema- tizza l’alternanza scuola lavoro dall’a.s.2015-2016 nel secondo ciclo di istruzione, attraverso: a. la previsione di percorsi obbligatori di alternanza nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, con una differente du- rata complessiva rispetto agli ordinamenti: almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei, da inserire nel Piano triennale dell’offerta formativa; b. la possibilità di stipulare convenzioni per lo svolgimento di percorsi in alternanza anche con gli ordini professionali e con enti che svolgono attività af- ferenti al patrimonio artistico, culturale e ambientale o con enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI; c. la possibilità di realizzare le attività di alternanza durante la sospensione delle attività didattiche e all’estero, nonché con la modalità dell’impresa formativa simulata; d. l’emanazione di un regolamento con cui è defi- nita la “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola lavoro”, con la possibilità, per lo studente, di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla co- erenza dei percorsi con il proprio indirizzo di studio; e. l’affidamento alle scuole secondarie di secondo grado del compito di organizzare corsi di formazione in ma- teria di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, rivolti agli studenti inseriti nei percorsi di alternanza e svolti secondo quanto disposto dal d.lgs. 81/2008; f. lo stanziamento di 100 milioni di euro annui per sviluppare l’alternanza scuola lavoro nelle scuole secondarie di secondo grado a decorrere dall’anno 2016. Tali risorse finanziano l’organizzazione delle attività di alternanza, l’assistenza tec- nica e il monitoraggio dei percorsi; g. l’affidamento al Dirigente scolastico del compito di individuare le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili per l’atti- vazione di percorsi di alternanza scuola lavoro e di stipulare convenzioni finaliz- 8 https://labuonascuola.gov.it/area/a/25282/ (novembre 2015) 112 zate anche a favorire l’orientamento dello studente. Analoghe convenzioni possono essere stipulate con musei e altri luoghi della cultura, nonché con gli uffici centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali; h. la stesura di una scheda di valutazione finale sulle strutture convenzionate, redatta dal dirigente scolastico al termine di ogni anno scolastico, in cui sono evidenziate le specificità del loro po- tenziale formativo e le eventuali difficoltà incontrate nella collaborazione; i. la co- stituzione presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, a de- correre dall’a.s. 2015/16, del Registro nazionale per l’alternanza scuola lavoro, in cui sono visibili le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili ad accogliere studenti per percorsi di alternanza (quanti giovani e per quali periodi). [...] 9. Impresa formativa simulata È una delle modalità di realizzazione dell’alternanza scuola-lavoro, attuata me- diante la costituzione di un’azienda virtuale animata dagli studenti, che svolge un’attività di mercato in rete (e-commerce) e fa riferimento ad un’azienda reale (azienda tutor o madrina) che costituisce il modello di riferimento da emulare in ogni fase o ciclo di vita aziendale. Si avvale di una metodologia didattica che uti- lizza in modo naturale il problem solving, il learning by doing, il cooperative lear- ning ed il role playing, costituendo un valido strumento per l’acquisizione di com- petenze spendibili nel mercato del lavoro. Con essa si tende a riprodurre un am- biente simulato che consenta all’allievo di apprendere nuove competenze sotto il profilo operativo, rafforzando quelle conoscenze e competenze apprese nel corso degli studi. Gli studenti, con l’impresa formativa simulata, assumono le sembianze di giovani imprenditori e riproducono in laboratorio il modello lavorativo di un’a- zienda vera, apprendendo i principi di gestione attraverso il fare (action-oriented learning). L’insieme delle imprese formative simulate, collegate tra loro da una piattaforma informatica, costituisce la rete telematica delle imprese formative si- mulate, sostenuta attraverso una Centrale di Simulazione (SimuCenter) nazionale o locale, costituita da un sistema che consente alle aziende virtuali in rete di simulare tutte le azioni legate alle aree specifiche di qualsiasi attività imprenditoriale. Il Si- muCenter permette, inoltre, alle imprese formative simulate in rete di essere colle- gate con il mondo virtuale, rappresentato dalle Camere di Commercio, tenutarie del Registro delle Imprese, dall’Agenzia delle Entrate, dalle Banche, dagli Istituti pre- videnziali e da tutte le altre imprese formative simulate che interagiscono tra loro in concorrenza, ovvero in monopolio o oligopolio, in funzione del grado di matu- rità o di innovazione del prodotto. L’impresa formativa simulata in origine ha tro- vato larga diffusione all’interno degli istituti tecnici e professionali del settore eco- nomico ad indirizzo amministrativo-commerciale, più vocati agli studi orientati al- l’imprenditorialità, alla cultura amministrativa e al controllo di gestione dell’im- presa moderna. Numerose sono le esperienze operative realizzate da piattaforme 113 informatiche di fornitori diversi che utilizzano analoghe metodologie di fondo (come, ad esempio, I.F.S. e Simulimpresa). Successivamente, l’esperienza si è estesa anche agli istituti degli altri settori ed indirizzi, nonché ai licei. L’impresa formativa simulata rappresenta uno strumento utile per aiutare i giovani ad acqui- sire lo spirito di iniziativa e di imprenditorialità con gli strumenti cognitivi di base in campo economico e finanziario e si può rivelare utile in tutti gli indirizzi di studi, se si considera come strumento di orientamento delle scelte degli studenti che, anche dopo un percorso universitario, hanno l’aspirazione di essere inseriti in una realtà aziendale. Essa può costituire parte del percorso complessivo di alter- nanza scuola lavoro che lo studente sviluppa nel triennio, andando ad affiancare ovvero ad integrare altre tipologie di esperienza di lavoro. A tale proposito, per la funzione di tutor interno, può essere utilizzato un docente dotato delle necessarie competenze, all’interno dell’organico dell’autonomia, come definito dalla legge 107/2015, articolo 1, comma 63. Ad oggi, inoltre, l’impresa formativa simulata si presenta come la forma di apprendimento più efficace per quei ragazzi che inten- dano intraprendere un autonomo percorso imprenditoriale al termine degli studi, dando origine ad una nuova realtà aziendale (start-up) operante attraverso il canale del commercio elettronico (e-commerce), affidando le principali attività aziendali (come la gestione documentale, le rilevazioni contabili, il budgeting, il reporting, la logistica o la comunicazione) a soggetti specializzati in servizi di rete facenti capo a server remoti (cloud computing). Il percorso dell’impresa formativa simulata si sviluppa, normalmente, attraverso le sei distinte fasi di seguito rappresentate, che partono dalla sensibilizzazione e dall’orientamento dell’allievo (analisi del terri- torio), si sviluppano con la costituzione, gestione e controllo dell’azienda, fino a concludersi con la rendicontazione e la diffusione dei risultati attraverso i canali di comunicazione. La Prima fase è finalizzata a sensibilizzare e orientare lo studente, nel contesto della cittadinanza attiva, fornendogli strumenti per esplorare il terri- torio, analizzarne le risorse e rapportarsi ad esso nel modo più adeguato alle proprie aspettative ed attitudini, sviluppando abilità in momenti di indagine, ascolto, analisi e confronto. La Seconda fase ha il compito di sensibilizzare il giovane ad una vi- sione sistemica della società civile attraverso la cultura d’impresa, in modo da svi- luppare il senso etico dell’interagire con l’ambiente economico circostante, nel ri- spetto delle conoscenze fondamentali dei concetti di azienda, impresa, etica azien- dale e del lavoro. La Terza fase mette il giovane “in situazione” consentendogli di utilizzare gli apprendimenti teorici acquisiti in contesti formali, di dare spazio alla propria creatività scegliendo un modello di riferimento sul territorio e definendo la propria idea imprenditoriale (Business Idea), supportandola dalla necessaria analisi di fattibilità. Ad essa seguirà l’elaborazione del Business Plan. Concetti fondamen- tali di questa fase sono quelli di impresa tutor o madrina, mission aziendale, scelta della veste giuridica aziendale attraverso la quale esercitare l’attività d’impresa. La Quarta fase consente di diversificare ed approfondire la conoscenza del sistema economico territoriale nell’interazione con i soggetti, con l’elaborazione del Busi- 114 ness Plan, inteso come documento strutturato secondo uno schema preciso che sin- tetizza i contenuti e le caratteristiche del progetto imprenditoriale (Business Idea). Esso viene utilizzato sia per la pianificazione e la gestione dell’azienda, che per la comunicazione esterna verso potenziali finanziatori o investitori. La redazione del Business Plan è funzionale alla nascita di una nuova attività imprenditoriale e deve essere supportata da un’analisi di fattibilità in grado di fornire una serie di dati di natura economico-aziendale, sui quali tracciare linee guida per la costituzione del- l’attività. In questa fase il giovane si confronta con i concetti di formula imprendi- toriale, organizzazione gestionale, budget economico-finanziario e si esercita dap- prima a pianificare una singola attività e, successivamente, a programmare le fasi di sviluppo della stessa, insieme al gruppo-classe, apprendendo le tecniche di team working. La Quinta fase è relativa alla costituzione e start-up dell’impresa simulata nel rispetto della normativa vigente e con il supporto dell’infrastruttura digitale di simulazione disponibile sul territorio (SimuCenter), ovvero a livello nazionale. In questa fase viene redatto l’atto costitutivo e lo statuto, con la relativa documenta- zione a supporto della fase di start up ed il conseguente impianto contabile e ammi- nistrativo dell’azienda. La Sesta fase si riferisce alla gestione operativa dell’impresa formativa simu- lata, con particolare attenzione alla gestione produttiva e commerciale. La piatta- forma di simulazione ha il ruolo di supportare l’attività di e-commerce e consente la connessione e l’operatività tra le imprese formative simulate presenti nella rete territoriale o nazionale. Gli aspetti significativi di tale fase sono la produzione e il commercio dei prodotti simulati, l’istituzione del “negozio virtuale” inteso come vetrina di esposizione e vendita dei prodotti, gli adempimenti fiscali e contributivi, la gestione ed il controllo dell’operatività aziendale, la comunicazione aziendale, obbligatoria e facoltativa. Il percorso proposto coinvolge l’attività di tutto il Consi- glio di Classe e contribuisce a far acquisire a tutti gli studenti conoscenze teoriche e applicative, spendibili in vari contesti di vita, di studio e di lavoro, nonché abilità cognitive idonee per risolvere problemi, quali quelli di sapersi gestire autonoma- mente in ambiti caratterizzati da innovazioni continue e assumere progressiva- mente anche responsabilità per la valutazione e il miglioramento dei risultati da ot- tenere. Il percorso di alternanza scuola-lavoro in impresa formativa simulata non ri- chiede, anche se non esclude, il tirocinio presso aziende situate nel territorio. L’e- sperienza aziendale, infatti, viene praticata a scuola in laboratorio e riproduce tutti gli aspetti di un’azienda reale, con il tutoraggio dell’azienda madrina. Essa rappre- senta, quindi, un’opportunità per realizzare l’alternanza scuola lavoro, anche in quelle istituzioni scolastiche il cui territorio presenta un tessuto imprenditoriale poco sviluppato, ovvero caratterizzato da un ridotto numero di imprese, per lo più di dimensioni piccole e medie, che hanno difficoltà a ospitare studenti per lunghi periodi. È comunque importante un contatto continuo con l’azienda tutor; gli in- contri dei tutor aziendali con gli studenti e le visite degli studenti in azienda raffor- zano, infatti, il legame con la realtà. L’esperienza in impresa formativa simulata 115 permette allo studente l’acquisizione di tutte le competenze chiave europee, con particolare riferimento allo spirito di iniziativa e imprenditorialità, contribuendo inoltre all’educazione finanziaria dell’allievo. Nel dettaglio, le competenze rag- giungibili dagli studenti che partecipano ad esperienze di alternanza in impresa for- mativa simulata possono essere classificate in tre differenti categorie, declinabili in una griglia di valutazione, il cui modello è liberamente scelto dalla scuola: – Tec- nico-professionali, che trovano il coinvolgimento degli insegnamenti delle aree di indirizzo. – Trasversali, o comuni (soft-skills), molto richieste dalle imprese, afferi- scono l’area socioculturale, l’area organizzativa e l’area operativa, facendo acqui- sire all’allievo le capacità di lavorare in gruppo (teamworking), di leadership, di as- sumere responsabilità, di rispettare i tempi di consegna, di iniziativa, di delegare studiando meccanismi di controllo, di razionalizzare il lavoro, in modo da formarne una “personalità lavorativa”, pronta per l’inserimento in ambiente lavorativo; – Linguistiche, che trovano il pieno coinvolgimento delle discipline umanistiche, ri- guardando le abilità di comunicazione in funzione del contesto e dello scopo da raggiungere. È preferibile far iniziare l’esperienza agli alunni dalla classe terza, per osservare tutte le fasi di nascita e sviluppo dell’Impresa. A livello operativo, il diri- gente scolastico individua per ogni classe coinvolta un referente (tutor interno) che viene formato ad operare e interloquire con la Centrale di Simulazione (Simu- Center), costituita dalla piattaforma informatica di riferimento, gestita da un forni- tore di servizi informatici individuato dal Capo d’Istituto, secondo i principi del dlgs. 163/2006. Il tutor, in fase di programmazione dell’attività di impresa forma- tiva simulata, presenta ai docenti del Consiglio di classe le linee generali e le varie fasi del progetto. Il Consiglio di classe individua i tempi e i modi di realizzazione secondo gli schemi proposti e descritti nelle varie Unità di Apprendimento (UdA). Il dirigente scolastico, una volta individuato il SimuCenter cui fare riferimento, si accredita presso lo stesso, abilitando il tutor interno ad operare sulla piattaforma in- formatica del Simulatore. Le attività di alternanza svolte con la metodologia del- l’impresa formativa simulata sono sviluppate progressivamente nelle classi del se- condo biennio e dell’ultimo anno del percorso di studi, con una scansione tempo- rale che è sintetizzata nella griglia allegata alla presente Guida operativa. [...] 117 INDICE SOMMARIO .................................................................................................................................. 3 INTRODUZIONE ............................................................................................................................ 5 1. L’impresa formativa: elementi di analisi dello scenario italiano ed europeo.............. 9 1.1. Il fenomeno dei NEET ................................................................................................. 9 1.2. Principali linee di policy a livello europeo................................................................. 10 1.2.1. Il Programma Youth Guarantee ....................................................................... 10 1.2.2. L’Alliance for Apprenticeships........................................................................ 11 1.3. Studi di caso relativi all’impresa formativa/didattica in altri Paesi europei ............ 12 1.3.1. Belgio francofono (Région wallonne)............................................................. 13 1.3.1.1. Quadro legislativo e di policy ........................................................... 14 1.3.1.2. Modello formativo ............................................................................. 15 1.3.1.3. Governance e modello organizzativo-gestionale .............................. 17 1.3.1.4. Ambiente di apprendimento .............................................................. 20 1.3.2. Danimanrca ...................................................................................................... 22 1.3.2.1. Quadro legislativo e di policy ........................................................... 23 1.3.2.2. Modello fornativo .............................................................................. 25 1.3.2.3. Governance e modello organizzativo-gestionale .............................. 28 1.3.2.4. Ambiente di apprendimento .............................................................. 31 1.4. Elementi di convergenza e di differenziazione tra i casi esaminati ........................... 33 1.4.1. Elementi di convergenza.................................................................................. 33 1.4.1.1. Quadro legislativo e di policy ........................................................... 33 1.4.1.2. Modello formativo ............................................................................. 35 1.4.1.3. Governace e modello organizzativo-gestionale ................................ 36 1.4.1.4. Ambiente di apprendimento .............................................................. 37 1.4.2. Elementi di differenziazione............................................................................ 38 1.4.2.1. Quadro legislativo e di policy ........................................................... 38 1.4.2.2. Modello formativo ............................................................................. 38 118 2. Esperienze e buone pratiche di imprese formativa nella Formazione Professionale in Italia.......................................................................... 41 2.1. Criteri di scelta delle esperienze e de casi proposti ................................................... 41 2.2. Analisi dei casi............................................................................................................. 42 Caso 1 - Cometa formazione S.C.S ............................................................................ 42 Caso 2 - La piazza dei mestieri ................................................................................... 52 Caso 3 - Yges it ........................................................................................................... 56 Caso 4 - Ristorante didattico “Le Torri” - CEFAL..................................................... 60 Caso 5 - Lievito Madre (TN) ...................................................................................... 65 Esperienza 1 - CNOS-FAP Bra ................................................................................... 69 Esperienza 2 - CNOS-FAP Valdocco .......................................................................... 71 Esperienza 3 - CNOS-FAP Este .................................................................................. 72 2.3. Analisi comparata dei casi .......................................................................................... 74 2.3.1. Genesi e finalità prevalente del progetto......................................................... 74 2.3.2. Ruolo della normativa regionale ..................................................................... 75 2.3.3. Tipogia di attività sulla quale si attiva la formazione..................................... 76 2.3.4. Strategia e processo formativo ........................................................................ 76 2.3.5. Organizzazione processi gestionali ................................................................. 77 2.3.6. Criticità............................................................................................................. 78 2.4. Cosiderazioni si sintesi sulle pratiche analizzate ....................................................... 78 3. Modello Organizzativo di Funzionamento dell’impresa formativa ............................. 79 3.1. Lo schema di analisi .................................................................................................... 79 3.2. Elementi emergenti dalla letteratura europea e dallo studio dei casi italiani .......... 80 3.3. Verso un modello organizzativo coerente con l’implementazione organizzativa....... 82 3.3.1. Strategia organizzativa..................................................................................... 82 3.3.1.1. Strategie di rete .................................................................................. 83 3.3.2. Struttura e ruoli organizzativi .......................................................................... 85 3.3.2.1. L’organizzazione in rete..................................................................... 85 3.3.2.2. Presidi organizzativi e organismo di coordinamento........................ 86 3.3.2.3. Ruoli organizzativi............................................................................. 88 3.3.3. Processi ............................................................................................................ 89 3.4. Considerazioni di sintesi ............................................................................................. 90 4. Orientamenti sul modello organizzativo per l’implementazione dell’impresa formativa nella rete CNOS-FAP ................................................................ 93 4.1. Strategia Organizzativa ............................................................................................... 93 4.2. Struttura e Ruoli .......................................................................................................... 95 4.3. Processi ........................................................................................................................ 97 119 5. Aspetti giuridici e fiscali per l’avviamento di un’impresa formativa .......................... 99 5.1. Gli Accordi di rete tra istituzioni scolastiche e formative .......................................... 99 5.2. Contratto di rete d’impresa ......................................................................................... 100 5.1.1. Aspetti gestionali ............................................................................................. 102 5.3. La Cooperativa per la transizione scuola-lavoro (CPT)............................................ 103 5.3.1. Aspetti giuridici e organizzativi ...................................................................... 104 5.3.2. Possibili vantaggi ............................................................................................. 105 5.3.3. Aspetti gestionali ............................................................................................. 107 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ...................................................................................................... 109 APPENDICE .................................................................................................................................. 111 121 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. 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Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 124 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. 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Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 125 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preven- tivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei per- corsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 126 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Forma- zione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodo- logici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2015

Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
110
Codice: 
978-88-95640-89-1
Educazione ed inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP A cura di CNOS-FAP 2015 © 2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma Tel.: 06 5107751 - Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it Rapporto di ricerca curato da: Letizia Bertazzon, Maria Pia Favaretto, Davide Girardi, Mavi Lodoli, Paolo Tommasin (IUSVE), Giulia Carfagnini (CNOS-FAP) 3 Executive summary............................................................................................................................ 5 1. Percorso di ricerca e struttura del rapporto ...................................................................... 7 2. I processi d’inclusione nella IeFP: una rassegna bibliografica ................................... 9 2.1 Il concetto di “inclusione sociale”.................................................................................... 9 2.2 Le dimensioni dell’inclusione sociale analizzate........................................................ 10 3. Alla ricerca di pratiche significative...................................................................................... 33 3.1 Dalla ricerca desk .................................................................................................................. 33 3.2 Approfondimenti.................................................................................................................... 40 4. Sviluppo e consolidamento dei processi inclusivi: elementi per la stesura di linee guida.................................................................................... 47 4.1 Indicazioni e raccomandazioni di ordine generale ................................................... 48 4.2 Indicazioni e raccomandazioni per area tematica affrontata............................... 49 Allegati.................................................................................................................................................... 59 A) Esempi di schede operative per la rilevazione dei disturbi di attenzione e iperattività o impulsività ............................................................................ 59 B) Schema sinottico delle esperienze analizzate .................................................................... 62 Guida operativa................................................................................................................................... 73 Area politica.......................................................................................................................................... 77 Area pratica .......................................................................................................................................... 83 Area dei valori ..................................................................................................................................... 93 Approfondimenti................................................................................................................................. 99 Bibliografia ........................................................................................................................................... 101 Indice....................................................................................................................................................... 103 SOMMARIO 5 • Il concetto di inclusione che è dominante a livello internazionale, sostiene il diritto di ogni persona di essere parte della propria comunità sociale senza alcuna discriminazione ed in modo indipendente dalla propria specifica “condizione”. L’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) ha svolto e svolge un importante ruolo inclusivo e di integrazione, con diverse tipologie di giovani che – nel caso dei Centri di Formazione Professionale (CFP) della Federazione CNOS-FAP – si connota anche in relazione all’approccio “preventivo”, tipico della tradizione pedagogica salesiana. • Il rapporto analizza l’inclusione in sei macro-aree tematiche: 1) giovani di origine straniera; 2) giovani con problematiche di dipendenza; 3) percorsi di orientamento; 4) educazione interreligiosa; 5) drop out scolastico; 6) minorenni portatori di BES e DSA. • Attraverso l’analisi della letteratura e di alcune pratiche significative (una trentina) su queste aree tematiche, si è proceduto all’individuazione di raccomandazioni operative per sviluppare delle linee guide di intervento che favoriscano ulteriormente l’integrazione sociale. Particolare attenzione è data alla tematica della disabilità. • Nei percorsi di IeFP, la componente di origine straniera ha assunto negli anni una rilevanza numerica consistente; formazione dei formatori, lavoro di équipe tra più figure educative, coinvolgimento di tutti gli attori del territorio sono le principali indicazioni fornite dalla letteratura per favorire percorsi di inclusione e integrazione. • L’offerta destinata ai soggetti in situazioni di dipendenza appare, in questi anni, meno presidiata in termini specifici rispetto alle altre dimensioni (perlomeno sulla base dei materiali acquisiti). • L’importanza di disporre inoltre di efficaci percorsi di orientamento (in entrata e in uscita) appare sempre più cruciale per ridurre il mismatch crescente tra offerta e domanda occupazionale, e dunque come modalità per produrre integrazione sociale. • La crescente presenza degli studenti di origine straniera nel sistema scolastico italiano – ed in particolare nei percorsi di IeFP – ha rappresentato una sfida educativa stimolando una molteplicità di iniziative di risposta, ancorché non caratterizzate da organicità. L’educazione interreligiosa appare in questa prospettiva come una declinazione molto legata alle “pratiche interculturali”. Executive summary 6 • Nel nostro paese il fenomeno degli ELS (early school leavers) ha acquisito un carattere quasi strutturale (anche se con alcuni indicatori in miglioramento), che attiene in particolare ai percorsi di IeFP. Il “rischio abbandono” appare maggiore per gli studenti con cittadinanza straniera rispetto a quelli con cittadinanza italiana. • La ricerca ha approfondito in particolare il tema dei minorenni identificati come portatori di BES, di disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, ecc.) e in situazioni di svantaggio socio-economico, linguistico e culturale comprendenti anche tutte quelle situazioni dove è presente la non conoscenza sia della lingua che della cultura italiana da parte di alunni provenienti da culture diverse. • Accanto all’individuazione di alcune linee di intervento per singola area tematica, il rapporto propone anche alcune indicazioni e raccomandazioni di tipo istituzionale- organizzativo rivolte ai Centri e alla Federazione CNOS-FAP. 7 Il presente documento illustra i risultati emersi dal percorso di ricerca “Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP)”, condotto da un’équipe di ricercatori per conto della Federazione CNOS-FAP. Due sono gli obiettivi che hanno guidato questo percorso di indagine: 1) dare rappresentazione e valorizzare un patrimonio di pratiche inclusive nel campo della Formazione Professionale, disseminate in giro per l’Italia, ma forse ancora poco conosciute e “messe a sistema”; 2) provare a ricavare da queste pratiche elementi utili ad affrontare alcune sfide che incombono oggi sui Centri di Formazione Professionale (CFP), consentendo altresì di individuare criteri metodologici per nuove piste di intervento da proporre ai centri aderenti alla Federazione salesiana. Il percorso di ricerca si è articolato grosso modo in quattro fasi. Nella prima, attraverso un lavoro di desk, si è proceduto ad una ricognizione della letteratura, in particolare in lingua italiana, disponibile sull’argomento dell’inclusione e delle sue traduzioni empiriche nelle prassi poste in atto nell’ambito dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale. Sei sono state le dimensioni dell’inclusione approfondite nella ricognizione, dimensioni che hanno così definito il perimetro anche delle successive fasi di ricerca benché non si possono considerare mutualmente escludentesi, in quanto conservano ampi margini di sovrapposizione: 1) giovani di origine straniera; 2) giovani in condizione di dipendenza; 3) giovani portatori di BES e DSA; 4) interventi di contrasto all’abbandono scolastico e di recupero dei drop-out; 5) percorsi di orientamento, 6) educazione interreligiosa. Nella seconda fase un lavoro di scouting ha permesso l’individuazione di esperienze, progetti, iniziative attuate sul territorio nazionale dai Centri di Formazione Professionale del CNOS FAP e da altre agenzie che sono sembrate significative dal punto di vista delle dimensioni di analisi sopra specificate, e che dunque si collocano come esemplificazioni delle modalità di fare inclusione. Nella terza fase si è proceduto con un lavoro di campo, intervistando alcuni testimoni privilegiati e realizzando due focus group, uno a Roma e l’altro a Mestre. Questo momento ha permesso l’approfondimento di alcune questioni e allo stesso tempo di condividere alcune indicazioni operative. Nella quarta fase si è provveduto, a partire dal materiale secondario e di campo raccolto, ad individuare delle linee guida sulle modalità inclusive. 1. Percorso di ricerca e struttura del rapporto 8 Il rapporto di sintesi della ricerca è articolato in tre parti e include un allegato che raccoglie diversi documenti. Nella prima parte, si espongono i risultati della prima fase di ricerca ovvero proponendo una rassegna della letteratura teorico-metodologica in tema di pratiche inclusive nell’educazione e Formazione Professionale. La seconda parte, invece, è dedicata agli esiti dello scouting e dell’approfondimento effettuato con il lavoro di campo di alcune “prassi d’intervento significative”, realizzate dai Centri di Formazione Professionale salesiani e da altri enti esterni, in particolare sulle dimensioni di analisi individuate. Nella terza parte, infine, si raccolgono indicazioni e raccomandazioni finalizzate ad individuare nuove piste di intervento sul tema dell’inclusione per il CNOS-FAP. 9 2.1 Il concetto di “inclusione sociale” L’inclusione sociale indica il processo e gli interventi che allontanano dal - l’esclusione e che affrontano le problematiche che ne scaturiscono per promuovere l’integrazione degli individui nella società e riguarda in particolare il processo attraverso il quale ad ogni persona, secondo la propria esperienza e le circostanze, viene data la possibilità di sviluppare il proprio potenziale nella vita (Malizia, Tonini, Antonietti, 2007, p. 132). Secondo l’Unione Europea ed altri organismi internazionali (come l’OCSE), la definizione di inclusione comprende quella al/nel lavoro, nei percorsi educativi e nella vita sociale; per questo l’inclusione è collegabile sempre più all’esercizio della cittadinanza attiva. Fin dall’“Agenda di Lisbona 2000”, il programma europeo per l’inclusione sociale si è infatti basato su 3 tipi di finalità: – garantire a tutti l’accesso alle risorse di base, servizi sociali e diritti necessari per la partecipazione nella società e promuovere la partecipazione al mercato del lavoro; – combattere le forme estreme di esclusione e l’esclusione dei gruppi e individui più marginali; – coinvolgere nel processo di progettazione e realizzazione delle politiche tutti i livelli di governo e gli attori rilevanti. Si tratta di assunzioni confermate nella successiva Strategia di “Europa 2020” che prevede, tra gli altri, un piano di azione per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro, anche in funzione di ridurre la dispersione scolastica e formativa, e nuovi servizi per l’accesso alla casa e ai beni comuni del territorio. Tutto ciò implica una multidimensionalità del concetto di inclusione sociale. Esistono infatti diversi livelli di inclusione a partire dal ruolo svolto dalla famiglia, dalle istituzioni educative, dagli ambiti lavorativi, dagli Enti istituzionali, dai servizi, dalle associazioni, dal volontariato, dalle comunità di appartenenza. In Italia, gli ultimi Rapporti del CNEL hanno contribuito ad esempio a misurare il potenziale di integrazione che è proprio di ciascun territorio, ovvero quanto le precondizioni strutturali di un certo contesto siano più o meno favorevoli all’innescarsi e al buon esito dei processi di integrazione in loco. Esistono inoltre diversi target di intervento 2. I processi d’inclusione nella IeFP: una rassegna bibliografica 10 per l’inclusione: dalla marginalità sociale, alla nuova immigrazione, alle disabilità (ad esempio gli alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento - DSA - o con Bisogni Educativi Speciali - BES), ai NEET (Not in Education, Employment or Training). Educare, in questa prospettiva, diventa allora saper includere le diverse soggettività all’interno di una comunità condivisa e condivisibile, significa riconoscere tali soggettività come interlocutori personali, culturali, civili, politici, in senso pieno. Di qui la rilevanza di intervenire sia sull’educazione formale che in quella non formale, con la conseguente nuova importanza da attribuire agli spazi di aggregazione informali. Rispetto a tale scenario, la IeFP ha svolto e svolge un importante ruolo inclusivo e di integrazione, con diverse tipologie di giovani che – nel caso dei Centri di Formazione Professionale della Federazione CNOS-FAP – si connota anche in relazione all’approccio “preventivo”, tipico della tradizione pedagogica salesiana. Purtroppo però, il notevole patrimonio di pratiche educative “inclusive” sviluppato dalla Formazione Professionale non risulta oggetto di adeguata consapevolezza e valorizzazione da parte dell’opinione pubblica e delle politiche pubbliche. Nello stesso tempo la Formazione Professionale si trova oggi a dover affrontare sfide e fornire risposte sempre più impegnative sul terreno culturale, formativo ed organizzativo che richiedono ai CFP e ai formatori nuove sensibilità e competenze. In via preliminare, i processi di “inclusione sociale” esperiti nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale sono stati vagliati alla luce della letteratura prodotta dai tre principali riferimenti “istituzionali” sui temi oggetto di analisi: CNOSFAP, CEDEFOP ed ISFOL. Tale materiale è stato integrato da quello proveniente da altre fonti, che si è tuttavia rivelato secondario rispetto a quello rinvenuto focalizzando le fonti appena riprese. Principali aspetti di contesto emersi: – profondi cambiamenti dell’utenza dei CFP, con particolare riferimento ai Centri appartenenti alla Federazione CNOS-FAP; incremento della popolazione straniera nelle sue varie componenti (minori di seconda generazione, minori stranieri non accompagnati); – sviluppo di una normativa nazionale di supporto, accompagnata da leggi e policies regionali piuttosto diversificate; – diffusione di nuove definizioni e modelli di inclusione e integrazione di giovani svantaggiati e portatori di BES; – necessità di ridefinire profili e competenze dei formatori operanti in progetti di inclusione e di integrazione. 2.2 Le dimensioni dell’inclusione sociale analizzate Le informazioni raccolte sono state successivamente trattate e ordinate, individuando alcune macroaree intese come prossime (da un punto di vista semantico) alla macro-dimensione “inclusione sociale”. Queste le aree tematizzate: 11 1. giovani di origine straniera; 2. dipendenze; 3. percorsi di orientamento; 4. educazione interreligiosa; 5. drop out scolastico; 6. minorenni portatori di disabilità. 2.2.1 Giovani di origine straniera Nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, la componente di origine straniera ha assunto negli anni una rilevanza numerica molto ampia, configurando una sorta di segmentazione dei percorsi formativi. In ragione di ciò, è comprensibile la notevole attenzione rivolta dai soggetti d’Istruzione e Formazione Professionale al tema dei giovani di origine straniera: come si avrà modo di verificare più nello specifico di qui a breve, la letteratura e le pratiche argomentate nel seguito rinviano ai processi di orientamento scolastico, a quelli – collegati – di prevenzione e risposta ai fenomeni di drop out, a quelli di potenziamento delle risorse destinate ai processi di apprendimento della lingua italiana, senza dimenticare alcuni approfondimenti legati ai temi del dialogo interculturale. Prima di entrare nel merito, tuttavia, è necessario fare riferimento alle più ampie analisi che hanno riguardato lo specifico ruolo svolto dalle giovani generazioni di origine straniera nelle generali dinamiche migratorie che hanno interessato il nostro Paese (in particolare negli ultimi anni). Diversamente, infatti, non si comprenderebbe la necessaria attenzione rivolta dai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale alla componente giovanile di nazionalità non italiana, che non coincide per definizione con le “seconde generazioni” propriamente dette (persone nate in Italia) ma riguarda anche le persone ricongiunte in un secondo momento rispetto all’arrivo dei genitori o giunte contestualmente a questi ultimi. Non casualmente, già nel 2004 Ambrosini e Molina1 sottotitolarono una collettanea rivolta alle nuove generazioni dell’immigrazione “un’introduzione al futuro dell’immigrazione”, quasi evocando sinteticamente il “cambio di passo” che per il paese avrebbe significato il transito dall’immigrazione dei genitori a quella dei figli. Nel primo decennio del 2000, le indagini2 sulle giovani generazioni di origine straniera hanno individuato proprio nella scuola un ambito di primario interesse, per diversi ordini di ragioni. Innanzitutto, la scuola ha dovuto affrontare la presenza dei giovani di origine straniera in qualità di agenzia d’inserimento utile a garantire – nell’ordinamento ita- 1 AMBROSINI M., MOLINA S. (a cura di), Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli 2004. 2 BESOZZI E. e COLOMBO M. (a cura di), Percorsi dei giovani stranieri tra scuola e formazione professionale in Lombardia. Rapporto 2005, Milano, ISMU, 2006; BESOZZI E., COLOMBO M. e SANTAGATI M., Giovani stranieri, nuovi cittadini. Le strategie di una generazione ponte, Milano, FrancoAngeli, 2009; DALLA ZUANNA G., FARINA P. e STROZZA S., Nuovi italiani. I giovani immigrati cambieranno il nostro Paese?, Bologna, il Mulino, 2009. 12 liano – la concretizzazione di un diritto fondamentale come quello all’istruzione, indipendentemente dalla situazione di regolarità del frequentante. Nel farlo, sono stati innescati grandi processi di evoluzione istituzionale (non sistemica) per il tramite degli insegnanti, degli altri operatori scolastici coinvolti e di quelli chiamati a collaborare in rete con i primi e con i secondi. In merito, le ricerche hanno evidenziato il carattere spesso spontaneo delle iniziative avviate, ma anche la loro capacità proattiva di inclusione sociale e di creazione di condizioni fattive di partecipazione per i minori di origine straniera e per le stesse loro famiglie3. Lo studio delle “buone prassi” ha marcato le potenzialità insite nei territori di insediamento e le possibilità date dalle risorse di capitale sociale ancora vive nel nostro Paese, ma per differenza non ha mancato di testimoniare i nodi cruciali riflessi ancora oggi dalla loro non organica articolazione. Se la partecipazione intra-scolastica è irrinunciabile, infatti, è nondimeno opportuno considerare come l’effettività garantita dai percorsi scolastici in termini di partecipazione al mercato del lavoro si sia costituita e tuttora si costituisca come una criticità da presidiare sistematicamente, cui i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale continuano a fornire una risposta di rilievo. La questione di prim’ordine emersa fin dai primi anni di presenza dei giovani di origine straniera nella scuola italiana e poi sviluppatasi con il consolidarsi di quest’ultima, infatti, richiama le traiettorie di mobilità sociale possibili ai discendenti di migranti: in che modo evitare la segmentazione del percorso formativo? Come plasmare delle efficaci dinamiche di orientamento che sfuggano la riproduzione dello stigma, facendo dell’Istruzione e della Formazione Professionale una sorta di percorso obbligato per i giovani di origine straniera? In quale modo qualificare quest’ultima illuminando al contrario le peculiarità inclusive che essa rappresenta? Non c’è dubbio, in proposito, che per dinamiche endogene ed esogene al contesto scolastico, proprio l’Istruzione e la Formazione Professionale siano divenute nelle retoriche di senso comune una sorta di “area della marginalità” chiamata a rispondere, sola, a processi sistemici di natura complessa. Se i dati del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2015) sono concordi nel restituire numeri che raccontano di una segmentazione dei percorsi formativi certamente evidente, l’Istruzione e la Formazione Professionale hanno nel tempo sviluppato percorsi inclusivi di cui si discuterà sinteticamente in questa sede. Non solo per motivazioni interne ai percorsi formativi, l’Istruzione e la Formazione Professionale si sono caratterizzate per la predetta specificità, ma anche – in misura paritaria – a causa di insufficienti processi istituzionali (nazionali e locali) di risposta alle necessità della famiglie di origine; per una consapevolezza non diffusa tra i docenti, di frequente suffragati dalle avanguardie auto-formatesi in qualità di referenti interculturali; per le caratteristiche di un mercato del lavoro ancora ad alta intensità suscettibile 3 GIOVANNINI G. e QUEIROLO PALMAS L. (a cura di), Una scuola in comune. Esperienze scolastiche in contesti multietnici italiani, Torino, Edizioni della Fondazione Agnelli, 2002. 13 di ricreare dinamiche di integrazione subalterna dei genitori, con ricadute consistenti sulle dinamiche di partecipazione dei figli. In un simile contesto, l’Istruzione e la Formazione Professionale hanno ricoperto un ruolo suppletivo, scardinando non raramente l’immagine prevalente (quella di locus dell’esclusione). Un recente approfondimento dell’ISFOL (2014), da questo punto di vista, riprende la multidimensionalità dei processi implicati dalla partecipazione scolastica dei giovani di origine straniera, considerando quest’ultima ma, senza soluzione di continuità, anche le dimensioni dell’occupabilità e della cittadinanza attiva. La ricerca si segnala come contributo originale, richiamando correttamente la scarsa attenzione rivolta dalla ricerca sociologica, che ha riguardato: «Per lo più e in modo crescente il tema dell’inserimento degli alunni stranieri nel sistema scolastico, di pari passo con l’incremento della loro presenza nelle nostre scuole di vario ordine e grado. Per contro, ancora molto esigua resta l’attenzione del mondo della ricerca sul segmento della formazione professionale, a fronte di dati che evidenziano come quest’ultima sia sempre più spesso oggetto di scelta, più o meno obbligata, da parte delle seconde generazioni» (p. 3). L’indagine intendeva esplorare in particolare le seguenti dimensioni: le caratteristiche dell’offerta formativa, i processi assunti dalla partecipazione dei giovani, il ruolo svolto dai servizi di accompagnamento, le istanze emergenti dai giovani stessi e l’apporto fornito alle traiettorie di transizione alla vita adulta. I risultati emersi si pongono nel fuoco delle questioni affrontate nella prima parte. Pur nella considerazione delle difficoltà entro cui le diverse agenzie formative si trovano ad operare, la Formazione Professionale pare qualificarsi per alcuni elementi quali: laboratoralità, tutorato, personalizzazione dei percorsi. Di più: l’approfondimento rileva come simili strumenti contribuiscano a incrementare l’autostima degli studenti, riorientandoli in alcuni caso verso percorsi di più lungo periodo. La Formazione Professionale, allora, non è seconda chance, quasi ancillare, ma canale importante d’inclusione altrimenti più ardua. Tra le pratiche più innovative, la ricerca richiama la già citata personalizzazione dei percorsi, ma anche il sostegno emotivo offerto ai ragazzi, l’accoglienza attivata a partire dai servizi di front office e lo stage formativo. Di “buone prassi” finalizzate all’inclusione delle persone di origine straniera per il tramite della Formazione Professionale si erano già occupate, alcuni anni prima, la Federazione CNOS-FAP, il Ministero della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali e CIOFS/FP (CNOS-FAP, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, CIOFS/FP, 2008). L’obiettivo dell’indagine condotta, di natura quali-quantitativa, consisteva nel «Predisporre una specie di “cassetta degli attrezzi”, che possa servire a chi lavora in questo settore lungo il processo di accoglienza, formazione e integrazione di allievi immigrati ai fini di un loro inserimento/integrazione nella vita sociale e attiva» (p. 3). In ragione degli obiettivi del presente scritto, appare di specifico rilievo l’insieme delle: «Linee guida sulla cui base poter realizzare poi modelli di intervento e/o progetti formativi a favore di adolescenti giovani di origine migratoria » (p. 122, 123). Trasversalmente alle considerazioni di dettaglio, proprio la straeducazione_ 14 tegia e la necessità di formazione continua del personale coinvolto si confermano i pilastri sui quali dovrebbe poggiare l’intervento. A partire dalla fase preliminare il report indica la necessità di analizzare e contestualizzare il fenomeno, con specifica attenzione a: problemi da affrontare, popolazione d’interesse e fattori da considerare a livello formativo, psicologico, socio-relazionale, d’integrazione nella più ampia comunità locale, occupazionale e sanitaria. La fase di mappatura andrebbe poi seguita dalla “disponibilità di risorsa-uomo adeguatamente formata”. Nelle parole degli estensori dello scritto: «Per uscire da interventi approssimativi e superficiali a favore di utenti dei sistemi formativi già di per sé in stato di debolezza sociale e/o, nel caso di immigrati, portatori di “diversità” varie in seno alla comunità educativa, la promozione di strategie sottese ad un modello sistemico d’intervento non potrà realizzarsi se non passando attraverso l’investimento anzitutto in attività di formazione- dei-formatori, secondo la logica della strategia formativa per “effetto moltiplicatore”. Tale attività, finalizzata alla riqualificazione della struttura formativa grazie all’ottimizzazione delle proprie risorse, oggi più che mai si configura come un lavoro di équipe che comporta la presenza di più figure abilitate all’interazione e alla collaborazione di gruppo nell’espletare un servizio che richiede adeguate competenze nello svolgimento di quelle funzioni attraverso cui si intende rispondere ad un ventaglio sempre più differenziato di attese» (p. 124). Nelle considerazioni svolte, è evidente il richiamo al superamento di una prospettiva di risposta on demand, venuta a concretarsi soprattutto nei primi anni di presenza delle persone di origine straniera nel sistema scolastico. In questa prospettiva, l’intervento dovrebbe contare su personale con formazione apposita, formazione mirata (a carico dell’ente) da offrire in ingresso, presenza di “metacompetenze” (“vocazione ad educare, a “stare con” e no “per”; p. 124), criteri per la selezione degli operatori e processi di formazione continua. Un tale dispiegarsi di “risorse sistemiche” dovrebbe condurre alla messa in atto di interventi formativi personalizzati a favore degli studenti, che riposino sulla possibilità di pensare a risposte semplicistiche e, per ciò stesso, non inclusive. Simile percorso multidisciplinare dovrebbe poi trovare un complemento necessario nella fase di valutazione e diffusione dei risultati (p. 137). L’inclusione delle persone di origine straniera e dei loro figli è al centro dell’attenzione di analisi che travalicano la dimensione nazionale, come quella svolta di recente dal CEDEFOP (2014): in questo caso il focus è orientato alla specifica dimensione dell’integrazione delle persone di origine straniera nel mercato del lavoro, che nondimeno implica necessariamente un’attenzione “intergenerazionale”; come detto, un mercato del lavoro dai tratti meno segmentati – in particolare per l’Italia – sarà il vero banco di prova delle capacità inclusive delle società occidentali mature, che si collocano in una situazione molto delicata: sospese tra una crescita economica dai caratteri progressivamente jobless e le nuove istanze dei giovani di origine straniera, cui prospettare percorsi di mobilità sociale verticale resi difficili dalla recente, tuttora non strutturalmente scalfita, critica congiuntura economica. Sebbene le raccomandazioni contenute nel lavoro testé citato possiedano delle 15 ricadute indirette sulla partecipazione dei giovani di origine straniera, i key messages in esso ripresi contengono alcune riflessioni degne di nota: tra i key messages at system level, ad esempio, appaiono importanti ai nostri fini i richiami alla cooperazione, al coordinamento e alla fissazione di comuni obiettivi tra i diversi livelli della pubblica amministrazione; alla cooperazione con i partner economico-sociali e al coinvolgimento degli attori di rappresentanza delle persone di origine straniera sul territorio. Tra i key messages at organisation and delivery level, invece, è essenziale citare la necessità di informare gli immigrati e le imprese sugli strumenti messi a disposizione a livello nazionale ed europeo e, soprattutto, rendere mainstream le pratiche innovative. Come risulta evidente da quanto detto, la creazione di un frame facilitante punta ad evitare gli interventi sporadici che anche le altre fonti valutate in precedenza si premuravano di interpretare in termini critici, segnatamente in un paese come l’Italia, noto in letteratura per il proprio modello “implicito” di integrazione (Ambrosini, 2001) e per il ruolo di “supplenza” svolto dagli attori della società civile. Sui temi delle risposte date ai giovani di origine straniera nell’ambito dell’Istruzione e della Formazione Professionale, è utile ricordare i contributi che – al di fuori degli attori istituzionali direttamente coinvolti in essa – hanno tuttavia visto approfondimenti di letteratura degni di nota; tra questi, particolare rilievo assumono quelli svolti nel contesto lombardo (cfr. ad esempio Besozzi e Colombo, 2006). 2.2.2 Le dipendenze L’offerta destinata ai soggetti in situazioni di dipendenza appare meno presidiata in termini specifici rispetto alle altre dimensioni (perlomeno sulla base dei materiali acquisiti). Più in generale, i percorsi di formazione e riqualificazione professionale e quelli di tutorship, i percorsi di orientamento e quelli di collegamento dei profili formativi rispetto alle esigenze delle aziende operanti sui territori di riferimento con queste diverse modalità, assumono la veste di un’operazione sistematica di abbattimento dei meccanismi di riproduzione della disuguaglianza derivanti dall’attribuzione di specifici stigma (CNOS-FAP, 2006). 2.2.3 Percorsi di orientamento Sulla base della letteratura acquisita, è possibile fare riferimento a quei percorsi di orientamento (posti in atto dai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale) che riguardano l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, la maturazione della capacità e delle attitudini personali, l’empowerment. I percorsi di orientamento si rivolgono sia ai soggetti ancora in fase formativa, sia ai soggetti che necessitano di riqualificazione utile ad un reimpiego nel mercato del lavoro. Trasversalmente ai diversi percorsi, l’obiettivo è la riqualificazione e l’aggiornamento delle competenze in modo funzionale alla riduzione o al controllo delle condizioni facilitanti le situazioni di vulnerabilità. 16 I percorsi di orientamento, infatti, sono strettamente legati alle caratteristiche che negli ultimi anni ha assunto il mercato del lavoro europeo e, in particolare, quello italiano. La possibilità di un incontro fisiologico tra la domanda e l’offerta di lavoro si è fatta progressivamente meno scontata, creando così i presupposti per una riflessione sulla valorizzazione delle competenze ai fini di un loro impiego effettivo nel mercato del lavoro. In un approfondimento curato dal CEDEFOP (2009) in merito al fenomeno dello skill mismatch, si osserva come quest’ultimo sia multidimensionale e non facilmente definibile in modo univoco. Facendo riferimento alla letteratura internazionale, si individuano delle tipologie di skill gap: – le qualifiche sono inadeguate rispetto alle richieste di lavoro (overqualification/ underqualification e overeducation/undereducation); – le occupazioni offerte possiedono dei profili inadeguati rispetto ai contenuti della formazione erogata; – c’è disoccupazione (registrata, nascosta, o tale da configurarsi come una quantità di lavoro inferiore rispetto a quanto richiesto); – la mancanza o la sovrarappresentazione dei lavoratori riguardano particolari competenze o lavori. In proposito, CEDEFOP individua quattro research topics: l’individuazione di efficaci strumenti di misurazione delle competenze e dei processi di skill mismatch; l’analisi del carattere strutturale delle dinamiche di skill mismatch e del loro impatto; l’avvio di processi di comprensione del fenomeno in oggetto, delle sue dinamiche e delle sue conseguenze; la focalizzazione sui gruppi vulnerabili. Di particolare interesse ai fini della riflessione svolta sin qui appare il focus sulle fasce di popolazione potenzialmente più vulnerabili. Come riconoscono gli autori, sebbene i processi di skill mismatch siano dinamici e possiedano delle ricadute sull’intera popolazione, in una prospettiva di policy è rilevante avere una chiara idea di quali siano i gruppi che ne vengono maggiormente colpiti. Una prima area di attenzione, in tal senso, è quella costituita dai giovani che effettuano il loro ingresso nel mercato del lavoro, tuttora una criticità core considerando l’attuale assetto del mercato del lavoro italiano. In questo caso, l’analisi verte principalmente sulle evidenze di overeducation e sugli effetti di lungo termine. Non meno rilevante appare la focalizzazione della ricerca sui lavoratori di età avanzata. Nella prospettiva del gap di competenze, in questo caso esso assume le vesti della vulnerabilità legata all’obsolescenza tecnica, essendo questi lavoratori impiegati molto spesso in lavori scarsamente qualificati. Le ricerche effettuate mostrano come l’età sia rilevante tanto ai fini della technical obsolescence quanto in relazione alla economic obsolescence; se la prima è definita come la capacità di applicare la conoscenza e le tecniche acquisite, la seconda riguarda invece più generalmente l’invecchiamento del capitale umano. In termini di prospettive, indicazioni incoraggianti derivano dalla constatazione per cui i processi di apprendimento di lavoratori che invecchiano non appaiono direttamente dipendenti dall’età. In particoeducazione_ 17 lare, se con l’età diminuisce la velocità di apprendimento, essa viene compensata dal forte elemento motivazionale, dalle associative skills e dalle capacità di problem solving legate all’esperienza. Per quel che riguarda la popolazione di origine straniera, la ricerca si concentra soprattutto sui rischi di “intrappolamento” in lavori scarsamente qualificati e su quelli legati alla disoccupazione. In questa prospettiva, la mancanza di trasparenza informativa e l’insufficiente riconoscimento dei titoli di studio, le difficoltà linguistiche e la scarsa esperienza di lavoro nella società di accoglienza costituiscono un insieme di vulnus di particolare rilevanza. I fenomeni, poi, non sono legati esclusivamente ad elementi soggettivi che riguardano le persone di origine straniera, ma anche ai fenomeni di discriminazione e di “etichettamento”. Sebbene il riferimento sia alle non native population, le riflessioni svolte in precedenza sui giovani di origine straniera – che riguardano in misura peculiare l’Istruzione e la Formazione Professionale – testimoniano lucidamente come la scarsa attenzione nei confronti dei padri e delle loro effettive possibilità di partecipazione possieda delle ricadute intergenerazionali, tali da riprodurre le disuguaglianze di partenza e da accentuarne il carattere strutturale. Rispetto alle argomentazioni riprese dall’approfondimento del CEDEFOP, infatti, gli ultimi anni hanno mostrato una caduta del potenziale attrattivo del nostro Paese nei confronti delle persone di origine straniera, ma non hanno in alcun modo indebolito il carattere strutturale che i processi migratori hanno nel frattempo assunto: un nato ogni cinque, nel Nord Est, è figlio di genitori stranieri 4 e, come detto, i giovani di origine straniera che frequentano le aule scolastiche italiane (Azzolini, Cvajner e Santero, 2013, pp. 251-276) possiedono delle aspettative ben diverse rispetto a quelle sviluppate nell’ambito del progetto migratorio dei genitori, maggiormente legato ad una dimensione di breve periodo poco acconcia a rappresentare le aspettative di giovani nati nel nostro Paese o giunti nei primi anni di vita a seguito dei processi di ricongiungimento effettuati dai genitori. Per queste ragioni, i processi di inclusione nei confronti dei “padri” sono direttamente influenti sui percorsi di partecipazione dei figli. Della “questione intergenerazionale” – che per le ragioni richiamate riguarda da vicino l’Istruzione e la Formazione Professionale – tratta un altro approfondimento curato da CEDEFOP (2011a), nel dispiegarsi ampio degli effetti della crisi che ha coinvolto lo scenario europeo negli ultimi anni e, per ciò stesso, meritevole di attenzione. Di qui si prenderanno in considerazione nel dettaglio le altre due aree citate poco sopra: quella dei giovani che effettuano il loro ingresso nel mondo del lavoro e quella delle persone di età più avanzata che si trovano nella necessità di una riqualificazione delle competenze. Tornando al tema delle persone di origine straniera e, soprattutto, alle traiettorie possibili ai loro figli, l’analisi svolta da CEDEFOP nel 2011 evidenzia dei bisogni di “orientamento” in termini ampi, da non intendersi, quindi, esclusivamente come 4 Per approfondimenti si rinvia a: www.istat.it. 18 un insieme di “tecniche” da utilizzarsi per favorire il migliore incontro tra domanda ed offerta di lavoro, ma come l’insieme di precondizioni di base tali da favorire migliori processi di inclusione via partecipazione al mercato del lavoro. In termini di policy – annotano gli autori – ciò equivale a creare le condizioni affinché le migrazioni dagli Stati non membri UE siano rappresentate in termini maggiormente positivi; sia attivato un percorso per individuare standard complessivi di riconoscimento dei titoli di studio ottenuti all’estero e, in particolare, per quelli ottenuti al di fuori dell’Unione Europea; nelle più generali dinamiche di accesso al mercato del lavoro, sia potenziato e valorizzato il ruolo dei centri per l’impiego, soprattutto nel provvedere i soggetti delle informazioni e delle indicazioni utili a candidarsi per le diverse posizioni lavorative; non secondariamente, sul versante dell’offerta di lavoro è opportuno favorire l’empowerment dei soggetti da parte dei datori di lavoro, poiché una maggiore autonomia è associata ad una probabilità più bassa di overeducation. Quantunque il tema della partecipazione al mercato del lavoro delle persone di origine straniera e, ancor più, dei loro figli sia una questione centrale e su quest’ultimo versante debba misurarsi l’efficacia concreta dei percorsi di orientamento, negli ultimi anni è venuta a configurarsi una più generale urgenza relativa alla partecipazione al mercato del lavoro delle persone più giovani. Il tema è complesso e non affrontabile estesamente in questa sede, perché coinvolge dimensioni tanto sul versante dell’offerta di lavoro quanto su quello della domanda. Prima di prestare attenzione a quest’ultima, che più da vicino riguarda l’istruzione e la Formazione Professionale, è altresì necessario ricordare come il restringimento della base occupazionale avvenuto negli ultimi anni in Italia abbia fattualmente pregiudicato opportunità estensive di partecipazione al mercato del lavoro da parte delle coorti più giovani, che effettuano il loro ingresso nella vita adulta in un momento molto meno affluente di quello che sperimentarono le coorti che li hanno preceduti. Come hanno evidenziato approfondimenti mirati, la distanza intergenerazionale (misurando per coorti) non va considerata nei termini del benessere materiale complessivamente fruibile, ma di chances delle coorti più recenti di sperimentare un miglioramento delle opportunità di essere socialmente mobili (in ottica intergenerazionale ascendente) rispetto ai genitori. Proprio da questo punto di vista e in riferimento al nostro Paese, Schizzerotto, Trivellato e Sartor (Schizzerotto, Trivellato e Sartor, 2011, pp. 19-68) evidenziano come le attuali coorti dei giovani italiani siano quelle che – per la prima volta – si trovano nelle condizioni di sperimentare traiettorie di mobilità sociale (potenziale) peggiori rispetto a quelle esperite dai genitori. Sebbene molta parte delle riflessioni su questi temi coinvolga il “capitale umano” maggiormente qualificato in possesso di istruzione terziaria – perché definito la leva autenticamente strategica per un miglioramento a lungo termine delle condizioni di competitività del sistema economico – riguarda invece da vicino anche l’Istruzione e la Formazione Professionale, in un mercato del lavoro (come quello italiano) caratterizzato prevalentemente da profili di media qualificazione e da un ruolo forte delle conoscenze artigianali. In merito, sembra allora interessante ripreneducazione_ 19 dere quanto emerso nell’ambito dello studio Empowering the young of Europe to meet labour market challenges (CEDEFOP, 2011b): veniva evidenziata – per quel che concerne il contesto nazionale – la dinamica di alternanza scuola – lavoro quale strumento peculiarmente efficace per migliorare il link tra scuola e mondo del lavoro. Va peraltro evidenziato come, già nell’anno precedente a quello che conven - zionalmente sancisce l’inizio della “crisi” (il 2008), una ricerca CNOS-FAP e CIOFS/FP (CNOS-FAP, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, CIOFS/FP, 2007) avesse focalizzato il tema dell’attrattività dei percorsi professionalizzanti da parte dei più giovani, indicandolo come un “gap da colmare”. Nel rapporto finale a cura di Claudia Donati e Luigi Bellesi, emergevano alcuni “nodi critici” a corredo della ricerca effettuata sul tema: in primo luogo, la necessità di interrogarsi sulla complessiva articolazione del sistema formativo in merito alle aspettative degli studenti e delle loro famiglie; successivamente, la possibilità di affidarsi a metodologie di apprendimento almeno parzialmente diverse da quelle scolastiche (con più alto potenziale di attrattività nei confronti degli studenti); non da ultimo, il rafforzamento del ruolo svolto dai servizi di orientamento per fare chiarezza sulle diverse possibilità offerte dal sistema formativo, proprio in relazione ai bisogni delle famiglie e degli studenti. Più in generale, la questione della “cultura tecnica”, del suo ruolo e della sua percezione non sono venuti meno quale issue tuttora rilevante. In un contributo molto recente (Finotto, 2015) sulla formazione professionale, appare perspicua la persistenza delle criticità che la ricerca CNOS-FAP aveva evidenziato sette anni fa. Con le parole di Finotto: «La formazione tecnico-professionale, per molto tempo, è stata una componente marginale e poco considerata del sistema dell’educazione, in Italia come all’estero. Il deficit di immagine di questi studi, la percezione che fossero scuole legate ad un mondo che non c’è più – quello dell’industria manifatturiera di un tempo – e l’illusione che la nuova economia della conoscenza premiasse studenti iperspecializzati in una disciplina, hanno determinato il primato, quantomeno nell’immaginario degli italiani, della formazione “accademica” (licei e università). Ciò nonostante [...] la formazione tecnico-professionale è tutt’altro che un sistema di serie B in alcuni Paesi. Anche in Italia [...] la formazione tecnico-professionale sta cambiando. [...] In questo senso il sistema della formazione tecnico-professionale è il luogo principe nel quale la formazione per competenze (competency-based learning) può avvenire grazie all’enfasi sulla pratica come innesco dell’apprendimento, alla centralità dei laboratori e alla sua naturale apertura alle imprese e al mondo. La scommessa, per il nostro Paese, è quella di ripartire dalla formazione tecnico-professionale per rilanciare i saperi e la cultura tecnico scientifica, fondamentale per il recupero di competitività e innovazione delle imprese italiane» (pp. 89-90). L’ultima annotazione ripresa da Finotto risulta utile per introdurre alcune le note conclusive di questa sezione, dedicate alla formazione delle coorti più avanzate e alla riqualificazione della forza lavoro più matura. Come avverte CEDEFOP in una nota informativa risalente al 2008 (Cedefop, 2008), infatti: «Un numero inferiore di 20 soggetti con qualifiche IeFP che entrano nel mercato del lavoro (possono) avere gravi implicazioni per l’offerta di lavoro specializzato. [...] L’invecchiamento della popolazione europea fa sì che ci si debba avvalere del potenziale occupazionale delle persone nell’arco della loro intera esistenza, migliorando la qualità del lavoro, investendo nel capitale umano, nelle pari opportunità e modernizzando i sistemi di protezione sociale» (p. 4). Tra le buone prassi, viene sottolineato il ruolo cruciale svolto dai servizi di orientamento, non solo nel momento di scelta del percorso formativo da parte dei giovani, ma anche nel reindirizzamento e nei percorsi di riqualificazione delle fasce di lavoratori più anziani. In proposito, a fine 2013 CEDEFOP (2013a) evidenziava “i vantaggi di investire in una forza lavoro che invecchia”, anche se questo riguarda certo la formazione professionale come attore importante, ma soprattutto le imprese e la loro capacità di formare continuativamente i propri addetti, nella consapevolezza che: «Entro il 2060, nell’Unione Europea ci saranno solo due persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni persona di età superiore ai 65 anni, un rapporto che oggi è di quattro a uno. [...] Molti lavoratori della generazione del boom demografico, nati negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso andranno in pensione nel corso dei prossimi dieci o vent’anni e dovranno essere sostituiti, in gran parte, da persone già attive nel mercato del lavoro» (p. 1). 2.2.4 L’educazione interreligiosa Negli ultimi anni, la crescente presenza degli studenti di origine straniera nel sistema scolastico italiano – che ha trovato un’accentuazione molto consistente nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale – ha stimolato una molteplicità di iniziative di risposta, ancorché non caratterizzate da organicità. Nell’ambito della ricerca, il focus non è stato rivolto ai temi generici dell’interculturalità ma a quelli più specifici del dialogo interreligioso (anche se non separabile dal primo): sulla scorta del materiale reperito, i percorsi sono stati pensati soprattutto in relazione alla storia delle religioni, all’approfondimento dei diversi universi religiosi con l’ausilio di tecniche audio e video, alla ricostruzione della storia delle tradizioni religiose dei paesi di provenienza degli studenti. Come rilevato in precedenza, proprio gli studenti di origine straniera appaiono anche da questa prospettiva la sfida forse più importante che – negli ultimi anni – l’istruzione e la Formazione Professionale hanno dovuto affrontare, non solo in virtù della presenza numerica, ma anche in ragione delle implicazioni di lungo periodo che ciò ha comportato. Tra queste, l’apertura fattiva alla pluralità culturale veicolata dai fenomeni migratori occupa certamente una posizione di primo piano e chiama tuttora le istituzioni scolastiche ad attivare dei percorsi di riconoscimento non scontati. Certamente, questa necessità s’inserisce in un quadro ben presidiato a livello europeo e, più generalmente, internazionale. Per averne conferma, è sufficiente considerare come anche di recente le istituzioni europee abbiano dato spazio al dibattito sul tema in esame – segnatamente, quello del dialogo interreligioso – senza dimenticare che l’articolo 17 del trattato di 21 Lisbona è pertinente a queste tematiche (European Parliamentary Research Service, 2015); proprio nel 2013, inoltre, la Commissione europea ha sviluppato le sue linee guida per l’attuazione del dialogo secondo i principi contenuti nell’articolo succitato. Un documento fondante, altresì, è certamente dato dal “Libro bianco sul dialogo interculturale” (Council of Europe, 2008), adottato il 7 maggio del 2008 dai Ministri degli Affari Esteri del Consiglio d’Europa. Il dialogo interculturale: «Indica un processo di scambio di vedute aperto e rispettoso tra persone di origini e tradizioni etniche, culturali, religiose e linguistiche diverse, in uno spirito di comprensione e di rispetto reciproci» (p. 17). In questo ambito, il dialogo religioso attribuisce a quelle che vengono definite “comunità religiose” un ruolo importante, ma è propriamente nell’ambito educativo che il dialogo interreligioso – come declinazione precipua del più ampio dialogo interculturale – assume una priorità specifica, che vale la pena evidenziare estesamente. In primo luogo, le competenze interculturali non sono una pre-condizione data per acquisita. Diversamente: «È necessario acquisirle, praticarle e alimentarle nel corso di tutta la vita. Le autorità pubbliche, i professionisti del settore dell’in segnamento, le organizzazioni della società civile, le comunità religiose, i mezzi di informazione e tutti gli altri operatori del settore educativo [...] svolgono un ruolo decisivo nel perseguire gli obiettivi e i valori fondamentali difesi dal Consiglio d’Europa [...]» (p. 30). Per quel che riguarda l’insegnamento primario e secondario, poi, si sottolinea come: «Nel programma di studi tutte le materie presentano una dimensione interculturale. La storia, le lingue, l’insegnamento di fatti religiosi e relativi a convinzioni sono forse tra le materie più coinvolte» (p. 32). Tra gli orientamenti di azione politica che dovrebbero essere promossi per favorire il dialogo interculturale e, in esso, quello interreligioso, possono essere ricordati: la necessità di rispondere in modo concertato alla diversità culturale, quella di lasciare spazio alla cittadinanza democratica e alla partecipazione; non da ultimo, l’obiettivo di apprendere e insegnare le competenze interculturali, attraverso acquisizioni e pratiche che devono accompagnare tutto il corso della vita di una persona. Come ricorda un documento della Congregazione per l’educazione cattolica del 2010 (Conferenza Episcopale Italiana, 2010), un altro importante riferimento sui temi del dialogo interreligioso è quello curato dall’Unesco con il “Rapporto Delors” (1996) dal titolo “Nell’educazione un tesoro”. Nella prospettiva adottata dal do - cumento: «L’educazione deve offrire simultaneamente le mappe di un mondo complesso in perenne agitazione e le bussole che consentano agli individui di trovare la propria rotta. Per riuscire nei suoi compiti, l’educazione deve essere organizzata attorno ad alcuni tipi fondamentali di apprendimento che, nel corso della vita di un individuo, saranno in un certo senso i ‘pilastri’ della conoscenza» (p. 3). Se dal piano dei principi ci spostiamo a quello delle pratiche, è possibile osservare come gli aspetti didattici dei contenuti religiosi siano legati ad una pluralità di modelli d’insegnamento della religione a scuola che rendono per ciò stesso plurali le vie del dialogo interreligioso. 22 Nel contesto europeo, afferma Pajer (Pajer, 2010, pp. 449-478), le basi dell’insegnamento religioso nei diversi Stati dell’Unione sono diversificate, potendo essere ricondotte a tre diversi fonti. Innanzitutto, la legislazione nazionale. Gli esempi citati in merito sono quelli dell’Inghilterra, del Belgio e della Germania, nei quali le caratteristiche più frequenti dei corsi di religione sono le seguenti: il carattere pienamente curricolare dell’istruzione religiosa, integrata nel tempo scolastico comune, dotata di programmi specifici e sottoposta a valutazione; un approccio al dato religioso che evita il coinvolgimento personale dell’alunno, ma non per questo ostacola la focalizzazione dell’insegnamento- apprendimento intorno alla religione o confessione storica prevalente nel proprio ambiente familiare e sociale; una figura professionalizzata di insegnante di religione, capace di trattare la materia con criteri scientifici; la formazione dell’insegnante garantita in istituzioni accademiche statali. Una seconda modalità regolativa dell’insegnamento scolastico della religione è centrata sui concordati stipulati dai diversi Stati con la Chiesa, in particolare da quelli a maggioranza cattolica. Le caratteristiche dei sistemi concordatari – tra i quali annoveriamo il nostro Paese – rinviano alla libertà di scelta riconosciuta ai genitori o agli alunni stessi all’età in cui iniziano la scuola secondaria; al diritto di dispensa dal corso di religione, optando per un’altra materia; all’equiparazione delle lezioni di religione alle altre materie; al riconoscimento della competenza delle Chiese per quanto concerne il reclutamento, la formazione e la designazione degli insegnanti, nonché la definizione dei contenuti disciplinari della materia e il controllo sui libri di testo; infine, all’attivazione di meccanismi di collaborazione tra autorità pubbliche ed ecclesiastiche in ambiti diversi, come quello della formazione del corpo docente, della sperimentazione di nuovi percorsi di insegnamento e della revoca del mandato ad insegnanti che, per ragioni diverse, dovessero perdere l’idoneità all’insegnamento. Una terza modalità regolativa è quella della esclusione dell’insegnamento religioso dai percorsi scolastici, sulla base della separazione tra lo Stato e la Chiesa; il riferimento più noto di questa terza declinazione è certamente quello francese. Come rileva ancora Pajer, l’ottica pedagogica che legittima e sostiene lo studio laico del fatto religioso richiama una triplice finalità: – «Imparare a leggere il patrimonio culturale della nazione e dell’umanità [...]; – sollevare il problema del senso (senza tuttavia la pretesa di risolverlo a scuola), esplorando la pluralità delle risposte che l’umanità ha tentato di dare a tale problema attraverso la diversità delle tradizioni religiose e delle interpretazioni filosofiche; – educare alla convivenza civile, imparando a conoscere i riferimento normativi e i codici dei diversi gruppi etnici, culturali e religiosi che formano la comunità nazionale, e ristabilire così le premesse di una cittadinanza democratica in clima di pluralismo» (p. 455-459). Dati questi richiami sintetici, si comprende il motivo per il quale nel contesto 23 nazionale un pilastro tuttora imprescindibile per affrontare il tema del dialogo interreligioso debba rinvenirsi – quasi indirettamente – nei percorsi di intesa tra la Conferenza Episcopale Italiana e lo Stato italiano in tema d’insegnamento della religione cattolica (IRC). Proprio nelle “pieghe” che riguardano i contenuti dell’attore tuttora largamente maggioritario, quello cattolico, si può osservare una crescente consapevolezza della pluralizzazione del paesaggio religioso che – per il tramite dei fenomeni migratori – anche il nostro Paese ha affrontato nel periodo recente. In proposito, nell’Intesa tra la Conferenza Episcopale Italiana e lo Stato Italiano per l’insegnamento “della religione cattolica nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e nei percorsi di istruzione e formazione professionale”5, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso vengono citati come ambito concettuale da proporre nel secondo biennio di insegnamento. Sulla scorta di quanto detto, appare interessante rilevare quanto proposto da Marialuisa Damini6, che nell’ottica di una pedagogia interculturale e interreligiosa, propone alcune linee guida per analizzare i libri di testo. Afferma Damini: «I libri di testo di IRC certamente presentano e interpretano il pluralismo presente nella nostra società; lo sforzo educativo che ci pare necessario è quindi quello di alcune linee guida che ci permettano di passare dal dato di fatto multireligioso al dialogo interreligioso » (p. 1). Le linee guida si basano sulle parole chiave proposte da Salvarani (Salvarani, 2008); esse vengono sinteticamente riprese nel seguito (pp. 2-3). – Identità/differenza: in questo caso «Compito dell’educazione interculturale è provocare la ‘molteplicità’ senza far perdere il senso dell’unità»; – Empatia/passione: ricordando che l’incontro è sempre un incontro di persone, l’invito è quello di non banalizzare l’incontro stesso riducendolo a qualcosa di folcloristico; – Ascolto: senza lasciare spazio ad un banale “relativismo culturale”, è importante cogliere il fenomeno religioso nella propria specificità, anche da un punto di vista culturale; – Conoscenza: «La conoscenza del dialogo interreligioso rappresenta un ulteriore atteggiamento della sua pedagogia»; in questo caso, si tratta di dar voce a più prospettive di osservazione e invitare i ragazzi a vederla da più punti di vista facendo emergere la “divergenza di pensiero” in cui è possibile intravedere quegli “scarti di significato” su cui effettivamente costruire l’incontro; – Decentramento: «Dal punto di vista interculturale, decentrarsi ha valenza educativa fortissima perché invita a deporre molte delle certezze acquisite e solidificate dalla propria tradizione culturale e non solo»; 5 Intesa tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Conferenza Episcopale Italiana sulle indicazioni didattiche per l’Insegnamento della religione cattolica nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e nei percorsi di istruzione e formazione professionale, disponibile on line. 6 DAMINI M. (a cura di), Didattica interculturale e didattica interreligiosa: alcune linee guida per analizzare i libri di testo (IRC), www.fttr.it/fttr/allegati/1175/04-Aspetti_di_didattica_interreligiosa.pdf. 24 – Accoglienza/ospitalità: in questa prospettiva è necessario considerare la persona umana come “curiosa”, “dialogica”, “cooperativa”, “partecipativa”, “aperta a”, caratterizzata da un’identità dinamica e “plurale” (Milan, 2007, p. 7); – Racconto: «Dal punto di vista interculturale, la via narrativa è una strada efficace perché è attraverso la globalità dei linguaggi che è possibile infatti realizzare uno scambio di valori culturali e confrontare i ‘punti di vista’ sulla realtà». Quanto detto fin qui consente di tematizzare le ragioni per le quali l’educazione interreligiosa sia stata considerata un fenomeno che si sviluppa prevalentemente dal basso, nella specificità delle situazioni e senza un vaglio istituzionale, tale da legittimarne il corso in un senso o in un senso diverso. Nel nostro Paese, appare cioè come un epifenomeno di quell’intercultura “situata” che ha caratterizzato in questi anni il contesto italiano. Se, infatti, si va ad analizzare la messe di contributi sociologici che hanno affrontato in questi anni la pluralizzazione del paesaggio religioso italiano, si può facilmente notare come i processi di mutamento siano transitati prevalentemente per la dimensione soggettiva. Questa, tuttavia, si inserisce in più generali analisi che hanno tematizzato la pluralizzazione degli universi religiosi che ha caratterizzato la società italiana negli ultimi anni (Introvigne e Zoccatelli 2006; Pace, 2011). Tramite la presenza delle persone di origine straniera, sono emersi nuovi attori socio-religiosi nella sfera pubblica, diversi da quello cattolici. I processi che hanno coinvolto i primi hanno riguardato per un verso le traiettorie di istituzionalizzazione (Guolo, 2000, pp. 67-82) e, su un altro versante, la dimensione soggettiva (Maddanu, 2009) degli immigrati che hanno contribuito ad esplicitare i nuovi riferimenti. In questa situazione, le indagini riferite ai giovani di origine straniera hanno approfondito i loro processi di risignificazione degli universi culturali e, in essi, di quelli religiosi. Proprio su queste traiettorie di risignificazione individuale si sono concentrate le ricerche, evidenziando le strategie di “multiculturalismo quotidiano” (Colombo e Semi, 2007) attuate dai giovani. Nel modello italiano di risposta dal basso alla pluralità culturale, l’educazione interreligiosa appare come una declinazione molto legata alle già citate “pratiche interculturali”. Come si avrà modo di verificare più oltre, questo emerge anche in relazione alle pratiche significative che sono state vagliate, in cui sono meno evidenti quelle esplicitamente rivolte all’educazione interreligiosa in quanto tale, separata cioè da una più compiuta attenzione alla tematica interculturale. 2.2.5 Drop out scolastico Il tema del ritardo scolastico, pur collegato a quello dei giovani di origine straniera nel sistema scolastico italiano, non è esaurito da quest’ultimo. Se si focalizza il sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale nel confronto internazionale (CEDEFOP, 2013b), si rivelano innanzitutto delle difficoltà di quantificazione non scontate: pur seguendo la classificazione Eurostat, le definizioni di abbandono precoce e abbandono scolastico variano da paese a paese; le ineducazione_ 25 congruenze possono variare, in taluni casi, anche internamente ai singoli Stati; non sono possibili considerazioni longitudinali, che tengano in considerazione gli eventuali percorsi post-abbandono (compresa l’eventuale ripresa degli studi in fase adulta). Vi sono poi difficoltà legate al ruolo giocato dalla struttura dell’istruzione professionale nelle modalità di calcolo e la non completa armonizzazione quando si considerino gli abbandoni nell’istruzione professionale e quelli nell’istruzione polivalente. A livello europeo, invece, si è consolidato il profilo dello studente a maggior rischio di abbandono scolastico prematuro: maschio, con un modesto retroterra socio-economico e appartenente a fasce della popolazione in situazioni di maggiore vulnerabilità (come le persone di origine straniera) o con difficoltà di apprendimento. Le indicazioni che emergono sul versante delle politiche hanno carattere multidimensionale: dalla necessità di coinvolgere le imprese a quella – per i datori di lavoro e gli altri istituti di istruzione – di riconoscere il valore delle qualifiche conseguite in percorsi alternativi o all’interno di sistemi di garanzia per i giovani; si rileva, inoltre, il bisogno che le qualifiche professionali siano considerate come garanzia di qualità per risultare sufficientemente “accattivanti” sul mercato del lavoro, con l’individuazione di indicatori di performance che coinvolgano le parti sociali. Potrebbero inoltre essere d’aiuto i percorsi di convalida dell’apprendimento non formale e informale. Nel nostro Paese il fenomeno degli ELS (early school leavers) ha acquisito un carattere quasi strutturale (anche se con alcuni indicatori in miglioramento) che attiene in particolare ai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale. Osservando i dati MIUR sulla situazione italiana aggiornati al 2013 (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2013), l’Italia occupa ancora una posizione di retrovia: quart’ultima dopo il Portogallo. Il margine rispetto al dato europeo è più evidente per la componente maschile di quanto lo sia per quella femminile. Sebbene vi sia stato un avvicinamento al target stabilito dagli obiettivi di Europa 2020, la situazione nazionale è ancora molto diversificata se si osservano i divari regionali: mentre il Sud del Paese continua ad attestare la situazione più critica, le Regioni che hanno visto le diminuzioni più consistenti sono il Molise, il Lazio, il Veneto e la Lombardia. Ancora, la maggior parte degli alunni che abbandonano la scuola durante il percorso della scuola secondaria riguardano gli istituti professionali, quelli tecnici e l’istruzione artistica. Come annota il MIUR: «L’elevata uscita dal percorso scolastico degli alunni iscritti ai percorsi professionali potrebbe tuttavia rivelarsi meno con - sistente, ove si consideri che una parte (più o meno consistente nelle diverse realtà territoriali) potrebbe essere transitata nel sistema regionale di istruzione e formazione professionale senza averne dato comunicazione alla scuola» (p. 15). Le differenze per cittadinanza degli alunni vedono un “rischio abbandono” maggiore per quelli con cittadinanza straniera rispetto a quelli con cittadinanza italiana; una situazione di maggiore difficoltà riguarda gli studenti nati all’estero, con particolare riferimento a difficoltà linguistiche molto più marcate rispetto a quelle delle “seconde generazioni” propriamente dette. Come si vedrà in tema di pratiche signieducazione_ 26 ficative, molte delle esperienze svolte fanno dei percorsi di italiano come “L2” l’architrave delle proposte rivolte ai giovani di origine straniera, nonostante il fenomeno della mancata o difficile partecipazione scolastica di questi ultimi sia molto più complesso – come già argomentato in precedenza – e non possa essere sovrapposto alla sola dimensione della padronanza linguistica. 2.2.6 Minori portatori di BES e DSA L’approccio bio-psico-sociale alle disabilità ha fatto cambiare confini e prospettive relativamente alla conoscenza pedagogica sulla disabilità, in quanto avere: «Una personalità aperta, dinamica, relazionale, che promuove la conoscenza attraverso la partecipazione attiva dell’alunno, organizza i saperi e li collega ai processi mentali dell’alunno» (Trisciuzzi, 2005, p. 145) costituisce una dimensione difficoltosa quando ci si trova di fronte ad un Bisogno Educativo Speciale. Il concetto di inclusione che è dominante a livello internazionale, sostiene il diritto di ogni persona di essere parte della propria comunità sociale senza alcuna di discriminazione ed in modo indipendente dalla propria specifica “condizione”. Infatti, come afferma Baldacci: «Una pedagogia dell’inclusione è volta all’integrazione di tutti i soggetti nel processo educativo, con lo scopo di favorire meglio la crescita personale di ognuno; valorizza le diversità, facendone motivo di ricchezza umana e combatte le disuguaglianze, garantendo a tutti e la padronanza delle competenze culturali fondamentali» (Baldacci, 2007, pp. 3-4). Pertanto ciò che adesso viene richiesto alla scuola è di individuare e programmare risposte educativo-didattiche individualizzate, personalizzate e differenziate in relazione alle distinte esigenze di tutti gli studenti, evitando uniformità e processi di generalizzazione. La strada che ha portato a considerare il tema della diversità nell’apprendimento e conseguentemente ha aperto verso l’inclusione scolastica, in Italia iniziò nel 1971 con la Legge n. 517/1977 nella quale venne affermata sia la responsabilità della scuola ad una differenziazione dell’azione pedagogico-didattica rispetto a situazioni di difficoltà, sia l’integrazione nella scuola comune di alunni con disabilità. Rispetto alla scuola italiana l’aggettivo “speciale” riguardava la condizione di disabilità e quindi esistevano scuole speciali ed una pedagogia speciale che si interessava di essi. Il concetto di BES Il concetto di “Bisogni Educativi Speciali” (BES) o di Special Educational Needs appare in Inghilterra nel 1978 nel Rapporto Warnock, il cui scopo è quello di oltrepassare la differenziazione tra alunni con e senza handicap, portando l’attenzione verso un metodo, un orientamento che contempli non soltanto lo svantaggio, ma soprattutto le risorse e le potenzialità positive del soggetto. Nel 1992 con la Legge quadro n. 104 inerente i diritti delle persone con handicap, l’integrazione scolastica comincia a diventare un concetto sempre più presente nella 27 scuola, in quanto pone un’attenzione particolare nel percorso di riabilitazione dell’alunno disabile. In essa vengono indicati gli strumenti utili a costruire il processo di integrazione, ovvero la Diagnosi Funzionale (DF) e il Profilo Dinamico Funzionale (PDF) nei quali vengono evidenziati i deficit e le potenzialità; il Piano Educativo Individualizzato (PEI) nel quale specificare gli obiettivi da raggiungere, le attività da compiere, i criteri e le procedure da seguire nelle verifiche e nella valutazione. Nel 1994 con la dichiarazione di Salamanca il concetto di “Bisogni Educativi Speciali” viene preso come modello a livello internazionale configurandosi come portavoce e precursore di una visione inclusiva che unisce in un unico principio sia il diritto all’apprendimento che all’autorealizzazione di tutte le situazioni di difficoltà. In Italia il MIUR nel 2009 emana le Linee Guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità formalizzando sempre di più il concetto di inclusione nella scuola, connotandolo come ulteriore passo rispetto all’integrazione e facendo as - sumere alla disabilità il concetto di diversità, alla stregua di tante altre diversità che si possono trovare in varie situazioni personali. Alla base del concetto di scuola inclusiva vi è un modello pedagogico che prende come punto di riferimento l’ICF, che legge le differenze individuali come punti di forza della persona, utili per realizzare percorsi didattici sempre più validi ed efficienti, rispetto a quelli tradizionali. In quest’ottica è maturata la Legge 170/2010 “Disturbi Specifici di Apprendimento” (DSA) che ha ribadito il ruolo della scuola nel garantire il successo formativo dell’alunno, assegnandole il compito di agire in modo personalizzato oltre che individualizzato e di adoperarsi per il potenziamento delle abilità e per il recupero delle difficoltà. È evidente come le disposizioni legislative nel fornire gli strumenti necessari per sostenere il percorso scolastico formativo nel modo migliore, dimostrino un’attenzione particolare ai bisogni educativi degli studenti. Questa impostazione viene confermata dal Decreto Ministeriale 12 Luglio 2011 che si riferisce alle forme di verifica, di valutazione ed alla formazione del personale della scuola; ad esso sono allegate le “Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”. Nel 2012 la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre “Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, compie un ulteriore passo in avanti nell’individuazione della diversità delle situazioni di apprendimento, come continuazione della Legge 517/1977 che diffuse il principio di differenziazione dell’azione didattica. Nel Decreto Ministeriale l’attenzione non è alla certificazione, ma alla logica dell’ICF, che si focalizza sulla “persona nella sua totalità, in una prospettiva biopsico- sociale”7; secondo questa prospettiva il riconoscimento di BES viene allargato dalle condizioni di disabilità a tutte le possibili situazioni di particolari difficoltà che richiedano una speciale attenzione. 7 D.M. 27/12/2012,“Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. 28 Viene asserito che l’alunno può evidenziare, con continuità o per determinati periodi, Bisogni Educativi Speciali o “per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta” 8. Segue la Circolare Applicativa n. 8 del 6 marzo 2013 che precisa gli ambiti di discrezionalità degli insegnanti per la personalizzazione della didattica e fornisce indicazioni operative per attuare la Direttiva, affermando che: «È compito doveroso dei consigli di classe o del team dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale e inclusiva di tutti ...» (p. 2). Viene, inoltre, sottolineato che: «È necessario che l’attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato, per un alunno con Bisogni Educativi Speciali, sia deliberata in Consiglio di classe ovvero da tutti i componenti del team docenti»; per l’attuazione di questo percorso è necessario stendere un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che ha come obiettivo quello di esplicitare, controllare e documentare le strategie didattiche più idonee ed i criteri di valutazione degli apprendimenti. È importante fare una distinzione rispetto agli studenti che hanno una certificazione in base a specifiche norme (Legge 104/92 e Legge 170/2010) per i quali si procede per obbligo di legge; mentre per gli studenti che presentano esigenze educative speciali, sono i docenti (Team di insegnanti e Consiglio di classe) a decidere in merito. Sono quattro le innovazioni introdotte dalla Circolare Ministeriale del marzo 2013 e precisamente: 1) vengono fornite chiare indicazioni rispetto agli alunni con DSA non ancora in possesso di certificazione, volendo in questo modo intervenire in tutte quelle situazioni nelle quali un ritardo nella consegna della certificazione da parte degli enti pubblici o delle strutture accreditate potrebbe causare un ritardo nell’attivare gli adeguati interventi didattici; 2) viene istituito un nuovo organismo di istituto, il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), con l’obiettivo di “assicurare all’ interno del corpo docente il trasferimento capillare delle azioni di miglioramento intraprese e un’ efficace capacità di rilevazione e intervento sulle criticità all’ interno delle classi” 9, quindi promuovere occasioni di raccordo tra gli insegnanti di sostegno e curricolari; a tal proposito all’insegnante di sostegno, in quanto docente specializzato e quindi in possesso di specifiche competenze pedagogico-didattiche, la circolare ministeriale assegna un incarico di supporto ai colleghi; 3) viene attivato il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI), uno strumento progettuale nel quale la scuola fa proprio il principio dell’inclusività come valore portante la propria azione didattico-educativa ed indica le strategie da mettere in atto; 8 Ibidem. 9 C.M. 8/2013, p. 4. 29 4) viene effettuata una riorganizzazione dei Centri Territoriali di Supporto (CTS) aventi compiti di formazione, consulenza e di supporto alle scuole con i Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI), aventi lo scopo di costituire in tutto il territorio una rete di scuole per l’inclusione con la funzione di realizzare una tangibile integrazione dei servizi in ambito scolastico. In seguito alla difficoltà manifestata dalle scuole nell’applicare quanto sopra esposto, con la Nota n. 1551 del 27 Giugno 2013 vengono fornite delle puntualiz - zazioni sull’interpretazione di questo strumento (PAI) definito un atto interno della scuola e “lo strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo”.10 Il 22 novembre 2013 viene emanata una nuova Nota ministeriale, n. 2563/2013, recante chiarimenti rispetto alle prescrizioni sugli strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali. Alunni con BES Dal punto di vista normativo rispetto agli alunni con bisogni educativi speciali si è proceduto ad una suddivisione in tre grandi sottocategorie: 1) situazioni di disabilità; 2) disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD e altri disturbi); le prime due sottocategorie si avvalgono delle tutele a livello legislativo e precisamente della Legge 194/1992 per le situazioni di disabilità e della Legge 170/2010 per i Disturbi Specifici di Apprendimento; 3) situazioni di svantaggio socio-economico, linguistico e culturale comprendenti anche tutte quelle situazioni dove è presente la non conoscenza sia della lingua che della cultura italiana da parte di alunni provenienti da culture diverse; quest’ultima si avvale della Direttiva Ministeriale del 27 Dicembre 2012. Situazioni di sofferenza affettiva ed emotiva possono influire notevolmente sulla storia dell’alunno, anche in mancanza di disturbi o di problematiche di deprivazione sociale e conseguentemente esercitare forte influenza negativa sull’apprendimento scolastico; per questo motivo vengono prese in considerazione, come tipologia a sé stante, le difficoltà di apprendimento che possono derivare da motivi psicologici. Questo articolo tratterà di alunni con disturbi evolutivi specifici e di svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Alunni con Disturbo Evolutivo Specifico I disturbi evolutivi specifici si riferiscono a studenti con competenze intellettive nella norma le cui difficoltà sono su base neurobiologica e che per problemi “specifici” incontrano difficoltà nell’apprendimento. Sono precisamente studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA): 10 Nota n.1551/2013, pag. 1 30 dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia; studenti con Disturbi di Attenzione e di Iperattività (ADHD); studenti che presentano un funzionamento cognitivo limite (FIL), ovvero che hanno un quoziente intellettivo che va da 70 a 85 punti; studenti che presentano deficit non certificati in base alla Legge 104/92, come per esempio il disturbo dello spettro autistico lieve. Disturbi specifici di apprendimento (DSA) I DSA sono disturbi su base neurobiologica, per poter porre diagnosi devono essere presenti alcuni criteri quali capacità cognitive nella norma, assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, assenza di disturbi relazionali (primari), presenza di normali opportunità educative. Essi interessano quattro ambiti di funzionamento e precisamente: – dislessia: ovvero difficoltà nella lettura, nella decifrazione di lettere e parole con la presenza di maggior o minore correttezza e rapidità nella lettura rispetto a quanto ci si dovrebbe attendere per età anagrafica, classe frequentata, istruzione ricevuta; – disortografia: è la difficoltà nella transcodifica del linguaggio orale in quello scritto, ovvero nella trasformazione dei fonemi, cioè dei suoni della parola, nei corrispondenti grafemi, cioè nei caratteri della scrittura, con la presenza di molti errori tipici, quali per esempio omissioni di lettere (“taolo” per tavolo), inversione di lettere all’interno della parola (“cimena” per cinema), sostituzione di suoni alfabetici somiglianti, per esempio f per v; b per d; ecc.,. – discalculia: difficoltà negli automatismi del calcolo e nell’elaborazione del numero; possiamo trovare difficoltà nelle procedure esecutive e del calcolo che interessano due aree: 1) quelle della scrittura e lettura dei numeri, del recupero di fatti numerici, dell’incolonnamento, dei procedimenti del calcolo scritto; 2) nel riconoscimento di quantità, calcolo a mente, meccanismi di quantificazione, di seriazione, di comparazione, ecc.; – disgrafia: difficoltà nella realizzazione grafica dei segni di scrittura a causa di una difficoltà motorio-esecutiva che rende difficile lasciare spazi fra le parole, stare in linea sulla riga, gestire lo spazio del foglio in modo corretto e ordinato, rispettare i margini della pagina, ecc. Per la lettura e la scrittura la diagnosi può essere fatta a partire dalla fine della classe seconda della scuola primaria, mentre per la discalculia dalla fine della classe terza. I DSA possono presentarsi separatamente (per esempio solo disturbo di lettura) o in comorbidità ovvero insieme (disturbo di lettura associato a disortografia), oppure in associazione con altri disturbi (Deficit di Attenzione/Iperattività, Disturbi del linguaggio, Disturbi della coordinazione motoria, Disturbi dell’emotività, Disturbi del comportamento). Per i DSA sia la Legge 170 che le successive Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (2011) rieducazione_ 31 badiscono che a questi alunni deve essere garantito il diritto allo studio ed al successo scolastico attraverso una formazione adeguata e lo sviluppo delle loro potenzialità, richiamando in modo specifico il diritto ad una didattica personalizzata e individualizzata con forme flessibili di lavoro scolastico. Si ribadisce, più volte, l’importanza di una didattica individualizzata e personalizzata come strumento di garanzia del diritto allo studio: «La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l’alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze, anche nell’ambito delle strategie compensative e nel metodo di studio; tali attività individualizzate possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente» 11; l’intento del legislatore è mettere in tal modo al centro dell’attenzione le “metodologie didattiche” e non fermarsi solo alla semplice scelta di strumenti compensativi e misure dispensative, che pur vengono garantite. La legge, infatti, sancisce il diritto per questi alunni a provvedimenti dispen - sativi e compensativi e richiama le istituzioni scolastiche all’obbligo di assicurare: «L’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere» 12; quindi a modalità didattiche personalizzate e attività di recupero individualizzato, a forme di verifica e di valutazione che devono essere esplicitate e formalizzate nel Piano Didattico Personalizzato (PDP) da prepararsi entro il primo trimestre dell’anno scolastico. 11 Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (2011) 12 Legge 170/2010 art. 5. 33 3. Alla ricerca di pratiche significative 3.1 Dalla ricerca desk A seguito dell’analisi desk e in coerenza con le dimensioni costruite sono state individuate alcune pratiche che per un verso potessero essere particolarmente rappresentative delle stesse dimensioni e, per altro verso, potessero costituirsi quale base di riflessione utile a delineare quei “suggerimenti” (linee guida) per le buone prassi di cui si è detto in precedenza. Una rapida sinossi del lavoro svolto restituisce alcune pratiche o esperienze nell’ambito dell’IeFP che si collocano sia all’interno del sistema CNOS-FAP, sia al l’esterno di esso. Dal punto di vista territoriale, le Regioni cui rimandano le singole pratiche sono distribuite, pur in modo non rappresentativo, nel territorio nazionale. Nel complesso, sono state individuate trenta “prassi significative”, relative anche ad altri enti di Formazione Professionale o ad istituti scolastici superiori, con esperienze ed interventi che interessano tutte le dimensioni dell’inclusione ricostruite in questo contesto. 3.1.1 Il percorso di individuazione delle prassi Il processo di individuazione e selezione delle prassi è avvenuto seguendo una modalità di analisi prevalentemente desk, con l’utilizzo delle informazioni disponibili in rete e di eventuale materiale documentale recuperato direttamente. La raccolta delle pratiche è avvenuta utilizzando due criteri di selezione: il riferimento alle stesse contenuto in indagini o ricerche corredate da raccolte di buone prassi e la selezione a partire da un’attenta attività di skouting e di analisi delle informazioni raccolte in diversi siti internet. Tra i documenti più spesso analizzati per verificare l’esistenza e la coerenza degli interventi e delle attività con le specifiche dimensioni dell’inclusione hanno avuto una particolare rilevanza, laddove presenti, i Piani dell’offerta formativa (POF), i progetti educativi, le indicazioni in termini di mission e valori dei singoli istituti o centri di formazione, il materiale descrittivo riferito all’offerta formativa, nonché alle varie attività proposte, anche in forma progettuale. In tutti i casi, l’analisi documentale si è basata prevalentemente sui materiali di - sponibili nei siti internet istituzionali delle diverse realtà formative considerate. Pur con alcuni, importanti, limiti di fondo, quale il livello di aggiornamento delle informazioni e le modalità di implementazione delle stesse, la ricerca web ha garantito la possibilità di rintracciare ed accedere ad un ampio panorama di esperienze in tutto il territorio nazionale. 34 A partire da queste informazioni, le pratiche sono state selezionale sulla base delle dichiarazioni in merito all’esistenza o alla progettazione di azioni inclusive che fanno capo alle specifiche dimensioni identificate. Ciò nonostante, non sempre è stato possibile valorizzare le azioni sulla base di una precisa definizione temporale e non sempre è stato possibile considerare eventuali valutazioni o esiti, a consuntivo, delle esperienze svolte (perché quasi mai disponibili). Il processo di selezione delle pratiche è avvenuto, oltre che sulla concreta attivazione di azioni (specifiche e non), anche tenendo conto di indizi ritenuti, a vario titolo, capaci di svelare una particolare attenzione ai temi oggetto di analisi. La selezione che ne è risultata, assolutamente non rappresentativa e del tutto perfettibile, rappresenta comunque un utile punto di partenza per delineare linee guida e possibili suggerimenti. 3.1.2 Le prassi di selezione: le informazioni di base A conclusione del processo di analisi dei materiali disponibili, le prassi giudicate “significative” sono risultate trenta ed interessano diverse esperienze formative nell’ambito dell’IeFP. Alcune di esse fanno parte della Federazione CNOS-FAP o fanno riferimento alla realtà del CIOFS/FP, altre riguardano Centri di Formazione Professionale di diversa natura, nonché istituzioni scolastiche statali. Dal punto di vista territoriale, pur considerando tutto il contesto nazionale, le esperienze analizzate si sono concentrate soprattutto nelle aree del Nord-Est d’Italia. Nell’insieme, le Regioni rappresentate sono risultate: Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania e Puglia. Di seguito è riportato l’elenco delle trenta “prassi significative” individuate: 1. C.F.P. (CNOS-FAP) “San Zeno” - Verona 2. IPSIA “G. Galilei” - Castelfranco Veneto (TV) 3. ENGIM VENETO - C.F.P. “Istituto Turazza” - Treviso 4. CIOFS/FP DON BOSCO VENETO - Conegliano (TV) 5. C.F.P. (CNOS-FAP) “Don Bosco” - San Donà di Piave (Ve) 6. ENGIM VENETO - C.F.P. “Patronato Leone XIII” - Vicenza 7. C.F.P. “Francesco d’Assisi” - Cadoneghe (PD) 8. CIVIFORM - Cividale del Friuli (UD) 9. C.F.P. (CNOS-FAP) “BEARZI” - Udine 10. IPSIA di Brugnera e Sacile - Sacile (PN) 11. C.F.P. “G. Veronesi” - Rovereto (TN) 12. ENAIP TRENTINO - Trento 13. CIOFS/FP EMILIA ROMAGNA - Bologna 14. IPSSCT “Luigi Einaudi” - Ferrara 15. OPIMM - Opera dell’immacolata - Bologna 16. CEFAL EMILIA ROMAGNA - Bologna 17. C.F.P. (CNOS-FAP) “Don Bosco” - Forlì 35 18. Fondazione SAN GIUSEPPE C.F.P. CESTA - Copparo (FE) 19. CNOS-SALESIANI CASTEL DE’ BRITTI - San Lazzaro di Savena (BO) 20. E.C.FO.P. – Ente Cattolico di Formazione Professionale - Monza (MB) 21. C.F.P. “Giuseppe Zanardelli” - Brescia 22. CIOFS-FP PIEMONTE - Torino 23. Fondazione CASA DI CARITÀ ARTI E MESTIERI ONLUS - Torino 24. ENGIM PIEMONTE “Artigianelli” - Torino 25. Associazione “COMETA” - Como 26. ISTITUTO SALESIANO (CNOS-FAP) “Pio XI” - Roma 27. ISTITUTO SUPERIORE STATALE “CARLO CATTANEO” - Roma 28. BORGO RAGAZZI DON BOSCO - Roma 29. Centro diurno polifunzionale per minori a grave rischio di devianza “LE ALI” - ISTITUTO SALESIANO “E. MENICHINI” - Napoli 30. I.R.F.I.P. ISTITUTO RELIGIOSO DI FORMAZIONE ED ISTRUZIONE PROFESSIONALE - Pietramontecorvino (FG) Per ognuna di esse sono riportate, in uno schema conoscitivo di sintesi (in allegato), le principali informazioni riferite alla denominazione dell’ente, un breve richiamo alla natura/definizione dello stesso, i principali riferimenti alle pratiche o progetti individuati, nonché una guida di sintesi rispetto alle dimensioni di volta in volta trattate. 3.1.3 Tipologia degli interventi e modalità organizzative Dall’analisi delle informazioni riferite alle trenta realtà formative selezionate sembrano emergere alcune prime considerazioni trasversali, di tipo organizzativo, relativamente alle modalità di implementazione delle diverse attività intercettate e collocabili nell’ambito dell’inclusione. Di seguito si prospettano alcune proposte di classificazione, così come emerse da un primo tentativo di analisi del materiale raccolto, con l’obiettivo di fornire un’utile griglia di lettura per l’interpretazione ed eventualmente la valutazione delle azioni svolte. Un primo criterio di differenziazione, che tenga conto delle diverse dimensioni individuate, può essere ricostruito in merito alla definizione degli interventi in relazione alla complessiva attività formativa. Essi possono, infatti, far riferimento a pratiche specifiche, opportunamente costruite, oppure a pratiche traversali (sia rispetto ai soggetti interessati, sia alle varie attività didattiche). Nel primo caso si tratta di attività peculiari, ben definite e con una certa autonomia gestionale di fondo, ma anche progetti ad hoc realizzati dal centro/istituto, strutturati in modo autonomo o portati avanti insieme ad una rete di soggetti terzi. Nel secondo caso gli interventi, relativi a pratiche più generiche, interessano più aspetti dell’attività formativa e sono proposti, in molti casi, a corollario o a supporto dell’attività didattica in senso stretto. Un secondo importante criterio di classificazione delle esperienze analizzate, riferito alla modalità di implementazione delle stesse, risulta essere il coinvolgimento 36 (o meno) di figure specializzate o di realtà (interne o esterne alla struttura) con competenze specifiche. Sotto questo punto di vista, le attività proposte possono svolgersi con il ricorso a figure professionali specializzate, reclutate sia tra le risorse interne del centro/istituto che all’esterno oppure limitarsi al coinvolgimento di personale interno “generico” (rappresentato non di rado da elementi del corpo docente). Qualora le attività rientrino in un contesto progettuale ampio, allargato al territorio, può essere previsto anche il coinvolgimento di una rete molto ampia di soggetti. Le relazioni esterne, in questi casi, si caratterizzano per essere spesso significative ed il contesto di riferimento non è limitato alla realtà formativa. Considerando i destinatari delle azioni (target di riferimento) per le singole dimensioni dell’inclusione, può essere rintracciata una terza modalità di demarcazione delle pratiche di selezione: – attività rivolte a singole categorie (per esempio giovani di origine straniera, studenti disabili, ecc.); – attività genericamente indirizzate a sostenere i soggetti portatori di Bisogni educativi speciali (BES), dove tutte le situazioni di svantaggio entrano a far parte di questa categoria; – attività che interessano le dimensioni analizzate, ma in modo generico. L’attenzione al tema dell’inclusione è generale e spesso strutturale, fa parte della mission o dei valori del centro/istituto. Chiaramente, l’attribuzione delle diverse pratiche alle categorie di volta in volta individuate non può essere sempre univoca e soprattutto non può essere in tutti i casi esclusiva. Molto spesso, piani di azione, orientamenti ed attività si intrecciano in modo multidimensionale, rendendo le esperienze complesse anche dal punto di vista organizzativo. Le iniziative che tengono conto del tema dell’inclusione, con tutte le declinazioni in questo contesto individuate, sono per molti aspetti parte integrante delle proposte formative della IeFP e per questo fortemente orientate a far fronte alle esigenze di una peculiare tipologia di utenti. Volendo proporre un raggruppamento delle esperienze analizzate in considerazione delle specifiche aree di intervento (per ogni dimensione di inclusione), l’articolazione che emerge a partire dai casi selezionati prevede la definizione di tre grandi aree di attenzione: – area disabilità: c’è un’offerta specifica degli enti per i soggetti che possono rientrare in questa categoria (alcune realtà trattano solo/prevalentemente la formazione rivolta ai disabili) oppure vengono implementate specifiche azioni mirate; – altre aree specifiche di intervento finalizzate all’inclusione: tutte le situazioni di difficoltà e/o marginalità entrano a far parte di un’unica, generica, categoria (giovani di origine straniera, situazioni di ritardo, casi difficili, ecc.); – aree di attività (direttamente o indirettamente) finalizzate all’inclusione, rivolte a tutti gli studenti ma con un’attenzione particolare ai casi più complessi. Rientrano in questa categoria tutte le iniziative relative all’orientamento (in entrata ed in uscita), al drop out scolastico ed alla transizione scuola-lavoro. 37 3.1.4 Pratiche inclusive ed aree d’intervento A seguire si propone una breve disamina, proposta in chiave riflessiva, delle principali modalità di intervento intercettate nei casi esaminati in relazione ad ogni specifica dimensione dell’inclusione. – Area “giovani di origine straniera” Le attività proposte in quest’ambito (che possono interessare anche situazioni di disagio, rischio di devianza ed, eventualmente, anche minori stranieri non accompagnati) riguardano prevalentemente la formazione linguistica, sia in relazione alle competenze di base sia a livelli superiori. In alcuni casi sono previste le figure del facilitatore linguistico o del mediatore culturale. Possono essere previste delle attività specifiche per i neo arrivati, oppure proposte attività di consolidamento per i giovani studenti che sono in Italia da più tempo. Molto spesso sono previste spe cifiche attività di accompagnamento, con la definizione di percorsi formativi personalizzati. Rispetto a questo specifico target di utenti, appare diffusa l’idea di fondo che gli interventi rivolti a facilitare i processi di inclusione debbano necessariamente partire dall’acquisizione e dal rafforzamento delle competenze linguistiche, di qui l’erogazione di corsi di alfabetizzazione o percorsi di implementazione delle conoscenze linguistiche. Sono molto meno frequenti, tra le pratiche osservate, le iniziative di natura diversa, totalmente svincolate dall’aspetto linguistico. Dopo la fase iniziale di inserimento, supportata da azioni mirate di accompagnamento, sembra essere poco diffusa la progettazione di interventi specifici per questo target di studenti. Non c’è quasi mai una precisa individuazione di fabbisogni specifici (oltre all’aspetto linguistico), in grado di giustificare una differenziazione dalle più generali situazioni di svantaggio o ritardo. Le attività volte all’inclusione dei giovani di origine straniera rientrano quindi a far parte delle iniziative promosse per un target più ampio di destinatari, siano essi, in maniera indifferenziata, italiani o stranieri. – Area “dipendenze e disabilità” La maggior parte delle esperienze analizzate prevede una specifica attenzione per le situazioni relative a condizioni di disabilità. Le linee di intervento, codificate normativamente e metodologicamente, indirizzano la gran parte degli interventi. Particolare attenzione è rivolta alle iniziative volte all’inserimento ed accompagnamento nel mercato del lavoro (transizione scuola-lavoro) di questi soggetti. – Area “educazione interreligiosa” La valutazione delle prassi selezionate in considerazione degli interventi rivolti alla dimensione religiosa sconta il fatto che, in molti casi, l’offerta formativa è proposta nell’abito di istituzioni religiose o a forte orientamento cristiano/cattolico. Nelle mission indicate da questi centri è spesso rivolta una particolare attenzione all’educazione dei giovani ed alle fasce di soggetti svantaggiati, anche attraverso l’implementazione dei principi di accoglienza e supporto caratteristici della prospettiva 38 cristiana. L’aspetto religioso spesso traspare nell’orientamento del profilo formativo (attenzione ad un educazione che rispecchi i valori cristiani) ed in alcuni casi prevede delle proposte specifiche (come ad esempio momenti comuni di preghiera o riflessione, oltre che alla partecipazione alle funzioni religiose). In tutti i casi analizzati difficilmente è individuabile un riferimento specifico al tema dell’educazione interreligiosa e non si registrano iniziative tese all’appro - fondimento di questo tema. Più spesso emerge, invece, una generica propensione al rispetto delle minoranze ed alla valorizzazione delle specificità culturali (in ottica interculturale). – Aree “percorsi di orientamento”, “drop out scolastico” Le pratiche che interessano le tematiche dell’orientamento, della transizione scuola-lavoro e del drop out scolastico molto spesso vengono fatte confluire in un unico contenitore di iniziative. In molti casi si tratta di attività promosse e coordinate dal servizio orientamento dei centri/istituti. Le azioni di orientamento, in entrata (attività conoscitive e di accompagnamento) più spesso in uscita (transizione scuola-lavoro), possono essere iniziative collettive o individuali che prevedono il coinvolgimento, oltre che degli studenti e degli insegnanti, anche delle famiglie. Il supporto ai ragazzi, spesso in situazioni di difficoltà e a rischio dispersione, avviene attraverso la previsione di percorsi personalizzati, con interventi di sostegno individuale e possono prevedere anche un servizio di supporto psicologico. La transizione scuola-lavoro è supportata da iniziative specifiche che prevedono il contatto diretto con le aziende (stage-tirocini), anche attraverso specifici progetti di collaborazione. In alcuni casi i centri-istituti hanno implementato dei sistemi (informatici) di incontro domanda/offerta con l’obiettivo di avvicinare il più possibile gli studenti al contesto lavorativo locale. Rispetto a queste tematiche, risulta particolarmente rilevante l’importanza del collegamento con territorio, con le imprese, nonché il raccordo con istituzioni. Questa relazione appare indispensabile per assicurare agli studenti una concreta possibilità di inserimento nel mercato del lavoro locale, ma anche per la definizione dei percorsi formativi stessi. 3.1.5 Alcune considerazioni trasversali A partire dalle varie considerazioni emerse nell’analisi fin qui proposta ed una più generale lettura ed interpretazione delle esperienze esaminate possono essere proposti alcuni utili elementi di riflessione a carattere trasversale. Partendo dalla constatazione di alcune costanti nei modelli pedagogici (come ad esempio la valorizzazione della crescita globale/integrale della persone, l’attenzione all’autonomia della persona, la personalizzazione del processo educativo, il coinvolgimento delle famiglie e del territorio, ecc.), queste riflessioni vertono intorno ad alcuni nodi tematici che sembrano intercettare, in modo diffuso, le problematiche e le esigenze specifiche 39 che nascono a partire dalla necessità e dalle effettive possibilità di implementazione di azioni concrete finalizzate al tema dell’inclusione. – Relazione tra offerta formativa nell’ambito della IeFP e le pratiche inclusive Sembra esistere un forte nesso tra la tipologia, per molti aspetti peculiare, dell’utenza della IeFP e la necessità di implementare iniziative inclusive. In considerazione della forte caratterizzazione della platea degli studenti di questi percorsi formativi (alto tasso di stranieri, spesso soggetti con forme di svantaggio, ecc.) risulta importante avviare una valutazione in merito alla relazione necessaria tra attività (specifiche) finalizzate all’inclusione e la programmazione generale dell’offerta formativa. Particolare attenzione potrebbe essere posta nella definizione di pratiche inclusive “tradizionali” e di esperienze di natura diversa, in molti casi a carattere fortemente innovativo. – Aspetti organizzativi specifici: individuazione dei bisogni ed implementazione delle attività Dalle informazioni a disposizione non è sempre chiaro il processo di costruzione della specifica proposta educativa. Sembra, per contro, necessario valorizzare le motivazioni alla base delle scelte effettuate e proporre un percorso specifico di analisi dei fabbisogni, anche con una precisa individuazione dei soggetti da coinvolgere. Ciò consentirebbe una valutazione preliminare in merito all’effettiva opportunità di avviare attività specifiche, rivolte a singole categorie o a peculiari aree di svantaggio, oppure definire una serie di interventi inclusivi in modo più generale, senza particolari distinzioni nel target dei destinatari. – Utilità dell’impiego di figure professionali specifiche Una riflessione specifica va fatta in merito all’utilità di coinvolgere, nell’implementazione delle attività in esame, alcune figure professionali specifiche (ad esempio psicologi per le attività di orientamento o sostegno individuale nei casi di svantaggio, educatori per attività con giovani di origini straniere, mediatori culturali, figure con competenze medico-sanitarie nel caso dei disabili, ecc.). Nel caso l’impiego di queste risorse possa rilevarsi utile, occorre certamente interrogarsi sulle possibilità e modalità di reperimento delle competenze necessarie, non da ultimo valorizzando reti relazionali costruite nel territorio. – Lavorare in partnership progettuali o strategiche con altri enti Le attività di IeFP (comprese quelle inclusive) sembrerebbero richiedere sempre più una prospettiva di networking tra più enti ed agenzie (locali e nazionali). Questo approccio rappresenta allo stesso tempo un forte vincolo, ma anche un’interessante opportunità. Come suggeriscono alcune prassi, sembra importante riuscire a relazionarsi con il contesto esterno, non solo in un ottica di collaborazione, con la realtà produttiva locale (ad esempio per l’attivazione di stage/tirocinio o per accordi di placemet), con le istituzioni (ad esempio per sovvenzioni o partenariati) e le realtà del terzo settore o il mondo dell’associazionismo (ad esempio per la condivisione dei servizi offerti). 40 – Da attività di Istruzione e Formazione Professionale ad attività diverse come orientamento e intermediazione Considerato il forte orientamento professionalizzante e la forte relazione con il mondo del lavoro dei centri/istituti che si occupano di Formazione Professionale, nonché le difficoltà attuali di accesso al mercato del lavoro che interessano in particolar modo i più giovani, potrebbe meritare una riflessione specifica l’opportunità (o meno) di ampliare la gamma delle attività offerte per quel che riguarda i servizi di orientamento al lavoro, intermediazione ed assistenza alla ricerca del lavoro (anche con l’acquisizione dell’autorizzazione ministeriale come agenzie per il lavoro). La gestione in house di questi servizi, pur richiedendo una specifica organizzazione e la destinazione di risorse ad hoc, potrebbe consentire il superamento di alcune tradizionali difficoltà nella gestione dell’incontro domanda-offerta di lavoro (come ad esempio la scarsa incisività dei servizi pubblici per l’impiego, una marcata informalità nei sistemi di reclutamento, la scarsa informazione, ecc.). – Necessità di monitoraggio e valutazione degli esiti Al pari di ogni altra proposta progettuale promossa in altri ambiti, anche in questo contesto risulta estremamente utile proporre una seria attività di monitoraggio e di valutazione degli esiti delle attività avviate, siano esse specifiche o riferite ad azioni trasversali. Una riflessione ex post in merito all’efficacia delle azioni proposte potrebbe avere delle ricadute rilevanti anche in merito alla programmazione futura. 3.2 Approfondimenti L’indagine di campo si è proposta da un lato di approfondire alcune questioni rilevate nella rassegna della letteratura e nell’analisi delle pratiche, dall’altro di condividere alcune raccomandazioni/indicazioni da proporre al CNOS FAP. La modalità scelta è stata quella di realizzare due focus group con esponenti di alcune esperienze significative. Ci è sembrato utile riportare qui in forma sintetica e distinta gli esiti dei due focus group realizzati nel corso dell’indagine di campo, utilizzando il più possibile le parole impiegate dai partecipanti alla discussione, anche se spesso non esprimono completamente un pensiero compiuto. Il primo focus group si è svolto a Roma, il secondo a Mestre; entrambi restituiscono un’immagine di “lavori in corso” o “di presa diretta” dei processi inclusivi. 1° focus group (effettuato a Roma) Al focus group realizzato a Roma hanno partecipato rappresentanti dei seguenti Enti: 1. Istituto Pio XI di Roma (due persone); 2. Centro Accoglienza Minori del Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma; 3. Centro polifunzionale multietnico diurno per minori a grave rischio di devianza “Le Ali” di Napoli (due persone). 41 Quale nesso esiste tra la tipologia dell’utenza della IeFP e la necessità di implementare iniziative inclusive? In 10 anni l’utenza è cambiata ma la FP ha dovuto da sempre fare dei progetti di inclusione sociale. Al Pio XI c’è poca utenza straniera. Al nostro Centro abbiamo moltissimi rom/rifugiati/minori stranieri non accompagnati che arrivano da case famiglia. Abbiamo quindi la necessità di fare progetti di inclusione molto differenziati tra loro. Il Centro risulta un po’ come “l’ultima spiaggia/porto” anche di chi non è riuscito con la FP. Stanno crescendo le dipendenze da gioco e da mass media; molti ragazzi abusano delle chat hard, elemento che sta preoccupando molto. Per quanto riguarda le sostanze stanno prendendo piede la ketamina, la cocaina e torna l’eroina. Abbiamo una forte integrazione di stranieri dallo Sri Lanka, Ghana, Bangladesh. L’utenza cambia con molta rapidità; non cambia invece la legislazione, che arriva sempre tardi sulle esigenze del disagio minorile. I nostri ragazzi presentano tutti dei disturbi di comportamento, dobbiamo quindi avere la capacità di adeguarci con strategie innovative. Come diceva don Bosco con il Sistema preventivo, terapeutico, deve essere “azzeccato”, mirato! È necessario prevedere delle figure professionali specifiche – diverse dal passato? Il soggetto è quello che ci aggiorna! È importante la formazione se sta tra chi fa e chi propone. Forse il più grande progetto di inclusione è quello della formazione assistita. Nella FP nel Lazio non è prevista la figura di sostegno. Da due anni, abbiamo inserito la figura dell’assistente specialistico (progetto della Provincia), è un sostegno alle classi. Da due anni facciamo il PEI ma non tutti i formatori lo applicano. Partiamo da subito con progetti personalizzati. A proposito delle nuove figure spesso abbiamo delle risorse che semplicemente non sappiamo valorizzare ma dobbiamo semplicemente essere creativi e fare proposte che vadano incontro alle esigenze dei ragazzi. Fondamentale è la lettura del bisogno dei ragazzi, bisogna essere flessibili! La lettura del bisogno parte dal soggetto e le soluzioni sono fatte da soggetti. Bisogna mettere tutte le risorse e figure in rete! Serve anche qualcosa che riesca a collegare la lettura del bisogno e trasformarlo in realtà; un collante! Dopo la fase iniziale di inserimento è necessario progettare interventi specifici per gli studenti stranieri di origine straniera? Ci sono dei fabbisogni specifici (oltre alle competenze linguistiche)? È importante farli sentire da subito in una casa che li accoglie e non li respinge. Organizzare attività che li coinvolgano. Capire stando con loro perché si trovano in Italia e come sono arrivati in Italia. Senza chiedere ma stando con lui! Altro aspetto importante è creare in loro una simpatia per la nuova nazione che li accoglie; ad esempio quelli del nord Africa sono molto arrabbiati con noi! Altro aspetto è quello religioso. Noi facciamo attività multireligiosa (musulmani, induisti e budeducazione_ 42 disti). Tutte le mattine al buongiorno leggo frasi tratte dai vari testi sacri. Orientamento in entrata: alle medie per far conoscere la FP, chiamata ai preiscritti a giugno per orientamento/colloquio iniziale. Ad inizio anno orientamento per la formazione della classe; momento di riflessione insieme; giochi di conoscenza; weekend insieme prima dell’inizio dell’attività formativa. Orientamento per orientare alla qualifica tra il 2° e 3° anno. Orientamento in uscita per il mondo del lavoro. Fase di accoglienza – è la chiave per entrare nella vita di questi ragazzi, chiediamo al ragazzo stesso! Da solo nei primi giorni scrive i pilastri del suo percorso. L’orgoglio dormiente è un fattore fortissimo di questi ragazzi. Bisogna cercare di valorizzare ed utilizzare le loro strategie per potenziarle in positivo. Capire le loro capacità ed orientarle in questo senso. Dispersione scolastica C’è un periodo iniziale dell’anno in cui non riusciamo ad intervenire – li perdiamo! Quelli invece che presentano dei segni di cedimento durante l’anno riusciamo a motivarli e recuperarli. Questo aspetto non è cambiato negli anni! 2° Focus group (Mestre) Al focus group realizzato a Mestre hanno partecipato rappresentanti dei seguenti Enti: 1. CFP CNOS-FAP DON BOSCO, San Donà di Piave; 2. ASSOCIAZIONE CFP CNOS-FAP “SAN ZENO” (due persone); 3. CIOFS/FP Veneto – Sedi Vittorio Veneto, Padova, Conegliano (due persone). È cambiato il target di utenza negli ultimi anni? Negli ultimi anni, nel nostro centro siamo passati da un 50% nelle prime ad un 30%, ma sono aumentati i “casi” (i BES), i casi di disagio sociale. Per queste persone si pone un problema di inclusione. Ci troviamo spesso impreparati di fronte a quella che è un’urgenza. Aumentano i ragazzi problematici, sono scesi i ragazzi stranieri, stanno scendendo i livelli didattici generali. Difficoltà anche di motivazione e di interesse. Le classi stanno diventando minestrone, emergono disagi di diversa natura: certificato, scarsamente scolarizzati, molti stranieri hanno difficoltà linguistiche. Trovandoci nel sistema della formazione ci chiediamo quanto siamo riusciti a fare in funzione del mondo del lavoro; i processi di inclusione hanno senso se riescono a spendersi in funzione del mercato del lavoro. I ragazzi sono oggi più fragili, è difficile trovare strumenti per essere più efficaci. È importante, nel tradizionale stile salesiano, far sì che i ragazzi più bravi aiutino quelli in difficoltà; questa modalità deve essere promossa dai docenti, in particolare da quelli che lavorano in officina. Vi occupate anche di drop out? Tutti gli enti partecipanti al focus group se ne occupano. Che cosa si realizza per dare efficacia alle attività di inclusione? L’affiancamento dei ragazzi più grandi non sempre è possibile, l’Asl 10 finanzia 43 degli educatori rispetto alle altre Asl, che seguono i ragazzi certificati. La certificazione è prevista solo se c’è un ritardo; facciamo il PEI. È quasi più difficile far integrare un DSA o un BES rispetto agli stranieri; è difficile far percepire ai compagni che non si tratta di un privilegio, ma di un diritto per raggiungere il successo formativo. Ha chiuso il don Calabria, che era rivolto agli stranieri. Ci sono extracomunitari ed extracomunitari. Quelli che arrivano all’ultimo minuto e quelli invece di seconda generazione. Fino ad una decina di anni fa la formazione professionale era per quelli che non volevano studiare e volevano “muovere le mani”, adesso sono ragazzini in un limbo, cosa che si riflette anche in altri percorsi scolastici. Questa è il frutto di una questione di parcheggio, perché i ragazzi sanno che fino a 18 anni ad una scuola ci devono stare. In passato non era così. Sembra che un’opportunità sia stata vissuta male. L’orientamento ha fallito? L’orientamento ha fallito e bisogna trovare un canale diverso. Ovvero, non so se sia un fallimento dell’orientamento in sé; in ogni caso dobbiamo però riqualificare l’orientamento, riadeguarlo alle condizioni attuali. Spesso anche le famiglie si trovano nella medesima situazione, ovvero di non saper orientare. Le informazioni che vengono diffuse sono corrette, come vengono percepite è un altro discorso... Percepite o vissute... Abbiamo ragazzi che non sanno usare alcuni strumenti che dovrebbero far parte del loro lavoro. Certo il CFP rimane l’ultima scelta possibile: hai finito le restanti caselle? Vai al CFP! Ancora oggi, troppo spesso, viene vissuto come un insegnamento di serie B. Questa impressione è collegata alla crisi del mercato del lavoro? Si è accentuata. I figli degli imprenditori mandavano volentieri... adesso non succede. Ma è solo un pensiero a voce alta... Il progetto TechPro2 è un’eccellenza, il problema è trovare ragazzi che hanno capacità e competenze per potersi spendere bene su progetti come questi. Come riqualificare l’orientamento? Ci sto pensando ma non ho ancora trovato una soluzione... Partire dalla pratica e poi andare verso la teoria, resta però un’indicazione, ma non sostanziale. I ragazzi in questo momento non fanno nulla di manuale. Non trovi più lo smanettone, pochi rispetto ad un tempo... Sono cambiati i prodotti? Il fascino dello smontare una bicicletta, dell’aggiustare, del riuso, si è un po’ perso, perché non lo fanno più i genitori. Questo cambiamento generazionale ha portato alla situazione attuale. 44 È imperante un’ottica della sostituzione, dell’usa e getta, che coinvolge non solo i genitori, ma la società intera. È cambiato il modo di vivere, il tempo libero viene visto in modo molto diverso. Anche nel mondo dei servizi la parte strettamente professionale è difficilissima da introiettare; tutto ciò che ha una componente professionale diventa difficilissimo da introiettare. Loro vivono sempre di più in modo individualistico. Se lasciassimo i ragazzi con i telefoni durante la ricreazione difficilmente si relazionerebbero tra di loro, continuerebbero con la connessione digitale. Anche le “eccellenze” sono terrorizzate dall’aiutare gli altri, i loro compagni. C’è una differenza tra maschi e femmine? Quanto abbiamo detto, è trasversale, non ha profonde differenze di genere ... La maggior parte degli operatori sono ragazzi, la maggior parte dei volontari sono ragazze... Io non noto questo, forse perché abbiamo pochi ragazzi e non riesco ad effettuare questo raffronto. Sentite bisogno di professionalità diverse? Direi di no, se un formatore sente il senso profondo del proprio percorso... se io non arrivo a tutti i ragazzi è un discorso. Abbiamo dei formatori che sono veramente abili e capaci. Bisogna avere delle competenze, ma non specifiche. Confermo. Ci vuole attenzione agli utenti (ai ragazzi da educare) e non ai contenuti. E dove si acquisisce questa attenzione? Soprattutto in aula. Anche nelle nuove generazioni è un ripetere il percorso di laurea, ma la parte pedagogico-didattica non è valorizzata. L’aspetto inclusivo è delicato, se ti focalizzi su un determinato tipo di soggetto non consideri altri aspetti. Se tralascio l’eccellenza non la coltivo... Basta essere coscienti che c’è la volta che scavalco l’eccellenza e la volta che invece presto attenzione a chi ha più bisogno di sostegno ... L’inclusione non lo farà mai il singolo docente, ma il team di insegnanti, educatori... Non solo il team interno. Alle volte le funzioni interne alla scuola funzionano bene e non c’è bisogno di professionalità interne, alle altre volte no... Noi non abbiamo rapporti con il singolo, internamente alla classe abbiamo un gruppo di ragazzi che sono certificati e le differenze nei compiti le diamo in modo molto sottile. I genitori sono ansiosi di portarti il certificato, gli insegnanti così si sentono valorizzati rispetto allo studente... Può accadere che non ti dicano subito (i genitori) che non si tratta di persone certificate per vedere se ce la fanno e poi... Sapere che uno è DSA è importante.... 45 Io sono d’accordo, ma alcuni ragazzi devono togliersi alcune etichette... ad alcuni ragazzi sono state tolte alcune etichette. Io sono d’accordo per la 104, entro le sei ore di sostegno possiamo farcela e possono recuperare autonomia, per i DSA è diverso... perché insistere anche da parte di alcuni insegnanti “ce la fai da solo”? La DSA diventa una sorta di scudo rispetto ad alcune cose. Orientamento in uscita, mi interessava questo. Potere dire qualcosa in merito? Non è così specifico... prima era molto più informale. Voi non sentite la necessità di essere autorizzati come agenzie? Non abbiamo una banca dati, ma nel nostro piccolo cerchiamo di farlo... diversi ragazzi sono stati inseriti dopo lo stage all’interno delle aziende. Abbiamo avuto poche risposte da parte dei ragazzi. C’è molta difficoltà a trovare dei giovani che ti dicano “c’è Garanzia Giovani”. Il mercato del lavoro a Verona è ancora in parte favorevole perché si va per conoscenze... c’è quasi la paura di organizzarla bene, perché ci sarebbe l’invasione di studenti adulti... Ho una mia idea che ho sviluppato negli anni. Finché rimane informale va bene, strutturarlo sarebbe... c’è qualcuno che fa il passaggio alla scuola, di convinto, chi fa il passaggio al mondo del lavoro ha sempre parecchie pretese. In questa congiuntura avere un buon rapporto con le aziende di stage è molto importante. È ancora un canale troppo legato al tal azienda... Alcune considerazioni sulle risorse economiche? Finché la Regione Veneto finanziava dei progetti di orientamento andava benissimo, adesso è molto più difficile. Anche alcuni Comuni ci finanziano. Se vai in una scuola statale hai l’insegnante di sostegno, se non vai non ce l’hai... Per recuperare queste perdite di introiti finanziari che cosa fate? Si cercano altre progettualità. Non si tratta solo di finanziamenti diretti, il corpo docenti deve fare inclusività... da soli non si fa nulla, quando hai quattro-cinque ore e poi mille altre cose da fare... Educazione interreligiosa. La fate? Per quel che possiamo, sfruttiamo le ore e le ore di “asse”, poi ci sono le occasioni di festa... i vari momenti, le occasioni per coinvolgere le famiglie. Momenti di ricreazione e di socializzazione extra-area scolastiche. C’è tutto sommato un buon clima. Le ore sono di educazione religiosa ma si fa anche storia delle religioni e si chiede ai ragazzi di portare e comunicare la loro esperienza... anche se siamo in istituti che hanno una tradizione cristiana, negli ultimi anni c’è stata maggiore attenzione a renderli dei momenti aperti anche ai credenti di altre fedi. Quando vengono vedono dove devono iscriversi... ci stanno quindi anche a pareducazione_ 46 tecipare ai momenti del buongiorno e della messa, magari li sopportano. Io, insegnando al primo anno, punto molto sulla religione cristiana, anche chi si trova in una cultura diversa dalla sua ha piacere di conoscerla. Nei nostri ragazzi non vedo grandi scontri dal punto di vista culturale e religioso. Abbiamo dei ragazzi che sono integralisti (con la tunica...), ma capiscono che i salesiani sono un contesto aperto. L’integrazione interreligiosa si risolve non con le conferenze ma con il rapporto umano, con il fare delle cose insieme. Per esempio, da noi, è noto che i musulmani cantano meglio degli italiani. Molto dipende dal carisma dell’insegnante: si vede un contesto che valorizza la diversità e questo conta... Non ci è mai capitata una musulmana integralista con il chador... Al focus group di Roma è emerso il tema delle dipendenze (vecchie e nuove) e soprattutto è presente la questione della legalità. Avete ragazzi in queste situazioni (di dipendenza o coinvolti in atti di criminalità)? Siamo ancora sulle vecchie dipendenze... Anche rispetto alla sessualità... abbiamo i consultori ma il problema non lo stiamo affrontando (quello delle sostanze). Con il Sert non abbiamo collegamenti, facciamo finta che il problema non esiste. Anche noi abbiamo instaurato un legame con le forze dell’ordine. Polizia postale per l’uso dei social. Battiamo il tasto della privacy. Chiediamo una volta all’anno di far venire i cani per rendere pubbliche le questioni... si sta sottovalutando tantissimo il tema delle dipendenze digitali. Abbiamo ragazzi che stanno in piedi (svegli) notte intere a chattare... e poi ti arrivano a scuola di giorno stanchi, ne va delle loro relazioni con gli altri... I ragazzi non sanno distinguere tra lo strumento di lavoro e quello di gioco. I gruppi su whatsapp, tra chi è incluso e chi è escluso. Il linguaggio sta diventando sempre più violento. Sono situazioni che emergono sempre più spesso. 47 In questo capitolo finale si riportano alcune raccomandazioni scaturite dall’analisi sopra presentata e che possono rivelarsi delle prime indicazioni utili per la stesura di linee guida in tema di inclusione sociale. Appare subito chiaro comunque che le pratiche inclusive sono da sempre connaturate all’IeFP e ancor di più alle modalità effettuate dalle strutture afferenti alla Federazione salesiana. Come emerso dalla rassegna della letteratura, riportata nel secondo capitolo, non mancano poi documenti che si propongono di fornire indicazioni operative sugli argomenti qui affrontati, come le “linee guida sulla cui base poter realizzare poi modelli di intervento e/o progetti formativi a favore di adolescenti giovani di origine migratoria” 13; o le strategie scolastiche per i bambini portatori di disabilità (vedi oltre in questo rapporto). Quanto qui proposto prende ovviamente spunto anche da questi precedenti contributi, benché permangano notevoli disomogeneità tra le varie aree tematiche affrontate. È peraltro necessario premettere che il compito di produrre alcune raccomandazioni valide universalmente per tutti i Centri aderenti al CNOS-FAP si rivela piuttosto difficoltoso per almeno quattro ordini di ragioni. Innanzitutto per aver mantenuto in questo lavoro un’attenzione su più macro-aree dell’inclusione sociale e, quindi, di non essersi concentrati su una specifica fattispecie. In secondo luogo per le disuguaglianze riscontrabili nelle condizioni socioeconomiche e demografiche presenti nei vari territori del Paese, quelle che si potrebbero definire le condizioni ambientali. Differenti sono le pressioni migratorie, l’offerta del sistema educativo e formativo, le opportunità del mercato del lavoro; le stesse caratteristiche degli utenti dell’educazione e Formazione Professionale variano. In terzo luogo per l’eterogeneità istituzionali regionali in cui operano tali agenzie. Come si è potuto notare, differenti atti legislativi e regolamentari, indirizzi e attuazione di policy, ecc..., rendono il territorio nazionale fortemente frammentato. Quarta ragione, i CFP del CNOS-FAP sparsi sul territorio nazionale, in virtù sia del proprio percorso di sviluppo organizzativo, sia della necessità di adattarsi agli specifici contesti regionali, appaiono piuttosto disomogenei. Quindi non tutti i Centri affrontano le stesse problematiche e le aree tematiche dell’inclusione sociale qui trattate hanno una pregnanza diversa. 4. Sviluppo e consolidamento dei processi inclusivi: elementi per la stesura di linee guida 13 CNOS-FAP, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, CIOFS/FP (2008), Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati (a cura di MALIZIA G., PIERONI V. e SANTOS FERMINO A.), www.cnos-fap.it. 48 Nondimeno queste difficoltà sono state considerate come delle sfide e sono state affrontate suddividendo le raccomandazioni in due aree: nella prima trovano posto quelle più generali, rivolte ai Centri di Formazione Professionale e alla Federazione CNOS-FAP, in quanto crediamo che necessitino di trovare un nuovo posizionamento strategico nella filiera del sistema educativo e formativo; nella seconda, invece, sono raccolte quelle specifiche per ogni area tematica analizzata. L’esposizione di queste raccomandazioni seguirà necessariamente uno stile sintetico e didascalico. 4.1 Indicazioni e raccomandazioni di ordine generale Alla luce di quanto analizzato, appare evidente la necessità di pensare ad un nuovo posizionamento strategico dei CFP all’interno del sistema educativo e formativo che assume diverse dimensioni: – La costruzione di reti. Emerge la necessità e l’opportunità di operare in strutture reticolari, composte da più enti, siano essi appartenenti alla Federazione che esterni ad essa. È probabilmente terminata l’era dell’organizzazione unica bastante a se stessa. Oggi la vera unità produttiva è la rete di più organizzazioni che insieme producono beni e servizi. Le reti inter-organizzative (i partenariati) sono sempre più anche le (uniche talvolta) modalità richieste per partecipare, con iniziative progettuali, all’ottenimento di finanziamenti pubblici o privati. Strategie e comportamenti dei partner (inclusi quelli opportunistici), interdipendenze funzionali, assetti di governance, codici operativi e sistemi informativi diventano quindi questioni rilevanti anche per affrontare in modo territoriale le tematiche dell’integrazione sociale. – L’ampliamento delle attività. Emerge altresì la necessità di ampliare l’attenzione all’inclusione lavorativa. Pur mantenendo alto il focus sui processi educativi, si fanno sempre più forti le pressioni verso altri ambiti di attività: orientamento in uscita (quindi al lavoro), accompagnamento all’inserimento lavorativo, ecc. Si prospetta dunque agli enti la scelta di acquisire l’autorizzazione ministeriale ad operare anche come agenzie per il lavoro, nello specifico nella sezione intermediazione (regime particolare definito dall’art. 6 del D.Lgs. 276/2003)14. – Team working. L’inclusione sociale è concepita come esito di un lavoro di team, di più educatori/formatori; non può essere l’esito di un solo operatore, pur bravo e sensibile. – La formazione continua del personale (personale docente e non solo). L’ag- 14 L’attività di intermediazione si esplicita nel favorire il collegamento tra domanda e offerta di lavoro e comprende: raccolta dei curricula, preselezione, promozione, gestione e accompagnamento dell’incontro tra domanda e offerta, la progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’adeguamento delle competenze o delle capacità dei candidati. 49 giornamento continuo e il consolidamento delle competenze del personale sono oggi sempre più prerequisiti indispensabili al buon esito dei percorsi d’inte - grazione. Ciò peraltro non significa necessariamente attivare percorsi formativi tradizionali, quanto piuttosto sviluppare iniziative che sappiano valorizzare l’esperienza acquisita dagli educatori, attraverso percorsi di accompagnamento, supporto, riflessività, ecc. – Comunicare i risultati. Emerge chiaramente la necessità di monitorare sistema - ticamente e valutare in profondità i percorsi di inclusione sociale. Tale neces sità che ha sicuramente una valenza strategica interna, diviene anche un’opportunità che permette di comunicare all’esterno i risultati, impiegando anche forme di accountability in via di consolidamento, come i bilanci sociali. 4.2 Indicazioni e raccomandazioni per area tematica affrontata Inclusione dei minori stranieri La categoria di minori stranieri include oggi un universo piuttosto variegato che richiede interventi differenziati per quanto riguarda l’integrazione. Accanto al minore straniero nato e vissuto da sempre in Italia, vi sono quelli che sono arrivati nel nostro Paese ricongiungendosi ai propri genitori e vi sono i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA). Diventa quindi fondamentale l’individuazione puntuale e personalizzata dei fabbisogni di ogni minorenne che non può ridursi all’aspetto linguistico (oggi già consolidato). Appare opportuno quindi ramificare le attività volte all’inclusione dei giovani di origine straniera in due segmenti: – come parte delle iniziative promosse per un target più ampio di destinatari, siano essi, in maniera indifferenziata, italiani o stranieri; – come percorso personalizzato specifico in quanto straniero portatore di una peculiare situazione. Educazione interreligiosa Indicazioni operative su quest’area sono difficilmente desumibili dall’analisi svolta, risultato questo che rimanda innanzitutto alla necessità di approfondire ulteriormente l’argomento in quanto peculiare attività nel più ampio campo dell’educazione interculturale. In ogni caso è possibile identificare alcune linee di intervento di diversa gradazione della presenza di educazione religiosa: – aspetto religioso come una delle tante dimensione della vita; – aspetto religioso fondante il profilo formativo (attenzione ad un’educazione che rispecchi i valori cristiani); – attuazione di proposte specifiche (come ad esempio momenti comuni di preeducazione_ 50 ghiera o riflessione, oltre che partecipazione alle funzioni religiose) che funzionano anche da momenti di conoscenza reciproca e di riconoscimento della propria e dell’altrui identità socioculturale. Area “dipendenze” La ridotta attenzione rilevata rispetto a questo tema sembrerebbe indicare la necessità di rinnovare l’impegno conoscitivo per capire ed affrontare anche alcune nuove dipendenze quali quella dall’abuso di ICT (e della connessione web in particolare), da gioco (ludopatia) che comunque affiancano e non sostituiscono completamente quelle tradizionali di uso di sostanze stupefacenti. Orientamento / Drop-out Rispetto al tema dell’orientamento (in particolare in uscita), al rapporto scuolalavoro, al recupero di alunni con alle spalle l’abbandono scolastico e/o con derive da NEET, risultano particolarmente rilevanti: – l’importanza del collegamento con altre agenzie del territorio (centri per l’orientamento, per l’impiego, altre istituzioni scolastiche, enti locali, ecc.), nonché con le stesse imprese; – la condivisione di sistemi informativi in grado di disporre di anagrafiche, bilanci di competenze e opportunità formative o lavorative. Indicazioni didattiche per l’inclusione dei soggetti con BES Nel contesto della classe uno strumento per rispondere ai Bisogni Educativi Speciali è l’insegnamento mediato dai compagni, che fornisce più tempo di insegnamento, più feedback e monitoraggio dei progressi dello studente, oltre che portare ad un miglioramento rispetto alla qualità dell’interazione tra gli studenti. a) La lettura strategica collaborativa per la comprensione del testo Sappiamo che la comprensione del testo è un’abilità estremamente complessa, in quanto coinvolge – oltre alle componenti meccaniche della decodifica delle parole – anche una continua interazione con il testo con l’obiettivo di costruirne il significato. Proprio per questo motivo si devono applicare procedure e strategie cognitive che spesso a scuola si danno per scontate, con il risultato che le difficoltà in quest’area si consolidano e l’intervento viene fatto tardivamente. Un metodo attraverso la mediazione dei pari è la lettura strategica collaborativa, che insegna quattro strategie fondamentali, attraverso passaggi specifici su come applicarle in maniera autonoma. Le quattro strategie della lettura strategica collaborativa sono le seguenti: 1. previsione; 2. automonitoraggio della comprensione; 3. identificazione delle idee principali; 4. sintesi dei contenuti più rilevanti. 51 b) Metodi per favorire apprendimenti significativi Tra queste metodologie si può segnalare il metodo Jagsaw. Questo metodo, che significa letteralmente puzzle o gioco di costruzioni, è una tecnica utilizzata dall’insegnamento cooperativo ed è stato ideato negli anni Settanta da Aronsons e dai suoi studenti. Esso si connota per l’attenzione rivolta alla strutturazione dell’interazione tra gruppi eterogenei formati da 3 a 6 studenti, nei quali ad ognuno viene data una parte del compito sulla quale si deve preparare. Come in un puzzle il lavoro svolto da ciascuno è essenziale per la piena comprensione e il completamento del prodotto finale. Come per tutte le attività di insegnamento cooperativo è possibile assegnare dei ruoli intercambiabili all’interno dei gruppi-base ed anche questo permette agli alunni di sperimentare specifiche abilità sociali. c) Strumenti compensativi Sono tutti quegli strumenti che permettono il raggiungimento di un buon grado di autonomia, ovvero danno la possibilità di apprendere e comunicare senza dipendere da un mediatore, infatti essi “sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria” al patto che queste prestazioni siano “non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere” e quindi facilitano solo gli aspetti strumentali dell’apprendimento, non il compito da un punto di vista cognitivo. Le linee guida sollecitano espressamente le scuole ed i docenti a sostenerne l’uso da parte degli studenti con un DSA o con BES, cioè insegnare ad adoperarli in quanto “l’utilizzo di tali strumenti non è immediato”. Essi si possono suddividere in: – strumenti tecnologici e – strumenti non tecnologici. Gli strumenti non tecnologici per la scuola secondaria di II grado e per la IeFP permettono di compensare le difficoltà di memorizzazione, di organizzazione logica delle idee con meno dispendio di energia in merito alla decodifica nella lettura di un numero limitato di parole, sollevando gli alunni dalle prestazioni che il disturbo rende molto faticose. 52 d) Misure dispensative Le misure dispensative sono strategie didattiche attuate per favorire i processi di inclusione e di raggiungimento degli obiettivi formativi, il loro obiettivo è quello di evitare all’alunno/allievo che presenta un DSA compiti che non è in grado di eseguire proprio a causa del disturbo, sono interventi che: «Consentono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo risultano particolarmente dispendiose e non migliorano l’apprendimento».15 Da non sottovalutare che la loro applicazione evita anche la frustrazione che potrebbe vivere l’alunno e che porterebbe a minare la sua autostima con una ricaduta sul suo senso di auto-efficacia: «L’adozione delle misure dispensative è finalizzata a evitare situazioni di affaticamento e di disagio in compiti direttamente coinvolti dal disturbo, senza ridurre il livello degli obiettivi di apprendimento, previsti nei percorsi individualizzati e personalizzati».16 Nell’ambito delle varie discipline/aree vengono indicate come opportune le seguenti misure 17: Dispensa da: lettura ad alta voce Dispensa da: scrittura veloce sotto dettatura Dispensa da: uso del vocabolario cartaceo Dispensa da: studio mnemonico delle tabelline Dispensa da: ove necessario, dallo studio della lingua straniera in forma scritta Dispensa da: prendere appunti 15 Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (2011). 16 Decreto attuativo Legge 170/2010. 17 Va ricordato che, nella scuola, sulla base della gravità del disturbo è consentita dalle normative ministeriali l’integrazione della prova scritta con una prova orale attinente ai medesimi contenuti (anche in sede di esame di Stato). 53 Dispensa da: copiare dalla lavagna Dispensa da: studiare a memoria formule, tabelle, definizioni, poesie tempi più lunghi per le prove scritte in relazione al diverso grado di rallentamento della prestazione, di norma una quota del 30% in più Tempi più lunghi per lo studio a casa Organizzazione: di interrogazione programmate Il caso dell’apprendimento delle lingue straniere La trasparenza linguistica, ovvero la corrispondenza tra come una lingua si scrive e come si legge influisce sul livello di difficoltà di apprendimento, per questo rispetto alle lingue straniere vengono fornite indicazioni specifiche utilizzando come criterio generale quello di attribuire maggiore importanza allo sviluppo delle abilità orali piuttosto che a quelle scritte. Gli strumenti compensativi hanno l’obiettivo di: – favorire la comunicazione verbale; – prevedere ritmi graduali di apprendimento. E sono: – uso di audiolibri e di sintesi vocale (utilizzabili anche in sede di esame di Stato); – per la scrittura uso del computer con correttore automatico e con un dizionario digitale. Misure dispensative sono previste per quelle attività ostacolate dal disturbo e non essenziali e sono: – lettura ad alta voce; – tempi aggiuntivi; – riduzione del carico di lavoro. In merito alla valutazione: – nella produzione scritta si dovrà tener conto più dell’efficacia comunicativa che della correttezza grammaticale; – la comprensione sia orale che scritta dovrà essere valutata come capacità di cogliere il senso generale del messaggio. Se l’alunno presenta una situazione di severa gravità, in sede di esame di Stato è possibile prevedere una prova orale sostitutiva di quella scritta; è prevista anche la possibilità dell’esonero dall’apprendimento della lingua ove risulti utile, ma in questa situazione l’alunno potrà conseguire soltanto l’attestazione e non il diploma (art. 13 D.P.R. 323/1998). e) Verifica e valutazione La Legge 170/2010 asserisce: «Agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifiche di valutazione» 18; e nel D.M. 12/7/2011 si precisa che: «La valutazione Programmazione di: 18 Legge 170/2010 art. 5, comma 4. 54 scolastica, periodica e finale, degli alunni e degli studenti con DSA deve essere coerente con gli interventi pedagogico-didattici attuati». Nelle Linee Guida che accompagnano l’applicazione della Legge si trovano le indicazioni operative: «La valutazione deve concretizzarsi in una prassi che espliciti concretamente le modalità di differenziazione a seconda della disciplina e del tipo di compito, discriminando tra ciò che è espressione diretta del disturbo e ciò che esprime l’impegno e le conoscenze effettivamente acquisite». f) Didattica individualizzata e norme per i diversi gradi di scuola L’attuazione di una didattica individualizzata e l’adozione di misure compensative e dispensative conduce a differenti soluzioni pratiche nei vari gradi di istruzione in relazione alle impostazioni didattiche caratterizzanti le diverse fasi del percorso di apprendimento. Le Linee Guida nazionali indicano espressamente misure compensative e dispensative solo per la scuola secondaria di I e di II grado; pertanto per la scuola secondaria di II grado sono valide tutte le indicazioni sopra descritte sugli strumenti compensativi sulle misure dispensative. Indicazioni specifiche per la Scuola secondaria di II grado (estendibili alla IeFP) Quando lo studente arriva alla scuola secondaria di II grado o alla IeFP ciò che gli viene richiesto è una adeguata padronanza delle competenze strumentali nella lettura, scrittura e calcolo, oltre al possesso di un efficace metodo di studio. La non adeguata presenza di questi elementi può mettere in difficoltà l’alunno con disturbo specifico di apprendimento, che può essere aiutato individuando opportune strategie ed adottando strumenti compensativi e le misure dispensative. In questo ambito la finalità principale da raggiungere è la capacità di comprensione del testo e il trattamento del disturbo di lettura (disortografia e disgrafia). Sul piano pratico ciò richiede: – dare maggior tempo per permettere la lettura per l’autocorrezione degli errori ortografici e per la correzione degli aspetti sintattici e di organizzazione del testo; – usare mappe e/o schemi per la costruzione del testo; – privilegiare l’uso del computer, con correttore ortografico e sintesi vocale per la rilettura, che permette di: velocizzare i tempi di scrittura e ottenere testi più corretti; riconoscere più facilmente le lettere senza doverle rievocare in memoria; produrre un testo esteticamente bello che può rinforzare impegno e motivazione; compensazione rispetto ad un tratto grafico illeggibile; evitare l’affaticamento nella doppia stesura di brutta e di bella copia; – usare il registratore per prendere appunti; – valutare il contenuto disciplinare piuttosto che la forma ortografica e sintattica. In secondo luogo occorre fronteggiare la discalculia. Rispetto al disturbo di calcolo occorre ricordare che gli strumenti compensativi e le misure dispensative sono di supporto e non di potenziamento in quanto riducono 55 il carico di lavoro, ma non aumentano le competenze. Spesso gli studenti che presentano problemi con la matematica posseggono una convinzione di impotenza appresa, ovvero sono convinti della propria impossibilità personale nelle competenze in quell’area. Pertanto sarebbe opportuno: – aiutare l’alunno a superare il senso di impotenza creando situazioni che gli permettano di sperimentare la propria competenza; – fare l’analisi dell’errore attraverso un’intervista con lo studente per comprendere i processi cognitivi che sottendono all’errore stesso; – pianificare, conseguentemente, in modo mirato il potenziamento dei processi cognitivi necessari. Come rilevare e affrontare altri disturbi di apprendimento La direttiva sui BES, oltre ai disturbi dell’apprendimento certificabili ai sensi della Legge 170/2010, inserisce varie tipologie che presentano difficoltà nell’area del linguaggio, del movimento, della comunicazione e fanno parte tutte della categoria “disturbi evolutivi specifici” (D.M. 27/12/2012, p. 2). Abbiamo quindi studenti che presentano bassa intelligenza verbale associata ad alta intelligenza non verbale, oppure studenti con deficit nelle aree non verbali, come per esempio il disturbo della coordinazione motoria e della disprassia; rispetto all’area della comunicazione possiamo trovare problematiche inerenti i disturbi dello spettro autistico lieve, quando non rientrano negli indici che permettono la certificazione per il sostegno (Legge 104/92). 1) Disturbi specifici del linguaggio (DSL) Essi si manifestano con un ritardo nell’acquisizione del linguaggio e per questo è importantissima una diagnosi precoce. Il disturbo sembra ridursi con la crescita, però può rimanere in età adulta in una forma molto lieve; l’alunno può presentare difficoltà nel recupero lessicale dal magazzino linguistico, recupero che risulta essere lento e poco accurato; ha difficoltà con parole lunghe e complicate ed anche la strutturazione della frase è deficitaria. Si parla, dunque, di alunni con bassa intelligenza verbale, ovvero con difficoltà e lentezza nella comprensione e produzione del linguaggio, con un vocabolario povero, ecc. ed alta intelligenza non verbale, cioè con notevole rapidità di elaborazione in quelle funzioni mentali che si riferiscono agli ambiti della rappresentazione visiva, del movimento, ecc. 2) Deficit nelle aree non verbali Ne fanno parte il disturbo della coordinazione motoria, la disprassia, il disturbo non verbale o bassa intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale; quando si parla di non verbale si fa riferimento a quel dominio di elaborazione mentale che si riferisce ai processi nello spazio ed alle funzioni rappresentative di tipo figurativo e motorio. L’alunno con intelligenza non verbale molto bassa si presenta goffo, disorientato nell’orientarsi spazialmente, in difficoltà nella coordinazione corporea ed in semplici prassie; può presentare un linguaggio ben costruito, ma molto 56 spesso anche l’area linguistica risente del disordine visuo-spaziale, soprattutto quando il contenuto è di tipo descrittivo-narrativo o scientifico ed i riferimenti spaziali necessitano di rapidità ed efficacia nella rappresentazione spaziale. I problemi maggiori si possono trovare nella matematica e nella geometria per una non adeguata gestione nello spazio del foglio e per la fatica di incolonnare i numeri nel calcolo. 3) Disturbo dello spettro autistico lieve La Direttiva Ministeriale fa rientrare nei BES anche quelle forme lievi di autismo purché senza disabilità intellettiva e che non rientrano nella Legge 104/92. Le difficoltà presentate non riguardano gli aspetti strumentali del linguaggio, ma in forma lieve quelli relazionali e comunicativi profondi. 4) Funzionamento intellettivo limite La Direttiva del 27/12/2012 inserisce tra i BES anche il Funzionamento Intellettivo Limite (FIL) sostenendo che: «Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti generalmente con le espressioni di funzionamento cognitivo (intellettivo) limite (o borderline), ma anche con altre espressioni (per es. disturbo evolutivo specifico misto, codice F83) e specifiche differenziazioni – qualora non rientrino nelle previsioni della Legge 104 o 170 – richiedono particolare considerazione” 19. Sono quei soggetti che presentando difficoltà su base neurobiologica, mostrano lentezza e labilità notevoli nelle operazioni di organizzazione logica del pensiero e del discorso, hanno bisogno di essere sostenuti in ogni operazione di apprendimento dalla presenza dell’insegnante, necessitano di un adeguamento degli obiettivi e di tempi superiori a quelli dei compagni. 5) Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo, che si presenta con difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Queste manifestazioni derivano dall’incapacità a controllare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. Il disturbo ha una causa neurobiologica e si contraddistingue per la presenza di sintomi pervasivi e persistenti nel tempo: disattenzione, iperattività, impulsività. Disattenzione. Lo studente presenta difficoltà: a pianificare gli interventi e quindi a selezionare le informazioni necessarie per eseguire un compito; incapacità a mantenere la concentrazione per poter portare a termine un compito, resistere alle distrazioni presenti nell’ambiente; tendenza a perdere il materiale scolastico necessario (penne, libri, quaderni); scarsa motivazione verso le attività scolastiche e difficoltà a stare al passo con i ritmi di apprendimento della classe. Iperattività. Lo studente presenta difficoltà: a rispettare le regole; a rimanere seduto per i tempi richiesti dal lavoro scolastico; agitazione sulla sedia, movimenti 19 D.M. 27/12/2012, p. 3. 57 frequenti nelle mani dei piedi; difficoltà a svolgere in modo tranquillo giochi; passaggio rapido da una attività ad un’altra senza concluderne alcuna, questo per la loro difficoltà di inibire l’attivazione spontanea dell’azione in quanto i dispositivi neuronali che presiedono alla regolazione dell’attività motoria spontanea funzionano in modo deficitario. Impulsività. Lo studente presenta difficoltà a: inibire comportamenti inappropriati, quali per esempio non aspettare il proprio turno in situazioni di gioco o di gruppo; sparare una risposta prima che sia stata completata la domanda; incapacità a costruire e mantenere positive relazioni con i coetanei; difficoltà nell’autocontrollo o nella programmazione di attività complesse. In allegato sono riportate alcuni esempi di schede operative. Spesso l’ADHD è associato ad altri disturbi, secondo uno studio del 2005 nel 70% dei casi20; inoltre si stima che il disturbo è presente in circa l’1% della popolazione scolastica, quasi 80.000 alunni secondo l’ISS, in forma tale da compromettere il percorso scolastico. Le caratteristiche secondarie del disturbo sono: – disturbi specifici di apprendimento e/o scarso rendimento scolastico in merito al modo in cui lo studente svolge il lavoro che gli è stato assegnato; – scarsa opinione di sé e bassa autostima in seguito ai continui insuccessi ed alla difficoltà nel valutare i risultati ottenuti in base allo sforzo compiuto; – difficoltà relazionali con i compagni e fatica ad inserirsi in un gruppo a causa della propria incapacità nel rispettare le regole ed alla messa in atto di comportamenti inadeguati, creando tensioni nei rapporti sociali. È importante tener presente che il diverso atteggiamento che gli insegnanti assumono con lo studente disattento/iperattivo produce un forte impatto sulla modificazione del suo comportamento, infatti uno dei predittori di un miglior esito del disturbo in età adolescenziale è dato da un rapporto positivo che gli insegnanti sono riusciti a stabilire con lo studente durante gli anni della scuola dell’obbligo (Taylor et al., 1996). L’insegnante, quindi, può aiutare lo studente a prevedere le conseguenze del proprio agito attraverso varie strategie 21 e quindi: – instaurare delle routines, ovvero delle attività che si ripetono sistematicamente perché aiutano lo studente a ricordare i suoi impegni e a pianificare in modo adeguato i tempi; – stabilire delle regole, in quanto possedere regole chiare e condivise con la classe (anche attraverso cartelloni murali) aiuta lo studente ad organizzare la sua attività scolastica in rapporto sia agli spazi che ai tempi; 20 Cfr. Disturbi dell’Attenzione e Iperattività 1/1 dicembre 2005 “Comorbilità e diagnosi differenziale del Disturbo da Deficit dell’attenzione ed iperattività: implicazioni cliniche e terapeutiche”, Ed. Erickson, Trento. 21 C. VIO, G.M. MARZOCCHI, F. OFFREDI, Il bambino con deficit di attenzione/iperattività, Ed. Erickson, Trento, 1999. 58 – offrire spiegazioni allo studente sul perché si sia verificata una determinata conseguenza in seguito ad un suo comportamento inadeguato, in modo tale da dargli indicazioni e portarlo a riflettere sul grado di correttezza del suo comportamento. Come affrontare altri svantaggi socio-economici e culturali Fanno parte di questa categoria gli studenti che vivono situazioni di disagio sociale all’interno di famiglie in condizioni economiche difficili o in povertà, studenti con genitori separati che presentano un forte conflitto tra di loro, studenti con dif - ficoltà linguistiche che derivano dall’appartenere ad altre culture, studenti adottati e immigrati. La loro individuazione – secondo la C.M. n. 8/2013 – deve essere fatta: «Sulla base di elementi oggettivi, come ad esempio la segnalazione degli operatori dei servizi sociali, ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche». In mancanza di una diagnosi o di una certificazione la Circolare ministeriale assegna ai Consigli di classe la possibilità di riconoscerli come BES, sulla base di motivazioni che seguano precise considerazioni pedagogiche e didattiche che vanno sottoscritte e comunicate alla famiglia. 59 A. Esempi di schede operative per la rilevazione dei disturbi di attenzione e iperattività o impulsività Indici da osservare per: Disattenzione Non riesce a stare attento a lungo Viene distratto con molta facilità da stimoli esterni ed interni Commette errori di distrazione L’attenzione è fluttuante per cui tende a seguire in ritardo le spiegazioni o ad eseguire un compito Non è capace di organizzarsi nei compiti Non segue le istruzioni Non è in grado di reggere impegni eccessivi È sbadato nelle attività quotidiane Evita i compiti che richiedono uno sforzo mentale prolungato Non ascolta quando gli si parla direttamente Iperattività Non riesce a stare seduto, si agita o si dimena sulla sedia Si alza quando dovrebbe restare seduto Corre o si muove in modo irrequieto in situazioni sociali in cui questi comportamenti non sono adeguati Presenta difficoltà a giocare in silenzio Si muove come se fosse “guidato da un motorino” È logorroico Impulsività Risponde in modo impulsivo e sbadato prima che sia stata completata la domanda Ha difficoltà ad aspettare il proprio turno Si intromette o interrompere i discorsi degli altri Allegati 60 Cosa fare per... Problema: Catturare l’attenzione ed evitare cadute attentive Strategie possibili Cercare di stimolare la curiosità, per esempio lasciando volutamente alcuni punti oscuri sugli argomenti trattati, in modo che gli studenti pongano domande; alternare la spiegazione tra argomenti interessanti e altri che lo sono di meno; usare la mimica, adottare un atteggiamento un po’ teatrale e humouristico; usare un tono di voce vivace e variato, per attirare l’attenzione su frasi importanti al fine di far cogliere il senso generale di un argomento; usare segnali verbali chiari quali: “aprite bene le orecchie”, “state molto attenti perché quello che dirò è fondamentale per capire il resto dell’argomento”; usare il contatto oculare, soprattutto con gli alunni più disattenti; permettere l’uso di auricolari per ascoltare la lezione senza distrarsi. Focalizzare l’attenzione Essere sempre visibili a tutti gli alunni ed assicurarsi che la propria voce sia ben udibile e non subisca l’interferenza di altri fonti di rumore; far sedere gli alunni più disattenti davanti; dopo aver dato le istruzioni per un compito chiedere di ripeterle; usare un fascio di luce o pointer a laser rosso, per evidenziare gli stimoli più rilevanti; offrire esemplificazioni e dimostrazioni pratiche di un concetto; raffigurare i concetti e le parole chiave alla lavagna; usare supporti visivi: parole chiave colorate alla lavagna, semplici schemi, gesti esemplificativi e facili da ricordare. Mantenere l’attenzione Muoversi nella classe rimanendo ben visibili; evitare i tempi vuoti; definire chiaramente i tempi previsti per le attività della giornata; utilizzare domande aperte e stimolare al ragionamento, in modo che gli alunni diano diverse risposte e desiderino partecipare alla discussione: ridurre il tempo della spiegazione orale e lasciare spazio ai commenti ed alle dimostrazioni pratiche; richiamare immediato se il ragazzo si distrae o disturba (non è necessario il richiamo verbale, si può anche toccare lievemente la spalla, continuando ad andare avanti); suddividere in piccole unità i compiti da memorizzare, invece di presentarli per intero (soprattutto per i più disattenti). Rendere più motivanti e coinvolgenti le attività e stimolare il “conflitto socio-cognitivo” Proporre gruppi cooperativi; avviare un progetto di tutoring (aiuto da un compagno con un buon rendimento scolastico e adeguate abilità sociali) anche per migliorare l’integrazione sociale; 61 usare supporti diversificati (filmati, computer e proiettore); se possibile assegnare prima il compito meno gradito e poi quello più piacevole; rinforzare regolarmente (soprattutto quelli più disattenti e poco motivati) dopo un determinato numero di compiti svolti accuratamente e con un certo impegno; avviare un programma di token economy o di costo della risposta. Strutturare i materiali e le attività e riorganizzare le conoscenze Dare istruzioni semplici, chiare e globali, senza fermarsi troppo sui dettagli; abituare lo studente con ADHD a porsi domande; permettere l’uso del computer, per favorire la riorganizzazione delle conoscenze; assegnare compiti dove sia chiara la struttura globale ed enfatizzate le parti rilevanti. Completamento e consegna puntuale dei compiti Abituare all’uso di promemoria, magari appuntati su fogli colorati; incollare nel diario schede illustrate o liste per favorire il ricordo dei materiali da portare a scuola ogni giorno; quaderni e cartelline di ciascuna materia contraddistinti da colori diversi. Problema: Ridurre l’iperattività Strategie per sostenere lo studente con ADHD Come premio: permettere di alzarsi per un po’, rimanendo in silenzio, quando è stato terminato un compito, per far “scaricare” l’energia in eccesso. Come risposta alle istruzioni: impostare le lezioni perché incoraggino la risposta attiva (parlare, lavorare alla lavagna, ecc.). Ridurre l’impulsività nella risposta Elaborare delle regole insieme alla classe per decidere come intervenire per parlare, premiando coloro che le seguono e monitorando attentamente anche i più piccoli miglioramenti Migliorare la calligrafia Abbassare lo standard richiesto, soprattutto per il corsivo; lodare per gli elaborati più curati; usare una carta speciale con bordi a rilievo; fare da modello per le autoistruzioni verbali; uso del computer o della macchina da scrivere per migliorare la qualità degli elaborati. Fonti: Vanini; Stormont-Spurgin, 1999, Marzocchi, Molin e Poli, 2000; Di Pietro, Bassi e Filoramo, 2000; Cornoldi et al., 2001; Kvilekval, 2002; Carbone, 2002. Si consiglia infine il programma “Attenzione e metacognizione”, utile per migliorare le abilità di concentrazione di tutta la classe e focalizzato sull’importanza di rendere gli alunni consapevoli delle varie componenti dell’attenzione e delle relazioni che essa intreccia con altre funzioni cosiddette “superiori” (memoria, motivazione, comprensione, ecc.) (Marzocchi, Molin e Poli, 2000). 62 63 64 REGIONE DENOMINAZIONE INFORMAZIONI ENTE PRATICA/PROGETTO AREE DI INTERVENTO 7. Veneto C.F.P. “FRANCESCO D’ASSISI” Via Bordin 7, 35010 Cadoneghe (PD) Tel. 049.8872220 info@francescodassisi.org www.francescodassisi.org Dal 1988 il Centro di Formazione Professionale (CFP) “Francesco d’Assisi” realizza corsi di formazione triennali nell’ambito dell’agricoltura biologica e della trasformazione dei suoi prodotti. Dal 2004 la Cooperativa Sociale è gestita dalla Cooperativa Sociale di tipo A “ Francesco d’Assisi”, con l’accreditamento nell’ambito della formazione obbligatoria. I laboratori, previsti nel triennio di formazione, si sono via via arricchiti di attività che si collegavano alla natura specifica della scuola, quali: agricoltura biologico-sociale, trasformazione, conservazione alimentare, produzione di dolci e pasta fresca. La Cooperativa Sociale “Francesco d’Assisi” persegue da molti anni la cura della promozione umana e dell’integrazione sociale dei cittadini, proponendo servizi educativi e formativi per facilitare l’inserimento nella comunità di persone svantaggiate, con problemi personali e/o relazionali. Per completare la sua opera di recupero e inclusione, la Cooperativa intende anche offrire opportunità lavorative che siano una concreta occasione di ingresso nella vita attiva, per il perseguimento della maggior autonomia individuale possibile. A tale scopo ha iniziato un’attività di agricoltura biologica volta a rafforzare il senso di benessere, offrendo concrete opportunità di lavoro a ragazzi che concludono il percorso formativo. - Area “dipendenze e disabilità” 8. Friuli Venezia Giulia CIVIFORM Viale Gemona 5, 33043 Cividale del Friuli (UD) Tel. 0432.705811 info@civiform.it www.civiform.it Il Centro nasce nel 1955 quando l’E.F.A. (Ente Friulano Assistenza) fonda un centro di formazione professionale, conosciuto prima come C.A.P., Centro Addestramento Professionale, poi come C.F.P, Centro Formazione Professionale e, oggi, come Civiform. Dapprima nascono i corsi di qualificazione professionale per elettricisti e meccanici, inizialmente destinati ad aiutare gli orfani del convitto ad inserirsi nel mondo del lavoro. Nei decenni il Centro si è aperto a ragazzi provenienti da altre parti d’Italia e dalla fine anni’90, ai minori stranieri non accompagnati, in virtù di convenzioni con i comuni del territorio. Nel corso degli anni l’offerta formativa è andata arricchendosi: oggi riguarda i settori edile, legno, alimentare, grafico, turistico alberghiero e benessere. Oltre alle attività di formazione professionale, il centro offre servizi per l’orientamento e l’accoglienza. Tra le varie attività del Centro, che peraltro è iscritto all’Albo regionale degli enti che operano per l’immigrazione e al Registro Ministero della Solidarietà sociale per gli enti e delle associazioni che svolgono attività a favore degli immigrati: - Una scuola in regola: studenti con la patente! Progetto volto a promuovere l’integrazione scolastica degli allievi della formazione professionale attraverso una patente del comportamento costruita attorno al concetto di regola/sanzione/premio. - ROP - Rimotivazione e orientamento professionale Programma specifico n. 6 bis - Percorsi di istruzione rivolti agli alunni sprovvisti del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione. - Formazione per sostenere il collocamento mirato dei disabili (Programma specifico 20): Civiform collabora con la Provincia di Udine, le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali del territorio nel Programma specifico 20 (ex Linea di Intervento n.20) con azioni formative finalizzate a sostenere il collocamento mirato dei disabili. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” -Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” 9. Friuli Venezia Giulia C.F.P. (CNOS-FAP) “BEARZI” Via Don Bosco 2, 33100 Udine Tel. 0432.493971 segreteria.cfp@bearzi.it http://cfp.bearzi.it/index.php Il CFP CNOS-FAP Bearzi opera nel territorio con le specializzazioni di elettrotecnica, meccanica e informatica. Nel corso degli anni si è via via rinnovato per rispondere in modo sempre vivo e adeguato alle nuove esigenze della persona, del cittadino e del lavoratore. Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” -Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” 65 REGIONE DENOMINAZIONE INFORMAZIONI ENTE PRATICA/PROGETTO AREE DI INTERVENTO 10. Friuli Venezia Giulia IPSIA DI BRUGNERA E SACILE Via Stadio, 33077 Sacile (PN) Tel. 0434.733429 www.ipsiabrugnera.it L’Istituto Professionale Produzioni Industriali e Artigianali di Brugnera e Sacile offre i seguenti percorsi formativi: - Indirizzo “Manutenzione ed Assistenza Tecnica” opzione “Apparati, impianti e servizi tecnici industriali e civili” attivato nella sede di Sacile; - Indirizzo “Produzioni Industriali e Artigianali” opzione “Arredi e Forniture d’Interni” attivato nella sede di Brugnera. L’Istituto prevede specifiche azioni nei seguenti ambiti: attività di orientamento in entrata e in uscita; integrazione degli alunni diversamente abili; interventi didattici predefiniti per allievi con D.S.A. certificati e allievi con A.D.H.D. certificati; Accoglienza ed integrazione alunni stranieri. Nello specifico le attività previste riguardano: accoglienza e orientamento alla scuola degli alunni stranieri e delle loro famiglie; corsi di apprendimento e consolidamento della lingua italiana per stranieri (L2); educazione interculturale con particolare riguardo alle classi prime; incontri di Mediazione linguistico culturale; convenzione con il C.T.P. di Sacile per il conseguimento dell’esame di licenza media. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” - Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” 11. Trentino Alto Adige C.F.P. “G. VERONESI” P.le Orsi 1, 38068 Rovereto (TN) Tel. 0464.433484 segreteria.dir@cfpgveronesi.it www.cfpgveronesi.it Nato nel 1953 per iniziativa del Comune di Rovereto, il Centro Formazione Professionale G. Veronesi ha da sempre caratterizzato la sua attività formativa come risposta alla domanda di figure professionali specifiche proveniente dal mondo dell’industria e dell’artigianato. Attività per alunni con bisogni speciali: il C.F.P. realizza una serie di interventi sperimentali rivolti agli allievi portatori di Bisogni Educativi Speciali (disabilità certificata e disagio legato a particolari condizioni sociali o ambientali) con l’obiettivo di favorirne la piena integrazione, attraverso la strutturazione di un progetto personalizzato che prevede un orario specifico, con attività diverse ed integrative da svolgere sia in orario scolastico che in orario extrascolastico. Iniziative per gli studenti stranieri: il C.F.P. propone laboratori linguistici e tutte le azioni necessarie per favorire l’inserimento all’interno della scuola (e nel tessuto sociale) di questi studenti e il loro apprendimento. I corsi hanno destinatari e contenuti differenziati: studenti arrivati da poco in Italia con insufficiente padronanza della lingua, studenti con già una discreta conoscenza della lingua, studenti con una buona dimestichezza con la lingua italiana ma esprimono difficoltà con la lingua dello studio. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” 12. Trentino Alto Adige ENAIP TRENTINO Via Madruzzo 41, 38100 Trento Tel. 0461.235186 enaiptrentino@enaip.tn.it www.enaiptrentino.it L’ENAIP Trentino opera nella provincia di Trento e concorre all’erogazione dell’offerta di formazione rientrante nel diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione nel rispetto delle norme in vigore. L’ENAIP Trentino realizza le proprie attività istituzionali, pedagogiche e didattiche attraverso una articolata presenza sul territorio provinciale. La presenza territoriale di ENAIP Trentino è strutturata su una Sede di Ente cui fanno capo, sia sotto l’aspetto amministrativo che organizzativo, nove “Centri di Formazione Professionale ENAIP” (CFP Enaip): Arco, Borgo Valsugana, Cles, Ossana, Primiero, Riva del Garda, Tesero, Tione e Villazzano. Protocollo di accoglienza per gli alunni stranieri: ha lo scopo di garantire stili e procedure di accoglienza presso tutti i CFP Enaip che consentano corrette modalità di inserimento ed efficaci pratiche inclusive a favore degli allievi e delle allieve, nonché la promozione del dialogo interculturale a favore dei ragazzi e delle ragazze, delle famiglie e del territorio. Linee guida per la progettazione inclusiva “InclusivamEnte”: linee guida per la progettazione e la documentazione di percorsi di integrazione e di inclusione degli studenti con bisogni educativi speciali, al fine di organizzare risposte adeguate volte al miglioramento della didattica e dell’organizzazione degli interventi. Progetto Educativo di Ente: tra gli scopi perseguiti dall’Ente trova ampio spazio l’educazione alla convivenza ed all’interculturalità intesa come accettazione e valorizzazione di ogni diversità in un’ottica di integrazione ed inclusione sociale, formativa e professionale. Sono previste specifiche attività volte all’inclusione formativa e sociale ed alla formazione solidale ed interculturale. - Area “giovani di origine straniera” - Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” 66 67 68 REGIONE DENOMINAZIONE INFORMAZIONI ENTE PRATICA/PROGETTO AREE DI INTERVENTO 19. Emilia Romagna CNOS-SALESIANI CASTEL DE’ BRITTI Via Idice 27, Castel de’ Britti 40068 San Lazzaro di Savena (BO) Tel. 051.6288526 direttore.casteldebritti@salesiani.it www.salesianicasteldebritti.it Dal 19/08/2013 il Centro e la Comunità Salesiana hanno ottenuto la licenza per “CASA FAMIGLIA” ed ospitano con decreto del tribunale dei minori di Bologna 8 ragazzi, minori non accompagnati e/o segnalati dai servizi sociali territoriali di Bologna Sud. Il Centro organizza, come sede distaccata del CNOS di Bologna, corsi di Formazione Professionale, biennale con apertura al triennio, per Operatori del legno, dell’arredamento, del restauro e Operatori manutentori Termoidraulici, con insegnanti e istruttori di laboratorio per lo più di formazione salesiana. Oltre ai percorsi di Formazione Professionale, si organizzano attività ricreative e sportive, “quattro GIORNATE DELL’AMICIZIA” nel mese di Aprile per tutti e nel mese di Agosto la settimana in montagna per i ragazzi che vivono al Centro. Significativa è l’esperienza delle OLIMPIADI che si tengono a Marzo, che sono una grande festa di unità tra i popoli, le razze e le religioni. Le Nazioni rappresentate al Centro attualmente sono 24. - Area “giovani di origine straniera” 20. Lombardia E.C.FO.P. – Ente Cattolico di Formazione Professionale Via Luciano Manara 34, 20900 Monza (MB) Tel. 039.323670 info@ecfop.it www.ecfop.it Il Centro di Formazione Professionale di S. Biagio, poi denominato E.C.Fo.P., fu fondato nel 1955, per iniziativa dell’omonima parrocchia e su richiesta del territorio e in particolare della Philips. Oggi E.C.Fo.P, s’inserisce nella proposta educativa del diritto e dovere d’istruzione, dell’obbligo formativo, della formazione continua e superiore, attraverso l’attuazione di corsi finanziati dalla Regione Lombardia. La missione principale di E.C.Fo.P. è quella di fornire un’accurata gamma di servizi formativi finalizzati alla crescita globale della persona. Tra questi: - Interventi di recupero e di integrazione: l’organizzazione di attività legate al recupero delle carenze e, più in generale, al rafforzamento degli apprendimenti, è un obiettivo che la strutturazione dei corsi presente come esigenza intrinseca, soddisfatta grazie all’area della personalizzazione; - Attività di orientamento come una “modalità educativa permanente”; - Attività di accoglienza, integrative e di sostegno. - Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” 21. Lombardia C.F.P. “GIUSEPPE ZANARDELLI” Via Fausto Gamba 10/12, 25128 Brescia Tel. 030.3848542 brescia@cfpzanardelli.it www.cfpzanardelli.it Il Centro Formativo Provinciale Giuseppe Zanardelli è l’azienda speciale della Provincia di Brescia per l’individuazione, la promozione e l’erogazione di servizi pubblici locali orientativi e formativi nell’ambito della qualificazione e riqualificazione professionale. - Progetto Diversamente Uguali: è finalizzato a riconoscere il ruolo degli stereotipi durante il processo di formazione dell’identità di genere: tappa di crescita che ogni adolescente è chiamato a svolgere durante il suo personale percorso di vita. - Progetto “Ri-conoscere tra appartenenza e complessità: la scuola come luogo risorsa delle differenze”, un percorso narrativo di inclusione sociale. - Progetto POP2 – pari opportunità nei percorsi degli adolescenti stranieri nella istruzione e formazione professionale (il cfp è partner del progetto). - Area “giovani di origine straniera” - Area “pari opportunità” 69 REGIONE DENOMINAZIONE INFORMAZIONI ENTE PRATICA/PROGETTO AREE DI INTERVENTO 22. Piemonte CIOFS-FP PIEMONTE Piazza Maria Ausiliatrice 27, 10152 Torino Tel. 011.5211773 aciofs@ciofs.net www.ciofs.net Il CIOFS-FP Piemonte – Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – è un’Associazione senza scopo di lucro presente con 11 Sedi Operative sul territorio regionale. L’Associazione ispira la propria attività e riconosce le proprie radici storiche e motivazionali nelle scelte e nell’opera di don Bosco e di madre Mazzarello. Persegue finalità istituzionali di orientamento, formazione, aggiornamento e riqualificazione, ricerca e sperimentazione. L’attenzione alle nuove esigenze e domande del contesto sociale ed economico, coniugate con le irrinunciabili scelte vocazionali della mission del CIOFS–FP Piemonte, sono alla base dello sforzo di adeguamento strutturale, rinnovamento metodologico e contenutistico, sviluppo tecnico e psico-pedagogico che caratterizza il cammino dell’Associazione. Il CIOFS-FP Piemonte si rivolge con particolare attenzione alle donne per supportarne i processi formativi, di inserimento lavorativo e presenza sociale. - Progetto: Riesci a conciliare i tempi? Sistema Informativo Conciliazione dei Tempi e Pari Opportunità, realizzato nell’ambito del progetto Equal Sintonie. Attività di orientamento: - Progetto LAPIS (LAboratori Per Il Successo): attività didatticoeducative personalizzate. - Progetto per la lotta alla dispersione scolastico-formativa e al rischio di esclusione dal mercato del lavoro: percorsi individualizzati di ri-orientamento e ri-motivazione alla formazione e di rafforzamento dell’occupabilità. -Progetto finalizzato all’occupabilità attraverso il tirocinio formativo e di orientamento per giovani: percorsi individualizzati di ri-orientamento e rinforzo competenze per l’inserimento in tirocinio. - Area “pari opportunità” - Area “i percorsi di orientamento” 23. Piemonte FONDAZIONE CASA DI CARITÀ ARTI E MESTIERI ONLUS Corso Brin 26, 10149 Torino segreteria.fondazione@casadicarita.org www.casadicarita.org La Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri Onlus è un ente storico di formazione professionale no profit, di proposta cristiana, che ha come scopo l’istruzione, la formazione e la promozione professionale, umana, culturale, sociale e spirituale delle persone. Opera progettando, coordinando e realizzando attività di ricerca, di orientamento, di istruzione e formazione, di aggiornamento e di accompagnamento al lavoro. La formazione al lavoro, il sostegno all’inserimento e alla crescita professionale e sociale delle persone, la valorizzazione e l’aggiornamento delle risorse umane lungo tutto l’arco della vita, consentono alla Casa di Carità di promuovere lo sviluppo e l’innovazione dei territori in cui opera, in un’ottica di responsabilità e solidarietà, con attenzione particolare e privilegiata a chi è a rischio di emarginazione. - La Fondazione opera con diversi progetti nell’area migranti, in particolar modo rivolti a persone immigrate in particolari situazioni di disagio ed al rafforzamento delle competenze linguistiche. Tra questi: progetto LIFT, Lavoro Immigrazione Formazione Tirocini. Interventi finalizzati all’inserimento lavorativo di immigrati extracomunitari, in particolare titolari e richiedenti protezione internazionale, per migliorare la loro condizione sociale ed occupazionale e contrastare fenomeni di sfruttamento, lavoro nero ed esclusione sociale. - La Fondazione opera con diversi progetti nell’area delle Pari opportunità (es. progetto WOW - Wide Opened Walls (Muri Spalancati). - Sono previste iniziative specifiche per i soggeti diversamente abili con interventi rivolti al rafforzamento dell’occupabilità ad a supporto dell’inserimento lavorativo. - Sono, inoltre, previste iniziative specifiche per l’orientamento. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” - Area “i percorsi di orientamento” - Area “pari opportunità” 24. Piemonte ENGIM PIEMONTE “ARTIGIANELLI” TORINO Corso Palestro 14, 10122 Torino Tel 011.5622188 info.torino@engim.it torino.engim.it ll Centro Servizi Formativi “ARTIGIANELLI” è la sede di Torino di ENGIM Piemonte. L’ENGIM Torino progetta e realizza attività di formazione e di orientamento professionale finanziate dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino, dal Ministero del Lavoro, dal Fondo Sociale Europeo. Organizza inoltre, su richiesta di aziende, enti, associazioni locali e privati, corsi di aggiornamento, riqualificazione, formazione continua. ENGIM Piemonte si è dotato di un Sistema Qualità Certificato ed è accreditato presso la Regione Piemonte per la Formazione e l’Orientamento. Tra le varie aree di attività e corsi proposti: - Corsi per Fasce deboli: attività con professionisti specializzati ed in collaborazione con i servizi territoriali per realizzare percorsi per disabili intellettivi. - Progetto autismo: ENGIM Piemonte - Artigianelli è stato il primo ente di formazione professionale in Piemonte (il secondo in Italia) ad avviare, nel 2011, un corso di formazione per l’inserimento lavorativo di ragazzi/e con disturbi pervasivi dello sviluppo.- Azioni di orientamento, sviluppata su tre assi portanti: accoglienza e prima informazione (sportello orientamento); contrasto alla dispersione scolastica; sostegno all’inserimento lavorativo. - Area “dipendenze e disabilità” - Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” - Area “transizione scuola-lavoro” 70 53 REGIONE DENOMINAZIONE INFORMAZIONI ENTE PRATICA/PROGETTO AREE DI INTERVENTO 25. Piemonte ASSOCIAZIONE “COMETA “ Via Madruzza 36, 22100 Como Tel. 031.520717 info@puntocometa.org www.puntocometa.org Cometa è una realtà di famiglie impegnate nell’accoglienza, nell’educazione e formazione di bambini e ragazzi e nel sostegno delle loro famiglie. La Scuola Oliver Twist offre corsi quadriennali di istruzione e formazione professionale (Tessile, Legno e Ristorazione) a studenti tra i 14 e i 18 anni, con un modello dove il lavoro diventa un’opportunità formativa ed educativa. La Scuola Oliver Twist di Cometa offre diversi percorsi formativi: - Scuola Professionale, con percorsi di formazione professionale per i ragazzi in obbligo formativo; - Scuola su Misura, percorsi su misura di formazione tecnica e di accompagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro; - Cometa Academy, percorsi di formazione professionale per coloro che, pur avendo ottenuto un diploma o una qualifica, faticano a inserirsi nel mondo del lavoro. Tra le principali attività di cometa: - centro di aiuto allo studio e servizi di orientamento; - sportello legale, counseling e mediazione familiare; - formazione professionale e percorsi di contrasto alla dispersione scolastica; - attività sportive ed estive; - accompagnamento al lavoro. - Area “i percorsi di orientamento” - Area “drop out scolastico” - Area “transizione scuola-lavoro” 26. Lazio ISTITUTO SALESIANO (CNOS-FAP) “PIO XI” Via Umbertide 11, 00181 Roma Tel. 06.7842551 direzione.pio@cnos-fap.it www.cfp-pio.it/nuovo L’Opera Salesiana Pio XI, iniziata nel 1928 e ultimata nelle sue strutture principali nel 1936, fu intitolata al Pontefice della beatificazione e canonizzazione di don Bosco. Negli anni ‘60 e ‘70 si adeguarono le strutture dell’Avviamento e della Scuola Tecnica e nacque il Centro di Formazione Professionale, dotato dei settori grafico e meccanico. La scuola, la Formazione Professionale e gli altri settori operativi del Pio XI oggi appaiono una realtà ben radicata nel contesto locale. L’istituto prevede una specifica area nel sito web istituzione che raccoglie le offerte di lavoro, promuove inoltre il profilo dei ragazzi (portfolio dei ragazzi). In linea con la mission dell’Associazione CNOS – FAP Regione Lazio di cui l’istituto è parte, sono previste attività nell’ambito dei servizi orientativi (svolta attraverso le attività coordinate dai Tutor nominati e con il supporto della Sede orientativa del Borgo Ragazzi Don Bosco), servizi connessi all’inserimento lavorativo. L’istituto pone particolare attenzione alle utenze più deboli, riconosciute come utenze speciali. - Area “dipendenze e disabilità” - Area “i percorsi di orientamento” - Area “transizione scuola-lavoro” 27. Lazio ISTITUTO SUPERIORE STATALE “CARLO CATTANEO” Lungotevere Testaccio 32, 00153 Roma Tel. 06.121126625 sedecentrale@ipsiacattaneo.it http://www.ipsiacattaneo.it/home/ L’Istituto Professionale per l’Industria e per l’Artigianato “Carlo Cattaneo” di Roma è un istituto professionale che forma tecnici qualificati nel settore meccanico e nel settore elettrico-elettronico. Dall’anno scolastico 2010/2011, in base alla Riforma del II ciclo di istruzione e formazione, l’Istituto si è inserito – ad iniziare dalle classi I - nel nuovo percorso curricolare dell’indirizzo “Manutenzione e assistenza tecnica” (MAT) del settore “Industria e Artigianato” ed è diventato un Istituto professionale finalizzato al conseguimento di un diploma quinquennale con percorsi articolati in due bienni e un quinto anno. Dal 2010/2011 l’istituto ha inoltre aderito all’offerta sussidiaria integrativa regionale e rilascia le qualifiche di: Operatore alla riparazione dei veicoli a motore, Operatore meccanico, Operatore termo-idraulico, Operatore elettrico ed Operatore elettronico. Specifica previsione nel Pof della sezione “Attività formative per una didattica inclusiva “. Sono previste specifiche attività per alunni con Bisogni Educativi Speciali: - attività d’integrazione per gli alunni in situazione di disabilità; - attività d’integrazione per gli Alunni con Disturbo specifico dell’ apprendimento. Sono inoltre previste iniziative volte all’accoglienza e alla prevenzione del disagio e del recupero scolastico, oltre ad azioni specifiche rivolte agli Studenti di lingua non italiana (è previsto un Protocollo di Accoglienza degli studenti stranieri). L’istituto ha attivato, per le diverse tipologie di studenti migranti, numerosi interventi in rete, stipulando Protocolli di Intesa e Accordi di programma con varie Istituzioni scolastiche e formative e con strutture di accoglienza e di assistenza a migranti e giovani in difficoltà per interventi di orientamento allo studio e di accompagnamento al rientro in formazione. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” - Area “i percorsi di orientamento” 71 REGIONE DENOMINAZIONE INFORMAZIONI ENTE PRATICA/PROGETTO AREE DI INTERVENTO 28. Lazio BORGO RAGAZZI DON BOSCO Area Educativa “Rimettere le ali” Via Prenestina 468, 00171 Roma Tel. 06.25212599 rimettereleali@borgodonbosco.it http://borgodonbosco.it/ Il Centro polifunzionale diurno del Borgo ragazzi Don Bosco, situato nel quartiere Centocelle di Roma, è un servizio polifunzionale diurno per minori italiani e stranieri soggetti a provvedimenti penali con misure alternative al carcere o provenienti dall’area della dispersione scolastica. All’interno del Borgo il Centro è inserito nell’area “emarginazione e disagio” denominata “Rimettere le ali”, insieme alla Casa Famiglia, il movimento famiglie affidatarie, la Skolè, l’S.O.S ascolto giovani. Il Centro svolge vari servizi unitari, suddivisi in diversi settori. Area penale: i destinatari sono minori, maschi e femmine, soggetti a provvedimenti penali alternativi al carcere, di età compresa tra i 14 e 18 anni (anche oltre se hanno commesso il reato nella minore età), inviati al centro dai Servizi Sociali della Giustizia Minorile. All’interno dell’area vi è una sezione particolare: il Gruppo Nomadi, per il quale è organizzato un servizio specifico. Scuola popolare Multietnica: accoglie minori e giovani provenienti dall’area della dispersione scolastica e da gravi situazioni di disagio sociale e culturale. Corsi base di formazione professionale e di avviamento al lavoro (meccanica, ristorazione, estetista, cucito). Skolé: i destinatari sono minori stranieri di prima e di seconda generazione, accompagnati e non, per favorire i processi di integrazione scolastica, linguistica e sociale; offre recupero scolastico, insegnamento della lingua italiana, laboratori ludico-ricreativi e accompagnamento allo studio. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” - Area “drop out scolastico” 29. Campania Centro diurno polifunzionale per minori a grave rischio di devianza “LE ALI” - ISTITUTO SALESIANO “E.MENICHINI” Via Don Bosco 8, 80141 Napoli Tel. 081.7511340 zifonso@libero.it http://www.exallievivillafavorita. net/villa/leali.php Il Centro polifunzionale multietnico diurno per i minori a grave rischio di devianza, attivato da meno di tre anni, accoglie minori soggetti a provvedimenti penali o a forte rischio di devianza, giovanissimi e adulti dell’area estrema del disagio. Sono stati stipulati protocolli di intesa con i Centri Giustizia minorile della Giustizia e con scuole pubbliche e private, per il riconoscimento dei titoli di studio. È accreditato presso la Regione Campania e il Municipio di Napoli. È sede riconosciuta dalle facoltà Universitarie territoriali per i tirocini previsti dalle Scienze umaniste, pedagogiche, e psicologiche. L’obiettivo del Centro è il conseguimento della Licenza Media o della qualifica professionale di cucina, sala-Bar e reception. Nello specifico, il servizio formativo offerto dal Centro si articola nelle seguenti aree. Sostegno psico-educativo: colloqui mirati con l’obiettivo di scoprire insieme le difficoltà di apprendimento, i disturbi del comportamento e avviare una revisione della sua storia personale - familiare e del proprio stile di vita. Formazione culturale, finalizzata al recupero scolastico, attraverso progetti personalizzati, rivolti al conseguimento della licenza media. Avviamento al lavoro, attraverso corsi integrati di formazione base, che prevedono una fase teorica, al Centro, laboratori in istituti statali e pratica esterna, con tirocini guidati. Sostegno ai genitori - famiglie in difficoltà. Emergenze: interventi a richieste svariate di “bisognosi”. - Area “giovani di origine straniera” - Area “dipendenze e disabilità” - Area “drop out scolastico” 30. Puglia I.R.F.I.P. ISTITUTO RELIGIOSO DI FORMAZIONE ED ISTRUZIONE PROFESSIONALE V. Arco Ducale SN, 71038 Pietramontecorvino (FG) Tel. 0881.519161 segreteria@irfip.it www.irfip.it L’I.R.F.I.P. - Istituto Religioso di Formazione ed Istruzione Professionale è un’Associazione riconosciuta senza scopo di lucro, costituita nel maggio del 2004 su iniziativa del Parroco Don Vito Ciullo. L’I.R.F.I.P. è un Ente di Formazione riconosciuto dalla Regione Puglia ed inserito nell’elenco degli Enti accreditati pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 9 del 18 gennaio 2005 (Codice accreditamento: 052). L’Ente ha aderito a Scuola Centrale Formazione (SCF) e alla Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale (CONFAP). I quattro assi di interesse dell’I.R.F.I.P. sono: la formazione superiore; l’obbligo formativo; l’area dello svantaggio; la formazione ad occupati ed inoccupati. Progetto P.O.L.I.S. ( Percorsi di Orientamento al Lavoro e per l’Inclusione Sociale): intende fare fronte alla richiesta di sostegno e aiuto per affrontare le dinamiche complesse legate all’inclusione sociale e all’ingresso nel mercato del lavoro che non possono essere supportate con successo né dai servizi territoriali e dal privato sociale da un lato, né dalle già esistenti Agenzie per il lavoro private e dai CpI dall’altro lato. Il Progetto focalizza l’attenzione sulle opportunità di inclusione sociale e di occupazione delle persone in situazione di povertà e di quegli utenti dei servizi sanitari (DSM e Dipartimento per le Dipendenze Patologiche) e dei servizi sociali comunali che presentano diversi tipi di disagio sociale: donne sole con figli; minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare; adulti che vivono soli con una o più persone minori o non autosufficienti a carico; persone affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handicap intellettivo con una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 45%. - Area “dipendenze e disabilità” - Area “drop out scolastico” - Area “pari opportunità” 73 Introduzione “Non c’è peggiore ingiustizia del dare cose uguali a persone che uguali non sono”. Don Lorenzo Milani Questa guida può essere considerata l’appendice operativa del report sull’“Educazione ed Inclusione Sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP”, essa infatti prende spunto dalle riflessioni teoriche contenute nel report per individuare degli strumenti di carattere operativo. Ulteriore fonte di ispirazione è l’Index per l’Inclusione 22, documento messo a punto dal Centre for Studies on Inclusive Education (CSIE) che offre una serie di materiali a supporto di quelle scuole che si pongono l’obiettivo di diventare inclusive o maggiormente inclusive. I concetti base di questi documenti, che vorremmo sottolineare nella prospettiva di favorire l’inclusività dei Centri di Formazione Professionale, sono soprattutto due: innanzitutto il termine “inclusione” non è associato ad allievi che hanno problematiche fisiche, psichiche, culturali o sociali particolari ma è alla base di un modello organizzativo, pedagogico e didattico che mira all’inclusione e all’educazione di tutti gli studenti, abbiano essi bisogni educativi speciali o no. In particolare, l’Index propone un’ottica inclusiva verso tutti i soggetti che partecipano alla vita scolastica, comprendendo famiglie e docenti. In secondo luogo essi offrono degli strumenti che aiutano le scuole, quindi anche i CFP, ad intraprendere un’autovalutazione del proprio livello di inclusività e, a seguire, una scelta delle attività che potrebbero migliorarla. In questo processo di auto- analisi vengono coinvolti tutti i soggetti che ruotano attorno alla formazione dei ragazzi: dirigenti, insegnanti, allievi, genitori, esperti e risorse del territorio, tutti chiamati a riflettere e a dare il proprio contributo alla creazione di una scuola più accogliente e democratica. Nel consultare la presente guida vi invitiamo a mantenere questo punto di vista che è rispettoso del livello di partenza, dei bisogni e delle possibilità di ogni centro formativo, sia di quelli che affrontano l’argomento per la prima volta che di quelli che hanno già fatto molti passi avanti in tal senso, affinché ci possa essere un’integrazione ottimale tra quanto proposto e le “normali” attività formative. Ogni scheda dunque potrà essere molto utile per un Centro di Formazione Professionale e poco significativa per un altro. Guida operativa 22 Index for Inclusion: developing learning and participation in schools (revised edition 2002) written by Tony Booth and Mel Ainscow; Traduzione italiana © 2008 Edizioni Erickson. 74 Gli strumenti che proponiamo sono tratti, oltre che dal report e dall’Index, da altre ricerche, sperimentazioni e proposte che sono comunque congruenti con quest’ottica e che possono trovare applicazione nei Centri di Formazione Professionale. Quelli che presentiamo sono degli esempi di quanto si può trovare all’interno dei documenti consultati e dei quali abbiamo inserito i riferimenti necessari affinché, per chi lo desidera, sia possibile un approfondimento. Le tre aree in cui sono stati suddivisi i materiali sono: 1) Area politica, prende in considerazione il progetto complessivo su cui si fonda l’ente formativo e in base al quale vengono fatte scelte, prese decisioni e indotti cambiamenti; 2) Area pratica, ovvero le attività che possono essere realizzate; 3) Area culturale, ovvero i valori e le convinzioni che ispirano gli enti formativi e le persone che vi operano. Queste stesse aree sono riproposte anche da Roberto Medeghini in “Includere più che integrare”23. La finalità è quella di consentire un esame e una riflessione sulla scuola per favorire l’apprendimento e la partecipazione da parte di tutti gli allievi così come la costruzione di una comunità solidale. Dunque, non solo il miglioramento degli apprendimenti da parte del singolo ma anche il miglioramento dell’ambiente nel suo insieme. Concludiamo questa breve introduzione con un manifesto della scuola inclusiva24: 23 http://www.reginamargheritapa.it/progetti/educazione_interculturale/INCLUSIONE_MEDEGHIN. pdf 24 Tratto dall’Index per l’inclusione. L’inclusione nell’educazione implica: • valorizzare in modo equo tutti gli alunni e il gruppo docente; • accrescere la partecipazione degli alunni – e ridurre la loro esclusione – rispetto alle culture, ai curricoli e alle comunità sul territorio; • riformare le culture, le politiche educative e le pratiche nella scuola affinché corrispondano alle diversità degli alunni; • ridurre gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, non solo delle persone con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali; • apprendere, attraverso tentativi, a superare gli ostacoli all’accesso e alla partecipazione di particolari alunni, attuando cambiamenti che portino beneficio a tutti gli alunni; • vedere le differenze tra gli alunni come risorse per il sostegno all’apprendimento, piuttosto che come problemi da superare; • riconoscere il diritto degli alunni ad essere educati nella propria comunità; • migliorare a scuola sia in funzione del gruppo docente che degli alunni; • enfatizzare il ruolo della scuola nel costruire comunità e promuovere valori, oltre che nel migliorare i risultati educativi; • promuovere il sostegno reciproco tra scuola e comunità; • riconoscere che l’inclusione nella scuola è un aspetto dell’inclusione nella società più in generale. 75 Nota: nel leggere la guida constaterete che molti strumenti sono stati redatti su esperienze della scuola e non della IeFP, abbiamo cercato di selezionare quelli più facilmente trasferibili alla Formazione Professionale anche se, in alcuni casi, potrebbe essere opportuno un adattamento specifico per il contesto dei CFP. 77 Produrre politiche inclusive riguarda chi ha il compito di delineare le linee guida del progetto educativo e formativo su cui il Centro di Formazione si fonda. Al di là di chi ha il ruolo e la responsabilità per decidere sarebbe importante la costituzione di un gruppo, più o meno allargato, che si incarichi di sviluppare e proporre possibili linee d’intervento. La proposta del gruppo di lavoro si ritrova in molti documenti, sicuramente nell’Index ma anche in Steps 25 e nell’“Accordo di programma provinciale per l’inclusione scolastica degli alunni disabili 2013-2015 redatto dall’Asl 5 della provincia di LaSpezia” 26 così come dal Piano Annuale Inclusività 2013-2014 dell’IIS Antonietti 27. Il gruppo di riflessione dovrebbe, da un lato, raccogliere punti di vista differenti e dall’altro farsi portatore, attraverso i propri membri, di quanto viene elaborato verso i gruppi d’interesse che ruotano attorno al CFP. A prescindere dalle persone che formeranno il gruppo quelle che seguono sono schede guida per aumentare la consapevolezza rispetto al tema dell’inclusione, per identificare l’approccio dell’ente, per monitorare le risorse a disposizione e per ipotizzare possibili piani d’azione. Iniziamo con due schede tratte dall’Index utili per mettere a fuoco il livello e le modalità d’accoglienza della scuola rispetto agli alunni del territorio e, seconda scheda, l’accessibilità dell’edificio. Ognuna di queste schede si conclude con dei puntini che offrono lo spazio a domande ulteriori utili per approfondire in maniera più mirata il tema. Area politica 25 Progetto finanziato dalla Regione Veneto “Steps – Verso un modello Veneto di servizi integrati per l’inclusione sociale e l’occupazione”. Titolarità Istituto Antonio Provolo CSF - http://www.provolo.it/ progetti-speciali.asp 26 http://www.provincia.sp.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/263 27 http://www.istruzione.lombardia.gov.it/protlo8685_13/ 78 L’elenco che segue definisce le modalità attraverso cui una scuola può raggiungere l’inclusione dei propri allievi lavorando in rete con gli altri soggetti territoriali (nell’elenco vengono citati i GLIP – Gruppo di Lavoro Interistituzionale Provinciale e i GLIR – Gruppo di lavoro Regionale Inclusione). L’elenco è tratto dell’Accordo di programma Provinciale dell’Asl 5 di La Spezia (sopra citato) e può essere utilizzato come una check list per fare una ricognizione di ciò che viene fatto nel proprio istituto. La finalità dell’inclusione è perseguita: 79 Un altro interessante spunto si trova nella ricerca ISFOL “Gli allievi di origine straniera nella IeFP: percorsi, inclusione e occupabilità” 28. Nel documento vengono individuate 4 dimensioni che determinano il livello di integrazione di allievi stranieri negli enti formativi, esse sono: 1) Il microsistema, ovvero attività che favoriscono il coinvolgimento di relazioni sempre più complesse. 2) Il mesosistema, indica le relazioni tra agenzia educativa e ambienti di sviluppo prossimale come la famiglia e il gruppo dei pari. 3) L’esosistema, identifica ambiti che non coinvolgono direttamente il soggetto ma che hanno comunque il potere di influenzarlo. 4) Il macrosistema, identifica l’insieme di valori che determinano la cultura di fondo in cui si muovono tutti i sistemi precedenti. Questi 4 indicatori vengono riassunti in una tabella dalla quale si possono estrapolare le linee guida per migliorare l’accoglienza e l’integrazione di allievi stranieri. (La tabella fa riferimento alle domande del questionario utilizzato per la ricerca, per chi fosse interessato ad approfondire è possibile trovare il link per la consultazione all’intera ricerca nell’ultimo paragrafo). 28 Collana ISFOL Research Paper numero 24 - febbraio 2015 - www.isfol.it 80 Concludiamo l’area politica rimarcando le raccomandazioni già contenute nel Report Finale a cui questa guida fa seguito – Relazione tra l’offerta formativa nell’ambito della IeFP e le pratiche inclusive Sembra esistere un forte nesso tra la tipologia, per molti aspetti peculiare, dell’utenza della IeFP e la necessità di implementare iniziative inclusive. In considerazione della forte caratterizzazione della platea degli studenti di questi percorsi formativi (alto tasso di stranieri, spesso soggetti con forme di svantaggio, ecc.) risulta importante avviare una valutazione in merito alla relazione necessaria tra attività (specifiche) finalizzate all’inclusione e la programmazione generale dell’offerta formativa. Particolare attenzione potrebbe essere posta nella definizione di pratiche inclusive “tradizionali” e di esperienze di natura diversa, in molti casi a carattere fortemente innovativo. – Aspetti organizzativi specifici: individuazione dei bisogni ed implementazione delle attività Dalle informazioni a disposizione non è sempre chiaro il processo di costruzione della specifica proposta educativa. Sembra necessario valorizzare le motivazioni alla base delle scelte effettuate e proporre un percorso specifico di analisi dei fabbisogni, con una precisa individuazione dei soggetti da coinvolgere. Ciò consentirebbe una valutazione preliminare in merito all’opportunità di avviare attività specifiche, rivolte a singole categorie o a peculiari aree di svantaggio, oppure definire interventi inclusivi in modo più generale, senza particolari distinzioni nel target dei destinatari. – Utilità dell’impiego di figure professionali specifiche Una riflessione specifica va fatta in merito all’utilità di coinvolgere, nell’im - plementazione delle attività in esame, alcune figure professionali specifiche (per esempio psicologi per le attività di orientamento o sostegno individuale, educatori 81 per attività con giovani di origini straniere, mediatori culturali, figure con competenze medico-sanitarie nel caso dei disabili, ecc.). Nel caso l’impiego di queste risorse possa rilevarsi utile, occorre certamente interrogarsi sulle possibilità e modalità di reperimento delle competenze necessarie, valorizzando reti relazionali costruite nel territorio. – Lavorare in partnership progettuali o strategiche con altri enti Le attività di IeFP (comprese quelle inclusive) sembrerebbero richiedere sempre più una prospettiva di networking tra più enti ed agenzie (locali e nazionali). Questo approccio rappresenta allo stesso tempo un forte vincolo, ma anche un’interessante opportunità. Come suggeriscono alcune prassi, sembra importante riuscire a relazionarsi con il contesto esterno, non solo in un ottica di collaborazione, con la realtà produttiva locale (ad esempio per l’attivazione di stage/tirocinio o per accordi di placemet), con le istituzioni (ad esempio per sovvenzioni o partenariati) e le realtà del terzo settore o il mondo dell’associazionismo (ad esempio per la condivisione dei servizi offerti). – Da attività di Istruzione e Formazione Professionale ad attività diverse come orientamento e intermediazione Considerato il forte orientamento professionalizzante e la forte relazione con il mondo del lavoro dei centri/istituti che si occupano di Formazione Professionale, nonché le difficoltà attuali di accesso al mercato del lavoro che interessano in particolar modo i più giovani, potrebbe meritare una riflessione specifica l’opportunità (o meno) di ampliare la gamma delle attività offerte per quel che riguarda i servizi di orientamento al lavoro, intermediazione ed assistenza alla ricerca del lavoro (anche con l’acquisizione dell’autorizzazione ministeriale come agenzie per il lavoro). La gestione in house di questi servizi, pur richiedendo una specifica organizzazione e la destinazione di risorse ad hoc, potrebbe consentire il superamento di alcune tradizionali difficoltà nella gestione dell’incontro domanda-offerta di lavoro (come ad esempio la scarsa incisività dei servizi pubblici per l’impiego, una marcata informalità nei sistemi di reclutamento, la scarsa informazione, ecc.). – Necessità di monitoraggio e valutazione degli esiti Al pari di ogni altra proposta progettuale, anche in questo contesto risulta estremamente utile proporre una seria attività di monitoraggio e di valutazione degli esiti delle attività avviate, siano esse specifiche o riferite ad azioni trasversali. Una riflessione ex post in merito all’efficacia delle azioni proposte avrebbe ricadute rilevanti anche sulla programmazione futura. 83 Nell’area pratica potete trovare strumenti che indicano attività possibili per aumentare l’inclusività del centro formativo. Gli strumenti sono stati scelti in modo che fossero rappresentativi di più situazioni, ovvero: allievi Dsa – Allievi Bes (abbiamo separato gli allievi con bisogni educativi speciali dai Dsa e dai diversamente abili per semplicità di consultazione) – allievi stranieri – allievi diversamente abili e allievi drop out. Il primo di ogni paragrafo è un protocollo d’intervento che si trova nel già citato Piano Annuale Inclusività 2013-2014 dell’IIS Antonietti29. Il protocollo può essere preso come canovaccio di procedura che affronta diverse tipologie di problematiche, ogni scuola potrà rielaborarlo per renderlo più attinente al proprio contesto. Alunni con disturbi specifici d’apprendimento: Alcune strategie che possono migliorare l’apprendimento di studenti con Dsa sono (tratto da “La dislessia e i Disturbi Specifici d’Apprendimento – Teoria e prassi in una prospettiva inclusiva”30): Area pratica 29 http://www.istruzione.lombardia.gov.it/protlo8685_13/ 30 http://www.inclusione.it/wp-content/uploads/2012/11/API2_2010_cliccabile.pdf 84 • Integrare o mediare la comunicazione scritta attraverso altri codici, in particolare di tipo grafico-visivo. Ossia usare schemi, grafici, mappe, diagrammi e ogni altra forma di comunicazione di tipo visivo per integrare e, finché è possibile, anche sostituire quella scritta. Vedremo come sia importante sfruttare adeguatamente questa strategia anche nella lettura con la sintesi vocale, soprattutto dei libri di testo scolastici. • Strumenti, metodi, espedienti per facilitare la memorizzazione e l’organizzazione delle informazioni. La famosa tabella dei mesi, primo degli strumenti compensativi nell’elenco del Ministero dell’istruzione, in fondo non è altro che una strategia compensativa di tipo mnemonico che, ci si augura, l’alunno arriverà presto a estendere e utilizzare anche in altri ambiti: più avanti sarà l’elenco delle Regioni, dei pianeti, dei composti chimici ecc. • Potenziare la capacità di ascolto e concentrazione. L’alunno dislessico, che sa bene che a casa farà fatica a studiare, si sforza di seguire la lezione a scuola in modo da ricordare e organizzare le informazioni nel modo più efficace possibile, per aver poi meno bisogno di leggere il libro a casa. • Rafforzare le relazioni sociali. Quel che non si sa fare da soli, si può fare con l’aiuto degli altri. Le competenze sociali sono fondamentali per le persone che vivono un problema o una disabilità perché un progetto di autonomia non può significare far tutto da soli, arrangiarsi (cosa spesso assolutamente impossibile), ma fornire tutti gli strumenti che possono consentire, anche in modo indiretto, una qualità di vita decorosa. Tra questi c’è senza dubbio anche la capacità di saper chiedere aiuto e mantenere nel tempo un corretto rapporto di collaborazione, e anche quella, per nulla banale, di saper riconoscere e gratificare il supporto ricevuto, ossia in senso lato di saper ringraziare. Segnaliamo, infine, un questionario tratto da “Strumenti, normativa, strategie educative per la didattica inclusiva” di Barbara Urdanch sugli stili d’apprendimento, rimandiamo alla dispensa stessa per capire come si elabora il questionario. Nella sezione “Approfondimenti” di questa stessa guida potrete trovare il link alla guida. 85 86 Alunni con Bisogni Educativi Speciali 87 88 Sempre in merito agli alunni con bisogni educativi speciali, riportiamo le attività previste dal Liceo Tito Livio di Padova31, anche in questo caso si tratta di una parte di un documento più completo a cui rimandiamo per un maggiore approfondimento. 31 http://www.liceotitolivio.it/assets/Piano-inclusione-scolastica/piano-annuale-di-inclusione- 2013-2014.pdf 89 Alunni stranieri 90 Alunni diversamente abili Alunni drop out Ambiente di apprendimento Sempre restando nell’area delle attività anche l’Index contiene numerose schede stimolo, la gran parte di esse non si occupano dell’osservazione di una specifica proeducazione_ 91 blematica ma dell’intero ambiente di apprendimento. Oltre alle schede l’Index contiene dei questionari che possono essere utilizzati per raccogliere il punto di vista e la percezione di studenti, genitori e insegnanti rispetto alla scuola. Riportiamo sia una scheda che un questionario a titolo esemplificativo, rimandandovi all’originale per la consultazione completa del testo. 92 93 Quest’ultima area è dedicata ai valori e ai principi ispiratori delle persone che lavorano all’interno degli Enti formativi. È l’area che forse viene maggiormente, ingiustamente, trascurata in quanto essa è il terreno di coltura che nutre e fa crescere le precedenti aree. È anche la più permeabile e sensibile ai fattori esterni che la “contaminano” e che si fanno contaminare: attraverso i propri valori gli Enti possono affermarsi come elemento culturale di riferimento per il territorio oltre che per la formazione dei propri allievi. In quest’area abbiamo inserito delle schede che possono essere usate per riflettere sui valori di cui l’Ente formativo è portatore. Le prime due sono tratte dall’Index. Area dei valori 94 L’elenco che segue è tratto da “La scuola Inclusiva”32 un documento snello che potrebbe essere interamente utilizzato per sensibilizzare al tema dell’inclusione. Obiettivi trasversali della scuola inclusiva sono: – Promuovere un positivo clima della classe: attenzione ai bisogni ed interessi di ognuno, comprensione e accettazione dell’altro; promuovere comportamenti non discriminatori, bensì il senso di appartenenza al gruppo; valorizzare le differenze. Importante il contesto spaziale fisico: aule accoglienti, strutturate, in cui tutti i bambini possono accedere alle risorse presenti, in uno sfondo condiviso nel quale tutti si sentono ben accolti. La disposizione dei banchi sarà flessibile a seconda della gestione del lavoro ma sempre in modo che possa favorire 32 http://www.icscastelfocognano.gov.it/joomla/attachments/article/94/La%20scuola%20Inclusiva. pdf 95 lo scambio e la comunicazione dei bambini - Conoscere le diverse situazioni di inclusione del Circolo al fine di favorire un’ottimale continuità educativa. – Raccogliere informazioni utili, relative ad iniziative provinciali o nazionali a favore dell’inclusione scolastica (corsi di formazione, seminari, concorsi ecc ...) per condividere teorie e buone prassi. - Poter fare proposte per l’acquisto di materiale, strutturato e non, per il raggiungimento degli obiettivi del singolo alunno o delle classi. – Proporre e organizzare attività e progetti musicali, di teatro, di psicomotricità o pet therapy che implicano l’uso di una più ampia gamma di moduli espressivi, di linguaggi alternativi che possano essere strumento e veicolo di una comunicazione più globale ed efficace per tutti. - La scuola inclusiva prevede un’organizzazione flessibile, una differenziazione della didattica, un ampliamento dell’offerta formativa nonché un innalzamento della qualità di quest’ultima, creando anche reti tra più scuole. – Costruire una rete di collaborazione e corresponsabilità tra scuola, famiglia e territorio (Enti locali ed associazioni). È una scuola dove oltre all’apprendimento cooperativo esiste anche l’insegnamento cooperativo. Nella scuola inclusiva tutte le insegnanti collaborano e programmano in maniera congiunta verso la stessa direzione; hanno a disposizione spazi e momenti adeguati per condividere materiali, risorse ed esperienze. Per ultimo, ma non ultimo, è il coinvolgimento delle famiglie. Il ruolo della famiglia è fondamentale nel supportare il lavoro delle insegnanti e nel partecipare alle decisioni che riguardano l’organizzazione delle attività educative. Inoltre, rappresenta un punto di riferimento essenziale per una corretta inclusione scolastica dell’alunno sia perché fonte d’informazioni preziose sia perché luogo in cui avviene la continuità tra educazione genitoriale e scolastica. I genitori devono sentirsi parte anche loro della scuola e partecipi della sua vita, devono anche loro stessi “includere” attraverso l’educazione dei propri figli, in collaborazione con le insegnanti. Riportiamo di seguito i punti principali del principio “Cultura organizzativa e valori etici che promuovono l’integrazione scolastica” compreso tra i principi per promuovere la qualità nella scuola inclusiva tratti dal documento dell’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili, 2009, Principi Guida per promuovere la qualità nella Scuola Inclusiva – Raccomandazioni Politiche, Odense, Danimarca: European Agency for Development in Special Needs Education 33. A scuola, o nell’istituzione scolastica, è fondamentale una cultura condivisa e valori che propongono atteggiamenti positivi verso l’accoglienza della diversità degli alunni in classe e l’accoglienza della diversità delle esigenze scolastiche. Tale cultura condivisa: 33 https://www.european-agency.org/sites/default/files/key-principles-for-promoting-quality-in-inclusive- education_key-principles-IT.pdf 96 – Include tutti i fiduciari: gli studenti, le loro famiglie, gli insegnanti e il personale scolastico e la comunità locale. – È guidata da dirigenti di gestione del sistema scuola e/o scolastici che sono favorevoli all’inclusione, che pensano in modo chiaro lo sviluppo della scuola, affidano compiti e si assumono la responsabilità per accogliere la diversità nella propria scuola. – Le culture organizzative che sono d’appoggio alla scuola inclusiva sono: tutte quelle prassi che evitano ogni forma di emarginazione e promuovono una scuola per tutti, offrendo uguaglianza di opportunità educative a tutti gli studenti. – Una cultura del lavoro di gruppo e l’apertura al partenariato con i genitori insieme agli approcci didattici interdisciplinari. – Prassi didattiche che accolgono la diversità che sono considerate didattiche di qualità per tutti gli alunni, piuttosto che per specifici gruppi di alunni. Concludiamo infine con i 4 valori essenziali dell’insegnamento e dell’apprendimento sulla base dell’osservazione del lavoro dei docenti in classe contenuti nel report “La formazione docente per l’inclusione – profilo dei docenti inclusivi” redatto dall’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili 34. Questi quattro valori sono: 1. Valutare la diversità degli alunni – la differenza tra gli alunni è una risorsa e una ricchezza. 2. Sostenere gli alunni – i docenti devono coltivare alte aspettative sul successo scolastico degli studenti. 3. Lavorare con gli altri – la collaborazione e il lavoro di gruppo sono approcci essenziali per tutti i docenti. 4. Aggiornamento professionale personale continuo – l’insegnamento è un’attività di apprendimento e i docenti hanno la responsabilità del proprio apprendimento permanente per tutto l’arco della vita. Nei paragrafi del report, questi valori vengono sviluppati e associati alle aree di competenza dei docenti. Questi valori possono essere più facilmente promossi attuando le indicazioni di carattere trasversale già emerse nel Report “Educazione ed Inclusione Sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP”, ovvero: – La costruzione di reti. Emerge la necessità e l’opportunità di operare in strutture reticolari, composte da più Enti, siano essi appartenenti alla Confederazione che esterni ad essa. – L’ampliamento delle attività. Emerge altresì la necessità di ampliare l’attenzione all’inclusione lavorativa. Pur mantenendo alto il focus sui processi educativi, si fanno sempre più forti le pressioni verso altri ambiti di attività: orien- 34 http://corsi.unibo.it/FormazionePrimariaQuadriennale/Documents/Tirocinio/Formazione%20 docente%20per%20l'inclusione%20-%20PROFILO%20DEI%20DOCENTI%20INCLUSIVI.pdf 97 tamento in uscita (quindi al lavoro), accompagnamento all’inserimento lavorativo, ecc... – Team working. L’inclusione sociale è concepita come esito di un lavoro di team, di più educatori/formatori; non può essere l’esito di un solo, pur bravo e sensibile, operatore. – La formazione continua del personale (personale docente e non solo). L’aggiornamento continuo e il consolidamento delle competenze del personale sono oggi sempre più prerequisiti indispensabili al buon esito dei percorsi d’integrazione. – Comunicare i risultati. Emerge chiaramente la necessità di monitorare sistematicamente e valutare in profondità i percorsi di inclusione sociale. Tale necessità che ha sicuramente una valenza strategica interna, diviene anche un’opportunità che permette di comunicare all’esterno i risultati, impiegando anche forme di accountability in via di consolidamento, come i bilanci sociali. 99 Di seguito riportiamo i link a documenti di approfondimento o a siti dedicati all’argomento con una breve descrizione di quello che contengono. 1) http://www.eenet.org.uk/resources/docs/Index%20Italian.pdf “Index per l’Inclusione” documento messo a punto dal Centre for Studies on Inclusive Education (CSIE) che offre molti materiali a supporto di quelle scuole che si pongono l’obiettivo di diventare inclusive o maggiormente inclusive. 2) http://www.inclusione.it/wp-content/uploads/2012/11/API2_2010_cliccabile.pdf Report “La dislessia e i Disturbi Specifici d’Apprendimento – Teoria e prassi in una prospettiva inclusiva” a cura di Giovanni Simoneschi, tratto dagli Annali della Pubblica Istruzione (2010), oltre ad approfondire i principali disturbi specifici dell’apprendimento riporta buone pratiche e strumenti di compensazione. 3) http://www.aiditalia.org/ Sito dell’Associazione italiana sulla dislessia, ha un’intera area dedicata alla scuola: normativa, piano didattico personalizzato, prove INVALSI, ecc. Vi si trovano inoltre gli indirizzi delle sedi sparse sul territorio. 4) “Strumenti, normativa, strategie educative per la didattica inclusiva” Guida operativa “Strumenti, normativa, strategie educative per la didattica inclusiva” di Barbara Urdanch edizioni Il Capitello, contiene, tra l’altro: una guida alla compilazione del PDP, un questionario sugli stili di apprendimento, una scheda per la collaborazione scuola-famiglia. 5) http://www.superando.it/2013/03/21/per-unetica-dellinclusione/ Sito della testata giornalistica Superando.it, si occupa di Bes ed inclusione attraverso la pubblicazione di numerosi articoli, ad esempio segnaliamo: “Per un’etica dell’inclusione” di Giancarlo Ongher, “Scuola, condividere i cambiamenti con chi li deve attuare” del gruppo Ledha scuola; “I bisogni educativi speciali, i fatti e le paure” di Salvatore Nocera e “Bes e didattica inclusiva, alcune opportunità da cogliere” di Dario Ianes. 6) http://www.ictravagliato.gov.it/attachments/article/390/LEZIONE-PLENARIAZAMPIERI. pdf Dispensa di Giovanni Zampieri (docente dell’Università Cattolica di Brescia) su “Gestione della classe: dall’analisi del contesto alla prassi didattica – didattica inclusiva e comunicazione efficace. Progettazione percorsi e valutazione degli alunni con BES”. Riporta, tra l’altro, alcune strategie per favorire l’apprendimento. Approfondimenti 100 7) https://www.european-agency.org/sites/default/files/key-principles-for-promoting- quality-in-inclusive-education_key-principles-IT.pdf Il testo dell’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili, 2009, Principi Guida per promuovere la qualità nella Scuola Inclusiva – Raccomandazioni Politiche, Odense, Danimarca: European Agency for Development in Special Needs Education è stato redatto da esperti del settore per proporre a politici e studiosi europei una sintesi delle principali scoperte emerse dal lavoro dell’Agenzia a sostegno dell’integrazione degli studenti con diversi tipi di necessità educative (SEN) e speciali nelle classi e nelle scuole comuni. Questa edizione riassume i contenuti delle ricerche di settore realizzate dall’Agenzia, dal 2003 al 2009. 8) http://corsi.unibo.it/FormazionePrimariaQuadriennale/Documents/ Tirocinio/Formazione% 20docente%20per%20l’inclusione%20%20PROFILO%20DEI%20D OCENTI%20INCLUSIVI.pdf “La formazione docente per l’inclusione – profilo dei docenti inclusivi” redatto dall’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili. Nei paragrafi del report, i valori che connotano i docenti inclusivi vengono sviluppati e associati alle altre aree di competenza. 9) https://www.youtube.com/watch?v=Zau15OX6s1M Film di Laurent Cantet del 2008 “La Classe”, il film racconta la storia di un insegnante alle prese con la propria classe. Il film può essere utilizzato per sensibilizzare al tema dell’inclusione. 10) http://www.cremi.it/pdf/per%20una%20scuola%20dell'inclusione.pdf “Una scuola per l’inclusione” dispensa di Graziella Favaro sul tema dell’inclusione degli studenti stranieri a scuola. 11) http://isfoloa.isfol.it/handle/123456789/866 “Gli allievi di origine straniera nella IeFP: percorsi, inclusione e occupabilità. Sintesi dei principali risultati” Ricerca quantitativa e qualitativa, a cura di Daniele L., sugli immigrati di seconda generazione all’interno dell’IeFP. 12) http://con-fusioni.jimdo.com/filosofia-e-scienze-umane/la-prevenzione-dell-in - successo-scolastico-e-del-drop-out/ Articolo di Francesca Rennis sulla prevenzione dell’insuccesso scolastico e dei drop out. 101 Ambrosini M. (2001), La fatica di integrarsi. Immigrazione e lavoro in Italia, il Mulino, Bologna. Ambrosini M., Molina S. (a cura di) (2004), Seconde generazioni. 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I processi d’inclusione nella IeFP: una rassegna bibliografica ..................................... 9 2.1 Il concetto di “inclusione sociale” ............................................................................... 9 2.2 Le dimensioni dell’inclusione sociale analizzate..................................................... 10 2.2.1 Giovani di origine straniera................................................................................. 11 2.2.2 Le dipendenze ......................................................................................................... 15 2.2.3 Percorsi di orientamento ...................................................................................... 15 2.2.4 L’educazione interreligiosa.................................................................................. 20 2.2.5 Drop out scolastico ................................................................................................ 24 2.2.6 Minori portatori di BES e DSA ......................................................................... 26 3. Alla ricerca di pratiche significative..................................................................................... 33 3.1 Dalla ricerca desk ............................................................................................................. 33 3.1.1 Il percorso di individuazione delle prassi........................................................ 33 3.1.2 Le prassi di selezione: le informazioni di base.............................................. 34 3.1.3 Tipologia degli interventi e modalità organizzative ..................................... 35 3.1.4 Pratiche inclusive ed aree d'intervento............................................................. 37 3.1.5 Alcune considerazioni trasversali ...................................................................... 38 3.2 Approfondimenti............................................................................................................... 40 4. Sviluppo e consolidamento dei processi inclusivi: elementi per la stesura di linee guida ............................................................................................................................... 47 4.1 Indicazioni e raccomandazioni di ordine generale .................................................. 48 4.2 Indicazioni e raccomandazioni per area tematica affrontata ................................ 49 ALLEGATI......................................................................................................................................... 59 A) Esempi di schede operative per la rilevazione dei disturbi di attenzione e iperattività o impulsività ....................................................................................................... 59 B) Schema sinottico delle esperienze analizzate..................................................................... 62 Guida operativa ................................................................................................................................. 73 Introduzione................................................................................................................................. 73 Area politica ................................................................................................................................ 77 Area pratica.................................................................................................................................. 83 Area dei valori ............................................................................................................................ 93 Approfondimenti ........................................................................................................................ 99 Bibliografia......................................................................................................................................... 101 INDICE 105 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. 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(a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2015

Il ruolo della IeFP nella formazione all'imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
124
Codice: 
978-88-95640-94-5
Il ruolo della leFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy Anno 2015 A cura del CNOS-FAP ©2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it Rapporto di ricerca curato da: Loredana Crestoni, Luca Dordit, Maria Pia Favaretto, Paola Ottolini (IUSUE), Giulia Carfagnini (CNOS-FAP) 3 SOMMARIO INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 1. Il quadro europeo delle politiche per l’educazione all’imprenditorialità ......... 9 1.1. Introduzione ..................................................................................................... 9 1.2. La dimensione europea .................................................................................... 9 1.3. Confronti tra scenari nazionali.......................................................................... 14 2. Lo scenario italiano................................................................................................. 17 2.1. La formazione all’imprenditorialità in ambito curricolare ............................... 17 2.2. Linee di tendenza nella formazione all’imprenditorialità in ambito extra curricolare ................................................................................... 20 3. Modelli curricolari e strumenti didattici............................................................... 23 3.1. Modelli curricolari ............................................................................................ 23 3.2. Strategie e metodologie didattiche.................................................................... 28 4. Rassegna di “buone pratiche” nel campo dell’educazione all’imprenditorialità nella scuola e nella IeFP...................................................... 31 4.1. La raccolta e selezione delle “buone pratiche”................................................. 31 4.2. Schede descrittive delle pratiche selezionate.................................................... 34 5. Profili, competenze e formazione dei formatori ................................................... 73 5.1. La formazione dei docenti/formatori all’imprenditorialità............................... 73 5.2 La Guida della Commissione Europea .............................................................. 75 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ......................................................................................... 79 APPENDICE ..................................................................................................................... 81 INDICE ........................................................................................................................... 117 5 INTRODUZIONE Lo spirito di iniziativa e imprenditorialità è una delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente indicate nella “Raccomandazione” del Parlamento Europeo e del Consiglio del 2006. In questo documento tale competenza viene definita come “la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro”. La necessità di potenziare le capacità imprenditoriali e di innovazione dei cittadini emerge inoltre nelle “iniziative faro” inserite nella strategia Europa 2020 per l’occupazione e la crescita sostenibile: “L’Unione dell’innovazione”, “Youth on the Move” e “Un’agenda per nuove competenze e per l’occupazione”. Potenziare la creatività e l’innovazione e includere l’imprenditorialità a tutti i livelli dell’Istruzione e della Formazione Professionale rientra infine tra gli obiettivi a lungo termine del quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione “ET 2020”. La Commissione Europea nella Comunicazione “Entrepreneurship 2020 Action Plan”, dedica infatti la prima linea d’azione al miglioramento dell’istruzione e della formazione all’imprenditorialità, considerata fattore chiave per la competitività e la crescita. In campo educativo, molte ricerche confermano il ruolo essenziale che la scuola e la formazione professionale hanno nello sviluppo di tale competenza e in particolare il ruolo che gli insegnanti e i formatori giocano nell’educazione all’imprenditorialità, fin dal primo ciclo di istruzione. Da questo punto di vista, lo sviluppo della competenza imprenditoriale non è solo una questione di acquisizione di conoscenza (ad esempio sul mondo del lavoro), ma è soprattutto lo sviluppo dell’abilità (e degli atteggiamenti legati) di agire in maniera imprenditoriale in qualunque contesto di vita, non solo in quello del lavoro autonomo. Dal punto di vista pedagogico, tale competenza può essere acquisita al meglio, nel contesto scolastico e formativo, grazie allo sviluppo di ambienti di apprendimento integrati (tra scuola e contesti lavorativi) centrati sull’indagine e sulla scoperta, che consentono agli studenti di trasformare le idee in azione. La promozione dell’educazione all’imprenditorialità è in aumento nella maggior parte dei paesi europei. Secondo una recente indagine promossa dalla Commissione europea (“Entrepreneurship Education at School in Europe”), ben 8 paesi hanno messo in atto strategie specifiche per promuovere l’educazione all’imprenditorialità, mentre la metà dei paesi europei ha intrapreso un processo di riforma dei sistemi d’istruzione che prevede il potenziamento dell’educazione 6 imprenditoriale. Anche dove l’educazione all’imprenditorialità non viene insegnata come materia specifica nelle scuole primarie, vengono definiti obiettivi formativi correlati ad attitudini e abilità imprenditoriali quali lo spirito di iniziativa, la creatività e l’assunzione di rischio. Nell’istruzione secondaria, la metà dei paesi integra l’imprenditorialità nei programmi di materie obbligatorie come economia e scienze sociali. Una dozzina di paesi sostiene inoltre iniziative mirate, potenziando ad esempio una stretta collaborazione tra scuola e imprese e l’avviamento di piccole attività gestite da studenti. Anche in Italia non sono mancate le iniziative, soprattutto a partire dal 2007 con l’avvio del “Piano nazionale giovani”, con i vari progetti di start-up e con le “Linee guida per l’orientamento” del 2008. A livello scolastico ad esempio è stato siglato nel 2011 il Protocollo d’intesa tra il MIUR e l’Associazione Junior Achievement (JA) Italia, che prevede la realizzazione del Programma “Impresa in azione” rivolto ai docenti e studenti delle classi III, IV e V delle scuole secondarie di secondo grado. Esso è finalizzato a sperimentare in maniera reale il funzionamento di un’impresa e a far acquisire e sviluppare negli studenti attitudini e competenze imprenditoriali: dalle competenze comunicative a quelle relative al “problem solving”, al “decision making”, al lavoro di gruppo, fino alla possibilità di cooperare con i pari, di negoziare e di individuare strategie efficaci per il superamento delle sfide di volta in volta emergenti. Nella IeFP molte sono le pratiche sviluppate, anche se non sempre in una prospettiva curriculare strutturata. Secondo la recente ricerca dell’ISFOL su “Indicazioni per la programmazione e la realizzazione di iniziative per l’educazione all’imprenditorialità” (2013), è necessario iniziare proprio dalla scuola e dalla formazione professionale per promuovere una nuova cultura del lavoro e sviluppare negli studenti adeguate competenze orientate alla creatività e all’innovazione (“mindset imprenditoriale”), anche come modo di affrontare la crisi e rafforzare le condizioni per una cittadinanza attiva. La ricerca – di cui il presente Report sintetizza i principali risultati – si è proposta di: – approfondire il tema educazione all’imprenditorialità su più livelli: individuale (le caratteristiche degli studenti), di gruppo (studenti e formatori) e sociale-comunitario (il rapporto della IeFP con i contesti lavorativi), – esplorare i modelli formativi, gli ambiti e gli strumenti didattici e organizzativi sviluppati dalla IeFP per supportare lo sviluppo di questa competenza chiave, – individuare alcune pratiche significative aventi un potenziale di trasferibilità per l’azione formativa dei CFP della Federazione CNOS-FAP, – predisporre dei criteri didattici e dei materiali operativi da proporre ai formatori del CNOS FAP. La ricerca ha assunto come quadro di riferimento i processi di acquisizione e sviluppo delle competenze di imprenditorialità nei contesti della IeFP, anche in una prospettiva di “continuità educativa” e di lifelong learning. 7 Il lavoro di ricerca si è basato su: – una rassegna critica delle politiche e dei programmi europei e nazionali in materia, – un’analisi comparativa dei modelli curriculari di educazione all’imprenditorialità in Europa e in Italia, – un’analisi desk di pratiche significative di educazione all’imprenditorialità nel campo della scuola e dell’IeFP, – dei focus group (e/o interviste) ad esperti e a formatori/direttori del CNOSFAP (ed eventuali altri Enti) per raccogliere ulteriori esperienze e/o per validare la guida operativa da proporre, – la produzione di una guida operativa per i CFP (allegata al presente Report). Nel primo capitolo viene presentata una rassegna comparata delle politiche per l’educazione all’imprenditorialità con riferimento ai principali paesi dell’UE. Nel secondo capitolo viene delineato lo scenario italiano che comprende sia l’ambito curriculare che quello extracurriculare. Nel terzo capitolo vengono illustrati i rapporti tra i modelli curriculari e gli approcci didattici adottati nei vari paesi. Nel quarto capitolo vengono presentate alcune pratiche italiane significative di educazione all’imprenditorialità nella scuola e nella Formazione Professionale. Nel quinto e ultimo capitolo sono proposte alcune riflessioni relative ai profili e alle competenze professionali dei formatori chiamati a guidare dei percorsi di educazione all’imprenditorialità. 9 1. Il quadro europeo delle politiche per l’educazione all’imprenditorialità 1.1. Introduzione Negli anni recenti, la ricerca si è occupata estesamente della tematica rappresentata dall’educazione all’imprenditorialità. L’impatto ottenuto dai programmi di formazione è stato studiato particolarmente nel settore universitario. A questo proposito alcune delle ricerche più significative si devono ad Heinonen (2007), Kourilsky e Walstad (1998), Wu e Wu (2008), Rushing (1990). Inoltre vanno citate le analisi di tipo cross-cultural, compiute ponendo a confronto aree culturali eterogenee (ad esempio Pruett et al., 2009). Un particolare filone di studi si è concentrato anche sulla scuola secondaria superiore. È il caso – in particolar modo – dei lavori di Burnett (2008), Kanton (1988), Oosterbeek, Pragg e Ijsselstein (2010). L’assunto su cui si basano queste ultime ricerche consiste nel fatto che la scuola e l’istruzione e formazione professionale (VET) giocano un ruolo fondamentale sotto questo profilo. In particolare, il sistema dell’educazione secondaria superiore costituisce il segmento su cui per molti studiosi dovrebbero insistere maggiormente le politiche pubbliche, allo scopo di identificare e supportare adeguatamente i potenziali imprenditori. Si tratta infatti dell’età in cui la possibilità di esercitare una professione di tipo autonomo può iniziare a presentarsi come un’opzione per la propria futura carriera professionale (Rasheed, 2000). Benché allo stato attuale della ricerca molti autori tendano a spostare l’attenzione sulla fascia di età, asserendo che l’educazione allo sviluppo di atteggiamenti imprenditivi andrebbe proposta in termini sistematici sin dalla scuola primaria, comunque un fatto che i maggiori programmi posti in campo a livello governativo si concentrino attualmente sulla scuola secondaria, in particolare sul suo segmento superiore. 1.2. La dimensione europea Sul piano europeo, il tema dell’educazione all’imprenditorialità assume una particolare enfasi a partire dal 2004, grazie alla comunicazione della Commissione dal titolo Piano d’azione. Un’agenda europea per l’imprenditorialità. Il documento – che porta a sistema alcune idee guida introdotte nel Libro Verde L’imprenditorialità in Europa, diffuso l’anno precedente – rappresenta una prima analisi strutturata prodotta a livello comunitario in vista della promozione delle policy a favore 10 dello spirito imprenditoriale (Commissione Europea, 2004). Quest’ultimo è inteso come uno dei pilastri per la crescita e lo sviluppo dei paesi membri, in una parola il motore dei processi di rinnovamento dei sistemi produttivi. Data la parte importante che l’innovazione, la competitività e la crescita rappresentano nel settore dei servizi e nelle attività basate sulla conoscenza, nel documento si sottolineava come lo spirito imprenditoriale assumesse un ruolo centrale nell’economia dell’Unione europea. In particolare, si poneva l’accento sullo stretto e positivo legame tra lo spirito imprenditoriale ed i risultati economici da conseguire entro lo spazio europeo, in termini di incremento dei livelli di occupazione, supporto ai necessari cambiamenti tecnologici, aumento di produttività e driver per i processi di crescita e di innovazione. Dall’altro lato, lo spirito imprenditoriale veniva inteso inoltre come un mezzo di sviluppo personale particolarmente idoneo a favorire la coesione sociale, quando l’opportunità di creare la propria impresa venisse offerta in modo diffusivo, senza essere limitata da fattori quali l’estrazione sociale e la collocazione geografica. Nel Libro Verde del 2003 dal titolo L’imprenditorialità in Europa viene offerta una prima definizione di imprenditorialità. L’imprenditorialità, che presenta un carattere multidimensionale, se osservata da una prospettiva di sviluppo economico è concepita innanzitutto come una predisposizione mentale (Commissione Europea, 2003). Si tratta della motivazione e della capacità del singolo, da solo o nell’ambito di un’organizzazione, di riconoscere un’occasione e di trarne profitto al fine di produrre nuovo valore o il successo economico. Per trasformare in successo un’iniziativa imprenditoriale è necessaria la capacità di combinare creatività o innovazione con un’accurata gestione e di saper adattare un’impresa al suo ambiente circostante, per ottimizzarne lo sviluppo in tutte le fasi del ciclo di vita. È un processo che va ben oltre la gestione quotidiana e riguarda più specificamente le ambizioni e la strategia di un’impresa. In secondo luogo, l’imprenditorialità riguarda le persone, con le loro scelte ed attività volte ad avviare un’impresa, a prenderne la direzione o a guidarla, oppure il loro coinvolgimento nel processo decisionale di un’azienda. A tale proposito, benché gli imprenditori costituiscano un gruppo eterogeneo, pur tuttavia si ritiene che il comportamento imprenditoriale presenti alcune caratteristiche comuni, tra cui la disponibilità a rischiare nonché il gusto dell’indipendenza e dell’autorealizzazione. Oltre che riguardare la capacità di sfruttare la creatività o l’innovazione, insieme al fattore umano costituito dall’imprenditore, l’imprenditorialità – nella definizione proposta dal Libro Verde – si presta ad una molteplicità di applicazioni. In tal senso l’iniziativa imprenditoriale può essere presente in ogni settore e in ogni tipo di impresa. È il fattore necessaria per le occupazioni autonome e per le imprese di ogni scala e dimensione, nei diversi stadi del ciclo di vita di un’impresa. In sintesi, l’imprenditorialità è definita dalla Commissione Europea uno stato mentale e un processo volto a creare e sviluppare l’attività economica combinando disponibilità a rischiare, creatività e/o innovazione con una sana gestione nell’ambito di un’organizzazione nuova o esistente. 11 Se da una definizione di imprenditorialità orientata allo sviluppo dei sistemi economici in Europa, così come compare nel Libro Verde del 2003, ci spostiamo sul piano dello sviluppo dei sistemi educativi, acquista particolare rilievo la Raccomandazione del 18 dicembre 2006 sulle competenze chiave di cittadinanza per l’apprendimento permanente (Parlamento Europeo e Consiglio, 2006). In tale contesto la definizione di imprenditorialità risulta arricchita, connettendo insieme la sfera della vita quotidiana e quella del lavoro mediante l’elemento connettivo dato dalla consapevolezza del contesto in cui si vive e si opera ed, insieme, dalla capacità di cogliere le opportunità che questo ci offre. I fattori cardine sono costituiti dalla capacità di tradurre le idee in azione, la creatività, l’innovazione, l’assunzione di rischi, l’adozione di una logica progettuale. Va sottolineato che nella prospettiva indicata dalla Raccomandazione, nel concetto di imprenditorialità è insita la presenza di valori etici e democratici. Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o contribuiscono ad un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe includere la consapevolezza dei valori etici e promuovere il buon governo. La competenza relativa al senso di iniziativa e di imprenditorialità – la settima delle otto competenze chiave al centro della Raccomandazione – è associata a precise conoscenze, abilità e attitudini essenziali che concorrono a connotarla ed al tempo stesso fungono da punto di riferimento per i processi di apprendimento. Si rammenta in proposito che il possesso delle competenze chiave rappresenta un obiettivo generale della politiche comunitarie, il cui conseguimento è fatto coincidere con il completamento dell’obbligo di istruzione. La conoscenza necessaria a tal fine comprende l’abilità di identificare le opportunità disponibili per attività personali, professionali e/o economiche, comprese questioni più ampie che fanno da contesto al modo in cui le persone vivono e lavorano, come ad esempio una conoscenza generale del funzionamento dell’economia, delle opportunità e sfide che si trovano ad affrontare i datori di lavoro o un’organizzazione. Le persone dovrebbero essere anche consapevoli della posizione etica delle imprese e del modo in cui esse possono avere un effetto benefico, ad esempio mediante il commercio equo e solidale o costituendo un’impresa sociale. Le abilità concernono una gestione progettuale proattiva (che comprende ad esempio la capacità di pianificazione, di organizzazione, di gestione, di leadership e di delega, di analisi, di comunicazione, di rendicontazione, di valutazione e di registrazione), la capacità di rappresentanza e negoziazione efficaci e la capacità di lavorare sia individualmente sia in collaborazione all’interno di gruppi. Occorre anche la capacità di discernimento e di identificare i propri punti di forza e i propri punti deboli e di soppesare e assumersi rischi all’occorrenza. 12 Un’attitudine imprenditoriale è caratterizzata da spirito di iniziativa, capacità di anticipare gli eventi, indipendenza e innovazione nella vita privata e sociale come anche sul lavoro. In ciò rientrano la motivazione e la determinazione a raggiungere obiettivi, siano essi personali, o comuni con altri, anche sul lavoro. L’importanza di un approccio all’educazione all’imprenditorialità che passi per una riformulazione dei curricoli scolastici è ripresa nella Comunicazione della Commissione Europea Stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l’istruzione e l’apprendimento (2006). Nel documento si insiste sul fatto che un adeguato inserimento di obiettivi espliciti nei programmi di studio, nonché di orientamenti relativi alla loro attuazione, fornisce una base più solida per la formazione all’imprenditorialità. In particolare, nell’insegnamento secondario, esistono materie che possono servire – se le scuole e gli insegnanti se ne fanno carico in modo adeguato – a garantire forme qualificate di formazione all’imprenditorialità. La competenza imprenditoriale è sviluppata in un contesto al tempo stesso formale ed informale (ad esempio: attività che si rivolgono ai giovani e varie forme di partecipazione alla vita della società). Si sottolinea quindi come sia importante proseguire lo sviluppo di strumenti che consentano di riconoscere e di validare competenze collegate all’imprenditorialità nell’apprendimento non formale e informale. All’interno del Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione – Education and Training 2020 –, contenente gli indirizzi di policy per lo sviluppo dello spazio europeo dell’apprendimento (Consiglio Europeo, 2009), l’educazione all’imprenditorialità è inclusa in uno dei quattro obiettivi generali, collegato ancora una volta a creatività ed innovazione (Obiettivo strategico 4: Incoraggiare la creatività e l’innovazione, compresa l’imprenditorialità, a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione). Secondo la visione espressa dal Consiglio, oltre a contribuire alla realizzazione personale, la creatività costituisce una fonte primaria dell’innovazione, che a sua volta è riconosciuta come uno dei motori principali dello sviluppo economico sostenibile. La creatività e l’innovazione sono fondamentali per la creazione di imprese e la capacità dell’Europa di competere a livello internazionale. La posta in gioco consiste nel promuovere l’acquisizione da parte di tutti i cittadini di competenze trasversali fondamentali: in particolare le competenze digitali, imparare ad imparare, lo spirito d’iniziativa e lo spirito imprenditoriale. Nel gennaio 2013 la Commissione pubblica il Piano d’azione Imprenditorialità 2020 in cui si sostiene che l’investimento nell’educazione all’imprenditorialità è uno dei più produttivi che l’Europa possa fare (Commissione Europea, 2013). Dalle indagini realizzate emerge infatti che tra il 15% e il 20% degli studenti che partecipano a un programma di mini-impresa nella scuola secondaria avvierà poi una propria impresa, cifra questa che corrisponde a tre-cinque volte quella valida per la popolazione generale (Jenner, 2012). Indipendentemente dal fatto che procedano successivamente a fondare una propria azienda o un’impresa sociale, i giovani che beneficiano di un apprendimento per l’imprenditoria sviluppano la conoscenza del mondo degli affari e competenze e attitudini essenziali tra cui creatività, spirito di 13 iniziativa, tenacia, lavoro di squadra, conoscenza dei rischi nonché senso di responsabilità. La prima linea d’azione in cui si articola il piano accentua la centralità dell’istruzione e della formazione all’imprenditorialità per sostenere la crescita e la creazione di imprese. In proposito si sottolinea il fatto che L’istruzione deve essere avvicinata alla vita reale attraverso modelli di apprendimento ancorati nella pratica ed esperienze di imprenditori attivi nell’economia reale. Si rende quindi necessario lo sviluppo di precisi risultati di apprendimento nel campo dell’educazione all’imprenditorialità comuni a tutti i formatori, in modo da garantire l’impiego diffuso di efficaci metodologie di apprendimento. Più recentemente, nella sessione del Consiglio Europeo del 12 dicembre 2014, i ministri dell’istruzione hanno adottato un insieme di Conclusioni sull’imprenditorialità nell’istruzione e nella formazione (Consiglio Europeo, 2006). Le conclusioni sottolineano come le capacità e le competenze imprenditoriali dovrebbero essere collocate e promosse a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione e, per quanto possibile, nell’intero piano di studi in un modo che consenta il loro continuo sviluppo, prestando attenzione al conseguimento dei risultati dell’apprendimento in campo imprenditoriale. I ministri rilevano inoltre come occorra che gli istituti di istruzione e formazione si adoperino per una maggiore creatività e innovazione in un contesto in rapido mutamento determinato da tecnologia e globalizzazione e dall’evoluzione dei bisogni di capacità. Gli insegnanti, i formatori e i dirigenti scolastici dovrebbero essere incoraggiati a promuovere capacità, competenze e spirito imprenditoriali, mentre le istituzioni dovrebbero offrire contesti di apprendimento creativi e innovativi e favorire attivamente un coinvolgimento della comunità in generale. Oltre a ciò, l’integrazione del triangolo della conoscenza formato da istruzione, ricerca e innovazione migliora il processo di insegnamento e apprendimento stimolando il pensiero creativo e attitudini e approcci innovativi che spesso portano alla creazione di nuove attività economiche. In termini di prassi concrete da conseguire, il Consiglio invita gli stati membri a porsi una serie di obiettivi specifici. Tra questi si segnalano: • incoraggiare lo sviluppo di un approccio coordinato all’educazione all’imprenditorialità nell’intero sistema di istruzione e formazione, ad esempio anche mettendo in collegamento i ministeri dell’istruzione e altri ministeri competenti, agevolando la partecipazione di imprese e imprenditori; • promuovere l’inclusione delle capacità e competenze imprenditoriali sia nei programmi iniziali di formazione degli insegnanti/dei formatori sia nello sviluppo professionale continuo; • promuovere e sostenere la creazione di attività economiche da parte degli studenti, ad esempio incoraggiando contesti di apprendimento adeguati, un valido orientamento professionale a tutti i livelli di istruzione e formazione e – segnatamente nei settori dell’istruzione superiore e dell’istruzione e formazione professionale (IFP) – la disponibilità di tutoraggio e incubatori per aspiranti imprenditori; 14 • promuovere esperienze imprenditoriali pratiche, quali sfide di creatività, start up, simulazioni imprenditoriali o apprendimento dell’imprenditorialità basato sullo studio di casi (Project-based learning), tenendo conto dell’esigenza di impiegare un approccio fondato sull’età. Risulta della massima importanza che l’educazione all’imprenditorialità non sia confusa con gli studi economici in genere, o con l’attività diretta di business, dal momento che la sua finalità è diretta principalmente a promuovere la creatività, l’innovazione e l’attività autonoma. A questo proposito il Thematic Working Group on Entrepreneurship Education, costituito nell’ambito del programma Education and Training 2020, ha proposto una classificazione dei programmi ed attività qualificabili come rientranti nell’educazione all’imprenditorialità. Questi ultimi riguardano: • lo sviluppo di doti personali e competenze trasversali, in una logica di sviluppo della mentalità imprenditoriale (mind-set); • la sensibilizzazione degli studenti sul tema del lavoro autonomo e della prospettiva imprenditoriale come possibili scelte professionali; • la realizzazione di attività e progetti concreti, come nel caso delle mini-imprese di studenti; • lo sviluppo di conoscenze e competenze aziendali specifiche per avviare e gestire un’azienda. 1.3. Confronti tra scenari nazionali Ad un confronto tra scenari nazionali, l’educazione all’imprenditorialità viene praticata in ambito scolastico nella gran parte dei paesi membri, sulla base di approcci differenziati. Uno studio condotto recentemente dalla Commissione Europea (Eurydice, 2012), basata su dati rilevati in 31 paesi e 5 regioni europee, ha mappato lo stato dell’arte nelle politiche di settore. Ne emerge (cfr. Fig. 1) come le scelte effettuate dagli stati membri possano essere classificate sulla base di tre principali approcci che regolano l’integrazione dell’educazione all’imprenditorialità nei sistemi dell’istruzione generale e dell’Istruzione e Formazione Professionale (VET): • specifici piani d’azione e strategie dedicate; • misure e piani per l’educazione all’imprenditorialità che rientrano in più ampie politiche di carattere economico; • specifiche iniziative promosse dal settore pubblico, singole o coordinate, in tema di educazione all’imprenditorialità. 15 Figura 1 - Strategie e iniziative per l’inserimento dell’educazione imprenditoriale nell’istruzione generale (scuola primaria, secondaria inferiore e superiore) Fonte: Eurydice, 2012 Otto Paesi (Danimarca, Estonia, Lituania, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia, Galles e la parte fiamminga del Belgio) hanno messo in atto strategie specifiche per promuovere l’educazione all’imprenditorialità, mentre altri tredici (Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Ungheria, Islanda, Liechtenstein, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Turchia) l’hanno inserita nelle loro strategie nazionali per la crescita economica, la formazione, le politiche giovanili. Vi sono quindi ulteriori paesi (Inghilterra, Irlanda, Portogallo, Romania e Lettonia) che hanno promosso un approccio focalizzato prevalentemente sulla promozione di iniziative maggiormente circoscritte in termini geografici e di impatto territoriale. Infine, nel 2012 si individuavano cinque paesi in cui non risultava possibile censire strategie, politiche di settore o iniziative pubbliche ad ampio raggio. Tra questi, oltre all’Italia, la Scozia, la Francia, la Germania e l’Ungheria. Scendendo nel dettaglio degli scenari nazionali, ad esempio, nel Belgio fiammingo il governo nel 2011 ha lanciato un piano d’azione triennale intergovernativo per l’educazione all’imprenditorialità. Oltre alla Presidenza del Consiglio, il piano ha visto il concorso dei Ministeri dell’Economia, dell’Istruzione e del Lavoro. La finalità perseguita non riguarda solo la preparazione degli studenti all’esercizio di attività di lavoro autonomo e di creazione d’impresa ma anche – caso unico in Europa – un sistema dedicato di formazione in servizio degli insegnanti. Il campo d’azione della strategia comprende sia lo sviluppo di attitudini imprenditive da parte degli allievi, sia le competenze tecniche richieste per l’avvio di un’attività imprenditoriale. 16 Il piano d’azione risulta essere strettamente collegato alla strategia per la crescita economica Fiandre in azione 2020. In Danimarca, nel 2009 il governo ha varato la Strategia per l’Istruzione e la Formazione Professionale all’imprenditorialità. Si tratta di una strategia complessiva diretta a favorire un più stretto rapporto tra il sistema dell’education e la promozione dello spirito e della pratica imprenditoriale, anche mediante la creazione di apposite strutture di supporto alle istituzioni scolastiche e formative. Tra le diverse misure attuate, ha istituito la Foundation for Entrepreneurship Activities and Culture - Young Enterprise ed ha finanziato la creazione della International Danish Entrepreneurship Academy (IDEA) e dell’Øresund Entrepreneurship Academy. Gli obiettivi fissati dal governo danese per le proprie politiche di settore nell’arco temporale 2010-2015, coinvolgono tutti gli indirizzi e livelli di studio, a partire dalla scuola primaria e secondaria di primo grado, passando per la scuola secondaria e la Formazione Professionale superiori, sino all’educazione terziaria di tipo accademico e professionale. In Spagna, il Ministero dell’Istruzione – a livello nazionale – e le diverse Comunità autonome – a livello regionale – operano promuovendo direttive valide per il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale. Inoltre, il piano per l’imprenditorialità varato nel 2011 dal Ministero dell’Industria finanzia una molteplicità di iniziative condotte sul piano locale. Tra queste, si segnalano attività di carattere curricolare ed extra curricolare, alcune delle quali coordinate in collaborazione con enti privati, in primis Junior Achievement, attivo nella gran parte dei paesi europei. 17 2. Lo scenario italiano Nel nostro paese non esiste al momento una strategia nazionale complessiva per l’educazione all’imprenditorialità. Pur tuttavia si possono individuare alcuni elementi che costituiscono altrettanti punti di riferimento per il sistema educativo. Tra questi, da un lato, coerentemente con quanto indicato nella Raccomandazione europea del 2006 sulle competenze chiave di cittadinanza, al termine dell’obbligo scolastico, ossia a conclusione del primo biennio della scuola secondaria superiore, si prevede che gli studenti abbiano acquisito competenze, conoscenze ed abilità di carattere imprenditoriale. Inoltre da più di un decennio è stata introdotta nel sistema scolastico la modalità dell’impresa formativa simulata, come una variante dell’apprendimento in alternanza scuola-lavoro1. 2.1. La formazione all’imprenditorialità in ambito curricolare Competenze di cittadinanza ed educazione all’imprenditorialità Il Decreto del 22 agosto 2007 introduce nel sistema scolastico italiano, adattandole, le competenze chiave di cittadinanza indicate nella Raccomandazione europea approvata l’anno precedente (Parlamento europeo e Consiglio, 2006). In particolare la settima delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente – descritta in precedenza al cap. 1.1. – contrariamente a quanto proposto a livello europeo, viene articolata in un insieme di competenze distinte: • Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di studio e di lavoro, utilizzando le conoscenze apprese per stabilire obiettivi significativi e realistici e le relative priorità, valutando i vincoli e le possibilità esistenti, definendo strategie di azione e verificando i risultati raggiunti. 1 Nel momento in cui la ricerca viene pubblicata la Legge 107/2015 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione introduce una serie di disposizioni precise in materia di alternanza scuola- lavoro. È stata inoltre prodotta dal MIUR una Guida operativa per le attività di alternanza scuola- lavoro, scaricabile dal sito https://labuonascuola.gov.it/area/a/25282/ (novembre 2015). In appendice viene riportato il paragrafo della guida che presenta “l’impresa formativa simulata” come possibile modalità di realizzazione dell’alternanza scuola-lavoro. 18 • Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabilità. • Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline. I saperi e le competenze per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione sono riferiti ai quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico–tecnologico, storico-sociale), che costituiscono il tessuto per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle competenze chiave che preparino i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per consolidare e accrescere saperi e competenze in un processo di apprendimento permanente, anche ai fini della futura vita lavorativa. Ad esempio, nella formulazione contenuta all’interno delle Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli istituti tecnici, si legge che: «Un aspetto di rilievo (...) è costituito dall’educazione all’imprenditorialità, in linea con le indicazioni dell’Unione europea, in quanto le competenze imprenditoriali sono motore dell’innovazione, della competitività e della crescita. La loro acquisizione consente agli studenti di sviluppare una visione orientata al cambiamento, all’iniziativa, alla creatività, alla mobilità geografica e professionale, nonché all’assunzione di comportamenti socialmente responsabili, che li mettono in grado di organizzare il proprio futuro professionale tenendo conto dei processi in atto». Apprendistato per il conseguimento del diploma negli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado Prendendo a riferimento la classificazione delle attività di educazione all’imprenditorialità formulata dal Thematic Working Group on Entrepreneurship Education, riportata precedentemente al Cap. 1.2., l’apprendistato per il conseguimento del diploma negli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, recentemente introdotto, si avvale di un impianto duale che valorizza l’apprendimento esperienziale in contesto reale di lavoro. In tal senso può contribuire allo sviluppo di doti personali e competenze trasversali, in una logica di sviluppo della mentalità imprenditoriale, oltre alla sensibilizzazione degli studenti sul tema del lavoro autonomo e della prospettiva imprenditoriale come possibili scelte professionali. Il Decreto legge 12 settembre 2013, n. 104 convertito con modificazioni nella Legge 8 novembre 2013 n. 128, contenente misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, all’art. 8 bis pone le basi giuridiche per un programma sperimentale rivolto agli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, prevedendo periodi di formazione in azienda e con possibili contratti 19 di apprendistato. Gli studenti degli ultimi due anni della secondaria superiore, sulla base di specifici accordi tra imprese interessate, Regione e Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, possono pertanto diplomarsi attraverso un contratto di apprendistato il cui piano formativo individualizzato prevede un percorso di apprendimento in parte scolastico e in parte sul posto di lavoro. La progettazione dei percorsi in alternanza, con periodi di formazione in aula e periodi in azienda, è possibile utilizzando gli spazi di flessibilità previsti dall’autonomia scolastica sino ad un massimo del 35% del monte ore annuale (ossia fino a 369 ore su 1.056 annuali), nell’assoluto rispetto della dotazione organica e senza determinare esuberi di personale. Gli studenti/apprendisti provenienti da classi terze diverse, potranno essere aggregati in un’unica classe, a condizione che non si determini un aumento delle classi e quindi nuovi o maggiori oneri finanziari pubblici. Alternanza scuola-lavoro In Italia, l’alternanza scuola-lavoro è stata introdotta come modalità di realizzazione dei percorsi del secondo ciclo (art. 4 Legge delega n. 53/03). Successivamente, con il Decreto Legislativo n. 77 del 15 aprile del 2005, viene disciplinata quale metodologia didattica del Sistema dell’Istruzione per consentire agli studenti di realizzare gli studi del secondo ciclo anche alternando periodi di studio e di lavoro. La finalità prevista è quella di motivarli e orientarli e far acquisire loro competenze spendibili nel mondo del lavoro. L’alternanza scuola-lavoro è impostata su uno schema di formazione che alterna apprendimento di tipo formale (aula/laboratorio) ed apprendimento esperienziale mediante l’inserimento – a fini educativi – in un reale ambiente di lavoro. Pertanto, anche la modalità formativa rappresentata dall’alternanza scuola-lavoro, similmente all’apprendistato per gli ultimi due anni della secondaria superiore, può costituire un ambiente di apprendimento favorevole all’educazione all’imprenditorialità. In particolare, riprendendo la classificazione del Gruppo tematico europeo, può contribuire allo sviluppo di doti personali e competenze trasversali, in una logica di sviluppo della mentalità imprenditoriale, oltre alla sensibilizzazione degli studenti sul tema del lavoro autonomo e della prospettiva imprenditoriale come possibili scelte professionali. Sembra opportuno ricordare in proposito che nel sistema tedesco di Formazione Professionale (il cosiddetto “sistema duale”) in cui la formazione avviene nella scuola e all’interno di un’impresa, nella fase “Master” viene insegnato ai giovani come creare la propria impresa. Questa formazione si propone di sviluppare non soltanto le necessarie competenze gestionali, ma anche le attitudini e le capacità imprenditoriali. Impresa formativa simulata I percorsi di alternanza scuola-lavoro possono prevedere l’utilizzo della metodologia dell’Impresa Formativa Simulata. La metodologia dell’Impresa Formativa Simulata (IFS) consente l’apprendimento di processi di lavoro reali attraverso la si- 20 mulazione della costituzione e gestione di imprese virtuali che operano in rete, assistite da aziende reali. La modalità di svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro grazie all’impresa formativa simulata ha lo scopo di rendere gli studenti protagonisti del proprio processo di apprendimento, sviluppando in loro coinvolgimento e motivazione, al fine di esprimere liberamente le proprie vocazioni, attitudini e potenzialità per compiere scelte più consapevoli. La IFS si propone, inoltre, di sviluppare, in forma innovativa, una stretta collaborazione tra l’istituzione scolastica e una o più realtà del territorio in cui opera, al fine di attuare processi di simulazione aziendale e facilitare l’utilizzazione di metodologie per la definizione di una didattica basata sulla sperimentazione di una progettazione integrata con realtà aziendali locali. 2.2. Linee di tendenza nella formazione all’imprenditorialità in ambito extra curricolare In tema di educazione all’imprenditorialità, le tendenze riscontrabili nella programmazione delle attività in ambito extra curricolare – o inserite nella programmazione ordinaria, quando si tratti dell’Istruzione e Formazione Professionale iniziale – presentano una molteplicità di finalità distinte, che ne denotano le diverse prospettive di intervento. Le principali finalità cui rispondono le attività ed iniziative svolte in ambito extra curricolare paiono essere classificabili nei termini seguenti. • Sviluppare empatia nei confronti delle peculiarità dell’imprenditorialità. Attività formative finalizzate a comprendere ed apprendere concetti connessi all’imprenditorialità, senza l’intenzione di applicarli direttamente. Il valore aggiunto relativo a questo tipo di obiettivi formativi è simile a quello ottenuto da individui che seguono corsi su discipline estranee alla loro area di specializzazione. • Identificare e stimolare lo spirito, il talento e le capacità imprenditoriali. Tale obiettivo ha lo scopo di accrescere la consapevolezza degli allievi verso le possibilità di iniziativa imprenditoriale e di supportarle nel chiarire i loro ipotetici o reali interessi imprenditoriali, le loro attitudini e potenzialità. • Rafforzare l’attitudine al cambiamento. Ci si propone di insegnare come incoraggiare se stessi ad innovare. Ciò implica un maggior uso della dimensione emotiva dell’apprendimento piuttosto di quella cognitiva. • Stimolare la propensione ad assumere il ruolo di imprenditore. L’obiettivo si riferisce all’interiorizzazione di valori, attitudini, approcci psicologici e strategie necessari per ricoprire il ruolo di imprenditore. Può essere considerata la fase preliminare di un processo di crescita culturale di coloro che vorrebbero diventare imprenditori. 21 • Apprendere l’uso di tecniche di analisi delle opportunità di mercato e di progettazione di piani di azione. Ci si propone di promuovere l’uso di capacità di analisi e sintesi nell’applicazione integrata delle conoscenze acquisite in tema di contabilità, finanza, marketing. Ad esempio la costruzione di un business plan per una nuova impresa richiede la contemporanea integrazione di capacità e competenze funzionali. • Acquisire conoscenza finalizzata all’iniziativa imprenditoriale. Tale obiettivo si riferisce all’apprendimento di conoscenze su contenuti e tecniche relative ad alcune specifiche aree o discipline correlate al campo imprenditoriale. Ci si riferisce ad esempio a temi quali modalità di valutazione delle opportunità di business, tecniche per l’identificazione di risorse/opportunità disponibili e vincoli/minacce, natura dei processi di nascita di nuove imprese, ecc. • Incoraggiare la nascita di nuove imprese o di iniziative imprenditoriali. Si punta ad uno stimolo diretto nello sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali, di lavoro autonomo e di carriere orientate all’imprenditorialità. 23 3. Modelli curricolari e strumenti didattici 3.1. Modelli curricolari 3.1.1. Integrazione dell’educazione all’imprenditorialità nei curricoli nazionali a livello secondario superiore Nell’istruzione secondaria superiore, il termine imprenditorialità figura – almeno nel suo significato generale o in senso lato – nei documenti di indirizzo di pressoché tutti i paesi. L’approccio maggiormente utilizzato – all’incirca nei due terzi dei paesi – è di tipo multidisciplinare, nel senso che la tematica imprenditoriale viene affrontata da diverse prospettive disciplinari, in forma separata o coordinata, a seconda dei casi (cfr. Fig. 2). In parte figura nei programmi di materie obbligatorie, come Economia (Ungheria, Austria, Svezia, Norvegia, Slovacchia) o Scienze Sociali (ad esempio in Italia, Lituania, Polonia, Slovenia). In due paesi (Galles e Irlanda del Nord) l’imprenditorialità rappresenta una materia obbligatoria a sé stante. Quattro paesi (Lituania, Romania, Liechtenstein e Norvegia) specificano obiettivi formativi imprenditoriali. Figura 2 - Materie che integrano l’educazione imprenditoriale nel curricolo nazionale (scuola secondaria di secondo grado) Fonte: Eurydice, 2012 24 3.1.2. La strutturazione dei risultati di apprendimento Osservando il quadro generale che emerge da una comparazione degli scenari nazionali in Europa, si nota che nella maggior parte dei paesi europei i risultati di apprendimento in tema di imprenditorialità sono proposti ai vari gradi del sistema educativo, con una tendenza al coinvolgimento della scuola primaria nel Nord Europa. Concentrando l’attenzione sulla scuola secondaria, i diversi paesi definiscono risultati di apprendimento in entrambi i livelli, ossia secondario inferiore e superiore (cfr. Fig. 3). Figura 3 - Risultati di apprendimento esplicitati nei curricoli, collegabili all’educazione all’imprenditorialità (scuola secondaria di primo e di secondo grado) Fonte: Eurydice, 2012 In linea generale, l’educazione all’imprenditorialità nell’istruzione secondaria è integrata sovente nelle materie opzionali, ma nella maggior parte dei casi afferisce a discipline obbligatorie. Similmente, la massima parte dei paesi che dispongono di un insieme strutturato di risultati di apprendimento rivolti alle abilità pratiche in campo imprenditoriale nei propri curricoli, in specie nella secondaria superiore, sono dotati anche di traguardi di apprendimento collegati alle conoscenze in tema di business ed impresa, nel medesimo ordine degli studi. Ciò significa che lo sviluppo di skill imprenditoriali di carattere tecnico-operativo – in particolare nell’“analisi delle opportunità e messa a punto di progetti di business” – si ritiene richieda necessariamente il possesso di ulteriori competenze di tipo maggiormente teorico. La categoria di learning outcomes maggiormente diffusa nei curricoli nazionali, secondo i risultati cui è giunta la ricerca della Commissione Europea, riguarda le attitudini, in particolare “prendere l’iniziativa ed assumere rischi, pensiero critico, creatività e problem solving”. Benché figurino maggiormente nei curricoli della secondaria inferiore, tuttavia presentano un’ampia diffusione anche nell’ultimo segmento della secondaria, ad esempio in Spagna, Francia, Polonia, Slovenia, Slovac- 25 chia, Svezia. In generale le attitudini imprenditoriali sono oggetto di attività formativa in tutto il Nord Europa nella secondaria superiore, compresa la Danimarca che nello studio della Commissione risulterebbe priva di risultati di apprendimento codificati. Il numero di paesi che promuovono la definizione di risultati di apprendimento correlati all’educazione all’imprenditorialità cresce al crescere del livello del sistema educativo. Nella secondaria superiore, quasi la metà degli stati include una parte relativa alle “conoscenze economiche e finanziarie” nei propri risultati di apprendimento, anche se va rilevato come all’incirca la metà rientrano in discipline di tipo opzionale. Tra i paesi che ne hanno decretato l’obbligatorietà figurano Germania, Austria, Italia, Polonia e Slovenia. Più della metà dei paesi enuclea precisi learning outcomes in relazione alla “conoscenza delle organizzazioni e dei processi imprenditoriali” e anche in questo caso la porzione di scenari nazionali in cui tali risultati rinviano a discipline di tipo non obbligatorio risulta essere particolarmente elevata. I paesi in cui i learning outcomes sono collegati a discipline obbligatorie risultano essere Lituania, Austria, Polonia, Romania, Galles e Irlanda del Nord. La specificazione di risultati di apprendimento di tipo trasversale collegati ai temi dell’imprenditorialità (comunicazione, presentazioni, programmazione, lavoro di gruppo) risulta presente nella misura in cui si sale nel livello del sistema scolastico. Rispondono ai requisiti di obbligatorietà nella Repubblica Ceca, in Polonia, Francia, Spagna, Austria, e nei cosiddetti Nordic countries. Un’ulteriore tendenza costante vede un collegamento piuttosto stretto tra la presenza di “abilità imprenditoriali di tipo pratico” nei curricoli e il fatto che ne sia investito il livello della scuola secondaria superiore. 3.1.3. Lo sviluppo di modelli curricolari coerenti con le finalità dell’educazione imprenditoriale Il Thematic Working Group on Entrepreneurship Education costituito in seno alla Commissione Europea, di recente ha condotto uno studio sullo stato dell’arte dell’educazione imprenditoriale nello spazio europeo dell’apprendimento. Alla luce dei risultati raggiunti ha enucleato una serie di obiettivi a breve e medio termine che dovrebbero orientare lo sviluppo di modelli curricolari particolarmente adeguati allo scopo. Obiettivi nel breve periodo: • L’educazione all’imprenditorialità dovrebbe essere offerta a tutti i livelli di istruzione e coinvolgendo potenzialmente tutte le discipline. • Un curricolo per lo sviluppo dell’educazione all’imprenditorialità richiede un approccio olistico che comprenda tutti gli elementi in gioco, oltre ad un’adeguata flessibilità da parte delle istituzioni educative e degli educatori nello scegliere e lavorare con i più appropriati metodi di insegnamento e di valutazione. 26 • L’apprendimento imprenditoriale dipende dai metodi di insegnamento e dalle strategie pedagogiche utilizzate. Gli studenti dovrebbero avere una serie di opportunità per sviluppare e porre in pratica le proprie idee – un’esperienza imprenditoriale di tipo pratico e concreto - attraverso il programma di studi, che si svolga attraverso attività di carattere disciplinare o mediante un approccio interdisciplinare. • L’imprenditorialità dovrebbe essere introdotta come elemento esplicito nel programma di studi per l’educazione formale e non formale, con linee guida nazionali sulle buone pratiche per realizzare questo obiettivo. Obiettivi a medio termine: • Introdurre l’imprenditorialità come un obiettivo esplicito del curricolo per l’educazione formale e non formale, e sostenere tale processo con la definizione di linee guida operative. • Assicurarsi che il curricolo sia sufficientemente flessibile per consentire l’introduzione di metodi di insegnamento e di valutazione più innovativi, consentendo agli insegnanti, ai formatori e alle istituzioni scolastiche la facoltà di scegliere gli approcci più appropriati per il loro insegnamento. • Incoraggiare approcci curricolari interdisciplinari per sostenere e valorizzare l’introduzione di metodologie adatte all’educazione imprenditoriale. • Rendere disponibili e diffuse in tutte le fasi dell’istruzione e della formazione esperienze imprenditoriali di tipo pratico, nei termini di almeno una per ciascuno studente nel corso dell’istruzione obbligatoria. • Rendere l’apprendimento imprenditoriale rilevante per il mondo reale attraverso l’impegno attivo tra sistema educativo, imprese e comunità, in particolare nella progettazione e sviluppo di esperienze pratiche imprenditoriali. • Incoraggiare l’uso di forme di apprendimento innovativo basato sull’ICT nell’educazione all’imprenditorialità. • Condividi le buone pratiche e incoraggiare la collaborazione tra gli ambienti dell’educazione formale e non formale. 3.1.4. Nuovi approcci alla valutazione dei risultati di apprendimento2 Gli studi di settore condotti di recente a livello europeo sottolineano come l’impegno per sviluppare la formazione all’imprenditorialità richieda uno sforzo più concertato da parte degli gli Stati membri. Dato che l’attenzione per i processi formativi in tema di imprenditorialità è andata via via accrescendosi nei paesi dell’Unione europea, grazie a misure quali la riforma dei curricoli, anche la definizione dei risultati 2 Anche nel merito della valutazione si può confrontare quanto recentemente disposto nella Guida operativa del MIUR per la scuola in materia di alternanza scuola-lavoro, in particolare al paragrafo 12. 27 di apprendimento e delle modalità di valutazione dovranno trovare punti di contatto tra diverse prospettive nazionali. La definizione maggiormente concordata di risultati di apprendimento e di pratiche valutative convergenti offre l’opportunità di accrescere ulteriormente il livello di innovazione nel processo di valutazione. Ciò può realizzarsi ad esempio mediante il coinvolgimento di stakeholder esterni alle istituzioni scolastiche e formative – come le rappresentanze imprenditoriali locali – nel processo di valutazione, così come con l’impiego di dispositivi valutativi basati sulle nuove tecnologie. Esempi di valutazione mediante e-portfolio sono presenti in Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Grecia, Portogallo e Regno Unito in più ampie competenze chiave e forniscono un punto di riferimento per lo sviluppo di analoghe pratiche anche in ulteriori paesi. Dato che la maggior parte dei paesi non dispongono di un approccio complessivo per la formulazione dei risultati di apprendimento o delle pratiche di valutazione in campo imprenditoriale, il Gruppo tematico evidenzia tre aree di criticità che dovrebbero essere tenute in considerazione per lo sviluppo dei sistemi formativi rivolti all’educazione imprenditoriale. • I risultati di apprendimento nella sfera imprenditoriale dovrebbero bilanciare istanze del mercato e valori di equità ed integrazione sociale, come si ricava dal modo in cui la competenza chiave imprenditoriale è stata definita a livello europeo. Ciò evidenzia l’importanza della formazione imprenditoriale che lega insieme le sfere della società, della vita individuale e dell’impresa. Ad esempio, dato che l’alfabetizzazione finanziaria rappresenta un tema estremamente ricorrente negli schemi curricolari, sovente i risultati di apprendimento sono stati definiti soprattutto in termini economici. Questa prospettiva ristretta focalizzata sulle competenze matematiche o economicistiche risulta centrata su un’analisi costi-benefici. Al contrario, allargando la comprensione del fenomeno imprenditoriale alle istanze di equità, i risultati di apprendimento possono comprendere le questioni socio-economiche che hanno un impatto sugli individui, la famiglia e la comunità. • I risultati di apprendimento sui temi imprenditoriali dovrebbero adottare un approccio volto all’apprendimento permanente, con una chiara progressione evolutiva attraverso tutti i livelli di apprendimento, e non essere limitati a livelli di istruzione specifici. Ad esempio, mentre la creatività (come componente della competenza chiave europea per l’imprenditorialità) è presente in un ampio numero di paesi, ulteriori aspetti compaiono solamente all’interno di specifici settori (ad esempio l’istruzione e formazione professionale) e in alcuni gradi del sistema educativo. • Una particolare attenzione dovrebbe essere rivolta a individuare e formalizzare le componenti della competenza chiave per l’imprenditorialità devono essere identificati in modo da enucleare i risultati di apprendimento collegati a ciascuna di esse. In particolare andrebbero esplorati i fenomeni cognitivi e attitudinali associati al carattere imprenditoriale (ad esempio la resistenza al fallimento, lo spirito competitivo etc.) non presenti negli approcci esistenti. 28 3.2. Strategie e metodologie didattiche In generale, secondo quanto indicato nelle recenti ricerche sulla formazione imprenditoriale in ambito scolastico, i metodi di insegnamento tradizionali risultano ancora prevalenti nell’UE. In particolare, gli insegnanti della scuola primaria e secondaria utilizzano principalmente metodi di insegnamento tradizionali, indipendentemente dal corso, pur riconoscendo l’importanza della creatività in classe (Cachia e Ferrari, 2010). Metodi meno tradizionali, come la sperimentazione di nuove modalità di insegnamento ed apprendimento, attività multidisciplinari e riprodurre il lavoro sono applicati in prevalenza dalla minoranza degli insegnanti. Attività di apprendimento, come i progetti vengono utilizzati meno frequentemente, rispetto ai più strutturati e tradizionali metodi di insegnamento. Analizzando i metodi di lavoro utilizzati in cinquanta programmi di educazione all’imprenditorialità a tutti i livelli di istruzione in Austria, Irlanda e Regno Unito, la ricerca ha dimostrato che i metodi di insegnamento tradizionali persistono nell’essere i più comuni, mentre “giochi, competizioni e formazione pratica” sono al momento i meno diffusi (Hytti e O’Gorman, 2004). Inoltre, l’ICT non è ancora utilizzata ampiamente nel settore. L’educazione all’imprenditorialità dovrebbe essere insegnata con metodi che risultino coerenti con le competenze imprenditoriali che si intende fare apprendere, adeguati a tutti i gradi e gli indirizzi di studio. L’uso di un set di metodi diversificati di insegnamento è quindi più adatto alla formazione all’imprenditorialità, rispetto alle tecniche di insegnamento basate prevalentemente sulla lezione tenuta in classe. Alcuni metodi di tipo innovativo, particolarmente adatti alla formazione imprenditoriale, sono facilmente implementabili, ma alcuni richiedono un cambiamento più strutturale ed una capacità di visione a più lungo termine. In termini generali, si ritiene che l’educazione all’imprenditorialità dovrebbe concentrarsi sui bisogni individuali, un approccio che viene facilitato quando l’insegnante o il formatore possono adeguare e personalizzare il metodo di insegnamento utilizzato. Il Gruppo tematico di lavoro della Commissione Europea per l’educazione in campo imprenditoriale ha individuato una vasta gamma di metodi di insegnamento ritenuti particolarmente efficaci nella formazione all’imprenditorialità. I metodi di insegnamento possono essere raggruppati in base al loro livello di utilizzo. A seconda del grado di intensità e di complessità con cui vengono impiegati, alcuni metodi possono funzionare a più livelli e comportano diversi livelli di investimento. Livello micro Si tratta di interventi brevi che possono essere inseriti facilmente e immediatamente in attività didattiche esistenti o all’interno di confini disciplinari e per tale ragione possono essere classificati come livello micro. L’insegnante può utilizzarli in aula, all’interno di curricoli esistenti e in tutti i tipi di materie. Nella tabella che segue si offre un elenco di metodologie proposte a livello europeo (cfr. Fig. 4). 29 Figura 4 - Metodologie didattiche per il livello micro Livello micro (pratiche di insegnamento individuale) • Utilizzo più diffuso ed intensivo dell’ICT (es. digital story telling o blogging) • Pratica riflessiva • Esempi tratti dalla vita quotidiana • Insegnamento basato su problemi • Action Learning • Discussioni basate su problemi • Self-directed learning • Uso di metafore • Mind mapping • Podcast e uso di sequenze video e film • Story-telling • Sfide alla capacità inventiva • Role-play Fonte: nostro adattamento da European Commission, 2014 Livello meso A livello meso si collocano i metodi ed attività che richiedono un adattamento di approcci didattici esistenti, che possono essere concordati e realizzati su base dell’istituzione scolastica o formativa. Ad esempio, la creazione di un ambiente di apprendimento stimolante orientato alla capacità individuali di ogni studente, sulla base dei risultati di apprendimento conseguiti precedentemente. Alcune metodologie, in primis le mini-imprese, richiedono che le scuole si dotino di determinate infrastrutture. Anche il tempo di insegnamento richiede di essere modificato e destinato a tematiche specifiche qualora si intenda dar corpo a tali attività (cfr. Fig. 5). Figura 5 - Metodologie didattiche per il livello meso Livello meso (attività a livello di scuola) • Creazione di Business Plan a partire dall’idea imprenditoriale, • Lezioni basate su progetti sino alla definizione del budget • Studi di caso • Self-directed learning • Rompicapo di gruppo • Design-based learning • Mini-imprese • Esercizi su marketing e vendite • Simulazione di impresa • Shadowing di imprenditori • Gruppi di dibattito • Generazione e sviluppo di idee creative • Pratica riflessiva Fonte: nostro adattamento da European Commission, 2014 Livello macro I curricoli in ambito imprenditoriale possono riguardare inoltre metodi didattici che richiedono una realizzazione a livello macro. Questo può significare che la loro adozione richiederebbe una certa quantità di cambiamenti strutturali a livello di scuola. L’attuazione di questi metodi richiede anche la presenza di pre-condizioni specifiche che devono essere promosse a livello politico in ambito locale, regionale o nazionale (cfr. Fig. 6). 30 Figura 6 - Metodologie didattiche per il livello macro Livello macro (attività a livello di politica scolastica) • Metodologie di progetto • Stage imprenditoriale presso start-up, aziende, imprese sociali, ONG • Start-up promosse da studenti integrate nel curricolo e nelle pratiche valutative della scuola Fonte: nostro adattamento da European Commission, 2014 I curricoli rivolti alle competenze imprenditoriali dovrebbero includere risultati di apprendimento il cui possesso possa essere valutato sia durante che al termine del processo di apprendimento. L’approccio basato sul portfolio può accompagnare lo studente nello sviluppo e verifica di una vasta gamma di risultati di apprendimento, attraverso la partecipazione ad attività didattiche che utilizzino una combinazione di diversi metodi di insegnamento. Ad esempio, gli interventi a livello micro possono fornire una piccola serie di risultati dell’apprendimento imprenditoriale, ma non coprirebbero l’intero spettro della competenza chiave imprenditoriale. Pertanto, è importante riconoscere che i programmi possono includere metodi di livello micro, meso e macro in tutte le discipline, fornendo un’esperienza completa di formazione all’imprenditorialità. La centralità attribuita all’esperienza pratica L’esperienza pratica nell’educazione all’imprenditorialità è quella in cui una vasta gamma di risultati di apprendimento possono essere mappati e valutati. L’importanza di esperienze pratiche imprenditoriali è stato ribadita a livello europeo nella Comunicazione della Commissione Europea del 2012, che ha invitato tutti gli Stati membri a proporre una tale esperienza a tutti gli studenti almeno una volta nel corso dell’istruzione obbligatoria. Un’esperienza pratica imprenditoriale è un’esperienza educativa in cui lo studente ha la possibilità di elaborare idee, individuare una buona idea e trasformare quell’idea in azione. È importante sottolineare che una caratteristica fondamentale consiste nel coinvolgimento di partner esterni nella progettazione e/o nella realizzazione delle attività didattiche, al fine di garantirne l’aderenza con il mondo reale dell’impresa. Gli studenti devono poter essere posti nella situazione concreta di utilizzare le nuove competenze e di sperimentare idee in un ambiente di apprendimento che li supporti, in cui gli errori non vengano sanzionati ma valorizzati come strumento di apprendimento. Ciò permette loro di conquistare la fiducia e l’esperienza per trasformare le loro idee in azione nel mondo reale. L’esperienza dovrebbe consentire allo studente di condurre un’iniziativa a titolo individuale o come parte di un piccolo team, sperimentare mediante il learning-by-doing e produrre al termine un risultato tangibile. L’obiettivo consiste nel fatto che gli studenti sviluppino le competenze attese, la fiducia e la capacità di individuare le opportunità, di individuare soluzioni e di mettere in pratica le proprie idee. • Week end per la creazione di impresa • Competizioni tra istituti • Simulazione di impresa • Mini-imprese integrate nel curricolo e nelle pratiche valutative della scuola • Problemi reali affrontati dalle imprese 31 4. Rassegna di “buone pratiche” nel campo dell’educazione all’imprenditorialità nella scuola e nella leFP Lo scambio di buone pratiche è, essa stessa, una pratica riconosciuta da più parti come una delle modalità più efficaci per condividere conoscenze ed esperienze tra soggetti che desiderano approfondire uno stesso argomento o operare in uno stesso ambito. Le “buone prassi” offrono infatti molti spunti di riflessione, invitano alla condivisione aprendosi e arricchendosi del contributo di molti, più o meno esperti, permettendo ad ognuno di adattarle e rivederle in un’ottica personale. Infine stimolano la riflessione su esperienze significative e invitano all’emulazione e alla sperimentazione contestualizzata diventando così uno strumento moltiplicativo. In quest’ottica abbiamo individuato e riportato 16 “pratiche significative” che hanno come comune denominatore lo sviluppo delle competenze imprenditoriali. Alcune di esse sono state desunte da recenti pubblicazioni in materia, mentre altre sono state raccolte tramite interviste a formatori dei Centri di Formazione Professionale (tra cui alcuni del CNOS-FAP). 4.1. La raccolta e selezione delle “buone pratiche” Le esperienze analizzate, che hanno naturalmente una valenza solo indicativa, sono state suddivise secondo la classificazione dei programmi ed attività di “educazione all’imprenditorialità” proposta dal Thematic Working Group on Entrepreneurship Education, costituito nell’ambito del programma Education and Training 2020. Tale classificazione considera in particolare: • lo sviluppo di doti personali e competenze trasversali, in una logica di sviluppo della mentalità imprenditoriale (mind-set); • la sensibilizzazione degli studenti sul tema del lavoro autonomo e della prospettiva imprenditoriale come possibili scelte professionali; • la realizzazione di attività e progetti concreti, come nel caso delle mini-imprese di studenti; • lo sviluppo di conoscenze e competenze aziendali specifiche per avviare e gestire un’azienda. Al loro interno poi sono state individuate le caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità utilizzando uno schema proposto dalla Commissione Europea attraverso la serie di guide su “Come sostenere la politica 32 perle PMI con i fondi strutturali”. Tali caratteristiche possono essere riassunte nella seguente check-list: – l’attività prevede l’incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale (imprenditori, aziende, enti a supporto dell’imprenditori e del mercato del lavoro, ecc.) – l’attività permette una chiara comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte, ad es. per sviluppare competenze relative a creatività e iniziativa, nonché le capacita necessarie per assumersi dei rischi o gestire un’impresa con efficacia – l’attività prevede un apprendimento di tipo esperienziale e pratico, per consentire agli studenti di divertirsi, fare tesoro dei risultati dell’esperienza di apprendimento e provare un senso di gratificazione che contribuisca alla loro autostima – l’attività prevede compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività, e che promuovono l’attuazione di approcci innovativi al problem solving – gli insegnanti coinvolti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali, su come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali e come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti. Nello schema che segue (schema 1) si possono identificare la distribuzione delle prassi analizzate in relazione ad una o più di una queste caratteristiche come prevalenti. In effetti, le pratiche sono molte più complesse e, al loro interno, contengono spunti e attività che rispondono a criteri e fattori molteplici3. 3 La sigla UdA posta tra parentesi a fianco dei titoli delle buone prassi indica inoltre che l’attività corrisponde ad un’unità di apprendimento. 33 Caratteristiche di efficacia Finalità prevalenti Sviluppo di doti personali e competenze trasversali Sensibilizzazione degli studenti sul tema del lavoro autonomo Realizzazione di attività e progetti concreti Sviluppo di conoscenze e competenze aziendali specifiche Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Formazione all’impresa 3Dreaming Challange Innovation Chiara comprensione della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Le regole che contano Percorso di Orientamento – Colloquio di lavoro (UdA) Sportello di servizi al lavoro 3Dreaming Challange Innovation Apprendimento di tipo esperienziale e pratico Vela Maestra 2012 Bellacoopia - percorso didattico attraverso la costituzione di una cooperativa virtuale Gestione di un albergo Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività e che promuovono l’attuazione di approcci innovativi al problem solving Progetto Peer Leader Web commesse - Azione di accompagnamento al lavoro Ritratti Mutanti - Sperimentazione sull’uso delle smart technology Simulimpresa Impresa in azione Gli insegnanti coinvolti sono dotati di knowhow sui principi imprenditoriali e su come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti Il mio salone (UdA) Olimpiadi dell’Automazione (UdA) EYE - Ethics and Young Entrepreneurs Schema 1 – Classificazione delle buone prassi in base alle caratteristiche indicate dall’UE 34 4.2. Schede descrittive delle pratiche selezionate In allegato sono riportate le schede descrittive delle 16 pratiche sopra richiamate (di cui 6 realizzate in Centri del CNOS-FAP e 10 in altri enti). Esse sono strutturate secondo un format (schema 2) che riporta: il titolo della pratica, la persona fonte di riferimento, la descrizione dell’attività, gli obiettivi e/o risultati e il posizionamento dichiarato rispetto alle 5 caratteristiche chiave di efficacia dell’educazione all’imprenditorialità. Schema 2 – Format delle schede descrittive Titolo pratica Ente di riferimento Intervistato Descrizione dell’attività Obiettivi e/o risultati Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità 35 4.2.1. Enti / CFP non salesiani Titolo Bellacoopia - percorso didattico attraverso la costituzione di una cooperativa virtuale Ente IeFP CFP VILLAGGIO DEL RAGAZZO DI CHIAVARI (Ge) Intervistato Formatori Descrizione dell’attività È un percorso didattico sulla creazione di un’impresa cooperativa virtuale, nell’ambito del concorso “Bellacoopia”, promosso da Legacoop Liguria con il patrocinio della Regione Liguria, Provincia di Genova. http://www.e-coop.it/web/coop-liguria/il-concorsobellacoopia. Si parte da un bando che permette alle scuole di iscriversi mandando l’idea progettuale. C’è una selezione sulle idee presentate; una volta selezionati i progetti si realizzano dei momenti formativi con il contributo di esperti inviati da Legacoop; i temi trattati sono: analisi dei bisogni e delle risorse, indagine di mercato per rilevare la concorrenza già presente sul territorio, ricerca di informazioni in merito al know-how che può essere trasmesso da un esperto del settore, stesura del piano economico e, ovviamente, le elezioni del Consiglio di Amministrazione, redazione dell’Atto costitutivo e dello Statuto. In base alle indicazioni degli esperti gli studenti devono realizzare la cooperativa virtuale creando il progetto e il prodotto. Le idee nascono sempre dagli studenti, i docenti danno qualche consiglio ma si cerca di mantenere il nucleo originale. È importante mantenere le passioni dei ragazzi. Es: All’ultima edizione ha partecipato il III anno operatore meccanico con il progetto “Cooperativa di aggiustaggio e personalizzazione auto” che offriva servizi di meccanica/elettrauto/carrozzeria ad aziende e privati interessati alla personalizzazione dei propri mezzi e che operava in vari settori, da quello del car tuning a quello dei veicoli destinati ai portatori di handicap. I ragazzi strutturano tutta la cooperativa come se fosse realizzabile in realtà: segretario, presidente, amministratore, fanno la prima assemblea dei soci, ecc...È un’opportunità per mettere in pratica la propria idea imprenditoriale. Tutti quelli che partecipano ricevono 1.000,00 euro di premio che vengono utilizzati per finanziare attività didattiche. Le proposte vengono selezionate non solo per il loro carattere innovativo e inedito, ma anche per la capacità di esaltare aspetti quali mutualità, socialità, solidarietà, partecipazione, protagonismo. Quando vengono gli esperti svolgono la lezione nelle ore di diritto in modo che l’insegnante possa fare collegamenti con la propria materia; anche l’insegnante di laboratorio è coinvolto nella realizzazione dei prodotti che sono ideati dal progetto di cooperativa, es: pomolo di un cambio per chi ha una disabilità alle mani, alettone, ecc. Cardine metodologico del progetto Bellacoopia è la didattica “dell’imparare facendo”, lavorando per progetti. Agendo all’interno di un progetto, non si impara solo quello su cui si sta lavorando, ma si mettono in moto una serie di competenze settoriali e trasversali. Sono 20 ore circa di lezioni fatte dagli esperti, alcune lezioni dedicate dai docenti del CFP in orario curricolare, e poi i ragazzi si trovano dopo la scuola per la creazione vera e propria della cooperativa. Sono seguiti dal coordinatore dalle 16,20 fino alle 18,00 al di fuori dell’orario scolastico. segue Sviluppo di competenze di area culturale (diritto) e trasversale (collaborare e partecipare) e di area professionale. Il CFP già lavora sulla creazione d’impresa (non cooperativa ma individuale), in questo caso però si aggiunge il concorso, la competizione, il premio, il coinvolgimento del territorio e il contesto più realistico in cui avviene il tutto. La soddisfazione per gli studenti di presentare il proprio progetto e ricevere un premio davanti ai ragazzi di tutte le scuole partecipanti è molto alta. Viene dato un assegno finto (a cui seguirà il vero). La possibilità di vedere concretizzata una propria idea è molto motivante per gli studenti che si fermano volentieri oltre l’orario delle lezioni. Obiettivi e/o risultati 36 Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Si realizzano dei momenti formativi con il contributo di esperti inviati da Legacoop; i temi trattati sono: analisi dei bisogni e delle risorse, indagine di mercato per rilevare la concorrenza già presente sul territorio, ricerca di informazioni in merito al know-how che può essere trasmesso da un esperto del settore, stesura del piano economico e, ovviamente, le elezioni del Consiglio di Amministrazione, redazione dell’Atto costitutivo e dello Statuto. Il CFP già lavora sulla creazione d’impresa (non cooperativa ma individuale), in questo caso però si aggiunge il concorso, la competizione, il premio, il coinvolgimento del territorio e il contesto più realistico in cui avviene il tutto. Apprendimento esperienziale e pratico Cardine metodologico del progetto Bellacoopia è la didattica “dell’imparare facendo”, lavorando per progetti. Agendo all’interno di un progetto, non si impara solo quello su cui si sta lavorando, ma si mettono in moto una serie di competenze settoriali e trasversali. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività In base alle indicazioni degli esperti gli studenti devono realizzare la cooperativa virtuale creando il progetto e il prodotto. Le idee nascono sempre dagli studenti, i docenti danno qualche consiglio ma si cerca di mantenere il nucleo originale. Promozione di approcci innovativi al problem solving Le proposte vengono selezionate non solo per il loro carattere innovativo e inedito, ma anche per la capacità di esaltare aspetti quali mutualità, socialità, solidarietà, partecipazione, protagonismo. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali Quando vengono gli esperti svolgono la lezione nelle ore di diritto in modo che l’insegnante possa fare collegamenti con la propria materia; anche l’insegnante di laboratorio è coinvolto nella realizzazione dei prodotti che sono ideati dal progetto di cooperativa, es: pomolo di un cambio per chi ha una disabilità alle mani, alettone, ecc. Su come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali La soddisfazione per gli studenti di presentare il proprio progetto e ricevere un premio davanti ai ragazzi di tutte le scuole partecipanti è elevata. La possibilità di vedere concretizzata una propria idea è molto motivante per gli studenti che si fermano volentieri oltre l’orario delle lezioni. Su come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti È importante mantenere le passioni dei ragazzi. I ragazzi strutturano tutta la cooperativa come se fosse realizzabile in realtà: segretario, presidente, amministratore, fanno la prima assemblea dei soci, ecc... È un’opportunità per mettere in pratica la propria idea imprenditoriale. Titolo EYE - Ethics and Young Entrepreneurs Ente IeFP Al progetto partecipano 5 Istituti Scolastici Superiori di Prato: Istituto Tecnico Industriale Statale “Tullio Buzzi”, Istituto Tecnico Economico e Professionale Statale “Paolo Dagomari”, Istituto Professionale Statale “Francesco Datini”, Istituto Statale di Istruzione Superiore “A. Gramsci - J.M. Keynes” e Istituto d’Istruzione Superiore “Carlo Livi” Tratto da http://www.associazioneartes.com/it/news/eye-prato-programma-2015 Descrizione dell’attività È un programma di formazione all’imprenditorialità giovanile e all’etica del lavoro. Il programma propone agli studenti delle scuole superiori gli elementi base del “fare impresa” fornendo le nozioni tecniche, legislative, pratiche e favorendo lo sviluppo di competenze relazionali, le cosiddette soft skills, per avviare un’impresa al termine degli studi superiori o nel corso della vita lavorativa. Il programma è alla quarta edizione nel 2015 ed è realizzato insieme al Comune di Prato e Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale Pratese e in collaborazione con Incubatore di Firenze. EYE nasce nel 2012 e ha visto ad oggi tre edizioni che hanno coinvolto circa 130 studenti, 40 tra imprenditori e professionisti, 15 aziende e ha portato alla realizzazione di 33 business plan. Dal progetto EYE sono nate 2 nuove imprese messe in piedi dai giovani protagonisti del progetto. Il programma nel 2015 è realizzato nel territorio fiorentino e pratese. La struttura del corso prevede: – workshop con imprenditori e professionisti sugli elementi del fare impresa – laboratori per lo sviluppo della business idea – visite aziendali – stage in azienda – percorsi di facilitazione d’impresa. Obiettivi e/o risultati Gli obiettivi di EYE sono: – la promozione della cultura del fare impresa tra i giovani – proporre il fare impresa come possibile sbocco occupazionale delle scuole superiori – creare un percorso di integrazione e interscambio culturale tra giovani di diverse origini – apprezzare valori comuni nelle modalità del fare impresa, coniugando il legittimo profitto con la centralità della persona umana e le responsabilità sociali – promuovere lo sviluppo e la creazione di start-up. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Il programma è alla quarta edizione nel 2015 ed è realizzato insieme al Comune di Prato e Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale Pratese e in collaborazione con Incubatore di Firenze. Durante il programma vengono effettuate 5 visite aziendali. Apprendimento esperienziale e pratico Ad oggi gli studenti hanno realizzato 33 business plan. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Dal progetto EYE sono nate 2 nuove imprese messe in piedi dai giovani protagonisti del progetto. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali 8 workshop con imprenditori e professionisti sugli elementi del fare impresa. 38 Titolo Gestione di un albergo Ente IeFP Istituto Tecnico Economico per il Turismo “Don Milani” di Rovereto Intervistata Ex-allieva Descrizione dell’attività La descrizione è semplice, per due settimane siamo noi studenti che dobbiamo occuparci di far funzionare l’albergo. La stessa tipologia di esperienza l’ho fatta per 2 volte: un anno in un albergo di Senigallia e un anno in Polsa di Brentonico. A Senigallia ho svolto il ruolo maitre di sala, in Polsa quello di direttore marketing. Posso dire che quella fatta in Polsa è stata l’esperienza più bella che abbia mai fatto, non tutte le scuole ti permettono di buttarti a capofitto nel mondo del lavoro. Abbiamo dovuto imparare a collaborare per offrire un servizio di qualità ai clienti e fare in modo che tutto funzionasse alla perfezione. Di fronte ai problemi dovevamo confrontarci all’interno della propria squadra e risolverli. I professori offrivano una consulenza ma le scelte partivano da noi. Prima di partire gli insegnanti ci hanno spiegato cosa dovevamo fare, ovvero occuparci di tutto: dall’animazione alle pulizie, dalla gestione del sito web alla reception, dalla direzione alla cucina e lo sport ecc... Questa grande varietà di ruoli ha permesso alla maggior parte di noi di inserirsi e sperimentare l’attività per cui si sentiva maggiormente portato. Gli insegnanti ci hanno dunque detto che ruoli c’erano e chi sarebbero stati gli ospiti: studenti di altre scuole e anche qualche ospite “vero”. Devo dire però che per me le cose non sono state chiare fino a quando non mi sono trovata sul posto e ho dovuto iniziare a lavorare. Prima di iniziare la settimana di gestione dell’albergo c’è tutto un lavoro preparatorio. Io, ad esempio, ero direttore marketing e, nel mio gruppo, c’era chi si occupava degli aspetti grafici per la preparazione del logo dell’evento e dei volantini di promozione, chi avrebbe gestito il sito web ecc. Quindi siamo stati supportati da dei professionisti che ci hanno spiegato come impostare l’attività insegnandoci gli elementi fondamentali per poterlo fare. La fase di preparazione è durata due, tre mesi prima dell’evento con incontri settimanali di 4 ore circa. Per quanto riguarda la scelta del mio ruolo come direttore marketing è stata proposta dai miei compagni, che sapevano di questo mio desiderio, e accettata dagli insegnanti. Non mi sono candidata direttamente perché avevo paura che la risposta dei miei insegnanti fosse negativa. Naturalmente sono stata felicissima della nomina anche se non sapevo bene cosa avrei dovuto fare. La scelta su di me è stata fatta anche perché l’anno prima, come maitre di sala, ero riuscita a dare il meglio, grazie al forte impegno che ci avevo messo e che, comunque, mi aveva fatto superare positivamente la prova. Gli articoli che ho scritto sono stati redatti da me e da una giornalista dell’“Adige”, abbiamo sponsorizzato l’evento su quotidiani, radio, siti web e anche in televisione (nello specifico abbiamo avuto un passaggio nella trasmissione Rai “Buongiono Regione”). La giornalista, che era una degli esperti coinvolti dalla scuola, ci ha dato una mano prima di partire e durante l’evento. Ogni reparto aveva un professionista di riferimento. Durante l’attività in Polsa ho proprio capito che questo era il lavoro che volevo fare, ho avuto moltissime soddisfazioni, innanzi tutto perché gli articoli che contribuivo a scrivere venivano pubblicati e poi perché i professori mi lodavano e mi incoraggiavano. Iniziavo a lavorare la mattina presto e finivo la sera tardi anche aiutando gli altri del mio gruppo che erano più in difficoltà. Oltre che a scrivere e a promuovere gli articoli mi occupavo anche della stampa dei questionari e di fare le relative statistiche. segue 39 Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Gli insegnanti ci hanno dunque detto che ruoli c’erano e chi sarebbero stati gli ospiti: studenti di altre scuole e anche qualche ospite “vero”. Devo dire però che per me le cose non sono state chiare fino a quando non mi sono trovata sul posto e ho dovuto iniziare a lavorare. Apprendimento esperienziale e pratico Gli articoli che ho scritto sono stati redatti da me e da una giornalista dell’“Adige”, abbiamo sponsorizzato l’evento su quotidiani, radio, siti web e anche in televisione (nello specifico abbiamo avuto un passaggio nella trasmissione Rai “Buongiono Regione”). La giornalista, che era una degli esperti coinvolti dalla scuola, ci ha dato una mano prima di partire e durante l’evento. Ogni reparto aveva un professionista di riferimento. Durante l’attività in Polsa ho proprio capito che questo era il lavoro che volevo fare. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Prima di partire gli insegnanti ci hanno spiegato cosa dovevamo fare, ovvero occuparci di tutto: dall’animazione alle pulizie, dalla gestione del sito web alla reception, dalla direzione alla cucina e lo sport ecc... Questa grande varietà di ruoli ha permesso alla maggior parte di noi di inserirsi e sperimentare l’attività per cui si sentiva maggiormente portato. Promozione di approcci innovativi al problem solving Abbiamo dovuto imparare a collaborare per offrire un servizio di qualità ai clienti e fare in modo che tutto funzionasse alla perfezione. Di fronte ai problemi dovevamo confrontarci all’interno della propria squadra e risolverli. I professori offrivano una consulenza ma le scelte partivano da noi. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali Siamo stati supportati da dei professionisti che ci hanno spiegato come impostare l’attività insegnandoci gli elementi fondamentali per poterlo fare. Su come comunicare ed entusiasmare le persone sulle questioni centrali Posso dire che quella fatta in Polsa è stata l’esperienza più bella che abbia mai fatto, non tutte le scuole ti permettono di buttarti a capofitto nel mondo del lavoro. Su come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti La descrizione è semplice, per due settimane siamo noi studenti che dobbiamo occuparci di far funzionare l’albergo. Iniziavo a lavorare la mattina presto e finivo la sera tardi anche aiutando gli altri del mio gruppo che erano più in difficoltà. Oltre che a scrivere e a promuovere gli articoli mi occupavo anche della stampa dei questionari e di fare le relative statistiche. Prima di iniziare la settimana di gestione dell’albergo c’è tutto un lavoro preparatorio. Io, ad esempio, ero direttore marketing e, nel mio gruppo, c’era chi si occupava degli aspetti grafici per la preparazione del logo dell’evento e dei volantini di promozione, chi avrebbe gestito il sito web ecc. Quindi siamo stati supportati da dei professionisti che ci hanno spiegato come impostare l’attività insegnandoci gli elementi fondamentali per poterlo fare. La fase di preparazione è durata due, tre mesi prima dell’evento con incontri settimanali di 4 ore circa. 40 Titolo Olimpiadi dell’Automazione Ente IeFP Centro di formazione professionale Lepido Rocco Intervistato Formatore Descrizione dell’attività Le “Olimpiadi dell’Automazione” sono un concorso, ideato e finanziato da Siemens in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, che ha come contenuti le tematiche dell’automazione e delle tecniche innovative nell’ambito dell’automazione. Siemens è una grossa azienda molto presente nel campo dell’impiantistica e automazione industriale. Il bando esce ogni anno, l’anno scorso il nostro centro di formazione ha partecipato con 2 progetti di cui uno è arrivato primo in Italia nella categoria senior (avendo già vinto altre volte il concorso). La selezione avviene fra 70-100 progetti circa presentati da parte di scuole di tutte le regioni d’Italia. Le classi che hanno partecipato lo scorso anno sono state: il terzo anno del corso per installatore di impianti elettrici civili e industriali e il quarto anno del corso per tecnico elettronico delle telecomunicazioni. Le classi vengono scelte in base alla preparazione raggiunta, quindi alla loro capacità di partecipare a un concorso di questo tipo. Generalmente alle classi viene chiesto se vogliono partecipare all’inizio dell’anno scolastico, se accettano devono scegliere, guidate dal docente, anche la tematica del progetto da realizzare. Alcune delle tematiche scelte negli anni scorsi sono state: realizzazione di un parcheggio automatizzato (progetto che ha vinto il primo premio); riparazione e innovazione di una stampante 3D; robot con funzioni di auto-apprendimento; un impianto di riciclaggio bottiglie di plastica; una fabbrica di crostate di marmellata; un impianto di essiccazione granaglie. Il compito del docente è incanalare le proposte degli studenti in un progetto che sia realizzabile e che abbia possibilità di successo, ma è importante che l’idea parta dal gruppo classe, è molto importante per la loro motivazione e determinazione a portare avanti il progetto stesso. Il docente pianifica il progetto secondo le modalità e le tempistiche di un’unità di apprendimento (UdA), all’inizio viene svolta la parte teorica utile a sviluppare il progetto vero e proprio. Di solito gli apprendimenti teorici durano fino alle vacanze di Natale, mentre come compiti per casa ci sarà la stesura del progetto, al rientro dalle vacanze viene scelto il migliore, si apportano le migliorie proposte dalla classe, quindi viene realizzato in laboratorio. Per la realizzazione di un parcheggio automatizzato, ad esempio, inizialmente è stata fatta tutta la fase di progettazione 3D dell’impianto dove gli studenti hanno presentato diversi progetti. Quindi è stato scelto il progetto più promettente ed è iniziata la fase realizzativa della struttura in legno. Poi, utilizzando pezzi di recupero, e stata realizzata la parte delle movimentazioni; l’impianto elettrico ed il software di automazione. Infine l’impianto viene dipinto e collaudato. Durante l’esecuzione del progetto tutte le fasi vengono documentate con foto, video e le ricerche realizzate per capire meglio quali tecnologie applicare, progetti meccanici con disegni costruttivi, schemi elettrici e software. Alla commissione del concorso il progetto viene presentato sia in forma cartacea che telematica accompagnato da un video sul funzionamento del prodotto. Il centro di formazione sviluppano il progetto in modo che la commissione possa fare anche una simulazione al computer. La premiazione avviene a Milano verso metà maggio (il progetto era stato consegnato a fine marzo) alla presenza di tutte le scuole che si sono classificate, delle autorità dell’industria e del commercio, del ministero della Pubblica Istruzione e dei referenti Siemens. L’anno scorso il progetto “parcheggio automatizzato” ha vinto 5.000,00 € impiegate per comperare nuove apparecchiature tecnologiche. C’è un monitoraggio informale sul processo (divisione in gruppi, distribuzione delle attività, ecc...) e sul prodotto finale che dev’essere eccellente. Trattandosi di un’UdA c’è poi la normale valutazione scolastica, con la realizzazione di esercitazioni (evidenze) strutturate relative al programma e funzionali all’esame. È un’UdA che viene molto dilatata nel corso dell’anno scolastico. segue 41 Obiettivi e/o risultati Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Una finalità molto importante riguarda l’imparare a collaborare e a lavorare in gruppo per lo sviluppo di un progetto (da soli non riuscirebbero a farlo). La classe che l’hanno scorso ha vinto ha realizzato un prodotto d’eccellenza anche perché il gruppo era molto affiatato, si erano divisi i compiti in maniera omogenea e la collaborazione era stata elevata. Un’ulteriore finalità riguarda l’aumento della motivazione degli studenti verso determinate materie di studio. Comprendere la loro reale applicazione, creare un prodotto e, soprattutto, partecipare a un concorso sono fattori importantissimi per alimentare la motivazione degli allievi. Infine è utilissimo affinché gli allievi imparino ad utilizzare tutti gli strumenti, le conoscenze, e le tecnologie alla base della realizzazione del progetto. Il docente spiega e aiuta ma gli allievi fanno concretamente, sono quindi obbligati ad “imparare per poter fare”. Possiamo aggiungere il recupero dei materiali come modalità per limitare lo spreco di risorse. Il progetto è un’UdA ed è basato su compiti reali. È un concorso quindi mette gli allievi in competizione, anche con premio finale in danaro (forte motivazione). È in rapporto con il mondo del lavoro e dell’innovazione (Siemens è un’impresa che promuove ed investe e valuta, non la scuola). Permette ai ragazzi di mettersi in luce e farsi notare dalle aziende del territorio in quanto è un concorso seguito dai media, Unindustria e Ministero della Pubblica Istruzione e del Lavoro. A dimostrazione del gradimento degli studenti posso dire che quest’anno il progetto è stato così grande che gli studenti, per poterlo consegnare nei tempi utili, hanno proposto, essi stessi, di venire fuori orario scolastico durante i pomeriggi e al sabato. Le “Olimpiadi dell’Automazione” sono un concorso, ideato e finanziato da Siemens in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, che ha come contenuti le tematiche dell’automazione e delle tecniche innovative nell’ambito dell’automazione. Siemens è una grossa azienda molto presente nel campo dell’impiantistica e automazione industriale. Permette ai ragazzi di mettersi in luce e farsi notare dalle aziende del territorio in quanto è un concorso seguito dai media, Unindustria e Ministero della Pubblica Istruzione e del Lavoro. Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Durante l’esecuzione del progetto tutte le fasi vengono documentate con foto, video e le ricerche realizzate per capire meglio quali tecnologie applicare, progetti meccanici con disegni costruttivi, schemi elettrici e software. Apprendimento esperienziale e pratico È stato scelto il progetto più promettente ed è iniziata la fase realizzativa della struttura in legno. Poi, utilizzando pezzi di recupero, è stata realizzata la parte delle movimentazioni; l’impianto elettrico ed il software di automazione. Infine l’impianto viene dipinto e collaudato. Il docente spiega e aiuta ma gli allievi fanno concretamente, sono quindi obbligati ad “imparare per poter fare”. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Generalmente alle classi viene chiesto se vogliono partecipare all’inizio dell’anno scolastico, se accettano devono scegliere, guidate dal docente, anche la tematica del progetto da realizzare. Il compito del docente è incanalare le proposte degli studenti in un progetto che sia realizzabile e che abbia possibilità di successo, ma è importante che l’idea parta dal gruppo classe, è molto importante per la loro motivazione e determinazione a portare avanti il progetto stesso. segue 42 Gli insegnanti sanno come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali Un’ulteriore finalità riguarda l’aumento della motivazione degli studenti verso determinate materie di studio. Comprendere la loro reale applicazione, creare un prodotto e, soprattutto, partecipare a un concorso sono fattori importantissimi per alimentare la motivazione degli allievi. A dimostrazione del gradimento degli studenti posso dire che quest’anno il progetto è stato così grande che gli studenti, per poterlo consegnare nei tempi utili, hanno proposto, essi stessi, di venire fuori orario scolastico durante i pomeriggi e al sabato. Promozione di approcci innovativi al problem solving Una finalità molto importante riguarda l’imparare a collaborare e a lavorare in gruppo per lo sviluppo di un progetto (da soli non riuscirebbero a farlo). La classe che l’hanno scorso ha vinto ha realizzato un prodotto d’eccellenza anche perché il gruppo era molto affiatato, si erano divisi i compiti in maniera omogenea e la collaborazione era stata elevata. 43 Titolo Progetto Peer Leader Ente IeFP Centro di Formazione Professionale Fondazione Casa della Gioventù Intervistato Formatore e tutor Descrizione dell’attività È un progetto di tutoraggio interno che prevede la formazione di un gruppo di allievi che collaboreranno con la scuola, in particolare con il tutor, nella gestione di alcune attività calendarizzate nel corso dell’anno formativo. Tali attività sono: l’accoglienza dei nuovi iscritti: nei primi giorni di scuola gli allievi del primo anno sono accompagnati dai peer leader alla scoperta della scuola e delle sue caratteristiche, come ad esempio gli orari scolastici, i trasporti, il funzionamento della mensa, l’utilizzo del libretto personale, il sistema di valutazione, le norme di condotta e più in generale tutto ciò che riguarda il funzionamento dell’istituto; le giornate di “scuola aperta” che si svolgono da metà dicembre a metà gennaio circa: i peer leader partecipano sia in fase di organizzazione che di realizzazione dell’evento. Durante la fase organizzativa collaborano con il tutor nel definire la scaletta delle informazioni da passare alle famiglie, nell’individuare le coppie di ragazzi che accompagneranno le famiglie in visita alla scuola illustrandone il funzionamento, nel preparare gli allievi ad accogliere e accompagnare la famiglie…; l’accompagnamento di ragazzi non frequentanti la scuola, soprattutto di terza media, durante i mini stage di orientamento che il CFP offre per permettere loro una scelta più consapevole. In questo contesto i peer leader accolgono i ragazzi ospiti, presentano dettagliatamente la scuola e il suo funzionamento e li accompagnano a visitare le aule di teoria e i laboratori del settore di interesse; la realizzazione di eventi particolari organizzati o realizzati nell’istituto, come la festa di fine anno, la cerimonia per la consegna delle borse di studio o l’incontro con autorità (Vescovo, Assessore regionale...). La scelta dei peer leader non è casuale ma avviene tramite la somministrazione di un questionario* all’intera classe; tale strumento chiede di indicare i nominativi di due compagni attraverso la risposta ad alcune semplici domande. In questo modo vengono identificati gli allievi (due per classe, che diventano tre in caso di parità) che presentano le caratteristiche adatte al ruolo. La somministrazione del questionario avviene verso la fine dell’anno scolastico (tra aprile e maggio) di modo che i nuovi peer leader possano essere formati al ruolo e supervisionati dai peer in carica delle classi terze; in questo modo c’è un passaggio di consegne diretto tra i peer uscenti e quelli che diventeranno peer l’anno successivo. Quello di peer leader è un ruolo sempre più riconosciuto dai compagni, dai docenti e da tutto il personale della scuola; per i ragazzi è un ruolo molto importante e ne sentono la piena responsabilità. In alcuni casi c’è una sovrapposizione tra peer leader e rappresentanti di classe, a conferma delle doti di leader loro riconosciute dall’intera classe. I peer sono molto bravi nei confronti degli allievi delle prime classi, li accolgono e li seguono durante l’orario di frequenza ma sono anche molto attenti a ciò che succede al di fuori dei confini dell’ambito scolastico, trattasi di momenti di difficoltà, di prese in giro o di episodi di bullismo che possono verificarsi durante il tragitto in autobus o nella pausa pranzo. La tutor organizza degli incontri periodici con il gruppo dei peer leader durante i quali si scambiano opinioni sull’andamento delle attività che sono state svolte e si organizzano gli eventi successivi. Alla fine dell’anno formativo si valuta tutta l’attività con un focus group in cui i ragazzi possono discutere dell’esperienza svolta per vedere che cosa ha funzionato meglio, dove si può migliorare, eventuali difficoltà incontrate e come sono state superate. Rispetto a quest’ultimo gli altri incontri sono più logistici/organizzativi per la programmazione delle attività, in segue 44 ogni caso la tutor chiede sempre un feed-back sull’andamento delle attività appena realizzate e i peer leader sono davvero ricchi di informazioni da dare in quanto, essendo totalmente calati nel contesto e nel ruolo, sono perfettamente capaci di cogliere cosa veramente non ha funzionato e cosa invece è andato bene. *Il questionario somministrato alle classi seconde si basa su alcune domande che vanno ad individuare gli allievi che, più di altri, presentano le caratteristiche necessarie per il ruolo, ad esempio la tendenza alla leadership, la capacità relazionale, l’affidabilità, la capacità di gestione delle reazioni emotive, ecc... Alcuni esempi di domande possono essere: “Se avessi un fratello più piccolo, a quale dei tuoi compagni lo affideresti?” oppure: “Chi manderesti dal dirigente scolastico per sostenere una causa degli studenti?”. Il progetto si inserisce in un’ottica di attenzione particolare all’aspetto formativo ed educativo degli allievi, al loro benessere personale e sociale, alla loro crescita come persone; inoltre alla possibilità che possano creare relazioni costruttive e sane sia tra pari che con gli adulti che hanno un ruolo formale all’interno della scuola. Quello che si offre ai peer leader è un percorso di crescita non solo sul piano individuale ma anche su quello relazionale; i ragazzi che hanno fatto i peer leader alla fine del percorso dimostrano di aver affinato le loro capacità relazionali, di aver acquisito un’elevata fiducia in se stessi, di essere in grado di affrontare situazioni nuove con crescenti sicurezza e determinazione, di aver sviluppato un forte senso di collaborazione e solidarietà tra pari, di aver maturato un profondo senso di appartenenza alla scuola. C’è un elevato gradimento da parte di tutti i soggetti coinvolti; i peer leader, gli allievi e le famiglie sono decisamente soddisfatti di quest’esperienza. I ragazzi dei primi anni non si sentono più spaesati perché sanno che nella scuola ci sono dei pari ai quali fare riferimento; le famiglie d’altro canto si sentono molto più tranquille perché i loro figli sono accompagnati e monitorati costantemente. I peer leader a loro volta si sentono molto responsabilizzati e, nel corso dell’anno scolastico, affinano in maniera incredibile le loro capacità. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Apprendimento esperienziale e pratico La tutor organizza degli incontri periodici con il gruppo dei peer leader durante i quali si scambiano opinioni sull’andamento delle attività che sono state svolte e si organizzano gli eventi successivi. Alla fine dell’anno formativo si valuta tutta l’attività con un focus group in cui i ragazzi possono discutere dell’esperienza svolta per vedere che cosa ha funzionato meglio, dove si può migliorare, eventuali difficoltà incontrate e come sono state superate. Si prevede la formazione di un gruppo di allievi che collaboreranno con il tutor nella gestione di alcune attività calendarizzate nel corso dell’anno formativo. Tali attività sono: - l’accoglienza dei nuovi iscritti: nei primi giorni di scuola gli allievi del primo anno sono accompagnati dai peer leader alla scoperta della scuola e delle sue caratteristiche. - le giornate di “scuola aperta”: i peer leader partecipano sia in fase di organizzazione che di realizzazione dell’evento. - l’accompagnamento di ragazzi non frequentanti la scuola, soprattutto di terza media, durante i mini stage di orientamento che il CFP offre per permettere loro una scelta più consapevole. - la realizzazione di eventi particolari organizzati o realizzati nell’istituto, come la festa di fine anno. Obiettivi e/o risultati segue 45 Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Promozione di approcci innovativi al problem solving Quello di peer leader è un ruolo sempre più riconosciuto dai compagni, dai docenti e da tutto il personale della scuola; per i ragazzi è un ruolo molto importante e ne sentono la piena responsabilità. I peer sono molto bravi nei confronti degli allievi delle prime classi, li accolgono e li seguono durante l’orario di frequenza ma sono anche molto attenti a ciò che succede al di fuori dei confini dell’ambito scolastico, trattasi di momenti di difficoltà, di prese in giro o di episodi di bullismo che possono verificarsi durante il tragitto in autobus o nella pausa pranzo. La tutor chiede sempre un feedback sull’andamento delle attività appena realizzate e i peer leader sono davvero ricchi di informazioni da dare in quanto, essendo totalmente calati nel contesto e nel ruolo, sono perfettamente capaci di cogliere cosa veramente non ha funzionato e cosa invece è andato bene. Gli insegnanti sanno come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali Quello che si offre ai peer leader è un percorso di crescita non solo sul piano individuale ma anche su quello relazionale; i ragazzi che hanno fatto i peer leader alla fine del percorso dimostrano di aver affinato le loro capacità relazionali, di aver acquisito un’elevata fiducia in se stessi, di essere in grado di affrontare situazioni nuove con crescenti sicurezza e determinazione, di aver sviluppato un forte senso di collaborazione e solidarietà tra pari, di aver maturato un profondo senso di appartenenza alla scuola. 46 Titolo Ritratti Mutanti - Sperimentazione sull’uso delle smart technology Ente IeFP Centro Solidarietà Giovani “Giovanni Micesio” Onlus Intervistato Direttore Descrizione dell’attività Il presente progetto ha preso vita tra il 2012 e il 2013 in seguito ad una performance che ha coinvolto alcuni nostri studenti e che prevedeva l’uso dell’iPad. Nel giugno del 2012, all’interno di un evento organizzato dal distretto della sedia di Manzano, in Friuli, abbiamo istruito 12 allievi (un docente del nostro Cfp gli ha dedicato un paio d’ore) sull’utilizzo dell’iPad, nessuno di loro precedentemente l’aveva mai utilizzato, e gli abbiamo chiesto di reinterpretare delle sedie progettate da giovani designer; ovvero, partendo da una foto scattata con l’Ipad, dovevano produrre un’illustrazione della sedia rivista con i propri occhi. Considerando che erano tutti neofiti nell’uso dell’Ipad e che l’app utilizzata era molto economica, hanno prodotto 12 illustrazioni davvero straordinarie. La giuria dell’evento, presieduta da Valentina Carretta di Fabrica – Benetton, ha poi scelto e premiato uno dei 12 ragazzi regalandogli un iPad. A seguito di questa significativa esperienza, siamo entrati a far parte del progetto “Magic” finanziato e promosso dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana e il Comune di Udine. L’Anci ha selezionato il nostro centro professionale e il nostro progetto per la gestione della “Bottega delle arti grafiche e della visione” bottega gestita da 16 nostri studenti selezionati tra tutti coloro che avevano aderito all’iniziativa. Ad altre associazioni era stata affidata la gestione di altre tre “botteghe”: quella del cinema, quella del teatro e quella del design. Oltre alla gestione della bottega, il progetto prevedeva due percorsi formativi di 170 ore complessive, la maggior parte delle quali in orario serale, uno sulla produzione di illustrazioni (“Ritratti mutanti” che approfondiva i temi dell’illustrazione analogica, tradizionale, e la sua evoluzione in quella digitale con l’utilizzo delle smart technology) e uno sulla produzione di filmati (Corti Magici) in modalità stop motion (6 frame al secondo). L’attività formativa includeva anche delle uscite giornaliere sul territorio in contesti quali: biblioteche per bambini, classi della scuola primaria o di corsi post diploma e altri luoghi ritenuti significativi in quanto spesso espressione di disagio quali: carcere, sert, centro di salute mentale, comunità terapeutica residenziale. In questi contesti i nostri studenti avevano il compito di insegnare alle persone (da qui il riferimento alle botteghe del rinascimento) ad utilizzare le smart technology per realizzare dei ritratti e modificarli, erano loro i docenti. Quest’approccio ha accresciuto moltissimo la loro professionalità, per insegnare infatti è necessario conoscere molto bene lo strumento e i suoi modi d’utilizzo. Allo stesso tempo, gli incontri, sono stati occasione di riflessione sulla loro condizione oltre che momento in cui si sono create relazioni importanti. Alla fine del progetto, i prodotti realizzati, (un migliaio di stampe e 5 filmati di due minuti circa) sono stati esposti al Visionario – Centro di Arti Visive di Udine, dovevano restare solo tre settimane e invece sono stati esposti per sei mesi grazie al successo ottenuto. Un filmato è stato selezionato anche per una mostra internazionale facendo capire agli studenti le molte strade che si possono aprire partecipando a progetti simili. I ragazzi della bottega sono stati invitati a tre eventi culturali organizzati in regione Friuli Venezia Giulia (“Avostanis” rassegna internazionale di cultura plurale, il Summer Festival organizzato dall’Associazione culturale Dobia lab di Monfalcone – GO – e, all’interno di “Vicino Lontano”, “conTemporaneo” rassegna sulle nuove forme di creatività regionale) in cui dovevano ripetere l’esperienza dei ritratti con il pubblico presente. Al progetto hanno partecipato 16 studenti dai 18 ai 30 anni (i minorenni non potevano aderire all’iniziativa visto anche il tipo di uscite che sono state fatte) alcuni frequentavano corsi post diploma sulla multimedialità o sull’illustrazione per l’editoria, altri erano all’interno del gruppo delle Officine creative, alcuni sono arrivati per fare Magic e poi, trovandosi bene, si sono iscritti a un corso. Tutti si sono iscritti volontariamente. segue 47 All’inizio le finalità non ci erano del tutto chiare perché è stata una vera sperimentazione per il nostro centro. A posteriori posso affermare che gli obiettivi raggiunti sono stati: - la consapevolezza da parte dei nostri docenti e del nostro centro della necessità di investire in questo ambito così innovativo e delle potenzialità che esso offre. A seguito di tale esperienza abbiamo inserito in tutti i nostri corsi di multimedialità e grafica almeno 30 ore sulle smart technology; - il centro ha avuto modo di consolidare relazioni significative con enti territoriali o europei (es: centro servizi spettacoli, centro produzioni cinematografiche, università, ecc...), aprendo così orizzonti inaspettati; - i nostri allievi, oltre ad imparare l’uso di specifiche tecnologie, hanno dovuto affrontare molte problematiche e, come formatori di supporto al progetto, abbiamo notato che ciò ha determinato un forte affiatamento tra gli allievi e affinato la loro capacità di problem solving e di lavorare in gruppo dividendosi i compiti in base alle loro competenze; - forte aumento dell’autostima di tutti i partecipanti che hanno avuto modo di realizzare prodotti eccellenti e di essere riconosciuti competenti in più contesti; - possibilità di instaurare relazioni significative per la loro crescita personale (utenza svantaggiata) e professionale (associazioni del territorio). La crescita professionale è stata sia per gli studenti che per i docenti, tutti hanno scoperto le infinite nuove possibilità e potenzialità di queste tecnologie (presentazioni, marketing virale, co-working, cloud, ecc). In tal senso il progetto ha avuto anche la funzione di mostrare agli studenti che è necessario pensarsi sempre in movimento ed in evoluzione. Soddisfazione molto elevata, in particolare per gli studenti che si sono sentiti al centro del progetto e che hanno avuto la possibilità di dimostrare, anche a se stessi, le proprie potenzialità e per i docenti che, pure, hanno acquisito nuove competenze ma, soprattutto, un nuovo modo di approcciare le smart technology. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte La giuria dell’evento, presieduta da Valentina Carretta di Fabrica – Benetton, ha poi scelto e premiato uno dei 12 ragazzi regalandogli un iPad. A seguito di questa significativa esperienza, siamo entrati a far parte del progetto “Magic” finanziato e promosso dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana e il Comune di Udine. L’Anci ha selezionato il nostro centro professionale e il nostro progetto per la gestione della “Bottega delle arti grafiche e della visione” bottega gestita da 16 nostri studenti selezionati tra tutti coloro che avevano aderito all’iniziativa. I ragazzi della bottega sono stati invitati a tre eventi culturali organizzati in regione Friuli Venezia Giulia (“Avostanis” rassegna internazionale di cultura plurale, il Summer Festival organizzato dall’Associazione culturale Dobia lab di Monfalcone – GO – e, all’interno di “Vicino Lontano”, “conTemporaneo” rassegna sulle nuove forme di creatività regionale) in cui dovevano ripetere l’esperienza dei ritratti con il pubblico presente. Quest’approccio ha accresciuto moltissimo la loro professionalità, per insegnare infatti è necessario conoscere molto bene lo strumento e i suoi modi d’utilizzo. Allo stesso tempo, gli incontri, sono stati occasione di riflessione sulla loro condizione oltre che momento in cui si sono create relazioni importanti. Obiettivi e/o risultati segue Apprendimento esperienziale e pratico Nel giugno del 2012, all’interno di un evento organizzato dal distretto della sedia di Manzano, in Friuli, abbiamo istruito 12 allievi (un docente del nostro CFP gli ha dedicato un paio d’ore) sull’utilizzo dell’iPad, nessuno di loro precedentemente l’aveva mai utilizzato, e gli abbiamo chiesto di reinterpretare delle sedie progettate da giovani designer; ovvero, partendo da una foto scattata con l’Ipad, dovevano produrre un’illustrazione della sedia rivista con i propri occhi. Considerando che erano tutti neofiti nell’uso dell’Ipad e che l’app utilizzata era molto economica, hanno prodotto 12 illustrazioni davvero straordinarie. 48 Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività L’attività formativa includeva anche delle uscite giornaliere sul territorio in contesti quali: biblioteche per bambini, classi della scuola primaria o di corsi post diploma e altri luoghi ritenuti significativi in quanto spesso espressione di disagio quali: carcere, sert, centro di salute mentale, comunità terapeutica residenziale. In questi contesti i nostri studenti avevano il compito di insegnare alle persone (da qui il riferimento alle botteghe del rinascimento) ad utilizzare le smart technology per realizzare dei ritratti e modificarli, erano loro i docenti. Promozione di approcci innovativi al problem solving I nostri allievi, oltre ad imparare l’uso di specifiche tecnologie, hanno dovuto affrontare molte problematiche e, come formatori di supporto al progetto, abbiamo notato che ciò ha determinato un forte affiatamento tra gli allievi e affinato la loro capacità di problem solving e di lavorare in gruppo dividendosi i compiti in base alle loro competenze. Su come favorireù l’apprendimento autonomo degli studenti Soddisfazione molto elevata, in particolare per gli studenti che si sono sentiti al centro del progetto e che hanno avuto la possibilità di dimostrare, anche a se stessi, le proprie potenzialità e per i docenti che, pure, hanno acquisito nuove competenze ma, soprattutto, un nuovo modo di approcciare le smart technology. 49 Titolo Simulimpresa Ente IeFP Associazione CFP San Luigi Intervistato Formatrice Descrizione dell’attività Con il Progetto Simulimpresa si predispongono, all’interno del centro di formazione, spazi che simulino delle reali postazioni d’ufficio. Viene quindi creato un ufficio con tutte le postazioni necessarie, ad esempio: archivio, fax, centralino, postazione dei pc con i relativi software, la posta elettronica, come se fosse un vero luogo di lavoro all’interno di una vera azienda. L’allestimento è fisso e non è all’interno di un’aula ma in stanze arredate con scrivanie, divisori, computer e mobili ad hoc. Esso non è solo una postazione di lavoro ma una modalità didattica per sperimentare nel modo più reale possibile l’attività impiegatizia in rete con molte altre aziende simulate che si trovano in altrettante scuole italiane: istituti tecnici e professionali, centri di formazione professionale, scuole secondarie di primo grado e anche università. Quando simulano gli allievi non fanno la classica lezione frontale, il docente rappresenta la figura del responsabile dell’ufficio che assegna alcuni compiti ma il resto dell’attività nasce dalla loro iniziativa perché conoscono le pratiche da portare avanti e sanno cosa bisogna fare in un ufficio vendite, acquisti, paghe, e contabilità e lo mettono in pratica all’interno dell’azienda. Eventuali errori non vengono rilevati dall’insegnante ma sono le altre aziende simulate che operano con le nostre che danno la restituzione di qualcosa fatto male. Ad esempio, se uno studente calcola male una retribuzione è il dipendente che la riceve che contesta la busta paga, la stessa cosa per le fatture sbagliate, sono le altre aziende che se ne accorgono e chiedono di rifarla. In questo modo gli studenti sviluppano maggiore responsabilità e nasce la necessità di un controllo e un’attenzione maggiori rispetto a ciò che succede con i tradizionali esercizi fatti in aula. Gli uffici simulati dal San Luigi sono: segreteria, ufficio vendite, ufficio acquisti, ufficio contabilità, ufficio personale, magazzino. Ogni ufficio è composto da tre persone (una classe generalmente copre tutti gli uffici). Inizialmente è l’insegnate che colloca gli studenti all’interno dei diversi uffici e mediamente ogni 4/5 giornate (20 ore circa) di simulazione vengono ruotati secondo questo criterio: rimane un allievo con esperienza che dovrà istruire i due nuovi arrivati. Il passaggio di consegne viene fatto da allievo ad allievo. Ogni ufficio ha il proprio mansionario dove sono riportate tutte le procedure. Ad esempio nel mansionario dell’ufficio vendite ci sono le procedure per emettere fattura, per acquisire nuovi clienti, evadere gli ordini, ecc. Ogni azienda viene costruita sul modello di un’azienda reale del territorio. Il San Luigi, attualmente, sta simulando un’azienda di produzione di materiale pubblicitario e una che commercializza profumi. Entrambe le aziende reali, dette aziende madrine, sono fornitori della scuola. Le aziende reali servono solo per studiare il modello organizzativo all’inizio della simulazione, poi non intervengono più nel programma. Tutti i fornitori e i clienti sono dati dalla rete di scuole che aderiscono al progetto. Si possono trovare aziende simulate di tutti i tipi, ce ne sono che si occupano di trasporti, alcune offrono un servizio di consulenza del lavoro, alcune commerciano con l’estero, ecc. Servizi di un determinato livello vengono simulati da studenti universitari. Nel nostro centro di formazione professionale aderiscono al progetto gli studenti del secondo e del terzo anno del profilo professionale: operatore amministrativo segretariale (sempre presso il San Luigi una simulazione analoga viene fatta anche per gli operatori dell’acconciatura con la riproduzione di un salone). Tutti i docenti sono coinvolti, uno è sistematicamente negli spazi della simulazione quando questa si effettua, non è un docente selezionato in base a una specifica materia di insegnamento ma deve essere esperto rispetto all’attività da simulare, generalmente proviene dall’area tecnico professionale. È inoltre importante che conosca segue 50 bene il profilo in uscita e le competenze che esso deve avere una volta raggiunta la qualifica. È fondamentale che il docente di riferimento sia in grado di motivare gli allievi ad apprendere nuove conoscenze specifiche che sorgono nello svolgimento del lavoro, a cui il docente dovrebbe saper rispondere anche attivando gli altri insegnanti. Il suo compito quindi è anche di coordinare gli altri docenti affinché, durante le loro lezioni, sviluppino contenuti e abilità per i compiti che vengono realizzati in Simulimpresa. Il Programma Simulimpresa ha sede a Ferrara (Istituto don Calabria) http://www.simulimpresa.com/go/ e svolge funzione di coordinamento e di supporto per tutta la rete di scuole. In particolare essi forniscono tutti gli uffici necessari alla simulazione e che non possono essere simulati dagli istituti scolastici, ad esempio: poste, banca, Inps, Inail, ecc, così come tutti i servizi on line dove si simulano le pratiche come in un ufficio reale, è così possibile fare un bonifico, spedire una raccomandata, richiedere una posizione Inail, ecc. Sempre il Programma Simulimpresa mette in contatto ogni scuola con tutta la rete, nazionale e internazionale (molto utile per chi commercia con l’estero), coordinando e gestendo le modalità di trasmissione dati tra aziende (posta elettronica). In tutta Italia, le aziende che vengono simulate saranno 3/400 quindi, considerando che alcune scuole possono avere più aziende al loro interno, le scuole coinvolte saranno almeno 300. Per il monitoraggio dell’attività viene distribuita una scheda sulle competenze possedute che all’inizio viene compilata in autovalutazione da parte degli allievi, la stessa poi è compilata anche dall’insegnante per evidenziare i progressi dell’allievo. Non si valutano le conoscenze degli studenti ma la loro capacità di collaborare, stare in gruppo, essere responsabili, avere iniziativa, correggere gli errori e altre competenze trasversali. Viene compilata in media ogni mese e mezzo in funzione delle ore fatte in Simulimpresa. È una metodologia didattica che sviluppa negli allievi responsabilità, autonomia, capacità di problem solving, spirito di collaborazione e iniziativa. Simulando un’attività che sia il più reale possibile riusciamo a capire chi è autonomo e chi no e rispetto a quali compiti e funzioni all’interno di un ufficio. Ogni azienda viene costruita sul modello di un’azienda reale del territorio. Il San Luigi, attualmente, sta simulando un’azienda di produzione di materiale pubblicitario e una che commercializza profumi. Entrambe le aziende reali, dette aziende madrine, sono fornitori della scuola. Obiettivi e/o risultati Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Viene distribuita una scheda sulle competenze possedute che all’inizio viene compilata in autovalutazione da parte degli allievi, la stessa poi è compilata anche dall’insegnante per evidenziare i progressi dell’allievo. Non si valutano le conoscenze degli studenti ma la loro capacità di collaborare, stare in gruppo, essere responsabili, avere iniziativa, correggere gli errori e altre competenze trasversali. Viene compilata in media ogni mese e mezzo in funzione delle ore fatte in Simulimpresa. Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità segue 51 Apprendimento esperienziale e pratico Esso non è solo una postazione di lavoro ma una modalità didattica per sperimentare nel modo più reale possibile l’attività impiegatizia in rete con molte altre aziende simulate che si trovano in altrettante scuole italiane: istituti tecnici e professionali, centri di formazione professionale, scuole secondarie di primo grado e anche università. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Eventuali errori non vengono rilevati dall’insegnante ma sono le altre aziende simulate che operano con le nostre che danno la restituzione di qualcosa fatto male. Ad esempio, se uno studente calcola male una retribuzione è il dipendente che la riceve che contesta la busta paga, la stessa cosa per le fatture sbagliate, sono le altre aziende che se ne accorgono e chiedono di rifarla. In questo modo gli studenti sviluppano maggiore responsabilità e nasce la necessità di un controllo e un’attenzione maggiori rispetto a ciò che succede. Il passaggio di consegne viene fatto da allievo ad allievo. Promozione di approcci innovativi al problem solving È una metodologia didattica che sviluppa negli allievi responsabilità, autonomia, capacità di problem solving, spirito di collaborazione e iniziativa. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali Tutti i docenti sono coinvolti, uno è sistematicamente negli spazi della simulazione quando questa si effettua, non è un docente selezionato in base a una specifica materia di insegnamento ma deve essere esperto rispetto all’attività da simulare, generalmente proviene dall’area tecnico professionale. È inoltre importante che conosca bene il profilo in uscita e le competenze che esso deve avere una volta raggiunta la qualifica. Su come comunicare ed entusiasmare le persone sulle questioni centrali È fondamentale che il docente di riferimento sia in grado di motivare gli allievi ad apprendere nuove conoscenze specifiche che sorgono nello svolgimento del lavoro, a cui il docente dovrebbe saper rispondere anche attivando gli altri insegnanti. Su come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti Quando simulano gli allievi non fanno la classica lezione frontale, il docente rappresenta la figura del responsabile dell’ufficio che assegna alcuni compiti ma il resto dell’attività nasce dalla loro iniziativa perché conoscono le pratiche da portare avanti e sanno cosa bisogna fare in un ufficio vendite, acquisti, paghe, e contabilità e lo mettono in pratica all’interno dell’azienda 52 Titolo Impresa in azione - laboratorio di imprenditorialità per gli studenti Ente IeFP Al programma possono iscriversi tutte le classi secondarie di secondo grado Tratto da Junior Achievement - http://www.impresainazione.it/ Descrizione dell’attività Obiettivi e/o risultati “Impresa in azione” è una risorsa didattica a disposizione delle scuole superiori italiane volta a sviluppare competenze e attitudini imprenditoriali negli studenti tra i 16 e i 19 anni. Attraverso una metodologia didattica singolare, basata sull’imparare facendo, e un curriculum ricco di iniziative e contenuti, offre ai partecipanti gli strumenti giusti per trasformare una semplice idea in qualcosa di grande. Da oltre 10 anni in Italia e da più di un secolo nel mondo, questa esperienza targata “Junior Achievement” ha accompagnato migliaia di giovani attraverso un processo di apprendimento ad alto impatto. Gli studenti, con un docente della loro scuola e un esperto volontario proveniente dal mondo aziendale, acquisiscono competenze di leadership e teamworking, identificano opportunità di business, definiscono obiettivi, sviluppano un piano, creano una strategia di marketing, lanciano un prodotto o un servizio, rendicontano ai loro azionisti, scrivono un rapporto annuale e partecipano a delle fiere espositive. Lungo questo percorso nascono vocazioni, si scoprono attitudini, si acquisisce coraggio, si sviluppa il senso di responsabilità. Per la sua concretezza e vicinanza alla realtà, “Impresa in azione” rappresenta un’esperienza formativa unica per chi ne fa parte, realizzando efficacemente quella contaminazione di contenuti, metodologie e competenze richieste sia dalla scuola sia dalle imprese. In sintesi, chi partecipa: classi o gruppi di studenti di III, IV o V superiore di qualsiasi tipologia di Istituto. Metodologia: avvio e gestione di una mini-impresa di studenti. - Durata: 40-60 ore tra ottobre e maggio. Aree educative: per la sua interdisciplinarità, si integra nelle aree educative economico-sociali, tecnico-scientifiche o umanistiche, a discrezione del Consiglio di Classe. Alternanza Scuola-Lavoro: per la sua metodologia didattica pratica e professionalizzante, può essere presentato come percorso di Alternanza Scuola-Lavoro previa verifica della scuola con l’Ufficio Scolastico di riferimento. Come iscriversi: attraverso il sito partecipa.jaitalia.org. Le aziende partner di progetto sono: Abb partecipa attivamente alle iniziative di educazione economica e imprenditoriale; AXA Italia supporta il programma di educazione finanziaria “Insure Your Success” nelle città di Milano, Roma e Torino; Barclays (una delle maggiori istituzioni finanziarie al mondo) già partner per l’alfabetizzazione finanziaria nelle scuole secondarie di primo grado e superiori; Citi (servizi finanziari) è socio fondatore; UBS partecipa alla diffusione dell’imprenditorialità a scuola anche nell’ambito del progetto europeo di certificazione delle competenze imprenditoriali “ESP - Entrepreneurial Skill Pass”. Unicredit sostiene la diffusione di “Impresa in azione” dedicando agli studenti di 40 città italiane più di 13 mila ore di formazione erogate da dipendenti volontari. L’Ambasciata degli Stati Uniti d’America dal 2013 promuove l’imprenditorialità tra i giovani italiani attraverso il programma Impresa in azione. Comprendere come si sviluppa un’idea di business; conoscere le logiche organizzative aziendali e le professionalità coinvolte; interagire con persone e realtà esterne al mondo scolastico; accrescere lo spirito d’iniziativa; valorizzare la creatività e l’innovazione continua. Le imprese di studenti presentano a Junior Achievement Italia alla fine del programma e secondo le scadenze comunicate dagli organizzatori i seguenti materiali: il rapporto annuale. Si tratta del documento di sintesi del lavoro svolto che, oltre a spiegare con chiarezza l’idea imprenditoriale, illustra le strategie implementate, i risultati ottenuti e introduce una visione economico-finanziaria dei prossimi 3 anni di ipotetico sviluppo del business. In uno stile il più possibile “aziendale” che valorizza però la creatività dei giovani studenti-imprenditori, questo documento rappresenta inoltre un’importante occasione di apprendimento attraverso l’analisi dei sucsegue 53 cessi ma anche dei fallimenti, rivisitati in chiave educativa. La presentazione o il pitch. Si tratta di una presentazione di pochi minuti che, sintetizzando gli elementi di forza dell’impresa e il potenziale di mercato, senza dimenticare una lucida analisi delle debolezze e delle minacce, cerca di convincere le giurie della validità del progetto e la preparazione del gruppo di studenti-imprenditori. Lo stand espositivo. Dalla selezioni regionali alla finale nazionale, le imprese di studenti hanno la possibilità di allestire un proprio stand espositivo che rispecchia l’immagine, i valori, il concept della business idea, attira l’attenzione e invoglia all’acquisto del prodotto o servizio. Lo stand, arricchito di materiale informativo (brochure, poster, cartoline, etc.), rappresenta infine il luogo in cui ogni studente-imprenditore può “mettere in scena” il proprio ruolo manageriale e presentarsi al pubblico secondo le mansioni e le responsabilità attribuitegli. Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Le aziende partner di progetto sono: Abb; AXA Italia; Barclays (una delle maggiori istituzioni finanziarie al mondo; Citi (servizi finanziari); UBS; Unicredit, Ambasciata degli Stati Uniti d’America. Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Il rapporto annuale. Si tratta del documento di sintesi del lavoro svolto che, oltre a spiegare con chiarezza l’idea imprenditoriale, illustra le strategie implementate, i risultati ottenuti e introduce una visione economico-finanziaria dei prossimi 3 anni di ipotetico sviluppo del business. In uno stile il più possibile “aziendale” che valorizza però la creatività dei giovani studenti-imprenditori, questo documento rappresenta inoltre un’importante occasione di apprendimento attraverso l’analisi dei successi ma anche dei fallimenti, rivisitati in chiave educativa. Apprendimento esperienziale e pratico Attraverso una metodologia didattica singolare, basata sull’imparare facendo, e un curriculum ricco di iniziative e contenuti, offre ai partecipanti gli strumenti giusti per trasformare una semplice idea in qualcosa di grande. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Lungo questo percorso nascono vocazioni, si scoprono attitudini, si acquisisce coraggio, si sviluppa il senso di responsabilità. Promozione di approcci innovativi al problem solving Gli studenti, con un docente della loro scuola e un esperto volontario proveniente dal mondo aziendale, acquisiscono competenze di leadership e teamworking, identificano opportunità di business, definiscono obiettivi, sviluppano un piano, creano una strategia di marketing, lanciano un prodotto o un servizio, rendicontano ai loro azionisti, scrivono un rapporto annuale e partecipano a delle fiere espositive. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali Gli studenti lavorano con un docente della loro scuola e un esperto volontario proveniente dal mondo aziendale. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità 54 Titolo Vela Maestra 2012 Ente IeFP Associazione: CEFAL – Centro Addestramento Formazione al Lavoro (Bologna) Intervistata Tutor Descrizione dell’attività È un progetto rivolto a tutti gli allievi del primo anno e si suddivide in 3 fasi operative: la fase iniziale si svolge in aula con i tutor che illustrano agli studenti il progetto; segue un lavoro specifico per l’elaborazione di un glossario minimo della navigazione. In particolare si definiranno i termini marinari che gli allievi utilizzeranno durante l’attività velistica. Durante la seconda fase, da febbraio ad aprile, gli allievi fanno scuola di vela vera e propria. In aula si svolgono delle lezioni teoriche e qualche laboratorio di nodi per un totale di 9 ore (3 interventi da 3 ore l’uno fatti in orario pomeridiano). L’attività è gestita da skipper che vengono presso i CFP. La terza fase è di pratica, va da maggio a giugno; i docenti, i tutor e il direttore portano gli allievi (2 classi per volta, 40 ragazzi circa) a Rimini, al mare, dove trascorreranno la giornata con gli istruttori e gli skipper dello Yacht Club che li faranno uscire in mare. Questa è l’organizzazione della giornata: la mattina si trascorre con gli skipper per provare l’imbarcazione (monotipo), ogni imbarcazione contiene 4 ragazzi più l’istruttore. Si eseguono delle manovre marinare e altri esercizi. Poi c’è un piccolo briefing con gli skipper durante il quale gli studenti ricevono delle indicazioni per la regata pomeridiana. Al pomeriggio c’è la regata, poi la premiazione e il rientro. A seguire viene fatta una selezione di 19 allievi più 3 educatori (di solito sono i tutor). I criteri di selezione sono: disponibilità, predisposizione (saper nuotare, non soffrire il mal di mare, non aver paura dell’acqua, ecc.), partecipazione al progetto “Scuola di Vela”, candidature individuali. I 19 selezionati a settembre, per una settimana, si imbarcheranno su un brigantino – Nave Italia – lungo 70 metri. Con la selezione spesso si riescono a individuare tutti coloro che sono realmente motivati all’esperienza proposta; è difficile che alcuni che ci tengono molto restino fuori. La rotta del brigantino sarà decisa dal comandante e varierà in base alle previsioni del tempo. Ai partecipanti viene mandato solo un calendario nave in cui c’è indicato quale sarà il luogo d’imbarco. Le attività a bordo del brigantino sono di 2 tipi: 1) attività programmate e gestite dal Cefal che, di solito, sono: compilazione giornaliera di un diario di bordo, pitture su magliette, presentazione di se stessi e dei profili professionali (nei CFP Cefal ci sono differenti profili); poi ogni studente intervista chi, sulla nave, ricopre il ruolo per cui egli si sta formando: cuoco, elettricista, amministrativo, ecc..; 2) attività marinare gestite da Nave Italia, di solito comprendono: lezioni sulla sicurezza, studio delle carte nautiche, comprendere una rotta, laboratorio di nodi con quadretto dei nodi marinari, salita a riva (imbracati salgono sul pennone della nave assieme ad un istruttore), attività di elaborazione dell’esperienza. Sulla nave c’è un protocollo molto rigoroso da rispettare. Chi sale sulla nave fa automaticamente parte dell’equipaggio, quindi tutte le riunioni che fa l’equipaggio, la pulizia, il riordino, lavare i piatti, la gestione delle vele, ecc. e l’aiuto di vario genere viene fatto da tutti. Gli educatori hanno anche una riunione finale alla sera con il rinfresco. Alla fine c’è una festa di premiazione e un attestato. È molto bello, i ragazzi piangono quando la settimana finisce. segue 55 I principali obiettivi sono: potenziamento dell’autostima degli allievi. È un importante supporto alla crescita e allo sviluppo di potenzialità personali. Favorisce la socializzazione e l’integrazione all’interno del gruppo, la consapevolezza e l’assunzione di responsabilità. Attività come aiutare il compagno in difficoltà perché se non si lavora assieme l’imbarcazione non va avanti, serve molto anche per favorire la capacità di lavorare in gruppo. Aiuta ad essere precisi nell’organizzazione personale, favorisce la convivenza e lo sviluppo di strategie per affrontare le difficoltà (es: il mal di mare, la paura della tempesta, ecc.). Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Obiettivi e/o risultati Ogni studente intervista chi, sulla nave, ricopre il ruolo per cui egli si sta formando: cuoco, elettricista, amministrativo, ecc. Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale La terza fase è di pratica, va da maggio a giugno; i docenti, i tutor e il direttore portano gli allievi (2 classi per volta, 40 ragazzi circa) a Rimini, al mare, dove trascorreranno la giornata con gli istruttori e gli skipper dello Yacht Club che li faranno uscire in mare. 19 selezionati a settembre, per una settimana, si imbarcheranno su un brigantino – Nave Italia – lungo 70 metri. Le attività marinare gestite da Nave Italia di solito comprendono: lezioni sulla sicurezza, studio delle carte nautiche, comprendere una rotta, laboratorio di nodi con quadretto dei nodi marinari, salita a riva (imbracati salgono sul pennone della nave assieme ad un istruttore). Apprendimento esperienziale e pratico Sulla nave c’è un protocollo molto rigoroso da rispettare. Chi sale sulla nave fa automaticamente parte dell’equipaggio, quindi tutte le riunioni che fa l’equipaggio, la pulizia, il riordino, lavare i piatti, la gestione delle vele, ecc e l’aiuto di vario genere viene fatto da tutti. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Aiuta ad essere precisi nell’organizzazione personale, favorisce la convivenza e lo sviluppo di strategie per affrontare le difficoltà come il mal di mare, la paura della tempesta, aiutare i compagni, ecc. Promozione di approcci innovativi al problem solving La Fondazione Tender To Nave Italia http://www.naveitalia.org/ opera a livello nazionale da sei anni circa: i progetti sono una grande innovazione in quanto la vela è lo sport che in assoluto potenzia tutte le meta competenze: progettualità, autostima, ecc. È un’esperienza molto forte. Il progetto, per la maggior parte, viene seguito dai tutor del Cfp, dalla fase iniziale fino alla settimana sul brigantino. Gli insegnanti sanno come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali e come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti 56 Titolo Web Commesse - Azione di accompagnamento al lavoro Ente IeFP Fondazione Opera Montegrappa Intervistato Responsabile dei processi Descrizione dell’attività Il progetto è rivolto ai giovani che sono già in possesso della qualifica professionale, che hanno compiuto i 18 anni d’età e che desiderano fare un’esperienza di formazione ma, soprattutto, professionale per aumentare le proprie competenze e inserirsi nel mondo del lavoro. Il progetto è stato attivato per i giovani con qualifiche idonee a collocarsi nel settore terziario, in particolare addetti alle vendite e usufruisce di un canale di finanziamento regionale rivolto ai ragazzi in cerca di occupazione. L’attività prevede 100 ore d’aula durante le quali si approfondiscono le materie inerenti l’applicazione delle nuove tecnologie ai processi di vendita e di marketing; finite le 100 ore inizia uno stage di 650 ore in cui gli studenti possono applicare quanto appreso. È uno stage piuttosto diverso da quelli previsti all’interno del percorso triennale di qualifica, non solo per la durata ma perché gli studenti hanno delle competenze che vanno ad integrare quelle dell’azienda ospitante. In molti casi gli studenti sono gli esperti dei processi di vendita attraverso le tecnologie e mettono le loro competenze al servizio dei punti vendita. In particolare sono stati individuati negozi di abbigliamento, caffetterie, librerie, ecc. Gli studenti dovrebbero ideare e realizzare azioni che prevedono il rinnovamento di siti, l’uso dei social network, strategie di marketing virale, ecc. In tal senso dovrebbero portare beneficio e valore aggiunto all’azienda ospitante e, più in generale, al territorio. Il nostro CFP è sempre stato molto attivo rispetto alla progettazione di attività a completamento e supporto della formazione iniziale. Obiettivi e/o risultati La finalità è quella di avviare delle collaborazioni tra ragazzi e aziende che, in alcuni casi, possono diventare delle assunzioni vere e proprie o delle collaborazioni tra azienda e libero professionista. Vorremmo inoltre orientare l’attività del negozio o del negoziante verso l’utilizzo delle tecnologie per aumentare le vendite e il fatturato. Gli studenti dovrebbero essere in grado di approntare tecniche che di solito usano le grandi aziende e collocarle nelle piccole botteghe. Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale La finalità è quella di avviare delle collaborazioni tra ragazzi e aziende che, in alcuni casi, possono diventare delle assunzioni vere e proprie o delle collaborazioni tra azienda e libero professionista. Apprendimento esperienziale e pratico Gli studenti dovrebbero ideare e realizzare azioni che prevedono il rinnovamento di siti, l’uso dei social network, strategie di marketing virale, ecc. In tal senso dovrebbero portare beneficio e valore aggiunto all’azienda ospitante e, più in generale, al territorio. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità segue 57 È uno stage piuttosto diverso da quelli previsti all’interno del percorso triennale di qualifica, non solo per la durata ma perché gli studenti hanno delle competenze che vanno ad integrare quelle dell’azienda ospitante. In molti casi gli studenti sono gli esperti dei processi di vendita attraverso le tecnologie e mettono le loro competenze al servizio dei punti vendita. In particolare sono stati individuati negozi di abbigliamento, caffetterie, librerie, ecc. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Gli studenti dovrebbero essere in grado di approntare tecniche che di solito usano le grandi aziende e collocarle nelle piccole botteghe. Promozione di approcci innovativi al problem solving L’attività prevede 100 ore d’aula durante le quali si approfondiscono le materie inerenti l’applicazione delle nuove tecnologie ai processi di vendita e di marketing. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali 58 4.2.2. CFP salesiani Titolo Formazione all’Impresa Ente IeFP Fondazione Opera Montegrappa Intervistato Docente di laboratorio elettrico, laboratorio tecnologia, laboratorio marketing Descrizione dell’attività L’attività si divide in due parti, la prima viene svolta durante le ore dedicate al laboratorio di marketing ed ha l’obiettivo di preparare gli allievi ad inserirsi nel mondo del lavoro aumentando la loro consapevolezza sulle problematiche che si troveranno ad affrontare. Nella seconda parte gli studenti vengono messi a contatto con artigiani e referenti di istituzioni significative in modo da creare dei legami diretti con il territorio. Il docente di marketing, prima di dedicarsi all’insegnamento, aveva una piccola ditta di impianti elettrici ed ha dunque l’esperienza necessaria per affrontare varie tematiche che riguardano la gestione di un’impresa artigiana. Durante le ore di marketing, 58 per ogni annualità, illustra agli studenti come è possibile realizzare delle scelte efficaci nella progettazione degli impianti, l’importanza e le modalità per tenersi aggiornati rispetto alle migliori offerte sul mercato e sui prodotti più innovativi, perché è fondamentale avere un rapporto di fiducia con i committenti proponendo la miglior soluzione qualità prezzo e attraverso una comunicazione assertiva. Vengono inoltre consultati e utilizzati molti documenti utili per chi si avvicina al mondo del lavoro, ad esempio: europass, lettera di presentazione, decreto 81 sulla sicurezza sugli impianti elettrici (serve solo per gli imprenditori e non per i dipendenti), informazioni su Inps e Inail (sul sito dell’Inail, nella sezione dedicata alla scuola, si trovano molti materiali didattici), contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, settore artigianato. La particolarità del laboratorio di marketing è che tutti gli argomenti vengono affrontati secondo due diversi punti di vista, quello dell’imprenditore, aspettative sul lavoratore, e quello del dipendente, diritti e doveri. Questa duplice visione è molto importante per fare in modo che gli studenti prendano in considerazione anche la possibilità, col tempo, di iniziare un’attività autonoma. Un’altra caratteristica è la stretta interazione tra le lezioni di marketing e quelle del laboratorio elettrico (ovviamente il fatto che il docente sia lo stesso aiuta molto), in questo modo molti argomenti che vengono affrontati teoricamente trovano un riscontro anche pratico. La seconda parte dell’attività di formazione all’impresa prevede incontri con artigiani del territorio e con operatori della camera di commercio oppure dell’Inail o dell’Inps in modo che gli allievi possano formarsi un’idea completa del mondo del lavoro. L’organizzazione non è facile ma, generalmente, si riescono a programmare due incontri all’anno per entrambe le annualità. Generalmente i due appuntamenti prevedono un incontro con un esperto del settore elettrico e un altro con un rappresentante degli enti su citati. Agli imprenditori viene chiesto di illustrare la propria professione e di rispondere alle domande degli studenti. Le domande sono inerenti sia agli aspetti più specifici della professione che a quelli più trasversali come il marketing, la comunicazione con i clienti, la stesura di un preventivo, ecc. Anche con i referenti degli enti l’incontro è strutturato in modo che il relatore illustri quello che i ragazzi dovranno affrontare nella loro scelta lavorativa, ad esempio: il contratto di lavoro, obblighi e diritti, ecc. Una volta è stato invitato un sindacalista ed è stato uno degli interventi più interessanti perché aveva una visione molto ampia e completa della figura professionale, i ragazzi erano molto interessati soprattutto agli aspetti economici della professione che andranno a fare. Gli incontri durano più o meno 2 ore l’uno. segue 59 L’obiettivo principale è creare interesse rispetto all’idea e alla scelta di lavorare come dipendente o come imprenditore, anche se vista la fascia d’età per gli allievi non è facile comprendere appieno in che cosa consiste questa differenza è però importante che prendano in considerazione questa duplice prospettiva. Un altro obiettivo è aumentare la consapevolezza degli studenti verso la professione che, verosimilmente, andranno a svolgere: diritti, doveri, responsabilità, compiti, aspettative, retribuzione, competenze, ecc. Infine è molto utile per creare dei legami e dei punti di contatto con il mondo del lavoro in modo da avvicinare gli studenti ad esso in maniera concreta. La seconda parte dell’attività di formazione all’impresa prevede incontri con artigiani del territorio e con operatori della camera di commercio oppure dell’Inail o dell’Inps in modo che gli allievi possano formarsi un’idea completa del mondo del lavoro. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Obiettivi e/o risultati Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale La particolarità del laboratorio di marketing è che tutti gli argomenti vengono affrontati secondo due diversi punti di vista, quello dell’imprenditore, aspettative sul lavoratore, e quello del dipendente, diritti e doveri. Questa duplice visione è molto importante per fare in modo che gli studenti prendano in considerazione anche la possibilità, col tempo, di iniziare un’attività autonoma. Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività proposte Un’altra caratteristica è la stretta interazione tra le lezioni di marketing e quelle del laboratorio elettrico in questo modo molti argomenti che vengono affrontati teoricamente trovano un riscontro anche pratico. Apprendimento esperienziale e pratico Illustra agli studenti come è possibile realizzare delle scelte efficaci nella progettazione degli impianti, l’importanza e le modalità per tenersi aggiornati rispetto alle migliori offerte sul mercato e sui prodotti più innovativi, perché è fondamentale avere un rapporto di fiducia con i committenti proponendo la miglior soluzione qualità prezzo attraverso una comunicazione assertiva. Promozione di approcci innovativi al problem solving Il docente di marketing, prima di dedicarsi all’insegnamento, aveva una piccola ditta di impianti elettrici ed ha dunque l’esperienza necessaria per affrontare varie tematiche che riguardano la gestione di un’impresa artigiana. Insegnanti dotati di know-how sui principi imprenditoriali 60 Titolo Il mio Salone - Unità di apprendimento Ente IeFP CNOS-FAP di Fossano (Cuneo) Intervistato Docente di diritto, storia e italiano – coordinatrice delle attività del settore acconciature Descrizione dell’attività Obiettivi e/o risultati L’attività si configura come un’unità d’apprendimento interdisciplinare il cui compito è la progettazione del proprio salone di bellezza ideale. Il progetto è rivolto agli allievi del corso “Operatore del benessere – acconciature”, inizia alla fine del secondo anno e si conclude all’inizio del terzo anno. Gli insegnanti coinvolti sono: gli insegnanti di laboratorio che si occupano della parte tecnica ovvero consigliare gli allievi a scegliere attrezzature e prodotti necessari per poter lavorare; li aiutano inoltre nella realizzazione delle acconciature che saranno pubblicate sul volantino promozionale; l’insegnante di matematica che insegna agli studenti a prendere le misure per riprodurre il salone, con i relativi arredi, in scala su una piantina; l’insegnante di gestione economica che insegna ad utilizzare i sistemi gestionali contabili, a realizzare il budget e, per la parte del marketing, a progettare i volantini pubblicitari; l’insegnante di informatica per la realizzazione vera e propria del volantino promozionale e l’impaginazione del progetto; l’insegnante di diritto che si occupa di tutta la parte relativa alla normativa in tema di start up d’impresa. È un’attività che richiede parecchie ore, generalmente viene introdotta dall’insegnante di diritto che è anche la coordinatrice, e illustra l’attività e gli obiettivi agli allievi. La realizzazione del progetto è individuale ma, gli studenti possono decidere di aggregarsi unendo così anche le risorse a disposizione, in particolare il budget che viene assegnato ad ognuno di loro dagli insegnanti e che devono rispettare. Quello che gli studenti devono produrre, su carta o su file, è il progetto, il più completo possibile, del loro salone di bellezza ideale. Ovvero un catalogo di tutta l’attività di ricerca che hanno svolto per poter ideare un progetto realizzabile. Generalmente il progetto si compone di: il titolo che corrisponde al nome del loro salone; la cartina in scala dei locali e degli arredi che compongono il salone con relativa legenda; le immagini dei prodotti che vogliono acquistare con relativi prezzi; le immagini degli arredi che hanno scelto con relativi prezzi; il budget previsto che comprende: un primo ordine di prodotti necessari; i preventivi dell’elettricista e dei termoidraulici, tutti gli altri costi che dovranno sostenere (imbiancare, decorare, ecc.), i costi necessari ad aprire una partita iva o una società; i costi del commercialista e del consulente finanziario; i costi per la promozione del salone; i costi di un’assicurazione, ecc. A volte si arriva anche a far fare fac simili di fatture e/o ricevute con i dati del salone. Tutte le scelte progettuali sono fatte in autonomia dagli allievi che possono decidere su che cosa investire maggiormente, se svolgere delle attività in proprio (ad esempio imbiancare o fare il depliant pubblicitario) o se rivolgersi a dei professionisti, se comperare dei prodotti di maggior o minor qualità, ecc. L’UdA è molto complessa e quindi non sempre viene svolta ma solo con alcune classi, inoltre non tutte le classi arrivano agli stessi risultati, in base alle loro competenze riescono a fare progetti più o meno completi. L’obiettivo principale è quello di avvicinare gli studenti al lavoro autonomo, imparando a raggiungere degli obiettivi nei tempi stabiliti, a valutare rischi e opportunità, a confrontarsi con situazioni economiche e costi d’impresa. Obiettivi specifici sono: conoscere il diritto societario e la creazione d’impresa, conoscere i rapporti scale e proporzioni (matematica, molto utili anche per la loro attività), saper realizzare un volantino per promuovere la propria attività, saper realizzare delle acconciature che possano attirare la clientela, conoscere le basi del marketing e dell’economia di un’attività. Gli allievi sono molto motivati verso quest’attività perché è la progettazione del lavoro che loro desiderano svolgere, c’è una perfetta corrispondenza tra il loro progetto di vita e il progetto del salone di bellezza; sono molto incuriositi dalle materie. segue 61 C’è una perfetta corrispondenza tra il loro progetto di vita e il progetto del salone di bellezza. Tutte le scelte progettuali sono fatte in autonomia dagli allievi che possono decidere su che cosa investire maggiormente, se svolgere delle attività in proprio (ad esempio imbiancare o fare il depliant pubblicitario) o se rivolgersi a dei professionisti, se comperare dei prodotti di maggior o minor qualità, ecc. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività proposte Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività L’obiettivo principale è quello di avvicinare gli studenti al lavoro autonomo, imparando a raggiungere degli obiettivi nei tempi stabiliti, a valutare rischi e opportunità, a confrontarsi con situazioni economiche e costi d’impresa. La realizzazione del progetto è individuale ma, gli studenti possono decidere di aggregarsi unendo così anche le risorse a disposizione, in particolare il budget che viene assegnato ad ognuno di loro dagli insegnanti e che devono rispettare. Promozione di approcci innovativi al problem solving - Gli insegnanti di laboratorio si occupano della parte tecnica ovvero consigliare gli allievi a scegliere attrezzature e prodotti necessari per poter lavorare; - l’insegnante di gestione economica che insegna ad utilizzare i sistemi gestionali contabili, a realizzare il budget e, per la parte del marketing, a progettare i volantini pubblicitari; - l’insegnante di informatica per la realizzazione vera e propria del volantino promozionale e l’impaginazione del progetto; - l’insegnante di diritto che si occupa di tutta la parte relativa alla normativa in tema di start up d’impresa. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali Gli allievi sono molto motivati verso quest’attività perché è la progettazione del lavoro che loro desiderano svolgere, sono molto incuriositi dalle materie. Su come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali La realizzazione del progetto è individuale ma, gli studenti possono decidere di aggregarsi unendo così anche le risorse a disposizione, in particolare il budget che viene assegnato ad ognuno di loro dagli insegnanti e che devono rispettare. Gli insegnanti hanno un ruolo di consulenti ma sono gli studenti a decidere come realizzare il progetto. Su come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti Titolo Le regole che contano Ente IeFP CNOS-FAP di Fossano (Cuneo) Intervistato Docente di diritto, storia e italiano – coordinatrice delle attività del settore acconciature Descrizione dell’attività Obiettivi e/o risultati Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte L’attività consiste nel far presentare, agli allievi dell’ultimo anno del corso di acconciatura, la propria esperienza ai compagni dei primi due anni. Nello specifico gli studenti devono raccontare quelle che, secondo loro, sono state le regole più significative nel frequentare il CFP e che gli serviranno anche per il futuro. Per preparare l’evento si parte con un brain storming, a cui partecipa l’intera classe, su tutte le regole e i comportamenti che hanno maggiormente aiutato gli studenti ad inserirsi nel CFP e a favorire il loro apprendimento. La classe viene poi divisa in 5 gruppi e ogni gruppo sceglie una sola fra tutte le regole emerse, quella che per il gruppo è più significativa. I gruppi dovranno poi decidere come rappresentarla, scegliendo liberamente tra una rappresentazione grafica, illustrata, fotografica, teatrale, video, ecc. Generalmente i gruppi scelgono di fare un cortometraggio della durata di 5 minuti. Ogni gruppo si deve gestire l’attività autonomamente al di fuori dell’orario scolastico decidendo: la storia da raccontare, i ruoli, le risorse necessarie, i tempi e i luoghi, ecc. In questo senso devono imparare a gestire da soli un piccolo progetto collaborando tra di loro. Quando hanno realizzato il video la classe dovrà organizzarsi rispetto alla presentazione: chi presenterà l’attività agli altri, cosa dirà, chi gestirà l’evento, come e dove fare la presentazione, chiedere le disponibilità e le possibilità al dirigente, ecc. Anche in questo caso è molto importante che la classe impari ad organizzarsi e a collaborare affrontando e risolvendo eventuali criticità. Poi c’è la presentazione vera e propria alle altre classi e ognuno dovrà svolgere il proprio ruolo in base alle diverse responsabilità. Di solito l’evento dura due ore. I docenti coinvolti sono, oltre all’intervistata, gli insegnanti di laboratorio o di informatica se necessari allo svolgimento dell’attività. Alla fine c’è un momento di restituzione in cui ognuno espone come si sono sentiti, che problemi hanno incontrato, come li hanno superati, che cosa gli è piaciuto di più, ecc. In questo modo aumentano la consapevolezza rispetto le strategie attuate e individuano possibili miglioramenti. Gli obiettivi sono: imparare a lavorare in gruppo e a collaborare definendo ruoli precisi e rispettando i tempi. Esercitare fantasia e creatività nell’ideazione e realizzazione del video. Imparare ad assumersi delle responsabilità e a gestirsi autonomamente. Essere protagonisti, sperimentare il ruolo di protagonisti sia nell’interpretazione del cortometraggio che durante la presentazione ai compagni del primo e del secondo anno. Gli studenti si divertono moltissimo a fare il cortometraggio e piace moltissimo anche agli studenti a cui viene presentata che non vedono l’ora di poter fare altrettanto una volta arrivati in terza. Alla fine c’è un momento di restituzione in cui ognuno espone come si è sentito, che problemi hanno incontrato, come li hanno superati, che cosa gli è piaciuto di più, ecc. In questo modo aumentano la consapevolezza rispetto le strategie attuate e individuano possibili miglioramenti. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità segue 62 La classe viene poi divisa in 5 gruppi e ogni gruppo sceglie una sola fra tutte le regole emerse, quella che per il gruppo è più significativa. I gruppi dovranno poi decidere come rappresentarla, scegliendo liberamente tra una rappresentazione grafica, illustrata, fotografica, teatrale, video, ecc. Generalmente i gruppi scelgono di fare un cortometraggio della durata di 5 minuti. Apprendimento esperienziale e pratico Quando hanno realizzato il video la classe dovrà organizzarsi rispetto alla presentazione: chi presenterà l’attività agli altri, cosa dirà, chi gestirà l’evento, come e dove fare la presentazione, chiedere le disponibilità e le possibilità al dirigente, ecc. Anche in questo caso è molto importante che la classe impari ad organizzarsi e a collaborare affrontando e risolvendo eventuali criticità. Poi c’è la presentazione vera e propria alle altre classi e ognuno dovrà svolgere il proprio ruolo in base alle diverse responsabilità. Di solito l’evento dura due ore. I docenti coinvolti sono, oltre all’intervistata, gli insegnanti di laboratorio o di informatica se necessari allo svolgimento dell’attività. Durante tutte le fasi del progetto sono gli studenti che devono comprendere come superare eventuali difficoltà e organizzarsi per prevenirle e/o risolverle. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Promozione di approcci innovativi al problem solving Gli studenti si divertono moltissimo a fare il cortometraggio e piace moltissimo anche agli studenti a cui viene presentata che non vedono l’ora di poter fare altrettanto una volta arrivati in terza. Gli insegnanti sanno come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali Ogni gruppo si deve gestire l’attività autonomamente al di fuori dell’orario scolastico decidendo: la storia da raccontare, i ruoli, le risorse necessarie, i tempi e i luoghi, ecc. In questo senso devono imparare a gestire da soli un piccolo progetto collaborando tra di loro. E come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti 63 Titolo Percorso di Orientamento – Colloquio di lavoro Ente IeFP CNOS-FAP Rebaudengo di Torino Intervistato Referente per l’orientamento e formatore dell’area integrativa Descrizione dell’attività Obiettivi e/o risultati All’interno del nostro CFP le attività di orientamento si sviluppano su tutti e tre gli anni o su due se il corso è biennale. L’impostazione è simile per tutte le annualità ma i contenuti cambiano. Si inizia sempre con un modulo di conoscenza. Nei primi anni dura 15 ore concentrate durante la prima settimana di scuola, l’obiettivo è quello di far socializzare il gruppo aumentando la conoscenza del gruppo classe, dell’ambiente, del corso scelto. L’attività è svolta in orario curricolare dal tutor orientatore. Si prosegue con la fase di accompagnamento in itinere che, nel primo anno, significa conoscenza più approfondita di se stessi, del gruppo, delle proprie competenze e della scelta formativa fatta. L’attività prevede un incontro settimanale di un’ora con il tutor orientatore per 15 settimane. Durante questi incontri vengono proposti giochi di ruolo o simulazioni, questionari, test, attività di gruppo o individuali utili a rilevare interessi, attitudini e capacità degli allievi. Inoltre si comincia a stilare il progetto professionale dell’allievo che si concluderà l’ultimo anno. Il secondo anno la struttura organizzativa resta la stessa, resta il modulo iniziale, che però viene ridotto a 4/5 ore, durante il quale si analizza l’andamento dell’anno precedente e si presentano gli obiettivi formativi del nuovo anno cercando di capire la loro corrispondenza con le aspettative degli allievi. Si prosegue con gli incontri settimanali di un’ora con il tutor orientatore utili ad approfondire il progetto professionale degli studenti. A volte, il tutor, chiede la collaborazione di altre unità formative in modo da rinforzare competenze come quelle di cittadinanza in sinergia con altri docenti. Il terzo anno (o secondo per i percorsi biennali) è più mirato alla ricerca attiva del lavoro, c’è un accompagnamento in uscita sia per preparare al lavoro che per ricercarlo (cv, la lettera di presentazione, il colloquio di lavoro,...). La preparazione al lavoro prende spunto dall’esperienza di stage per fare un’analisi di cosa significa lavorare, quali sono le richieste e le modalità; viene coinvolta anche l’unità formativa storico sociale per approfondire tutto ciò che riguarda la contrattualistica e il diritto del lavoro, il lavoro autonomo e quello subordinato. La ricerca del lavoro introduce all’uso corretto di strumenti quali: curriculum europeo, lettera di presentazione, ricerche sul web e dedica un’intera UdA al “Colloquio di Lavoro”. L’UdA è trasversale a più discipline, ovvero: orientamento, area storico sociale, italiano e l’area professionale e si conclude con la simulazione di un colloquio in presenza di un datore di lavoro, un coordinatore, un esperto della specifica area professionale. Anche il terzo anno rimane il modulo iniziale di 4/5 ore. L’obiettivo finale è quello di dare agli studenti un supporto per comprendere se la scelta che hanno effettuato corrisponde ancora ai loro obiettivi iniziali, è un accompagnamento che prevede una definizione più approfondita del loro progetto personale e, soprattutto, professionale. Alcuni ragazzi comprendono appieno la finalità di quest’attività, altri invece fanno fatica a capirla perché sono più concentrati sull’apprendimento delle materie più pratiche e professionalizzanti. Generalmente riscuote una maggiore attenzione, anche per la maggior maturità che gli allievi hanno il terzo anno, l’attività di ricerca attiva del lavoro in particolare la simulazione del colloquio di lavoro. segue 64 Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Simulazione di un colloquio in presenza di un datore di lavoro, un coordinatore, un esperto della specifica area professionale. Si inizia sempre con un modulo di conoscenza. Nei primi anni dura 15 ore concentrate durante la prima settimana di scuola, l’obiettivo è quello di far socializzare il gruppo aumentando la conoscenza del gruppo classe, dell’ambiente, del corso scelto. L’attività è svolta in orario curricolare dal tutor orientatore. L’obiettivo finale è quello di dare agli studenti un supporto per comprendere se la scelta che hanno effettuato corrisponde ancora ai loro obiettivi iniziali, è un accompagnamento che prevede una definizione più approfondita del loro progetto personale e, soprattutto, professionale Apprendimento esperienziale e pratico L’attività prevede un incontro settimanale di un’ora con il tutor orientatore per 15 settimane. Durante questi incontri vengono proposti giochi di ruolo o simulazioni, questionari, test, attività di gruppo o individuali utili a rilevare interessi, attitudini e capacità degli allievi. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali E su come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti La preparazione al lavoro prende spunto dall’esperienza di stage per fare un’analisi di cosa significa lavorare, quali sono le richieste e le modalità; viene coinvolta anche l’unità formativa storico-sociale per approfondire tutto ciò che riguarda la contrattualistica e il diritto del lavoro, il lavoro autonomo, e quello subordinato. Si prosegue con la fase di accompagnamento in itinere che, nel primo anno, significa conoscenza più approfondita di se stessi, del gruppo, delle proprie competenze e della scelta formativa fatta. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità 65 Titolo Sportello di servizi al lavoro Ente IeFP CNOS-FAP Valdocco di Torino Intervistato Referente alla persona nei servizi al lavoro degli sportelli CNOS-FAP di Torino Descrizione dell’attività Il CNOS-FAP a Torino ha due servizi che si occupano di orientamento e inserimento lavorativo, nella stessa sede si trova sia il centro orientativo che lo sportello lavoro. L’orientamento si occupa maggiormente degli allievi dei CFP aiutandoli a definire il loro progetto personale e professionale durante i tre (o due) anni di frequenza del centro professionale. All’interno del percorso sono previsti incontri in aula con gli studenti e momenti di accompagnamento specifici e centrati sul singolo allievo come lo stage e la revisione dello stesso oppure durante il passaggio dalla conclusione dell’ultimo anno verso la scelta successiva, professionale o formativa. Da quando esiste lo sportello lavoro (due anni e mezzo) invitano gli studenti degli ultimi anni ad integrare il percorso fatto durante gli incontri di orientamento con dei colloqui durante i quali è possibile fare un discorso più ampio ed approfondito in merito alla ricerca del lavoro, lo sportello infatti supporta nella ricerca attiva del lavoro e nell’attuazione di tirocini. Altre attività che vengono svolte a supporto dell’autoimprenditorialità sono l’organizzazione di incontri con enti significativi quali il MIP (acronimo di mettersi in proprio - http://www.mettersinproprio.it/ ) della provincia di Torino. Gli operatori del MIP sono venuti a scuola e hanno passato mezza giornata con i nostri allievi presentando il loro servizio, i progetti che portano avanti, hanno fatto compilare delle schede per valutare il livello di creatività dei ragazzi e li hanno invitati a formulare un’ipotesi di idea imprenditoriale a cui è seguita una discussione. Gli studenti che hanno partecipato all’incontro sono stati selezionati dai referenti di corso e dall’insegnante che svolge il percorso di accoglienza e orientamento all’interno delle classi. Dovevano essere alla fine del percorso scolastico, essere motivati ad inserirsi nel mondo del lavoro e curiosi rispetto alla possibilità di lavorare in proprio; anche se un giovane che esce dal CFP non può iniziare un’attività in proprio è importante che inizi a conoscere e a ragionare su questa possibilità. Sempre in merito allo sviluppo delle competenze imprenditoriali, gli orientatori possono avvalersi delle schede del manuale CNOS-FAP sull’orientamento attraverso le quali è possibile approfondire e aumentare la consapevolezza degli studenti su dimensioni importanti quali: logica e creatività, ovvero come tradurre un’idea creativa in un progetto realizzabile; intelligenza e apprendimento, per conoscere il proprio stile di intelligenza e quindi di apprendimento; la valutazione degli interessi, ovvero capire da che cosa l’allievo è maggiormente attratto rispetto ad un possibile lavoro; immaginare il futuro, per capire le aspettative degli studenti e il loro senso di realtà. Poi ci sono degli strumenti che possono aiutare a identificare l’identità professionale. Partendo da un elenco di attitudini il ragazzo deve pronunciarsi in merito ad esse, alcune sono: la facilità a parlare e a scrivere, la capacità di autocontrollo, ecc. Alcune attitudini sono tipiche di un imprenditore, ad esempio c’è una sezione legata al fronteggiamento delle difficoltà e dello stress attraverso problem solving o altre strategie. Alla compilazione delle schede da parte degli studenti segue una discussione con l’orientatore o con il team di corso nel caso in cui ci siano delle indicazioni particolari. Un’altra attività è l’invito di testimoni quali imprenditori o rappresentanti di associazioni di categoria, gli studenti si preparano agli incontri predisponendo schemi d’intervista per interrogare i testimoni su aspetti che riguardano la loro attività: la giornata tipo, aspetti positivi e negativi del lavoro, ecc. Come conclusione c’è una rielaborazione finale dell’intervista attraverso una discussione gestita dall’insegnante in aula. A fianco all’attività segue 66 Obiettivi e/o risultati Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale didattica, lo sportello lavoro, offre la possibilità di approfondire la valutazione di competenze e atteggiamenti verso il lavoro attraverso questionari specifici (ECHO, Performance, ORIENTE), quest’ultima attività necessita però di una maturità personale e professionale di base per cui solo pochi studenti del CFP vi vengono indirizzati. Infine, alcuni orientatori o insegnanti dell’area storico-socio-economica, sviluppano specificatamente le competenze imprenditoriali degli allievi appoggiandosi alle indicazioni e alle schede operative del manuale CNOS-FAP “Guida all’accompagnamento del lavoro autonomo” attraverso le quali è possibile fare la stesura di un business plan, stimolare la creatività degli allievi, le loro capacità di problem solving, ecc. Uno degli obiettivi principali delle attività di orientamento è far comprendere agli studenti la complessità del mondo del lavoro e dar loro tutti le informazioni e gli strumenti affinché facciano delle scelte consapevoli e riescano ad affrontarlo nel miglior modo possibile. Un ulteriore obiettivo è lo sviluppo del progetto personale, per stendere un buon progetto è importante aumentare la conoscenza di se, le informazioni sul mercato del lavoro e le strategie per inserirsi in esso. Quando si parla di lavoro gli studenti sono molto interessati e attenti a quello che si dice, già dal primo anno. Chi sceglie un percorso professionale di solito è molto sensibile al tema del lavoro. Quando invece si affrontano moduli come quello sul metodo di studio l’attenzione cala, c’è meno interesse probabilmente anche meno capacità di comprendere la sua importanza. L’organizzazione di incontri con enti significativi quali il MIP (acronimo di mettersi in proprio - http://www.mettersinproprio.it/) della provincia di Torino. Gli operatori del MIP sono venuti a scuola e hanno passato mezza giornata con i nostri allievi presentando il loro servizio, i progetti che portano avanti, hanno fatto compilare delle schede per valutare il livello di creatività dei ragazzi e li hanno invitati a formulare un’ipotesi di idea imprenditoriale a cui è seguita una discussione. Un’altra attività è l’invito di testimoni quali imprenditori o rappresentanti di associazioni di categoria, gli studenti si preparano agli incontri predisponendo schemi d’intervista per interrogare i testimoni su aspetti che riguardano la loro attività. Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte È possibile approfondire e aumentare la consapevolezza degli studenti su dimensioni importanti quali: logica e creatività, ovvero come tradurre un’idea creativa in un progetto realizzabile; intelligenza e apprendimento, per conoscere il proprio stile di intelligenza e quindi di apprendimento; la valutazione degli interessi, ovvero capire da che cosa l’allievo è maggiormente attratto rispetto ad un possibile lavoro; immaginare il futuro, per capire le aspettative degli studenti e il loro senso di realtà. Uno degli obiettivi principali delle attività di orientamento è far comprendere agli studenti la complessità del mondo del lavoro e dar loro tutte le informazioni e gli strumenti affinché facciano delle scelte consapevoli e riescano ad affrontarlo nel miglior modo possibile. Promozione di approcci innovativi al problem solving Alcune attitudini sono tipiche di un imprenditore, ad esempio c’è una sezione legata al fronteggiamento delle difficoltà e dello stress attraverso problem solving o altre strategie. Per stendere un buon progetto è importante aumentare la conoscenza di sé, le informazioni sul mercato del lavoro e le strategie per inserirsi in esso. Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità segue 67 Alcuni orientatori o insegnanti dell’area storico-socio-economica, sviluppano specificatamente le competenze imprenditoriali degli allievi appoggiandosi alle indicazioni e alle schede operative del manuale CNOS-FAP “Guida all’accompagnamento del lavoro autonomo” attraverso le quali è possibile fare la stesura di un business plan, stimolare la creatività degli allievi, le loro capacità di problem solving. Gli insegnanti sono dotati di know-how sui principi imprenditoriali I docenti sono prevalentemente orientatori con una formazione specifica. Quando si parla di lavoro gli studenti sono molto interessati e attenti a quello che si dice, già dal primo anno. Chi sceglie un percorso professionale di solito è molto sensibile al tema del lavoro. E sanno come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti 68 Titolo 3Dreaming Challange Innovation Ente IeFP CNOS-FAP di Udine – Istituto salesiano Bearzi Intervistato Direttore Descrizione dell’attività Il CFP è a vocazione meccanica, i corsi sono rivolti a: meccanici, meccanici d’auto e elettromeccanici. All’interno dello stesso istituto c’è anche l’istituto tecnico a indirizzo meccatronico e informatico e molti allievi del CFP poi proseguono il percorso di studi iscrivendosi all’ITI. Tra l’ITI e il CFP si è creata un’ottima collaborazione per cui entrambe le scuole traggono vantaggio l’una dall’altra implementando le possibilità di sperimentazione pratica per gli studenti dell’ITI e offrendo un percorso di studi più completo dal punto di vista teorico a quei studenti del centro professionale desiderosi di continuare la propria formazione. Anche il rapporto con le imprese coinvolge entrambe le tipologie di scuola ed è un rapporto molto ricco sia dal punto di vista quantitativo (ogni anno dobbiamo trovare uno stage per 250/300 studenti) che qualitativo, le imprese infatti contribuiscono a definire il percorso formativo segnalandoci le competenze che gli sono più necessarie. Abbiamo una grande collaborazione con il tessuto industriale e artigianale del territorio con il quale si è creato un circolo virtuoso per cui molti imprenditori, o dipendenti, sono ex allievi delle nostre scuole. Per dare un altro esempio il nostro CFP, dal 2004, è uno dei due poli tecnologici della Siemens in Italia. All’interno di questa politica di collaborazione è sorta l’iniziativa di “Idea Prototipi”, azienda il cui titolare è un ex allievo, che si occupa di progettazione e realizzazione di prodotti tridimensionali (stampa a 3D). Idea Prototipi ha proposto ai nostri allievi di partecipare a un concorso che si chiama 3Dreaming Challange Innovation, sottotitolato: “armato di creatività ma senza dimenticare la fattibilità proponi la tua idea”. Il concorso prevede che i partecipanti ideino e poi realizzino un oggetto di cui, almeno una parte, sia prodotta con la stampante tridimensionale. L’iniziativa prevede tre fasi: 1) la prima, che si è svolta alla presenza di tutti i nostri studenti, il titolare di Idea Prototipi, alcuni imprenditori e alcune autorità locali. In quest’occasione Idea Prototipi ha regalato una stampante 3D al nostro CFP e sono state illustrate le modalità di partecipazione al concorso agli studenti. 2) durante la seconda fase, gli studenti che hanno aderito (una ventina su 90 allievi del terzo anno) hanno iniziato a lavorare al progetto seguiti da dei tutor del nostro ufficio tecnico. Almeno una volta alla settimana gli allievi si incontravano con un tutor per comprendere al meglio gli aspetti tecnici della progettazione di oggetti da realizzare con una stampante 3D ma anche per ragionare su cosa avrebbero potuto ideare, sul significato di creatività e fattibilità, come risolvere eventuali problematiche o difficoltà incontrate in itinere. Gli studenti continuavano poi il proprio lavoro in modo autonomo al di fuori dell’orario scolastico. Alcuni allievi hanno lavorato da soli, altri in gruppetti di due o tre persone. In questa fase anche i nostri insegnanti hanno potuto aumentare le proprie competenze in materia di stampa tridimensionale. Questa fase è durata circa 4 mesi. 3) La terza fase, ancora in corso, prevede la valutazione dei progetti che sono stati mandati e la premiazione finale alla presenza di imprenditori, insegnanti, rappresentanti di associazioni di categoria e autorità locali. I premi saranno delle borse di studio. segue 69 Gli obiettivi del progetto sono: far conoscere agli studenti una nuova tecnologia, dargli l’opportunità per sperimentare le proprie competenze tecniche e la proprie capacità di lavorare ad un progetto vero. L’attività è stata molto impegnativa, tant’è che da 20 studenti sono rimasti in 10, (circa 5 del CFP e 5 dell’Istituto tecnico). Gli studenti rimasti sono motivatissimi tanto che tutti gli incontri sono stati fatti fuori dall’orario scolastico e hanno dovuto lavorare a casa impegnandosi oltre i normali compiti richiesti loro. Anche quando ci è stata regalata la stampante i ragazzi erano molto curiosi e hanno fatto molte domande, il fatto che l’imprenditore fosse un ex allievo ha crea un forte spirito d’emulazione. La prima fase del progetto si è svolta alla presenza di tutti i nostri studenti, il titolare di Idea Prototipi, alcuni imprenditori e alcune autorità locali. Anche il momento della premiazione vedrà la partecipazione di molti rappresentanti del mercato del lavoro. Obiettivi e/o risultati Incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale Almeno una volta alla settimana gli allievi si incontravano con un tutor per comprendere al meglio gli aspetti tecnici della progettazione di oggetti da realizzare con una stampante 3D ma anche per ragionare su cosa avrebbero potuto ideare, sul significato di creatività e fattibilità. Comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte Il concorso prevede che i partecipanti ideino e poi realizzino un oggetto di cui, almeno una parte, sia prodotta con la stampante tridimensionale. Apprendimento esperienziale e pratico Gli studenti continuavano poi il proprio lavoro in modo autonomo al di fuori dell’orario scolastico. Alcuni allievi hanno lavorato da soli, altri in gruppetti di due o tre persone. Compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività Almeno una volta alla settimana gli allievi si incontravano con un tutor anche per risolvere eventuali problematiche o difficoltà incontrate in itinere. Promozione di approcci innovativi al problem solving Caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità segue 70 L’attività è stata molto impegnativa, tant’è che da 20 studenti sono rimasti in 10, (circa 5 del CFP e 5 dell’Istituto tecnico). Gli studenti rimasti sono motivatissimi tanto che tutti gli incontri sono stati fatti fuori dall’orario scolastico e hanno dovuto lavorare a casa impegnandosi oltre i normali compiti richiesti loro. Anche quando ci è stata regalata la stampante i ragazzi erano molto curiosi e hanno fatto molte domande, il fatto che l’imprenditore fosse un ex allievo ha crea un forte spirito d’emulazione. Gli insegnanti sanno come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali Gli studenti continuavano poi il proprio lavoro in modo autonomo al di fuori dell’orario scolastico. Alcuni allievi hanno lavorato da soli, altri in gruppetti di due o tre persone. E come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti 71 73 5. Profili, competenze e formazione dei formatori Il quadro di riferimento sintetizzato e le pratiche richiamate chiamano in causa anche le figure direzionali dei CFP e gli operatori della formazione, in quanto figure chiave per la promozione di un nuovo approccio educativo e didattico all’imprenditorialità, nonché in quanto attori decisivi per costruire un ambiente di apprendimento veramente “imprenditivo”. 5.1. La formazione dei docenti/formatori all’imprenditorialità Uno studio di Eurydice (2012) ha proposto la seguente rappresentazione (cfr. Fig. 7) del processo standard di creazione di un mindset imprenditoriale: Figura 7 – Processo di educazione all’imprenditorialità Fonte: “Creare mentalità e competenze imprenditoriali nell’UE, Guida n. 1, 2012, p.14 74 Tale rappresentazione, come già richiamato nel cap. 3 del presente Report, sottolinea il raccordo indispensabile tra le conoscenze, le competenze e le attitudini che devono essere padroneggiate non solo dagli studenti, ma in primis dai formatori. Inoltre, la logica di un intervento formativo efficace in questo ambito deve considerare non solo l’intervento didattico a livello micro, ma anche gli effetti potenziali a medio e lungo termine sui soggetti in formazione e sul tessuto produttivo e territoriale (cfr. Fig. 8). Figura 8 – Logica di intervento per la formazione all’imprenditorialità Fonte: “Creare mentalità e competenze imprenditoriali nell’UE, Guida n. 1, 2012, p.15 In tale prospettiva, sul piano metodologico, non va trascurata la dimensione sociopsicologica dell’intervento che vede (almeno) due approcci, non necessariamente contrapposti4: 4 Cfr. AIF Lazio, 2014 75 – la concentrazione sulla singola persona (attraverso le tecniche di coaching, mentoring, …) per aiutarla a superare i condizionamenti culturali per l’autoimprenditorialità; – la concentrazione sull’azione culturale e sociale per accelerare il processo di trasformazione della società affinché favorisca l’autoimprenditorialità come valore riconosciuto. In entrambi i casi, le parole chiave più pertinenti che emergono per definire le finalità di questi percorsi sono: – essere creativi, – avere resistenza verso l’incertezza, – avere capacità di resilienza, – avere coraggio, – credere in un’idea originale, – essere motivati all’autonomia e alla disintermediazione, – aver superato i vincoli culturali a cui sono stati, generalmente, educati, – sviluppare capacità relazionali, inclusa quella di fare network. 5.2. La Guida della Commissione Europea La Commissione Europea ha pubblicato nel corso del 2014 una apposita “guida per gli insegnanti” tradotta nelle varie lingue dell’Unione in cui è richiamato un profilo ideale di competenza del docente incaricato di questo tipo di educazione5. 5.2.1 Alcuni suggerimenti contenuti nella Guida Vi si dice tra l’altro: «Gli insegnanti con spirito imprenditoriale hanno una passione per l’insegnamento. Sono fonte d’ispirazione, di larghe vedute e sicuri di sé, flessibili e responsabili ma, di tanto in tanto, anche fuori dagli schemi. Ascoltano con attenzione, sanno sfruttare e proporre idee e possono lavorare rimanendo orientati sugli studenti e sull’azione. Lavorano in gruppo e dispongono di una buona rete. Cercano di colmare il divario tra l’istruzione e l’economia e di coinvolgere esperti esterni nei loro insegnamenti, focalizzando l’attenzione su esperienze di vita reale». E ancora: «Un insegnante con spirito imprenditoriale è un mentore più che una persona che impartisce lezioni. Sostiene i processi di apprendimento individuali e lo sviluppo delle competenze personali... Gli insegnanti non possono insegnare ad essere imprenditoriali senza esserlo loro per primi ... Le competenze o abilità imprenditoriali possono essere acquisite o formate solo attraverso esperienze di apprendimento pratiche, di vita reale... L’educazione all’imprenditorialità è più di una preparazione alle modalità di ge- 5 Commissione Europea - Unità imprenditorialità 2020 (2014), Educazione all’imprenditorialità. Una Guida per gli insegnanti, Bruxelles. 76 stione di un’impresa. Essa interessa lo sviluppo di attitudini, abilità e conoscenze imprenditoriali che, in breve, dovrebbero permettere a uno studente di “concretizzare le proprie idee”; gli insegnanti non possono insegnare ad essere imprenditoriali senza esserlo loro per primi; le competenze imprenditoriali richiedono metodologie attive per portare gli studenti ad esprimere il proprio lato creativo e innovativo» (Guida, p. 9). La Guida contiene molte indicazioni pratiche e si focalizza sui possibili percorsi formativi da proporre ai docenti, distinguendo (p. 6) tra le iniziative di formazione “iniziale” e “continua” e proponendo numerosi esempi tratti dalle migliori pratiche sviluppate nei vari paesi dell’Unione Europea. Un passaggio interessante riguarda la “partnership tra il settore educativo, il mondo delle imprese e l’industria creativa”. Si dice in particolare che: «L’educazione all’imprenditorialità nella formazione degli insegnanti trae beneficio dai collegamenti tra le istituzioni dell’istruzione e il mondo delle imprese. I rappresentanti delle imprese possono sostenere l’insegnamento e l’apprendimento dell’imprenditorialità in molti modi: come esperti, sostenitori, mentori o pari. Le istituzioni dell’istruzione possono imparare dalle arti creative come favorire e valutare un processo creativo, come avere delle idee e concretizzarle. Le partnership con le scuole sono vantaggiose come “prove di percorso” e garantiscono la qualità di idee, progetti e materiale innovativo. Inoltre, questo approccio aiuta a diffondere e a «vendere» l’idea dell’educazione all’imprenditorialità e ai suoi moltiplicatori» (p.15). Il profilo di questi formatori viene così definito (p. 53): gli “insegnanti con spirito imprenditoriale” sono capaci di: – infondere la scintilla imprenditoriale nei giovani, – premiare l’iniziativa individuale degli allievi e la capacità di assumersi responsabilità e di correre rischi, – accettare il fallimento come parte integrante di un processo di apprendimento, ma formando a gestire i rischi e a ridurli, – lavorare in gruppo, – operare in una rete di contatti effettuando scambi tra pari e incontrandosi con regolarità – utilizzare diversi metodi creativi come strumenti pedagogici innovativi. – far assumere agli allievi la responsabilità del proprio processo di apprendimento, per esempio permettendo loro di creare le proprie lezioni, – valutare tenendo conto non solo della soluzione, ma anche del processo utilizzato per svilupparla, – utilizzare la tecnologia e i social media come supporto all’apprendimento e per lo scambio di informazioni tra pari, – esplorare soluzioni, tecniche di produzione e strumenti di calcolo nuovi a sostegno del processo di apprendimento. Di conseguenza, anche le scuole e i CFP devono sostenere lo spirito imprenditoriale nell’insegnamento e nell’apprendimento; essi si caratterizzano per: – una direzione dedicata e impegnata a sostenere l’educazione all’imprenditorialità per tutti gli studenti, 77 – un’idea educativa basata sull’insegnamento per il mondo di domani, – un corpo docente e un personale che abbracciano il cambiamento con un’attitudine positiva e che hanno una visione chiara di come l’educazione all’imprenditorialità possa inserirsi nel programma di studio e integrata in tutte le materie, – un ambiente che si impegna a coltivare le abilità trasversali, creative e imprenditoriali degli studenti i cui risultati vengono definiti e valutati come parte integrante degli esami e in cui vengono sistematicamente raccolti i riscontri degli studenti. 5.2.2 La proposta di standard Tra le varie esperienze riportate, è da segnalare quella promossa dal Regno Unito denominata “Standard nazionale per l’educazione in attività di impresa”, ideato dal “Centro per l’istruzione e l’industria” dell’Università di Warwick. Esso offre un processo di riesame qualitativo per riconoscere e affermare le buone pratiche nell’ideazione e nell’offerta di un programma di studi dedicato all’educazione all’imprenditorialità. Si concentra più sulla formazione degli insegnanti che su attività destinate agli studenti. Il sistema è organizzato in cinque elementi, ciascuno dei quali descrive e identifica processi qualitativi che comprendono i seguenti punti: definizione di una visione dell’educazione all’imprenditorialità; istituzione di un controllo sull’educazione all’imprenditorialità; pianificazione e gestione dell’educazione all’imprenditorialità; offerta di un programma di studi dedicato all’educazione all’imprenditorialità; valutazione e stima dell’educazione all’imprenditorialità. Per ottenere questo standard (cfr. pp. 92-93), le scuole o i CFP devono dimostrare di: – dedicarsi all’educazione all’imprenditorialità per tutti gli studenti; – avere una visione rispetto alle esigenze e allo sviluppo futuri del programma di studio in attività di impresa, per integrare metodi di apprendimento basati sulle attività e incentrati sugli studenti; – avere una chiara visione su come l’educazione all’imprenditorialità si inserisce nel più ampio programma di studi e piano di sviluppo, nonché dedizione e comprensione del concetto da parte del personale; – valutare e stimare regolarmente l’offerta formativa relativa all’educazione all’imprenditorialità, in particolare il suo impatto sullo sviluppo delle capacità degli studenti; – dar prova di uno sviluppo professionale continuo specialistico in sede o esterno intrapreso da coordinatori aziendali e personale scolastico. L’impatto verificato di questi strumenti e processi ha evidenziato che: – l’offerta di formazione specializzata in servizio ha stimolato sia la domanda che l’offerta della formazione in attività di impresa degli insegnanti, nonché l’istituzione di utili reti scuola-imprese; – il personale docente e non docente è spesso in grado di identificare l’educazione all’imprenditorialità «nascosta» già praticata nella propria scuola, ma che non è mai stata riconosciuta prima in quanto tale. 79 Riferimenti bibliografici BURNETT H. (2008), “Designing and implementing an undergraduate course in entrepreneurship in Australia using experiential and problem-based learning techniques”, Training & Management Development Methods 22, n. 5, pp. 3.75–3.83. CACHIA R., FERRARI A. (2010), Creativity in Schools: A Survey of Teachers in Europe, European Commission’s Joint Research Centre, Luxembourg, Publications Office of the European Union. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE (2003), Libro Verde. 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Orientamenti europei e quadro normativo nazionale [...] La legge 107/2015, infine, nel commi dal 33 al 43 dell’articolo 1, sistematizza l’alternanza scuola lavoro dall’a.s.2015-2016 nel secondo ciclo di istruzione, attraverso: a. la previsione di percorsi obbligatori di alternanza nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, con una differente durata complessiva rispetto agli ordinamenti: almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei, da inserire nel Piano triennale dell’offerta formativa; b. la possibilità di stipulare convenzioni per lo svolgimento di percorsi in alternanza anche con gli ordini professionali e con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio artistico, culturale e ambientale o con enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI; c. la possibilità di realizzare le attività di alternanza durante la sospensione delle attività didattiche e all’estero, nonché con la modalità dell’impresa formativa simulata; d. l’emanazione di un regolamento con cui è definita la “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola lavoro”, con la possibilità, per lo studente, di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza dei percorsi con il proprio indirizzo di studio; e. l’affidamento alle scuole secondarie di secondo grado del compito di organizzare corsi di formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, rivolti agli studenti inseriti nei percorsi di alternanza e svolti secondo quanto disposto dal d.lgs. 81/2008; f. lo stanziamento di 100 milioni di euro annui per sviluppare l’alternanza scuolalavoro nelle scuole secondarie di secondo grado a decorrere dall’anno 2016. Tali risorse finanziano l’organizzazione delle attività di alternanza, l’assistenza tecnica e il monitoraggio dei percorsi; 6 https://labuonascuola.gov.it/area/a/25282/ (novembre 2015) 82 g. l’affidamento al Dirigente scolastico del compito di individuare le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili per l’attivazione di percorsi di alternanza scuola lavoro e di stipulare convenzioni finalizzate anche a favorire l’orientamento dello studente. Analoghe convenzioni possono essere stipulate con musei e altri luoghi della cultura, nonché con gli uffici centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali; h. la stesura di una scheda di valutazione finale sulle strutture convenzionate, redatta dal dirigente scolastico al termine di ogni anno scolastico, in cui sono evidenziate le specificità del loro potenziale formativo e le eventuali difficoltà incontrate nella collaborazione; i. la costituzione presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, a decorrere dall’ a. s. 2015/16, del Registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro, in cui sono visibili le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili ad accogliere studenti per percorsi di alternanza (quanti giovani e per quali periodi). [...] 9. Impresa formativa simulata È una delle modalità di realizzazione dell’alternanza scuola-lavoro, attuata mediante la costituzione di un’azienda virtuale animata dagli studenti, che svolge un’attività di mercato in rete (ecommerce) e fa riferimento ad un’azienda reale (azienda tutor o madrina) che costituisce il modello di riferimento da emulare in ogni fase o ciclo di vita aziendale. Si avvale di una metodologia didattica che utilizza in modo naturale il problem solving, il learning by doing, il cooperative learning ed il role playing, costituendo un valido strumento per l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro. Con essa si tende a riprodurre un ambiente simulato che consenta all’allievo di apprendere nuove competenze sotto il profilo operativo, rafforzando quelle conoscenze e competenze apprese nel corso degli studi. Gli studenti, con l’impresa formativa simulata, assumono le sembianze di giovani imprenditori e riproducono in laboratorio il modello lavorativo di un’azienda vera, apprendendo i principi di gestione attraverso il fare (action-oriented learning). L’insieme delle imprese formative simulate, collegate tra loro da una piattaforma informatica, costituisce la rete telematica delle imprese formative simulate, sostenuta attraverso una Centrale di Simulazione (SimuCenter) nazionale o locale, costituita da un sistema che consente alle aziende virtuali in rete di simulare tutte le azioni legate alle aree specifiche di qualsiasi attività imprenditoriale. Il SimuCenter permette, inoltre, alle imprese formative simulate in rete di essere collegate con il mondo virtuale, rappresentato dalle Camere di Commercio, tenutarie del Registro delle Imprese, dall’Agenzia delle Entrate, dalle Banche, dagli Istituti previdenziali e da tutte le altre imprese formative simulate che interagiscono tra loro in concorrenza, ovvero in monopolio o oligopolio, in funzione del grado di maturità o di innovazione del prodotto. L’impresa formativa simulata in origine ha trovato larga diffusione all’interno degli istituti tecnici e professionali del settore economico ad indirizzo amministrativo-com- 83 merciale, più vocati agli studi orientati all’imprenditorialità, alla cultura amministrativa e al controllo di gestione dell’impresa moderna. Numerose sono le esperienze operative realizzate da piattaforme informatiche di fornitori diversi che utilizzano analoghe metodologie di fondo (come, ad esempio, I.F.S. e Simulimpresa). Successivamente, l’esperienza si è estesa anche agli istituti degli altri settori ed indirizzi, nonché ai licei. L’impresa formativa simulata rappresenta uno strumento utile per aiutare i giovani ad acquisire lo spirito di iniziativa e di imprenditorialità con gli strumenti cognitivi di base in campo economico e finanziario e si può rivelare utile in tutti gli indirizzi di studi, se si considera come strumento di orientamento delle scelte degli studenti che, anche dopo un percorso universitario, hanno l’aspirazione di essere inseriti in una realtà aziendale. Essa può costituire parte del percorso complessivo di alternanza scuola-lavoro che lo studente sviluppa nel triennio, andando ad affiancare ovvero ad integrare altre tipologie di esperienza di lavoro. A tale proposito, per la funzione di tutor interno, può essere utilizzato un docente dotato delle necessarie competenze, all’interno dell’organico dell’autonomia, come definito dalla legge 107/2015, articolo 1, comma 63. Ad oggi, inoltre, l’impresa formativa simulata si presenta come la forma di apprendimento più efficace per quei ragazzi che intendano intraprendere un autonomo percorso imprenditoriale al termine degli studi, dando origine ad una nuova realtà aziendale (start-up) operante attraverso il canale del commercio elettronico (e-commerce), affidando le principali attività aziendali (come la gestione documentale, le rilevazioni contabili, il budgeting, il reporting, la logistica o la comunicazione) a soggetti specializzati in servizi di rete facenti capo a server remoti (cloud computing). Il percorso dell’impresa formativa simulata si sviluppa, normalmente, attraverso le sei distinte fasi di seguito rappresentate, che partono dalla sensibilizzazione e dall’orientamento dell’allievo (analisi del territorio), si sviluppano con la costituzione, gestione e controllo dell’azienda, fino a concludersi con la rendicontazione e la diffusione dei risultati attraverso i canali di comunicazione. La Prima fase è finalizzata a sensibilizzare e orientare lo studente, nel contesto della cittadinanza attiva, fornendogli strumenti per esplorare il territorio, analizzarne le risorse e rapportarsi ad esso nel modo più adeguato alle proprie aspettative ed attitudini, sviluppando abilità in momenti di indagine, ascolto, analisi e confronto. La Seconda fase ha il compito di sensibilizzare il giovane ad una visione sistemica della società civile attraverso la cultura d’impresa, in modo da sviluppare il senso etico dell’interagire con l’ambiente economico circostante, nel rispetto delle conoscenze fondamentali dei concetti di azienda, impresa, etica aziendale e del lavoro. La Terza fase mette il giovane “in situazione” consentendogli di utilizzare gli apprendimenti teorici acquisiti in contesti formali, di dare spazio alla propria creatività scegliendo un modello di riferimento sul territorio e definendo la propria idea imprenditoriale (Business Idea), supportandola dalla necessaria analisi di fattibilità. Ad essa seguirà l’elaborazione del Business Plan. Concetti fondamentali di questa fase sono quelli di impresa tutor o madrina, mission aziendale, scelta della veste giuridica aziendale attraverso la quale esercitare l’attività d’impresa. La Quarta fase consente di diver- 84 sificare ed approfondire la conoscenza del sistema economico territoriale nell’interazione con i soggetti, con l’elaborazione del Business Plan, inteso come documento strutturato secondo uno schema preciso che sintetizza i contenuti e le caratteristiche del progetto imprenditoriale (Business Idea). Esso viene utilizzato sia per la pianificazione e la gestione dell’azienda, che per la comunicazione esterna verso potenziali finanziatori o investitori. La redazione del Business Plan è funzionale alla nascita di una nuova attività imprenditoriale e deve essere supportata da un’analisi di fattibilità in grado di fornire una serie di dati di natura economico-aziendale, sui quali tracciare linee guida per la costituzione dell’attività. In questa fase il giovane si confronta con i concetti di formula imprenditoriale, organizzazione gestionale, budget economico-finanziario e si esercita dapprima a pianificare una singola attività e, successivamente, a programmare le fasi di sviluppo della stessa, insieme al gruppo-classe, apprendendo le tecniche di team working. La Quinta fase è relativa alla costituzione e start-up dell’impresa simulata nel rispetto della normativa vigente e con il supporto dell’infrastruttura digitale di simulazione disponibile sul territorio (SimuCenter), ovvero a livello nazionale. In questa fase viene redatto l’atto costitutivo e lo statuto, con la relativa documentazione a supporto della fase di start up ed il conseguente impianto contabile e amministrativo dell’azienda. La Sesta fase si riferisce alla gestione operativa dell’impresa formativa simulata, con particolare attenzione alla gestione produttiva e commerciale. La piattaforma di simulazione ha il ruolo di supportare l’attività di e-commerce e consente la connessione e l’operatività tra le imprese formative simulate presenti nella rete territoriale o nazionale. Gli aspetti significativi di tale fase sono la produzione e il commercio dei prodotti simulati, l’istituzione del “negozio virtuale” inteso come vetrina di esposizione e vendita dei prodotti, gli adempimenti fiscali e contributivi, la gestione ed il controllo dell’operatività aziendale, la comunicazione aziendale, obbligatoria e facoltativa. Il percorso proposto coinvolge l’attività di tutto il Consiglio di Classe e contribuisce a far acquisire a tutti gli studenti conoscenze teoriche e applicative, spendibili in vari contesti di vita, di studio e di lavoro, nonché abilità cognitive idonee per risolvere problemi, quali quelli di sapersi gestire autonomamente in ambiti caratterizzati da innovazioni continue e assumere progressivamente anche responsabilità per la valutazione e il miglioramento dei risultati da ottenere. Il percorso di alternanza scuola lavoro in impresa formativa simulata non richiede, anche se non esclude, il tirocinio presso aziende situate nel territorio. L’esperienza aziendale, infatti, viene praticata a scuola in laboratorio e riproduce tutti gli aspetti di un’azienda reale, con il tutoraggio dell’azienda madrina. Essa rappresenta, quindi, un’opportunità per realizzare l’alternanza scuola lavoro, anche in quelle istituzioni scolastiche il cui territorio presenta un tessuto imprenditoriale poco sviluppato, ovvero caratterizzato da un ridotto numero di imprese, per lo più di dimensioni piccole e medie, che hanno difficoltà a ospitare studenti per lunghi periodi. È comunque importante un contatto continuo con l’azienda tutor; gli incontri dei tutor aziendali con gli studenti e le visite degli studenti in azienda rafforzano, infatti, il legame con la realtà. L’esperienza in impresa formativa simulata permette allo studente 85 l’acquisizione di tutte le competenze chiave europee, con particolare riferimento allo spirito di iniziativa e imprenditorialità, contribuendo inoltre all’educazione finanziaria dell’allievo. Nel dettaglio, le competenze raggiungibili dagli studenti che partecipano ad esperienze di alternanza in impresa formativa simulata possono essere classificate in tre differenti categorie, declinabili in una griglia di valutazione, il cui modello è liberamente scelto dalla scuola: – Tecnico-professionali, che trovano il coinvolgimento degli insegnamenti delle aree di indirizzo. – Trasversali, o comuni (soft-skills), molto richieste dalle imprese, afferiscono l’area socioculturale, l’area organizzativa e l’area operativa, facendo acquisire all’allievo le capacità di lavorare in gruppo (teamworking), di leadership, di assumere responsabilità, di rispettare i tempi di consegna, di iniziativa, di delegare studiando meccanismi di controllo, di razionalizzare il lavoro, in modo da formarne una “personalità lavorativa”, pronta per l’inserimento in ambiente lavorativo; – Linguistiche, che trovano il pieno coinvolgimento delle discipline umanistiche, riguardando le abilità di comunicazione in funzione del contesto e dello scopo da raggiungere. È preferibile far iniziare l’esperienza agli alunni dalla classe terza, per osservare tutte le fasi di nascita e sviluppo dell’Impresa. A livello operativo, il dirigente scolastico individua per ogni classe coinvolta un referente (tutor interno) che viene formato ad operare e interloquire con la Centrale di Simulazione (SimuCenter), costituita dalla piattaforma informatica di riferimento, gestita da un fornitore di servizi informatici individuato dal Capo d’Istituto, secondo i principi del dlgs. 163/2006. Il tutor, in fase di programmazione dell’attività di impresa formativa simulata, presenta ai docenti del Consiglio di classe le linee generali e le varie fasi del progetto. Il Consiglio di classe individua i tempi e i modi di realizzazione secondo gli schemi proposti e descritti nelle varie Unità di Apprendimento (UdA). Il dirigente scolastico, una volta individuato il SimuCenter cui fare riferimento, si accredita presso lo stesso, abilitando il tutor interno ad operare sulla piattaforma informatica del Simulatore. Le attività di alternanza svolte con la metodologia dell’impresa formativa simulata sono sviluppate progressivamente nelle classi del secondo biennio e dell’ultimo anno del percorso di studi, con una scansione temporale che è sintetizzata nella griglia allegata alla presente Guida operativa. [...] GUIDA OPERATIVA 89 INTRODUZIONE “1) L’imprenditorialità e l’istruzione sono priorità della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. 2) Lo sviluppo di uno spirito imprenditoriale può portare notevoli benefici ai cittadini, sia nella vita professionale che in quella privata. 3) L’imprenditorialità nell’istruzione e nella formazione può promuovere l’occupabilità, il lavoro autonomo e la cittadinanza attiva, nonché lo sviluppo di istituti di istruzione e formazione adattabili e orientati verso l’esterno.”7 Con questa Guida vorremmo offrire ai formatori alcuni strumenti utili a implementare l’educazione alle competenze imprenditoriali all’interno dei CFP partendo dalla convinzione che l’educazione all’imprenditorialità non riguarda solamente gli allievi ma l’intero sistema formativo, compresi i docenti e l’ente stesso. “Occorre che gli stessi istituti di istruzione e formazione si adoperino per una maggiore creatività e innovazione in un contesto in rapido mutamento determinato da tecnologia e globalizzazione e dall’evoluzione di bisogni e capacità. Gli insegnanti, i formatori e i dirigenti scolastici dovrebbero essere incoraggiati a promuovere capacità, competenze e spirito imprenditoriali, mentre le istituzioni dovrebbero offrire contesti di apprendimento creativi e innovativi e favorire attivamente un coinvolgimento della comunità in generale.” 8 La “Relazione finale del gruppo di lavoro sulla formazione all’imprenditorialità” 9 promosso dall’Unione Europea sottolinea infatti l’importanza di un approccio sistemico coerente che includa tutti i fattori di successo conosciuti per massimizzare l’impatto delle politiche a supporto della formazione imprenditoriale. Secondo gli autori, è importante promuovere il sistema imprenditoriale a livello istituzionale, stimolando l’insegnamento imprenditoriale, l’apprendimento e il cambiamento organizzativo in tutti i settori dell’istruzione e della formazione. 7 Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 20/01/2015, Conclusioni del Consiglio sull’imprenditorialità nell’istruzione e nella formazione (2015/C 17/02). 8 Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 20/01/2015, op. cit. 9 Il rapporto vuole essere un contributo al dibattito sullo sviluppo delle politiche in materia di istruzione all’imprenditorialità. Riflette il lavoro del gruppo di lavoro sulla formazione all’imprenditorialità, istituito nell’ambito del programma di lavoro di ET2020. Stampato a novembre 2014. 90 In accordo con questo approccio, abbiamo ritenuto utile suddividere la presente guida in tre parti che, pur collegate tra di loro, individuano tre ambiti di intervento diversi per l’attuazione delle strategie a supporto dello sviluppo delle competenze imprenditoriali: Il primo riguarda l’organizzazione imprenditoriale e propone un questionario di autovalutazione utile a capire su quali aree è possibile intervenire per rendere il proprio ente più imprenditivo. Il secondo riguarda la formazione di competenze imprenditoriali nei docenti. In questo paragrafo abbiamo fatto alcune ipotesi per lo sviluppo di corsi di formazione rivolti agli insegnanti. Il terzo, infine, pone l’accento sugli studenti e propone alcune schede di lavoro che possono essere utilizzate dagli insegnanti, all’interno delle consuete attività didattiche, per porre l’accento sullo sviluppo delle competenze imprenditoriali degli allievi. Tali riferimenti possono dunque essere intesi sia come integrativi di altre corpose pubblicazioni10, sia come suggerimenti specifici ad integrazione di unità di apprendimento o attività didattiche che già vengono svolte dai docenti dei CFP e che potrebbero essere proficuamente potenziate nelle parti che riguardano lo sviluppo delle attitudini imprenditive. Confidiamo che questo approccio possa favorire un costante sviluppo e attenzione, nell’intero piano di studi, al conseguimento dei risultati di apprendimento imprenditoriale. 10 Si veda – a titolo esemplificativo – quella coordinata da FULVIO GHERGO dal titolo “Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione d’impresa”, ISFOL, 2007. 91 1. L’autovalutazione del carattere imprenditivo di un CFP Quali sono le caratteristiche che connotano un’organizzazione imprenditiva? Quanto è imprenditivo il vostro centro di formazione professionale? A queste domande cerca di rispondere uno strumento di autovalutazione on line promosso dalla Commissione Europea: “HEInnovate”. Nato per misurare il livello di imprenditorialità delle università europee HEInnovate, esso può rivelarsi molto utile anche per i centri di formazione professionale, attraverso il questionario infatti è possibile individuare i punti di forza e quelli di debolezza dell’organizzazione in merito al livello di imprenditorialità. La dimensione imprenditoriale viene suddivisa in 7 item: • leadership e governance • capacità organizzativa, risorse umane e incentivi • sviluppo dell’imprenditorialità attraverso i processi di insegnamento/apprendimento • percorsi per imprenditori • affari e relazioni esterne che favoriscono lo scambio di conoscenze • l’istituto imprenditoriale e la sua dimensione internazionale • misurare l’impatto. Ogni item è formato da una serie di enunciati sui quali, gli utenti interessati, si basano per fare l’autovalutazione della propria organizzazione dandosi un punteggio da uno a cinque: uno indica la quasi assenza del requisito, 5 invece indica un’elevata importanza dell’enunciato in questione all’interno dell’organizzazione. Di seguito sono stati selezionati, e parzialmente modificati, gli enunciati ritenuti più significativi per un CFP in modo da facilitare una prima autoanalisi e riflessione sul proprio centro. Per chi desiderasse approfondire è possibile collegarsi al sito (https://heinnovate. eu/intranet/main/index.php) e, in forma assolutamente anonima, compilare l’intero questionario. 92 Leadership e governance La leadership del CFP si impegna per promuovere strategie imprenditoriali Esiste un modello per coordinare ed integrare le diverse azioni e progetti imprenditoriali che coinvolgono il CFP Il CFP è una forza trainante per lo sviluppo dell’imprendito rialità nel contesto in cui opera: comunità, enti e scuole territoriali, provinciali e regionali Capacità organizzativa, risorse umane e incentivi Gli obiettivi imprenditoriali del CFP sono supportati da una ampia gamma di fonti di finanziamenti/ investimenti, pubblici e/o privati Esiste una strategia tesa a promuovere nuove relazioni tra il CFP, i formatori, gli studenti e soggetti esterni fautori di iniziative o progetti imprenditoriali Il CFP è aperto al reclutamento e/o coinvolgimento di persone che hanno atteggiamenti o esperienze imprenditoriali Ci sono chiari incentivi e ricompense per il personale che si impegna in iniziative imprenditoriali funzionali al CFP Sviluppo dell’imprenditorialità attraverso i processi di insegnamento/apprendimento Il CFP è strutturato in modo da stimolare e sostenere lo sviluppo di competenze e spirito imprenditoriale tramite i diversi insegnamenti Il CFP riconosce e convalida risultati di apprendimento derivanti da iniziative ed esperienze imprenditoriali La collaborazione con stakeholder esterni è una compo nente chiave dell’ insegnamento e dell’apprendimento degli allievi Percorsi per imprenditori Il CFP agisce al fine di aumentare la consapevolezza del valore/importanza di sviluppare capacità imprenditoriali, sia tra il personale che tra gli studenti, incoraggiandoli a diventare imprenditivi Il CFP struttura iniziative finalizzate ad aumentare le competenze per ideare e/o realizzare start up d’impresa Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo Schema 1 – Checklist di autovalutazione di un’organizzazione imprenditiva Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo 93 Il CFP offre l’opportunità di sperimentare le proprie competenze in un ambiente imprenditivo Il CFP fornisce supporto a singoli e gruppi che intendono passare dalle idee imprenditoriali all’azione (es: ricerca di finanziamenti, mentoring, ec.) Il CFP favorisce l’inserimento in strutture di incubazione di imprese. Affari e relazioni esterne che favoriscono lo scambio di conoscenze l CFP si impegna per la collaborazione e lo scambio di conoscenze con l’industria, la società civile, il settore pubblico, agenzie di educative e di ricerca Il CFP offre l’opportunità, sia per il personale che per gli studenti, di partecipare ad attività imprenditoriali con imprese e/o l’ambiente esterno Il CFP ha collaborazioni e partecipa a progetti di ricerca assieme a partner scientifici o industriali ponendosi come soggetto attivo nell’influenzare l’ecosistema della conoscenza L’istituto imprenditoriale e la sua dimensione internazionale Il CFP sostiene esplicitamente esperienze di mobilità internazionale rivolte sia al personale che agli studenti Il CFP dimostra internazionalizzazione nell’approccio all’insegnamento Il CFP partecipa attivamente a network internazionali Misurare l’impatto Il CFP valuta regolarmente l’impatto della propria strategia imprenditoriale Il CFP valuta regolarmente l’impatto della formazione all’imprenditorialità sull’apprendimento degli allievi Il CFP effettua il monitoraggio e la valutazione dell’impatto del sostegno alle start-up dei propri allievi e/o formatori Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo Per nulla Poco Abbastanza Molto Moltissimo Oltre a HEInnovate, la Commissione Europea, ha realizzato un sito dedicato alle scuole di tipo tecnico e professionale “Entrepreneurship 360”11 che contiene in- 11 http://www.oecd.org/site/entrepreneurship360/ 94 numerevoli contributi, riflessioni ed esperienze sul tema dell’educazione all’imprenditorialità. Concludiamo questo primo paragrafo con alcuni suggerimenti, i primi sono contenuti nella già citata Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 20/01/2015, ovvero, per quanto riguarda specificamente le scuole, l’IeFP e l’apprendimento degli adulti, tenendo conto dell’autonomia istituzionale, essi dicono: – Incoraggiare la messa a disposizione di servizi atti ad assistere le scuole e gli istituti e gli operatori dei settori dell’IeFP e dell’apprendimento per adulti a trovare partner nel mondo dell’imprenditoria e tra gli imprenditori sociali. – Incoraggiare gli sforzi degli istituti IeFP volti a sostenere la creazione di attività economiche da parte degli studenti tramite lo scambio di buone pratiche e l’intensificazione dei legami con l’imprenditoria e le imprese sociali. – Promuovere la disponibilità e l’accesso a programmi di apprendistato e altre iniziative di apprendimento basate sul lavoro con dimensione imprenditoriale. – Ove possibile, incoraggiare gli operatori dell’apprendimento per adulti a integrare le capacità e competenze imprenditoriali nei servizi da essi prestati attualmente o tramite corsi specifici. A rinforzo e integrazione di questi aggiungiamo le indicazioni per ottenere delle efficaci azioni di educazione all’imprenditorialità rivolte ai giovani contenute nel rapporto ISFOL 201312: – Creare reti di relazioni con imprese e imprenditori del territorio in modo da valorizzare le risorse dei giovani e, allo stesso tempo, quelle del contesto territoriale di appartenenza. – Promuovere percorsi di alternanza scuola-lavoro. – Attivare collaborazioni significative con imprenditori, anche in pensione, in grado di portare avanti progetti che offrano agli studenti del valore aggiunto in termini di apprendimento e sviluppo di competenze imprenditoriali. 12 AA. VV. (2013) - Indicazioni per la programmazione e la realizzazione di iniziative per l’educazione all’imprenditorialità - ISFOL - http://isfoloa.isfol.it/handle/123456789/565 95 2. La Formazione dei Formatori: spunti operativi Formare gli insegnanti all’imprenditorialità diventa un elemento cruciale per favorire lo sviluppo di competenze imprenditoriali negli allievi, sia perché vengono forniti ai docenti suggerimenti e strumenti didattici per favorire l’acquisizione delle competenze chiave da parte dei loro studenti, ma anche perché essi stessi possono diventare portatori delle stesse competenze, diventando in tal modo modelli di riferimento e dando impulso imprenditoriale al centro di formazione professionale in cui operano. Un supporto formativo ai docenti è necessario in quanto essi spesso non hanno esperienze in ambito imprenditoriale oppure non ritengono le competenze imprenditoriali necessarie all’insegnamento. Anche il rapporto Isfol menzionato nel paragrafo precedente ritiene fondamentale la formazione dei docenti, di ogni ordine e grado, come elemento base per il successo dell’educazione all’imprenditorialità. I docenti infatti devono essere in grado di accompagnare gli studenti verso lo sviluppo di competenze chiave in merito all’imprenditorialità ma devono essere in grado anche di relazionarsi con imprenditori e aziende del territorio. “…gli insegnanti hanno bisogno del giusto sostegno, ossia ricerche approfondite per capire come concepiscono la formazione all’imprenditorialità e quali approcci adottano in proposito; una formazione efficace, iniziale e permanente; forme di supporto contestuale, quali strumenti per lo scambio di buone prassi, lo sviluppo di banche di contenuti, strumenti, metodologie e risorse, l’istituzione di reti di sostegno efficaci.”13 Nella già citata “Relazione finale del gruppo di lavoro sulla formazione all’imprenditorialità”, viene schematizzato “Il ciclo di sviluppo degli educatori” (figura 1) che sottolinea l’importanza dell’attivare un processo continuativo (non una tantum) e circolare utile a rinforzare le competenze dei docenti in un’ottica di miglioramento continuo e che autoalimenti se stesso facendo scaturire ogni nuovo passaggio da quello precedente. Nella guida realizzata dalla Commissione Europea, dal titolo “Creare mentalità e competenze imprenditoriali nell’UE” si affida alla formazione il compito di rinforzare due competenze basilari del comportamento imprenditoriale (http://ec.europa. eu/enterprise/policies/sme/regional-sme-policies/documents/no.1_entrepreneurial_ mindsets_it.pdf): 13 Commissione Europea – Serie di guide – Come sostenere la politica perle PMI con i fondi strutturali – pag. 32 96 • insegnare a tradurre le idee in azione; • insegnare a pianificare e gestire quelle stesse azioni. Trattandosi di docenti si possono aggiungere anche questi altri obiettivi: • aumentare la consapevolezza rispetto all’importanza delle competenze imprenditoriali all’interno di un CFP, sia per i formatori che per gli allievi; • apprendere nuove strategie educative e strumenti didattici per l’educazione dei propri allievi all’acquisizione di competenze imprenditoriali. Fig. 1 - Il ciclo di sviluppo degli educatori Nello specifico, per gli insegnanti dei CFP, si possono ipotizzare i seguenti risultati di apprendimento: Competenze: – Saper progettare unità d’apprendimento che prevedano lo sviluppo di competenze imprenditoriali. – Saper progettare e gestire strumenti di valutazione per il monitoraggio delle competenze imprenditoriali. – Saper progettare, pianificare e gestire percorsi formativi esperienziali in rete con enti e aziende del territorio: dall’ individuazione di risorse e opportunità, alla gestione del budget di progetto e delle relazioni con i partner, dalla promozione alla programmazione e monitoraggio delle azioni previste. – Saper lavorare in autonomia e all’interno di differenti gruppi: degli studenti, dei colleghi, dei partner aziendali, dei genitori. Svolgendo ruoli di coordinamento, di rappresentanza, di promozione e di negoziazione. – Avere la capacità di individuare opportunità per il CFP e/o per la formazione degli studenti valutandone i principali punti di forza e di debolezza. 97 Abilità e attitudini personali: – Spirito d’iniziativa. – Atteggiamento proattivo. – Indipendenza. – Tenacia. – Creatività. – Innovazione. – Motivazione a raggiungere gli obiettivi. – Responsabilità. – Leadership funzionale. – Disponibilità all’ascolto. – Comunicazione chiara e coinvolgente. Conoscenze: – Elementi di progettazione. – Metodi e strumenti per favorire l’apprendimento delle competenze imprenditoriali – Le opportunità del territorio. – Modalità di valutazione. – Dinamiche di gruppo. – Modalità e strumenti di coordinamento. Le conoscenze che seguono sono funzionali al raggiungimento delle competenze sopra descritte, andranno quindi modulate in maniera funzionale al loro raggiungimento: – Comprensione dell’economia e del mondo del lavoro. – Comprensione dell’etica aziendale. – Comprensione dell’avviamento e del funzionamento di un’impresa (ad es. produzione, gestione, marketing). – I meccanismi fondamentali che regolano il funzionamento delle imprese. – La logica dell’imprenditore. Soprattutto per quanto concerne il livello di approfondimento delle conoscenze e delle abilità relative all’alfabetizzazione finanziaria, è utile ricordare che la finalità ultima non è la formazione di imprenditori ma la formazione di persone, docenti, con spirito imprenditoriale. Esse quindi potranno essere approfondite in misura diversa in base al ruolo che il formatore occupa nel CFP e alla materia che insegna. I risultati di apprendimento sopra esposti trovano il consenso dei formatori che sono stati coinvolti nei due focus group14 realizzati all’interno dello stesso progetto 14 L’intero verbale dei focus è in allegato alla presente guida 98 di ricerca da cui è nata questa guida e che potete leggere per intero negli allegati del progetto. Riportiamo di seguito solo qualche affermazione a supporto di quanto proposto. Sull’importanza delle competenze relazionali essi dicono: – “Un’importante competenza imprenditoriale è rappresentata dalle capacità relazionali, che devono esprimersi sia verso l’interno dell’impresa nel rapporto con i collaboratori e i colleghi, sia verso l’esterno. In riferimento alle relazioni verso l’esterno esse sono state considerate dai partecipanti di tipo politico ed interpretate come una risorsa per l’impresa”; – “…una caratteristica imprenditoriale è la capacità di “tenere insieme la diversità”, di saper organizzare e gestire tutte le parti di un’impresa”. Anche le proposte utili ad aumentare il livello di imprenditorialità emerse durante i focus coincidono con molti obiettivi di apprendimento, esse sono: – Aumentare l’aggiornamento dei formatori fatto direttamente nelle aziende e specifico sull’imprenditorialità – Aumentare i contatti tra CFP e mercato del lavoro. Quest’ultimo è visto anche come un punto di criticità nel senso che una volta veniva sviluppato maggiormente e adesso molto meno. – Aumentare lo sviluppo del settore di progettazione dando maggiore spazio ai formatori nella creazione dei programmi e delle unità di apprendimento. – Aumentare le pubbliche relazioni (ad opera dei direttori). Il progetto FIERE (Furthering Innovative Entrepreneurial Regions of Europe, realizzato dal CESIE, finanziato con il sostegno della Commissione Europea, http://cesie.org/) che nasce dalla convinzione che Enti ed organizzazioni possano avere, all’interno dell’economia locale, uno spirito più imprenditoriale e innovativo, propone alcuni suggerimenti per impostare la formazione degli operatori. Anche in questo caso ritroviamo alcuni contenuti che corrispondono alla nostra proposta, ad esempio: – Motivazione e spirito imprenditoriale dovrebbero essere considerate materie fondamentali. – Informazioni teoriche di base sull’avviamento e la gestione di un’impresa. – Cenni sui principali aspetti del mercato del lavoro e dell’economia locale. – Sviluppare competenze trasversali come creatività, spirito di iniziativa e imprenditorialità, capacità di pensiero creativo e di innovazione, nonché atteggiamento proattivo, flessibilità, autonomia, capacità di gestire un progetto e di ottenere dei risultati. Mettere a disposizione banche dati per la ricerca e lo scambio di buone prassi dal punto di vista metodologico: – Utilizzare il learning by doing o by experience all’interno del programma 99 – Prevedere degli spazi di discussione in cui i partecipanti possano discutere di problematiche reali che incontrano o che hanno incontrato. – Assicurarsi che l’ambiente di apprendimento stimoli la creatività, l’innovazione e il pensiero autonomo. – Creare delle sinergie con il contesto territoriale. Le reti territoriali possono contribuire, tra l’altro, con risorse come persone con esperienza nel mondo degli affari o imprenditori di successo motivati e desiderosi di dare il proprio contributo in qualità di mentori, consiglieri e insegnanti. Azioni che potrebbero essere messe in atto all’interno del CFP sono: – Eliminare tutte le barriere strutturali e pratiche che ostacolano la flessibilità e incoraggiare azioni orientate verso l’innovazione, la collaborazione e la cooperazione fornendo strumenti e incentivi a progetti imprenditoriali che creino un clima favorevole all’impresa e sviluppando un’atmosfera imprenditoriale. – Motivati a intraprendere progetti e azioni imprenditoriali funzionali alla didattica e alla formazione offerta dal CFP. – Selezionare partecipanti che ricoprano una posizione influente all’interno dell’organizzazione o che siano apertamente appoggiati da persone influenti, così da avere la forza necessaria a ispirare o promuovere azioni di cambiamento. – Per chi desiderasse aderire ad un percorso formativo sulle competenze imprenditoriali pensato per gli insegnanti, segnaliamo il progetto Manage che segue il metodo M.I.M.E. (Méthode d’Initiation au Métier d’Entrepreneur - http://www.cscs.it/download/manage/manage_flyer.pdf). Il progetto considera l’imprenditorialità come parte integrante dell’apprendimento permanente e sottolinea che focalizzare l’attenzione sulla formazione all’imprenditorialità è una sfida per i sistemi educativi dei paesi europei; formare e dare delle competenze che possano aiutare lo sviluppo dello spirito imprenditoriale significa rimettere in questione alcuni aspetti dell’insegnamento tradizionale. Il progetto MANAGE propone una risposta cercando di formare dei trainer/formatori tra gli insegnanti dei vari istituti (compresi quelli della formazione professionale). Per chi invece desiderasse fare un’autovalutazione sulle proprie competenze pedagogiche nella formazione imprenditoriale può collegarsi al sito finlandese di YVI Virtual Learning Environment (http://theentrepreneurialschool.eu/) e provare a compilare il relativo questionario (versione inglese), il feed-back è in tempo reale. Il questionario è indirizzato a insegnanti della scuola primaria, secondaria e della formazione professionale. Sullo stesso sito, il cui obiettivo principale è quello di sviluppare la dimensione pedagogica nella formazione alle competenze imprenditive, si possono trovare anche molti interessanti strumenti da utilizzare con gli allievi, nel paragrafo successivo ne abbiamo riportato una breve descrizione. In conclusione riportiamo le schede di tre importanti competenze per lo sviluppo del comportamento imprenditoriale tratte, e adattate, dalla “Relazione finale del gruppo di lavoro sulla formazione all’imprenditorialità”. Queste competenze 100 sviluppano alcuni risultati di apprendimento elencati all’inizio di questo paragrafo e possono essere alla base di un percorso di formazione iniziale rivolto ai docenti. Alle tre schede ne abbiamo aggiunto una quarta che riteniamo specifica per la professionalità dei formatori. SCHEDA 1 - Risultato d’apprendimento: elementi di gestione finanziaria Fondamento logico: la gestione finanziaria è importante per garantire conoscenze e competenze utili alla gestione delle finanze, sia personali che organizzative. Conoscenze Abilità Competenze – Conoscenze sul contesto finanziario e normativo relativi al lavoro autonomo, alla gestione di piccole imprese e a progetti. – Come reperire risorse finanziarie. – Elementi di pianificazione finanziaria. – Principali implicazioni finanziarie per la creazione di una nuova impresa o per la crescita di un’impresa già avviata. – Saper individuare opzioni di finanziamento per sostenere il lavoro autonomo, piccole imprese e progetti. – Saper negoziare per ottenere risorse finanziarie per lo sviluppo di lavoro autonomo, di una piccola impresa o di un progetto. – Saper stendere un piano finanziario, un budget, saper eseguire controlli e scrivere relazioni sui risultati finanziari di un progetto. – Saper illustrare le possibilità di finanziamento più appropriate per una società in start up o le opportunità di sviluppo per le imprese esistenti. – Saper eseguire la pianificazione finanziaria e l’amministrazione relative a nuovi scenari di business o di crescita. – Saper assumersi la responsabilità della pianificazione finanziaria e amministrazione relativi a nuovi scenari di business o di crescita. – Saper prendere decisioni finanziarie indipendenti in materia di lavoro autonomo, piccole imprese o progetti . – Essere responsabili e saper giustificare le proprie decisioni finanziarie e le proprie azioni. – Saper consigliare sulle azioni più appropriate da compiere in merito al buon andamento finanziario di un progetto o di un’attività imprenditoriale. – Saper prendere decisioni appropriate in merito alle diverse opzioni finanziarie relative alle attività per la crescita o per la start-up d’impresa. SCHEDA 3 - Risultato d’apprendimento: creatività Fondamento logico: la creatività è parte integrante di una mentalità imprenditoriale, ed è un pre-requisito per il successo imprenditoriale. Consiste nel generare nuove idee, approcci e tecniche, da soli o in gruppo. Conoscenze Abilità Competenze 101 SCHEDA 2 - Risultato d’apprendimento: perseguire opportunità e gestire i rischi Fondamento logico: saper riconoscere le opportunità e gestire i rischi sono tra le caratteristiche cognitive e comportamentali che contraddistinguono maggiormente una persona con competenze imprenditoriali. Conoscenze Abilità Competenze – Conoscenze teoriche sulla valutazione dei rischi e delle opportunità. – Apprendere idee e conoscenze attraverso il feedback e il confronto con persone più esperte (ad esempio consulenti finanziari, mentori di business, di orientamento). – - Informazioni e conoscenze (web-based, e social network) a supporto delle opportunità di sviluppo. – Saper creare opportunità di suc cesso a partire dalla propria esperienza ma anche analizzan do i fallimenti sia propri che degli altri. – Saper elaborare un business plan in funzione di una startup di im presa o di un lavoro autonomo. – Saper promuovere il proprio pro getto di fronte agli altri (es: finan ziatori, potenziali soci o sponsor). – Saper evitare o minimizzare i ri schi in relazione alle opportunità ricercate. – Saper valutare le risorse e le opportunità a disposizione e agisce su di esse a vantaggio di se stesso, degli altri o dell’ambiente. – Saper assumersi la responsabilità delle proprie decisioni in merito a progetti o iniziative di cui si è referenti. – Saper prendere decisioni indipendentemente dagli altri, valutando le opportunità e i diversi gradi di rischio. – Saper consigliare i partner sulle decisione più appropriate da prendere. – Comprendere perché la creatività è importante per l’occupabilità in un mercato del lavoro in rapida evoluzione. – Conoscere le procedure a garanzia della proprietà intellettuale. – Conoscenze specialistiche in merito alla tutela della proprietà intellettuale. – Saper impiegare tecniche creative, incluse le fonti digitali, per generare idee innovative. – Saper sviluppare un prodotto creativo e applicare le procedure corrette per proteggerne la proprietà intellettuale. – Saper applicare approcci originali ad ogni fase del ciclo di realizzazione di un’idea: dall’individuazione delle risorse alla valutazione dei rischi, dai rapporti con il territorio alla fase di realizzazione, ecc. – Saper impiegare approcci creativi al lavoro autonomo o di start-up, anche per risolvere criticità o per aumentare le opportunità. – Sapere a chi rivolgersi e quali vie percorrere per questioni relative alla proprietà intellettuale individuale o di gruppo. 102 SCHEDA 4 - Risultato d’apprendimento: acquisizione di strategie educative e strumenti didattici per l’educazione all’imprenditorialità Fondamento logico: per poter educare efficacemente i propri studenti alle competenze imprenditoriali è importante che i docenti sviluppino consapevolezza e conoscenza in merito alle strategie e alle metodologie didattiche che producono risultati migliori in quest’ambito. Conoscenze Abilità Competenze – Conoscenze avanzate in merito ai processi di insegnamento e di apprendimento: apprendimento esperienziale, cooperative learning, tramite problem solving, ecc. – Conoscenza delle principali teorie e principi in merito all’apprendimento imprenditoriale. – Sapere come queste conoscenza possono integrarsi con quelle di ambiti differenti. – Saper gestire con padronanza i processi e gli strumenti di insegnamento e apprendimento scegliendo i più idonei in merito agli obiettivi che si vogliono raggiungere. – Saper gestire eventuali criticità o sfruttare opportunità inaspettate per il raggiungimento degli obiettivi d’apprendimento. – Essere orientati alla ricerca e all’innovazione al fine di integrare e aumentare le proprie abilità in merito alla gestione dei processi di insegnamento e apprendimento. – Saper gestire attività e progetti complessi (ad esempio un’UdA) assumendosi la responsabilità delle decisioni che essi richiedono. – Sapersi assume la responsabilità di gestire lo sviluppo personale e professionale dei propri allievi. – Saper gestire attività e progetti che richiedono nuovi approcci strategici, verificando la loro efficacia e contribuendo a definire nuove prassi nell’educazione all’imprenditorialità. 103 3. Educare alle competenze imprenditoriali: strumenti ad integrazione del curricolo Nella già citata guida “Creare mentalità e competenze imprenditoriali nell’UE” si sottolinea l’importanza dell’introdurre la formazione all’imprenditorialità nel curricolo scolastico, in linea con quanto raccomandato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio del 18/12/2006 (2006/962/CE) e DECRETO 22/08/2007, n. 139 per innalzamento dell’obbligo di istruzione, che vede lo spirito d’iniziativa e l’imprenditorialità tra le 8 competenze chiave per la realizzazione e lo sviluppo personale. Le modalità per educare all’acquisizione delle competenze imprenditoriali rispondono, sostanzialmente, a due differenti approcci: 1) nel primo gli obiettivi d’apprendimento vengono integrati nel curricolo a tutti i livelli. In questo caso, generalmente, si pongono traguardi d’apprendimento trasversali quali: creatività, capacità di problem solving, autonomia, flessibilità, ecc. 2) nel secondo approccio invece l’educazione all’imprenditorialità viene considerata una disciplina a se stante. In questo caso i risultati di apprendimento ruotano maggiormente attorno alle conoscenze e alle competenze utili per costituire un’impresa. Oltre a questi due differenti approcci, che possono anche integrarsi in un unico percorso formativo dedicando, ad esempio, i primi anni alla formazione delle competenze più generali e gli ultimi a quelle delle competenze più specifiche, possiamo individuare altre tre modalità di formazione all’imprenditoria (da Furthering Innovative Entrepreneurial Regions of Europe (FIERE): a) Formazione sull’Impresa: ovvero consapevolezza, educazione, informazioni teoriche di base sull’avviamento e la gestione di un’impresa. b) Formazione all’Impresa: ovvero supporto a nuovi o potenziali imprenditori attraverso la trasmissione di competenze pratiche. c) Formazione in Impresa: che sostanzialmente coincide con l’attività di tirocinio o di alternanza scuola lavoro. Per quanto riguarda i Centri di Formazione Professionale, proponiamo l’approccio che vede l’integrazione degli obiettivi di apprendimento all’interno del curricolo, negli esempi che seguiranno quindi mostreremo alcune schede che possono essere utilizzate per far emergere le competenze imprenditoriali all’interno di unità di apprendimento o di attività didattiche già in essere. 104 L’integrazione della formazione all’imprenditorialità in maniera strutturata e sistematica nel curricolo di studi contribuisce ad aumentarne l’efficacia e la diffusione facendola diventare una componente intrinseca del percorso formativo piuttosto che un’aggiunta relegata, in alcuni casi, alla sola attività di tirocinio aziendale. Un’altra conseguenza di quest’integrazione dovrebbe essere uno spostamento della didattica di insegnamento su modalità più esperienziali in grado di favorire l’iniziativa e l’indipendenza degli studenti così come le altre competenze chiave dell’educazione all’imprenditorialità. Ancora meglio se l’ambiente di apprendimento si allarga a Enti e aziende del territorio così da creare connessioni che rinforzino e diano una prospettiva concreta a quanto viene proposto dai docenti. “Occorre quindi concentrare l’attenzione su quanto segue: ottenere la giusta combinazione di componenti teoriche e pratiche ed eliminare le barriere tra il mondo delle imprese e della scuola. Occorre spostare l’accento dagli approcci tradizionali verso metodi che consentano alle persone di sperimentare e conoscersi.”15 Per quanto riguarda la “formazione all’impresa”, quando viene fatta, è molto apprezzata dagli studenti. Tutte le buone pratiche raccolte per la ricerca16 testimoniano la forte motivazione degli studenti all’apprendimento attraverso attività che li vedono attivi e protagonisti. Al contrario la “formazione sull’impresa” può rivelarsi maggiormente critica, sostanzialmente per due motivi: da un lato la scarsa propensione alle acquisizioni di carattere più teorico, dall’altra l’età e la condizione sociale degli allievi rende difficile per loro immaginarsi un futuro da lavoratori autonomi. Quando è stato affrontato il tema, la prima reazione dei partecipanti al focus group è stata quella di precisare quanto sia difficile far pensare gli studenti in un’ottica imprenditoriale. La motivazione principale è stata riscontrata nella struttura socioeconomica di provenienza degli iscritti ai CFP di Roma; i ragazzi provengono da famiglie a basso reddito, con scarsa (se non nulla) possibilità di credito, e hanno seria difficoltà a immaginarsi futuri imprenditori. Nonostante i formatori dichiarassero l’importanza di educare gli allievi all’imprenditorialità, allo stesso tempo confermavano l’improbabilità che i ragazzi si potessero affermarsi come futuri imprenditori. In ultimo, rispetto alla “formazione in impresa” il tirocinio è ormai una consuetudine di tutti i CFP, in questo caso l’unico suggerimento è quello di definire chiaramente quali sono i risultati di apprendimento legati all’acquisizione di competenze imprenditoriali in modo da aumentare la consapevolezza di tutor e allievi e favorire le azioni verso il loro raggiungimento. Una delle criticità che sono state sottolineate 15 Guida “Creare mentalità e competenze imprenditoriali nell’UE” realizzata dalla Commissione Europea, pag. 16 http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/regional-sme-policies/documents/no.1_entrepreneurial_ mindsets_it.pdf 16 Il documento che raccoglie le buone pratiche è in allegato alla guida 105 dai formatori che hanno partecipato ai focus group, infatti, riguarda proprio la scarsa preparazione data agli studenti, in alcuni casi, prima del tirocinio e l’altrettanto scarsa, sempre in alcuni casi, riflessione educativa che lo conclude. In questo modo l’attività perde parte delle proprie potenzialità formative che possono scaturire solo da un processo in cui sono esplicitate le finalità, i mezzi e le competenze da raggiungere. Uno strumento molto utile per raggiungere questo scopo sono le rubriche di autovalutazione da far compilare al tutor aziendale e da far vedere e compilare agli studenti stessi, in modalità di autovalutazione, affinché comprendano che cosa ci si aspetta da loro e possano iniziare a riflettere sul proprio processo di apprendimento. Quella che segue è un esempio di rubrica di autovalutazione tratta dal settore grafico; la rubrica ha una prima colonna in cui sono inserite le competenze che l’allievo dovrebbe acquisire durante l’attività di tirocinio; una seconda colonna in cui sono espressi gli indicatori che permetteranno di rilevare la presenza o meno della competenza e altre tre colonne che declinano la competenza da un livello base a uno esperto. L’ultima colonna è per la valutazione conclusiva e, quando possibile, dovrebbe far riferimento a evidenze che dimostrino il livello di competenza raggiunto. Affinché la rubrica sia congruente con quanto svolgerà lo studente è importante farla validare dal tutor di tirocinio. 106 COMPETENZA IDICATORI LIVELLO AVANZATO LIVELLO INTERMEDIO LIVELLO BASE EVIDENZE Riuscire a comprendere le richieste del cliente attraverso il confronto con i colleghi - Le domande poste sono congruenti per la comprensione delle richieste del cliente. - Il comportamento rivela una buona motivazione verso il lavoro da svolgere. - Ha molta esperienza rispetto alle richieste, aspettative e bisogni dei clienti; sa centra re fin da subito i principali nodi da sviluppare pur restando aperto alle peculiarità della richiesta. - Elevata motivazione, in ogni lavoro riesce a trovare elementi di interesse e di crescita personale. - Ha una buona esperienza rispetto alle richieste, aspettative e bisogni del cliente; sa centrare i nodi da sviluppare; in alcuni casi sopravvaluta la propria esperienza dimenticando le specificità del caso. - Investe maggiormente nei lavori più complessi, sottovaluta l’importanza dei lavori più semplici. - Fa domande e considerazioni che non sempre sono utili per la comprensione delle richieste del cliente. - Motivazione limitata verso tutti i lavori. Riuscire ad individuare gli elementi su cui impostare il lavoro da svolgere - Vengono espresse idee perseguibili. - Le idee sono congruenti rispetto agli obiettivi che il cliente vuole ottenere. - Le idee sono in linea con la cultura e il contesto di lavoro del cliente. - Abbozza idee perfettamente congruenti alle richieste del cliente e agli obiettivi che vuole raggiungere. - Sa entrare in sintonia con la cultura e il contesto in cui opera il cliente. - Le idee abbozzate sono perseguibili anche dal punto di vista tecnico ed economico (rispetto del budget a disposizione). - Abbozza idee abbastanza congruenti alle richieste del cliente e agli obiettivi che vuole raggiungere. - Fatica un po’ ad entrare in sintonia con la cultura e il contesto in cui operano alcuni clienti. - Le idee abbozzate sono, generalmente, perseguibili anche dal punto di vista tecnico ed economico (rispetto del budget a disposizione). - Abbozza idee non sempre congruenti alle richieste del cliente e agli obiettivi che vuole raggiungere. - Tiene in considerazione maggiormente il proprio contesto/cultura rispetto a quella del cliente. - Le idee abbozzate talvolta non sono perseguibili. Saper partecipare proficuamente ad una riunione di lavoro - Accettazione del punto di vista e del contributo di tutti. - Espressione del proprio parere nel rispetto degli altri. - Espressione di buone idee creative. - Sa individuare l’importanza strategica espressa nei diversi punti di vista. - Esprime il proprio parere in maniera assertiva. ed efficace - Ha buone idee creative. - Tiene in considerazione maggiormente il punto di vista di alcuni rispetto a quello di altri. - Esprime il proprio parere, non sempre nei modi e nei tempi opportuni. - Ha idee creative. - Accetta il contributo di tutti. - Fatica ad esprimere il proprio parere. - Non esprime idee creative. 107 Saper effettuare una ricerca per comprendere la struttura di determinati prodotti grafici in un settore specifico - Individuazione dei siti in cui poter trovare materiale utile. - Individuazione dei materiali utili per impostare il prodotto. - Sa individuare e consultare i siti utili in maniera rapida ed autonoma. - Sa individuare velocemente ed efficacemente i materiali utili per la realizzazione del prodotto. - Sa consultare i siti utili autonomamente, in alcuni casi allarga troppo la ricerca rischiando di renderla dispersiva. - Riesce a selezionare i materiali utili per la realizzazione del lavoro in maniera abbastanza efficace. - Sa consultare i siti utili scegliendoli con la guida di un collega più esperto. - Non sempre riesce a selezionare i materiali utili per la realizzazione del lavoro. Saper impostare un prodotto grafico strutturandolo secondo le principali griglie grafiche - Il prodotto rispetta le principali proporzioni di logo, indirizzo e messaggi. - L’allineamento è preciso. - I colori sono ben calibrati. - Sa realizzare un prodotto grafico rispettando le griglie grafiche e, quando opportuno, rompendone gli schemi in maniera funzionale e creativa. - Ha gusto e competenza nella scelta e calibrazione dei colori. - Sa realizzare un prodotto grafico rispettando le griglie grafiche basilari. In alcuni casi le personalizza in maniera non sempre funzionale. - Sa calibrare bene i colori. - In alcuni casi non rispetta le basilari griglie grafiche. - Per la scelta e la calibrazione dei colori, in alcuni casi, necessita della supervisione di un collega più esperto. Saper illustrare e motivare le scelte collegate al prodotto realizzato - Argomentare le decisioni prese. - Coinvolgimento del proprio interlocutore. - Sa argomentare molto bene il proprio lavoro riuscendo a trasmettere al proprio interlocutore le motivazioni alla base delle scelte realizzate così come la loro efficacia comunicativa. - Sa argomentare le motivazioni alla base del proprio lavoro ma non sempre riesce a trasmettere al proprio interlocutore la bontà delle scelte fatte. - Sa argomentare parzialmente le motivazioni alla base del proprio lavoro. - Si pone maggiormente in una posizione d’ascolto piuttosto che di coinvolgimento dell’altro. 108 Saper accogliere le osservazioni e utilizzarle per migliorare il proprio lavoro - Utilizza le osservazioni ricevute per cambiare il proprio lavoro rendendo lo più vicino alle aspettative del cliente. - Comprende l’importan za delle osservazioni co me feed-back utili alla propria crescita professionale. - Sa cogliere in ogni osservazione l’elemento significativo per poter migliorare il propri lavoro in funzione delle richieste e delle aspettative del cliente. - Ricerca i feed-back degli altri in quanto utili alla propria crescita professionale. - Accetta punti di vista che si allontanano dalla propria estetica. - Accetta i feed-back dei colleghi. - Fatica ad accettare le osservazioni, non sempre riesce a farle proprie applicandole al lavoro in maniera originale. - Apertura limitata ai feedback dei colleghi più esperti. Utilizzo dei programmi di grafica - Conoscenza delle va rie funzioni del programma. - Comprensione del programma. - Velocità di utilizzo. - Utilizzo rapido del programma. - Ottima conoscenza di tutte le funzioni. - Completa autonomia nell’apprendimento di nuove funzioni e aggiornamenti. - Buona conoscenza di quasi tutte le funzioni. - Capacità di apprendere l’utilizzo di nuove funzioni autonomamente. - Buona velocità di utilizzo. - Necessità di fare pratica delle funzioni meno utilizzate. - Conoscenza delle principali funzioni - Velocità di utilizzo medio/bassa. - Necessità di fare pratica con i vari programmi. 109 3.1. Strumenti per l’integrazione e la valutazione delle competenze imprenditoriali nelle attività didattiche e nelle unità di apprendimento Per un’efficace integrazione degli obiettivi d’apprendimento a supporto delle competenze imprenditoriali nel curricolo, le azioni più efficaci riguardano la capacità di inserire tali obiettivi nelle attività didattiche che già vengono svolte dai formatori. Frequentemente, nei centri di Formazione Professionale, vengono svolte attività e vengono realizzate UdA che promuovono anche le competenze imprenditoriali. Le numerose buone pratiche raccolte possono testimoniare in tal senso. Non sempre però vengono riconosciute, o messe in evidenza come traguardo da raggiungere, le competenze imprenditoriali che rimangono sullo sfondo, in una posizione di subalternità rispetto a risultati più “disciplinari”. Gli strumenti che proponiamo hanno l’obiettivo di supportare gli insegnanti nella programmazione di attività e di unità di apprendimento che tengano conto e mettano in risalto lo sviluppo di competenze imprenditoriali, ovvero: – Spirito d’iniziativa e imprenditorialità (Competenze chiave per l’apprendimento permanente – Raccomandazione del parlamento europeo e del consiglio, dicembre 2006). – Ideare e progettare - Risolvere problemi – Agire in modo autonomo e responsabile (Competenze chiave per la cittadinanza DM 139, 22 agosto 2007). Dalle indicazioni europee e nazionali potremmo estrapolare le seguenti competenze come quelle tra le più significative in merito all’imprenditorialità: – Autonomia. – Capacità di problem solving. – Creatività. – Responsabilità. Queste prime quattro sono molto citate dalla letteratura dedicata all’argomento, ne seguono però molte altre intimamente collegate alle prime, ad esempio, senza nessuna intenzione d’essere esaustivi, potremmo citare: – Apertura al cambiamento e all’innovazione. – Assunzione dei rischi. – Buon livello di autostima e fiducia in se stessi. – Capacità di progettazione. – Consapevolezza di sé. – Lavoro di gruppo. L’invito ad applicare gli strumenti di questa sezione a unità di apprendimento piuttosto che a progetti extra curricolari è data dalla convinzione che l’educazione all’imprenditorialità sarà tanto più efficace quanto più intrinseca al normale percorso formativo e quanto più oggetto di interdisciplinarietà. In tal senso ragionare sulle 110 UdA favorisce il raggiungimento di entrambi questi risultati. Ciò non implica che gli stessi strumenti non possano essere utilizzati con successo anche per attività differenti, così come evidenziato dalle buone pratiche che abbiamo raccolto. Il primo strumento è una checklist relativa a quelle che sono state indicate come le caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità17, provate ad applicarla a una o più UdA che prevede il vostro contributo e, in base alla valutazione che darete, decidete se è possibile e/o opportuno potenziare l’unità di apprendimento per le caratteristiche risultate più deboli: 17 Commissione Europea – Serie di guide - Come sostenere la politica perle PMI con i fondi strutturali – pag. 55 Poco Abbastanza Molto Moltissimo Check list delle caratteristiche chiave di un contesto efficace per la formazione all’imprenditorialità 1 L’UdA prevede l’incontro con enti o persone significative dal punto di vista imprenditoriale? (imprenditori, aziende, enti a supporto dell’imprenditori e del mercato del lavoro, ecc.) 2 L’UdA permette una chiara comprensione tra gli studenti della motivazione e degli obiettivi delle attività che vengono proposte, ad es. per sviluppare competenze relative a creatività e iniziativa, nonché le capacita necessarie per assumersi dei rischi o gestire un’impresa con efficacia 3 L’UdA prevede un apprendimento di tipo esperienziale e pratico, per consentire agli studenti di divertirsi, fare tesoro dei risultati dell’esperienza di apprendimento e provare un senso di gratificazione che contribuisca alla loro autostima 4 L’UdA prevede compiti che conferiscono agli studenti la responsabilità delle attività, e che promuovono l’attuazione di approcci innovativi al problem solving 5 Gli insegnanti coinvolti sono dotati di knowhow sui principi imprenditoriali, su come comunicare ed entusiasmare le persone in merito alle questioni centrali e come favorire l’apprendimento autonomo degli studenti A queste 5 caratteristiche ne aggiungiamo altre due: 6 L’UdA definisce in modo chiaro quali sono le competenze imprenditoriali che si vogliono sviluppare 7 L’UdA è collegata a strumenti di osservazione che permettono una valutazione standartizzata e condivisa delle competenze imprenditoriali Per nulla 111 Le prime 5 caratteristiche sono state utilizzate come criterio per classificare le buone prassi che abbiamo raccolto. In questo modo, consultando il documento che le riporta, sarà semplice ispirarsi ad esse per ottenere dei suggerimenti concreti relativi allo sviluppo di una piuttosto che di un’altra caratteristica. Nello schema riassuntivo riportato all’inizio del documento, inoltre, abbiamo segnalato quando la pratica è un’unità di apprendimento. Gli ultimi due item della griglia sono stati inseriti perché, come dicevamo più sopra, per gli insegnanti non sempre è facile poter osservare e valutare la presenza di competenze trasversali come quelle riportate all’inizio di questo paragrafo. Di conseguenza anche per gli studenti diventa difficile comprenderne l’importanza e acquisire maggior consapevolezza rispetto ad esse. Le schede che seguono sono state pensate per facilitare i docenti in quest’attività di osservazione e quindi di verifica. Per poter applicare più agevolmente le schede sarà utile definire in quali momenti osservare le competenze prese in esame. Ogni scheda fa riferimento ad una competenza e la declina in 4 livelli, dal più basso al più alto. Schede di Osservazione e di Valutazione Autonomia Liv 4 È completamente autonomo nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni, anche in situazioni nuove. È di supporto agli altri in tutte le situazioni Liv 3 È sufficientemente autonomo nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni. In alcuni casi è di supporto agli altri Liv 2 Ha un’autonomia limitata nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni ed abbisogna spesso di spiegazioni integrative e di guida Liv 1 Non è autonomo nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni e procede, con fatica, solo se supportato Capacità di problem solving Liv 4 L’allievo è in grado di risolvere i problemi che si presentano durante la realizzazione del compito in maniera efficace ed originale Liv 3 L’allievo prova a risolvere la maggior parte dei problemi che si presentano durante la realizzazione del compito, non sempre le strategie individuate si rivelano efficaci Liv 2 L’allievo è in grado di risolvere i problemi più semplici che si presentano durante la realizzazione del compito Liv 1 L’osservazione può essere realizzata sia sulla gestione di problematiche inerenti il processo di lavoro che inerenti il compito che viene dato agli allievi. Creare delle situazioni problematiche ad hoc, più o meno semplici, che gli allievi dovranno risolvere aiuterà il docente nella compilazione della scheda. Allegato alla scheda sulla capacità di problem solving L’allievo si ferma davanti ai problemi, anche se molto semplici, aspettando un aiuto esterno 112 Creatività Liv 4 L’allievo elabora in modo personale il processo di lavoro, realizzando procedure e/o produzioni originali Liv 3 L’allievo trova qualche contributo personale al processo di lavoro, realizza procedure e/o produzioni abbastanza originali Liv 2 L’allievo dà scarsi contributi personali e originali al processo di lavoro e al prodotto Liv 1 L’allievo non esprime nel processo di lavoro alcun elemento di creatività Responsabilità Allegato alla scheda sulla responsabilità Liv 4 L’allievo dimostra di essere consapevole delle conseguenze del proprio comportamento, utilizza tale consapevolezza sia per raggiungere i risultati previsti dal compito con buona efficacia che per correggersi Liv 3 L’allievo è abbastanza consapevole delle conseguenze delle proprie azioni e, in alcuni casi, riesce a ottimizzare e/o correggere il proprio comportamento sulla base delle proprie previsioni Liv 2 L’allievo è scarsamente consapevole delle conseguenze delle proprie azioni. Tende a correggere il proprio comportamento sulla base di errori evidenti piuttosto che sulla previsione di tali errori Liv 1 Per compilare la scheda sulla responsabilità potrà essere utile confrontarsi con gli allievi, durante la realizzazione delle attività, su alcune decisioni prese in merito al compito da eseguire. Alcune domande stimolo potrebbero essere: – Perché hai deciso di procedere in questo modo? – Quale tempistica prevedi per lo svolgimento delle attività? – Che difficoltà ti aspetti di incontrare e come pensi di affrontarle? – Quali pensi sarà la reazione dei tuoi compagni? L’allievo sembra non essere in grado di prevedere le conseguenze delle proprie azioni Apertura al cambiamento e all’innovazione Allegato alla scheda sull’apertura al cambiamento e all’innovazione Liv 4 L’allievo è in grado di lavorare efficacemente anche in situazioni per lui nuove (che sembra trovare stimolanti) inoltre sa adattare le regole al contesto e alla situazione in cui si trova proponendo delle migliorie Liv 3 L’allievo è in grado di lavorare efficacemente in situazioni per lui abbastanza nuove, inoltre sa adattare le regole principali al contesto e alla situazione in cui si trova Liv 2 L’allievo ha bisogno di tempo per riuscire a lavorare efficacemente in situazioni per lui nuove, tende a interpretare le regole con una certa rigidità Liv 1 L’osservazione può essere facilitata dalla creazione di situazioni ad hoc quali: – Cambiare il gruppo dei compagni con cui generalmente l’allievo lavora – Cambiare le modalità di raccolta delle informazioni – Proporre di decidere assieme le regole di comportamento per l’attività in classe L’allievo fatica a lavorare in situazioni per lui nuove, inoltre applica le regole con rigidità 113 Assunzione di rischi Allegato alla scheda sull’assunzione di rischi Liv 4 L’allievo sa comprendere con chiarezza quali sono le opportunità e i rischi collegati a determinate scelte, se ne assume la responsabilità e mette in atto strategie per diminuire i rischi possibili Liv 3 L’allievo sa comprendere quali sono le maggiori opportunità e rischi collegati a determinate scelte e se ne assume la responsabilità. Non sempre è in grado di attuare strategie per prevenire i rischi Liv 2 L’allievo riesce a individuare rischi e responsabilità di determinate scelte solo in alcune occasioni Liv 1 Per compilare la scheda potrà essere utile fornire agli allievi un questionario in cui si pongono loro domande specifiche in merito all’assunzione di rischi e responsabilità. Il questionario potrà contenere domande quali: – Quali ti sembrano i punti di forza e di debolezza dell’attività? – Quanto pensi sia importante il tuo impegno per la riuscita dell’attività? – Perché hai scelto di svolgere quest’attività (o perché hai scelto di non svolgerla)? – Che cosa pensi di fare affinché l’attività abbia successo? L’allievo tende a percepire gli eventi come determinati da fattori esterni a se stesso e scollegati dal suo comportamento Buon livello di autostima e fiducia in se stessi Liv 4 L’allievo conosce le proprie competenze e punti di debolezza, sa qual è il contributo che può dare e i risultati che può raggiungere in determinate situazioni. Si propone con sicurezza quando vengono richiesti compiti che sente alla propria portata Liv 3 L’allievo conosce le proprie competenze e punti di debolezza, sa qual è il contributo che può dare e i risultati che può raggiungere in determinate situazioni. Si propone solo se incoraggiato da altri Liv 2 L’allievo sopravvaluta i propri punti di debolezza e sottovaluta le proprie competenze. Fa fatica a proporsi anche quando avrebbe le potenzialità per svolgere le attività richieste Liv 1 L’allievo sembra non comprende i propri punti di forza e di debolezza, tende ad avere un comportamento passivo nelle attività richieste Capacità di progettazione Liv 4 Sa individuare chiaramente gli obiettivi da raggiungere e le strategie più efficaci per raggiungerli individuando tempi, modalità, ruoli Liv 3 Sa individuare gli obiettivi da raggiungere e le strategie per raggiungerli individuando tempi, modalità, ruoli Liv 2 Non ha sempre chiarezza in merito agli obiettivi da raggiungere e le strategie da attuare, talvolta confonde i compiti con gli obiettivi Liv 1 Non riesce a comprendere quali sono gli obiettivi, le strategie che mette in atto sembrano scarsamente finalizzate al raggiungimento degli stessi 114 Consapevolezza di sé Allegato alla scheda sulla consapevolezza di sé Liv 4 L’allievo dimostra di procedere con una costante attenzione valutativa del proprio lavoro e mira al suo miglioramento. Attraverso la realizzazione e l’analisi del lavoro svolto è in grado di comprendere i propri punti di forza e quelli di miglioramento Liv 3 L’allievo è in grado di valutare correttamente il proprio lavoro e di intervenire per le necessarie correzioni. Il lavoro svolto lo aiuta ad acquisire consapevolezza dei principali punti di forza e di miglioramento Liv 2 L’allievo svolge in maniera minimale la valutazione del proprio lavoro e gli interventi di correzione. Il lavoro svolto non lo aiuta a conoscere meglio quali sono i propri punti di forza e di miglioramento Liv 1 Per poter compilare adeguatamente la scheda sarebbe opportuno distribuire agli allievi una scheda di autovalutazione in grado di mettere in evidenza la consapevolezza di sé. La scheda dovrebbe contenere spunti di riflessione quali: – Che cosa ti è piaciuto maggiormente del lavoro svolto? – Quale attività hai realizzato con maggior facilità? – Che cosa ti ha richiesto maggior impegno? – Quali difficoltà hai incontrato e come le hai superate? La valutazione del lavoro avviene in modo lacunoso. Non c’è nessuna capacità di collegare il proprio lavoro a una maggior conoscenza di se stesso Lavoro di gruppo Liv 4 L’allievo collabora con i compagni e li motiva facilitando il lavoro di gruppo, ascolta e rispetta le opinioni altrui, accetta i feedback, aiuta a risolvere conflitti Liv 3 L’allievo collabora con i compagni ascolta e rispetta le opinioni altrui, accetta i feed-back Liv 2 L’allievo sembra lavorare bene solo con alcuni i compagni, non sempre ascolta e rispetta le opinioni altrui e, in alcuni casi, interviene in maniera conflittuale Liv 1 Quando lavora in gruppo l’allievo tende ad isolarsi e a non partecipare alla discussione 3.2. Strumenti tratti dal web In Italia ed in Europa i siti dedicati all’educazione delle competenze imprenditoriali, negli ultimi anni, si sono molto incrementate. Le sollecitazioni da parte delle principali organizzazioni europee e nazionali a ricercare, sperimentare e riflettere sul tema hanno dato seguito a molte iniziative ricche di spunti e di contributi in alcuni casi anche molto operativi. Nelle pagine che seguono riportiamo alcuni link in cui i formatori possono trovare interessanti indicazioni e/o strumenti per lavorare con gli studenti. 115 http://www.tesguide.eu/ All’interno del sito YVI Virtual Learning Environment (sviluppato nel progetto YVI, coordinato dallo University of Turku Teacher Training School, ha lo scopo di aiutare a sviluppare la formazione degli insegnanti finlandesi dal punto di vista della formazione all’imprenditorialità) si trova una sezione dedicata agli strumenti didattici, collegandosi al link segnalato si apre una pagina con 4 sezioni, una di queste è dedicata a “Metodi e strumenti”. Entrando in quest’ultima e cliccando sulla voce “vocational training” si possono scaricare 61 schede e strumenti per altrettante attività di educazione alle competenze imprenditoriali. Alcuni esempi: 1) Le Carte Creative: set di 54 carte che contengono una serie di idee e di esercizi incentrati sulla soluzione di problemi e offrono stimoli per aumentare la collaborazione di gruppo e il pensiero creativo. 2) Apprentice: ispirato allo show televisivo ‘The Apprentice’, questo progetto è stato sviluppato da una scuola secondaria finlandese e coinvolge gli studenti nella realizzazione di alcuni compiti richiesti loro da imprese locali nel corso di un intero anno scolastico. Si tratta di un’attività basata sulla competizione, vince chi troverà la soluzione migliore per l’azienda. 3) Il Circolo dell’Innovazione: un modello didattico per gli insegnanti di qualsiasi settore dell’istruzione che descrive le quattro fasi coinvolte nello sviluppo di nuovi strumenti. Si basa su design thinking ed è nato per aiutare gli insegnanti e i progettisti di materiali di apprendimento. http://www.entrepreneurscan.com/ Entrepreneur Scan (E-Scan) permette di fare una panoramica immediata sulle capacità e le attitudini imprenditoriali degli studenti. Basato sulla ricerca scientifica del dr. Martijn Driessen, il test individua punti di forza e di debolezza rispetto all’imprenditorialità di chi lo esegue. Al termine della compilazione ogni studente riceve una pagina PDF con il suoi risultati. Lo strumento è stato sperimentato da molti soggetti ed è considerato molto utile sia per gli studenti che per gli insegnanti. http://www.museodelrisparmio.it/scriptWeb20/vetrina/runtime_wcm/include/js p/museo-del-risparmio/ita/area-scuole/scuole-secondarie2.jsp Il Museo del Risparmio di Torino propone 5 percorsi didattici sui temi di: imprenditorialità; la grande crisi; la previdenza sociale; gli strumenti finanziari; la moneta. Per ogni percorso è possibile scaricare una dettagliata scheda che riporta, obiettivi didattici, attività, strumenti, assi coinvolti. http://www.softonic.it/s/giochi-imprenditoriali http://www.esg-project.eu/index.php/document/12-documents/36-sgs-outlook Su questi due siti si possono trovare dei giochi interattivi (molti gratuiti) che stimolano competenze imprenditoriali, alcuni titoli: “Dirigi la tua impresa di trasporti interurbani”; “Crea, gestisci e rendi famoso il tuo parco divertimenti acqua- 116 tico”; “Gestisci un supermercato”; “Hot shot business”; “Innov8”; “Build your busines”. http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs050315 http://www.h-farmventures.com/2015/03/05/h-ack-school-il-primo-hackathondedicato- alla-scuola/ Da tenere monitorati i siti del MIUR e di H-ack School che promettono di costruire materiali didattici sull’imprenditorialità che, a partire dal prossimo anno scolastico, potranno essere messi a disposizione delle scuole italiane. H-ack School è il primo hackathon dedicato alla scuola all’interno del GEC2015 (Global Entrepreneurship Congress) si terrà H-ack School, il primo hackathon completamente dedicato al mondo della scuola promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con Meta Group, gruppo internazionale incaricato dell’organizzazione del GEC. 117 INDICE INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 1. Il quadro europeo delle politiche per l’educazione all’imprenditorialità ......... 9 1.1. Introduzione ..................................................................................................... 9 1.2. La dimensione europea .................................................................................... 9 1.3. Confronti tra scenari nazionali.......................................................................... 14 2. Lo scenario italiano................................................................................................. 17 2.1. La formazione all’imprenditorialità in ambito curricolare..................................... 17 2.2. Linee di tendenza nella formazione all’imprenditorialità in ambito extra curricolare ................................................................................ 20 3. Modelli curricolari e strumenti didattici............................................................... 23 3.1. Modelli curricolari ............................................................................................ 23 3.1.1. Integrazione dell’educazione all’imprenditorialità nei curricoli nazionali a livello secondario superiore................................................. 23 3.1.2. La strutturazione dei risultati di apprendimento .................................... 24 3.1.3. Lo sviluppo di modelli curricolari coerenti con le finalità dell’educazione imprenditoriale.............................................................. 25 3.1.4. Nuovi approcci alla valutazione dei risultati di apprendimento ............ 26 3.2. Strategie e metodologie didattiche.................................................................... 28 4. Rassegna di “buone pratiche” nel campo dell’educazione all’imprenditorialità nella scuola e nella IeFP...................................................... 31 4.1. La raccolta e selezione delle “buone pratiche”................................................. 31 4.2. Schede descrittive delle pratiche selezionate.................................................... 34 4.1.1. Enti / CFP non salesiani ......................................................................... 35 4.1.2. CFP salesiani .......................................................................................... 58 118 5. Profili, competenze e formazione dei formatori ................................................... 73 5.1. La formazione dei docenti/formatori all’imprenditorialità............................... 73 5.2 La Guida della Commissione Europea .............................................................. 75 5.1.1. Alcuni suggerimenti contenuti nella Guida............................................... 75 5.1.2. La proposta di standard........................................................................ 77 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ......................................................................................... 79 APPENDICE ..................................................................................................................... 81 INDICE ........................................................................................................................... 117 119 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 120 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione, 2014 2015 PELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rapporto finale, 2015 ALLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NICOLI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 121 CNOS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referenti dell’autovalutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP, 2015 MALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOSFAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 MALIZIA G. - TONINI M., Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 122 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 123 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 124 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2015

Linee Guida per realizzare la leadership educativa, carismatica e salesiana

Autore: 
M. Becciu - A.R. Colasanti
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
82
Codice: 
978-88-95640-97-6
Mario Becciu Anna Rita colAsAnti LINEE GUIDA PER REALIZZARE LA LEADERSHIP EDUCATIVA, carismatica e salesiana Anno 2015 ©2015 By sede nazionale del cnos-FAP (centro nazionale opere salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it 3 SOMMARIO INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 1. La leadership educativa nella letteratura. Analisi critica................................... 9 2. Le principali funzioni di leadership...................................................................... 17 3. Raccomandazioni .................................................................................................... 45 ALLEGATI Autovalutazione di un ambiente formativo scolastico o professionale salesiano in Europa ........................................................................... 53 Rilevazione sul campo ................................................................................................. 57 Tavola valutativa di sintesi.......................................................................................... 68 BIBLOGRAfIA E SITOGRAfIA........................................................................................... 73 INDICE ........................................................................................................................... 75 5 introduzione Cosa sono le Linee Guida (LG)? le linee Guida rappresentano, in tutti gli ambiti disciplinari, uno strumento di lavoro utile a tradurre le nuove conoscenze in campo teorico e scientifico in Raccomandazioni di tipo applicativo per la prassi professionale dei protagonisti a cui tali linee Guida sono indirizzate. in altri termini, esse rappresentano una serie di Raccomandazioni da tradurre in comportamenti professionali. nell’elaborazione delle linee Guida è prioritaria la revisione sistematica della letteratura e dei pareri da parte di esperti, di testimoni privilegiati e di operatori sul campo al fine di individuare le situazioni critiche e le innovazioni da introdurre tramite le azioni ritenute le più appropriate per le diverse situazioni della vita di un’organizzazione. l’obiettivo delle linee Guida per la realizzazione della leadership educativa nei cFP è triplice: a) individuazione e adozione di un modello condiviso di leadership educativa nei cFP che testimoni la specificità e l’originalità del carisma salesiano; b) ottimizzazione delle azioni di leadership già presenti nei cFP e rispondenti ai principi della leadership educativa; c) modifica di comportamenti inadeguati e acquisizione di azioni maggiormente rispondenti ai principi valoriali della leadership educativa e carismatica salesiana. il percorso di elaborazione delle presenti linee Guida risponde ai seguenti criteri metodologici essenziali: – metodo partecipativo; – analisi critica della letteratura sulla leadership sulla base dei principi educativi; – attualizzazione del carisma di Don Bosco nell’esercizio delle funzioni di leadership; – individuazione della specificità educativa e salesiana nel delineare la leadership educativa dei cFP. Il metodo partecipativo garantisce la circolarità dei diversi punti di vista: teorico, operativo, applicativo e dà voce ai destinatari nel renderli protagonisti e non solo fruitori passivi dello strumento di lavoro. Il filtro attraverso il quale viene revisionata la letteratura scientifica è quello educativo. A tal proposito, l’analisi della leadership nelle organizzazioni evidenzia non tanto gli aspetti funzionali all’efficienza e all’efficacia delle leadership in termi6 ni di produttività, quanto piuttosto all’elaborazione culturale ed esperienziale e alla trasmissione, soprattutto da parte del personale direttivo, di quei valori che sono parte costitutiva della tradizione salesiana nel lavoro con i giovani. tutto il personale formativo ed educativo, in primis quello direttivo, è impegnato nell’appassionato lavoro di attualizzazione del carisma salesiano. È compito specifico della comunità educativa di un cFP, infatti, dire l’amorevolezza oggi e tradurre l’intero sistema preventivo in prassi e in linguaggi che testimonino ai giovani d’oggi la freschezza, l’attualità e la preziosità delle intuizioni di Don Bosco di quasi duecento anni fa. infine, le linee Guida sono particolarmente utili per individuare quegli elementi essenziali ed unici che consentono di tratteggiare una eventuale specificità della leadership educativa, carismatica salesiana che si esercita nei cFP. tali criteri metodologici accompagnano l’intero processo di elaborazione, condivisione e diffusione delle linee Guida. lo strumento (LG1) è da considerare in progress. la presente versione rappresenta una prima traccia di lavoro che servirà come base di lavoro e di riflessione ad un costituendo gruppo di direttori che ne esaminerà approfonditamente la proposta per apportare suggerimenti, modifiche e ampliamenti. tali contributi verranno integrati con il presente lavoro così da poter elaborare una seconda versione delle linee Guida (LG2) che saranno distribuite all’assemblea dei Direttori. in questa seconda e ultima fase, i Direttori offriranno il loro contributo di idee, proposte, indicazioni operative per l’elaborazione definitiva dello strumento di lavoro che diventerà a tutti gli effetti un documento (LG3) a disposizione del personale direttivo dei cFP della Federazione cnos-FAP. la prima parte del lavoro è dedicata alla revisione critica della letteratura scientifica sul tema della leadership nelle organizzazioni e, specificatamente, nelle organizzazioni educativo-formative. tale revisione ci consente di valutare le conoscenze disponibili sul tema della leadership con particolare evidenziazione di quegli scritti che hanno a che vedere con la leadership nelle istituzioni educative per una loro valutazione critica sulla base dei principi e delle specificità del sistema educativo salesiano. la seconda parte individua le azioni di leadership più importanti che caratterizzano il personale direttivo di un cFP e ne determinano il ruolo educativo al di là degli aspetti prettamente organizzativi di tipo burocratico e formale. la terza parte, che rappresenta il cuore delle linee Guida, evidenzia una serie di Raccomandazioni rivolte al personale direttivo del cFP per l’espletamento delle funzioni di leadership in modo tale da accentuarne la valenza educativa. in tale prospettiva, le Raccomandazioni acquisiscono carattere di forza poiché si presume che l’applicazione di esse determini, con un certo grado di probabilità, un miglioramento ed un innalzamento del livello educativo dell’intero centro. come avremo modo di specificare, le Raccomandazioni si traducono in indicazioni 7 operative e comportamentali per il personale direttivo. in tal senso, gli aspetti operativi e comportamentali sono osservabili e, addirittura, misurabili. Pertanto, l’adozione delle linee Guida con le sue Raccomandazioni dovrebbe incidere soprattutto sulle condotte dei leader e favorire l’innovazione nella prospettiva della leadership educativa. Per loro natura, di solito, le Raccomandazioni assumono carattere divulgativo, si caratterizzano per la chiarezza e l’autorevolezza dei contenuti, per il formato di facile e rapida consultazione, per l’utilizzo di un linguaggio univoco, semplice, specifico e per il ricorso a termini ben definiti. 9 1. La leadership educativa nella letteratura. Analisi critica1 Attorno al tema della leadership educativa sembrano convergere molteplici analisi nel tentativo di dare una risposta univoca sia alle atipicità delle organizzazioni scolastiche e formative sia alle specificità dei contenuti che vengono elaborati al loro interno. Il presente contributo intende analizzare il tema della leadership educativa all’interno della IeFP. Dopo un breve excursus teorico sull’evoluzione storico-concettuale del fenomeno della leadership nelle organizzazioni, ci si sofferma sulle ultime teorie che danno centralità non tanto alla personalità del leader, quanto piuttosto al ruolo che esercitano i membri delle organizzazioni, al sistema dei valori e alla cultura che si elaborano al loro interno. Successivamente, sulla scia dei concetti legati alle teorie della leadership diffusa, comunitaria, morale e culturale, si converge su una analisi delle caratteristiche della leadership educativa nelle istituzioni della IeFP. L’ipotesi e l’auspicio è che la leadership educativa non abbia a che vedere solo con il livello pedagogico-didattico, ma anche e, soprattutto, con la riscoperta e l’attualizzazione dei principi del carisma salesiano che dovrebbero permeare le azioni e le funzioni dei leader educativi. il tema della leadership assume sempre più rilevanza nello studio e nell’analisi delle organizzazioni (Fiedler F.e.,1967; Hersey P., Blanchard K., 1982, 1984; tichy n. M., Devanna M.A.,1989; D’egidio F., Moller c.,1992; Quaglino G.P.,1999; northouse, 2004). le funzioni di leadership, infatti, vengono riconosciute come strategiche, se non decisive, per le sorti delle diverse organizzazioni. solo recentemente, in coincidenza con le riforme del mondo della scuola, ci si è occupati di tale tematica anche all’interno del mondo dell’istruzione e della Formazione Professionale (scurati c., cariani A., 1994; ceriani A., 1996; Favretto G., Rappagliosi c.M., 1997; Ribolzi l., 1999; oecD, 1996). così, prospettive e livelli di analisi propri delle teorie delle organizzazioni hanno iniziato a trovare ambito applicativo anche nel mondo dell’istruzione (cocozza A., 2000). 1 nostro articolo ripreso da Becciu M. – colAsAnti A.R., La leadership educativa nei CFP CNOS-FAP, in Rassegna cnos, 2/2013. 10 D’altra parte, il tentativo di applicare tout court le riflessioni sulla leadership sviluppatesi all’interno delle teorie sulle organizzazioni, non di rado, ha trascurato le specificità tipiche dell’organizzazione del mondo dell’istruzione e della Formazione Professionale. specificità che hanno a che vedere sia con una atipica organizzazione burocratica sia con le caratteristiche di un’organizzazione a ‘legame debole’ come viene sovente rappresentata l’organizzazione scolastica (Weick K., 1988; scurati c., cairani A., 1994). tale limite potrebbe aver ostacolato, quando non frenato, l’impegno verso l’elaborazione di una specifica teoria sulla leadership nel mondo del sistema di istruzione e della Formazione Professionale. il presente intervento ha lo scopo di rileggere le principali caratteristiche e funzioni della leadership alla luce delle attuali riflessioni sulla leadership educativa tenendo presente non tanto il mondo dell’istruzione e quindi la figura del dirigente scolastico, quanto piuttosto il profilo ed il ruolo del direttore nei cFP cnos-FAP di ispirazione salesiana. sarebbe paradossale se la lunga tradizione formativa educativa salesiana non ritmasse con i suoi principi carismatici e le sue declinazioni storiche le caratteristiche e le peculiarità della leadership educativa nell’accezione che le attuali teorie intendono dare per coloro che si trovano a dirigere comunità scolastiche e formative. A tal fine, ci proponiamo, dopo un breve excursus storico sulle diverse tipologie di leadership presentate soprattutto dalle teorie psicosociali, di delineare gli aspetti salienti delle funzioni di leadership all’interno di un’organizzazione formativa, di ipotizzare gli aspetti caratteristici di una leadership educativa e carismatica nei contesti formativi salesiani e di tracciare un eventuale percorso di analisi e monitoraggio dell’esistente nei cFP cnos-FAP per offrire un contributo teorico operativo alla realizzazione delle leadership educative nei centri di Formazione Professionale. 1.1. Dal leader alla leadership, alle leadership in un nostro precedente contributo (Becciu M., colasanti A.R., 1997), abbiamo cercato di dimostrare come le attuali nuove teorie sulla leadership siano la logica conseguenza del superamento di modelli teorici unidirezionali e riduttivi. infatti, a partire dalla teoria sui tratti di personalità del leader, dominanti nella ricerca e nello studio nella prima metà del ‘900, soprattutto in concomitanza con gli studi in ambito militare a ridosso del grande conflitto, si è proseguito, attorno agli Anni ‘50 e ‘60, con la enucleazione del tema degli stili di leadership come elemento caratterizzante le ricerche e gli studi sulla leadership. un deciso cambio di prospettiva si è avuto con il passaggio dallo studio della personalità del leader e dei suoi stili di comando all’analisi della centralità del gruppo per individuare non tanto gli elementi di una ipotetica e mai dimostrata valida superiorità di un modello di leadership su altri, quanto piuttosto il tipo di leadership da preferire in coincidenza con certe caratteristiche dei collaboratori e dei gruppi umani da 11 guidare. nascono e si sviluppano così, attorno agli Anni ‘70 e ‘80 le cosiddette teorie sulla contingenza della leadership. il modello della cosiddetta leadership situazionale di Hersey e Blanchard (1982) è quello che ha trovato maggior diffusione in ambienti economici. Gli autori hanno cercato di traslare tali teorie anche in ambito educativo, come i contesti famiglia e scuola, ma non con altrettanto successo. A partire dagli Anni ‘80, si sono sviluppate le cosiddette new leadership theories basate soprattutto sugli aspetti emotivi e carismatici della leadership. tra queste, la leadership trasformazionale (Bass B. M., 1985) orientata a cambiare e trasformare gli individui, inserisce processi di umanizzazione nelle azioni di guida delle persone dando rilevanza agli aspetti motivazionali, valoriali e di soddisfazione dei membri di una organizzazione. Pertanto, la leadership cerca di favorire il raggiungimento degli obiettivi a breve e a lungo termine dell’organizzazione attraverso un coinvolgimento diretto, carismatico e motivazionale di tutti i membri dell’organizzazione, attivando in essi cambiamenti profondi di tipo personale. Anche la cosiddetta leadership carismatica di House (1976) può essere associata alla leadership trasformazionale poiché si enfatizza si il carisma del leader, ma come processo interdipendente dal riconoscimento che di tale carisma ne fanno i collaboratori del leader. Pertanto, l’enfasi viene posta non tanto sulle caratteristiche personali del leader quanto sul contributo dei collaboratori al riconoscimento della leadership carismatica. in tempi più recenti, sulla scia di queste nuove prospettive di analisi vengono ad assumere particolare rilevanza le teorie sulla leadership comunitaria, diffusa e collaborativa, le teorie sulla leadership culturale e morale e la leadership educativa. i principi strutturanti la leadership comunitaria, diffusa e collaborativa, si basano sulla partecipazione diretta all’esercizio delle funzioni di leadership da parte di tutti i membri dell’organizzazione. Pertanto, si promuovono processi decisionali per consenso, le competenze prevalgono sui ruoli, non esiste una netta separazione tra livello decisionale e livello esecutivo, la distribuzione delle informazioni è circolare, non up-down e la struttura comunicativa è piena nel senso che tutti i membri hanno pieno accesso alle informazioni che governano l’istituzione. Gli obiettivi da raggiungere, il lavorare per progetti, la valorizzazione dei talenti e la cura complessiva del clima umano all’interno dell’organizzazione diventano prioritari rispetto ai ruoli, alle funzioni, alla burocratizzazione verticistica della gestione del comando. il modello culturale di leadership pone, invece, al centro delle sue azioni, il modello identitario culturale che sta alla base dell’organizzazione. la specificità della leadership culturale attinge decisamente ai valori impliciti ed espliciti dell’organizzazione, alla sua storia, alla tradizione e alla memoria, nonché alla vision e alla mission. il recupero e la riproposizione dell’identità e della specificità dell’organizzazione diviene snodo centrale delle azioni di leadership. A tal punto che il leader diventa testimone privilegiato e promotore di tutta una serie di azioni per coinvolgere i mem12 bri dell’organizzazione nel far memoria del passato, nell’attualizzare i principi fondativi dell’organizzazione e nel proiettare nel futuro, in prospettiva innovativa, il perdurare storico dell’organizzazione medesima. 1.2. La leadership nella IefP Analizzando la letteratura più recente si assiste ad un apprezzabile tentativo di delineare la specificità della leadership nel mondo delle istituzioni istruttive e formative (Busch t., 2008; Xodo c., 2010; sergiovanni t. J., 2002; susi F., 2000; Malizia G., 2004). nel nostro Paese, possiamo evidenziare, fondamentalmente, tre filoni interpretativi. uno, burocratico, modello invero più praticato che teorizzato e che ha prodotto il termine capo d’istituto, tendente a far funzionare al meglio la macchina organizzativa della scuola, pone al centro le norme, i programmi, le strutture rispetto alle persone, al territorio, all’innovazione. il secondo filone, di tipo manageriale, che ha coniato il termine dirigente scolastico, massimizza il ruolo organizzativo della scuola e delle sue figure apicali assimilandole, pur non trascurando le atipiche specificità organizzative, ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni. tematiche relative alla pianificazione delle attività, al controllo e alla gestione delle risorse umane, materiali e finanziarie e all’innovazione trovano centralità in questa seconda prospettiva. il terzo filone, quello a nostro avviso maggiormente rispondente alle specificità del sistema organizzativo scuola-Formazione Professionale e che ha elaborato il termine di leader educativo, enfatizza il ruolo della scuola come comunità educativa e dà centralità alle funzioni relazionali, pedagogiche, didattiche e innovative del dirigente scolastico. in italia, come osserva cocozza (2000,49), il modello della leadership educativa si è sviluppato soprattutto attorno ai “corsi di formazione per il conferimento della qualifica dirigenziale ai capi d’istituto delle istituzioni scolastiche” ispirando il modello culturale della università Guido carli della luiss di Roma. Mi sembra di poter affermare che anche gran parte del modello culturale che ha ispirato il progetto formativo dell’isRe (istituto superiore di Ricerca educativa) di Venezia nella formazione dei dirigenti scolastici, agli inizi degli anni 2000, rispondesse a tale filone culturale. il punto di riferimento principale è il modello di Educational Management di provenienza anglosassone (sergiovanni t. J., 2000, 2002; Bush t., 2008, 2010). Ma quali sono i tratti essenziali e caratterizzanti la leadership educativa? i due termini richiamano sia il presidio delle funzioni organizzative che quelle pedagogico-didattiche-relazionali. le prime sono in funzione delle seconde e non 13 viceversa. si rischierebbero, altrimenti, accentuazioni già conosciute di tipo burocratico amministrativo o di tipo manageriale efficientista. come evidenzia scurati (2000, 156-157), il primo livello d’intervento della leadership educativa è rivolto alla cura del piano organizzativo sul versante del principio di efficacia piuttosto che su quello di efficienza. Gli indicatori che ci informano su un orientamento condivisibile al riguardo sono rappresentanti da: EffICACIA EffICIENZA Attività, variazione Vs stabilità Identità da significato Vs identità da definizione Variabilità Vs Regolarità Verifica reale Vs Verifica formale Facilitazione Vs intervento Azione di rafforzamento Vs Azione di controllo Articolazione Vs Monoliticità tale specificazione in parallelo cerca di valorizzare la cosiddetta “rilassatezza strutturale”, tipica delle organizzazioni a legame debole, e fa diventare tale presunta lacuna, secondo le analisi delle diverse teorie delle organizzazioni, una risorsa in quanto è più propensa a valorizzare la flessibilità, la dinamicità, il cambiamento, l’innovazione e la condivisione tra i diversi attori e gli stakeholders del mondo interno ed esterno alla ieFP. Assicurare questo primo livello organizzativo significa, pertanto, predisporre bene il terreno affinché tutto funzioni dinamicamente e flessibilmente in vista del raggiungimento degli obiettivi più importanti che la ieFP si prefigge: la crescita delle persone attraverso la cura dei processi istruttivi e formativi. così, la selezione del personale non può prescindere dalla condivisione-adesione di tutte le componenti dell’organigramma al progetto educativo e culturale delle istituzioni della ieFP. sul versante sociopolitico, l’esercizio delle funzioni di leadership coinvolge anche l’aspetto degli investimenti economico finanziari e delle priorità che vengono date all’interno delle organizzazioni ieFP. in particolare, se vengono valorizzate e in che misura, da un punto di vista economico, le priorità concernenti le esigenze apprenditive degli allievi e quelle formative del personale docente e dei formatori. la cura del back office amministrativo, gestionale, normativo, tecnologico, didattico richiede particolari investimenti economici e temporali per far in modo che tali componenti dell’organizzazione non diventino un freno, ma un costante e valido supporto per la realizzazione del progetto educativo e formativo dei diversi istituti e centri. l’attivazione di reti, di sinergie economiche e di progetti culturali con le risorse del territorio vede particolarmente impegnati, oggi, i leader educativi in una prospettiva nuova e più complessa del presidio del livello organizzativo. 14 la gestione delle risorse umane, inoltre, tende non solo a rispettare il livello ottimale di funzionamento dell’organigramma, ma a promuovere e valorizzare le capacità individuali e collettive come risorsa imprenscindibile per il futuro dell’istituzione medesima. tutto ciò, pertanto, è finalizzato a realizzare la efficacia organizzativa dell’istituzione in una logica di raggiungimento di obiettivi. A ben vedere, questo primo livello di funzionamento dell’istituzione esprime molte funzioni tipiche del manager (Educational Management) che non coincidono necessariamente con le funzioni del leader (Educational Leadership). Queste ultime, infatti, rappresentano il secondo livello delle organizzazioni istruttive e formative. si è concordi nel ritenere che la differenza principale tra la figura del manager e quella del leader è soprattutto di tipo strategico e temporale. Mentre il manager è impegnato a far funzionare il presente, la macchina organizzativa, il leader è assorbito soprattutto dalla visione strategica e futura dell’organizzazione. È coinvolto, cioè, nel diffondere la visione propulsiva, carismatica e innovativa dell’ente di appartenenza. È impegnato a intravedere scenari futuri al di là dell’esistente; a tracciare, nel solco dell’identità e della storia dell’istituzione che dirige, gli itinerari strategici per rendere sempre più attuali i principi culturali, identitari e carismatici dell’istituto-centro che dirige. secondo summa (2004, 239-240) il manager in una istituzione formativa è impegnato a produrre coordinamento ed efficienza tramite: 1) la pianificazione ed il budget (stabilendo programmi, fissando tempi e scadenze, distribuendo le risorse); 2) l’organizzazione dello staff (fornendo strutture, attribuendo funzioni e compiti, stabilendo regole e procedure); 3) il controllo e la soluzione di problemi (sviluppando sistemi di incentivi, generando soluzioni creative, assumendo provvedimenti disciplinari). il leader, al contrario, investe le sue energie per produrre cambiamenti e innovazione tramite: 1) il dirigere e l’orientare (sviluppando una vision, delineando quadri d’insieme, mettendo a punto strategie); 2) il favorire i climi umani e la coesione di gruppo (comunicando gli obiettivi, promuovendo l’impegno e la partecipazione, costruendo gruppi e reti relazionali); 3) il motivare il personale (responsabilizzando i collaboratori, incoraggiandoli, sostenendoli, rispondendo ai bisogni che via via emergono). in una visione tradizionale, tutte queste funzioni vengono percepite come appartenenti ad una sola persona, possibilmente ad un leader carismatico. oggi appare non più proponibile una visione di questo tipo. la complessità delle organizzazioni e il continuo sovraccarico di compiti e di funzioni impongono che la leadership si realizzi attraverso il contributo di tutti. la diffusività delle funzioni di leadership, lo sviluppo del senso di appartenenza da parte di tutti i membri dell’organizzazione, l’adesione ad una cultura istituzionale e ai suoi valori costitutivi, la promozione del senso di corresponsabilità in ciascuno, la diffusione di azioni di leadership di tipo 15 comunitario sono gli elementi indispensabili perché si realizzi e si pratichi una vera leadership educativa nella ieFP. Volendo, ora, esaminare nel dettaglio come si esplicano le funzioni di leadership educativa, distinguiamo altri due livelli di funzionamento. innanzitutto, un primo livello potrebbe coincidere con il livello educativo di base che, inteso in senso stretto, si identificherebbe con l’organizzazione educativo didattica dell’ieFP. in essa includiamo la cura dell’attività curricolare per stabilire e favorire obiettivi educativo didattici per insegnanti-formatori e allievi; l’organizzazione della gestione dei processi di insegnamento-apprendimento; la gestione dei progetti di settore; la gestione della dimensione comportamentale organizzativa di tutti i membri dell’istituzione (staff di direzione, docenti-formatori, allievi, personale amministrativo, ausiliare, genitori, figure di sistema, ecc.); la gestione della strumentazione tecnologica e multimediale apprenditiva, ecc. in tal senso, la leadership educativa è impegnata ad assicurare la qualità del livello organizzativo di base per offrire un servizio educativo di qualità. il secondo livello della leadership educativa, più ampio e più ambizioso, ha a che vedere con gli aspetti identitari e costitutivi degli istituti-centri e contempla un salto di qualità nella organizzazione della ieFP: il livello di promozione della crescita delle persone tramite le azioni istruttive e formative. ed è proprio a questo livello che si gioca la specificità dell’offerta formativa degli istituti e dei centri di Formazione Professionale salesiani. Pertanto, le azioni di leadership educativa, tendenti a promuovere in tutti i componenti della comunità educativa salesiana, il senso di appartenenza, l’adesione ai valori culturali della tradizione salesiana, la condivisione del progetto educativo culturale, sono sostanzialmente orientati a rivitalizzare l’identità carismatica della tradizione salesiana. in questi termini, siamo convinti che i dirigenti e i direttori degli istituti e dei centri di Formazione Professionale debbano essere impegnati a qualificare il loro ruolo di leader, radicati nel passato, vigili sul presente, ma ben proiettati verso il futuro. tale triplice prospettiva temporale ben si condensa attorno a ciò che intendiamo come nucleo dell’esercizio delle funzioni di leadership educativa nei contesti di ieFP: partecipare alla riscoperta di tutto ciò che è tacito ed inedito del carisma salesiano attraverso il vivere quotidianamente a contatto con i giovani del nostro tempo. Molte intuizioni di Don Bosco necessitano di essere ancora svelate. e per farlo, i leader educativi si pongono in ascolto dei bisogni attuali di crescita e di promozione umana dei giovani d’oggi. È la prospettiva profetica della leadership educativa. il leader, come abbiamo già affermato, non si lascia imprigionare dalle contingenze del presente, ma è sempre impegnato a cogliere visioni di futuro, orientamenti proattivi, strategie innovative e lo fa coinvolgendo l’intera comunità educativa. tutte le diverse componenti della comunità educativa sono, pertanto, impegnate a realizzare nell’oggi, sia della storia carismatica sia della profezia del futuro, i 16 contenuti principali della pedagogia salesiana. A maggior ragione coloro che per ruolo, funzione e capacità sono chiamati al servizio di direzione degli istituti-centri. A nostro avviso, gli ambiti nei quali potrebbe maggiormente trasparire questo secondo livello di leadership educativa, concerne: – la gestione delle risorse umane (scegliere le persone, sviluppare le loro capacità, pianificare obiettivi personali e organizzativi, organizzare ruoli, compiti e funzioni); – la guida delle persone (valorizzare, incoraggiare, accrescere il loro livello motivazionale, orientare, sostenere); – la formazione delle persone (a livello professionale, umano, cristiano). Per motivi contingenti, in questo nostro contributo ci soffermiamo brevemente sulle funzioni di guida delle persone. soprattutto la realizzazione di climi umani ispirati al senso di comunità, alla comprensione e valorizzazione reciproca, alla condivisione delle diverse esperienze umane e professionali diventa nei cFP l’ambiente umano entro cui situare le azioni di leadership per la guida delle persone. Riteniamo che sia più facile che nella comunità educativa si diffondano e si pratichino azioni ispirate al senso di familiarità e alla pratica dell’amorevolezza, se le funzioni di leadership educativa fossero caratterizzate da tali principi carismatici. in tal modo si creerebbero le basi per la applicabilità e l’implementazione dei principi teorici della leadership educativa a livello diffusivo in tutta la comunità educativa. infine, un ulteriore elemento di analisi per individuare i principi e le pratiche della leadership educativa di ispirazione salesiana concerne la rilevanza che assume il sistema preventivo oggi nelle politiche gestionali degli istituti-centri (Becciu M., colasanti A. R., 2003). l’intuizione profetica di don Bosco di opporre al sistema precettivo riparativo dei suoi tempi il sistema preventivo proattivo, se non rivitalizzato e attualizzato, rischia di rimanere solo formalmente un elemento centrale delle pratiche gestionali e pedagogiche degli istituti-centri. ed è compito delle funzioni della leadership educativa stimolare riflessioni comunitarie sul come incentivare continuamente approcci preventivi e promozionali per arginare e compensare le lacune e i fallimenti delle agenzie educative. Rimettere al centro di tutto i ragazzi, rivitalizzare la presenza attiva degli educatori e dei formatori, stare con i ragazzi e con il loro modo periferico di occupare gli spazi vitali, infondere in loro coraggio e speranza per il futuro, fornire loro gli strumenti per progettare il loro futuro da protagonisti assumono oltre che caratteristica di urgenza, valenza di obbligo per chi è chiamato ad esercitare il ruolo di leader educativo nelle istituzioni formative salesiane. 17 2. Le principali funzioni di leadership Dal Glossario della FP (www.cnos-fap.it/glossary/term/226), riportiamo alcune riflessioni di Malizia sul ruolo del Direttore dei cFP e sulle diverse funzioni della leadership: «(...) le sue competenze chiave sono: presidio del territorio e delle relazioni sociali; gestione delle dinamiche proprie dell’organismo formativo; gestione delle risorse; presidio dell’area giuridico-finanziaria e contrattualistica; gestione delle informazioni, cura del clima organizzativo e della coesione con la carta dei valori ed il progetto formativo dell’Ente; gestione delle risorse umane, attribuzione di incarichi e presidio del team; pianificazione e programmazione; indirizzo, controllo e valutazione della qualità” (Nicoli, 2004, 65). Globalmente si possono indicare cinque possibili macro-funzioni che dovrebbero essere gestite in modo integrato per ottenere un servizio formativo di qualità: 1) la funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione e organizzazione, …). Una buona gestione tecnica del lavoro formativo resta indispensabile per il funzionamento dei CFP, in quanto assicura un senso di affidabilità, continuità ed efficienza; 2) la funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli allievi e del personale, a partire da quello docente, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia; 3) la funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’Istruzione e della Formazione e fa percepire il Direttore come leader riconosciuto dai propri docenti (formatore di insegnanti in quanto ha una forte pratica didattica maturata sul campo); 4) la funzione simbolica che parte dalla funzione di “capo” con cui il D irettore viene percepito e dal suo ruolo di rappresentare l’unità del CFP. In particolare questa funzione simbolica si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti del Centro e interpretare i loro sentimenti e aspettative; 5) la funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori distintivi del CFP e per inserire i nuovi collaboratori e studenti, per costruire un pensiero comune e una “comunità morale”. (...) La leadership va praticata in funzione del contesto. Per dirigere un Centro efficace occorre tener conto di diverse possibili strategie: 1) quella basata sullo scambio, in cui le varie parti operano in nome di rapporti di forza e di convenienze reciproche; 2) quella basata sulla costruzione, come offerta di condizioni che permettono di crescere con uno sforzo comune; 3) quella basata sull’unione, come capacità di valorizzare le relazioni tra le persone a partire dal riconoscimento della leadership; 4) quella basata sul legame, come riconoscimento di un “noi” e dell’autorità morale del leader in nome di idee e valori comuni (Cusinato - Salatin, 2004, 182; Malizia et alii, 2004, 371). Il personale direttivo dovrebbe creare le seguenti condizioni: 1) sviluppare i valori comuni, trasformando i collaboratori da subordinati (che rispondono a procedure e regole) a una comunità di leader (che rispondono ad idee e valori); 2) costruire in loro capacità di iniziativa, di autocontrollo, di autogestione e di autoresponsabilizzazione; 3) sviluppare l’empowerment (conferimento di potere) attraverso la delega e lo stimolo dell’iniziativa, ma chiedendo anche conto dei risultati; 4) esprimere capacità di realizzazione, passando da un potere su ad un potere per, dal controllo all’influenza e alla facilitazione; 5) sviluppare la collegialità come strategia e non co18 me semplice adempimento, a partire dall’esempio personale di cooperazione, dal riconoscimento dei collaboratori, dalla coerenza rispetto ai valori conclamati; 6) enfatizzare la motivazione intrinseca delle persone rispetto a quella estrinseca (ricompense economiche o materiali); 7) assumere un orientamento alla qualità, come elemento distintivo del servizio del CFP; 8) valorizzare la semplicità, rispetto alle architetture organizzative complesse (Cusinato- Salatin, 2004, 182-183; Malizia et alii, 2004, 371)». Volendo sintetizzare, le funzioni di leadership si espletano fondamentalmente a due livelli. un primo livello è finalizzato a far sì che le cose dentro l’organizzazione funzionino bene. Per questo si mettono in campo tutta una serie di azioni volte a realizzare l’efficacia organizzativa in una logica di raggiungimento di obiettivi. la selezione del personale, la gestione economica del centro, la gestione delle risorse umane secondo uno specifico organigramma, il reperimento di risorse economico- finanziarie, la distribuzione di tali risorse sul funzionamento minimale del centro e sull’innovazione pedagogico didattica, la cura del back office amministrativo, gestionale, normativo, tecnologico e didattico, la diffusione dell’immagine del centro nel territorio, il contatto con le scuole, i genitori, i servizi sociali per l’offerta formativa del centro ai giovani, sono alcune delle principali azioni di leadership a questo primo livello dell’organizzazione e che caratterizzano il cosiddetto Educational Management nei cFP. Questo livello basico è comune a tutte le organizzazioni e non è specifico delle sole organizzazioni formativo-educative. il secondo livello, più complesso, è finalizzato alla crescita delle persone. Mentre nelle organizzazioni lavorative la crescita delle persone si focalizza sulle dimensione professionale e sull’acquisizione dei comportamenti organizzativi, nelle organizzazioni formative la responsabilità della crescita delle persone è totale. si è coinvolti, insieme alla famiglia e alla comunità territoriale, nei processi di crescita umana, culturale, civica e religiosa dei giovani, veri protagonisti della vita dei centri di Formazione Professionale. e in questo processo di crescita assumiamo la prospettiva sistemica, processuale e dinamica per cui non consideriamo i leader e i formatori persone già mature impegnate a promuovere la crescita dei giovani dall’alto verso il basso, ma essi stessi, insieme ai giovani, sono impegnati in un profondo e continuo processo circolare, interdipendente di crescita umana, culturale, professionale e religiosa. tale complesso processo di gestione dei cFP coincide con il concetto di Educational Leadership. Pertanto, facendo riferimento a tali due livelli di management e di leadership, specifichiamo ora le principali azioni spettanti all’espletamento delle funzioni di leadership nei cFP della Federazione cnos-FAP. tale sistematizzazione è di tipo accentuativo e volutamente incompleta e non esaustiva. nel sottolineare alcune e non altre azioni di leadership seguiamo un criterio di priorità e di importanza soprattutto sulla base della riflessione di tipo educativo, carismatico salesiano che stiamo portando avanti. 19 ci soffermiamo sulle seguenti funzioni di leadership: selezionare il personale, presidiare l’organizzazione, organizzare lo staff, risolvere problemi, gestire le risorse umane, curare le relazioni, promuovere cultura e valori salesiani. 2.1. Selezionare il personale Allo staff dirigenziale spetta il compito di gestire le risorse umane e, in primis, laddove fosse necessario, selezionare il personale. in ambito lavorativo, il fattore H. fa la differenza nel bene e nel male. la specificità del lavoro in qualità di formatori, orientatori, tutor o altro necessita di una accurata selezione in ingresso del personale su cui poter contare per portare avanti le linee educative del centro. in troppi centri ci si pente amaramente dell’assunzione a tempo indeterminato di persone che non dovrebbero in alcun modo lavorare in un’istituzione educativa, men che meno in un cFP salesiano. la selezione del personale non può avvenire sulla base dei soli criteri per titoli e competenze professionali, men che meno per il predominare del criterio di appartenenza a reti familiari o amicali. in letteratura esiste il concetto di Personnel Idea, elaborato da norman (1992) e definito come un “tipo di integrazione fra le capacità, le attese e le esigenze di un particolare gruppo di persone, da un lato, e l’ambiente o contesto che l’azienda può offrire a quel gruppo”. in altre parole, l’azienda che assume cerca quel particolare tipo di persone che rispondono esattamente all’idea che l’ente ha di far funzionare le sue diverse parti tramite l’utilizzo di specifiche persone. in tal modo, il personale direttivo dovrebbe avere in mente un ideal-tipo professionale ben specifico da colmare tramite la selezione dei nuovi dipendenti o, tramite, la ridistribuzione dei ruoli e delle funzioni all’interno del centro. Ricercare le caratteristiche atte a svolgere il compito di educatore nel centro dovrebbe rappresentare la priorità assoluta nel concetto di Personnel Idea di un Direttore di un cFP. Pertanto, il principale criterio di scelta delle nuove assunzioni, in presenza di titoli e qualifiche professionali richieste, dovrebbe essere costituito dalla piena condivisione- adesione al progetto educativo e culturale dei cFP cnos-FAP e dal caratterizzarsi per aver scelto di dare valenza educativa al proprio lavoro anche e, soprattutto, tramite pregressa esperienza educativa negli oratori e nelle case salesiani. l’attuale crisi economica e il perdurare della condizione strutturale di precariato della Formazione Professionale nel nostro Paese rendono non molto attuale il tema della selezione del personale in ingresso. il personale direttivo si trova molto di più a gestire e motivare personale che si prepara al pensionamento e mostra bassi livelli di motivazione e di partecipazione attiva alla vita del centro. Più attuale e urgente sembra essere il compito del personale direttivo di gestire il personale in organico incoraggiandolo, motivandolo, formandolo, coinvolgendolo. tale aspetto lo affronteremo in riferimento alle azioni motivazionali del personale da parte dello staff dirigenziale. 20 2.2. Presidiare l’organizzazione nella complessità e nella debolezza organizzativa di un cFP, spesso la realizzazione della leadership educativa è condizionata dal presidio efficace di tutto ciò che appartiene al cosiddetto back-office dei centri. stiamo parlando del presidio amministrativo ed economico con le sue esigenze di correttezza, giustizia e trasparenza. l’autorevolezza degli aspetti educativi e carismatici delle leadership salesiane può sovente indebolirsi a motivo di una inadeguata cura di tale presidio organizzativo. Pertanto, oltre a poter disporre di personale di fiducia è fondamentale che si adottino sistemi gestionali che rendano tale ambito una risorsa e non un vincolo per il personale direttivo del centro. Altri tre aspetti risultano essere fondamentali per il presidio dell’organizzazione da parte della direzione. innanzitutto, il rispetto della normativa vigente in tutti gli ambiti della vita dei centri garantisce non solo la salvaguardia dei diritti di tutte le persone che vivono il cFP e la sicurezza negli ambiti di lavoro, ma innalza i livelli di qualità dell’intera organizzazione. in secondo luogo, le sfide nei tempi di crisi si vincono con investimenti nella formazione, nell’innovazione tecnologica e nell’innovazione didattica. i diversi ambiti professionali che caratterizzano i singoli centri debbono stare al passo con l’innovazione tecnologica. Ai direttori viene chiesta capacità diagnostica per individuare nei propri centri punti di forza e di debolezza in tale ambito, capacità promozionale per attivare reti di sostegno pubblico e privato per favorire l’innovazione tecnologica, capacità realizzativa per attuare iniziative che consentano ai diversi settori dei centri di fare un salto di qualità e proporsi al territorio come punto di riferimento qualificato per la formazione professionale dei giovani locali. in terzo luogo, i cFP del cnos-FAP dovrebbero caratterizzarsi per l’innovazione didattica. Alcuni segnali provenienti dal monitoraggio della formazione professionale in italia, pongono in evidenza come nei cFP della federazione cnos-FAP si ottengano dei buoni risultati con ragazzi svantaggiati culturalmente e socialmente, proprio grazie alla capacità di investimenti nella didattica attiva. l’isFol, il 12 maggio 2011, in un comunicato stampa di presentazione dei risultati della ricerca avviata nel luglio 2010 e terminata a febbraio 2011, dal titolo Istruzione e Formazione Professionale, dichiara: «I percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) sono un importante canale di accesso al mercato del lavoro: già a tre mesi dal conseguimento della qualifica un giovane su due ha trovato il suo primo impiego e dopo tre anni la quota degli occupati sale al 59%. L’IeFP è anche un valido strumento per stimolare la prosecuzione degli studi. Al termine del percorso un terzo dei partecipanti decide di realizzare un’altra esperienza formativa e dopo 3 anni un giovane su dieci sta ancora studiando. Coloro che si iscrivono all’Istruzione e Formazione Professionale provengono soprattutto da famiglie di estrazione operaia (55%). I loro genitori hanno solitamente un titolo di stu21 dio che non supera la licenza media (61%)». Quali sono le ragioni di questo successo? sulla base delle ricerche effettuate, l’isFol dà una sua giustificazione richiamando l’attenzione su due aspetti fondamentali. la passione educativa, innanzitutto: «Prima di tutto la grande passione degli operatori dei Centri, che con il loro carisma ed il loro entusiasmo, e soprattutto trasmettendo un personale e genuino interesse verso le sorti dei ragazzi, hanno fatto comprendere loro come ci fosse qualcuno che ne aveva davvero a cuore le sorti e che era disposto ad aiutarli concretamente ». le metodologie formative partecipative, in secondo luogo: «Da un’altra parte, ma sempre in connessione con gli aspetti di recupero e rimotivazione, le difficili situazioni familiari e personali che i formatori si sono trovati ad affrontare, hanno richiesto l’attivazione di metodologie formative partecipative in grado di mobilitare un interesse che la scuola non era riuscita ad attivare ed in grado di restituire al ragazzo fiducia nei suoi mezzi e nelle sue possibilità». tali incoraggianti risultati, lungi dallo stimolare il fatidico ‘cullarsi sugli allori!’, dovrebbe ancor più stimolare e promuovere nuovi investimenti sulla didattica attiva per facilitare i processi di insegnamento-apprendimento. A tal proposito, bisognerebbe mettere a sistema nei singoli cFP l’utilizzo intelligente delle nt, il ricorso sistematico alla didattica attiva, come l’adozione della didattica per competenze con la metodologia delle unità di Apprendimento, la didattica per problemi, le metodologie ispirate alla peer-education e al cooperative learning, la didattica laboratoriale, la didattica esperienziale, la didattica narrativa, la condivisione tra centri delle buone prassi didattiche. 2.3. Organizzare lo staff come si evince dall’analisi della letteratura scientifica, bisogna distinguere il leader dalla leadership. Mentre con il primo termine facciamo riferimento alle qualità personali, allo stile di direzione, agli atteggiamenti, alle abilità e competenze della persona del direttore, con il termine leadership indichiamo una funzione organizzativa alla quale sono chiamati a partecipare tutti i componenti del centro, dai ruoli più gestionali e decisionali a quelli maggiormente esecutivi. Per questo, nell’organizzazione dei cFP è fondamentale il ruolo dello staff del Direttore: «(...) l’organigramma del CFP va completato con l’indicazione degli organismi collegiali: in proposito è opportuno sottolineare che negli ultimi anni a quelli tradizionali, come per esempio, il Consiglio di Centro con poteri decisionali notevoli sulle questioni più rilevanti, il Consiglio di corso, le Assemblee dei genitori e il Comitato di controllo, si è aggiunto lo staff di direzione a cui vengono generalmente affidate funzioni di sostegno al ruolo direttivo e di compartecipazione alle attività di conduzione del CFP» (http://www.cnos-fap.it/taxonomy/term/204). tale innovazione organizzativa è resa necessaria dalla complessità del ruolo dei cFP, visti come: «(...) snodo centrale fra tre gruppi di sistemi (produttivo e sco22 lastico; lavorativo e formativo; della stratificazione sociale e della promozione dei ceti più deboli della società)». essi assumono sempre più la configurazione di una complessa struttura polifunzionale che può essere definita come: «La sede operativa che opera per lo sviluppo delle risorse umane, erogando: direttamente servizi formativi; (...) direttamente o avvalendosi di una sede accreditata per l’orientamento, servizi orientativi; (…) direttamente o avvalendosi di una struttura specialistica, servizi connessi all’inserimento lavorativo» (MlPs ufficio centrale o.F.P.l., 2001, 10). l’accentrare sulla sola figura del Direttore la molteplicità e la complessità di tali azioni gestionali appare anacronistico e improduttivo. Avvalersi di figure di sostegno stabili e riconosciute dall’intera organizzazione nello svolgere funzioni direttive e gestionali diventa una delle risorse principali per il personale direttivo dei centri. la propensione al lavoro in gruppo, al lavoro per progetti, al dialogo, all’ascolto continuo della base, alla collegialità determineranno la percezione di autorevolezza del Direttore e del suo staff. 2.4. Gestire le risorse umane Rappresenta una delle principali funzioni delle leadership nelle organizzazioni. nella visione classica, le attività principali della gestione delle risorse umane sono: reclutamento, selezione e valutazione del personale, addestramento, formazione e sviluppo del personale, valutazione delle performance, relazioni aziendali, retribuzione del personale. nel nostro lavoro, oltre al livello puramente organizzativo, rappresentato dalla pianificazione di un ottimale funzionamento dell’organigramma a disposizione e dagli aspetti normativi, amministrativi, mansionali, sindacali, relazionali, comportamentali, ecc., la gestione delle risorse umane si espleta soprattutto nel promuovere e valorizzare le capacità individuali e collettive come risorsa imprenscindibile per il futuro dell’istituzione medesima. Pertanto, con il termine gestione delle risorse umane intendiamo sia il livello organizzativo sia, soprattutto, il livello assai più complesso e ampio che riguarda attività come motivazione, impegno e partecipazione del personale. in questo senso, intendiamo bene come la gestione delle risorse umane sia uno dei fattori critici maggiormente responsabili del successo di una qualsiasi organizzazione ed in particolar modo di un centro di Formazione Professionale. in particolare, in questo lavoro, vorremmo soffermarci sul ruolo della leadership nel motivare, valorizzare e formare il personale. Per quanto riguarda la motivazione del personale, essa rappresenta uno dei temi più critici in letteratura per quanto riguarda le funzioni della leadership. ciò a motivo della complessità del tema e per la interdipendenza processuale di variabili afferenti alle diverse aree di pertinenza, da quella più propriamente personale, a quella organizzativa, a quella professionale e a quella socio-relazionale. 23 in particolare, lo studio della motivazione in ambiti sociali e, soprattutto, psicologici ha evidenziato diversi filoni di ricerca. si va da una impostazione di tipo innatista che vede la motivazione solamente come pulsione intrinseca dell’organismo, a filoni interpretativi di tipo ambientalista che evidenziano soprattutto le contingenze di rinforzo per motivare le persone ad agire. le teorie sull’interesse e sulle motivazioni intrinseche ad agire rientrano nel cosiddetto filone di ricerca che evidenziano gli aspetti ‘energetici’ della motivazione. Più promettenti appaiono, per coloro che intendono lavorare sull’innalzamento del livello motivazionale dei collaboratori all’interno delle organizzazioni, gli studi che interpretano la motivazione come risultante di processi di influenza reciproca tra variabili intrapsichiche di natura personale e variabili del contesto. D’altra parte, le convinzioni comuni sulla motivazione e sulla demotivazione dei dipendenti può condizionare tantissimo l’agire del leader in una organizzazione. Ad esempio, le teorie di McGregor (1960) sulla Teoria X e Teoria Y dei leader evidenziano la stretta connessione tra le convinzioni che il dirigente ha circa il tipo di personalità dei propri collaboratori e le consequenziali prassi direttive nei confronti dei medesimi. così, i leader che si ispirano alla Teoria X, tendono a vedere gli altri come pigri, oziosi, infantili, fortemente etero-dipendenti, legati ai premi e alle punizioni, centrati sul proprio interesse immediato, restii a qualsiasi innovazione, amanti della sicurezza e della stabilità, desiderosi di essere guidati per mano, non amano pensare con la propria testa, hanno scarsa capacità creativa nella soluzione di un problema, devono essere controllate da vicino e spesso spinte perché raggiungano certi obiettivi. ne conseguono azioni di leadership direttive, controllanti, punitive, distaccate. coloro, invece, che si rifanno alla Teoria Y, percepiscono i propri subalterni come attivi per natura, determinati a raggiungere i propri obiettivi, preferiscono autodirigersi e assumersi delle responsabilità; non sopportano la routine e ricercano nell’esperienza occasioni di crescita, presentano un grado di maturità corrispondente all’età cronologica, possono disciplinarsi da sole ed essere creative sul lavoro; sanno quali sono i problemi e come si possono risolvere; desiderano essere rispettate e trattate come responsabili e competenti; sono capaci di autocorrezione, sono desiderosi di indipendenza e di autorealizzazione, inseriti in organizzazioni per le battaglie civili, restii alla routine e amanti delle novità. con questo tipo di convinzioni, le azioni di leadership saranno improntate verso i collaboratori al senso di corresponsabilità, di delega, di fiducia, di condivisione dei processi decisionali e premianti. siamo convinti che i Direttori dei cFP debbano esaminare le proprie convinzioni circa il processo motivazionale dei propri collaboratori per meglio gestire le risorse umane a partire da tale variabile. 1) La motivazione è una spinta interiore che spinge i collaboratori a impegnarsi attivamente e in prima persona all’andamento del Centro, ad interessarsi in 24 prima persona dei ragazzi e a collaborare con tutto il personale. una convinzione di questo tipo è senz’altro debitrice agli influssi della psicologia dinamica che trattano la motivazione di un soggetto alla stregua di una pulsione, per cui quando manca questa ‘spinta’ interiore i collaboratori, i formatori sono demotivati e ‘sfaticati’. ne potrebbe conseguire un circolo vizioso che si autoalimenta attraverso azioni da parte dei direttori nello spiegare e definire i collaboratori come ‘motivati-demotivati’. in tal modo è come se si depotenziassero le possibilità di intervento dall’esterno da parte della direzione perché la motivazione del personale ha a che fare solo con pulsioni interne derivanti dal mondo interiore delle persone, per cui uno o è motivato o è demotivato! in realtà il problema della demotivazione è ben più complesso e ha a che fare con una miriade di variabili sia interne, sia esterne al singolo soggetto. Ad esempio, molta variabilità motivazionale degli individui è spiegata con gli obiettivi che un soggetto si pone rispetto al proprio collocamento dentro una organizzazione. se uno avesse obiettivi solo di tipo strumentale: «(...) per me è fondamentale il mio lavoro di libero professionista; il lavoro di formatore mi serve per lo stipendio e per maturare la pensione», è chiaro che il suo impegno motivazionale ne risentirebbe alquanto. Altri intendono realizzarsi attraverso l’impegno di formatori; desiderano cioè dare senso alla propria identità, impegnarsi in qualcosa di valido socialmente, desiderano essere apprezzati nel proprio lavoro dai ragazzi, dai genitori, dai colleghi, dalla direzione. tale obiettivo interiore potrebbe spiegare tanto del livello motivazionale di tali soggetti. Altri ancora perseguono l’obiettivo di vivere e testimoniare la propria vocazione cristiana e salesiana mettendosi a disposizione dei ragazzi di un cFP per trasferire loro i propri valori di vita, le proprie conoscenze e competenze professionali, per aiutarli a realizzare un progetto di vita da protagonisti. tali obiettivi, lungi dall’essere espressione di pulsioni interne dell’organismo, sono il frutto di convinzioni elaborate e sviluppate negli anni, sono la risultante di esperienze di vita, di incontri significativi, di successi e insuccessi esperienziali e professionali. Ancora, gli obiettivi che uno si pone influenzeranno tantissimo l’approccio dei formatori nei confronti degli allievi. se uno si ponesse l’obiettivo di far apprendere a tutti i costi ragazzi non proprio fortunati nella vita, si darà da fare per ingegnarsi a far apprendere a qualsiasi costo; al contrario, se l’obiettivo fosse solo quello di fare il proprio dovere, di non mancare da un punto di vista formale ai propri impegni, di non sentirsi responsabile degli insuccessi degli allievi, il proprio agire professionale sarà improntato ad un impegno corretto, ma non appassionato e non coinvolto con le storie dei singoli allievi. Questi brevi esempi possono aiutarci a rendere più articolata e complessa la riflessione sui processi motivazionali dei collaboratori da parte del Direttore di un cFP. Dietro ad un comportamento motivato o demotivato di un formatore si possono nascondere tanti elementi non comprensibili con il solo ricorso al concetto di pulsione motivazionale. Gli obiettivi che uno si pone, 25 le relazioni che uno è riuscito a stabilire dentro il cFP, la paura di sbagliare, il desiderio autentico di riuscire con i ragazzi, la paura di non essere apprezzato, la stima da parte del Direttore, la strategia di non esporsi per non essere criticato, sono alcuni tra i principali fattori che possono incidere sui comportamenti motivazionali dei collaboratori. in sintesi, possiamo dire che la motivazione-demotivazione del personale del cFP è più spiegabile facendo ricorso all’atteggiamento che ognuno ha nei confronti delle finalità e della missione del cFP, all’efficacia delle strategie che egli adotta per raggiungere i propri obiettivi all’interno del cFP, alla qualità del proprio coinvolgimento diretto alla vita del cFP. 2) La demotivazione del personale del CFP è totalmente attribuibile a fattori interni alla loro persona. tale convinzione che i Direttori possono sviluppare nei confronti di alcuni collaboratori o formatori particolarmente problematici del centro, può portare a ritenere che la causa esplicativa dei comportamenti inadeguati e non professionali di alcuni sia da ricercare unicamente in condizioni personali che nulla hanno a che fare con la vita del centro, con le condizioni lavorative, con il clima relazionale dell’organizzazione, con il tipo di leadership che vi si esercita, con la situazione spesso definita ‘disastrosa’ dei ragazzi accettati nel percorso formativo. È come se la ‘demotivazione’ subisse un processo di internalizzazione di tipo psicologistico che poco ha a che vedere con la realtà dei fatti. Ma aspetto ancor più problematico è che tale visione comporta due conseguenze educativamente problematiche: la prima è che si attiverebbe un percorso di colpevolizzazione di alcuni collaboratori; la seconda è che si depotenzierebbero totalmente le possibilità di intervento da parte della leadership per modificare situazioni problematiche e i leaders assumerebbero unicamente il ruolo di valutatori dei processi motivazionale dei dipendenti e non di promotori di iniziative volte a modificare lo stato attuale. un buon leader legge le criticità come opportunità per migliorare l’intero sistema organizzativo e non per individuare i buoni e i cattivi di turno! 3) Il leader deve far sviluppare la motivazione intrinseca dei propri collaboratori. Ma se la motivazione fosse realmente e totalmente intrinseca, sarebbe possibile dall’esterno suscitare qualcosa che appartiene unicamente al mondo interiore del soggetto? tale convinzione nasconde una fiducia illimitata nel genere umano. È come se le complesse azioni professionali, relazionali, didattiche, formative dei formatori, ad esempio, non incidessero sulla ‘naturale’ propensione delle persone ad agire in modo motivato o meno. in realtà, il vero potere di un leader è quello di lavorare sulle condizioni che possono facilitare l’incremento del grado motivazionale dei collaboratori. È risaputo che un incremento incentivante di tipo economico, seppur motivante, lo sarebbe meno rispetto ad un maggior coinvolgimento dei collaboratori nelle decisioni utili per far funzionare meglio un cFP. oppure, l’incremento del senso di self-efficacy (convinzione profonda di poter contare sulle proprie risorse personali per 26 raggiungere obiettivi desiderabili) e di empowerment (potenziamento di se stessi tramite l’acquisizione di strumenti e risorse personali, organizzative e comunicative per incidere sul raggiungimento di obiettivi personali e dell’organizzazione) dei collaboratori è una delle principali strategie che predispongono i dipendenti a ‘motivarsi’ maggiormente alla vita dell’organizzazione di appartenenza. un altro elemento importante da considerare quando si parla di motivazione intrinseca è il rischio di considerarla come un elemento stabile, statico presente una volta per tutte dentro la persona. non si considera, in tal modo, l’aspetto evolutivo dei processi motivazionali che interdipendono continuamente con ciò che accade negli ambienti di vita e di lavoro delle persone. Pertanto, sono più le condizioni esterne, ciò che accade nel centro, il clima che si respira, il livello di innovazione attivato, gli strumenti messi a disposizione di ciascuno, i percorsi continui di formazione, la testimonianza valoriale praticata nel centro, il coinvolgimento diretto di ciascuno, il sentirsi protagonisti attivi della vita del centro che influiscono positivamente e negativamente sulla motivazione di ogni singolo collaboratore. in tal modo, il leader nella gestione del personale può individuare tantissimi ambiti d’intervento per favorire il grado di incremento motivazionale dei propri collaboratori. In riferimento poi alla valorizzazione del personale, bisogna da subito precisare che tale prassi gestionale non può essere un optional a disposizione del personale direttivo del cFP, ma è un obbligo. lo è perché inscritto nel DnA del carisma salesiano! lo è perché il cFP è una istituzione educativa e formativa! lo è perché stiamo sostenendo che lo specifico della leadership da praticare nei cFP è la Leadership Educativa! lo è perché l’utenza diretta e indiretta dei cFP è una utenza ferita dalla vita, dai vissuti familiari, dai percorsi nelle agenzie scolastiche, dagli svantaggi socio-culturali. e poiché, come ben sanno i teorici della psicopedagogia dell’incoraggiamento (Franta H., colasanti A.R., 2012), la valorizzazione è un processo contagioso che si diffonde a macchia d’olio dal centro verso la periferia, l’adozione di tali prassi nella gestione delle risorse umane nei centri potrebbe contagiare le azioni di tutti verso tutti. Al contrario, poiché lo scoraggiamento e la svalutazione delle persone è pure esso contagioso, il centro potrebbe assumere valenze diseducative e tradire la specificità del proprio carisma. Ma anche considerazioni più pragmatiche consiglierebbero i Direttori nell’assunzione di una prassi valorizzante le persone, soprattutto per recuperare inefficienze e problematicità. Poiché, come affermato più volte all’interno di questo lavoro, il cFP è assimilabile ad una qualsiasi micro-organizzazione sociale seppur con sue specificità e peculiarità, ne consegue che il grado di soddisfazione professionale, il vissuto emotivo dei collaboratori, non sia disgiunto dalla qualità dell’organizzazione del cFP nel suo insieme. se il cFP è un contesto organizzativo stimolante, arricchente e va27 lorizzante, la professionalità dei singoli ne sarà significativamente influenzata. D’altra parte, lo specifico della micro-organizzazione del cFP persegue finalità di tipo formativo, educativo-valoriale e di trasmissione di una cultura improntata alla tradizione salesiana per l’educazione morale, civica e professionale di ragazzi che per lo più provengono da fasce sociali svantaggiate. Facendo riferimento ai contesti scolastici, Giusy Rao afferma: «(...) La valorizzazione delle risorse umane è utile per approdare a tre lidi: – Migliorare la qualità della vita degli operatori scolastici. La valorizzazione deve tener ben presente i fini etici, il soggetto deve essere conscio del fatto che il suo lavoro non solo possiede nobili scopi, ma lo gratifica dal punto di vista lavorativo, producendo effetti benevoli in seno alla società e incrementando nel soggetto operante il senso di autorealizzazione. Va detto pertanto, che le risorse umane includono in sé il concetto di benessere come condizione indispensabile affinché ci si senta capaci di realizzare situazioni utili e sensate. Se dovessimo indagare intorno al fattore del mobbing inteso come situazione di vessazione da parte dei superiori nei confronti dei subordinati, ci renderemmo presto conto del fatto che una situazione di perpetuante violenza psicologica, innesta nel soggetto vittima, un meccanismo di svalutazione del sé e conseguente depauperamento psicofisico. – Migliorare l’organizzazione interna. Maggiore è il protagonismo di chi lavora in una organizzazione, più quest’ultima è capace di affermarsi positivamente: se i soggetti sono spronati a progettare creativamente, modificando e verificando il proprio lavoro, l’organizzazione ne trarrà non pochi benefici, poiché tenderà a proiettare se stessa verso una condizione ottimale. – Migliorare la qualità del servizio erogato dalla società. Una scuola che opera in modo non sindacabile, funzionando in modo imperscrutabile, adempie alle richieste provenienti dal sociale. Quindi si nota una compenetrazione soggetto-società, pertanto, agendo nel microcosmo della scuola, possiamo agire nel macrocosmo della società. In tal contesto, l’educazione pare essere posta in una posizione altamente significativa, a tal punto che pare utile citare il pensiero di Paulo Freire il quale sostenne che la rivoluzione più duratura è l’educazione poiché a lungo andare produce cambiamenti... » Ma perché le persone lavorano meglio se valorizzate? la risposta potrebbe apparire scontata. in realtà, molti nostri comportamenti sembrerebbero disconfermare tale assunto di base. non si capirebbe altrimenti come mai alcuni leader fanno di tutto per svalutare, se non ferire, umiliare i propri collaboratori. la valorizzazione dei propri collaboratori non può essere affidata al solo comportamento ‘spontaneo’ del leader, o alle buone intenzionalità. in realtà essa è frutto di consapevoli processi deliberativi, riflessivi e appartiene all’universo delle abilità e competenze di un leader autorevole ed efficace. Ma in cosa consiste la valorizzazione del personale? in ambito aziendale tale pratica viene relegata nel novero dei comportamenti di rinforzo esterno di comportamenti desiderabili, come l’incentivazione economica, la promozione nella gerarchia aziendale, riconoscimenti pubblici durante le convention aziendali con note di merito e medaglie al seguito. ovviamente, non intendiamo ciò quando pensiamo alle organizzazioni formative e specificatamente ad un cFP. 28 Valorizzare il personale, in questo ambito, significa riconoscere che ogni collaboratore è una persona di valore in sé e per sé, indipendentemente dalle sue performance; significa riconoscere che il valore della sua dignità personale non è mai in discussione e che all’interno del cFP si pratica un umanesimo integrale che crede fortemente nel valore di ogni singolo. in più, significa riconoscere che ognuno può migliorare all’interno dell’organizzazione e che, se offerti i giusti strumenti, i collaboratori, i formatori, così come gli allievi, possono progredire e migliorare. Da un punto di vista strategico, significa contribuire ad incrementare il senso di competenza di ciascuno, il senso di appartenenza al centro, il senso di efficacia personale per consentire il raggiungimento di obiettivi desiderabili per l’intero centro. il ricorso alle competenze sociorelazionali da parte del leader può essere il medio attraverso il quale si veicola tale valore di fondo. il valore può essere comunicato rispetto ad aspetti del modo di essere del collaboratore, ai suoi comportamenti di lavoro e di relazione, al suo modo di comunicare, alle cose che è riuscito a realizzare nel lavoro, al suo modo di vivere l’appartenenza al centro. Alcuni leader sono convinti che sia preferibile intervenire solo quando i collaboratori sbagliano utilizzando una specie di pedagogia dell’errore e si lasciano non evidenziati i comportamenti messi in atto e che sarebbero invece da approvare e incoraggiare. Ricordiamoci che ognuno di noi è ciò che nella vita è stato incoraggiato ad essere. infine, per quanto concerne la formazione del personale, si ritiene essere il punto strategico di ogni organizzazione. Guidare le persone per migliorare sé stesse tramite la trasformazione delle loro potenzialità in competenze personali e professionali è uno degli aspetti maggiormente qualificanti la leadership. in ambito di un cFP, individuare percorsi formativi di gruppo e individuali significa investire in innovazione strategica su ambiti specifici professionali e su ambiti di tipo trasversale. tra questi ultimi, la conoscenza scientifica dei fenomeni sociali e psicologici che coinvolgono il mondo dei giovani, le problematiche dell’istruzione e della Formazione Professionale unitamente alle problematiche del lavoro e alle opportunità per i giovani della ieFP, permette agli operatori di dare risposte qualificate al loro bisogno di progettualità e di protagonismo nel campo della formazione professionale e della vita. inoltre, la formazione sugli aspetti carismatici, pedagogici, educativi e pastorali relativi all’esperienza e alla tradizione salesiana dovrebbe caratterizzare l’impegno progettuale formativo della leadership dei centri. Questa triplice azione del leader finalizzata alla motivazione del personale, alla sua valorizzazione come soggetti attivi e protagonisti della vita del cFP, nonché alla formazione continua del personale permetta alla dirigenza di realizzare la leadership educativa come guida, orientamento e animazione delle persone che lavorano al centro. 2.5. Risolvere problemi una delle qualità maggiormente riconosciute ai leader è la capacità di risolvere problemi. Dote assai apprezzata nelle organizzazioni umane, ma non semplice 29 da realizzare in quanto si tratta di un processo alquanto complesso e composito. sono diverse, infatti, le procedure, le strategie, le attività e le fasi implicate nel processo di risoluzione dei problemi. saper affrontare i problemi e assumere le decisioni più adeguate alla situazione qualifica, pertanto, la professionalità di un Direttore di cFP. non a caso da molti autori la capacità di risolvere problemi è considerata un’abilità fondamentale della professionalità del leader, che funge da supporto per molte altre (Meazzini, 1984). D’altra parte, soprattutto nelle piccole organizzazioni, i leader si distinguono per l’assumere su di sé la totale responsabilità del risolvere problemi ogniqualvolta si dovesse individuarne la necessità. così facendo, possono ottenere due effetti iatrogeni non preventivati: l’accentrare sulla propria persona l’agire pragmatico risolutivo del centro e, di fatto, il deresponsabilizzare i propri collaboratori circa la possibilità di partecipare direttamente alla presa in carico dei problemi e alla ricerca cooperativa delle soluzioni e alla successiva presa in carico delle decisioni. Per questo, molti autori hanno predisposto strategie mentali e procedure operative di gruppo per realizzare livelli elevati di qualità nella gestione strutturata dei problemi all’interno delle organizzazioni. il metodo strutturato di soluzione dei problemi richiede tempo e concentrazione e risulta estremamente utile di fronte a problemi complessi e difficili da risolvere, in quanto conduce ad una soluzione attraverso fasi facili da seguire e aiuta ad essere più efficienti ed efficaci e a risparmiare complessivamente tempo. la strategia di soluzione di un problema, comunemente definita ‘strategia di problem solving’, consiste in un processo cognitivo, emotivo e comportamentale attraverso il quale il solutore cerca di ridurre, fino a superarla, la discrepanza che esiste tra la circostanza presente e quella desiderata. tale processo è caratterizzato da diverse fasi ciascuna delle quali richiede specifiche abilità. la prima fase riguarda la percezione di un problema all’interno dell’organizzazione. Affinché un problema possa essere affrontato, è necessario, innanzitutto, divenire consapevoli di esso. Perché il leader possa fungere da facilitatore nelle situazioni problematiche si richiede, innanzitutto, che sia sensibile a esse. A volte, i problemi esistono oggettivamente, ma non sono percepiti, altre volte sono avvertiti ma in modo vago e impreciso. una volta raggiunta questa consapevolezza occorre decidere se affrontarlo o meno. le ragioni che possono spingere a lasciar perdere possono essere diverse: ritenere che affrontarlo produca più costi che benefici, convincersi dell’immodificabilità di una situazione, dubitare del tutto o in parte delle proprie capacità, attribuirne la responsabilità ad altri. Di fatto, sono pochissimi i problemi che si risolvono da soli; nella maggior parte dei casi le situazioni tendono ad appesantirsi e a divenire sempre meno solubili. Quando, al contrario, si decide di affrontare un problema si dovrebbe valutare realisticamente e serenamente la situazione e le risorse di cui si dispone. l’atteggia30 mento migliore è di considerare il problema una sfida alla quale si può fornire una risposta soddisfacente. la seconda fase consiste nel definire il problema. Durante questo momento si raccolgono tutte le informazioni utili a definire con accuratezza il problema da affrontare. in particolare, occorre identificarne l’area di appartenenza, descrivere come si presenta, individuarne le cause e formulare gli obiettivi da raggiungere. una volta definito il problema, la fase successiva sarà quella di generare soluzioni, ossia prospettare tutte le possibili soluzioni ad esso producendo una vasta gamma di possibili alternative d’azione. in questa fase occorre produrre il maggior numero di idee, senza preoccuparsi della loro fattibilità e senza operare alcuna censura. Vale il principio secondo il quale la quantità genera la qualità. ne consegue che maggiore è il numero delle soluzioni prodotte, maggiore è la probabilità che tra esse ci sia quella efficace. la quarta fase di soluzione del problema consiste nel valutare le conseguenze delle azioni prodotte. È necessario, pertanto, elencare per ogni soluzione prospettata tutte le conseguenze immaginabili positive o negative, a breve o a lungo termine, personali e/o sociali. ciò significa valutare i pro e i contro di ogni soluzione proposta e classificare le soluzioni dalla meno desiderabile e pratica a quella che lo è al massimo grado. una volta identificate tutte le possibili conseguenze è necessario decidere quale soluzione scegliere. A questo scopo può essere d’aiuto fare riferimento a tre criteri. un primo criterio è di natura morale, deontologica. secondo questo criterio si dovrebbero escludere le opzioni che violano la nostra visione ideologica o morale. un altro criterio riguarda la probabilità che l’adozione di una strategia al posto di un’altra porti effettivamente alla soluzione del problema. in questo caso è importante chiedersi che possibilità ha ciascuna opzione di risolvere davvero il problema e scartare tutte quelle opzioni che per conoscenza o esperienza si ritengono inefficaci. un terzo criterio è quello di soppesare per ognuna delle opzioni disponibili costi e benefici. una volta valutata l’opzione più accettabile e probabile la prossima fase consisterà nel mettere in pratica la soluzione scelta e verificare se l’azione scelta ha funzionato. tale fase concerne l’implementazione, ossia la pianificazione delle modalità che devono essere adottate per concretizzare la strategia precedentemente selezionata. si tratta di identificare i compiti specifici, le risorse necessarie e le responsabilità individuali. sempre in questa fase è opportuno anticipare gli eventuali ostacoli e le misure impiegabili per superarli. in caso di fallimento il problema originario può essere riconsiderato alla luce dei tentativi di soluzione compiuti. spesso, infatti, malgrado le riflessioni preliminari e l’attenta pianificazione delle fase precedenti, gli esiti non sono quelli sperati. se il primo piano d’azione non ha funzionato, se le conseguenze non sono state quelle immaginate, si può tentare con un’altra delle soluzioni dell’elenco che si era fatto (Becciu-colasanti, 1997; Becciu-colasanti, 2004; Meichenbaum, 1990). 31 shure e spivack (1971) hanno riscontrato cinque abilità cognitive fondamentali che la persona deve possedere per poter risolvere in modo efficace i problemi situazionali. Di seguito si riportano, in modo sintetico, queste abilità. a) sensibilità al problema: abilità a riconoscere preventivamente e tempestivamente i segnali dell’insorgenza di un problema relazionale e a sviluppare l’interesse e la volontà di risolverlo; b) Pensiero alternativo: abilità a pensare, a immaginare e ad elaborare quante più soluzioni possibili allo stesso problema; c) Pensiero mezzo-fine: abilità ad elaborare una strategia d’azione suddividendola in passaggi graduali e fissando obiettivi e standard di valutazione realistici; d) Pensiero consequenziale: abilità a riflettere sulle possibili conseguenze, a breve e a lungo termine, delle proprie azioni, sia per sé stessi che per gli altri, assumendo in tal caso la loro prospettiva; e) Pensiero causale: abilità a cogliere i nessi cause-effetti e a distinguere la collocazione temporale di alcune cause (più o meno lontane nel tempo) e la loro adeguata attribuzione (a sé o agli altri, alle persone o alle situazioni). 2.6. Promuovere la corresponsabilità nei centri di Formazione Professionale si deve diffondere la mentalità della corresponsabilità. essa non può essere considerata un punto di partenza, ma di arrivo. il personale direttivo, a motivo della complessità dell’esercizio del proprio ruolo e delle innumerevoli incombenze spettanti, non può assolutamente pensare di accentrare sulla propria persona la totalità dei processi decisionali o di affidare al solo ruolo direttivo il potere decisionale nell’organizzazione. il lavoro dei Direttori dovrà essere pazientemente e intelligentemente rivolto al diffondere cultura e mentalità ispirate al valore della corresponsabilità. il loro stile di lavoro si caratterizzerà progressivamente per il coinvolgimento diretto a tutti i livelli del personale chiamato a svolgere funzioni intermedie e maggiormente esecutive. il dialogare con tutti, il fornire informazioni, il dichiarare in anticipo le proprie linee guida nella gestione del centro, il chiedere pareri ai propri collaboratori, il valorizzare l’esperienza e la tradizione presenti nei singoli centri, il promuovere processi decisionali per consenso senza abdicare alla propria responsabilità decisionale, il valorizzare le competenze più che i ruoli presenti nell’organizzazione, l’incoraggiare, il correggere con tatto seppur con fermezza, il lavorare per obiettivi condivisi e per progetti rappresentano alcune tra le principali strategie che i leader di un’organizzazione formativa utilizzano per far crescere i collaboratori e i formatori nella corresponsabilità gestionale del centro. tale modello viene a coincidere con il modello della leadership diffusa e distribuita. così, le figure apicali dei cFP, lo staff di direzione, i formatori, gli allievi vengono coinvolti direttamente in diversi aspetti delle diverse funzioni della leadership 32 del centro. infatti, la leadership diffusa si caratterizza per: partecipazione diretta da parte dei membri dell’organizzazione all’individuazione dei problemi e alla ricerca di soluzioni; presa di decisioni per consenso; analisi degli errori come criticità per migliorare l’organizzazione; incoraggiamento reciproco tra i membri del gruppo come prassi relazionale; accesso alle informazioni importanti della vita dell’organizzazione; condivisione degli obiettivi e della mission dell’ente da parte di tutti gli appartenenti al centro. il concetto di corresponsabilità associato alla leadership nei cFP è ben sintetizzato da Malizia (http://www.cnos-fap.it/glossary/term/226) quando evidenzia i seguenti tratti distintivi: «Il personale direttivo dovrebbe creare le seguenti condizioni: 1) sviluppare i valori comuni, trasformando i collaboratori da subordinati (che rispondono a procedure e regole) a una comunità di leader (che rispondono ad idee e valori); 2) costruire in loro capacità di iniziativa, di autocontrollo, di autogestione e di autoresponsabilizzazione; 3) sviluppare l’empowerment (conferimento di potere) attraverso la delega e lo stimolo dell’iniziativa, ma chiedendo anche conto dei risultati; 4) esprimere capacità di realizzazione, passando da un potere su ad un potere per, dal controllo all’influenza e alla facilitazione; 5) sviluppare la collegialità come strategia e non come semplice adempimento, a partire dall’es. personale di cooperazione, dal riconoscimento dei collaboratori, dalla coerenza rispetto ai valori conclamati; 6) enfatizzare la motivazione intrinseca delle persone rispetto a quella estrinseca (ricompense economiche o materiali); 7) assumere un orientamento alla qualità, come elemento distintivo del servizio del CFP; 8) valorizzare la semplicità, rispetto alle architetture organizzative complesse (Cusinato-Salatin, 2004, 182-183; Malizia et alii, 2004, 371)». 2.7. Curare le relazioni A tal proposito, ci sembra particolarmente utile il modello della comunicazione di qualità proposto da Becciu e da colasanti (2002) a livello formativo ormai da alcuni anni nella formazione dei formatori dei cFP cnos-FAP. Riteniamo particolarmente promettente tale modello formativo anche per i Direttori dei cFP, soprattutto per quanto concerne la gestione dei gruppi di lavoro, la gestione delle risorse umane e la guida delle persone nei contesti educativi. la cura dei processi relazionali, particolarmente gli enunciati ascendenti e discendenti da parte del leader, oltre a favorire climi umani positivi e a contribuire a creare l’atmosfera familiare tipica degli ambienti di ispirazione salesiana, conferisce al leader autorevolezza, rispetto e stimola l’emulazione attivando circuiti relazionali virtuosi. Definiamo di qualità un atto comunicativo del leader quando, innanzitutto, risulta essere efficace sia nelle intenzioni che negli effetti comunicativi. Pertanto, il Direttore, quando gestisce processi comunicativi in contesti individuali, assembleari o di gruppo, favorisce la comprensione vicendevole, emette enunciati univoci, chiari, semplici, pregnanti e stimolanti. l’effetto che gli interlocutori speri33 mentano sovente è di sentirsi stimolati a rimanere nel processo comunicativo, ad intensificare sia l’esplicitazione del proprio punto di vista sia l’elaborazione di ulteriori significati condivisi. in tal modo, i gruppi di lavoro incrementano, al loro interno, sia il livello di coesione sia il livello di produttività. Atti comunicativi efficaci, infatti, sono significativamente correlati all’ottimizzazione dei tempi di lavoro e al grado di intesa tra i membri del gruppo. in secondo luogo, un atto comunicativo è di qualità quando, pur all’interno di relazioni asimmetriche, caratterizzate da superiorità del leader per quanto concerne il suo status, ruolo, esperienza e le sue competenze, gli interlocutori sperimentano un profondo senso di pariteticità relazionale. il leader non utilizza il proprio status per metacomunicare superiorità. tutt’altro, realizza il senso pieno di servizio alla comunità educativa secondo il valore educativo del servizio che autenticamente realizza e testimonia. i collaboratori si sentono rispettati profondamente e stimolati nel prosieguo relazionale con il leader. il terzo principio della comunicazione di qualità afferisce agli effetti profondi che i processi relazionali sortiscono sui destinatari. oltre al senso di rispetto sperimentato quando le relazioni metacomunicano pariteticità tra partners in interazione, è possibile che gli atti comunicativi rimandino anche un senso di valore personale incondizionato. così, le persone che interagiscono con il leader scoprono, durante l’interazione, di essere persone di valore, di mettere in atto comportamenti che vengono notati e apprezzati, di essere tenuti in debita considerazione all’interno del sistema organizzativo, di sentirsi ancor più motivati a proseguire nell’impegno. tutto ciò, a partire da atti comunicativi ispirati ad un senso profondo di autenticità relazionale. e anche quando il leader assume il ruolo autorevole di colui che interviene per correggere, biasimare, rimproverare, riesce a rilevare comportamenti inadeguati e, contemporaneamente, a valorizzare la persona del collaboratore attraverso atti di ‘bontà educativa’ (Franta 1988). tale modello teorico operativo traduce molto bene, a nostro avviso, sia la necessità di testimoniare il principio di accoglienza familiare, tema molto caro alla pedagogia salesiana, sia il senso di amorevolezza come tratto caratteristico del modo di essere dei salesiani con i giovani. come si possono tradurre nella prassi tali principi teorici? soprattutto dando primato all’altro negli eventi comunicativi. comunicare, in una prospettiva realmente interpersonale, vuol dire scambiare con gli altri il significato delle proprie esperienze cercando di capire e di farsi capire (Mizzau, 1974). ne deriva che per realizzare una comunicazione davvero autentica è necessario uscire dal proprio egocentrismo, decentrarsi dal proprio io, pur senza dimenticarlo, e muoversi verso il tu. l’io e il tu rappresentano, infatti, i due poli dello scambio comunicativo; scambio che rimane solo apparente quando ci si polarizza sul proprio io o – al contrario – diviene significativo, quando si è capaci di distanziarsi dal proprio io per accogliere e comprendere il tu ( Mizzau, 1974). 34 in accordo con Mizzau (1974) possiamo, pertanto, distinguere una comunicazione egocentrica, in cui la persona considera come punto di partenza e punto di arrivo dei suoi messaggi unicamente sé stessa, e una comunicazione non egocentrica, detta anche comunicazione di qualità, in cui la persona è capace di accantonare – seppure temporaneamente – il proprio codice di significati per assumere quello dell’altro2. la comunicazione egocentrica coincide – in qualche modo – con la negazione implicita od esplicita dell’altro. la persona interagisce rimanendo rigidamente legata ad un proprio schema di riferimento, incapace di dirigere la propria attenzione verso la condizione mentale ed emotiva del suo interlocutore. la comunicazione di qualità si caratterizza, invece, per la valorizzazione di entrambi i partner in interazione e, quindi, per la capacità di assumere il proprio e l’altrui schema di riferimento senza mai fare del proprio punto di vista l’elemento irreversibile del rapporto (Mizzau, 1974). Poiché la possibilità di sperimentare un’intersoggettività positiva caratterizzata da relazioni umane autentiche e dalla vita intesa come comunione è – a nostro avviso – fortemente connessa alla capacità delle persone di uscire dal proprio io e di andare verso il tu, nell’impegno condiviso a raggiungere le mete del noi, la comunicazione di qualità può rivelarsi uno strumento prezioso. nella parte che segue ci soffermiamo a descrivere più estesamente la comunicazione di qualità specificando gli atteggiamenti che la sostengono e i comportamenti che la caratterizzano. la comunicazione di qualità può essere definita come un processo interpersonale, transazionale e simbolico con il quale le persone in interazione raggiungono e mantengono una comprensione reciproca. essa richiede – come abbiamo visto – la capacità di decentrarsi dal proprio io per cercare di capire e di farsi capire. si esplica, pertanto, sia nel mettersi nei panni dell’altro al fine di comprendere il contesto di significati e di valori sottostante al suo universo espressivo, sia nel codificare il messaggio per l’altro, modulandolo sulle sue caratteristiche. Mettersi nei panni dell’altro e codificare il messaggio per l’altro sono, tuttavia, subordinati ad alcuni atteggiamenti di fondo che, se posseduti, conferiscono al leader autorevolezza ed efficacia. Primo tra questi è la disponibilità emotiva ad accettare l’altro. Accettare significa ammettere cognitivamente ed emotivamente che l’altro è diverso da me e agisce, sente e pensa seguendo principi diversi dai miei. ciò consente un’apertura verso la fonte comunicativa e una valorizzazione dei contenuti che da essa provengono. 2 le espressioni di comunicazione non egocentrica e di comunicazione di qualità saranno qui usate in modo interscambiabile. 35 un secondo atteggiamento che, unitamente al precedente favorisce una comunicazione di qualità nel leader è la benevolenza (Becciu-colasanti, 1999). la persona che manifesta in modo consistente uno stile interpersonale caratterizzato dalla benevolenza tende a cogliere il positivo negli altri, ne rispetta e ne comprende i sentimenti e le motivazioni anche quando ne disapprova i comportamenti, si rivela sollecita e rispettosa nei confronti dei bisogni altrui e possiede una spiccata capacità di perdonare le offese ricevute. contempla la possibilità che il proprio interlocutore possa attuare un comportamento discrepante dalle proprie aspettative, preferenze e convinzioni e, pertanto, sa accogliere senza giudicare l’altro in quanto persona. un terzo atteggiamento che si correla significativamente ai due succitati è quello di non competitività. nell’interazione con l’altro, cioè, il leader non tende a prevalere a tutti i costi e ad affermare ostinatamente una propria posizione; al contrario, sa decidere – in un dato momento – di non perseguire un proprio obiettivo o di rinunciare al proprio punto di vista, in favore dell’interlocutore o in vista di un incremento della qualità della relazione. inoltre è capace di minimizzare le differenze e massimizzare le somiglianze tra le proprie convinzioni e quelle altrui attenuando i contrasti e favorendo il perseguimento di soluzioni cooperative. Gli atteggiamenti appena descritti e, specificatamente, la disponibilità ad accettare l’altro, la benevolenza e la non competitività, si riferiscono prevalentemente alla sfera emotiva. Per quanto concerne invece la dimensione più propriamente cognitiva è da segnalare, quale atteggiamento che permea trasversalmente i precedenti e che sostiene la comunicazione non egocentrica, quello della flessibilità. la flessibilità, quale polarità opposta all’egocentrismo cognitivo, si configura come la capacità da parte del leader di adeguare continuamente le proprie convinzioni ed interpretazioni della realtà al mutare delle situazioni e al sopraggiungere di nuove informazioni. in modo particolare, la persona flessibile possiede buone capacità metacognitive per cui è in grado di ragionare sulle sue produzioni mentali e distaccarsi dalla sua prospettiva per contemplare altri punti di vista sulla realtà. Al contrario, l’egocentrismo cognitivo si configura per la tendenza a considerare il proprio punto di vista sulle cose come l’unico possibile (Flavell, 1971). la persona per lo più prescinde il significato personale di un avvenimento dalle sue caratteristiche oggettive, è incline ad assimilare le nuove informazioni alle proprie convinzioni e ad irrigidirsi nelle proprie posizioni imponendo quelle che sono ritenute le sue verità. Dal punto di vista strutturale, l’elemento che discrimina un sistema cognitivo rigido da uno flessibile è la povertà o la complessità di alternative per interpretare la realtà. in sintesi, affinché la comunicazione di qualità possa esprimersi in modo autentico è necessario che i comportamenti verbali e non verbali del leader che la ca36 ratterizzano – e dei quali parleremo tra breve – siano supportati da alcune disposizioni di fondo che portano a vivere l’intersoggettività secondo i principi succitati della pari dignità e della valorizzazione reciproca. Diversamente, la comunicazione di qualità rischierebbe di tradursi in un mero tecnicismo e di essere utilizzata come strumento di potere e di manipolazione nei confronti dei propri interlocutori. Premesso questo, passiamo ora ad esplicitare i comportamenti che operativizzano la comunicazione non egocentrica e che consentono di stimare la qualità degli scambi comunicativi nel proprio ambiente di vita. Facendo riferimento alla tassonomia elaborata da Roche (1997), possiamo individuare i seguenti parametri tipici della comunicazione di qualità. i. Disponibilità nel leader come recettore. Affinché una comunicazione risulti efficace è fondamentale che ci sia, da parte di chi la riceve, la disponibilità ad accoglierla. tale disponibilità, che consiste fondamentalmente in un atteggiamento di accettazione dell’interazione, si manifesta, nel ricevente, nella sospensione di altre attività, per centrarsi totalmente sulla fonte comunicativa. ii. Adattabilità e opportunità comunicativa da parte del leader. una comunicazione, per essere efficace, deve essere opportuna. così, quando l’emittente decide di avviare una comunicazione, dovrebbe verificare se: – lo stato d’animo del ricevente è adeguato al contenuto che intende comunicare, – il contesto consente quel tipo di comunicazione, – il tempo a disposizione è sufficiente. iii. comunicazione empatica del leader. Fa riferimento alla capacità del leader di assumere il ruolo dell’altro nella comunicazione cercando di coglierne la prospettiva e le coordinate concettuali (empatia cognitiva) e le emozioni che si accompagnano ai contenuti espressi (empatia emozionale). ciò si traduce in una risposta replicativa in cui il ricevente palesa di aver colto i contenuti e/o le emozioni presenti nel messaggio dell’emittente. iV. comunicazione di conferma degli interlocutori. la capacità di conferma dell’altro costituisce per il leader un elemento vitale della comunicazione di qualità. non è facile tradurla in comportamenti relazionali in quanto essa è veicolata da tanti canali, particolarmente quelli concernenti la comunicazione non verbale (contatto di sguardo, postura, ecc.). la conferma dell’altro presuppone: il riconoscere l’altro come persona di pari dignità, il riconoscere l’altro come fonte di comunicazione, di informazione e quindi meritevole di attenzione e di interesse. 37 V. comunicazione di valorizzazione degli interlocutori. A livello psicologico è dimostrato come il mezzo migliore per far sviluppare una capacità, un atteggiamento, un comportamento nell’altro è quello di credere e di confidare nella sua possibilità e probabilità. Per questo sono importanti: la valorizzazione positiva dell’altro e dei suoi comportamenti; l’attribuzione positiva nei confronti di capacità e comportamenti probabili dell’altro; la valorizzazione positiva dei contenuti e del processo della comunicazione. Vi. comunicazione di ascolto da parte del leader. tendenzialmente siamo più portati a parlare che ad ascoltare e ciò consente di affermarci, oltre che manifestarci. tuttavia la comunicazione di qualità riserva uno spazio importante all’ascolto. Quest’ultimo comporta: la decisione di essere il primo ad ascoltare; la manifestazione comportamentale di interesse e attenzione (postura, contatto di sguardo, cenni di assenso); uno stato di quiete, ossia l’assenza di fretta o di movimenti ansiosi; l’espressione di risposte verbali riflettenti ciò che si è ascoltato. Vii.comunicazione del leader in qualità di emittente. Perché il circuito della comunicazione risulti completo è necessario che un ascolto di qualità sia complementare ad un’emissione di qualità. Questa include: un comportamento non verbale sintonico e sincronico rispetto all’interlocutore; l’uso di codici accessibili e comprensibili; l’uso di feedback rispettosi e costruttivi; l’uso di enunciati descrittivi, non valutativi o interpretativi. Viii.comunicazione di apertura e di autorivelazione da parte del leader. la comunicazione diviene più personalizzata e significativa quando le persone sono capaci di esprimere le proprie percezioni e i propri sentimenti. così, l’interazione interpersonale si sviluppa più favorevolmente quando si è consapevoli degli avvenimenti relazionali reciproci e si è in grado di introdursi nella comunicazione facendo presenti le proprie esperienze al riguardo, in modo tale da soddisfare i bisogni socio-affettivi propri ed altrui e costruire, al contempo, rapporti di collaborazione. l’apertura e l’autorivelazione comportano l’uso di: enunciati prospettivo-ipotetici, che consistono nella comunicazione di pensieri, idee, convinzioni che scaturiscono dalla riflessione sull’interazione reciproca; enunciati espressivi, che riguardano la manifestazione dei propri stati emozionali sperimentati nel corso dell’interazione; enunciati appellativi, che concernono l’espressione delle aspettative personali e sociali, ossia degli interessi propri ed altrui. iX. Rilevanza dei temi trattati dal leader. Affinché la comunicazione cresca in significatività è anche importante che i 38 temi trattati abbiano una rilevanza per le persone in interazione. ciò comporta: l’andare al di là di uno scambio comunicativo superficiale; il parlare non solo sulle cose, ma anche di se stessi; affrontare tematiche di interesse vitale per la vita del centro. X. Verifica e controllo del processo comunicativo. ultima variabile da considerare nella comunicazione efficace è quella che fa riferimento al controllo del processo comunicativo. ciò include: il verificare gli effetti delle proprie comunicazioni; il prevedere spazi per la metacomunicazione volti a chiarificare e situare ciò che sta avvenendo. nella tabella che segue sono riportati i dieci parametri appena descritti con i relativi indicatori comportamentali. esaminando i parametri che caratterizzano la comunicazione non egocentrica è possibile rintracciare quale elemento qualificante di essa la considerazione positiva e la valorizzazione di entrambi i partner in interazione. il rispetto verso sé stessi e verso l’altro è, infatti, il presupposto da cui muove ogni atto comunicativo. ne deriva che per stimare la qualità delle nostre comunicazioni è necessario chiedersi in che misura esse realizzano il principio della pari dignità tenendo debitamente in conto tanto il valore dell’io quanto quello del tu. infatti, la valorizzazione di uno dei due poli della relazione a scapito dell’altro porterebbe inevitabilmente ad assumere posizioni non funzionali alla costruzione di un’intersoggettività matura e solidale in cui ciascuno sia in grado di rispondere responsabilmente ai propri bisogni e a quelli degli altri. Riteniamo, inoltre, che poiché l’uomo non è un essere centrato su sé stesso, né fine a sé stesso, ma è un essere in relazione che trascende sé stesso, solo un’intersoggettività vissuta autenticamente nel senso del Noi può consentirgli di realizzare appieno la sua personalità. 39 Tabella 1 - Parametri e descrittori della comunucazione di qualità TASSONOMIA i Disponibilità nel recettore Accettazione dell’interazione Sospensione di altre attività ii Adattabilità e opportunità Lo stato d’animo del ricevente da parte di colui che inizia è adeguato al contenuto che intende comunicare. Il contesto consente quel tipo di comunicazione Il tempo a disposizione è sufficiente iii empatia Risposta replicativa in cui il ricevente palesa di aver colto i contenuti e/o le emozioni presenti nel messaggio dell’emittente iV conferma dell’altro Riconoscimento dell’altro come persona di pari dignità Riconoscimento dell’altro come fonte di comunicazione, di informazione e meritevole di attenzione e di interesse V Valorizzazione positiva Valorizzazione positiva dell’altro e dei suoi comportamenti Attribuzione positiva nei confronti di capacità e comportamenti probabili dell’altro Valorizzazione positiva dei contenuti e del processo della comunicazione Vi Ascolto di qualità Decisione di “essere il primo ad ascoltare” Manifestazione comportamentale di interesse e attenzione (CNV) Stato di quiete, assenza di fretta o di movimenti ansiosi Espressione di risposte verbali riflettenti ciò che si è ascoltato Vii emissione di qualità Comportamento non verbale sintonico e sincronico rispetto all’interlocutore Codici accessibili e comprensibili Enunciati descrittivi, non valutativi o interpretativi Feedback rispettosi e costruttivi Viii Apertura e autorivelazione Enunciati prospettivo-ipotetici Enunciati espressivi Enunciati appellativi iX Rilevanza dei temi Andare al di là di uno scambio comunicativo superficiale Parlare non solo sulle cose ma di sé stessi X Verifica e controllo Verificare l’effetto delle propr ie comunicazioni del processo comunicativo Prevedere spazi per la metacomunicazione volti a chiarificare e situare ciò che sta avvenendo. Fonte: (adattato da) Roche, 1997, 18 40 2.8. Promuovere cultura e valori salesiani la leadership educativa, propria di una istituzione formativa come i cFP, pone al centro della sua costitutività il sistema trasmissionale di valori e culture fondativi. in letteratura, l’insistenza sulla trasmissione dell’identità specifica dell’organizzazione attraverso la diffusione della cultura e dei valori propri dell’organizzazione medesima è specifica della leadership cosiddetta culturale (Malizia). essa viene così definita: «(...) il modello culturale focalizza l’attenzione sui principi, le idee, i simboli e le tradizioni condivisi dai membri di una organizzazione e, per le scuole/CFP, si può aggiungere, quelli consacrati nel progetto educativo/formativo di Istituto/Centro: è l’identità dell’organizzazione che occupa il centro della scena. Il modello risponde all’esigenza di valorizzare la cultura delle organizzazioni e dei loro membri, di metterne in risalto i valori e le opinioni; anche in questo caso si insiste sull’idea della condivisione della “visione” e della “missione”; particolare considerazione è riservata ai simboli, ai riti, alle cerimonie e agli “eroi”, cioè ai membri illustri dell’organizzazione, la cui celebrazione serve non solo a rinsaldare principi e valori, ma anche a entusiasmare nei confronti delle finalità perseguite» (Malizia G., 2012). Alla leadership dei cFP di ispirazione salesiana l’insostituibile compito di realizzare la pedagogia salesiana nelle prassi organizzative, formative, didattiche e relazionali. Affermare ciò significa rimettere al centro di tutto la tradizione salesiana con i suoi imprescindibili valori legati al favorire la crescita dei ragazzi per farli diventare ‘onesti cittadini e buoni cristiani’. le funzioni di leadership, al riguardo, si esercitano attraverso azioni che consentano a tutto il personale del cFP, direzione, formatori, personale tecnico, genitori, comunità salesiana, di ‘saper stare’ con i giovani con modalità proattive e non reattive. il cFP si caratterizza, pertanto, per le modalità operative che consentono agli adulti del cFP, nei confronti degli allievi, di interessarsi autenticamente al loro mondo, di condividerne gli interessi, le passioni, le preoccupazioni e i progetti, di simpatizzare con le loro esperienze di vita, di accogliere i loro valori. ora come alle origini della produzione culturale della tradizione salesiana, il cFP si trova a dar risposte di umanizzazione e di progettualità futura a moltitudini di giovani che si caratterizzano per essere tra gli ultimi nell’usufruire di opportunità personali e sociali. scriveva DB nel 1862, tracciando il bilancio di 20 anni di lavoro tra i giovani: «Per conoscere i risultati ottenuti da queste scuole, dagli Oratori e dalla casa detta Oratorio S. Francesco di Sales bisogna dividere in tre classi gli allievi: discoli dissipati, e buoni. I buoni si conservano e progrediscono nel bene in modo meraviglioso. I dissipati, cioè quelli già abituati a girovagare, poco a lavorare, si riducono anche a buona riuscita coll’arte, coll’assistenza, coll’Istruzione e coll’occupazione. I discoli poi danno molto da fare; se si può ad essi far rendere un po’ di gusto al lavoro, per lo più sono guadagnati. Coi mezzi accennati si poterono ottenere alcuni risultati che si possono esprimere così: 1° che non diventano peggiori; 2° molti si riducono a far senno, quindi a guadagnarsi il pane onestamente; 3° quelli stessi che sotto la vigilanza parevano insensibili, col tempo si fanno, se non in tutto almeno in qualche parte, più arrendevoli. Si lascia al tempo di rendere profittevoli i buoni principii che poterono conoscere come debbansi praticare» (Braido P.,1997). 41 ed è proprio l’attenzione a questi ultimi che dà origine e senso a tutte le azioni di leadership nel centro. così, i processi che si attivano, le metodologie che si utilizzano, gli ambienti che si predispongono, le attività che si sviluppano, le persone che si coinvolgono si ispirano al sistema preventivo elaborato da Don Bosco che giunge ad essere il nucleo essenziale della cultura e dei valori della salesianità. tale sistema preventivo, nato in opposizione ai sistemi repressivi e reattivi vigenti in educazione alla fine dell’800, parte da una prevenzione assistenziale (vitto, vestito, alloggio, istruzione), a cui segue la prevenzione educativa (non si reprimono, né puniscono gli errori, ma si impedisce che accadano), per giungere ad una prevenzione promozionale (per promuovere le potenzialità umane di ciascun allievo, individuando in ognuno il bene già presente). tutto ciò è possibile nella misura nella quale gli agenti educativi si dedicano incondizionatamente ai ragazzi, attraverso un’assistenza benefica e educativa, tramite la dedizione generosa e lo spirito di fiducia incondizionata degli educandi. le relazioni improntate all’amorevolezza, all’amicizia integrate dalla ragionevolezza (aspetti normativi della leadership) in ambienti caratterizzati da comunità ispirate al clima di famiglia (cfr. Braido, 2008), sono le condizioni essenziali attraverso le quali si possono continuare a diffondere i valori e il carisma della cultura salesiana. in tal senso, la leadership è impegnata nella valorizzazione e riscoperta degli inediti del carisma originario di don Bosco. Per meglio inserire tale riflessione sulla trasmissione culturale dell’identità dell’organizzazione come una delle funzioni principali della leadership, è utile richiamare quanto scrive Malizia (2012) al riguardo trattando il tema della leadership morale: «Entro questo quadro, la teoria della leadership morale in campo educativo concentra l’attenzione sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente scolastico e formativo e sostiene che la sua autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Ciò che è centrale è “la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo”. Il leader morale si può definire come un dirigente che “è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario” (Bush, 2010, p. 185). Nel contesto in cui viviamo credo che sia di particolare importanza la funzione, proposta dalla teoria in esame che potremmo definire di “management dei significati” per cui il leader è chiamato a impegnarsi a favore del delinearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti (Sergiovanni, 2002, 2000, 2009). Mi sembra che in questo momento uno dei mali maggiori che travaglia la scuola e la FP sia l’incapacità di insegnanti/ formatori e di studenti/allievi di dare e di trovare un senso profondo nelle cose che fanno a scuola/Centro per cui mancano di passione, di entusiasmo e di motivazioni profonde nel loro mestiere di docenti/formatori e di studenti/allievi: pertanto, diventa necessario e urgente che il leader li aiuti a recuperare significato e ragioni dell’educare e dell’essere educati. Tutto ciò è ancora più vero per i CFP di ispirazione cristiana dove visione e missione hanno la loro giustificazione ultima nel messaggio del Vangelo. In questa direzione è anche interpretabile il processo di “dematerializzazione” che interessa le organizzazioni e in particolare la 42 scuola/CFP nel senso cioè di una minore importanza attribuita alle variabili strutturali a favore della preminenza dei soggetti che ne fanno parte, assieme ai quali si attivano processi di co-costruzione di una cultura condivisa, la quale, poi, fonda proprio quegli stessi processi. Dunque, il nuovo perno della professionalità del personale dirigente sembra essere costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti e la scuola/CFP viene così a configurarsi come “scuola/CFP dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità e il leader diventa il gestore delle mediazioni culturali perché tutto assuma e mantenga natura formativa. A questo punto conviene richiamare i più importanti principi organizzativi che costituiscono il quadro di riferimento teorico del modello del leader morale. Anzitutto, egli è un professionista riflessivo nel senso che il suo operare è caratterizzato dalla circolarità fra teoria e pratica e attinge contemporaneamente a tre fonti: la scienza, l’esperienza e l’intuizione creativa. L’agire dei professionisti si fonda su un’intuizione informata dalla teoria e dalla pratica: infatti, la scienza spiega i fenomeni, ci aiuta a criticare le pratiche, ma non le produce; le pratiche professionali nascono dall’esperienza attraverso tentativi ed errori e sforzi intuitivi, ma vanno valutate dalla teoria; a sua volta l’intuizione creativa viene facilitata dalla scienza e va resa fattibile attraverso l’esperienza. Passando sul piano più strutturale, un principio importante riguarda le strategie per realizzare l’integrazione nella scuola/CFP. Mentre nel passato il mantenimento dell’unità veniva affidato a modalità di carattere gestionale come il controllo e la gestione, ora in ambienti molto dinamici, con relazioni deboli sul piano organizzativo, che richiedono prestazioni straordinarie, anche per l’effetto dell’introduzione dell’autonomia, le varie componenti devono ricercare il collegamento soprattutto nei valori. In altre parole l’integrazione da gestionale e strutturale diviene anzitutto culturale. A sua volta la progettazione assume un carattere strategico e non più dettagliato. Ciò significa definire gli orientamenti di fondo, creare consenso sulle finalità, dare autonomia, assegnare responsabilità e valutare processi e risultati, garantendo che le azioni educative incarnino i valori condivisi. Ciò che è decisivo sono le capacità di autogestione, cioè la capacità delle varie componenti di sapersi gestire e collegare con le mete concordate. Per assicurare il consenso dei vari attori, il primo passo da fare è scegliere una modalità normativa che ottiene l’adesione delle persone perché queste sono convinte della validità delle attività formative poste in essere e percepiscono il loro coinvolgimento come intrinsecamente soddisfacente: su questa base si sviluppano i requisiti di lavoro, si decidono gli interventi da realizzare e si procede alla loro verifica. Particolarmente importante è la strategia motivazionale che non dovrebbe essere più principalmente “remunerativa” per cui viene fatto solo quello che è ricompensato e non viene fatto quello non è ricompensato, ma invece “espressiva”, nel senso che quello che è ricompensante, che mi realizza, viene fatto e bene, o “morale”, nel senso che si è disposti a realizzare con impegno tutto quello che si ritiene buono e giusto. Il controllo dovrà basarsi sulla socializzazione professionale come strategia di lungo termine, cioè sulla formazione iniziale e in servizio, mentre nel breve e nel medio ciò che conta è arrivare a scopi e valori condivisi che possono offrire il collante che unisce le varie componenti in organizzazioni a legami deboli e in continuo cambiamento come le scuole (...)». 2.9. Promuovere la specificità della formazione Professionale (fP) il presupposto fondamentale su cui si basa l’azione dei cFP è che il giovane possa sviluppare le sue potenzialità di crescita umana, cristiana, culturale e sociale attraverso la Formazione Professionale. 43 ciò diventa una sfida culturale e pedagogica, soprattutto per i giovani più svantaggiati socialmente e culturalmente, per poter superare i limiti dei percorsi scolastici tradizionali basati sulla trasmissione essenzialmente teorica sia dei saperi di base che di quelli specifici. la storia e la tradizione dei cFP salesiani testimoniano il successo formativo ottenuto con centinaia di migliaia di giovani che hanno potuto recuperare gli svantaggi familiari, sociali e culturali di partenza grazie a percorsi di promozione umana realizzati attraverso la cultura professionale e i progetti di inserimento professionale nel tessuto socioeconomico del territorio. i cFP salesiani, pertanto, si caratterizzano per la centralità data ai ragazzi e ai loro bisogni educativi e formativi. il recupero e la promozione di ciascuno diventano la priorità educativa per garantire dignità e futuro ai giovani, soprattutto ai più bisognosi. la metodologia educativa specifica praticata nei cFP è ispirata all’intuizione profetica di Don Bosco che va sotto il nome di sistema preventivo. È specifico di tale sistema: – la visione positiva dei giovani e la fiducia di base in essi; – l’evangelizzazione attraverso la trasmissione di una cultura ispirata ai principi evangelici; – l’impostazione pedagogica proattiva e non reattiva; – la pedagogia della gioia e della festa; – il metodo promozionale attraverso l’incoraggiamento; – la centralità dell’oratorio; – la presenza attiva degli educatori; – il modello delle relazioni improntate all’accoglienza in un clima di famiglia; – la metodologia didattica che rende i giovani protagonisti degli apprendimenti; È altrettanto peculiare della vita di un cFP il modo di insegnare e di apprendere. il laboratorio diventa il volano didattico per eccellenza. la pratica richiama le connessioni disciplinari e non viceversa. la didattica attiva, pertanto, prevale sui metodi frontali up-down. così, i ragazzi vengono coinvolti nella sapienza del fare attraverso esperienze didattiche laboratoriali, esperienziali, euristiche, problem solving, per competenze, narrative. 2.10. Sviluppare nuove opportunità le finalità che i cFP perseguono obbligano a pensare l’accompagnamento dei ragazzi non solo nei processi che avvengono internamente nella vita dei centri, ma soprattutto attraverso azioni che ne guidono i percorsi di: «(...) inserimento nella realtà, in collaborazione con enti e agenzie educativo/formative. L’inserimento pieno dei giovani nella vita locale e l’assunzione da parte loro di responsabilità rappresentano una meta del cammino di educazione integrale nella scuola e nei 44 CFP salesiani. Le nostre scuole e CFP si propongono di contribuire alla costruzione di una società più giusta e degna dell’uomo. Per questo: – cercano di ubicarsi nelle zone più popolari e danno preferenza ai giovani più bisognosi; – denunciano ogni condizione discriminatoria o realtà di esclusione; – privilegiano il criterio dell’accompagnamento di tutti su quello della selezione dei migliori; – promuovono una sistematica formazione sociale dei loro membri; – privilegiano l’inserimento equo dei giovani nel mondo del lavoro e il loro accompagnamento educativo, mantenendo un sistematico contatto con il mondo delle imprese; – diventano centri di animazione e di servizi culturali ed educativi per il miglioramento dell’ambiente, privilegiando quei curricoli, specializzazioni e programmi che rispondono alle necessità dei giovani della zona; – praticano la vicinanza e la solidarietà, con la disponibilità delle persone e dei locali, l’offerta di servizi di promozione aperti a tutti, la collaborazione con altre istituzioni educative e sociali; – promuovono una presenza significativa nel mondo degli ex-allievi perché si inseriscano in modo attivo e propositivo nel dialogo culturale, educativo e professionale in atto nel territorio e nella Chiesa locale» (Dicastero per la Pastorale Giovanile salesiana, 2014, 196-197). le azioni di leadership dei centri, pertanto, sono impegnate a ottimizzare le risorse interne e a individuare e sviluppare nuovi ambiti di opportunità formative e professionali. in tal modo, il cFP può e deve rappresentare un punto di eccellenza per la Formazione Professionale dei giovani del territorio, per le loro famiglie, le aziende, le scuole e le agenzie di supporto all’inserimento e all’accompagnamento professionale, anche attraverso la partecipazione allo sviluppo sociale del territorio. tutto ciò è possibile nella misura nella quale tutti i membri della comunità educativa Pastorale dei cFP si avvalgono di processi di formazione continua per garantire l’aggiornamento continuo sia nella dimensione professionale che nell’identità salesiana. conseguenza diretta di tali processi formativi è l’attivazione di azioni innovative e di sviluppo all’interno delle reti territoriali di cui il cFP è parte integrante. È impegnato, pertanto, ad usufruire di tutti quegli spazi sociali, normativi, economici e culturali che favoriscono l’innovazione nelle politiche formative del centro, nelle metodologie e nelle attività metodologico-didattiche e nelle nuove tecnologie per rispondere sempre più e meglio ai bisogni di inserimento dei giovani nella parte attiva della nostra società. 45 3. Raccomandazioni PREMESSA i CfP sAlesiAni, coMe AMBiente e oPeRA Di PAstoRAle Gio- VAnile sAlesiAnA3, FAnno PARte DellA ‘coMunitÀ eDucAti- Vo-PAstoRAle’ (CEP) cHe RAPPResentA PeR lA FAMiGliA sAlesiAnA “… L’ESSERE CHIESA, LA NOSTRA PASTORALE SPECIFICA INSERITA NELLA PASTORALE ECCLESIALE”.4 “… IL CONSIGLIO DELLA CEP DELLA SCUOLA/CFP, SECONDO LE DISPOSIZIONI DI OGNI ISPETTORIA, È L’ORGANO CHE ANIMA ED ORIENTA TUTTA L’AZIONE SALESIANA CON LA RIFLESSIONE, IL DIALOGO, LA PROGRAMMAZIONE E LA REVISIONE DELL’AZIONE EDUCATIVO-PASTORALE (CG24, N.160-161,171)5. eD È All’inteRno Di tAle sPeciFicA AZione eDucAtiVo-PAstoRAle cHe lA leADeRsHiP eseRcitAtA DAl DiRettoRe DellA cAsA coMe DAl DiRettoRe Di un CfP AcQuistA senso e siGniFicAto nellA MisuRA nellA QuAle “…DA AZIONE DI SINGOLI OPERATORI DIVIENE COORDINAMENTO DEI DIVERSI INTERVENTI, RICERCA D’INTESA E DI COMPLEMENTARIETÀ TRA TUTTI, RICERCA DI COLLABORAZIONI, SFORZO DI ORGANICITÀ E DI PROGETTAZIONE”6. il Buon FunZionAMento DellA leADeRsHiP nel CfP PResuPPone, PeRtAnto, il FunZionAMento DeGli oRGAni Di AniMAZione e GoVeRno intoRno Al PRoGetto eDucAtiVo- PAstoRAle sAlesiAno (PEPS). inFAtti, “…NELLE SCUOLE E NEI CFP SALESIANI LA CONVERGENZA DELLE INTENZIONI E DELLE CONVINZIONI DA PARTE DI TUTTI I MEMBRI DELLA CEP TROVA IL SUO RISCONTRO NELLA REALIZZAZIONE DEL PEPS”7. 3 DicAsteRo PeR lA PAstoRAle GioVAnile sAlesiAnA (2014), La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, Vii, 2, 189. 4 DicAsteRo PeR lA PAstoRAle GioVAnile sAlesiAnA (2014), La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, V, 1, 108. 5 DicAsteRo PeR lA PAstoRAle GioVAnile sAlesiAnA (2014), La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, Vii, 2, 202. 6 DicAsteRo PeR lA PAstoRAle GioVAnile sAlesiAnA (2014), La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, V, 1, 108. 7 DicAsteRo PeR lA PAstoRAle GioVAnile sAlesiAnA (2014), La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, Vii, 2, 191. 46 RACCOMANDAZIONE 1 funzione di leadership: selezionare il personale È FonDAMentAle cHe le PeRsone cHe VenGono intRoDotte nei CfP, oltRe Alle coMPetenZe PRoFessionAli e MAnsionAli RicHieste DAl Ruolo Di RiFeRiMento, ABBiAno conoscen- ZA DellA VitA Dei centRi sAlesiAni e/o ViVAno siGniFicAtiVe esPeRienZe sociAli e RelAZionAli, si cARAtteRiZZino PeR unA ADesione liBeRA e APPAssionAtA Al cARisMA Di Don Bosco e AMino stARe con i GioVAni PeR esseRe VAliDi eDucAtoRi. QuAnDo tAli PReReQuisiti FosseRo cARenti, si AttiVino oPPoRtune iniZiAtiVe FoRMAtiVe in inGResso e in itineRe. RACCOMANDAZIONE 2 funzione di leadership: presidiare l’organizzazione È necessARio cHe il DiRettoRe: – ReAliZZi un MonitoRAGGio costAnte PeR VeRiFicARe il coRRetto FunZionAMento Del centRo seconDo le noRMAtiVe ViGenti; – AssicuRi lA necessARiA tRAsPARenZA DellA Gestione econo- MicA AMMinistRAtiVA Del CfP; – PRoMuoVA inVestiMenti nellA FoRMAZione Del PeRsonAle, nellA innoVAZione Del centRo, con PARticolARe RiFeRiMento AllA innoVAZione tecnoloGicA e DiDAtticA, nel RisPetto Delle linee Di unA Gestione econoMicA sosteniBile. RACCOMANDAZIONE 3 funzione di leadership: organizzare lo staff consAPeVoli Di APPARteneRe AllA PiÙ AMPiA COMUNITÀ EDUCATIVO- PASTORALE cHe VeDe tutti i soGGetti Del CfP iMPe- GnAti nellA ReAliZZAZione Del PROGETTO EDUCATIVO-PASTORALE SALESIANO in uno stile Di PARteciPAZione e ResPonsABilitÀ e A MotiVo DellA coMPlessitÀ DellA stRuttuRA PoliFunZionAle Dei CfP, È necessARio cHe lA DiReZione Di ciAscun centRo PossA DisPoRRe Di un GRuPPo stABile Di collABoRAtoRi cHe ResPonsABilMente PARteciPino Allo sVolGiMento Delle FunZioni DiRettiVe e GestionAli PeR co- ADiuVARe il DiRettoRe. 47 RACCOMANDAZIONE 4 funzione di leadership: risolvere problemi È necessARio AssuMeRe lA stRAteGiA Del PROBLEM SOLVING coMe MetoDoloGiA oPeRAtiVA stABile nel GoVeRnARe l’oRGAniZZAZione in MoDo DA PoteR coinVolGeRe lo stAFF Di DiReZione, i collABoRAtoRi e i FoRMAtoRi nel coMPito Di: – inDiViDuARe i PRinciPAli PRoBleMi PResenti nel centRo; – GeRARcHiZZARe i PRoBleMi e DARe PRioRitÀ; – GeneRARe soluZioni; – VAlutARe le conseGuenZe; – ADottARe e iMPleMentARe le soluZioni; – VeRiFicARe l’eFFicAciA Delle soluZioni ADottAte. RACCOMANDAZIONE 5 funzione di leadership: gestire le risorse umane nellA Gestione Delle RisoRse uMAne Del centRo È necessARio iMPRontARe tutte le AZioni Di GuiDA Delle PeRsone e Di VAloRiZZAZione Di ciAscuno Ai PRinciPi cARi AllA testiMoniAnZA Del VAnGelo e Al cARisMA sAlesiAno Di Don Bosco. RACCOMANDAZIONE 6 funzione di leadership: promuovere la corresponsabilità È necessARio cHe il DiRettoRe lAVoRi stABilMente in MoDo colleGiAle con i collABoRAtoRi e con i FoRMAtoRi consiDeRAnDo il CfP PARte inteGRAnte DellA COMUNITÀ EDUCATIVO-PASTORALE. conDiViDA le inFoRMAZioni necessARie PeR lA VitA Del centRo. incentiVi lA DeleGA e coinVolGA i collABoRAtoRi, con cRiteRi Di DisceRniMento e Di DiscReZionAlitÀ, AncHe nei PRocessi DecisionAli e non solo in Quelli MeRAMente esecutiVi. PRoMuoVA il senso Di ResPonsABilitÀ inDiViDuAle e colle- GiAle e lA cAPAcitÀ Di AutoVAlutAZione. 48 RACCOMANDAZIONE 7 funzione di leadership: curare le relazioni nell’iMPeGno costAnte Di AttuAliZZAZione Del sisteMA PRe- VentiVo Di Don Bosco, il DiRettoRe QuAliFicA il PRoPRio Ruolo soPRAttutto AttRAVeRso il PARticolARe stile Di RelAZione cHe “… SI ISPIRA ALLA FAMIGLIA E SI PRATICA IN RELAZIONI FAMILIARI”7. tAle stile RelAZionAle È iMPRontAto AllA seRenitÀ, Al PiAceRe Di stARe con tutti i collABoRAtoRi, con i FoRMAtoRi e con Gli AllieVi, contRiBuenDo AllA cReAZione Di un cliMA Di FAMiGliA. PeR Questo È necessARio cHe i suoi Atti coMunicAtiVi siAno cARAtteRiZZAti DA cHiAReZZA e seMPlicitÀ, DA RisPetto totAle Delle PeRsone, DA Atti Di VAloRiZZAZione DeGli inteRlocutoRi, DA FiDuciA nelle PeRsone cHe incontRA Al CfP. Allo stesso MoDo, il DiRettoRe cuRA il cliMA RelAZionAle con QuAnti, PeR VARi MotiVi, HAnno A cHe FARe con il cFP, in PRiMo luoGo i GenitoRi, PRiMi ResPonsABili Dell’eDucAZione Dei GioVAni Del centRo, Gli oPeRAtoRi PAstoRAli, i Docenti e Gli eDucAtoRi Del teRRitoRio, i ResPonsABili Delle PoliticHe e Delle AttiVitÀ lAVoRAtiVe collAteRAli AllA VitA Del CfP. RACCOMANDAZIONE 8 funzione di leadership: promuovere cultura e valori salesiani È necessARio cHe il DiRettoRe: – PRoMuoVA tutto ciÒ cHe seRVe PeR FAR conosceRe lA sto- RiA, lA tRADiZione e lA cultuRA Dei FiGli Di Don Bosco; – FAVoRiscA le conDiZioni AFFincHÉ il CfP siA ReAlMente unA “CASA CHE ACCOGLIE”; – si AttiVi PeR DARe PRiMAto All’eDucAtiVo in tutti Gli AMBiti Di VitA Del CfP; – iMPleMenti il sisteMA PReVentiVo cHe PRoMuoVe il Bene in ciAscun AllieVo; – siA Di eseMPio e MoDello Di ADesione A Don Bosco Al seRViZio Dei RAGAZZi PiÙ sVAntAGGiAti. 8 DicAsteRo PeR lA PAstoRAle GioVAnile sAlesiAnA (2014), La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, Vii, 2, 193. 49 RACCOMANDAZIONE 9 funzione di leadership: promuovere la specificità della formazione Professionale Al Fine Di AssicuRARe il successo FoRMAtiVo Dei GioVAni, soPRAttutto Di Quelli PiÙ BisoGnosi, e FAVoRiRe il loRo inseRiMento nellA ReAltÀ FoRMAtiVA e PRoFessionAle Del teRRitoRio, il DiRettoRe si iMPeGnA A PRoMuoVeRe lA sPeciFicitÀ DellA fP tRAMite AZioni FoRMAtiVe Di QuAlitÀ cHe PRiVileGino: – lA PRoMoZione uMAnA, cRistiAnA e cultuRAle DeGli AllieVi tRAMite lA fP; – l’AccoMPAGnAMento eDucAtiVo, cultuRAle e PRoFessionAle Di ciAscun AllieVo; – il RecuPeRo e il PotenZiAMento in AllieVi cHe PResentAno sVAntAGGi sociocultuRAli; – l’AccoGlienZA e l’inteGRAZione Di AllieVi PRoVenienti DA DiFFeRenti PAesi, cultuRe e ReliGioni; – l’AccoGlienZA e l’inteGRAZione PienA Di AllieVi con BisoGni eDucAtiVi sPeciAli; – lA PeRsonAliZZAZione Dei PRocessi Di inseGnAMento-APPRenDiMento; – lA sceltA DellA DiDAtticA AttiVA con PARticolARe AccentuAZione DellA DiDAtticA lABoRAtoRiAle e DellA Di- DAtticA PeR coMPetenZe non solo PeR lo sViluPPo Del PRoFilo PRoFessionAle Di APPARtenenZA, MA AncHe PeR le DisciPline RelAtiVe Ai sAPeRi Di BAse; – le AttiVitÀ RicReAtiVe, sPoRtiVe, cultuRAli, ARtisticHe seconDo lA tRADiZione oRAtoRiAle sAlesiAnA. 50 RACCOMANDAZIONE 10 funzione di leadership: sviluppare nuove opportunità il DiRettoRe Di un CfP, in collABoRAZione con il suo stAFF e con il colleGio Dei FoRMAtoRi, PeR ReAliZZARe Al MeGlio le PRoPRie FunZioni eD ottiMiZZARe le RisoRse inteRne, si iMPeGnA A inDiViDuARe e sViluPPARe nuoVi AMBiti Di oPPoRtunitÀ Al Fine Di: – RAPPResentARe un Punto Di RiFeRiMento Di eccellenZA PeR lA FoRMAZione PRoFessionAle Dei GioVAni Del teRRitoRio, PeR le loRo FAMiGlie, le AZienDe, le scuole e le AGenZie Di suPPoRto All’inseRiMento PRoFessionAle; – DiFFeRenZiARe seMPRe PiÙ l’oFFeRtA FoRMAtiVA Del cFP; – incReMentARe le iscRiZioni Al centRo; – AllARGARe lA Rete e le collABoRAZioni; – usuFRuiRe Al MeGlio DeGli sPAZi noRMAtiVi euRoPei, stAtAli, ReGionAli e locAli PeR AuMentARe le cAPAcitÀ Dell’ente Di GeneRARe iniZiAtiVe FoRMAtiVe teRRitoRiAli, AncHe AttRAVeRso lA PRoMoZione e lA sPeRiMentAZione Di tecnoloGie innoVAtiVe DistintiVe Del centRo. ALLEGATI 53 Autovalutazione di un ambiente formativo scolastico o professionale salesiano in Europa commissione scuola salesiana europa sDB-FMA Perché valutare le scuole/CfP salesiani negli ultimi anni il tema della qualità e l’interesse per la valutazione della qualità nei centri educativi sDB e FMA sono stati oggetto di una crescente attenzione. in questa linea, durante il periodo 2011-2014, la commissione scuola salesiana europa sDB-FMA si è sentita interpellata dall’esigenza di avviare una riflessione sul tema della valutazione dell’identità salesiana nella scuola e formazione Professionale. la valutazione della qualità appartiene a un approccio pedagogico specifico che esige di disporre di un mezzo di rilevazione adatto per l’autoanalisi della scuola/ cFP nella specificità del suo essere salesiana. Da questa premessa prende avvio il presente documento, con lo scopo di fornire uno strumento attraverso cui ogni centro educativo possa svolgere un’autovalutazione sulla propria qualità, mediante la scelta di indicatori in grado di rilevarne gli aspetti nodali. offriamo, a tal proposito, un’ipotesi di questionario in grado di favorire nelle comunità educativo-Pastorale (ceP) la promozione di una cultura della qualità e, allo stesso tempo, permettere nelle scuole/cFP salesiani un’efficace attività di autovalutazione, centrale per migliorare l’offerta educativo-pastorale salesiana. tale autoanalisi si presenta come un’azione valutativa condotta direttamente dall’istituzione scolastica/professionale, attraverso gli operatori che lavorano in essa, fornendo, dunque, uno sguardo da un’ottica interna. consapevole del valore e dei limiti di questo strumento, volto a raggiungere maggiore omogeneità dell’offerta formativa su scala europea, soprattutto in considerazione della varietà dei contesti educativi delle scuole salesiane, la commissione sse intenzionalmente offre e propone un questionario che attivi un processo auto-valutativo mediante la misurazione degli aspetti rilevanti connessi alla prassi educativo-pastorale salesiana, assicurando una conoscenza, la più adeguata possibile, della situazione della scuola/cFP con i relativi punti forti e deboli. l’obiettivo preposto a questo progetto risiede nel perseguire un miglioramento continuo della qualità in tutti i livelli, da quello locale a quello ispettoriale, nazionale ed eventualmente europeo. la valutazione, infatti, ha lo scopo di contribuire a: • costruire un’identità chiara e condivisa nell’istituzione scolastica e professionale, dando risalto agli aspetti positivi dell’offerta formativa e contribuendo a progettare percorsi formativi e curriculari di qualità; 54 • coinvolgere il personale delle varie opere scolastiche e professionali (in particolare il dirigente scolastico ed il collegio dei docenti), rilevando bisogni e necessità delle realtà di educazione formale a livello locale e ispettoriale; • individuare le modifiche necessarie per migliorare l’azione educativo-pastorale salesiana europea, definendone sia gli aspetti soddisfacenti da mantenere e consolidare, sia gli aspetti negativi, o comunque di minor soddisfazione, rispetto ai quali promuovere interventi migliorativi. l’intento della commissione scuola salesiana europa sDB-FMA è di offrire uno strumento unificatore e ispiratore per il Progetto Educativo, e le scelte educativopastorali, culturali, didattiche e organizzative, rivolto ai responsabili locali ed ispettoriali delle scuole/cFP salesiani. Presentazione del modello di autovalutazione tenuto conto dell’oggetto e dell’ampiezza del campo dell’educazione formale, è risultato necessario strutturare il modello di autovalutazione con coerenza interna in funzione dell’obiettivo. Per questo motivo nel questionario vengono distinte tre aree tematiche che mostrano maggiore rilevanza in relazione agli aspetti da valutare nella scuola e Formazione Professionale salesiana: l’area del progetto educativo, l’area della competenza pedagogica e della vocazione educativa, l’area della cultura organizzativa. A questo scopo, dunque, all’interno di ogni area tematica vengono individuati degli ambiti e per ciascuno di essi sono stati formulati gli indicatori: a) il primo punto da porre in rilievo della logica dell’autovalutazione è la capacità di classificare e misurare gli elementi essenziali della proposta educativo-pastorale per la scuola/CfP salesiani (cfr. Dicastero per la Pastorale Giovanile (2013), Quadro di Riferimento per la Pastorale Giovanile, 193-197). Abbiamo adoperato il termine “ambiti” all’interno di ogni area per specificare questa proposta. sono effettivamente caratteristiche essenziali della scuola e della Formazione Professionale salesiana. b) Gli indicatori cercano di rilevare l’insieme d’interventi, azioni particolari, politiche specifiche ed elementi osservabili che si riferiscono alla mappa delle tre aree tematiche. in termini generali un indicatore può essere considerato come un mezzo per fornire informazioni, un dispositivo di allarme che ne segnala il corretto o cattivo funzionamento. L’indicatore in sé non consente di stabilire la causa di un determinato problema o di definire un rimedio, semplicemente costituisce un sintomo che permette di dirigere l’attenzione su uno o più aspetti che riguardano lo stato di salute della scuola/cFP salesiani. Per effettuare la rilevazione e l’autovalutazione con questo modello d’indicatori, è bene ricordare che essi possono essere definiti in base alla tipologia d’informazione presa in considerazione: 55 • Modalità 1. le domande rilevano dati che prevedono una risposta di tipo si/no (S/N). • Modalità 2. Altre domande sono quelle che richiedono di esprimere il grado di soddisfazione (V) secondo un punteggio: 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente. in alcuni casi, infatti, non è sufficiente sapere se una pratica esiste o meno nella scuola (modalità 1), ma risulta necessario conoscere in che misura questo elemento sia ritenuto accettabile, cioè, quanto si avvicini allo standard ritenuto ragionevole. in questa situazione, gli indicatori della seconda modalità si riferiscono a variabili alle quali si attribuisce un criterio di qualità con la domanda «come valuta l’adeguatezza e completezza?». • Modalità 3. Quesiti di tipo numerico: essi richiedono di esprimere una quantità, riportano una modalità di tipo metrico attraverso l’espressione di un giudizio in valore percentuale (%) di risposte affermative sul totale; in altri casi, gli indicatori fanno riferimento a dati numerici assoluti (M). Gli indicatori di quest’ultima modalità non danno luogo a un particolare giudizio (non valutano), ma servono a programmare interventi specifici nel futuro, oppure per approfondire determinati aspetti. c) il questionario contiene anche una sezione dedicata alle questioni aperte, linee di riflessione che le ceP potranno ulteriormente prendere in considerazione durante il processo di autovalutazione. infine offriamo una rappresentazione sintetica dei dati, ovvero una griglia di sintesi per consentire una lettura più semplice e immediata delle informazioni raccolte: Tavola valutativa di sintesi. Indicazioni metodologiche per l’uso del modello di autovalutazione il presente modello di autovalutazione, quale strumento di animazione interno e flessibile, si propone come un questionario impiegato a livello locale, nelle scuole di ogni ordine e grado e nei cFP delle varie ispettorie salesiane d’europa, quale aiuto per individuare i punti di forza e per rilevare debolezze e limiti, su cui lavorare. 1. sarà perciò necessario sensibilizzare alla conoscenza e all’uso di questo strumento innanzitutto le Commissioni Scuola/CfP e le strutture di coordinamento che già esistono a livello ispettoriale e nazionale. 2. La comunicazione personale con Ispettori, Direttori e il coordinamento ispettoriale dei Presidi e Direttori di CfP sull’utilità di questo strumento farà certamente maturare convinzioni e motivazioni, in particolare per dare maggior vigore alla crescita della scuola salesiana europa. l’autovalutazione potrà avvenire attraverso un duplice confronto: con i risultati dell’ispettoria di appartenenza per rendersi conto del proprio posizionamento; con 56 i risultati della precedente verifica effettuata dalla scuola/cFP stessa (un anno prima) per osservare eventuali punti di miglioramento e iniziativa da intraprendere. 3. Qualunque sistema di valutazione deve essere introdotto con gradualità ed essere il più possibile condiviso. Quindi, sarà necessario che i dirigenti coinvolgano in loco tutti i membri della CEP (il personale docente, il personale amministrativo e ausiliario, i genitori, gli studenti, ecc.). 4. inoltre, per svolgere il compito di autovalutazione è opportuno avvalersi di un gruppo di analisi interno alla scuola/CfP, ossia di un vero e proprio gruppo di autovalutazione, che si faccia carico del percorso autovalutativo, con l’impegno di coinvolgere nel progetto tutti i soggetti della ceP. PE. 1 Ambito dello stile educativo salesiano e del Sistema Preventivo 57 Rilevazione sul campo 1. Area del progetto educativo «tutti gli elementi e gli interventi indicati che configurano il PePs della scuola/ cFP devono essere inseriti nel più ampio e compressivo Progetto Educativo, secondo le disposizioni legislative emanate dai Governi. la pianificazione pastorale del PePs esprime e definisce l’identità della scuola, esplicitando i valori evangelici a cui essa s’ispira, traducendoli in precisi termini operativi. il PePs è il criterio ispiratore e unificatore di tutte le scelte e di tutti gli interventi (programmazione scolastica, scelta degli insegnanti e dei libri di testo, piani didattici, criteri e metodi di valutazione). Distingue l’intenzionalità pastorale che anima tutta la CEP, decisiva in tutti gli elementi e le articolazioni della scuola/CFP». (La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, 202) AMBITI INDICATORI9 Pe.1.1 Qualità dell’ambiente educativo a. c’è una procedura specifica per accogliere gli studenti che entrano per la prima volta nell’ambiente salesiano scolastico e di FP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di tale procedura? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. c’è una procedura specifica per accogliere e accompagnare il nuovo personale docente e ausiliario-amministrativo? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di tale procedura? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. Qual è il numero dei neoassunti nell’ultimo anno scolastico tra i docenti e il personale ausiliario-amministrativo, che sono stati accompagnati secondo questa procedura? M d. esiste un piano di manutenzione dell’edificio scolastico che si occupi di sicurezza, muratura, copertura, serramenti, impianti di riscaldamento, igiene, ecc.? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questo piano? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente Segue 9 legenda: S/N = risposta di tipo si/no; V = grado di soddisfazione; % = percentuali delle risposte positive sul totale; M = valori assoluti rilevati. 58 Pe.1.2 conoscenza, approfondimento e applicazione dei nuclei fondanti della proposta educativo-pastorale salesiana nelle scuole/cFP a. Durante l’anno scolastico, quanti incontri istituzionali sono previsti per l’illustrazione della proposta educativo-pastorale ai membri della comunità educativo-Pastorale? M – per allievi; – per docenti; – per l’intero personale amministrativo; – per genitori. b. Durante l’anno scolastico, quante modalità sono previste per valutare la coerenza tra le dimensioni del Progetto educativo-Pastorale salesiano e quelli presentati nei libri di testo e nei materiali didattici scelti per l’insegnamento delle singole discipline? M PE. 2 Ambito della cittadinanza e del senso di appartenenza (onesti cittadini) AMBITI INDICATORI Pe.2.1 educazione alla partecipazione attiva alla vita sociale, politica ed ecclesiale a. Qual è la percentuale dei membri della comunità educativo-Pastorale che partecipano alle iniziative sociali rivolte alla comprensione e all’apertura verso realtà problematiche, coinvolgendo in gesti concreti di solidarietà? M – allievi; – docenti; – personale amministrativo; – genitori. b. ci sono delle iniziative promosse annualmente dalla scuola/cFP finalizzate a favorire un dialogo con i rappresentanti della chiesa locale? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di queste iniziative? 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. Qual è il numero delle iniziative promosse annualmente dalla chiesa locale, associazioni o istituzioni educative (diocesi, congregazioni religiose, movimenti, associazioni, centri educativi, mondo del lavoro, ecc.) alle quali la scuola/cFP ha partecipato ufficialmente. M Pe.2.2 Visibilità e significatività dell’ambiente educativo nel territorio a. c’è un elenco (check list) che attesta la partecipazione degli studenti alle varie attività sociali, culturali e lavorative proposte dalla scuola/cFP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di quest’elenco?V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Qual è il numero medio di manifestazioni rivolte all’esterno che la scuola/ cFP organizza durante l’anno (convegni, mostre, manifestazioni teatrali, concerti, attività sportive, pubblicità, stage, ecc.) tese ad affrontare tematiche riguardanti il territorio? M c. Qual è il numero medio di iniziative promosse annualmente dalla scuola/ cFP in collaborazione con soggetti esterni non appartenenti alla comunità ecclesiale? M d. ci sono momenti di studio e di analisi promossi annualmente dal consiglio della ceP della scuola/cFP finalizzate a conoscere le caratteristiche socioeconomiche e culturali delle famiglie degli allievi (ad esempio, la tipologia di famiglia, il tasso di occupazione e disoccupazione, l’appartenenza alla prima o alla seconda generazione di immigrati, le risorse materiali ed educative disponibili in casa, ecc.)? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi momenti?V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente e. Qual è il numero medio delle iniziative svolte durante l’anno, rivolte specificamente al territorio, e finalizzate alla conoscenza e alla promozione della proposta educativo-pastorale della scuola/cFP? M 59 PE. 3 Ambito dell’autonomia e della responsabilità, in particolare degli studenti AMBITI INDICATORI Pe.3.1 senso di responsabilità nei riguardi di sé stessi, degli altri, dell’ambiente Pe.3.2 Promozione del protagonismo giovanile nel processo di crescita integrale e di assunzione del proprio progetto di vita a. esistono dei percorsi curriculari che contengono specifiche strategie tese a favorire negli studenti lo sviluppo del senso di responsabilità nei confronti del loro compito nella scuola/cFP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi percorsi? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. esistono dei percorsi curriculari che includono l’impiego di strategie e metodi di insegnamento in grado di attivare la partecipazione degli allievi? % come valuta l’adeguatezza e completezza di questi percorsi? 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. esistono momenti che facilitano la partecipazione, l’accoglienza e l’inclusione delle proposte degli studenti? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi momenti? 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente a. esistono spazi concreti per la partecipazione dei giovani alle attività extra curriculari complementari, integrative, di sostegno e proposte libere, dove esse sono eseguite in tutte le loro fasi, dalla progettazione all’attuazione e verifica? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi spazi? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. esistono nei raduni dei diversi Dipartimenti o dei gruppi disciplinari dei docenti momenti di valutazione sul lavoro cooperativo degli studenti? % come valuta l’adeguatezza e completezza di questa valutazione? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. esistono nei raduni del collegio dei docenti momenti di valutazione sui percorsi curricolari dal punto di vista delle loro adeguatezza rispetto il mondo del lavoro per promuovere la auto-responsabilità e l’imprenditorialità? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa valutazione? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente QUESTIONI APERTE 60 PE. 4 Ambito spirituale, etico e dei valori evangelici: approfondimento e condivisione AMBITI INDICATORI Pe.4.1 Valori percepiti e riconosciuti da studenti e dalla comunità educativo-Pastorale a. esistono iniziative con le quali viene rilevata la percezione della scuola/cFP che hanno gli studenti (questionari, colloqui diretti, ...)? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di queste iniziative? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. esiste un riferimento esplicito all’antropologia cristiana dell’educazione (la concezione cristiana dell’uomo, del mondo, della vita) nei documenti programmatici della scuola /cFP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi riferimenti? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. Durante l’anno scolastico esistono momenti previsti per analizzare la proposta curriculare dal punto di vista della formazione umanistica, indispensabile per la conoscenza dell’uomo e del mondo e per favorire un impegno solidale? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questo analisi? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente Pe.4.2 Valori umani ed evangelici vissuti dagli studenti e dalla comunità educativo-Pastorale a. Quante iniziative di formazione sono realizzate per il personale docente, ausiliario, amministrativo indirizzate alla loro crescita umana e cristiana? M come valuta l’adeguatezza e completezza di questa formazione? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. esiste una programmazione pastorale della scuola/cFP periodicamente aggiornata e verificata? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa programmazione? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. Qual è il numero degli interventi tesi all’evangelizzazione, rivolti agli studenti nel loro complesso o divisi per gruppi? M – incontri giornalieri - “Buongiorno” (a settimana); – esperienze di carattere formativo-spirituale (annuali); – momenti espliciti di preghiera e di celebrazione (annuali); – tempi di aggregazione e di festa salesiana (annuali). * nelle ceP c’è l’impegno collegiale di... – studiare e riconoscere le sfide della complessa società odierna e del mercato del lavoro? – aggiornare adeguatamente l’offerta formativa e professionale erogata dalla scuola/cFP? – crescere nell’attuazione di un Progetto educativo cristianamente ispirato? 61 2. Area della competenza pedagogica e della vocazione educativa «La formazione e l’aggiornamento degli insegnanti sono grandi opportunità per ogni istituzione educativa e per coloro che in essa operano. occorrono una formazione e un aggiornamento dei nostri docenti - non solo nell’aspetto metodologico e disciplinare - che ne qualifichi la pro fessionalità nella scuola salesiana, secondo un progetto formativo che coniuga fede, scienza e vita. Perciò, il percorso formativo dei docenti dovrebbe curare: una professionalità pedagogicamente efficace; uno stile educativo salesiano qualificato; una spiritualità cristianamente vissuta; una personalità umanamente ricca e accogliente. nella formazione si auspica maggiore attenzione alla pastorale educativa nelle dinamiche specifiche della scuola». (La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, 202-203) CP. 1 Ambito della maturità del docente: capacità di coltivare la propria crescita personale in tutte le dimensioni della vita AMBITI INDICATORI10 cP.1.1 Apertura e disponibilità allo sviluppo della propria maturità personale integrale: affettiva, spirituale e culturale a. esiste un piano o progetto istituzionale della scuola/cFP per la formazione continua del personale docente? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questo piano o progetto? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Qual è mediamente la percentuale di educatori che partecipano alle iniziative di carattere spirituale, formativo e salesiano (incontri di formazione salesiana, celebrazioni eucaristiche e penitenziali, momenti di riflessione durante l’anno, ritiri/esercizi spirituali, ecc.)?% cP.1.2 impegno educativo come fonte di senso e di realizzazione del proprio progetto di vita a. Qual è la percentuale di educatori laici che operano stabilmente (da almeno cinque anni) nella scuola/cFP, in rapporto al totale del personale docente? % b. esistono modalità previste per la valutazione personalizzata - da parte della direzione della scuola/cFP - degli educatori sulla loro formazione umano-cristiana e sull’adempimento del compito educativo? M come valuta l’adeguatezza e completezza di queste modalità? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente cP.1.3 Valutazione positiva verso l’autoformazione e il processo continuo di formazione a. Qual è la percentuale di educatori neoassunti che vengono accompagnati nell’elaborazione di un percorso di formazione professionale? % b. Quante modalità sono annualmente previste per la rilevazione delle attese formative di educatori, a medio e lungo termine, attraverso dialogo, incontri e/o l’elaborazione di questionari per formulare e aggiornare il piano istituzionale per la formazione continua? M c. Qual è il numero medio di ore di formazione offerte dalla scuola /cFP per il personale docente e non docente della scuola/cFP? M d. Qual è la percentuale di insegnanti che ha svolto autoformazione, non gestita dalla scuola/cFP, ma lasciata all’iniziativa dei singoli? % 10 legenda: S/N = risposta di tipo si/no; V = grado di soddisfazione; % = percentuali delle risposte positive sul totale; M = valori assoluti rilevati. 62 CP. 2 Ambito professionale del docente: orientamento verso la qualità ed il miglioramento continuo nella pratica della missione educativa AMBITI INDICATORI cP.2.1 identificazione e impegno nella missione, nella visione e nei valori che definiscono l’identità salesiana della scuola/cFP a. Vi è una procedura specifica per la selezione del personale docente e non docente nella scuola/cFP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa procedura specifica? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Viene richiesta un’esplicita adesione al Pe della scuola quando si realizza la selezione del personale? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa richiesta specifica? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente cP.2.2 impegno per la qualità e il miglioramento continuo del servizio della comunità educativo-Pastorale, attraverso l’attuazione del Progetto educativo a. Vi è una documentazione accessibile, aggiornata e condivisa del Progetto educativo della scuola/cFP? S/N b. esistono delle modalità previste annualmente per elaborare, condividere e migliorare gli indirizzi strategici del Progetto educativo della scuola/cFP nell’ambito degli organi collegiali scolastici? S/N c. Quanti progetti (attività di pre e post scuola) arricchiscono l’offerta curricolare utilizzando l’esperienza dei docenti, di collaboratori esterni invitati dalla scuola o operanti nel territorio? M d. Qual è la percentuale di educatori che, come volontariato svolgono nella scuola/cFP, oltre l’orario di servizio, attività integrative di sostegno, di animazione, di associazionismo, di volontariato sociale, di catechesi, ecc.? % cP.2.3 Accettazione di comunicazione e dialogo educativo-pedagogico come aree fondamentali del proprio servizio e lavoro educativo a. i criteri di valutazione accademica sono scritti chiaramente, pubbli camente conosciuti e condivisi da studenti, educatori e famiglie? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi criteri? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Quale percentuale del personale docente usa, abitualmente e con competenza, le nuove tecnologie informatiche e di comunicazione?% 63 CP. 3 Ambito dell’identità cristiana del docente: una identità cristiana che collabora allo sviluppo di un mondo nuovo nella prospettiva del Regno di Dio AMBITI INDICATORI cP.3.1 Promozione della sintesi fede-cultura-vita a. Qual è il numero di unità didattiche preparate collegialmente e in modo interdisciplinare per l’integrazione di fede e cultura? M b. Vi sono iniziative con altre scuole/cFP salesiani per condividere le proprie esperienze come educatori di una scuola cattolica? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di queste iniziative? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente cP.3.2 Visibilità e testimonianza dei valori proposti nella proposta educativo-pastorale, cuore del Progetto educativo della scuola/cFP a. Quante iniziative sono promosse in media annualmente per la condivisione e il dialogo tra i docenti e la comunità religiosa salesiana? M b. nella comunità educativo-Pastorale, quante modalità di riflessione sulla dimensione evangelizzatrice della scuola/cFP e sui modi adeguati di realizzarla sono stati programmati? M c. esiste partecipazione della scuola/cFP nelle iniziative della scuola cattolica del Paese o della regione? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa partecipazione? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente cP.3.3 creazione di un ambiente di accoglienza e integrazione per i più disagiati e vulnerabili a. nella scuola o nel cFP qual è il tasso di drop-out (studenti che abbandonano l’ambiente scolastico senza concludere l’anno, esclusi i trasferimenti)? % b. Quante iniziative (attività di recupero e sostegno) sono promosse annualmente dalla ceP per l’accoglienza e l’integrazione di studenti che hanno abbandonato la scuola? M c. Quante procedure e/o strategie scelte dalla ceP per l’inclusione e l’integrazione di allievi/e provenienti con bisogni educativi speciali e disabilità? M d. Quante iniziative di vario genere sono promosse dalla ceP per l’accoglienza e l’integrazione di allievi/e di altre culture e religioni? M 64 CP. 4 Ambito dell’identità salesiana: assume e mette in pratica il Progetto Educativo-Pastorale salesiano, secondo lo stile pedagogico salesiano AMBITI INDICATORI cP.4.1 Accompagnamento degli allievi nel processo di crescita attraverso un’azione educativa integrale a. Qual è la percentuale di allievi per i quali sono approntati specifici percorsi personalizzati (itinerari didattici differenziati con interventi specifici) in accordo con docenti e famiglia? % b. Qual è la percentuale di allievi che fruiscono di spazi e tempi reali di accompagnamento personale nella scuola/cFP? (oltre il servizio psicopedagogico scolastico) % c. c’è un archivio aggiornato e fruibile relativo allo sbocco occupa zionale (inserimento nel mercato del lavoro o nel mondo impren ditoriale) o di studio di allievi della scuola/cFP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questo archivio? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente d. Qual è la percentuale di allievi frequentanti nel precedente anno scolastico e non continuano nel anno successivo? % cP.4.2 Applicazione della metodologia educativa salesiana attraverso la presenza educativa, la gradualità e il rispetto delle possibilità, dei bisogni e delle attese di ciascuno giovane a. esistono forme di ascolto e consulenza pedagogica, educativa e pastorale per le famiglie da parte degli educatori e dei coordinatori/preside? S/N come valuta l’adeguatezza e comple tezza di queste forme?V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. esistono forme di orientamento scolastico e professionale siste mico programmati nella scuola/cFP? M come valuta l’adeguatezza e completezza di queste forme?V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente c. esistono momenti previsti nel collegio dei docenti per prestare attenzione all’emergere di disagi, per intuirne le problematiche latenti e programmare gli interventi più opportuni? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi momenti?V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente cP.4.3 coinvolgimento attivo nella progettazione, sviluppo e valutazione del Progetto educativo- Pastorale della scuola/cFP11 a. esistono modalità previste per rilevare il grado di soddisfazione dei docenti in ordine alla finalità del Progetto educativo-Pastorale? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di queste modalità? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Qual è il numero di studenti coinvolti direttamente nella progetta zione, nello sviluppo e nella valutazione del Progetto educativo-Pastorale della scuola/cFP? M c. Qual è il numero di genitori coinvolti direttamente nella progetta zione, nello sviluppo e nella valutazione del Progetto educativo-Pastorale della scuola/cFP? M QUESTIONI APERTE * Quali iniziative specifiche sono attuate per...: – potenziare la dimensione vocazionale di ciascun membro della ceP? – far crescere la cultura vocazionale nella ceP? – stimolare la presenza animatrice dell’educatore nel cortile? – andare oltre il ‘professionalismo’, potenziando lo spazio salesiano che accoglie i giovani e li conosce uno per uno...? 11 il PeP è il nucleo del Progetto educativo dove infatti troviamo delineato i principi ispiratori, la proposta educativa, lo stile educativo, tipo di scuola e comunità educativo-Pastorale. il PeP, ispirato nel sistema pedagogico di Don Bosco è rivolto a tutti coloro che collaborano alla realizzazione della nostra missione salesiana. 65 3. Area della cultura organizzativa «le strutture di partecipazione e corresponsabilità mirano a creare le condizioni ideali per una sempre maggiore comunione, condivisione e collaborazione tra le diverse componenti della ceP. il fine è l’attuazione del Progetto educativo-Pastorale e la crescita della collaborazione fra docenti/formatori, alunni e genitori. Queste strutture variano secondo i Paesi e le diverse legislazioni scolastiche. Per questo, ogni ispettoria deve definire le modalità opportune e concrete di organizzazione, funzionamento interno e responsabilità delle scuole/CFP». (La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, 203) CO. 1 Ambito della Comunità Educativo-Pastorale AMBITI INDICATORI12 co.1.1 organizzazione e gestione di gruppi e compiti a. esiste un’associazione di ex-allievi/e che collabora con la scuola/ centro FP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa collaborazione? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Qual è la percentuale del tempo dedicato alle questioni e compiti amministrativi? % – da parte dei dirigenti; – da parte dei docenti. co.1.2 Qualità delle relazioni istituzionali e interpersonali a. esistono annualmente incontri degli organi collegiali in cui si riflette sulla qualità delle relazioni interpersonali nella comunità educativo-Pastorale? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questi incontri? 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Qual è il numero medio annuale di incontri previsti tra le famiglie e i docenti secondo il calendario predisposto ad inizio anno dai rispettivi collegi Docenti? M co.13 Presenza e funzionamento del consiglio della ceP nella scuola/cFP a. Quanti tempi sono previsti per il dialogo o il rapporto periodico tra il consiglio della ceP e i membri della comunità educativa- Pastorale? M 12 legenda: S/N = risposta di tipo si/no; V = grado di soddisfazione; % = percentuali delle risposte positive sul totale; M = valori assoluti rilevati. 66 CO. 2 Ambito della partecipazione e della corresponsabilità da parte degli studenti, del personale docente e non docente... AMBITI INDICATORI co.2.1 * nella progettazione, conduzione e verifica dei risultati ottenuti in rapporto agli obiettivi del Progetto educativo a. esistono modalità previste per conoscere la partecipazione e il coinvolgimento nell’elaborazione del Progetto educativo della scuola/cFP? S/N – da parte degli allievi; – da parte del personale non docente; – da parte dei genitori. come valuta l’adeguatezza e completezza di queste modalità? 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente co.2.2 * nella verifica dell’azione educativa quotidiana a. esistono modalità previste di valutazione e miglioramento dell’offerta didattico-formativo? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di queste modalità? 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. Qual è il numero di modifiche dell’offerta formativa attuato dalla scuola/cFP nel corso dell’ultimo triennio (sperimentazioni attivate, nuovi indirizzi aperti, ecc.)? M c. esistono modalità per conoscere – in numeri reali – la presenza di figli di ex-allievi/e che tornano nelle nostre scuole/cFP per esser educati nello stile salesiano? S/N d. esistono modalità (sondaggi) rivolti a ex-allievi/e previsti per conoscere le caratteristiche e gli aspetti dell’educazione integrale ricevuta? M co.2.3 * nell’animazione e coinvolgimento dei gruppi giovanili, e nella partecipazione attiva alle iniziative salesiane locali, ispettoriali e nazionali a. Quante sono mediamente in un anno le iniziative promosse dall’ispettoria alle quali la scuola/cFP ha partecipato con i suoi gruppi giovanili? M 67 CO. 3 Ambito comunicativo AMBITI INDICATORI co.3.1 Diffusione delle decisioni assunte all’interno dell’ambiente educativo scolastico o professionale a. Viene utilizzato un sito internet (rete interna, blog, ecc.) per informare regolarmente sull’offerta formativa e sulle varie iniziative/ attività della scuola/cFP? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questo sito? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente b. esiste una procedura abituale per comunicare le decisioni, le novità e le ragioni di esse al personale e ai principali portatori di interesse? S/N come valuta l’adeguatezza e completezza di questa procedura? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente co.3.2 Diffusione delle iniziative dell’ambiente educativo sul territorio a. esistono iniziative specifiche (articoli stampa, opuscoli, DVD, ecc.) che sono state realizzate negli ultimi due anni per comunicare/ diffondere esplicitamente la proposta formativa della scuola/cFP? M come valuta l’adeguatezza e completezza di queste iniziative? V 1 = assenza di elementi per la valutazione / 2 = inadeguato / 3 = parzialmente adeguato / 4 = adeguato / 5 = più che adeguato / 6 = eccellente 68 Tavola valutativa di sintesi I. Area del progetto educativo Indicatori Pe 1.1 Qualità dell’ambiente educativo Pe 1.2 conoscenza, appro - fondimento e applicazione dei nuclei fondanti della proposta educativo- pastorale salesiana nelle scuole/cFP Pe 2.1 educazione alla partecipazione attiva alla vita sociale, politica ed ecclesiale Pe 2.2 Visibilità e significatività dell’ambiente educativo nel territorio Pe 3.1 senso di responsabi lità nei riguardi di sé stessi, degli altri, dell’ambiente Pe 3.2 Promozione del pro tagonismo giovanile nel processo di crescita inte grale e di assunzione del proprio progetto di vita Pe 4.1 Valori percepiti e riconosciuti da studenti ed il resto della comunità educativa-Pastorale Pe 4.2 Valori umani ed evangelici vissuti nella comunità educativo-Pastorale E13 +14 - Note, indicazioni di intervento e proposte di miglioramento a a b b c c d d e a a b b c a b c a a b b c c d d e a e a b b c c a a b b c c a a b b c c d d a a b b c c a b c c e 13 Quantità delle entrate: il numero di persone, secondo il gruppo di appartenenza (docenti, allievi, genitori, ecc.), dell’istituzione scolastica/professionale che hanno partecipato alla rilevazione. 14 Valorizzazione positiva come punto di forza – positivo; oppure, punto di debolezza – negativo – (colonna seguente) dell’indicatore. 69 II. Area della competenza pedagogica e della vocazione educativa Indicatori cP 1.1 Apertura e disponibi lità allo sviluppo della pro pria maturità personale integrale: affettiva, spirituale e culturale cP 1.2 impegno educativo come fonte di senso e di realizzazione del proprio progetto di vita cP 1.3 Valutazione positiva verso l’autoformazione e il processo continuo di formazione cP 2.1 identificazione e im pegno nella missione, nella visione e nei valori che definiscono l’identità salesiana della scuola/cFP cP 2.2 impegno per la quali tà e il miglioramento con tinuo del servizio della co munità educativa, attra verso l’attuazione del Progetto educativo cP 2.3 Accettazione di comu nicazione e dialogo educa tivo-pedagogico come aree fondamentali del proprio servizio e lavoro educativo cP 3.1 Promozione della sintesi fede-cultura-vita cP 3.2 Visibilità e testimo - nianza dei valori proposti nella proposta educativo-pastorale, cuore del Pro getto educativo della scuola/cFP E + - Note, indicazioni di intervento e proposte di miglioramento a a b b a a b b a a b b c c d d a a b b c c a a b b c c a a b b c c a a b b a a b b c c Segue cP 3.3 creazione di un am biente che favorisca la crescita interiore dei gio vani e che aiuti i ceti so ciali più disagiati e vulnerabili cP 4.1 Accompagnamento degli allievi nel processo di crescita attraverso un’azione educativa integrale cP 4.2 Applicazione della me todologia educativa sale siana attraverso la presen za educativa, la gradualità e il rispetto delle possibili tà, dei bisogni e delle attese di ciascuno giovane cP 4.3 coinvolgimento attivo nella progettazione, sviluppo e valutazione del Progetto educativo-Pastorale della scuola/cFP 70 a a b b c c d d a a b b c c d d a a b b d d a a b b d d 71 III. Area della cultura organizzativa Indicatori co 1.1 organizzazione e gestione di gruppi e compiti co 1.2 Qualità delle relazioni istituzionali e interpersonali co 1.3 Presenza e funziona mento del consiglio della ceP nella scuola/cFP co 2.1 Partecipazione e cor responsabilità nella proget tazione, conduzione e verifica dei risultati ottenu ti in rapporto agli obiettivi del Progetto educativo co 2.2 Partecipazione e corresponsabilità nella verifica dell’azione educativa quotidiana co 2.3 Partecipazione e cor responsabilità nell’anima zione e coinvolgimento dei gruppi giovanili, e nella par tecipazione attiva alle iniziative salesiane locali, ispettoriali e nazionali co 3.1 Diffusione delle deci sioni assunte all’interno dell’ambiente educativo scolastico o professionale co 3.2 Diffusione delle inizia tive dell’ambiente educativo sul territorio E + - Note, indicazioni di intervento e proposte di miglioramento a a b b c c a a b b a a a a b b c c d d a a b b c c d d e e a a a b b a a a 73 Bibliografia e sitografia BAss B. 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Dal leader, alla leadership, alle leadership............................................................................................................... 10 1.2. la leadership nella ieFP........................................................................................................................................................................ 12 2. Le principali funzioni di leadership............................................................................................................................................ 17 2.1. selezionare il personale......................................................................................................................................................................... 19 2.2. Presidiare l’organizzazione............................................................................................................................................................... 20 2.3. organizzare lo staff ...................................................................................................................................................................................... 21 2.4. Gestire le risorse umane........................................................................................................................................................................ 22 2.5. Risolvere problemi ........................................................................................................................................................................................ 28 2.6. Promuovere la corresponsabilità.............................................................................................................................................. 31 2.7. curare le relazioni.......................................................................................................................................................................................... 32 2.8. Promuovere cultura e valori salesiani.............................................................................................................................. 40 2.9. Promuovere la specificità della Formazione Professionale (FP)............................................ 42 2.10 sviluppare nuove opportunità..................................................................................................................................................... 43 3. Raccomandazioni......................................................................................................................................................................................................... 45 Premessaà................................................................................................................................................................................................................................... 45 Raccomandazione 1 - Funzione di leadership: selezionare il personale........................................................................................................................................................................ 46 Raccomandazione 2 - Funzione di leadership: presidiare l’organizzazione............................................................................................................................................................. 46 Raccomandazione 3 - Funzione di leadership: organizzare lo staff ...................................................................................................................................................................................... 46 Raccomandazione 4 - Funzione di leadership: risolvere problemi ......................................................................................................................................................................................... 47 Raccomandazione 5 - Funzione di leadership: gestire le risorse umane....................................................................................................................................................................... 47 Raccomandazione 6 - Funzione di leadership: promuovere la corresponsabilità............................................................................................................................................ 47 76 Raccomandazione 7 - Funzione di leadership: curare le relazioni......................................................................................................................................................................................... 48 Raccomandazione 8 - Funzione di leadership: promuovere cultura e valori salesiani ........................................................................................................................... 48 Raccomandazione 9 - Funzione di leadership: promuovere la specificità della Formazione Professionale ........................................................ 49 Raccomandazione 10 - Funzione di leadership: sviluppare nuove opportunità...................................................................................................................................................... 50 Allegati Autovalutazione di un ambiente formativo scolastico o professionale salesiano in Europa............................................................................................................................................ 53 Perché valutare le scuole/cFP salesiani...................................................................................................................... 53 Presentazione del modello di autovalutazione.................................................................................................. 54 indicazioni metodologiche per l’uso del modello di autovalutazione .......................... 55 Rilevazione sul campo........................................................................................................................................................................................ 57 1. Area del progetto educativo................................................................................................................................................... 57 2. Area della competenza pedagogica e della vocazione educativa................................. 61 3. Area della cultura organizzativa...................................................................................................................................... 65 Tavola valutativa di sintesi......................................................................................................................................................................... 68 Bibliografia e sitografia.............................................................................................................................................................................................. 73 77 Pubblicazioni nella collana del cnos-FaP e del cioFs/FP “studi, Progetti, esPerienze Per una nuova Formazione ProFessionale” ISSN 1972-3032 tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it sezione “studi” 2002 MAlIzIA G. - NIcolI D. - PIeroNI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. 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Comunità professionale automotive, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MAlIzIA G. - PIeroNI V. - SANtoS FerMINo A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 tAccoNI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 81 tAccoNI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANteGAzzA r., Educare alla costituzione, 2011 NIcolI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. 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Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MAlIzIA G. - NIcolI D. - PIeroNI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NIcolI D. - coMoGlIo M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 cNoS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 82 2012 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NIcolI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SAlAtINo S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via umbertide, 11 - 00181 roma tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - e-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2015

Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale

Autore: 
Dario Nicoli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
308
Codice: 
978-88-95640-83-9
Dario Nicoli COME I GIOVANI DEL LAVORO APPREZZANO LA CULTURA Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale Anno 2015 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 1 ©2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 2 3 SOMMARIO P RESENTAZIONE .............................................................................................................. 5 P ARTE P RIMA : LA CULTURA ED I GIOVANI DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE Oltre l’inerzia: come insegnare la cultura ai giovani............................................... 9 La bellezza della cultura e la passione dei formatori come chiave di accesso al patrimonio culturale dei giovani del lavoro ....................................... 33 Oltre il costruttivismo: il nuovo realismo ................................................................ 41 Conoscere, ovvero spiegare, comprendere e convincersi ........................................ 53 La duplice impasse culturale ed i due attivatori degli allievi della FP.................... 79 Il nodo della valutazione .......................................................................................... 117 La certificazione dei saperi e delle competenze ...................................................... 147 La cultura come incremento dell’amore per la vita................................................. 161 Parte seconda: NARRAZIONE DI ESPERIENZE DIDATTICHE Presentazione............................................................................................................ 179 L’approfondimento con i formatori del CNOS-FAP Piemonte ............................... 180 Le schede riflessive .................................................................................................. 185 Una riflessione sulle narrazioni dei formatori ......................................................... 189 Parte terza: L’ETHOS CULTURALE DELL’EDUCAZIONE AL LAVORO: GIUSTO, UTILITÀ E BELLEZZA COME CANONI DI ACCESSO AL SAPERE VIVO. UNA GUIDA PER I FORMATORI DEGLI ASSI CULTURALI Presentazione............................................................................................................ 205 Primo passo: Le chiavi di accesso culturale al mondo degli allievi......................... 206 Secondo passo: Come condurre un percorso formativo efficace ............................. 225 Terzo passo: Come mobilitare la comunità educante............................................... 245 Quarto passo: Come valutare gli apprendimenti e la crescita .................................. 259 Quinto passo: Riflettere, migliorare, aprirsi al nuovo (rinnovare la tradizione) ...... 276 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 3 Parte quarta: L’ARCHIVIO DIGITALE Presentazione dei materiali didattici ........................................................................ 287 L’Unità di Apprendimento........................................................................................ 288 La prova multidisciplinare ....................................................................................... 288 La formazione blended per apprendisti della Regione Liguria ................................ 289 B IBLIOGRAFIA ................................................................................................................ 295 I NDICE ........................................................................................................................... 299 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 4 5 PRESENTAZIONE La Formazione Professionale ha affrontato a partire dal 2002 un compito inedito: fornire ai propri allievi dei corsi di qualifica e di diploma una formazione culturale corrispondente ai traguardi di competenza concordati in sede europea (Competenze di cittadinanza europea) elaborati nella versione nazionale dell’“Obbligo formativo”. Le esperienze che si sono sviluppate hanno mostrato in generale una difficoltà ad elaborare un cammino non scolastico alla formazione ed alla valutazione di tali competenze; spesso le esperienze hanno riproposto l’approccio disciplinaristico e tendenzialmente inerte proprio del modello dell’istruzione. Ciò anche perché in diversi casi le Regioni hanno enfatizzato la dinamica delle “passerelle” dalla FP alla scuola per i giovani che vogliano accedere al diploma di Stato, generando una sorta di assunzione del modello pedagogico del mondo di riferimento. Ma ciò anche come conseguenza dell’immissione di formatori di impronta scolastica disciplinare, nonostante le Regioni e Province Autonome richiedano incarichi per assi culturali. In altri casi, il tema è stato oggetto di un approccio minimalistico, riscontrabile anche nella difficoltà (ed imbarazzo) che emerge dal processo che ha portato all’elaborazione degli standard di competenza propri degli assi culturali riferiti al sistema di Istruzione e Formazione Professionale, dove la cultura è vista esclusivamente come servente alla dimensione lavorativa. Una soluzione interessante, ma decisamente riduttiva circa il valore educativo e formativo di una formazione culturale intesa ad ampio respiro. Accanto a queste tendenze, si sono mostrate alcune esperienze connotate dalla ricerca di un approccio culturale consonante con i principi pedagogici dell’educazione al lavoro, che segnalano la volontà di fornire agli allievi della Formazione Professionale un corredo culturale più elevato proposto e valutato in modo peculiare. Il lavoro ha mirato a ricostruire alcune di queste esperienze – in specie Liguria e Piemonte – al fine di reperire un possibile modello di formazione e valutazione delle competenze degli assi culturali peculiare alla Formazione Professionale, dove accanto al canone dell’utilità venga sollecitato anche quello della bellezza, del gusto e della curiosità, entro un ethos educativo e formativo che concepisce la cultura come un “sapere vivo” capace di sollecitare le virtù buone dell’educando. Così come sostenuto da Whitehead, secondo cui, mentre l’erudizione spesso produce la paralisi del pensiero, la cultura presenta un carattere vitale, poiché rappresenta quell’attività del pensiero ricettiva della bellezza e dei sentimenti umani (Whitehead 1992). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 5 6 La ricerca è divisa in tre parti: – nella prima si analizza il percorso di riflessione sul tema del rapporto tra la cultura ed i giovani della Formazione Professionale; – nella seconda parte si dà conto di un focus group effettuato presso i formatori del CNOS-FAP Piemonte centrato sulla narrazione delle loro esperienze didattiche; – la terza parte consiste in una guida per i formatori della Formazione Professionale dal titolo “L’ethos culturale dell’educazione al lavoro: bellezza, gusto ed utilità come canoni di accesso al sapere vivo” tramite la quale, a seguito della verifica dell’ipotesi circa l’esistenza di un approccio peculiare della FP alla formazione culturale dei giovani “popolari” e facendo ampio ricorso ai materiali raccolti, viene proposto un metodo formativo e valutativo relativo alle competenze degli assi culturali, da corredare all’archivio digitale. Tale archivio, in allegato e presente sul sito internet del CNOS-FAP nazionale, consiste in una raccolta di materiali didattici sotto forma di Unità di Apprendimento, prove disciplinari ed il contenuto della formazione blended realizzata dalla Regione Liguria e rivolta agli apprendisti in diritto-dovere. Si tratta di un esempio di approccio ai saperi degli assi culturali definito ad un livello essenziale di padronanza. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 6 Parte Prima LA CULTURA ED I GIOVANI DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 7 9 Oltre l’inerzia: come insegnare la cultura ai giovani Contro il disciplinarismo Si intende per “disciplinarismo” la suddivisione del sapere sulla base di un numero esagerato di materie strutturate verticalmente, ciascuna delle quali procede in solitudine, sostenuta da una propria epistemologia costruita in diversi casi allo scopo di preservare il potere accademico, senza prevedere connessioni reciproche significative né fra di loro né fra loro ed i fenomeni rilevanti della realtà. Le discipline sono l’esito di un’operazione culturale che, originando da una particolare (e parziale) prospettiva di comprensione del reale, ha strutturato nel tempo un linguaggio peculiare fondato su principi e regole riferiti ad una specifica epistemologia e facente riferimento ciascuna ad una gerarchia generale del sapere necessario all’insegnamento ed allo studio. Tale destinazione è esplicita nell’etimologia del termine “disciplina” che deriva dal latino “discipulos” che a sua volta risulta da “disco” vale a dire “imparo”; ma nel tempo essa ha perso la valenza relativa alle riflessioni ed ai metodi necessari a suscitare l’apprendimento, finendo per rappresentare esclusivamente l’insieme delle conoscenze che ne costituiscono il contenuto. Inoltre, va segnalata la mancanza di accordo tra specialisti, che in diversi casi si trasforma in vero e proprio contrasto, circa la peculiarità epistemologica di ogni disciplina scolastica e la loro precisa collocazione entro un quadro generale del sapere. Le giustificazioni che sorreggono la mappa delle discipline non godono di consenso generale; ma anche quando vi sia un consenso accettabile su un certo ordine disciplinare, ci pensa il tempo a metterlo in discussione attraverso le nuove scoperte ed il progresso della ricerca e dell’applicazione nei vari campi della conoscenza. Infine, è necessario aggiungere che il continuo lavorio che sottostà alla strutturazione del sapere in discipline non risulta unicamente da preoccupazioni relative alla conoscenza, poiché intervengono altri fattori ben più concreti, come afferma l’antropologo Clifford Geertz: «Le grandi etichette come “scienze naturali”, “scienze biologiche”, “scienze sociali” e “discipline umanistiche” hanno un senso nella presentazione dei curricula, nel classificare gli studiosi in circoli e comunità professionali e nel distinguere grandi tradizioni di stile intellettuale... ma quando queste etichette vengono considerate una mappa dei confini e dei territori della vita intellettuale moderna o, peggio, un catalogo di Linneo in cui classificare le specie scientifiche, esse impediscono semplicemente la vista di quanto accade fuori, là dove gli uomini e le donne riflettono sulle cose e scrivono le loro riflessioni» (Geertz 1988, pp. 10-11). Come dire: la genesi e la strutturazione del sistema delle discipline non è indifferente alle logiche di potere accademico che procedono generalmente per moltiplicaziogiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 9 10 ne e separazione, mentre è estremamente raro il processo contrario di cooperazione, inclusione ed accorpamento. Vi è un punto, ed è stato abbondantemente superato, in cui l’eccesso di frammentazione del sapere e la creazione di “domini” accademici difesi da barriere epistemologiche artificiose, entra in contrasto con la possibilità di comprensione del reale. Certamente le discipline sono utili all’insegnamento, sia pure periodicamente revisionate e riaggregate 1 ; parimenti le epistemologie su cui si reggono costituiscono fattori indispensabili per una conoscenza ordinata, nell’ambito dei paradigmi culturali propri di ogni campo del sapere, tenuto conto delle concezioni via via emergenti. Ma occorre guardarsi dal disciplinarismo frammentario e soprattutto alla sua trasposizione didattica in quanto in esso operano forze che contrastano, invece che favorire, la possibilità da parte degli studenti di imparare nel senso di nutrire la propria mente. Queste forze sono raggruppabili in tre elementi: l’eccessiva frammentazione del sapere in domini separati che non raramente hanno perso il riferimento ad epistemologie consistenti; la perdita da parte dell’esperto disciplinare della curiosità verso ambiti diversi dal suo, e quindi dell’umiltà necessaria ad ampliare la visione culturale e chiedere il contributo dei colleghi al fine di fornire agli studenti una rappresentazione del reale onesta, rispettosa delle sue differenti prospettive; la cristallizzazione del sapere in elenchi di idee e minuzie inerti, fini a se stesse incapaci di suscitare partecipazione e gusto del sapere nei propri studenti, infine nella dimenticanza dell’origine problematica – financo avventurosa – della loro scoperta, come pure della loro necessaria relazione con la realtà (Russo Agrusti 1992). Quest’ultimo elemento è definibile anche con il termine “formalismo”, ad indicare lo spostamento del centro di interesse proprio di chi privilegia le regole ed i dettagli linguistici rispetto al contenuto ed alla relazione che questo intrattiene con la storia del pensiero, con il mondo e con la realtà personale degli allievi. Disciplinarismo e formalismo rappresentano due pericoli sempre presenti nell’insegnamento scolastico; essi esprimono una tendenza meccanicistica ed inerte che alligna nei sistemi educativi orientati nella prospettiva della teoria dell’istruzione e per tale motivo vanno conosciuti e periodicamente contrastati in quanto espressione della tendenza inerziale della cultura quando diviene routine didattica consolidata. Oggi l’opera di rivitalizzazione dei saperi impartiti nelle nostre scuole risulta particolarmente urgente, ma occorre innanzitutto che gli insegnanti si rendano conto di quanto questo edificio della scuola inerte sia stato spinto in avanti nell’era cavallo tra la fine della modernità e l’incerta e indefinibile postmodernità. Tre casi esemplificativi – non certo esaustivi – possono aiutare a comprendere meglio quanto sin qui esposto: le scienze, la matematica e letteratura. 1 Recentemente, le difficoltà connesse all’introduzione di discipline comprensive come “scienze integrate” e “scienze applicate”, hanno mostrato quanto sia ancora rilevante il peso del disciplinarismo nella scuola italiana. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 10 11 Le scienze Quello delle scienze rappresenta l’esempio più eclatante di quanto può essere deleterio l’incontro tra disciplinarismo e formalismo, riassumibile in una domanda: cosa ha potuto causare la progressiva scomparsa dei laboratori di scienze nelle scuole italiane? In effetti, la tanto vituperata “vecchia scuola” proponeva invariabilmente, accanto a palestre e laboratori tecnico pratici, il laboratorio scientifico nel quale gli studenti potevano osservare gli esperimenti e realizzare a loro volta talune esercitazioni, apprendendo in tal modo le discipline scientifiche secondo un metodo conforme alla loro natura. Infatti, ogni disciplina “consistente” (non costruita in modo artefatto) possiede un principio formativo implicito che indica la strada privilegiata per il suo apprendimento: nel caso delle scienze, esso consiste nel guidare lo studente nella lettura del mondo naturale e di quello delle attività umane attraverso le procedure e i metodi dell’osservazione, del problema, dell’esperimento, della scoperta. È in questo modo che lo studente conquista gli strumenti culturali e metodologici necessari per analizzare, collegare, interpretare, comprendere il mondo ed agire in esso non solo per trasformarlo ma anche per preservarlo secondo il principio della sostenibilità; nel contempo egli sviluppa ed esercita la capacità critica, l’attitudine a confrontare, comprendere e rispettare argomentazioni e punti di vista diversi dai propri, superando i vincoli derivanti da stereotipi e pregiudizi ed aprendosi ad una conoscenza perfezionata dal confronto. Le scienze si basano tutte sulla strategia dell’indagine scientifica che fa riferimento alla dimensione di “osservazione e sperimentazione”; pertanto, il percorso di apprendimento segue la logica dello svelamento progressivo della realtà a partire da esperienze concrete tramite le quali lo studente è sollecitato a porsi domande, immaginare ipotesi di soluzione, applicarle a situazioni didattiche e giungere ad una elaborazione autonoma del sapere. A cosa si riducono le scienze senza il laboratorio? Ad una mera nomenclatura. Se è vero quanto afferma Bateson, secondo cui «ogni comunicazione ha bisogno di un contesto e senza contesti non c’è significato» (Bateson 1984, p. 33), con il procedere del formalismo didattico ed il predominio del principio di economizzazione (sia delle spese a carico del Ministero e delle singole scuole sia del lavoro dei singoli docenti), ha prevalso un insegnamento inerte di tipo nozionistico e manualistico anziché per problemi; la priorità è spesso assegnata alla trasmissione tendenzialmente inerte di un insieme di termini e di formule che debbono essere acquisiti e ripetuti da parte degli studenti anziché ad un processo di comprensione sensata della conoscenza tramite coinvolgimento diretto volto a mobilitare le capacità intrinseche di osservazione, ricerca, immaginazione e ragionamento. Inoltre, nel passaggio da un livello scolastico all’altro si riparte sempre molto indietro poiché manca la condivisione di un curricolo verticale che orienti il lavoro degli insegnanti dei vari cicli scolastici e formativi. Talvolta, anche in presenza di giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 11 12 attività di laboratorio, queste vengono utilizzate nella prospettiva ristretta dell’osservazione passiva di esperimenti realizzati dall’insegnante, nonostante che un’aula attrezzata presenti molteplici e ricche occasioni di didattica per scoperta, la sola in grado di suscitare la vivacità dell’intuizione ed una comprensione piena delle proprietà degli oggetti. Vi è una precisa correlazione tra il formalismo delle discipline scientifiche e l’aumento progressivo del sentimento di noia e di disinteresse per questa branca del sapere con il crescere dell’età degli allievi. L’insegnamento scientifico viene percepito come difficile, inutile e noioso, generando un’avversione crescente rilevabile dall’endemica scarsità di iscritti alle facoltà scientifiche, che contraddice il crescente rilievo della scienza nei vari ambiti della società. In tal modo, l’aumento delle conoscenze scientifiche reso possibile dalla ricerca, peraltro apprese in gran parte in modo inerte, entra in contrasto con il senso comune di gran parte degli studenti (a cui non sono estranei neppure gli insegnanti) e ciò porta ad un apprendimento “a rovescio”: invece dell’acquisizione di principi scientifici si ottiene la conferma di pregiudizi antiscientifici 2 . A tale esito contribuisce decisamente il modo tendenzialmente acritico secondo il quale vengono forniti i contenuti agli studenti, così che i risultati appaiono essere molto deludenti e sprecano, in buona parte dei casi, il patrimonio di intelligenza dei giovani oltre al tempo dei loro insegnanti ed alle risorse pubbliche dedicate all’istruzione. Un approccio più realistico dell’insegnamento delle scienze richiederebbe un maggiore equilibrio tra metodo sperimentale e metodo centrato sulla teoria; esso necessita di un maggiore dialogo e discussione in seno alla classe in ordine non solo alle principali scoperte, ma anche alle questioni filosofiche ed etiche connesse a tali scoperte ed alla loro concreta applicazione in ambiti significativi dell’esistenza e dell’ecosistema, così da formare negli studenti vere e proprie competenze argomentative 3 . In Europa, data dagli inizi degli Anni ‘90 l’idea di sviluppare una cultura scientifica per tutti attribuendo particolare importanza alle capacità di argomentazione nell’ambito dei dibattiti socio-scientifici in grado di stimolare apprendimenti concettuali ed epistemologici. Alcuni studi mettono in evidenza, accanto a quelli 2 Si veda lo studio E URYDICE secondo cui: «I concetti e il ragionamento del “senso comune” che gli alunni hanno di molti fenomeni scientifici costituisce un “ostacolo” cognitivo che gli insegnanti delle materie scientifiche devono affrontare per poter insegnare in modo efficace... le direttive in ambito di formazione relativa alla conoscenza delle concezioni e del ragionamento del “senso comune”, e l’attitudine a tenerne conto nell’insegnamento delle scienze, mancano in quasi la meta dei sistemi educativi studiati» (E URYDICE 2006, p. 80). 3 «Facilitare le discussioni e affrontare questioni più ampie legate al contesto richiedono che gli insegnanti siano in grado di gestire situazioni di apprendimento interattive e dinamiche. Cosa ci insegna la formazione degli insegnanti sul modo in cui sono acquisite le competenze? Dalle analisi emerge che i futuri insegnanti sono tenuti, praticamente ovunque, a informarsi regolarmente sugli sviluppi scientifici e a mantenersi aggiornati e che la scelta di contesti di apprendimento significativi fa ampiamente parte della loro formazione professionale» (Ivi). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 12 13 tecnici e cognitivi, l’importanza di altri registri, emotivo, sociale, morale, quali modalità tramite le quali affrontare il contrasto tra sapere scientifico e sapere comune (Bell e Lederman 2003). Il contrasto tra scienza e senso comune deriva anche dal sentimento di minaccia per la vita dei singoli e del cosmo che istintivamente viene associato ad un mondo della ricerca e dell’applicazione tecnologica sempre più potente ed intrusivo. La didattica delle scienze è posta in mezzo tra l’impulso scientista di antica matrice positivista teso a fornire una concezione “olimpica” del sapere di cui è portatrice, inteso come unica forma di razionalità e di dominio umano sulla natura, con il suo corredo filosofico definibile come antropologia autosufficiente, e l’approccio più limitato, e necessariamente umile, finalizzato a proporre delle scienze una prospettiva empirica, come modalità appropriata per la soluzione dei problemi che rientrano nel suo spazio euristico, e pertanto non in grado, coi suoi propri mezzi, di dare risposte ai numerosi perché che essa incontra, e suscita, nel suo cammino. Come accade per molti altri casi analoghi, la scuola tende a venir fuori da tale contrasto preferendo la strada di un disciplinarismo inerte, neutro, tale da non suscitare problemi; ma senza problemi non c’è stimolo, senza stimolo manca l’interesse e senza interesse i saperi scientifici semplicemente scivolano via come l’acqua sul vetro. Vi è un esito alternativo rispetto a questa opposizione tra scientismo e disciplinarismo tendenzialmente inerte, suggerito dal grande Einstein, il quale propone uno stretto legame tra scienza e senso del mistero, non una sovrapposizione o annullamento del secondo da parte della prima: «La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero: esso è la sorgente di tutta l’arte e di tutta la scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare è come morto, i suoi occhi sono chiusi... Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato» 4 . Egli ci propone una via d’uscita in positivo da quella antinomia e quindi una chiave di interpretazione del ruolo della scuola, la quale è chiamata ad una prospettiva umana della cultura, sapendo far dialogare la visione funzionale della realtà con lo sguardo capace di leggere la realtà con stupore e meraviglia. Se è sbagliato negare consistenza razionale all’intuizione sensibile del mondo della vita, non basta neppure giustapporre i due punti di vista: occorre mantenere aperta la riflessione chiamando gli studenti a partecipare ad essa, facendo dell’argomentazione filosofico-scientifica uno degli ambiti privilegiati della conoscenza. È un metodo, quello dell’argomentazione, che corrisponde allo spirito del nostro tempo che, pur non avendo trovato il punto di equilibrio tra dominio e preservazione, potenza e natura, attribuisce grande importanza, e quindi passione, alla questione della vita sul nostro pianeta e al tema di uno sviluppo sostenibile. 4 http://www.aforismieaforismi.it/autori/aforismi_Albert_Einstein.asp giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 13 14 La matematica Ben più complesso è il caso della matematica, la disciplina verso la quale, specie nel nostro Paese, è più accentuato il senso di avversione da parte della maggioranza degli studenti (ma pure di una buona fetta della categoria degli insegnanti di area umanistica...): ciò è confermato da tutti i sistemi di valutazione standardizzati su scala internazionale (in particolare OCSE-Pisa). Ma non si tratta di un caso unicamente italiano: negli Stati Uniti è stata elaborata già dal 1972 una speciale scala di valutazione per testare l’ansia derivata negli studenti dal dover svolgere compiti di matematica (MARS - Mathematics Anxiety Rating Scale), tenuto conto che l’ansia influisce in modo rilevante sulle prestazioni connesse alla manipolazione dei numeri ed alla risoluzione di problemi matematici in vari contesti (Arem 2010). Diverse sono le soluzioni proposte: si va dalla scelta di privilegiare la scoperta dei concetti fino alla differenziazione delle tecniche di insegnamento/apprendimento. Il primo fattore pone l’accento sulla prevalenza, nella gran parte delle scuole americane, del metodo didattico della ricerca della “risposta corretta” a cui viene solitamente attribuita la causa principale dell’ansia che interessa gli studenti di matematica. Per evitare ciò, si raccomanda di concentrare l’insegnamento sui concetti lasciando che gli studenti lavorino in proprio discutendo delle varie possibilità di soluzione dei problemi e non su consegne bell’è fatte che chiedono solo l’adozione dell’unica procedura corretta. Ciò si collega alla crescente sensibilizzazione emotiva degli studenti – confermata da una gran mole di ricerche – circa l’esperienza dell’imbarazzo che si prova nel compiere un errore, specie quando ciò accade di fronte agli altri. Circa la seconda via di soluzione, si fa riferimento al concetto di intelligenze multiple elaborato da Howard Gardner (2010), secondo cui ogni alunno è in grado di apprendere ciò che gli viene richiesto a scuola, ma può imparare meglio se la didattica è pensata in modo da attivare il suo specifico stile intellettivo. Una soluzione convincente, che apre però il problema di come gestire in una classe formule didattiche variegate gestite dall’unico insegnante. La risposta a tale ostacolo si trova nella diffusione di metodologie di insegnamento/apprendimento della matematica di natura più attiva, in grado di mobilitare le risorse autonome degli studenti, quali il gioco, i gruppi cooperativi, gli ausili visivi, l’utilizzo di tecnologie informatiche individuali come il tablet: esistono oramai diverse applicazioni in rete che aiutano gli studenti (ma anche chiunque lo desideri) ad apprendere in proprio ad esempio molti concetti statistici, dal calcolo delle probabilità fino alla regressione lineare. In generale, le soluzioni prevalentemente adottate al fine di rimediare alle problematiche dell’apprendimento matematico puntano sull’attivazione degli studenti e la creazione di un contesto ricco di stimoli ed opportunità. In questo modo, gli studenti più attivi tendono a porre domande critiche, ciò ingenera nella classe un’interessante discussione che consente di mettere a fuoco non solo le formule utilizzate, ma anche lo scopo della risoluzione di uno specifico problema. È molto importante la scrittura del percorso mentale risolutivo, poiché aiuta gli studenti a organizzare il loro pensiero ed in giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 14 15 definitiva a capire meglio la matematica. Accanto a ciò è di grande stimolo il metodo storico-aneddotico che punta a fornire agli studenti la genesi delle idee che hanno contribuito alla crescita della disciplina, tramite l’incontro con gli autori che le hanno create ed il contesto in cui sono state elaborate. Spesso però i metodi più attivi sono presenti esclusivamente nelle classi inferiori, mentre con il prosieguo dei gradi degli studi essi tendono a scomparire. Ciò accade, nonostante non esista un’obiezione convincente all’idea che anche gli adolescenti ed i giovani possano imparare secondo le regole del successo formativo proprie dei bambini i quali apprendono meglio quando la matematica è insegnata in un modo che risulta rilevante per la loro vita quotidiana, oppure quando possono divertirsi sperimentando. La perdita lungo il corso degli studi del piacere dello studio, dell’intuizione immaginativa e del gusto del gioco sono, come abbiamo visto, elementi propri della nefasta Teoria dell’istruzione che domina ancora nei contesti scolastici secondari ed universitari. Per imparare la matematica a qualsiasi livello e nei differenti gradi di età, gli studenti dovrebbero poter esplorare e congetturare, mobilitando le facoltà del pensiero, e ciò andrebbe proposto non in alternativa, ma accanto a soluzioni didattiche centrate su regole e procedure. Un certo modo di insegnare la matematica centrato sulla paura dovrebbe essere superato, poiché, come dimostrano gli studi citati, ciò genera ansia e l’ansia produce disapprendimento alimentando un circolo vizioso difficilmente superabile. Ciò richiama un’altra delle “teorie popolari” molto diffusa, secondo cui la matematica con il suo ampio corredo di teoremi stimolanti il pensiero analitico, ma non in stretto rapporto con il pensiero comune, costituirebbe un sapere distintivo e selettivo, accessibile solo per un’élite: soltanto pochi individui avrebbero il talento ed il “bernoccolo” per imparare la matematica, dotazione che neppure lo studio duro può compensare. In realtà questo risulta vero per la matematica pura a cui si dedicano solitamente persone dotate di un’intelligenza peculiare; ma quando queste sono chiamate ad insegnare finiscono per adottare uno stile esageratamente astruso, povero di legami con la realtà fattuale, carente di casi astratti che possano renderne intelligibile il senso, che consentano di ancorare il processo di apprendimento alle strutture del pensiero comune. Spesso chi non ha fatto fatica ad imparare, non capisce le difficoltà di chi studia e salta i passaggi oppure fa un affidamento esagerato sula “brillante intuizione”. Un buon insegnante di matematica dovrebbe possedere un’intelligenza “comune” per poter avvertire empatia per i propri studenti e comprendere l’importanza dei mezzi più idonei per afferrare un concetto o una formula. Per diverse persone dotate di menti matematiche astratte, la didattica è vista alla stregua di una perdita di tempo, oppure una debolezza volta ad “abbassare l’asticella” e banalizzare l’insegnamento con inutili divagazioni. Ciò spiega perché diversi docenti di matematica perseguano sistematicamente la selezione entro il gruppo classe dei pochi studenti che posseggono un’intelligenza simile alla loro, e si rivolgono solo a questi, lasciando gli altri in preda all’incomprensione, allo studio mnemonico di definizioni, all’applicazione meccanica di formule, al continuo recupero tramite ripetizioni pomeridiane che raddoppiano la fatica senza consentigiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 15 16 re il gusto dell’apprendere. Per questi docenti la matematica rappresenta il test di intelligenza più probante, ed annotare sul registro e sulle pagelle una sfilza di insufficienze non è un problema, ma la conferma che la loro disciplina è davvero al vertice del sapere, destinato unicamente agli eletti. Siamo così in presenza di una sorta di aristocrazia culturale che costituisce essa stessa un ostacolo all’apprendimento della matematica, a dimostrazione che spesso il disapprendimento non è legato alla dotazione dell’intelligenza degli studenti, ma alle rappresentazioni culturali degli stessi insegnanti. Purtroppo anche questa disciplina ha subito negli anni un processo di estrema formalizzazione, che ha privilegiato l’algebra a discapito della geometria, del calcolo delle probabilità e della statistica, della logica, dell’analisi finanziaria. Occorrerebbe uno studio apposito per spiegare il ridimensionamento della geometria che presenta un grande valore formativo poiché consente di esercitare il pensiero creativo, di sviluppare il disegno, di legare il calcolo alla misura, di costruire modelli ed immagini mentali, di sollecitare l’uso di descrizioni sia verbali sia scritte (Longo - Barbieri 2008). La tendenza a focalizzarsi sulla componente formale ed astratta si rivela anche nel nome della stessa matematica che, a differenza del francese (les Mathématiques), è singolare e non plurale, a significare l’estrema ampiezza delle discipline che ne costituiscono il campo di riferimento, e nel contempo la potenza del sapere teorico, in grado di intrattenere un rapporto particolare con il reale e l’orizzonte della storia delle idee. La matematica è il campo della generalizzazione delle idee astratte e queste si acquisiscono tramite uno studio accurato dei libri; ma i suoi strumenti concettuali, pur essendo di natura puramente intellettuale, fondate su assiomi considerati veri (quindi non sottomessi all’esperienza, pur essendone spesso ispirati), o su postulati ammessi in via provvisoria, trovano applicazione nelle altre scienze ed entro differenti campi della tecnica. È per questo motivo che Eugène Wigner parla della «irragionevole efficacia delle matematiche nelle scienze della natura» (1960). Un fattore che ha portato alcuni esperti, anticipando di molti anni il dibattito attuale, a proporre percorsi didattici centrati sulla scoperta: è il caso di Giovanni Prodi che ha scritto nel 1975 un testo dal titolo Matematica come scoperta (1975-1981-1982) ed ha successivamente ispirato e partecipato alla stesura del successivo testo Scoprire la Matematica (2003) scritto in collaborazione con Loris Mannucci ed altri, due volumi decisamente attuali, purtroppo poco valorizzati dai docenti forse perché richiedono maggiore impegno rispetto ai manuali tradizionali, più schematici e perciò rassicuranti. È interessante quanto sosteneva lo stesso autore in un’intervista 5 : «Si è voluto far capire agli studenti che la Matematica non è un insieme arido di principi e regole avulso dalla realtà, ma che la realtà presenta – a chi la sa guardare con occhi attenti – molteplici spunti per fare della matematica interessante». La sua impostazione metodologica è assolutamente attuale, specie nella scelta del progetto rispetto al termine programma: «Probabilmente nella parola program- 5 http://matematica.unibocconi.it/articoli/intervista-giovanni-prodi. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 16 17 ma ho sentito qualche cosa di più esterno e schematico rispetto al mio progetto di insegnamento della Matematica. Il programma mi fissa dei paletti: ma entro questi voglio costruire un tessuto più vivo e più ricco. Fra l’altro, i programmi saranno ora distribuiti fra Stato, Regione, autonomia scolastica. Ma chi fa la sintesi, chi da significato al tutto? Occorre un disegno che nasca anche da un gusto e da una sensibilità, da una concezione del far Matematica e dell’insegnare Matematica e questo non può essere contenuto nella parola programma». Ed ancora: «Io penso che ci possano essere delle difficoltà di approccio alla Matematica per problemi, ma, d’altra parte, sono convinto che il modo di insegnare la Matematica nella maggioranza delle scuole sembra fatto apposta per impedire lo sviluppo delle intelligenze. Molto si gioca sul ruolo dell’insegnante che fa da intermediario fra il testo e l’alunno. È anche certo che l’adozione di un testo innovativo non è una sine cura. L’insegnante che studia e coltiva la propria materia con piacere è quello che sa trasfondere negli studenti l’attitudine a porsi problemi e a sperimentare la soddisfazione della scoperta. Allora vale la pena di osare e di scommettere anche sulle potenzialità degli alunni». Il ruolo della teoria nella matematica risulta rilevante, ciononostante il suo rapporto con le straordinarie possibilità della mente umana ed il mondo reale è indiscutibile e molto efficace in vista dell’apprendimento. Una conferma interessante è costituita dal testo di Enrico Giusti il quale dimostra che la gran parte del sapere matematico si può rintracciare nei fenomeni che accadono in una normale cucina (2004). Se è vero che una parte dei teoremi matematici non può essere ridotta nella prospettiva dell’utilità pratica, occorre anche riconoscere che il rapporto con il reale nel corso del tempo è venuto sempre più appannandosi, a causa del decisivo influsso del mondo accademico sulle scuole superiori affinché forniscano agli studenti una preparazione che li metta in grado di fronteggiare gli esami di matematica analitica, vero e proprio scoglio di tutti i percorsi universitari scientifici e tecnologici, piuttosto che indirizzarli al valore della matematica nella comprensione del reale. In tal modo, però, la scuola secondaria superiore rischia di ridursi esclusivamente ad un lungo corso preparatorio a tale sbocco, perdendo il valore di proposta formativa peculiare, finalizzata allo specifico profilo dello studente che la scuola persegue. Ma, come dicevamo, è un problema comune, confermato dalla recente comparsa sulle pagine del New York Times di un articolo che ha suscitato molti dibattiti in altri paesi, scritto da Sol Garfunkel, direttore del Consortium for Mathematics and Its Applications , e David Mumford, medaglia Fields, professore emerito di matematica alla Brown University 6 . In esso si affronta il problema di cosa fare per migliorare l’insegnamento della matematica nelle scuole superiori americane. A tale quesito viene fornita una risposta piuttosto radicale, centrato sulla confutazione dell’ipotesi secondo cui vi 6 L’articolo è apparso il 28 agosto 2011 nel New York Times e successivamente il 14 settembre 2011 su Le Monde. Vedi http://maddmaths.simai.eu/leditoriale/come-far-funzionare-linsegnamento-della-matematica. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 17 18 sarebbe un unico corpus ben determinato di conoscenze matematiche necessarie per il cittadino. Partendo dall’assunto che esisterebbero diversi insiemi di conoscenze matematiche che sono utili per affrontare diversi mestieri, l’autore propone che l’insegnamento della matematica venga riformato di conseguenza. Anche negli Stati Uniti si è privilegiato l’approccio formale: «Oggi, le scuole superiori americane offrono un successione composta da algebra, geometria, ancora più algebra, gli inizi dell’analisi matematica e poi l’analisi vera e propria (o una versione “riformata” in cui questi argomenti sono mescolati). Questo è stato codificato dal Curriculum Comune Statale di Base, recentemente adottato da più di 40 Stati. Questo curriculum altamente astratto, semplicemente non è il modo migliore di preparare la maggior parte degli studenti delle superiori alla loro vita futura». Di contro, servirebbe un programma di matematica incentrato sui problemi della vita reale, che porti gli studenti ad apprezzare le capacità di spiegazione insite nelle formule matematiche. In tal modo, contestualizzando l’insegnamento: «Si potrebbe sostituire la successione di algebra, geometria e analisi con una composta da finanza, dati numerici e ingegneria di base. Nel corso di finanza gli studenti imparerebbero la funzione esponenziale, a usare le formule in un foglio di calcolo e a studiare i bilanci finanziari di persone, società e governi. Nel corso di dati numerici, gli studenti metterebbero insieme i propri insiemi di dati e imparerebbero come, in settori diversi come lo sport o la medicina, campioni più grandi diano una migliore stima delle medie. Nel corso di ingegneria di base, gli studenti imparerebbero come funzionano i motori, le onde sonore, i segnali televisivi e i computer. All’inizio, le varie scienze e la matematica sono state scoperte insieme, e anche adesso sarebbe meglio impararle insieme». Questo programma si fonda su due obiettivi: l’“alfabetizzazione quantitativa” ossia l’abilità di fare connessioni quantitative ogni volta che la vita lo richieda e la “modellistica matematica” ossia l’abilità di passare concretamente dai problemi quotidiani alle loro formulazioni matematiche. È un programma interessante, che merita di essere preso in adeguata considerazione anche nel nostro Paese. La letteratura Fortunatamente, l’ambito della letteratura ha visto negli ultimi anni un fiorire di riflessioni e di esperienze che hanno portato ad una maggiore consapevolezza degli insegnanti circa i modelli didattici adottati, sostenendo una campagna di “recupero del testo” letterario e dei contenuti proposti dagli autori. Ma si tratta di un cammino appena iniziato, che richiede uno sforzo di comprensione circa il particolare tipo di formalismo che ha investito questo ambito del sapere. Esso non riguarda solo la grammatica, ma anche la critica letteraria, vale a dire un’esagerata attenzione al canone che rappresenta un ulteriore modo in cui agisce la ruggine del disciplinarismo sul corpo della cultura viva. Quest’opera di appannamento e consumazione può essere spiegata anche come “sindrome del recinto” che indica il desiderio di circoscrivere ciò che ci appartiene separandolo dal resto del reale, così che possa essere definitivamente nostro. Così, la cultura letteragiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 18 19 ria è recintata entro un’oasi, trattata come una disciplina: «oggettivata e irrigidita nei propri canoni: canoni formali e storici, di cui tali studi – oggettivi – sono l’ostensione e in cui i canoni stessi giocano un ruolo di pura informazione. Ciò che conta è il canone e la sua storia e non l’attore/fruitore (il discente) e il testo (preso in sé) che ha di fronte (...). La prospettiva creativa e fruitiva degli insegnamenti estetici viene a cadere, per dar spazio ad un disciplinarismo ricalcato su modelli sette-ottocenteschi (storia dell’arte, soprattutto, e la storia della letteratura) che guardano esclusivamente o quasi al gioco oggettivo delle forme estetiche, alla loro successione diacronica, e mai alla relazione che esse hanno con la psiche, con le capacità mentali, con la creatività del discente» (Cambi, 2004, p. 91). Un sapere recintato ed irrigidito entro “canoni” formali ed estetizzanti perde la sua vitalità poiché dimentica il legame indissolubile tra forma e contenuto, ciò che gli conferisce la capacità di comunicazione e relazione, di suscitare nell’altro il riscontro che l’autore si attendeva nel momento in cui concepiva la sua opera. Perché la critica letteraria e la didattica della letteratura, specie in Europa, hanno subito una tale involuzione? Tzvetan Todorov ci ha mostrato con chiarezza come è potuta accadere questa riduzione di prospettiva nello studio della letteratura, mostrandole l’origine al di là della cortina di ferro: la scuola formalistica sorta a Mosca e Leningrado negli anni Venti del secolo scorso risultava essere l’unica strada aperta vista la mancanza di libertà derivante dall’esistenza di una dottrina ufficiale che imponeva un’unica visione circa i contenuti dell’opera letteraria. Il suo prezzo è consistito nella riduzione della retorica ad un mero esercizio di stile, e ciò corrisponde ad una delle due cause indicate dallo Pseudo Longino a spiegazione della decadenza dell’eloquenza. Ma per quale motivo la Francia dello stesso periodo, nel pieno della democrazia, quindi senza vincoli per la libertà, ad opera della corrente strutturalista ha subito l’attrazione del formalismo dell’Est Europa? È qui che entra in gioco la seconda causa, quella corruzione dei costumi che impoverisce lo spirito elevato, unica condizione in grado di alimentare il senso del sublime. La democrazia dell’Occidente si è stancata di se stessa nel senso che se ne è fatta l’abitudine, perdendo il valore epico della sua affermazione, la memoria dei sacrifici e del contributo dei grandi che l’hanno alimentata, arricchita e scossa nel corso del tempo. Nella fase del secondo dopoguerra, essa si è trovata di fronte ad una delle minacce più insidiose, un nichilismo diffuso tra il ceto degli intellettuali che dubitando del valore della loro stessa civiltà si propongono di innestarvi tradizioni estranee ed esoteriche, convinti della inesorabile decadenza dell’Occidente. Siamo ancora nell’ombra cupa del Novecento con i suoi drammi e stermini che l’hanno reso il “secolo tragico” 7 ; a causa di ciò, la coscienza europea è risultata 7 Esiste uno stretto legame tra tragedia storica e ottundimento del linguaggio, come nel caso dell’Olocausto: «Il linguaggio era stato talmente corrotto che doveva essere di nuovo inventato e purificato. [...] Spesso dicevamo meno [parole] per rendere più credibile la verità. Se qualcuno di noi avesse raccontato tutta la storia, sarebbe stato creduto pazzo. In passato, romanzieri e poeti erano in anticipo sul loro tempo: adesso, no. In passato gli artisti potevano prevedere il futuro: adesso, no. Adesso devono ricordare il passato, pur sapendo che ciò che devono dire non sarà mai trasmesso. Solo possono sperare di poter comunicare l’incomunicabilità della comunicazione» (W IESEL 1977, p. 8). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 19 20 offuscata come nella caverna di Platone: il venir meno dell’attenzione al contenuto indica una ristrettezza dello sguardo, e del cuore, che si preclude la vista nella letteratura di quel «discorso sul mondo» di cui parla Todorov (2008, p. 31). Il nichilismo dominante procede attraverso l’eliminazione sistematica dei buoni sentimenti per mostrare l’orrore della vita concepito come irrimediabile. Non avendo risposte convincenti alla coscienza del dolore cosmico che tormentava gli animi degli scrittori europei a partire dall’Ottocento, che contrapponevano arte e vita, la letteratura successiva si lascia tentare dalla fuga nell’astrazione dei discorsi formali, distorcendo la lettura dell’opera d’arte e classificandola secondo canoni astrusi, fuori dalle intenzioni degli stessi autori. In tal modo viene meno la magia del testo, il quale solo possiede il dono di comunicare al lettore, anche se sprovvisto di tutti i “prerequisiti” formalmente necessari, ciò che lo spinge a scrivere, così da «farci comprendere il mondo e aiutarci a vivere» (ibidem, p. 65). Inevitabilmente, il disincantamento della visione dell’opera letteraria corrompe il sentimento artistico così che la parola astratta si inaridisce, si involgarisce. È qui che il discorso del canone si lega decisamente alla scomparsa del “sublime”: c’è stata una frattura dei canoni artistici, in forza della quale alla visione classica dell’opera d’arte, durevole nel tempo, in grado di parlare al cuore e di indirizzare alla vita buona, si è sostituita l’immaginario prefabbricato, la provocazione, la ricerca ossessiva della bruttezza e della volgarità, la negazione del rapporto indispensabile tra arte e bellezza. La povertà dell’arte e della letteratura “contemporanei”, che l’ha fatta scivolare fatalmente nel campo della banale biografia soggettiva e del “chiasso, scandalo, sacrilegio” (Fumaroli 2011, p. 255), ci induce alla riscoperta della cultura classica, per la quale il sublime è ciò che ci permette di andare “oltre la soglia” e di coinvolgere i nostri studenti in un’esperienza culturale appagante. Molte sono, infatti, le “trappole della demotivazione” che abbiamo seminato nelle nostre scuole, e il soffocamento dell’opera d’arte è una delle più letali. Aveva ragione lo Pseudo Longino quando poneva i grandi autori al di sopra delle esistenze comuni, persone in grado, con le loro opere, di coinvolgimento e di entusiasmo. L’artista, quando è veramente ispirato, apre con la sua opera una via di intensa comunicazione con il lettore/ascoltatore che in tal modo ne rimane coinvolto e financo avvinto. È una corrente di energia che rivela una corrispondenza tra l’amore per la vita che alberga nell’animo umano e la capacità di rivelazione delle migliori opere d’arte (Muzzioli 2005). Questa corrispondenza indica anche la strada dell’insegnamento letterario: riprendendo Todorov, la letteratura è ordinata alla vita buona, non nasconde il male ed in generale ciò che vi è di terribile nell’animo umano e del mondo, ma non espone tutto questo con uno sguardo disincantato e malevolo, poiché mira a rivelare le tracce che segnalano la grandezza dell’uomo e la fecondità dell’esistenza. Essa ha il potere di sanare, specie le malattie dell’animo, oggi molto diffuse e tanto più insinuanti in quanto meno riconosciute. L’“arte del libro” è taumaturgica poiché in grado di riscattarci dalla prigione del nostro io tirannico e vulnerabile, di curare la follia derivante dalla mancanza di parole; essa aumenta il numero degli amici, ci fa sentire giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 20 21 dentro una grande famiglia di persone accomunate dalla ricerca del senso che fonda l’esistenza e aiuta a comprendere la condizione umana entro le vicende dei singoli e dei popoli. Per questo le strade scelte dalla critica letteraria, tutta centrata sugli aspetti formali e dimentica del messaggio, può spiegare almeno in parte l’afasia della nostra gioventù, il suo procedere con un linguaggio spezzettato, senza quell’ordine interno che sarebbe invece garantito dalla riflessione e dall’autentico confronto su contenuti rilevanti per il vivere umano tratti dai capolavori letterari. Lo stesso eccesso di virtualità non sembra tanto l’esito della diffusione dei nuovi media, quanto l’esito di un impulso di evasione mirante a sfuggire una realtà che si considera dominata da forze impersonali, da un uso vacuo dell’intelligenza, dal fatto che le parole dei dotti mancano il vero scopo comunicativo cui dovrebbero servire. Occorre purificare il nostro linguaggio ritornando alle grandi opere della letteratura che ci forniscono sempre e continuamente un patrimonio di saggezza che non può essere solo trasmesso, ma richiede di venire conquistato, facendo vivere agli studenti il sentimento di appartenenza ad un discorso comune valido in ogni tempo ed in ogni contesto, sull’essere umano e sul mondo. Per questo occorre rigenerare l’insegnamento letterario, sfuggendo dal formalismo astratto, affinché la scuola insegni agli studenti che le opere più elevate dell’animo e dell’ingegno umano donano un’esperienza culturale che può durare una vita (Colombo, 1996, p. 13). I giovani hanno bisogno di cultura La possibilità di un incontro tra i giovani e la cultura viva della tradizione è legata alla capacità di autorinnovamento della scuola, così che possa andare oltre la semplice funzione di “trasmissione del sapere” per perseguire una meta di grande rilevanza per la fase storica che stiamo attraversando: sottrarre la gioventù dalle angustie dell’identità apparente che la relega in uno spazio intermedio tra infanzia ed età adulta dove domina una sorta di parvenza di vita che, provocando nel soggetto e nella cerchia giovanilistica un conflitto stridente tra mondo esteriore e mondo interiore, alimenta il senso dell’inautenticità, mantiene l’io in una condizione debole e vulnerabile, preda di eccessiva introspezione e conformismo sociale. Ciò comporta per la scuola l’assunzione di due compiti decisivi: – consentire la formazione nella gioventù di un’identità autentica centrata sulla scoperta di sé e manifestazione pubblica della propria particolarità, resa attraverso l’educazione del senso della bellezza, l’incontro con coloro che hanno reso grande la nostra civiltà con opere insigni ed immortali nei vari campi del sapere; – fornire ad ogni giovane la possibilità di un legame fecondo con il mondo reale, tramite opere dotate di valore per la collettività, in cui apportare la propria novità intesa come contributo per la vita buona. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 21 22 Questo è l’alto “programma” per una scuola che voglia affrontare le sfide del rapporto tra giovani e cultura; esso presuppone che quest’ultima possegga un potere di autenticazione che consiste nel conferire ragionevolezza all’amore per la vita, e che essi ne avvertano il bisogno una volta che questa venga liberata dalle incrostazioni che l’hanno resa inerte, infeconda. Tale programma prevede due corollari: una comunità professionale di insegnanti animati da pensieri vivi e mossi dal desiderio di rendere feconda la cultura nel far sì che ogni alunno trovi la sua propria particolarità nelle incredibili varietà in cui si è espresso – e si esprimerà grazie al loro apporto ed a quello delle successive generazioni – esprime l’amore per la vita; inoltre una comunità sociale che si allea unendo le proprie migliori energie generative per rendere possibile il positivo inserimento dei giovani nel mondo reale. I giovani hanno bisogno di cultura, perché manca loro la compagnia dei grandi della civiltà che possa indicare ciò che ha valore, aiutarli ad uscire dalla sterile introspezione, definire uno scopo riscontrabile nella loro coscienza personale cui affezionarsi per farne il criterio fondamentale della loro esistenza. Se si vuole che abbiano un futuro solido, i giovani hanno la necessità di impegnarsi in una varietà di legami buoni, con gli adulti e soprattutto, anche tramite essi, con la cultura e la tradizione. Occorre pertanto aiutare i giovani a sperimentare il legame di appartenenza con la storia così da essere avvertito come risonanza personale. Il biologo Rupert Sheldrake indica in questo un fenomeno fondamentale di ogni specie: ogni membro è proteso ad attingere alla memoria collettiva, sintonizzandosi con i suoi simili del passato, così da contribuire ad un ulteriore sviluppo della specie. Egli sostiene che le attività di un individuo – coscienza, identità, memoria, sogni, esperienze mistiche – possiedono una struttura specifica, detta “campo morfico”, in grado di sopravvivere alla morte biologica ed entrare nello spazio della condivisione della specie risuonando così all’interno dei membri della stessa (Sheldrake 2011). A maggior ragione ciò accade per la razza umana, ogni nuovo membro della quale sperimenta lo sforzo di conquista della propria identità peculiare, entro un sistema di significati condivisi in una comunità non solo orizzontale ma collocata nel tempo storico. L’uomo è un essere culturale nel senso che non agisce unicamente in risposta ad istinti e bisogni, ma a sistemi simbolici ed a valori; possiede una fondamentale indole sociale e nel contempo desidera distinguersi tendendo a cercare la sua propria strada personale, sforzandosi di dare ragione di tale traiettoria; trova sicurezza e conforto nel sentirsi parte di un gruppo, una cerchia, un popolo, ed insieme è spinto verso mete a cui attribuisce valore, ma lo fa mettendo in luce le proprie peculiarità individuali, tali da aggiungere valore alla strabiliante varietà del genere umano. L’esistenza umana si qualifica tramite lo sforzo di dare un proprio nome ad ogni cosa ed esperienza che costituisce l’incredibile varietà del reale; si tratta di un incessante lavoro culturale che richiede innanzitutto la capacità di fare memoria, evocare volti e messaggi, e svolgere “in compagnia” l’opera di attribuire senso alla dinamica della vita. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 22 23 La cultura, secondo un approfondimento illuminante di Francesco Remotti (1992) presenta due accezioni, altrettanto rilevanti e indispensabili nell’opera educativa. Vi è la visione classica, che attribuisce valore culturale non già al mero imparare, ma ad un ideale educativo, un intervento diretto all’animo umano, come se fosse il terreno del contadino, in cui opera una trasformazione, da incolto a colto, e lo rende in tal modo partecipe della comunità dei dotti. Cicerone nelle Tusculanae disputationes (2, 5, 13) afferma che «cultura animi philosophia est», intendendo che il sapere non è fine a se stesso, ma possiede uno scopo morale: coltivare l’anima elevandola ai pensieri più alti, e così facendo indirizzando i comportamenti del giovane verso il bene. La metafora della coltivazione esplicita bene l’intento educativo della visione classica della cultura che pensa al fanciullo come ad una pianticella avente in sé grandi potenzialità di crescita così da diventare albero, ma rimanendo nel contempo fragile e quindi bisognosa di una guida e di una speciale cura definita appunto educazione. L’esperienza della cultura così intesa consiste in un vero e proprio cammino di elevazione, consente all’individuo di accedere ad una cerchia diversa da quella del volgo totalmente sottomesso ai costumi del luogo. Essa è la porta di ingresso in una comunità di dotti, gli eletti che costituiscono una repubblica delle scienze e delle lettere fondata non sull’opinione e sulla sottomissione ai sensi, ma all’adesione a valori di ordine universale. In questo senso, cultura non ha il significato di “contenuti del sapere”, non si pone l’obiettivo di rendere dotti i propri destinatari, bensì migliori. Ciò in forza del fatto che l’opera culturale di coltivazione dell’animo umano, è strettamente ancorata agli ideali morali dell’humanitas, quelli che Terenzio riteneva appropriati ad ogni individuo fiducioso nelle proprie capacità, sensibile e attento ai valori ed ai sentimenti della romanità, ma in una prospettiva universale trattandosi di un ideale considerato valido per tutti gli uomini, senza distinzioni etniche, sessuali o sociali: tutti coloro che condividono la massima contenuta nella sua commedia Heautontimorùmenos (Il punitore di se stesso, v. 77): «Homo sum, humani nihil a me alienum puto», che significa: «Sono un uomo: nulla di umano reputo a me estraneo». Il carattere elitario di tale visione comporta che questo cammino di trasformazione richiede da parte del discente un’adesione personale libera che esige un totale coinvolgimento basato sulla fiducia nel maestro come guida del pensiero e assieme di vita. Va aggiunto che nella prospettiva classica la cultura (dal latino “colere”) è come una medaglia che si presenta con due diverse facce tra di loro inseparabili: la prima propone di coltivare la mente, che consiste in un atto ed in una specifica qualità della relazione, mentre la seconda indica il venerare, che si riferisce al rispetto dovuto alla vita del fanciullo che per il maestro presenta un valore speciale, sacro. La cultura è saggezza, elevazione e quindi educazione; essa merita un’alta considerazione perché si riferisce al bene della gioventù, visto come un valore sacro per tutta la comunità. Platone indica nel Protagora in cosa consista la proposta culturale per la gioventù: «I maestri si occupano di loro: non appena i ragazzi hanno imparato l’alfabegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 23 24 to e cominciano a comprendere le parole scritte, come prima comprendevano la lingua parlata, danno loro da leggere, sui banchi, le composizioni poetiche dei grandi autori e li costringono a impararle a memoria. In quelle composizioni ci sono molti insegnamenti, molte descrizioni, lodi ed encomi di antichi uomini valorosi: il ragazzo, ammirandoli, li imiterà e desidererà diventare come loro. I maestri di cetra, in modo analogo per ciò che loro compete, si prendono cura anche del buon equilibrio dei giovani e si preoccupano che stiano sulla retta via. E poi, quando i ragazzi hanno imparato a suonare la cetra, insegnano loro le poesie di altri bravi poeti melici, intonandole sulla cetra, e piegano i ritmi e le armonie perché diventino familiari alle anime dei ragazzi. In questo modo saranno più miti e, divenuti più armoniosi ed equilibrati, saranno anche abili nel parlare e nell’agire. Infatti tutta la vita dell’uomo ha bisogno di ritmo e armonia» (15, 326 C.). È questo un vero e proprio programma di vita da cui si coglie con chiarezza lo stretto legame che intercorre tra accrescimento del sapere e conquista delle virtù. E la figura del maestro diviene il punto fondamentale di questo cammino di elevazione affinché l’anima dei fanciulli si familiarizzi con i valori incarnati dagli uomini valorosi e dagli artisti delle lettere e della musica. La cultura intesa in senso classico presenta un orientamento normativo: indica la via per vivere bene, è ricca di regole di vita cui l’allievo deve sottomettersi; fino alla decadenza della polis, con lo stoicismo, la prospettiva che regge l’educazione della gioventù pone il gusto come chiave decisiva della crescita umana; in tal modo il miglior alleato del maestro è lo stesso allievo nel momento in cui fa esperienza personale della ricchezza e del godimento associati allo studio ed all’allenamento. La regola è vista come la disciplina necessaria allo scopo di raggiungere l’ideale della vita buona; questa è sorretta e confermata da subito nell’esperienza della scoperta, della commozione e dell’illuminazione. L’aretè, o virtù fisica ed intellettuale, rappresenta l’ideale educativo della visione classica della cultura; in essa non si persegue la mera accumulazione di conoscenze, l’addestramento fine a se stesso e neppure la sottomissione del giovane alle regole sociali vigenti, ma si propone di suscitare nell’allievo l’imitazione delle figure degli eroi e l’interiorizzazione delle opere dei grandi pensatori, l’adesione ad una saggezza che supera le abitudini e le contingenze, da porre come riferimento per la propria esistenza. Accanto a quella classica, e spesso in contrasto con essa, si pone la versione moderna di cultura, così come emerge innanzitutto dal pensiero di Rousseau e di Voltaire, per i quali essa indica la varietà delle forme di vita messe in luce dalle scoperte etnografiche, intese come distacco progressivo dell’uomo razionale dalla condizione di natura. Mentre quest’ultima è ordinata in senso ciclico, quindi sempre se stessa, un continuo ritorno all’identico, l’esperienza umana è plurima e aperta ad una continua metamorfosi, posta in evidenza dalla varietà dei costumi come riflesso dello spirito visto come l’intelligenza umana che mostra le grandi e mutevoli potenzialità di cui è costituita. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 24 25 Voltaire scrive nel 1756 nel suo famoso Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni : «Tutto ciò che dipende intimamente dalla natura umana si assomiglia da un capo all’altro dell’universo, che tutto ciò che può dipendere dall’uso è diverso e che è un caso se è somigliante. L’impero dell’uso è assai più vasto di quello della natura; si estende ai costumi, a tutte le usanze. Diffonde la varietà sulla scena dell’universo: la natura vi diffonde l’unità; essa stabilisce ovunque un ristretto numero di principi invariabili: pertanto, la sostanza è ovunque la stessa, mentre la cultura produce frutti diversi» 8 . La conoscenza storica, per Voltaire, coincide con la riflessione sui mutamenti dei costumi e delle leggi, un incessante movimento di forme culturali drasticamente divise in due categorie: le ammirevoli e le aberranti. Il sapere degli illuministi si propone come una critica della filosofia ed insieme delle prospettive che intendono modificare l’animo umano elevandolo verso valori astratti; è tipica la visione avanzata da Johann Gottfried Herder che rappresenta la cultura come il desiderio di rimanere «costantemente in una sorta di viaggio attraverso gli uomini» (Herder 1971, p. 50) e non di fissarsi in un piccolo angolo della terra immaginando che questo rappresenti il tutto. L’intento educativo insito in questa nuova accezione di cultura può essere descritto appunto con la metafora del viaggiatore che si muove dalla sua abitazione sorretto dal desiderio della scoperta; così l’uomo moderno è mosso da un bisogno di conoscere che lo rende inquieto e lo spinge ad incontrare la varietà delle forme di civiltà. L’illuminazione di cui questi fa esperienza è ben diversa da quella degli antichi: se nell’era classica questa consisteva nell’adesione ai valori universali di verità, bellezza, bontà e giustizia, per i moderni quest’esperienza consiste nella gratificazione intellettuale della mente che riflette sulla varietà degli accadimenti reali per ordinarli secondo le loro caratteristiche evidenti, e ricercare il legame interno che consenta di spiegarli. In questo modo, il concetto di cultura si estende enormemente abbracciando una grande varietà di fenomeni, includendo tutto ciò che gli uomini pensano e fanno in quanto membri di specifiche società; così la dimensione fondamentale del sapere umano consiste nel continuo sforzo di comprendere costumi, forme sociali ed istituzionali. La nuova prospettiva culturale inaugurata con il secolo dei lumi ha effettivamente aperto il pensiero umano alla scoperta di una grande quantità di fenomeni generando uno straordinario progresso delle scienze, da quelle naturali a quelle antropologiche e sociali, consentendo all’umanità una nuova consapevolezza fondata su due capisaldi: l’autoaffermazione dell’uomo come essere supremo, capace di liberarsi dai vincoli di natura e dalla sottomissione a Dio che viene spiritualizzato in quanto motore immobile, origine di ogni cosa, ma poco significativo nel concreto della vita umana e sociale; inoltre è l’idea di una rottura radicale del corso della storia e quindi della comparsa di un’era di progresso illimitato fondato sull’autosufficienza della ragio- 8 Conclusione del Saggio sui Costumi, cap. CXCVII, citato in C AMPI , 2005, p. 140. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 25 26 ne. Si spiega in questo modo la grande passione degli illuministi per le classificazioni e le enciclopedie, come quella monumentale di Diderot e D’Alambert, viste come la possibilità di comprensione di tutto il reale da parte dell’uomo dei lumi, soggetto totalmente razionale in grado di descrivere ogni varietà di fenomeni classificandoli entro categorie fondate su leggi obiettive e poste in contenitori intellettuali dotati di una propria consistenza teorica, chiamati discipline. Nasce così l’accademia, che fornisce alla scuola moderna una fisionomia che per buona parte è rimasta intatta fino ad oggi. L’educazione, nella prospettiva dei moderni, consiste nell’apertura della mente umana alla verità delle cose così come queste si rivelano alla ragione tramite scoperta, misurazione e classificazione in vista della elaborazione di leggi universali e necessarie rette dai principi logici fondamentali tra cui svetta il rapporto causa-effetto concepito come il motore interno così della vita naturale come di quella spirituale e sociale. Lo studente viene chiamato a rendersi conto della straordinaria varietà e perfezione del reale, ed in tal modo scopre la potenza della ragione propria e di quella dell’umanità presa come un unicum, dotata non solo della facoltà di cogliere le leggi che regolano il mondo sensibile, ma anche della capacità di dare forma alla natura, liberandola così dai tratti primitivi e crudeli, sottomettendola al pensiero razionale. Egli viene chiamato ad un compito entusiasmante: edificare la realtà in base a principi razionali di bene, e partecipare all’opera epica di ricreare la stessa umanità affinché, liberata dai suoi propri limiti, come pure dalle visioni superstiziose e false, possa finalmente ergersi al posto che le spetta nell’ordine delle cose. Ma la crisi della visione moderna della realtà, specie il venir meno della fiducia indiscussa nella ragione e nel sapere, intesi come strumenti di progresso, così come è stata elaborata dalla componente illuminista che mira ad una fondazione critica e gnoseologica della scienza, sia in quella di matrice positivista, più fiduciosa in modo acritico nella validità del pensiero scientifico e delle sue applicazioni tecnologiche, emerge nel tempo che stiamo vivendo, al tramonto dell’era moderna, non solo come stordimento di fronte alla varietà del reale e dei punti di vista su di esso, ma anche e soprattutto come dubbio radicale circa la bontà di un programma che pretende di perseguire felicità individuale e giustizia sociale per mezzo del solo utilizzo della ragione calcolatrice e della scienza manipolatrice della natura. La demotivazione dei giovani di fronte allo studio delle scienze trova la sua spiegazione filosofica in questa crisi: lo spirito del nostro tempo appare affascinato dalla potenza tecnica che l’uomo sa mettere in campo, ma risulta profondamente scettico circa il carattere realmente umano di questo tipo di direzione intrapresa dalla civiltà. Come dire: è venuta meno l’idea seicentesca di un progresso illimitato, il dogma più venerato di un mondo orientato scientificamente. È in questo passaggio d’epoca che si pone una nuova fondazione della cultura e quindi del programma educativo adatto ai tempi a venire. Come sempre, nei momenti di crisi, occorre rifarsi al passato per trovare i punti saldi di una proposta che sappia affrontare il futuro senza indulgere nell’illusione di prolungare ad libitum il giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 26 27 momento presente, il ripiegamento sull’istante dell’esperienza senza carattere né oggettivo né tensionale (Prior 1972). Se infatti tutto ciò che esiste è presente, non è possibile alcuna verità visto che l’attimo è per sua natura un tempo in dissolvenza; se vi sono solo proposizioni vere in un certo istante non ve ne possono essere sul passato e sul futuro (Orilia 2012, p.61) e ciò porta ad una drastica amputazione di ciò che consideriamo cultura. Questa difficoltà a fare i conti con l’oggettività e la tensionalità del tempo, rimanendo incarcerati nell’attimo presente, vissuto unicamente in chiave soggettiva, non appartiene unicamente al campo della speculazione filosofica, ma rappresenta un sentimento molto diffuso tanto da caratterizzare lo spirito di questo passaggio d’epoca, e la sua difficoltà nel fare i conti con il tempo e con la tensione verso la verità. Ma lo stesso attimo rimane inerte se non riceve il suo senso dal confronto reso possibile dalla memoria, dalla ricerca di analogie con il passato, dalla elaborazione di una prospettiva che ponga in tensione l’atto presente rispetto al futuro prospettato. Occorre superare questo stallo della parabola positivista, irrimediabilmente imprigionata nel momento presente. Serve un’apertura nuova che possa fornire al soggetto umano la possibilità di fare la pace con il tempo, in modo da salvarne la dimensione soggettiva, ma sciolta dalla precarietà degli stati d’animo ed unita in una compagnia sensibile sia intersoggettiva sia storica. Come dire: sentirsi parte di un popolo, mosso da miti ed ideali, capace di scoperte ma anche di errori, il cui itinerario è segnato da crisi e rinascite che attingono al meglio della sua tradizione. Ora, la prospettiva culturale ed educativa adatta all’attuale passaggio d’epoca richiede una visione che tenga conto delle due dimensioni della cultura, l’una estensiva , come l’ha intesa l’illuminismo che ha prospettato per l’uomo moderno un rapporto con la conoscenza rappresentato dal viaggio di chi si addentra in territori sconosciuti e scopre realtà nuove, differenti modi di vita che rivelano prospettive spirituali inedite, e l’altra elettiva propria dell’antichità e ripresa dal cristianesimo medievale e rinascimentale, orientata all’elevazione dello spirito umano verso quei valori universali che educano il cuore, la mente, il corpo e l’animo alle virtù dell’armonia, del gusto, della grazia, della benevolenza. L’una attratta dalla varietà della realtà che attende l’opera della ragione umana per poter essere nominata, catalogata, l’altra centrata sulla unità del sapere, colto nella sua prospettiva di elevazione dell’anima. La prima mossa dalla volontà di comprendere l’uomo “vestito dei suoi abiti” perché solo in questo modo si possono cogliere le forme ed i modelli del suo spirito visto come fonte del suo stesso agire; la seconda che punta a distogliere la persona dai vincoli dei sensi e dei costumi per elevarlo verso una saggezza della vita buona in senso assoluto. Il primato dei valori universali proposto dagli antichi risulta conciliabile con la prospettiva laica della scienza moderna, se si intende non solo la coltivazione della mente, ma anche la venerazione della realtà del fanciullo visto come un valore sacro; ma non pare compatibile con la riduzione della prospettiva della conoscenza ai soli dati percepibili con i sensi, catalogabili tramite l’intelligenza misurativa e congiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 27 28 fermati da verifiche empiriche ritenute valide. Le vicende successive al disegno originario della “nuova genesi” hanno fortemente incrinato il sogno illuminista poi ripreso dai positivisti. Tre questioni vale la pena di sottolineare: l’angustia della prospettiva matematica e della logica formale che la regge; la sudditanza della scienza medesima al desiderio di potenza e dei suoi effetti distruttivi quando l’intelligenza è messa al servizio di un’esplorazione e sfruttamento industriale dell’universo; infine il sentimento di spaesamento e l’angoscia che attanaglia l’anima quando si sente posta in un universo freddo e cupo, non in grado di fornire risposte agli interrogativi fondamentali dell’esistenza che non siano la coscienza del nulla, l’insensatezza del dolore e l’irrimediabilità della morte. Decisivo per questo sbocco è il Novecento, il “secolo tragico”, con le sue guerre ed i suoi stermini di massa, mossi dalle enormi tensioni nazionaliste liberate proprio dalla stessa modernità, i cui scienziati, industriali e tecnici si sono messi a disposizione delle élite politiche per alimentare terribili sogni di potenza. Queste tragedie, che non abbiamo ancora compreso sino in fondo, non sono certo da attribuire al riproporsi delle superstizioni del passato 9 , quanto alle dinamiche degli stati ed all’esaltazione parareligiosa dell’idea di “nazione” concepita come destino e giustificazione di disegni di dominio universale. Le difficoltà nel fare i conti con questi esiti da parte della coscienza occidentale, spiega il senso di spaesamento, proposto da Bertrand Russell, il quale ha affermato con lucidità che: «Solo sul solido fondamento di un’ostinata disperazione si può d’ora in avanti costruire una sicura abitazione dell’anima» (Russell 1980, 46). L’idea di fare del senso dell’abisso un paradossale fattore di esaltazione della condizione umana, così come è stata proposta da Nietzsche, appare intollerabile in quanto non in grado di fornire solidità e sicurezza allo spirito dell’uomo contemporaneo “disincantato”; egli rimane incarcerato entro un’inquietudine affatto rasserenante e lacerato tra l’obbligo di proseguire l’opera della creazione di una “nuova natura” che veda l’uomo porsi da dominatore al centro dell’universo e la percezione dell’angoscia derivata dal sentirsi radicalmente ed irrimediabilmente solo, preda di una vago sentimento di colpa per aver “rubato il fuoco agli dèi”, gravido del presentimento di una qualche vendetta proveniente da questi ultimi 10 . Russell fonda la sua “ostinata disperazione” sulla contrapposizione tra misticismo e logica, affermando che la filosofia si pone al disopra di scienza e religione (p. 20). Gli risponde ottant’anni dopo il cibernetico tedesco Ernst Von Glasersfeld che, in un discorso tenuto nel 1994 a Lisbona, così affermava: «Il tentativo di analizzare la saggezza mistica con gli strumenti della ragione, porta immancabilmente ad un doppio fallimento: da una parte distrugge la visione mistica dell’unità, perché segmenta l’esperienza in parti separate e 9 Una delle poche voci che si sono levate contro la Grande guerra è quella di Benedetto XV nella Nota del 1º agosto 1917 che la chiamò l’“inutile strage”, inascoltato ed anche sbeffeggiato dai più. 10 Nella tragedia greca, riportata dalla Poetica di Aristotele, la colpa dell’uomo tracotante e superbo (hýbris) che viola le leggi divine immutabili, porta i suoi discendenti a commettere crimini e malvagità; da qui la “vendetta degli dèi” (nemesi), la giusta punizione per il peccato commesso. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 28 29 specifiche; dall’altra perché compromette le regole del pensiero razionale ammettendo dei termini la cui definizione resta dubbia in quanto basata sull’esperienza personale » (p. 1). Citando la famosa massima di Wigttenstein: «Di ciò di cui non si può parlare, meglio tacere» (p. 189), lo stesso Von Glasersfeld afferma che, in realtà, i due ambiti non si pongono sullo stesso piano e ciò è spiegato dalle loro differenze linguistiche: mentre la scienza procede tramite astrazioni tratte dall’esperienza e da esperimenti ripetibili ed accessibili agli altri scienziati, il discorso poetico e mistico utilizza metafore per cercare tramite esse di evocare immagini in grado di dimostrare l’unità di un mondo illimitato, l’indivisibile e l’indefinibile. Per superare questa impasse, la ragione razionale cercherà di eliminare una parte del flusso dell’esperienza propria della saggezza poetica, ma facendo ciò essa non fa altro che rinchiudersi in un «mondo razionalmente segmentato di osservazioni ed esperienze umane» (ibidem), affermando che si tratta dell’unica realtà veramente reale. Al centro dello stallo culturale ed educativo del nostro tempo vi è la contrapposizione del sapere scientifico al sapere poetico; se vogliamo trovare un punto di incontro fra le due componenti della cultura, elettiva ed estensiva, occorre superare la pretesa fondamentalistica della scienza e recuperare il significato di sublime e di sacro che proviene dalla filosofia e dalla religione. «Se l’umanità vuole trovare un equilibrio “viabile” per la sopravvivenza su questo pianeta, sia gli scienziati che i mistici dovranno riconoscere che sebbene l’ esperienza corrente e la saggezza tratta dalle metafore poetiche siano imparagonabili, non necessariamente sono incompatibili. L’obiettivo più urgente sembra essere lo sviluppo di un modo di pensare e di vivere che dia il giusto valore ad entrambe» (ivi). È vero che il pensiero contemporaneo non è in grado di fornire un punto di riferimento saldo intorno a cui disegnare l’unità del sapere: un’enciclopedia oggi sarebbe impossibile. Ma si può fornire un solido fondamento culturale alla necessità di rispettare e tenere conto nel discorso delle diverse prospettive del pensiero, attribuendo ad esse il proprio specifico valore come pure l’interdipendenza reciproca, se è vero che: «Quasi tutti i fisici in attività e buona parte dei filosofi, sono arrivati a capire che c’è un lato misterioso nel mondo che, per sua natura, rimarrà fuori dalle capacità della scienza. Ma continua ancora la tendenza del Diciannovesimo secolo di sostituire la religione con la scienza» (ivi). È pertanto desiderabile una rifondazione della prospettiva culturale recuperando il meglio delle due tradizioni, superando la censura di quella classica sospettata di essere contraria alla ragione; ciò significa riconoscere l’importanza, ma anche la parzialità, dell’idea moderna di cultura, e la necessità di ritornare ai classici, specie all’idea trasformativa (e non meramente descrittiva) della cultura, considerato un fattore di elevazione dei costumi entro una comunità più ampia che condivide una prospettiva alta di civiltà. È venuto il tempo di un nuovo ciclo unitario del sapere, di quel “nuovo umanesimo” commosso e modesto, non misurativo né predatorio, che ha consentito i grandi e reali progressi dell’umanità e ciò richiede di riallacciarsi al filo rosso in cui l’Occidente nelle diverse epoche ha saputo rinascere. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 29 30 C’è una fortissima assonanza tra l’idea di cultura degli antichi, con la loro insistenza su libertà e saggezza perseguite tramite il distacco dai costumi e dalle opinioni, e l’attuale contesto in cui un’intera generazione di giovani è fatta oggetto di una controeducazione fondata sulla solleticazione continua di desideri tramite un’agitazione perennemente insoddisfatta. La semplice venerazione della varietà dei costumi considerata tanto attraente dagli illuministi, come pure lo status di “cittadini del mondo” senza una terra né un’identità che non sia l’“umanità”, ha portato ad uno stato di spaesamento senza né verità né virtù, sorretto dal diritto individuale a fare esperienze e dal rifiuto dei vincoli e delle regole considerati lesivi della libertà, pur se – ovviamente – con un differente peso a seconda che si tratti di sé oppure degli altri. La società si trova davvero in un punto di stallo: ogni educatore sa che non è possibile concepire questa situazione come normale e neppure desiderabile. Per superare questo stato di sospensione, ci viene in aiuto un libro anticipatorio dal titolo evocativo, Senza padri né maestri (Ricolfi – Sciolla 1980), che riportava una citazione di Robert Desnos 11 , sotto forma di poesia, proposta da Pierre Bordieu e Jean- Claude Passeron nel libro La riproduzione: «Il capitano Jonathan, all’età di diciotto anni, cattura un giorno un pellicano in un’isola dell’Estremo Oriente. Il pellicano di Jonathan, al mattino, depone un uovo tutto bianco e ne esce un pellicano che gli assomiglia in modo straordinario. E questo secondo pellicano depone, a sua volta, un uovo tutto bianco da cui esce, ovviamente, un altro pellicano che fa altrettanto. Tutto ciò può durare molto a lungo se non si fa una frittata prima». L’uovo del pellicano è un’allegoria delle giovani generazioni; compito della scuola è consentire che rinascano alla civiltà attraverso l’esperienza culturale, ma vi è il rischio – ed oggi è piuttosto realistico – di rovinare tutto con una frittata, che significa – letteralmente – mancare un passaggio di generazione 12 . 11 R OBERT D ESNOS , un poeta nato Parigi, 4 luglio 1900 e morto nel campo di concentramento di Theresienstadt, l’8 giugno 1945. Nel testo di Bordieu e Passeron (1972) è chiamato “Cantafiori, Cantafavole” (Chantefleurs, Chantefables). 12 In chiave mitica, è molto significativo il fatto che Saturno, divinità romana dell’abbondanza che dominava sul cosmo, avendo saputo da un oracolo che sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli, li divorò tutti appena nati, ma la profezia si avvera ugualmente per mezzo di Giove, che era stato nascosto da sua madre Opi. Per mantenere l’era dell’abbondanza, Saturno deve distruggere la sua stessa figliolanza (V IRGILIO , Eneide, VII, 49), e ciò spiega in forma mitica lo strano rapporto – un insieme di cura e distruzione – che intercorre tra le generazioni del nostro tempo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 30 31 Si può uscire da questa crisi in due modi: o con lo stoicismo normativo, uno sforzo di distacco dalla cultura del nostro tempo realizzato attraverso il ricorso alle norme, rafforzando (come si dice) le “armi” degli insegnanti con un’educazione soffocata dalla retorica dei doveri che comporta un clima giudicatorio di moralismo cupo, oppure tramite una via che passa dal gusto del vivere bene acquisito dai giovani tramite l’incontro vivo con le gradi figure che hanno arricchito la nostra civiltà e l’impegno a realizzare a scuola “opere culturali” in grado di fermare l’instabilità dei pensieri, al servizio generoso degli altri, specie nella direzione della sostenibilità e della cura del creato. Ciò comporta la necessità di attribuire valore sacro all’educazione ed alla gioventù. Un valore speciale che la preservi da uno sguardo fondamentalmente scettico. Ciò richiede un’opera di autorinnovamento che la scuola stessa deve compiere su se stessa, perché non c’è nessun valore della tradizione che, per essere conservato, non necessiti di un periodico rinnovamento. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 31 33 La bellezza della cultura e la passione dei formatori come chiave di accesso al patrimonio culturale dei giovani del lavoro La bellezza della cultura Il reale è la prospettiva dell’educazione, ed il progetto culturale della scuola viva deve riferirsi essenzialmente ad esso. Ma occorre una chiave di ingresso alla realtà, che rappresenti sia l’insegnamento che andiamo cercando sia la disposizione esistenziale adeguata a questo cammino. Perché va tenuta in debita considerazione la condizione soggettiva dell’uomo contemporaneo, proteso a sentire autenticamente ed a fissare tramite i sensi il suo sentimento dell’esistenza. Questa chiave è il gusto cioè la capacità di cogliere, apprezzare la bellezza e sentirsene soddisfatti in quanto si avverte la corrispondenza tra il bello percepito dai propri sensi e le migliori disposizioni dell’animo umano. Montesquieu, alla voce “gusto” dell’Enciclopedia, afferma che in esso è presente sia la facoltà intuitiva di cogliere il bello sia anche la ragione che giunge a definirlo per via analitica. Il reale è in grado di suscitare il gusto, e con esso un attaccamento affettuoso e moderato al mondo, poiché la fonte della sollecitazione non è data da realtà fantastiche o dal capriccio degli oggetti estetici fatti solo per provocare e svagare, ma da opere d’arte, da capolavori del genio umano e dal racconto della straordinaria avventura delle scienze, l’insieme di tutto ciò che suscita una fondamentale facoltà umana, l’immaginazione, in grado di sollecitare nell’anima un sussulto di adesione e di condivisione. La scelta di puntare sul gusto, indica la necessità di trarre la gioventù dallo stordimento del divertimento disordinato e compulsivo, fatto per sfuggire alla noia, il vero male del secolo, equivalente della malinconia degli ultimi tre secoli scorsi. Educare le passioni con un’ideale onesto e moderato del piacere, sulla base di una visione in cui la salute e la gioia del corpo sono in stretto legame con la serenità e l’esultanza dell’anima. Il duplice ideale di Orazio: dilettare e istruire (delectare e prodesse). Conquistare il cuore e l’anima per educare le passioni, ingentilire i costumi, raffinare il gusto, insegnare a sorridere. E nel contempo addestrare a combattere il nemico più terribile: quel particolare abbattimento derivante dalla consapevolezza di avere il tempo a disposizione, per poi disperderlo in una vita tanto agitata quanto vana. La noia deriva non tanto dal desiderio di non fare, il vizio dell’accidia, quanto dalla paura di non essere in grado di comandare la propria volontà e che il carico esagerato di attese di successo possono generare sgomento, specie se vissuti senza lo schermo della consapevolezza e di un certo modo lieto e fraterno di fronteggiare gli eventi. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 33 34 E che, senza un sistema di regole e di legami, l’individuo isolato (o malamente accompagnato) non riesce a resistere alla lusinga della vita disordinata, senza scopo così fortemente sostenuta dall’industria del “divertimento spiacevole” gregaristico, autistico e compulsivo. Occorre che qualche letterato riesca a descrivere in modo efficace questo agitarsi frenetico del narciso moderno spinto continuamente ad abitare altre vite, consegnato nelle braccia di un costume irreale dal terrore dell’insuccesso della propria esistenza e dalla paura di trovarsi ad un certo punto senza voglia di continuare, cui risponderà con l’impulso a rompere i legami ed a volgersi altrove. Non la paura o la coercizione, ma il gusto fecondo, non estetizzante né fine a se stesso, che si accompagna alla letizia ed alla capacità di dominare la noia, è ciò che consente il ritorno dell’anima a se stessa e rende possibile la conoscenza. È ciò che affermava Sant’Agostino nel brano scelto per l’inizio di questo capitolo: «Nutre la mente solo ciò che la rallegra», successivamente ripreso da San Tommaso con la nota virtù della eutrapelia, vale a dire la qualità degli uomini civili, dotati di uno spirito malleabile e versatile. Non la rozzezza tanto diffusa nei contemporanei che si presenta come contrasto stridente tra l’esagerata cura di sé e l’intolleranza nei confronti degli altri, ma la capacità di condursi bene nella società con garbo e cortesia, in modo moderatamente spiritoso. La simpatia o compassione per coloro cui siamo in vario modo legati, compresi gli sconosciuti che sembrano intralciare il nostro frettoloso cammino, e che non parrebbero meritevoli neppure di uno sguardo benevolo, disinteressato, simpatico. La scuola viva è una scuola della meraviglia, perché sono le cose belle a formare lo spirito. Ma non solo, perché la verità è come un’avventura da esperire, non cristallizzata in affermazioni sempre uguali a se stesse, ma richiede anche tutte le altre, purché non restino da sole. Si ascolti il sommo poeta; la meraviglia è il sentimento costante che accompagna Dante nel suo straordinario viaggio, che gli fa dire nel canto XVI del Purgatorio: «maraviglia udirai, se mi secondi». Ma questa meraviglia presenta una varietà notevole di sfaccettature: inizia dallo sbigottimento quando scopre nell’inferno quanto numerose e varie siano le colpe degli uomini e come superino infinitamente la sia pur fervida fantasia, per concludere nello stupore di fronte alla bellezza di ciò che ci attende alla fine dei tempi quando il corpo sarà ricongiunto all’anima e che gli è stato concesso di pregustare nella sua immaginazione. Il reale in tutte le sue dimensioni, presentato con garbo e sensibilità, senza negare ciò che vi è di oscuro e tragico, ma senza indugiare sul sentimento di attrazione che pure il male esprime, è l’ambito giusto nel quale invitare i giovani ad un’avventura culturale pienamente umana. La meraviglia non consiste in una specie di sospensione in fase iniziale dell’ordinaria vita scolastica, per poi passare alle cose concrete necessariamente spiacevoli perché lo studio sarebbe per sua natura duro e noioso, ma rappresenta la cifra costante dell’avventura della conoscenza. Cominciare dalla meraviglia significa porre innanzitutto l’accento sugli allievi, comunicando loro il più alto apprezzamento in quanto li si considera capaci di scoprire il mondo, come scrive Albert Camus ne giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 34 35 Il primo uomo: «No, la scuola non offriva soltanto un’evasione dalla vita in famiglia. Almeno nella classe del Sig. Bernard appagava una sete ancor più essenziale per il ragazzo che per l’adulto, la sete della scoperta. Certo, anche nelle altre classi s’insegnavano molte cose, ma un po’ come s’ingozzavano le oche. Si presentava loro un cibo preconfezionato e s’invitavano i ragazzi ad inghiottirlo. Nella classe del sig. Bernard, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione: li si giudicava degni di scoprire il mondo” 13 . La prospettiva della conoscenza, intesa sia come molla sia come finalità, sta nel sapere di esistere, non già nell’astrazione o nell’erudizione, ma nel sentimento dell’esistenza: nel sentirsi vivi. Questo sentimento è però di difficile conquista se l’approccio al sapere avviene come dall’esterno del soggetto che apprende che cerca in esso esclusivamente strumenti per la propria riuscita individuale; nel contempo, lo sguardo che rivolgiamo alla realtà può essere limitato da una concezione soggettivistica della conoscenza e da un’estenuazione della curiosità che si traduce in mero appetito, possesso, incorporazione e non desiderio di elevazione personale. Questa seconda prospettiva presenta una notevole rilevanza teorica come ha ben espresso Hannah Arendt circa il modo di procedere della scienza: «È come se la scoperta di Galileo avesse provato empiricamente in modo inconfutabile che il peggior timore e la più presuntuosa speranza della speculazione umana – l’antico timore che i sensi, i nostri soli organi per la ricezione della realtà, ci ingannino, e il desiderio archimedeo di un punto fuori della terra per sollevare il mondo – potessero avverarsi solo congiuntamente; come se l’appagamento del desiderio fosse garantito solo con la perdita della realtà, e il timore crescente dovesse trovare un compenso nell’acquisizione di poteri sopramondani» (p. 193). Citando Heisenberg, Harendt sintetizza ambedue le deformazioni del rapporto autentico con il reale: «Invece di qualità oggettive, in altre parole, troviamo strumenti, e invece della natura e dell’universo, l’uomo incontra solo se stesso» (ivi). Se così fosse, sarebbe una degna metafora dell’inferno: così come per Dostoevskij esso è dato dal tormento di non essere capaci d’amore, nel nostro caso corrisponderebbe al tormento di non essere capaci di conoscenza, la condanna a non potere mai, davvero, incontrare l’Altro da sé ed esserne trasformati. Una spiegazione solo funzionale (per funzionamenti o necessità, anche molto sofisticati) sembra in realtà un espediente per tenere sotto controllo un aspetto decisivo del reale: l’infinita possibilità delle manifestazioni dell’essere. La stessa vita animale e vegetale appare come uno straordinario sfarzo di particolarità, una epifania di ciò che è superfluo (Arendt 2009, p. 108). E questo è percepibile da tutti e costituisce ciò che colpisce i sensi: il pavone doveva proprio avere una coda così esibita quasi volesse esagerare nel suo pavoneggiarsi? Anche gli animali e le cose nel loro profluvio di particolari- 13 Quando il 4 gennaio 1960 Albert Camus moriva a soli 46 anni in un incidente stradale, aveva nella borsa un manoscritto di un romanzo uscito postumo nel 1994, Il primo uomo cui è tratta questa stupenda pagina dedicata al suo maestro nelle scuole di Algeri (C AMUS 1994, p. 138). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 35 36 tà affascinanti ed inquietanti sembra vogliano decisamente apparire tra di loro ed anche agli occhi degli uomini. E l’uomo ha un suo modo peculiare di apparire, ed è quello proprio della ragione: egli pensa se stesso, mostra di preferire una particolare immagine e si sforza di mostrarsi agli altri in quella foggia. Sembra che tutto il reale sia dominato non dalle funzioni elementari, strutturali, per comprendere le quali lo scienziato opera una riduzione dell’infinita totalità delle manifestazioni dell’essere a poche leggi universali (sopravvivenza, riproduzione); neppure che sia mosso da una legge di casualità che comporta una moltiplicazioni di fattori distintivi, ma dalla superfluità dei fattori evidenti, dal desiderio di rappresentare una particolarità, di essere individuo di fronte agli altri della stessa. L’insegnamento delle grandi opere ereditate della civiltà umana nei vari campi del sapere è una bussola straordinaria per le giovani generazioni e per i loro insegnanti; la proposta agli studenti di opere permanenti ed eterne per rispondere alla sfida dell’educazione dell’uomo contemporaneo, così da renderlo vivo e con esso risvegliare la nostra civiltà. Ma occorre un approccio adeguato, sia per le scienze che per l’arte e la religione. La passione dei formatori Lo scetticismo radicale è la morte certa dell’insegnante, poiché impedisce di vedere gli allievi come esseri umani, unici ed irripetibili, meritevoli di scoprire il mondo (Camus). Per cogliere questo occorre una fede, poggiata su solidi fondamenti. L’agnosticismo dell’insegnante verso i suoi allievi produce prima una desolazione dell’immaginazione e del sentimento, che conduce alla perdita della passione per il proprio lavoro, e poi un abisso di ignoranza, poiché impedisce di vedere la differenza abissale che insiste tra un concetto astratto ed una cosa reale, fra un gioco di parole, filologismo pedante, ed un segreto che si dischiude per rivelazione, tra ciò che è meramente estetico e ciò che invece è bello, tra apprendimento e perfezionamento, tra svolgere operazioni e preparare un evento, tra l’amara ironia per le frivolezze di un mondo decadente e la gioia per le cose che contano (Chesterton 2011, p. 186). L’insegnante scettico ed agnostico si macchia di una mancanza imperdonabile: peccare contro il lato mistico dell’uomo, lasciare emergere lo scoramento ed il disincanto, gestire i rapporti con i suoi studenti in modo baldanzoso e sprezzante, e nel contempo scostante e disimpegnato, senza percepire che ogni persona è di per sé sacra, e che è un onore, e quindi un privilegio, potersi dedicare al suo perfezionamento. Il fattore identitario ed il clima comunitario propri della scuola nella prospettiva della comunità di apprendimento trovano la loro evidenza tangibile nell’intensità e nella qualità delle relazioni educative che si instaurano tra docenti e discenti. Questa è la scuola della persona e per le persone, un luogo nel quale si fa esperienza di una ricca e intensa comunicazione tra generazioni in funzione della formazione e crescita della personalità dei destinatari, così da contribuire alla costruzione di identità personali libere e consapevoli, autonome e responsabili. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 36 37 La relazione educativa si evidenzia innanzitutto nell’attenzione all’accoglienza, un momento decisivo per l’instaurarsi di una disposizione positiva alla via scolastica e per avviare una vicenda educativa personalizzata; in secondo luogo nella valorizzazione del singolo alunno/persona e del suo ambiente familiare; inoltre nella sensibilità ed efficacia relazionale che il docente mostra durante le esperienze di apprendimento degli allievi; infine nella capacità di essere da esempio, vale a dire il metodo più efficace soprattutto per la trasmissione di una passione per il sapere e di un metodo di apprendimento permanente. La relazione educativa non costituisce solo un fattore affettivo, ma indica un impegno programmatico da parte degli insegnanti al fine di cogliere i tratti specifici di ogni singolo allievo, a partire dai bisogni e dalle diversità di ciascuno al fine di delineare percorsi formativi personalizzati, rifiutando quindi di mettere in atto una sorta di insegnamento “medio” che esiste solo in un approccio astratto. La relazione indica attenzione e compagnia, ma è anche l’ambiente entro cui si instaurano rapporti di fiducia e di stima reciproca tra docente e discente, un fattore davvero decisivo perché vi possa essere apprendimento autentico. Il gioco delle relazioni risulta arricchito dalla presenza della figura del tutor, un attore ritenuto di fondamentale importanza nel coordinare i rapporti tanto con i docenti quanto con i singoli allievi e le loro famiglie, come pure come strumento di facilitazione dei processi di apprendimento. Con ciò si vuol dire che l’apprendimento dipende, oltre che dalla preparazione dei docenti, dalla passione per la vita e soprattutto dalle loro aspettative nei confronti dei propri studenti. E non vale solo per oggi, se Chesterton nella sua Autobiografia afferma che: «Un ragazzo va a scuola per analizzare la personalità dei maestri»; per vedere se sono interessanti e meritevoli di fiducia. Sorprendentemente, entro un collegio che esprimeva un’opinione di scarsa intelligenza, solo il suo insegnante di storia è stato in grado di: «Penetrare nel mio cocciuto e cocente desiderio di voler sembrare stupido, e svelò l’inquietante segreto che, dopotutto, ero dotato di ragione e oltrepassavo il livello della più bestiale inciviltà» (Chesterton 2010a, p. 74). C’è una sorprendente assonanza tra questa vicenda e buona parte dei nostri studenti che sembrano fare di tutto per impedirsi di parlare ed imparare, trovando soddisfazione nel mostrarsi come esseri semiselvatici. E riuscendoci, se prestiamo ascolto al grande grido di dolore che sorge dalle nostre scuole circa la mancata di preparazione, di interesse, di capacità di concentrazione e di impegno dei nostri giovani. Ma anche questo atteggiamento può nascondere un fondamento razionale, come viene detto nel “Diario di una schiappa” dove il protagonista afferma: «Se c’è una cosa che ho imparato da Rodrick, è convincere gli altri ad avere delle aspettative veramente basse nei tuoi confronti, così finisci per sembrare bravo senza fare praticamente nulla» (Kinney 2008, p. 15). C’è però chi non si ferma alla lamentazione: vi è nella scuola italiana una componente di insegnanti militanti che esprimono entusiasmo e dedizione e che motivano ciò non in base a schemi teorici (poiché una parte consistente della cultura in voga giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 37 38 appare più propensa a considerare questi giovani poco più che dei cerebrolesi), bensì ad un attaccamento nei confronti dei giovani che rivela nel contempo una fede nella scuola e nell’educazione. E un tono sorprendente nel loro vivere. Se fosse vera l’idea che la demotivazione dei giovani allo studio – accanto alla carenza di risorse – costituisce la vera causa dei problemi scolastici, non si spiegherebbero le notevoli differenze nei livelli di apprendimento che si riscontrano tra territori diversi, tra scuole dello stesso territorio, all’interno degli stessi istituti. Queste derivano più realisticamente dalle differenze di stili di docenza/insegnamento e dai modelli di scuola che i dirigenti ed i loro collaboratori sono in grado di realizzare. L’attuale generazione di studenti si può definire eccezionale perché, a differenza della generazione del Sessantotto che presumeva di sapere ciò che voleva (l’impossibile?) e metteva alla gogna gli adulti purchessia in quanto portatori di pensieri vecchi (“matusa”), e diversamente da quella degli anni ‘80-’90 tutta protesa verso il “riflusso nel privato”, a succhiare fino in fondo il midollo delle esperienze apparecchiate con grande sberluccichio di fronte ai loro occhi, questa generazione esprime una domanda di cultura che si manifesta non in astratto, ma attraverso una sfida vitale: trovare adulti che meritino fiducia, capaci di creare l’ambiente per una conoscenza più vasta e per un scopo più saldo, con i quali vale la pena impegnarsi per svolgere un percorso di scoperta della realtà e nel contempo di sé, imparando in questo modo a vivere umanamente. Il compito principale di ogni insegnante consiste nel convincere della veridicità di ciò che si comunica, e nella bontà di apprenderlo, a studenti che nutrono un particolare dubbio in tutto questo. La chiave per suscitare questa convinzione consiste nella passione con cui avviene la comunicazione così da suscitare gusto per un bene culturale che stupisce ed appaga, che dona la bellezza che muove le corde dell’anima. È la fiducia nel docente, e del docente nei suoi confronti, che convince l’allievo, provoca il suo attaccamento e lo smuove su terreni anche impervi e gravosi. Che, se percorsi insieme, e con il giusto spirito dell’avventura culturale capace di idee vive, divengono leggeri e interessanti. In una relazione siffatta, il sentimento delle cose cambia di segno e la persona si affida, uscendo da sé, acquisendo la disposizione giusta che consente di conoscere cose nuove e nel contempo di conoscere se stesso come enigma reso meglio comprensibile da ciò che si è appreso. È apprezzato dagli studenti chi ha passione, chi si sforza di far capire, di stimolare, accettando il rischio e la fatica che ciò inevitabilmente comporta. Entro questo legame sensato, il discente “prende il volo” e procede con leggerezza e gusto; fa fatica, ma in buona parte quasi non se ne accorge perché vive l’attaccamento ad un altro entro una comunità che apprende, si sente apprezzato e stimolato/incoraggiato a procedere, avverte in sen stesso il valore di ciò che conquista e realizza. Coinvolge altri nei suoi progressi, impara come se fosse lui a scoprire le cose, ne è orgoglioso tanto da proporle agli altri. Il sapere autentico è contagioso! Per l’imparare, buono solo al conseguimento di un voto, non serve una grande motivazione, ma perché avvenga un’autentica conoscenza occorre che l’esperienza giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 38 39 si fondi su uno scopo adeguato, costituito dal desiderio di vivere bene. Per questo la posizione scettica non si addice ad un insegnante, poiché non si può insegnare senza credere negli alunni, nelle possibilità umane di questi. E senza avere fede nel sapere che si insegna loro. E nella scuola come comunità che rende possibile questo evento. Non si tratta di un’ideale di perfezione, ma di un modo di reagire ai propri ragazzi, alla classe. Infatti anche l’insegnante, come si sa, è soggettivo e volubile come si addice al nostro tempo. Così, è possibile che al mattino si svegli un po’ scettico, ma appena entra in classe ci pensano i ragazzi a scuoterlo. Ecco: è la reazione a questa provocazione che rivela se nelle sue corde c’è una sensibilità all’educazione, se viene smosso dall’affezione che lo lega ai suoi allievi, se a sua volta è in grado di fidarsi di loro. È così che riprende l’avventura, un po’ insegnanti, un po’ alunni dei propri studenti. Ciò vale anche sul piano generale della scuola, poiché la crisi che sta attraversando non è leggibile come interruzione di una visione comoda dell’insegnamento, ma provoca ad un cambio che è contemporaneamente un recupero del passato ed un avanzamento in un tempo imprevisto e sconosciuto. Tale crisi possiede un valore provvidenziale: portando al limite un modello di pensiero, permette di metterlo in luce e di farne oggetto di riflessione razionale. Secondo l’ideologia dei livelli di partenza, dovremmo abbassare l’asticella, fare continui passi indietro, riempire le nostre scuole di recuperi. Ed in effetti diversi istituti si sono indirizzati in questa strampalata direzione. Ma neppure la nostalgica riproposizione del passato può essere una prospettiva realistica. D’altra parte, un conto è volere conservare i grandi valori della tradizione mettendoli in gioco in un incontro vero con le nuove generazioni, altra cosa è essere reazionari immaginando di poter “tornare indietro”, come se l’epoca postmoderna fosse solo una parentesi che si possa chiudere a piacere. Serve il cimento, sentirsi chiamati ad un compito di grande valore storico. serve un incontro generazionale vivo, tra adulti che abbiano pensieri vivi ed amino la vita, e la terra, e la storia, ed i valori della propria civiltà. Che abbiano il ricordo fresco di ciò che provoca nella propria vita il godimento delle opere di genio dei grandi, e desiderino che anche i giovani ne possano essere parte. Si impone un duplice compito educativo: suscitare il senso del prodigio dell’essere- in-vita, e rendere il giovane scopritore del reale. Sono stati lasciati soli davanti al cielo, e, senza una guida ed un’alimentazione ed uno spazio adeguato e la possibilità di un cimento, e se ne sono atterriti. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 39 41 Oltre il costruttivismo: il nuovo realismo Il dibattito su postmoderno e nuovo realismo Il recente dibattito filosofico e pedagogico centrato sul contrasto tra postmodernismo e nuovo realismo offre spunti molto interessanti per comprendere la valenza teorica ed esistenziale dell’azione educativa ed in particolare dell’introduzione dei giovani nel mondo tramite l’opera lavorativa. L’evento italiano che ha avviato questo dibattito è costituito dalla pubblicazione nel 2012 del volume del filosofo torinese Maurizio Ferraris dal titolo Manifesto del nuovo realismo, nel quale si sottopongono a critica le varie teorie della galassia postmoderna, dall’ermeneutica alle filosofie del linguaggio, dal decostruttivismo di Derrida fino alle varie versioni del costruttivismo. Questa famiglia teorica, in sostanza, nega la conoscibilità del mondo in quanto realtà indipendente dal soggetto che lo pensa; quindi esclude la possibilità di giungere ad una qualche affermazione veritativa, sostituendo ad essa degli schemi concettuali intesi come costruzioni convincenti per la cerchia che le condivide. Questa posizione per Ferraris è fondata sulla fallacia dell’essere-sapere (la realtà è l’immagine di essa che noi rappresentiamo) e conduce al discredito di ogni conoscenza, specie di quella intuitiva basata sul buon senso comune, ma pure di quella scientifica cui nega il valore di spiegazione esclusiva dei fenomeni oggetto di ricerca. Il costruttivista è portato dalle sue stesse premesse ad enfatizzare la funzione sociale di elaborazione delle immagini del mondo; questa diviene uno strumento non di liberazione – come ritengono i suoi sostenitori – bensì di asservimento perché il consenso, l’unico criterio che nel suo discorso fonda la sostenibilità di un’affermazione, non è altro che la capacità di manipolazione e di imposizione del proprio punto di vista sugli altri da parte di chi, avendone un preciso interesse, possiede il potere di renderlo convincente tramite i media. Da qui ne viene l’impossibilità di una vera critica che ispiri un’azione orientata a valori morali come nel caso della giustizia. Infine, ed è un’osservazione vicina al nostro tema, Ferraris sostiene che la postmodernità liquida realizza in forma inaspettata: «L’idea di un lavoratore militarizzato non nel mondo delle tempeste d’acciaio e delle fabbriche, ma in quello del silicio e dei telefonini» i cui utilizzatori hanno: «L’impressione di avere il mondo in mano mentre siamo in mano al mondo, sempre disponibili per le sue impostazioni e richieste» (Ferraris 2012, p. 77), sottoposti ad un obbligo di risposta e responsabilità. È così che il pensiero postmoderno, che nasceva dalla volontà di svincolarsi dai dogmi del passato smascherandone la costruzione sociale (Hacking 2000), lascia l’essere umano senza alcun punto di riferimento che non sia il potere di influenza dei vari populismi, i veri beneficiari del mondo raccontato dai pensatori appartenenti a quest’area intellettuale. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 41 42 Al contrario, il realista (non ingenuo, ma critico) parte dal riconoscimento della realtà e sostiene che non è vero che essere e sapere si equivalgono, poiché il mondo ha le sue leggi, e le fa rispettare; per lui inoltre la realtà è inemendabile nel senso di indipendente dagli schemi concettuali del soggetto che la pensa. Il reale è un limite al lavoro intellettuale del soggetto, ma costituisce anche una risorsa poiché ci segnala l’esistenza di un mondo esterno rispetto alle rappresentazioni con cui cerchiamo di spiegarlo e interpretarlo. In molti casi vi è un contrasto tra l’esperienza e le teorie perché lo sforzo di conoscere, assolutamente necessario all’uomo ed alla società, è sempre fallibile poiché la realtà lo sopravanza e ciò smentisce il potere esorbitante della scienza che punta ad una conoscenza fondata sulla regolarità ed iterabilità degli esperimenti. Il reale si propone come imprevisto e sorpresa: «Se non avvenisse ogni tanto qualcosa di nuovo che spezza la serie delle nostre previsioni, non avremmo alcun modo per distinguere la realtà dall’immaginazione» (Ibidem, pp. 49-50). Ma mentre all’irrealismo è connaturata l’acquiescenza, il realista è capace di critica (purché lo voglia) ed inoltre di un’azione trasformatrice della realtà (purché lo possa) poiché la diagnosi è premessa alla terapia. Ferraris in definitiva coglie l’estrema debolezza del pensiero postmoderno 14 come indebolimento della ragione e dell’opera umana; per tale motivo lo colloca tra le posizioni anti-illuministe in quanto impedisce l’analisi critica del reale e l’impegno per la sua trasformazione in direzione di obiettivi moralmente giusti, ancorché possibili. Egli, nel fare questo, recupera la rilevanza dell’ontologia, se non della metafisica, pur preferendone un approccio minimalistica e modesto, come critica “militante” nei confronti delle falsificazioni e delle negazioni che dominano quest’epoca storica populistica. La sua posizione risulta peraltro povera dal punto di vista etico poiché enfatizza soprattutto l’indignazione politica piuttosto che un progetto fondato su una visione positiva della società, sulla base di un quadro di valori affermativi e non solo oppositivi. Contro il costruttivismo banale Il dibattito che si è prodotto in Italia dopo la pubblicazione di questo libro ha toccato aspetti di notevole rilevanza per chi ricerca un fondamento ragionevole all’educazione, dopo che questa è stata invasa dalla vulgata costruttivistica imperante con la sua idea ingenua del processo della conoscenza come rapporto tra docenti-accompagnatori e studenti-scopritori che si svolge quasi esclusivamente tramite fornitura ai secondi di: «Supporti e risorse per la costruzione attiva della conoscenza» (Calvani 2011, pp. 46-47), con una forte deriva tecnicistica come quella sostenuta da Marianne 14 Il testo italiano più noto circa questa corrente di pensiero reca questa debolezza nel titolo: Il pensiero debole, presentato come un elemento positivo (V ATTIMO - R OVATTI 1983). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 42 43 Wolf, e da molti suoi epigoni, secondo la quale la comparsa delle moderne tecnologie informatiche e telematiche svelerebbe la non naturalità della scrittura e la struttura immediata, non riflessiva, multidimensionale e caotica del cervello umano (Wolf 2009). È vero che occorre riconoscere al costruttivismo il merito di aver rilanciato le tesi care all’attivismo pedagogico, tra cui la rilevanza della conoscenza sociale (che in questa prospettiva viene detta “situata”, segnalandone il carattere contingente 15 ) e la centralità dell’allievo nel cammino di apprendimento e di crescita in modo che se ne renda protagonista; ma questo percorso risulta troppo limitato al consenso linguistico, ma poco consistente in relazione ai necessari processi di produzione mentale (teorie, proposizioni, schemi logici, calcoli matematici) che permettono di giungere ad una conoscenza giustificata. Esso, ancorato com’è ad una visione relativistica del rapporto tra il soggetto umano e la realtà, non è in grado di indicare un circolo del sapere capace di valorizzare tutte le forme della conoscibilità: l’intuizione che deriva dall’esperienza diretta ed il senso comune delle culture popolari, specie quelle di mestiere, e nel contempo il sapere canonico che fornisce la capacità di ordinare e ritenere ciò che si conosce su una base sostenibile dal punto di vista gnoseologico e non solo linguistico, così che la persona lo padroneggi e ne tragga benefici reali nel suo rapporto con il mondo. Di contro, in un quadro neorealista il metodo induttivo, o pedagogia attiva, o apprendimento situato, o didattica delle competenze che dir si voglia, non viene concepita come un’alternativa alle conoscenze canoniche, perché, se è vero che senza una loro mobilitazione competente rimangono inerti, è anche vero che senza il sapere la competenza è vuota. Per questo, i compiti di realtà vanno concepiti piuttosto come un procedimento che consente al soggetto umano di impadronirsi del sapere in azione secondo una direzione che conduca per passi successivi a padroneggiare la teoria resa convincente dal percorso svolto e resa sensibile dal coinvolgimento soggettivo entro un’esperienza. È un cammino verso la conoscenza che inizia dall’implicazione nel reale e procede tramite un processo di astrazione e di generalizzazione che consente al soggetto di passare dal piano dello specifico compito-problema su cui si esercita, alla formulazione di una diagnosi/prognosi che apre alla possibilità di svolgere un intervento finalizzato a scopi risolutivi, fino alla formalizzazione del sapere “concettuale” composto da procedure, teorie ed argomentazioni generalizzabili al di là del caso particolare che le hanno sollecitate. Mentre gli “oggettivisti” ammettono in specifici campi del sapere il ricorso anche alla prospettiva dell’interesse degli attori che elaborano una specifica interpretazione del reale, per i costruttivisti ogni discorso circa la verità di una proposizione non ha mai senso poiché considerano la spiegazione “interessata” come l’unica plausibile (Boghossian 2006, pp. 61-76). 15 Rispetto a “sociale”, la qualifica “contingente” va intesa in senso più stretto, ad indicare quella conoscenza che risulta strettamente connessa ai bisogni ed agli interessi manifestati dai membri del gruppo che ne condivide l’interpretazione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 43 44 In realtà, abbiamo di fronte due tipologie di costruttivismo: quella radicale e quella locale. Il costruttivista radicale secondo cui “il fatto r non è assolutamente certo, ma esistono solo le molteplici interpretazioni A, B... circa questo presunto fatto”, cade nell’autoconfutazione perché presuppone l’accettazione di un codice che gli impone di relativizzare i suoi stessi asserti (Ibidem, p. 69). È infatti curioso sostenere una posizione secondo la quale il criterio attribuito agli altri punti di vista non può essere applicato anche al proprio. Chi fa questo si condanna all’inconsistenza poiché semplicemente non può sostenere di credere in quanto afferma. Invece il costruttivista “locale” à la Richard Rorty, secondo cui le cose, non possedendo alcuna proprietà intrinseca, non sono indipendenti dalle nostre rappresentazioni, semplicemente si rifiuta a qualsiasi confronto perché lo ritiene privo di senso. Per chi la pensa in questo modo è possibile solo conoscere i diversi modi in cui si può parlare delle cose, immobilizzati entro un postulato che esige un’adesione senza però fornirne una ragione plausibile, essendo nessuno dei codici possibili – neppure quello relativista – più corretto degli altri. Egli non nega tutti i fatti, ma solo i fatti assoluti, quelli che consentirebbero di affermare che un sistema epistemico è più razionale rispetto ad un altro. Questa posizione nasce innanzitutto da un’incapacità di vedere che si traduce poi in una riduzione delle facoltà della ragione, in particolare del confronto costruttivo, come emerge con chiarezza dal seguente brano: «Poiché non vediamo come si possa decidere quali descrizioni di un oggetto raggiungano ciò che è “intrinseco”, anziché le sue proprietà estrinseche puramente “relazionali”, siamo pronti a mettere da parte [...] l’idea di un “modo in cui le cose sono comunque”» (Rorty 2003, p. 84) dove le espressioni chiave sono «non vediamo» e «mettere da parte», ad indicare una riduzione dello spazio della ragione provocata da una incapacità di vedere. Se le prerogative della ragione sono la dimostrazione e l’argomentazione entro il quadro dell’etica del confronto, il relativista sottrae alla ragione uno spazio considerevole circa ciò di cui si può parlare. Egli è in realtà un isolazionista poiché il racconto dello schema mentale sostenuto da A e quello invece elaborato da B rispetto alla realtà r assume la forma di una mera enunciazione che richiede agli ascoltatori la sola facoltà della registrazione, ma non certo quella del confronto argomentato, mancando di qualsiasi punto di riferimento per il dialogo. È una posizione teorica che imprigiona gli attori nel loro autoisolamento, mentre apre pericolosamente ad un esito basato unicamente sulla ragione del più forte, di colui che controlla il potere, un triste risultato per chi si poneva come scopo proprio la lotta ad ogni dogmatismo 16 . 15 P AUL B OGHOSSIAN racconta che nelle università statunitensi i relativisti sociali, eliminando la possibilità di un confronto razionale con il punto di vista dei filosofi, finiscono per rinchiudersi nell’autoisolamento e conducono la loro battaglia intellettuale come uno scontro di forze in cui chi la pensa diversamente viene espulso dalla loro cerchia (p. 10). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 44 45 Di conseguenza, il costruttivismo è un relativismo intellettuale che non fornisce: «Alcun modello di come potremmo fare completamente a meno di sostenere che vi è una verità assoluta» (Boghossian 2006, p. 86). Egli crede nei fatti mentali piuttosto che in quelli fisici, contraddicendo tutta la tradizione filosofica che ha sempre proceduto nella direzione contraria. Vi è un legame molto stretto tra questa posizione ed alcuni tratti caratteristici dello spirito della società postmoderna, soprattutto il suo particolare rapporto con il reale, l’autoisolamento delle comunità mediatiche ed il narcisismo come tratto distintivo delle personalità del nostro tempo. Il primo aspetto indica una condizione di spaesamento dal reale, che si manifesta come limitazione del vedere che va sotto il nome di disincanto – uno sguardo gretto che vede in atto solo un gioco di bisogni ed interessi – oltre che dell’attendere l’imprevisto, ciò che va oltre il mero rapporto causa-effetto 17 . Secondariamente, se la realtà così come la si riesce a vedere ed esperire non è soddisfacente, il soggetto umano si consegna ad una seconda vita che funziona da distrazione rispetto alla vita reale, finendo per aderire alla narrazione condivisa dalla comunità virtuale in cui si rimane impigliati. Infine, la filosofia postmodernista giustifica la chiusura dello spazio del sé entro il progetto di vita soggettivo. È una riduzione della visuale che deriva dall’etica dell’“umanesimo autosufficiente ed esclusivo” come l’ha definito il filosofo Charles Taylor, l’ideale di vita centrato sulla nostra prosperità qui ed ora, proprio dell’orizzonte culturale che ha trasformato il sistema dei valori dell’Occidente (Taylor 2009, pp. 41-45). L’esito del costruttivismo è l’iperrealismo, la “nuova vita” totalmente artificiale Il costruttivismo, anche quello della versione locale, non costituisce solo un modo di ragionare tanto unilaterale quanto bizzarro perché controintuitivo 18 ; infatti, vi è un punto su cui la deoggettivizzazione del reale propria del pensiero postmoderno diviene veramente preoccupante ed è rilevabile in quella che Jean Baudrillard ha chiamato “iperrealtà” e che consiste nella sostituzione della realtà “reale” con le rappresentazioni fittizie proprie del mondo mediatico, dotate di uno straordi- 17 Ma cosa c’è di manchevole nel reale, tanto da sentire il bisogno di aumentarlo e migliorarlo? La gente si rinchiude nei propri smartphone in ogni luogo della città, in un modo tanto compulsivo da imporre il bisogno di trovare una distrazione alla distrazione. 18 Ha fatto epoca lo scivolone di non senso su cui è caduto il sociologo costruttivista Claude Latour, il quale ha sostenuto che il faraone Ramsete III non poteva esser morto di tubercolosi, come hanno scoperto i paleopatologi che ne hanno esaminato la mummia, perché il bacillo è stato scoperto da Robert Koch solo nel 1882 (Ibidem, p. 44). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 45 46 nario potere di seduzione perché affini al mondo dei sogni (Baudrillard 1996). Con l’iper-realtà, fatta non più solo di oggetti, ma di miti illusori e fascinanti, è all’opera un genere di implicazione semionirico capace di popolare il mondo dei giovani, un formidabile competitore di ogni proposta educativa realista. Sempre più giovani e meno giovani trascorrono una quantità consistente del loro tempo consegnandosi ad una cerchia mediatica che funziona da distrazione e finzione, ognuna ancorata alla sua “specifica visione”, su cui viene richiesta un’adesione immotivata (Nagel 1999, p. 21) imponendo una sottomissione tanto più pericolosa quanto più appare l’esito di una scelta libera. Potrebbe essere proprio questo il modo concreto in cui viene realizzato il disegno di “mondo nuovo” preconizzato da Huxley, una realtà totalmente controllata dall’uomo, basata sull’ideale della prevedibilità e della stabilità sociale, nella quale fosse assente qualsiasi forma di sofferenza, costruita mediante il condizionamento cerebrale pre- e post-nascita totalmente gestito dalle tecnologie. Similmente, giovani a cui manca un’adeguata coscienza di sé e capacità di presa sul mondo, si consegnano in modo compulsivo al flusso ininterrotto dei messaggi da ricevere ed a cui replicare, per poi controllarne l’effetto sugli altri, obbligandosi a stare perennemente nel flusso allo scopo di segnare la propria (fragile) esistenza al mondo, giungendo non all’acquisizione di un cervello digitale, ma ala dissipazione oltre che del proprio tempo anche delle stesse energie psichiche che potrebbero invece essere destinate ad altri scopi più reali e profittevoli. L’immersione nell’iperrealtà che impegna ampie porzioni del proprio tempo quotidiano, può essere l’effettivo risvolto “educativo” del costruttivismo che disegna uno sfondo dell’esistenza fittizio ed artefatto, una forma postmoderna di distrazione dispersiva che conduce ad un’esistenza debole segnata da un fragile rapporto con la realtà, una sorta di seconda vita condotta in uno stato di isolamento mediatico. Contro quest’esito, la proposta della Wolf basata su una: «Vigile e partecipe osservazione dei cambiamenti tecnologici che aiuteranno a modellare i prossimi cervelli riorganizzati» (Wolf 2009, p. 247) risulta decisamente inadeguata perché vittima delle premesse teoriche da cui discende: se l’unica forma di intervento significativo sul corso dei fenomeni deriva dalle tecnologie, all’essere umano non rimane altro che adattarsi nel modo più vantaggioso allo stato delle cose. Il postmodernismo mediatico è una sorta di controeducazione che conduce ad un modo debole di porsi nel mondo, con un futuro che da promessa diventa minaccia, dove il soggetto riveste il duplice ruolo di “materiale” adattabile e nel contempo attore distratto in fuga dal reale depotenziato; per rovesciare questo schema occorre un rinnovato impulso educativo centrato sull’introduzione dei giovani nella realtà distinta dall’apparenza, dove il mondo diviene interessante nella prospettiva di una vita autentica, capace di stimolare il pensiero e smuovere all’azione con un progetto significativo e fondato. Contro la distrazione mediatica serve un realismo più deciso rispetto a quello di Ferraris che si limita alla critica indignata, peraltro svolta unicamente sul terreno della contesa politica, dimenticando il campo dell’azione sociale significativa ed giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 46 47 eticamente fondata, in particolare nella forma dello studio, del lavoro e dell’impegno gratuito in opere di bene. Sorprendentemente, Ferraris non parla mai del soggetto umano, non indica alcuna antropologia: è una dimenticanza oppure segnala una precisa scelta di campo? Sorge il dubbio che la realtà di cui parlano i neorealisti non sia quella effettiva in cui si svolge la vicenda umana, ma assume ancora il profilo di una categoria concettuale oggetto di contesa filosofica tra accademici. I nuovi realisti italiani impoveriscono la questione rinchiudendola nello spazio ristretto di una mobilitazione politica perennemente indignata; per poter trarre indicazioni valide per l’educazione occorre invece procedere più a fondo, affrontando le tre questioni che la diatriba ha lasciato aperte: la critica allo scetticismo contemporaneo, la questione antropologica e l’ontologia dell’azione. Contro lo scetticismo iperbolico, l’atto di fede originario Volendo fare per una volta i costruttivisti, si può affermare che l’iperrealtà rappresenta il punto di caduta del pensiero postmoderno; sullo sfondo vi è lo scetticismo, un atteggiamento non solo filosofico, ma esistenziale che si riconosce da tre caratteristiche: l’ironizzazione che si coglie nel non prendere sul serio alcuna teoria in quanto foriera di dogmatismo, la desublimazione secondo cui il desiderio in quanto tale viene concepito come forma di emancipazione, infine la deoggettivizzazione che riprende la nota frase di Nietzsche: «I fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni » (Ferraris 2012, p. 5). Per rintracciare una critica efficace a tale sentimento del mondo facciamo ricorso a Hilary Putnam, il maggiore filosofo realista contemporaneo, che ha svelato l’insostenibilità del dubbio iperbolico cogliendone acutamente il processo di autoconfutazione con la famosa metafora del “cervello in una vasca”: un’affermazione scettica non può avere un contenuto di verità in quanto anch’essa esige, per essere sostenuta, di un aggancio al reale che invece nega (Putnam 1985). Il dubbio non è assenza di certezza, ma una convinzione che sul piano logico non può essere creduta. Che è come dire che solo partendo da una verità credibile è possibile giungere alla vera conoscenza. L’illogicità dello scetticismo postmoderno è solo il passo iniziale per coglierne il tratto più profondo: l’infecondità, un’incapacità del pensiero che gradatamente si estende e diviene incapacità di passare dal generico stare in vita ad un esistere in modo autentico. Ciò si riflette in una sorta di controeducazione in definitiva impotente perché incapace di proporre un cammino verso una conoscenza dotata di valore che consenta di conquistare un’identità in grado di affrontare con qualche possibilità di successo il compito di crescere e di vivere umanamente. A ben guardare, però, l’infecondità è un destino che accomuna ogni pensiero che impedisca al soggetto umano di porsi innanzitutto in modo adeguato di fronte al reale, vale a dire che non crede ad una realtà originaria che precede il pensiero e giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 47 48 ne orienta l’attività. Mentre il postmoderno vive un rapporto paradossale con il reale, lo riconosce solo nel momento in cui se ne serve per affermarne l’inesistenza, rimanendo quindi intrappolato in un’impasse ad un tempo disimpegnata e comica poiché crede di credere, ma lo fa in modo immotivato, il realista si lega ad una fede primigenia nella realtà mediante la quale: «I fatti ritornano ogni volta come un miracolo » (Pelgreffi 2013). Realismo significa non solo e non tanto una posizione speculativa circa il problema del “credere di credere”, ma riguarda la disposizione da assumere personalmente nei confronti del reale. In tale prospettiva il reale non è un concetto, ma un’esperienza convincente perché ragionevole, tanto da vincolarsi liberamente entro un legame con il mondo come stupore, riconoscenza e dedizione. Quest’atto di fede originario non è esclusiva del filosofo, ma indica un’esperienza intuitiva di senso comune il cui apporto conoscitivo risulta ancor più convincente, dopo un lungo periodo di svalutazione, proprio a partire dalla caduta delle pretese del pensiero scientista che dall’Illuminismo ha dominato a lungo il campo del sapere 19 , dimostratosi decisamente debole nei suoi assunti fondamentali. Tutta la nostra sensibilità in quanto esseri umani ne risulta rivalutata e con essa il riconoscimento della ragionevolezza delle istanze etico-metafisiche che danno senso alle nostre “vite morali”. La svolta del “realismo critico” in filosofia va di pari passo con un realismo educativo che sulla scorta dell’esempio dei maestri del passato faccia di nuovo amicizia con la realtà dando credito all’intuizione derivante dal tanto bistrattato “senso comune”, proponendo un dialogo avvincente con la grande tradizione della civiltà occidentale vista, pur considerando i suoi tragici errori, come culla e sostegno di un modo di vita che autorizza un progetto di autenticazione dell’esistenza individuale, di umanizzazione della vita sociale e di mimesi o rapporto di analogia e consonanza con la natura ed il cosmo. La questione antropologica o dell’identità singolare Il realismo sorge dalla convinzione che ci siano là fuori cose e persone più interessanti di sé. Ma l’atto di fede ragionevole da cui prende le mosse, sostenuto dall’intuizione originaria del reale, non si muove solo nella direzione esterna al soggetto, poiché lo riguarda internamente nella sua peculiare condizione. Si tratta dell’inemendabile interno”, la mia singolarità vivente, la mia non-nullità, che resiste alle concettualizzazioni e confida nell’inatteso (Ibidem, p. 136). Come ci 19 “Scientista”, la posizione di chi afferma che la scienza costituisce l’unica via valida di accesso alla verità, indica qualcosa di diverso da “scientifico” vale a dire la qualificazione di un metodo che persegue verità parziali, che si affermano per la loro validità conoscitiva ed utilità pratica, ma che risultano sempre cioè fallibili o falsificabili. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 48 49 ricorda Montale per il quale: «Un imprevisto è la sola speranza» (Montale1999, p. 203); è ciò che accade quando nell’autore, colpito nel mezzo di una giornata cupa dal giallo dei limoni intravisti improvvisamente nell’apertura di un portone, si rinnova il miracolo: «e il gelo del cuore si sfa, / e in petto ci scrosciano/ le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità» (Montale 1999, p. 12). Ora, l’opzione realista diventa questione antropologica poiché il depotenziamento dell’incontro con la realtà è indissolubilmente legato all’indebolimento del sentimento del vivere e dell’identità. Se la realtà non è vera e inconoscibile, il soggetto umano, non riuscendo a definire un legame significativo con il mondo, si trova spaesato ed imprigionato nel suo sterile desiderio e consegnato all’esistenza immaginaria delle comunità virtuali. Mentre se nel reale vi è una possibilità di verità, è ragionevole coinvolgersi in esso anche quando il perseguimento delle proprie aspirazioni viene frustrato dalle prove come pure da eventi che inducono un diverso indirizzo nel nostro percorso esistenziale. Ciò perché né il pensiero né l’atto desiderante esauriscono il mistero dell’identità, in quanto questa si disvela nell’agire umano dentro la vicenda storica sempre imprevedibile, come occasione di incontro in cui apprendere una libertà intesa come continuo superamento di sé e apprensione di un essere nel mondo capace di soddisfare le esigenze profonde dell’anima. Ma vale anche a rovescio: la singolarità dell’essere umano è tale da contenere in sé un’istanza originaria in definitiva irriducibile nei confronti delle dinamiche socioculturali e biopsichiche. Noi non siamo “altri”, vale a dire un individuo nella massa, ma esseri “singolari” come dice Hannah Arendt: «Ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità» (Arendt 1999, p. 129). Ciò giustifica sul piano morale il coraggio di perseguire una meta anche quando l’opinione comune la stigmatizza e le condizioni si fanno avverse, fatta salva la necessità di fare i conti con la realizzabilità dei propri progetti. È un tema che ci rimanda alla filosofia degli antichi, per i quali la vera conoscenza non si riduce unicamente al pensare o al sentire, ma si pone in rapporto ad una dimensione profonda dell’essere umano, l’anima immortale, che possiede le caratteristiche dell’inviolabilità e della capacità di afferrare in pienezza l’esistenza, come pure di soffrirne il vuoto e lo sgomento. Aristotele ci dice che la divinità è all’origine del moto circolare dei cieli e quindi indirettamente dell’intero universo; il cielo è vivente ed animato poiché anche gli astri e le sfere possiedono un’anima: è l’amore dovuto a Dio che commuove il mondo nel solo modo in cui può esprimersi, girando incessantemente in cerchio. L’essere umano possiede però una sorprendente somiglianza con il divino in quanto non si limita a compiere il proprio cerchio vitale, ma desidera conoscere e si pone costantemente in cerca della fonte dell’amore che lo ha generato, agendo nel mondo con la misteriosa serietà che ciascuno porta con sé... Dante ce ne fornisce una visione esemplare nella chiusura della Commedia: «l’amor che move il sole e l’altre stelle» è l’amore di Dio per gli uomini. Le due forme d’amore sono strettamente legate: Dio attrae il mondo con amore eterno, giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 49 50 disinteressato e misericordioso, e l’uomo, la creatura più sorprendente e prodigiosa, ha la possibilità di partecipare a questo divino flusso corrispondendo al dono ricevuto con eguale amore, offrendo qualcosa di sé, limitato e prezioso, al massimo delle sue possibilità. Questa conoscenza è esattamente all’opposto rispetto alla volontà di potenza; essa richiede di prendere parte nel mondo – le cose, gli altri, noi stessi, il tempo e la storia – non con la pretesa di possederne la verità totale, ma con simpatia, innocenza e tenerezza, avendone cura come una realtà sacra, non materiale utilizzabile per il proprio potere, ma a disposizione del progetto di bontà universale che promana da Dio ed al cui compimento noi partecipiamo apportando il nostro seme, con umiltà e serietà, sigillo del nostro destino. L’ontologia dell’opera umana e l’educazione al lavoro Il ruolo attivo del soggetto nel conoscere non sta nel condividere con gli altri una debole interpretazione del reale, ma dalla comune appartenenza all’ordine dell’essere e dalla capacità del soggetto umano di riconoscere la corrispondenza delle proposizioni alla realtà e di trovarne le giustificazioni razionali, oltre che di coglierne la risonanza entro il proprio essere personale. Vi è un modo di porsi nei confronti di una verità che preesiste al soggetto e che nel contempo ne esalta le facoltà propriamente umane; vi è inoltre un modo d’azione nel reale che fa della distinzione del soggetto che pensa e la realtà dei fatti una condizione di perfezionamento sia del soggetto sia della realtà in senso convergente o, come si dice oggi, sostenibile; vi è, infine, un tipo di disposizione nel mondo che consente un legame di simpatia ed accomunamento con la vicenda storica e pone ogni soggetto che vi si impegna nella possibilità di condividere la saggezza della tradizione e nel contempo di fornire il proprio apporto originale all’avanzamento della civiltà stessa. Questo modo è il lavoro e consiste non più nel fare addomesticato e routinario della società di massa, ma nell’idea del lavoratore come colui che conquista il cielo occupandosi delle cose della terra e in questo impegno tutte le proprie facoltà alla ricerca di ciò che è autentica conoscenza. Il soggetto umano agisce nel mondo mosso da una promessa originaria di realizzazione di sé, la vocazione, frutto della misteriosa relazione d’amore tra Dio e la sua singolarità “fatta ad immagine e somiglianza” di Lui; questa si impone alla coscienza come un’urgenza tesa a scoprire se stesso non in chiave introspettiva, ma assumendo il bisogno delle persone distinte da sé come sfida e prova cui dedicare fattivamente i propri talenti e le proprie energie per fini buoni. Lo scopo prioritario di un progetto di educazione al lavoro dei giovani consiste nel sottrarre un’ampia componente della gioventù da un modo di vita sospeso, frivolo e distratto, proprio dell’iperrealtà costruita, per proporre ad essa la possibilità di una realizzazione personale attraverso il contributo al bene comune, svolto sotto forma lavorativa. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 50 51 Chiamiamo autenticazione la prospettiva di chi si pone in azione seria e sensibile alla ricerca della propria identità non tramite distrazione o messaggismo, ma fornendo il proprio migliore apporto al soddisfacimento dei bisogni e delle aspettative degli altri. Nel nostro tempo il lavoro assume, oltre a quella economica e di stima sociale, soprattutto una profonda valenza esistenziale. Infatti, l’urgenza prioritaria dei giovani d’oggi consiste nel capire se stessi ed ancorarsi ad un’esperienza insieme sensibile e sovrasensibile: «In quanto riferimento simbolico, il lavoro è ricerca di senso. Lo si vede molto bene nei giovani, nei quali il lavoro ha soprattutto il valore di un coinvolgimento nella ricerca di significati esistenziali: la ricerca del primo lavoro significa fare la scelta di un impegno simbolico che possa – innanzitutto – offrire un senso umano» (Donati 2001, p. 177). Così inteso, il lavoro rappresenta l’esperienza privilegiata tramite la quale la persona ha la possibilità di migliorare il mondo, rendendosi protagonista di un’opera di umanizzazione. Si pensi all’impegno, così rilevante nell’epoca attuale, volto alla preservazione del creato tramite un lavoro che sappia armonizzare l’ambiente naturale e quello antropico. Mentre la tesi costruttivistica nega valore ad ogni sapere di buon senso, ogni saggezza popolare, perché non riconosce che esistano fatti indipendentemente dalle loro descrizioni e di conseguenza considera irragionevole dedicare la propria esistenza all’impegno del “lavoro ben fatto” secondo canoni ricevuti e continuamente perfezionati, le culture del lavoro sono un esempio di come l’azione umana si possa dedicare a qualcosa che sta là fuori, nel mondo dei fatti, e di quali meraviglie è capace l’essere umano quando riconosce e rispetta il reale nello stesso momento in cui si propone non solo di raggiungere il risultato migliore possibile, ma del meglio ideale, di un sempre di più di bene. Tale programma educativo richiede di liberarsi dall’unicità di rappresentazioni eccessivamente centrate sulle sole scienze umane, in modo da fare dell’identità personale ancorata ad un autentico amore della vita il patrimonio in grado di fornire un apporto originale all’opera di umanizzazione della realtà. Va insegnato ai giovani a prendere la parola sulle cose tramite la conoscenza resa possibile dal lavoro buono, raccogliendo la vastità del reale entro un punto di vista, quello che promana dall’azione e riflessione sulla propria opera, che abilita un giudizio pertinente sul mondo, ricollegandosi alla grande ed ininterrotta tradizione del “lavoro ben fatto” che comprende i costruttori delle cattedrali medioevali, i maestri di bottega del Rinascimento, gli artigiani che hanno saputo far apprezzare e migliorare la propria attività anche nell’epoca del meccanicismo, i neo-artigiani moderni con la loro capacità di unire nuove tecnologie e maestria operativa. Richard Sennett ce ne ha proposto una lettura dove il saper fare bene le cose per il proprio piacere è segnalata come una regola di vita non più limitata agli antichi mestieri, ma alla base della nascita della conoscenza scientifica moderna e di molte delle intraprese di successo dei nostri giorni (Sennett 2008). Tramite l’esperienza educativa l’allievo è chiamato ad inserirsi positivamente nel reale esercitando pienamente la propria libertà; questa consiste innanzitutto giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 51 52 nella capacità di abitare il mondo in modo amichevole, assumendovi consapevolmente il proprio posto e mobilitando nel “mestiere di vivere” tutte le proprie facoltà umane. Questo consente l’incontro significativo con gli autori e le opere che hanno illustrato la cultura, così da apprendere l’amore per la vita ed assumere una disposizione nel reale illuminata seriamente la propria vocazione. L’ideale dell’educazione al lavoro è l’eterno artigiano che proviene dal passato e vive anche oggi: egli ha saputo fare ciò che suscita continua meraviglia perché ha preso sul serio la realtà, ha riconosciuto ed ascoltato i maestri, si è impegnato a fondo con tutte le sue facoltà per fare al meglio il suo lavoro, imitando, continuando, scoprendo ed imprimendo nell’opera la sua singolare novità. In tal modo egli entra in una compagnia, condivide un segreto ed un gusto, partecipa ad una conoscenza sempre antica e sempre nuova, prova la letizia del vivere e risponde con il suo impegno. L’artigiano è anti intellettuale, sdegna la speculazione fine a se stessa perché crede nei fatti e sa che le sue facoltà emergono solo se si piega sul reale. C’è una frase folgorante che Primo Levi fa dire a Libertino Faussone, montatore provetto: «Si fa presto a dire che dalle stesse cause devono venir fuori gli stessi effetti: questa è un’invenzione di tutti quelli che le cose non le fanno ma le fanno fare» (Levi 2012, p. 171). L’artigiano dei nostri tempi assume il proprio lavoro con la giusta serietà e letizia, le doti che vengono suscitate dal mettersi in moto per fornire il proprio contributo di bene alla comunità come via operosa alla conoscenza di Dio. Per gli operai di un tempo: «Ogni cosa, dal risveglio, era un ritmo e un rito e una cerimonia. Ogni fatto era un avvenimento consacrato. Ogni cosa era una tradizione, un insegnamento; tutte le cose avevano un loro rapporto interiore, costituivano la più santa abitudine. Tutto era un elevarsi, interiore, e un pregare tutto il giorno: il sonno e la veglia, il lavoro e il misurato riposo, il letto e la tavola, la minestra e il manzo, la casa e il giardino, la porta e la strada, il cortile e la scala, e le scodelle sul desco. Dicevano per ridere, e per prendere in giro i loro curati, che lavorare è pregare, e non sapevano di dire così bene» (Péguy 1998, p. 410). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 52 53 Conoscere, ovvero spiegare, comprendere e convincersi L’etica del confronto L’opzione per il nuovo realismo porta con sé il recupero del valore della ragione, che sta rischiando di rimanere vittima di un modo di pensare che, ossessionato dalla critica di ogni dogmatismo, finisce per proporre un dubbio iperbolico la cui vittima più illustre è costituita proprio dalla ragione umana, che viene ridotta ad una mera funzione decostruttiva volta a smascherare una costruzione sociale come azione liberatoria, ma incapace di fornire una ragione valida a favore del proprio sistema di ragionamento. Inoltre, il dubbio iperbolico dei costruttivisti, come abbiamo visto, conduce diritto all’isolazionismo, che corrisponde ad una strana relazione con l’altro che possiamo definire di “mera emissione” del proprio punto di vista, senza attendersi né una replica e senza interessarsi dell’interlocutore e del suo punto di vista sull’oggetto della comunicazione. Si tratta di una posizione rilevante dal punto di vista filosofico, ma che corrisponde ad un atteggiamento molto diffuso tra le persone, riassumibile nell’espressione “io la penso così, tu la pensi cosà” e con questa affermazione il dialogo si intende concluso. Possiamo solo passare a parlare d’altro. O meglio: la questione della prevalenza di una narrazione sull’altra non è affidata all’uso della ragione, bensì a quello del consenso ed in definitiva del potere: nel gruppo che ascolta, prevarrà la posizione di chi riuscirà ad avere il migliore effetto emotivo e ad interpretare gli interessi della maggioranza, mentre le altre saranno neglette perché non sostenute da un’enfasi abbastanza forte emotivamente oppure non intrecciano alleanze di potere tra gli astanti. Avremo quindi la formazione di “comunità di opinione”, spesso di natura mediatica o che si avvalgono decisamente dei social media, costituite da coloro che condividono affinità emotive, bisogni e interesse, ma che presentano un debole fondamento razionale dei propri convincimenti. Ciò pone l’importanza dell’etica del dialogo, che non indica unicamente la virtù della cortesia intesa come la degnazione nell’ascolto anche dell’opinione dell’altro, pur senza impegnarsi veramente, ma quella della disponibilità a mettersi in discussione intavolando un confronto aperto circa l’oggetto della discussione, i fatti cui ci si appella per motivare la propria posizione, i criteri (espliciti ed impliciti) dell’argomentazione. L’influenza decisiva dei media porta ad un tipo di emissione del proprio punto di vista che assume preferenzialmente la forma di una mera enunciazione che tende ad affermarsi non tramite confronti razionali, ma per mezzo della carica emotiva della comunicazione e della forza del consenso che sovrasta l’avversario: si veda giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 53 54 l’espressione “claque”, un termine onomatopeico che indica proprio il rumore del battere le mani, riferito ad un gruppo organizzato di spettatori che applaude o dissente non spontaneamente, ma dietro compenso economico o di altra natura. Sin dall’antica Roma, venivano organizzati per tempo gruppi di applauditori o di fischiatori in rapporto allo scopo che si voleva perseguire in uno spettacolo, appoggiandosi in genere ad un capo che possedeva l’autorevolezza per cominciare un applauso o una salva di fischi e successiva gazzarra, terrore di ogni impresario teatrale. Infatti, questo tipo di “servizio” veniva offerto a pagamento da gruppi di persone a impresari e artisti, allo scopo di sostenerne le fortune e tentare di demolire quelle dei loro avversari. Per questo «si definisce claque qualsiasi tipo di manifestazione di consenso o di dissenso, non spontanea, ma espressa in modo da sembrare tale e finalizzata a suscitare o amplificare l’atteggiamento del resto del pubblico» 20 . È qualcosa di simile, anche se meno carica emotivamente, alla cosiddetta “ragione dell’audience”, il conto del numero di ascoltatori che hanno seguito una certa trasmissione televisiva o radiofonica oppure un dato messaggio pubblicitario in una determinata fascia oraria. Gli imprenditori mediatici, ma non solo loro, attribuiscono un valore di verità allo share, che ovviamente è un indicatore di interesse, non di adesione ragionevole a quanto sostenuto. Come dire che ciò che conta non è ragionare, ma drammatizzare, suscitare sentimenti forti, anche di avversione. È questa la tragica deriva della figura del giornalista che persegue ciò che è eclatante, mentre ha smarrito le regole dell’informazione e del servizio affinché i propri lettori formulino autonomamente ed in modo ponderato il loro giudizio. In questo forma di comunicazione, il giornalismo “si è profondamente smarrito e corrotto negli ultimi 25 anni” (Cohen, Lévy 2008); questa categoria, caduta da tempo nella trappola della spettacolarizzazione ad ogni costo della notizia, ha subito un tale processo di involuzione da mutare radicalmente la propria natura divenendo imbonitore, presentatore di tesi preconfezionate che si impongono per ripetizione ossessiva e cancellazione di quelle contrastanti. Un’altra forma di consenso emotivo ed interessato, decisamente di parte e non attento al dialogo aperto e sincero, è quella dei social network tanto da coniare l’espressione followership, ad indicare la supremazia del follower rispetto al proprio leader, che viene pressato, sollecitato, indirizzato in una certa direzione, normalmente in modo accentuato e tendenzialmente radicale. Da ciò si deduce che la cosiddetta “democrazia dei media” rovescia il rapporto tra leader e sostenitore: il primo non esprime più una funzione di indirizzo e di guida, ma viene lui stesso indirizzato dalla parte più radicale dei propri sostenitori, quella che preferenzialmente gli invia messaggi, partecipa alle discussioni, prende posizione sulle questioni. La sociologia della politica mostra invece che il successo del leader non sta nell’assecondare coloro che già aderiscono al suo messaggio, ma nell’ampliare la cerchia dei sostenitori operando sui confini del proprio 20 http://it.wikipedia.org/wiki/Claque giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 54 55 ambito di riferimento e sottraendolo agli altri. Solitamente, per chi già condivide un punto di vista servono messaggi forti, mentre per chi è estraneo alla comunità dei sostenitori servono ragioni plausibili (Dardo, Magnone, Tartaglia 2011). Occorre considerare che l’individuo del nostro tempo è subissato – assediato – da una congerie di forme di comunicazione che, spesso agendo su fattori emotivi e sollecitando i sensi, hanno lo scopo di attirare la sua attenzione su un messaggio, un avvenimento, una posizione predefinita. L’aggiunta a questa emissione pressante di una sorta di partecipazione militante da parte dei sostenitori più accaniti e radicali, genera un modo di concepire la comunicazione come lotta per il consenso che si persegue tendenzialmente senza limiti etici. In questo modo, i giovani vengono condizionati a ripetere i messaggi forti senza considerare la ragionevolezza della loro posizione; chi aderisce in questo modo alle tribù mediatiche vive tendenzialmente con fastidio l’interlocuzione con chi la pensa in modo differente, il confronto pacato, la ricerca di un punto di intesa che non sia la semplice supremazia di una parte sull’altra. Si apre di conseguenza una questione di etica del dialogo e ciò qualifica decisamente il ruolo della scuola come luogo del confronto e dell’argomentazione ragionevole. È una questione di libertà autentica e di civiltà della convivenza, contro il dogmatismo mediatico e populista. La qualità propria di una società civile, la socievolezza, indica le virtù dell’apertura, dell’umiltà e della ricerca di uno spazio comune che si appoggiano su uno stile ragionevole ed argomentato di approccio alla conoscenza. Per questo, risulta molto convincente la proposta di Romano Guardini che fonda la vera conoscenza sull’opposizione polare che parte dalla consapevolezza della frammentarietà del reale e del rischio sempre incombente della lacerazione che però viene superata dalla visione dell’unità di ogni realtà vivente. Questa si costituisce in momenti che mai si confondono né si fondono ma che, rimanendo se stessi, rendono vera l’esistenza. Per Guardini: «Gli opposti non sono contraddittori. Bene e male sono contraddizioni ; così vuoto e pieno; chiaro e oscuro; sì e no. Voler congiungere coppie di tale genere sarebbe impurità spirituale» (Guardini 1997, p. 152). La stessa idea di divino e quella di demoniaco, così malintese, verrebbero ad essere identificate in termini di opposizione polare anziché in quelli di contraddizione. Come precisa l’autore italo-tedesco, invece: «Questa è l’opposizione: che due momenti, ciascuno dei quali sta in se stesso inconfondibile, inderivabile, inamovibile, sono tuttavia indissolubilmente legati l’un l’altro; si possono anzi pensare solo l’uno per mezzo dell’altro» (Ivi). Da qui l’importanza dell’idea degli opposti, che risiede non nell’unificazione dei punti di vista che compongono il contrasto, bensì nella possibilità insita in esso in quanto dischiude l’ontologia del concreto vivente, permette all’uomo di poter “guardare” il mondo in cui egli stesso vive in una prospettiva nuova, limpida e chiara, in un modo appunto: «Suo proprio: come “mondo”, voglio dire in un’interezza in sé conclusa» (Ibidem, p. 199). Egli non utilizza il termine “dialettica”, perché questo rinchiuderebbe il pensiero entro uno schema teoretico generale, inglobante (e pretenzioso), ma si limita al fenomeno della vita umana perché in tal modo può muoversi sul terreno dell’esperiengiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 55 56 za e su questo far muovere anche il lettore il quale può verificare il rapporto tra gli opposti nella vita che, a differenza dello schema, non si presentano nettamente separati ma si avvicinano reciprocamente. Allo stato puro, gli opposti non hanno in sé più nulla di vivo: il costo dell’unilateralità dello schema è la vita. Di contro, nel trattare della vita umana, occorre conservare il ritmo determinante della vita stessa, quella pulsazione che si muove nella successione tra gli opposti: lo squilibrio è l’elemento normale, la crisi è dimostrazione di vita. Con Guardini, dobbiamo considerare il valore del dialogo non già come accostamento dei diversi punti di vista o ricerca di un punto comune concentrato sui fattori condivisi escludendo ciò che invece differenzia le parti in gioco, ma come un vero e proprio superamento della posizione del contrasto che consiste nella capacità di dare vita ad un: «Movimento conoscitivo orientato, in un modo del tutto speciale, alla totalità delle cose, a ciò che “ha carattere di mondo” (Das Welthafte) nella realtà data... esso riguarda in modo particolare la concreta, irripetibile unicità di questo mondo, un atteggiarsi definito di fronte alla realtà che sta intorno a noi» (Guardini 1994, p. 67). Secondo questa impostazione, il dialogo si fonda sulla capacità umana di una valorizzazione e nel contempo di un superamento dell’opposizione polare; tuttavia «un tale superamento sarebbe possibile soltanto da una posizione che stia al di sopra del mondo, sopra tutto ciò che in qualche modo può essere naturalmente dato... come se un qualcosa di assolutamente sovramondano si elevasse all’interno dell’ambito delle realtà date» (Ibidem, p. 69). Si necessita, cioè, di un qualcosa che poggi se stesso “fuori” del mondo pur volgendosi al mondo; e nonostante questo, tale extra-mondanità occorre che in qualche maniera sia correlativa all’ambito dell’osservatore umano, poiché: «Altrimenti io, che appartengo al mondo, non potrei avere rapporto alcuno verso questa realtà totalmente estranea» (Ibidem, p. 76). La capacità di dialogo regge l’autentica conoscenza, non si tratta di una semplice “compassione” verso l’altro, tesa a valorizzarlo richiamando parte di ciò che afferma, ma della disponibilità del proprio intero essere alla verità che non riposa affatto sul consenso dei molti, bensì sulla capacità di cogliere nei contrasti del reale le aperture che conducono ad un’unità capace di soddisfare l’esigenza profonda di un sapere che incrementa la capacità di visione e di vita. Il valore dell’intuizione originaria del reale Ma il dialogo trae origine dal riconoscimento comune della capacità di cogliere il reale nella sua consistenza oggettiva, in modo ragionevole. Se un insegnante non partisse da questo presupposto, non potrebbe letteralmente insegnare. La conoscenza non si fonda sulla sostituzione del punto di vista del soggetto, ma nella proposta di un cammino su “come stanno le cose” che si appella al desidero di sapere, ma anche su una serie di regole intuitive circa la possibilità di dire “come stanno le cose”. «L’idea intuitiva è che vi è un modo in cui stanno le cose che è indipendente giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 56 57 dall’opinione umana e che siamo in grado di arrivare a credere come stanno le cose in modo oggettivamente ragionevole, valevole per chiunque sia in grado di apprezzarne l’evidenza a favore indipendentemente dalla prospettiva sociale o culturale» (Boghossian 2006, p. 15). Non basta dire che il soggetto umano e la realtà entrano in relazione, perché può fare difetto lo sguardo sulla realtà, come accade nel “relazionalista immaginario”, una posizione in definitiva scettica, pur se ammantata da intenzioni eticamente apprezzabili come il rifiuto del dogmatismo ed il riconoscimento della pluralità dei punti di vista. Infatti, se ogni affermazione circa un fatto ha eguale validità, il discorso finisce lì, non c’è più né dialogo né crescita reciproca. La realtà oggettiva è invece accessibile ed anche persuasiva, essa si presenta al soggetto umano come portatrice di valori convincenti, corrispondenti alla disposizione dell’animo e sostenuti da “buone ragioni” (Perelman; Olbrechts-Tyteca 2001) che possono essere scoperte e fatte proprie, oltre che argomentate in modo persuasivo. Va detto che questi valori – etici, politici e religiosi – sono le cose che più contano per le persone umane: esse riguardano più da vicino l’esistenza quotidiana e ne costituiscono i riferimenti di fondo. Il cammino della scoperta origina da una certezza: la realtà che compare ai miei sensi è reale, non rappresenta il prodotto del mia mente, non è il riflesso del mio mondi interiore, ma sussiste indipendentemente dal fatto che io la percepisca. Il fatto che il mondo al di fuori di me esista è consolante perché attesta che anch’io esisto; ne è la prova il limite del mio mondo soggettivo, il fatto che la realtà non si chiude nello spazio dei miei sensi, non promana da essi. La consistenza del reale è la condizione della consistenza dell’identità individuale, poiché rende possibile il camino di una conoscenza autentica. Il soggetto umano non si limita però ad attestare l’esistenza del mondo tramite le funzioni cognitive che, associative a quelle sensitive, mobilitano le facoltà della rispondenza e della corrispondenza, vale a dire il modo in cui la mente prende coscienza del modo in cui stanno le cose. La scoperta della realtà, prima che attivare i processi epistemici, provoca stupore ed anche consolazione: lo stupore consiste in un empito dell’animo che coinvolge tutto l’essere umano e giunge alla coscienza come consapevolezza di esistere intrisa nell’esultanza dello stare al mondo, in una realtà vissuta come un prodigio. È la stessa esperienza che si prova quando si riceve un dono inatteso, non dovuto, e sproporzionato e pertanto non creato ponendo in gioco le risorse a disposizione dell’uomo. Ma anche non ripagabile, il cui valore non può essere compensato neppure con tutto ciò che si può fare nell’intera propria esistenza. È lo stesso sentimento che accompagna la festa, un’esperienza fondamentale per comprendere il mistero dell’esistenza umana, quella che giustamente Nietzsche pone in una relazione, poiché: «L’abilità non sta tanto nell’organizzare una festa, ma piuttosto nel trovare coloro che si rallegrino in essa» 21 . Questa esperienza non 21 Citato da J OSEPH P IEPER (2009, p. 29). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 57 58 viene cancellata né negata dal fatto che, magari, nella gran parte dei casi non proviamo gioia nel dono ricevuto (com’è difficile fare un regalo rivelativo del nostro modo di sentire la personalità del destinatario, e soprattutto non scontato!) e ci annoiamo alle feste, magari preferendo con Leopardi la sua attesa piuttosto che essere amareggiati dall’avvertirne la prossima conclusione. Ma il rallegrarsi non è esaurito dall’oggetto o dall’esperienza che ci coinvolge; è necessaria quella particolare libertà che fa sì che l’elemento di contemplazione giunga al centro della nostra anima, così che il nostro essere esulti – è ancora Nietzsche ad affermarlo – si deve approvare tutto. Il termine dello stupore dell’anima è dato dalla totalità delle cose, non solo da quelle che procurano piacere, ma anche ciò che rivela l’abisso intricato del cuore umano. Come l’esperienza del dolore che stravolge la vita di Oscar Wilde, gli spezza il cuore ma non lo impietrisce, anzi lo porta ad una comprensione più piena della sua vita: «Vidi allora che la sola cosa da fare era di accettare ogni cosa» (Wilde 2010, pp. 82-83) per poter così essere all’altezza della vocazione riposta nella sua anima, quella che lo attendeva come un amico anche quando si era perso, perché «anche l’altra metà del giardino mi riserbava i suoi segreti» (Ibidem, p. 77). Ed è il rovesciamento della posizione di Nietzsche: invece di fare del senso dell’abisso il motivo dell’esaltazione orgogliosa e terribile della condizione umana, Wilde propone il cammino della riconciliazione con la propria anima, che porta a comprendere che l’amore è il segreto che il mondo ha perduto e di cui i sapienti sono perennemente alla ricerca. Nel rapporto naturale con le cose la persona avverte la consistenza propria del reale, afferra il senso stesso della verità come entità distinta dalla nostra mutevole soggettività e nel contempo attribuisce consistenza al nostro esistere. Da qui giunge la consolazione che scaturisce dalla fiducia nei confronti del reale: è la consapevolezza che la realtà riposa su un punto di riferimento saldo e consistente, non ingannevole (fallace), così che possiamo scegliere di appartenere al luogo ed al tempo in cui si svolge la nostra esistenza, sia alle piccole cose che stimolano i nostri sensi sia alle grandi forze che smuovono il mondo, come pure a ciò che non conosciamo ancora poiché è velato dall’oscurità che ricopre i tempi futuri. La tensione al sapere che vive in ogni persona presuppone la possibilità che le cose siano così come sono e che possano essere conosciute come verità e non mere rappresentazioni linguistiche, tecniche o estetiche fatalmente destinate alla dissoluzione. La certezza del reale, la ragionevolezza del bene quando sono esperienze condivise entro una comunità, suscitano la disposizione della persona umana alla vita buona. Così, il centro dell’educazione consiste nel sollecitare una metodologia della conoscenza centrata sulla capacità di mettere in relazione il rapporto naturale ed immediato con le cose che ogni persona vive e sperimenta, con le grandi opere del genio umano che hanno costellato il cammino della civiltà. In questo modo il sapere, più dell’arida descrizione funzionale dei fenomeni, risulta un’esperienza capace di profondità e di accesso alla verità del nostro essere al mondo (Fumaroli 2011, p. 712). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 58 59 Il potere della ragione Indubbiamente la possibilità di conoscenza pone in luce il valore della ragione come peculiare facoltà umana tramite la quale il reale diviene intelligibile sia nei suoi aspetti evidenti, sia in quelli nascosti connessi alla dinamica dei processi scientifico matematici sottesi ai fattori percepibili immediatamente tramite i sensi, sia infine quelli che si possono comprendere per consonanza ed affezione. La mente è innanzitutto in grado di nominare un fatto, ed in tal modo compie quell’azione che connota l’uomo in quanto uomo e che consiste nell’esercizio del linguaggio. Inoltre, la mente possiede la capacità di dare giustificazione ad una credenza, ed al suo contenuto proposizionale, riferendola sia a dei fatti, così da poterla considerare vera, vale a dire giustificata e razionale rispetto ai fatti, sia a delle argomentazioni appropriate, in modo da poterla ritenere valida sul piano logico e pertanto condivisibile, e quindi razionale rispetto ai significati. Questi processi della mente sono resi possibili dal ricorso a concetti e a regole epistemiche, che consentono di affermare che “l’acqua è fredda” e non solo che “per me l’acqua è fredda”; ma anche che “don Chisciotte è una delle figure fondamentali della letteratura mondiale” e non solo che “a me piace don Chisciotte perché ci ritrovo alcuni aspetti importanti della mia autocoscienza”. I contenuti della mente umana si dividono infatti in tre grandi categorie: – i contenuti osservativi, che concernono ciò che è ragionevole credere sulla base dell’osservazione diretta, immediata (“ho visto un fulmine”), ma che non sempre possono essere percepiti immediatamente tramite i sensi, come nel caso delle particelle subatomiche, ragione per cui noi utilizziamo un criterio epistemico conforme a quello dell’osservazione diretta; – i contenuti che si producono tramite deduzioni valide, vale a dire «in base ad inferenze tali che, se le premesse sono vere, anche le conclusioni devono esserlo» (Boghossian 2006, p. 85), come nell’esempio che segue l’osservazione precedente: “ho visto un fulmine, quindi è molto probabile che presto pioverà”, dove l’elemento che giustifica l’affermazione è costituito dall’esperienza; – i contenuti che si producono tramite induzione, ovvero affermazioni che non si limitano all’orizzonte spazio temporale in cui si svolge l’esperienza del soggetto che li afferma (e li esperisce tramite i sensi e l’esercizio della memoria), ma si allargano anche a luoghi e tempi che non rientrano nell’orizzonte delle sue sensazioni, come nel caso: “ogni volta che in cielo si vede un fulmine, è molto probabile che presto pioverà”. Uno dei punti più elevati delle capacità della mente consiste nella possibilità di generalizzare alcune caratteristiche di fenomeni empirici per poter giungere ad affermazioni universali, oggettive ed indipendenti dal soggetto che le esperisce tramite i sensi e dalla mente che le pensa tramite i concetti. La tripartizione dei processi della mente umana in osservativi, deduttivi e induttivi delinea in buona parte i principi fondamentali del nostro sistema epistemico “postgalileiano”, sui cui si fondano decisamente le conoscenze che chiamiamo “scientifiche”. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 59 60 La conoscenza scientifica si fonda su un canone suo proprio: essa «si rivolge ai “fatti” che nascono dall’osservazione aperta all’esame intersoggettivo, e non da quelli che dipendono dalla sensibilità individuale. I suoi dati sono quelli universali accessibili all’uomo in quanto uomo... La scienza ignora la dimensione individuale e affettiva della conoscenza: la simpatia, l’emozione, l’intuito, le “reazioni individuali”... l’orientamento quantitativo della scienza naturale la porta a trascurare la dimensione qualitativa, affettiva e valutativa dell’esperienza» (Rescher 1990, p. 236). La scienza è limitata, e ciò è una buona notizia perché abbiamo bisogno della produzione scientifica, visto che è la migliore forma di sapere per gli ambiti ed i modi in cui si applica. Per questo la scienza è affascinante, poiché operando continuamente sul proprio spazio di intervento e concentrandosi sui problemi, riesce a produrre scoperte e risultati che – se bene gestiti – possono davvero migliorare la vita umana sul nostro pianeta e tutelare quella naturale. Ed aprendosi la strada in un cammino continuo, in parte per accumulo ed espansione dei paradigmi normali, in parte attraverso salti e cambiamenti che pongono in discussione e ridisegnano il sapere precedente, senza mai colmare lo spazio delle domande che l’uomo si pone ma ogni volta trovando problemi nuovi su cui applicarsi, fornisce un contributo importante ad una comprensione umana del mondo non coincidente con il dominio sull’universo. Ma non tutte le affermazioni ragionevoli si fondano sul principio scientifico della spiegazione; molte di quelle che riguardano da vicino la nostra esistenza richiedono piuttosto un approccio di comprensione, così come ci ricordano Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca nella presentazione del loro Trattato dell’Argomentazione: «La pubblicazione di un trattato dedicato all’argomentazione e la ripresa in esso di un’antica tradizione, quella della retorica e della dialettica greche, costituiscono una rottura rispetto ad una concezione della ragione e del ragionamento nata con Descartes , che ha improntato di sé la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli» (p. 3). In questo modo si vuole sostenere la necessità di un ampliamento del concetto di ragione che la filosofia post cartesiana aveva limitato al razionale puro, ovvero agli enunciati evidenti o necessari, includendovi l’ambito di ciò che è ragionevole. È questa una critica ai positivisti secondo i quali il probabile equivale al falso, e la conoscenza scientifica può derivare esclusivamente dall’esistenza di concetti chiari, distinti ed inoppugnabili. Fu proprio Descartes a sostenere che l’unico ragionamento dotato di valore è quello scientifico: «Per cui l’evidenza era il marchio della ragione a non voler tenere per razionale che le dimostrazioni capaci di estendere, a partire da idee chiare e distinte, e mediante prove apodittiche, l’evidenza degli assiomi a tutti i teoremi. Il ragionamento more geometrico fu dunque il modello proposto ai filosofi desiderosi di costruire un sistema di pensiero che potesse avere dignità di scienza» (ibidem). Questa concezione ha fatto coincidere il razionale con il campo scientifico basato sul modello della dimostrazione, nell’aspettativa che ciò porti necessariamente ad un consenso unanime. Come afferma lo stesso autore: «Ogni volta che i giudizi di due persone intorno alla medesima cosa sono contrari, è certo che l’uno o l’altro algiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 60 61 meno si inganna, e appare che nessuno di essi possiede la scienza: se infatti la teoria di uno fosse certa ed evidente, esso potrebbe esporla all’altro in maniera da convincere alla fine anche l’intelletto di questo» (p. 4). È evidente come questa impostazione porti a configurare la scienza razionale come: «Un sistema di proposizioni necessarie che s’imponga a tutti gli esseri ragionevoli, e sulle quali l’accordo sia inevitabile. Ne risulterà che il disaccordo è segno d’errore» (Ivi). Cartesio ha aperto la strada di questa visione della conoscenza, ma: «Questa tendenza s’è ulteriormente accentuata da quando, sotto l’influenza dei logici-matematici, la logica è stata limitata alla logica formale, cioè allo studio dei mezzi di prova utilizzati nelle scienze matematiche. Ne risulta che i ragionamenti estranei al campo puramente formale sfuggono alla logica e, per conseguenza, alla ragione stessa» (Ivi). È di grande interesse notare come questa impostazione teorica finisca per confinare tutto ciò che non risulta traducibile in numeri nell’ambito dell’irrazionale, un territorio nel quale dominerebbero unicamente le forze della suggestione e della violenza, ovvero quelle che esorbitano dal campo del razionale puro. «A noi sembra, invece, che si tratti di una limitazione indebita e del tutto ingiustificata del campo in cui interviene la nostra facoltà di ragionare e di provare. [...] La concezione postcartesiana della ragione ci obbliga a far intervenire degli elementi irrazionali ogni volta che l’oggetto della conoscenza non sia evidente» (p. 5). In questo modo, ciò che più sta a cuore alle persone le vicende proprie della vita, le relazioni, i sentimenti, i desideri, le opportunità, le scelte sia quotidiane sia decisive, l’ambito delle credenze collegate a quadri di valori, tutto questo mondo che occupa la gran parte dell’attenzione delle persone, viene fatto cadere in uno spazio in cui dominerebbero unicamente passioni ed interessi che si oppongono alla ragione. Questo esito nasce da una visione dicotomica dell’essere umano, ma ciò costituisce un errore poiché tale distinzione conduce ad un’impasse imbarazzante. La natura di questo errore sta nel concepire la coscienza umana come un ambito costituito di facoltà completamente separate; in questo modo si giunge ad un vicolo cieco, secondo cui ogni azione fondata sulla scelta non può avere una giustificazione razionale, rendendo in tal modo assurdo l’esercizio della libertà umana. E le scelte sono nell’esperienza umana ciò che più interessa, riguardano le questioni rilevanti dell’esistenza e compongono una “geografia della vita” che si svolge in base a credenze, opinioni, affinità, adesioni, tentativi, speranze, vale a dire tutto il corredo della mente che contribuisce a rendere umano il vivere di ciascuno. La teoria dell’argomentazione nasce, invece, dalla consapevolezza che, oltre alle dimostrazioni analitiche che mirano alla spiegazione empirica dei fenomeni oggetto di conoscenza scientifica, esistono procedimenti dialettici che si riferiscono al verosimile, la cui caratteristica fondamentale è data da un metodo di ragionamento che non si fonda sulla presenza di prove certe ed inoppugnabili. Il suo campo proprio è quello del realistico, del probabile e del convincente, visto come l’ambito in cui si elaborano credenze che sfuggono alle certezze del calcolo. È quel tipo di ragionagiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 61 62 mento proprio del discorso retorico, tramite cui l’oratore mira a persuadere l’uditorio portandolo sul suo punto di vista, convincendolo del bontà della tesi propugnata. Buona parte dei ragionamenti umani si basa pertanto sull’argomentazione, poiché si riferiscono a quei fenomeni sociali non rappresentabili tramite dimostrazioni basate su formule matematiche, bensì tramite argomentazioni ragionevoli che tendono a persuadere ed a provare una tesi. In questi casi occorrono, di conseguenza, mezzi di prova razionale non dimostrativi bensì persuasivi, in grado cioè di studiare le “buone ragioni” per cui conviene una prospettiva piuttosto che un’altra, e quindi è preferibile una certa decisione circa ciò che ci sta a cuore. Per giungere a tale esito sono stati presi in particolare considerazione dei criteri di valore a cui sono strettamente legati i fenomeni oggetto di ragionamento, che non vengono pertanto imposti con violenza e coercizione, ma tramite persuasione e accompagnamento. Di conseguenza, occorre riprendere un’antica tradizione, quella della retorica e della dialettica che si basa sulla narrazione, sulla messa in luce di casi ed esempi che provano in modo convincente, sulla base di buone ragioni, la ragionevolezza persuasiva di un determinato modo di vita. Occorre quindi insegnare ai giovani l’arte e la tecnica dell’argomentazione, imparando a gestire il discorso in modo razionale, vale a dire convincente, atto a provocare o accrescere l’adesione delle menti alle tesi che vengono presentate al loro assenso. Anche in questo caso è rilevante l’evidenza, ma non nel modo in cui avviene nel metodo cartesiano, bensì tramite un approccio proprio del vastissimo campo comprendente le argomentazioni di filosofi, politici, avvocati, giornalisti, come pure di educatori. I giovani vanno educati a sostenere il proprio punto di vista circa determinate scelte, sapendosi rivolgere ad un uditorio e sollecitandone l’adesione. Essi devono essere consapevoli della profonda unitarietà della loro esperienza di vita e della loro stessa mente, che non deve essere vista come la sede di facoltà completamente separate tra di loro: il senso comune, le opinioni, i valori, le conoscenze attestate da autorità formali oppure tramite sistemi empirici di validazione. Certo, vi sono differenze tra la teoria dell’argomentazione e l’antica arte retorica. Infatti, mentre quest’ultima si concentrava prevalentemente nel fare discorsi pronunciati di fronte a un pubblico, la nuova retorica si occupa, invece, di come è possibile presentare un’argomentazione in forma ragionevole, studiando i mezzi discorsivi onesti 22 per ottenere il consenso. 22 L’onestà dell’argomentazione si differenzia radicalmente dalla retorica dei sofisti che consideravano la cultura come una tecnica di manipolazione, una forma di scetticismo linguistico, un atteggiamento mercenario del sapiente stesso, il quale era spesso pagato per dimostrare razionalmente la tesi del committente, in spregio a qualsiasi idea di verità. “Il ‘sofista’ è appunto colui nel quale la sophìa, rinunciando a essere verità, è divenuta la capacità tecnica di persuadere conformemente a dei fini” (S EVERINO 1996, p. 35). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 62 63 Bisogna superare l’idea che le uniche evidenze che reggono una credenza razionale siano quelle dell’esperimento scientifico che a sua volta restringe il campo del ragionevole ai soli fenomeni trattabili matematicamente: «Se vogliamo dunque fondare una teoria dell’argomentazione che ci consenta l’uso della ragione per dirigere la nostra azione e influire su quella degli altri, dobbiamo appellarci all’idea di evidenza come carattere specifico della ragione. Quest’evidenza è concepita, a un tempo, come la forza cui ogni mente normale non può che cedere, e come segno della verità di ciò che s’impone perché evidente. Quest’evidenza collegherebbe il piano psicologico e quello logico, permettendo di passare dall’uno all’altro» (p. 5). La prospettiva di Perelman e Olbrechts-Tyteca porta a conseguenze importanti circa il modo in cui l’essere umano giunge alla conoscenza. La questione fondamentale dell’unitarietà della mente umana si ritrova in particolare nell’elaborazione di Lev Semënovič Vygotskij l’autore che più chiaramente di altri ha messo in evidenza il carattere decisivo dell’intuizione immediata sul mondo come fondamento che permette alla mente umana di passare dallo sviluppo di concetti spontanei, derivanti dall’esperienza diretta nel reale, ad una conoscenza indiretta, quella costituita dai concetti formali. Egli propone un approccio alla conoscenza – in particolare dei concetti scientifici – che prende le distanze dalla corrente di pensiero molto diffusa tra gli insegnanti del suo tempo 23 , che: «Crede che i concetti scientifici non abbiano una storia interna, cioè non siano soggetti a sviluppo, ma vengano assorbiti, già pronti, attraverso un processo di comprensione ed assimilazione. Questa posizione si basa sull’idea che il concetto è dato dalla somma di alcuni legami associativi formati dalla memoria (le lezioni impartite e le pagine lette), o l’esito di una abitudine mentale (il fare esercizi)». Al contrario: «Il concetto non è semplicemente la somma di alcune operazioni associative tra lo stimolo costituito dal problema-esercizio e dal contenuto registrato nella memoria, o una semplice abitudine mentale ad applicare certe regole a certi esercizi, è un atto complesso e genuino del pensiero che non si può insegnare attraverso un cieco addestramento, ma può attuarsi solo quando lo sviluppo mentale del bambino ha raggiunto il livello richiesto [...] Lo sviluppo dei concetti, o dei significati delle parole, presuppone lo sviluppo di molte funzioni intellettuali: attenzione volontaria, memoria logica, astrazione, capacità di confrontare e differenziare [...] L’esperienza pratica dimostra anche l’impossibilità e l’inutilità di un insegnamento diretto dei concetti. Un maestro che tenti di fare questo, di solito non ottiene che verbalismi vuoti, una meccanica ripetizione di parole da parte del bambino, che simula- 23 V YGOTSKIJ scrive il suo ultimo volume Pensiero e linguaggio nel 1934 riferendosi al contesto russo, ma questo giudizio è riferibile senza grandi attenuazioni anche all’attuale situazione scolastica ed universitaria, a dimostrazione che l’idea pedagogica dell’istruzione per trasferimento dalle menti degli inseganti a quelle degli studenti risulta molto radicata e resiste per vari motivi alle molte critiche. È la stessa concezione che regge la progressiva decadenza dei sistemi educativi delle società sviluppate, le quali si caratterizzano come gli ordinamenti che più spendono nell’istruzione, ma con esiti tendenzialmente calanti. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 63 64 no la conoscenza dei concetti corrispondenti, ma che in realtà coprono soltanto un vuoto» (Vygotskij 2007, pp. 107-108). A conforto di questa tesi, Vygotskij cita Tolstoj, che si era impegnato in un ampio programma di scuole a favore di giovani contadini, il quale si rese conto, dopo un primo tentativo condotto nel senso del “trasferimento” di concetti collegati alle parole sconosciute, dell’impossibilità di trasferire semplicemente un concetto dal maestro all’allievo: «Egli aveva iniziato ad insegnare loro la lingua letteraria prima “traducendo” il loro vocabolario nel linguaggio delle storie popolari, ed in seguito traducendo queste stesse storie nel linguaggio del russo letterario. In tal modo, si rese conto che non era possibile procedere con un insegnamento basato su spiegazioni artificiali che suscitavano unicamente un apprendimento mnemonico forzato che consisteva in una mera ripetizione dei contenuti che venivano loro rivolti: «dobbiamo dire che tentammo diverse volte... di fare ciò, ma incontrammo sempre un’avversione invincibile da parte dei bambini [...]. Quando si spiega una qualsiasi parola, la parola ‘impressione’ per esempio, la sostituiamo con un’altra parola altrettanto incomprensibile che la parola stessa» (Ibidem, p. 109). Al contrario, «quando egli ha udito o letto una parola sconosciuta una prima volta in una frase, per altro verso comprensibile, e un’altra volta in un’altra frase, egli incomincia ad avere una vaga idea del nuovo concetto; prima o poi egli sentirà... la necessità di usare quella parola – ed una volta ch’egli l’ha usata, la parola ed il concetto sono suoi. Ma dare agli allievi nuovi concetti deliberatamente... è, ne sono convinto, impossibile e futile, come insegnare a un bambino a camminare secondo le leggi dell’equilibrio» (Ivi). La visione di Vygotskij contrasta, oltre che con il metodo didattico più diffuso nel suo tempo, anche con quella propugnata da Jean Piaget; secondo l’autore, quest’ultimo vede la socializzazione del pensiero, ovvero il lavoro cui si dedica la scuola nel tentativo di “civilizzare” il bambino, il fanciullo ed il giovane, come un modo per abolire meccanicamente delle caratteristiche specifiche – ovvero spontanee – del pensiero del bambino, procedendo in modo sistematico nella direzione di una loro graduale scomparsa. Così, tutto ciò che è nuovo – vale a dire non oggetto di una percezione e riflessione immediata del bambino – deve necessariamente provenire dal di fuori di esso, ovvero dal mondo adulto “autorevole”; questa posizione conduce ad un incessante conflitto nella mente dell’educando tra il modo di pensare spontaneo e quello formale indotto dagli insegnanti, e ciò impone l’elaborazione di una serie di compromessi che si ripropongono ad ogni stadio dello sviluppo, fino a che il pensiero dell’adulto – quello che considera la conoscenza come il prodotto di un trasferimento meccanico dall’esterno dotato di autorità all’interno inadeguato – vince su quello del bambino che invece considera il sapere come l’esito di un’esperienza provata e conquistata tramite passaggi successivi coerenti con la propria struttura cognitiva originaria, senza la necessità di un’istruzione sistematica. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, se pure lo stesso Piaget indica l’assoluta necessità di una completa conoscenza del pensiero spontaneo del bambino come un momento decisivo del lavoro dell’insegnante, e gli la vede entro una prospettiva del tutto differente, «come giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 64 65 si deve conoscere il nemico per combatterlo con successo» (Ibidem, p. 111) tramite un processo di socializzazione culturale che funziona come sostituzione dell’approccio spontaneo al sapere con quello artefatto. Lo sforzo continuo che il programma di socializzazione del pensiero impone alla maggioranza degli studenti provoca una tensione tra il modo naturale ed immediato (naïf) di percepire la realtà ed elaborare autonomamente concetti spontanei, e l’adesione (spesso ottenuta per mera ripetizione) ad un modo di pensiero artefatto proposto dagli insegnanti e dalla cultura canonica così come viene erogata nelle scuole e scritta nei libri di testo; tale tensione in molti casi porta a risultati incoerenti con gli esiti attesi, provocando il disapprendimento, tra cui occorre annoverare anche l’acquisizione meccanica isolata dalla realtà e dalle altre forme del pensiero, mentre in non pochi casi diviene insostenibile producendo un rifiuto del sapere canonico ed un rifugio nel territorio più familiare del senso comune. Specie nel campo della matematica e delle scienze – quando queste discipline vengono insegnate in modo avulso dalla realtà e senza che l’allievo possa farne esperienza personale trovando da sé la coerenza tra i pensieri spontanei e le elaborazioni concettuali più evolute –, questo modo di insegnamento presso la grande maggioranza degli alunni produce quei fenomeni di compromesso che spiegano i “trucchi cognitivi” di cui si dotano i giovani, e sulla base dei quali si definiscono i “curricoli nascosti”, veri e propri compromessi impliciti, ma molto vincolanti, tra allievi ed insegnanti, nel tentativo di poter superare le prove di valutazione previste. È molto noto l’esempio che va sotto il nome di L’età del capitano messo in luce, tramite un libro avente questo stesso titolo, dalla psicologa francese Stella Baruk nel 1985 24 . Una versione simile – riguardante questa volta un pastore con pecore e capre – è proposta da Bruno D’Amore nella forma seguente: «In una classe IV elementare (età degli allievi 9-10 anni) di un importante centro agricolo, ho proposto il celeberrimo problema (nel quale il ‘capitano’ diventa un ‘pastore’): “Un pastore ha 12 pecore e 6 capre. Quanti anni ha il pastore?”. In co- 24 Ecco come S TELLA B ARUK racconta la storia nel suo Dizionario di Matematica Elementare: «Il 15 marzo 1843 Gustave Flaubert, che doveva diventare uno dei più illustri scrittori francesi, ma che allora aveva solo ventun anni, scriveva a sua sorella Caroline, che seguiva i suoi studi. La matematica aveva rappresentato per lui una terribile sofferenza intellettuale (come anche per Victor Hugo e per molti altri, divenuti più o meno celebri): faceva fatica a vedere che senso potessero avere tutti quei problemi di algebra più o meno artificiosi che gli erano stati imposti, riguardanti corrieri che dovevano raggiungere qualche luogo distante o che dovevano incontrarsi, lancette di orologi che si allontanavano o si sovrapponevano, eredità di cui gli eredi non potevano beneficiare prima di aver risolto le inestricabili ultime volontà di un padre portato dal suo rigoroso senso della giustizia a un uso assolutamente esagerato delle frazioni … È probabile che egli si sia vendicato di tutto ciò inventando questo enunciato, che prende di mira ciò che l’algebra sembra avere di più inutile, trovare l’età di qualcuno che non esiste: dal momento che tu studi della geometria e della trigonometria, ti voglio sottoporre un problema: una nave si trova in mare, è partita da Boston carica di indaco, ha un carico di duecento barili, fa vela verso Le Havre, l’albero maestro è rotto, c’è del muschio sul castello di prua, i passeggeri sono in numero di dodici, il vento soffia in direzione NNE, l’orologio segna le tre e un quarto del pomeriggio, si è nel mese di maggio. Si richiede l’età del capitano» (B ARUK 1985). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 65 66 ro, con sicurezza, e tutti senza eccezioni o riserve, i bambini hanno dato la risposta attesa: “18”. Di fronte allo sgomento della maestra, ho reagito spiegandole che si tratta di un fatto legato al contratto didattico: lei non aveva mai dato problemi senza soluzione, o impossibili (per una delle tante forme di impossibilità)..., dunque i bambini avevano introdotto nel contratto didattico una clausola in base alla quale, per così dire: “Se la maestra ci dà un problema, questo deve essere risolto certamente”. E, poiché vige un’altra clausola micidiale secondo la quale i dati numerici presenti nel testo vanno presi tutti (una ed una sola volta), e possibilmente nell’ordine in cui compaiono, i bambini di quella classe non avevano nessun’altra possibilità, nessuno scampo: dovevano rispondere usando i dati 12 e 6. L’unico imbarazzo stava semmai nella scelta della operazione da eseguire. Ora, può darsi che quella dell’addizione sia stata una scelta casuale; ma va detto che alla mia richiesta ad un biondino particolarmente vivace di spiegare perché non avesse fatto uso per esempio della divisione, questo, dopo un attimo di riflessione, mi ha spiegato che: “No, è troppo piccolo!”, riferendosi ovviamente all’età del pastore...» 25 . Abbiamo riportato questo esempio perché spiega in modo lampante il meccanismo dell’apprendimento secondo i due codici: quello dedicato all’acquisizione (in prevalenza spontaneo) dei concetti reali, e quello destinato all’acquisizione dei concetti artificiali proposti dalla scuola: mentre il primo avviene in un contesto attivo, “situato” entro l’ambito della vita reale, da cui trae la sua plausibilità così che il soggetto si dispone volentieri mostrando interesse o necessità, o le due cose insieme, mobilitando il corredo di processi mentali acquisiti dall’esperienza, il secondo avviene in un contesto formale, la scuola, si svolge in una forma prevalentemente inerte o comunque avulsa dal reale, richiede all’allievo una decisione di partecipazione che corrisponde alla transizione della sua mente dalla condizione della vita alla condizione dell’artefatto. Questa seconda forma di apprendimento si svolge pertanto entro un “contratto didattico” dal carattere ferreo, centrato sulle tre condizioni dell’affidabilità dell’insegnante, della trasparenza e della immodificabilità dei fattori entro cui si svolgerà la verifica. Pertanto, quando l’apprendimento avviene per “incorporazione” di schemi e formule, senza che questi siano resi significativi da situazioni reali (o comunque realistiche), lo studente li considera come attività appartenenti letteralmente ad un’altra realtà, separate da quella effettiva che attira spontaneamente il suo interesse quotidiano. Egli li affronta come compiti avulsi, e richiede che l’insegnante garantisca – nel momento dell’esercizio e della verifica – la condizione di coeteris paribus, o “date le stesse circostanze” rispetto all’esempio utilizzato dall’insegnante in aula quando 25 Vedi il testo La ricerca in Didattica della Matematica come epistemologia dell’apprendimento della Matematica, in: http://www.dm.unibo.it/rsddm/it/articoli/damore/438%20ricerca%20in%20didmat% 20come%20epistemologia%20apprendimento.pdf. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 66 67 ha esposto la formula. Quest’ultima condizione consente di “sterilizzare” l’influenza del contesto e l’intervento di fattori imprevisti, così da rendere possibile un modello valutativo centrato sul principio secondo cui per ogni problema “esiste una sola risposta esatta” 26 , così che lo sforzo intellettuale si debba concentrare non sui dati di contesto (di per sé mutevole o addirittura “turbolento”), ma sull’abilità di individuazione della giusta formula e di applicazione diligente della stessa in base alle procedure previste. La realtà-reale non presenta queste caratteristiche perché “resiste” alla standardizzazione che pretende di farne un processo lineare, sterilizzandone i caratteri di imprevedibilità e di irriducibilità; ogni persona lo sa, quindi per condursi nelle cose che interessano la sua propria esistenza utilizza un’intelligenza più pratica e più aperta, diciamo pure più imprecisa, ma enormemente più plastica oltre che simpatica. Insegnare per regole e procedure, sulla base di esercizi avulsi dalla imprevedibile realtà, può anche addestrare la persona a perfezionare le sue abilità mentali e fisiche, ma a prezzo di una frattura antropologica deleteria e inibente buona parte delle capacità proprie della mente umana: la visione, l’intuizione, l’immaginazione, la sensibilità, l’argomentazione, il senso di avventura, la disponibilità al rischio, l’orgoglio di aver raggiunto una meta positiva mettendo in gioco le proprie risorse personali. Si potrebbe obiettare che l’esempio di Stella Baruk e Bruno D’Amore si riferisce esclusivamente ai bambini, mentre la mente degli adulti sarebbe strutturata in modo più conforme – o perlomeno con modalità più confacenti – al campo dei concetti artificiali. Chiunque abbia a che fare con i giovani e gli adulti ha a disposizione una quantità di esempi che smentiscono questa visione, specie quando si trova nella necessità di insegnare concetti particolarmente impegnativi, quelli che impongono un salto logico ed una concentrazione mentale decisamente impegnativi. Nessun insegnante è tanto folle da affrontare una classe secondaria impostando la didattica sulla base del linguaggio formale basato sull’epistemologia delle discipline; chiunque ha accumulato nel corso della sua esperienza di insegnamento un repertorio di soluzioni – narrazioni, esempi, battute, trucchi, video, materiali, incontri, visite... – tramite cui suscita l’interesse degli allievi, trova legami con la realtà, sottopone alla classe consegne per realizzare prodotti reali, imposta il processo formativo come un cammino costellato da esperienze e eventi. 26 Negli Stati Uniti è stata elaborata già dal 1972 una speciale scala di valutazione per testare l’ansia derivata negli studenti dal dover svolgere compiti di matematica (MARS - Mathematics Anxiety Rating Scale), tenuto conto che l’ansia influisce in modo rilevante sulle prestazioni connesse alla manipolazione dei numeri ed alla risoluzione di problemi matematici in vari contesti (Arem 2010). Diverse sono le soluzioni proposte: si va dalla scelta di privilegiare la scoperta dei concetti fino alla differenziazione delle tecniche di insegnamento/apprendimento. Il primo fattore pone l’accento sulla prevalenza, nella gran parte delle scuole americane, del metodo didattico della ricerca della “risposta corretta” a cui viene solitamente attribuita la causa principale dell’ansia che interessa gli studenti di matematica. http://en.wikipedia.org/wiki/Mathematical_anxiety (ultimo accesso: 11 marzo 20159). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 67 68 Vygotskij propone una sorta di “pedagogia del reale”; egli afferma che «lo sviluppo di concetti non spontanei deve possedere tutte le caratteristiche peculiari al pensiero del bambino a ogni livello di sviluppo, perché questi concetti non si acquistano semplicemente in modo mnemonico, per immissione dall’esterno, ma evolvono con l’aiuto di una strenua attività mentale da parte del bambino stesso» (Vygotskij 2007, p. 111). La socializzazione culturale impostata secondo la visione dicotomica dell’essere umano conduce ad un accrescimento di nozioni isolate realizzato per induzione e non per convinzione fondata su un’evidenza attendibile, convalidata dal (buon) senso comune. Di contro: «Lo sviluppo della capacità di formare concetti, che è influenzato dal variare di condizioni esterne ed interne, è essenzialmente un processo unitario, non un conflitto tra forme di processi mentali antagoniste, escludentisi a vicenda. L’insegnamento è una delle fonti principali dei concetti dello scolaro, ed è anche una forza che può dirigere molto efficacemente la loro evoluzione; esso determina il destino di tutto lo sviluppo mentale del bambino» (Ivi). Per tale motivo è necessario che il modo in ci si insegnano i contenuti formali a scuola avvenga entro un contesto significativo. Questo autore propone una prospettiva centrata sulla “zona di sviluppo prossimale” nella quale la persona apprende tramite l’interazione sociale, appropriandosi mediante il linguaggio di nuovi strumenti cognitivi che gli consentiranno di risolvere in maniera autonoma problemi analoghi a quelli affrontati con gli altri. Egli afferma: «... è stato notato che, per individuare esattamente il rapporto tra sviluppo e apprendimento, non è sufficiente definire il solo grado dello sviluppo, ma almeno due termini di esso, senza i quali non potremo in alcun modo sperare di trovare il nesso fra il corso dello sviluppo e la possibilità di un apprendimento. Chiameremo il primo di questi livelli: livello dello sviluppo attuale del bambino, al quale corrisponde cioè, il grado di sviluppo raggiunto dalle funzioni psichiche del bambino come risultato di determinati cicli dello sviluppo stesso già conclusi» (Vygotskij 1974, p. 303). Non va escluso affatto il processo di imitazione, quello tramite il quale il bambino apprende da un adulto ad affrontare compiti che da solo non sarebbe capace di fare. È proprio questo spazio, delinea l’ambito che si pone tra ciò che il bambino sa fare da solo e ciò che potrebbe fare se guidato, che identifica la “zona di sviluppo prossimale”. «La divergenza tra il livello della soluzione dei compiti svolti sotto la guida o con l’aiuto degli adulti e quelli svolti da solo, definisce la zona dello sviluppo potenziale del bambino... Quello che il bambino rivela di essere in grado di fare con l’aiuto dell’adulto delimita la zona del suo sviluppo potenziale. Con questo metodo dunque possiamo tenere conto non soltanto del processo dello sviluppo già attuatosi, non soltanto di quei cicli di esso che si sono già conclusi e di quei processi di maturazione che si sono già verificati, ma anche di quelli che si trovano in una fase di assestamento, che si stanno evolvendo e si avviano a maturazione. Quello che oggi il bambino è in grado di fare con l’aiuto degli adulti, domani potrà compierlo da solo. Cosicché la zona dello sviluppo potenziale ci aiuta a conoscere anche il domani dello sviluppo del bambino, la dinamica dello sviluppo, prendendo a considerazione non i giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 68 69 risultati già ottenuti, ma anche quelli che sono in via di acquisizione» (Ibidem, pp. 304-305). La posizione dell’autore non è manichea, poiché riconosce che Piaget ha dimostrato che alla base dello sviluppo del giudizio morale infantile c’è la cooperazione. Accanto a ciò, altri studi precedenti hanno dimostrato che il bambino apprende anche nel corso del gioco collettivo ad uniformare il suo comportamento ad un insieme di regole esterne e che solo in seguito, in un secondo momento, conquista la capacità di autoregolazione volontaria del proprio comportamento come funzione interiore. Questi esempi non sono limitabili all’ambito di evoluzione cognitiva del bambino, ma ci aiutano ad illustrare la linea generale dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori nel passaggio dall’età infantile a quella del fanciullo per poi passare a quella del giovane e dell’adulto. La scoperta della legge della zona di sviluppo prossimale sorge ovviamente nell’età infantile, quella che è maggiormente studiata dagli specialisti della didattica. «Dopo quanto esposto, non esitiamo ad affermare che tratto fondamentale dell’apprendimento è quello di costituire una zona di sviluppo imminente, e cioè di richiamare alla vita, di risvegliare e animare, nel bambino, un’intera serie di processi di sviluppo interiori che sono in quel dato momento possibili per il bambino soltanto nell’ambito della comunicazione con l’adulto e della collaborazione con i compagni, ma che, una volta interiorizzati, diverranno una conquista interiore del bambino. L’apprendimento così concepito non coincide con lo sviluppo, ma attiva lo sviluppo mentale infantile, risvegliando quei processi evolutivi che, al di fuori di esso, sarebbero inattuabili» (Vygotsky 1974, p. 307). Per similitudine, possiamo dire che la Formazione Professionale svolge un compito che si trova nella “zona di sviluppo prossimale” di una categoria di giovani per i quali esiste una duplice divergenza: la prima coincide con quella proposta da Vygotskij riguardante lo spazio che si delinea tra il livello della soluzione dei compiti svolti sotto la guida o con l’aiuto dei formatori e quelli che possono essere svolti da soli da parte degli allievi, nel quadro del loro ambito di riferimento, mentre la seconda riguarda lo iato esistente tra le potenzialità di questi ultimi e la loro percezione circa la possibilità di raggiungere davvero i traguardi che vengono loro proposti. Mentre per il bambino si tratta di avvicinare il mondo entro una prospettiva culturale, vale a dire trovando i significati delle cose, delle esperienze e delle categorie della mente, l’allievo della Formazione Professionale si trova in un territorio intermedio in cui le due modalità di conoscenza sono poste in forte contrasto, poiché l’esperienza scolastica precedente, generalmente fallimentare, li ha convinti di non essere in grado di procedere nel campo dei concetti artificiali, ragione per cui presentano una decisa avversione verso il sapere formale ed un più dedico attaccamento al modo spontaneo di conoscere il mondo. Occorre pertanto rintracciare le modalità tramite le quali è possibile forzare questa duplice impasse, costituita dall’ampiezza della distanza che separa la gran parte degli allievi dei corsi di FP rispetto agli standard culturali previsti per la fine della scuola secondaria di primo grado, e dalla persistenza di un sentimento di inefficacia giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 69 70 delle proprie capacità mentali nel fronteggiare efficacemente la proposta di un ampliamento della loro conoscenza formale. Per delineare questo metodo di approccio alla cultura completiamo la riflessione circa la proposta di Vygotskij, successivamente allargata alle elaborazioni di Bruner. Per il primo, si tratta di rendere ampi e profondi i concetti reali del bambino, così che possa conquistare una conoscenza più ampia rispetto a quella cui potrebbe accedere per effetto dello stimolo delle sue esperienze dirette, anche quelle mediatiche che per loro natura rimangono superficiali se non rientrano entro un progetto curricolare, intenzionale e adeguatamente valutato. La proposta metodologica dell’autore delinea un legame tra dimensione cognitiva e dimensione sociale: l’apprendimento dei saperi non avviene esclusivamente tramite uno lavoro individuale di acquisizione; i processi di accrescimento della conoscenza (sapere qualcosa), della coscienza (sapere di sapere) e della padronanza (saper mobilitare il proprio sapere per portare a termine compiti e risolvere problemi) si realizzano nel corso delle interazioni e risultano situati nelle attività proprie di un contesto. È tramite l’implicazione nello spazio prossimale delineato dagli insegnanti (ma anche dai tutor aziendali, nel caso dell’alternanza) che le persone, mobilitandosi come attori riconosciuti nell’ambito sociale, acquisiscono gli strumenti culturali che via via gli risultano necessari 27 . Si pone qui il superamento delle concezioni centrate esclusivamente sul lavoro dell’insegnante come trasmettitore (travasatore) di conoscenze formalizzate entro un percorso sequenziale di acquisizione di informazioni, abilità e procedimenti; al contrario, sono gli allievi che conquistano le loro conoscenze, attraverso la mediazione di strumenti e segni della cultura, quando essi sono coinvolti in un’azione che conferisce senso ai mezzi utilizzati, che vengono in tal modo interiorizzati attraverso l’interazione con altri. Conquistare significa fare proprio un sapere che viene da prima di me, appartiene ad una tradizione di cui io sono chiamato ad essere parte attiva. Ciò è molto diverso sia dalla visione scolastica tradizionale sia – come abbiamo visto – dall’idea costruttivistica postmoderna che propone, invece, una visione fragile della cultura poiché non mirata alla conoscenza del reale ma all’intesa linguistica tra coloro che ne condividono il contenuto. Quest’intesa mantiene coloro che la formulano entro una condizione sospesa, una sorta di scetticismo ontologico che nega la possibilità di apprendere il reale nella sua autentica consistenza, e che si riduce in definitiva al mero lavoro di combinazione dei materiali culturali a disposizione. Il modo di conoscere proprio del costruttivismo non fornisce al soggetto umano l’occasione di scuotersi dal suo radicale isolamento nei confronti del mondo; al contrario cerca di fargli rendere accettabile il senso di spaesamento tramite “narrazioni” 27 La nozione di “necessità” è qui intesa in senso ampio, quindi non solo nell’accezione di utile dal punto di vista funzionale, ma anche di desiderabile in sé, sia in vista di un godimento individuale sia di un apprezzamento sociale. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 70 71 sempre fragili in quanto provvisorie, addestrandolo a sopportare un contesto dominato dal caos e dall’impossibilità di un vero sapere. Al contrario, nella prospettiva culturale di impronta realistica, che ha ricevuto un notevole impulso dall’opera dello psicologo russo, l’azione significativa e reale costituisce il profilo proprio del soggetto umano quando si dispone positivamente alla conoscenza; si tratta di uno stile di implicazione in cui egli è chiamato a porsi in gioco mobilitando l’insieme delle proprie facoltà, sorretto dal desiderio non solo di soddisfare la curiosità sul mondo, ma anche di dare un volto pubblico alla propria esistenza in quanto espressione viva del proprio essere. Vista in chiave storica, l’azione significativa e reale – sia quella didattica che si realizza in un contesto educativo formale, sia quella più estesamente formativa che si svolge nei contesti situati dell’azione come nelle visite di istruzione, nei progetti di enti che cooperano con la scuola ed il CFP, infine nelle realtà di impresa in occasione dell’alternanza formativa – è la forma educativa propria della cultura occidentale; essa non concepisce l’essere umano come un individuo che assume significato solo come membro anonimo di una collettività che attende con totale ed acritica diligenza alla propria particolare funzione conformemente alle prescrizioni ricevute, ma lo prende in carico come “soggetto” unico ed irripetibile, vero motore della vita sociale, cui aderisce apportandovi il proprio personale ed inimitabile dono. Azione, persona e dono sono i tre fattori fondamentali dell’ontologia occidentale che si ritrovano entro un autentico approccio culturale all’educazione. Bruner e i due paesaggi del pensiero umano Come abbiamo potuto vedere anche nel corso della breve trattazione sin qui condotta, al centro di ogni sforzo dei sistemi educativi e formativi 28 vi è la conoscenza, ma sebbene tutti i teorici dell’apprendimento utilizzino tale termine, in realtà non vi è espressione più dibattuta nei vari ambiti del sapere, dalla filosofia alla pedagogia fino alla psicologia. Le teorie dello sviluppo umano sono sufficientemente varie e diversificate da non consentire di indulgere su un modello unico circa il metodo “corretto” da adottare nel pianificare, gestire e valutare i processi di apprendimento e di crescita delle persone. 28 Secondo l’approccio istituzionale, “educativo” designerebbe il compito dell’istruzione il cui scopo consiste nel “piacere del sapere”, mentre “formativo” quello del sottosistema dell’Istruzione e Formazione Professionale finalizzato al lavoro. In realtà buona parte dell’istruzione persegue un modello meccanico del sapere che procede secondo una prospettiva proposizionale e ripetitiva, mentre la Formazione Professionale presenta una decisa ed evidente valenza educativa nel momento che punta alla massima valorizzazione dei talenti dei suoi allievi in direzione di una formazione ad ampio spettro che comprende la persona, il cittadino ed il lavoratore. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 71 72 Già Jerome Bruner, nel suo famoso intervento celebrativo del centenario della nascita di Piaget e Vygotskij tenutosi a Ginevra il 15 settembre del 1996, aveva scelto un titolo significativo “Celebrating divergence: Piaget and Vygotskij” con il quale affermare l’esistenza di due “paesaggi” che caratterizzano il pensiero umano, l’uno proprio del pensiero paradigmatico, centrato sul comprendere, che richiede la capacità di rintracciare le cause necessarie e sufficienti di ordine generale che presiedono ai fenomeni, l’altro che si riferisce al pensiero narrativo, finalizzato a spiegare la realtà attraverso la ricerca del significato che, nello specifico contesto ed in prospettiva storica, la comunità umana attribuisce alla realtà, sulla base del quale orienta la sua azione (Liverta Sempio 1998). L’identificazione paradigmatica di queste due prospettive ha lo scopo di segnalarne l’irriducibilità, ma nel contempo la compresenza nella mente, in quanto modi compresenti di costruire significati necessari ed indispensabili nello sviluppo umano. Ma per un approccio ragionevole e “laico” alla questione del metodo dell’apprendimento, occorre superare specialmente la pretesa del cognitivismo, di cui Jean Piaget è il principale sostenitore, che appare essere la più conforme al paradigma epistemico dominante, di rappresentare i processi della mente tramite un modello unico della cognizione. Bruner afferma infatti che «per Piaget lo sviluppo procede da sé, purché il bambino abbia un adeguato ‘alimento’ di esperienza attiva con il mondo. Basta solo attendere. Gli stadi di sviluppo si susseguiranno nello stesso ordine, magari accelerati da una più ricca esperienza. Com’era possibile liquidare la Zona di sviluppo prossimale di Vygotskij con tanta disinvoltura? Date a un bambino i mezzi concettuali per compiere il balzo verso un livello più elevato e, con ogni probabilità, egli saprà generalizzare e trasferire di propria iniziativa questa conoscenza su nuovi problemi. È possibile che gli stadi fossero monolitici a tal punto?» (Bruner 1983, p. 152). Tale pretesa vorrebbe sostenere l’idea del ruolo decisivo delle prerogative proprie della mente (come la memorizzazione e la classificazione) in quanto fattori costitutivi dell’intelletto, conosciuto quindi esclusivamente dall’interno, basandosi sugli stati soggettivi quali il pensiero, il sentimento e la volontà, senza alcun ricorso a fattori storici e culturali. Quelli su cui, com’è noto, Vygotskij elabora la sua prospettiva culturale fondata sul ruolo decisivo del linguaggio come strumento principe della comunicazione e della trasmissione della conoscenza. Di contro, occorre aprirsi ai differenti modi di capire la realtà, alle diverse strategie – cognitive ed affettive – con cui l’uomo è in grado di attribuire i significati alle cose. La proposta di Bruner, che ritiene superata l’opposizione dei due modelli della spiegazione (Piaget) e della comprensione (Vygotskij), apre alla possibilità di contenere ambedue le prospettive entro una cornice di riferimento organica ed allo stesso tempo plurima, tramite cui la mente umana consente alla persona di accedere alla comunità culturale costituita e nel contempo di dotarsi di un’identità personale. Per Bruner la conoscenza è iscritta nel quadro culturale cui l’allievo appartiene, non è una immissione che si pone in un contesto culturalmente neutro, al di fuori del sistema dei significati entro cui l’allievo è implicato. Infatti egli sostiene, ad esemgiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 72 73 pio, che la comprensione (non la mera acquisizione meccanica) di qualsiasi concetto matematico o scientifico da parte del bambino è necessariamente iscritta nel livello di operazioni intellettuali di cui egli è capace. Inoltre, per questo autore la conoscenza è “generativa”, e ciò si evidenzia nell’idea dell’apprendimento come capacità di intravvedere come utilizzare ciò che già si possiede. Questi due concetti hanno portato il nostro autore alla sua affermazione più nota, quella che ha suscitato le più accese reazioni nel campo del sapere accademico del tempo, in occasione della conferenza di Woods Hole del 1959: «Qualsiasi materia può essere insegnata a chiunque a qualunque età in una forma che sia onesta» (Ibidem, p. 193). Egli intendeva sostenere l’educazione come promozione dell’eccellenza, intesa come processo capace di aiutare l’allievo a raggiungere il massimo grado di sviluppo intellettuale a lui possibile. Ciò tramite: «Il maturarsi di un’attitudine all’apprendimento e all’indagine, all’intuizione e all’immaginazione, alla possibilità di risolvere per proprio conto i problemi» (Bruner 1960, p. 60). La sua idea di fondo consiste nel fatto che gli esseri umani rappresentano il loro cammino di conoscenza innanzitutto attraverso l’abitudine e l’azione (il sapere che cosa fare ovvero la sua rappresentazione attiva), poi attraverso l’immaginazione (raffigurazione visuale degli eventi e delle loro relazioni ovvero la loro rappresentazione iconica), infine attraverso l’uso di sistemi simbolici come il linguaggio o la matematica (ciò che costituisce la rappresentazione simbolica). Per questo autore occorre coniugare il linguaggio naturale ed il linguaggio matematico in quanto dimensioni indispensabili allo scopo di organizzare l’esperienza; di conseguenza il pensiero intuitivo ed il pensiero analitico sono complementari, così come il procedimento euristico (che sollecita il metodo intuitivo e creativo al fine di risolvere i problemi) e quello algoritmico (che utilizza sequenze di operazioni logicamente concatenate per risolvere specifiche categorie di problemi). L’intuizione di Bruner, secondo cui il sistema attivo di rappresentazione, proprio dell’azione sociale orientata ad uno scopo significativo per l’attore e per il contesto di riferimento, costituisce la molla fondamentale dell’approccio al sapere da parte del soggetto, risulta decisamente illuminante per la Formazione Professionale che deve trovare un modo per superare la duplice impasse vissuta dalla gran parte dei propri allievi: quella rispetto al sapere formale standard, e quella della convinzione di riuscirci entro un contesto diverso da quello scolastico che ne ha stigmatizzato quasi sempre l’inabilità cognitiva ed anche comportamentale. La prospettiva dell’azione è promettente proprio perché indica la porta di accesso al desiderio di sapere di questi allievi, costituita precisamente dalla conoscenza situata entro un percorso di noviziato lavorativo e nel contempo positiva sia in vista dell’acquisizione di un’identità sociale riconosciuta sia nella prospettiva dell’accrescimento della propria capacità di affezione nei confronti del reale. Ma, alla luce del diffuso malcontento espresso dal ceto insegnante circa l’indisponibilità dei propri studenti ad apprendere, non pare questa una prospettiva limitagiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 73 74 ta al solo ambito della Formazione Professionale: una quota consistente del mondo giovanile “resiste” agli sforzi di socializzazione culturale posti in atto dalla scuola. Ciò indica una condizione di estraneità che non è spiegabile genericamente come richiamo della “piazza” con la sua subcultura ignorante, ma segnala la presenza di un’altra fonte di attrazione che disegna una nuova condizione di vita del giovane, quella mediatica mista alla frequentazione dei luoghi dei consumi, spesso non-luoghi rispetto alle forme urbane della tradizione. Considerata questa nuova emergenza educativa che tende a proporre ai giovani l’“estetica dei consumi” e la cura della propria immagine nello scenario mediatico frequentato compulsivamente, piuttosto che il gusto, la bellezza e l’utilità del sapere, come modo per radicare il proprio io entro una relazione sociale significativa e reciprocamente arricchente, la prospettiva di Bruner può consentirci una proposta culturale ed educativa in grado di permettere alle giovani generazioni di avvalersi dell’enorme patrimonio di significati e di valori propri della tradizione religiosa, filosofica e scientifica dell’Occidente, che nel suo cuore mantiene sempre aperte le due domande fondamentali: “come si è arrivati ad essere umani? Com’è possibile essere ancora più umani?” (Groppo, Scarlatti, Ornaghi 1998, p. 272). È necessario un impegno educativo che fornisca ai giovani d’oggi i motivi, gli incontri, le occasioni gli strumenti per fronteggiare con il giusto corredo di risorse e con la corretta disposizione umana, le sfide di un mondo profondamente mutato dalla pervasività delle tecnologie, dalla rottura dei vincoli spazio-temporali propri della globalizzazione, infine da una crisi epocale che ha distrutto beni e valori della tradizione, tentato di sostituirli con le “passioni debilitanti” di Tocqueville: «Desiderio di arricchirsi ad ogni costo, passione degli affari, avidità di guadagno, ricerca del benessere e dei godimenti materiali» (Tocqueville 2011, p. 31), a cui bisogna aggiungere anche le passioni mediatiche che definiscono l’altra vita cui molti giovani contemporanei dedicano gran parte del loro tempo. Un impegno che neghi nel contempo ragionevolezza a quell’indole infeconda ed accidiosa29 propria delle società occidentali benestanti, rappresentata nel mondo politico e sociale dalla tentazione della conservazione, corredata da lamentazione e rinvio, e nel contesto di vita quotidiana dalla chiusura del soggetto entro lo spazio del momento attuale, la continua ed affannata ricerca di conferma di esistere tramite il gioco della rappresentazione di sé nella commedia delle identità apparenti, sperando che, nell’adottare l’abito del “narciso frettoloso”, possa esorcizzare la questione decisiva del tempo e del limite che quella porta con sé e di evitare la decisione circa la direzione da imprimere alla propria vita. 29 Il carattere accidioso dello spirito del nostro tempo non si riferisce alle decisioni connesse alle “passioni debilitanti”, che in effetti pullulano fino ad assorbire quasi totalmente la mente delle persone, quanto alle scelte riferite alle “virtù dei nostri padri” che esprimevano «vero spirito di indipendenza, amore delle cose grandi, fede in se stessi e in una causa» (T OCQUEVILLE 2011, p. 30). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 74 75 Bruner con la sua proposta ci propone tre fattori fondamentali da considerare necessariamente in modo unitario, per un’educazione rinnovata: – la rilevanza delle prestazioni sociali significative ed utili intese come possibilità per il discente, inserito in un contesto definito – l’“area di sviluppo prossimale” di Vygotskij (1987) debitamente ampliata allo spazio del radicamento e della realizzazione sociale del giovane – di fare esperienza personale del sapere così da conquistarlo e nel contempo farlo proprio in modo sensibile, aggiungendo a ciò un aspetto specifico della propria individualità; – la peculiarità cognitiva della mente umana che procede verso l’acquisizione del sapere proposizionale tramite le strutture logiche che le sono proprie e che pertanto vanno comprese nella loro giusta dinamica; – il modello conversazionale che consente al discente di entrare un rapporto del sapere come incremento del suo mondo di significati visto a partire dalla sua cultura di appartenenza (Bruner 2009). Queste tre dimensioni – logica, culturale e narrativa – consentono alla persona di spiegare la realtà, vale a dire di ricondurla a proposizioni valide e cogenti, di comprendere il mondo che ci circonda attribuendo ad esso i giusti significati, infine di convincersi della bontà degli apporti della cultura e di farli propri inserendoli nel nostro originale punto di vista. Le tre dimensioni fondamentali del sapere Questa impostazione è avvalorata dalla consapevolezza delle tre dimensioni fondamentali del sapere: • Il sapere possiede una dimensione logico-cognitiva che presuppone un linguaggio, un campo di riferimento e inoltre un’epistemologia che consente di delineare gli impianti concettuali e gli schemi cognitivo-operativi delle discipline. L’epistemologia scientifica assume caratteri sempre meno basati sul principio dell’oggettività e sempre più della affidabilità in rapporto alla complessità del reale; quindi comprende modelli probabilistici, modellizzazioni, solidarietà multidisciplinari. È poi importante l’epistemologia genetica (Piaget) che indica l’evoluzione delle strutture cognitive in ambito linguistico, fisico, matematico, cosmologico, dello spazio e del tempo, ecc. come pure le teorie spontanee del soggetto in età evolutiva 30 . Un processo di apprendimento per trasferimento, che utilizza la modalità comunicativa ed argomentativa propria della lezione (spiegazione, esempio, esercizio, ritorno sulla spiegazione) è in grado di affrontare la 30 Complessità e nuovi curricoli: la questione dei curricoli per competenze, Sintesi del documento di Giovanni Campana, http://ospitiweb.indire.it/adi/CoopLearn/compcurr.htm. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 75 76 dimensione logico-cognitiva del sapere anche se necessariamente lo propone in forma decontestualizzata ed in assenza di relazioni significative con il soggetto che apprende e con la realtà in cui trova attuazione. Vi è inoltre la questione dell’apertura vale a dire delle connessioni con gli altri campi disciplinari con cui si condividono confini che tendono ad essere nel tempo sempre meno netti e quindi più contaminati. • Inoltre il sapere presenta una dimensione affettiva e relazionale che rimane nascosta quando si riduce l’intelligenza a pura funzione di calcolo o di memoria. Ogni ambito disciplinare possiede la capacità di “seduzione” nel senso che esprime un fascino proprio tale da attrarre la persona e suscitare emozioni. In tal modo avviene una mobilitazione dell’intelligenza emotiva, si sollecita lo studente a mettersi in gioco, a prendersi cura dell’oggetto del suo studio apprezzando il carattere personale e sociale del sapere sia come procedura sia come aspirazione e bisogno 31 . Ciò porta a stabilire un legame emotivo con il sapere e con le persone che sono in grado di porgerlo e con coloro con cui si condivide l’esperienza di apprendimento (comunità). Esiste una affettività del testo letterario che per sua forza propria (quando una prosa od una poesia vengono presentate così come l’autore le ha scritte ed ha pensato venissero lette, senza la mediazione dell’impianto critico) suscita sentimenti e per ciò stesso “si fa capire”; esiste una dimensione affettiva della storia poiché consente di stabilire incontri con personaggi ed immedesimazioni con epoche diverse da quella presente; vi è anche un’affettività della matematica poiché sollecita alla scoperta ed alla soluzione di problemi, ma anche in quanto propone modi di rappresentazione formale della realtà cogliendone la struttura di fondo (sia nel metodo algoritmico che in quello euristico, oppure anche nella forma dei giochi). • Infine il sapere evidenzia una dimensione concreta: ogni conoscenza è implicata nella realtà che ne costituisce l’ambiente entro cui prende vita dando nome alle cose ed ai processi, rendendo comprensibile ciò che accade, contribuendo a formulare ipotesi di soluzione e motivando l’utilizzo degli strumenti idonei, fornendo criteri appropriati per valutare il percorso che si sta seguendo e suggerire miglioramenti. Il carattere pratico del sapere è presente anche nella sua epistemologia: infatti, si dice che un sapere è astratto nel senso che è stato tratto dalla realtà che rappresenta il luogo nel quale esso è necessariamente incorporato. Questo carattere presenta quindi un risvolto di apprendimento, poiché ripercorrendo il processo in cui si è potuto elaborare partendo dall’esperienza, si suggerisce nel contempo un percorso in cui lo studente può nuovamente appropriarse- 31 Curricolo verticale di storia e di area antropica, Mario Pinotti, http://www.novecento.org/curr_pinotti_ 2.htm. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 76 77 ne. I saperi non nascono “nella testa” per poi essere applicati nella realtà; più frequentemente accade che la persona, appunto perché è immersa nella realtà, si rende consapevole di un fenomeno cui dà nome e che poi formalizza entro uno concetto o una regola. L’azione è la forma che assume il modo umano di apprendere dall’esperienza concreta, reale. Non si tratta di un semplice “esempio” che illustra e conferma un concetto precedentemente illustrato dall’insegnante, ma di un modo per porre concretamente i fatti all’attenzione dello studente in modo che possa entrare in rapporto con essi attraverso un processo di apprendimento attivo che procede per manifestazione di interesse, coinvolgimento, comprensione, formulazione di ipotesi e modi di soluzione dei problemi che sfidano il soggetto stesso. L’apprendimento tramite l’esperienza consente di costruire una conoscenza personale attraverso un percorso peculiare, che giunge ad una comprensione e padronanza logico-cognitiva mediante il passaggio da rappresentazioni intuitive, irriflessive ed asistematiche a rappresentazioni consapevoli e connesse 32 . È proprio in forza di queste tre differenti caratteristiche del sapere – logico-cognitiva, affettiva e relazionale, concreta – che si possono pensare processi di apprendimento in grado di sollecitare maggiormente la persona dello studente che in tal modo ha l’occasione di fare esperienza personale della cultura. 32 Il ruolo del laboratorio nell’insegnamento scientifico nella scuola di base. Aspetti epistemologici, psicopedagogici e didattici, C ARLO F IORENTINI , http://www.edscuola.com/archivio/comprensivi/ruolo_ del_laboratorio.htm. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 77 79 La duplice impasse culturale ed i due attivatori degli allievi della FP I fondamenti del metodo della Formazione Professionale Le riflessioni proposte da Vygotskij e Bruner, arricchite dall’approfondimento circa la triplice valenza del sapere (logico-cognitiva, affettiva e relazionale, concreta), costituiscono le premesse ed il materiale per delineare il modo di accesso al sapere culturale in riferimento all’utenza della Formazione Professionale, specialmente gli adolescenti ed i giovani che frequentano i corsi di Istruzione e Formazione Professionale e gli apprendisti coinvolti nel contratto per la qualifica ed i diplomi. Le teorie dei due autori si riferiscono, ovviamente, ad alunni del primo ciclo degli studi. Ciò impone, innanzitutto, un adattamento delle teorie e delle conseguenti soluzioni metodologiche emergenti all’utenza tipica di questi corsi. Essa, come abbiamo già rilevato, presenta una caratteristica di fondo: si trova in una duplice impasse culturale, ma accanto a questa segnala anche, con la partecipazione ad azioni formative connesse al lavoro, una propensione se non proprio una decisione orientata ad una formazione che le consenta l’inserimento in tempi contenuti nel mondo del lavoro imparando ad assumere un ruolo riconosciuto. Chiamiamo questo fattore il possibile attivatore esplicito di un accesso alla cultura che la vede nella funzione servente il progetto di professionalizzazione degli allievi; ma sullo sfondo, entro un altro ambito del vissuto esistenziale dell’allievo, possiamo individuare un ulteriore attivatore, questa volta implicito nel senso di non pienamente consapevole nella sua coscienza, connesso alla potenzialità motivante che la cultura ha in sé in quanto capace di suscitare curiosità, interesse, gusto ed arricchimento per la persona dell’allievo e per il gruppo in formazione, nella triplice relazione con i formatori, i protagonisti della tradizione culturale e gli attori dell’alleanza educativa allargata. Ciò corrisponde alla dimensione affettiva e relazionale della cultura, presentata in precedenza. Naturalmente, la possibilità di suscitare questo attivatore implicito è legata alla capacità di aggiramento dell’ostacolo fondamentale costituito dalla mancanza di motivazione che giunge anche fino alla chiusura verso ogni esperienza di didattica “teorica”, che si manifesta tramite un mix di critica esplicita (“a cosa serve?”, una domanda che, quando viene posta, non si attende una risposta, ma si propone già come una sentenza definitiva) e di senso di inefficacia personale (“sono io che non ci arrivo, me l’hanno già detto in tanti”). È entro questo quadro, certamente problematico ma non privo di occasioni e di leve d’azione promettenti, che dobbiamo individuare gli elementi della proposta: i fondamenti del metodo che consente di definire dei sentieri di accesso di questi giovani alla cultura, ma nel contempo, per non limitarci alle soluzioni procedurali di nagiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 79 80 tura didattica, la focalizzazione del quadro dei valori, degli atteggiamenti e delle alleanze educative che caratterizzano una comunità di formatori che intenda perseguire con successo il proprio compito. La duplice impasse culturale La Formazione Professionale svolge il suo compito entro una variante più complessa della “zona di sviluppo prossimale”, poiché la categoria di giovani cui si rivolge presenta, come abbiamo visto, una condizione caratterizzata da una duplice impasse: – la prima coincide con quella proposta da Vygotskij riguardante lo spazio posto tra il livello della soluzione dei compiti svolti sotto la guida o con l’aiuto dei formatori e quelli che possono essere svolti da soli da parte degli allievi, nel quadro del loro ambito di riferimento. La particolarità della condizione degli allievi dei corsi professionali risiede nell’ampiezza di questo spazio, a causa del fatto che la formatività della loro esperienza di vita autonoma risulta impoverita dalla limitata padronanza culturale e dall’appartenenza ad un mondo che propone scarsi stimoli orientati alla loro crescita umana. Di contro, è notevole la potenzialità dell’intervento dei loro formatori che di conseguenza rappresentano per i loro allievi la chiave per una svolta significativa della loro vita. Per questi allievi, la possibilità di frequentare “con profitto” i corsi di Formazione Professionale rappresenta un’occasione decisamente preziosa di crescita personale e di inserimento sociale, ciò che viene comunemente espresso con il termine “fortuna”; il capitale formativo acquisibile per questa via è pertanto molto elevato rispetto sia a quello di partenza sia al valore delle esperienze tipiche delle cerchie entro cui si svolge perlopiù la loro esistenza. Ciò accresce la responsabilità dei formatori ed il valore sociale del loro lavoro. – La seconda riguarda lo iato esistente tra le potenzialità cognitive degli allievi della FP e la loro percezione circa la possibilità di raggiungere davvero i traguardi che vengono loro proposti. Considerato che, così come per le scuole, il sapere proposto dai corsi di Formazione Professionale risulta accessibile alla quasi totalità degli allievi, che cioè non esistono nella grande maggioranza dei casi patologie della mente che inficino la loro capacità di apprendere, occorre però considerare il peso costituito dall’accumulo di esperienze scolastiche di insuccesso e dalla cristallizzazione nel tempo di un sentimento di inefficacia personale difronte alla cultura. L’apprendimento formale procede come per l’ostacolista che, arrivando corto sul primo elemento vede aumentare esponenzialmente il rischio di non riuscire ad affrontare quello successivo e quindi di cadere; se ciò si ripete più volte, ne deriva l’elaborazione di una identità negativa rispetto alla capacità di approccio al sapere generando un effetto di stigmatizzazione e di auto inefficacia che non raramente confina con subculture devianti. Lo studente che accumula insuccessi vive un conflitto tra forme di processi mentali antagonisti, quelli “reali” acquisibili nella cerchia sociale di appartenenza e quelli “non spontanei” che si apprendono in gran parte a scuola. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 80 81 Mentre per il bambino si tratta di avvicinare il mondo entro una prospettiva culturale, vale a dire trovando i significati delle cose, delle esperienze e delle categorie della mente, e ciò avviene per la prima volta, tracciando un percorso inedito nella sua mente, l’allievo della Formazione Professionale si trova in un territorio intermedio in cui le due modalità di conoscenza sono poste in forte contrasto, poiché l’esperienza scolastica precedente, generalmente fallimentare, lo ha convinto di non essere in grado di procedere nel campo dei concetti artificiali, ragione per cui presenta una decisa avversione verso il sapere formale ed un più deciso attaccamento al modo spontaneo di conoscere il mondo. È certo che, di fronte ad una gioventù deprivata culturalmente, la posizione stigmatizzante delle neuroscienze, evidenziata dalla crescita esponenziale delle certificazioni relative ai disturbi specifici di apprendimento risulta essere una soluzione non solo inefficace, ma anche erronea perché riduce gli stimoli educativi e cultuali invece che sollecitarli e renderli personali. L’idea diffusa nell’ambito educativo da esperti specializzati nel campo neuroscientifico, fondata sull’assunzione – in definitiva non dimostrata – che i disturbi mentali trovino origine primariamente nell’ambito biologico del singolo individuo, rischia di essere decisamente sovrastimata, a spese di altri importanti fattori di mutamento sociale e culturale come l’offerta di occasioni formative veramente qualificanti. Il disapprendimento, invece che stimolare le capacità degli insegnanti, viene medicalizzato e delegato agli esperti. I quali, peraltro, emergono per capacità di diagnosi e per un profluvio di “principi di precauzione”, risultando decisamente poveri di indicazioni formative positive, mentre lo stato di disagio della gioventù di fronte alla cultura non arretra significativamente a seguito della sorprendente campagna di certificazione manifestatasi negli ultimi anni. in tal modo questi, sulla base di una certificazione come esito della immancabile diagnosi, sottraggono l’allievo alla responsabilità dei suoi insegnanti. È sospetto il fatto che ciò accada soprattutto nelle zone popolari ed in classi etnicamente “variegate”: forse la diagnosi di ADHD (sindrome di iperattività e deficit dell’attenzione) è il nuovo sostituto, più dolce, delle classi differenziali del passato? Naturalmente, non si intende discutere di pratiche mediche fondate, quelle riguardanti patologie effettivamente riscontrate con diagnosi conformi a protocolli scientifici rigorosi, ma indicare la pericolosità di una tendenza che concorre alla confusione dei linguaggi e ad indebolire la figura dell’insegnante oltre che il valore dell’educazione. Il punto di crisi che indica il pericolo di scollinamento dal versante scientifico a quello dell’arbitrarietà ci viene dagli Stati Uniti, dove l’Associazione Psichiatrica Americana (APA) spinge per una modifica della linea guida del settore per le malattie mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). Decisamente, tale ampliamento, se accettato nella versione ufficiale, provocherà un aumento del numero di casi di pazienti trattati con farmaci. Allen Frances, uno psichiatra che ha contribuito a scrivere le linee guida in uso, professore emerito presso la Duke University, afferma a questo proposito che: «Eccentricità, sofferenze e delusioni di tutti i giorni sono ridefinite come disturbi psichiatrici che potrebbero portare a un trattamento giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 81 82 farmacologico... Questo sta allargando i confini della psichiatria: in molti casi, infatti, i medici di famiglia utilizzano le nuove definizioni per curare i pazienti» 33 . Questa tendenza, definita “medicalizzazione della normalità”, riguarda poi direttamente la sindrome ADHD: se nel manuale oggi in vigore una diagnosi di tal genere richiede sei sintomi per essere identificata negli adulti, includendone alcuni presenti prima dell’età di 7 anni, il nuovo manuale ne richiede solo quattro per essere identificato e non è più necessario che il disturbo si presenti durante l’infanzia. Questo spostamento verso il basso dell’asticella provoca evidentemente un’invasione dell’ambito della normalità che, lo vogliamo ricordare, non è caratterizzata da soggetti perfetti, esenti da qualsivoglia segnale di tipo problematico. Una popolazione che non ha potuto usufruire positivamente delle occasioni rappresentate dall’istruzione formale, se stigmatizzata mediante questa tendenza alla medicalizzazione del disapprendimento subisce un’ulteriore ingiustizia di esclusione dalle opportunità formative che si somma all’inefficacia dei programmi precedenti. Di fronte a questa consistente impasse culturale, occorre inoltre evitare di intraprendere la strada di interventi che perseguono la strategia del “recupero” culturale e sociale, come se si dovesse ritornare indietro al punto in cui la catena delle acquisizioni concettuali della mente si è interrotta. Se l’insegnamento diretto dei concetti proposti nell’età canonica non ha portato a risultati positivi, e se l’alunno non ha potuto neppure beneficiare della capacità di ripetizione meccanica delle parole simulando la conoscenza dei concetti corrispondenti, un didattica “recuperante” che si proponesse banalmente il ritorno nel punto della crisi per riproporre esattamente la stessa sequenza di stimoli per un allievo di qualche anno più grande verrebbe vista da quest’ultimo come una richiesta di infantilizzazione inaccettabile (“sono uscito dalla scuola media, sia pure con una promozione forzata, ed ora mi vogliono riportare nella stessa situazione!”), a cui reagire con il rifiuto del sapere proposto. Il programma “recuperante” discende direttamente dalla teoria dell’istruzione, sia quella più “volgare” che concepisce l’apprendimento come un riempimento progressivo della testa dello studente con il materiale culturale introdotto a mo’ di imbuto dall’insegnante 34 , sia quella più elaborata proposta dalla psicologia cognitiva che considera la socializ- 33 E. L OPATTO , Bloomberg News, 27 Gennaio 2012. http://www.informazione.it/c/9AF236BC-9B9F- 4775-9A17-88F2752E05F8/Malattie-mentali-proteste-per-le-definizioni-Rischio-di-medicalizzare-la-normalita. Ultimo accesso: 14 marzo 2015. 34 Questa espressione è utilizzata da Michel de Montaigne nel famoso brano del 1588 in cui parla della “testa bene fatta” del precettore. Egli scriveva che: «Per un figlio di buona famiglia... se si desidera farne un uomo avveduto piuttosto che un dotto, vorrei anche che si avesse cura di scegliergli un precettore che avesse piuttosto la testa ben fatta che ben piena... Non si smette mai di blaterare nei nostri orecchi come si versa in un imbuto, e il nostro compito è soltanto ridire quello che ci è stato detto. Vorrei che egli correggesse questo punto e che fin dal principio, secondo le possibilità dell’animo che gli è affidato, cominciasse a metterlo alla prova, facendogli gustare le cose, sceglierle e discernerle da solo; a volte aprendogli la strada, a volte lasciando a lui di aprirla. Non desidero che inventi e parli lui solo, desidero che ascolti il suo discepolo parlare a sua volta ... È bene che egli se lo faccia trottar davanti per giudicar la sua andatura, e giudicare fino a che punto debba abbassarsi per adattarsi alle sue possibilità. Se manca questa proporzione, guastiamo tutto, e saperla trovare, e regolarsi di conseguenza con giusta misura, è uno dei più ardui compiti che io conosca... Non gli chieda conto soltanto delle parole della sua lezione, ma del senso e della sostanza, e giudichi del profitto che ne avrà tratto non dalle prove della sua memoria, ma da quelle della sua vita» (M ONTAIGNE 2005, II, XXVI, 196-8). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 82 83 zazione culturale del giovane alla stregua di una progressiva cancellazione della “mente naif” del bambino e di una assimilazione della stessa al mondo del pensiero astratto. La prima metafora considera il recupero come il ritorno su un’operazione che in un primo tempo è malriuscita: “chissà che la seconda volta non venga bene!” è la frase scritta all’ingresso delle aule pomeridiane di recupero, un’espressione che mette bene in luce l’atteggiamento magico-fatalistico che sottostà a molti programmi didattici. Ma il giovane legge un’altra scritta sulla porta dei corsi di recupero: “se entri qui, vuol dire che non hai le capacità per capire”, è un rito di stigmatizzazione che conferma le difficoltà di apprendimento piuttosto che superarle. La seconda metafora prende atto di un primo tentativo fallito, ma si propone di modificare solo alcune condizioni per così dire “interne” al setting della classe che hanno portato all’inefficacia della prima versione dell’azione didattica, da applicare agli interventi per gli studenti in recupero. Si propone infatti di operare su un gruppo più piccolo, senza un’eccessiva enfasi posta sulla valutazione, con un rapporto più confidenziale con l’insegnante e preferibilmente lavorando con il metodo dei pari. Si consolida in tal modo un atteggiamento avverso all’esito positivo del recupero, vera e propria “classe degli asini” che asini rimarranno, perché la loro stessa esistenza non smentisce, bensì conferma la bontà del modello dell’istruzione per riempimento, impersonale e inerte, di contenuti isolati che richiedono di essere assimilati come se non si vivesse una vita reale. Per comprendere la grave inefficacia di un programma “recuperante” facciamo riferimento ancora al pensiero di Bruner, quando afferma che: «L’apprendimento non è modellato su una centralina di comando in cui gli stimoli in entrata sono collegati con le risposte in uscita. Somiglia invece assai di più ad una stanza dove si elaborano delle mappe: è qui che la conoscenza viene elaborata e delineata perché la si possa utilizzare in vista del raggiungimento di determinati scopi. La conoscenza è basata sull’esperienza accumulata, il comportamento è basato sulla conoscenza. L’esperienza accumulata non ha un effetto diretto sull’azione, ma viene rielaborata... A me interessava capire cosa c’era ‘al di là dell’informazione data’ come attività funzionalmente motivata» (Bruner 1983, p. 121). La risposta corretta alle esigenze di questi ragazzi non consiste in un meno, ma in un più di formazione che non abbia un carattere regressivo di tipo recuperante, ma progressivo di tipo valorizzante. Si tratta di una linea di intervento dalle chiare caratteristiche educative e sociali che punta a colmare la zona prossimale dei giovani allievi della FP mediante un assetto in grado di sollecitare sia l’attivatore esplicito sia quello implicito, capaci di mobilitare le risorse proprie di questi giovani. L’attivatore esplicito ed il “format lavoro” Il centro del metodo della Formazione Professionale è costituito dalla motivazione degli allievi ad apprendere l’esercizio di uno specifico lavoro, in modo da potersi inserire nella realtà sapendo svolgere un ruolo sociale riconosciuto ed apprezzato. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 83 84 La propensione dei giovani allievi verso l’acquisizione di una formazione lavorativa indica un “attivatore” in grado di agire positivamente nell’ambito dei saperi e delle competenze degli assi culturali, visti in questa prospettiva come ingredienti posti al servizio del progetto di professionalizzazione degli allievi. Per comprendere la densità del legame che intercorre tra apprendimento di un lavoro e cultura formale, occorre fare riferimento alla “teoria dell’attività” che, specie nell’elaborazione di Vasilij Vasil’evič Davydov risulta decisamente interessante e pertinente rispetto al nostro fine visto che non indica solo uno scopo (l’attrattore) ma anche un metodo (l’attivatore) proprio dell’approccio centrato sul principio della “intelligenza nelle mani” (Nicoli 2014). Questo autore afferma che: «‘Attività’ è la forma storico sociale specifica dell’essere delle persone, consistente nella trasformazione finalizzata, da parte loro, della natura e dell’attività sociale. Diversamente da quanto accade per le leggi della natura, le leggi della società si riscontrano soltanto nell’ambito dell’attività umana, che genera nuove forme e proprietà della realtà, trasforma un qualche materiale di partenza in prodotto. Qualsivoglia attività effettuata da un corrispettivo soggetto comprende uno scopo, uno strumento, il processo appropriato alla sua trasformazione e il suo risultato. Lo scopo dell’attività si presenta (voznikaet) nell’uomo come l’immagine del prevedibile risultato della sua effettuazione. Il carattere trasformativo e finalizzato dell’attività rende possibile al suo soggetto di evadere dalla cornice di qualsiasi situazione e di superare la determinazione che le è posta, iscrivendola nel contesto più ampio dell’essere storico-sociale e di ritrovare, proprio in questo modo, lo strumento che supera i limiti delle possibilità di una determinazione data. L’attività supera costantemente e illimitatamente i ‘programmi’ che la fondano, per cui non è possibile delimitarla alla trasformazione della realtà esistente in quanto definita dalle norme culturali già accettate. In questo si rivela l’apertura e l’universalità dell’attività, che è necessario intendere come la forma della creatività storico-culturale» (Davydov 1998, p. 104). In primo luogo, l’attività indica il modo in cui l’essere umano si dispone nei confronti del reale, in quanto soggetto che procede da un’intenzione trasformatrice orientata ad uno specifico scopo, rivolta sia alla natura sia alla stessa vita sociale. Tale scopo consiste in una trasformazione – ma anche in una preservazione – dello stato delle cose, mediante un’opera di rinnovamento secondo un ordine pensato in precedenza (progetto) e perseguito razionalmente. L’essere umano è attratto verso l’azione ed in questo movimento esprime non solo la sua tensione verso uno scopo cui è attribuito un valore, ma anche la cura volta all’utilizzo ed al perfezionamento degli strumenti e dei metodi ritenuti più confacenti al risultato atteso. Egli, operando, impara ad operare sempre meglio, traendo dall’esperienza non solo il frutto rappresentato del risultato, ma anche quello della conoscenza e del perfezionamento della visione delle cose. Come pure di se stesso, come vedremo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 84 85 L’uomo possiede la straordinaria facoltà di immaginare dentro di sé quell’esito verso cui orienta la propria opera, prima ancora di definirne precisamente i contorni e le condizioni reali che assumerà; egli si pone all’opera nel perseguimento di una meta la cui configurazione reale si svelerà soltanto al termine dell’intrapresa sotto forma di risultato concreto. In ciò consiste precisamente il concetto di “attività” che non va confuso con le operazioni poste in atto, ma deve essere compreso nel legame che intercorre tra i quattro elementi in gioco: scopo, strumento, processo e risultato, in quanto modalità privilegiata con cui l’uomo di pone nei confronti del reale, come pure nel rapporto che intercorre tra la spinta umana ad agire – che potremmo definire con il termine eccedenza, ad indicare la tensione al superamento dello stato esistente delle cose – il valore del risultato ottenuto presso gli altri ed il beneficio che ne ricava l’attore stesso. Ma Davydov va ancora oltre, indicando la natura per così dire esistenziale del movimento che l’attività consente all’attore che vi si impegna: tramite l’azione, il soggetto umano possiede la straordinaria facoltà di smuoversi non solo esteriormente dalle contingenze e determinazioni in cui è inizialmente posto. Egli letteralmente si alza e prende l’iniziativa, scuotendosi dai limiti in cui è posto e svincolandosi dalle loro strette, buttandosi in avanti in modo da modificare lo scenario in cui si svolge la sua esistenza e collocandosi entro un contesto differente, più ricco di opportunità e comunque posto un tratto più avanti rispetto al punto di avvio. Troviamo qui un’ulteriore significato del termine eccedenza: oltre ad indicare la spinta ad agire – un’energia dell’immaginazione, del volere e dell’operare che trascende le contingenze sociali e psicobiologiche della situazione in cui la persona si trova a vivere – essa segnala l’ampliamento delle possibilità di visione, di relazione, di trasformazione e di conoscenza che l’attività ha reso possibile. Agendo, l’uomo mette in atto la qualità più propria della sua umanità, la trascendenza. A differenza dell’animale che si specializza entro lo spazio rigidamente determinato del contesto e del modo in cui ne sfrutta le risorse, l’essere umano possiede questo potere prodigioso di immaginazione di ciò che non è ancora, di svincolarsi dalle contingenze spazio-temporali, sociali e psicobiologiche, di trascendere le condizioni della sua stessa esistenza. L’attività assume in questa dinamica una valenza chiaramente religiosa, poiché indica nella creatività e nella fecondità il modo in cui l’uomo mostra la sua somiglianza con Dio, rispondendo al dono ricevuto 35 . Infatti l’unico limite dell’uomo 35 «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”» (Gen 1,26-28). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 85 86 nell’azione sta nel fatto che non può creare se stesso: può sì mettere in moto i funzionamenti propri della vita tramite le scoperte scientifiche e le loro mirabolanti applicazioni tecniche, ma non possiede l’accesso alla vita in sé, e ciò per la semplice e lampante ragione che egli stesso per così dire “si è trovato fatto”, ha preso coscienza della sua esistenza quando questa era già, era lì bell’è fatta e nel contempo ancora da perfezionarsi, una condizione esistenziale che si svela nel duplice livello della coscienza: io penso me stesso che esisto. L’uomo non solo non può progettare se stesso, poiché si ritrova il “se stesso” – come esistenza reale e come potenza di vita – proveniente da un luogo esterno dal proprio dominio, ma pure la sua attività supera continuamente ed in modo illimitato (non condizionato né dalle determinazioni storiche né dalla sua volontà e capacità di immaginazione e trasformazione) i programmi su cui è stata delineata. Essa mostra in ciò una terza accezione di eccedenza: l’attività indica un modo di essere nel mondo in cui il soggetto umano sperimenta continuamente l’esperienza del “di più” che va oltre le stesse norme culturali consolidate, fuoriesce da ciò che è convenzionale e indica un passo più avanti rispetto alla comprensione precedente della realtà e del compito umano. Per questo è limitato affermare che il risultato è determinato dal “programma” seguito: a questa concezione limitativa del lavoro umano possiamo replicare come Libertino Faussone: «questa è un’invenzione di tutti quelli che le cose non le fanno ma le fanno fare». L’attività umana supera anche le intenzioni dell’operatore nel senso che, una volta iniziata, si può dire che è l’opera stessa a suggerire la strada da percorrere. L’artigiano è anche un artista non perché pretende di piegare la realtà al suo disegno soggettivo, ma per il fatto che si pone di fronte alla realtà con l’umiltà di chi ha tutto da imparare, specie se ha molti anni di esperienza sulle spalle. L’artigiano si pone di fronte all’opera delle sue mani con stupore e meraviglia, la vede e la rivede ed ogni volta scopre qualcosa di nuovo. Questo accade sia per il lavoro riferito a realtà inanimate sia – e in forma più accentuata – per chi opera in riferimento al mondo naturale per giungere ad uno stadio ancora più elevato per coloro che hanno la fortuna di svolgere un servizio di cura e di educazione. Nell’attività, l’uomo esprime la profonda spinta all’apertura che avverte dentro di sé, consonante con l’apertura universale dell’intero creato. Gli assunti della teoria dell’attività gettano una nuova luce sulla natura dei corsi di Formazione Professionale, focalizzando in maniera più esatta la natura dell’incontro che si realizza tra alunni e Centro di formazione e le potenzialità culturali che derivano dagli interventi di educazione dei giovani nell’ambito del lavoro: l’allievo della Formazione Professionale non si dispone ad apprendere un lavoro come un ripiego di minor valore, l’unico che rimarrebbe accessibile per coloro che hanno mancato una crescita culturale formale negli studi, ma come l’occasione preziosa nonché desiderata in cui poter realizzare pienamente l’esercizio delle più elevate facoltà umane: l’immaginazione, la comunanza, la maestria dell’operare, la creatività, la conoscenza e la generatività. Considerare l’insuccesso scolastico come un test sull’intelligenza dei ragazzi giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 86 87 rappresenta un punto di vista azzardato se consideriamo gli assunti della psicologia dell’apprendimento. È stato Howard Gardner, com’è noto con la pubblicazione del suo libro Formae mentis, ad introdurre la teoria delle intelligenze multiple, secondo la quale non esiste una facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre. Egli critica la “nozione comune di intelligenza” come capacità o potenziale generale che ogni essere umano possiederebbe in misura più o meno grande. Facendo questo, mette in discussione l’assunto che l’intelligenza, comunque venga definita, possa essere misurata da strumenti verbali standardizzati, come test con carta e matita e fondati su risposte brevi e batterie di domande. L’uso dei test era una pratica diffusissima nelle scuole degli Stati Uniti e nei Paesi dell’Europa, al fine di misurare e diagnosticare l’intelligenza di studenti e candidati; questi strumenti, applicati non solo in occasione delle selezioni scolastiche ma anche di quelle lavorative, consideravano soltanto due tipi di intelligenza: quella linguistica e quella logico-matematica. Gardner propone di considerare, oltre a queste, altre cinque forme di intelligenza: spaziale, sociale, introspettiva, corporeo cinestetica, musicale (Gardner 2010). Se i risultati scolastici possiedono una capacità diagnostica circa il corredo dell’intelligenza dei giovani, le metodologie utilizzate dovrebbero perlomeno considerare la pluralità dei modi in cui le facoltà umane si esprimono, e non solo quelle più favorevoli ad essere trattate numericamente nella forma dei test e delle interrogazioni. Ma non è solo questione di strumenti di valutazione: è decisivo il contesto sociale e culturale entro cui si sviluppa un’azione tesa a sollecitare la mobilitazione dell’intelligenza delle persone. Se queste non posseggono nel loro repertorio in modo perlomeno sufficiente il tipo di intelligenza maggiormente profittevole nel contesto scolastico – la capacità di memorizzare nomenclature e di ripeterle con correttezza linguistica, la capacità di ritenere regole astratte e di applicarle ad esercizi perlopiù isolati dal piano della realtà – finiranno relegate nella categoria dei “meno dotati” e riceveranno sempre meno sollecitazioni, specie se consideriamo la povertà delle metodologie didattiche e formative adottate nel mondo dell’istruzione, che si concentrano prevalentemente sulla lezione frontale con una didattica fondata sull’epistemologia delle discipline. I risultati scolastici precedenti, i testi di ingresso, le notazioni negative nelle verifiche che via via si susseguono, alimentano una “catena dell’insuccesso” che porta i meno dotati scolasticamente ai margini dell’area che può avvantaggiarsi – sia in modo pieno, sia nella formula della ripetizione pedante – del lavoro degli insegnanti. La condizione dell’ignorante (scolastico) prevede colloqui con i genitori in cui si prospetta il probabile esito negativo e si consiglia di iscrivere il figlio a percorsi di studi più facili, meglio se finalizzati ad apprendere un lavoro (le due cose, la facilità ed il lavoro, spesso coincidono nella mente degli insegnanti). A meno che i genitori, resi edotti dalle disposizioni sui disturbi specifici dell’apprendimento, non ricorrano a neuropsichiatri o psicologi abilitati al fine di ottenere una certificazione che consenta perlomeno il superamento del primo ostacolo: il passaggio d’anno. Altri, ancora più giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 87 88 scafati, apprendono la tecnica delle “passerelle”, e giocano sulla scarsa se non nulla comunicazione tra una scuola e l’altra proponendo alla prima un patto che prevede la promozione estorta con la promessa di iscrivere appena dopo il rampollo in una scuola più facile (vedi sopra) ed alla seconda la richiesta di un’iscrizione all’anno successivo così da non perdere l’anno. Questa catena dell’insuccesso si interrompe solo se l’interessato giunge in un corso di Formazione Professionale nel quale venga trattato non come uno zero, ma come un portatore di talenti che meritano di essere scoperti e messi in gioco. Ciò richiede un cambio radicale del format dell’apprendimento, vale a dire del contesto culturale che “forma” la nostra impostazione mentale, fornendoci gli strumenti necessari a organizzare e comprendere il mondo, e che sollecita le prerogative della mente umana, sollecitate dalla consonanza della cultura di riferimento. È ciò che sostiene l’antropologo Clifford Geertz, per il quale: «L’uomo è un animale sospeso nelle reti di significato che egli stesso ha tessuto. Queste reti costituiscono la cultura, la cui analisi è, non una scienza sperimentale in cerca di leggi ma una scienza interpretativa in cerca di significati» (Geertz 1998, p. 11). Bruner riprende questa lezione, elaborando la teoria del format, secondo la quale per sollecitare lo sviluppo dell’intelligenza del bambino è decisivo che l’azione educativa si svolga entro un ambito culturalmente contestualizzato: i format sono qui intesi come insieme di procedure comunicative che permettono al bambino e ai suoi partner scambi finalizzati e intenzionali che formano contesti interattivi tali da permettere l’apprendimento. Se i bambini sono soggetti socialmente competenti, in grado di stabilire relazioni, negoziazioni ed elaborazioni cognitive, a maggior ragione lo sono i giovani caduti nella catena dell’insuccesso. È però assolutamente necessario evitare di impostare l’azione educativa sull’acquisizione di conoscenze ed abilità isolate ed inerti; serve invece una formazione che si muova nel contesto d’azione prossimo a questi allievi, in consolanza con il loro progetto di vita, in grado di produrre una reale comprensione del mondo a partire dalla visione spontanea della realtà e procedendo per gradi progressivi di complessità dei compiti, autonomia e responsabilità delle attività in cui essi sono chiesti di impegnarsi. In tal modo si consegue un apprendimento indiretto dei frame, la struttura che ordina, dà significato e permette la memorizzazione di un’esperienza e che aiutano il soggetto ad elaborare in modo significativo e comunicabile il suo rapporto con la realtà, e ad assimilare convenzioni. In altri termini, è il senso e l’attrazione di un’esperienza educativa consonante con il proprio progetto di vita, e potenzialmente aperta ad un ampio spettro di conoscenze e competenze, che consente al giovane di accedere allo scrigno del sapere in quanto utile al suo progetto e arricchente il suo modo di stare nel mondo. Non solo i contenuti proposti debbono prevedere tale consonanza, ma anche la forma dell’ambiente e la tensione che lo attraversa: la “scuola dell’imparare facendo” è un ambiente amichevole, stimolante ed esigente, dove ognuno, indipendentemente dal suo curricolo scolastico, può trovare un’occasione di riuscita che gli permetta di andare oltre la condizione di partenza e, riprendendo Davydov, generare «nuove forme e giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 88 89 proprietà della realtà, trasforma un qualche materiale di partenza in prodotto». Cioè crescere, perfezionare il proprio essere persona. In definitiva, l’allievo della Formazione Professionale non viene preso in quanto studente, un format che per lui significa in gran parte solo dolore, noia ed insuccesso, ma come un novizio che si avvia entro un percorso che lo porti a diventare una persona valente per gli interlocutori del mondo del lavoro, capace di svolgere compiti e risolvere problemi propri del campo professionale di riferimento, e soggetto che, nel fare ciò, mostra curiosità, spirito di iniziativa e intraprendenza, sensibilità circa il contesto ed i significati di ciò che accade nella realtà. Occorre a questo proposito replicare all’obiezione canonica espressa solitamente dagli insegnanti legati ad uno stereotipo esecutivo del lavoro del tipo Tempi moderni di Charlie Chaplin. La potenzialità culturale della maggioranza delle attività di lavoro presenti nella nostra società si può spiegare sul piano sociologico con la progressiva scomparsa dei modelli organizzativi basati su mansionari rigidi, dove i contenuti del ruolo erano prescritti dall’esterno e definiti da operazioni iterative, e la diffusione di modelli più frastagliati, personalizzati, dediti non solo ad attività iterative, ma anche a problemi ed opportunità ed impegnati in stili di esercizio del ruolo cooperativi rispettosi di norme dotate di sempre maggiori caratteristiche cognitive, come la sicurezza e tutela della salute, la sostenibilità, la privacy, la tracciabilità, e così via, cui va aggiunta la padronanza delle tecnologie informatiche e telematiche, delle comunicazioni e delle lingue. Ciò richiama i requisiti delle learning organization, un modello in cui si mira a sviluppare capacità organizzative ed individuali oltre ad apprendere, e ciò influisce sulla progettazione e sulla gestione delle organizzazioni secondo la regola dello “svilupparsi apprendendo”, mobilitando non solo le abilità cognitive, ma anche quelle intuitive, emozionali ed epidermiche. Tale modello spinge le organizzazioni a rimodellare continuamente la propria materia: un pensiero creativo in grado di far emergere le nuove strategie. Ciò richiede la capacità di promuovere corsi di azione sempre nuovi, abbandonando l’enfasi eccessiva sugli obiettivi che spesso finiscono per diventare camicie di forza, e far sì che le persone capiscano da soli qual è l’obiettivo adeguato per ogni situazione (gli obiettivi “emergono” attraverso il processo) e quali sono i limiti da evitare. I principi di questo modo di organizzare l’azienda come comunità di apprendimento sono: inserire l’intero nelle singole parti puntando alla ridondanza delle funzioni, spingendo gli individui ad accettare le sfide indipendentemente dalla loro natura ed origine; perseguire la differenziazione e varietà necessaria puntando a che le competenze e le capacità necessarie siano possedute dal gruppo e il singolo sia multifunzionale; adottare il minimo di regole per garantire la libertà di auto-organizzazione, evitando che i dirigenti diventino “progettatori di tutto” per essere guide; imparare ad apprendere, evitando le ricette ma promuovendo atteggiamenti mentali aperti e creativi che stimolano la capacità di “cercarsi il lavoro” senza doversi aspettare che siano gli altri a venirti a cercare con richieste già precedentemente elaborate. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 89 90 Il lavoro, così come si manifesta in forma rilevante nell’attuale società, presenta alcune caratteristiche – non certo inedite se analizzate singolarmente, ma sicuramente innovative se prese nel loro insieme – che lo rendono una vera e propria struttura sociale emergente, esito delle dinamiche proprie della società e dell’economia e che si possono riassumere nei tre fenomeni: – il cambiamento dei costumi che pone al centro la ricerca della comunicazione e l’esperienza soggettiva su basi espressive ed estetiche; – la rivoluzione tecnologica che procede incorporando attività basate sulla forza fisica e sulle routine; – l’innovazione organizzativa che privilegia entità più snelle, dove operano figure professionali in grado di costruire il proprio ruolo e le relazioni cooperative con gli altri con cui interagiscono e che mirano alla fidelizzazione del cliente coinvolgendolo in relazioni significative che assumono la forma del servizio. Tutto ciò si pone avendo sullo sfondo il processo di globalizzazione che comporta la rottura delle strutture sociali proprie della modernità. Tali strutture avevano costruito una società in guisa di un meccanismo artificiale ed ora vengono meno a seguito dell’incombere delle nuove forze del cambiamento che operano sia in chiave macro, ovvero degli scenari mondiali, sia su base micro, ovvero delle dinamiche che interessano territori e che tendono a disegnare nuove strutture di comunità che richiamano in parte modelli premoderni, pur collocandoli in un contesto assolutamente nuovo. Il lavoro tende a diventare “significativo” nell’accezione proposta da John Dewey nel volume Democrazia ed educazione che indica nella professione la: «Direzione delle attività della vita in un senso che le renda percepibilmente significative per chi le pratica in virtù delle loro conseguenze, e anche utili ai suoi associati» (Dewey 2004, p. 340). Tale definizione pone l’accento non su classificazioni formali (nomenclature) né sulla mera attività strumentale alla fornitura beni o servizi, bensì su tre fattori chiave, ovvero la presenza di uno scopo rilevante dal punto di vista del suo valore sociale, l’identificazione come occupazione distintiva, infine la presenza di acquisizioni accumulabili tramite l’esperienza. Le caratteristiche del lavoro professionale si riferiscono ad un insieme di fattori culturali, tecnici, sociali, giuridici e antropologici: – Possesso di un sapere specifico che si traduce in un linguaggio ed in repertori o mezzi espressivi. – Campo d’azione peculiare in cui si sviluppano processi propri della professione con riferimento anche all’utilizzo di mezzi tecnici per la loro realizzazione. – Ruoli che, dal punto di vista degli osservatori, identificano le persone appartenenti all’ambito di lavoro, per accedere ai quali è necessario un percorso formativo- lavorativo composito. – Apprezzamento sociale che attribuisce al lavoro professionale attese e significati positivi in riferimento a specifici ambiti di bisogno ed alle situazioni problematiche in cui questi si collocano. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 90 91 – Modelli di identificazione che consentono una corrispondenza tra fattori antropologici (aspirazioni, attitudini, motivazioni) ed i fattori identificativi della professione. – Strutture normative che definiscono modalità di accesso, contrattazione, retribuzione, esercizio e tutela in riferimento all’esercizio del lavoro professionale. – Relazioni di comunità che disegnano una rete tra i componenti l’ambito professionale. Riguardo al contenuto del sapere lavorativo professionale, una notevole letteratura converge circa la necessità di superare la distinzione tra professioni di natura teorica e professioni di natura pratica. Il sapere che connota qualsiasi professione, anche quelle intellettuali ed artistiche, così come quelle considerate unicamente pratiche, è costituito da un insieme di elementi che vanno assunti in modo unitario: – il sapere formale (Morin 2000) costituito da teorie dominanti utilizzate nelle spiegazioni, nella diagnosi e nella formulazione di ipotesi circa le situazioni problematiche, nella scelta di indicatori e modelli per analizzare il corso dell’azione tesa al loro superamento; – il sapere implicito o tacito (Polanyi 1979) e per certi versi misterioso specie per chi esercita l’attività professionale, essendo portato per abitudine ed a causa della fretta a parlare piuttosto di attività e di oggetti, ma che in realtà comprende una parte di ciò che viene definito con l’espressione “maestria” del lavoro; – il sapere non formale o riflessivo e dialogico (Schön 1993) che è centrato non su repertori scientifici, ma sul materiale fornito dalla prassi del lavoro stesso e che consente di delineare una capacità definita “riflessione nel corso dell’azione”, ovvero un’attitudine dal carattere pienamente culturale che supera le demarcazioni del campo di intervento fornite dagli schemi scientifici e che introduce in ogni professione una componente artistica e di improvvisazione: in altri termini la capacità di esplorare l’intero ambito in cui si colloca il problema facendolo proprio e coinvolgendosi nella ricerca di una soluzione appropriata; – il sapere personale apportato dal soggetto che svolge l’azione e che rappresenta una componente indispensabile del lavoro che in tal modo diviene una forma di conoscenza particolare, non fungibile né esigibile e neppure separabile da chi lo esprime (Rullani 2004, pp. 122-123), alimentata mediante l’esperienza e in grado di riflettere il modo di vita della persona, per sua condizione unico e irriducibile 36 . Una volta delineato un legame significativo tra l’allievo e l’attività professionale, primo compito dei formatori di un corso di Formazione Professionale, è possibile sfruttare la notevole “catena concettuale” resa possibile dalla sua implicazione in qualità di novizio nel percorso di apprendimento di un mestiere. 36 Si veda questa folgorante espressione di L UHMANN (2005, p. 238): «La persona sorprende, in senso positivo o negativo». giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 91 92 Per comprendere le valenze formative del lavoro, che a questo punto è possibile considerare come un vero e proprio “bacino di apprendimento” potenzialmente aperto ad ogni ambito della cultura, ci riferiamo ancora a Davydov il quale ci propone sei “posizioni fondamentali” delle elaborazioni di Vygotskij intese come teoria storico-culturale dello sviluppo dell’attività, della coscienza e della personalità dell’uomo (Davydov 1998, pp. 110-111): 1. «La modificazione qualitativa della situazione sociale della vita dell’uomo (o della sua attività) costituisce il fondamento per il suo sviluppo»; ciò significa che l’allievo che si inserisce da novizio in un corso di Formazione Professionale non è posto in una posizione di stand by in cui assimilare “a freddo” le nozioni e le abilità che in seguito dovrà utilizzare nelle situazioni “a caldo” dell’agire professionale, ma “impara facendo” svolgendo sin da subito dei compiti rilevanti che mirano ad una sua trasformazione in lavoratore competente, ed in tal modo assimila perlopiù indirettamente gli elementi della conoscenza in quanto ingredienti indispensabili di uno sviluppo umano desiderabile, in direzione del quale si dispone con viva partecipazione. 2. «L’istruzione e l’educazione, forme che hanno un carattere storicamente definito, costituiscono gli aspetti generalissimi dello sviluppo psichico dell’uomo». Ciò significa che la mera immissione della persona in un flusso lavorativo non necessariamente è garanzia della sua capacità di assimilazione dei saperi resi possibili dall’azione stessa; egli necessita delle condizioni della formatività che consistono nella giusta disposizione nei confronti della realtà (e qui è rilevante il tema dell’educazione morale, un fattore sempre più rilevante tra le caratteristiche del lavoro indicate dalle imprese, di cui parleremo più avanti) oltre che nella presenza di una guida all’azione, nella definizione di un cammino che preveda un nesso razionale tra i compiti-problemi sottoposti all’allievo, le risorse necessarie per svolgerli e le occasioni di verifica che consentano una continua diagnosi del percorso intrapreso anche in vista della sua necessaria ridefinizione alla luce dei segnali emergenti. 3. «La forma iniziale dell’attività è la sua effettuazione da parte dell’uomo sul piano esterno (socializzazione)». La buona opera si vede sin dall’inizio, dal fatto che all’allievo da subito, sin dal primo passo del suo cammino formativo, viene proposto appunto di operare, non già di indugiare sulle pratiche preliminari costituite dall’insieme degli esercizi che la scuola considera (il più delle volte per inerzia, senza una verifica appropriata dell’efficacia di tali pratiche didattiche proprio in relazione ai traguardi che ci si attende da esse) connessi all’acquisizione della cosiddetta “cultura di base”, ma dal fronteggiamento diretto delle attività, dei compiti ed anche – con la giusta progressione – dei problemi propri del campo professionale che identifica lo sbocco desiderato del suo impegno. Non perché il lavoro non costituisca un vero “bacino culturale”, ma perché l’azione, giustamente progettata, accompagnata e valutata, rappresenta il modo appropriato per acquisire quelle conoscenze che la cultura del lavoro rende possibile a chi vi si giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 92 93 impegna in modo pienamente partecipe, mobilitando l’intero registro della propria intelligenza. 4. «Le nuove formazioni psichiche che sorgono nell’uomo sono generate dall’interiorizzazione della forma iniziale della sua attività». Il processo di apprendimento e di maturazione non deriva dalla immissione nel “sistema mente” delle nozioni e dei concetti isolati da un qualsivoglia contesto, come se si trattasse della programmazione di un’intelligenza artificiale, ma dalla interiorizzazione, realizzata tramite coinvolgimento diretto nelle vicende della vita professionale, della forma iniziale in cui tale attività si è manifestata. Il lavoro, quando è significativo, possiede una forma propria di carattere olistico che può essere scomposta solo astrattamente nelle sue dimensioni (pratiche, economico sociali, cognitive, etico-sociali, affettivo relazionali, estetiche...), ma che si manifesta in ogni sua evidenza come un tutto unitario, in modo olistico: ogni parte è immagine del tutto, ed il tutto è più della somma delle parti. Un concetto che Alain de Saint Exupéry ha espresso magnificamente nel modo seguente: «Se vuoi costruire una nave non radunare uomini per far loro raccogliere il legno, per distribuire compiti e suddividere il lavoro, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito». Qualcosa che si insegna solo facendone esperienza diretta, e sentendolo raccontare da chi ne possiede ed ha inoltre il talento per parlarne in modo evocativo e seduttivo. 5. «Una funzione essenziale nel processo di interiorizzazione spetta ai diversi sistemi di segni con funzione simbolica, che si generano nella storia della cultura». La scuola storiografica francese de Les Annales37 ha mostrato che esiste una storia della cultura centrata sugli avvenimenti, ed una storia: è cambiata la storiografia, che con la rivoluzione epistemologica avviata dalle Annales ha dilatato gli oggetti di indagine della storia, arrivando a considerare tutti gli aspetti che riguardano e influenzano le società umane, rafforzando i collegamenti con le altre discipline e in particolare con le scienze sociali (economia, sociologia, antropologia, etnografia, ecc.), allargando tematiche e favorendo l’affermarsi di “storie altre”, di “storie al plurale” comprese quelle connesse alle scoperte scientifiche e tecnologiche, ai costumi ed alla vita quotidiana. La storia della meccanica, dell’elettronica, delle pratiche amministrative, come pure quella dell’artigianato, dell’arte culinaria e dell’abbigliamento, costituiscono pertanto occasioni stimolanti di accesso al sapere storico, di cui non sono sostituti minori, ma appunto porte d’accesso che permettono, sulla base di uno sguardo “interessato” e particolare, di passare ad una visione più ampia e generale delle vicende delle civiltà. 37 La rivista Annali di Storia economica e sociale, rivoluzionaria scuola storiografica nata nel 1929, è stata fondata per iniziativa di Marc Bloch e Lucien Febvre, ed ha avuto come protagonisti nel tempo anche Fernand Braudel e Jacques Le Goff. Essa contrappone al tempo breve della storia tradizionale, che è prevalentemente storia militare, politica e diplomatica un nuovo tempo, attraverso la sostituzione della temporalità breve dell’avvenimento, con i tempi lunghi nei quali si modificano tanto la vita materiale quanto la mentalità. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 93 94 6. «Emozioni e intelletto hanno un significato importante nell’attività e nella coscienza dell’uomo, in quanto hanno il loro luogo nell’unitarietà interiore». Insegnare per esperienza, sfruttando la rete dei legami significativi e vitali che si dipana dall’azione concreta allo spazio della varietà dei saperi, presuppone la fiducia nella intellegibilità del mondo, vale a dire la sua conoscibilità da parte di chi vi si pone in modo curioso e corretto. Per questo è riduttivo ridurre sul piano psicologico ciò che accade ad una persona che si dispone con fiducia e disponibilità ad intraprendere il viaggio del noviziato professionale. Ciò che accade, è piuttosto un evento che consente una presa più forte sull’esistenza. Vi è una differenza radicale tra affettività ed affezione: la prima espressione indica la concettualizzazione funzionale di qualcosa di vitale nella vicenda umana, un’esperienza che vede la persona prendere parte al mondo in modo fecondo e arricchente. Emozioni ed intelletto sono “presi in gioco” quando il soggetto è esso stesso implicato nell’opera. Il lavoro, sia quello esercitato nel pieno esercizio del ruolo entro un’organizzazione sia quello che realizza il novizio che desidera accedere ad una cerchia professionale, presenta una dimensione esteriore, nella quale la persona svolge un intervento teso a soddisfare bisogni e risolvere problemi altrui, e nel contempo una dimensione interiore, che può essere descritta come una tessitura del proprio io relazionale e illuminato dalla conoscenza del reale e dalla saggezza dell’agire. Tutto questo rivela il profondo carattere unitario della vicenda umana ed in specie dei processi che avvengono nella mente della persona che si dispone con i propri talenti a realizzare prodotti-servizi dotati di valore agli occhi degli altri, destinatari e giudici della sua opera. Ogni azione sociale significativa è collocata entro un contesto territoriale definito e nel contempo si apre ad un orizzonte globale; si avvale di strumenti operativi, tecnici e concettuali che possiedono una loro struttura definita, ma nel contempo sono oggetto di un continuo perfezionamento e talvolta rivoluzionamento; mira a risultati che vengono in un primo tempo immaginati nelle loro caratteristiche prevalenti ma che si palesano poco a poco dopo continue fasi di applicazione, verifica, ripensamento, ridefinizione del linguaggio; richiede l’esercizio della comunicazione e della cooperazione con altri posti in ruoli ed organizzazioni differenti, ed entro team di lavoro tendenzialmente paritari; richiede requisiti funzionali e nel contempo estetici e relazionali che risentono dello spirito del tempo; è oggetto di una continua trasformazione che rende irragionevole la creazione di standard da replicare nel tempo medio; esige la capacità di pensiero matematico proprio della spiegazione-programmazione- controllo e nel contempo quella del pensiero estetico proprio della comprensione che richiede mezzi di prova non dimostrativi, ma evocativi ed esortativi; è, infine, collocata entro una comunità professionale che assume un carattere di contemporaneità ma anche di storicità, ponendo l’attore entro la condizione privilegiata di facitore della civiltà. Cosa accade all’allievo dei corsi di Formazione Professionale quando, provenendo da una “catena di insuccessi” scolastici, si trova a provare il successo svolgendo giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 94 95 compiti professionali sempre più impegnativi che aprono “prese sul mondo” più ampie e profonde? Di sicuro egli sperimenta un legame di tipo nuovo con il sapere, letteralmente si può dire che “fa amicizia” con la cultura, la stessa che prima gli era apparsa così incomprensibile, estranea e financo ostile. Il novizio del lavoro è un ruolo sociale riconosciuto che apprende il mondo indirettamente, avvalendosi del suo desiderio di riuscita nell’essere apprezzato e quindi accolto nella cerchia professionale e nelle dinamiche della comunità in quanto capace di conseguire un risultato apprezzabile fondando l’opera sui propri mezzi. Egli impara il mondo in modo interessante, perché “portato” dalla forza del suo progetto di vita e sostenuto da guide riconosciute che lo stimolano e lo accompagnano. L’attivatore implicito e la consonanza culturale Oltre all’accesso “utile” alla cultura, centrato sul progetto professionale e su ciò che rende interessante il reale, è presente nell’anima dei ragazzi iscritti alla Formazione Professionale un attivatore implicito, per comprendere il quale occorre riflettere sulla straordinaria natura della mente umana. Tralasciando la visione più rozza che concepisce la mente come contenitore e propone un metodo di apprendimento basato sulla sistematica e meccanica immissione in essa di elementi singoli e stratificati, l’idea della mente-serbatoio, tre sono le rappresentazioni che possono aiutarci a comprendere il valore dell’attivatore implicito: la mente computazionale, la mente aumentata e la mente culturale. La mente come costruttore cognitivo Può essere concepita come un processo cognitivo, ovvero una concatenazione di legami logici (mente-costruttore). Piaget afferma che la conoscenza non è preformata nel soggetto come se i suoi elementi fossero degli a priori già compiuti, né fissata nel reale da cui ricavarla, né un’entità trascendente, ma rappresenta una costruzione che si svolge mediante dei processi di astrazione che il soggetto compie non sugli oggetti, ma tramite azioni e coordinamento di azioni, fino al punto da assumere come proprio oggetto la stessa attività cognitiva, ciò che l’autore chiama “astrazione riflettente” che l’individuo gestisce in una sorta di meccanismo di continua autoregolazione (Piaget 1968, 1975). Se il soggetto umano è visto come un processo cognitivo incessantemente preso nel lavoro di organizzazione del pensiero sulla base di modelli logico-matematici, la mente è concepita come un sistema di operazioni che presentano proprietà formali logiche (la reversibilità, l’associatività, l’identità, la composizione...), così che lo sviluppo umano si riduce allo sviluppo cognitivo e riguarda i sistemi logici di pensiero che operano per strutturazione e ristrutturazione operatoria. Ma la mente è costituita solo da operazioni logico matematiche? Non è in grado di afferrare il reale anche in molti altri modi, tutti accessibili all’umano (e forse più giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 95 96 gustosi) quali l’intuizione, la mimesi, l’affezione, la scoperta “serendipica” fatta per puro caso o involontariamente 38 , la tradizione, la comunione (consonanza ed argomentazione), lo stupore estetico e l’ascesi religiosa? Oppure queste sono solo facoltà irragionevoli, non fondate sulla fredda (vale a dire distaccata) logica? La concezione esclusivamente logico-cognitiva della mente porta ad una duplice inconoscenza: questo essere umano che vive nello spazio dell’astrazione riflettente in definitiva non conosce il reale entro cui peraltro conduce la sua intensa attività computativa, ma la sua coscienza è impegnata solo in un diuturno processo di costruzione delle conoscenze. Egli è a tutti gli effetti incarcerato in una sorta di solipsismo che pensa (riduttivamente) se stesso, ed isolandosi in tal modo dal reale, sia quello presente sia quello storico, rimane inconsapevole anche del se stesso relazionale, quello che si rivela solo attraverso l’incontro con la realtà. Piaget ed i suoi epigoni computazionali hanno effettivamente svelato una delle più elevate facoltà della mente, ma hanno finito per rispecchiarsi in questa immagine computazionale a base logico-matematica finendo per incarcerarvisi e riducendo così la capacità di visione delle ulteriori potenzialità della mente umana. La mente “aumentata” dalle tecnologie La visione della mente come sede di un processo continuativo ed autoregolato di astrazione riflettente, proposta dai cognitivisti, è affine a quella dei neuroscienziati che in qualche modo ne sono i continuatori, ampliandone l’ambito d’azione alle continue possibilità offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione. Marc Prensky, scrittore statunitense, divulgatore di modelli innovativi nel campo dell’educazione e dell’apprendimento, ha coniato la famosa coppia di “nativo digitale” e “immigrato digitale” che ha espresso per la prima volta in un articolo del 2001 su On the Horizon39 . Egli propone una concezione più dinamica della mente, 38 Il neologismo serendipity è stato coniato da Horace Walpole, ispirato dalla lettura della fiaba persiana Tre prìncipi di Serendippo di Cristoforo Armeno i cui tre protagonisti si salvano proprio grazie ad indizi trovati sul loro cammino. Il racconto descrive la scoperta come intuizioni dovute al caso, ma sostenute da uno sguardo che rivela capacità di osservazione e spirito acuto: «È stato una volta che lessi una favoletta dal titolo “I tre prìncipi di Serendippo”. Quando le loro altezze viaggiavano, continuavano a fare scoperte, per accidente e per sagacia, di cose di cui non erano in cerca: per esempio, uno di loro scoprì che un cammello cieco dall’occhio destro era passato da poco per la stessa strada, dato che l’erba era stata mangiata solo sul lato sinistro, dove appariva ridotta peggio che sul destro - ora capisce la serendipità? Uno dei più ragguardevoli esempi di questa casuale sagacia (lei deve infatti notare che nessuna scoperta di cosa che si stia cercando può ricadere sotto tale descrizione) è stato quello del mio Lord Shaftesbury, il quale, capitato a pranzo dal Lord Chancellor Clarendon, si accorse del matrimonio del duca di York e di Mrs. Hyde, dal rispetto con cui la madre di quest’ultima trattava la figlia a tavola». W.S. L EWIS in Horace Walpole’s Correspondence, Yale edition, nel libro di T. G. R EMER , Serendipity and the Three Princes, from the Peregrinaggio of 1557, Edited, with an Introduction and Notes, by T. G. Remer, Preface by W.S. Lewis. University of Oklahoma Press, 1965. LCC 65-10112. 39 M. L EONARD (2010-06-22). The Essays of Leonard Michaels. Macmillan, pp. 27–28. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 96 97 spiegando che l’interazione con le moderne tecnologie punta ad una dinamica di ampliamento delle sue potenzialità che non consiste solo nella velocizzazione e facilitazione dei compiti, ma porta con sé una vera e propria saggezza digitale: «La saggezza digitale consiste nell’utilizzare la tecnologia, e soprattutto le nuove tecnologie digitali della nostra epoca, per migliorare le nostre menti. I vantaggi più importanti che ci può portare non sono quelli legati al fatto che ci renda i compiti più facili e/o più veloci, benché obiettivamente sia così. La tecnologia ci aiuta di più quando ci rende anche dei migliori pensatori, che adottano decisioni e operano scelte più sagge» (Prensky 2013, p. 78). Ma si tratta di capire in che modo questo autore concepisce tale saggezza, nel tentativo di spiegarla, egli la assimila all’ampliamento delle capacità già rese disponibili e fruibili da molte persone, oltre a quelle ancor più sofisticate che saranno introdotte prossimamente e che: «ci renderanno ancor più saggi». Egli fa degli esempi, riferiti ovviamente alle capacità già disponibili: concentrarsi meglio, combinare gli intelletti di centinaia di esperti a livello globale, che lavorano insieme ad un unico problema, applicare la potenza dei computer di tutto il mondo ai propri problemi e interrogativi personali, comunicare in tutto il globo terrestre senza barriere, poter prendere in esame tutti i fatti rilevanti e precedenti prima di prendere una decisione, ripercorrere tutte le esperienze passate, e così via. Egli non afferma alcuna garanzia, bensì la verosimiglianza circa il nesso tra queste capacità e il diventare esseri umani più saggi e lo fa indicando tre linee guida: – il processo di assunzione delle decisioni cosiddetto “dall’alto”, quello finora più diffuso, non è più sufficiente o comunque non è più il modo digitalmente saggio di decidere, perché grazie alla tecnologia le voci di quelli che stanno “in basso” e “in fondo” sono state liberate e legittimate imponendo quindi di essere ascoltate; – vista la tendenza ad andare verso posizioni di apertura degli ambiti prima esclusivi di accesso alle informazioni, come quello politico, oggi siamo pienamente informati; – il linguaggio sempre più neutro che utilizziamo nel descrivere i molti mutamenti avvenuti permette una discussione meno passionale ampliando le nostre aspettative sociali. Questa concezione di saggezza assume quindi l’accezione di ampliamento di possibilità, di quelli che Amartya Sen chiama i “funzionamenti”, che giustamente distingue dalle “capacitazioni”. Se i primi sono stati di essere o di fare cui gli individui attribuiscono valore (ad esempio, essere adeguatamente nutriti, non soffrire malattie evitabili), le capacitazioni sono gli insiemi di combinazioni alternative di funzionamenti che una persona è in grado di realizzare allo scopo di scegliersi una vita cui, a ragion veduta, si dia valore (Sen 2010). La differenza tra capacità e capacitazione sta nello scopo, non nella sola funzionalità. È possibile che una persona possieda più mezzi, ma questo non migliora la sua convinzione circa dove desidera andare. La risposta del neuroscienziato e dell’ingegnere genetico a questo proposito è desolante: “hai più possibilità di fare quello che vuoi, qualsiasi cosa tu voglia”, intendendo che le nuove tecnologie rompono i limiti spazio temporali e cognitivi che nel passato pregiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 97 98 cludevano a molti occasioni di esperienza che potrebbero essere desiderabili; ma la saggezza non consiste nel fare qualsiasi cosa, nella stimolazione sensitiva prodotta dall’accumulo di esperienze imponendosi continuamente di svincolarsi dal proprio contesto di riferimento: ciò semmai soddisfa la curiosità, una facoltà rilevante della mente che normalmente prelude ad una decisione di vita consapevole e consistente, non coincide con essa. L’aumento delle possibilità non è condizione di saggezza perché quest’ultima riflette le decisioni etico-morali che attengono al quadro dei valori verso cui oriento la mia esistenza, al tipo di vita cui mi lego, alla terra in cui decido di abitare, alle relazioni in cui mi impegno, mentre sappiamo bene che l’uomo contemporaneo, vero “narciso frettoloso”, seguendo l’imperativo del fare sfrenato e perennemente connesso (Fumaroli 2011, p. 37), finisce in fondo per dubitare del fatto che, praticando questo genere di esistenza, possa davvero essere soddisfatto. In assenza di vera cultura, vale a dire capacità di dare valore alla vita, è prevedibile che l’eccesso di possibilità in presenza di un difetto di capacità di definire scopi connessi ad un modo di vita virtuoso, produca piuttosto disancoramento, stordimento e dissipazione, una sorta di presa debole sull’esistenza. E non si tratta di un mutamento collocabile tra le cose desiderabili vista l’insopprimibile e testarda propensione dell’uomo ad essere felice, e non solo ad essere stimolato. La mente che abita un milieu culturale Riferendoci ancora al pensiero di Jerome Bruner, scopriamo che: «La mente non potrebbe esistere senza la cultura. Infatti l’evoluzione della mente dell’ominide è legata allo sviluppo di un modo di vivere in cui la “realtà” viene rappresentata mediante un sistema simbolico condiviso dai membri di una comunità culturale che al contempo organizza e pensa il proprio stile di vita tecnico e sociale nei termini di quel simbolismo. Questo modo simbolico non solo viene condiviso dalla comunità, ma viene conservato, elaborato e tramandato alle generazioni successive che, in virtù di questa trasmissione, continuano a mantenere intatti l’identità e lo stile di vita della propria cultura. La cultura in questo senso è superorganica. Ma modella anche la mente dei singoli individui. La sua espressione individuale è legata al fare significato, all’attribuzione di significati alle cose in situazioni diverse e in occasioni concrete. Fare significato implica situare gli incontri con il mondo nel loro contesto culturale appropriato, al fine di sapere “di cosa si tratta in definitiva”. Benché i significati siano “nella mente”, hanno origine e rilevanza nella cultura in cui sono stati creati » (Bruner 2009, p. 17). Il legame tra mente e cultura corrisponde ad un ampliamento della prospettiva nell’intento di comprendere come avviene la conoscenza: non basta limitare il focus ai processi interni del cervello, ma occorre cogliere la vera consistenza dell’espressione “significato” come simbolo della condivisione di uno stile di vita. Esiste pertanto sullo sfondo dei processi comunicativi ed interattivi tra persone un milieu culturale che associa non già membri di strane comunità di linguisti e neppure cittadini giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 98 99 del mondo globalizzato che si incontrano in non luoghi parlando neolingue, ma persone situate entro una cultura viva con una sua storia che può anche attraversare momenti di crisi e di trasformazione, ma tende in ogni caso a ricostruire i legami tra il passato ed il presente per intravvedere il futuro. La fondamentale natura sociale dell’essere umano lo rende un soggetto in grado di comprendere in modo informale e non formale, vale a dire entro tutte le occasioni della vita quotidiana o nell’esercizio dei ruoli che è chiamato a svolgere. La cultura come ambiente entro cui avviene la conoscenza costituisce un patrimonio di cui ogni membro della comunità si avvale e diversi sono i modi in cui egli ne beneficia: osservando (ed in parte interagendo con) i depositi di opere gestiti da istituzioni apposite come nel caso dei musei, visitando direttamente i luoghi, i monumenti e le opere che rivelano la genialità di coloro che hanno reso grande una cultura e l’intera civiltà, ma soprattutto incontrando questi grandi nella forma dell’educazione ovvero della consegna viva (tradizione) di un patrimonio da parte di coloro che non solo sono preparati, ma ne traggono passione e desiderano insegnarlo ai giovani, naturalmente avendone i mezzi appropriati. Queste figure, chiamate comunemente “insegnanti”, si accingono ad una delle più importanti opere della civiltà: consentire un incontro vitale tra i giovani ed i più significativi contributi che altri prima di loro hanno apportato al patrimonio di cui sono parte, al fine non solo di “mantenere intatti l’identità e lo stile di vita della propria cultura”, ma di avvalorarla nella propria esistenza personale, inserendosi entro il flusso della ricchezza di vita che questa porta con sé, apportando a tale cammino il proprio contributo distintivo sia in quanto generazione sia come singoli. D’altra parte occorre anche riconoscere che non tutti i membri di una cerchia culturale beneficiano in pari misura di questo patrimonio. Ciò accade sia per ossidazione, processo tipico dei sistemi educativi istituzionalizzati che porta allo snaturamento della cultura in enunciati inerti finalizzati all’istruzione, sia per quella particolare forma di esclusione (ed anche autoesclusione) che conduce alla povertà culturale. Circa il primo caso, va ricordato che i significati vivono nella cultura in cui sono stati creati e muoiono se vengono distaccati dal loro contesto di origine. Solo in questo senso essi sono comunicabili, mentre se avulsi, degradano ad enunciati. L’inerzia scolastica è un pericolo sempre presente in ogni epoca storica, ma è ancor più grave e deleterio nei passaggi d’epoca come quello che stiamo attraversando, quando la maggioranza del ceto di insegnanti sembra indugiare nel lamento dei “tempi che corrono”, nella critica alle istituzioni deputate, nella presa di distanza dalla direzione in cui sembra indirizzarsi il percorso storico. È un pericolo deleterio perché corrisponde ad uno “sciopero culturale” degli intellettuali che consiste nel non presentare ai giovani il meglio di ciò che può aiutarli ad amare la vita. Il secondo caso indica quelle condizioni che rendono incapaci di trarre beneficio dal patrimonio culturale di riferimento; ciò porta a ceti e gruppi sociali deprivati a causa di un ambiente incapace di offrire loro delle opportunità, che forniscono situazioni estremamente povere di stimoli o stimoli non in grado di raggiungere il loro scopo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 99 100 Ora, anche al fine di delineare il modo in cui alcuni di questi gruppi sociali deprivati - come nel caso degli allievi della Formazione Professionale – possono accedere alla cultura, risulta estremamente interessante comprendere in cosa consista il fatto che il singolo individuo è parte di una cultura; Bruner ci dice che è la stessa mente ad essere modellata dalla cultura, ma dicendo questo si espone alla critica “esternalista”, l’accusa cioè di considerare il membro della comunità come un ricettore passivo di un patrimonio che gli viene consegnato bell’è fatto allo scopo di “mantenere intatto”, ovverossia immutabile, quello stile di vita distintivo che lo connota nei confronti delle altre culture. Critica che si stende poi al carattere “riparativo” dei programmi di intervento che risultano inoltre paternalistici, come se la società dovesse “prendersi cura” di soggetti resi subumani dalla deprivazione subita e quindi incapaci di esprimere quelle prerogative che fanno anche di loro persone capaci di cultura: di sentire, comprendere, avvalorare ed accrescere quel patrimonio culturale tramite il loro apporto originale. Abbiamo così introdotto la questione della consonanza culturale. La consonanza culturale, principale alleato dell’insegnante L’essere umano riceve con il patrimonio genetico anche un patrimonio culturale di natura disposizionale, ciò significa che la sua identità è già connotata dallo stile di vita e dalle suggestioni caratteristiche (topos) che sono proprie della cultura di appartenenza. Si può dire che egli, in un modo che le scienze non hanno ancora del tutto compreso, possiede già in sé l’impronta sensibile, un misto di archetipo – la forma preesistente di un pensiero – e di frame simbolici, che gli permettono di provare nostalgia, avvertire il gusto, dare significato e memorizzare le esperienze culturali significative, tramite l’incontro con le opere che hanno arricchito e caratterizzato quello stile di vita di cui egli è un testimone sensibile. È un concetto legato all’idea dell’incompletezza umana, già affrontata dagli antichi e ripresa poi specialmente nella seconda metà del Settecento da Johann Gottfried Herder 40 , infine riproposta dall’antropologo contemporaneo Clifford Geertz per il quale l’uomo: «È l’unico animale vivente che abbisogni di progetti (culturali), per il fatto di essere l’unico animale vivente la cui storia evolutiva è stata tale che il suo essere fisico è stato modellato in misura significativa dall’esistenza di tali progetti e che sia perciò irrevocabilmente basato su di essi» (Geertz 1965, p. 47). Infatti: «Noi sia- 40 «Se ogni nazione e ogni lingua hanno un proprio distinto carattere, anche ogni individuo, che quella lingua parla e appartiene a una singola nazione, deve possedere una particolare caratterizzazione; per Herder (Sugli scritti di Thomas Abbt) l’anima umana è “un individuo nel regno degli spiriti, che sente secondo la sua costituzione singolare”, è una “particolarità viva” che si manifesta “dall’intero fondo oscuro della nostra anima, nella cui imperscrutabile profondità dormono forze ignote” cosicché si può dire che “noi non conosciamo nemmeno noi stessi e solo a istanti, come in sogno, cogliamo qualche tratto della nostra vita profonda». http://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Gottfried_Herder. Ultimo accesso: 16 marzo 2015. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 100 101 mo animali incompleti o non finiti che si completano e si perfezionano attraverso la cultura – e non attraverso la cultura in genere, ma attraverso forme di cultura estremamente particolari: dobuana e giavanese, hopi e italiana, di classe superiore e inferiore, accademica e commerciale» (Ibidem, p. 64). L’uomo però non si completa ‘in generale’, ma solo nelle varie culture particolari: «Essere umani [...] non significa essere un qualsiasi uomo: vuol dire essere un particolare tipo d’uomo [...] A Giava, ad esempio, [...] la gente dice chiaro e tondo: “Essere umani è essere giavanesi”. I bambini piccoli, gli zoticoni, i sempliciotti, i pazzi, quelli apertamente immorali si dice che sono ndurung djawa, “non ancora giavanesi” » (Ibidem, p. 68). Tutto questo significa che la cultura, invece di essere “aggiunta” ad un animale ormai completo, o virtualmente completo, è stato un ingrediente, di certo il più importante, nella produzione di questo animale. In questo modo, ognuno è come foggiato dalla cultura di appartenenza e questo legame sviluppa un processo di appartenenza che funziona in linea diretta – la tradizione culturale – ma anche indiretta attraverso un feedback che dal nuovo membro del gruppo risale agli archetipi propri del patrimonio della sua gente. Chiamiamo questa caratteristica della mente preconoscenza, intendendo con questo termine quella particolare ricettività dell’esperienza culturale significativa per il proprio ambiente culturale che ogni persona possiede nella propria mente, e che informa potenzialmente il suo stile di vita, prima ancora di venire istruita formalmente dalle istituzioni apposite, che si manifesta come risonanza e rispecchiamento nei confronti del messaggio che viene loro proposto. Si tratta del genius gentis che, a differenza del suo corrispettivo genius loci che indica il carattere peculiare di un luogo, segnala più precisamente il carattere peculiare di una popolazione. La preconoscenza potrebbe essere concepita come un assurdo per coloro che intendono la conoscenza come un passaggio (travasamento) o un processo (operazione cognitiva), perché presuppone che la persona abbia già in sé, prima ancora che ciò venga immesso dall’esterno, una parte del corredo culturale che si desidera diventi un suo patrimonio personale. Conseguentemente si può affermare che, mentre una persona apprende ciò che non sa, ella impara solo ciò che già possiede come archetipo culturale e che costituisce il particolare stile di vita, o disposizione nella realtà, che condivide con gli altri membri della comunità. In forza di questo, l’intento decisivo di ogni insegnante, che consiste nel trasformare gli apprendimenti sparsi in una padronanza personale, non avviene in sequenza cronologica, ma circolarmente ed in modo situato: un sapere “nucleare” trova significato pieno solo entro una “ragione di vita” che costituisce il patrimonio profondo della cultura ed a questo deve sempre riferirsi perlomeno come promessa; l’allievo può in tal modo avvalersene non solo come strumento da utilizzare al fine di perseguire risultati specifici (il voto, l’ingresso ad una facoltà con numero chiuso, il titolo di studio, l’assunzione lavorativa), ma soprattutto come incremento della capacità di vivere la vita cui attribuisce valore; il risultato può essere descritto nei termigiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 101 102 ni di un perfezionamento umano, perseguito nel solco (sempre rinnovato) della tradizione culturale. Abbiamo pertanto “scoperto” un ingrediente decisivo per il processo della conoscenza: oltre alla capacità di percepire gli stimoli tramite i sensi, all’abilità nel decodificare formalmente il linguaggio ed infine alle facoltà cognitive (l’“astrazione riflettente” e le sue funzionalità), esiste la preconoscenza che consiste nella facoltà di prevenire il contenuto vitale del messaggio (il modo peculiare in cui ha influenzato lo stile di vita proprio della comunità cui si appartiene) tramite l’impronta che questo ha impresso nel corredo biopsichico individuale dello stesso collocato in uno spazio della propria memoria biologica (e magari contenuto come topos nella favole dell’infanzia, uno dei principali e più potenti mezzi della tradizione culturale); tale impronta, intesa come corredo della propria identità di “gente”, funziona da risonanza anticipata che agisce come se il soggetto possedesse parte del messaggio che gli viene rivolto, una sorta di intuizione archetipale che ne facilita l’apprendimento. Il tipo di intuizione che sviluppa non si riferisce a ciò che ancora non si conosce, ma porta a riconoscere in modo immediato ciò che già era presente, sia pure non pienamente consapevole, nella nostra mente e che corrisponde ad un’esperienza culturale che ci viene proposta. L’impronta culturale è il corrispettivo dell’impronta genetica, ma a differenza di quest’ultima che indica il profilo derivato dall’applicazione di determinati marcatori molecolari ad un genoma al fine di renderlo riconoscibile e rintracciabile, la prima è connessa ai significati culturali che definiscono il tipo di atteggiamento che una comunità adotta nel porsi nel mondo. Essa presenta elementi di precomprensione dell’archetipo culturale (la persona “giusta” e chi non lo è, il modo “corretto” di stare nella comunità e quelli non accettabili, le qualità interessanti da mostrare nella vita pubblica, ...), in sostanza i fattori che definiscono l’appartenenza alla comunità procedendo dagli elementi esteriori fino al linguaggio ed agli stili di vita distintivi. Un esempio è dato dalla vicenda degli eroi vicini come Giovanni Falcone, raccontato da Luigi Garlando nel romanzo Per questo mi chiamo Giovanni scritto nel 2004. È una storia decisamente italiana che colpisce il sentimento nazionale di giustizia e l’indignazione per la crudeltà disumana della mafia. Il giorno del decimo compleanno di Giovanni, il padre Luigi decide di trascorrerlo con lui portandolo a visitare la sua città, Palermo, e parlandogli della mafia. Per spiegargli di cosa si tratta, utilizza l’esempio dei bulli a scuola che sfruttano i più deboli per ottenere ciò che vogliono. Nel corso della gita il papà gli racconta la storia di Giovanni Falcone, dal maxiprocesso alla sua morte, e per questo lo porta a Capaci dove avvenne l’esplosione che uccise lui e diversi agenti di scorta. Visitano anche la casa di Falcone, dove ora si trova l’albero: il papà confessa che anche lui un tempo aveva pagato il pizzo alla mafia per poi ribellarsi. Così, anche Giovanni il giorno successivo torna a scuola e si ribella a Tonio, il compagno che lo obbligava a dargli i soldi. Leggere, e far leggere, un libro simile, presenta un’efficacia decisamente maggiore che trattare la mafia come oggetto di una lezione “scolastica” di storia. Ciò per il fatto che i ragazzi possiegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 102 103 dono una dote di precomprensione che anticipa la spiegazione del contenuto e fissa la vicenda dell’eroe moderno entro un’impronta culturale preesistente, un archetipo fortemente caratterizzato in senso nazionale. Ma vi sono anche archetipi culturali che appartengono all’umanità intera, in ogni tempo e spazio, come nel caso di Dante. Molte dichiarazioni dei formatori di italiano dei Centri di Formazione Professionale convergono su quanto dichiarato da un insegnante, reperibile in Internet: «Lo amano, lo amano. Nonostante ci dividano secoli e secoli, Dante sfonda il muro del tempo. La sua poesia è talmente grande, vibra a una tale altezza che crea una tensione che arriva a chiunque. Dante ha una tale autorevolezza che riesce a creare un ponte tra la Terra e il Cielo. Anche il sedicenne più rockettaro, più discotecaro, più disinteressato, viene coinvolto dai versi di Dante. Ricordo il figlio di amici, un tipo del genere con sessanta orecchini e chitarra elettrica al collo, che lo scorso anno attraversava tutta Roma per andare a sentire le letture di Sermonti. Un appuntamento che, inaspettatamente, trascinò anche molti giovanissimi [...] Quando insegno Alfieri o il Foscolo dei Sepolcri devo prima fare opera di traduzione, quasi insegnassi una lingua straniera o una lingua morta. Devo cercare continue perifrasi per renderli comprensibili. Gli endecasillabi di Dante, invece, o le sue terzine incatenate, trascinano i ragazzi, li seducono anche quando sfugge loro il significato di una parola» 41 . Questo perché la Commedia parla dell’uomo, della vita, e lo fa con la potenza e la capacità di comunicazione di un genio. Essa spalanca una finestra sulla vita e sull’uomo di oggi, come del passato. La comunicazione universale che rende possibile riguarda la comune aspirazione alla salvezza, alla felicità e all’eternità. Ma c’è di più: i formatori dichiarano che è possibile iniziare Dante leggendo subito la Divina Commedia, ad esempio in una classe di meccanici, senza che abbiano preventivamente acquisito le “basi culturali” per poterla interpretare formalmente. E ciò avviene sulla base di una capacità di comprensione del senso delle parole che viene prima delle conoscenze sull’inquadramento storico e letterario o l’abilità nel riconoscere in modo esatto i significati delle singole parole ed espressioni utilizzate dal Sommo poeta. Certamente la preconoscenza costituisce l’avvio del discorso culturale; nel prosieguo il formatore punterà a rafforzare quanto è stato avvertito tramite l’intuizione, approfondendone gli aspetti di contesto, storico e linguistici, ma ciò avverrà nel solco di quella disposizione che è sorta sin dal primo incontro con il testo, come un prosieguo che spiega ed avvalora il sentimento iniziale che rimane sempre presente nella vicenda formativa. 41 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/09/14/commedia-noiosa-macche- ai-ragazzi-piace-un.html. Ultimo accesso: 16 marzo 2015. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 103 104 La consonanza culturale costituisce il principale alleato dell’insegnante; egli non solo può sfruttare i motori intrinseci dell’apprendimento cioè l’umano desiderio di sapere di Aristotele, ma anche fare conto sulla capacità archetipica dei propri alunni di provare il gusto nell’incontro con le grandi opere della cultura letteraria, storica, scientifica, matematica, estetica, religiosa. È la fiducia in questo fattore che impedisce al formatore di scadere in un’azione “recuperante” delle conoscenze di base realizzata tramite lezioni ed esercizi isolati dalle “ragioni di vita” che costituiscono il patrimonio profondo della cultura; egli sa che, una volta avviata una consonanza viva, ogni meta può essere perseguita con maggiore velocità, efficacia e levità perché non somiglia affatto ad una lezione: tramite la lettura, l’esercizio della parola e della scrittura si impara la lingua italiana; con i personaggi e le vicende che popolano i racconti si focalizza il tempo storico; con la narrazione delle contingenze entro cui si sono rese possibili le scoperte si affina la cultura scientifica, e così via per ogni ambito degli assi culturali. L’attivatore implicito è lo sfondo indispensabile di un modo di fare formazione che richiede sin dal primo momento una partecipazione sensibile degli allievi alla vicenda che si svolge in classe. Essi sono chiamati ad entrare in consonanza con l’esperienza culturale proposta, apportando con l’attenzione e le parole i segni di un inveramento del patrimonio culturale vivo della civiltà. Risuona, quindi è vero; è vero, quindi merita di essere appreso seriamente, perché mi riguarda, mi sollecita a vivere meglio. Le cinque frecce per l’arco dell’insegnante, regista educativo Tenuto conto di quanto acquisito sinora, sul piano strettamente didattico l’insegnante degli assi culturali può essere visto come un “regista educativo” che svolge il suo lavoro decidendo, con arte e sensibilità educativa, l’approccio da adottare, combinando volta per volta i cinque diversi tipi di intervento che ha a disposizione: 1. incipit-avvio, 2. lezione frontale, 3. gruppo di lavoro nella classe-nella scuola, 4. azione compiuta interna ed esterna, 5. dialogo ed argomentazione. Incipit - avvio Si tratta dell’avvio dell’incontro educativo con la classe, quello che corrisponde alla captatio benevolentiae, il cui scopo è stabilire un rapporto vivo tra il formatore, la classe e l’esperienza culturale proposta. Tramite un positivo incipit, si è in grado di immettere i ragazzi sulla giusta strada e nel modo appropriato, attraverso un’esperienza in grado di smentire il loro pregiudizio scolastico; per fare questo occorre mettere in atto una strategia centrata sul giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 104 105 gusto, la meraviglia e l’utilità del sapere, tenendo conto che ogni campo culturale possiede un suo profilo di “seduttività”. La capacità seduttiva riguarda l’opera (letteraria, artistica, scientifica, storica, ...), gli autori e le vicende proposte, mediate dalla passione e dall’esperienza dell’insegnante. Le operazioni che il formatore deve svolgere sono così definite: – individuare, traendoli dal proprio repertorio personale e reperendoli tra le fonti, alcuni temi ed esperienze che possiedano la capacità di “far sentire” agli allievi il sentimento del sapere e li disponga nel modo giusto nei confronti della proposta degli studi. Possono essere letture di brani, narrazioni, dimostrazioni, esperimenti, giochi didattici, visione di immagini e video, incontro con testimoni, visite guidate, etc. – Diagnosticare la situazione della classe al fine di cogliere il momentum, vale a dire la posizione della classe e il tipo di intervento che può sviluppare un impulso positivo, inclinandone l’attenzione e mettendo in movimento le sue risorse in direzione dell’obiettivo che ci si sta ponendo. Tale diagnosi avviene il più delle volte in modo intuitivo, è un’intuizione “a pelle” che risente sia del clima della classe sia dei segnali verbali e non verbali che questa invia al formatore. – Scegliere tra i temi e le esperienze possibili quella che si ritiene opportuna, tenendo conto della diagnosi svolta in rapporto alla classe, ma soprattutto dell’esperienza e delle proprie doti intuitive e creative. Circa l’esperienza, va segnalato che un intervento che abbia avuto successo in precedenza è ripetibile solamente per un numero limitato di casi; ciò perché con l’iterazione essa tende a perdere di brillantezza per lo stesso insegnante a causa della già citata legge dell’ossidazione del sapere una volta divenuto routine, specie quando intaccata dalla ruggine del disciplinarismo sul corpo della cultura viva: un avvio che in un primo tempo è davvero brillante, poco alla volta tende a decadere in “lezione” perdendo di appeal. Inoltre, perché occorre guardarsi dal pericolo di caduta del tono di stupore causata dagli scambi di informazioni che avvengono tra gli allievi e che possono prevenire – ed annullare – l’incipit dell’insegnante in quanto già provato in precedenza con altre classi. Nella scelta dei temi sono decisive le doti del singolo insegnante poiché mettono in moto la sua passione, il fattore decisivo per il successo di un avvio in grado di disporre positivamente gli allievi nei confronti del sapere. Ognuno viene sollecitato in modo diverso dalla cultura viva, così possiamo trovare stili e canoni differenti, e ciò segnala il carattere artigianale ed artistico dell’insegnamento; il formatore di successo non è chi si sforza di conformarsi ad un modello, ma chi cerca di trarre dal suo corredo di doti personali i toni ed i contenuti più autentici che ne esprimano la passione rendendola comunicabile: l’inerzia culturale si evita non tanto adeguandosi ad una sequenza di operazioni, quanto sapendo conservare il gusto della vita (Whitehead). – Osservare e “sentire” il clima della classe per registrarne l’attenzione, così da inserirsi nel flusso disposizionale positivo e, nel caso, modificare il percorso che si sta seguendo se questo non si rivelasse appropriato. A questo proposito, va giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 105 106 detto che le classi sono strane entità dotate di una propria personalità. Nel libro di Masini, Barbagli e Mazzoni La pedagogia delle classi scolastiche, si afferma l’esistenza di: «Diverse “personalità di classe” in modo da costruire una sociologia della classe scolastica e, attraverso l’individuazione di idealtipi, indicare i metodi di lavoro più efficaci in ciascuna. Tra questi metodi sono anche contemplati alcuni modelli di cooperative learning che appaiono più efficaci nell’uno o nell’altro idealtipo di classe» (Masini, Barbagli e Mazzoni, p. 4). Tale impostazione muove dall’assunto che tutte le classi sono diverse, dal punto di vista della loro storia, del clima di rapporti interno, del profitto e della coesione tra persone; queste rappresentano delle vere e proprie “personalità collettive” così come definito da Hinshelwood (1989). Le classi sono entità non soltanto funzionali a certi scopi, ma anche realtà viventi, per questo necessitano di un lavoro di armonizzazione delle relazioni e delle tensioni interne così che si possa delineare una vera e propria identità che fornisca ai suoi membri la possibilità di aderire ad essa rafforzando il sentimento di “esistere come gruppo”. – Allo stesso tempo, occorre saper abbandonare il percorso immaginato se emerge un “aggancio” imprevisto, se questo ha un potere di significanza più rilevante rispetto a quello che si era pensato. Ciò può accadere tramite un racconto che emerge dalla classe subito all’avvio, quando le prime parole dell’insegnante hanno suscitato un collegamento significativo con qualcosa che sia già nella memoria dei presenti, oppure quando, una volta inoltrati nell’esperienza didattica, emergano esempi, casi diversi da quello proposto, posti al centro dell’attenzione da uno dei partecipanti. Quando ci si trova di fronte a questi casi vale la pena ricordare che è più faticoso proporre dall’esterno temi ed esempi piuttosto che assecondare agganci espressi direttamente dalla classe. Per comprendere l’importanza dell’incipit, si ricordi il detto popolare: “Chi ben comincia è a metà dell’opera” 42 . Ciò significa che gran parte della buona riuscita dei nostri sforzi sta proprio nell’iniziare in modo da volgere la cultura sul piano del gusto, della bellezza e dell’utilità, così che gli allievi possano partecipare sensibilmente ad essa, traendone un accrescimento personale ed apportando al sapere qualcosa della propria unicità di persone e di generazione. L’incipit ha una durata temporalmente limitata, che si può indicare nei trenta minuti. Un buon avvio si comprende se apre un’attesa positiva nei confronti delle fasi successive del lavoro dell’insegnante. In questo senso, si può dire che l’incipit, più che una tecnica per rendere piacevole l’impatto iniziale con una disciplina, funziona piuttosto come una promessa ad ogni allievo formulabile nel modo seguente: “se già questo avvio ti ha dato qualcosa, ti prometto che il seguito sarà un cammino nello stes- 42 Nella forma aulica di Orazio suona così: «Dimidium facti, qui coepit, habet» che, tradotto letteralmente, significa “chi comincia è a metà del lavoro” (O RAZIO , Epist., I, 2, p. 40). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 106 107 so segno”, cioè il sapere porterà benefici di affezione, apertura al reale, realizzazione di incontri ed opere. Per questo motivo non bisogna replicare fino all’esaurimento (dell’insegnante...) le tecniche di animazione e seduzione proposte all’avvio, perché si cadrebbe nella (impossibile) imitazione dei media tramite lo zapping e la navigazione per connessioni deboli. La teatralizzazione del sapere in sede di avvio serve per introdurre, far gustare e soprattutto consentire un patto formativo positivo circa il percorso da intraprendere. Lezione frontale La critica oramai dilagante nei confronti della “lezione frontale” e del metodo didattico per trasmissione ha posto in cattiva luce questa tecnica indispensabile per una buona gestione della classe. Uno dei vantaggi dell’approccio culturale consiste proprio nella possibilità di fornire ai propri membri dei consistenti “motivi per credere” in un corpo di conoscenze accumulate nel corso del tempo e costituenti un sapere affidabile. Ciò accade in forza dell’opera di conservazione che costituisce una delle principali caratteristiche delle culture, tramite la quale tendono ad essere accumulate conoscenze che hanno dato prova di un’accettabile coerenza, di saper evitare i rischi dell’arbitrarietà, di poggiare su principi generali incontrovertibili (Bruner 2009, p. 73). La traduzione di questo sapere in un elenco inerte di nozioni costituisce il principale tradimento del valore della cultura da parte del mondo degli insegnanti, poiché sottrae agli allievi la possibilità di un’effettiva esperienza culturale; d’altro canto, la tendenza molto diffusa nel teatro contemporaneo a reinterpretare i classici entro la ristretta prospettiva psicologica del nostro tempo, non dà ragione della straordinaria capacità della mente di mettersi in consonanza con lo spirito dell’opera. La docenza frontale si fonda sulla fiducia degli allievi e consente loro di accedere alla conoscenza proposizionale, quella che procede per trasferimento di fatti, principi e regole dalla mente dell’insegnante (o dal libro di testo) all’allievo visto non come “tabula rasa”, ma come persona dotata delle facoltà intellettive che gli consentono di cogliere il significato di ciò che gli viene proposto pur senza esperienza sensibile, di fare memoria di esperienze rese tramite fonti indirette, di operare inferenze e deduzioni logiche da assunti e giungere a generalizzazioni. La didattica centrata sul trasferimento di conoscenze proposizionali ha il vantaggio di sollecitare nel discente abilità mentali che non necessariamente richiedono sul momento di saper fare qualcosa di concreto; per accedere a questo tipo di conoscenza serve soprattutto la padronanza del linguaggio, dello spazio e del tempo, dei numeri e delle regole basilari della logica, infine la capacità di porre – almeno momentaneamente – sotto silenzio e trascendere il fascio di sensazioni emotive che invadono l’individuo. Ciò in forza del riconoscimento positivo dell’autorità culturale di chi insegna. Per acquisire questo tipo di sapere, non vi è necessità di una conferma sensibile – di un’esperienza diretta esito di una consonanza psichica - del significato di ciò che si impara. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 107 108 La lezione frontale è una tecnica didattica che prevede regole ben precise. La prima riguarda la triade della retorica: avere qualcosa da dire, dirlo con chiarezza, smettere subito dopo averla detta, evitando quella spiacevole deformazione del discorso dell’insegnante che lo porta a ripetere continuamente il nucleo del sapere, sottolinearlo con il tono – spesso pedante – della voce. La seconda esige di utilizzare un metodo espositivo differente da quello del testo scritto: si tratta di due codici linguistici differenti: mentre il secondo tende ad esporre e spiegare secondo un processo logico lineare, il primo ha lo scopo di portare gli interlocutori dal punto in cui si trovano inizialmente nel cuore proprio della “situazione di apprendimento” che consente di afferrare il contenuto dell’insegnamento impartito. La terza suggerisce di evitare di anteporre sempre la spiegazione agli esempi, ma di utilizzare anche il percorso inverso, così che i ragazzi possano “raggiungere” il sapere come fossero esploratori che scoprono per la prima volta un sito interessante, piuttosto che registratori che prendono nota di un sapere formalmente dichiarato. Ciò richiede di utilizzare un discorso che procede con un tono avventuroso, perché le parole hanno il potere di disegnare un percorso in cui l’interlocutore è invitato ad inserirsi guardandosi in giro con curiosità, concentrandosi su alcuni fenomeni, analizzandoli in modo rigoroso e traendo da questi insegnamenti da mettere nella propria bisaccia da dove richiamarli quando risultano utili. Quanto detto ci porta a precisare il campo euristico della lezione frontale. Questa, per essere efficace, richiede tre prerequisiti: la giusta motivazione dei destinatari, un livello di partenza tendenzialmente omogeneo, l’assenza di fattori di disturbo quali i rumori, ma anche gli impedimenti linguistici come la scarsa conoscenza della lingua utilizzata dall’insegnante. Inoltre, va precisato che il tempo d’attenzione di una classe è, nella sua parte produttiva, della durata massima di trenta minuti. È possibile prolungare più a lungo l’attenzione, ma ciò accade nei confronti di una narrazione, non di un’esposizione che richiede l’attivazione di molteplici funzioni mentali come la deduzione, l’induzione, l’inferenza alla spiegazione migliore. Questo modo di stimolazione della mente ha il grande vantaggio dell’economicità: molti dei saperi necessari per vivere non devono sempre essere acquisiti in un contesto di attività e di scoperta; inoltre, possiede un indubbio valore formativo perché aumenta lo spazio di libertà della persona e ne rafforza il carattere. Ma occorre guardarsi dall’esito passivizzante che alla lunga questa didattica porta con sé, escludendo programmaticamente il mondo di vita dell’allievo che in tal modo non sente più di dimorare in uno spazio familiare, ma avverte uno spiacevole senso di estraniazione che inficia il perseguimento degli apprendimenti attesi. Gruppo di lavoro nella classe e nella scuola L’annullamento del punto di vista dell’allievo avviene negando i frutti che il sapere gli apporta come conquista e dotazione personale. Per evitare questo scenario, giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 108 109 purtroppo ancora frequente nelle nostre aule, ogni volta che si intraprende un’unità didattica occorre dichiarare esplicitamente il valore di ciò che si va a proporre alla classe, e soprattutto indicare non solo il modo in cui ne verificheremo il possesso formale, ma anche il momento in cui le conoscenze in tal modo acquisite potranno essere mobilitate dagli allievi tramite un compito attivo, il più possibile vicino alla realtà e proiettato verso specifici beneficiari che non siano solo i propri insegnanti. Se in varie lezioni di chimica abbiamo trattato dell’acqua, possiamo verificare tramite test o interrogazioni se gli studenti hanno acquisito i concetti di composizione dell’acqua in purezza, degli elementi chimici acquisiti nell’attraversamento degli strati rocciosi, dei livelli di soglia di sali minerali e ioni di diversa natura che ne definiscono la potabilità per gli organismi viventi perché necessari per un buon funzionamento del metabolismo. Ma la prova regina che tutto questo è stato acquisito consiste nella effettuazione di test su campioni reali di acqua tramite cui misurare alcuni parametri fisico- chimici tali da fornirci indicazioni sulla presenza e concentrazione degli elementi chimici di maggiore interesse per le acque potabili 43 . Ciò significa procedere per moduli, prevedendo la massima convergenza possibile fra le diverse discipline che condividono il medesimo nucleo del sapere, dove le attività didattiche basate su conoscenze proposizionali preludono ad esperienze culturali che ne rappresentano insieme il compimento e la messa alla prova tramite compiti di realtà. La struttura modulare del sapere rappresenta la soluzione del problema di come integrare la didattica per trasferimento in un cammino di studio prevalentemente attivo, dove l’allievo sia protagonista del proprio progresso. La chiave di questo metodo risiede nell’intesa tra docenti che presentano saperi affini, nella creazione di spazi di didattica comune, nella capacità di gestire l’azione didattica sapendo suscitare il gusto del sapere, dichiarare il suo valore, annunciare il momento della prova reale; tutto questo comporta di tener presente la prospettiva dell’allievo che impara come persona dotata di buone ragioni per credere in ciò che gli viene offerto, cui si chiede dedizione fiduciosa in attesa di poterlo mettere alla prova. La didattica per trasferimento non si riduce al sapere le cose e ripetere ciò che è scritto sul libro, ma rappresenta una delle tecniche che necessariamente deve saper padroneggiare l’insegnante della cultura viva. Se un tempo si insegnavano le discipline, perché gli studenti potessero avvalersene dopo la fine degli studi a fronte degli impegni e le responsabilità della vita concreta, oggi occorre accompagnarli lungo il corso scolastico ad affrontare le sfide della realtà per poter far sì che apprendano le discipline in situazione. Infatti, anche: «La ‘potenza dell’astrazione’ è completamente situata, nelle vite delle persone e nella cultura che la rendono possibile» (Lave-Wenger 2012, p. 23). 43 Si veda il kit didattico per la valutazione delle qualità fisico-chimiche dell’acqua domestica realizzato dalla fondazione Cariplo con l’Università Bicocca di Milano: http://www.fondazionecariplo. it/portal/upload/ent3/1/Kit%20Acqua%20Brocca.pdf. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 109 110 La forma privilegiata in cui il CFP può “ingaggiare” lo studente nell’avventura viva del sapere è quella dell’azione compiuta, che consente di dare consistenza ai saperi impartiti e nel contempo di mettersi in gioco personalmente nel porne a frutto il valore. Molti sono i modi in cui si possono sviluppare azioni compiute: l’esperimento scientifico, la presentazione pubblica di una raccolta tematica di testi classici, la progettazione di un impianto tecnologico, la dissertazione sulla questione energetica, il report del viaggio di istruzione ed i grafici sull’andamento demografico. I CFP comprendono sempre più l’importanza di arricchire lo spazio dell’“imparare facendo”, da qui la crescente diffusione di compiti di realtà che si riscontra in ogni ordine di studi; questi però, per essere concepiti come occasioni di vera conoscenza, non debbono limitarsi unicamente alla produzione, ma esigono una piena e consapevole riflessione, sulla base di linguaggi strutturati secondo il corretto canone epistemologico. Da qui la necessità di una precisa regola del curricolo composito, nel quale siano combinati sapientemente la didattica frontale, l’attività di laboratorio interno al CFP ed i compiti reali svolti perlopiù all’esterno di essa. E dove possano essere ricondotte anche le occasioni impreviste di crescita e maturazione umana. Il cervello umano non funziona per accumulo di informazioni e formule, ma per astrazione e generalizzazione a partire dai dati concreti di realtà, entro un contesto che fornisce prossimità tra la persona che apprende ed il sapere che gli viene proposto. Il cammino educativo deve essere scandito da compiti ben definiti, in cui la persona sia implicata attivamente, per portare a termine i quali risultino necessari i saperi che si intende fargli acquisire. Ciò deve poter avvenire nel contesto di un gruppo che apprende tramite quesiti, consegne, applicazioni reali, scoperta e riflessione; si evidenzia così il valore della peer education che mette in moto il potere del piccolo gruppo nel creare un clima più sereno, non giudicante, amichevole e formativo. Entro questo spazio il discente si avvale del contributo di tutti anche nella forma dell’imitazione; inoltre, diviene più consapevole delle sue carenze ed è meglio disposto a rimediare ad esse attraverso lo sforzo personale e l’aiuto dei compagni. Il gruppo di lavoro interno alla classe, finalizzato a produrre opere che non si limitano all’ambito angusto del ciclo insegnamento-prestazione-voto, ma mirano a stabilire relazioni sociali reali centrate sul sapere in azione, è uno degli ingredienti fondamentali del corredo dell’insegnante regista didattico; trattandosi di una tecnica molto efficace in quanto in grado di fissare più decisamente gli apprendimenti acquisiti tramite esperienza e produzione, essa va inserita come componente stabile del curricolo, sia nel contesto disciplinare e di area formativa sia nell’ambito comune a più discipline in riferimento a saperi pluridimensionali e quindi condivisi da un numero ampio di colleghi del consiglio di classe, come nel caso del territorio, della sostenibilità e dell’energia, della democrazia, dei diritti umani e della libertà, delle grandi questioni etiche sollevate dall’ingegneria genetica e così via. Ordinariamente il gruppo di lavoro, finalizzato a produrre schemi, sussidi, dossier, prodotti ed eventi, agisce nel momento in cui si compie un ciclo unitario di unità didattiche, quando cioè gli allievi possono contare su un bagaglio di saperi “insegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 110 111 gnati” che richiedono di essere fissati nella loro mente tramite un lavoro, quindi in corrispondenza dei passaggi più impegnativi nei quali non basta più semplicemente capire, ma occorre padroneggiare saperi essenziali, quelli che consentono di portare a termine compiti fronteggiando via via i problemi che si presentano. Occorre pertanto saper scandire il cammino della classe puntando a far sì che gli allievi producano autonomamente, sia in gruppo che singolarmente, un corredo di prodotti – non per ripetizione, ma per rielaborazione – che attestino la loro padronanza dei saperi che costituiscono i traguardi formativi perseguiti. Nella modalità ordinaria, questo modo di procedere binario (lezione frontale e gruppo di lavoro) non necessita di un formato progettuale e valutativo impegnativo: basta che l’insegnante, in cooperazione con i colleghi della propria area formativa, abbia presente il legame che insiste tra i nuclei del sapere ed i compiti di realtà che consentono di renderli evidenti non solo nella forma della ripetizione, ma in quella più “autentica” dei compiti di realtà. Nella modalità straordinaria, in corrispondenza dei passaggi decisivi del cammino formativo, il lavoro dei gruppi è progettato nella forma della Unità di Apprendimento (UdA) che rende chiari i legami che intercorrono tra i saperi essenziali, i prodotti e la valutazione, ed inoltre definisce il concorso dei vari assi/discipline alla realizzazione delle opere richieste agli allievi. Questa metodologia formativa può richiedere da sei-otto ore fino a qualche decina in relazione all’impegno necessario sia realizzativo sia cognitivo, non tutte da svolgere nel CFP perché è fondamentale richiedere agli allievi un congruo lavoro domestico nel quale cercare informazioni, elaborare testi ed approfondire individualmente la conoscenza dei contenuti. Azione compiuta interna ed esterna L’azione compiuta può avvenire all’interno, nella forma del “laboratorio di realtà”, ed anche all’esterno del CFP; questa modalità formativa assume nella gran parte la forma dell’alternanza formazione-lavoro che, com’è noto, è una metodologia che integra la formazione interna e quella esterna alla struttura formativa entro un progetto unitario, progettato e valutato. Ciò che contraddistingue tale metodologia è il fatto che gli apprendimenti, se presentati in modo formale risultano isolati tra di loro e con il reale, trovano invece vita e significato pieno se collocati entro un “contesto formativo” che esprime le culture in azione presenti nella realtà concreta del lavoro e dell’impresa, delle istituzioni, della società e della cultura. L’azione compiuta indica quel tipo di curricolo nel quale si prevedono attività incastonate all’interno del contesto organizzativo reale in relazione alle pratiche lavorative e organizzative (Suchman 1987); in tale quadro la cultura diviene il filo rosso dell’agire, di conseguenza le tecnologie, gli oggetti e le procedure sono ingredienti che definiscono l’ambito d’azione del gruppo degli attori coinvolti, ma sono anche “agganciati” alle pratiche che sostengono il lavoro e l’organizzazione nel suo complesso. Ciò che prevale nell’azione situata è il senso delle condotte degli attori che si muovono coordinandosi in vista di uno scopo condiviso e dotato di valore; l’uso di giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 111 112 strumenti tecnologici è al servizio di questa condotta dotata di senso pieno. Al pari delle dinamiche comunicative, la tecnologia, pur essendo considerata come elemento fondamentale nei contesti organizzativi, deve essere intesa come parte di un network assai complesso, in cui le interazioni umano-non umano giocano un ruolo di primo piano. La tecnica è infatti una produzione umana, e va distinta dagli artefatti – le tecnologie e gli automi – che operano in modo semi-autonomo. Due sono i caratteri propri dell’azione situata svolta nella forma dell’alternanza: – la progressione del cammino formativo per compiti di realtà in corrispondenza a saperi essenziali: è il centro della metodologia che indica lo spazio di apprendimento da svolgersi in situazione reale. Ciò richiede innanzitutto un’elaborazione da parte dei dipartimenti della progressione dei saperi essenziali individuati in base alla loro significatività e rilevanza nei processi intellettuali richiesti all’allievo (cognitivi, affettivo-relazionali, pratici, sociali, riflessivi) e riscontrabili nelle culture in azione proprie del mondo dell’impresa e del lavoro oltre che del contesto di cittadinanza che delineano il profilo finale di riferimento del corso. Inoltre, questa opzione metodologica richiede di delineare la mappa dei compiti di realtà indispensabili per il pieno raggiungimento dei traguardi formativi, da reperire in differenti contesti simulati e reali, tra cui un ruolo decisivo è ricoperto dallo stage in azienda. – La cooperazione educativa e formativa: l’intera metodologia dell’alternanza, che si avvale di diverse soluzioni (quella integrale costituita da uno stage continuativo svolto presso l’ente/impresa, la soluzione pomeridiana, un giorno la settimana, l’attività estiva, la simulazione di impresa, l’attività esterna svolta presso una struttura formativa, la commessa dell’ente esterno svolta nei laboratori del CFP, l’autocommessa interna all’istituto, ...), rovescia il metodo di lavoro abituale basato sul principio dell’“isolamento professionale” dei docenti, per un metodo di lavoro veramente cooperativo e non solo interdisciplinare. Il percorso formativo va coprogettato tra il CFP e l’azienda/ente ospitante, come pure i criteri di verifica e valutazione delle competenze acquisite. È questo un riconoscimento di pari dignità del processo di insegnamento/apprendimento sviluppato in ambito scolastico ed extra scolastico. In particolare: – il Consiglio di classe pianifica il percorso personalizzato coerente alle caratteristiche degli allievi, finalizzato al successo formativo delle competenze trasversali e tecnico professionali; – la progettazione del consiglio di classe/tutor scolastico viene realizzata con la collaborazione del tutor aziendale per individuare gli obiettivi formativi/orientativi da perseguire; – la definizione del percorso formativo è condivisa con il tutor aziendale. Il progetto deve far riferimento alle competenze dell’ordinamento in vigore effettivamente mobilitate dagli studenti, prevedendo non solo quelle tecnico-professionali, ma anche quelle degli assi culturali e di cittadinanza, indicando nel contempo le conoscenze e le abilità necessarie all’espletamento dei compiti assegnati. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 112 113 È bene condividere con l’azienda l’approccio per competenze, ponendo l’accento su prodotti reali ed adeguati che lo studente è in grado di realizzare, da solo e con gli altri, oltre al linguaggio che viene espresso anche in una relazione individuale che racconta l’esperienza ed indica gli apprendimenti conseguiti ed il loro valore. Prodotti e relazioni costituiscono nel contempo evidenze sulla base delle quali poter procedere nella valutazione di padronanza da parte di ogni singolo studente. La personalizzazione non deve necessariamente prevedere progetti distinti per ogni singolo individuo, ma la variazione del set di competenze, conoscenze ed abilità messe in atto in riferimento al profilo di ogni persona ed alle sue necessità formative. In tal senso, il progetto di alternanza deve essere gestito come una Unità di Apprendimento. La gestione didattica deve considerare che l’apprendimento mediante loro si svolge nella logica dell’azione compiuta intesa come “centro organizzatore” di knowledge: – la rappresentazione dell’azione; – la diagnosi ed il progetto; – il lavoro per processi ed il multitasking; – collaudo e verifica; – la rendicontazione. I nodi dell’apprendimento per azioni compiute sono: – la disposizione personale e la cultura contesto: virtù e valori (con criteri di giudizio); – l’imprevisto e la gestione dei problemi/opportunità; – la decisione: valori, priorità; – le relazioni; – i saperi: dalla mobilitazione (saperi agiti) alla padronanza (saperi detti) e il linguaggio. L’azione avviene sul piano della realtà, dove i fattori in gioco sono visti in chiave teleologica, secondo cui ogni cosa riceve significato in relazione al suo fine, esplicito o implicito. Gli scopi sono legati ai soggetti ed ai loro valori; essi danno senso alle mete ed agli strumenti utilizzati per perseguirle (comprese le conoscenze). Il tutto delinea un “campo culturale” dotato di specifici linguaggi. In questo quadro i saperi sono “serventi”. Ma se spinta verso la meta della padronanza culturale, come nel caso delle pratiche di alternanza, l’azione mira alla consapevolezza teorica e si evidenzia nel linguaggio acquisito al seguito di azioni compiute, consapevoli e riflessive. Questo approccio all’apprendimento trae origine da un campo di riferimento reale (un’area di apprendimento) in cui si svolgono azioni che mirano a risultati valutabili e che richiedono una padronanza delle risorse. Per giungere ad una piena padronanza culturale, occorre risalire dal codice sociale (l’azione) al codice epistemico (il linguaggio disciplinare fondato). Questo metodo privilegia la valutazione analogica rispetto a quella analitica. Tutto ciò richiede una piena corresponsabilità educativa e formativa tra i soggetti coinvolti, un’intesa tra CFP e impresa fondata sulla valorizzazione reciproca dei due giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 113 114 soggetti come partner di un progetto comune impegnativo e sostanziale. Questo progetto dovrà prevedere tre livelli di traguardi da perseguire: 1) una base comune (conoscenza dell’impresa, comportamento organizzativo, comunicazione, cooperazione, imparare ad imparare, cultura tecnologica, sicurezza e salute, tutela dell’ambiente e sostenibilità, estetica, ...); 2) un livello di traguardi riferiti alle competenze della comunità professionale; 3) un ultimo livello riferito alle competenze proprie del profilo professionale, attualizzate nello specifico contesto dell’impresa partner. Una pratica di alternanza formazione lavoro intesa come azione compiuta tramite la quale gli allievi acquisiscono una reale padronanza dei saperi formali e di quelli agiti, richiede di essere inseriti entro un quadro ordinario curricolare: l’attività di alternanza non è una parte accessoria del percorso degli studi, ma una metodologia che attraversa l’intero curricolo e concorre a delineare i passi fondamentali di crescita degli allievi. Ciò comporta una progettazione curricolare da svolgere a monte, centrata sulla stretta connessione tra compiti di realtà e saperi essenziali; questo cammino formativo definito in termini di massima (canovaccio) diventa il quadro di riferimento per la progettazione dei dipartimenti interdisciplinari/disciplinari e dei consigli di classe, così da alternare effettivamente le tre tipologie di apprendimento: frontali, laboratori interni e compiti di realtà esterni al CFP. Occorre che il percorso non sia una giustapposizione di “programmi” disciplinari verticali autosufficienti, ma preveda un ambito di lavoro comune tra docenti che mirano a saperi affini e che uniscono le proprie risorse affinché gli allievi possano cogliere l’unitarietà ed il valore dei saperi. Il principio di curricolarità prevede, infine, che la valutazione attribuita all’allievo in stage, sulla base di pesi previamente definiti, sia tradotta in voti da inserire nei registri delle discipline coinvolte come pure nella condotta. Dialogo ed argomentazione La domanda decisiva per comprendere questo modo di acquisire e di fare cultura è espressa da Bruner nel modo seguente: «Che cosa in realtà si guadagna e che cosa va perduto quando si dà un senso al mondo raccontando storie su di esso, usando il modo narrativo per interpretare la realtà?» (Bruner 2009, p. 145). L’autore indica la risposta dominante tipica del “metodo scientifico”, secondo cui: «Le storie non costituiscono il materiale realistico della scienza e devono essere evitate o trasformate in proposizioni verificabili [...] ma né la conoscenza verificata dell’empirista né le verità assiomatiche del razionalista descrivono i motivi per i quali la gente comune si dispone a capire il senso delle proprie esperienze [...]. Sono questioni che richiedono una storia. E le storie devono avere alla base un’idea sui rapporti umani, delle ipotesi sul fatto che i protagonisti si capiscano o meno fra loro, delle pre-concezioni circa gli standard normativi» (Ivi). Attraverso il dialogo, svolto in prevalenza nell’ambito della classe, avviene una esposizione ed un confronto/discussione tra le persone, tramite cui avviene un incontro tra il linguaggio formale delle discipline e il linguaggio narrativo che connogiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 114 115 ta la realtà quotidiana. In queste occasioni, ognuno è chiamato ad esprimere la sua personale rappresentazione della vicenda formativa apportando ad essa qualcosa di peculiare e sapendo argomentare la propria posizione, mostrando non solo di padroneggiare il campo culturale entro cui si colloca l’attività, ma anche di saper trarre da essa i benefici di apprendimento e di maturazione personale, anche in vista delle scelte future. È ciò che scandisce il passaggio dall’umanesimo scolastico all’umanesimo civile, dove il primo indica l’insieme dei temi che un cittadino deve tenere presenti per poter essere conforme ai traguardi formativi definiti dai curricoli scolastici, mentre il secondo segnala, invece, cosa accade ad una persona quando trae beneficio personale dalla cultura incontrata nell’esperienza formativa, divenendone portatore vivo. La forma del dialogo e dell’argomentazione è pertanto sostenuta dalla narrazione, ma intesa in modo corretto: non mera espressione del punto di vista soggettivo o “ombelicale”, una tendenza che ha prevalso anche nella letteratura contemporanea 44 , ma contributo alla crescita comune unita alla disponibilità ad apprendere dagli altri. Essendo il tempo presente ed i suoi linguaggi dominati da questa forma di narrazione, occorre che la scuola insegni il superamento della schiavitù psicologica che spinge all’emissione continua del punto di vista soggettivo, quello che, nel bisogno ossessivo di dire “cosa sento, cosa penso”, infliggendo agli altri storie senza riflessione né messaggio che possa rappresentare un qualche “bene comune”, finisce per cancellare la propria aura di mistero ed espone l’individuo ad uno svuotamento che ne annulla l’anima. Ciò comporta la capacità di riflettere sul proprio vissuto soggettivo, di scavare a fondo nel dialogo interiore arricchito da “buona letteratura” e incontri formativi; così da saper assumere una disposizione al dialogo pubblico, arricchente, donativo, come nella poesia di Louis Brauquier: «Siamo oggi senza ombra e senza mistero, In una povertà che lo spirito abbandona; Restituiteci il peccato e il sapore della terra Perché il nostro corpo si emozioni, tremi e si dia» 45 . 44 Si veda il giudizio seguente: «ci interrogavamo sulle ragioni per cui la narrativa italiana, nella sua gran parte, fosse divenuta così “ombelicale”: avesse cioè iniziato a utilizzare uno zoom puntato sul privato, perdendo la capacità di usare come obiettivo un grandangolo che fotografasse certamente il personale e l’animo umano, ma inseriti in un contesto sociale, che è sempre, inevitabilmente, anche politico: un contesto che ha ricadute, che s’insinua, che pesa, nel privato, anche in quello di chi voglia con tutto se stesso disinteressarsi del mondo che lo circonda». http://www.rivistapaginauno.it/press.php. Ultimo accesso: 20 marzo 015. 45 Francesca Mazzucato, Louis Brauquier – Il Poeta del mondo meticcio di Marsiglia, Edizioni Kult Virtual Press, Modena, p. 15. http://www.aiutamici.com/ftp/eBook/ebook/Francesca%20Mazzucato% 20-%20Louis%20Brauquier.pdf. Ultimo accesso: 20 marzo 2015. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 115 116 Dialogo ed argomentazione, sostenuti da un’adeguata narrazione, consentono alla persona di esporre in modo chiaro ed efficace il proprio modo di porsi nella realtà e di arricchirlo attraverso il contributo del confronto comune. Perché in fondo è questo il vero beneficio della cultura: rendere più vero il proprio essere nel mondo, perfezionare la propria disposizione esistenziale uscendo dalla gabbia del proprio io così da conquistare un punto di vista comune, argomentato e convincente. Questa capacità viene acquisita attraverso pratiche quotidiane e scambi linguistici mediante i quali si conosce, si attribuisce senso al mondo quotidiano, riconoscendo la realtà come entità esterna da sé, insieme limite e opportunità per il soggetto. Ogni allievo, individualmente ed anche in gruppo, è chiamato in alcuni momenti importanti del percorso formativo ad esporre ed argomentare la sua visione e il suo modo di porsi nella realtà, arricchiti dagli incontri che gli hanno consentito di incontrare contributi rilevanti della cultura discutendone con altri e sostenendo le proprie buone ragioni nella discussione e nell’assunzione reciproca di contributi resi convincenti dal confronto. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 116 117 Il nodo della valutazione Modello formativo I modelli di valutazione conseguenti alla scelta di un approccio misto – cognitivo, culturale e narrativo – devono essere necessariamente molteplici. Infatti, ogni conoscenza «viva» (quella che vale la pena di perseguire) possiede tre qualità: – Cognitiva: tramite il linguaggio, nomina, spiega, fornisce una prospettiva di riferimento. – Sociale: stimola all’azione tramite strumenti «esperti» di diagnosi, prognosi, intervento, verifica, valorizzazione dell’esperienza. – Esistenziale: smuove le corde dell’animo umano, sollecita vocazioni, pone in una disposizione positiva nei confronti del reale. Di conseguenza, esistono tre componenti della valutazione: 1. conoscenze e abilità “puntuali” (test, interrogazioni, esercizi...); 2. prodotti reali o compiti esperti (Unità di Apprendimento, prova esperta, alternanza, concorsi, eventi... ma anche attività riflesse come volontariato ed attività sporadiche come quesiti ed osservazioni); 3. argomentazioni (esposizioni, presentazioni, discussioni, certamina). Ecco la specificazione dei tre modelli di valutazione possibili: Specificazione Punta a rilevare il patrimonio di conoscenze ed abilità possedute dalle persone, centrando l’analisi sulle risposte a domande puntuali e sulla corretta applicazione di abilità ad esercizi circoscritti. Focus della valutazione Memorizzazione, selezione e individuazione di conoscenze; destrezza nell’uso delle abilità cognitive e pratiche. Modalità e strumenti A scadenza periodica vengono somministrati agli allievi test, interrogazioni, esercizi pratici e teorici..., secondo la tecnica della “sola risposta esatta”, sulla base della rilevanza delle conoscenze ed abilità che definiscono il loro patrimonio culturale individuale. La valutazione viene svolta in riferimento ad una scala decimale, il cui punteggio viene stabilito calcolando il numero delle risposte esatte sul totale dei quesiti posti. Può essere utilizzata la tecnica grezza del “contatore”, oppure tecniche più sofisticate che prevedono testing, medie, gaussiane. Per definire la soglia di accettabilità (ad es.: 6/10) è necessario distinguere le conoscenze/abilità essenziali rispetto a quelle secondarie. Ciò significa attribuire pesi differenti ai vari fattori in gioco 1) CONOSCENZE ED ABILITÀ “PUNTUALI” segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 117 118 Osservazioni Vanno individuati i nuclei portanti del sapere, ovvero quelle conoscenze ed abilità che strutturano capacità di pensiero e di azione, distinguendole dalle mere nozioni a sé stanti. Il possesso di conoscenze ed abilità “puntuali” mostrate con prove di verifica, non garantisce circa la reale padronanza delle stesse. Ciò porta a definire un “peso” minore di queste verifiche rispetto ai compiti “agiti”. Ma le prestazioni (prodotti, progetti) possono anche essere realizzate senza una piena padronanza formale delle conoscenze ed abilità utilizzate, perché il candidato può averle ottenute per imitazione, tentativi ed approssimazioni oppure intuizione. 2) PRODOTTI REALI O COMPITI ESPERTI Specificazione Punta a rilevare la capacità d’azione delle persone, a fronte di compitiproblema, vista come mobilitazione di risorse (conoscenze, abilità, capacità) in un contesto non routinario che prevede criticità ed imprevisti. Focus della valutazione L’intero processo d’azione è oggetto di valutazione, a partire dalla comprensione della consegna, passando per la definizione del piano d’azione, la sua attuazione fronteggian do criticità, portando a termine i compiti, ed i relativi prodotti, in modo giudicato valido. Modalità e strumenti La didattica è costituita da moduli ovvero Unità di Apprendimento centrate sui nuclei es senziali del sapere; ogni anno termina con una prova esperta; vi sono poi le attività ester ne (ed interne) svolte in alternanza con il contributo valutativo dei tutor aziendali; infine concorsi, scambi, eventi, impegni sociali e momenti sporadici possono costituire altre occasioni di mobilitazione reale dei saperi e quindi di valutazione del “saper agire” con ciò che si sa. Vi sono tre tecniche di valutazione dei prodotti e processi: – analitiche: si individuano le componenti di una prestazione (operazioni) e le si misura in riferimento ad una scala decimale, simile a quella delle conoscenze ed abilità “puntuali”; – analogiche: si elegge una prestazione eccellente come modello di paragone della prestazione da valutare, e si sceglie il grado di padronanza sulla base di una scala normalmente pentenaria; – per giudici: si affida il giudizio a giudici competenti che – in base a criteri concordati – decidono se la prestazione è standard oppure eccellente. Osservazioni I prodotti devono essere necessari e sufficienti, al fine di attestare il possesso di una com petenza. La persona manifesta la sua competenza a fronte di imprevisti e criticità, mentre le ruotine o procedure standardizzate sono da intendere come sequenze di conoscenze / abilità e non competenze. Ciò mostra la differenza sostanziale che intercorre tra compiti complicati e compiti complessi: questi ultimi non sono standardizzabili a causa della rilevanza dei fattori imprevisti. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 118 119 3) ARGOMENTI Specificazione Punta a rilevare la capacità di esposizione e di confronto/discussione della persona, trami te cui si rileva la padronanza del linguaggio, il “saper argomentare” una posizione, mostran do di padroneggiare il campo culturale entro cui si colloca la valutazione (umanesimo civile). Focus della valutazione Al centro della valutazione vi è la capacità della persona di esporre in modo chiaro ed efficace il proprio modo di porsi nella realtà. (disposizione esistenziale). Questa capacità viene acquisita attraverso pratiche quotidiane e scambi linguistici mediante i quali si co nosce, si attribuisce senso al mondo quotidiano, riconoscendo la realtà come entità esterna da sé, insieme limite e opportunità per il soggetto. Modalità e strumenti Ogni allievo, individualmente ed anche in gruppo, è chiamato in alcuni momenti impor tanti del percorso ad esporre ed argomentare la sua visione e disposizione nella realtà, discutendone con altri e sostenendo le proprie buone ragioni a fronte di vari quesiti, evi denze e proposizioni. La valutazione viene svolta facendo riferimento a “giudici” (i docenti e gli altri adulti coinvolti nel percorso formativo; genitori, tutor aziendali...) che solitamen te si avvalgono sia di una griglia di osservazione sia della propria sensibilità (maestria). Osservazioni Il contesto dell’argomentazione non ha solo carattere valutativo, ma possiede una rilevan te qualità formativa poiché consente ai partecipanti di chiarire meglio, in forza della ne cessità di verbalizzazione, la loro disposizione verso la realtà, inoltre consente a tutti di arricchirsi del confronto reciproco; infine conduce spesso all’elaborazione di nuovi argomenti resi possibili all’interazione cognitiva tra le parti in gioco. La valutazione dei saperi e delle competenze “agite” Un modello formativo centrato sulla didattica delle competenze punta alla mobilitazione delle capacità degli allievi facendo leva sul laboratorio, il lavoro cooperativo, la didattica della realtà. Il riferimento metodologico fondamentale per una valutazione attendibile – appoggiata ad evidenze reali – è costituito dal concetto di “apprendimento situato” (situated learning) proposto da Jean Lave e Etienne Wenger (2012) come modello di apprendimento che ha luogo in una “comunità di pratica”. In tale prospettiva, l’apprendimento non è una trasmissione di conoscenza astratta e decontestualizzata, ma un processo sociale in cui la conoscenza è agita all’interno di un particolare ambiente sociale e fisico. In tal modo, lo studente è visto come un novizio che si avvia a “diventare” professionale, tramite una successione di azioni sociali situate, esperite attraverso pratiche quotidiane e scambi linguistici mediante i quali i membri della società conoscono e attribuiscono un senso al mondo quotidiano, ma nel contempo riconoscono la realtà come entità esterna da sé, limite e scenario in cui l’attore può sviluppare la propria soggettività “prendendo casa” in un contesto ed impegnandosi in esso per scopi buoni. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 119 120 Il modello di intervento prevede un piano formativo basato su un quadro orario che valorizza la didattica laboratoriale, unità di apprendimento, prove esperte, portfolio, alternanza formazione-lavoro e capolavoro professionale da presentare all’esame finale. Tale modello richiede necessariamente un curricolo coerente ed un piano formativo basato su un quadro orario che valorizza la didattica laboratoriale, unità di apprendimento, prove esperte, portfolio, alternanza formazione-lavoro e capolavoro professionale da presentare all’esame finale. Di conseguenza, la valutazione è organica (coerenza con tutti i traguardi formativi perseguiti), pluralistica (prevede una varietà di tecniche) ed attendibile (basata su evidenze delle competenze reali ed adeguate). L’esame di qualifica (e diploma) IeFP consiste nell’accertamento, da parte di valutatori tra cui decisivi sono gli esponenti della comunità professionale, della disposizione personale del candidato ad assumere un ruolo professionale reale. Tale disposizione è concepita come la capacità di agire, riflettere, immaginare e volere assumere quel ruolo come espressione della propria personalità (beruf – vocazione) e capacità di esercitarlo secondo i parametri condivisi nella comunità di riferimento (arbeit – professionalità). Il sistema di valutazione proposto è centrato su quattro livelli: 1. valutazione formativa: prevede la valutazione delle Unità di Apprendimento e delle prove esperte finali di ogni anno, sulla base di una metodologia tendenzialmente comune, mentre le verifiche disciplinari vengono svolte con gli strumenti propri di ogni organismo formativo. 2. Valutazione dell’alternanza: il tutor aziendale è integrato nella valutazione del Consiglio di classe, sulla base di una metodologia proposta dalla AT. 3. Valutazione per l’ammissione all’esame: è svolta secondo un approccio misto, sulla base di una metodologia comune in cui vengono valorizzate le verifiche di conoscenza e le valutazioni di competenza (UdA, alternanza, prove esperte). 4. Valutazione finale centrata su tre sessioni: – prova multidisciplinare per lingua italiana, asse storico-sociale ed inglese; – prova professionale con inclusione di assi culturali (comunicazione in lingua italiana, matematica, scienza e tecnologia, sicurezza e salute, eventuali seconde e terze lingue straniere); – prova orale centrata sulla presentazione del proprio capolavoro (professionale, culturale) oppure dello stesso portfolio visto come l’esplicitazione del cammino di crescita dell’allievo. Valutazione dell’Unità di Apprendimento L’Unita di Apprendimento (UdA) rappresenta lo spazio comune del lavoro dei formatori, tramite il quale far acquisire agli allievi il senso dell’unità del sapere, lo spirito della cooperazione, la capacità di mobilitare le proprie risorse intorno ad un compito-problema dotato di valore reale che consiste nel saper rispondere alle aspettative di specifici interlocutori (compagni, utenti, committenti, rappresentanti di enti, pubblica opinione). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 120 121 Tramite l’UdA l’allievo viene sollecitato ad un metodo formativo centrato sulla piena implicazione personale sotto forma di immersione in un sapere vivo; egli non è solo un passeggero che prende nota di ciò che vede o legge, non è neppure un assistente di figure adulte competenti, ma assume un ruolo di interlocutore attivo in rapporto ad un nucleo di attese reali, coerenti con il profilo di riferimento del suo percorso formativo. In tal modo, egli impara lavorando ed insieme lavora imparando. I punti critici della UdA consistono in: – Convergenza e condivisione reale tra docenti degli assi culturali e dell’area di indirizzo; – Significatività del compito proposto in rapporto al contesto culturale di riferimento; – Rilevanza degli apprendimenti mirati (conoscenze ed abilità), delle competenze e delle maturazioni sollecitate. La prova esperta rappresenta uno strumento di valutazione innovativo, introdotto molto di recente, sulla scia di soluzioni valutative quali i “compiti reali” e le “prestazioni autentiche”. Essa risponde alla necessità di disporre di strumenti valutativi coerenti con l’obiettivo di rilevare la capacità di mobilitazione delle risorse degli studenti (conoscenze, abilità, capacità personali) in vista della soluzione di problemi tendenzialmente complessi, ovvero non ripetitivi e presentanti una varietà di possibili soluzioni. Essa è strettamente collegata, quindi, con la novità normativa della certificazione delle competenze che, sulla base delle raccomandazioni europee e sulla scia di numerose esperienze internazionali, punta a migliorare e qualificare le modalità tradizionali di valutazione e di definizione sia dei voti sia della pagella. Franca Da Re nel testo “Questioni di valutazione” la definisce nel seguente modo: «Per prova esperta si intende una prova di verifica che non si limiti a misurare conoscenze e abilità, ma anche le capacità dell’allievo di risolvere problemi, compiere scelte, argomentare, produrre un microprogetto o un manufatto ... in pratica aspetti della competenza. Ha il vantaggio di potere essere somministrata a studenti di classi e scuole diverse e quindi di potere confrontare i dati. Si differenzia dall’Unità di Apprendimento perché mentre l’UDA si connota come percorso formativo (che poi viene verificato), la prova esperta ha il vero e proprio carattere di verifica» 46 . Il giudizio di padronanza è espresso in base ad una scala qualitativa definita in basse agli stili di implicazione della persona nelle attività proposte. A tale proposito, si propone una griglia che specifica le caratteristiche dei diversi gradi di padronanza, sulla base di una rubrica olistica, ovvero valida per ogni tipologia di competenza. 46 http://www.istruzionetreviso.it/utxi/wp-content/uploads/2011/05/Valutazione.pdf. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 121 122 Esempio di valutazione dell’UdA P ARZIALE L’allievo mostra difficoltà nel comprendere appieno il compito, procede in modo selettivo svolgendo solo talune attività di cui si sente sicuro, utilizza un linguaggio incompleto preferendo descrivere le cose fatte piuttosto che cogliere il senso dell’azione, manca della consapevolezza di insieme. B ASILARE L’allievo comprende gli elementi essenziali del compito, procede con prudenza svolgendo le attività necessarie, utilizza un linguaggio adeguato a descrivere le attività ed i loro principali significati, coglie gli aspetti essenziali del senso dell’azione. I NTERMEDIO L’allievo comprende appieno il compito assegnato, procede con sicurezza svolgendo tutte le attività necessarie, utilizza un linguaggio appropriato e ricco in grado di cogliere tutti gli elementi in gioco, palesi e latenti, presenta una piena consapevolezza del senso dell’azione. E LEVATO L’allievo, oltre a presen - tare le caratteristiche del grado “adeguato”, evidenzia un valore aggiunto costituito da uno o più dei seguenti aspetti: vivacità di interessi e di apporti, prontezza nel fronteggia re compiti e problemi, ric chezza delle informazioni raccolte e del linguaggio utilizzato, elaborazione di idee e proposte innovati ve, assunzione di responsabilità ulteriori. I gradi di padronanza in realtà sono 5, e comprendono anche quello pienamente negativo o assente, per il quale, per ovvie ragioni, non risulta necessario specificare le caratteristiche. GRIGLIA DI VALUTAZIONE DELL’UNITÀ DI APPRENDIMENTO INDICATORI DESCRITTORI PUNTEGGI Completezza, pertinenza, organizzazione Funzionalità Liv 4 Il prodotto contiene tutte le parti e le informazioni utili e pertinenti a sviluppare la consegna, anche quelle ricavabili da una propria ricerca personale e le collega tra loro in forma organica. Liv 3 Il prodotto contiene tutte le parti e le informazioni utili e pertinenti a sviluppare la consegna e le collega tra loro. Liv 2 Il prodotto contiene le parti e le informazioni di base pertinenti a sviluppare la consegna. Liv 1 Liv 4 Il prodotto presenta lacune circa la completezza e la pertinenza, le parti e le informazioni non sono collegate. Il prodotto è eccellente dal punto di vista della funzionalità. Liv 3 Il prodotto è funzionale secondo i parametri di accettabilità piena. Liv 2 Il prodotto presenta una funzionalità minima. Liv 1 Il prodotto presenta lacune che ne rendono incerta la funzionalità. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 122 123 Valutazione e attestazione dell’alternanza Con l’alternanza formazione lavoro si riconosce un valore formativo equivalente ai percorsi realizzati in azienda e a quelli curricolari svolti nel contesto scolastico. Attraverso la metodologia dell’alternanza, infatti, si permette l’acquisizione, lo sviluppo e l’applicazione di competenze specifiche previste dai profili educativi culturali e professionali dei diversi corsi di studio che il CFP ha adottato nel Piano dell’Offerta Formativa. Attraverso l’alternanza formazione lavoro si concretizza il concetto di pluralità e complementarietà dei diversi approcci nell’apprendimento. Il mondo del CFP e quello dell’azienda/impresa non sono più considerati come realtà separate bensì integrati tra loro, consapevoli che, per uno sviluppo coerente e pieno della persona, è importante ampliare e diversificare i luoghi, le modalità ed i tempi dell’apprendimento. “Pensare” e “fare” come processi complementari, integrabili e non alternativi. Il modello dell’alternanza formazione lavoro, inoltre, intende non solo superare l’idea di disgiunzione tra momento formativo ed applicativo, ma si pone gli obiettivi più incisivi di accrescere la motivazione allo studio e di guidare i giovani nella scoperta delle vocazioni personali, degli interessi e degli stili di apprendimento individuali, arricchendo la formazione scolastica con l’acquisizione di competenze maturate “sul campo”, quindi sicuramente spendibili nel mercato del lavoro. Condizione Correttezza Fattibilità Liv 4 Il prodotto è eccellente dal punto di vista della corretta esecuzione. Liv 3 Il prodotto è eseguito correttamente secondo i parametri di accettabilità. Liv 2 Il prodotto è eseguito in modo sufficientemente corretto. Liv 1 Il prodotto presenta lacune relativamente alla correttezza dell’esecuzione. Liv 4 Il prodotto è coerente con il contesto e la preparazione dei docenti, fa affidamento ad un nucleo di insegnanti sensibili e motivati, prevede una fase di consegna ed accompagnamento. Liv 3 Il prodotto realizzato è coerente con il contesto del CFP e la preparazione dei docenti, prevede una presenza nel consiglio di classe di attuazione di almeno due docenti sensibili e motivati. Liv 2 Il prodotto tiene parzialmente conto del contesto reale e prevede una semplice comunicazione ai consigli di classe che dovrebbero attuarlo. Liv 1 Il prodotto è avulso dal contesto e dal consiglio di classe che dovrebbe realizzarlo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 123 124 che offre quel vantaggio competitivo (rispetto a quanti circoscrivono la propria formazione al solo contesto teorico) che costituisce, esso stesso, stimolo all’apprendimento e valore aggiunto alla formazione della persona. Un percorso di alternanza implica necessariamente l’esigenza di correlare l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio e quindi richiede un raccordo diretto del CFP con il tessuto produttivo anche mettendo in relazione l’analisi delle caratteristiche socio-economiche del territorio con le attitudini degli studenti. Assume particolare rilevanza la funzione tutoriale, preordinata alla promozione delle competenze degli studenti e al raccordo tra l’istituzione scolastica, il mondo del lavoro e il territorio. Nell’alternanza la figura del tutor supporta e favorisce i processi di apprendimento dello studente. Il tutor si connota come “facilitatore dell’apprendimento”: accoglie e sostiene lo studente nella costruzione delle proprie conoscenze, lo affianca nelle situazioni reali e lo aiuta a ri-leggere l’insieme delle esperienze per poterle comprendere nella loro naturale complessità; lo aiuta, dunque, a ri-visitare il suo sapere e ad aver chiare e a valutare le tappe del proprio processo di apprendimento. La valutazione dei percorsi di alternanza formazione lavoro si integra nel più ampio piano valutativo del corso, con il contributo del tutor aziendale che concorre in modo significativo al giudizio di padronanza dello studente. In tale percorso è importante verificare: – il rispetto del progetto formativo individuale concordato con i tutor esterni; – il grado di possesso delle competenze acquisite (in base agli obiettivi concordati del percorso formativo); – lo sviluppo, il consolidamento, il potenziamento delle competenze relazionali e cognitive rispetto alla fase d’aula ed alle esperienze maturate in azienda; – le competenze acquisite e la ricaduta sul gruppo classe dell’esperienza condotta in ambiente lavorativo; – l’autovalutazione dell’allievo. Al fine di attuare la verifica e la valutazione, si suggerisce l’utilizzo dei seguenti strumenti: – Griglie di valutazione dei docenti e del tutor aziendale; – “Diario di bordo”; – Relazione finale individuale; – Prova esperta di fine d’anno. Al termine del percorso di alternanza, è richiesto all’impresa di rilasciare allo studente un’attestazione dalla quale risulti il percorso svolto, le attività realizzate e la valutazione conseguita. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 124 125 Raggiungimento obiettivi: ATTESTATO DI ALTERNANZA FORMAZIONE LAVORO Impresa …………………………………………………………………………………………………………………………………………… Tutor ………………………………………………………………………………………………………………………………………………... L’allievo …………………………………………………………………………………………………………………………………….…… Del corso ………………………………………………………………………………………………………………………………………… Ha partecipato all’attività di alternanza formazione lavoro promossa dall’Ente ………………….............. presso la sede aziendale di ………………………….........…. dal ……………….........…. al ……………….........…. per un totale di ore ……………….........…. nel reparto/ufficio ……………. ….........…. con mansioni di ……………….........…............ sulla base del seguente progetto: Obiettivi del progetto 1 2 3 4 Competenze attese 1 2 3 Attività svolte 1 2 3 4 INDICATORI DESCRITTORI PUNTEGGI Completezza, pertinenza, organizzazione Liv 4 Il prodotto contiene tutte le parti e le informazioni utili e pertinenti a sviluppare la consegna, anche quelle ricavabili da una propria ricerca personale e le collega tra loro in forma organica. Liv 3 Il prodotto contiene tutte le parti e le informazioni utili e pertinenti a sviluppare la consegna e le collega tra loro. Liv 2 Il prodotto contiene le parti e le informazioni di base pertinenti a sviluppare la consegna. Liv 1 Il prodotto presenta lacune circa la completezza e la pertinenza, le parti e le informazioni non sono collegate. segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 125 126 Funzionalità Correttezza Rispetto dei tempi Precisione e destrezza nell’utilizzo degli strumenti e delle tecnologie Liv 4 Il prodotto è eccellente dal punto di vista della funzionalità. Liv 3 Il prodotto è funzionale secondo i parametri di accettabilità piena. Liv 2 Il prodotto presenta una funzionalità minima. Liv 1 Liv 4 Il prodotto presenta lacune che ne rendono incerta la funzionalità. Il prodotto è eccellente dal punto di vista della corretta esecuzione. Liv 3 Il prodotto è eseguito correttamente secondo i parametri di accettabilità. Liv 2 Il prodotto è eseguito in modo sufficientemente corretto. Liv 1 Liv 4 Il prodotto presenta lacune relativamente alla correttezza dell’esecuzione. Il periodo necessario per la realizzazione è conforme a quanto indicato e l’allievo ha utilizzato in modo efficace il tempo a disposizione. Liv 3 Il periodo necessario per la realizzazione è di poco più ampio rispetto a quanto indicato e l’allievo ha utilizzato in modo efficace – se pur lento – il tempo a disposizione. Il periodo necessario per la realizzazione è più ampio rispetto a quanto indicato e l’allievo ha disperso il tempo a disposizione. Liv 4 Usa strumenti e tecnologie con precisione, destrezza e efficienza. Trova soluzione ai problemi tecnici, unendo manualità, spirito pratico a intuizione. Liv 3 Usa strumenti e tecnologie con discreta precisione e destrezza. Trova soluzione ad alcuni problemi tecnici con discreta manualità, spirito pratico e discreta intuizione. Liv 2 Usa strumenti e tecnologie al minimo delle loro potenzialità. Liv 1 Utilizza gli strumenti e le tecnologie in modo assolutamente inadeguato. Liv 2-1 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 126 127 Data ………………………………………………………… Firma ………………………………………………………………………………………………………… Uso del linguaggio tecnicoprofessionale Curiosità Autonomia Liv 4 Ha un linguaggio ricco e articolato, usando anche termini settoriali – tecnici – professionali in modo pertinente. Liv 3 La padronanza del linguaggio, compresi i termini settoriali- tecnico-professionale da parte dell’allievo è soddisfacente. Liv 2 Mostra di possedere un minimo lessico settoriale-tecnico- professionale. Liv 1 Liv 4 Presenta lacune nel linguaggio settoriale-tecnico-professionale. Ha una forte motivazione all’esplorazione e all’approfondimento del compito. Si lancia alla ricerca di informazioni / alla ricerca di dati ed elementi che caratterizzano il problema. Pone domande. Liv 3 Ha una buona motivazione all’esplorazione e all’approfondimento del compito. Ricerca informazioni / dati ed elementi che caratterizzano il problema. Liv 2 Ha una motivazione minima all’ esplorazione del compito. Solo se sollecitato ricerca informazioni / dati ed elementi che caratterizzano il problema. Liv 1 Sembra non avere motivazione all’esplorazione del compito. Liv 4 È completamente autonomo nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni, anche in situazioni nuove. È di supporto agli altri in tutte le situazioni. Liv 3 È autonomo nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni. È di supporto agli altri. Liv 2 Ha un’autonomia limitata nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni ed abbisogna spesso di spiegazioni integrative e di guida. Liv 1 Non è autonomo nello svolgere il compito, nella scelta degli strumenti e/o delle informazioni e procede, con fatica, solo se supportato. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 127 128 Valutazione per l’ammissione all’esame La valutazione formativa, svolta secondo un approccio misto, è centrata su: a) le conoscenze «agite» attestate tramite Unità di Apprendimento, prove esperte e alternanza; b) le conoscenze «dette», dimostrate tramite verifiche disciplinari (test, interrogazioni). L’ammissione consiste in un giudizio di candidabilità alla prova finale, a seguito della valutazione dei requisiti di «competenza» e di maturità della persona. Essa deve aver superato le prove di verifica dei saperi e delle abilità (conoscenze «dette»), e soprattutto le prove di competenza dimostrate tramite evidenze (conoscenze «agite »), vale a dire prodotti reali ed adeguati, che mostrano non solo che sa, ma anche che sa agire con ciò che sa, fronteggiando compiti e risolvendo problemi, propri dell’ambito professionale e della convivenza civile. Si distingue tra ammissione di allievi di corsi e di persone esterne che possiedano i requisiti indicati, acquisiti anche in modo informale e non formale. Valutazione finale Alcune Regioni, tra cui la Liguria ed il Piemonte (di cui presentiamo nella parte quarta alcuni materiali), hanno concepito l’esame finale di qualifica e di diploma IeFP come un momento rilevante di “prova finale” perché i ragazzi possano dimostrare nell’impegno autonomo e responsabile, reale e non facilitato, il loro effettivo valore. La prova è divisa in tre parti: multidisciplinare, professionale con l’inclusione di alcuni assi culturali, colloquio di presentazione del capolavoro degli studi. Il capolavoro Al centro della prova finale dei percorsi di IeFP vi è il capolavoro, che si presenta sotto due aspetti: • la prova professionale d’esame basata su un compito reale ed adeguato, comprensivo di fattori di criticità, definito dalla commissione (con inclusione di esponenti esperti del settore), con caratteristiche proprie dei compiti professionali della figura di riferimento al livello della fase di ingresso; • il progetto da presentare all’esame, vale a dire un elaborato a cura dell’allievo, basato su una consegna (commessa) proposta dai docenti o da un organismo partner del CFP (svolto in alternanza) coerente con il curricolo degli studi, basato su un compito rilevante che tenga conto anche degli elementi imprevisti. È la migliore realizzazione scelta dall’allievo per dimostrare di fronte alla commissione, in sede di colloquio finale, la fondatezza della sua richiesta del titolo di studio. Standard di valutazione finale La valutazione finale è basata su standard di risultato; ciò significa che essa – diversamente della valutazione formativa – non deve tenere conto dei fattori persogiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 128 129 nali e sociali e neppure del processo di apprendimento, ma (fatto salvo il punteggio di ammissione) esclusivamente delle prestazioni. Siccome gli standard «minimi» nazionali per il sistema IeFP sono enunciati generali, occorre tradurli in evidenze e livelli di padronanza, indispensabili per la progettazione formativa e la valutazione finale. La prova di valutazione italiana non è «minima» vale a dire centrata sul superamento della «soglia di accettabilità» delle prestazioni (come nel caso francese), ma prevede un gradiente verso l’alto che consenta di sondare i gradi superiori di padronanza rispetto a quello «basilare», quindi anche «intermedio» ed «elevato». Prova multidisciplinare La prova multidisciplinare, sempre centrata su compiti «mobilitanti» tramite problemi e casi realistici, ha il compito di sondare le competenze: – della lingua italiana, compresa la componente letteraria; – dell’area storico-sociale; – della lingua inglese. L’allievo deve saper comprendere ed apprezzare i testi, collocarli nel loro contesto storico sociale, confrontarli con il tempo presente. Inoltre, deve sapere utilizzare la lingua inglese specie per le questioni attinenti l’ingresso nella professione. Prova professionale con assi culturali La prova professionale o «esperta» è centrata su un compito «portante», reale e significativo, rispetto al quale è richiesto all’allievo di mostrare la padronanza delle competenze contestualmente mobilitate sia professionali sia degli assi culturali (comunicazione in lingua italiana; matematica, scienza e tecnologia; sicurezza e salute; eventuali seconde e terze lingue straniere). Se l’area professionale non soddisfa pienamente la possibilità di sondare la padronanza degli assi culturali inclusi, occorre procedere tramite micro-compiti a parte, tratti anche dalla vita quotidiana, a patto che siano anch’essi realistici e significativi. Colloquio Il colloquio riveste un’importanza cruciale perché consente al candidato di esporre nei modi e tempi adeguati il suo «capolavoro», vale a dire il progetto (UdA, alternanza, ...) che a sua scelta risulta illustrare meglio la sua candidabilità al titolo di studio così da inserirsi nel contesto professionale. La commissione interviene su quanto esposto dal candidato con domande volte a sondare la sua preparazione e la sua maturità in quanto persona dotata della disposizione personale ad assumere un ruolo professionale reale entro un contesto di «umanesimo civile» (non un mero esecutore, ma cittadino consapevole e positivamente impegnato nello spazio pubblico). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 129 130 Certificazione e allegato Europass La strategia della competenza intesa come espressione dei talenti delle persone, richiede di tradurre le competenze in “evidenze” ovvero prestazioni necessarie e sufficienti, indicando i livelli di padronanza secondo l’approccio EQF, utilizzando un linguaggio appropriato, comprensibile dai diversi attori in gioco: allievi, CFP e scuole, imprese. È questo il compito della “Rubrica delle competenze”, lo strumento che consente di definire in modo chiaro ed essenziale che cosa gli allievi devono saper agire con ciò che sanno, vale a dire quali compiti-problema devono saper fronteggiare per poter essere detti “competenti”. Inoltre, vanno specificate nell’allegato Europass i luoghi, i soggetti e le modalità di apprendimento e di valutazione, il valore delle acquisizioni in termini di spendibilità successiva. Esempio di valutazione della prova esperta VALUTAZIONE E RACCOLTA DATI (1 di 3) STEP A - Redazione di una scheda di lavoro per inquadrare la prova ed il procedimento di soluzione La scheda di lavoro sarà valutata secondo i seguenti parametri: Qualità della presentazione 0 = Non padronanza Testo disordinato/privo di organizzazione, presenta molte scorrettezze grammaticali ed usa un lessico generico 1 = Basilare Testo sufficientemente organizzato, linguaggio corretto ma non sempre preciso nelle scelte lessicali 2 = Intermedia Testo ben organizzato, ordinato, anche graficamente, corretto dal punto di vista lessicale 3 = Eccellente Testo ben organizzato, chiaro e preciso nelle scelte linguistiche, efficace nella presentazione Qualità dei contenuti 0 = Non padronanza Il testo non presenta l’analisi degli aspetti fondamentali del problema, il piano di lavoro è assente o risulta vago e/o non realistico 1 = Basilare Il testo presenta una sostanziale comprensione della tematica da affrontare, riporta un piano di lavoro realistico e coerente 2 = Intermedia Il testo rivela un comprensione della problematica molto buona, presenta un piano di lavoro dettagliato e concreto 3 = Eccellente Il testo rivela un’ottima comprensione della problematica, il piano di lavoro è ben dettagliato, concreto e coerente. Sono state presentate delle soluzioni originali e migliorative rispetto a quelle standard Utilizzo degli strumenti informatici 0 = Non padronanza Il testo è disordinato e scorretto 1 = Basilare Il testo è svolto con un uso essenziale ed elementare degli strumenti informatici 2 = Intermedia Il testo rivela una buona padronanza degli strumenti informatici 3 = Eccellente Il testo è realizzato in modo eccellente dal punto di vista informatico giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 130 131 VALUTAZIONE E RACCOLTA DATI (2 di 3) STEP B - Programmazione e produzione del prodotto richiesto, con verifica e consuntivo I prodotti saranno valutati secondo i seguenti parametri: (B2) Programmazione, verifica e consuntivo 0 = Non padronanza Programma, verifica e consuntivo non accettabili per carenze e procedimento confuso e incompleto 1 = Basilare Programma, verifica e consuntivo svolti in modo essenziale e routinario con riflessività limitata 2 = Intermedia Programma, verifica e consuntivo svolti con attenzione e completezza, supportati da una riflessione adeguata 3 = Eccellente Programma, verifica e consuntivo svolti con cura, precisione, capacità autovalutativa e riflessiva (B1) Realizzazione 0 = Non padronanza Non produce i documenti contabili richiesti 1 = Basilare Redige correttamente le scritture maggiormente significative (fatture attive, passive, dipendenti) e compila in modo non sempre adeguato i documenti correlati. Redige la situazione contabile finale coerentemente con il lavoro svolto 2 = Intermedia Redige correttamente la situazione contabile iniziale distinguendola in patrimoniale ed economica. Redige correttamente le scritture in partita doppia e compila in modo non sempre adeguato i documenti correlati. Redige la situazione contabile finale 3 = Eccellente Redige correttamente la situazione contabile iniziale distinguendola in patrimoniale ed economica. Redige correttamente le scritture in partita doppia e compila integralmente e correttamente i documenti correlati. Redige correttamente la situazione contabile finale Rispetto delle norme di sicurezza e tutela della salute 0 = Non padronanza Nell’azione professionale, pone scarsa attenzione agli aspetti relativi alle norme di sicurezza ed alla tutela della salute 1 = Basilare Mette in atto alcuni comportamenti essenziali per la sicurezza e la tutela della salute 2 = Intermedia Adotta in modo consapevole tutti i comportamenti necessari al rispetto della sicurezza e della salute 3 = Eccellente Esprime una decisa sensibilità rispetto al legame tra i propri comportamenti e la sicurezza e la salute propria, dei colleghi e dei clienti Utilizzo degli strumenti informatici 0 = Non padronanza Il testo è disordinato e scorretto 1 = Basilare Il testo è svolto con un uso essenziale ed elementare degli strumenti informatici 2 = Intermedia Il testo rivela una buona padronanza degli strumenti informatici 3 = Eccellente Il testo è realizzato in modo eccellente dal punto di vista informatico giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 131 132 VALUTAZIONE E RACCOLTA DATI (3 di 3) STEP C - Elaborazione di un testo relativo ai calcoli matematici ed agli aspetti scientifici della prova Gli oggetti della prova sono: I prodotti saranno valutati secondo i seguenti parametri: Competenza matematica 0 = Non padronanza Il compito matematico non è stato eseguito o risulta non accettabile per carenze e procedimento confuso e incompleto 1 = Basilare Il compito matematico è scorretto nel calcolo, logico nel procedimento, carente in alcuni aspetti delle altre parti 2 = Intermedia Il compito ha inesattezze nei calcoli, il procedimento è logico e corretto, ben eseguito nelle altre parti 3 = Eccellente Il compito matematico è formalmente corretto, logico nel procedimento, equilibrato nell’efficienza/efficacia; giustificato nelle scelte Competenza scientifica (1) 0 = Non padronanza Il compito non è stato eseguito o presenta molti errori 1 = Basilare Il compito è stato svolto in modo da riconoscere le principali unità di misura di alcune grandezze fisiche e una formula legata all’energia 2 = Intermedia Sono state riconosciute molte unità di misura ed è stato calcolato un valore utile per la prova 3 = Eccellente Il compito è stato risolto completamente e sono state inoltre riconosciute le relazioni tra le grandezze fisiche analizzate Competenza scientifica (2) 0 = Non padronanza Il compito è stato male eseguito e presenta numerosi errori 1 = Basilare Nello svolgimento del compito l’allievo dimostra di conoscere la nomenclatura e l’argomento oggetto di prova; qualche incompletezza 2 = Intermedia Nello svolgimento del compito l’allievo dimostra di conoscere gli argomenti proposti, li affronta in modo logico e tenta qualche collegamento 3 = Eccellente Nello svolgimento del compito l’allievo dimostra di conoscere gli argomenti oggetto di studio e li affronta in modo logico collegandoli tra loro in una visione di sintesi. Qualità dei contenuti 0 = Non padronanza Il testo non presenta l’analisi degli aspetti fondamentali del problema, il piano di lavoro è assente o risulta vago e/o non realistico 1 = Basilare Il testo presenta una sostanziale comprensione della tematica da affrontare, riporta un piano di lavoro realistico e coerente 2 = Intermedia Il testo rivela un comprensione della problematica molto buona, presenta un piano di lavoro dettagliato e concreto 3 = Eccellente Il testo rivela un’ottima comprensione della problematica, il piano di lavoro è ben dettagliato, concreto e coerente. Sono state presentate delle soluzioni originali e migliorative rispetto a quelle standard Utilizzo degli strumenti informatici 0 = Non padronanza Il testo è disordinato e scorretto 1 = Basilare Il testo è svolto con un uso essenziale ed elementare degli strumenti informatici 2 = Intermedia Il testo rivela una buona padronanza degli strumenti informatici 3 = Eccellente Il testo è realizzato in modo eccellente dal punto di vista informatico (1) e (2) la rubrica della competenza scientifica risulta sdoppiata in quanto essendo incentrata sul compito/ prodotto, cambiando i contenuti erogati da ente ad ente, necessariamente deve tener conto di aspetti peculiari differenti. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 132 133 Focus Linguistico Step A, B1, C Punti di ogni step 20 Padronanza Corrispondenza livelli-punti Gradi punti 0 non raggiunto 1 basilare 2 intermedio 3 elevato 1 - 11 12 - 14 15 - 17 18 - 20 Professionale: realizzazione B 100 punti 1 - 55 60 - 73 74 - 87 88 - 100 Rispetto delle norme di sicurezza e tutela della salute B 20 punti 1 - 11 12 - 14 15 - 17 18 - 20 Professionale: programmazione, verifica e consuntivo B 80 punti 1 - 32 48 - 58 59 - 69 70 - 80 Matematico C 30 punti 1 - 17 18 - 22 23 - 26 27 - 30 Scientifico C 30 punti 1 - 17 18 - 22 23 - 26 27 - 30 Tecnologico A, B1, C 20 punti 1 - 11 12 - 14 15 - 17 18 - 20 TOTALE (da dividere per 10) 300 VALORE DI SOGLIA: 180/300 SCHEMA PER LA VALUTAZIONE: LIVELLI E PUNTEGGI SCHEDA DI RACCOLTA DATI Cognome Nome Classe Prova: FOCUS DELLA VALUTAZIONE L IVELLO P UNTEGGIO Linguistico Professionale: realizzazione Professionale: rispetto delle norme di sicurezza e tutela della salute Professionale: programmazione, verifica e consuntivo Matematico Scientifico Tecnologico Luogo ................................................................................................................................................................................................................................................................................ Data ...................................................................................................................................................................................................................................................................................... Commissione .......................................................................................................................................................................................................................................................... giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 133 134 Dare sostanza alle competenze: il valore delle Rubriche L’ordinamento nazionale del sistema di IeFP si è limitato ad evidenziare gli “standard minimi” di riferimento, un elenco di abilità minime e saperi essenziali che aiutano ad inquadrare il campo dell’azione formativa, ma non offrono riferimenti per ciò che concerne il processo di valutazione e quindi per una certificazione attendibile, ancorata a evidenze reali. Per questo, la Federazione CNOS-FAP ha già da tempo optato per lo strumento della Rubrica delle competenze. Questa rappresenta una matrice che consente di identificare, per una specifica macro-competenza oggetto di formazione e valutazione, il legame che si instaura tra le sue componenti: – le conoscenze ed abilità essenziali mobilitate dal soggetto nel corso dell’azione di apprendimento; – le evidenze ovvero le prestazioni reali, significative e necessarie che costituiscono il riferimento valutativo periodico e finale; – i livelli di padronanza (EQF) che consentono di collocare la prestazione del soggetto entro una scala ordinale; – i compiti che indicano le attività suggerite per la gestione del processo didattico. La Rubrica ha l’ambizione di colmare il vuoto lasciato dalla Conferenza Stato- Regioni il cui passaggio da un ordinamento centrato sui “programmi nazionali” ad un altro che predilige i “risultati di apprendimento” (knowledge outcome) risulta largamente incompiuto, e quindi equivoco, nel momento in cui ha prodotto gli “standard formativi” che sono in realtà standard di competenza poiché descrivono le conoscenze, abilità e/o competenze necessarie per una determinata professione, mentre ha omesso di indicare gli standard di apprendimento e di valutazione-certificazione, ovvero le caratteristiche ed i livelli delle prestazioni attese affinché si possano rilasciare i titoli ed i certificati previsti, limitandosi ad enunciare le competenze-traguardo articolate in conoscenze ed abilità. La Rubrica delle competenze, connessa al profilo ed al repertorio, sulla base di una scelta degli obiettivi formativi rilevanti e significativi per il gruppo classe, per i sottogruppi e per le persone che li compongono, consente all’équipe formativa i seguenti tre utilizzi: – Individuazione delle situazioni di apprendimento consone e rilevanti, oltre che essenziali, su cui impegnare i componenti dell’équipe ad un lavoro prevalentemente interdisciplinare; – Verifica e valutazione delle acquisizioni effettivamente agite in modo pertinente ed efficace da parte degli allievi; – Rielaborazione degli obiettivi e dei percorsi di apprendimento così da indirizzare l’azione formativa in modo da valorizzare le acquisizioni e sormontare le criticità emerse. La Rubrica è uno strumento indispensabile di supporto dell’azione didattica nella logica della costruzione del percorso formativo, in modo condiviso tra i formatori che compongono l’équipe. Essa inoltre fornisce un linguaggio operativo che consente di attribuire ad ogni enunciato circa i risultati di apprendimento, definiti giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 134 135 in forma di competenze articolate in abilità e conoscenze, le necessarie evidenze concrete. È uno strumento che esige un riscontro o validazione, composto di due passi: – nel momento dell’elaborazione essa richiede una validazione provvisoria, che consiste nel riflettere sulla sua struttura, sul linguaggio, sul suo carattere evocativo e di facilitazione dell’azione didattica; – a seguito della sua applicazione essa chiede di essere validata rilevando i riscontri provenienti dal campo in cui si è sperimentata così da poter giudicare della sua consistenza e procedere ad una rielaborazione migliorativa. Gli standard di competenza lasciano ai progettisti di percorsi formativi la libertà di fare le proprie scelte tenendo conto anche dei propri valori, dei propri modelli di riferimento e della tipologia della filiera formativa su cui lavorano. Se lo standard di competenza è il punto di arrivo di riferimento, la definizione del percorso per arrivare allo standard è lasciata alla libertà e alla responsabilità del soggetto che eroga formazione. È importante, quindi, tenere presente che lo standard non è una gabbia per i progettisti di formazione: è semplicemente un punto di riferimento condiviso da più soggetti. La libertà della progettazione formativa non è coartata dalla presenza degli standard. Anzi, la responsabilità dei progettisti di formazione ne viene esaltata. Se ben compresi, gli standard sono un fattore di “liberalizzazione” della formazione e della didattica. Nell’ambito di questa libertà si può evitare un’interpretazione, per così dire, “al ribasso” del riferimento agli standard, volta ad appiattire i percorsi solo sulle competenze “minime” previste dagli standard medesimi. Il riferimento agli standard da parte dei progettisti delle UdA dovrebbe piuttosto essere dettato dall’orgoglio. Essi dovrebbero, infatti, sentire l’orgoglio di dimostrare che i risultati di apprendimento previsti dall’insieme delle UdA da loro progettate sono qualitativamente superiori (per ampiezza, per livello, ecc.) a quelli previsti dagli standard di competenza nazionali, non fosse che per il fatto che questi standard sono definiti come “minimi” per l’acquisizione della qualifica. Se gli standard di competenze fossero progressivi stimolerebbero maggiormente, anche attraverso la loro strutturazione, a considerare ogni gradino degli standard non tanto un punto di arrivo minimo, ma un punto di partenza verso altri gradini verticali o orizzontali. La valutazione osservativa e narrativa Nell’ambito di una visione integrale ed unitaria della persona umana e del compito educativo teso al suo perfezionamento, va posta particolare attenzione al tema delle capacità personali e del comportamento. Il formatore deve saper porre attenzione a queste dimensioni in fase di progetto personale, di gestione delle esperienze di apprendimento, infine di valutazione. Quest’ultima ha come oggetto non soltanto la dotazione di risorse della persona sotto forma di conoscenze ed abilità, ma anche di un insieme di fattori che si pongono in tensione tra due poli: giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 135 136 a) il polo delle capacità personali, ovvero dei tratti della personalità dell’individuo che lo rendono un soggetto distintivo rispetto agli altri e che si propongono come potenzialità che richiedono di essere riconosciute e mobilitate così da divenire competenze; a) il polo dei comportamenti, ovvero l’investimento che tale individuo esprime in riferimento ad un determinato ambito di vita che ne sollecita la responsabilità. Le capacità personali rappresentano le caratteristiche della persona possedute su base innata e appresa che riguardano i suoi repertori di base: cognitivo, affettivo-motivazionale, socio-interpersonale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri dell’educazione che la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi alla famiglia di appartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai legami significativi individuali e di gruppo. Esse rappresentano le potenzialità dell’allievo che richiedono di essere riconosciute (innanzitutto a favore del destinatario stesso) e attualizzate. Tali capacità, raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni formative, sono attualmente considerate preziose per l’adattamento personale, interpersonale, scolastico e professionale. Viste nella prospettiva dell’azione, tali capacità consentono alla persona di sviluppare una particolare disposizione nei confronti del contesto, rendendola capace di affrontare una serie specifica di problemi e compiti: – scoprire le proprie preferenze cognitive – riconoscere le proprie tendenze emotive – individuare il proprio stile comportamentale – identificare i propri limiti e le proprie risorse – esplicitare le proprie mete – sintonizzarsi con gli altri – comunicare con efficacia – collaborare e lavorare in gruppo – gestire i contrasti e negoziare – pianificare il proprio agire – risolvere problemi e prendere decisioni – potenziare le proprie strategie di apprendimento e di azione – diagnosticare il contesto di lavoro in cui si opera – autoregolare il proprio comportamento organizzativo. Ma la realtà dell’individuo, oltre che di capacità, è caratterizzata anche da un’altra dimensione che nell’ambito didattico prende il nome generico di “comportamento” ma che possiamo più precisamente definire “virtù personali” ovvero la disposizione a cercare e fare il bene, che si evidenzia nel modo in cui la persona si pone nei confronti di un particolare contesto, nel nostro caso quello formativo, e dei compiti e delle responsabilità che ad essa si propongono. Il comportamento può essere quindi reso con una serie di disposizioni morali che possono essere così articolate: – in primo luogo si evidenzia attraverso la fiducia nella propria realtà personale ovvero la stima e la coscienza del proprio originale valore; – in secondo luogo la capacità di cogliere, nell’ambito in cui si opera, non solo ciò che si è scelto sulla base di una specifica predilezione ma anche ciò che si è obbligati a fare, significati buoni per sé e per la collettività; giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 136 137 – successivamente, esso indica la disposizione a mettersi in gioco in questo particolare contesto, ovvero a porre in atto una responsabilità consapevole di fronte ai compiti ed ai doveri connessi in vista dell’accrescimento del bene personale, comunitario e sociale; – ciò comporta quindi la dimensione dell’impegno che a sua volta significa modestia (moderazione nel considerare se stessi), lealtà (fedeltà e senso dell’onore), forza d’animo e coraggio nel momento in cui si presentano avversità che possono essere costituiti da ostacoli oppure da distrazioni; – tutto ciò si esprime attraverso l’assunzione di una disciplina, che consiste nell’apprendere una regola di vita e saperla tenere in modo rigoroso, ma anche nella pazienza che a sua volta significa saper tollerare i limiti altrui e quelli propri e disporsi ad una reciproca correzione resa convincente dal sentimento di fraternità che si fonda sulla dedizione, l’affezione e la donazione personale in forza di una comune visione del bene. In sintesi, le virtù personali che si intendono considerare nel giudizio circa i comportamenti dei destinatari sono le seguenti: – Fiducia nella propria realtà personale – Modestia (moderazione nel considerare se stessi) – Attribuzione di senso (cogliere significati buoni per sé e per la collettività) – Consapevolezza del valore della vita comunitaria – Responsabilità e lealtà (fedeltà nei confronti degli altri circa le responsabilità assunte) – Impegno (grado di dedizione al compito) – Pazienza (tollerare i limiti altrui e quelli propri) – Forza d’animo e coraggio (resistenza a fronte delle avversità) – Disciplina (apprendere una regola di vita). Mentre le capacità personali corrispondono ad un insieme di prestazioni poste in atto dall’allievo su specifici aspetti della propria realtà personale, le virtù indicano il suo orientamento al bene evidenziato tramite la manifestazione di atteggiamenti e comportamenti che ne indicano la dimensione prettamente morale. In questo senso, vi è continuità tra i due fattori, e nel contempo si può dire che l’analisi delle capacità personali trova il suo sbocco naturale nella riflessone circa le caratteristiche morali della persona. La riflessione circa le capacità personali consente di cogliere specifiche prestazioni in ordine alle dimensioni evidenziate (autodiagnosi, relazione e comunicazione, progettualità e metodo); accanto a questa riflessione ne va condotta un’altra che mira a cogliere nel “comportamento” della persona la manifestazione di virtù che ne indicano la dimensione prettamente morale. Di conseguenza, le virtù morali possono essere individuate attraverso un giudizio che connette i comportamenti della persona con ciò che può essere definita come la “Deontologia dello studente” – spesso inserita nel Regolamento – che indica i valori di riferimento dell’educazione, li fissa in regole ed atteggiamenti e ne fa oggetto di uno specifico Patto formativo che impegna reciprocamente i soggetti dell’educazione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 137 138 Come procedere quindi nelle pratiche di valutazione delle capacità e quindi delle virtù personali? La nostra prospettiva ci porta a delineare due gradi del lavoro di valutazione: – in un primo tempo occorre rendersi consapevoli di quali sono le capacità della persona, sia intese come corredo personale di partenza, sia di disposizione nei confronti di una specifica serie di compiti; – ma questa tappa va vista in rapporto ad un passo ulteriore, quello della riflessione circa la disposizione della persona al bene, ricavato dai valori su cui si fonda il patto formativo tra istituzione e studente. Nella valutazione delle capacità personali il formatore deve fare i conti con una serie di difficoltà. Una prima difficoltà risiede nel fatto che le capacità personali non possono essere trattate alla stessa stregua delle competenze tecniche. Essendo, infatti, capacità strettamente legate al sé dell’allievo e che risentono fortemente della sua storia di apprendimento (familiare, scolastica, sociale) richiedono una valutazione prevalentemente formativa piuttosto che sommativa. Ne deriva che, a differenza delle competenze tecniche, per le quali la valutazione si basa su azioni e prestazioni osservabili fornite dall’allievo e intese come indicatori di padronanza, le capacità personali necessitano di riferirsi, per la loro valutazione, non solo alle prestazioni osservabili, ma anche ai processi ad essa sottesi, ossia alle procedure attraverso le quali le capacità sono potenziate e raggiunte. In secondo luogo, anche quando ci si vuole riferire alle prestazioni osservabili, non si dispone di strumenti idonei che descrivano operativamente, per le singole capacità personali, gli obiettivi perseguiti con i relativi criteri di padronanza; di qui il rischio di incorrere in giudizi valutativi che risentono del soggettivismo e dell’approssimazione. Infine, poiché gran parte del lavoro sulle capacità personali è indirizzato ad ampliare l’autoconoscenza e a stimolare le promozione della propria realtà personale, da parte degli allievi, è indispensabile che il processo valutativo consenta, a questi ultimi, di controllare l’andamento del proprio apprendimento in fase di attuazione, permettendo gli aggiustamenti dovuti; ne deriva la necessità di ricorrere a modalità alternative di valutazione che includano la possibilità di monitorare i dati in evoluzione da parte degli allievi stessi. In sintesi, nel valutare le capacità personali si è chiamati a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma anche ciò che sa fare con ciò che sa e tramite quali processi arriva a farlo. Tutto questo obbliga inevitabilmente a ripensare e ad innovare il processo di valutazione. Nella valutazione delle virtù personali occorre considerare innanzitutto l’insieme dei comportamenti che la persona ha tenuto e di cui è rimasta traccia nelle varie attività che essa ha svolto, oltre che nelle conversazioni che ha sostenuto come pure nelle vicende che ha vissuto, ivi comprese anche quelle non strettamente di carattere didattico, ma comunque significative, come la vita di gruppo, i trasferimenti, i momenti di inattività. Tali comportamenti vanno visti innanzitutto in rapporto ai contenuti del regolagiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 138 139 mento che specifica sia le regole di comportamento sia i criteri deontologici che le ispirano, a loro volta manifestazioni di una “disposizione al bene” dell’allievo, tali quindi da renderli un fattore del processo educativo complessivo. I comportamenti, se visti in questa prospettiva, sono rivelativi di atteggiamenti a loro volta connessi a categorie di valore che vanno perciò esplicitate sin dall’inizio nel modo più chiaro e comprensibile. Non basta dire “ci si deve comportare così”: occorre evidenziare il valore su cui tale atteggiamento si fonda; inoltre quest’ultimo dev’essere espresso in modo da chiarire il “bene” che ne deriva alla persone/alle persone. Ciò significa non solo sollecitare un comportamento conforme ad una norma, ma soprattutto favorire l’adesione ad una prospettiva morale che contribuisce a rendere la persona più persona ovvero più autentica, più socievole, maggiormente in grado di contribuire con i propri talenti ad un’opera buona. Una prospettiva che viene assunta in primo luogo dalla comunità educante per poter essere credibile nei confronti degli allievi. Ecco un esempio di regola costruita nella logica di mero comportamento conforme: “Per poter svolgere con profitto l’attività didattica è richiesto a tutti un atteggiamento responsabile circa la puntualità, l’uso corretto delle aule, l’ordine e la calma negli spostamenti dalle aule ai laboratori (e viceversa) e il rispetto per le esigenze degli altri”. Proponiamo ora un esempio di regola che richiama un valore reso in modo esplicito: “Il rispetto delle persone è il valore primario che sta alla base di ogni rapporto, indipendentemente dai ruoli e dalle competenze di ciascuno. Nelle relazioni che si instaurano a scuola, gli allievi ed i docenti sono i primi protagonisti delle forme dell’esistere insieme. Ai docenti è richiesto il rispetto dell’alunno e delle sue opinioni. La valutazione terrà conto del profitto, della continuità dell’impegno, dell’attenzione e della partecipazione”. Ecco infine un ultimo esempio di espressione di valore che indica una reciprocità tra docenti ed allievi: “La puntualità è un valore non solo per l’orario di ingresso ma anche per quello di uscita, non solo per gli allievi ma anche per gli insegnanti. Gli allievi hanno diritto a spiegazioni chiare e complete, secondo la metodologia didattica della Formazione Professionale”. Ma la valutazione del comportamento/delle virtù personali non può essere ricondotta unicamente ad una verifica del rispetto o meno del regolamento. Infatti, l’aspetto morale rappresenta una dimensione rilevante dell’educazione della persona che non può essere rappresentata solo (ed in alcuni casi neppure) come conformità, ma segue piuttosto una dinamica di scoperta, di prova, di consapevolezza del limite, di superamento verso una nuova maturazione. Quindi, i comportamenti conformi alla regola sono un elemento rilevativo degli atteggiamenti, ma non possono essere concepiti come “il” bene in sé. Ciò comporta alcune conseguenze: giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 139 140 – occorre sempre passare dal riscontro del comportamento alla riflessione in comune sul senso dello stesso, affinché la persona sia sollecitata ad una consapevolezza circa il proprio modo di condursi ed i valori o le pulsioni cui fa riferimento; – esiste infatti il caso di una condotta conforme che mira unicamente ad acquisire prestigio presso l’autorità scolastica, ma non è già fattore di bene; – vi sono poi personalità che non richiedono sforzo nell’adempiere ai compiti richiesti: si tratta di soggetti dotati di notevoli capacità personali o predisposizioni alle regole, mentre altre impiegano molte più energie nel perseguire veri progressi che ai primi possono sembrare invece minimi; – in taluni casi ben circoscritti, la trasgressione della regola può anche essere vista come manifestazione di una coscienza di bene, quando questo si associa ad esempio ad un aiuto rivolto ad una persona in stato di difficoltà, per soccorrere la quale è necessario contraddire una regola sancita; – l’errore, se gestito opportunamente, può essere fonte di maturazione e di miglioramento; quindi l’enfasi non va posta tanto sul conteggio aritmetico delle inadempienze, quanto sullo sforzo teso al superamento di tendenze non conformi al bene; – nell’attuale stato delle relazioni intergenerazionali, va considerata la forte necessità di certezza e di coerenza che i giovani richiedono agli adulti, mentre questi ultimi tendono ad essere più problematici a causa della cultura relativistica di cui sono imbevuti; ciò impone di adottare sempre il punto di vista dei ragazzi, e non di attribuire loro un vissuto che è tipico degli adulti. Evidentemente, tutto l’ambito dei comportamenti e delle capacità personali richiede una strategia di valutazione che può prevedere le seguenti attenzioni: Osservazione in aula e fuori dall’aula Parte integrante del processo di valutazione è rappresentata dall’osservazione. Quest’ultima, se realizzata con accuratezza e nella variabilità spazio-temporale, consente di ottenere informazioni preziose sui comportamenti e sulle prestazioni degli allievi. Per questo, si richiede al formatore di osservare e registrare quei comportamenti degli allievi che possono essere indicativi della presenza o meno di determinate capacità personali e virtù morali. Le osservazioni possono essere libere oppure basate su schede già predisposte. Il diario delle attività Nella valutazione del comportamento e delle capacità personali ampio spazio è dato all’autovalutazione. È, infatti, importante che gli allievi considerino la conoscenza delle loro possibilità e competenze, oltre che delle disposizioni morali, come un obiettivo formativo e non semplicemente come un impegno sporadico e occasionale. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 140 141 Per questo può essere utile il ricorso al diario delle attività. Al termine di uno specifico incontro, l’allievo può annotare i suoi commenti sull’esperienza di apprendimento, sia spontaneamente in modo non strutturato, sia sistematicamente tenendo conto dei seguenti aspetti: cosa ha appreso, come lo ha appreso, cosa non è chiaro, che difficoltà ha incontrato, quanto è stato interessante, in che misura e in quali contesti considera applicabile ciò che ha appreso, come valuta i risultati conseguiti. Ed inoltre: quale percezione di bene e quale impegno personale volto al suo perseguimento ha posto in atto. L’esame del diario, effettuato ad intervalli brevi, può consentire all’allievo e al formatore di individuare obiettivi e strategie per superare eventuali difficoltà e migliorarsi. Al termine di ogni periodo significativo del percorso (solitamente un anno), i formatori potranno così evidenziare, accanto alle competenze, conoscenze ed abilità, un giudizio sintetico circa l’area dei comportamenti e delle capacità personali, avendo accortezza a che tale giudizio sia espresso in forma narrativa, ponga in evidenza i criteri che lo sostengono e indichi l’area dei comportamenti cui si riferisce. Il potere di chi elabora le prove: il Sistema Nazionale di Valutazione In un contesto di costruttivismo pedagogico, ovvero di autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, va chiarito che il potere valutativo si concentra in gran parte in chi ha il compito di formulare le prove, perché può influenzare anche in modo rilevante l’approccio didattico dell’istituzione. Infatti, gli insegnanti cercheranno di costruire il proprio curricolo adottando il modello pedagogico implicito dell’estensore delle prove. È anche possibile che questo atteggiamento giunga all’estremo di sviluppare un cammino formativo in cui prevale l’intento di insegnare a superare le prove, ciò che gli inglesi chiamano teaching to the test e che rappresenta una torsione negativa del processo di insegnamento/apprendimento. Gli oppositori di questa pratica sostengono che costringe gli insegnanti a limitare il curriculum ad una selezione definita di conoscenze o competenze al fine di aumentare il rendimento degli studenti di fronte alle prove che verranno fornite. Questo produce una concentrazione eccessiva sulla ripetizione di semplici abilità isolate e limita la capacità del docente di concentrarsi su una comprensione olistica della materia (Bond 2004). È qui che si inserisce il ruolo dei nuovi organismi che effettuano valutazione nel contesto educativo: in particolare OCSE-Pisa e INVALSI. Ma, mentre OCSE-Pisa non presenta un intento di valutazione degli apprendimenti, bensì di monitoraggio del sistema educativo tramite comparazioni per aggregazioni, tese ad identificare i livelli di performance ma soprattutto le varianze nei contesti nazionali, negli ambiti di cui si compone il sistema, nei territori e nelle singole istituzioni, INVALSI, pur partendo da una prospettiva similare, ha acquisito nel tempo una valenza anche valutativa in senso stretto, influendo direttamente sui punteggi finali degli allievi. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 141 142 Correttamente, infatti, nelle Linee guida per l’autovalutazione VALES approvate nel Marzo 2015 afferma che: «per valutare le competenze acquisite dagli alunni, il ricorso alle rilevazioni INVALSI è particolarmente utile perché consente di comparare il dato della propria scuola con quello di altre scuole» (p. 3). Aggiungendo che: «È importante considerare l’evoluzione dei risultati degli studenti nel tempo, più che il livello degli stessi. Si tratta di riflettere sul “valore aggiunto” offerto dalla scuola. A tale scopo, è importante poter confrontare i risultati a parità di altre condizioni. Nella valutazione degli esiti inoltre non basta guardare ai risultati medi degli studenti, in quanto la scuola dovrebbe prendersi cura di tutti e di ciascuno. Occorre considerare quanto si riesca ad assicurare agli studenti uguali chance di accesso a un’istruzione di qualità, a prescindere dalla loro estrazione socio-economica, dal genere o dalla nazionalità di provenienza, e quanto si riesca a prevenire casi di studenti che rimangono “troppo indietro”». Sempre in relazione agli esiti, si indica come rilevante: «Considerare la riuscita degli studenti al termine del percorso di studio, nei percorsi formativi successivi e nel mondo del lavoro. La riuscita lavorativa è particolarmente rilevante per gli istituti tecnici e per i percorsi d’Istruzione e Formazione Professionale» (p. 4). Il regolamento relativo all’istituzione e la disciplina del Sistema Nazionale di Valutazione (S.N.V.) in materia di istruzione e formazione, per le scuole del sistema pubblico nazionale di istruzione e le istituzioni formative accreditate dalle Regioni è stato approvato dal Governo l’8 marzo 2013. Ciò consente di rispondere anche agli impegni assunti nel 2011 dall’Italia con l’Unione europea, in vista della programmazione dei fondi strutturali 2014/2020. Rispetto al testo iniziale sono state recepite, in larga misura, le osservazioni e proposte contenute nei pareri del Consiglio nazionale della Pubblica istruzione, della Conferenza Unificata, del Consiglio di Stato e della VII Commissione del Senato. Il S.N.V. si basa essenzialmente sull’attività dell’INVALSI (Istituto Nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione) che ne assume il coordinamento funzionale; sulla collaborazione dell’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) che può aiutare le scuole nei piani di miglioramento; sulla presenza di un contingente di Ispettori con il compito di guidare i nuclei di valutazione esterna. Ogni singola scuola costruirà il proprio rapporto di autovalutazione secondo un quadro di riferimento comune e con i dati messi a disposizione dal sistema informativo del MIUR (Scuola in chiaro), dall’INVALSI e dalle stesse istituzioni scolastiche. Il percorso si concluderà con la predisposizione di un piano di miglioramento e la rendicontazione pubblica dei risultati. Previste anche le visite dei nuclei esterni di valutazione. Sono oltre 1300 le istituzioni scolastiche che stanno già seguendo in via sperimentale questo percorso. Le istituzioni formative accreditate dalle Regioni verranno valutate secondo priorità e modalità stabilite in sede di Conferenza Unificata. Il procedimento di valutazione è strutturato secondo quattro fasi essenziali: giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 142 143 1. l’autovalutazione delle istituzioni scolastiche, che si svolge sulla base di un fascicolo elettronico di dati messi a disposizione dalle banche dati del sistema informativo del Ministero dell’istruzione (“Scuola in chiaro”), dell’INVALSI e delle stesse istituzioni scolastiche, che si conclude con la stesura di un rapporto di autovalutazione da parte di ciascuna scuola, secondo un format elettronico predisposto dall’INVALSI e con la predisposizione di un piano di miglioramento. 2. La valutazione esterna da parte di nuclei coordinati da un dirigente tecnico sulla base di protocolli, indicatori e programmi definiti dall’INVALSI, con la conseguente ridefinizione dei piani di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche. 3. Le azioni di miglioramento con l’eventuale sostegno dell’INDIRE o di Università, enti, associazioni scelti dalle scuole stesse. 4. La rendicontazione pubblica dei risultati del processo, secondo una logica di trasparenza, di condivisione e di miglioramento del servizio scolastico con la comunità di appartenenza. Questo disegno valutativo si svolge sulla base della seguente mappa logica dei fattori in gioco, definita “cornice di riferimento”, che colloca tali fattori lungo la linea che si dispiega tra gli impatti ed i vincoli/opportunità: La cornice di riferimento Emerge la centralità degli esiti formativi ed educativi, influenzati direttamente dalle pratiche educative e didattiche oltre che dall’ambiente organizzativo, financo al contesto ed alle risorse disponibili. Questo impianto è condivisibile perché enfatizza il ruolo delle istituzioni come comunità culturali in grado di esercitare un ruolo rilevante al fine di ottenere esiti soddisfacenti. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 143 144 Ma rimane il dubbio che spetti al Sistema Nazionale di Valutazione presidiare – oppure sostenere, a seconda dei toni del discorso – l’intera opera valutativa delle scuole e dei CFP. In altri termini, occorre stabilire quali siano le attribuzioni, ed i limiti, delle tre funzioni in gioco: 1. la valutazione interna alle istituzioni che si muove nel solco dell’autonomia didattica ed organizzativa, oltre che di ricerca e che comprende, oltre alla valutazione formativa ed in parte finale, anche l’autovalutazione dell’istituto ed i processi di miglioramento da attuare nel corso del tempo; 2. la valutazione esterna finalizzata al monitoraggio del sistema educativo, che si appoggia a batterie di quesiti centrati sui saperi portanti (specie quelli linguistici e scientifico-matematici); 3. la valutazione esterna finalizzata al giudizio finale degli allievi, di cui assume un peso significativo. È in corso in Italia una sovrapposizione su INVALSI della seconda e della terza funzione; ciò non può che provocare una tensione presso docenti e studenti e forse anche una torsione del ruolo dello stesso INVALSI il cui ambito di intervento era inizialmente limitato alla seconda funzione. Questo osservazione di fondo ci aiuta a riflettere sui punti di forza e sugli aspetti critici del Sistema Nazionale di Valutazione di cui sono stati approvati i primi atti. Circa gli aspetti positivi: – è indubbiamente da apprezzare la stessa decisione di dare avvio al percorso di autovalutazione in tutte le scuole con lo strumento del rapporto annuale e con la possibilità di utilizzare in autonomia le competenze a questo necessarie, senza essere vincolati al rapporto esclusivo con l’INDIRE. Ciò riconosce e sostiene il ruolo della specifica istituzione – scuola o CFP – nel delineare il proprio profilo, nel governare i processi di progettazione, didattica e valutazione, avendo come riferimento i fattori chiave della qualità educativa e formativa. – Nel contempo, va apprezzata l’esclusione dell’utilizzo della valutazione esterna degli apprendimenti al fine della creazione di classifiche di merito, e quindi l’affermazione del ruolo primario delle scuole stesse nella gestione dei propri processi di qualificazione, a partire dall’utilizzo delle informazioni necessarie al proprio miglioramento didattico e organizzativo. – Infine, merita un cenno di apprezzamento la decisione di dare vita ad un sistema ispettivo finalizzato alla valutazione, traendo esempio da ciò che di positivo sta accadendo negli altri Paesi (si veda la Francia) e che potrà fornire un importante contributo all’aumento dei livelli di qualità del nostro sistema se saprà mettersi a servizio del miglioramento qualitativo delle scuole e dei CFP. Circa gli aspetti critici: – rimane inspiegabilmente vuota la casella della valutazione dei docenti (assieme al personale non docente) ovvero il fattore primario della buona qualità della scuola e dei CFP. Su questo punto si sono sprecati studi e comparazioni, da cui emerge che il nostro è l’unico Paese comunitario che non attua una valutazione giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 144 145 del personale. Si conoscono le cause giuridiche e sindacali di questa grave lacuna, ma va registrata anche in questo passaggio la forza dell’inerzia di settori del sistema che, pur non avendo il coraggio di porre in chiaro le loro presunte ragioni, possiedono però il potere di influenzare fortemente le decisioni (e non decisioni) finali. – Risulta ancora non chiaro il profilo giuridico e funzionale dell’INVALSI che rimane tuttora un Ente dipendente dall’amministrazione centrale, che gli attribuisce pertanto una “autonomia vigilata”, condizionata dagli indirizzi politici del momento; nel contempo si delinea un sistema ispettivo la cui indipendenza risulta già fortemente compromessa sin dalla sua costituzione e la cui cultura e dimensione organizzativa devono essere ancora definite a partire dagli aspetti basilari dei compiti, delle modalità di esercizio, del rapporto con le strutture decentrate del Ministero. – Permane, come abbiamo visto, la sovrapposizione delle due funzioni su INVALSI: l’una di monitoraggio e l’altra di intervento diretto nella valutazione degli apprendimenti, in qualità di soggetto titolare di una quota significativa dei punteggi finali. Questo elemento può contribuire a creare una tensione permanente nel sistema, che si esplicita in alcuni contesti nella pratica del “suggerimento” da parte degli insegnanti delle risposte corrette ai propri studenti. Più in generale, si può affermare che l’impianto emergente dalle nuove disposizioni normative predilige la creazione di una “tecnostruttura” di supporto alle scuole ed ai CFP, piuttosto che fornire un sostegno diretto a queste istituzioni affinché si possano dotare di una propria cultura della qualità e della valutazione, premiando coloro che operano in senso positivo inteso come capacità di reagire ai momenti critici e perseguire un effettivo miglioramento. Il sistema di valutazione rappresenta un passo importante, ma occorre da un lato una riqualificazione della spesa per l’istruzione e la formazione, oltre ad un quadro di nuovi investimenti affinché il sistema educativo sia davvero uno dei fondamenti della ripresa del nostro Paese. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 145 147 La certificazione dei saperi e delle competenze Il “sistema nazionale delle competenze” Gradualmente, ma inesorabilmente, si sta facendo spazio nella normativa nazionale del nostro Paese un nuovo oggetto a metà strada tra la formazione e le misure tese a favorire la cittadinanza: il “sistema nazionale delle competenze” di chiara origine europea, ma in realtà poco compatibile con la tradizione culturale e la pratica pedagogica prevalenti nel nostro contesto nazionale. Il recentissimo decreto legislativo 16 gennaio 2013 n. 13, che dà vita al “Sistema nazionale di certificazione delle competenze”, rappresenta pertanto un “oggetto sconosciuto”; per poter venire a capo della sua comprensione, occorre rintracciare alcune chiavi di lettura appropriate. Riteniamo che queste siano rappresentate dal concetto di competenza e dal valore che gli viene attribuito, dalla natura di tale sistema, per poi spiovere sulle conseguenze che tali questioni hanno sulle istituzioni ma soprattutto sui comuni cittadini. Le risposte che vengono fornite agli interrogativi indicati potranno aiutarci a discernere fra le tre ipotesi guida che ricorrono maggiormente circa l’argomento oggetto di questo articolo (Nicoli 2009): 1. la prima, più prosaica con un sottofondo scettico, considera tutta l’agitazione in tema di competenze solo alla stregua di una nuova “burocrazia” che non fornisce alcun beneficio ai singoli e finisce solo per gravare con doveri formali sui vari attori del sistema di istruzione, formazione e lavoro generando così una “certificazione di carta” che nulla aggiunge sul piano valutativo alla funzione tradizionale della pagella e del voto che ne costituisce l’elemento portante 47 ; 2. la seconda, decisamente negativa, vede nel sistema delle competenze l’invasione nel contesto educativo, per sua natura libero e critico, legato alla tradizione ed aperto al futuro, di una sorta di neolingua di orwelliana memoria 48 tramite la quale il potere tecnico burocratico europeo, impersonale e impolitico, ma strumento delle élite della globalizzazione, impone un impoverimento del linguaggio, sostitutivo della vecchia lingua (archelingua nel linguaggio di Orwell), così da sostituire il sapere gratuito della tradizione greco-romana e cristiana con un sapere utile, ovvero pratico e standardizzato, fatto per addomesticare la gioventù e preparare così la via ad un mondo “ottimizzato”; 47 Cfr. M. T IRABOSCHI , Certificazione competenze: un castello di carta, Bollettino Adapt, www.bollettinoadapt. it/acm-on-line/Home/documento20170.html. 48 “Neolingua” è il termine coniato da George Orwell nel suo libro “1984” nel quale immagina un mondo, suddiviso in tre grandi stati in perenne guerra tra di loro. In Oceania domina il partito unico con a capo il Grande Fratello, che tiene costantemente sotto controllo la vita di tutti i cittadini ed impone appunto una neolingua (“Newspeak” o “Nuovo parlare”) rompendo così ogni legame con il passato. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 147 148 3. la terza, più positiva, indica nella diffusione del termine “competenza” il segnale di uno slancio educativo rinnovato, in grado di ritrovare un legame significativo e vitale con la saggezza della cultura occidentale che rischia nelle scuole e nelle accademie di essere ridotta ad un trasferimento inerte di linguaggi formali riferiti ad un esagerato numero di discipline tra di loro separate; con tale slancio si intenderebbe formare un cittadino effettivamente dotato di prerogative civili che lo rendono capace, tramite la cultura, di una vera partecipazione alla vita sociale, distogliendosi così dall’irrealtà agitata e sterile in cui lo consegna l’industria delle distrazioni e degli svaghi. Certo, le questioni poste sono ben più rilevanti di un semplice decreto, ma rappresentano lo sfondo necessario su cui collocare una riflessione che, partendo dal testo appena approvato, possa aiutarci a capire meglio il compito dell’educazione in un’epoca difficile com’è quella che stiamo attraversando. Concetto di “competenza”, suo valore e natura del sistema nazionale di certificazione Il decreto legislativo 13/2013 propone il seguente concetto di “competenza”: «comprovata capacità di utilizzare, in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale o informale» (art. 2). È in buona sostanza la stessa definizione proposta nel sistema EQF, centrata su tre punti fondamentali: – la competenza non coincide né con le conoscenze né con le abilità, ma rappresenta un costrutto di natura differente rispetto alla classificazione disciplinare del sapere (a base epistemologica oppure semplicemente legata alle dinamiche del potere accademico); ciò esclude sia l’idea che si tratti di una mera “applicazione” dei saperi teorici sia della capacità di adattamento dell’individuo alle prescrizioni di ruolo. Essa si riferisce alla persona in azione, e precisamente quanto essa è chiamata a mobilitare le risorse possedute (conoscenze ed abilità) in vista di compiti e problemi significativi, il più possibile tratti dalla vita reale e vicini ad essa. In questo senso, la competenza smette di essere un’astrazione o solo l’applicazione di una regola, ma indica una qualità personale, in forza della quale si può definire come “persona competente” un soggetto sensibile e volitivo, ricco di cultura, che si prende cura della realtà e si coinvolge volentieri in essa fornendo il proprio contributo, mobilitando le risorse a disposizione ed apportando in sovrappiù un valore originale proprio 49 . 49 «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità» (A RENDT 1999, p. 129). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 148 149 – La competenza non coincide necessariamente con ciò che la persona impara nelle occasioni formali di studio, ma comprende anche le modalità di apprendimento non formale ed informale. Questo ampliamento dell’ambito nel quale l’individuo trae spunto per l’accrescimento della propria dotazione culturale, estendendosi di fatto ad ogni esperienza della vita, costituisce una delle colonne su cui poggia l’edificio del sistema delle competenze, ma indica nel contempo uno dei suoi punti più deboli poiché tramite esso quello della competenza rischia di diventare un “concetto-lenzuolo” capace di coprire l’intero spazio dell’intellegibile umano. Ciò lo renderebbe in definitiva inservibile, poiché perderebbe la capacità identificativa, ed in particolare – poiché ingloba tutto – di segnalare ciò che non è competenza; in tal modo, senza limiti ben delineati, tutto l’impianto delle competenze finirebbe per risultare inservibile, poiché delirante, come i cartografi cinesi raccontati da Borges che disegnavano cartine sterminate in cui la realtà era riprodotta in scala 1/1 50 . – Infine, il giudizio circa la qualità “competente” del soggetto umano necessita di un fondamento attendibile, esplicito nell’aggettivo “comprovata” associato alla capacità di utilizzare le risorse necessarie costituite da conoscenze ed abilità. Qui risiede uno dei punti più critici dell’intero “modello” delle competenze, ovvero la natura delle prove in grado di attestare che una persona ha saputo davvero mobilitare specifiche conoscenze ed abilità allo scopo di portare a termine compiti e risolvere i problemi che via via gli si presentano. Queste prove, o evidenze, dovrebbero avere la forma di azioni reali ed adeguate (Comoglio 2001), visto che la persona competente è, come abbiamo detto, un soggetto in azione. Vedremo in seguito come questo sia uno dei punti critici dell’intero modello, aggravato dal fatto che i documenti ufficiali non fanno assolutamente riferimento a ciò, ma si fermano dopo aver elaborato formati cartacei ed enunciati generali – le competenze – oltre ad elenchi di abilità e conoscenze essenziali. Ma vediamo meglio quali sono i fenomeni oggetto di certificazione. A tale proposito, l’articolo 3 recita che: «In linea con gli indirizzi dell’Unione europea, sono oggetto di individuazione e validazione e certificazione le competenze acquisite dalla persona in contesti formali, non formali o informali, il cui possesso risulti comprovabile attraverso riscontri e prove definiti nel rispetto delle linee guida di cui al comma 5». L’oggetto del sistema è dunque costituito da tutti gli apprendimenti, ed in genere le acquisizioni della persona, rilevabili sulla base di un accertamento comprovato avente per oggetto riscontri reali ed adeguati (ovvero compiti e problemi portati a termine in modo autonomo e responsabile) e definito tramite delle regole sancite dalle linee guida da elaborare. Tali apprendimenti ed acquisizioni, visti nella prospettiva delle competenze, risultano, come abbiamo già indicato, da varie modalità formative: 50 «In quell’impero, l’arte della cartografia giunse a una tal perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una città e la mappa dell’impero tutta una provincia. Col tempo, queste mappe smisurate non bastarono più. I collegi dei cartografi fecero una mappa dell’impero che aveva l’immensità dell’impero e coincideva perfettamente con esso» (J. L. B ORGES 1999). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 149 150 1. Formali, ovvero quelli acquisiti nell’ambito dei curricoli erogati da organismi istituiti nell’ambito del sistema educativo e formativo, e perciò stesso abilitati a rilasciare qualifiche, diplomi ovvero titoli di studio di vario genere aventi appunto carattere formale. Quest’attività: «Si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in apprendistato, o di una certificazione riconosciuta, nel rispetto della legislazione vigente in materia di ordinamenti scolastici e universitari». Ciò significa che tutte le istituzioni soprannominate, oltre al compito di valutazione, sono caricate di una nuova funzione, costituita appunto dalla certificazione delle competenze; si tratta pertanto di un aggravio di funzioni, realizzato sul piano prettamente normativo senza che si siano chiariti i rapporti che intercorrono – se ne esistono – tra la valutazione finalizzata al voto ed all’attribuzione di un titolo di studio e la valutazione orientata alla certificazione delle competenze. Nei fatti, le pratiche di certificazione in atto da almeno due anni nei Centri di Formazione Professionale e nelle scuole si possono dividere in tre categorie: vi è chi semplicemente utilizza i voti per definire i gradi di padronanza delle persone, senza chiedersi se le prestazioni alla base del loro giudizio siano compatibili con il concetto di competenza o non siano in realtà o solo conoscenze o mere abilità; vi è chi costruisce a tavolino degli algoritmi dotati di una certa complessità tali da poter tradurre automaticamente in giudizi di padronanza tutti i riscontri numerici riferiti all’attività di ogni allievo (voti, presenze, premi/sanzioni, ...), incurante del fatto che il giudizio di padronanza male si presta con il metodo della misurazione visto che, nella letteratura, gli approcci riferiti alle competenze non sono in prevalenza centrati sulla misurazione, bensì sul giudizio di persone 51 ; infine, chi tenta di elaborare liste di prestazioni necessarie e sufficienti, e soprattutto condivise nel consiglio di classe, da sottoporre agli allievi per poi ottenere performance adeguate su cui effettuare la valutazione. 2. Non formali, ovvero quelli che consentono un: «Apprendimento caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi indicati alla lettera b), in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese». Il fatto che ci si riferisca ad organismi che svolgono in modo rilevan- 51 «– gli approcci analitici che individuano dei test generici (es. test di abilità, del carattere, di motivazione etc.) per misurare le competenze, anche senza collegarsi ad aspetti specifici del loro esercizio; – gli approcci analogici: cercano di ricreare gli elementi costitutivi del ruolo agito, collegandoli alle competenze interessate; rientrano in questa categoria gli esercizi di gruppo, le simulazioni di ruolo, i compiti-problema, gli incidenti etc.; – gli approcci che si basano sul giudizio degli altri: si affidano a giudizi di parti terze (ad es. i colleghi, i supervisori etc.) per ottenere informazioni sui valutati» (S MITH , R OBERTSON 2003, pp. 96-133). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 150 151 te attività formativa, pur non rilasciando titoli di studio, potrebbe risultare rassicurante, ma va detto che a seguito dell’enorme espansione di progetti finanziati con fondi vari, comunitari e nazionali oltre che locali, si è decisamente ampliata la platea delle cosiddette “agenzie formative”, strutture che ottengono in questo modo di poter rilasciare un certificato che, nel tempo, potrebbe diventare il documento più rilevante a disposizione delle persone, superando progressivamente il valore (legale) del titolo di studio. 3. Informali, ovvero un apprendimento che: «Anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero». È questa una categoria tanto ampia da comprendere ogni ente giuridico di norma e di fatto. Tale ampiezza di confini (in realtà assenza di confini) giustifica lo sconcerto derivante dalla consapevolezza delle problematiche della certificazione stessa, vista la non facile comprensione del suo significato, la labilità delle indicazioni di certificazione che in buona sostanza si limitano (per ora, in attesa di linee guida nazionali) alla compilazione di forma inserendo in essi gli stessi enunciati posti come vincoli (le competenze, appunto) e l’elenco delle abilità e conoscenze allegate, finendo così per ottenere certificati tutti uguali, fotocopiati sulle stesse indicazioni, nei quali non sia possibile rintracciare nulla circa l’effettività delle prestazioni che hanno giustificato il rilascio della certificazione stessa. Si tratta del rischio tautologico, secondo il quale il certificato contiene ne più ne meno ciò che è scritto nei traguardi formativi fatti oggetto della norma. Come dire: “il tale è competente perché possiede tutti i requisiti della competenza”. Vediamo ora gli altri punti della disamina: il valore delle competenze. A tale proposito, il decreto afferma che: «La Repubblica, nell’ambito delle politiche pubbliche di istruzione, formazione, lavoro, competitività, cittadinanza attiva e del welfare, promuove l’apprendimento permanente quale diritto della persona e assicura a tutti pari opportunità di riconoscimento e valorizzazione delle competenze comunque acquisite in accordo con le attitudini e le scelte individuali e in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale». Inoltre, indica il fine della sua azione: «Promuovere la crescita e la valorizzazione del patrimonio culturale e professionale acquisito dalla persona nella sua storia di vita, di studio e di lavoro, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità». Questa fraseologia un po’ enfatica, in pura “eurolingua”, indica in realtà la comparsa di un nuovo diritto che amplia e qualifica il tradizionale diritto allo studio, fino ad oggi la forma prevalente di accrescimento culturale prevista dagli ordinamenti degli stati democratici. Tale nuovo diritto si riferisce al “patrimonio culturale acquisito” dal singolo cittadino europeo, nella prospettiva della formazione lungo tutto il corso della vita. Quindi non si tratta di un concetto di cultura né accademico (ciò che insegnano le discipline fondate su una solida epistemologia) né etnografico (gli usi e costumi delle differenti popolazioni nei diversi contesti di vita, ed il loro sengiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 151 152 so profondo o “spirito generale” come lo chiamava Montesquieu), ma finalistico e sociale , ovvero una cultura posseduta in modo inequivocabile dal soggetto umano non visto in astratto, ma situato in un preciso contesto ricco di attori e ruoli, quindi aspettative, regole, ma anche problemi ed opportunità. Il “patrimonio culturale e professionale” comprende tutte le qualità culturali che abilitano la persona umana ad un’azione intenzionale, relazionale, evidenziabile in “prestazioni”, dotata di valore riconosciuto dagli altri attori. Il tema della cultura presenta quindi una curvatura di natura sociale, che privilegia l’azione; in forza di ciò – come abbiamo già visto – la persona è competente quando è giudicata in grado di mettere in atto azioni autonome e responsabili dotate di capacità di portare a termine compiti e risolvere problemi. È un concetto che assume una valenza sociologica che richiama l’insegnamento di Talcott Parsons per il quale l’individuo pone in atto nella vita sociale condotte motivate e guidate da un senso riscontrato nel mondo esteriore, attraverso un costante confronto con gli altri e con la propria coscienza. Il soggetto umano è pertanto un attore, un essere- nella-situazione; egli opera in modo razionale attivandosi nella lettura e nella pronta reazione ad un insieme di segni percepiti nel proprio ambiente (Parsons 1987). In questo modo, il concetto di cittadinanza viene ad espandersi rispetto alla concezione classica, che lo concentrava essenzialmente nella dimensione della partecipazione politica; l’introduzione del valore del patrimonio culturale e professionale agito dalla persona, e debitamente documentato, estende l’idea di cittadinanza comprendendo tutte le forme in cui la sua dedizione ad un compito e ad un’opera consente di migliorare la vivibilità della società e la sua stessa autorealizzazione. Emerge peraltro dietro a queste teorie una sorta di “poetica sociale” un po’ stucchevole ed un po’ retorica, ma è anche chiaro che siamo di fronte ad un cambio culturale che riguarda in primo luogo le scuole e le accademie. È per certi versi il riflesso di un antiaccademismo che ha trovato ascolto nei sistemi istituzionali e che dovrebbe consentire all’Europa di conquistare un primato culturale nel mondo sulla base di visioni non segnate dal pregiudizio politico che ha avuto, come tutti sanno, nel secolo scorso, esiti tragici di nazionalismo. Il cittadino europeo è abitante del mondo in quanto portatore di una visione altruistica, e capace in modo attendibile di adempiere a compiti e fronteggiare problemi di varia natura, immettendo in ciò che fa non solo operazioni efficaci ed efficienti, ma anche un senso elevato del vivere, quello reso possibile dalla traduzione culturale occidentale. La natura del sistema nazionale di certificazione delle competenze consiste nel definire: «Le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e gli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, riferiti agli ambiti di rispettiva competenza dello Stato, delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano, anche in funzione del riconoscimento in termini di crediti formativi in chiave europea». Si tratta di una struttura giuridico-istituzionale che viene montata, senza sapere ancora quali dimensioni e quali pesi presenterà nel momento della sua stabilizzazione. Inoltre, tale sistema è esposto sul piano giuridico al ben noto fenomeno della giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 152 153 conflittualità tra Stato e Regioni/Province Autonome, così come delineato in maniera esplosiva dalla Legge costituzionale n. 3 del 2001 che, modificando l’art. 117, ha mutato profondamente la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni ed ha aperto un enorme contenzioso giuridico tra questi organi della Repubblica. All’art. 3 vengono poi precisati i principi di riferimento del sistema: «a) l’individuazione e validazione e la certificazione delle competenze si fondano sull’esplicita richiesta della persona e sulla valorizzazione del suo patrimonio di esperienze di vita, di studio e di lavoro. Centralità della persona e volontarietà del processo richiedono la garanzia, per tutti i cittadini, dei principi di semplicità, accessibilità, trasparenza, oggettività, tracciabilità, riservatezza del servizio, correttezza metodologica, completezza, equità e non discriminazione; b) i documenti di validazione e i certificati rilasciati rispettivamente a conclusione dell’individuazione e validazione e della certificazione delle competenze costituiscono atti pubblici, fatto salvo il valore dei titoli di studio previsto dalla normativa vigente; c) gli enti pubblici titolari del sistema nazionale di certificazione delle competenze, nel regolamentare e organizzare i servizi ai sensi del presente decreto, operano in modo autonomo secondo il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale e nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e delle università, organicamente nell’ambito della cornice unitaria di coordinamento interistituzionale e nel dialogo con il partenariato economico e sociale; d) il raccordo e la mutualità dei servizi di individuazione e validazione e certificazione delle competenze si fonda sulla piena realizzazione della dorsale unica informativa di cui all’articolo 4, comma 51, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, mediante la progressiva interoperatività delle banche dati centrali e territoriali esistenti e l’istituzione del repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali; e) l’affidabilità del sistema nazionale di certificazione delle competenze si fonda su un condiviso e progressivo sistema di indicatori, strumenti e standard di qualità su tutto il territorio nazionale». Questi principi confermano che siamo di fronte ad un’estensione dei diritti formativi del cittadino, andando oltre la concezione tradizionale dei titoli di studio per aggiungere, almeno in un primo tempo, le certificazioni delle competenze. Inoltre, forniscono talune indicazioni che possono anche solo palesare la complessità delle operazioni necessarie alla definizione di tale sistema, che potrebbe configurarsi come una nuova struttura burocratica autoreferenziale, oppure un servizio ai cittadini che ne amplia e qualifica gli spazi di libertà. Un sistema di carta? Possiamo ora concentrarsi sulla prima domanda: si tratta di un sistema di carta? Il rischio è ben presente e si può cogliere vivamente nell’assenza, tra i documenti giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 153 154 di certificazione, di spazi adeguati alla descrizione delle prestazioni o evidenze che dovrebbero comprovare la capacità della persona di utilizzare, in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, le conoscenze ed abilità acquisite. Ovvero di ciò che fa sì che un certificato sia personale e non una replica sempre uguale a se stessa indipendentemente dai titolari, riprodotta all’infinito, dei risultati di apprendimento attesi. Purtroppo, il legislatore italiano, diversamente da quello dei paesi con cui ci confrontiamo sia in Europa che all’esterno di essa, si è limitato ad enunciati generali, le competenze, e ad elenchi di conoscenze ed abilità essenziali, ovvero gli “ingredienti” dell’azione competente, ma si è guardato bene dal definire le evidenze delle competenze stesse, ovvero le prestazioni reali ed adeguate, necessarie e sufficienti, che attestano l’effettiva capacità del soggetto nel saper fronteggiare compiti e problemi significativi e necessari, per poter essere giudicato competente. Quindi, il punto non è nel vuoto del concetto di competenza (che pure non appare di facile comprensione), ma della mancanza di una traduzione delle stesse in evidenze su cui i valutatori possano concentrarsi per esprimere il loro giudizio di padronanza. Infatti, la definizione più accreditata è quella di Wiggins, uno degli autori più puntuali, con in più il dono della sinteticità, che afferma che: «Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa» (Wiggins 1993, p. 24). Ma non si può fare questo senza concentrarsi sullo strumento della rubrica delle competenze, nella quale la competenza come enunciato generale viene tradotto in prestazioni che diventano successivamente il principale riferimento del processo di certificazione. Si ricorda che tutte le certificazioni entrate in uso negli ultimi anni, si collocano nell’ambito della accountability ovvero della certificabilità delle competenze. Esso indica il dovere di informare tutti gli interessati, interni ed esterni, su come l’istituzione certificante ha adempiuto alle responsabilità nei loro riguardi (Freeman-Rusconi-Dorigatti 2007). Il decreto 13/2013 non rivela traccia di ciò, e neppure della necessaria validazione che tali rubriche devono ricevere degli stakeholder ovvero i portatori di interessi chiamati in gioco. Si rinvia questo enorme punto critico ad un “Comitato tecnico nazionale” a cui sarà demandato il compito di elaborare le Linee guida. Sarebbe interessante sapere se il taglia-incolla dei traguardi formativi/risultati di apprendimento sarà considerato una modalità attendibile di certificazione e, se no, quali fattori distintivi rendono un certificato davvero in grado di scrivere ed attestare il possesso di vere e proprie competenze personali. In attesa di ciò, si avanza una proposta di metodo che risulta dal confronto fra vari progetti europei su questo tema 52 , dove la certificazione è vista come l’operazione conclusiva di un processo organico, razionale e condiviso tra le parti in gioco, il cui valore è pertanto di tipo sociale (non giuridico), definito secondo un percorso che prevede i seguenti passaggi tipici: 52 Si vedano i rapporti di ricerca internazionale nell’ambito del progetto Veneto sulle competenze di cui al sito http://www.piazzadellecompetenze.net/index.php?title=I_Progetti_FSE_per_la_descrizione,_ valutazione_e_certificazione_delle_competenze. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 154 155 1. referenziazione, 2. validazione, 3. evidenziazione, 4. valutazione, 5. certificazione. Ecco uno schema grafico che può rappresentare il percorso metodologico della certificazione: Referenziazione: i risultati di apprendimento elaborati dall’autorità pubblica (competenze articolate in abilità e conoscenze), essendo meri enunciati, vanno tradotti in prestazioni reali, necessarie e sufficienti che, in quanto azioni e non solo argomenti o operazioni, sollecitano tutte le prerogative umane e si pongono nell’intreccio tra competenze culturali, professionali e di cittadinanza. Si tratta quindi di elaborare, entro reti omogenee, le Rubriche delle competenze, che consentono di tradurre le competenze in evidenze (prestazioni) e di elaborare descrittori di padronanza di queste ultime sulla base dei livelli EQF. Occorre poi definire le Linee guida per l’attestazione, valutazione (su gradi di padronanza) e certificazione. Validazione: le Rubriche devono essere condivise con gli organismi e gli attori interessati, che contribuiscono in tal modo ad attribuire loro valore sociale, fondato sul criterio di reciprocità: – le istituzioni scolastiche, formative ed accademiche che, collocandosi nel percorso di continuità, sono chiamate a garantire logica e coerenza dell’apporto reciproco secondo il metodo della progettazione “a ritroso”; giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 155 156 – gli stakeholder, soprattutto le imprese e le associazioni professionali, che sono chiamati ad attribuire valore di occupabilità alle competenze professionali. Le Rubriche validate sono soggette a revisione periodica sulla base di proposte di miglioramento e di innovazione avanzate dai vari soggetti in gioco. Evidenziazione: le evidenze delle competenze (ovvero i vari prodotti ed attestati che mostrano in che modo il candidato ha saputo fronteggiare e portare a termine i compiti necessari e sufficienti indicati dalle rubriche, e risolvere i problemi in essi presenti) vanno raccolte sistematicamente entro il portfolio personale. Questo viene presentato alla commissione valutatrice come prova della candidabilità del titolare al certificato. Le evidenze debbono essere attestate da organismi che condividono le linee guida, diversamente occorre procedere con prove di valutazione ad hoc. Il processo di evidenziazione si conclude quando il materiale raccolto è giudicato soddisfacente rispetto all’elenco previsto nelle Rubriche delle competenze. Valutazione: consiste nell’esprimere un giudizio di padronanza del candidato, in base ad un profilo di riferimento. Il criterio di base è rappresentato dall’attendibilità: ciò richiede di porre l’attenzione a prestazioni reali ed adeguate che attestino la capacità del candidato di agire con ciò che sa in riferimento a compiti-problemi tendenzialmente complessi in base al livello EQF del certificato e dell’eventuale titolo di studio. La valutazione è tendenzialmente olistica, e quindi privilegia l’unitarietà dei fattori in gioco: – I fuochi dell’analisi: prodotti, processi, linguaggi. – Le dimensioni dell’intelligenza (cognitiva, affettivo-relazionale, pratica, sociale, metacompetenza). Si tratta, come si è visto, di una metodologia essenziale dei passaggi che portano ad una certificazione attendibile. Il pericolo – sempre presente, ma soprattutto in questa fase iniziale – che tutto il processo delle competenze si traduca in un mero “giro di carta” si batte puntando decisamente su: – la sussidiarietà che consiste nel riconoscere ed assistere i vari attori circa la loro autonoma responsabilità nel dare risposte adeguate alle esigenze delle persone e delle organizzazioni, piuttosto che creare una sovrastruttura burocratica imposta dall’alto e pertanto vissuta come un’ulteriore imposizione; – la concretezza che impone la verifica della “buona convenienza” del sistema delle competenze dentro i processi della realtà, unica via capace di convinzione effettiva e duratura; – la dinamicità che suggerisce di favorire il flusso dei processi in atto piuttosto che frenarli, proponendo un approccio rigoroso e nel contempo fluido, continuamente migliorabile, rimanendo sempre entro i limiti di un approccio modesto e ragionevole; – la premialità, un criterio decisivo per il successo del sistema: il bene della nostra società è rappresentato da tanti formatori, insegnanti, studenti, imprenditori, opegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 156 157 ratori pubblici e privati che svolgono la propria attività con passione e senso del lavoro ben fatto per il bene di tutti. Il premio è il riconoscimento pubblico del valore di questo contributo ed indica un esempio da seguire alla collettività. Un sistema di addomesticamento tecnico della gioventù? Una volta reso concreto il sistema, ponendolo con i piedi per terra, al riparo dal pericolo del certificazionismo ovvero delle competenze di carta, bisogna chiederci se siamo di fronte ad un’operazione che qualifica effettivamente la libertà delle persone, o se invece le imprigiona in una nuova gabbia d’acciaio che ne conculca le possibilità effettive di realizzazione. Il primo elemento critico si riscontra nell’enfasi sulle prestazioni piuttosto che sulle qualità spirituali e morali della persona. Si tratta di un limite effettivo di tutta la tematica delle competenze, definito in gergo con le espressioni “prestazionismo” e “performativismo” che indicano lo spostamento del focus del valore di ciò che si intende per competenza: dalla persona che opera ai risultati evidenti del suo agire. Se portata all’estremo, questa tendenza potrebbe portare ad una nuova reificazione che trasforma gli uomini in oggetti trattabili con le stesse prerogative delle cose: misurazione, manipolazione, commercializzazione. L’antidoto a questo pericolo consiste nel concepire la competenza come una qualità umana che si pone tra la potenza e l’atto e non solo nel contesto di quest’ultimo, che retroagisce sulla persona in quanto contributo al miglioramento della sua vita nel senso della libertà e della coscienza del suo essere nel mondo. Il criterio fondamentale che giustifica un sistema umano delle competenze è rappresentato dalla centralità delle persone in quanto soggetti dotati di capacità buone e di talenti propri non intesi solo come possibilità di azione, ma anche di contemplazione. La dimensione dell’azione è così espressa da Dewey: la «Chiave della felicità è lo scoprire che cosa uno è adatto a fare e il dargli l’opportunità di farlo» (Dewey 2004, p. 341). Quindi, compito di una società democratica è sollecitare la mobilitazione dei talenti perché le persone diventino competenti. La competenza, infatti, non è un oggetto, ma definisce una qualità delle persone, in quanto capaci di affrontare sfide e problemi in modo autonomo e responsabile. Occorre uno sforzo sistematico e integrato, da parte di tutta la società, per indicare le caratteristiche dell’agire competente, fornire ad ogni cittadino la possibilità di cimentarsi, consentire a ciascuno di vedere riconosciute le proprie qualità. Ciò richiede l’ampliamento delle opportunità di accesso alle esperienze formative 53 , specie quelle basate sulla strategia dell’alternanza, la riduzione dei tempi di studio 54 e di transizione, la possibilità di mettersi/rimettersi in gioco a fronte di oppor- 53 È nota la grave carenza di possibilità di formazione per gli adulti, anche quella connessa ai titoli di studio. 54 Il nostro sistema educativo, rispetto ai paesi con cui ci confrontiamo, estorce ai giovani un anno in più per il diploma e uno-due per la laurea. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 157 158 tunità reali di lavoro, la circolazione del certificato delle competenze personali nei processi di selezione e di ingresso. Inoltre, ed è la seconda dimensione, per evitare il pericolo di riduzione della persona alle sue prestazioni sociali, occorre attribuire rilevanza alle virtù morali dell’uomo come essere sociale, e quindi non solo agli esiti dei suoi comportamenti. Infine, nel considerare la relatività dell’azione umana, ponendola in uno stretto rapporto con l’otium degli antichi, che indicava il tempo lontano dai negotia, gli affari, e dalla vita politica, in cui la persona si può dedicare alla speculazione intellettuale, all’amore della cultura per sé, quella gratuita, al gusto dell’arte, una sorta di dolce riposo della mente, uno spazio libero dagli impegni ufficiali proprio della domus, la dimensione privata del cittadino. Ma anche alla contemplatio dei cristiani, le occasioni che consentono alla persona di elevare la propria anima con ciò che è bello, buono e giusto, innalzandosi così nella relazione con Dio. È ciò che in altri termini afferma Marc Fumaroli il quale propone, per fronteggiare la sfida dell’educazione dell’uomo moderno, estraniato dalla natura e provvisto di protesi comode, la prospettiva di una: «Riconciliazione con il passato, che non sia di consumo turistico, ma un insegnamento a vedere più chiaro nella natura umana e a trovarvi un principio di prudenza e di amore della bellezza» (Fumaroli 2011, p. 725). Un nuovo slancio educativo? Il punto centrale del sistema delle competenze è costituito dalla sua esclusiva considerazione in quanto costrutto tecnico, tacendone l’aspetto etico e civile, ovvero il fatto che si intende mirare ad un nuovo slancio circa l’opera educativa nel nostro tempo. Vi è uno sguardo eccessivamente dimesso, disincantato, metodologico in senso prestativo, ragione per cui gli insegnanti, i principali interlocutori ed attori di questo sistema, finiscono per sentirlo estraneo, addirittura minaccioso. Ciò deriva anche dal dibattito teorico relativo alla certificazione; esso con una certa semplificazione può essere distinto in due ampie categorie: da un lato troviamo coloro che la concepiscono come un processo meccanico tendente ad attestare singoli apprendimenti ciascuno dei quali strettamente corrispondente ad una specifica parte del processo formativo: è il caso della pratica delle unità formative capitalizzabili – UFC (Bresciani 2012) un modello caratterizzato da mansioni definite con precisione in modo prescrittivo, e quindi organizzate in senso gerarchico attraverso linee di comunicazione e comando, in chiave palesemente tayloristica (Morgan 1999, p. 40). Dall’altro troviamo pratiche certificative dal carattere formativo basate sul concetto di competenza come entità complessa che pone in luce la padronanza del soggetto nell’affrontare adeguatamente una particolare categoria di compiti-problema collocati entro un preciso contesto organizzativo. In tal senso, la certificazione mira a sollecitare un approccio per competenze e quindi a superare una metodologia eccessivagiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 158 159 mente centrata sulla didattica disciplinare per trasferimento di nozioni ed abilità, aprendo la strada ad una formazione più autentica in cui la persona è chiamata a confrontarsi con situazioni reali che sollecitano la sua attenzione, responsabilità e attivazione al fine di giungere ad una soluzione idonea e soddisfacente. Tali competenze della persona sono dimostrate dalla natura dei problemi fronteggiati, dalla metodologia di intervento, dalla capacità di superare crisi e difficoltà, dalla riflessione discorsiva sulle esperienze attraverso un linguaggio pertinente ed in grado di evidenziare tutti gli aspetti in gioco e quindi di “dimostrare” concretamente l’effettivo possesso del sapere (Franchini – Cerri 2005). L’approccio per competenze può rappresentare uno dei filoni in grado di rilanciare l’importanza dell’educazione nella nostra società tentata dallo scetticismo e dalla disillusione. È necessario uscire dalla decadenza del sistema educativo, ponendo ad esso una meta di alto profilo culturale: passare dalla mera ripetizione delle conoscenze alla cultura come conquista, scoperta, responsabilità. «Prima che luogo di acquisizione di conoscenze e di capacità, la scuola è luogo dove nasce l’amore del sapere (filosofia), la gioia ed il gusto di imparare e di fare da sé» 55 . L’idea di competenza non deve essere ridotta ad un atto compilativo, ma richiede la riappropriazione da parte degli organismi formativi del loro compito educativo: lavorare per competenze significa favorire la maturazione negli allievi della consapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà sostenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che gli si presentano, capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune e consapevoli di partecipare ad un processo comune di crescita culturale. Ciò richiede una didattica basata su situazioni di apprendimento reali, attive, coinvolgenti, interdisciplinari, una valutazione attendibile fondata su prestazioni reali e adeguate, il coinvolgimento del contesto sociale nel qualificare il processo di crescita degli studenti. 55 http://www.edscuola.it/archivio/didattica/gimpins.html. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 159 161 La cultura come incremento dell’amore per la vita Il cammino di maturazione umana come inveramento dei talenti e delle capacità della persona Come si può configurare il cammino di maturazione umana del giovane nell’epoca odierna caratterizzata dall’intreccio tra storia sospesa e umanità distratta ed impedita? Attraverso l’inveramento o la “liberazione” dei talenti e delle capacità del soggetto umano, inserito in una comunità culturale viva, attivamente aperta al reale. Tali capacità consistono soprattutto nell’intuizione, il “sesto senso” 56 che ci consente di percepire il sentimento dello stare al mondo e la forza originaria dell’individualità che esige una corrispondenza sensibile della propria esistenza da parte di un pubblico consonante, sia quello in presenza (fisico) sia quello in memoria (storico); è ancora grazie all’intuito che l’individuo avverte la realtà (l’essere-reale dei filosofi) come entità dotata di una propria consistenza ed indipendente dall’io pensante, e che sente verso di essa un richiamo per la propria realizzazione. Dall’intuizione dipende in gran parte la capacità di connettere il mondo esterno al mondo interno, di cogliere la differenza esistente tra il fondamento dell’apparenza e l’apparenza, ciò che consente l’accesso ai desideri autentici che provengono dall’io individuale, mentre una sua limitazione oppure la mancanza di fiducia nelle sensazioni intuitive del pensiero produce una debolezza dell’io che comporta la disposizione a lasciarsi ingannare da desideri inautentici indotti dall’esterno. La coscienza dell’essere umano è ricca inoltre di immaginazione, la facoltà mediante la quale egli trascende la percezione dei sensi, così da poter cogliere il potere delle forme e dei simboli come porta d’accesso alla dimensione invisibile del reale, come pure a ciò che è stato prima della propria esistenza individuale, oltre a ciò che non è ancora accaduto e che potrebbe accadere. La mancata alimentazione del senso estetico tramite il vastissimo spazio del bello – composto dalle opere umane come dalle opere di natura – oppure l’abitudine ad immagini cattive, prosaiche, provocatorie, intristisce la visione con la monotona, uniforme ed onnipresente bruttezza delle cose, impedendogli di cogliere la straordinaria varietà e ricchezza del reale, ed in essa, della propria stessa essenza individuale. La ragione costituisce la facoltà propria dell’intelletto che opera mediante parole, concetti, metafore, concatenati in articolazioni di pensiero dotate di logica. La fa- 56 Tommaso D’Aquino parla del sensus communis come di un senso interiore che opera come la radice e il principio comuni dei sensi esteriori (Summa Teologica, parte 1, quaestio 78, 4 ad 1, citato in A RENDT 2009, p. 134). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 161 162 coltà del raziocinio possiede un’enorme potenzialità: essa riflette sia il mondo visibile sia quello invisibile, ma soprattutto tende a fornire plausibilità al sentimento del mondo che il soggetto prova o alla visione della realtà fornitagli in modo spesso inconsapevole dall’ambiente in cui vive. L’esercizio della ragione possiede un suo stile che si fonda essenzialmente sul principio della consonanza del pensiero riflessivo rispetto alle esigenze del sé, così come vengono suggerite dai cinque sensi oltre che dal senso comune, ed inoltre dell’anima che esprime l’affezione nei confronti della sua stessa vita e della realtà che lo circonda. La ragione può quindi essere in dissonanza con la realtà del soggetto: si pensi all’indifferenza per il proprio corpo tipica di una certa posizione filosofica, ma si consideri anche le conseguenze del credo ideologico sulla personalità: la fissazione dogmatica, la certezza di essere nel giusto e l’elaborazione del nemico verso cui viene alimentato un odio costante, per certi versi irremovibile. Ma si pensi alla difficoltà di esprimere con le parole ed i concetti l’esperienza mistica, il senso di smarrimento nei confronti del cosmo infinito, l’impeto improvviso di gioia ed il desiderio di ringraziamento che persino un ateo può avvertire nella sua anima, pur negandone intellettualmente l’esistenza. Nel caso di evidente – e spesso dolorosa – dissonanza, la retta ragione, qualità precipua del saggio, ricerca ed elabora una nuova prospettiva, in grado di spiegare i dati dell’esistenza così come il soggetto li avverte. Ma vi è il caso, oggi piuttosto frequente, in cui gli stimoli che giungono all’intelletto provengono da una fonte artefatta, da una parvenza di mondo, da desideri inautentici che inquinano la capacità di sentire dell’individuo; questa particolare esperienza può condurre a ragionamenti di natura ibrida che rendono problematico il lavoro della ricerca di risposte plausibili agli interrogativi che sorgono dalla sua esistenza, specie quando il soggetto avverte una frattura tra l’immagine di sé così come gli proviene dagli altri ed il sentimento dell’esistenza che avverte dentro di sé e che stride con quella: quel senso di estraniazione che mi impedisce di essere soddisfatto del modo stereotipato in cui gli altri mi percepiscono è un’intuizione sana oppure un difetto della personalità? E ancora: il modo in cui trascorro il mio tempo, le relazioni che intreccio con gli altri e le attività in cui mi ingaggio, sono quelle adeguate all’espressione del mio io autentico? Di fronte a questi interrogativi, è posta in gioco la capacità di giudizio circa ciò che è nel giusto e ciò che invece è nel torto, un’altra componente del dominio della ragione il cui esercizio diviene difficile se il prezzo che si rischia di pagare consiste nel trovarsi non accettato dagli stessi presso cui si rivendica il riconoscimento di un’immagine di sé più autentica. Troviamo qui un elemento decisivo circa la possibilità della vera educazione: il modo in cui la persona (normale) giunge a formulare un giudizio circa la correttezza di una certa impostazione di vita non avviene nell’astratto “pensiero” che pensa se stesso, ma entro un contesto reale, per cui il rischio di distacco dal mondo è più grave di una qualsiasi apparente implicazione perché quest’ultima garantirebbe perlomeno un legame sociale che la prima invece nega. Il soggettivismo radicale (il solipsismo) è un assurdo logico ed un inferno esigiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 162 163 stenziale perché la presa di distanza dal mondo, non mi consente di ritrarmi nello spazio intimo della liberta del “puro pensiero”, ma semplicemente smetto di vivere 57 . La scuola non può proporre all’allievo un modo di pensare derivato dai filosofi e dall’ inganno metafisico secondo cui il soggetto è più libero se sospende il legame con il mondo, perché così facendo darebbe origine al dubbio sulla realtà del mondo trascinando nel medesimo destino lo stesso soggetto che pensa. È l’errore intellettualistico, la fallacia metafisica di chi ritiene possibile che il soggetto pensi se stesso come puro pensiero senza corpo, senza ambiente, senza affezione. È il cuore filosofico della cultura inerte, che si immagina di accompagnare gli studenti nel deserto dell’“Idea di ragione”, come se questa abitasse fuori dal tempo e tuttavia in noi. Quella dimensione della coscienza degli insegnanti che partecipa al “mondo intellettuale” concepisce il carattere scettico della cultura come presa di distanza dal mondo; l’ideale di cittadinanza che propone riecheggia molto da vicino la condizione di straniero del filosofo, il suo essere apolide, parte di una ristretta cerchia dei “pochissimi” (sophoi) dediti alla: «“Vita di pensiero” che non conosce gioia né dolore, la condizione più divina poiché il pensiero (nous) è il «“Re del cielo e della terra”» (Arendt p. 130). Non si può chiedere all’alunno di prendere le distanze dal mondo, di rinunciare alle gratificazioni di una vita vissuta perché significherebbe consegnarlo ad una condizione di solitudine inumana, ma sarebbe credibile solo se accompagnato da una forma di intersoggettività più espressiva, ad uno spazio pubblico più autentico e quindi persuasivo circa la propria vera identità. Si trova qui, in questo dato di buon senso che non si può sospendere, il punto decisivo dell’autorinnovamento della scuola che esige di valicare il passo che conduce dall’inerzia alla cultura viva. Il principio di esternalizzazione Un passo decisivo di tale rinnovamento consiste nel mobilitare la capacità operativa degli allievi, il “principio di esternalizzazione” proposto da Bruner il quale, richiamandosi a Ignace Meyerson, sostiene che la funzione principale di ogni attività culturale consiste nel produrre opere, non solo quelle artistiche e scientifiche, ma anche quelle minori perché in grado di sollecitare l’orgoglio, l’identità ed il senso di continuità a coloro che vi partecipano (Bruner 2009, p. 36). Si tratta di una dimensione troppo a lungo sottovalutata nell’educazione, pur essendo dotata di un potere rilevante in questo campo: fare opere crea modi di pensare comuni e negoziabili, vale a 57 Come invece riteneva Cartesio con il suo paradossale “cogito ergo sum”: se la realtà è dedotta dal mio stesso pensarla, neppure l’io avrebbe consistenza. Ma anche come in parte ripropone Kant secondo cui la “cosa in sé”, separata dalle mere apparenze, coincide con l’io che pensa. Arendt spiega che questo banale, ma persistente, errore logico ha nutrito la filosofia moderna, da Hegel in poi, della «strana illusione che l’uomo, a differenza degli altri esseri, ha creato se stesso» (A RENDT 2009, p. 119). Se fosse vero, si sarebbe creato morto... giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 163 164 dire una vera e propria mentalità, produce una testimonianza dei nostri sforzi mentali posta al di fuori e non entro la nostra memoria, così da rendere i nostri pensieri più accessibili alla riflessione, consente di influire in modo più duraturo sugli altri, amplia l’esperienza del reale. Il valore dell’imparare tramite opere si coglie in tre aspetti, molto significativi rispetto alle necessità dell’odierna gioventù: lavorare con e per gli altri, scoprire se stessi, migliorare il mondo. La cooperazione è un antidoto potente all’isolamento scolastico accentuato da una sorta di individualismo metodologico imperante e che per molti ragazzi – spesso figli unici – costituisce una delle più significative esperienze di comunità tra pari per fronteggiare problemi e portare a termine compiti non scontati. Ma la relazione di gran lunga più rilevante riguarda gli interlocutori: lavorare per gli altri comporta l’uscita dal solipsismo del proprio io per assumere come punto di riferimento l’altro con i suoi bisogni, le sue necessità e l’attesa di risposta che rivolge allo studente stesso. Lavorare con gli altri significa quindi uscire dal confine della propria individualità isolata ed entrare in una relazione fondata sulla collaborazione, dove i fattori di fiducia e lavoro cooperativo costituiscono spesso il vero valore aggiunto dell’operare umano. In una relazione concreta di servizio rivolto ad un altro, il soggetto operante scopre se stesso proiettandosi verso uno scopo esterno da sé. Egli si rende consapevole dei propri talenti non in astratto, o in un modo unicamente introspettivo, ma nella dinamica concreta dell’azione che comporta la mobilitazione delle proprie prerogative umane. Agendo, i fattori umani – tratti, saperi, competenze – vengono sollecitati ed incorporati nel prodotto/servizio, così che ciò che ne emerge non rappresenta soltanto qualcosa di funzionale ad uno scopo, ma riceve anche l’impronta del facitore: operando, si immette qualcosa della propria anima – l’impronta originaria del nome personale – nell’oggetto del proprio operare. Hannah Arendt spiega in modo molto efficace questo carattere personalizzante dell’azione, ed anche la sua natura politica, chiarendo nel contempo dove tragga origine l’innovazione: «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità» (Arendt 1999, p. 129). Studiare facendo opere rivolte prioritariamente ad altri che ne possano usufruire – relazioni, manufatti, dossier, presentazioni, servizi di cura, progetti, eventi – e non finalizzate unicamente al voto, amplifica in modo straordinario il campo educativo e le energie poste in gioco e sollecita decisamente la motivazione dei ragazzi, generalmente molto ben disposti ad imparare facendo. È un’esperienza pubblica, perché consente di migliorare il mondo, impegnandosi in relazioni ricche di prossimità centrate sulla concretezza, inoltre accrescendo le occasioni di accomunamento di un popolo che vive sullo stesso territorio e che mette a disposizione le proprie risorse per uno scopo educativo. Si tratta di una forma di educazione morale che rende la persona protagonista di un’opera di umanizzazione: si pensi all’impegno, così rilevante nell’epoca giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 164 165 attuale, volto alla preservazione del creato sapendo armonizzare l’ambiente naturale e quello antropico. Aristotele ha espresso bene il legame tra le mani e la mente: «Anassagora afferma che l’uomo è il più intelligente degli animali grazie all’avere mani; è invece ragionevole dire che ha ottenuto le mani perché è il più intelligente... A colui dunque che è in grado di impadronirsi del maggior numero di tecniche la natura ha dato, con la mano, lo strumento in grado di utilizzare il più gran numero di altri strumenti. ... La mano sembra in effetti essere non un solo strumento, ma molti strumenti al tempo stesso, è infatti, per così dire, strumento prima degli strumenti» (Aristotele 1990, p. 127). È decisivo, per l’autoriforma della scuola, superare l’astrattezza degli insegnamenti e la passività della didattica liberando le capacità degli allievi tramite il metterli all’opera – in modo ragionevole, mirato, essenziale – così che la loro presa sul mondo diventi più salda, significativa, utile oltre che personale, rivelativa della loro originalità. Uno spazio di educazione alle virtù pubbliche La scuola ed il CFP, se ritengono di poter fornire un messaggio dotato di valore, non possono che essere un’esperienza di vita in cui è possibile esperire sensibilmente ciò che intende sostenere. La sfida si trova essenzialmente nella plausibilità della loro proposta in riferimento all’intera personalità del discente: mente, anima, corpo, (sensi e intuito), volontà. La sfida consiste nell’essere uno spazio pubblico adeguato alla formazione di personalità equilibrate, consapevoli di esistere, capaci di indipendenza e di segnare di sé, utilmente, il mondo, amanti della vita ed esse stesse apportatrici di vita. Questo spazio pubblico è ciò che racchiude le qualità generative secondarie (culturali) dell’uomo: l’educazione, lo studio, il lavoro, la politica, l’ozio formativo, la mimesi, la preghiera. La scuola viva può essere la levatrice del mondo pubblico post-consumistico perché può dare vita ad una comunicazione ragionevole e commovente tra adulti e giovani capace di eventi di novità. Chi sta con i giovani coglie la loro formidabile ed irriducibile ansia di distinzione, di un riconoscimento degli altri in quanto persone dotate di unicità, di un valore di cui il mondo ha bisogno per essere umano. La scuola è il luogo e la fase dell’esistenza che insegna a vivere la distinzione in uno spazio pubblico generativo. Imparare dai giovani, nel dialogo attivo con loro, l’arte di vivere autenticamente a favore del bene comune di tutti, in una comunità in cui i singoli emergono con la loro indispensabile peculiarità. In questo sta il mistero della sfera umana dell’esistenza (la “mano invisibile” benintesa): la polifonia delle individualità che si armonizzano in un canto corale ineffabile, capace di dire l’amore per la vita e di elevarsi al cielo e ringraziare (il coro degli antichi filosofi, ricordato da Seneca: «Non vedi quante sono le voci che compongono un coro? Eppure da tutte queste risulta un suono unitario» – Lettere morali a Lucilio, 84, 8, p. 571. Il coro medioevale di Benegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 165 166 detto XVI nel suo magistrale discorso al Collège des Bernardins di Parigi, in cui parla del canto dei monaci come culto dell’essere, per: «Corrispondere alla grandezza della Parola loro affidata, alla sua esigenza di vera bellezza» (Leuzzi 2011, p. 72). Ciò avviene non in un’armonia appiccicosa dei “valori comuni” (neppure quelli politicamente corretti delle organizzazioni internazionali e delle onlus caritatevoli), ma nella varietà, o meglio nella tensione tra le varietà degli apporti individuali, con i suoi inevitabili conflitti. Basta con l’epica della società, con le sue forze anonime livellatrici, con la sua pretesa di uniformare il mondo sulla base della falsa credenza dell’interesse comune. Basta con la pretesa della scienza di ricreare l’umano con l’artificio 58 . Questa è la vera iperrealtà, un umano “automatico” che abbia in sé la perfezione del meccanismo senza l’oscena umanità. In altri termini: anche le moderne neuroscienze e l’ingegneria genetica stanno partecipando al gioco delle scienze del comportamento, vale a dire rendere l’apprendimento un fatto automatico. In questo modo, i giovani si perdono nel disapprendimento, nella dispersione perché partendo da un paradigma frutto della mera speculazione intellettuale, parziale e riduttivo, basato sull’idea del comportamento umano come funzionamento e non della vita come tensione ed imprevisto, finiscono per scandalizzarsi dell’uomo concreto (vergognandosi dell’umanità tutta), e proporsi l’insano proposito (la traccia di fondo che ha alimentato le grandi carneficine del secolo scorso) di cambiare l’uomo, di forgiare l’uomo nuovo. Non capendo l’umano, vedono solo il negativo e si impegnano ad intristire il mondo con il loro sguardo patologico. Meno male che esistono le persone con i loro problemi e la loro vitale inquietudine, così possono emergere le forze vive! È il concorso – concorrenza, tensione – delle unicità individuali che rende viva l’umanità, e questo richiede un ethos vale a dire un posto da vivere in comune, vivace e disciplinato (un’altra coppia tensionale, ovvero vitale), in cui le persone ed i gruppi possano prendere la parola offrendo la propria particolarità, cooperare realizzando opere di valore per tutti, ove si possa apprendere come contrastare il conformismo sociale (anche quello mediatico) per affermare l’individuo e la comunità. Il compito storico della scuola consiste nel dare inizio – riprendendolo dalla storia, rinnovato per il tempo d’oggi – ad uno spazio comune, pubblico, libero e interessante, dedicato a far emergere il valore peculiare delle persone nel confronto con i grandi della civiltà e le loro opere, e nella cooperazione – attraverso l’incontro con la storia culturale, vale a dire quella dei grandi, dei maestri, che hanno aggiunto all’amore per la vita qualcosa di particolare, il dialogo che richiede la presa di parola esigente ed 58 All’idea di rifondazione della natura umana, di derivazione illuministica, Albert Camus nel discorso per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura nel 1957 ha contrapposto un progetto radicalmente diverso: «Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga» (C AMUS 1988, p. 124). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 166 167 espressiva dell’originalità di ciascuno, l’azione tesa ad assumere compiti e sfide dotate di valore, quindi la relazione con il mondo per rigenerarlo nell’incontro con la freschezza giovanile – ad un modo di vita, di essere vivi, un areté pubblico, un modo di intendere la vita come concorso impegnativo e commovente verso l’eccellenza di tutti, fatto di pensiero, opere, conversazione, arte, natura. È l’ideale della vita virtuosa, ciò in cui consiste il valore dell’uomo, di tutti gli uomini. Tale ideale prende l’avvio non da un paradigma teorico frutto della speculazione intellettuale, ma da un assunto assiomatico, a tutti evidente, rappresentato dall’amore per la vita, ed in special modo la vita attiva, che spinge gli uomini all’azione non solo l’interazione con gli altri, l’uscire fuori di sé, (gli altri contemporanei, gli altri delle epoche precedenti). La scuola è luogo educativo in quanto rende possibile l’evento (libero, indipendente, imprevedibile) dell’espressione della novità personale, connessa con la nascita di ciascuno, tramite gli incontri con i contemporanei e gli storici, la presa di parola, il coraggio dell’azione. La scuola viva è contro corrente non già perché si proponga un impossibile ritorno al passato, ma perché dà origine ad un modo di vita fondativo dell’agire pubblico di cui la nostra società ha bisogno, società in cui il conformismo e la prevedibilità routinaria e spersonalizzante ha raggiunto uno stadio di elevata perfezione, superiore a quello della massificazione del primo tipo, centrata sull’irreggimentazione degli individui e l’espropriazione del mondo familiare, dell’impresa e del lavoro; la massificazione del secondo tipo include in sé un processo di distinzione di massa tipico della moda e del costume, il massimo della violenza. La crisi ha interrotto il sogno di questa esistenza in cui il singolo è convinto di distinguersi aderendo volontariamente ad un nuovo conformismo. Le reazioni a questo stato di cose, in particolare la cultura dell’indignazione e della comunicazione “autentica”, non hanno la fondatezza culturale, la consistenza reale e la forza effettiva per offrire all’individuo lo spazio di un ethos in cui potersi distinguere, nel diuturno lavoro culturale che richiede di collegarsi al passato per comprendere il presente ed illuminare il futuro, nella capacità di coinvolgimento ed intrapresa in opere buone. I due assi inscindibili che nella loro tensione reciproca costituiscono il cuore della cultura (intesa come manifestazione sensibile, storica, dell’amore per la vita di persone eccellenti, che hanno aggiunto qualcosa di particolare, a beneficio di tutti, al sentimento pieno ed autentico del vivere, il particolare che possiede un valore universale) sono scoperta ed elevazione – azione e rivelazione dell’irrevocabile originalità di ciascuno, degli eventi particolari che non solo alimentano la provvidenziale varietà del mondo pubblico, ma immettendo la novità nelle vicende storiche forniscono l’energia vitale che consente il cammino umano della civiltà. Il punto di svolta che riguarda la scuola odierna può essere individuato nella posizione che assume rispetto al movimento pendolare che caratterizza la cultura, attratta alternativamente dalla contemplazione e dall’azione. Per gli antichi, la scholé nasce come ritiro dalla vita pubblica, affinché il fanciullo giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 167 168 potesse, libero dalla necessità, godere della vita contemplativa (theoria significa guardare, contemplare uno spettacolo). L’età dello studio corrispondeva all’otium, il tempo libero dagli obblighi relativi all’esistenza e quindi dal lavoro, nel quale i giovani potessero dedicarsi a ciò che è bello, piacevole, desiderabile. Infatti, vertice della scholé era la filosofia o amore per il sapere. L’educazione era una preparazione alla “buona vita”, come Aristotele chiamava la vita di cittadini privilegiati che frequentavano la polis, quella in cui la persona, libera dalla fatica e dal lavoro (poiché queste erano attività svolte dagli schiavi nello spazio domestico, privato 59 ), poteva dedicarsi alla vita pubblica tramite dialogo, riflessione, partecipazione alle vicende legislative, politiche e belliche della città. Il contenuto dell’educazione corrispondeva a ciò che è immortale, eterno ed onorevole. Quindi lo studio del cosmo che nella sua ciclicità mostrava l’ordine e la bellezza della natura, la filosofia come pensiero metafisico in grado di cogliere l’“adesso che perdura”, inoltre le gesta degli eroi in quanto persone che hanno potuto cingere di gloria il proprio nome, così da rimanere eternamente nella memoria degli uomini e suscitare l’entusiasmo dei fanciulli per i valori della distinzione e della fama. Infine, l’educazione del corpo, necessaria sia per una vita armonica sia come addestramento alla guerra. Gli affari, l’economia ed il lavoro, erano assolutamente esclusi dalla scholé perché inesorabilmente segnati, degradati, dalla necessità che impedisce la libertà dell’uomo. Con il Medioevo, il movimento del pendolo assume una posizione più equilibrata, in forza della nuova dignità attribuita dal Cristianesimo all’azione umana ed al lavoro visti come espressione di un’individualità che trova il suo senso nell’apertura all’eterno. L’esistenza, in tutte le sue dimensioni, è sacra e luogo della Grazia, quindi non va riscattata dalla grandezza delle gesta, ma dalla continuazione dell’opera creatrice di Dio mediante un giusto equilibrio tra preghiera (ora) ed azione (labora). Il centro della vita pubblica è la città feudale, nella quale, oltre alla cattedrale ed alla corte del signore, troviamo le botteghe degli artigiani, veri fautori della vita della comunità mediante la fecondità della loro vocazione che si trasforma in opere utili ed apprezzabili. Ogni forma di vita comune assume una specifica responsabilità educativa: le congregazioni religiose per i chierici, la vita di corte con i precettori cui vengono affidati i rampolli dell’aristocrazia, ma soprattutto le gilde o corporazioni per l’apprendistato dei borghesi nelle arti e nelle scienze. Queste ultime sono la vera scuola medioevale, nella quale si fa esperienza di un sapere unitario ad un tempo artigianale, amministrativo e speculativo. La scuola non è più separata dalla vita pubblica, ma strettamente inclusa in essa. Ogni forma di azione umana è piena di significato e quindi costituisce l’ambito adeguato alla formazione dell’uomo adulto. Il giovane 59 In effetti, l’etimo della parola “privato” significa precluso della possibilità di svolgere una vita pubblica. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 168 169 desidera imparare e vi si impegna con tutte le sue facoltà. Infatti, trova in ciò che fa sia un senso evidente – è ciò che fanno gli adulti rispettabili – sia il piacere del sapere insegnato dal maestro, il maggiore (magis) nel suo ambito, colui che parla con saggezza, i cui insegnamenti meritano di essere seguiti. Il passaggio successivo più rilevante – rispetto alla nostra chiave di lettura centrata sul pendolarismo contemplazione-azione – è costituito dalla modernità che porta con sé due novità: il diritto di tutti all’istruzione, e l’istituzione delle scuole pubbliche da parte dello stato. Quest’ultimo, proteso a sottrarre spazio alla vita domestica ed alla vita sociale per disegnare un nuovo ambito comune, crea la figura del cittadino moderno, un individuo portatore di diritti e di doveri, sottoposto in ogni suo spazio di vita alle leggi dello Stato che con la rivoluzione francese diviene l’unico soggetto legittimato alla fissazione delle regole di vita morale come pure all’uso della forza. Lo Stato entra quindi potenzialmente in confitto con l’educazione domestica e quella svolta negli ambiti della vita sociale (lavoro, economia e scienza): egli attribuisce alla scuola un carattere ideologico legato agli ideali di patria e nazione e proiettato entro un’epica dell’indipendenza, ma anche della propria superiorità rispetto agli altri stati. La scuola nella prospettiva statale da un lato è inclusiva poiché è rivolta a tutti e perché chiama i maestri, gli scienziati ed i saggi ad insegnare ai giovani letteratura e scienza, tecniche e lavoro; dall’altro è pervasiva poiché impone la propria ideologia come fondamento ideale dell’insegnamento e disegna un programma che mira alla formazione dell’individuo in quanto cittadino che dipende in tutto e per tutto dallo stato stesso. Lo stato moderno ha il grande merito dell’alfabetizzazione e dell’acculturamento della gioventù, garantendo quasi ovunque la gratuità degli studi. Tramite esso, coloro che nel passato sarebbero stati relegati ad un’esistenza limitata ad uno spazio ristretto del sapere, si aprono al mondo delle idee e delle opere dei grandi della civiltà, scoprono l’universo e si dispongono ad un orizzonte di vita più vasto. Con il tempo, le scuole sono popolate da un nuovo ceto di insegnanti che fanno di questo la loro professione; ad essi – che non sono più “maestri” bensì “docenti” – è attribuito il compito di far apprendere ai giovani un sapere ridotto ad istruzione, dentro uno spazio separato dal mondo pubblico ed oggetto di una specifica amministrazione. Contestualmente, prevale l’idea dell’istruzione obbligatoria su quella del diritto del singolo al sapere. Il bambino del popolo viene spesso sottratto alla famiglia ed alle attività di lavoro a cui questa lo destinava (e che spesso riteneva inutile l’istruzione rispetto all’apprendimento sul campo, giudicato appropriato come nella tradizione medioevale), mentre il bambino delle classi abbienti viene sottratto all’ambito familiare, potenzialmente ricco di cultura, sotto la guida del precettore, sia per la ricchezza della biblioteca domestica sia per la preparazione delle figure che vengono via via ospitate: commercianti, militari, scienziati, chierici, uomini e donne di mondo. L’obbligatorietà degli studi a scuola, la presenza di un ceto insegnante non dotato di un “sapere esperto”, la cappa ideologica che si addensa nei contenuti e ne sancisce le regole fino ad invadere la valutazione, portano ad un’esperienza dello studio tendengiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 169 170 zialmente tediosa se non opprimente. La storia della scuola moderna è segnata dai contenuti ideologici che gli stati via via perseguono, specie dell’ideale nazionale che ha portato sia al formidabile processo dell’industrializzazione sia alle due guerre mondiali. Ed i due fenomeni non sono affatto separati. Abbiamo quindi avuto l’esaltazione della civiltà moderna ed il trionfo della società di massa, e nel contempo la nemesi del naufragio della stessa modernità che ha portato con sé la disillusione circa i valori del progresso, della ragione e della scienza. Poco alla volta, l’ideale dello stato si è consumato con i suoi miti ideologici, ed il cielo dell’istruzione si è fatto più buio e freddo. Compare in questa fase un processo parallelo riguardante i giovani ed il ceto intellettuale. Se la scuola del nuovo stato, quella della industrializzazione e dell’epopea nazionale potevano suscitare l’entusiasmo della gioventù, il clima di decadenza porta con sé un nuovo disincantamento tipico dei sistemi simbolici post-cristiani, vale a dire l’incapacità di soddisfare le esigenze dell’animo umano. Correlativamente, se nelle fasi epiche gli intellettuali si sono decisamente coinvolti nell’agone pubblico tutti protesi ad elevare il mito della macchina ed incensare le idee di nazione o di rivoluzione, in questo clima di crisi si compie il nuovo distacco della cultura dalla attualità, in cui gli intellettuali non si riconoscono più, preferendo ritrarsi negli studi e nello spazio della vita intima. L’unica bolla di impegno la si è riscontrata con il radicalismo politico degli Anni ‘60 e ‘70, tanto violento quanto repentino nella sua decadenza. Due sono i tentativi di indicare un orizzonte ideale in grado di sollecitare l’entusiasmo dei giovani e la passione degli insegnanti: il primo riguarda la cultura dei diritti umani, dal nuovo internazionalismo multiculturale, fino alla difesa degli equilibri naturali e alla sostenibilità; il secondo è volto ad elevare a mito la capacità tecnologica dell’era post-moderna e la creazione di uno spazio simil-pubblico in cui si svolge la comunicazione mediatica. Con essi si tenta di fornire ai giovani un ethos comune, in grado di indicare mete valide per la vita, ma si tratta di fiamme deboli perché manca loro un respiro culturale più vasto dotato di un ethos umano inserito in un ordine naturale stabile e capace di meraviglia nei confronti del reale. Questo stato di tensione porta alla ricerca di un rifugio delle persone nell’intimità, un nuovo spazio di vita in cui si ritiene alberghi la chiave dell’autenticità umana, che si vuole minacciata dallo stato e dalla società, ed alimentato dalle vicende biografiche purché vissute intensamente. È ciò che Hannah Arendt definisce “ribellione del cuore”: «L’individuo moderno e i suoi interminabili conflitti, la sua incapacità sia di integrarsi nella società sia di viverne completamente fuori, i suoi sempre mutevoli umori e il radicale soggettivismo della sua vita emotiva» (Arendt 2008, p. 29). Ma lo spazio dell’intimità, dove si muovono passioni, pensieri e piaceri, rimane incerto e nebuloso se ciò che si vive soggettivamente non può essere tradotto in un linguaggio riconoscibile dagli altri entro lo spazio pubblico. Più procede l’intimizzazione della vita, nel generale declino del mondo pubblico, più cresce il senso di incertezza circa la realtà di ciò che si sta vivendo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 170 171 Liberare il soggetto umano postmoderno dallo spaesamento dal mondo La scuola del nostro tempo si inserisce in questa generale tensione con cui si accompagna la crisi della modernità, nell’atmosfera di spaesamento dell’essere umano circa la sua identità ed il suo posto nel mondo, nella ricerca di nuovi ideali che possano riportare serenità e stabilità al suo io inquieto ed ancorarlo in modo significativo nell’orizzonte naturale e nel contempo nella scoperta di uno spazio intimo – soggettivo – dell’esistenza in cui poter ritrovare la purezza di se stesso. Sullo sfondo opera ancora il compito formativo dello stato, oggi proteso verso la nuova sfida della competitività nel quadro dell’economia globale, ma vissuta come uno scuotimento dalle illusioni del benessere e un adattamento doloroso ad una nuova stagione di impegno e sacrificio. La scuola di oggi è alle prese con un puzzle che non riesce a ricomporre in una figura unitaria. Nell’epoca recente essa ha subito sia una riduzione “amministrativa” da parte dello stato, così che la cultura è stata degradata a “istruzione”, sia un ritiro intellettuale dal modo derivante dallo scetticismo culturale ed educativo. In tal modo, essa ha finito per muoversi fuori dallo spazio pubblico autolimitando le sue possibilità d’azione significativa e rendendo inerte l’esperienza dello studio, ma non acquisendo in contemplazione e nel senso dell’ineffabile che il legame con il cielo porta con sé. Il pendolo negli ultimi tre decenni, dopo la sbornia della contestazione, si è decisamente spostato sul terreno privato, mentre la scuola si è incarcerata entro uno spazio tendenzialmente insignificante se interpretato entro le categorie neutre, avalutative e a-educative della “istruzione”. Nel contempo, è comparso un inedito orizzonte intermedio tra pubblico e privato con cui fare i conti, sia all’esterno che all’interno della scuola: è l’ambito di vita virtuale che cerca di disegnare un (debole) legame tra l’intimità del cuore e il mondo, fornendo ai singoli la possibilità di una presenza sia pure intangibile, che consenta una specie di senso di appartenenza comunitario. A causa del disimpegno culturale ed esistenziale di una parte consistente del ceto insegnante, e della carenza di una responsabilità educativa dei mondi potenzialmente “generativi” quali l’economia e il lavoro, la cultura e la ricerca, la scienza e la politica, gli spazi della compagnia e del mondo dei social media hanno finito per svolgere il ruolo di surrogati della vita pubblica dove i giovani cercano di condurre un cammino di incerta auto-formazione. Essi sono per così dire incarcerati in un ambito decisamente insoddisfacente rispetto alle finalità di una buona educazione. Il tipo di formazione che avviene nella vita di compagnia è ovviamente segnato dalla povertà dei punti di riferimento adulti ed in tal modo manca della ricchezza del dialogo intergenerazionale e del confronto con i maestri; inoltre è eccessivamente soggetto al dominio del presente che si impone con l’obbligo ossessivo di apparire; ancora, tale esperienza si avvale di un linguaggio povero dove prevale la narrazione delle minuzie dell’esistenza intrisa di ironia spesso vacua perché volta a stupire e a suscitare negli altri un riso tanto obbligato quanto triste. Infatti l’insignificanza si addice alle piccole cose del mondo privato, mentre il discorso pubblico necessariamente giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 171 172 chiede di selezionare ciò che è tanto importante da suscitare il desiderio di essere ascoltato da molti. L’esperienza derivante dal prendere parte alla perenne conversazione dei social media è limitata dalla penombra in cui sono intraviste le cose che in tal modo non assumono il carattere pieno di realtà e non restituiscono il senso immediato e rassicurante della sua e della nostra esistenza; inoltre tale esperienza è rinchiusa in una cerchia semi-affettiva che limita la portata del pensiero poiché prevale l’impressione emozionale e la virtualità del legame, dove i fatti del mondo vengono colti entro uno sguardo apparentato a quello dei media, attratto da ciò che fa impressione e scandalo, sullo sfondo di una visione scettica e prosaica delle vicende umane: mancando di un quadro culturale da cui trarre chiavi interpretative più solide, finisce per prevalere la tesi più eclatante. Ma non è vera conoscenza, né buona educazione; essa risulta insoddisfacente sia sul piano individuale perché lascia il soggetto umano in uno stato di inquieta solitudine, sia su quello sociale perché la grande agitazione delle compagnie giovanili e del blabla dei social media gira su se stessa senza mai incarnarsi in opere significative in grado di provocare all’uscita da sé e mettere in moto la fecondità umana di chi vi partecipa. Nessuno scambio virtuale sia pure sentito e prolungato su qualsiasi argomento può competere con un vivace confronto faccia a faccia di chi cerca la strada per esprimere un giudizio su un avvenimento e svolgere un servizio realmente favorevole per gli altri. Le persone della società benestante, a livello di popolo e non più solo di élite come accadeva in precedenza, avvertono con estrema vivezza il sentimento della “conquista dell’io” ed il desiderio di un’esistenza autentica, ma nel rispondere a questa urgenza, di per sé positiva, in assenza di una cultura della vita e non ritenendo valida quella tradizionale che cristallizza in forme rigide tale pulsione, hanno assunto l’immaginario e le modalità di vita proprie dell’industria della distrazione di massa, del suo ideale umano di “libertà limitata” costantemente dipendente dall’ansia della reputazione pubblica, e intrappolati dall’ambivalenza che questa include, una sorta di infelicità compensata dai beni e dal sentimento (instabile) del prestigio. Ciò ingenera nello stesso tempo il sospetto e la sfiducia nei confronti di ogni messaggio “sociale”, reputato strumentale e menzognero, tendente unicamente a spillare soldi tenendoci legati a bisogni fittizi. Da qui una sorta di cultura del sospetto e dell’indignazione che investe anche le figure educative dei “maestri”. Sul fondo permane l’esigenza di una vita autentica che si ricerca nella natura, nelle micro comunità “scelte”, in parte anche nello spazio pubblico dei social network. Questo soggetto umano posto entro una tensione estenuante tra desiderio di sentirsi vivo e paura di una nuova alienazione, è alla ricerca di una cultura in grado di dargli ragione della sua esistenza intesa come amore per la vita. È questa la domanda potenziale di educazione cui la scuola deve saper rispondere, ed in parte lo sta già facendo, personalizzando e “realizzando” il sapere, così che si ricostituisca il circolo virtuoso delle tre componenti veritative della parola: la credibilità di chi la propone, la corrispondenza esistenziale, la fecondità reale. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 172 173 L’amore per la vita è il dono più grande della cultura Quando la società riprende il suo cammino, il suo lavoro, c’è bisogno della scuola. Una scuola viva è indispensabile affinché la società riprenda il suo cammino, il suo lavoro, di connettere in modo nuovo il presente al passato, affrontare le sfide, avere idee e scopi buoni, entrare nel futuro con amicizia e coraggio. Sorge la necessità di uno spazio relazionale, di natura pubblica, nel quale sia possibile manifestare la nostra autenticità ed essere riconosciuti nella nostra particolarità. Il pendolo azione-contemplazione, che negli ultimi decenni si è decisamente spostato sul ritiro dal mondo (scholé), ora torna a volgersi verso l’impegno. Ciò richiede non solo una riforma, ma un vero e proprio rinnovamento educativo. La nuova militanza scolastica protesa verso i giovani, che ha sostituito quella precedente di stampo politico-sindacale, rappresenta una risorsa preziosissima orientata a tale scopo. Si tratta di una minoranza creativa che ha colto correttamente i fattori in gioco ed ha intrapreso la direzione giusta, ma si muove entro un quadro reso confuso dal rimbombo di teorie scettiche e debilitanti, oltre che soffocato dai vincoli e dalle contingenze organizzative inattuali che ne limitano molto lo spazio d’azione e ne logorano i fattori vitali. Vi è quindi la necessità di una visione del compito della scuola adeguata al tempo, ancorata alle tradizioni vive e feconde del passato, ma viste con occhi nuovi, liberi dal fardello e dalla costrizione di schemi soffocanti; serve rinnovare la scuola su un modello di azione che si fondi su un profilo “coinvolto” dei vari attori in gioco, su una rappresentazione autentica del cammino di crescita e perfezionamento umano degli allievi, su una concezione consistente della comunità educativa, sul coinvolgimento delle forze attive del territorio nel compito della formazione umana e civile della gioventù. Senza uno spazio pieno di significato distaccato dalla superficialità delle opinioni e degli accadimenti, e contemporaneamente senza uno spazio pubblico pieno di meraviglia per la realtà e di ideali che alimentino opere dotate di valore, la scuola langue di una malinconia mortale, ed è questo il cuore della sua crisi attuale e di quella della stessa idea di educazione. Entro quale orizzonte di contemplazione ed azione è possibile risvegliare l’antico desiderio di conoscenza che è proprio dell’animo umano, e che i nostri giovani avvertono in modo tanto contraddittorio? I tempi sono maturi per una “scuola viva” 60 , erede delle grandi tradizioni pedagogiche del passato, ma rivisitate con occhi nuovi, liberi dagli schemi limitanti entro cui erano concepite. Uno spazio di cultura pubblica condivisa dove dare ragione all’amore per la vita a partire dai capolavori della tradizione rivissute entro il capola- 60 Naturalmente, il termine “scuola” è qui inteso in senso lato, comprendente anche il Centro di Formazione Professionale e le altre modalità formative possibili (scuola-bottega, laboratori didattici, aziende scuola, ...). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 173 174 voro della vita di ciascun allievo, che sia anche occasione di risveglio per la comunità così che apprenda come porsi umanamente nel reale. Per questo occorre una intelligente mobilitazione delle forze buone della società e delle istituzioni perché l’energia positiva che si sta manifestando, pur entro difficoltà e contrasti, non vada sprecata o si perda in miriadi di rivoli volontaristici. Due sono le sfide su cui svolgere il rinnovamento della scuola: delineare uno spazio pubblico per l’identità in cui l’io dell’allievo si trovi accolto, impari ad entrare in un confronto vivo con la storia, si implichi in modo generativo nel reale; inoltre, superare l’inerzia dei “pensieri morti” proponendo un approccio alla cultura come avventura ed adesione all’amore per la vita così come è stato vissuto ed insegnato dai grandi della nostra civiltà. La scuola diviene uno spazio pubblico significativo se non riduce l’ambito di ciò che è profondamente umano. Il senso di spaesamento del soggetto che lo accompagna sia nella sua intimità, sia nei legami familiari, sia nel mondo pubblico, reale e virtuale, deriva anche dalla censura operata sulle parole. Il movimento di fuga che porta l’individuo a rinchiudersi nel suo mondo intimo, nella sua interiorità intesa come estremo recesso del sentire autentico, che in realtà rischia di divenire per lui un carcere, deriva dal disincantamento, vale a dire l’incapacità di “vedere bene” la realtà nel suo intreccio di sensibilità e mistero. Lo spazio smisurato assunto dal “privato” via via che l’uomo si è ritirato per fuggire dal mondo pubblico sempre più uniformante e manipolatorio è anche la spiegazione della tragica mancanza di creatività dell’arte contemporanea, impedita nel cogliere i segni dell’eternità nelle immagini fuggevoli e transitorie perché incapace di autentico senso religioso. È quanto propone uno dei più grandi uomini di pensiero del nostro tempo, Benedetto XVI, nel suo già citato discorso ai Bernardini di Parigi, là dove individua l’origine della grande musica occidentale nella cultura del canto intesa come cultura dell’essere propria dei monaci medioevali: «Non si trattava di una “creatività” privata, in cui l’individuo erige un monumento a se stesso, prendendo come criterio essenzialmente la rappresentazione del proprio io. Si trattava piuttosto di riconoscere attentamente con “gli orecchi del cuore” le leggi intrinseche della musica della stessa creazione, le forme essenziali della musica immesse dal Creatore nel suo mondo e nell’uomo, e trovare così la musica degna di Dio, che allora al contempo è anche veramente degna dell’uomo e fa risuonare in modo puro la sua dignità» (Leuzzi 2011, p. 72). La cesura dal mondo pubblico della dimensione della fede religiosa e dei suoi benefici ha molto contribuito a rendere insicuro il soggetto umano, che così precipita nella “zona di dissimilitudine”, espressione utilizzata da sant’Agostino per indicare l’incapacità di rispondere a Lui, una lontananza da Dio che non lo rispecchia più, diventando in tal modo dissimile da Dio e da se stesso, tanto da renderlo incapace di cogliere la sua stessa essenza di uomo (Agostino, VII, 10.16). Anche l’esperienza religiosa si è fatta privata, ed è questa una delle colpe più gravi dei cristiani “postmoderni”, che in tal modo hanno fornito un ulteriore e decisivo alimento alla crisi dell’uomo contemporaneo. Ma: «La Parola di Dio ci raggiunge giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 174 175 soltanto attraverso la parola umana, attraverso le parole umane... cioè Dio parla a noi solo attraverso gli uomini, mediante le loro parole e la loro storia» (p. 73) vale a dire la molteplicità e l’umanità tramite cui il Logos stesso estende il suo mistero nella dimensione della vita umana insieme singolare e storica. La vita è densa di mistero e ciò non significa non ragionevole; ma eccedente la mera ragione autosufficiente. La sua comprensione non è né solo letterale né solo interiore, ma un movimento interiore di insieme che diviene un processo di vita (Benedetto XVI, p. 74). È questo il senso delle parole dell’evangelista Giovanni il quale afferma: «Sono venuto perché abbiano la via, e l’abbiano in abbondanza» (Gv. 10,10). La parola disvela il suo mistero, e la sua capacità di legame e di vita, se siamo in relazione con Dio, il quale ci libera dalla regione della dissimilitudine (p. 71) in cui ci incarceriamo con la pretesa di venire a capo da soli della nostra identità profonda, di risolvere l’enigma del nostro essere operando entro il nostro io isolato. Il fondamento di una buona avventura educativa risiede nel risveglio dell’amore per la vita, vale a dire il compito più arduo – più banalmente arduo – che riguarda la condizione umana. È ciò che commuove e fonda l’incontro tra le persone, una forza che viene prima della conoscenza, connaturata all’umano, originaria di ogni altra cosa. Il sommo poeta l’ha espresso magnificamente con il famoso verso: “Amor ch’a nullo amato amar perdona” 61 , che significa l’amore, che obbliga chi è amato ad amare a sua volta. Vale per ogni forma d’amore, anche a quello proprio della relazione educativa: sentire di essere davvero amato esclusivamente, per sé come unico ed irripetibile soggetto umano, sinceramente e con totale dedizione, è ciò che ogni allievo cerca nei suoi insegnanti, così che gli risulti indispensabile amare a sua volta le persona che gli riservano questo sentimento. Anche Dostoevskij lo afferma, negando che una vita senza amore sia una vita umana e chiamando inferno” su questa terra – prima ancora che nell’altra – la condizione di chi è preda del tormento di non essere capace d’amore. È l’amore per la vita l’elemento costitutivo, al fondo, dell’essere umano nella visione propria della civiltà occidentale. Questa verità è confermata non solo dalle opere dei grandi della civiltà, ma anche dagli orrori e dalle tragedie che accompagnano questa storia, perché una civiltà vera può anche rischiare di perdersi, ma trae dalla ricchezza della sua tradizione la forza per riprendere il cammino, avendo appreso la lezione dai suoi stessi errori. Lo scopo prioritario della scuola, la chiave dei valori che possano dirsi umani è rappresentata dalla fedeltà alla vita, dallo spirito che rende l’essere umano capace di rispettare e conservare il creato in modo da renderlo abitabile, di conservare e perfezionare se stesso e il genere umano e di accedere ad una autentica conoscenza. Per “vita” si intende l’energia di natura spirituale, lo “slancio vitale” di cui parla Bergson, 61 Verso 103 del canto V nell’Inferno della Divina Commedia dantesca. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 175 176 che sottende ed alimenta sia il mondo naturale sia quello culturale, sia pure in forme differenti: mentre nel primo la vita opera in modo analogico così che pur nei mutamenti (distruzioni, evoluzioni, combinazioni) risulta sempre uguale a se stesso, frutto di predominanti forze autoregolatrici, il mondo culturale procede tramite una particolare dinamica creatrice propria dell’essere umano il quale, in forza delle sue prerogative, esprime un incessante impulso volto a modificare le forme stesse della propria realtà. Ma ciò accade in modo tale che ogni evento storico singolare risulta debitore, e quindi “rivive” in forma certo peculiare, delle acquisizioni più preziose dell’intera civiltà ed a queste attinge per analogia nel delineare il tratto successivo del cammino. Una scuola collocata nel solco vitale di questa civiltà rappresenta lo spazio in cui è possibile percorrere l’avventura del sapere, dove si impara la ragionevolezza dell’amore per la vita tramite l’incontro con chi ha saputo aggiungere qualcosa di particolare al grande patrimonio d’amore racchiuso nel suo cammino storico. Perché cultura non è pedante ripetizione 62 , ma ciò che accade al pensiero quando esso è colpito dalla bellezza del reale. Ciò richiede una viva affezione, una generosità commossa da parte dell’insegnante, che muove dall’avere “pensieri vivi” tra cui la fiducia nella corrispondenza amorevole dell’allievo. L’azione dell’educare, dell’insegnare educando, è precisamente un’azione generatrice proprio perché in grado di smuovere quella forza invincibile che rende la vita viva. 62 Seneca ricorda che i Greci chiamano chrias le massime che i bambini venivano sollecitati a ripetere come ritornelli (S ENECA 2008, 33, p. 175). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 176 Parte Seconda NARRAZIONE DI ESPERIENZE DIDATTICHE giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 177 179 Presentazione La narrazione delle esperienze didattiche rappresenta una fonte rilevante per comprendere come i giovani allievi della Formazione Professionale si avvicinano alla cultura così come proposta dai loro formatori. Si tratta del punto di vista vissuto sul campo che corrisponde a quella che Donald Schön ha definito come la seconda veste del professionista, quella derivante dalla pratica reale, spesso divergente rispetto alla definizione canonica. Similmente, nel confronto con le sfide quotidiane, l’insegnante ricorre non solo alle fonti accademiche o ai libri di testo, ma tende a ricorrere all’intuizione ed all’improvvisazione che si apprende nel corso della pratica, elaborando una nuova epistemologia della pratica professionale fondata sulla “riflessione nel corso dell’azione” (Schön 1993). La formazione ricevuta in prevalenza dalla gran parte dei docenti nel proprio percorso di studi delinea un processo di apprendimento di tipo didattico centrato sui contenuti forniti secondo una struttura progressiva definita dall’epistemologia delle discipline così come si è consolidata nel rapporto tra università e scuola e si è codificata entro i libri di testo, il documento guida dell’insegnamento. La riflessione sulle pratiche reali ci permette invece di cogliere l’emersione di un’accezione della didattica più vicina al significato originario del termine che indicava una partecipazione viva dei discepoli alle attività di insegnamento. A questo proposito, occorre precisare che, sebbene nel mondo ellenico il termine didàskein indicava vari tipi di insegnamento centrati sul mostrare fatti e proporre esperienze, sulla narrazione didascalica (come nel poema di Esiodo Le opere e i giorni), sul dialogo grazie al quale il maestro sollecita i suoi discepoli a far emergere le conoscenze che ha già dentro di sé (la maieutica di Socrate), sull’emulazione appassionata degli eroi epici al fine di acquisirne le virtù (come per l’Iliade e l’Odissea di Omero), con la modernità e l’istituzione delle scuole organizzate in istituzioni specifiche secondo il principio enciclopedico, il termine “didattica” subisce una decisa restrizione, divenendo l’aggettivo che qualifica il tipo di lavoro dell’insegnante disciplinare che ha il compito di fornire un insieme ordinato e progressivo di contenuti ai suoi studenti i quali li acquisiscono mediante l’ascolto attento e silenzioso, lo studio individuale e la ripetizione nelle attività di verifica. Le pratiche educative che cercano di superare le aporie della didattica inerte, che si muove entro una relazione rigida insegnante-allievo, tendono a proporre un approccio “gustoso” alla conoscenza. Volgere l’insegnamento sul piano del gusto significa adottare indirettamente la chiave epistemologica nell’insegnamento in quanto strumento di chiarificazione ed organizzazione strutturata del sapere, ma iniziare da ciò che attrae, che colpisce l’interlocutore al fine di mobilitarne le risorse intrinseche. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 179 180 Abbiamo voluto realizzare un duplice intervento, riferito al contesto del CNOSFAP Piemonte: in primo luogo un focus group con alcuni formatori degli assi culturali e successivamente la richiesta fatta a loro di elaborare un testo riflessivo circa la loro pratica professionale. L’approfondimento con i formatori del CNOS-FAP Piemonte Il focus group Il 15 gennaio del 2015 si è svolto presso la Sede Regionale del CNOS-FAP Piemonte un incontro con un gruppo di formatori degli assi culturali per comprendere come impostano nella realtà concreta delle classi il loro insegnamento. Ecco la presentazione di quanto emerso. Lingua italiana È la prima volta che ho un corso triennale completo su tutti e tre gli anni, un corso di cucina, così potrò formarli “ad immagine e somiglianza”. A loro piace ascoltare, hanno anche imparato ad alzare la mano per chiedere chiarimenti sulle parole. Leggere ad alta voce serve perché in questo modo arricchiscono il vocabolario. Inoltre provano il piacere di ascoltare, proprio loro che hanno sempre pensato che sia noioso e che leggere è una punizione. La reazione positiva si ha quando ciò che leggi è vicino alla loro realtà. Leggo brani di un romanzo ogni settimana. È importante far capire, e per questo occorre teatralizzare, rispettare le pause così che imparino il tono dell’ascolto, a stare in silenzio. Ci sono sempre più ragazzi in difficoltà per disturbi specifici, ma in generale vi è un calo della capacità di lettura, quindi non bisogna far leggere a loro perché stentano, fanno errori e gli altri ridono. Pur con questi presupposti critici, dopo un po’ che leggi si comincia a sentire quel silenzio attento, ma capita se leggi qualcosa che riguarda il loro mondo. Nelle prime leggo di Stefano Benni Pronto soccorso e beautycase , attira perché ha le parolacce, che leggo mettendo il beep, ed una storia divertente. Inoltre è comico, così i ragazzi capiscono che leggere non è sempre una noia mortale. Piano piano alzo il tiro. Ho fatto scaricare i Promessi sposi sul cellulare perché in casa non ce l’ha nessuno. Abbiamo letto qualche episodio adatto a loro come la monaca di Monza, Don Abbondio e i bravi, naturalmente traducendo il testo in italiano. Uno ha detto: “prof, come i mafiosi adesso”. Naturalmente deve prima piacere a te: se leggi qualcosa che non ti piace si capisce. Funziona il surrealismo, Wonder di Palacio che parla di un ragazzo con una disabilità, un testo che cattura anche ragazzi che non ne vorrebbero sapere. Leggo da mezz’ora ad un’ora la settimana, a volte è quasi un premio perché gli allievi lo chiedono: “andiamo avanti con il libro?”. Per passare a leggere autonomamente chiedo loro di scegliere un libro per l’estate comunicando prima il titolo scelto, che poi presentano alla classe. Non chiedo il riassunto, ma di spiegare alcune parti, riprendendo le citazioni che li hanno colpiti. In terza fanno invece un video presentangiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 180 181 do un libro come fosse una recensione, citando sempre le parti salienti. Nei corsi grafici elaborano delle immagini che poi presentano alla classe spiegandole e indicando i brani cui si riferiscono. Indirettamente, la lettura dei libri aiuta non solo ad ampliare il lessico, ma anche ad apprendere la grammatica, visto che una didattica tradizionale con i ragazzi di lingua italiana non funziona, anche se un po’ va fatta per le prove INVALSI. Piuttosto interveniamo sugli strafalcioni che sono la conseguenza del non aver acquisito gli automatismi negli anni precedenti di scuola. Una cosa è certa: chi legge di più fa meno errori, ma serve un impegno di lettura piuttosto consistente, ci vuole più esercizio, mentre loro non si esercitano, ed arrivano da un percorso dove non hanno mai letto. Solo Geronimo Stilton, che hanno letto ancora alla scuola primaria. Dopodiché più nulla fino alla Formazione Professionale. Altri testi che vengono utilizzati con successo nelle classi: Anche Io e te di Ammaniti, Bianca come il latte, rossa come il sangue di D’Avenia, Per questo mi chiamo Giovanni di Garlando, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ma questo è più difficile. Pure la saga degli Hunger Games che propone una storia fantastica che li sollecita. Ma piacciono anche Il piccolo principe, Orgoglio e pregiudizio, oltre a Ma le stelle quante sono di Giulia Carcasi, Colazione da Starbucks, Ti chiami lupo gentile, Ho sognato la cioccolata per anni. Quando si chiede loro di scrivere qualcosa sul libro che hanno letto, all’inizio sono in difficoltà e provano con il taglia-incolla, ma quando ingranano non smettono più. Capiscono che i loro sentimenti sono condivisi da altri, trovano le parole e le immagini per dirli, scoprono un mondo affascinante in un ambito, la letteratura, sul quale hanno sempre trovato difficoltà e noia. Si rendono conto che la cultura è qualcosa di interessante ed imparano ad esprimere quello che la lettura sollecita in loro. Si giunge poi a dei momenti magici in cui è come se tutti quanti entrassero in sintonia, quando ciò che viene detto tocca un tasto speciale che tutti sentono: in quel momento non c’è più la risata, ma un’attenzione seria e concentrata. In una classe di acconciatori, ho scelto di leggere un libro sul filone sentimentale, dopo di che due terzi delle allieve hanno preso il libro ed hanno poi chiesto di continuare sullo stesso filone. Invece in cucina non vanno bene i testi troppo sentimentali. È meglio una classe mista, rispetto a solo maschi o solo femmine. Ma quelli dell’altro sesso non devono essere pochi, altrimenti si isolano e si proteggono tra di loro. Quindi, rispetto ai generi letterari, conta molto il sesso che prevale in classe. Le alchimie delle classi però non si ripetono mai. Vai a tentativi, è un percorso che inizi e scopri poco per volta, poi devi modificare, recuperare gli esclusi, ma è un continuo conoscersi reciprocamente. Poi accadono cose che non ti aspetti, sei tu che devi stare dietro a loro, fino a che capisci che non basti più quando ti chiedono: “ha letto quel libro, prof?”, e tu non l’hai letto. Il punto cruciale sta nel far scoprire loro che hanno le capacità per poter affrontare la letteratura. Quando riescono, non c’è solo la soddisfazione del sentirsi “alla pari” con gli altri, ma provano il gusto del libro, lo scoprono come un’esperienza nuova, contrastante con l’atteggiamento precedente. Diversi poi desiderano continuare a studiare con il quarto anno per poi passare al diploma. Nelle quinte degli istituti professionali, spesso i nostri sono tenuti in giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 181 182 classi ghetto, considerati come gli ultimi della scuola. Ma hanno molto più spirito di adattamento. All’inizio sono considerati gli ultimi perché possiedono meno nozioni degli altri, ma spesso recuperano in fretta perché hanno una marcia in più, sanno cavarsela, tanto che un preside ha detto che quella composta dai nostri ex allievi è una delle classi migliori che hanno: gli insegnanti dicono che è un piacere andare ad insegnare, sono allievi tutti motivati e recuperano in fretta le nozioni che non possedevano. Soprattutto hanno un metodo migliore nell’affrontare i compiti scolastici. Un discorso a parte va fatto per i biennali: sono un equivoco perché non ci sono i prerequisiti dell’obbligo di istruzione mentre si fa finta che li possiedano. Inglese L’inglese anche sul piano didattico è molto migliorato. Serve molto l’uso pratico della lingua come strumento di comunicazione, mentre l’approccio centrato sulla grammatica e la parte formale della lingua richiede un lavoro più ampio e diverso che non si può fare nella Formazione Professionale: qui gli allievi arrivano convinti di non essere capaci di apprendere. Facciamo una didattica per conferenze, con un legame con la parte professionale. Ad esempio gli elettrici affrontano le nuove normative, facendo un lavoro di squadra con i colleghi, al massimo quattro o cinque, altrimenti c’è confusione di stili. Se c’è questa struttura si ha più successo, altrimenti si viaggia da soli. Facciamo una conferenza anche con altri allievi della scuola, sulla base di un tema concreto ed utile, un lavoro che mira ad un prodotto da fornire anche a ragazzi più grandi di loro, ai quali esporre ciò che si è elaborato, sapendo poi rispondere alle loro domande. In questo modo riscoprono l’uso della lingua, provando a creare qualcosa, per poi confrontarsi prima nella propria classe per vedere se funziona oppure se il gruppo ride, segno inequivocabile della necessità di cambiare. Questo metodo collaborativo funziona, è come un allenamento, anche se accade nel minor numero dei casi, e quindi nella maggioranza ti trovi da solo. Se avvicini la classe con il taglio della scuola, ti guardano come se tu non avessi capito, ti spiegano cosa è importante nella vita. Quando si fidano, allora si mette in moto una storia positiva. Alla base di tutto c’è la relazione, nel momento in cui scoprono che tu in loro credi, non per convincerli, ma perché ci credi davvero, non solo a parole ma anche nei fatti. Quando ottengono un successo, non è raro che si stupiscano di loro stessi, come in una verifica di inglese, un ragazzo che ha preso sette mi ha detto: “prof, si è sbagliata!”. Loro si credono i più stupidi degli altri, questa è la loro sicurezza. Per fargli cambiare convinzione, è decisivo avere dei colleghi con cui collaborare, che puntano sullo stesso stile e che condividono il cammino per gradi di maturazione. Storia La storia la trasformo in un racconto, anche utilizzando il bieco pettegolezzo. La storia si presta al racconto, mi aiuta il passato di archeologa perché parlo di scavi, gli porto un vaso, gliela rendo un po’ più presente. A volte puoi fare riferimento a qualche film giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 182 183 storico, ma è molto utile realizzare un tuo book come quello che ho elaborato, centrato sul viaggio nella storia, partendo dall’antichità per poi affrontare il Medioevo e così via. Poi occorre proporre lavori di gruppo su alcuni avvenimenti rilevanti, infine una verifica sulle tappe fondamentali del percorso storico, utilizzando anche gli aspetti specifici come nel caso del cibo che si presta bene a presentare i costumi di vita nelle diverse epoche. Sono utili quindi temi specifici, collegati ai settori professionali, come chiave di accesso al senso storico. Per questo possono contribuire anche le altre discipline, come la matematica e le scienze che forniscono un quadro storico del loro sapere, aiutando i ragazzi a cogliere il legame che insiste, ad esempio, tra le scoperte matematiche e la dimensione economica. È importante contestualizzare per poi far cogliere loro i legami con i processi storici di fondo. Ma anche qui serve un lavoro comune tra formatori. Matematica Insegnare la matematica a questi ragazzi è come lanciare un sasso che crea cerchi concentrici che poco a poco riescono a coinvolgere tutti. Alcuni acquisiscono competenze di base pregevoli, con classi con alunni con otto e nove in matematica. Occorre trovare un riferimento reale, e puntare sulla loro capacità di sapersela cavare. All’inizio della mia carriera ho insegnato nelle scuole. Un tempo esisteva il programma, e l’ho seguito per tanti anni non chiedendomi mai né il perché né il come. Nessuno mi ha insegnato come fare. Poi sono passato alla FP, ed inizialmente era strutturata anche quella per programmi. Da una parte il laboratorio e dall’altra l’aula, ci si incontrava solo nel tempo del caffè. Poi ho cominciato a chiedermi a cosa serve ciò che insegnavo agli allievi ed ho lasciato fuori alcune parti perché non sarebbero mai state usate dai ragazzi, come le frazioni algebriche, oppure quelle espressioni di tre righe con la doppia linea di frazioni sopra e sotto, puri esercizi di complicazione, non di logica. Diversamente, le strutture matematiche sono estremamente importanti, ma non c’è bisogno di fargliele imparare ripetendole continuamente, serve invece stimolarli a comprenderle nella loro struttura logica. Questo è molto importante perché aiuta i ragazzi a capire le problematiche che incontrano, ad ideare il processo logico di interpretazione e di impostazione della soluzione, che va tenuto distinto dal processo meccanico. Con le tecnologie informatiche ed i sistemi esperti la parte meccanica non è più richiesta, tranne che per il controllo. Innanzitutto si nota nei ragazzi del primo anno molta apprensione nei confronti della matematica, quindi devi puntare da subito a scoprire il piacere di riuscire a fare qualcosa con le tue forze. Poi occorre puntare ad una sempre maggiore capacità di astrazione logica, per questo non bisogna mai accontentarsi di dire “questo si fa così perché occorre farlo”, ma va spiegato loro il percorso logico che gli propongo. È poi decisivo contestualizzare la matematica nella parte professionale con cui si lavora in comune, ma anche proporre la cultura matematica in chiave storica. Anche qui, come per la letteratura, si riesce a raggiungere quel silenzio magico che rivela l’estrema attenzione di tutti perché non vogliono perdere nessuna delle parole che stai dicendo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 183 184 Quando affronto un argomento che non hanno mai trattato, anche se abbastanza semplice come la statistica o la probabilità, sono molto più disposti ad apprendere anche la regoletta, mentre le cose che hanno già studiato in precedenza come la formula delle equazioni di secondo grado non se la ricordano mai. Forse perché è una novità e quindi ci si impegnano maggiormente. La statistica è per loro una cosa completamente nuova, quindi c’è più attenzione. La formula dello scarto quadratico medio se la ricordano. La chiave è la novità, un argomento non conosciuto per tutti azzera la paura di non riuscire che viene dagli insuccessi precedenti. Fatta naturalmente salva la differenza tra persone che ho davanti, la chiave di volta per il successo della matematica consiste nel rendere piacevole ed utile ciò che proponi. Ad esempio la trigonometria per la meccanica industriale, un tema veramente sfidante. Un allievo molto brillante era stato incaricato di svolgere un compito elevato. Gli altri se sono risentiti, allora ho dato il compito a tutta la classe. Ho spiegato a tutti alla lavagna il procedimento logico, gli ho proposto un esercizio con le coordinate per il programma. La persona dotata l’ha saputo svolgere autonomamente. I cinque-sei che si erano alterati hanno seguito il percorso spiegato e sono riusciti ad arrivare in fondo, del rimanente cinquanta per cento della classe, un gruppo ha appreso qualcosa mentre gli altri hanno vissuto la cosa come un fastidio, qualcosa di estraneo. Ciò significa che una parte dei ragazzi che vengono alla FP possiede un potenziale matematico che non viene sfruttato e che anzi è stato soffocato dalle esperienze scolastiche precedenti. Così, quando ho chiesto ad un allievo di venire alla lavagna, questo si è stupito perché non gli era mai capitato, essendo considerato poco intelligente. Sono ragazzi che dicono “ma perché ce lo spiega, tanto noi siamo quelli stupidi”. No, assolutamente. Lo vedremo insieme, avete solo bisogno di stimoli giusti. E poi i risultati vengono, purché li accompagni passo passo, gli fai capire e loro capiscono davvero. Basta scegliere un argomento interessante e rilevante come ad esempio il passaggio di calore, su cui puoi costruire moltissimi esercizi. L’obiezione di tutte le classi è quella dell’utilità. “Vado su internet e trovo l’alesaggio e la corsa: perché devo calcolarli?”. Così, oltre al discorso applicativo, punto molto sul fattore previsionale. Nella lezione occorre trovare esempi che siano percorribili dai ragazzi, e questo ti aiuta a far apprendere l’equazione. Argomenti tratti sia dalla parte professionale sia dalla vita quotidiana, come i quiz. La trigonometria non deve partire dall’astratto, dalla circonferenza trigonometrica, ma dal rapporto tra due lati, la tangente. Scoprono meglio la trigonometria quando sono sulle macchine utensili. Ma è un metodo che non si può seguire a sprazzi, richiede un impegno costante che una parte di ragazzi di adesso non riesce a tenere. Quando poni un quesito, un gruppo di allievi lo affronta per orgoglio e per sfida, magari andando a cercare su internet la soluzione. Ma una grossa fetta di ragazzi di fronte alla sfida sono abituati ad arrendersi. La gioia della conquista si è abbassata molto, e questo significa che chi insegna la matematica deve anche proporre un’educazione morale, una formazione del carattere. I libri di testo più utilizzati sono L’ora della matematica ed Elementi di matematica per istituti professionali di Mario Lepora. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 184 185 Scienze Scienze e fisica sono uno spasso in quanto possibilità di trovare agganci con la realtà, occasioni stimolanti per i ragazzi. Non ho mai trovato una classe con un ragazzo che non sia interessato almeno ad un esempio tra quelli proposti. Anche le leggi controintuitive – come i vasi capillari, la tensione di superficie, il principio di portanza – perché si prestano a dimostrazioni ancor più interessanti. Se la lezione fosse monca di connessioni con la realtà e la possibilità di dimostrazioni interessanti, non andremmo da nessuna parte. Ma non basta proporre un esempio per trarre fuori da questo le strutture generali del percorso logico, occorre poi chiedere ai ragazzi di trovare loro degli esempi in contesti diversi che siano risolvibili con lo stesso ragionamento, così essi acquisiscono un pensiero astratto. Però devi sempre stupire, stimolarli, rendere interessante la lezione (anche se questo può diventare alla lunga un limite perché debbo saper apprendere il sapere scientifico senza che ci sia necessariamente qualcuno che me lo rende interessante). Di conseguenza, ho abbandonato il libro di testo per organizzare la lezione in modo differente. Perché il fantasma della matematica come nemico è un’ossessione che ritorna ancora, quindi occorre dare continuità al metodo adottato la cui efficacia contro tale fantasma si vede solo lungo l’intero triennio. La lampadina si accende peraltro in tempi molto diversi, e non è detto che poi resti accesa quando più avanti si presenta una difficoltà maggiore. Come quando ti metti in testa di insegnargli i prodotti notevoli. A chi intende proseguire gli studi in quarta ed in quinta occorre offrire in anticipo una proposta differenziata sia con parti aggiuntive sia con gruppi distinti nelle stesse ore di formazione, oppure ambedue le soluzioni. Molto importante è il lavoro cooperativo, organizzando i gruppi in modo da garantire l’omogeneità e la presenza di un allievo che ha intuizioni e mezzi superiori agli altri. I gruppi lavorano su obiettivi comuni; non sono stabili, ma si creano e si disfano in base alle necessità ed ai progetti. Ci dev’essere anche un aspetto di gratificazione che abbiamo ottenuto in parte introducendo la patente a punti acquisibili per il voto di condotta, valorizzando la partecipazione e l’aiuto agli altri. Anche l’autovalutazione da zero a dieci è uno strumento importante, con la sfida di crescere di dieci punti all’anno. I concorsi vanno bene, ma è meglio se c’è più libertà di scelta responsabilizzando la classe, evitando che sia l’insegnante a prendere da parte i ragazzi ed incaricarli, perché succede che ci vanno solo gli “ammanicati”. Il libro di testo più utilizzato è Scienze integrate di Luca Mozzato, anche in versione ebook. Le schede riflessive Successivamente è stato chiesto loro di elaborare una scheda su cui scrivere quanto suggerito loro dall’ulteriore riflessione circa la propria esperienza professionale. Ecco le tre schede raccolte. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 185 186 Andrea Bergese è un formatore di materie letterarie e storia che insegna a Fossano. Quali sono le soluzioni che avete scoperto ed adottato nei corsi per rendere “viva” e gustosa, oltre che utile, la cultura per gli allievi della Formazione Professionale? Non so che cosa renda una lezione piacevole. Lo so come discente, non lo so come docente. Non ho solide certezze. Forse il non avere certezze è la prima cosa. Dichiarare di non averne. Usare il dubbio come metodo. Noto disappunto o astio nei confronti di insegnanti che “non possono essere criticati o messi in discussione”. L’umiltà, l’umiltà, l’umiltà: è tre volte importante. Il rispetto degli allievi, volere il loro bene per davvero e non solo perché ce lo ordina D. Bosco. Altro per rendere gustosa la lezione... Fare battute, certo. Essere un po’ politically uncorrect, pure questo aiuta. Qualche parolaccia ben piazzata, basta con l’ipocrisia dei beep o del “Caspiterina!” quando invece tutti si aspettano “cazzo!” Andare piano, usare metafore legate alla loro vita (ma spesso sono metafore che usano ciò che io credo essere la loro vita: a volte c’azzecco, altre volte capisco di aver allontanato la comprensione), usare la classe come microcosmo nel fare gli esempi (Es: quando mi dicono: “Io non faccio l’infame ” introduco il discorso mafia o altre tematiche di responsabilità civile cercando di far comprende che l’infame si dà la zappa sui piedi). Partire da ciò che accade o che entra nelle loro vite. “Sergio Mattarella? Chi è Sergio Mattarella?” Me l’hanno detto oggi... L’elezione del Presidente della Repubblica non entra nel loro universo. Essere clementi. Far capire che la clemenza se la possono guadagnare. Incazzarsi poco e spiegare, dopo, con calma, perché ci si incazza. Motivare le proprie decisioni, i propri voti, le proprie preferenze. Far capire che la vita è il risultato delle proprie scelte. Lasciare che loro facciano a me ciò che io faccio a loro. Ma far capire che non siamo amici. Spiegare cosa ci fa incazzare al massimo livello, ciò su cui saremo sempre intransigenti (ed esserlo, al momento in cui si verifica qualche fattaccio) e che cosa invece possiamo accettare. Sdrammatizzare. Far ridere. Massacrare di battute quello che fa il furbo. Accettare di lasciarli vincere. Vietare le discussioni di calcio e di tifo. Creare un proprio stile (già, il proprio stile..., ma come si fa?). Autoironia, tanta. Quali autori/brani/occasioni/ strumenti utilizzate? Talvolta vorrei citare De André, Cohen, Springsteen, Dylan, ma non ce n’è. A loro piace 2Pac Shakur, al limite Bob Marley. Difficile studiare la poesia con autori simili. Grazie alla LIM talvolta accade di arrivare ad argomenti inimmaginabili, con autori “alti” (Leopardi, Borges) o insoliti (monaci zen, S. Agostino...). Uso poco i libri di testo. Cerco di usare Internet, youtube, TED Conferences (ma occorre leggere i sottotitoli ad alta voce, spesso non ce la fanno a tenere dietro allo speaker). Raramente parto dal Vangelo o dalla Bibbia. Più spesso uso il quotidiano, o i loro dubbi. Chiedo, domando, cerco di far capire che sono curioso di conoscere come vivono. Cos’è che occorre soprattutto evitare? Evitare di schiacciarli. Quali suggerimenti proporreste per un formatore alle prime armi? Non cercare di impartire il sapere, ma dimostrare umiltà, comprensione, un pizzico di complicità. Tolleranza, pazienza, bontà (mi pare un glossario di virtù... va da sé che mica ci riesco sempre, eh). Far capire che se si è più “imparati” è solo perché si ha un’età più avanzata. Offrire loro – su un piatto d’argento – un paio di propri punti deboli affinché abbiano un appiglio cui aggrapparsi e uno strumento di rivalsa quando sono contrariati. UdA ne uso poche, le faccio solo quando sono proprio obbligato. Cerco di sviluppare la loro autonomia nello studio. Vorrei fare più lavoro di gruppo, talvolta penso sia utile, ma non mi viene naturale, sono più per la lezione frontale. Da due o tre anni ci arriva l’input di usare I-Pad nella didattica. Personalmente ho qualche freno o remora. Inoltre non ho l’I-Pad. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 186 187 Andrea ha allegato un testo sulla rivoluzione industriale perché lo considera paradigmatico: fornisce il testo, ma ciò che vuole che loro imparino non è quanto c’è scritto sopra, bensì le discussioni e riflessioni che quel testo – e gli altri – sviluppano all’interno dell’aula. È un esempio di strumentazione didattica che viene gestita entro uno stile di conduzione delineato volta per volta dal formatore, come lui stesso afferma: «Il più delle volte navigo a vista cercando di portare la classe verso le tematiche correnti o verso le materie di studio». Simona Del Mastro è una formatrice di inglese che insegna al CFP Rebaudengo Torino. Provo a dire brevemente quanto ho sperimentato in questi anni durante le ore di Inglese. Sono quindici anni che lavoro a contatto con i ragazzi della Formazione Professionale e ciò che mi sembra necessario premettere è quanto sia fondamentale ed imprescindibile la relazione con i ragazzi stessi, prima di qualunque altra cosa. L’incontro iniziale con un gruppo classe, qualunque sia l’unità formativa che si affronta, è quello decisivo. I primi anni ero convinta che l’atteggiamento fondamentale fosse il trasmettere sin da subito il senso di accoglienza verso ciascun allievo. Nel tempo ho compreso quanto ciò non fosse possibile senza dare sin da subito anche dei confini ben definiti su quali siano i comportamenti “corretti” da tenere e quali invece da evitare. I ragazzi che spesso accedono alla FP sono convinti di non essere all’altezza di affrontare un percorso formativo e non hanno acquisito le strategie necessarie per opporsi a tale convinzione. Per alcuni di loro emerge un disagio sommerso che si esprime attraverso il classico atteggiamento non curante di nulla e di nessuno, mentre per altri è forte il desiderio di affrontare un cammino professionale ma che non riesce ad essere supportato dalle competenze minime di base per apprendere in generale. Ecco che lo scoglio delle unità formative integrative (italiano, matematica, inglese,...) diventa sempre più evidente e difficile da superare. La reazione in entrambi i casi è la rinuncia iniziale o il “gioco di ruolo”: Studente vs insegnante! In base a quanto accennato sopra ritengo sia fondamentale il primo incontro con gli allievi e quanto, nei primi mesi, sia necessario costruire un senso di fiducia e quindi di relazione positiva fra le parti. Non esistono più barriere nell’apprendimento dal momento in cui il ragazzo si accorge che ha intorno persone che vogliono aiutarlo ad avere successo e che non lo giudicano o tantomeno recriminano su quanto sia il suo bagaglio di conoscenze fino a quel momento. Inoltre se guidato ed accompagnato anche nel percorso di crescita rispetto all’importanza delle regole e agli atteggiamenti di rispetto tra le persone i risultati arrivano ed anche in modo evidente. Fatta questa premessa, l’approccio che credo sia il più efficace nell’apprendimento della Lingua Inglese in un CFP sia il rendere “viva” la lingua stessa. L’insegnamento delle lingue straniere oggi si basa su questo approccio molto più che in passato e pertanto risulta essere semplice mettersi in gioco con i ragazzi in questo senso. Tutto il lavoro che si svolge stimola già di per se’ l’attivazione di quelle abilità che sono insite nella persona: la comunicazione (scritta e orale), la comprensione (scritta e orale). Se si aggiunge la variabile “contestualizzazione” nella realtà quotidiana il passaggio risulta ancor più semplice. Mi trovo spesso a chiedere agli allievi delle classi in cui opero, ottenendo risposte soddisfacenti, di lavorare sul concreto. Ad esempio, in un’unità di apprendimento intitolata “Viaggio a Londra” l’allievo, attraverso l’uso delle tecnologie, ha dovuto elaborare una presentazione (libera la modalità: video, ppt, a voce, scritta...) in cui mostrava all’insegnante, ai compagni ed ai genitori la pianificazione di un viaggio a Londra, dovendo spiegare i criteri di scelta e le modalità di ricerca nella selezione dei voli, degli alberghi e dei punti di interesse della città stessa. Partendo dalle informazioni ricavate dal web sino al calcolo del budget necessario per affrontare il viaggio stesso. Il tutto attraverso un elenco di siti predefiniti e forniti tutti in lingua. segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 187 188 In un altro caso è stato richiesto di descrivere in lingua inglese i luoghi più importanti e famosi da visitare di una capitale europea. Anche in questo caso la risposta degli allievi è stata al di sopra di quanto ci si potesse immaginare. L’allievo stesso ne è rimasto positivamente sorpreso; si è reso conto di quanto questa materia, che fino a quel momento diceva di averci mai capito nulla, era invece funzionale ed utilizzabile, anche se in forma semplice anche da lui! In conclusione credo che non ci sia cima irraggiungibile anche per un allievo del CFP se supportato, con amorevolezza e rispetto, in un cammino di crescita formativo ed educativo, da persone che per mestiere cercano e trasmettono al tempo stesso strategie concrete per affrontare la vita quotidiana e reale. L’evidenza di quanto il successo arrivi per questi ragazzi si evince dal senso di appartenenza che i ragazzi stessi vivono per la loro “scuola” alla fine del percorso formativo e dalla realizzazione sia lavorativa sia personale che molti dei ragazzi della FP raggiungono. Infine vi è il gruppo dei tre formatori dell’asse scientifico e matematico: Davide Busato, Valter Manzone (CFP Bra) e Michele Marchiaro (CFP Fossano). Quali sono le soluzioni che avete scoperto ed adottato nei corsi per rendere “viva” e gustosa, oltre che utile, l’area scientifica per gli allievi della Formazione Professionale? Inserire in un contesto storico-sociale gli argomenti che si affrontano (ad es. il passaggio dal sistema numerico romano a quello arabo: si contestualizza il momento della forte presenza dei “mori” in Spagna e delle relative nuove esigenze commerciali). Molto più semplice la contestualizzazione in campo fisico: il coefficiente di penetrazione aerodinamica delle automobili (CX). L’aumento della temperatura in una sostanza ed i relativi cambiamenti di stato per esemplificare funzioni con andamento rettilineo. Calcolo delle probabilità: lancio dei dadi. Numeri relativi: il proprio portafoglio gestito come credito/debito. Coinvolgimento dei compagni già in grado di farlo nella riproposizione degli argomenti a favore degli allievi che chiedono spiegazione, infatti il linguaggio risulterà, seppur più approssimato, verosimilmente più efficace. Questa modalità si traduce nell’utilizzo del “lavoro cooperativo” informale anche nel chiedere di affrontare situazioni/argomenti più complessi. Essere aperti al confronto in aula per valutare e valorizzare eventuali soluzioni alternative proposte da quella fascia di studenti particolarmente propositiva. Assegnare compiti adeguati alla situazione che si deve gestire (ad es. nelle classi terze, dividere in gruppi in base agli obiettivi – passaggio al IV anno del canale dell’istruzione – ed alle capacità dimostrate per affrontare lo stesso argomento a livelli diversi di approfondimento: equazioni lineari, equazioni fratte; disequazioni, sistemi di disequazioni; sistemi di disequazioni di primo grado risolti con un solo metodo; più metodi di risoluzione). Valorizzazione dell’allievo che dimostra progressi - anche parziali - di fronte al gruppo classe (“Bravo! Vedi che riesci a svolgere correttamente questo esercizio sulle rette perpendicolari”. Classe terza meccanica industriale, problema di trigonometria abbastanza complesso: riuscire a coinvolgere il maggior numero di studenti proponendo il quesito come una sfida che potrebbe ricapitare anche nel mondo del lavoro). Quali autori/brani/occasioni/ strumenti utilizzate? Utilizzo dei seguenti testi/strumenti: • L’ora della matematica (ed. Paravia) CNOS-FAP Fossano per tutti i corsi dell’obbligo di istruzione. • Elementi di matematica per gli istituti professionali (Ed. Petrini) vol. 1^-2^-3^ • Ipad Apple per la sperimentazione della classe 1^ CFP meccanica industriale (CNOS-FAP Bra). Cos’è che occorre soprattutto evitare? “Io sono quello che so. Voi (allievi) non mi potete suggerire nulla, potete solo imparare da me!”. “Non preoccuparti se non capisci adesso, capirai a tempo debito”. “Questo vedrai ti servirà, anche nella vita” senza naturalmente citare alcun esempio di utilizzo. segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 188 189 “Questi argomenti si devono fare perché sono nel programma”. Evitare di spiegare nel modo in cui vorrei sentire io, come formatore, una spiegazione. Probabilmente ho una modalità di acquisire le informazioni diversa dagli allievi dei CFP. Quali suggerimenti proporreste per un formatore alle prime armi? Le classi dei CFP sono TUTTE diverse tra loro, occorre quindi attivarsi per conoscere i ragazzi con i quali si lavora. Si devono poi calibrare gli obiettivi ed i tempi. Pur mantenendo un clima di serenità, occorre acquisire una certa autorevolezza: la battuta che alleggerisce o interrompe la lezione deve essere come una parentesi che si apre, ma che – dopo poco – si richiude. Essere aperti alle richieste o domande degli allievi, senza deviazioni da ciò che si è programmato di fare. Essere aperti a nuove metodologie didattiche e tecniche di lavoro. Accettare l’affiancamento di colleghi con più esperienza di insegnamento e cercare il confronto, o sfruttare i momenti di confronto, con i colleghi. Una riflessione sulle narrazioni dei formatori Il racconto di come il formatore affronta il suo lavoro, la classe, è molto istruttivo circa il modo in cui proporre – far apprezzare – la cultura ai giovani che studiano per realizzarsi nel mondo del lavoro. Dal focus group effettuato e dalle schede raccolte è possibile trarre le seguenti riflessioni. Come motivare: importanza della personalità della classe e dell’“estro insegnante” Il punto fondamentale che emerge da tutte le riflessioni riguarda la motivazione della classe. I formatori danno per scontato un atteggiamento pregiudizialmente indisponibile nei confronti della classica lezione frontale che si rivolge allo “studente medio” con un approccio impersonale e soprattutto basato sulla successione dei contenuti nella forma delle unità didattiche. La questione di fondo a cui essi debbono rispondere è “come portare gli allievi alla conoscenza” e le strade adottate indicano la necessità di evitare assolutamente un approccio meramente contenutistico e trovare ogni volta un percorso ad hoc, che i ragazzi possano sentire come una proposta fatta proprio a loro, in quel momento ed in connessione ad una narrazione ed un modo di procedere che contraddistingue la classe. Perché: «Le classi dei CFP sono TUTTE diverse tra loro, occorre quindi attivarsi per conoscere i ragazzi con i quali si lavora. Si devono poi calibrare gli obiettivi ed i tempi». Per questo diventa indispensabile l’intuizione del momento e persino l’estro, ovvero la capacità del formatore di disegnare un itinerario di studio non dato per scontato. Vi è come l’ansia di evitare che i ragazzi considerino ciò che viene loro proposto come un cibo preconfezionato cui loro si debbono semplicemente adattare, ma che si sentano effettivamente parte in gioco dell’“attività formativa in quanto avvertono che ciò che fanno è unico, rivolto espressamente a loro, qualcosa che li chiama ad una partecipazione giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 189 190 personale perché espressiva di quella che possiamo chiamare la “personalità della classe”. In questo modo, ogni classe diviene un microcosmo a sé stante co la sua storia, il suo stile, la sua complicità, in modo che nessuna assomiglia ad un’altra. La prima conseguenza di questo consiste nell’impossibilità di impostare il lavoro sul piano formale della successione dei contenuti delineati secondo l’approccio dell’epistemologia delle discipline: emerge l’importanza di adottare un codice affettivo, linguistico e metodologico carico di occasioni di implicazione da parte degli allievi. Il corredo indispensabile per un formatore capace di gestire questo stile di intervento non è costituito semplicemente dalla successione dei materiali didattici che si sono rivelati utili nel corso delle sue pratiche professionali come previsto dalla logica del progetto, ma è una sorta di mappa di navigazione di un mare che deve essere attraversato decidendo volta per volta la particolare rotta capace di cogliere i venti favorevoli, di scansare gli ostacoli, di graduare l’avanzamento sulla base di una decisiva capacità di intuizione di ciò che la classe sta vivendo. Egli deve saper teatralizzare la “lezione”, suscitare l’interesse e l’attesa degli interlocutori, scegliere i riferimenti più adatti, enfatizzare, variare i toni e le modalità della comunicazione. Non c’è niente di più indigesto per uno studente di un tono monocorde, quello di chi parla come se leggesse un brano dal manuale, un tipo di letteratura per sua natura noiosa e persino deprimente a causa dell’assenza di stimoli propri dei codici narrativi. Si potrebbe dire che il mondo dell’istruzione e della formazione ha assunto – che lo voglia o meno – il principio della centralità del cliente tipico dei servizi. Il cliente è sensibile, mutevole e financo capriccioso, ma nel contempo è capace di dedizione; siccome il suo apporto al processo di apprendimento e maturazione è indispensabile visto che non si può estorcere tramite i classici strumenti impositivi quali la norma, il potere ed il ricatto dei voti, non rimane che trovare una forma di intesa che possa rendere possibile un cammino formativo positivo. È il tema della fidelizzazione che si riscontra anche nelle aule, specie quelle della Formazione Professionale, composte perlopiù da allievi con una carriera scolastica non certo soddisfacente. Fidelizzazione significa capacità di delineare un rapporto stabile, non tanto amichevole quanto di consonanza costruita e rafforzata nel tempo. Se la risorsa fondamentale a disposizione del docente per il successo della sua opera è data dalla capacità di instaurare un rapporto consonante con la personalità della classe, e nello stesso tempo di favorire e consolidare questa stessa identità, la precondizione per un lavoro formativo efficace è data proprio dalla possibilità che la classe non sia solo un amalgama malriuscito di individui e piccoli gruppi, magari centrati su interessi di “compagnonismo” o comunque estranei allo scopo della formazione, ma che presenti una vera e propria “personalità collettiva” peculiare tale da costituire un fattore identitario ulteriore rispetto alla vicenda individuale ed a quella propria delle compagnie giovanili. Per questo un formatore afferma a buona ragione, dopo che gli è stata offerta la possibilità di seguire per tre anni di seguito la stessa classe, che “potrò formarli ad immagine e somiglianza”. Il feeling con la classe, una volta instaurato, costituisce un capitale fiduciario di grande valore, lo sfondo di consonanza ed affezione indispensabile perché ciò che il formatore progiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 190 191 pone possa essere assunto nel giusto modo dagli allievi e consentire un lavoro proficuo. Di conseguenza, il turnover dei docenti costituisce un grave handicap poiché conduce alla dissipazione di questo capitale, riporta la classe nell’atteggiamento scostante, diffidente e poco disponibile, impone nuovi e dispendiosi (dal punto di vista delle risorse emotive e del tempo necessario) processi di implicazione da parte dei nuovi insegnanti. È possibile che il singolo insegnante possieda un suo proprio capitale reputazionale e che questo lo prevenga prima dell’ingresso nella nuova classe disponendo anticipatamente gli allievi in modo positivo nei confronti del suo lavoro, ma va anche detto che nessuno può semplicemente “permettersi di fare lezione” sulla base della sola considerazione del successo ottenuto nelle precedenti esperienze formative, perché ogni volta deve rimettersi in gioco come fosse la prima, e non può barare fingendo un sentimento di disponibilità ed interesse che in realtà non avverte; ciò motiva l’ingente investimento necessario per farsi accettare nella classe, per operare sulle relazioni tra singoli e sottogruppi, al fine di ottenere una positiva disposizione nei confronti della sua proposta. Questo investimento, che non può limitarsi alla fase di accoglienza, ma richiede una disponibilità emotiva ed un reale interesse che accompagna passo passo il percorso degli studi, da un lato spiega il grande dispendio di energie richiesto agi insegnanti e la necessità di dedicare uno sforzo rilevante nei primi tempi della vicenda della classe allo scopo di sollecitare la formazione di quella positiva personalità che costituisce lo sfondo indispensabile di ogni intervento formativo. È ancora l’insegnante di italiano che afferma: «Le alchimie delle classi però non si ripetono mai. Vai a tentativi, è un percorso che inizi e scopri poco per volta, poi devi modificare, recuperare gli esclusi, ma è un continuo conoscersi reciprocamente». Certamente, la considerazione dell’importanza dei fattori emotivo-relazionali e simbolici – ciò che Talcott Parsons chiamava i “fattori latenti” dell’organizzazione (2001) ad indicare i processi di identificazione sottesi alle norme formali – può mettere in secondo piano la questione dei contenuti e dei necessari processi intellettivi che consentono agli allievi di avvalersene in modo effettivo o “autentico”. In questi casi, si può dire effettivamente che l’insegnante finisce per confondersi con l’animatore, e che gli obiettivi di socializzazione prevalgono su quelli più decisamente formativi legati a saperi consistenti. L’approccio della FP punta a mobilitare non solo le risorse dei singoli allievi, ma anche quelle del gruppo e della classe che diventano “educatore implicito” ed alleati dei formatori. L’evidenza di questo “si evince dal senso di appartenenza che i ragazzi stessi vivono per la loro ‘scuola’ alla fine del percorso formativo e dalla realizzazione sia lavorativa sia personale che molti dei ragazzi della FP raggiungono”. La personalità del formatore e le sue doti morali L’allievo, o meglio la classe come entità dotata di una sua propria personalità, dedica a sua volta notevoli energie allo studio degli insegnanti, non solo in rapporto agli aspetti fisici (che spesso sono oggetto di gustose imitazioni prodotte naturalmente nelle ore in cui sono presenti altri docenti), ma soprattutto a quelli morali da intendere come giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 191 192 stile di lavoro e investimento emotivo, di tempo e di stimoli didattici che essi profondono nel loro lavoro. La classe sottopone un nuovo docente ad un esame piuttosto rigoroso e dall’esito di questo dipende il tipo di investimento – o disinvestimento – che porrà in atto. Occorre ricordare che gli adolescenti sono portatori di un atteggiamento morale molto rigido, in base al quale basta poco per distruggere una reputazione faticosamente conquistata. La questione centrale è costituita non già da come il formatore si atteggia, bensì da come è come persona, ed i ragazzi possiedono un sesto senso infallibile per cogliere il modo in cui il loro interlocutore affronta il suo compito, se come un mercenario oppure come qualcuno che davvero desidera proporre qualcosa di importante per la loro vita. Infatti, una formatrice di italiano afferma: «Naturalmente deve prima piacere a te: se leggi qualcosa che non ti piace si capisce». Serve un ingaggio positivo entro una relazione che rivela un’affezione sincera da parte dell’insegnante: «Quando si fidano, allora si mette in moto una storia positiva. Alla base di tutto c’è la relazione, nel momento in cui scoprono che tu in loro credi, non per convincerli, ma perché ci credi davvero, non solo a parole ma anche nei fatti». Serve soprattutto umiltà: «Non ho solide certezze. Forse il non avere certezze è la prima cosa. Dichiarare di non averne. Usare il dubbio come metodo. Noto disappunto o astio nei confronti di insegnanti che ‘non possono essere criticati o messi in discussione’. L’umiltà, l’umiltà, l’umiltà: è tre volte importante. Il rispetto degli allievi, volere il loro bene per davvero e non solo perché ce lo ordina D. Bosco». In questo senso, umiltà significa non far pesare agli allievi la propria preparazione, ma mettersi in dialogo con loro in modo da consentirgli di raggiungere da sé il sapere, senza esibirlo né imporlo, “evitare di schiacciarli”. Infatti lo stesso formatore ci ricorda la necessità di: «Sdrammatizzare. Far ridere. Massacrare di battute quello che fa il furbo. Accettare di lasciarli vincere». Sempre lo stesso formatore qualifica ulteriormente il quadro delle virtù necessarie: «Non cercare di impartire il sapere, ma dimostrare umiltà, comprensione, un pizzico di complicità. Tolleranza, pazienza, bontà. Far capire che se si è più ‘imparati’ è solo perché si ha un’età più avanzata. Offrire loro – su un piatto d’argento – un paio di propri punti deboli affinché abbiano un appiglio cui aggrapparsi e uno strumento di rivalsa quando sono contrariati». Umiltà, per i nuovi formatori, significa: «Essere aperti a nuove metodologie didattiche e tecniche di lavoro. Accettare l’affiancamento di colleghi con più esperienza di insegnamento e cercare il confronto, o sfruttare i momenti di confronto, con i colleghi». Occorre inoltre simpatia, che vuol dire mettersi nei panni degli allievi, cercare di capire cosa passa nella loro testa e come fare per accompagnarli passo passo nel cammino della conoscenza: «Non esistono più barriere nell’apprendimento dal momento in cui il ragazzo si accorge che ha intorno persone che vogliono aiutarlo ad avere successo e che non lo giudicano o tantomeno recriminano su quanto sia il suo bagaglio di conoscenze fino a quel momento». Mentre nella formula canonica l’insegnante chiede allo studente di entrare nel suo mondo, il metodo che emerge dalle testimonianze dei formatori della giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 192 193 FP si qualifica come relazione di fiducia non deturpata dal giudizio sulle lacune che gli allievi presentano, ma valorizzante, capace di trasmettere incoraggiamento e convinzione di potercela fare. Simpatia vuol dire assenza di pregiudizi circa le capacità intellettuali e morali degli allievi, spesso descritti dalle scuole precedenti come persone con scarse doti ed ancor minore disponibilità a porsi in modo corretto in un ambiente formativo. La convinzione che muove il formatore è che: «non ci sia cima irraggiungibile anche per un allievo del CFP se supportato, con amorevolezza e rispetto, in un cammino di crescita formativo ed educativo, da persone che per mestiere cercano e trasmettono al tempo stesso strategie concrete per affrontare la vita quotidiana e reale». Occorre “autoironia, tanta”. È la levità dei medievali, proposta da San Tommaso con la nota virtù della eutrapelia, vale a dire la qualità degli uomini civili, dotati di uno spirito malleabile e versatile. Non la rozzezza tanto diffusa nei contemporanei che si presenta come contrasto stridente tra l’esagerata cura di sé e l’intolleranza nei confronti degli altri, ma la capacità di condursi bene nella società con garbo e cortesia, in modo moderatamente spiritoso. Il formatore deve essere un individuo con una personalità distintiva, deve: «creare un proprio stile (già, il proprio stile..., ma come si fa?)». Come dice Dewey: «Uno deve avere esperienze, deve vivere, se la sua arte deve essere qualcosa di più di un risultato tecnico. Egli non può trovare l’argomento della sua attività artistica nella sua arte; questa deve essere un’espressione di quel che egli soffre e gode in altre relazioni, e questo dipende a sua volta dalla prontezza e dalla vivezza dei suo interessi. Ciò che è vero per un artista, è vero anche per qualsiasi altra forma speciale di attività» (Dewey 2004, p. 341). Il formatore non deve obbligarsi ad essere diverso da quello che è. Così come ogni classe è diversa dalle altre anche ogni formatore è unico ed irripetibile. Non esiste un modello di “bravo formatore” a cui conformarsi, perché la dote fondamentale per avere successo con i giovani, e con quelli della FP in particolare, consiste nel possedere una personalità distintiva, non finta né omologata. Personalizzazione è un principio pedagogico dotato di reciprocità: vale per i ragazzi e nel contempo vale per i formatori; ma vuol dire che, con il procedere del cammino della conoscenza, ognuno dei soggetti in gioco apprende qualcosa di ulteriore al fine della conoscenza di sé. Il gusto del sapere invece del “canone del dolore”. La regola come obiettivo correlato Il caso della letteratura è eclatante: ragazzi che non hanno più letto nulla dai tempi di Geronimo Stilton, quando si rendono conto del gusto e del valore della lettura e della trasposizione scritta di ciò che hanno conquistato, “capiscono che i loro sentimenti sono condivisi da altri, trovano le parole e le immagini per dirli, scoprono un mondo affascinante in un ambito, la letteratura, sul quale hanno sempre trovato difficoltà e noia”. Lo scopo decisivo dell’insegnamento è costituito dal senso della cultura, inteso come apprezzamento di ciò che si apprende in quanto è potuto diventare parte sensibile della propria esistenza, accrescendo l’amore della vita. Essi: «Si rendono conto che la cultugiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 193 194 ra è qualcosa di interessante ed imparano ad esprimere quello che la lettura sollecita in loro». Il segnale che si è raggiunto questo “momento della verità” è dato dall’attenzione, veri e propri “momenti magici in cui è come se tutti quanti entrassero in sintonia, quando ciò che viene detto tocca un tasto speciale che tutti sentono”. Il beneficio di un approccio centrato sul gusto della cultura si vede anche nella disciplina, come afferma la formatrice di italiano: «A loro piace ascoltare, hanno anche imparato ad alzare la mano per chiedere chiarimenti sulle parole»; improvvisamente la classe diventa attenta, con il silenzio di chi non vuol perdere nulla di ciò che viene detto: «Dopo un po’ che leggi si comincia a sentire quel silenzio attento, ma capita se leggi qualcosa che riguarda il loro mondo». Inoltre i ragazzi, una volta conquistati dalla lettura, sono più disposti ad un impegno da parte loro più consistente e continuo, basato sull’esercizio del leggere e del tradurre ciò che si è compreso in uno scritto sempre più sgombro da strafalcioni e quindi più corretto. Il punto centrale del metodo è ben esposto dalla formatrice di inglese: «Se avvicini la classe con il taglio della scuola, ti guardano come se tu non avessi capito, ti spiegano cosa è importante nella vita». Ed è comunque un atteggiamento fondato sulla simpatia, altrimenti i ragazzi nemmeno ti degnano di una spiegazione circa come “le cose funzionano nella realtà”. Anche con la storia vale lo stesso principio: «La trasformo in un racconto [...] perché la storia si presta al racconto, mi aiuta il passato di archeologa perché parlo di scavi, gli porto un vaso, gliela rendo un po’ più presente», ed anche qui si coglie il valore dell’approccio gradevole, la capacità di attrarre i ragazzi sui fatti storici tramite le narrazioni, ma anche la descrizione della vita quotidiana, la visualizzazione ed immaginazione del passato resa possibile dalla presentazione degli oggetti propri dell’epoca. La matematica è la disciplina che maggiormente viene incolpata di sostenere la bandiera dell’“apprendimento per dolore”; il formatore di cui si documenta l’intervento nota: «Nei ragazzi del primo anno molta apprensione nei confronti della matematica, quindi devi puntare da subito a scoprire il piacere di riuscire a fare qualcosa con le tue forze », per poi puntare ad una progressione che stimoli nei ragazzi una sempre maggiore capacità di astrazione logica; il segreto sta nel fornire continuamente le ragioni del percorso logico proposto e nell’accompagnare gli allevi a condursi senza dare in anticipo le soluzioni, ma incoraggiandoli e suggerendo loro i criteri per poterle conquistare personalmente nel gruppo. Anche la sfida rappresenta una freccia per l’arco dell’insegnante, come nel caso indicato dal formatore di matematica che ha suscitato involontariamente un sentimento di esclusione di una parte della classe avendo proposto un compito più rilevante ad un allievo molto brillante; questo risentimento ha spinto un buon gruppo a voler svolgere lo stesso compito che, con l’aiuto dell’insegnante ha portato ad esiti positivi. Ma va ricordato, di contro, che lo stimolo degli allievi fondato sulla sfida e quindi sull’orgoglio non vale per la maggioranza di loro perché: «Una grossa fetta di ragazzi di fronte alla sfida sono abituati ad arrendersi. La gioia della conquista si è abbassata molgiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 194 195 to, e questo significa che chi insegna la matematica deve anche proporre un’educazione morale, una formazione del carattere». Di nuovo si rileva la circolarità tra la didattica e l’educazione, con il formatore posto nella posizione di chi indica non solo un sapere utile, ma anche un modo di vita più autentico centrato sulla libertà e la valorizzazione dei talenti. Potrebbe succedere che il desiderio di farsi sentire vicini agli allievi porti con sé una dissolvenza della figura dell’insegnante, come ci ricorda la formatrice di inglese: «I primi anni ero convinta che l’atteggiamento fondamentale fosse il trasmettere sin da subito il senso di accoglienza verso ciascun allievo. Nel tempo ho compreso quanto ciò non fosse possibile senza dare sin da subito anche dei confini ben definiti su quali siano i comportamenti ‘corretti’ da tenere e quali invece da evitare». La regola e la corretta disciplina costituiscono infatti, accanto alla promessa di apprendere facendo ed apprendere con gusto, uno dei fattori decisivi di un “patto formativo” rispettoso della relazione formatore-allievo che non va trasformata in complicità e compagnonismo, ma si muove nel rispetto dei ruoli reciproci e dello scopo dello stare insieme: non si tratta di trascorrere del tempo piacevolmente, come diceva Cristina a Michele nel film Ecce Bombo: «...giro... vedo gente... mi muovo... conosco... faccio delle cose...», ma di permettere ai giovani di conquistare un’autentica conoscenza che costituisca un patrimonio prezioso per la loro vita di oggi e di domani. Perché: «Pur mantenendo un clima di serenità, occorre acquisire una certa autorevolezza: la battuta che alleggerisce o interrompe la lezione deve essere come una parentesi che si apre, ma che – dopo poco – si richiude. Essere aperti alle richieste o domande degli allievi, senza deviazioni da ciò che si è programmato di fare». La regola e la disciplina che le è indissolubilmente connessa, infatti, sono obiettivi da perseguire contemporaneamente all’ingaggio fiducioso finalizzato ad instaurare una relazione positiva tra formatore ed allievo: «Se guidato ed accompagnato, anche nel percorso di crescita rispetto all’importanza delle regole e agli atteggiamenti di rispetto tra le persone i risultati arrivano ed anche in modo evidente». Superare l’ostacolo della disistima di sé derivante dalla precedente carriera scolastica L’esperienza del “poterci riuscire” è decisiva perché i ragazzi possano affidarsi fiduciosamente al percorso proposto dall’insegnante; si tratta della “pedagogia del successo”, tramite la quale l’allievo è accompagnato fino al punto in cui può trarre gusto e beneficio dal lavoro formativo, riuscendo così a superare il sentimento di incapacità e quindi di disistima che si porta dietro dalle esperienze scolastiche precedenti. L’insegnante di italiano lo afferma con chiarezza: «Il punto cruciale sta nel far scoprire loro che hanno le capacità per poter affrontare la letteratura. Quando riescono, non c’è solo la soddisfazione del sentirsi “alla pari” con gli altri, ma provano il gusto del libro, lo scoprono come un’esperienza nuova, contrastante con l’atteggiamento precedente». L’insegnante di inglese da parte sua conferma che: «Gli allievi arrivano convinti di non essere capaci di apprendere»; questa condizione non è del tutto sfavorevole, se è vegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 195 196 ro che, con il metodo della Formazione Professionale: «quando ottengono un successo, non è raro che si stupiscano di loro stessi, come in una verifica di inglese, un ragazzo che ha preso sette mi ha detto: ‘prof, si è sbagliata!’. Loro si credono i più stupidi degli altri, questa è la loro sicurezza». La convinzione di non essere portati per lo studio è sicuramente un ostacolo, ma occorre ricordare che a fianco di questa vi è sempre il desiderio di rivalsa che si appoggia sull’orgoglio. La sicurezza di non riuscire va combattuta e rimossa tramite l’esperienza del successo, con l’ausilio di tutti, entro un legame di lealtà favorevole al cammino che ci si propone. Il campo dove più frequente si manifesta la “sindrome dell’incapace” è quello della matematica: «ciò significa che una parte dei ragazzi che vengono alla FP possiede un potenziale matematico che non viene sfruttato e che anzi è stato soffocato dalle esperienze scolastiche precedenti». Dove si vede come la disposizione nei confronti del sapere determina in buona misura il reale accesso a questo. Non riuscire in questa disciplina significa essere stigmatizzati come “poco intelligenti”, e questa condizione viene espressa esplicitamente dai ragazzi: “ma perché ce lo spiega, tanto noi siamo quelli stupidi”. Al contrario, sono gli stimoli giusti la chiave per suscitare le capacità potenziali degli allievi, accompagnandoli passo passo, facendo capire loro le consegne ed i passaggi. È decisivo scegliere un argomento interessante, che non abbia troppo impresso lo stigma “matematico” e sfruttarlo sapendo trarre da esso tutti gli esercizi che può sollecitare. È anche un problema di linguaggio, oltre che di modo di disporsi nei confronti degli allievi. Giustamente, i formatori di matematica indicano come negative le seguenti frasi: «‘Io sono quello che so. Voi (allievi) non mi potete suggerire nulla, potete solo imparare da me!’. ‘Non preoccuparti se non capisci adesso, capirai a tempo debito’. ‘Questo vedrai ti servirà, anche nella vita’ senza naturalmente citare alcun esempio di utilizzo. ‘Questi argomenti si devono fare perché sono nel programma’». I compiti di realtà per un apprendimento “indiretto” La formatrice di italiano: «In terza fanno invece un video presentando un libro come fosse una recensione, citando sempre le parti salienti. Nei corsi grafici elaborano delle immagini che poi presentano alla classe spiegandole e indicando i brani cui si riferiscono». La metodologia adottata dalla formatrice di inglese è centrata invece sulle “conferenze”, un metodo tramite il quale la lingua inglese viene vista al servizio dell’area professionale: «Ad esempio gli elettricisti affrontano le nuove normative, facendo un lavoro di squadra con i colleghi». Ma la conferenza è una metodica utilizzata anche: «con altri allievi della scuola, sulla base di un tema concreto ed utile, un lavoro che mira ad un prodotto da fornire anche a ragazzi più grandi di loro, ai quali esporre ciò che si è elaborato, sapendo poi rispondere alle loro domande». La possibilità di collaborare in sintonia con i colleghi è decisiva al fine di moltiplicare gli effetti benefici dell’insegnamento: si apre qui la questione della comunità professionale dei formatori, del metodo cooperativo e della tematica dei compiti di realtà. Ad esempio, la formatrice di italiano ha colto l’importanza della lettura come megiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 196 197 todo efficace per l’ampliamento del lessico, ma anche per la grammatica perché, di fronte a ragazzi che mancano degli automatismi di correttezza linguistica propri di un percorso scolastico compiuto, occorre trovare un approccio diverso intervenendo sugli strafalcioni, fidando sull’assunto – confermato dalla prassi formativa – che “chi legge di più fa meno errori”. Un discorso a sé va fatto per l’inglese, una disciplina che ha potuto usufruire negli ultimi anni di un influsso positivo derivante dalla formazione degli adulti e dalla pedagogia anglosassone meno centrata sulla prevalenza della grammatica e più sulla comunicazione; infatti, la formatrice afferma che: «L’inglese anche sul piano didattico è molto migliorato. Serve molto l’uso pratico della lingua come strumento di comunicazione, mentre l’approccio centrato sulla grammatica e la parte formale della lingua richiede un lavoro più ampio e diverso che non si può fare nella Formazione Professionale». È un’impossibilità derivante dal percorso scolastico incompleto, esito a sua volta dell’irrigidimento degli insegnanti della secondaria di primo grado sul metodo proprio della “teoria dell’istruzione” che assimila l’attività scolastica alla costruzione edile e considera gli studenti senza prerequisiti come delle persone segnate da limiti personali e quindi non rivolge loro stimoli adeguati al fine di sollecitarne i talenti. Per l’insegnamento della matematica, in una Centro di Formazione Professionale si aprono molteplici occasioni di contestualizzazione nell’ambito dell’area professionale, oltre che – come abbiamo visto – proporre la cultura matematica in chiave storica: due valenze culturali che richiedono da parte degli insegnanti la disponibilità ad entrare in ambiti non canonici che però consentono, se bene intesi, di perseguire al meglio i propri obiettivi disciplinari. Lo sviluppo delle doti intellettuali favorito dal clima amichevole e cooperativo Ciò avviene in modo indiretto, come per l’apprendimento della correttezza linguistica che viene perseguita puntando sul piacere della lettura e della scrittura di quanto si è potuto acquisire con tale esperienza. Qui occorre ovviare alla mancanza delle acquisizioni linguistiche del percorso primario e secondario di primo grado, gli “automatismi” di cui parla la formatrice. Il processo intellettuale messo in moto non segue la formula binaria regole/esercizi, ma due tipologie differenti proprie della mente adulta: l’accrescimento lessicale derivante dalla frequentazione dei testi e la percezione simpatetica, fino a diventare una vera e propria struttura concettuale, della differenza tra strafalcione e formula linguistica corretta. La mente dell’allievo assume quindi una disposizione ad apprendere più simile ai procedimenti della nota formula “imparando ad imparare” di Novak e Gowin (2001) legata alla possibilità di adottare strategie alternative per aiutare gli studenti a imparare e gli insegnanti ad organizzare i contenuti oggetto di apprendimento; ma mentre questi due autori propongono dei supporti tecnici a ridosso del tradizionale processo di apprendimento, come la costruzione di mappe concettuali, la rappresentazione delle conoscenze mediante il diagramma a V, nelle esperienze della Formazione Professionale qui presentate sembra emergere un metodo più radicale: non vi è l’ossessione di ritornare indietro per colmare le lacune preesistenti, quel tipo di atteggiagiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 197 198 mento didattico che richiede agli allievi una sorta di “infantilizzazione” da cui non riusciranno mai ad uscire, essendo perennemente invischiati nello sforzo di “recuperare” le parti mancanti della loro preparazione scolastica. Ciò che si persegue nelle migliori e più convinte esperienze formative non è il metodo della retromarcia, ma un approccio centrato su una “progressione approssimativa” per aggiustamenti progressivi, stimolata dai compiti di realtà e dalla soddisfazione data dal fatto che l’allievo vede che ciò che acquisisce aggiunge o cambia significato a quello che già sa o fa, migliorando il suo modo di vedere le cose e di agire nella realtà. Dove il termine “approssimativo” non va inteso come mancanza di rigore ma come un modo intuitivo ed analogico di fronteggiamento dell’imperfezione che consente una correzione lungo il percorso che spesso avviene tramite il: «Coinvolgimento dei compagni già in grado di farlo nella riproposizione degli argomenti a favore degli allievi che chiedono spiegazione, infatti il linguaggio risulterà, seppur più approssimato, verosimilmente più efficace. Questa modalità si traduce nell’utilizzo del ‘lavoro cooperativo’ informale anche nel chiedere di affrontare situazioni/ argomenti più complessi». Così come l’insegnante non deve imporre la sua superiorità culturale chiedendo all’allievo semplicemente di aderire al suo mondo, ma fornendogli gli strumenti per conquistare personalmente (nell’ambito della comunità di classe) la conoscenza passo passo, accettando l’imperfezione e spingendo sempre più in avanti la capacità di rimediare ad essa, allo stesso modo occorre che l’imperfezione venga riconosciuta e fronteggiata dal gruppo che, nella logica dei pari, fornisce ai suoi membri – impegnati in un compito significativo e mobilitante – i mezzi per rimediarvi e procedere oltre verso l’obiettivo cui tendono. La pretesa di imporre all’educando di copiare l’insegnante impone non solo il prezzo dell’annullamento della sua personalità, ma anche dell’impossibilità di riconoscere le proprie doti di autoperfezionamento che non possono emergere se la verità che gli viene presentata è bell’è fatta e richiede solo di essere “ingurgitata” tutta intera. Il formatore è guida del “farsi” della conoscenza, non sentenziatore di verità. Detto meglio: una verità è tale non perché è orgogliosamente chiusa nella sua autoaffermazione, ma perché riferendosi al mondo reale e proponendosi all’esistenza dell’interlocutore come possibilità di miglioramento, si propone come stile e meta di un cammino da condursi insieme. Anche se questo punto non viene tematizzato esplicitamente, le riflessioni dei formatori convergono decisamente su un criterio metodologico fondamentale: essi esprimono la consapevolezza di come la mente dei loro ragazzi lavora e di come il sapere viene acquisito. Si tratta in effetti di un cammino reciproco dell’imparare e dell’insegnare che rende l’esperienza in classe un’avventura che vale la pena di affrontare perché se ne colgono i benefici. L’affezione che si instaura nella classe, sia nei confronti delle persone che dei saperi che via via si apprendono, unita alla consapevolezza di valere ottenuta producendo compiti di realtà e sollecitando riscontri negli altri circa la correttezza di quanto si realizza, creano un costume favorevole all’apprendimento che sollecita le doti attive della mente di questi ragazzi: il mettersi in gioco senza un’esagerata attenzione (almeno a livello preliminare) per la correttezza formale di ciò che si va producendo, la giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 198 199 capacità di correzione effettuata lungo il cammino, l’uso dell’approccio simpatetico là dove non può agire – per età e per struttura della mente – il meccanismo centrato sull’acquisizione puntuale delle regole tramite esercizi opportunamente ripetuti e variati e l’assimilazione del patrimonio lessicale tramite lo studio dei libri di testo. Si delinea una stimolazione dei processi intellettuali assolutamente non canonica, ma neppure estranea all’esperienza degli insegnanti dei cicli precedenti che ne fanno uso – anche loro piuttosto inconsapevolmente – accanto alle metodiche formali. Il processo di elaborazione intellettuale viene definito dall’insegnante di storia tramite tre passaggi: – la presentazione di un book elaborato dall’insegnante costruito suola scorta di una pista di accesso personale al sapere, in questo caso tramite la metafora del viaggio nelle varie epoche storiche, un approccio che consente all’allievo di identificarsi in una figura significativa dell’affresco storico: il viaggiatore-scopritore che attraverso le varie tappe del cammino storico prende consapevolezza dei quadri in cui via via si trova a vivere; – l’attività di elaborazione e di ricerca svolta tramite gruppi di lavoro centrati su alcuni avvenimenti rilevanti, di modo che gli allievi prendano consapevolezza degli avvenimenti e personaggi, delle questioni in gioco e delle chiavi interpretative valide per la loro comprensione; – infine, una verifica sulle tappe fondamentali del percorso storico, facendo uso anche di categorie specifiche che esprimono il dominio culturale più diretto degli allievi, come può avvenire per il settore ristorazione tramite l’utilizzo del cibo come possibilità di accesso ai costumi di vita nelle diverse epoche. È rilevante, in questo metodo, la collaborazione con i colleghi che consente ai ragazzi sia di fare esperienza dell’unità del sapere, superando le ristrette ripartizioni disciplinari, sia di valorizzare ciò che apprendono nei contesti più strettamente professionali come strumenti di accesso al senso storico. Il senso della storia può infatti avvantaggiarsi da discipline come la matematica e le scienze che a loro volta presentano un progresso culturale dotato di valenza storica ed aiutano i ragazzi a cogliere il legame che insiste tra la le scoperte matematiche e scientifiche e il mutamento della struttura economica delle varie civiltà. In tal modo si mettono in moto i due movimenti della connessione e della contestualizzazione, un buon punto di accesso al fine di cogliere i legami con i processi storici di fondo. È il metodo ricordato dalla formatrice di inglese, consapevole del fatto che, nel modo delle “conferenze”, i ragazzi: «Riscoprono l’uso della lingua, provando a creare qualcosa, per poi confrontarsi prima nella propria classe per vedere se funziona oppure se il gruppo ride, segno inequivocabile della necessità di cambiare». L’uso della relazione dei pari come riscontro di correttezza ed aiuto reciproco a migliorarsi, in un clima in cui si può sbagliare perché tutti presentano una preparazione imperfetta e lacunosa, aiuta decisamente la progressione nei vari campi del sapere; la classe non è solo dotata di personalità, ma è anche un ambiente pedagogico significativo, come un gruppo di aiuto reciproco a far sempre meglio ed a sollecitare continuamente le doti di ciascuno a benefigiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 199 200 cio di tutti. Va infine aggiunta la modalità della condivisione, cioè la messa in comune dei significati e dei sentimenti resi possibili dall’esperienza formativa e di nuovo avvalorati dalla particolare forma di reciprocità che si instaura nella classe. Questo approccio formativo fondato non sulla riparazione delle parti mancanti dell’edificio, ma sulla valorizzazione delle capacità e dei talenti degli allievi della FP è messo bene in luce dalla considerazione della formatrice di inglese quando riferisce il giudizio del preside dell’istituto scolastico in cui vi è una classe di ex allievi della Formazione Professionale. Egli coglie tre chiare evidenze, frutto del metodo fin qui esplicitato: – questi ragazzi presentano un più elevato spirito di adattamento rispetto ai loro colleghi della scuola, non sono polemici, cercano sinceramente di capire e si impegnano al meglio a tale scopo, non perdono tempo nelle tattiche tipiche delle classi scolastiche, sono, in poche parole, più aperti e disponibili; – nonostante le carenze relative a nozioni nei campi del sapere più teorici, sono allievi motivati ed in tal modo spesso recuperano in fretta le lacune perché hanno una marcia in più, che corrisponde nel sapersela cavare e soprattutto hanno acquisito un metodo efficace nell’affrontare i compiti scolastici; – la classe presenta una personalità piacevole e ben disposta, così che gli insegnanti si trovano a loro agio in un clima favorevole, riuscendo ad insegnare con piacere, ed anche questo è un fattore che aumenta la possibilità di perseguire i risultati desiderati. Il formatore di matematica propone un’immagine convincente circa il metodo adottato: egli utilizza la metafora del sasso nello stagno per descrivere il modo in cui opera l’insegnante e nel contempo la forma che assume il lavoro intellettuale degli allievi: «Insegnare la matematica a questi ragazzi è come lanciare un sasso che crea cerchi concentrici che poco a poco riescono a coinvolgere tutti», che implicitamente significa anche poter coinvolgere tutta l’attenzione e le capacità dei singoli. Naturalmente, “occorre trovare un riferimento reale, e puntare sulla loro capacità di sapersela cavare”, a conferma di un approccio in cui il tono della classe, la scelta delle occasioni di apprendimento, infine la stimolazione delle capacità intellettuali dell’imparare facendo e del correggersi nel corso del cammino, costituiscono un insieme metodologico omogeneo e convincente. La matematica rappresenta un banco di prova decisivo circa la capacità di questo metodo di sollecitare i processi fondamentali della mente centrata sulla spiegazione dei fenomeni, vale a dire l’osservazione, la deduzione, l’induzione, l’inferenza alla spiegazione migliore (Boghossian 2006, pp. 83-88). I formatori non si sottraggono a questo compito fondamentale, scegliendo la logica, e non la ripetizione di esercizi routinari, come modalità di apprendimento. Questa scelta comporta anche il taglio di alcune parti dei contenuti matematici: «Perché non sarebbero mai state usate dai ragazzi, come le frazioni algebriche, oppure quelle espressioni di tre righe con la doppia linea di frazioni sopra e sotto, puri esercizi di complicazione, non di logica». Occorre in definitiva avere presenti soprattutto le strutture matematiche fondamentali, la cui importanza va di pari giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 200 201 passo con la ricerca di un metodo appropriato alla mente ed al sistema dei significati propri degli allievi, ragione per cui “non c’è bisogno di fargliele imparare ripetendole continuamente, serve invece stimolarli a comprenderle nella loro struttura logica”. La scelta della logica come approccio alla matematica consente ai formatori di ancorare l’insegnamento sulla comprensione “delle problematiche che incontrano, ad ideare il processo logico di interpretazione e di impostazione della soluzione, che va tenuto distinto dal processo meccanico”. Occorre infatti essere consapevoli che “con le tecnologie informatiche ed i sistemi esperti la parte meccanica non è più richiesta, tranne che per il controllo”. Mentre i programmi di matematica in uso nella scuola secondaria ripetono quasi pedissequamente l’impostazione che concepisce il percorso secondario degli studi come un lungo corso preparatorio all’esame Analisi1 delle facoltà scientifiche, matematiche ed ingegneristiche, senza chiedersi quale sia veramente il corredo disciplinare che lo studente può apprezzare sia lungo il percorso sia al termine dei suoi studi, in riferimento al tipo di matematizzazione del reale proprio della società in cui viviamo. La didattica per regole ed esercizi dimentica la funzione fondamentalmente logica della matematica e ne restringe il campo al solo dominio dei numeri, escludendo una grande varietà di problemi che presentano un legame più stretto con il reale. Emerge anche un “trucco” fonte dell’esperienza: il valore della novità. Infatti: «Quando affronto un argomento che non hanno mai trattato [...] sono molto più disposti ad apprendere anche la regoletta, mentre le cose che hanno già studiato in precedenza [...] non se la ricordano mai. Forse perché è una novità e quindi ci si impegnano maggiormente ». La novità, quindi, è la chiave per suscitare interesse, perché esclude da parte dell’allievo di erigere il muro dello scetticismo, il portato di una carriera scolastica quasi sempre deficitaria e insoddisfacente. Occorre quindi presentare anche le cose risapute sotto un altro profilo, quasi che si dovesse nascondere l’etichetta di “matematica” perché produttiva di un riflesso condizionato fatto di paura di non riuscire proveniente dagli insuccessi precedenti. Ma decisivo è anticipare le obiezioni dei ragazzi, specie quella della mancanza di utilità. Ciò conduce ad aggiungere al canone applicativo – quello su cui il calcolo mentale entra in concorrenza con i dispositivi tecnici ed informatici facilmente disponibili – anche quello previsionale per il quale non si pone l’alternativa tecnologica. Si tratta di un metodo che va tenuto acceso costantemente, non solo a sprazzi. È uno stile dell’insegnamento che richiede grande impegno, capacità di immaginazione, prontezza nel leggere le dinamiche e nel trovare le risposte più adeguate, magari modificando un percorso che si mostra meno efficace di ciò che si era prospettato. Inoltre, il confronto con l’insegnante e con i compagni consente all’allievo di mobilitare le risorse intellettive della riflessività e dell’argomentazione, non solo per poter ricostruire il procedimento corretto, ma anche per trovare e sostenere soluzioni alternative rispetto a quelle proposte dall’insegnante: «Essere aperti al confronto in aula per valutare e valorizzare eventuali soluzioni alternative proposte da quella fascia di studenti particolarmente propositiva. Assegnare compiti adeguati alla situazione che si deve gestire». Se gestita in momenti di confronto ben impostati, la varietà degli stili di partegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 201 202 cipazione da parte degli allievi accresce le occasioni di apprendimento e consente una maggiore stimolazione delle doti intellettuali degli allievi. È necessaria una presenza sensibile da parte del formatore, chiamato a «Valorizzare l’allievo che dimostra progressi – anche parziali – di fronte al gruppo classe: ‘Bravo! Vedi che riesci a svolgere correttamente questo esercizio’», perché il prestigio di fronte al gruppo è di grande importanza per il singolo che da questo trae convinzione e forza per il prosieguo del suo cammino formativo. Un discorso molto diverso deve essere fatto per scienze e fisica, perché: «Non ho mai trovato una classe con un ragazzo che non sia interessato almeno ad un esempio tra quelli proposti». La trasformazione della cultura scientifica – che nasce dalla domanda, richiede la dimostrazione sperimentale e giunge a conclusioni valide e cogenti – in discipline da apprendere imparando a memoria formule e nomenclature è un’offesa nei confronti delle stesse scienze che vivono solo nel rapporto con il reale. Tutto quanto fin qui affermato conduce ad un punto decisivo: il metodo della Formazione Professionale è veramente alternativo al metodo canonico dell’istruzione; ma il suo valore non si limita alla particolare utenza piuttosto variegata e disagiata dal punto di vista della cultura formale tipica di questi corsi, ma assume un significato più ampio come metodologia integrativa, o alternativa, al processo canonico di apprendimento. * * * * * Tenuto conto di quanto abbiamo finora raccolto tramite la ricerca, possiamo ora elaborare la guida per i formatori degli assi culturali. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 202 Parte Terza L’ETHOS CULTURALE DELL’EDUCAZIONE AL LAVORO: GIUSTO, UTILITÀ E BELLEZZA COME CANONI DI ACCESSO AL SAPERE VIVO UNA GUIDA PER I FORMATORI DEGLI ASSI CULTURALI giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 203 205 Presentazione La Guida ha lo scopo di aiutare i formatori degli assi culturali dei corsi di Formazione Professionale in diritto-dovere di Istruzione e Formazione a svolgere il proprio compito in base ad una disposizione appropriata ed un metodo coerente. La disposizione indica lo stile con cui occorre affrontare la classe, che deve contrastare l’atteggiamento stigmatizzante – rivelativo di un razzismo culturale e sociale – molto diffuso nella scuola, secondo cui se sei “intelligente” meriti il liceo, mentre se sei “poco dotato” non ti rimane che l’inserimento nel mondo del lavoro dopo un corso (breve) di Formazione Professionale. Al contrario, al formatore è richiesto di “scegliere” la propria classe così che i suoi studenti sentano di essere oggetto della più alta considerazione: essere «degni di scoprire il mondo» 63 . La risposta degli allievi a questa disposizione nei loro confronti è certa, poiché i giovani possiedono una «naturale intelligenza per conoscere il bene che loro viene fatto, ed un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza» (Bosco 1987, p. 98). La coerenza del metodo si riferisce innanzitutto al principio della “intelligenza nelle mani”, espressione con cui si indica la disposizione ad apprendere ciò che ha valore di concretezza ovvero di rispondenza alla realtà, ma significa anche ciò che permette alla persona di “toccare con mano” l’oggetto di studio facendone esperienza personale. L’accesso dei giovani alla cultura muove dall’utilità e dalla concretezza, ma anche dal gusto, dalla curiosità e dalla bellezza, poiché la cultura come un “sapere vivo” è capace di sollecitare le virtù buone dell’allievo. È perciò importante che il formatore viva la cultura non come erudizione o possesso personale, ma come quell’attività del pensiero ricettiva della bellezza e dei sentimenti umani (Whitehead 1992). La guida è divisa in cinque passi: 1. Le chiavi di accesso culturale al mondo degli allievi. 2. Come condurre un percorso formativo efficace. 3. Come mobilitare la comunità educante. 4. Come valutare gli apprendimenti e la crescita. 5. Riflettere, migliorare, aprirsi al nuovo (rinnovare la tradizione). 63 Quando il 4 gennaio 1960 Albert Camus moriva a soli 46 anni in un incidente stradale, aveva nella borsa un manoscritto di un romanzo uscito postumo nel 1994, Il primo uomo, da cui è tratta questa citazione dedicata al suo maestro nelle scuole di Algeri (C AMUS 1994, p. 138). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 205 206 Primo passo: Le chiavi di accesso culturale al mondo degli allievi Aut prodesse volunt, aut delectare poetae, aut simul et iucunda et idonea dicere vitae. (I poeti si propongono di giovare o di dare piacere, oppure di dire a un tempo cose piacevoli e utili alla vita). Orazio, Ars Poetica, 343-4. Per affrontare in modo adeguato l’attività educativa occorre porsi delle domande decisive circa le mete, gli allievi, gli ostacoli e le leve, il percorso, l’approccio ed il modo di intendere il valore del lavoro. Quali mete vogliamo raggiungere? È la domanda più importante, a cui si cerca in prevalenza di rispondere riferendosi ai traguardi formativi dettati dall’ordinamento. Ma la scomparsa dei “programmi” ha portato a documenti basati su una formulazione allo stesso tempo inquietante e vaga; inquietante perché lasciano intuire che non si possono semplicemente tradurre in unità didattiche, vaga perché la loro formulazione è tale da giustificare una varietà considerevole di interpretazioni. Vediamo ad esempio la prima competenza storico-sociale ed il suo apparato di abilità e conoscenze: Comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attraverso il confronto fra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto fra aree geografiche e culturali ABILITÀ • Riconoscere le dimensioni del tempo e dello spazio attraverso l’osservazione di eventi storici e di aree geografiche • Collocare i più rilevanti eventi storici affrontati secondo le coordinate spazio-tempo • Identificare gli elementi maggiormente significativi per confrontare aree e periodi diversi • Comprendere il cambiamento in relazione agli usi, alle abitudini, al vivere quotidiano nel confronto con la propria esperienza personale • Leggere – anche in modalità multimediale – le differenti fonti letterarie, iconografiche, documentarie, cartografiche ricavandone in- CONOSCENZE • Le periodizzazioni fondamentali della storia mondiale • I principali fenomeni storici e le coordinate spazio-tempo che li determinano • I principali fenomeni sociali, economici che caratterizzano il mondo contemporaneo, anche in relazione alle diverse culture • Conoscere i principali eventi che consentono di comprendere la realtà nazionale ed europea • I principali sviluppi storici che hanno coinvolto il proprio territorio • Le diverse tipologie di fonti giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 206 207 Indubbiamente si tratta di un elenco che a prima vista può spaventare, specie se lo leggiamo con una chiave “accademica”. Ma subito dopo, ci accorgiamo che, aldilà delle periodizzazioni fondamentali della storia e le diverse tipologie di fonti, non sono indicati contenuti definiti, bensì espressioni generiche rette dall’aggettivo “principali”: fenomeni, eventi, sviluppi, tappe. Ciò significa che la definizione dei saperi essenziali va fatta nel Centro di Formazione e che diverse possono essere le strategie e le metodologie per perseguirli: 1. Posso puntare sul “corredo minimo” vale a dire un “bigino” della Formazione Professionale magari tratto da un manuale semplificato, come ce ne sono in commercio. 2. Posso selezionare solo i temi chiave (i nuclei del sapere) come ad esempio l’industrializzazione, la città, la globalizzazione, le religioni, i diritti umani, le guerre, le tecnologie, la popolazione, i sistemi politici, lo sviluppo, l’energia, e proporre per ciascuno di essi approfondimenti che consentano agli allievi un’esposizione un po’ più ricca, con un corredo di mappe concettuali e riferimenti ad eventi storici, tabelle di dati, comparazioni. 3. Posso definire un percorso a tappe annuali che inizia dal territorio nazionale, per poi estendersi alla realtà europea fino a concludere con un orizzonte mondiale, sulla base di strutture storiche come i sistemi politici, la cultura, l’economia, i costumi, la vita quotidiana. 4. Posso centrare ogni anno su temi macro come le due Guerre mondiali, la crisi economica, il Medio oriente ed intorno a questi cercare tutti i possibili collegamenti con i nuclei del sapere. Probabilmente, il primo ed il secondo approccio non incontreranno un grande entusiasmo (eufemismo) da parte della classe, mentre gli altri due si prestano ad un metodo più attivo che consente di mobilitare la curiosità ed il desiderio di scoperta autonoma da parte degli allievi. Stiamo quindi ponendoci una domanda che corrisponde al criterio con cui scegliere il giusto approccio: quali allievi mi trovo di fronte e come posso interessarli e coinvolgerli? Riprenderemo questo quesito poco oltre, anche perché abbiamo corso un po’ troppo avanti. Infatti, dobbiamo guardarci innanzitutto dalla dimenticanza fondamentale propria dei sistemi educativi: gli scopi fondamentali del nostro insegnamento intesi come qualità e disposizioni umane che desideriamo sollecitare nei nostri allievi. A questo proposito, serve formulare diversamente la domanda iniziale, nella seguente trilogia: quali benefici reali può apportare la storia ai nostri allievi? Come contribuisce a renderli più liberi? In che modo posso vedere “vivo” in loro il senso storico? Dobbiamo trovare innanzitutto nella storia la chiave di volta su cui impostare il nostro lavoro, ma la dobbiamo cogliere come guadagni che migliorano la vita dei nostri allievi. La questione può essere distinta in due parti: formazioni su eventi storici di diverse epoche e differenti aree geografiche • Individuare i principali mezzi e strumenti che hanno caratterizzato l’innovazione tecnico scientifica nel corso della storia • Le principali tappe dello sviluppo dell’innovazione tecnico-scientifica e della conseguente innovazione tecnologica giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 207 208 – Di quali benefici reali ed apprezzabili è capace la storia, in riferimento ad un allievo mediamente poco interessato (non ai pochi che per diligenza o per passione si pongono in un atteggiamento positivo nei confronti nostri e dei contenuti che intendiamo insegnare loro). – Cosa c’è nella storia di attraente, tale da risultare interessante per i nostri allievi? Stiamo avvicinandosi al centro della questione, vale a dire il valore reale della conoscenza storica come corredo personale in grado di migliorare in modo sensibile – ovvero percepibile come gusto ed utilità – la vita dei nostri allievi. È il tema del senso storico, e con esso di tutte le scienze umane, che può essere definito come ampliamento dell’orizzonte soggettivo entro una dimensione di spazio tempo che abbraccia la contemporaneità riferita all’intero pianeta ed il passato specie per ciò che riguarda le principali vicende storiche, i personaggi più importanti, le trasformazioni e le rivoluzioni accadute nel tempo che hanno segnato la vicenda storica e plasmato il presente; che sostiene la capacità di collocare fatti, problemi e riflessioni odierni entro un quadro più ampio di relazioni che aiuta a comprendere come, accanto ad un movimento progressivo nel corso del tempo, si coglie un andamento ciclico che spiega il riproporsi di molte questioni simili in tempi diversi. Il primato del presente e la dimenticanza di ciò che è avvenuto prima di ieri, tipici di una forma di comunicazione mediatica stressata sui registri della spettacolarizzazione e della drammatizzazione della notizia, che rimane nel contempo superficiale 64 . Ma per completezza, vogliamo fornire una riflessione sia pure sintetica riferita alle altre aree della cultura. Circa il senso della letteratura, ci rifacciamo a quanto affermato da Todorov, per il quale la letteratura è ordinata alla vita buona, nel senso che il suo valore si coglie nella capacità di rendere la vita più vera, dotata delle parole e delle immagini adeguate a rappresentare ciò che si esperisce ed in grado di vedere nella realtà non solo ciò che è prosaico e gretto, ma a rivelare le tracce anche poco appariscenti che indicano la grandezza dell’uomo e la fecondità dell’esistenza. Essa aiuta a 64 Uno dei casi più clamorosi di cronaca politica trattata con un approccio storico assolutamente approssimativo è quello della cosiddetta “Primavera araba” espressione tramite la quale mobilitazioni delle piazze nel paesi del Nordafrica e del Medio Oriente sono state viste dalla grandissima parte dei media occidentali come avvisaglie dell’avvento di regimi politici di tipo democratico secondo la formula occidentale. Per poi scoprire che in Egitto a beneficiarne sono stati i Fratelli Musulmani il cui credo politico è ben lontano dagli standard democratici, in Siria sia il regime sia molti gruppi di oppositori sono egualmente dediti a massacri della popolazione, in Libia la caduta e morte di Gheddafi ha lasciato il posto ad una guerra per bande in cui si è infilato lo Stato islamico che in tal modo è divenuto un nostro inquietante confinante. Chi ragiona nel modo seguente “se è successo così a noi, con i vari movimenti di liberazione nazionali, allo stesso modo accadrà a qualsiasi altro Paese del mondo” mostra una grave assenza di senso storico che si riscontra nel credere nella (infondata) concezione normativa del percorso delle democrazie occidentali. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 208 209 «farci comprendere il mondo e aiutarci a vivere» (Todorov 2008, p. 65). Questa concezione del valore dell’opera letteraria contrasta decisamente con il nichilismo con cui si sono baloccati molti autori del Novecento e con la letteratura “ombelicale” tipica del nostro tempo. Se la letteratura ha il potere di dare le parole, di sanare le malattie dell’animo, occorre proporre ai giovani d’oggi prose e soprattutto poesie che ne sollecitino l’arte del vivere, immettendoli in una compagnia più vasta e decisamente generosa oltre che fedele, capace di offrire ogni volta un sostegno ed una narrazione appropriata a ciò che si sta vivendo. Un giovane che abbia acquisito il senso della letteratura, ha appreso qualcosa di fondamentale: il senso e la preziosità delle parole, la facoltà più elevata dell’essere umano tramite la quale esprime la sua immaginazione, rigenera l’esistenza per mezzo delle opere di chi possiede un dono speciale connesso all’amore della vita. Qualcosa di simile si può ritrovare nel senso della lingua straniera, anche se nei percorsi della Formazione Professionale occorre riferirsi soprattutto alla lingua intesa come canone della comunicazione globale, mentre risulta limitata la possibilità di avvicinarla come espressione della cultura anglosassone. Circa l’utilità, non vi sono dubbi: la lingua inglese è dappertutto, nelle canzoni come nei titoli delle trasmissioni, nei manuali delle apparecchiature tecnologiche come nelle pagine della navigazione web. Conoscere la lingua inglese significa appartenere ad una comunità globale che comprende anche il qui ed ora, senza necessariamente dover partire per l’estero, anche se il viaggio per turismo o per lavoro è sempre un buon modo di apprenderla. Il problema sta piuttosto nella confidenza, nella capacità di entrare nell’ordine del pensiero, e ciò richiede un approccio amichevole, centrato sulla sopravvivenza, con le sue frasi brevi e stereotipate, per poi procedere verso una padronanza scritta ed una maggiore fluidità verbale. Delineare il senso della matematica richiede un maggiore sforzo, perché per la gran parte delle persone questa rievoca un sentimento di estraneità e di tedio, accompagnato dal dubbio di non essere abbastanza intelligente per capirla. La scuola ha compiuto veri e propri disastri in questa direzione, e si spera nella capacità del recente movimento teso a rinnovare la didattica della matematica al fine di rovesciare quest’avversione di fondo. La bellezza della matematica risiede nel fatto che essa è sì un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, ma è anche la chiave per comprendere sia una buona parte del mondo naturale sia una parte considerevole di quello costruito dall’uomo. Essa è indispensabile per comprendere il mondo in cui siamo e per utilizzare degli strumenti della tecnica in modo corretto. Ma è anche lo scrigno che contiene la logica, vale a dire la strabiliante facoltà della mente umana di sviluppare pensieri ragionevoli, sia nel campo delle scienze esatte sia in quello della realtà sociale come pure della vita quotidiana, divenendo uno strumento indispensabile per comprendere la realtà, sviluppare un confronto costruttivo fra opinioni diverse, immaginare le conseguenze di un certo fenomeno. Essa ci aiuta nel campo delle cose intuitive come in quello delle realtà controintuitive, ma spiegabili secondo ragione. Il fatto che buona parte delle persone non se ne giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 209 210 avvantaggi a causa del negativo influsso dell’“ora di matematica” 65 nei lunghi anni di scuola deriva dall’errata convinzione che essa si occupi solo di numeri freddi ed aridi e che rappresenti la lingua della disumanizzazione. Al contrario, la teoria dei giochi mostra come un sistema matematico può servire per prendere decisioni razionali che riguardano molti aspetti della nostra vita quotidiana, quando vogliamo ottimizzare il rapporto tra energie profuse e risultati ottenuti. Oppure quando intendiamo capire se ci conviene entrare in un gioco oppure no 66 . Inoltre, vi è anche l’estetica della matematica che discende dalla ricerca di una comune origine creativa tra matematica e arte, come affermato da Augustus De Morgan, matematico britannico vissuto nell’800, il quale ha sostenuto che: «La facoltà che mette in moto l’invenzione matematica non è il ragionamento, bensì l’immaginazione». Infine, il senso delle scienze appare più evidente perché permette di accedere ad un mondo pieno di meraviglie che riguardano tanto i macro fenomeni quanto quelli infinitamente piccoli. Infatti, per poterlo afferrare non fa difetto la curiosità, quanto la mancanza di occasioni, visto che la scuola ha spesso ridotto un mondo fantastico in formulette da mandare a memoria. La cultura scientifica, che si può acquisire meglio nei laboratori bene attrezzati come con materiale “povero” come ad esempio una qualsiasi cucina, permette a chi la possiede di svelare una parte considerevole dei misteri del reale e di comprendere il funzionamento delle apparecchiature tecniche derivanti dalle scoperte scientifiche. Il senso delle scienze è accessibile e persino “simpatico” perché mantiene vivo il desiderio di scoperta e lo stupore del bambino con gli occhi spalancati di fronte alla realtà, per non perdere nulla della meraviglia di ciò che accade. Per questo motivo, Albert Einstein, che di scienze se ne intendeva, ha potuto affermare che: «La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero. Esso è la sorgente di tutta la vera arte e scienza». Questo breve excursus riferito al valore del sapere proposto dai vari assi culturali presentati mostra come sia indispensabile soffermarsi con attenzione sull’interrogativo iniziale “quali mete vogliamo raggiungere?” per evitare di confondere queste con i contenuti che si vogliono/debbono impartire. Occorre guardarsi dal pericolo che le nostre intenzioni siano centrate sui mezzi piuttosto che sui fini. Il riferimento primo e l’attenzione principale del nostro lavoro deve rivolgersi al beneficio reale che il nostro sforzo apporta ai nostri allievi, partendo dal qui ed ora per poi prolungarsi nel corso del tempo dell’esistenza. Con questo si intende il “sen- 65 È molto stimolate il testo di P AUL L OCKHART Contro l’ora di matematica (2010) che inizia con le due seguenti regole: «Regola n°1: L’equazione (matematica = noia + fatica) è sbagliata. Regola n° 2: Non esiste nulla di più idealistico e poetico, nulla di più radicale, sovversivo e psichedelico della matematica ». 66 Basandoci su studi matematici, si scopre che il gioco d’azzardo non conviene, infatti alla fine è sempre il banco a vincere, tant’è vero che con i soldi di chi gioca si mantengono solo in Italia 120.000 addetti e 5.000 aziende (http://blog.rubbettinoeditore.it/angela-iantosca/lazzardo-non-conviene- ce-lo-dice-la-matematica/). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 210 211 so del sapere”, che il filosofo inglese Whitehead ha così definito: «Gli studenti sono esseri vivi e lo scopo dell’educazione è quello di stimolare e guidare il loro auto sviluppo. Da questa premessa segue il corollario che anche gli insegnanti debbano essere animati da pensieri vivi». Infatti, secondo questo autore: «Un uomo semplicemente ben informato è l’essere più noioso e inutile che ci sia sulla terra», mentre «L’immaginazione non deve essere separata dai fatti: essa è un modo di illuminare i fatti». Più avanti vedremo come ci sia un legame molto stretto tra la decisione di mirare il miglioramento della vita dei nostri allievi e la scelta di metodologie in grado di far apprezzare ad essi sin dal primo incontro il valore della cultura, proposta sul lato del gusto e non del dolore, in quanto possibilità di suscitare la curiosità, l’entusiasmo e l’amore per la vita. Ad essi infatti si chiede di diventare protagonisti del loro cammino di crescita centrato sull’ideale della libertà come possibilità di un legame positivo con la realtà e capacità di mettere in gioco i propri talenti per il bene di tutti oltre che per la scoperta e la realizzazione di sé. Quali allievi abbiamo di fronte? Normalmente a questa domanda fa seguito un “pianto greco” circa la non motivazione, l’indisciplina, la mancanza dei saperi di base, la presenza di alcuni portatori di handicap oltre che di diversi DSA certificati, senza contare quelli che, pur non essendolo, presentano comunque caratteristiche simili. Insomma: un quadro del tipo mission impossible. Questa risposta non indica un problema, ma è essa stessa un problema. Precisamente, essa esprime una cattiva disposizione nei confronti degli allievi, che si ritiene giustificata dalla narrazione diffusa circa le crescenti difficoltà nel fare formazione. Il centro di questo problema è lo scetticismo, la mancanza di fiducia circa la possibilità di fare di un amalgama malriuscito di individui una comunità che affronta in modo positivo l’avventura della conoscenza. Intendiamoci: non è da sottovalutare la tendenza all’abbassamento del livello di preparazione dei ragazzi che provengono dalla secondaria di primo grado, uno degli effetti paradossali delle democrazie di più antica fondazione che vedono, a fronte di investimenti educativi sempre più estesi e di occasioni di apprendimento sempre più diffuse specie tramite internet ed i social network, un calo progressivo dei cosiddetti rendimenti scolastici. Molto di questo esito è dovuto all’inerzia di gran parte del sapere impartito dalle scuole e dei metodi prevalentemente adottati. Si tratta dell’esito riprovevole della “teoria dell’istruzione” secondo la quale il percorso degli studi è definito da strati di saperi sovrapposti nel corso del tempo, in modo tale che non risulta possibile affrontare con successo la tappa successiva se non sono stati pienamente conseguiti i risultati della tappa precedente, i cosiddetti “prerequisiti”. In tal modo l’insegnamento viene rappresentato come un cantiere edile che procede piano per giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 211 212 piano, e ciò è confermato dall’uso piuttosto frequente di espressioni come “basi” e “fondamenta” culturali. In effetti, i test di ingresso (pratica invece molto diffusa) sembrano confermare questo quadro critico, svolgendo un ruolo di profezia che si autoavvera: «Due terzi della classe non possiede i minimi formativi, è una classe tremenda, quindi non otterrò nulla di buono». Con una simile previsione, l’esito appare decisamente scontato proprio perché l’insegnante in primo luogo non vede ciò che si aspetta al fine di considerare proficuo il suo sforzo e secondariamente non immagina altra conclusione se non la conferma che i prossimi anni di formazione risulteranno egualmente inefficaci. Con questo si vuole sostenere, coerentemente con quanto definito dal famoso “Effetto Pigmalione” o effetto Rosenthal che: «se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato» 67 . Ma ancor di più ci interessa il rovescio di questa teoria, che si può esprimere così: “se gli insegnanti credono che un allievo possieda talenti ulteriori rispetto a quanto hanno potuto individuare gli insegnanti delle scuole precedenti e più elevati rispetto a quanto rivelato dai testi di ingresso, lo tratteranno, anche inconsciamente, come una persona speciale; l’allievo interiorizzerà questo giudizio come un motivo di fiducia e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo virtuoso per cui l’allievo tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato”. Che è come dire: l’apprendimento non consiste nell’esatta trasposizione alla fine di un corso del rendimento iniziale, non risponde allo schema prerequisiti esiti, ma deriva dalla capacità di suscitazione delle sue risorse latenti resa possibile da un ingaggio positivo che tira una riga su pagelle e test di ingresso e gli consente di mettersi in gioco come in un ricominciamento, tramite cui dimostrare a questi insegnanti che credono in lui, come pure agli insegnanti precedenti, di valere davvero. Certamente esistono delle condizioni minimali nella composizione della classe che permettono di sviluppare questo “gioco positivo”; occorre evitare di combinare classi composte unicamente da ragazzi che vivono la FP come ultima chance; similmente, vanno limitati i casi di allievi con requisiti psicofisici difficilmente compatibili con la figura professionale di riferimento (visto che il lavoro rappresenta il motivatore principale dei corsi), ma soprattutto occorre evitare di diffondere una visione residuale della Formazione Professionale, puntando su un’immagine pubblica sostenuta dagli stessi allievi ed ex allievi che presentano i corsi per apprendere il lavoro come luoghi amichevoli ed interessanti, occasioni di rivalsa e quindi di soddisfazione personale. 67 http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Pigmalione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 212 213 Ma occorre guardarsi soprattutto dalle visioni stereotipate, dal far propri i diffusi pregiudizi nei confronti della Formazione Professionale vista come ricettacolo di subumani non in grado di apprendere alcunché che non sia l’applicazione di una procedura tecnica routinaria appresa per imitazione e ripetizione. La Formazione Professionale ha sempre mostrato di poter raggiungere risultati apprezzabili con la propria utenza, non procedendo ad una ulteriore selezione così come hanno fatto le scuole precedenti, ma credendo nei suoi allievi e fornendo loro un’occasione di riscatto sostenuta da una metodologia amichevole e nel contempo efficace. In sostanza, si tratta di definire un ingaggio diverso da quello canonico del mondo scolastico, che consiste nel trattare gli allievi come persone dotate di talenti, che si aspettano (pur non essendone del tutto coscienti) un’occasione per mostrare quanto valgono davvero. Di conseguenza, è utile formulare la domanda in modo diverso: Quali ostacoli contrastano i nostri intenti e quali leve possiamo mobilitare per superarli? La domanda così formulata evita il trabocchetto della “lagna” come profezia che si autoavvera, e che funziona in modo depressivo sul formatore: “qualsiasi cosa faccia, con questo ‘materiale umano’ non si può certo andare lontani!”. Così formulato, il quesito risulta più vicino a chi, volendo intraprendere un percorso positivo, si chiede quali sono le condizioni migliori per poterlo perseguire evitando di ingaggiare una battaglia impari con ostacoli rispetto ai quali poco o nulla possiamo fare, e cercando le giuste leve su cui agire per perseguire gli scopi prefissati. Dividiamo gli ostacoli e le leve in tre categorie: gli allievi ed il gruppo classe, noi stessi ed i nostri colleghi, il Centro ed il suo contesto. Gli ostacoli relativi agli allievi sono rappresentati in prima battuta dalla demotivazione di una parte anche significativa del gruppo classe nei confronti delle discipline culturali, reputate inutili, oppure dalla sfiducia nelle proprie capacità, del tipo “ci hanno provato in tanti e non ho raggiunto alcun risultato. Sono io ad essere sbagliato”. Un quadro siffatto può essere considerato normale per un corso della Formazione Professionale nel quale la motivazione più immediata è costituita dal lavoro e quindi dal laboratorio professionale. Ciò indica una prima leva su cui puntare per poter superare l’ostacolo della demotivazione e soprattutto la sfiducia circa l’utilità di quanto intendiamo insegnare loro. Si tratta di trovare nell’area professionale degli agganci rilevanti, meglio se concordati in anticipo con i formatori tecnici, a cui collegare i nostri insegnamenti. Ciò significa lavorare nella direzione dell’“Unità di Apprendimento” che vede gli assi culturali svolgere una funzione di servizio all’area professionale. Dobbiamo anticipare l’obiezione circa l’utilità di quanto intendiamo insegnare loro, proponendo in sede di “patto formativo” un percorso unitario che renda significativa ai loro occhi, perlomeno in prima battuta, il nostro lavoro. E su quegiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 213 214 sto torneremo più avanti. Abbiamo detto in prima battuta, perché il nostro scopo è di giungere a renderli consapevoli del valore della cultura in quanto modalità per migliorare la propria vita, e questo la riscatta dalla (pur rilevante) funzione di servizio, proponendola come valore in sé. Questa seconda accezione può essere da loro acquisita se sappiamo volgere i contenuti sul piano del gusto, così che ne traggano un gradimento sensibile, operando opportunamente con il materiale culturale di cui possiamo disporre. Si tratta della questione fondamentale poiché riesce ad aggirare l’obiezione circa l’utilità del sapere tramite la realizzazione di un’esperienza culturale capace di attrarre l’attenzione e di stimolare la curiosità; ma è anche decisiva in riferimento all’obiezione relativa alla sfiducia circa le proprie possibilità di apprendimento perché non propone come primo approccio uno sforzo intellettuale, ma agisce operando sulla naturale disposizione umana verso ciò che attrae e suscita interesse. Ma per essere efficace, il nostro approccio non deve limitarsi ad una mera rappresentazione del tipo “frizzi, lazzi e cotillon” mettendo in gioco tutti gli effetti speciali di cui siamo capaci, come un affabulatore in cerca dell’applauso del pubblico. A parte che una simile tattica non può durare a lungo, noi siamo insegnanti, ed in forza di ciò abbiamo la necessità di portare gli allievi ad un risultato dotato di valore, tale che essi possano dire a buon titolo di aver effettivamente raggiunto un risultato apprezzabile, un successo. È propriamente questo successo la leva su cui puntare, collegata con il desiderio di riscatto che questi allievi conservano dentro di sé, pur non essendo certi di un esito positivo. Occorre però evitare di giocare la “partita dei due tempi”: all’inizio una didattica attraente che mira ad un successo momentaneo, e subito dopo la caduta nella solita didattica inerte sia perché distaccata dalla realtà sia per non essere in grado di suscitare un’affezione positiva. Ci sono poi gli ostacoli che riguardano noi stessi ed i nostri colleghi: come abbiamo già visto, il primo di questi è dato dall’adesione alla “teoria dell’istruzione” con il suo corredo di lettura (schifata) delle pagelle scolastiche corredate quando si può dall’incontro (deprimente) con i docenti della scuola da cui gli allievi provengono, ulteriormente aggravati dall’esito (deludente) dei test di ingresso. L’idea di inserirsi nel cantiere per la costruzione del terzo piano, dopo che i due piani precedenti sono stati portati a termine in modo soddisfacente, rappresenta l’esatta premessa di un insuccesso certo. Diversamente, se vogliamo condurre il nostro lavoro verso un esito positivo, occorre preferire una visione educativa che, come indicato da Don Bosco, propone una visione positiva dell’animo del giovane, affermando che egli possiede una: «Naturale intelligenza per conoscere il bene che loro viene fatto, ed un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza» (Bosco, 1987, p. 98). Sapendo che: «L’educazione è cosa di cuore, e Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e ce ne dà in mano le chiavi» (Ivi, p. 259). Di conseguenza, tra le risorse decisive per un esito positivo dell’educazione vi è la fiducia nei giovani che ci troviamo di fronte, la certezza che, puntando sulla loro naturale sensibilità al bene, otterremo una risposta positiva. Sempre che la nostra vigiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 214 215 ta sia effettivamente volta al loro maggior bene, e che i nostri sforzi non sono in grado di produrre risultati buoni se la nostra arte non proviene da un incontro personale con Dio, di modo che è Lui ad insegnare per nostro mezzo. Questa risorsa è chiamata comunemente “passione”. Con essa si indica l’amore per il nostro lavoro, tale per cui anche le difficoltà che possiamo incontrare trovano un senso positivo, ci rafforzano nell’impegno e nella convinzione di operare sempre al meglio di noi stessi. Ma la passione si lega necessariamente ad una fede vissuta che si esprime nella riconoscenza per la vocazione di educatori ricevuta da Dio il segreto che allieta la nostra anima e ci dispone ad una relazione fiduciosa verso i nostri giovani: «Bisogna stare attaccati a qualcuno che possa sostenere. I giovani hanno bisogno di avere qualcuno a cui guardare con speranza, hanno bisogno di vedere esperienze umane belle e vere. Anche in questo mondo del lavoro fatto spesso di squali e gente pronta ad annegarti per emergere esiste un umano bello da vedere, esistono vite intraprendenti, geniali e contente. Un uomo contento del suo lavoro è la cosa più bella da incontrare» 68 . Un ostacolo insormontabile con cui ci si confronta è la divisione tra colleghi, la mancanza di unità di intenti, ma anche la separatezza tra insegnamenti e discipline, con la conseguenza di non riuscire a proporre agli allievi una visione convincente della cultura, che risulta tale – cioè in grado di afferrare una plausibile verità – solo se i diversi approcci convergono nello spiegare e argomentare i fenomeni oggetto di insegnamento. Non c’è nulla di più deleterio di una cacofonia di intenti, oltre che di un’impenetrabilità dei domini disciplinari e pratici in cui non raramente vengono rinchiuse le discipline di studio. Il rimedio – la leva – sta nel principio unitario che riguarda non tanto gli stili di insegnamento la cui varietà è da considerare piuttosto una ricchezza, quanto gli scopi e le regole con cui agisce la comunità professionale. Più avanti vedremo in cosa consiste questo metodo. Quest’ultimo aspetto indica allo stesso tempo un ostacolo riguardante il Centro di Formazione Professionale ed il suo contesto, poiché un luogo educativo deve poter rivelare lo spirito comunitario che lo innerva. Il rapporto con il contesto può anche essere negativo, quando il Centro è collocato in un ambiente degradato, entro uno spaccato urbano che non riesce ad esprimere una domanda educativa significativa. Non sempre l’apertura è una virtù, poiché occorre che il mondo esterno con cui ci si allea presenti caratteri di consonanza, anche impliciti, con la proposta del Centro. In alcuni casi occorre rimarcare la differenza tra l’interno e l’esterno al fine di preservare le condizioni di “agibilità educativa”, ma va ricordato che alla lunga l’isolamento non rappresenta una condizione favorevole, poiché l’educazione richiede apertura, inclusione, dinamicità del progetto. Per questo, occorre puntare sulle relazioni che si instaurano tra il Centro, le famiglie, le imprese ed 68 M. S OTTILI , autore di Cerco lavoro. Romanzo quasi autobiografico, Itaca Milano, 2012. http://www.aleagostini.com/cerco-lavoro-libro-mauro-sottili-17092012.html giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 215 216 il mondo associativo oltre che istituzionale, sia pure ben selezionato, per mostrare uno stile positivo di lavoro, così che possa in primo luogo emergere ed essere riconosciuto, e successivamente possa contaminare poco a poco anche altri ambiti meno consonanti con l’ideale educativo. Quale approccio adottare circa l’accesso degli allievi al sapere? Innanzitutto intendiamo escludere l’approccio dell’istruzione, anche solo per motivi di “sopravvivenza” del formatore: nessuno è tanto irresponsabile da affrontare una classe della Formazione Professionale con il piglio del “prendete il quaderno e scrivete, studiate e preparatevi all’interrogazione” perché nel migliore dei casi si esporrebbe alle domande-barriera del tipo “prof. a cosa serve quello che ci vuole insegnare?” o “che noia, che barba!” (abbiamo preso a prestito un’espressione di Sandra Mondaini per evitare termini più...coloriti), mentre nel peggiore otterrebbe una chiusura della classe tramite il repertorio ben noto di tattiche finalizzate ad annullare lo sforzo degli insegnanti: parlare tra di loro escludendolo, girarsi di spalle, sbadigliare, dedicarsi all’intaglio ed alle prove di resistenza ignifuga del banco, infilarsi cuffiette e cappuccio, dormire. Per approccio dell’istruzione si intende l’idea della conoscenza come acquisizione stratificata di conoscenze ed abilità impartite secondo la sequenza lezione-esercizio; mentre all’insegnante è chiesto di esporre il sapere per unità didattiche progressive, di dettare gli esercizi e successivamente interrogare o valutare per iscritto, spetta allo studente assimilare diligentemente il sapere impartito e prepararsi al meglio alle verifiche così da portare a termine il compito dovuto. Ciò senza ottenere né una prova dell’utilità di ciò che gli viene proposto, né un modo sensibile di ingresso nel sapere capace di gusto e suscitatore di entusiasmo, né infine di partecipare in modo attivo e responsabile al processo della conoscenza. Mentre il metodo del docente dell’istruzione tende ad assimilarsi al lavoro impiegatizio, l’approccio proprio del formatore presenta le caratteristiche dell’artigiano ed in parte dell’artista, poiché il suo lavoro richiede una notevole intuizione per comprendere come coinvolgere la classe, l’immaginazione del percorso che sta per intraprendere, la capacità teatrale di interpretarlo e la maestria nel portare gli allievi là dove si è proposto di condurli, ma con la disponibilità a cogliere le opportunità migliori che possono presentarsi e le soluzioni alternative che i ragazzi sono in grado di proporre. In altri termini, il formatore non può essere né un impiegato né un tecnico che realizza prototipi di serie infinite di pezzi tutti uguali, ma un artigiano che sa che ogni pezzo – la classe ed ogni singolo allievo – è unico e che richiede un’attenzione speciale come il liutaio che realizza ogni strumento mettendo in esso tutto ciò che ha imparato dall’esperienza; ma è anche un artista che riesce ad esprimere bellezza e verità in ciò che opera, specie se pensiamo che a “materia” con cui lavora è quella più vicina all’assoluto: l’essere umano, fatto “ad immagine e somiglianza di Dio”. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 216 217 Papa Woytila, di fronte al mistero della creazione, ha suggerito ad ogni cristiano di riflettere ogni giorno su questa frase biblica, perché è la chiave dell’avventura umana; questo consiglio è ancora di più importante per ogni educatore che per professione incontra ogni giorno il mistero della vita che fa ciascun individuo unico e irripetibile ed ogni persona in quanto è ad immagine e somiglianza di Dio ha una dignità che non è acquisita con meriti, ma è data fin dalla nascita. Un prodigio che rivela un mistero, nel quale l’educatore è artigiano ed insieme artista al servizio di Dio. Qualcosa che non può scadere in routine né tantomeno nel lamento, ma che chiede riconoscenza e fede nel miracolo quotidiano dell’educazione. Chi si trova in questa disposizione, ed ha fiducia nei suoi mezzi, non può non essere una persona interessante per i suoi allievi, come ci ricorda Mauro Sottili: «Bisogna stare attaccati a qualcuno che possa sostenere. I giovani hanno bisogno di avere qualcuno a cui guardare con speranza, hanno bisogno di vedere esperienze umane belle e vere. Anche in questo mondo del lavoro fatto spesso di squali e gente pronta ad annegarti per emergere esiste un umano bello da vedere, esistono vite intraprendenti, geniali e contente. Un uomo contento del suo lavoro è la cosa più bella da incontrare» 69 . Un educatore per vocazione fa il lavoro che si pone più vicino al mistero della vita; riconoscerlo e goderne rappresenta il segreto e la garanzia del successo della sua opera. L’approccio che si propone persegue il canone della bellezza e del gusto, contro quello della noia e del dolore. Questo approccio è contestuale alla richiesta di uno stile partecipativo dotato di una specifica disciplina che discende da regole impegnative, si potrebbe dire “serie” se non fosse che nelle forme e nei tempi debiti è bene utilizzare uno stile più leggero ed ironico. Occorre considerare, nel delineare il tipo di approccio, anche la necessità di contrastare la scarsa stima di sé della maggioranza degli allievi i quali spesso si considerano incapaci di capire, un atteggiamento che va assolutamente contrastato, pena l’inefficacia della proposta formativa. Riguardo alla letteratura, i ragazzi (che spesso non hanno letto più nulla oltre ai libri per l’infanzia) vanno stimolati con letture ben scelte così che provino gusto ed apprezzino il valore della lettura, prima quella fatta in classe dal formatore, poi quella personale su libri scelti da loro, rispetto ai quali iniziare a scrivere brevi presentazioni per poi passare alla trasposizione scritta di ciò che hanno conquistato tramite la lettura. In tal modo si delinea un’affezione nei confronti dei libri e del valore della parola; essi scoprono un mondo affascinante proprio in un ambito che fino a quel momento era per loro fonte solo di difficoltà e di noia, si stupiscono del fatto che i loro sentimenti sono condivisi da altri. È così che si persegue il traguardo formativo fondamentale dell’insegnamento: acquisire il senso della cultura come esperienza che consente un incontro con autori e personaggi, stimolo all’immaginazione, incremen- 69 http://www.aleagostini.com/cerco-lavoro-libro-mauro-sottili-17092012.html. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 217 218 to del lessico e della capacità di riconoscere e comunicare ciò che si vive, immissione in una “compagnia” che arricchisce la propria esistenza ed aggiunge qualcosa di decisivo all’amore della vita. Lo stesso formatore – che pure lo ha desiderato e reso possibile con il suo impegno – si stupisce dei “momenti magici” che si creano nella classe, con quel clima di attenzione silenziosa per non perdere nessuna parola, la richiesta di ulteriori momenti di lettura per poter ottenere i quali si accetta di buon cuore anche il “sacrifico” degli esercizi di grammatica, la meraviglia di scoprire che i propri allievi leggono anche altri libri per gusto personale fino anche a sottoporre all’insegnante quesiti su testi che lei stessa non ha letto. Si incontrano in questo modo momenti in cui tutti sono in sintonia, la classe è come toccata da una magia che tutti avvertono e li dispone volentieri all’attenzione ed all’impegno fiducioso. Il gusto sta innanzitutto nel piacere di ascoltare e questo porta con sé uno stile di comportamento che richiede una posizione composta, l’alzare la mano per chiedere chiarimenti, il rispetto degli altri, l’impegno personale realizzato nei tempi e nei modi richiesti. Compresa la disponibilità a correggere gli errori (gli strafalcioni) e di curare la correttezza di ciò che si scrive e si dice. Per la lingua inglese il gusto si trova nello stupore di riconoscere il senso di parole e frasi che fino a quel momento erano velate da una nube oscura che ne impediva la comprensione, parole e frasi riferite a contesti cui si dà importanza perché ne parlano gli amici, si riferiscono ai loro interessi, si riferiscono ai loro interessi professionali, hanno a che fare con il sogno del viaggio a Londra, sono la chiave di accesso ad una relazione con giovani di cui si desidera l’amicizia o perlomeno la compagnia. Fortunatamente la didattica dell’inglese è mutata nel tempo nella direzione della comunicazione, ragione per cui è facile evitare di avvicinare la classe con il taglio della scuola, preferendo un approccio che tocca le corde di ciò che per i giovani è importante nella loro vita. Occorre simpatia, e nello stesso tempo la chiara richiesta di uno stile di partecipazione e di impegno fondato da subito su regole chiare e immediatamente intuibili: in questo modo si coglie lo stretto legame che insiste tra il bello ed il giusto: è il “circolo della bellezza” che dispone alla disciplina, non la fredda regola che semmai, se presentata a sé stante, suscita nei ragazzi il desiderio di infrazione come modo di affermazione, sia pure in negativo, della propria individualità. Anche per la storia vale lo stesso principio: la successione dei fatti storici si presta decisamente alla formula del racconto epico, con dettagli ben scelti, invitando i ragazzi ad entrare nella scena degli eventi come se fossero lì presenti, aiutando questa immedesimazione con elementi tratti dalla sensibilità e dalla preparazione del formatore che può essere archeologo, cultore d’arte, delle scienze umane, dei costumi. Così pure, ci si può aiutare dalla dimensione storica delle culture professionali su cui gli allievi sono impegnati come le scoperte scientifiche e tecnologiche, la produzione dei manufatti, le forme del commercio e dell’economia, l’arte culinaria, l’abbigliamento e le mode, l’arredo. Fino anche alla matematica che si presta decisamente ad un’enorme varietà di approfondimenti come la demografia, la produzione, gli scambi, le guerre, il clima e molto altro ancora. Tutto questo mostra il valore delgiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 218 219 l’approccio gradevole centrato sulla capacità di attrarre i ragazzi sui fatti storici per mezzo della narrazione, ma anche la presentazione di quelle che sono definite le “strutture storiche” come la vita quotidiana, l’economia, la politica, la letteratura e l’arte, la scienza e la tecnica, la tecnica militare. Ma il contesto disciplinare nel quale il canone del gusto e della bellezza è più sorprendente è quello della matematica, la disciplina che più viene incolpata di perseguire l’“apprendimento per dolore”. Per questo, i ragazzi si presentano con una forte apprensione nei confronti della matematica, oppure hanno decisamente rinunciato a comprenderla e mostrano una decisa sfiducia nella capacità di venirne a capo. Al formatore viene richiesto, più che negli altri ambiti, di puntare da subito ad un approccio che consenta ai suoi allievi di scoprire il piacere della matematica, e ciò si ottiene proponendo loro quesiti reali, problemi che si possono incontrare nella vita quotidiana, la cui utilità sia evidente, persino scontata, per poi fornire loro un cammino che li stimoli ad avanzare passo passo, accompagnati e sollecitati a percorrerlo con le proprie forze, sviluppano una sempre maggiore capacità di astrazione logica. Per ogni concetto o regola che vuole insegnare, il formatore deve avere a disposizione una serie di casi reali, giochi, problemi di scelta che permettano loro di imparare in modo stimolante e soprattutto fuori dal clima penoso dell’insegnamento canonico. Il mondo delle scienze non dovrebbe presentare problemi di sorta nel consentire agli allievi di accedere al sapere tramite la curiosità, il piacere di scoprire le cose, l’acquisizione di un metodo appropriato, la capacità di spiegare il procedimento seguito e di sostenere gli esiti conseguiti. Tutto questo è raggiungibile, a condizione che il formatore non si metta in mente di organizzare l’attività sotto forma di lezioni teoriche, basate su affermazioni astratte, una sorta di nomenclatura da imparare a memoria, con solo qualche accenno alla loro “applicazione pratica”. Se la trasformazione del vasto e stimolante mondo delle scienze in discipline scolastiche da impartire in aule inerti ne ha radicalmente travisato la natura, ciò che occorre fare è seguire il percorso opposto, partire dal laboratorio e stimolare gli allievi a mettersi in gioco imparando a “fare gli scienziati”, sapendo osservare con attenzione i fenomeni, porsi gli interrogativi giusti, elaborare ipotesi o risposte provvisorie ed imparando a metterle alla prova per giungere ad affermazioni valide e cogenti. Scienze e matematica devono potersi alleare nel compito di iniziare gli allievi ad una curiosità feconda e ad un modo di procedere insieme affascinante e (sempre più) rigoroso. Il segreto sta nel fornire agli allevi dei percorsi di accesso ad un campo del sapere che i formatori vivono come un ambiente interessante, pieno di stimoli, in cui vale la pena di incamminarsi ponendosi domande, usando gli strumenti, cooperando con gli altri nell’avventura della conoscenza. Occorre imparare a condurli in questo percorso senza la pretesa di dare in anticipo definizioni e soluzioni, ma incoraggiandoli e suggerendo loro i criteri per poter conquistare personalmente il sapere. Procedendo per passi progressivi, accettando anche diversioni come stimoli che, per catene di connessioni, riportano il cammino nella giusta direzione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 219 220 Con i ragazzi della Formazione Professionale il metodo della sfida deve essere utilizzato con prudenza, poiché la catena di insuccessi che spesso registrano nella propria memoria non li dispone positivamente a questo stimolo, essendo di fronte ai problemi più facilmente propensi alla rinuncia, ad arrendersi. Molto più proficuo è l’approccio centrato sullo stimolo, la mobilitazione e l’accompagnamento. Ogni campo della cultura possiede una chiave di accesso piacevole al sapere; tutto sta nella capacità di proporre sin dal primo momento uno stile di approccio positivo, incoraggiante e centrato sull’accesso al sapere personale e sensibile. Quando si propone ai ragazzi uno stile amichevole, occorre guardarsi dall’equivoco della “facilitazione” che colloca la formazione entro una scena che non gli è consona, quella della compagnia giovanile con l’adulto che cerca di mimetizzarsi nel mondo dei ragazzi perdendo così ogni autorevolezza. Al contrario, una formazione centrata su un approccio gustoso alla conoscenza non è un modo per rendere leggero lo studio e vaghi i contenuti, ma risulta strettamente collegata con lo scopo della conquista del sapere autentico. Ciò esige una regola ed una disciplina che devono essere chiare da subito. Non si tratta di una proposta da discutere, ma di ciò che il formatore richiede alla classe e che non mette in discussione. Piuttosto, egli è molto esplicito circa gli obiettivi che intende perseguire, il valore delle acquisizioni di cui i ragazzi potranno avvalersi alla fine del lavoro, e soprattutto la fiducia che ripone nella loro capacità di riuscita. Occorre ricordarsi che la contestazione delle regole è giustificata quando queste sono il frutto dell’autoritarismo che significa imporre qualcosa per il solo motivo dell’esibizione del potere, senza che ciò porti alcun beneficio né per altri né per chi le sopporta. Un lavoro come quello esemplificato possiede un valore evidente per gli allievi; esso ha in sé una regola e una disciplina implicita, immediatamente afferrabile da chiunque, così da non richiedere alcuna spiegazione. Da ciò se ne deduce che quando i ragazzi contestano una regola, spesso segnalano il fatto che non gli viene proposto di partecipare ad un’azione effettivamente formativa, nella quale possono esercitare un ruolo attivo e concorrere a guidare il proprio cammino di crescita. Non si tratta di mettere in atto una strategia di animazione che funzioni come un ulteriore fattore distrattivo della gioventù, così che, incessantemente sollecitata a “fare cose, vedere gente...” non si accorga della realtà. La formazione non deve assolutamente imitare il sistema di manipolazione comunicativo che assedia le persone con una congerie di stimoli estranianti, ma propone un modo di vita autentico dove le persone hanno la reale possibilità di mettersi in gioco per conquistare una conoscenza dotata di valore Valore del confronto: la classe non è il luogo dove ognuno semplicemente esprime la sua opinione su un certo oggetto, dove i diversi punti di vista vengono registrati, magari confrontati, ma non si giunge mai ad una posizione veritativa. Come nel contrasto tra Socrate ed i sofisti Protagora e Gorgia, il punto della questione sta nell’amore per la verità. Nel sofismo l’argomento polemico dell’impossibilità della verità deriva dalla constatazione che ogni conoscenza è frutto di una congiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 220 221 trapposizione tra tesi contrarie e che tali tesi, ognuna sostenuta dalle diverse scuole di pensiero, impongono le proprie conclusioni sulle altre (come verità). Tali dissidi insanabili portano i sofisti a dichiarare l’impossibilità da parte della conoscenza umana di raggiungere la certezza e la verità universale (la verità è l’opinione). Dunque, centrale è il tema del relativismo, ovvero la consapevolezza che la realtà è filtrata e interpretata da ogni uomo in modo diverso. Col tempo tale atteggiamento divenne quasi una forma di estetismo della ragione, per cui la logica non era più al servizio della verità ma al servizio della confutazione e della dimostrazione di tesi ad hoc, attraverso l’uso della retorica come strumento tecnico codificato. Molti sofisti, infatti, soprattutto nella seconda fase del movimento, organizzavano regolarmente vere e proprie esibizioni pubbliche in cui davano sfoggio delle loro abilità retorica: lo spettacolo preferito erano le antinomie, ovvero la contemporanea dimostrazione di una tesi e del suo contrario (vedi eristica, punto 3). Sofisti, ovvero sapienti, vennero chiamati quei filosofi del V e IV secolo a.C. che cominciarono a dare lezioni di filosofia a pagamento, facendo della filosofia una professione. Con i sofisti la filosofia greca si apre definitivamente al grande pubblico, precedentemente era stata disciplina più che altro elitaria, chiusa ed esoterica, destinata in prevalenza dai maestri ai soli allievi. Fu così che per questa caratteristica non più disinteressata ma legata all’esercizio di una professione (e quindi esercitata sotto pagamento), sofista divenne termine spregiativo per indicare, oltre gli argomenti cavillosi e speciosi, anche un atteggiamento mercenario del sapiente stesso, il quale era spesso pagato per dimostrare razionalmente la tesi del committente, in spregio a qualsiasi idea di verità. Il ‘sofista’ è appunto colui nel quale la sophìa, rinunciando a essere verità, è divenuta la capacità tecnica di persuadere conformemente a dei fini. Sebbene non fosse riconducibile ad una scuola precisa ma solamente a un atteggiamento generale, la sofistica si può distinguere per i seguenti punti: 1. il relativismo, per cui la conoscenza si riduce all’opinione e il bene all’utilità. La verità e i valori morali non sono più certezze, ma si ammette che verità e valori possano mutare a seconda dei luoghi e dei tempi; 2. il concentrarsi maggiormente sui problemi dell’uomo e un minore interesse per le questioni teoretiche legate alla ricerca del principio e della giustificazione del mondo. Questi primi due punti sono riconducibili in special modo a Protagora e Gorgia, mentre per la seconda fase del sofismo si possono distinguere altri due punti centrali: 3. l’eristica, ovvero l’abilità di sostenere e confutare contemporaneamente argomenti tra loro contraddittori; 4. la contrapposizione tra la natura e la legge e il riconoscimento che in natura vige la legge del più forte. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 221 222 Quale significato educativo e culturale attribuire al lavoro? Fare formazione non significa semplicemente insegnare abilità e conoscenze, ma richiede una “saggezza della vita” che si esprime in una concezione alta del lavoro. La crisi economica consente di riflettere sulle reali cause dell’offuscamento del valore del lavoro, un fenomeno culturale che ha investito la nostra società negli ultimi decenni ed al quale hanno concorso tutte le principali correnti culturali: da quella marxista che alla prospettiva originaria del “lavoro liberato” ha preferito quella del “salario minimo garantito” pur senza lavoro, a quella liberale che ha enfatizzato essenzialmente la componente economica del salario dimenticando l’etica del lavoro ed il gusto – l’onore! – del “lavoro ben fatto”, fino anche a quella cattolica che ha rivolto l’attenzione quasi esclusivamente al settore del non profit, come se l’azione economica profit fosse di per sé segnata inesorabilmente dal disvalore. La crisi possiede un valore provvidenziale poiché ripropone la questione del lavoro come componente fondamentale di una società giusta. Non inteso solo come occupazione che consente al lavoratore di poter disporre di un reddito tramite il quale far fronte alle necessità personali e di quelle della famiglia, acquistare beni e servizi e frequentare luoghi ritenuti esteticamente conformi al suo bisogno di riconoscimento, ma soprattutto come legame sociale rilevante per realizzare il proprio progetto di vita, mettendo a frutto talenti e competenze in modo da fornire sia un contributo positivo alla società sia un perfezionamento della propria realtà personale. L’educazione al lavoro acquisisce oggi un significato nuovo: fornire agli adolescenti ed ai giovani l’opportunità per stabilizzare il proprio io, riscattandolo dalla vana agitazione dell’identità mediatica ed ancorandolo in una relazione sociale costruttiva e feconda. Questi giovani, spesso tenuti sospesi a mezz’aria, in bilico tra realtà e finzione, sono sedotti da una filosofia di vita fondamentalmente scettica, propria di una “società signorile” che ha sostituito l’etica del lavoro, ovvero l’idea di realizzare se stessi occupandoci degli altri, con l’estetica dei consumi, ovvero la ricerca di un’identità mediante il mascheramento ed il perseguimento compulsivo di ciò che ci rende apprezzabili dagli altri. Non è l’affermarsi di un “sistema sociale”, ma un costume di vita di popolazioni che preferiscono godere di ciò che è stato finora accumulato piuttosto che dedicarsi a nuove imprese. Liberato dalla schiavitù della routine, l’essere umano ha la possibilità di infondere nelle cose che fa, qualcosa della propria anima, ma si trova di fronte il percolo del disincantamento, che significa fare le cose per sopravvivere o farle per vendere (marketing). Il lavoro buono indica una relazione di servizio in grado di costruire legami di socialità e di apporto di valore; inoltre, rappresenta una relazione interiore che coinvolge la personalità di chi lo svolge e ne esprime il proprio carattere peculiare. Il lavoro umano è in grado di apportare valore quando pone le cose prodotte al servizio della vita buona. Il lavoro è una dimensione fondamentale della vicenda umana, senza la quale la persona risulta indebolita in se stessa, dedita prevalentemente a sentire giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 222 223 e cercare di soddisfare i propri bisogni, scarsamente propensa ad un atteggiamento donativo e coraggioso circa la comunità ed il futuro. Per essere autenticamente umano, il lavoro presuppone la scoperta del senso del limite di un’esistenza solo operosa: il riposo è il simbolo della impossibilità dell’uomo di generare il bene esclusivamente con il proprio sforzo: non basta lo sforzo personale per rendere buono il nostro affanno quotidiano. Consegnare ai giovani il segreto del “lavoro buono” significa indicare loro il senso che il popolo attribuisce alla propria missione, i valori da cui trae alimento, le mete che intende perseguire. Il nostro popolo ha mostrato nell’epoca dell’industrializzazione di possedere una riserva potente di energia costituita dal desiderio di miglioramento dello stile di vita nel senso della prosperità. Ora, la coscienza della crisi ci ha risvegliati dal “sogno signorile” su cui una parte cospicua della popolazione si è cullata, e ci impone di combattere la tendenza a godere della qualità della vita conquistata, alla lamentazione sterile ed al rilassamento della spinta lavorativa ed imprenditoriale. È il tempo del risveglio del carattere costruttivo del nostro popolo, sulla base di un significato del lavoro inteso come capacità di sollecitazione delle doti – progettuali, ma anche morali e spirituali – della nazione, rimettendo in moto una stagione di operosità umanizzante. Conta anche la capacità di combattere l’accidia vale a dire la frivolezza, l’agitazione permanente, l’incertezza dell’identità e lo sradicamento dai contesti reali. Non si lavora in senso umano se si è preda dell’inquietudine o della dissipazione. Ed è qui che risiede il segreto da consegnare alle giovani generazioni: il lavoro buono adatto ai nostri tempi li riconosce “degni di scoprire il mondo”, consente di stabilizzare l’identità di chi opera, ancorandola a sfide concrete e suscitando le virtù dei nostri padri: «un vero spirito di indipendenza, l’amore delle cose grandi, la fede in se stessi e in una causa». 70 Esso è a sua volta alimentato da esperienze che siano “tempi fecondi dell’anima”: l’amicizia, l’amore, la poesia, il rapporto con la natura, la religione, l’arte... Trovando ciò che soddisfa l’animo, si è umani anche nella propria opera. I ragazzi in un corso di Formazione Professionale non sono concepiti come studenti, ma come veri e propri novizi che si dispongono ad entrare nel mondo del lavoro avvalendosi della competenza e della saggezza di vita della comunità educativa costituita dai propri formatori. La proposta che viene rivolta loro si propone fondamentalmente di aiutarli a diventare persone libere, capaci di giudizio e di azione positiva nel reale; tramite l’esercizio del lavoro essi imparano uno stile di vita autonomo e responsabile, si propongono alla comunità come persone in grado di fornire un apporto positivo agli altri. In questa prospettiva, l’approccio alla cultura consente loro di cogliere pienamente i significati della loro opera, esercitare una cittadinanza operosa e donativa, contribuire a rendere migliore il mondo. 70 A. D E T OCQUEVILLE , L’antico regime e la rivoluzione, Rizzoli Milano, p. 31. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 223 224 SINTESI DEL PRIMO PASSO (le chiavi di accesso culturale al mondo degli allievi) Quali mete vogliamo raggiungere? Occorre evitare di concepire l’insegnamento come una (triste) tecnica volta ad impartire i saperi definiti dai programmi scolastici (che non ci sono più) o da sequenze di contenuti che indicano il “sapere minimo” dei cittadino del nostro tempo. Gli scopi della cultura generale consistono nell’elevare il livello di coscienza degli allievi così che possano passare dal mero esistere all’essere nel mondo. La cultura non è un bagaglio più o meno pesante da portarsi appresso, ma un abito che ci permette di vivere meglio, animati da pensieri vivi. Quali allievi abbiamo di fronte? Bisogna guardarsi dal far proprio il pregiudizio diffuso secondo cui la FP è il ricettacolo di persone incapaci di apprendimento perché questo atteggiamento funziona come una “profezia che si autoavvera”. Gli allievi della FP meritano di essere guardati come persone dotate di talenti, di cui spesso neppure loro sono consapevoli (la scarsa stima di sé è un tratto tipico della gioventù del nostro tempo), a cui fornire un’occasione di riscatto sostenuta da una metodologia amichevole e nel contempo efficace. Quali ostacoli contrastano i nostri intenti e quali leve possiamo mobilitare per superarli? L’ostacolo che gli allievi presentano nei confronti della cultura non è tanto nella loro impreparazione “di base”, quanto nella demotivazione che rivela spesso una scarsa stima nelle proprie capacità di imparare e di avvalersi del sapere. Ma nello stesso tempo assume il valore di leva positiva la possibilità di riscatto e di successo insita nella loro condizione. Costituisce un ostacolo la presenza di formatori che concepiscono il loro compito come un’istruzione, come pure la mancanza di passione e la divisione, ovvero l’assenza di uno spirito comunitario. La risorsa decisiva per un esito positivo dell’educazione è la fiducia nei giovani e precisamente nella loro naturale sensibilità al bene, che consente di ottenere risposte sorprendenti per loro stessi, i formatori, tutto il Centro ed il suo contesto. Quale approccio adottare circa l’accesso degli allievi al sapere? Si propone di adottare l’approccio della bellezza, del gusto e dell’utilità del sapere: il bello è amico del bene e del vero, lo stupore apre la porta dell’animo umano e stimola una tensione positiva verso la realtà. Bisogna evitare di chiedere loro di essere meri spettatori, ma di assumere uno stile partecipativo serio e disponibile, basato su una disciplina e su regole impegnative, da alternare ad uno stile più leggero ed ironico. Gli allievi vanno incoraggiati nel cammino della conoscenza così che possano sentirsi sostenuti nel perseguimento del successo formativo, così da divenire consapevoli del proprio effettivo valore. Quale significato educativo e culturale attribuire al lavoro? Il lavoro – e non la mera occupazione – presenta un valore educativo e culturale che consente loro di divenire protagonisti attivi della vita sociale, di acquisire un’identità salda e sostenuta dal valore della propria opera. Essi non sono studenti, ma veri e propri novizi che godono del privilegio di essere accompagnati nell’inserimento nel reale avvalendosi della competenza e della saggezza dei propri formatori e di tutti coloro che si impegnano nell’opera educativa del Centro. In questo modo essi divengono persone libere, capaci di giudizio e di azione positiva nel reale; il senso della bellezza, del gusto e dell’utilità della cultura dona a loro la capacità di cogliere i significati della loro opera, di essere cittadini operosi e capaci di fornire il loro contributo originale allo scopo di rendere migliore il mondo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 224 225 Secondo passo: Come condurre un percorso formativo efficace «Quando l’allievo non fa che ripetere non la stessa risonanza ma un miserabile ricalco del pensiero del maestro; quando l’allievo non è che un allievo, fosse pure il più grande degli allievi, non genererà mai nulla. Un allievo non comincia a creare che quando introduce egli stesso una risonanza nuova (cioè nella misura in cui non è un allievo). Non che non si debba avere un maestro, ma uno deve discendere dall’altro per le vie naturali della figliazione, non per le vie scolastiche della discepolanza» Charles Péguy (2003 p. 1099). Oltre l’inerzia disciplinare ed il costruttivismo ingenuo La domanda educativa propria del nostro tempo punta a formare giovani autonomi e responsabili, in grado di inserirsi positivamente nella realtà, conducendo in essa una vicenda di vita dotata di valore per gli altri e per sé. Per fare ciò occorre abbandonare l’idea che l’apprendimento avvenga in un contesto inerte, isolato dal reale, realizzato mediante lunghe (e noiose) sequenze di lezioni ed interrogazioni, ma che possa essere un percorso segnato da occasioni che stimolino la curiosità e la ricerca, il lavoro cooperativo, la realizzazione di prodotti di valore in quanto utili in riferimento a bisogni ed interessi di interlocutori ben definiti. Questo programma significa salvare le conoscenze dal “disciplinarismo” che suddivide il sapere sulla base di un numero esagerato di materie strutturate verticalmente, ciascuna delle quali procede in solitudine senza prevedere connessioni reciproche né fra di loro né fra loro ed i fenomeni significativi della realtà. Le discipline sono l’esito di un’operazione culturale che, originando da una particolare (e parziale) prospettiva di comprensione del reale, ha strutturato nel tempo un linguaggio peculiare fondato su principi e regole riferiti ad una specifica epistemologia e facente riferimento ciascuna ad una gerarchia generale del sapere considerato necessario all’insegnamento ed allo studio. L’antropologo Clifford Geertz ha affermato a questo proposito che: «Le grandi etichette come “scienze naturali”, “scienze biologiche”, “scienze sociali” e “discipline umanistiche” hanno un senso nella presentazione dei curricula, nel classificare gli studiosi in circoli e comunità professionali, e nel distinguere grandi tradizioni di stile intellettuale [...], ma quando queste etichette vengono considerate una mappa dei confini e dei territori della vita intellettuale moderna o, peggio, un catalogo di Linneo in cui classificare le specie scientifiche, esse impediscono semplicemente la vista di quanto accade fuori, là dove gli uomini e le donne riflettono sulle cose e scrivono le loro riflessioni» (Geertz 1998, pp. 10-11). Come dire: la genesi e la struttugiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 225 226 razione del sistema delle discipline non è indifferente alle logiche di potere accademico che procedono generalmente per moltiplicazione e separazione, mentre è estremamente raro il processo contrario di cooperazione, inclusione ed accorpamento. Vi è un punto, ed è stato abbondantemente superato, in cui l’eccesso di frammentazione del sapere e la creazione di “domini” accademici difesi da barriere epistemologiche artificiose, entra in contrasto con la possibilità di una vera comprensione del reale. Certamente le discipline sono utili all’insegnamento, sia pure periodicamente revisionate e riaggregate 71 ; parimenti le epistemologie su cui si reggono costituiscono fattori indispensabili per una conoscenza ordinata, nell’ambito dei paradigmi culturali propri di ogni campo del sapere, tenuto conto delle concezioni via via emergenti. Ma occorre guardarsi dal disciplinarismo frammentario e soprattutto alla sua trasposizione didattica in quanto in esso operano forze che contrastano, invece che favorire, la possibilità da parte degli studenti di imparare nel senso di nutrire la propria mente. Oltre al disciplinarismo, occorre guardarsi anche dal costruttivismo banale con la sua idea ingenua del processo della conoscenza concepita come una narrazione senza uno stretto rapporto né con i fatti né con le teorie, ma esito unicamente di un consenso tra coloro che la condividono 72 ; con la sua metodica impoverita centrata unicamente sul rapporto tra docenti-accompagnatori e studenti-scopritori che si svolge tramite fornitura ai secondi di «supporti e risorse per la costruzione attiva della conoscenza » 73 ; con una forte deriva tecnicistica come quella sostenuta da Marianne Wolf, e da molti suoi epigoni, secondo la quale la comparsa delle moderne tecnologie informatiche e telematiche svelerebbe la non naturalità della scrittura e la struttura immediata, non riflessiva, multidimensionale e caotica del cervello umano 74 . Occorre riconoscere al costruttivismo il merito di aver rilanciato le tesi care all’attivismo pedagogico, tra cui la rilevanza della conoscenza sociale (che in questa prospettiva viene detta “situata”, segnalandone il carattere contingente) e la centralità dell’allievo nel cammino di apprendimento e di crescita in modo che se ne renda protagonista; ma questo percorso risulta troppo limitato al consenso linguistico, ma poco consistente in relazione ai necessari processi di produzione mentale (teorie, proposizioni, schemi logici, calcoli matematici) che permettono di giungere ad una conoscenza giustificata. Esso, ancorato com’è ad una visione relativistica del rapporto tra il soggetto umano e la realtà, non è in grado di indicare un circolo del sapere capace di valorizzare tutte le forme della conoscibilità: l’intuizione che deriva dall’esperienza diretta ed il senso comune, e nel contempo il sapere canonico che fornisce la capaci- 71 Recentemente, le difficoltà connesse all’introduzione di discipline comprensive come “scienze integrate” e “scienze applicate”, hanno mostrato quanto sia ancora rilevante il peso del disciplinarismo nella scuola italiana 72 P. A. B OGHOSSIAN , Paura di conoscere, Carocci, Roma, 2006. 73 A. C ALVANI , Principi dell’istruzione e strategie per insegnare, Carocci, Roma, 2011, pp. 46-47. 74 M. W OLF , Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Vita e Pensiero, Milano, 2009. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 226 227 tà di ordinare e ritenere ciò che si conosce su una base sostenibile dal punto di vista gnoseologico e non solo linguistico, così che la persona lo padroneggi e ne tragga benefici reali nel suo rapporto con il mondo. Insegnare ad essere competenti In un quadro neorealista la didattica delle competenze che dir si voglia, non viene concepita come un’alternativa alle conoscenze canoniche perché, se è vero che senza una loro mobilitazione competente rimangono inerti, è anche vero che senza il sapere la competenza è vuota. Per questo, i compiti di realtà – il fattore centrale della didattica delle competenze – vanno concepiti piuttosto come un procedimento che consente al soggetto umano di impadronirsi del sapere in azione secondo una direzione che conduca per passi successivi a padroneggiare la teoria resa convincente dal percorso svolto e resa sensibile dal coinvolgimento soggettivo entro un’esperienza. È un cammino verso la conoscenza che inizia dall’implicazione nel reale e procede tramite un processo di astrazione e di generalizzazione che consente al soggetto di passare dal piano dello specifico compito-problema su cui si esercita, alla formulazione di una diagnosi/prognosi che apre alla possibilità di svolgere un intervento finalizzato a scopi risolutivi, fino alla formalizzazione del sapere “concettuale” composto da procedure, teorie ed argomentazioni generalizzabili al di là del caso particolare che le hanno sollecitate. La competenza non coincide né con le conoscenze né con le abilità, ma rappresenta un costrutto di natura differente rispetto alla classificazione disciplinare del sapere; ciò esclude sia l’idea che si tratti di una mera “applicazione” dei saperi teorici sia della capacità di adattamento dell’individuo alle prescrizioni di ruolo. Essa si riferisce alla persona in azione, e precisamente quanto essa è chiamata a mobilitare le risorse possedute (conoscenze ed abilità) in vista di compiti e problemi significativi, in più possibile tratti dalla vita reale a vicini ad essa. In questo senso, la competenza smette di essere un’astrazione o solo l’applicazione di una regola, ma indica una qualità personale, in forza della quale si può definire come “persona competente” un soggetto sensibile e volitivo, ricco di cultura, che si prende cura della realtà e si coinvolge volentieri in essa fornendo il proprio contributo mobilitando le risorse a disposizione ed apportando in sovrappiù un valore originale proprio 75 . 75 «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità» (H. A RENDT , Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 1999, p. 129). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 227 228 Essa non coincide necessariamente con ciò che la persona impara nelle occasioni formali di studio, ma comprende anche le modalità di apprendimento non formale ed informale. Questo ampliamento dell’ambito nel quale l’individuo trae spunto per l’accrescimento della propria dotazione culturale, estendendosi di fatto ad ogni esperienza della vita, costituisce una delle colonne su cui poggia l’edificio del sistema delle competenze, ma indica nel contempo uno dei suoi punti più deboli poiché quello della competenza rischia di diventare un “concetto-lenzuolo” capace di coprire l’intero spazio dell’intellegibile umano. Ciò lo renderebbe in definitiva inservibile poiché, inglobando tutto, perderebbe la capacità identificativa, in particolare la possibilità di segnalare ciò che non è competenza; in tal modo, senza limiti ben delineati, tutto l’impianto delle competenze finirebbe per risultare inservibile, poiché delirante. Infine, il giudizio circa la qualità “competente” del soggetto umano necessita di un fondamento attendibile che renda “comprovata” la capacità di utilizzare le risorse necessarie costituite da conoscenze, abilità e capacità personali. Qui risiede uno dei punti più critici dell’intero “modello” delle competenze, ovvero la natura delle prove in grado di attestare che una persona ha saputo davvero mobilitare specifiche conoscenze ed abilità allo scopo di portare a termine compiti e risolvere i problemi che via via gli si presentano. Queste prove, o evidenze, dovrebbero avere la forma di azioni reali ed adeguate 76 , visto che la persona competente è, come abbiamo detto, un soggetto in azione. Una parte cospicua delle evidenze delle competenze è costituita da materiali multimediali prodotti attraverso tecnologie dell’informazione e della comunicazione; tali tecnologie non possiedono il potere magico di indirizzare da sole il percorso formativo e di sormontare i problemi di apprendimento, ma contribuiscono ad arricchire lo spazio del lavoro dei formatori, entro una regia educativa propria dell’équipe. Per gli allievi di oggi, le tecnologie possiedono un valore intuitivo, presentano un’amplissima gamma di applicabilità, rientrano nelle forme più diffuse di comunicazione del nostro tempo ed ancor di più di quello a venire. Ma va ricordato che gli allievi desiderano divenire competenti tramite l’aiuto ad entrare in un rapporto concreto e positivo con la realtà, la manipolazione dei materiali fisici e degli strumenti concettuali che connotano il campo del sapere in cui ci si è addentrati, infine la gestione delle relazioni faccia a faccia con i vari attori in gioco fino al completamento dei compiti assegnati. La regia educativa dell’équipe Il metodo formativo che si propone, risultato anche delle rilevazioni effettuate nella realtà concreta dei CFP, attribuisce all’équipe il compito della regia educativa del corso, che si attua attraverso l’individuazione di temi portanti in grado di aggregare le aree formative e le discipline e di sollecitare l’interesse e la partecipazione degli allievi. 76 M. C OMOGLIO , La “valutazione autentica”, «Orientamenti pedagogici» 49 (1), 2001, pp. 93-112. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 228 229 Il CFP è al centro di una rete di relazioni, attese ed opportunità, oltre agli inevitabili rischi; esso è chiamato ad essere il regista di un percorso educativo a più cerchi. Cinque sono gli ingredienti di tale regia: 1) L’attivatore esplicito ed il “format lavoro” La forza esplicita che i giovani manifestano e che costituisce il primo attivatore dei loro talenti e capacità è costituita dal desiderio di entrare in modo positivo nella realtà, imparando a conoscerla e ad assumere un ruolo significativo ed utile agli altri, mediante il quale mostrare di potersela cavare da sé e di segnare il mondo con il proprio apporto originale e distintivo. Questo “attivatore” è in grado di agire positivamente nell’ambito dei saperi e delle competenze degli assi culturali, visti come ingredienti in grado di insegnare a lavorare. Ma è anche un metodo di studio, che consiste nel mettersi all’opera non più come studente ma come allievo e novizio di un apprendimento per la vita: così egli acquisisce in modo indiretto i frame, la struttura che ordina, dà significato e permette la memorizzazione di un’esperienza, che aiutano il soggetto ad elaborare in modo significativo e comunicabile il suo rapporto con la realtà, e ad assimilare convincimenti argomentati. L’allievo impara lavorando, compiendo opere significative ed utili a favore degli altri. 2) L’attivatore implicito e la consonanza culturale L’essere umano riceve con il patrimonio genetico anche un patrimonio culturale; ciò significa che la sua identità è già connotata dallo stile di vita e dalle suggestioni caratteristiche (topos) che sono proprie della cultura di appartenenza. Si può dire che egli, in un modo che le scienze non hanno ancora del tutto compreso, possiede già in sé l’impronta sensibile, un misto di archetipo – la forma preesistente di un pensiero – e di frame simbolici, che gli permettono di provare nostalgia, avvertire il gusto, dare significato e memorizzare le esperienze culturali significative tramite l’incontro con le opere che hanno arricchito e caratterizzato quello stile di vita di cui egli è un testimone sensibile. È la consonanza culturale. L’intento decisivo di ogni insegnante, che consiste nel trasformare gli apprendimenti sparsi in una padronanza personale, non avviene in sequenza cronologica, ma circolarmente ed in modo situato: un sapere “nucleare” trova significato pieno solo entro una “ragione di vita” che costituisce il patrimonio profondo della cultura, sia quella locale sia quella «umana», ed a questo deve sempre riferirsi perlomeno come promessa. 3) La personalità del CFP ed il protagonismo degli allievi Il CFP non è una somma amorfa di classi, ma un organismo vivente che possiede una personalità. Più questa è ben delineata, migliore è la possibilità degli allievi di identificarsi in essa. In tal modo si delinea un’affezione nei confronti del proprio CFP, il requisito fondamentale della qualità dell’educazione. Infatti, i drop out sono l’esito dell’insuccesso di una relazione significativa, dell’insignificanza di un legame e di una proposta. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 229 230 La personalità del CFP è data da temi chiave che connotano i percorsi formativi e mobilitano i talenti e le capacità degli allievi in direzione di opere significative da offrire alla comunità, come segno del valore dei saperi acquisiti. 4) Una regia unitaria Un CFP mirato a rendere possibile e fecondo l’incontro dei giovani con la cultura non è una somma di singoli insegnanti che pensano se stessi come «principi della classe» nelle ore del loro insegnamento, ma componenti di una comunità educativa e formativa che legge ed interpreta le domande formative della società, progetta i percorsi in base ai temi chiave su cui chiede la mobilitazione degli allievi e dei soggetti con i quali si è alleata. Emerge in questa prospettiva la rilevanza dello spazio comune che non consiste nell’astratta «area comune» di un tempo, ma nelle attività che qualificano il CFP, rendono possibili il perseguimento dei traguardi formativi elaborati, consentono una validazione sociale della sua opera. La regia unitaria deriva proprio dalla densità delle mete comuni che impegnano l’intero CFP, i dipartimenti ed i consigli di classe. 5) Il metodo composito La regia educativa si esprime nella progettazione di un percorso formativo unitario, scandito da tappe di apprendimento e di maturazione, per la realizzazione del quale si prevede una combinazione delle seguenti 5 modalità: – Incipit-avvio. – Lezione frontale. – Gruppi di lavoro nella classe e nel CFP. – Azione compiuta interna ed esterna. – Dialogo ed argomentazione. Il metodo composito Specifichiamo di seguito le cinque modalità formative a disposizione dell’équipe, e di ogni singolo formatore, per perseguire i traguardi formativi definiti. Incipit-avvio Si tratta dell’avvio dell’incontro educativo con la classe, quello che corrisponde alla captatio benevolentiae, il cui scopo è stabilire un rapporto vivo tra il formatore, la classe e l’esperienza culturale proposta. Tramite un positivo incipit, si è in grado di immettere i ragazzi sulla giusta strada e nel modo appropriato, attraverso un’esperienza in grado di smentire il loro pregiudizio scolastico; per fare questo occorre mettere in atto una strategia centrata sul gusto, la meraviglia e l’utilità del sapere, tenendo conto che ogni campo culturale possiede un suo profilo di “seduttività”. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 230 231 La capacità seduttiva riguarda l’opera (letteraria, artistica, scientifica, storica, professionale...), gli autori e le vicende proposte, mediate dalla passione e dall’esperienza dell’insegnante. Lezione frontale La docenza frontale si fonda sulla fiducia degli allievi e consente loro di accedere alla conoscenza proposizionale, quella che procede per trasferimento di fatti, principi e regole dalla mente dell’insegnante (o dal libro di testo) all’allievo visto non come “tabula rasa”, ma come persona dotata delle facoltà intellettive che gli consentono di cogliere il significato di ciò che gli viene proposto pur senza esperienza sensibile, di fare memoria di esperienze rese tramite fonti indirette, di operare inferenze e deduzioni logiche da assunti e giungere a generalizzazioni. La didattica centrata sul trasferimento di conoscenze proposizionali ha il vantaggio di sollecitare nel discente abilità mentali che non necessariamente richiedono sul momento di saper fare qualcosa di concreto. Ma richiede, entro il termine di un modulo, una produzione autonoma da parte degli allievi che consenta loro di passare dalla comprensione alla padronanza delle conoscenze. Gruppi di lavoro nella classe e nel CFP Nel procedere per moduli, occorre prevedere la massima convergenza possibile fra le diverse discipline che condividono il medesimo nucleo del sapere, dove le attività didattiche basate su conoscenze proposizionali preludono ad esperienze culturali che ne rappresentano insieme il compimento e la messa alla prova tramite compiti di realtà. La struttura modulare del sapere rappresenta la soluzione del problema di come integrare la didattica per trasferimento in un cammino di studio prevalentemente attivo, dove l’allievo sia protagonista del proprio progresso. Il gruppo di lavoro interno alla classe, finalizzato a produrre opere che non si limitano all’ambito angusto del ciclo insegnamento-prestazione-voto, ma mirano a stabilire relazioni sociali reali centrate sul sapere in azione, è uno degli ingredienti fondamentali del corredo dell’insegnante regista didattico. Azione compiuta interna ed esterna L’azione compiuta può avvenire all’interno, nella forma del “laboratorio di realtà”, ed anche all’esterno del CFP; questa modalità formativa assume nella gran parte la forma dell’alternanza formazione-lavoro che, com’è noto, è una metodologia che integra la formazione interna e quella esterna alla struttura formativa entro un progetto unitario, progettato e valutato. Ciò che contraddistingue tale metodologia è il fatto che gli apprendimenti, se presentati in modo formale risultano isolati tra di loro e con il reale, trovano invece vita e significato pieno se collocati entro un “contesto formativo” che esprime le culture in azione presenti nella realtà concreta del lavoro e dell’impresa, delle istituzioni, della società e della cultura. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 231 232 Ciò che prevale nell’azione situata è il senso delle condotte degli attori che si muovono coordinandosi in vista di uno scopo condiviso e dotato di valore. Dialogo ed argomentazione Attraverso il dialogo, svolto in prevalenza nell’ambito della classe, avviene un’esposizione ed un confronto/discussione tra le persone, tramite cui avviene un incontro tra il linguaggio formale delle discipline ed il linguaggio narrativo che connota la realtà quotidiana. In queste occasioni, ognuno è chiamato ad esprimere la sua personale rappresentazione della vicenda formativa apportando ad essa qualcosa di peculiare e sapendo argomentare la propria posizione, mostrando non solo di padroneggiare il campo culturale entro cui si colloca l’attività, ma anche di saper trarre da essa i benefici di apprendimento e di maturazione personale, anche in vista delle scelte future. È ciò che scandisce il passaggio dall’umanesimo scolastico all’umanesimo civile, dove il primo indica l’insieme dei temi che un cittadino deve tenere presenti per poter essere conforme ai traguardi formativi definiti dai curricoli scolastici, mentre il secondo segnala cosa accade ad una persona quando trae beneficio personale dalla cultura incontrata nell’esperienza formativa, divenendone portatore vivo. Si propone un esempio di intervento formativo in cui il sapere disciplinare è gestito non sulla base di una didattica disciplinare, ma nella prospettiva della “cultura della realtà” in grado di suscitare l’interesse e la partecipazione degli allievi. Un esempio concreto: l’insegnamento del diritto. Nell’approccio canonico, vale a dire secondo una didattica centrata sull’epistemologia della discipline, l’insegnamento del diritto inizia necessariamente dai concetti generali, per poi presentare la ripartizione del campo del sapere, quindi entrare nei singoli ambiti dove affrontare i concetti giuridici specifici ed infine – solo alla fine – la loro applicazione. In questo modo, un allievo di prima o seconda inizia il suo percorso di diritto incontrando il concetto di “diritto” tramite una sua definizione formale, distinto successivamente nella macro categoria del diritto oggettivo comprendente il diritto pubblico (amministrativo, costituzionale), quello privato (civile, della famiglia) e del lavoro, il rapporto giuridico e diritto soggettivo (diritti assoluti, reali patrimoniali e non patrimoniali. Per poi passare ai concetti di norma giuridica, soggetti del diritto, i diritti e doveri universali, per concludere con il contratto. Successivamente affronterà il sistema giuridico nelle sue articolazioni. Con un simile approccio, che cosa accade nella mente di un allievo che non ha mai trattato di questi temi? Semplicemente non capirà nulla di quanto proposto, quindi gli si presentano due alternative: o mandare a memoria quanto proposto magari aiutandosi con schemi o mappe concettuali, oppure rinunciare. Ciò perché l’approccio canonico, paradossalmente, presuppone che il destinatario possieda già una visione giuridica, o comunque abbia i mezzi per cogliere il senso di questi concetti astratti ed avulsi. Si pone pertanto una contraddizione palese tra l’obiettivo dell’insegnante – insegnare il diritto – ed il metodo adottato, nel senso che non vi è un legame né logico né cronologico né fattuale tra gli stimoli proposti ed i risultati attesi. Un simile metodo funziona per un piccolo gruppo di allievi disposti ad una navigazione che si svolge per buona parte al buio, nella speranza che prima della fine gli vengano proposti esempi e casi che gli consentano di cogliere il legame che insiste tra ciò che gli viene impartito ed il mondo reale. Diversamente, un formatore che intenda perseguire effettivamente gli scopi che si prefigge, che i suoi allievi apprendano il senso del diritto, la sua struttura, il campo in cui si applica, le istituzioni, gli attori e le dinamiche che vi si svolgono, si muoverà con un approccio completamente diverso e giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 232 233 per molti versi rovesciato rispetto a quello canonico: cercherà di rintracciare dalla cronaca, dalle sue conoscenze o da avvenimenti veramente accaduti, dei casi reali che possano mostrare all’allievo un contesto di diritto in azione, di modo che, addentrandovisi con un corretto metodo, essi possano immergersi in una situazione densa di significati giuridici. Ad esempio, egli può partire da una rissa tra giovani accaduta per motivi banali qualche notte precedente in una piazza della città che ha provocato lesioni personali ed una denuncia penale di una delle vittime nei confronti di tre giovani aggressori. Una vicenda interessante perché consente di cogliere il concetto di parte lesa, di tutela legale, di azione giudiziaria, di fattispecie giuridiche, di codice penale e civile, di processo con i suoi gradi, di dibattimento, prove, sentenze e conseguenze in tema di risarcimenti e restrizioni della libertà a carico dei rei. È indubbiamente una situazione di apprendimento valida da tre punti di vista fondamentali: si tratta di un evento di indubbio interesse per la classe (se ne è discusso, alcuni dei giovani coinvolti sono noti tra gli allievi), è centrale rispetto ai traguardi formativi di riferimento del corso 77 , possiede un valore morale poiché aiuta gli allievi a riflettere sui concetti di bene, rispetto reciproco, civile convivenza, diritti e doveri. A questo punto, manca solo di costruire il cammino di apprendimento secondo un metodo che metta in moto i ragazzi, meglio se in gruppo, e li disponga verso un risultato tangibile, dotato di valore, riferito ad altri interlocutori che non siano necessariamente i propri docenti, in modo che nel completare il compito essi debbano necessariamente incontrare quei contenuti e farli propri, perlomeno dal punto di vista del senso comune. Dopo aver pensato quale soluzione sia preferibile, al formatore viene in mente di dividere la classe in tre gruppi: il primo gruppo rappresenta l’accusa, il secondo la difesa ed il terzo la magistratura. Inizia il primo gruppo che formula la denuncia indicando a chi è rivolta, per quale accusa, per quali ipotesi di reato, con quali riferimenti dei codici e sulla base di quali evidenze dei reati denunciati. Riceve la denuncia (scritta) il terzo gruppo che valuta se avviare l’azione penale sempre in riferimento ai codici. Presupponiamo che l’esito sia scontato, quindi invia una comunicazione giudiziaria agli accusati, ovvero il secondo gruppo il cui compito consiste nel preparare la difesa nel procedimento, mentre da parte sua si prepara alle fasi successive dei dibattimento e del giudizio. L’attività formativa potrebbe fermarsi qui con la produzione di tre documenti: l’accusa, la difesa e il giudizio. Oppure potrebbe giungere fino alla simulazione dell’udienza decisiva con la pubblica accusa, l’arringa degli avvocati delle due parti, la sentenza della corte, il tutto sotto gli occhi di due docenti-esperti di un’altra classe in veste di giudici. È certo che, dopo questo lavoro, i ragazzi avranno appreso molto di più e soprattutto in modo assolutamente più convincente, rispetto alla classe il cui docente ha preferito il metodo canonico, specie se nel primo caso il formatore avrà richiesto che i gruppi lavorassero con un coordinatore ed un segretario ed ognuno avesse un compito specifico da svolgere, debitamente documentato; se poi avrà richiesto agli allievi di produrre un glossario con i termini nuovi incontrati e la loro spiegazione con due esempi di frasi compiute. Infine, per valorizzare al meglio l’esperienza e trarre da essa il massimo risultato, il formatore avrà richiesto alla classe di svolgere un confronto fra i gruppi in cui, sulla base del racconto e del lavoro svolto, sviluppare una riflessione comune per focalizzare gli elementi salienti del caso affrontato e padroneggiare ancora più fortemente il campo del diritto. Ad ognuno dei partecipanti sarà infine richiesto di mettere per scritto il valore di questa esperienza formativa, indicando i compiti svolti, i problemi incontrati ed il modo del loro superamento, le acquisizioni di cui ha beneficiato ed il loro legame con quanto insegnato loro dai formatori, ulteriori temi che desidera affrontare di seguito a questa esperienza, infine che giudizio dà alla sua performance. 77 Si tratta della seconda competenza storico sociale dell’obbligo di istruzione che recita: “Collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione, a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente”. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 233 234 L’esempio proposto mostra con chiarezza in cosa consiste il metodo formativo composito ed il suo legame con una figura di formatore in cui emergono doti artigianali ed artistiche, piuttosto che impiegatizie ed esecutive di programmi predefiniti. La sua attività, infatti, non è assimilabile ad uno schema chiuso, ma richiede una capacità di immaginazione e di progettazione del percorso formativo proposto ai ragazzi che mira a combinare con inventiva e metodo i tre fattori fondamentali dell’azione educativa: – la partecipazione attiva a compiti dotati di utilità e valore, in cui impegnarsi con serietà mobilitando e nel contempo scoprendo il proprio patrimonio di capacità e talenti. La partecipazione rappresenta pertanto la condizione propria dell’esperienza formativa, il requisito fondamentale ed indispensabile che consente di rendere proficuo il ruolo richiesto ai diversi attori in gioco. – La sollecitazione delle prerogative proprie della mente affinché essa sappia descrivere e comprendere il reale, svolgendo il tragitto che si snoda dall’esperienza specifica all’astrazione dei concetti e delle regole il cui possesso permette di acquisire effettivamente il patrimonio culturale necessario ad essere persone e cittadini liberi, capaci di giudizi fondati e di scelte ragionevoli. Va ricordato che la realtà non si trasferisce alla mente per “immissione”, ma richiede da parte del soggetto conoscente un lavoro epistemico volto a dare ragione delle sue credenze confrontandole con le evidenze reali del campo cui si riferisce e sostenendole nella discussione in modo da dare risposte convincenti alle obiezioni ed alle tesi divergenti dalla propria. – Il cambiamento personale che deriva dall’aver compiuto un cammino formativo che ha potuto portare la persona ad una nuova conoscenza. Lo scopo del sapere non può essere ridotto al voto e neppure al piacere dell’erudito che gode del successo provocato dal suo pubblico riconoscimento, ma mira a rendere migliore la vita tramite l’ampliamento del vedere, del sentire, del giudicare e dell’agire. Ogni persona, infatti, possiede un suo proprio punto di vista su di sé e sulla realtà – incardinato nella sua cultura di appartenenza – a cui tiene molto e che non è facilmente disposto a rinunciare. La condizione dell’individuo della società mediatica è quella dell’assediato da una quantità spaventosa di messaggi, ognuno dei quali pretende ascolto, adesione e condiscendenza. Egli da un lato si lascia sollecitare 78 ma contemporaneamente costruisce una sorta di corazza scettica per mezzo della quale potersi difendere e sottrarre a tutte queste intrusioni che non gli permettono di sentirsi semplicemente se stesso, ma lo dislocano continuamente fuori di sé. Ma questo stato d’animo non si presta facilmente a dare risposta al desiderio di sapere che ognuno sente dentro di sé; di conseguenza, il modo più spontaneo in cui il singolo si apre alla realtà è cercare una comunità mediatica in cui sentirsi consonante, aderendo ad essa e traendone la specifica cultura. Si creano così delle enclavi di cultu- 78 Sarebbe più preciso dire “solleticare” trattandosi di stimoli che puntano a sedurre agendo sulle facoltà sensoriali e sulla promessa di successo difronte agli altri. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 234 235 ra mediatica i cui adepti tendono a ripetere ovunque il proprio credo in una sorta di comunicazione monca che non chiede né replica né dialogo. Per questo la pratica formativa in classe ha un valore decisivo per consentire alle persone di misurarsi con i fatti, con le esperienze, con le opinioni altrui e con il proprio mondo personale così da perfezionare effettivamente la propria esistenza. Il formatore ha utilizzato un incipit stimolante, con un caso tratto dalla vita reale; ha creato una situazione di apprendimento che mobilita i saperi essenziali della disciplina; ha realizzato gruppi di lavoro in cui gli allievi sono protagonisti attivi; ha programmato un evento finale dove questi possono proporre quanto elaborato, confrontarsi e mostrare – anche tramite esposizioni e prove – di possedere i saperi previsti, che con questo metodo sono appresi indirettamente, tramite una pratica, e risultano situati stabilmente nel vivo della loro personalità. Il Canovaccio formativo (Curriculum Mapping) Per formare persone competenti, va innanzitutto delineato lo spazio di comunanza che consente una progettazione per risultati di apprendimento riscontabili ed apprezzabili realmente. Occorre partire dalle competenze per delineare una prospettiva comune tra discipline e perseguire una visione dell’opera del docente non centrata sull’erogazione di contenuti per comparti separati, ma sui vantaggi reali apprezzabili dagli studenti stessi in quanto posti in condizione di agire in modo autonomo e responsabile nella realtà. Il Canovaccio formativo (o Curriculum Mapping) è il documento base della progettazione. Per Cesare Scurati, il curricolo rappresenta: «L’insieme organicamente progettato e realizzato per far conseguire agli alunni i traguardi di istruzione e formazione previsti». «L’idea di curricolo si è venuta differenziando da quella di programma per i caratteri della rispondenza alla realtà effettiva di una situazione educativa e per l’assenza di una formalità legale impositiva». Egli aggiunge: «Il curricolo sta a significare l’organizzazione del complesso delle esperienze formative che vengono poste in essere da “quel” determinato gruppo di insegnanti per “quel” determinato gruppo di alunni in “quella” specifica situazione. Tutte le scuole e tutte le classi facenti parte di un sistema scolastico hanno, quindi, lo stesso programma in senso formale; ognuna di esse, invece, svolge il proprio curricolo in senso reale» 79 . I curricoli per competenze mirano a formare nell’allievo una reale padronanza tramite l’acquisizione di un patrimonio personale spendibile così da saper leggere e interpretare la realtà nelle sue diverse dimensioni ed affrontare positivamente i vari compiti e le varie attività che si incontrano sia nell’ambito dell’istituzione formativa sia al di fuori di essa. 79 C. S CURATI , Il curricolo: costruzione e problemi, in F. C AMBI (a cura di), La progettazione curricolare nella scuola contemporanea, Carocci editore, 2002, Firenze. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 235 236 Il compito di realtà - gestito come Unita di Apprendimento (UdA) - rappresenta il modo di imparare insito in una cultura viva, non inerte. Delinea lo spazio di lavoro comune dei formatori, per far acquisire agli allievi il senso dell’unità del sapere, lo spirito della cooperazione, la capacità di mobilitare le proprie risorse intorno ad un compito sfidante e non scontato, dotato di valore reale perché rispondente alle aspettative di specifici interlocutori (compagni, utenti, committenti, rappresentanti di enti, pubblica opinione). Tramite l’UdA l’allievo non è solo un applicatore di schemi standard, o un passeggero che prende nota, neppure un assistente di adulti competenti, ma assume il ruolo dell’artigiano che si pone in gioco a fronte di attese reali, coerenti con il profilo di riferimento del suo percorso formativo. Le operazioni per la progettazione seguono un cammino definito da questa § sequenza: • partire dalle competenze finali specificate nel profilo, per indicare i valori, i criteri metodologici, le esperienze fondamentali che qualificano l’identità culturale dell’organismo formativo ed i passi più rilevanti del cammino proposto agli allievi per perseguire tali mete; • indicare per ogni biennio/monoennio – partendo dal fondo e procedendo via via a ritroso fino all’inizio del percorso – i compiti di realtà ed i nuclei fondanti del sapere che definiscono il percorso formativo; • scegliere l’approccio tematico e metodologico di fondo che connota l’istituzione formativa e che fonda il patto tra i formatori e tra questi e gli altri attori in gioco; • specificare il contributo degli assi culturali e dell’area di indirizzo al profilo finale atteso. In questo modo è stata elaborata una proposta di massima del percorso chiamata Canovaccio formativo, sulla base della quale si passa ai consigli di classe che traducono tale proposta nel piano formativo vero e proprio con le necessarie misure di personalizzazione. La progettazione del curricolo deve garantire tre risultati: – Definire un piano condiviso di traguardi formativi per ogni ciclo e grado, alzandone l’asticella, da cui emerga il legame tra le attività didattica, ed i loro esiti, ed i nuclei portanti del sapere che gli alunni sono chiamati a padroneggiare. – Delineare un metodo formativo comune basato sulla (reale) centralità dell’alunno, sul primato dell’apprendere facendo, su una progressione attendibile, vale a dire sostenuta da prove reali e adeguate della sua crescita. – Creare una comunità di apprendimento unitaria specie tra la scuola primaria e la secondaria di primo grado con spazi di lavoro comune, un metodo di ricerca-azione che consenta di procedere traendo insegnamento dall’esperienza. Ciò che conta nella progettazione è creare occasioni in cui gli allievi possano fare esperienza di cultura viva, immersa nel flusso del reale, consonante con il desiderio di vita del discente, sulla base delle quali segnare il loro cammino di crescita. Esperienze dove il pensiero sia animato dall’osservazione, la scoperta, la realizzazione di un’opera, la gestione di un evento, la comunicazione pubblica di quanto realizzato. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 236 237 Il curricolo viene elaborato dal CFP coinvolgendo i Dipartimenti e le équipe, sulla base di un metodo centrato su cinque tappe, ognuna retta da specifici quesiti: A. In cosa consiste e come viene interpretata la domanda culturale degli allievi e del territorio? Quali sono le linee ed i temi portanti della proposta formativa? Come il CFP risponde alla domanda culturale perseguendo i traguardi formativi previsti dal Profilo, specificando i benefici che apporta agli utenti diretti ed indiretti? B Qual è il contributo dei dipartimenti degli assi culturali e dell’area di indirizzo, e relative discipline, al perseguimento dei traguardi formativi in relazione ai temi portanti? C. Quale risulta l’andamento del percorso formativo? In che modo ogni trappa stimola l’acquisizione dei saperi essenziali tramite compiti di realtà? Come si articola il piano di valutazione (lungo il percorso, per tappe, finale)? D. Quali sono le alleanze decisive con soggetti sia del territorio sia esterni ad esso? E. Quali scelte organizzative e logistiche consentono di realizzare il curricolo? A. Domanda culturale, proposta formativa, benefici diretti ed indiretti I sistemi educativi non più centrati su programmi ministeriali, ma su traguardi formativi «terminali» espressi in saperi e conoscenze, puntano a favorire la declinazione locale dei curricoli, ed evitare la loro genericità ed astrattezza. Ogni CFP è chiamato ad interpretare la domanda culturale del territorio, superando la frammentarietà delle esigenze e dei bisogni, e concentrandosi sugli aspetti qualificanti, distinguendo le tre dimensioni: professionale, cittadinanza, personale. Ciò porta alla definizione delle linee e del modo in cui il CFP «personalizza» i traguardi formativi, vale a dire la proposta formativa nella quale emergono i temi portanti comuni in quanto aggregatori di saperi e segni della personalità del CFP. L’esplicitazione dei benefici serve ad ancorare i saperi essenziali nei compiti di realtà, ed inoltre a mirare la valutazione specie per ciò che concerne le prove esperte ed i capolavori. B. Contributo dei dipartimenti degli assi culturali e dell’area di indirizzo Ogni dipartimento, entro un modo di lavorare coordinato e coerente, elabora il proprio contributo al perseguimento dei traguardi formativi in relazione ai temi portanti concordati. Si propone un esempio riferito alla lingua italiana riferita ad un corso di diploma quadriennale IeFP del settore alberghiero: «Nella società attuale, dove l’ansia di comunicare e la prepotenza delle immagini hanno spesso tolto la capacità di ascoltare e valutare e dove la parola si abbrevia o si riduce a sigle fino a scomparire, il CFP non può abdicare al suo ruolo di educare alla decodificazione consapevole dei vecchi e nuovi linguaggi della comunicazione: il Dipartimento di Lingua italiana si propone di intervenire in modo continuativo e sistematico, attraverso l’attività digiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 237 238 dattica ed educativa mirata da un lato al riconoscimento da parte dei discenti dei diversi linguaggi e della loro specificità, delle loro particolari suggestioni, della loro complessità sia a livello formale che contenutistico, dall’altro all’utilizzo equilibrato e maturo delle loro potenzialità. Il Dipartimento di Lingua italiana realizza dei progetti per i quali l’allievo sviluppa la capacità di fondere insieme conoscenze, abilità e desiderio di creare: lettura e scrittura (Il Quotidiano in classe...), proposta culturale (Caffè letterario), musica (Laboratori di ascolto e di produzione musicale), teatro e cinema (Adotta uno spettacolo, Realizza uno spettacolo), servizio all’area professionale (Il cibo nella letteratura). Questi temi portanti della proposta formativa possiedono la peculiarità di stimolare, in rigorosa coerenza vale a dire in modo progettuale e valutato, l’aggregazione dei saperi essenziali propri dell’area della lingua italiana». C. Andamento del percorso formativo per tappe con piano di valutazione Il percorso formativo procede per tappe (biennali, annuali) che vanno affrontate a ritroso, partendo dalla fine per risalire verso l’inizio. Ogni trappa del percorso stimola l’acquisizione dei saperi essenziali tramite compiti di realtà che indicano anche i passaggi cruciali del cammino degli allievi impegnati in unità di apprendimento rilevanti, gestite in comune dagli insegnanti. La valutazione ha lo scopo di rilevare in modo attendibile (sulla base di evidenze reali ed adeguate) i progressi degli allievi nei percorsi formativi. Il piano si svolge in tre momenti: lungo il percorso, per tappe, finale. Esso si articola nelle seguenti attività: – Verifiche puntuali di conoscenze ed abilità. – Co-valutazione delle attività di alternanza. – Prove esperte di dipartimento. – Prove esperte comuni ai dipartimenti. – Eventi pubblici. – Prove finali. D. Alleanze educative e formative Il CFP, che non può pensare di appoggiarsi unicamente alle proprie risorse per perseguire i traguardi formativi indicati, è chiamato a stringere un’alleanza con le forze educative e formative sia del territorio sia extraterritoriali. In questo modo si pone come interlocutore riconosciuto, e nel contempo sollecitato, dall’esterno; nel fare ciò assume il ruolo della regia educativa di un curricolo condiviso. Quest’alleanza delinea uno spazio di riconoscimento sociale e di attese culturali che assume nel contempo anche la funzione di controllo sociale sull’operato del CFP. Esso è così chiamato a mostrare la propria capacità di risposta alle attese entro un progetto organico e dotato di qualità verificabile concretamente dai suoi beneficiari diretti ed indiretti. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 238 239 E. Scelte organizzative e logistiche. Un CFP che mira a favorire in modo sistematico, progettato e valutato, l’incontro dei giovani con la cultura viva, necessita di una gestione organizzativa e logistica puntuale e programmata. Essa riguarda: – i momenti di progettazione comune tra insegnanti (gli spazi della cooperazione educativa e formativa); – i tempi; – gli spazi; – i trasferimenti; – gli eventi. Si tratta di esplicitare le scelte che consentono di attuare effettivamente un metodo formativo composito, nell’alleanza con le forze positive del territorio, per fornire ai giovani le migliori opportunità per la loro crescita. Si propongono di seguito gli strumenti tramite i quali è possibile esercitare la regia educativa del CFP, distinti in quattro parti: – progettazione del curricolo; – il contributo dei dipartimenti alla proposta formativa; – il percorso formativo; – alleanze, scelte organizzative e logistiche. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 239 240 STRUMENTI PER LA REGIA EDUCATIVA DEL CFP Prima fase: PROGETTAZIONE DEL CURRICOLO DOMANDA CULTURALE In cosa consiste e come viene interpretata la domanda culturale degli allievi e del territorio (enfasi professionale, enfasi sulla cittadinanza, enfasi personale)? PROPOSTA FORMATIVA Quali sono le linee ed i temi portanti della proposta formativa? Come il CFP risponde alla domanda culturale perseguendo i traguardi formativi previsti dal Profilo, specificando i benefici che apporta agli utenti diretti ed indiretti? Linee e temi portanti Benefici per utenti diretti Benefici per utenti indiretti giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 240 241 Parte seconda: IL CONTRIBUTO DEI DIPARTIMENTI ALLA PROPOSTA FORMATIVA Qual è il contributo dei dipartimenti degli assi culturali e dell’area di indirizzo, e relative discipline, al perseguimento dei traguardi formativi in relazione ai temi portanti? Linee e temi portanti Benefici per utenti diretti Benefici per utenti indiretti giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:35 Pagina 241 242 Parte terza: IL PERCORSO FORMATIVO ANDAMENTO DEL PERCORSO Quale risulta l’andamento del percorso formativo? In che modo ogni trappa stimola l’acquisizione dei saperi essenziali tramite compiti di realtà? Tappa (triennio, quarto anno) .......................................................................................................................................................................... S APERI ESSENZIALI C OMPITI DI REALTÀ Propri del dipartimento Attività comuni con altri dipartimenti (UdA strategiche) PIANO DI VALUTAZIONE (Come si articola il piano di valutazione lungo il percorso, per tappe, finale?) L UNGO IL PERCORSO A L TERMINE DELLA TAPPA F INALE Attività di valutazione: – Verifiche puntuali si conoscenze ed abilità. – Co-valutazione delle attività di alternanza. – Prove esperte di dipartimento. – Prove esperte comuni ai dipartimenti. – Eventi pubblici. – Prove finali. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 242 243 Parte quarta ALLEANZE, SCELTE ORGANIZZATIVE E LOGISTICHE ALLEANZE Quali sono le alleanze decisive con soggetti sia del territorio sia esterni ad esso? Soggetti del territorio Soggetti extraterritoriali SCELTE ORGANIZZATIVE E LOGISTICHE Quali scelte organizzative e logistiche consentono di realizzare il curricolo? Momenti di progettazione Tempi Spazi Spostamenti Eventi giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 243 244 SINTESI DEL SECONDO PASSO (come condurre un percorso formativo efficace) La chiave da utilizzare per la conduzione di un percorso formativo efficace, in grado di mobilitare le energie buone degli allievi e di realizzare un’alleanza educativa formativa con il territorio, consiste nell’adozione di una regia unitaria, orientata su temi portanti, basata su un metodo composito. Una regia unitaria Il CFP, tramite l’azione congiunta dei dipartimenti (degli assi culturali e delle aree di indirizzo) e delle équipe di classe, gestisce la regia da cui discende la proposta formativa. Tale regia è unitaria nel senso che persegue un approccio comune e distintivo, basato sulla lettura ed interpretazione della domanda culturale del territorio e degli utenti, sull’individuazione del modo tramite cui si perseguono i traguardi formativi previsti dall’ordinamento, contestualizzati nell’ambito di riferimento. Temi portanti La proposta formativa non si svolge per discipline, ma per assi culturali la cui articolazione è definita dai temi portanti dei percorsi formativi. Si tratta di tematiche che consentono l’aggregazione dei saperi essenziali previsti dall’ordinamento, e che ne permettono l’acquisizione in quanto ingredienti di esperienze culturali significative ed utili, orientate a prodotti dotati di valore e “messi in circolo” sia all’interno sia all’esterno del CFP. Si propongono alcuni esempi: il territorio, la sostenibilità, l’energia, l’Unione europea, la guerra e la pace, il viaggio, i popoli ed i costumi, le tecnologie, il fiume ed il mare nel percorso della civiltà, l’identità e l’incontro con gli altri, l’amore del sapere, le religioni, il lavoro e l’impresa, diritti e doveri, le biotecnologie. Metodo composito Per sollecitare i talenti e le capacità degli allievi è necessario ampliare e variare gli stimoli educativi e formativi, secondo un piano razionale, progettato in linea di massima nella forma del “canovaccio formativo”, e nel contempo gestibile da ogni équipe ed ogni formatore tramite le sue qualità e doti. Il progetto è in effetti una sorta di guida che fissa gli elementi decisivi del cammino formativo degli allievi e richiede una regia quotidiana dei formatori che lo caratterizzano tramite la passione, l’esperienza, l’intuizione e la creatività di cui sono capaci. Cinque sono le modalità che costituiscono il metodo composito: – Incipit-avvio. – Lezione frontale. – Gruppi di lavoro nella classe e nel CFP. – Azione compiuta interna ed esterna. – Dialogo ed argomentazione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 244 245 Terzo passo: Come mobilitare la comunità educante Nei fanciulli risplende una grandissima speranza: e quando questa svanisce coll’età, è chiaro che è venuta a mancare non la natura, ma la cultura. Quintiliano, Institutio Oratoria, I, 1, 1-2. Organizzazione Le organizzazioni rivelano la cultura formativa del CFP. Ve ne sono di tipi molto differenti, al di là delle strutture formali, quelle previste dai manuali della qualità e dalle norme relative all’accreditamento. Dal punto di vista del prodotto-servizio, il processo di cambiamento delle organizzazioni formative segue un percorso ideal-tipico, composto di quattro tappe che corrispondono a configurazioni risultanti dall’azione di una serie di “spinte” cui l’organizzazione è sottoposta sia dall’esterno sia dall’interno, ed in particolare: – standardizzazione; – qualificazione formativa; – apertura all’esterno; – eccellenza. 1. Standardizzazione Corrisponde a realtà nelle quali è necessario puntare essenzialmente sugli aspetti di efficienza, trattandosi di organismi con scarsi elementi di innovazione sia per la cultura formativa sia per il tipo di corsi attivati ed infine per la cultura progettuale e l’apertura all’esterno. In questo senso si tratta dell’inizio del disegno di innovazione, a partire da una realtà sostanzialmente tradizionale , basata sulla riproposizione di un modo scolastico di fare istruzione. 2. Qualificazione formativa Si concretizza nella ricerca – a parità di attività corsuali – di un miglioramento qualitativo sui vari aspetti dell’attività dell’organismo, e ciò sia per mezzo di modularizzazioni che con l’introduzione di percorsi personalizzati. Tutto questo richiede – naturalmente – uno specifico adeguamento organizzativo nell’ottica dell’approccio progettuale. 3. Apertura Si realizza quando l’organismo è potenzialmente in grado di affrontare contemporaneamente un’estensione di attività formative in nuovi settori professionali (apertura orizzontale), oppure quando è in grado di affrontare un’estensione dei livelli o gradi di intervento formativo, operando su ambiti successivi rispetto a quelli già attivati (apertura verticale). Siamo cioè di fronte ad un insieme complesso di cambiamenti, che vanno gestiti attraverso l’“articolazione gestionale” della struttura organizzativa. 4. Eccellenza La collocazione nel livello potenziale di eccellenza corrisponde ad un organismo che risulta essere in grado di perseguire un disegno innovativo che comprende tutti gli elementi citati, in un insieme omogeneo nel quale si evidenzia un diverso assetto organizzativo, caratterizzato da: segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 245 246 – delega di funzioni direttive (area di ricerca e sviluppo, area formativa, area amministrativa e del personale, area organizzativa); – definizione di nuove figure professionali (coordinatori, progettisti di formazione, tutor, responsabili di progetto, responsabili di laboratorio/tecnologia); – definizione di nuovi livelli e strumenti di integrazione (sistemi informativi, sistemi valutativi, coordinamenti, sistemi incentivanti, percorsi di carriera); – maggiore orientamento all’esterno: orientamento, marketing, consulenza, servizi. Questo assetto può essere anche definito sinteticamente con l’espressione “agenzia formativa”, concependo in ciò un insieme estremamente ampio di soluzioni reali, e non unicamente quella struttura di terziario avanzato che interviene unicamente nei livelli medio-alti del ventaglio formativo. Ma con il tempo l’espressione “agenzia educativa” ha assunto una valenza ristretta di impresa di servizi, come un supermercato formativo. Per questa ragione, sarebbe preferibile chiamare la struttura eccellente “impresa culturale per la formazione”. Le organizzazioni che puntano alla standardizzazione sono le più lontane dall’idealtipo formativo perché risentono della priorità riferita all’ottimizzazione delle risorse ed alla esatta corrispondenza ai sistemi di controllo cui sono sottoposte. Le organizzazioni eccellenti sono quelle che meglio riescono ad armonizzare il rispetto degli adempimenti con il perseguimento della qualità formativa. Ciò deriva dal fatto che la cultura non può essere standardizzata, e senza un clima culturale ricco e stimolante, l’attività scade da formazione ad addestramento; in questo modo, negli allievi svanisce la speranza di poter diventare ciò che essi sono già in potenza, il cui posto è preso dall’adattamento alle contingenze richieste dall’esterno, come spiega bene la citazione di Quintiliano. L’organizzazione è tanto importante in un CFP da rappresentare il “formatore aggiunto”, un “maestro implicito” che concorre al perseguimento delle mete educative e formative tramite i seguenti contributi: – Estetica dell’ambiente. – Etica o regolamento. – Evidenza dei lavoro degli allievi. – Stile educativo del personale. – Momenti di lavoro cooperativo tra formatori. – Coordinamento e ottimizzazione. – Flessibilità o organizzazione ad hoc. – Logistica appropriata. – Attività educativa ulteriore. Estetica dell’ambiente L’ambiente è la “carta di identità” del CFP; la struttura, l’ingresso, gli arredi, i documenti ed i materiali, i colori e le forme, gli spazi, sono tutte modalità di comunicazione della personalità dell’organismo formativo. Per questo va curato in primo luogo l’ingresso perché è responsabile del primo impatto e dell’impressione che il CFP suscita nelle persone che vi passano davanti e di coloro che vi entrano. È decisiva la pulizia, l’ordine, l’attrattività resa secondo un codice estetico attuale, ma non omologato. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 246 247 La personalità del CFP è coerente con la cultura che questo propone ai suoi allievi, quindi riflette primariamente le culture del lavoro che corrispondono ai settori in cui è articolata l’attività. Ma non solo queste: anche ciò che pone in luce i valori educativi e formativi su cui si fonda (il valore di ogni persona, la comunità, il servizio, la solidarietà, il contributo alla crescita economica del territorio). È bene scegliere pochi segni culturali rilevanti ed aggiornarli continuamente. Etica o regolamento Le regole definiscono il legame tra i comportamenti richiesti ed i valori su cui si fonda l’opera educativa. Per questo occorre evitare di proporre solo regole centrate su ciò che non è consentito, perché ciò spegne nei giovani la speranza, mentre occorre risvegliarla, come ci ricorda Don Bosco: «Da circa quarant’anni tratto colla gioventù, e non mi ricordo d’aver usato castighi di sorta, e coll’aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, ma eziandio quello che semplicemente desiderava, e ciò da quegli stessi fanciulli, cui sembrava perduta la speranza di buona riuscita» (Braido 1997, p. 266). Va quindi proposta agli allievi del Centro di Formazione Professionale una “carta dei diritti e dei doveri” degli allievi, partendo dai primi: DIRITTI E DOVERI DEGLI ALLIEVI Diritti Diritto ad usufruire di un vero servizio di orientamento volto non già ad “incanalare” la persona in un percorso predefinito ma a renderla protagonista del proprio progetto di vita. Ciò si sviluppa attraverso attività espressamente rivolte al sostegno della scelta orientativa, sviluppate anche in forma di esperienza con incontri con testimoni, visite e stage. Diritto alla scelta fra opzioni alternative ed equivalenti. In particolare, per gli adolescenti ed i giovani, ciò richiede la possibilità di scelta fra il percorso scolastico e quello formativo; deve essere effettiva, ovvero occorre che le diverse opzioni siano presenti nei diversi territori ed accessibili. Ciò richiede dispositivi personalizzati che consentano di far convivere differenti percorsi. Ma il diritto alla scelta riguarda anche l’adulto che intenda riprendere la propria formazione di base oppure approfondirla o anche mutare l’ambito di saperi e di competenze. Diritto a veder riconosciuto il proprio bagaglio personale. Ogni persona, in ogni momento del proprio percorso, è portatrice di un bagaglio di apprendimenti (saperi, abilità, competenze, capacità) che deve essere analizzato, riconosciuto e valorizzato. Nessuno è una “tabula rasa” anche per il semplice fatto di aver compiuto esperienze che, se pure non strutturate didatticamente, hanno potuto sortire esiti formativi. Il riconoscimento di tale bagaglio si traduce quindi in “crediti” corrispondenti a moduli formativi che la persona non deve essere chiamato a ripetere, ma può giungere anche a disegnare percorso ad hoc più contratti nel tempo e nello spazio. Diritto ad una formazione di qualità. Questa è tale se garantisce l’acquisizione di un solido bagaglio culturale di base, se permette l’acquisizione di abilità e competenze effettivamente presenti nella “cultura professionale” di riferimento, se fornisce requisiti che ne consentano l’occupabilità, se stimola la passione, il cimento e l’apprendimento continuo, infine se permette a tutti di procedere verso la crescita professionale. Diritto alla continuità formativa. Ogni cammino formativo deve poter essere aperto a sviluppi successivi, potenzialmente fino ai livelli più elevati. A seguito del percorso di formazione iniziale sia scolastico sia formativo deve essere possibile – in presenza dei requisiti richiesti – l’accesso alla formazione superiore e quest’ultima dovrebbe prevedere il passaggio dal livello di tecnico intermedio a quello di tecnico superiore. segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 247 248 Diritto alla reversibilità delle scelte. Ogni persona che ha intrapreso un percorso (scuola, formazione, lavoro) ha il diritto di interromperlo e di proseguire in un altro senza per questo dover “ricominciare da capo”. Con il meccanismo delle “passerelle” e dei crediti formativi si potranno disegnare ingressi intermedi che consentono di valorizzare gli apprendimenti appresi e di raggiungere i nuovi obiettivi. Diritto alla seconda opportunità. Se la prima opportunità ha portato ad un insuccesso, la persona deve aver diritto (almeno) ad una seconda opportunità svolta in modo da rimuovere gli ostacoli che hanno reso negativo l’esito della prima chance. In particolare, la persona ha diritto ad un accompagnamento personalizzato e ad un sostegno in corrispondenza delle fasi critiche del percorso. Diritto alla restituzione. Ogni attività formativa rivolta verso una persona deve concludere con la restituzione dei risultati alla persona stessa affinché maturi in essa una sempre maggiore autonomia personale e professionale. Diritto alla riservatezza. Ogni persona ha il diritto di riservatezza circa i propri dati sensibili. Il Centro evita di raccogliere dati non necessari per lo svolgimento della propria attività. La diffusione di informazioni confidenziali è possibile solo col preventivo assenso del destinatario. Nel caso di attività svolta presso strutture dei committenti (centri di orientamento, imprese, etc.) l’operatore si preoccupa che sia assicurata la privacy dei dati da lui raccolti. Doveri Impegno di buon comportamento. Gli allievi si impegnano a garantire la disciplina negli ambienti formativi praticando l’autocontrollo e prestandosi all’opera di responsabile vigilanza (“assistenza”) da parte dei docenti, del “Consigliere” o vice Direttore e del Direttore stesso. In particolare, ognuno si impegna ad avere un comportamento rispettoso, corretto, diligente. Gli allievi si impegnano a seguire scrupolosamente le disposizioni in materia antinfortunistica impartite dai docenti. Infine si impegnano a rispettare gli ambienti, gli arredi, il materiale didattico in quanto materiali appartenenti alla comunità educativa del Centro. Impegno di trasparenza. Ogni utente dei servizi orientativi e formativi si impegna ad esporre in forma aperta e trasparente tutti i dati e le notizie che consentano di svolgere meglio l’attività. La possibilità di poter ottenere questi dati in forma completa è assolutamente essenziale al fine di una formazione espressiva delle caratteristiche personali, personalizzata e coerente con il contesto in cui la persona vive ed intende operare. Impegno alla sottoscrizione di un patto. Accanto alla proposta di un percorso formativo, al destinatario viene sottoposto un patto nel quale viene chiesto di esplicitare la volontà di intraprendere tale percorso, di evidenziare gli impegni previsti al fine della realizzazione del proprio progetto personale, di accettazione e rispetto delle regole di svolgimento e attuazione, di impegno attivo per la buona riuscita dell’iniziativa formativa. La sottoscrizione del patto ed il suo rispetto costituiscono altrettanti fattori in grado di favorire l’acquisizione di una maturità personale e professionale. Impegno di informazione circa gli esiti della formazione. Sia quando il percorso formativo è svolto da persone in cerca di prima occupazione sia quando tale percorso è rivolto a soggetti impegnati in un’esperienza di lavoro (compresa anche la situazione di crisi e di riqualificazione professionale), è importante che il destinatario del servizio restituisca al Centro di riferimento informazioni circa l’esito successivo all’esperienza formativa. Ciò al fine di rendere possibile una verifica puntuale della qualità del servizio anche in vista del suo continuo miglioramento. Impegno di compilazione di strumenti di valutazione. In particolari momenti del percorso all’utente vengono sottoposti strumenti di valutazione del servizio formativo. Anche la compilazione di questi contribuisce alla piena conoscenza degli esiti dei servizi offerti come pure del loro miglioramento continuativo. Evidenza dei lavoro degli allievi Un CFP che valorizza il protagonismo degli allievi mette in evidenza le opere che via via i ragazzi realizzano: progetti, capolavori, premi, riconoscimenti. All’ingresso e negli spazi comuni vanno esposte le opere più significative che attestano che si è in un luogo in cui i giovani sono messi all’opera, si cimentano con compiti e problemi giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 248 249 significativi, realizzano prodotti dotati di valore, donano i loro talenti agli altri perché ne traggano beneficio. Queste opere sono in prevalenza di natura professionale, ma non si limitano a quest’ambito poiché si estendono anche alle aree cultura storico letteraria, scientifica e matematica, delle scienze umane, religiosa, artistica e corporea. Si consiglia a questo proposito la classificazione delle competenze di cittadinanza europea, un elenco sintetico ed efficace: 1) Comunicazione nella lingua italiana. 2) Comunicazione nelle lingue straniere. 3) Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia. 4) Competenza digitale. 5) Imparare a imparare. 6) Competenze sociali e civiche. 7) Spirito di iniziativa e imprenditorialità. 8) Consapevolezza ed espressione culturale. Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE). Stile educativo del personale Tutto il personale del CFP concorre all’opera educativa, ognuno nel suo proprio ruolo. Ciò in forza delle relazioni che intrattiene con gli allievi e del fatto che, lavorando “danno l’esempio” agli allievi. Va quindi tenuto in considerazione il profilo relazionale che emerge dai contatti tra gli allievi e le persone non formatrici che lavorano nella struttura e vanno formate le persone ad uno stile relazionale educativo, ognuno utilizzando i propri talenti ed il proprio ruolo. Ma serve soprattutto sostenere uno stile professionale basato non solo sulla deontologia, ma soprattutto sulla passione: chiunque operi nel CFP è un formatore, poiché anche indirettamente, con il suo contributo ed il buon esempio concorre a far sì che i ragazzi possano avvalersi delle migliori occasioni e dei più significativi stimoli a fare il meglio. In questo senso, il CFP è una comunità di educatori, i cui membri sono impegnati ad insegnare ai giovani la via per realizzare se stessi e fornire il proprio contributo originale al bene di tutti Momenti di lavoro cooperativo tra formatori Per realizzare un metodo formativo centrato sull’unitarietà del sapere, sul riferimento alla realtà concreta e sul protagonismo dei ragazzi, serve una gestione dell’orario tale da prevedere momenti sistematici di incontro tra i formatori e gli altri ruoli di coordinamento e di tutoraggio, così che al centro della progettazione, della riflessione e della verifica e valutazione ci sia sempre una comunità e non una somma di figure singole isolate tra di loro. Il lavoro cooperativo riguarda quindi tutti gli ambiti dell’azione formativa e prevede tre grandi momenti: giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 249 250 – La progettazione si svolge prima dell’avvio dell’attività formativa in incontri collegiali in cui riflettere sull’andamento del lavoro appena concluso, progettare i nuovi percorsi adottando le modifiche al piano precedente oppure modificandolo anche radicalmente se necessario, così da ottenere un accordo di fondo, un canovaccio comune, un metodo di lavoro cooperativo. Serve soprattutto evitare gli automatismi e definire con chiarezza il contributo di ciascuno al progetto comune, in vista del massimo beneficio degli allievi. – L’accompagnamento del percorso formativo richiede incontri periodici sistematici in cui le figure formative si confrontano, mettono in comune i punti di vista, definiscono le direzioni da dare ai loro sforzi in riferimento alle necessità della classe e nel contempo dei singoli allievi. È fondamentale l’avvio, e la capacità di diagnosticare il profilo dell’allievo visto in azione, nel vivo dell’attività. – La verifica lungo il percorso avviene in chiave formativa: gli elementi che emergono non sono primariamente destinati al giudizio, ma alla diagnosi delle capacità e delle criticità e quindi a definire il cammino e le sollecitazioni necessarie a ciascuno. – La valutazione finale è un momento decisivo nel quale gli allievi mostrano il valore di quanto hanno acquisito, in un momento impegnativo e dotato di un rilevante significato simbolico e di “rito di passaggio”. – La riflessione circa le esperienze formative realizzate e la capitalizzazione di quanto emerso nell’ultima azione conclude il “cerchio del lavoro cooperativo” e si collega alla nuova fase di progettazione. Coordinamento e ottimizzazione Il coordinamento delle attività formative del CFP ha il compito di valorizzare gli sforzi di ciascuno e il quadro delle risorse poste in gioco, in modo che sia gli uni che le altre mirino effettivamente alle missioni proprie dell’opera educativa evitando dispersioni, sovrapposizioni, autoreferenzialità e contrasti che minano l’unitarietà del lavoro: LE CINQUE MISSIONI DEL CFP 1. Essere punto di riferimento nel territorio (per gli studenti, le famiglie, le imprese, il sistema educativo sociale e istituzionale, la cultura e l’orientamento) ovvero reputazione e immagine. 2. Mobilitare le risorse del territorio (testimoni, istituzioni, imprese, enti ed associazioni...) in consonanza con l’opera educativa della scuola. 3. Attrarre, suscitare e mobilitare le risorse ed i talenti degli studenti (con l’attività formativa e con le iniziative educative ulteriori) entro le relazioni fondamentali che ne costituiscono la personalità. 4. Formare in modo educativo i giovani (crescita nella cultura, scoperta del mondo, occupabilità tramite l’apprendimento di un mestiere, scoperta di se stessi e della propria strada, agire positivamente nel reale sapendo essere utili agli altri in modo riconoscibile). 5. Svolgere un’azione generativa per famiglie, mondo economico, mondo associativo ed istituzionale (genitorialità). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 250 251 Ottimizzare, in questa prospettiva, non significa omologare, perché la varietà e la vitalità degli apporti di ciascuno costituiscono valori che incrementano l’educabilità degli allievi. Significa invece puntare a generale e consolidare un metodo di lavoro veramente condiviso, dove ognuno fornisce il proprio contributo per migliorare il lavoro di tutti, si creano flussi di informazioni e materiali, ci si aiuta reciprocamente e si cresce insieme. L’automatismo è infatti deleterio per la formazione perché la spersonalizza e la riduce ad una macchina per l’addestramento e l’omologazione della gioventù. Flessibilità o organizzazione ad hoc Ogni organizzazione formativa riconosce nella flessibilità il valore decisivo che le consente di evitare che prevalgano nelle scelte grandi e piccole le necessità interne piuttosto che il riferimento alle esigenze di un’utenza in formazione. Occorre certamente evitare il caos, ma anche la prevalenza di preoccupazioni alla standardizzazione, quelle che rovesciano il principio fondamentale del servizio, per cui non è l’offerta che deve tenere conto della domanda, ma viceversa. Cinque sono le azioni tipiche della gestione organizzativa di un’opera educativa nell’ambito della Formazione Professionale: – L’azione orientativa che spesso prevede momenti come “il CFP aperto”, le visite guidate, i workshop gestiti dagli allievi più capaci, i micro stage orientativi. – L’azione di avvio dell’attività formativa con gli incontri, le visite, il primo lavoro significativo. – La didattica ordinaria. – La didattica in alternanza. – Le attività speciali come viaggi di istruzione, i progetti, i workshop per gli allievi, gli eventi pubblici. – Le sessioni di valutazione. – I laboratori di recupero e sviluppo dei saperi e delle competenze. Combinando in modo razionale queste azioni tipiche, ogni organizzazione assume una sua propria fisionomia, che la fa essere se stessa e non la copia esatta di un modello progettato in situazioni lontane dalla quotidianità dell’opera educativa. Logistica appropriata È inoltre decisivo curare la logistica, che comprende innanzitutto gli spostamenti delle persone e quindi degli allievi, del personale e dei genitori. Occorre curare in particolare gli spostamenti relativi alle aziende in cui si svolge lo stage; è bene considerare il criterio di vicinanza della sede dell’impresa rispetto all’abitazione dell’allievo, ma senza perdere di vista con questo il carattere formativo dell’esperienza che giustifica in diversi casi spostamenti impegnativi. La logistica riguarda anche l’approvvigionamento, lo stoccaggio e distribuzione all’interno del CFP delle materie prime e dei prodotti finiti. Qui occorre considerare due fattori: in primo luogo la razionalità e la sostenibilità dell’investimento in tecnogiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 251 252 logie e materiali per laboratori interni, rispetto all’alternativa dello stage tramite la quale gli allievi possono esercitarsi su macchinari e con materiali propri dell’impresa di accoglienza. In secondo luogo va segnalato il grande valore formativo delle attività connesse alla logistica in vista della crescita degli allievi: in diversi casi, infatti, il CFP gestisce queste funzioni in modo totalmente estraneo ai processi formativi interni, non facendone occasioni di apprendimento cui possano partecipare in modo proficuo i destinatari diretti dei corsi. Attività educativa ulteriore Non è l’ultimo elemento da considerare circa la buona organizzazione formativa, ma una delle chiavi del metodo educativo Salesiano, come ci ricorda lo stesso Don Bosco: «Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza» (Braido 1997, p. 385). Un’opera educativa prevede una proposta eccedente, che sollecita l’intera vita dell’allievo, non solo la sua componente professionale. La familiarità non è un sentimento che cresce con un’offerta limitata nel tempo. Di conseguenza è credibile quell’opera educativa che consente ai suoi giovani di: – trovare spazi ed occasioni di crescita ordinaria nei tempi in cui non vi è l’attività formativa; – incontrare un’offerta di occasioni culturali non curricolari ma aperte a tutti: spettacoli, cineforum, incontri, feste...; – partecipare ad attività giovanili di incontro ed impegno; – vivere esperienze forti durante l’anno: momenti di vita cristiana, campi scuola, pellegrinaggi, eventi nazionali ed internazionali. Per tutto questo, servono volontari preparati, accordi con le altre attività educative dell’opera salesiana ed ulteriori rispetto a questa. L’attività formativa del CFP è autenticamente educativa, in grado di mostrare l’amore verso i giovani e di meritare la loro confidenza, se è inserita in un progetto educativo più ampio in grado di soddisfare le attese buone dei giovani con cui entra in contatto. Una direzione educativa ed illuminata Occorre evitare che il CFP diventi il ricettacolo di ogni istanza proveniente dall’esterno (burocrazia; impresa sociale simil-Asl; luogo delle più svariate tutele ed “educazioni” centrate sui temi del momento o politically correct; luogo di mediazione permanente, ed impotente, tra visioni educative spesso inconcilianti). È il direttore la figura centrale, con il compito di guidare la scuola in modo che risalti la sua natura di impresa culturale per la formazione: – al centro vi è l’evento educativo inteso come perfezionamento umano (reciproco!); giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 252 253 – questo è reso possibile dalla disposizione dei suoi attori e dalla loro coesione ideale e culturale; – l’insieme è favorito dall’organizzazione e dalle sue risorse (compreso il tempo e lo spazio) che mirano a farne un soggetto di cultura aperto al territorio. Il CFP inteso come “scuola dei talenti” Compito del direttore è assicurare le condizioni che consentano ad ogni allievi di trovare nel CFP la possibilità di tradurre i propri talenti e le proprie risorse in competenze reali. Per comprendere questo importante compito, occorre riflettere sullo stereotipo del CFP come “scuola facile” e ricettacolo di ragazzi problematici. Sul piano sostanziale: «La dispersione scolastica deve essere vista non solo come evasione dall’obbligo o abbandono della scuola da parte degli studenti prima della fine del ciclo di studi intrapreso, ma come realtà che comprende anche le ripetenze, i ritardi rispetto all’età scolare, i cambiamenti di scuola, le frequenze irregolari, perfino i numerosi casi di rendimento carente rispetto alle possibilità. Il concetto di abbandono scolastico (o school dropping out) è da intendere in rapporto all’idea di scolarizzazione esistente in una determinata società; per i Paesi occidentali una formazione regolare è prevista fino ai 18 anni. C’è dispersione di talenti ogni volta che ci si trova di fronte ad un sentimento di grave malessere che impedisce all’alunno di vivere un’esperienza scolastica pienamente formativa. Si tratta di un problema individuale e sociale, da ricondurre ad una molteplicità di fattori» (Bombardelli – Dallari 2001). Le buone pratiche dei CFP dimostrano come sia infondata la tesi, molto diffusa nel mondo intellettuale, della “mutazione antropologica” della mente dei “nativi digitali” a seguito delle innovazioni tecnologiche relative alla comunicazione. È l’idea del passaggio evolutivo dal “cervello che legge” al “cervello digitale” e del contestuale passaggio da un modo di apprendere centrato sul libro ad un approccio multidimensionale (multitasking) che provocherebbe un’attenzione parziale continua, tale da impedire la formazione nel cervello umano di un sapere più profondo, consistente e persistente. La didattica prevalente nelle nostre scuole (ed università) – ed è il rischio che corrono i CFP “scolarizzati” – vede gli studenti in una situazione di passività. Occorre mobilitare le risorse intrinseche dei giovani: curiosità, apprezzamento, interiorizzazione delle virtù degli adulti di riferimento, essere competenti, essere riconosciuti utili dagli altri (Bruner 2009). Questi giovani hanno bisogno di punti di riferimento, che è come dire che la formazione avviene solo entro la prospettiva dell’educazione. Per questo, il Direttore deve presidiare il CFP facendo in modo che questo offra una proposta formativa centrata su: • compiti reali entro situazioni di apprendimento, attive e per scoperta, che mobilitano le risorse intrinseche degli allievi; • unitarietà del sapere evidenziato da “opere” significative e dotate di valore, rivolte ad interlocutori che le possano apprezzare; giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 253 254 • valorizzazione del gruppo; • rilievo dell’alternanza formativa e del “capolavoro”; • autovalutazione. Il giovane si disperde per mancanza di legami significativi, mancanza di corrispondenza tra ciò che si aspetta e ciò che trova veramente (vedi il caso degli Istituti professionali) specie l’incoraggiamento, mancanza di motivazioni circa lo studio. Non è vero in generale che il carico di studio è un motivo di dispersione, casomai è il contrario. Lo è invece l’assenza di una proposta identitaria in grado di soddisfare le attese di una vita autentica, un’adesione convinta, magari anche critica, a ciò che si propone loro. Banalizzare è un altro modo in cui si tradiscono le attese dei giovani. Se il processo di apprendimento segue la linea della «teoria dell’istruzione» bene espressa dalla metafora della costruzione edile, ogni livello cercherà di liberarsi dagli allievi che non hanno i requisiti oppure non hanno raggiunto gli standard del livello precedente. In questo modo una parte degli iscritti viene «buttato fuori» passando ad una tipologia di scuola considerata più facile. Questa scrematura è la causa principale della dispersione e rileva l’assenza di una prospettiva di valorizzazione dei talenti nella logica della «ulteriore chance» che consenta allo studente un ricominciamento. Il CFP è a tutti gli effetti la «scuola dei talenti», ed in quanto tale deve saper mettere in atto soluzioni differenti rispetto alle difficoltà con cui si confronta. La valorizzazione dei talenti si riferisce a tutti gli iscritti e non solo a quelli che mostrano livelli di prestazioni superiori rispetto alla media. Occorre modificare la deriva scolastica dei CFP con il suo corredo di test di ingresso, recuperi e «avvii alla porta», ma occorre anche introdurre uno spazio formativo non didattico che comprenda modalità di apprendimento e di crescita centrate sul gruppo dei pari, su laboratori interni ed esterni (alternanza), sulle varie forme di responsabilizzazione rese possibili da un clima formativo attivo e proteso verso l’offerta di servizi culturali e professionali al territorio. L’inclusione non viene favorita abbassando continuamente l’asticella, banalizzando i saperi e «andando incontro» alle esigenze dei ragazzi. Probabilmente questa strategia aumenta l’esclusione, piuttosto che il contrario. Va evitata assolutamente la medicalizzazione del disapprendimento che sottrae agli allievi gli stimoli per la loro crescita. Occorre dare vita alla cultura del CFP, puntando su attività educative e formative in grado di suscitare affezione, che possiedano un valore intrinseco e che pongano l’allievo al centro del suo cammino di apprendimento. La noia è il segnale di un legame fragile con la realtà; il formatore può nasconderla dietro una parvenza professionale, ma se l’allievo impara da questi a svolgere il suo «mestiere» al ribasso, finisce per perdere interesse e motivazione, non abita il CFP ma semplicemente ci passa il (minor) tempo (possibile). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 254 255 Comunicazione, collegialità ed alleanze educative Un clima di lavoro positivo L’organizzazione formativa deve consentire la fluidità e la continuità dei processi che la rendano una vera comunità di apprendimento. Ciò richiama i requisiti delle learning organization secondo la regola dello “svilupparsi apprendendo”, mobilitando non solo le abilità cognitive, ma anche quelle intuitive, emozionali, pratiche e sociali. Il direttore non si muove in un quadro ottimale, ma ha a che fare con una triplice condizione insegnante: – i militanti del CFP – quelli che aderiscono totalmente alla mission e sono sempre disponibili; – i «vocati» – quelli che hanno qualcosa da dare; – gli «impiegati» – quelli per i quali la didattica... è una branca dell’economia. È positivo un clima di lavoro in cui il primo gruppo consente di valorizzare il secondo e di estenderlo continuamente combattendo la lagna e la visione gretta dell’insegnamento. Per insegnare non basta la padronanza di una disciplina teorica o di una tecnica professionale, ma serve una dote speciale che consiste della passione per la crescita delle altre persone, sulla base di un dono personale che possiamo definire affezione educativa e formativa all’altro. Questa è vera se corrisponde alla vocazione del formatore e si rileva nell’azione, nel linguaggio, nella risposta degli allievi. Alla vocazione è collegata la visione: è il punto di vista sulla realtà e sugli allievi, oltre che sul valore dell’opera educativa e formativa. L’autentico formatore-maestro crede nell’opera educativa, è convinto che il cambiamento origina dalle forze interiori dell’allievo, non perde il suo tempo nella lamentazione, non incolpa i giovani, le famiglie o i “tempi difficili”, sa che la buona formazione comincia dalla responsabilità dell’équipe e procede per contaminazione e eccedenza (generosità). Condizioni di un lavoro efficace Un simile CFP necessita di queste condizioni: – una guida chiara e continuativa; – un gruppo convinto e coeso; – un coordinamento efficace ed efficiente; – un modello pedagogico di riferimento espresso in strumenti fondati e pratici, ed una formazione accompagnante per il personale. Tali condizioni sono in grado di contrastare l’assenza di volontà di miglioramento, poiché tolgono alibi e consentono di porre esplicitamente sul piano personale la domanda di coinvolgimento nell’opera educativa. Comunicazione interna ed esterna La comunicazione è il flusso vitale che alimenta la vicenda formativa. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 255 256 Occorre porre un’assoluta cura sul linguaggio, affinché l’epica educativa sostituisca la lagna: è decisiva la narrazione epica della vicenda formativa, costituita da racconti di esperienze reali che confermano il valore del CFP, suscitano adesione ed indicano sia all’interno sia all’esterno quale metodo adottare. Il linguaggio deve essere fatto di cose concrete, ciò su cui possiamo incidere davvero e di sforzi per affrontarle al meglio. Gli allievi sono i nostri veri sostenitori (e nel contempo i nostri denigratori, maggiore causa della cattiva immagine del CFP). Una fonte decisiva della nostra immagine è data dalle opere realizzate dai ragazzi, dagli eventi in cui vengono presentate in pubblico. Il compito fatto per il voto viene buttato, il prodotto di cui si va orgogliosi viene esibito. Va evitato il caos comunicativo che rivela un’assenza di identità distintiva del CFP. Collegialità e cooperazione Gli organi collegiali concorrono a dare al CFP una fisionomia di impresa culturale per la formazione dei giovani (e degli adulti). Non sono dei contropoteri, non devono dare voce alla componente impiegatizia e mercenaria della scuola. La collegialità va vista come una forma della cooperazione che connota il CFP come comunità di comunità. Alcuni consigli: – evitare le (interminabili) «comunicazioni del direttore»; – lavorare per temi istruendoli tramite gruppi di lavoro e dipartimenti che divengano i sostenitori delle proposte; – evitare la «progettite» e scegliere ciò che concorre veramente a dare qualità al vostro CFP; – spiegare le ragioni positive delle proposte e chiedere la disponibilità di tutti; – adottare un metodo di ricerca-azione: ogni area di problema si può affrontare con una proposta appropriata, questa viene gestita in un primo momento entro uno spazio ristretto per verificarne la validità, gli esiti sono comunicati a tutti, se positivi vengono estesi. Il rapporto scuola famiglia Nella narrazione «lagnosa» le famiglie sarebbero composte perlopiù da «sindacalisti dei figli» in continua polemica con i formatori, assistiti costantemente da avvocati di fiducia pronti a ricorsi e denunce. In realtà la maggioranza delle famiglie adotta uno stile positivo e disponibile, ma non partecipa alle iniziative collegiali perché li pensano come «categoria» e non «genitori di» un allievo in carne ed ossa. Le famiglie si ingaggiano volentieri su iniziative concrete, centrate sui ragazzi, dove potersi sentire orgogliose di ciò che questi sono in grado di fare e di essere. Esiste un’area di famiglie disorientate circa il loro ruolo genitoriale; a favore di queste è utile adottare un metodo educativo di «secondo livello» che li stimola ad imparare ad essere genitori prendendo ispirazione da come il CFP agisce con i loro figli. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 256 257 L’alleanza con il territorio Nella prospettiva dell’impresa culturale per la formazione è indispensabile gestire molteplici (e selezionate) occasioni di alleanza con i soggetti del territorio che si presentano come cooperatori rispetto al compito educativo fondamentale del CFP. Occorre puntare sul sentimento di «genitorialità diffusa» e sul desiderio di dare una mano al CFP da cui si proviene. Nel contempo bisogna evitare di essere invasi da qualsiasi intento pur eticamente rilevante che proviene dall’esterno e che finirebbe per rendere il CFP il ricettacolo di tutte le problematiche della società. Una delle modalità più rilevanti di apertura al territorio è costituita dall’Alternanza formazione-lavoro, sempre più intesa come un’alleanza educativa e formativa tra CFP ed imprese, per offrire ai giovani la possibilità di inserirsi positivamente nel mondo reale, valorizzando le energie positive della società e dell’economia e la «cultura in azione» ripresa entro una prospettiva curricolare formativa. SINTESI DEL TERZO PASSO (come mobilitare la comunità educante) La comunità educante rappresenta il “maestro implicito” a cui spetta il compito di dare una forma educativa coerente all’insieme delle sue attività, in modo da rafforzare la missione del CFP tesa a essere punto di riferimento nel territorio, mobilitare le risorse del territorio, attrarre, suscitare e mobilitare le risorse ed i talenti degli studenti, formare in modo educativo i giovani e gli adulti, svolgere un’azione generativa per famiglie, mondo economico, mondo associativo ed istituzionale. Per questo, è necessario dedicare grande attenzione all’estetica dell’ambiente, all’etica ed al regolamento, a porre in evidenza il lavoro degli allievi, a favorire lo stile educativo di tutto il personale, a garantire momenti di lavoro cooperativo tra formatori, ordinari e straordinari, al coordinamento e all’ottimizzazione (che non significa affatto omologazione e spersonalizzazione, ma richiede la valorizzazione operativa e riflessiva dell’intera comunità educante), alla flessibilità organizzativa, ad una logistica appropriata, infine – ma non di minore importanza rispetto a quanto già indicato – all’impegno affinché i ragazzi possano usufruire di un’attività educativa ulteriore rispetto all’offerta strettamente formativo professionale. È decisivo il senso di comunità che comporta il superamento dello stile individualistico tipico dell’insegnante oltre che della tendenza alla standardizzazione propria delle organizzazioni. Il successo formativo del CFP è dato dalla possibilità generativa delle forze vitali che lo irradiano: il carisma educativo, la condivisione della proposta, la convergenza degli sforzi dei singoli entro un cammino comune, l’alleanza con i soggetti del territorio, la riflessività e la propositività per un miglioramento continuativo, il linguaggio espressivo dei valori cui si aderisce. Mentre le organizzazioni standardizzate tendono alla devitalizzazione, l’impresa segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 257 258 culturale che agisce tramite la formazione “prende vita” da queste forze e consente di mobilitare le qualità intrinseche dei suoi allievi: il desiderio di conoscere, il desiderio di essere apprezzati dagli adulti di riferimento e di far proprie le loro qualità, il desiderio di essere competenti ed il desiderio di essere riconosciuti dagli altri in quanto capaci di mettere in gioco i propri talenti e capacità per soddisfare i loro bisogni e desideri, tramite un lavoro buono. Per questi motivi, è decisivo il ruolo del Direttore, vera guida educativa illuminata, garante della centralità dell’evento educativo, quel miracolo quotidiano che mostra l’autentico valore di ogni persona, al di là degli insuccessi scolastici precedenti. Egli deve consentire l’alleanza con le forze buone del territorio e preservare il Centro dalle intrusioni non consonanti con l’opera educativa. Egli per tale scopo si avvale di uno staff direttivo composto da coordinatori e responsabili dei servizi. Ma è decisivo l’impegno di ogni singolo formatore poiché l’educazione non si limita ad una relazione uno-a-uno, ma richiede una rete di rapporti coerenti, in grado di sollecitare la dedizione degli allievi e impegnarli pienamente nella vicenda formativa. Il Centro, in questa prospettiva, è una comunità di comunità: di classe, di centro e di territorio. La sua opera si fonda sul riconoscimento e lo sviluppo dei talenti delle persone, e procede per cerchi concentrici così da estendere il proprio influsso generativo nella realtà circostante. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 258 259 Quarto passo: Come valutare gli apprendimenti e la crescita Gli uomini prima sentono senza avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura. Giambattista Vico, Scienza Nuova, 3a ediz. Degnità LIII. Il cambio di paradigma della valutazione La valutazione degli allievi è da sempre un’attività impegnativa perché richiede un bagaglio metodologico rilevante, una coerenza con il quadro di riferimento su cui si fonda la normativa e la produzione degli strumenti a disposizione delle scuole e dei CFP, infine un’intesa forte tra i docenti dell’istituzione. La valutazione non è una fase che si aggiunge alla didattica, ma una componente stabile del lavoro formativo; essa rimanda continuamente agli scopi dell’azione educativa e quindi al progetto poiché rappresenta il punto finale di un cerchio, e si sa che, nel cerchio, la fine è anche l’inizio. Ma costituisce anche un’attività tormentosa perché – come si sa – la valutazione è come una lama a doppio taglio: nel momento in cui si valuta l’allievo, l’insegnante in un certo qual modo espone se stesso sia perché mette in luce i criteri cui fa riferimento, rivelando il “modello” didattico adottato, sia perché valutando i suoi allievi è un po’ come se valutasse il proprio lavoro. Questo tormento aumenta a causa del crescente valore attribuito all’atto valutativo: la comparsa del tema della competenza espone l’istituzione educativa su giudizi circa non solo la preparazione dell’allievo, ma anche la sua padronanza intesa come capacità di utilizzare ciò che sa per portare a termine compiti e risolvere problemi (Capperucci 2012). Da qualche anno c’è stato un cambio di paradigma della valutazione, collegato al mutamento dell’indirizzo delle teorie didattiche, influenzate decisamente dal costruttivismo pedagogico, secondo il quale la conoscenza è il prodotto di una costruzione attiva del soggetto; essa è sempre situata in uno specifico e concreto contesto e si realizza tramite la cooperazione tra gli individui posti in gioco. Tale visione rivela l’intento di critica nei confronti di una didattica divenuta “inerte” (Whitehead, A. N. 1992), mentre sul piano propositivo essa ripropone in parte orientamenti cari all’attivismo pedagogico, tra cui l’enfasi sulla costruzione della conoscenza piuttosto che sulla sua riproduzione, la preferenza per il carattere complesso del reale abbandonando le semplificazioni “scolastiche”, la contestualizzazione dell’apprendimento centrata su compiti autentici, il lavoro cooperativo e la riflessività. «Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa» (Wiggins 1993, p. 24). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 259 260 Questo cambio di paradigma ha scombussolato buona parte del sistema educativo italiano, centrato sull’insegnamento piuttosto che sull’apprendimento. In questo passaggio, gli insegnanti hanno creduto di dover mantenere l’atteggiamento di erogatori esclusivi del sapere, quasi come se di fronte a loro vi fossero solo persone non motivate ad apprendere, unicamente ricettive. È molto evocativa di questa visione la seguente frase di J.D. Novak nel suo libro scritto con D.B. Gowin, dal titolo “Imparando a imparare” (2005, p. 17): «Gli insegnanti hanno dovuto faticare per prepararsi a raggiungere qualcosa che non funziona, che è gravoso da portare avanti e perciò è costoso: ci si aspettava da loro che producessero apprendimento negli studenti, quando invece l’apprendimento non può che essere prodotto dallo studente stesso». È un altro modo per dire che, senza il contributo diretto, la “voglia” di imparare, degli studenti, non vi può essere un apprendimento autentico e duraturo. È questo il punto centrale del discorso costruttivista in pedagogia, e indica che il sapere si conquista personalmente, e che questo è un cammino pieno di vitalità, non limitato solamente al livello cognitivo dell’intelligenza umana. Le sfide attuali della valutazione Le conseguenze metodologiche di tali sfide consistono nel passaggio da una valutazione “oggettiva” (ovvero basata sostanzialmente su test e sulle tecniche docimologiche di misurazione delle performance dei soggetti testati) ad una “attendibile” ovvero centrata su prove reali ed adeguate, riferite al contesto reale, che attestino la capacità d’azione dell’allievo; nell’apertura dello sguardo del valutatore il quale deve poter comprendere più elementi (prodotto, processo, linguaggio) e adottare una varietà di strumenti tra di loro integrati (pluralismo metodologico); infine, nell’indispensabile intesa cooperativa tra docenti perché la valutazione rappresenta un’opera comune e non la somma di voti isolati. Le competenze, infatti, non sono dei saperi, dei saper-fare o delle attitudini, ma padronanze in base alle quali la persona è in grado di mobilitare, integrare ed orchestrare tali risorse. Questa mobilitazione è pertinente solo entro una situazione reale (o simulata); ogni situazione costituisce un caso a sé stante, anche se può essere trattata per analogia con altre situazioni già incontrate. L’esercizio della competenza passa attraverso operazioni mentali complesse, quelle che permettono di determinare (più o meno coscientemente e rapidamente) e di realizzare (più o meno efficacemente) un’azione relativamente adatta alla situazione. In base a ciò, è incongruo ritenere che la valutazione delle competenze si svolga attraverso la somma algebrica di voti conseguenti a verifiche aventi per oggetto conoscenze ed abilità, attuate in modo inerte ovvero slegate da un compito-problema contestualizzato, perché questo modo di procedere non permette di esprimere un giudizio sulla capacità della persona di mobilitare le risorse a disposizione a fronte di compiti-problema reali, fattore che costituisce il cuore di una valutazione attendibigiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 260 261 le. È quindi indispensabile che la valutazione segua una didattica per competenze; questa è svolta tramite Unità di Apprendimento, caratterizzate dall’insieme di occasioni che consentono allo studente di entrare in un rapporto personale con il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui egli possa andare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione attendibile. Tale approccio necessita di un quadro di dimensioni dell’intelligenza umana, che possono essere riferite: a. allo schema cognitivo (collegare situazioni, fatti, impostare la risoluzione di problemi, creare collegamenti, eseguire confronti, sintetizzare...); b. allo schema operativo (applicazione di regole grammaticali, di sequenze di operazioni...); c. allo schema affettivo e relazionale (esprimere motivazione, curiosità, empatia...); d. allo schema sociale (comunicare, lavorare in modo cooperativo, assumere responsabilità...); e. allo schema della metacognizione (riflettere e trasferire). È rilevante in questo tema il riferimento ad EQF – il sistema europeo di classificazione delle competenze – perché illustra in modo univoco i risultati dell’apprendimento, pone al centro dell’apprendimento le competenze, propone una relazione “attiva” tra competenze, abilità e conoscenze, valorizza allo stesso tempo i risultati di apprendimento formali, non formali ed informali. Un tale sistema richiede l’adozione di un modello rigoroso e fondato di valutazione, convalida e riconoscimento dei risultati di apprendimento delle competenze e dei saperi, in modo da porre in luce le evidenze della competenza ed i relativi livelli di padronanza da parte della persona che ne è titolare. Sulla base di quanto detto, si può delineare nel modo seguente il processo di valutazione, distinto in quattro fasi: previa, formativa, finale o accertativa, infine attestativa e certificativa: Fasi Azioni Previa Per ogni competenza, meglio se aggregata per area omogenea (utilizzando le 8 competenze chiave di cittadinanza europea), occorre svolgere un’istruttoria (tramite una Rubrica della competenza) finalizzata ad individuare: – le evidenze sotto forma di compiti-problema e saperi essenziali connessi – le dimensioni da valutare – i criteri e gli strumenti di valutazione – i livelli di padronanza. Formativa Ogni azione didattica che sollecita la padronanza nello studente (sia quelle più piccole a carattere disciplinare e di area formativa sia quelle più ampie interdisciplinari o collocate oltre le discipline) viene valutata tramite una griglia unitaria che permetta l’analisi: – dei prodotti intesi in senso proprio (un elaborato, un complessivo tecnologico, un evento…) – dei comportamenti e dei processi posti in atto – del linguaggio e della padronanza delle teorie sottese. segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 261 262 La valutazione finale avviene tramite prove pluri-competenze (sempre sulla base delle rubriche di riferimento) collocate in corrispondenza delle scadenze formali dei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio) e consente di rilevare in forma simultanea, sulla base di un compito rilevante, la padronanza di più competenze e saperi da parte dei candidati. La prova di valutazione finale, o “prova esperta” concorre, assieme alle attività di valutazione di tipo formativo che si svolgono al termine di ogni UdA, di rilevare il patrimonio di saperi e competenze – articolati in abilità, capacità e conoscenze – di una persona, utilizzando una metodologia che permetta di giungere a risultati certi e validi. L’utilizzo della prova di valutazione finale (prova esperta) richiede necessariamente che l’attività di apprendimento venga svolta secondo la metodologia delle Unità di Apprendimento, centrate su compiti e prodotti. Infatti l’insegnamento non è inteso, nel contesto dell’approccio per competenze, come una “successione di lezioni”, ma come organizzazione e animazione di situazioni di apprendimento orientate ad attivare la varietà delle dimensioni dell’intelligenza indicate: affettivo-relazionale-motivazionale, pratica, cognitiva, riflessivo-metacognitiva e del problem solving, tutte in un continuum dinamico tra loro. Dal punto di vista tipologico, la valutazione può essere distinta in tre casi: – valutazione puntale, riferita a conoscenze ed abilità; – valutazione delle azioni compiute, centrate su saperi e competenze; – valutazione narrativa, che mette in luce le maturazioni degli allievi. Tre esempi di valutazione puntuale (conoscenze e abilità) La valutazione puntuale, centrata su specifiche conoscenze, oltre che su abilità collegate alle prime, si effettua costruendo test (o domande orali) normalmente isolate dal La progressione dello studente nel cammino del “diventare competente” viene documentata tramite l’attestazione delle attività svolte e dei punteggi ottenuti. Questo modo di procedere consente di suggerire al consiglio di classe gli opportuni interventi di recupero e di sviluppo degli apprendimenti. Finale o accertativa La valutazione finale avviene tramite prove pluri-competenze collocate in corrispondenza delle scadenze formali dei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio); tramite essa si rilevano in forma simultanea, sulla base di un compito rilevante, la padronanza di più competenze e saperi da parte dei candidati. Attestativa e certificativa L’attestazione delle competenze rappresenta la “fotografia” della situazione dello studente, effettuata ad ogni conclusione di una tappa rilevante del percorso (biennio, triennio e quinquennio) ed in ogni caso quando il titolare lo richiede (obbligo di istruzione, passaggi). La certificazione rappresenta il momento formale in cui il dirigente ed il presidente della commissione valutativa dichiarano che lo studente ha raggiunto il livello di padronanza previsto per poter ottenere il titolo corrispondente. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 262 263 contesto, che richiedono una produzione intellettuale tra le seguenti: esposizione/definizione di un contenuto ed effettuazione di un esercizio applicativo. In questo modo, ho potuto centrare la valutazione precisamente sulle conoscenze ed abilità mirate. Ecco tre esempi di test e prove di valutazione “puntuale” di conoscenze ed abilità. Il primo riguarda un test di ingresso relativo alla lingua italiana in un Istituto superiore. La prova inizia da un brano tratto da Fontamara di Ignazio Silone. Agli studenti è chiesto di rispondere a diversi quesiti. Ne scegliamo alcuni in modo da mostrare le varie soluzioni possibili: Il primo quesito è del tipo SMS (scelta multipla semplice): Fontamara si trova: A. In una valle a nord del lago del Fucino B. Sulla costa, tra collina e montagna C. All’interno, in una valle a settentrione D A metà tra il lago del Fucino e la valle Il secondo quesito è del tipo RAA (risposta aperta articolata): Nelle prime sei righe del testo, quali sono i tre aggettivi che mettono in evidenza la condizione di povertà di Fontamara? Trascrivili di seguito 1 ........................................................................................................................ 2 ........................................................................................................................ 3 ........................................................................................................................ Il terzo quesito è a completamento: Completa le seguenti frasi coniugando la forma mancante del verbo tra parentesi 1. Temo che nella verifica della settimana scorsa tu .............................................................................................................................. (fare) troppi errori 2. Speravamo che la giornata non .................................................................................................................. (essere) troppo calda 3. Guardava il film, ........................................................................................................................ (bere) una coca cola Il quarto quesito è a collegamento: Collega in un unico periodo queste due frasi, in modo che una diventi principale e l’altra relativa, e scrivilo nella riga disponibile: 1. I ragazzi si divertivano moltissimo 2. Giocavo al pallone con i ragazzi .................................................................................................................................................................................................................................................................................................. Il secondo esempio si riferisce alla valutazione di scienze riferito ad un corso per autoriparatori (motoristi). giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 263 264 1. In un motore a ciclo Otto costituito da 8 cilindri a V, si calcoli la cilindrata totale. Effettuando la misura dell’alesaggio e della corsa risultano i seguenti valori: a = 98 mm; c =70 mm. Il volume di ogni camera di combustione nella testata (Vc), da misura effettuata tramite prova con liquido, risulta essere di 55 cm3. 2. Un motore sviluppa una potenza massima di 228 kW. Si richiede di calcolare la corrispondente potenza in CV. 3. Quali sono i principali inquinanti emessi da un motore a ciclo Otto? 4. Che funzione ha il catalizzatore trivalente nel motore a ciclo Otto? 5. Nel seguente diagramma coppia - potenza di un motore endotermico, in quale range di giri motore viene raggiunto il valore di coppia massima? Qual è il valore massimo della potenza motore sviluppata dal motore e a quale regime si ottiene? 6. Dovendo alimentare simultaneamente tre fari da lavoro su un mezzo “movimento terra”, è necessario dimensionare correttamente la linea di collegamento degli stessi ed il relativo fusibile di protezione. Considerato che la distanza tra la batteria ed i fari risulta essere tale da richiedere 10 m di filo elettrico, che le lampade di ogni faro richiedono la potenza di 55W, la tensione nominale di alimentazione è di 24V, calcolare la sezione del filo adeguata per il loro collegamento tenendo conto che la resistività del filo utilizzato è di 0,018 Ω x m e che la densità di corrente ammessa sull’impianto è di 3A/mm2. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 264 265 Ora presentiamo un esempio di valutazione intermedia tra conoscenze-abilità competenze: la valutazione si riferisce a prodotti – in questo caso grafici e mappe spazio-temporali, oltre a testi di taglio storico – e quindi si può dire che si fonda sul criterio dell’attendibilità80. Unità di Apprendimento N° 1: L’Italia, l’Europa e il Mondo nell’epoca contemporanea Modulo di Contenuto: “La svolta dell’Ottocento; La Belle Époque” CONOSCENZE Conoscere lo sviluppo degli avvenimenti storici studiati, collocandoli nello spazio e nel tempo ABILITÀ Organizzazione delle informazioni Costruire grafici e mappe spazio-temporali, per organizzare le conoscenze studiate Produzione Produrre testi, utilizzando conoscenze, selezionate e schedate da fonti di informazione diverse, manualistiche e non, utilizzando un linguaggio specifico COMPETENZA DISCIPLINARE Utilizza il ragionamento storico e un linguaggio specifico per la comprensione e l’espressione dei contenuti relativi a fatti e fenomeni studiati COMPETENZE TRASVERSALI PROGETTARE: Elaborare e realizzare compiti di apprendimento utilizzando il metodo richiesto INDIVIDUARE COLLEGAMENTI E RELAZIONI: Individuare e rappresentare fenomeni ed eventi disciplinari, cogliendone analogie e differenze, cause ed effetti sia nello spazio che nel tempo. 80 Cfr. www.indire.it/innovadidattica/allegati/rfu309.doc giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 265 266 DESCRITTORI DI VALUTAZIONE CONOSCENZE E ABILITÀ ATTIVITÀ N.2 10/10 • pieno e completo raggiun - gimento di conoscenze e abilità • uso corretto e logico-razio - nale dei linguaggi specifici, degli strumenti e delle procedure risolutive 9/10 • completo raggiungimento di conoscenze e abilità • uso corretto e razionale dei linguaggi specifici, degli stru menti e delle procedure risolutive 8/10 • complessivo raggiungi - mento di conoscenze e abilità • uso corretto dei linguaggi specifici, degli strumenti e delle procedure risolutive 7/10 • sostanziale raggiungimento di conoscenze e abilità • uso adeguato dei linguaggi specifici, degli strumenti e delle procedure risolutive 6/10 • essenziale raggiungimento di conoscenze e abilità • sufficiente uso dei linguaggi specifici di base e degli strumenti 5/10 • limitato e parziale raggiungimento di conoscenze e abilità • uso non sufficiente dei linguaggi specifici e degli strumenti 4/10 • mancato raggiungimento di conoscenze e abilità • gravemente insufficiente l’uso dei linguaggi specifici e degli strumenti DESCRITTORI DI VALUTAZIONE ATTIVITÀ N. 1 Indicatori mappa 9/10 8 6/7 5/4 Contenuto Tutti gli argomenti sono inclusi e sono identificati precisamente e accuratamente Tutti gli argomenti sono inclusi e molti sono identificati accuratamente Tutti gli argomenti sono inclusi tranne uno o due, alcuni non sono precisamente identificati Alcuni argomenti non sono inclusi e molti non sono accuratamente o precisamente identificati Attrazione estetica Molto colorata e ordinata; gli argomenti sono molto facili da leggere Colorata; alcuni argomenti non sono di facile lettura Limitato uso di colori; gli argomenti sono difficili da leggere Limitato o nessun uso di colori; gli argomenti sono molto difficili da leggere Elementi della mappa Include chiaramente i titoli etichettati, i dati (se adatti), la direzione delle frecce, linee di partenza, linee orizzontali e verticali Include molti elementi standard della mappa; molti sono accurati e di facile lettura Non sono presenti alcuni elementi standard della mappa Non sono presenti molti elementi standard della mappa giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 266 267 DESCRITTORI DI VALUTAZIONE PER LE COMPETENZE ATTIVITÀ N 1 E 2 ECCELLENTE (EC): voto 9-10/10 La competenza programmata è manifestata in modo positivo con – Completa autonomia, originalità, responsabilità – Buona consapevolezza e padronanza delle conoscenze e abilità connesse – Buona integrazione dei diversi saperi MEDIO (M): voto 7-8/10 La competenza programmata è manifestata in modo soddisfacente con – Buona autonomia – Discreta consapevolezza e padronanza delle conoscenze e abilità connesse – Parziale integrazione dei diversi saperi ESSENZIALE (ES): voto 6/10 La competenza programmata è dimostrata in forma essenziale con – Relativa autonomia – Basilare consapevolezza delle conoscenze e abilità connesse NON CERTIFICABILE (NC): voto 4-5/10 La competenza programmata non è dimostrata neanche in forma essenziale; necessità di forme di recupero e interventi individualizzati ATTIVITÀ PROPOSTE ATTIVITÀ N.1: Scegli uno tra i seguenti argomenti studiati e sintetizzalo attraverso una mappa concettuale • La Seconda Rivoluzione Industri a le • La Belle Epoque • La Prima Guerra Mondiale ATTIVITÀ N.2: Verbalizza la mappa che hai realizzato Due esempi di valutazione di un’azione compiuta L’azione compiuta è gestita solitamente come un’Unità di Apprendimento. Eccone un esempio relativo ad una classe composita formata da studenti della scuola secondaria di primo grado ed altri della scuola secondaria di secondo grado. L’oggetto del lavoro è rappresentato dalla scrittura di un libro giallo. Presentiamo alcuni stralci che ci consentono di coglierne l’impianto di valutazione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 267 268 Suspense a Sampierdarena UN PERCORSO GIALLO TRA LE VIE DEL NOSTRO MISCONOSCIUTO QUARTIERE CONSEGNA AGLI STUDENTI La classe è stata scelta per realizzare un lavoro di produzione scritta a carattere creativo di un racconto giallo, la cui ambientazione sia Sampierdarena e il cui protagonista-detective sia un anziano del luogo. Si lavora a gruppi o individualmente. Il risultato di questo lavoro consisterà in una presentazione degli elaborati svolti in una raccolta di racconti gialli aventi il medesimo protagonista-detective e la medesima ambientazione. Attraverso questo lavoro potrai sperimentare le tecniche di scrittura creativa in relazione a un determinato genere letterario, potrai sviluppare ed applicare le tue capacità logiche di analisi e sintesi e migliorerai la tua capacità di osservare il territorio in cui vivi. Utilizzerai le nuove tecnologie per migliorare la qualità del tuo apprendimento. Ti dedicherai a questo progetto nell’anno scolastico in corso. Ti accompagneranno i tuoi insegnanti di materie letterarie, matematica, francese, storia dell’arte, materie professionali. Potrai avere la possibilità di incontrare una scrittrice di gialli. Ogni tuo insegnante ti valuterà in base: – alla funzionalità e coerenza del racconto redatto – alla sua completezza – alla sua correttezza ed efficacia espressiva nel rispetto del genere letterario assegnato – alla sua creatività – alla componente logica nell’elaborazione dell’enigma e di altri aspetti deduttivi – al rispetto dei tempi e alla tua interazione con gli altri nelle varie fasi di svolgimento dell’UDA. Utilizzerai il tuo lavoro per una pubblicazione, su un giornalino scolastico o in altra forma editoriale. Il tuo coinvolgimento, il tuo impegno e le tue capacità di collaborare con insegnanti e compagni saranno presi in considerazione nel voto di condotta. Buon lavoro! I tuoi insegnanti Ecco la griglia di valutazione: giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 268 269 C RITERI Funzionalità e coerenza Completezza Correttezza ed efficacia espressiva nel rispetto del genere letterario assegnato Creatività Componente logica nell’elaborazione dell’enigma e di altri aspetti deduttivi F OCUS DELL ’ OSSERVAZIONE 1 2 Il prodotto è gravemente carente tanto da comprometterne la funzionalità e non presenta coerenza Il prodotto presenta lacune che ne rendono incerte la funzionalità e la coerenza 3 Il prodotto presenta a un livello minimo di funzionalità e di coerenza 4 Il prodotto è funzionale e coerente, secondo i parametri di accettabilità piena 5 Il prodotto è eccellente dal punto di vista della funzionalità e della coerenza 1 Il prodotto è gravemente incompleto 2 Il prodotto presenta lacune circa la completezza 3 Il prodotto si presenta completo in modo essenziale 4 Il prodotto è completo secondo i parametri di accettabilità piena 5 Il prodotto è eccellente dal punto di vista della completezza 1 Il prodotto presenta gravi errori sul piano della lingua ed è inefficace dal punto di vista dello stile e del rispetto della struttura 2 Il prodotto presenta alcuni errori sul piano della lingua ed è solo parzialmente efficace dal punto di vista dello stile e del rispetto della struttura 3 Il prodotto è corretto sul piano della lingua e sufficientemente efficace dal punto di vista dello stile e del rispetto della struttura 4 Il prodotto è pienamente corretto sul piano della lingua e complessiva mente efficace dal punto di vista dello stile e del rispetto della struttura 5 Il prodotto è pienamente corretto sul piano della lingua e molto efficace dal punto di vista dello stile e del rispetto della struttura 1 Il prodotto non esprime alcun elemento di creatività 2 Il prodotto esprime parziali elementi di creatività 3 Il prodotto esprime sufficienti elementi di creatività 4 Il prodotto esprime soddisfacenti elementi di creatività 5 Il prodotto esprime spiccati elementi di creatività 1 Si evidenziano gravi e diffuse incoerenze e contraddizioni sul piano logico. L’enigma non appare convincentemente strutturato 2 Si evidenziano alcune incoerenze e contraddizioni sul piano logico. L’enigma appare debolmente strutturato 3 Non si evidenziano incoerenze e contraddizioni sul piano logico. L’enigma è sufficientemente sviluppato 4 La componente logica nell’elaborazione dell’enigma e di altri aspetti deduttivi è sviluppata adeguatamente 5 La componente logica nell’elaborazione dell’enigma e di altri aspetti deduttivi arricchisce il prodotto nella sua funzionalità, efficacia e credibilità V OTO segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 269 270 Ora presentiamo un altro esempio di azione compiuta riferita ad una seconda classe professionale del settore grafico. Ne citiamo solo alcuni stralci. Rispetto dei tempi Interazione con gli altri (allievi e formatori) e capacità di valorizzare le proprie e altrui capacità 1 Il periodo necessario per la realizzazione è più ampio rispetto a quanto indicato e il gruppo ha disperso il tempo a disposizione 2-3 Il periodo necessario per la realizzazione è di poco più ampio rispetto a quanto indicato e il gruppo ha utilizzato in modo efficace – se pur lento – il tempo a disposizione 4-5 Il periodo necessario per la realizzazione è conforme a quanto indicato e il gruppo ha utilizzato in modo efficace il tempo a disposizione 1 Difficoltosa interazione con gli altri e scarsa capacità di valorizzare le proprie e altrui capacità 2-3 Sufficiente interazione con gli altri e discreta capacità di valorizzare le proprie e altrui capacità 4-5 Soddisfacente interazione con gli altri e spiccata capacità di valorizzare le proprie e altrui capacità giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 270 271 UNITÀ DI APPRENDIMENTO CLASSE SECONDA “Non sotterrate i talenti, i doni che Dio vi ha dato! Non abbiate paura di sognare cose grandi” Papa Francesco Denominazione Copertina di un libro I Mestieri: Ricercare l’evoluzione dei mestieri nei diversi periodi storici utilizzando materiale iconografico Prodotti Valutazione – Fare una ricerca sui contenuti – Produrre i bozzetti – Produrre una illustrazione o fotografia inerente al tema del libro – Produrre un titolo – Elaborare una copertina di un libro – Scrivere una relazione che spieghi le fasi del progetto Criteri di valutazione Il docente tiene conto dell’efficacia comunicativa, originalità del lavoro, correttezza formale, tempi di elaborazione, rispetto delle consegne, partecipazione attiva alla realizzazione del prodotto. Valore della UDA in riferimento alla valutazione della competenza mirata: è una parte o la soddisfa interamente? L’UDA è una parte del percorso in cui stai imparando ad apprendere da fonti diverse e a rielaborare informazioni, a presentarle con un software specifico Peso della UDA in termini di voti in riferimento agli assi professionali/discipline ed alla condotta – Tecniche grafiche professionali 70% Informatica 30% Ecco la griglia di valutazione, limitatamente alle dimensioni sociale e pratica. Dimensioni della Intelligenza Sociale Rispetto dei tempi 91-100 L’allievo ha impiegato in modo efficace il tempo a disposizione pianificando autonomamente le proprie attività e distribuendole secondo un ordine di priorità. 75-90 Il periodo necessario per la realizzazione è conforme a quanto indicato e l’allievo ha utilizzato in modo efficace il tempo a disposizione, avvalendosi di una pianificazione. 61-75 Ha pianificato il lavoro, seppure con qualche discontinuità. Il periodo necessario per la realizzazione è di poco più ampio rispetto a quanto indicato e l’allievo ha utilizzato in modo efficace – se pur lento – il tempo a disposizione < 60 Il periodo necessario per la realizzazione è più ampio rispetto a quanto indicato e l’allievo ha disperso il tempo a disposizione, anche a causa di una debole pianificazione. Criteri Focus dell’Osservazione Punteggio segue giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 271 272 Un esempio di valutazione “narrativa” Come esempio di valutazione “narrativa” presentiamo la conclusione della relazione di stage elaborata da uno studente di un istituto tecnico di Ancona del settore nautico: CONCLUSIONE L’esperienza vissuta nell’ambito del progetto alternanza scuola-lavoro è stata secondo me molto interessante sia dal punto di vista umano, in quanto mi sono confrontato con persone disponibili e preparate che mi hanno inserito in un mondo lavorativo a me sconosciuto, sia dal punto di vista formativo, in quanto ho potuto vedere numerose applicazioni pratiche di alcuni concetti studiati a scuola. Ritengo che questo genere di iniziative siano molto utili per iniziare a conoscere il mondo del lavoro, le difficoltà da affrontare le conseguenti responsabilità e che siano in ogni modo stimolanti in quanto permettono di utilizzare concretamente le nozioni apprese a livello teorico. Sociale Pratica Cooperazione e disponibilità ad assumersi incarichi e a portarli a termine Precisione e destrezza nell’utilizzo degli strumenti e delle tecnologie Funzionalità 91-100 Nel gruppo di lavoro è disponibile alla cooperazione, assume volentieri incarichi, che porta a termine con notevole senso di responsabilità 76-90 Nel gruppo di lavoro è discretamente disponibile alla cooperazione, assume incarichi, e li porta a termine con un certo senso di responsabilità 61-75 Nel gruppo di lavoro accetta di cooperare, portando a termine gli incarichi con discontinuità < 60 Nel gruppo di lavoro coopera solo in compiti limitati, che porta a termine solo se sollecitato 91-100 Usa strumenti e tecnologie con precisione, destrezza e efficienza. Trova soluzione ai problemi tecnici, unendo manualità, spirito pratico a intuizione 76-90 Usa strumenti e tecnologie con discreta precisione e destrezza. Trova soluzione ad alcuni problemi tecnici con discreta manualità, spirito pratico e discreta intuizione 61-75 Usa strumenti e tecnologie al minimo delle loro potenzialità < 60 Utilizza gli strumenti e le tecnologie in modo assolutamente inadeguato 91-100 Il prodotto è eccellente dal punto di vista della funzionalità 76-90 Il prodotto è funzionale secondo i parametri di accettabilità piena 61-75 Il prodotto presenta una funzionalità minima < 60 Il prodotto presenta lacune che ne rendono incerta la funzionalità giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 272 273 Appena siamo entrati nel cantiere, il tutor ci ha subito illustrato l’ambiente e i lavori che dovevamo svolgere durante le tre settimane. In questo arco di tempo ho avuto la possibilità di provare molteplici lavori: dal macchinista dove la meccanica del biennio è stata fondamentale, fino all’ elettricista e collaudatore che, secondo me, l’impiego più interessante, ed è ciò che svolgiamo tutt’ ora nell’azienda; in cantiere gli impianti si svolgevano nella stessa maniera ma la difficoltà era superiore. Nel cantiere vigevano norme di sicurezza molto rigide, infatti appena siamo arrivati ci hanno illustrato il regolamento e la condotta che bisognava tenere all’interno del cantiere. Obbligatorio era l’uso del caschetto e le scarpe antinfortunistiche, chi era colto senza, rischiava una sanzione. Grazie a questa esperienza ho potuto capire che nel mondo del lavoro ci sono dei pro e dei contro, i vantaggi sono molte cose pratiche e meno teoriche rispetto alla scuola e lo stipendio a fine mese, da cui sarei stimolato ad eseguire il mio compito. Gli svantaggi secondo me sono pochi se il lavoro è appassionante e la fatica a fine giornata non è poi cosi tanto sentita. Dopo questa esperienza penso di ritornare a scuola più motivato anche perché se si vuole occupare un buon posto bisogna studiare e fare molti sacrifici. In questo arco di tempo sono stato molto fortunato, infatti sono stati varati due superyacht in una sola settimana e al momento in cui l’imbarcazione entra in acqua senza problemi, nei volti degli operai vedi la soddisfazione e l’orgoglio per il frutto del loro lavoro e sono proprio questi i casi dove si vede la passione che ha una persona nello svolgere il suo mestiere. Comunque pensavo, erroneamente, che il mondo del lavoro fosse più leggero e piacevole di quello scolastico ed ho potuto constatare che se nella vita vuoi costruire qualcosa non puoi farlo senza sacrifici e mettendoci passione. È stata proprio una bella esperienza e sono soddisfatto delle mie scelte scolastiche. Dopo aver presentato l’esperienza dello stage mostrando una notevole padronanza delle tecniche e del linguaggio, lo studente esprime nella conclusione il giudizio sull’esperienza svolta. La prima riflessione su quanto esposto riguarda la capacità di cogliere nel contempo gli aspetti umani e quelli formativi che si intrecciano nell’esposizione. Non emerge solo la rendicontazione di un’esperienza, ma un giudizio che pone in relazione quanto ha potuto acquisire mediante lo stage e la sua condizione di studente. Egli fa dell’incontro proficuo con “un mondo lavorativo a me sconosciuto” il paragone tramite cui valutare i contenuti appresi a scuola ed apprezzare il valore dello stage in impresa, espresso con riferimenti puntuali alla varietà di lavori che ha potuto svolgere ed alla cura delle norme di sicurezza mostrata dal personale del cantiere. La seconda riflessione è quindi riferita alla rilevante capacità dello studente di porre in relazione – che è poi il significato più profondo dell’alternanza – ciò che ha studiato a scuola con quanto ha potuto sperimentare nello stage, giungendo ad un giudizio sintetico espresso nella forma dei “pro e contro”. Ma non si tratta di una semplice elencazione: egli coglie infatti il significato centrale del lavoro, che non è più inteso come una mera attività, ma come l’espressione di una “passione” che impegna e rivela l’intera personalità di chi lo svolge ed informa le relazioni con gli altri, e lo fa ricordando il clima in cui si è svolto il varo dei due superyacht – frutto del loro lavoro – e individuando nella soddisfazione e nell’orgoglio le due evidenze di un lavoro che a questo punto diventa vero e proprio mestiere. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 273 274 Il terzo elemento della riflessione riguarda pertanto la capacità di afferrare il fattore cruciale dell’esperienza svolta, andando oltre il semplice schema teoria-pratica, fino a cogliere l’elemento antropologico fondante il legame tra uomo e lavoro. A questo punto, il linguaggio esprime non solo ciò che ha potuto apprendere, ma indica un’acquisizione che non può più essere limitata entro la categoria degli apprendimenti, trattandosi di un giudizio circa la realtà e di una vera e propria maturazione riferita alle virtù morali che reggono la vita buona. Il mondo reale non è facile e divertente, oltre che interessante dal punto di vista economico, essendo gravido di problemi e difficoltà. Il modo giusto per affrontarlo non è ricercare ciò che è leggero e piacevole, senza sacrifici, bensì nell’essere convinto di ciò che si vuole perseguire, voler costruire qualcosa, e mettere tutta la passione in ciò che si fa. Lo studente ha saputo trarre dallo stage il massimo beneficio: l’espressione “pensavo erroneamente” indica una vera e propria maturazione che non può essere rilevata tramite griglie né tradotta in numeri, ma si comunica tramite il linguaggio che indica convinzione e decisione bene espresse nella chiusura del testo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 274 275 SINTESI DEL QUARTO PASSO (come valutare gli apprendimenti e la crescita) La valutazione non è solo una fase dell’azione formativa, ma un’attenzione da mantenere costante lungo tutto il suo corso: – in chiave formativa, vale a dire lungo il percorso degli studi, essa serve a diagnosticare il punto del cammino in cui si trova l’allievo per trarre indicazioni circa i suoi successi, le sue difficoltà, gli interventi necessari a valorizzare i primi e superare i secondi. La valutazione formativa è centrata sulla classe e sulle tappe di progressione reale che i formatori via via perseguono. – In sede di valutazione finale, essa consente di verificare la reale padronanza di saperi e competenze tramite prove centrate sui traguardi formativi del corso – non sul livello di preparazione degli allievi – e relativi standard, poiché prelude al rilascio di un titolo di studio, qualifica, diploma o specializzazione. Occorre dedicare il giusto impegno alla valutazione, tenendo conto che tutta la materia valutativa, così come quella formativa in genere, è in una fase di notevole trasformazione come attestano le prove INVALSI, il ricorso alle prove esperte e la modalità del capolavoro. Questa nuova attenzione punta ad un tipo di conoscenza intesa come “prodotto” di una costruzione attiva del soggetto che avviene sempre in modo situato, in riferimento ad uno specifico e concreto contesto e si realizza tramite la cooperazione tra gli individui posti in gioco. Al di là delle filosofie pedagogiche del momento, è rilevante la creazione di “situazioni di apprendimento” reali o vicine alla realtà; in questo modo, la verifica del saperi non si svolge nella forma della “riproduzione” di schemi, regole, procedure, ma sempre più vicina alla complessità del reale. Con ciò, non si deve considerare superata la vecchia scuola valutativa che prediligeva apprendimenti isolati, posti in una sequenza progressiva, verificati tramite prove puntuali e avulse dal “vento” mutevole ed imprevisto proprio del tipo di società in cui stiamo vivendo. Questa visione valutativa è bene espressa da Wiggins, per il quale: «Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa» (Wiggins, 1993, p. 24). Questo modo di valutare richiede un salto di qualità nella cooperazione tra colleghi, sia lungo il percorso (valutazione formativa) sia alla fine dello stesso (valutazione finale o accertativa). In sintesi, tre sono le modalità di valutazione che occorre saper padroneggiare: 1. La valutazione puntuale centrata su conoscenze ed abilità isolate dal contesto. Questa viene effettuata tramite test scritti o orali (interrogazioni) che mirano a rilevare i saperi “nucleari”, non inclusi in azioni complesse. 2. La valutazione delle azioni compiute, centrate su saperi e competenze mobilitati dagli attori in quanto capaci di fronteggiare compiti complessi e risolvere i problemi che via via gli si presentano. Le azioni compiute corrispondono alle unità di apprendimento che si collocano nei passaggi strategici del curricolo “composito” e richiedono la cooperazione di più formatori, che condividono alcuni saperi essenziali. 3. La valutazione narrativa, che mette in luce tramite il linguaggio le maturazioni degli allievi, espresse non nella forma degli apprendimenti, ma dei guadagni che il nuovo sapere ha sollecitato nell’allievo rendendolo più capace di scoprire ed agire nel mondo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 275 276 Quinto passo: Riflettere, migliorare, aprirsi al nuovo (rinnovare la tradizione) Noi non dobbiamo cessare di esplorare, e il fine di tutta la nostra esplorazione sarà quello di arrivare là dove cominciammo e di conoscere quel posto per la prima volta. Thomas Stearns Eliot, discorso in occasione del conferimento del premio Nobel per la letteratura (Stoccolma, 1948) Visione, relazione, esplorazione del possibile Il formatore, inteso come professionista, necessita di tre fondamentali qualità riguardanti la propria capacità di riflessione sull’esperienza, al fine di trarre sollecitazioni per il perfezionamento del proprio sapere professionale: – Visione: il formatore opera entro un contesto ricco di situazioni problematiche che non si possono affrontare solo in base a procedure, e spesso neppure incrementare per strati successivi poiché in momenti particolari è richiesto un cambio di paradigma e non solo un suo aggiornamento. Egli avverte di conseguenza la necessità di disporre di punti di riferimento, ovvero vere e proprie guide d’azione che gli consentano di delimitare la sua posizione, di diagnosticare il problema, di rappresentare ciò che è manifesto accanto a ciò che non appare esplicitamente. Tutto questo richiede una capacità preliminare che possiamo chiamare appunto visione, intendendo con ciò un’appropriata rappresentazione del campo di riferimento della sua azione professionale. Tale capacità, se pure indica una dotazione dell’individuo, proviene dal mondo comunitario cui la persona appartiene. Sono le strutture della socialità (familiari, di amicizia, di religione, di territorio, di associazione volontaria) che danno forma allo sguardo che la persona rivolge alla realtà, ne evidenziano le intenzioni e ne riconoscono i caratteri di fondo. Il soggetto umano, in altri termini, si pone nei confronti del mondo facendo riferimento al sistema simbolico culturale che costituisce precisamente la sua propria formazione e che indica il modo entro cui la sua esistenza prende forma e si realizza. – Relazione: la prima caratteristica di un lavoro come quello del formatore, che presenta una forte natura relazionale, è costituita dall’implicazione ovvero dalla varietà di legami che sussiste tra la persona che lavora e la realtà in cui si svolge la sua opera: con gli allievi e le loro famiglie, i colleghi, le figure di coordinamento e direzione, i rappresentanti delle aziende, i tecnici del settore, gli esponenti degli enti locali e del mondo associativo. Questo legame ha una dimensione affettiva, una di valore ed una connessa alla tradizione. La dimensione affettiva si giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 276 277 regge sulle motivazioni e le aspirazioni della persona che delineano una vera e propria vocazione. Il “materiale” del lavoro ovvero l’ambiente, il linguaggio, i significati, le figure, le tecniche ed i problemi, oltre ai riconoscimenti, è dotato di un’attrazione così che la persona – naturalmente in modi diversi e talvolta contrastanti – supera facilmente le distanze tra il suo mondo soggettivo ed il campo lavorativo in cui opera. La dimensione affettiva si allarga anche alle figure del destinatario, ai referenti organizzativi con cui negoziare il proprio contributo, ai colleghi interni ed a quelli della rete esterna, ai membri della comunità professionale: nel tempo, si nota un processo di sempre maggiore ampliamento delle relazioni che costituiscono la realtà del lavoro, di modo che una delle competenze richieste è proprio quella che facilita la tessitura dei legami e la vita sociale. Inoltre, il lavoratore non è semplicemente un individuo, ma porta con sé un ambito vitale comunitario che gli è proprio, dal quale trae la visione di cui sopra ma che costituisce anche il capitale sociale mobilitato. La dimensione di valore si riferisce allo scopo del lavoro ovvero al beneficio che apporta alle persone che vengono coinvolte nell’azione. Più questa dimensione è forte e condivisa come nel caso della formazione, un servizio in grado di migliorare la qualità della vita, più il legame è consistente, il riconoscimento del professionista risulta immediato, la tensione della relazione stabile e continuativa. La tradizione costituisce un altro fattore importante di relazione: ogni passo in avanti nell’opera lavorativa, se si svolge entro un ambito ricco di significati, indica un legame tra il passato ed il futuro. Ciò comporta un vero e proprio lavoro culturale del formatore professionista il quale richiama il repertorio della sua memoria, ma ricerca anche nel materiale culturale del passato stimoli e modelli cui ispirarsi per compiere la sua opera. In questo modo la tradizione risulta continuamente mobilitata e rinnovata a fronte delle situazioni nuove, ricevendo ad un tempo conferma, ma anche possibilità di perfezionamento. E non si tratta solo di riscoprire la cultura del passato, ma di procedere tramite connessioni e con-senso anche di fronte a problemi di tipo nuovo, in forza del carattere tendenzialmente stabile del patrimonio spirituale della civiltà 81 . – Esplorazione del possibile: è uno degli aspetti centrali della nuova figura di lavoratore, e indica ciò che Luhmann (2005, p. 232) chiama “competenza primaria” intendendo con tale espressione la capacità di riconoscere le occasioni ed ampliare le alternative. Questo aspetto è segnalato come fondamentale, proprio a causa dell’incertezza che introduce una legame problematico tra sforzo umano ed il risultato del proprio lavoro. Il ruolo lavorativo era inteso nel passato come 81 Al contrario di ciò che afferma Sennet, quando indica che una delle sfide della persona del nostro tempo è data dalla disponibilità a «staccarsi dal passato» (S ENNNET 2006, p. 9), ciò che è richiesto è di trovare un legame tra passato e futuro, ovvero svolgere, nel lavoro, un’operazione culturale. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 277 278 un’istituzione solida e duratura, disegnata in modo da fronteggiare problemi ampiamente noti, e ripetitivi nel tempo, tramite soluzioni proceduralizzate, la cui consistenza andava oltre lo sforzo dei singoli. Oggi la nuova condizione lavorativa apre la strada a lavori esplorativi non connotati dalla sola capacità di adattamento o imitazione di ciò che fa la concorrenza, ma segnati dalla sensibilità nei confronti delle occasioni che si manifestano anche con segnali deboli e dalla disposizione a immaginare e perseguire strade nuove. Anche Schön (1993) esprime un concetto simile quando afferma che la professionalità è da intendere come un insieme integrato di sapere tecnico, di sapere organizzativo e di cultura. Infatti, alcune risorse mobilitate nelle nuove realtà professionali non possono essere spiegate in base ad un repertorio tecnico di competenze formalmente riconosciute e neppure a regole prefissate in riferimento alle decisioni da prendere. I professionisti riflessivi sono persone capaci di creare nuove prospettive, così da comprendere in modo nuovo problemi non risolvibili con le conoscenze e con i repertori pregressi. L’esplorazione del possibile è anche il modo in cui, lavorando, si rinnova continuamente il lavoro come oggetto della stessa opera: in questo senso i formatori professionali appaiono dotati della competenza del “lavoro del lavoro”, che li porta ad immaginare contenuti ed ambiti nuovi su cui modellare e rimodellare la propria opera. Appartenere alla comunità professionale Nel sostenere e perfezionare la sua professionalità, Il formatore si colloca entro una particolare forma di relazione sociale, che chiamiamo comunità professionale – sinonimo di “famiglia professionale” – espressione che indica un aggregato di figure che condividono un insieme di valori, pratiche, saperi e condizioni lavorative. Di conseguenza, la competenza non è uno stato circoscrivibile entro il solo spazio dell’individualità, essa è invece una qualità della relazione sociale propria del gruppo lavorativo che viene posta in gioco tramite l’azione condivisa e interdipendente tra i membri dello stesso. La comunità professionale è assimilabile quindi alla comunità di pratiche che indica un gruppo di persone che lavorano assieme per un certo periodo di tempo, concorrendo alla realizzazione di un compito comune. Siamo di fronte a forme di collaborazione connotate dalla consapevolezza di agire alla pari e dalla necessità di estendere la conoscenza, il sapere a tutti i membri (Wenger 1998). La Formazione Professionale rappresenta un ambito di confine tra un ampio spettro di domini culturali: pedagogia, sociologia, economia, diritto, scienze e tecnologia. In un contesto in continuo cambiamento, essa è particolarmente sollecitata a rinnovare le sue pratiche, in rapporto ad ambiti sempre più ampi di intervento; oltre alla formazione iniziale per minori, essa interviene sempre più nella fascia della formazione superiore, nel variegato mondo delle esigenze formative degli adulti, nei vari congiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 278 279 testi delle politiche attive del lavoro, nell’area dell’inclusione sociale, nei progetti di sviluppo. In un contesto in continuo cambiamento, è impensabile che il singolo formatore sia in grado di tenere sotto controllo l’intero spettro degli ambiti di intervento e dei campi del sapere; egli necessita di aggiornamenti continui, interpretati entro la propria comunità professionale al fine di individuare insieme le innovazioni da apportare al proprio sapere e le direzioni da indicare per il cammino evolutivo della professione. L’esperienza individuale non basta più per sostenere il necessario aggiornamento e sviluppo del patrimonio professionale, occorre considerare l’importanza dello scambio e della ricerca applicata che si può realizzare entro aggregati professionali in grado non solo di riflettere sulle proprio pratiche, ma anche di realizzare vere e proprie ricerche applicate al fine di elaborare prototipi e guide di intervento. La ricerca, infatti, rappresenta un presupposto fondamentale dei processi di sviluppo e di competizione; da qui l’interesse a far parte di processi di ricerca e di elaborazione di fattori innovativi che interessano il campo professionale della formazione. La generatività, virtù del formatore Molti degli elementi che abbiamo evidenziato mettono in luce la disposizione fondamentalmente relazionale e sociale del formatore professionale: innanzitutto l’apertura di una dinamica intensa di comunicazione con i colleghi ed i referenti dell’organizzazione; inoltre la relazione di familiarità tra lavoratore e utente; ancora, il rapporto di comunità che si instaura con le persone che condividono la stessa cerchia professionale. Si tratta di una dote che nel passato era richiesta soltanto a particolari figure del comparto socio-assistenziale e sanitario oppure della vendita, ma che oggi risulta decisiva per una grande varietà di professioni significative e collocate entro una fitta rete di relazioni interne ed esterne all’organizzazione. Il lavoro viene in un certo senso “socializzato”: esso entra a far parte a pieno titolo dei processi che modellano la società dando ad essa una fluidità ed una espressività che riflette il mondo delle idee pratiche, quello che influenza direttamente la vita delle persone e le forme della convivenza. Tutto ciò rompe le separazioni del passato tra vita privata, vita lavorativa e vita pubblica. I confini tra questi mondi si fanno più incerti nello stesso tempo in cui le dinamiche della vita, dell’organizzazione e della cittadinanza si intersecano e si influenzano a vicenda, disegnando un comportamento sociale caratteristico del nostro tempo nel quale si coglie una continua costruzione – tramite il lavoro – di forme di socialità nuove e nel contempo un’opera di rinnovamento di quelle esistenti. Il mondo del lavoro significativo e competente è una miniera inesauribile di occasioni di socialità con un notevole potenziale di “via buona”, che vengono messe in valore entro una dinamica economica che appartiene a pieno titolo alla società civile. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 279 280 Non è vero che, a causa della incertezza finanziaria e della mancanza di chiarezza circa la direzione dell’economia e della società, la gran parte delle organizzazioni formative cercano mercenari oppure lavoratori “usa e getta”. Al contrario, sono alla ricerca di persone con cui intrattenere legami stabili e duraturi nel tempo, e ciò riguarda un ampio spettro di figure professionali denominati “solutori di problemi” quotidiani di cui le organizzazioni hanno un bisogno estremo e che faticano a trovare. La questione sta nel reperimento di queste risorse e nel processo di implicazione che non segue più la via della socializzazione tipica della società precedente, ma richiede la capacità di mettersi in gioco. In questo senso, imparare a condividere diventa uno dei caratteri strategici del lavoro del formatore professionale; esso si acquisisce con una serie di esperienze significative e qualificanti in grado di far emergere qualcosa che possiamo definire come il substrato della competenza, ovvero la disposizione umana a coinvolgersi in un contesto situato, fatto di un insieme di persone, culture, regole, interessi e valori che interagiscono nella vita sociale “espressiva” del nostro tempo. Quando la prestazione assume connotati culturali e personali, risulta necessario superare un’interazione solo “tollerante”: l’altro, nell’avvicinarsi al formatore in grado di erogare un prodotto/servizio significativo tende ad essere assunto come un tu, ovvero una persona che nel manifestare un particolare bisogno esprime tutta la sua umanità. Ciò prevede ascolto e disponibilità, ma anche la capacità di instaurare un rapporto fiduciario che è in fondo il corrispettivo lavorativo dell’amicizia poiché richiede di “sentire insieme”, ovvero di condividere qualcosa di rilevante tale da giustificare uno stile “eccedente”, ulteriore rispetto alla mera prestazione conforme ai requisiti contrattuali. Si tratta della dinamica del dono che riscontriamo sia nello scambio di conoscenza sia nella prestazione di servizio sia, infine, nella solidarietà vissuta entro le comunità professionali. Al centro della deontologia professionale dei formatori si colloca quindi l’esperienza dell’alterità: aldilà delle ricorrenti analisi sull’individualismo come tratto caratteristico della nostra epoca, nei contesti formativi troviamo un numero rilevante di persone che per lavoro sono chiamate ad esporsi verso un mondo diverso dal proprio, vivendo quell’esperienza di distacco e di superamento di sé, ma assieme di confronto e di affezione, che consente di poter cogliere la prospettiva dell’altro e di tenerla in considerazione nell’azione lavorativa come fosse la propria. Il lavoro del formatore implica pertanto la possibilità di riconoscimento e nel contempo di attualizzazione di ciò che per la persona costituisce valore; in questo modo il dovere professionale scaturisce da un sentimento di alterità autenticamente vissuto e dall’assunzione della responsabilità conseguente a questo legame. Il carattere relazionale del lavoro del formatore emerge anche nel fatto che esso comunica il profilo peculiare del formatore attraverso l’opera del suo ingegno. Tramite il proprio lavoro, rende presente se stesso agli altri sotto forma di un servizio dotato di valore, che favorisce l’essere persona da parte dell’altro. Non si tratta di generica filantropia: il lavoro è conforme ai criteri etici dell’alterità e del coinvolgimento se è socialmente ricco, se è generativo. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 280 281 L’etica dell’alterità non si risolve solo nella disposizione umana, ovvero quel movimento del soggetto che gli consente di farsi sensibile all’altro e di coinvolgersi entro una relazione affettiva, ma pone in gioco tutta la gamma delle conoscenze, abilità, capacità e competenze di cui è portatore al fine di realizzare un prodotto/servizio al meglio delle sue possibilità. In questo senso nell’attività professionale significativa e competente viene valorizzata anche l’etica del lavoro ben fatto della grande tradizione artigiana, inteso come ideazione ed esecuzione meticolosa e continuamente perfezionata delle pratiche lavorative. Il senso profondo del servizio del formatore e la sua stessa utilità si riscontrano nel rispetto e promozione della persona, della vita collettiva, della natura e dell’ecosistema, della cultura ovvero di ciò che altri ci hanno consegnato e che costituisce il patrimonio della civiltà. In questo senso il lavoro del formatore possiede anche un contenuto politico: esso concorre a migliorare continuamente le capacità di governo della società. Ognuno ha, mediante il suo lavoro, una responsabilità politica, ovvero partecipa attivamente – operosamente – alla costruzione della polis affinché sia sempre più rispettosa dell’uomo visto in un rapporto innocente nei confronti del creato, nel senso di in-nocens, che non nuoce, non fa male (Panikkar 2004). Formare è un lavoro speciale, autenticamente umano Il lavoro del formatore è quindi, per chi lo compie, un’esperienza di superamento e assieme di ritrovamento di sé e del significato buono dell’agire: la fatica del lavoro nel tempo presente si riscontra nel consentire a se stessi, ogni volta di nuovo, di esporsi nello spazio della possibilità, di mettere in gioco liberamente di fronte ai propri, allievi, ed alla comunità cui si partecipa, tutto il proprio bagaglio di risorse, uscendo dalla gabbia del proprio Io autosufficiente. In questo modo si sperimenta la condizione dell’esistenza autentica e si entra in rapporto con il contenuto della realtà – la sua verità – prendendosi cura delle persone e delle cose. Il lavoro – quando presenta i caratteri della significatività – costituisce la condizione privilegiata tramite la quale la persona può uscire dalla gabbia dell’inautenticità propria di un modo di pensare la realtà ancorato all’idea di essere padrone di se stesso, autosufficiente, per accedere ad una dimensione di servizio che, nel sollecitare il prendersi cura della realtà consente al soggetto di sperimentare un’esperienza più autentica di vita. In forza di questa dinamica di alterità che connota il lavoro del formatore, non pare corretto parlare di autorealizzazione quanto di autenticazione delle proprie potenzialità umane secondo un movimento che origina da una decisione sofferta, assunta consapevolmente. Quattro sono i modi in cui si rende possibile l’autenticazione del soggetto umano nel lavoro formativo: • Condividere: il lavoro del formatore – essendo un’esperienza fondamentalmente sociale – rende possibile il superamento della solitudine dell’individuo e l’acgiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 281 282 quisizione del sentimento di essere persona che prende parte ad un’esperienza di cooperazione con altri, così da condividere legami concreti fra gli uomini che lo gratificano in quanto membro di una comunità professionale distintiva. • Riconoscere gli altri ed essere da loro riconosciuti: l’allievo si fa prossimo al formatore tramite un incontro che è appello alle sue capacità e risorse e riconoscimento del suo talento. Il lavoro del formatore consente di fare esperienze umane ricche di senso ed è in grado di alimentare l’identità del professionista che lo compie costellandone la vicenda tramite storie di vita arricchenti. • Sperimentare il flusso: il lavoro del formatore è un’occasione preziosa in cui la persona entra a far parte di una dinamica vitale che è fatta di conoscenze, ambienti, culture, avvenimenti e sentimenti che pongono il professionista proprio dentro la scena, non spettatore ma protagonista del flusso che alimenta il mutamento della realtà e consente di fare esperienze gratificanti. • Meravigliarsi: «[...] e vedendosi sospeso, entro la massa che gli ha dato la natura, fra i due abissi dell’infinito e del nulla, tremerà alla vista di queste meraviglie, e credo che, mutandosi la sua curiosità in ammirazione, sarà più incline a contemplarle in silenzio che a indagarle con presunzione» (Pascal 2004, p. 162). È questo il punto in cui il formatore può sperimentare il passaggio dalla conoscenza alla saggezza: mentre la prima è mossa dal desiderio di indagare, sperimentare, applicare le proprie energie al cambiamento, la saggezza si esprime nel fermarsi di fronte alle manifestazioni dell’essere, assaporare lo stupore per una realtà che in definitiva non possiamo né possedere né trasformare secondo il nostro disegno, ma che possiede una sua consistenza misteriosa la cui luce si può percepire solo nella contemplazione. Il formatore opera costantemente affinché queste qualità educative siano condivise da un’ampia cerchia di persone, perché ciascuno è, nel suo proprio ambito, anche un formatore nei confronti degli altri. Si comprende meglio questa affermazione, se consideriamo la crisi educativa del nostro tempo, alla luce della frase folgorante di Charles Péguy quando afferma che: «Le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento, sono crisi di vita... annunciano e accusano crisi di vita generale... le crisi di vita sociali si aggravano, si radunano, culminano in crisi di insegnamento; ... per ogni umanità, insegnare, in fondo, è insegnarsi, una società che non insegna è una società che non si ama; che non si stima» (Péguy 1998, p. 39). L’onore di insegnare Insegnare è un onore, un sentimento proprio degli artigiani del Medioevo, che la società massificata e disincantata non è riuscita a spegnere, e che ancora oggi si pone davanti a noi come un ideale di vita. È ancora Péguy a ricordarcelo: «Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 282 283 addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto» (Péguy 1998, p. 410). SINTESI DEL QUINTO PASSO (riflettere, migliorare, aprirsi al nuovo – rinnovare la tradizione) Il formatore è al centro di una ampio spettro di saperi e di ambiti di intervento; egli presidia uno “spazio di confine”, e ciò è particolarmente rilevante se pensiamo al fatto che la società in cui viviamo è soggette a mutamenti continui. Di conseguenza, non può ritenere di affrontare da solo questa congerie di mutamenti, e neppure di tenerne conto solo nella forma dell’aggiornamento. Serve, di conseguenza, una dimensione di comunità professionale che consenta di condividere le informazioni ed i giudizi sul loro valore, affrontare insieme le necessarie innovazioni, e soprattutto elaborare i paradigmi ed i dispositivi di intervento quando questi segnano un cambio rilevante rispetto al passato ed alle modalità usuali di intervento. L’appartenenza alla comunità professionale è una delle molte relazioni che caratterizzano la figura del formatore e la connotano in senso generativo poiché mira a suscitare nelle persone i propri talenti e capacità per saperli tradurre in prodotti/servizi dotati di valore per gli altri; egli inoltre rivela nel suo lavoro l’importanza della visione e della capacità di esplorazione del futuro. Queste tre qualità sono indispensabili per definire un sapere professionale in evoluzione, ma anche in mutamento. Il lavoro – quando presenta i caratteri della significatività – costituisce la condizione privilegiata tramite la quale la persona può uscire dalla gabbia dell’inautenticità propria di un modo di pensare la realtà ancorato all’idea di essere padrone di se stesso, autosufficiente, per accedere ad una dimensione di servizio che, nel sollecitare il prendersi cura della realtà consente al soggetto di sperimentare un’esperienza più autentica di vita. In forza di questa dinamica di alterità che connota il lavoro del formatore, non pare corretto parlare di autorealizzazione quanto di autenticazione delle proprie potenzialità umane secondo un movimento che origina da una decisione sofferta, assunta consapevolmente. Il suo lavoro è particolarmente prezioso perché rende possibile l’autenticazione della persona che lo svolge, chiamata a condividere, riconoscere gli altri ed essere da loro riconosciuti, sperimentare il flusso, meravigliarsi. In tal modo, egli sperimenta anche su se stesso – e non solo negli allievi – il passaggio dalla conoscenza alla saggezza: andare oltre gli aspetti secondari, cogliere la dimensione dell’essere, assaporare lo stupore superando la pretesa dell’autosufficienza, contemplare in modo innocente il creato. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 283 Parte Quarta L’ARCHIVIO DI GITALE giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 285 287 Presentazione dei materiali didattici Questa parte del report ha lo scopo di presentare i materiali raccolti nell’archivio on line del CNOS-FAP nazionale, prodotti dai CFP e dalle reti in cui questi sono inseriti. Lo scopo dell’archivio è triplice: – Mettere in evidenza i materiali didattici significativi che segnalano una riflessione ed un impegno formativo rivolto specialmente agli assi culturali. Si tratta quindi della porzione – peraltro limitata, vista la tendenza a “fare e non scrivere” che connota il mondo dei formatori della Formazione Professionale (ma che indica anche un atteggiamento comune agli insegnanti delle scuole), e forse quella più impegnata nelle elaborazioni delle linee guida dei settori (l’ultima è quella dell’energia) e maggiormente esposta nei confronti delle istituzioni (in effetti le Regioni richiedono in sede progettuale la presentazione delle Unità di Apprendimento e degli strumenti di valutazione formativa). – Consentire un confronto fra gli stessi formatori e lo stimolo all’innovazione didattica tra coloro che accedono al sito e intendono avvalersene per la propria progettazione. Si tratta di un confronto che avviene in linea diretta, tramite l’accesso al sito, per favorire il quale è necessario che questo sia organizzato per tipologia di materiali, tematiche/prodotti, assi culturali (e professionali) coinvolti. – Sostenere la formazione di una “comunità professionale” che impara a lavorare insieme commentando i materiali altrui, proponendo idee ed esperienze, riflettendo insieme, fino anche all’elaborazione di progetti comuni sia in risposta alle necessità ordinarie sia partecipando a bandi di vario genere. In questo modo, l’archivio on line può diventare lo strumento per sostenere lo sforzo di rinnovamento didattico dei CFP, una sorta di “piazza” nella quale i formatori si incontrano, scambiano materiali ed idee, elaborano progetti e accompagnano iniziative. I materiali presentati si suddividono in tre categorie: 1. l’Unità di Apprendimento; 2. la prova multidisciplinare riguardante la letteratura italiana e l’area storico-sociale; 3. la prova professionale con integrazione di alcuni assi culturali (matematica, scienze, italiano, seconda lingua comunitaria, diritto ed economia per il settore aziendale amministrativo). Oltre a questi, abbiamo ritenuto di presentare anche il modello di formazione blended realizzato dalla Regione Liguria, con il concorso degli Enti di Formazione Professionale, rivolto agli apprendisti in diritto-dovere di istruzione e formazione. Per ognuno dei primi due materiali indicati sopra, esponiamo di seguito una scheda di presentazione. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 287 288 L’Unità di Apprendimento Rappresenta lo spazio comune del lavoro dei formatori, tramite il quale far acquisire agli allievi il senso dell’unità del sapere, lo spirito della cooperazione, la capacità di mobilitare le proprie risorse intorno ad un compito-problema dotato di valore reale che consiste nel saper rispondere alle aspettative di specifici interlocutori (compagni, utenti, committenti, rappresentanti di enti, pubblica opinione). Tramite l’UdA l’allievo viene sollecitato ad un metodo formativo centrato sulla piena implicazione personale in un sapere vivo; egli non è solo un passeggero che prende nota di ciò che vede o legge, non è neppure un assistente di figure adulte competenti, ma assume un ruolo di artigiano in rapporto ad un nucleo di attese reali, coerenti con il profilo di riferimento del suo percorso formativo. In tal modo, egli impara lavorando ed insieme lavora imparando. L’Unità di Apprendimento si basa sull’identificazione di compiti reali o simulati in grado di mobilitare nuclei significativi di abilità e conoscenze disciplinari e multidisciplinari. I compiti possono essere di tipo tecnico-professionalizzante, sociale o culturale, purché condividano tre assunti di base: 1) la capacità di integrare obiettivi formativi diversi (conoscenze e abilità), in ambito disciplinare o interdisciplinare; 2) la capacità di attivare soluzioni organizzative e didattiche che mettano al centro dell’intervento il protagonismo degli studenti che agiscono attivamente nello sviluppo del compito e assumono quindi un ruolo non puramente ricettivo; 3) la capacità di mobilitare prestazioni cognitive, sociali, operative così da favorire lo sviluppo delle competenze e la loro osservazione e verifica secondo logiche di valutazione autentica. La prova multidisciplinare È una prova “pluri-competenze”, articolata su più dimensioni dell’intelligenza e concorre, assieme alle attività di valutazione di tipo formativo che si svolgono al termine di ogni UdA, a rilevare il grado di padronanza dei saperi e delle competenze mobilitati – articolati in abilità, capacità e conoscenze e indicati nelle rubriche di riferimento – utilizzando una metodologia che consenta di giungere a risultati certi e validi. È collocata in corrispondenza delle scadenze formali dei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio) e consente di rilevare in forma simultanea, sulla base di un compito rilevante, la padronanza di più competenze e saperi da parte dei candidati. Le prove esperte hanno valore probatorio della preparazione degli studenti, quindi sono da strutturare secondo uno schema base unitario, con aggiustamenti locali, a condizione che non ne inficino il valore in riferimento alle competenze ed alle risorse (conoscenze ed abilità) indicate, tenendo conto pure delle tecnologie impiegate. Tali prove, una volta validate dall’Assistenza tecnica regionale, diventano le prove ufficiali. Le UdA hanno valore formativo, quindi alle reti è chiesto di elaborare una strutgiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 288 289 tura di massima, mentre ogni CFP la applicherà liberamente. Il confronto fra i docenti permetterà di rendere conto del valore di quanto fatto, delle problematiche incontrate e delle soluzioni proposte e/o adottate. I criteri essenziali della prova professionale finale sono: – Compito significativo rispetto al profilo. – Riferimento alle competenze dell’ordinamento (IeFP). – Assi culturali inclusi (linguistico, matematico, scientifico-tecnologico). – Consegna che richieda un lavoro di impostazione. – Criticità. – Riflessione. – Eccellenza. – Dispositivo di valutazione per competenze con focus, indicatori e punteggi. La formazione blended per apprendisti della Regione Liguria Il modello di formazione a distanza per l’apprendistato realizzato dalla Regione Liguria si basa sui seguenti elementi chiave: – Approccio formativo per interessi, attivo, basato su compiti reali, significativi ed utili. – Progetto formativo con UdA centrate su competenze, mobilitanti saperi essenziali con schede scaricabili. – Metodo misto (blended): formazione come occasione di cooperazione sociale (classe virtuale e reale). – Struttura dell’UdA per videolezioni con soluzioni plurime (lezione, dialogo docente/alunno, scenette, caso di studio, video e documenti). – Tutoring “forte” e monitoraggio. – Valutazione attendibile e plurima: verifiche tematiche, prodotti reali, prove esperte – Piattaforma CSM open source (Joomla). • Approccio formativo per interessi, attivo, basato su compiti reali, significativi ed utili I saperi vengono presentati in modo da suscitare la curiosità e stimolare l’interesse degli allievi. Ciò evitando l’approccio formale deduttivo, ma mettendo in luce gli aspetti di attrazione, il racconto dei fatti, le biografie, il valore del sapere proposto. Inoltre, essi sono connessi a compiti aventi valore reale sia nella vita quotidiana sia in quella lavorativa. • Metodo misto (blended): formazione come occasione di cooperazione sociale (classe virtuale e reale) Agli allievi in formazione vengono proposti diversi approcci che alternano ambiente reale e virtuale; in tal modo, sono posti in una pluralità di relazioni: tra di logiovani_ ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 289 290 ro, con il tutor, con gli altri formatori interni ed esterni. Essi alternano momenti di studio individuale (presso l’ente di formazione o la biblioteca, oppure a casa) con attività di gruppo specie per la realizzazione di compiti in comune che saranno oggetto di valutazione. In tal modo, essi sono chiamati al sviluppare un’attività cooperativa sia reale che virtuale. • Struttura dell’UdA per videolezioni con soluzioni plurime (lezione, dialogo docente/ alunno, scenette, caso di studio, video e documenti) L’UdA, gestita sulla base di un format comune, prevede l’utilizzo di più soluzioni privilegiando lo strumento video, quindi: interviste, esempi, lezione magistrale, dialogo docente/alunno, lezioni in chroma key con animazioni, lezioni “in aula” con lavagna, simulazioni, scenette... La struttura sarà il più possibile stimolante e nel contempo impegnativa, vale a dire centrata su saperi consistenti e dotati di valore reale. • Tutoring “forte” e monitoraggio Il tutor svolgerà una duplice funzione: 1) assistere l’allievo nell’attività formativa on line, curando gli accessi, rispondendo alle richieste, monitorando il cammino formativo; 2) guidare il processo formativo misto (blended) secondo un progetto unitario che prevede l’alternanza di diverse modalità di apprendimento: FAD (formazione a distanza) e relativi esercizi, lavoro individuale e di gruppo per la realizzazione di prodotti reali con valutazioni, incontri e colloqui in presenza, prove esperte e colloquio per la valutazione finale. • Valutazione attendibile e plurima: verifiche tematiche, prodotti reali, prove esperte La valutazione sarà plurima ed attendibile. Essa prevede verifiche tematiche sotto forma di microproblemi per rilevare l’apprendimento di conoscenze ed abilità; inoltre si avvarrà di valutazioni dei prodotti reali, individuali e di gruppo, concordati con il tutor; infine terminerà con la prova esperta ed il colloquio finale. È prevista anche l’autovalutazione da parte dell’allievo. Tutto sulla base di un software valutativo per focus e gradi di padronanza secondo il modello EQF. • Piattaforma CSM open source (Joomla) La piattaforma CSM open suorce (es.: Joomla) consente di disporre di un sistema aperto e di facile gestione e con garanzia di sicurezza e di banda garantita. Essa consente di superare architetture e tecnologie piuttosto obsolete del tipo Moodle, con contenuti sviluppati in HTML5. Inoltre è prevista una completa possibilità di personalizzazione sia funzionale sia grafica, legata alla tipologia di account o della classe virtuale di appartenenza. È infine possibile – specie in prospettiva futura – l’inserimento di un e-commerce con possibilità di gestire i costi tramite uno specifico coupon. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 290 291 L’architettura del modello progettuale prevede i seguenti fattori: 1. Rubriche: esse indicano, per ogni asse culturale, il legame che sussiste tra competenze, saperi essenziali ed evidenze, con i livelli di padronanza EQF 3 (qualifica professionale). 2. Piano formativo: definisce il percorso formativo sulla base di una sequenza di UdA che mobilitano i saperi essenziali e consentono agli allievi di divenire competenti. 3. Unità di Apprendimento definite sulla base della loro capacità di soddisfare saperi ed evidenze previste nelle Rubriche. 4. Schede: i saperi essenziali sono presentati in modo tematico su schede ad hoc, che consentono sia la loro consultazione durante il processo di apprendimento, sia isolatamente. 5. Modello di valutazione: si tratta di un software che consente di accompagnare il percorso formativo di ogni allievi prevedendo tre modalità valutative: verifiche puntuali dei saperi essenziali, valutazione delle UdA (processi, prodotti, linguaggi), prova esperta e colloquio finale. Ogni allievo sarà dotato dei seguenti strumenti: • Portfolio: documento personale e progressivo informatizzato in cui l’allievo inserisce via via i suoi prodotti, con particolare riferimento al capolavoro che diventa un oggetto rilevante per l’esame finale. • Diario di bordo: è lo strumento in cui vengono registrati i passi del cammino dell’allievo nelle varie attività didattiche di alternanza, comprese le valutazioni. • Certificato delle competenze: documento che attesta le competenze acquisite dall’allievo, il loro grado di padronanza, le evidenze che ha saputo produrre (vedi portfolio) e le prove superate. Gli strumenti progettuali 1. Rubriche: esse indicano, per ogni asse culturale, il legame che sussiste tra competenze, saperi essenziali ed evidenze, con i livelli di padronanza EQF 1 ed EQF 2 (non riferiti a titoli di studio), oltre ai due successivi che gli si riferiscono: EQF 3 (qualifica professionale) ed EQF 4 (diploma professionale). 2. Piano formativo: definisce il percorso formativo sulla base di una sequenza di UdA che mobilitano i saperi essenziali e consentono agli allievi di divenire competenti. 3. Unità di Apprendimento definite sulla base della loro capacità di soddisfare saperi ed evidenze previste nelle Rubriche. 4. Schede: i saperi essenziali sono presentati in modo tematico su schede ad hoc, che consentono sia la loro consultazione durante il processo di apprendimento, sia isolatamente. giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 291 292 5. Modello di valutazione: si tratta di un software che consente di accompagnare il percorso formativo di ogni allievi prevedendo tre modalità valutative: supporto circa valutazione delle UdA (processi, prodotti, linguaggi), prova esperta e colloquio finale. Esso prevede: – una “verifica” degli apprendimenti “inerti” tramite test/esercizi da svolgere all’esaurimento di un macro-argomento tramite i metodi classici dell’e-learning (scelta multipla, vero/falso, completamento, microproblemi ...) e con correzione automatica; – una valutazione delle competenze (apprendimento “agiti”), centrata su lavori prodotti dagli allievi, da realizzare in momenti chiave del percorso, integrando vari argomenti anche di differenti discipline, corretta “manualmente” dal tutor sulla base di rubriche apposite, consentendo anche agli studenti di scrivere liberamente su dei format on line e/o di caricare file. Uno di questi lavori sarà la prova finale, svolta totalmente in presenza. Schema del dispositivo ASSE STORICO - SOCIALE - ECONOMICO S CHEDE TEMATICHE U NITÀ DI APPRENDIMENTO Le città Un viaggio in 3 capitali del mondo Il senso del sacro Alimentazione e religioni La linea del tempo Una storia semplicemente Superba Il contratto di lavoro I contratti di lavoro: vantaggi e svantaggi ASSE MATEMATICO, SCIENZA E TECNOLOGIA Elaborazione statistica Matematizzare l’incerto Geometria 1 1 X tutti = tutti X 1 Un problema di scelta Apprendisti in…quadrati Ecosistema - procedura di osservazione Una giornata in un’oasi naturale L’energia e lo specifico del sud Europa Energia e sostenibilità Il corpo umano Questione di gusti ASSE DEI LINGUAGGI - ITALIANO Cercare le parole - significato, sinonimi e contrari - Una frase in senso compiuto Il lavoro nella letteratura Passato e presente - cambiare i tempi Condizionale e congiuntivo La Liguria nella letteratura Come si scrive una relazione Scrivere una relazione di lavoro giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 292 293 ASSE DEI LINGUAGGI – INGLESE Il tempo libero Un viaggio in Inghilterra Il lavoro Come trovare lavoro all’estero Comunicazione di lavoro - e-mail, social network e lettera Comunicare in inglese con i clienti giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 293 295 Bibliografia A RENDT H. 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.................................................................................................................................................................................... 9 Le scienze .................................................................................................................................................................................................................................. 11 La matematica ..................................................................................................................................................................................................................... 14 La letteratura ......................................................................................................................................................................................................................... 18 I giovani hanno bisogno di cultura ..................................................................................................................................................... 21 La bellezza della cultura e la passione dei formatori come chiave di accesso al patrimonio culturale dei giovani del lavoro .................................... 33 La bellezza della cultura ..................................................................................................................................................................................... 33 La passione dei formatori .................................................................................................................................................................................. 36 Oltre il costruttivismo: il nuovo realismo .................................................................................................................................. 41 Il dibattito su postmoderno e nuovo realismo .................................................................................................................... 41 Contro il costruttivismo banale ................................................................................................................................................................ 42 L’esito del costruttivismo è l’iperrealismo, la “nuova vita” totalmente artificiale ....................................................................................................................................... 45 Contro lo scetticismo iperbolico, l’atto di fede originario .............................................................................. 47 La questione antropologica o dell’identità singolare ............................................................................................ 48 L’ontologia dell’opera umana e l’educazione al lavoro ...................................................................................... 50 Conoscere, ovvero spiegare, comprendere e convincersi ................................................................................... 53 L’etica del confronto ............................................................................................................................................................................................... 53 Il valore dell’intuizione originaria del reale ......................................................................................................................... 56 Il potere della ragione ............................................................................................................................................................................................. 59 Bruner e i due paesaggi del pensiero umano ....................................................................................................................... 71 Le tre dimensioni fondamentali del sapere ............................................................................................................................ 75 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 299 300 La duplice impasse culturale ed i due attivatori degli allievi della FP ...................................... 79 I fondamenti del metodo della Formazione Professionale ............................................................................. 79 La duplice impasse culturale ........................................................................................................................................................................ 80 L’attivatore esplicito ed il “format lavoro” .......................................................................................................................... 83 L’attivatore implicito e la consonanza culturale ............................................................................................................. 95 Le cinque frecce per l’arco dell’insegnante, regista educativo ............................................................. 104 Il nodo della valutazione ........................................................................................................................................................................................... 117 Modello formativo ....................................................................................................................................................................................................... 117 La valutazione dei saperi e delle competenze “agite” ......................................................................................... 119 La valutazione osservativa e narrativa .......................................................................................................................................... 135 Il potere di chi elabora le prove: il Sistema Nazionale di Valutazione ....................................... 141 La certificazione dei saperi e delle competenze ............................................................................................................... 147 Il “sistema nazionale delle competenze” ................................................................................................................................... 147 Concetto di “competenza”, suo valore e natura del sistema nazionale di certificazione ..................................................................................................... 148 Un sistema di carta? ................................................................................................................................................................................................... 153 Un sistema di addomesticamento tecnico della gioventù? ............................................................................. 157 Un nuovo slancio educativo? ....................................................................................................................................................................... 158 La cultura come incremento dell’amore per la vita .................................................................................................. 161 Il cammino di maturazione umana come inveramento dei talenti e delle capacità della persona .............................................................................................................................................................. 161 Il principio di esternalizzazione ............................................................................................................................................................... 163 Uno spazio di educazione alle virtù pubbliche ................................................................................................................ 165 Liberare il soggetto umano postmoderno dallo spaesamento dal mondo ................................ 171 L’amore per la vita è il dono più grande della cultura .......................................................................................... 173 Parte seconda: NARRAZIONE DI ESPERIENZE DIDATTICHE Presentazione ................................................................................................................................................................................................................................... 179 L’approfondimento con i formatori del CNOS-FAP Piemonte ........................................................................... 180 Le schede riflessive ................................................................................................................................................................................................................ 185 Una riflessione sulle narrazioni dei formatori .............................................................................................................................. 189 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 300 301 Parte terza: L’ETHOS CULTURALE DELL’EDUCAZIONE AL LAVORO: GUSTO, UTILITÀ E BELLEZZA COME CANONI DI ACCESSO AL SAPERE VIVO. UNA GUIDA PER I FORMATORI DEGLI ASSI CULTURALI Presentazione ................................................................................................................................................................................................................................... 205 Primo passo: Le chiavi di accesso culturale al mondo degli allievi ........................................................... 206 Secondo passo: Come condurre un percorso formativo efficace ..................................................................... 225 Terzo passo: Come mobilitare la comunità educante ...................................................................................................... 245 Quarto passo: Come valutare gli apprendimenti e la crescita ............................................................................... 259 Quinto passo: Riflettere, migliorare, aprirsi al nuovo (rinnovare la tradizione) ...................... 276 Parte quarta: L’ARCHIVIO DIGITALE Presentazione dei materiali didattici ............................................................................................................................................................ 287 L’unità di apprendimento ............................................................................................................................................................................................ 288 La prova multidisciplinare .......................................................................................................................................................................................... 288 La formazione blended per apprendisti della Regione Liguria ........................................................................... 289 BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................................................................................................................................... 295 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 301 303 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 303 304 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione, 2014 2015 PELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rapporto finale, 2015 ALLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NICOLI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 304 305 CNOS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referendum dell’autovalutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP, 2015 MALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOSFAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 MALIZIA G. - TONINI M., Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 305 306 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 306 307 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 307 308 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 308 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2015 giovani_ORGANIZZAZIONE.qxd 01/03/16 08:36 Pagina 310

From the Lisbon Strategy to Europe 2020

Autore: 
Giorgio Allulli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2016
Numero pagine: 
114
Codice: 
978-88-95640-95-2
Giorgio A LLULLI From the Lisbon Strategy to Europe 2020 Anno 2016 Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 1 Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’A NDREA : Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila D RAZZA : Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FIAT GROUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo A LIQUÒ , Gianni B UFFA , Roberto C AVAGLIÀ , Egidio C IRIGLIANO , Luciano C LINCO , Domenico F ERRANDO , Paolo G ROPPELLI , Nicola M ERLI , Roberto P ARTATA , Lorenzo P IROTTA , Antonio P ORZIO , Roberto S ARTORELLO , Fabio S AVINO , Giampaolo S INTONI , Dario R UBERI . ©2016 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 2 INDEX I NTRODUCTION . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. The Lisbon Strategy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. Towards Europe 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3. The European benchmarks . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 4. The debate on competences and the European Qualifications Framework . . 41 5. The Recommendation on European Quality Assurance Reference Framework for VET (EQAVET) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 6. The European Recommendations on ECVET and the validation of non-formal and informal learning . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 7. The European Social Fund . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 8. The evolution of European education systems in the context of the Lisbon challenges . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 9. The impact of the Lisbon Strategy on the EU Member States and the Italian Vocational Education and Training System . . . . . . . . . . . . . . . . 87 B IBLIOGRAPHY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 C ONTENTS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 3 Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 3 5 INTRODUCTION This text is about both EU policies promoting the development of European educational systems in order to face the challenges posed by the process of globalisation and the policies pursued by EU Member States in response to the solicitations at European and global level, with particular attention to Education and Vocational Training. In particular, the text examines the policies pursued since the Lisbon Strategy was launched, in 2000, until the development of the strategy for 2020. It was a very intense phase for the European activity in this area because, in the context of the Copenhagen process, the enhanced cooperation has taken place leading to the definition of a lifelong learning-oriented system and the creation of three important Recommendations introducing the European qualifications framework, a system of recognition of credits, and a European reference for quality assurance. The examination of this phase also offers the opportunity to conduct a review of what has been achieved in relation to the targets set in 2000, of what are the current problems and how the European countries are acting. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 5 7 1. The Lisbon Strategy 1.1 K NOWLEDGE - BASED SOCIETY , HUMAN CAPITAL AND LIFELONG LEARNING In order to understand the European strategies for employment and training which have been adopted over the past 20 years it is necessary to take into account some “keywords”: Knowledge-based Society, Human Capital and Lifelong Learning. The term “Knowledge-based society” is often used to define one of the main features of contemporary economic and industrial system since the knowledge, instead of the “physical” capital, is increasingly becoming an indispensable resource for the production and development of the economic system. The diffusion of information and new technology transforms the nature of work and the organisation of production. Routine and repetitive tasks which used to be the daily lot of most workers are tending to disappear as more autonomous, more varied activities take their place. The result is a different sort of relationship with the company. The role of the human factor is increasing but the worker is also more vulnerable to changes in the pattern of work organisation, because he has become a mere individual within a complex network. Everyone therefore has to adapt not only to new technical tools but also to changes in working conditions. The growth in scientific knowledge, its application to production methods, the increasingly sophisticated products which thus emerge, give rise to a paradox: despite its generally beneficial effect, scientific and technical progress engenders a feeling of unease and even irrational misgivings in society. In this context, which has been analysed at European level during 90’s 1 , the concept of Human Capital becomes fundamental. The term “Human capital” has had a rapid and wide diffusion in the last twenty years, by analogy with the economic terminology identifying the material resources available within a society. The human capital is one of business resources together with environment and physical capital and it is composed by a collection of skills and human resources such as knowledge, education, experience, technical ability, acquired during an individual’s lifetime allowing to perform transformation and creation activities aimed at achieving social and economic, individual or collective objectives 2 . Training and development 1 E UROPEAN C OMMISSION (1995) White Paper On Education And Training – Teaching And Learning Towards The Learning Society COM(95) 590. 2 Regarding human capital see B ECKER G.S. (1964), Human Capital, Columbia University Press, New York 3rd ed. 1993 and G ORI E. (2004), L’investimento in Capitale Umano attraverso l’Istruzione, in V ITTADINI G. (2004) Capitale Umano. La ricchezza dell’Europa. Guerini ed. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 7 8 of human capital is accomplished through the educational processes taking place within the family and the social environment, at school and in the workplace. Evidently in an economic system where knowledge plays a central role, the human capital becomes the key resource of the production system. New social categories are formed or developed such as the knowledge workers whose main capital is technological knowledge: managers, professionals, engineers, experts, etc. According to Butera 3 this social group is rapidly expanding compared to the early years of the last century. In any case all citizens and workers should broaden their competences, both basic and specialized, since they have to face the growing evolution of technologies which are applied to production and daily life. It follows that, in order to ensure economic growth and competitiveness it is necessary to develop the human capital by encouraging and promoting learning in its different modalities and integrating training and work. Policies concerning the development of the economy and employment and those related to the development of education and training are thus closely intertwined. In order to provide employment opportunities and a more competitive and sustainable economy, Europe needs a highly skilled workforce able to meet the current and future challenges. It is therefore urgent to invest in skills and to improve the mutual correspondence between competences and job offer in order to anticipate future trends. The European strategy which has been developed during the last 20 years aims to pursue these objectives. In 2000 the European Union has approved the Lisbon Strategy (see next paragraph), which recognises the crucial role played by education seen as an integral part of economic and social policies. In order to deal with the constant change and the demands for higher and up to date skills, learning cannot be promoted in a single stage of life, but should become a permanent condition (Lifelong learning): this is a top priority for employment, the effective action in the economic field and the complete participation in social life. The concept of “Lifelong Learning” dates back to the 70s of the last century. According to the Faure Report published by UNESCO 4 , the aim of education is to enable the subject to “become himself”; therefore, UNESCO mainly emphasizes the personal effects of lifelong learning. The Faure Report proposed “lifelong learning as the master concept for educational policies for the years to come”. During the 90s both OECD 5 and the European Union 6 together with UNESCO 7 expressed the need to develop knowledge economy and the knowledge society due to 3 B UTERA F., D ONATI E., C ESARIA R., I lavoratori della conoscenza, Milano, Franco Angeli, 1998; B UTERA F., B AGNARA S., C ESARIA R., D I G UARDO S. (2008), Knowledge working, Milano, Mondadori. 4 F AURE E. (1972), Learning to Be, Paris, Unesco. 5 O ECD (1996) Lifelong Learning for All, Paris, OECD. 6 C OMMISSION OF THE E UROPEAN C OMMUNITIES (1995) White paper on education and training – Teaching and learning: towards the learning society, Com95_590 Brussels. 7 U NESCO (1996) Learning - the treasure within. Report of the International Commission on Education for the 21st Century, Paris, UNESCO. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 8 9 the process of globalisation. Learning and employment or employability and education became the central issues on the agenda. The Lisbon Council in 2000 set the goal for Europe to become the leading knowledge- based economy. It has noted that the achievement of economic goals also requires the achievement of social, cultural and personal goals. A person is not a mere economic entity and learning cannot be fulfilled without motivation and personal desire. Lifelong Learning should be a right, not an obligation. It was not only considered as a learning for employment but also for personal, civic and social purposes together with employability, adaptability and active citizenship. In order to analyse these themes the European Commission proposed a Memorandum 8 to all Member States, containing the following definition: lifelong learning includes “all learning activities undertaken on an ongoing basis with the aim of improving knowledge, skills and competence”. The promotion policy of lifelong learning is based on the awareness of the institutions that one of their tasks is to encourage the right of citizens of all ages, social or professional status to train, learn and grow, both humanly and professionally, during their entire life. The document which was presented in its final version in April 2000 after an extensive consultation process emphasizes two important objectives for lifelong learning: promoting active citizenship and employability. Active citizenship means “if and how people take part in all areas of social and economic life, the opportunities and risks they face in trying to do so and the extent to which they belong and intervene in the society”. Furthermore “employability – the ability to find and maintain employment – is not only a feature of active citizenship, but it is also a decisive condition for reaching full employment and improving competitiveness and prosperity in the new economy”. Following the approval of the Memorandum, the European Commission issued in 2001 a document entitled Making a European Area of Lifelong Learning a Reality9. The Communication firstly proposed a broad definition of learning, emphasizing that learning does not take place only in training activities proposed by the school (formal education). Learning takes place in training activities conducted outside the traditional educational context, e.g. in the workplace (non-formal) and also occurs in everyday life (informal training). A degree or a qualification usually recognises only formal learning, but what matters is the actual acquisition of competences. 8 Commission of the European Communities (2000), Commission Memorandum on lifelong learning [SEC(2000) 1832. Brussels. 9 C OMMISSION OF THE E UROPEAN C OMMUNITIES , Making a European Area of Lifelong Learning a Reality, COM(2001) 678 Brussels, 21.11.2001. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 9 10 To promote the participation in lifelong learning, the document has proposed concrete actions at all levels, including a new way of evaluating and recognising the skills acquired, in order to allow all citizens to freely move between different contexts of study and work enhancing the own knowledge and skills. This document can be defined as the manifesto of the community strategy in the fi eld of education since 2000. In order to define concrete actions to achieve the goal of lifelong learning, the European Commission set up working groups in the field of qualifications, recognition of credits and quality assurance. The Commission has prepared relevant recommendations to all member states based on the work and proposals presented by these groups, which have been approved and ratified by the Council and the European Parliament. The principle and the enhancement of lifelong learning has become the central objective of EU action. 1.2 T HE L ISBON OBJECTIVES On 23 and 24 March 2000, the European Council held in Lisbon (for this reason it took the name of Lisbon Strategy) a special session centred on economic and social issues of the European Union. The Lisbon Council started from the fact that the European Union was confronting a quantum shift resulting from globalisation and the challenges of a new knowledge-based economy. These changes were affecting every aspect of people’s lives and required a radical transformation of the European economy. The Union had to shape these changes according to its values and concepts of society and also with a view to the forthcoming enlargement. Hence the need for the Union to set a clear strategic goal and to agree a challenging programme for building knowledge infrastructures, enhancing innovation and economic reform, and modernising social welfare and education systems. Therefore, the EU Heads of States and Governments agreed to make the EU “the most competitive and dynamic knowledge-based economy in the world, capable of sustainable economic growth with more and better jobs and greater social cohesion”. In pursuit of this objective a series of ambitious reforms were started, whose status has been periodically evaluated during the Spring sessions of the European Council 10 . Achieving this goal required an overall strategy aimed at modernising the European social model, investing in people and combating social exclusion, preparing the transition to a knowledge-based economy and society by better policies for the information society and R&D, as well as by stepping up the process of structural reform for competitiveness and innovation and by completing the internal market. 10 Presidency Conclusions, Lisbon European Council 23/24 March 2000. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 10 11 The Lisbon European Council in March 2000 recognised the important role of education as an integral part of economic and social policies, as an instrument for strengthening Europe’s competitive power worldwide, and as a guarantee for ensuring the cohesion of our societies and the full development of its citizens. A key area of the strategy was to give higher priority to lifelong learning as a basic component of the European social model, by encouraging agreements between the social partners on innovation and lifelong learning; by exploiting complementarity between lifelong learning and adaptability through flexible management of working time and job rotation. OPEN METHOD OF COORDINATION The Open Method of Coordination has provided a new framework for cooperation between the EU countries, whose national policies can thus be directed towards certain common objectives. In the Open Method of Coordination the responsibility regarding the definition of specific objectives and policy instruments remains at national level; the EU has the function to facilitate coordination and mutual learning between the Member States, without any formal attempt of monitoring the implementation of the general principles and objectives set at European level. The implementation of the Open Method of Coordination involves the following actions: • definition of guidelines at European level included the timing to achieve the goals; • definition at European level of quantitative and qualitative indicators and benchmarks based on the world’s best performances and adapted to the needs of the different Member States and sectors as a means of comparing best practices; • monitoring and evaluation of national policies in relation to benchmarks allowing to compare the performance of each Member State compared to others and to identify “best practices”; • organisation of periodic peer review with the aim of promoting mutual learning. In order to foster lifelong learning four political objectives have been established: • To develop national frameworks containing and framing all degrees and qualifications awarded at different levels, from primary school to University. • To implement measures assessing and validating non-formal and informal learning. • To establish guidance systems promoting and supporting lifelong learning. • To implement initiatives improving transnational mobility. The combination of these measures facilitates the activation of flexible training, making possible the transfer of learning outcomes from one learning context to another and from one country to another. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 11 12 1.3 T HE C OPENHAGEN PROCESS FOR V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING In March 2002, the Barcelona European Council, endorsing the work programme on the follow-up of the objectives of the Lisbon Strategy, set the goal “to make education and training systems in Europe a world quality reference by 2010”11. Furthermore, it has called for further action to introduce instruments to ensure the transparency of diplomas and qualifications adapted to the field of vocational education and training. In response to the Barcelona mandate, the Council of the European Union (Education, Youth and Culture) deepened the questions about Vocational Education and Training (VET) and issued in Copenhagen (2002) a Declaration to promote greater cooperation in the field of VET. The Council underlined the key challenges represented by the building of a knowledge-based Europe and an open European labour market and by the need to continuously adapt to new developments and changing demands of society. The intensification of cooperation in Vocational Education and Training would provide a valuable contribution both for the enlargement of EU and the achievement of goals set by the Lisbon European Council. THE MAIN EUROPEAN BODIES The European Parliament is composed of 751 representatives of the Union’s citizens elected by universal suffrage. The number of representatives elected in each Member State varies depending on the size of the population. Parliament takes part to varying degrees in drawing up Community legislative instruments, depending on the areas concerned: it can be required to deliver non-binding opinions or binding opinions; more commonly, legislative texts are adopted by joint agreement between Parliament and the Council, Parliament’s assent on the final text being indispensable for it to be adopted. The Council of the European Union is composed of Government ministers from each EU country, according to the policy area to be discussed (Foreign Affairs, Finance, Social Affairs, Transport, Agriculture etc.). Until the end of 2009, the presidency of the European Council was an informal and temporary charge, carried out by the Head of State or Government of the Member State which held the presidency of the Council of Ministers. The Lisbon Treaty has made this office stable, which is assigned by the European Council and lasts two and a half years, renewable once. The Commission is composed of 28 members (one from each EU country) who are appointed, for a period of five years, by the Council. The European Commission is responsible for drawing up proposals for new European legislation, and it implements the decisions of the European Parliament and the Council of the EU. It also actively participates in the successive stages of the legislative process. The Commission implements policies and programmes adopted by Parliament and the Council. 11 “The Copenhagen Declaration”, Declaration of the European Ministers of Vocational Education and Training, and the European Commission, convened in Copenhagen on 29 and 30 November 2002, on enhanced European cooperation in vocational education and training. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 12 13 It was therefore introduced the method of Enhanced European Cooperation in Vocational Education and Training (VET), with the aim of encouraging individuals to make wider use of vocational learning opportunities, at school, in higher education, at work or through private courses. In particular four priorities have been identified: a) Strengthening the European dimension in education and vocational training, with the aim of improving closer cooperation in order to facilitate and promote mobility and the development of interinstitutional cooperation, partnerships and other transnational initiatives, all in order to raise the profile of the European education and training area in an international context so that Europe will be recognised as a worldwide reference for learners. b) Transparency, information and guidance: • Increasing transparency in vocational education and training through the implementation and rationalisation of information tools and networks, including the integration of existing instruments such as the European CV, certificate and diploma supplements, the Common European framework of reference for languages and the Europass. • Strengthening policies, systems and practices that support information, guidance and counselling in the Member States, at all levels of education, training and employment, particularly on issues concerning access to learning, vocational education and training, and the transferability and recognition of competences and qualifications, in order to support occupational and geographical mobility of citizens in Europe. c) Recognition of competences and qualifications • Investigating how transparency, comparability, transferability and recognition of competences and/or qualifications, between different countries and at different levels, could be promoted by developing reference levels, common principles for certification, and common measures, including a credit transfer system for vocational education and training. • Increasing support to the development of competences and qualifications at sectoral level, by reinforcing cooperation and coordination especially involving the social partners. • Developing a set of common principles regarding validation of non-formal and informal learning with the aim of ensuring greater compatibility between approaches in different countries and at different levels. d) Quality assurance • Promoting cooperation in quality assurance with particular focus on exchange of models and methods, as well as common criteria and principles for quality in vocational education and training. • Giving attention to the learning needs of teachers and trainers within all forms of vocational education and training. • This strategy is based on the assumption that education and training constitute essential tools for promoting employability, social cohesion, active citizenship as well as the personal and professional fulfilment. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 13 14 THE POWERS OF EUROPE IN EDUCATION AND TRAINING AND THE METHOD OF ENHANCED COOPERATION 12 While vocational training was identified as an area of Community action in the Treaty of Rome in 1957, education was formally recognised as an area of European Union competency in the Maastricht Treaty which established the European Community in 1992. The Maastricht treaty states that: “the Community shall contribute to the development of quality education by encouraging co-operation between Member States and, if necessary, by supporting and supplementing their action, while fully respecting the responsibility of the Member States for the content of teaching and the organisation of education systems and their cultural and linguistic diversity”13. Regarding the policies of education and training, the European Union plays a subsidiary role. Member States are in charge of their own education and training systems, but they cooperate within the EU framework in order to achieve common goals. The EU political strategies constitute a support for national activities addressing common problems such as the ageing society, the skills gaps in the workforce and the global competition. In 2002 in Copenhagen the Education Ministers of the European Union has introduced the strategy for Enhanced Cooperation in Vocational Education and Training (VET). The concept of Enhanced Cooperation is included in the Treaty on EU (title VII of treaty on EU). The Enhanced Cooperation is a tool to give greater impetus to the process of EU integration, it allows a closer cooperation between the countries of the EU wishing to develop Europe in the respect of the Union’s single institutional framework. The deliberations of the States participating in Enhanced Cooperation are open to all Member States, but only those participating in Enhanced Cooperation have the right to vote. The States in Enhanced Cooperation regularly inform the European Parliament and the Commission about the progress achieved. The Member States concerned may, then, advance at different rates and/or with different objectives. 1.4 T HE INSTRUMENTS OF THE C OPENHAGEN D ECLARATION In order to implement the objectives set in the strategy for the development of VET identified in Barcelona and Copenhagen and in line with the broader strategy of promoting lifelong learning, the European Council has subsequently established a general Programme to foster mobility (Lifelong Learning Programme) identifying a number of critical areas to be improved. The work conducted by the Commission and the Member States in these areas has led to the definition of common objectives and instruments, in doing this, various Recommendations have been issued at European level. 12 C OUNCIL R ESOLUTION of December 2002 on the promotion of Enhanced European Cooperation in education and vocational training (2003/C 13/02). 13 Consolidated version of the Treaty on European Union and the Treaty on the Functioning of the European Union (2010/C 83/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 14 15 Recommendations are non-binding acts adopted by Community institutions to suggest recipients a given behaviour when they do not have the power to implement binding measures or when they believe that there is no reason to adopt more binding measures. The Recommendations adopted to strengthen the implementation of the Copenhagen process are: • the development of a European framework for the transparency of qualifications and competences (European Qualifications Framework – EQF); • the introduction of a methodology for the transfer of credits for education and training (European Credit system for Vocational Education and Training – ECVET); • the definition of a Framework for quality assurance (European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training – EQAVET); • the definition of a European framework for key competences. With these Recommendations, issued between the end of 2006 and June 2009, the political process outlined between Lisbon and Copenhagen has been completed. The European Union, after defining its strategic objectives in the field of lifelong learning and development of education and vocational training, through these nonbinding acts has identified the implementation procedures which are “recommended” to the Member States after their approval. The key points of this strategy are: • the shift of attention from the teaching process to the learning process, • the strengthening of European citizenship key competences, • the focus on learning outcomes, rather than on formal education and training paths, • the possibility to obtain recognition of competences regardless of how they were acquired, • the definition of common language and standards allowing the comparison of qualifications and degrees obtained in different national systems, • the definition of a model and common tools ensuring control and continuous development of the quality of education provided in different countries. With this strategy, the European Union is not involved in the organisation of training paths, which is responsibility of national jurisdictions, but sets some fundamental coordinates which may change significantly the education development in the next years. For some countries, such as Italy, the implementation of the recommendations involves a real cultural revolution: for example, the transformation of the current education system based on the offer of vocational education and training paths whose frequency is validated and recognised by the acquisition of the title, into a system in which it doesn’t matter which path has been followed, what is important is the knowledge and the skills effectively acquired. This involves a total change of the current way of issuing of qualifications which is centred on the recognition and validation of formal paths. The creation of a single framework bringing together all the titles and qualifications is equally challenging; among various problems there is Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 15 16 the issue of cultural integration of two different systems, the academic and the vocational one: in Italy, but also in many other countries, the academic world has always looked suspiciously at the world of vocational training and the aim of gathering the titles and qualifications obtained in the different systems is not easy to achieve. Furthermore, the implementation of quality assurance models will be responsible for ensuring that the adoption of these models does not occur only on a formal level, but produces a real change in training. The European Recommendations are described in detail in the following chapters. In addition, the Copenhagen process has led to the development of instruments to facilitate mobility and transparency of qualifications (Europass) and tools to promote information and guidance on training and career opportunities in the European Union (PLOTEUS portal and Euroguidance network). 1.5 T HE L IFELONG L EARNING P ROGRAMME AND THE MOBILITY ACTIONS The Lifelong Learning Programme (LLP) was established by Decision of the European Parliament and the Council on 15 November 2006 and gathered all the initiatives of European cooperation in education and training from 2007 to 2013. Its aim is to contribute through lifelong learning to the development of the European Union as an advanced knowledge society, with sustainable economic development, more and better jobs and greater social cohesion, while ensuring good protection of the environment for future generations (Lisbon Strategy). The European Lifelong Learning Programme has grouped the concrete initiatives implemented by the European Union to achieve the strategic objectives of Copenhagen; these initiatives are not only focused on students, but also on teachers, trainers and all those involved in education and training. In particular it has fostered interchange, cooperation and mobility between education and training systems within the Community, so that they become a world quality reference. The programme has strengthened and integrated the measures implemented by the Member States keeping the responsibility entrusted to each of them about the content of education and training systems and respecting their cultural and linguistic diversity. The legal basis can be found in art. 149 and 150 of the Treaty on European Union which state that “The Community shall contribute to the development of quality education by encouraging cooperation between Member States and, if necessary, by supporting and supplementing their action...” (Art. 149) and that “the Community shall implement a vocational training policy which shall support and supplement the action of the Member States ...” (Art. 150). In particular, four sub-programmes which fund projects at different levels of education and training have been implemented: Comenius (for high schools), ERASMUS (for higher education), Leonardo da Vinci (for vocational education and training), and Grundtvig (for adult education). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 16 17 TECHNICAL SUPPORT IN THE IMPLEMENTATION OF THE EUROPEAN OBJECTIVES The European Union makes use of international technical agencies which in the field of Education and Vocational Training lead an activity of research, analysis, documentation and technical support to the Commission. Among these there are: the Cedefop, the European Training Foundation (ETF) and Eurydice network. The European Centre for the Development of Vocational Training (Cedefop) was founded in 1975 and is located in Thessaloniki. It’s the European Agency to promote the development of vocational education and training in the European Union. It is Union’s reference Centre for vocational education and training. It does this by providing. Cedefop: • provides scientific and technical know-how in specific fields and promote exchanges of ideas between different European partners; • provides information on and analyses of vocational education and training systems, policies, research and practice. Cedefop’s tasks are to: • compile selected documentation and analyses of data; • contribute to developing and coordinating research; • exploit and disseminate information; • encourage joint approaches to vocational education and training problems; provide a forum for debate and exchanges of ideas. The European Training Foundation (ETF) is an agency of the European Union located in Turin. It was established in 1990 to contribute to the development of education and training systems of the EU partner countries. Its mission is to help transition and developing countries to harness the potential of their human capital through the reform of education, training and labour market systems in the context of the EU’s external relations policy. Its work is based on the conviction that human capital development in a lifelong learning perspective can make a fundamental contribution to increasing prosperity, creating sustainable growth and encouraging social inclusion in transition and developing countries. The Eurydice’s mission is to provide those responsible for education systems and policies in Europe with European-level analyses and information which will assist them in their decision making. In particular the activity focuses on the way education in Europe is structured and organised. It provides a vast source of information, including: • detailed descriptions and overviews of national education systems; • comparative thematic reports devoted to specific topics of Community interest; • indicators and statistics; • reports related to education. Eurydice consists of 35 national units based in all 31 countries participating in the EU’s Lifelong Learning programme Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 17 19 2. Towards Europe 2020 The Lisbon strategy for growth and jobs has been the response adopted by the EU to face the challenges of globalisation, demographic changes and knowledge society. It was aimed at making Europe more dynamic and competitive to secure a prosperous, fair and environmentally sustainable future for all citizens. Despite the joint efforts which have been made, these objectives have been only partially achieved and the economic crisis has made these challenges even more difficult. In order to help Europe emerging from the crisis and to prepare its economy for the next decade the European Commission has proposed the “Europe 2020 strategy” 1 . The Europe 2020 strategy followed the Lisbon strategy, sharing some aspects, and set out a vision of Europe’s social market economy for the 21 st century by putting forward three mutually reinforcing priorities: • smart growth, developing an economy based on knowledge and innovation; • sustainable growth, promoting a more resource efficient, greener and more competitive economy; • inclusive growth, fostering a high-employment economy delivering social and territorial cohesion. The progress towards the achievement of these objectives is evaluated on the basis of five main goals to be achieved at EU level, which every Member State should translate into national targets to be defined according to its starting condition: EUROPE 2020 STRATEGY INDICATORS • to obtain an employment rate of 75% of the people aged between 20 and 64 years; • to bring the levels of public and private investment to the 3% of the total GDP in research and development; • to reduce GHG emissions by 20% compared with 1990 levels and to have a 20% share of gross final energy consumption from renewable sources; • to reduce the proportion of early school leavers to less than 10% and to increase the share of the younger generation with a degree or diploma or equivalent level of education to at least 40%; • 20 million less people should be at risk of poverty. 1 Communication from the Commission Europe 2020 a strategy for smart, sustainable and inclusive growth, COM (2010) 2020. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 19 20 Education, training and lifelong learning play a key role in achieving these objectives. Finally, Europe 2020 identifies “seven flagship initiatives” focused on priority themes: • Innovation Union, to improve framework conditions and access to finance for research and innovation so as to ensure that innovative ideas can be turned into products and services that create growth and jobs. • Youth on the move, to enhance the performance of education systems and to facilitate the entry of young people to the labour market. • A digital agenda for Europe, to speed up the roll-out of high-speed internet and reap the benefits of a digital single market for households and firms. • Resource efficient Europe, to help decouple economic growth from the use of resources, support the shift towards a low carbon economy, increase the use of renewable energy sources, modernise our transport sector and promote energy efficiency. • An industrial policy for the globalisation era, to improve the business environment, notably for SMEs, and to support the development of a strong and sustainable industrial base able to compete globally. • An agenda for new skills and jobs, to modernise labour markets and empower people by developing their skills throughout the lifecycle with a view to increase labour participation and better match labour supply and demand, including through labour mobility. • European platform against poverty, to ensure social and territorial cohesion such that the benefits of growth and jobs are widely shared and people experiencing poverty and social exclusion are enabled to live in dignity and take an active part in society. Each Member State should provide a contribution to achieve the objectives of the Europe 2020 strategy through national paths reflecting the situation of each country and its “level of ambition”. The Commission is responsible for monitoring the progress and, in the case of “inadequate response” has to formulate a “recommendation” to be implemented in a given period of time. If a Member State, after the time-frame has expired, has not adequately responded to a recommendation of the Council, the Commission could issue a “policy warning”. On 17 June 2010, the European heads of state and government who form the European Council adopted the Europe 2020 strategy 2 . The strategy – as stated in the Final Report – will help Europe recover from the crisis and come out stronger, both internally and at the international level, by boosting competitiveness, productivity, growth potential, social cohesion and economic convergence. 2 European Council 17 June 2010 Conclusions (Euco 13/10). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 20 21 The European benchmarks set in Lisbon have been achieved only in part, even the progress made in employment growth was cancelled by the international economic crisis. The financial and economic constraints imposed in Maastricht were not respected in many countries. Regarding social cohesion, problems resulting from an increased immigration are putting to the test the principles enshrined in the Treaty of Rome, which seemed clear after the Delors White Paper 3 . The impact of the European Social Fund (ESF), which is the main financial instrument for supporting employment and development in less-developed regions, has been unequal: even the countries which have benefited most of its support, such as Ireland and Spain, have successively experienced a serious economic crisis. It might be wondered what would have happened without the European Union. Probably the effects of the international crisis on the economy of some European countries would have been even more devastating, without the protection offered by the wider European economic system and without the obligation to respect the Maastricht criteria. The European benchmarks have not been achieved, but in many European countries improvements have been observed and this has provided an incentive to deal with strategic questions, such as early school leaving. The culture of monitoring and evaluation of policy objectives has spread as a result of the strategic European approach. The European surveys (Eurobarometer) which are conducted every six months show that over 50% of Europeans support their country’s accession to the European Union since it has produced more benefits than disadvantages. 2.1 T HE STRATEGIC FRAMEWORK FOR THE RENEWED E UROPEAN COOPERATION IN EDUCATION AND TRAINING FOR THE DECADE 2010-2020 Even in the field of education a str ategic framework for European cooperation has been defined . The Education and Training 2020 (ET 2020) 4 programme is built on the “Education and Training 2010” (ET 2010) work programme and the European Commission Communication on “New skills for new jobs” of 2008 5 , and in the light of Cedefop’s skill supply and demand forecasts has suggested to the Member States an education centred on business demand and on the professional needs required by the production system. 3 European Commission Completing the Internal Market: White Paper from the Commission to the European Council COM(85) 310, June 1985. 4 Council conclusions of 12 May 2009 on A strategic framework for European cooperation in education and training («ET 2020») (2009/C 119/02). 5 Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions: New Skills for New Jobs – Anticipating and matching labour market and skills needs SEC(2008) 3058. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 21 22 The Education and Training 2020 programme implements the Open Method of Coordination and identifies four strategic long-term objectives: • making lifelong learning and mobility a reality; • improving the quality and efficiency of education and training; • promoting equity, social cohesion and active citizenship; • enhancing creativity and innovation, including entrepreneurship, at all levels of education and training. As can be noted the programme largely confirms the goals already defined in the Copenhagen process, introducing the goal of innovation and creativity. According to the European Council creativity constitutes, as well as personal fulfilment, a source for innovation which is one of the bases of sustainable economic development. Creativity and innovation are essential in the creation of businesses and to compete at international level. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 22 23 CEDEFOP’S FORECASTS FOR EMPLOYMENT GROWTH IN EUROPE According to the forecasts, assuming a slow but steady recovery, up to 2020, the European economy will create some eight million new jobs. However, around 75 million jobs will need to be filled as people retire or leave the workforce. EMPLOYMENT TRENDS BY SECTOR Amount (in thousands) Growth(%) 2008 2013 2020 2025 2008-2013 2013-2020 2020-2025 Primary sector 16 324 15 441 14 177 13 481 -5.4 % -8.2 % -4.9 % Manufacturing industry 37 778 33 864 33 010 32 547 -10.4 % -2.5 % -1.4 % Construction industry 18 214 15 534 15 803 16 116 -14.7 % 1.7 % 2.0 % Distribution and transportation 58 855 57 499 59 442 60 600 -2.3 % 3.4 % 1.9 % Trade and other services 53 269 55 189 58 957 61 215 3.6 % 6.8 % 3.8 % Non-commercial services 52 626 53 917 54 939 55 623 2.5 % 1.9 % 1.2 % Total 237 068 231 443 236 328 239 583 -2.4 % 2.1 % 1.4 % Source: Cedefop | Skills Forecasts | Data published in 2014 Although there will be job openings for all types of occupations, most new jobs will be at the higher and lower end of the skill spectrum leading to a risk of job polarisation. Weak employment growth indicates that there may be an oversupply of people with high-level qualifications in the short term, but by 2020, Europe will have the most highly-qualified workforce in its history. Furthermore, two-thirds of European jobs will be concentrated in the service sector and most of the additional employment will be characterised by knowledge-intensive and skilled jobs. LABOUR FORCE BY LEVEL OF QUALIFICATION Amount (in thousands) Growth(%) 2008 2013 2020 2025 2008-2013 2013-2020 2020-2025 High 67 754 78 914 91 553 99 709 16.5 % 16.0 % 8.9 % Average 115 901 117 065 115 193 112 256 1.0 % -1.6 % -2.5 % Low 63 111 54 769 47 649 42 639 -13.2 % -13.0 % -10.5 % Total 246 766 250 748 254 394 254 605 1.6 % 1.5 % 0.1 % Source: Cedefop | Skills Forecasts | Data published in 2014 While skill demand and supply forecasts in Italy reflect the European average trend, the data on labour supply and population denote alarming trends compared with the European average and the closer countries such as Germany and France. The projections to 2020 show that Italy: – will be the country (together with Portugal) with the highest rate of low-skilled workers (37.1%, against a EU average of 19.5%); – will be in line with the European average on intermediate levels (45.4%, against a EU average of 48.5%); – will face a serious shortage of highly skilled labour force (17.5% against the EU 32%). If this is the scenario, Italy could find itself in a situation of serious professional deficit, with a lack of qualified technical workers in many fields, compromising development and competitiveness. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 23 24 A first challenge is to ensure that all citizens can acquire transversal key competences such as “learning-to-learn” and communication skills, a sense of initiative and entrepreneurship, digital competence, cultural awareness and expression. The second challenge is to ensure a fully functioning knowledge triangle of education- research-innovation. Partnerships between the world of enterprise and different levels and sectors of education, training and research can help to ensure a better focus on the skills and competences required in the labour market and on fostering innovation and entrepreneurship in all forms of learning. Within this renewed effort for the promotion of education and training systems and lifelong learning, the Council of European Ministers for Education and Training has approved six new quantitative benchmarks to be achieved by 2020: • at least 95% of children between 4 years old and the age for starting compulsory primary education should participate in early childhood education; • the share of early leavers from education and training should be less than 10%; • the share of low-achieving 15-years olds in reading, mathematics and science should be less than 15%; • the share of 30-34 year olds with tertiary educational attainment should be at least 40%; an average of at least 15% of adults should participate in lifelong learning; • the share of employed graduates (aged 20-34 with at least upper secondary education attainment and having left education 1-3 years ago) should be at least 82%. These benchmarks and their role in directing national policies will be discussed in detail in the next chapter. THE BRUGES COMMUNIQUÉ The Bruges Communiqué on enhanced European Cooperation in Vocational Education and Training for the period 2011-2020 reinforces the main VET development directions established within the Copenhagen Process. The Communiqué was adopted by the European Ministers for Vocational Education and Training, the European Social Partners and the European Commission, at their meeting in Bruges on 7 December 2010 to review the strategic approach and priorities of the Copenhagen process for 2011-2020. The Bruges Communiqué presents a vision of a modern and attractive vocational training system which ensures: • maximum access to lifelong learning so that people have opportunities to learn at any stage in life and by making routes into education and training more open and flexible; • more opportunities for experience and training abroad to boost language skills, self-confidence and adaptability; • Higher quality courses, providing the right skills for specific jobs; • more inclusion and access for disadvantaged people; • creative, innovative and entrepreneurial thinking. The Bruges Communiqué includes a mid-term plan aimed at encouraging concrete measures at national level and support at European level. This calls for countries to: • Review the use of incentives, rights and obligations to encourage more people to take up training. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 24 25 • Implement the 2009 Recommendation on quality assurance in vocational training. • Encourage the development of vocational schools, with the support of local and regional authorities. • Introduce internationalisation strategies to boost international mobility. • Increase cooperation with business to ensure training is relevant, for instance by giving teachers the possibility of practical training in companies. • Launch communication strategies to highlight the benefits of vocational training. In addition, also in the field of education and training the European Commission, by applying the general strategy Europe 2020, has launched an activity of closer monitoring of Member States’ results, followed by specific recommendations for every country regarding reform processes to be implemented in order to achieve European objectives. Data analysis on education and training systems highlight various critical elements: • European education and training systems continue to fall short in providing the right skills for employability, and are not working adequately with business or employers to bring the learning experience closer to the reality of the working environment. These skills mismatches are a growing concern for European industry’s competitiveness. • Despite progress over the last five years in the percentages of those qualifying from higher education, sustained efforts will be needed to reach the headline target of 40% of young people completing higher education. • Though significant improvement has been made over the last years, early school leaving remains at unacceptable levels in too many Member States, such as Spain with 26.5% and Portugal with 23.2%. Targeted action remains necessary to reduce early school leaving through comprehensive, targeted evidence-based strategies. • There remains significant evidence of underperformance in other areas: 73 million adults have only a low level of education; nearly 20% of 15 year olds lack sufficient skills in reading; and participation in lifelong learning is only 8.9%. In the Rethinking education6 document the Commission has described the need to expand the scope and accelerate the pace of reforms so that skills may sustain growth and employment. Therefore, the Commission has outlined a number of strategic priorities that the Member States should face and has presented new EU actions. Particular attention is given to combatting youth unemployment. Rethinking education covers four areas which are essential to addressing this issue and where Member States should step up efforts: • developing world-class vocational education and training to raise the quality of vocational skills; 6 Com (201) 2 669. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 25 26 • promoting work based learning including quality traineeships, apprenticeships and dual learning models to help the transition from learning to work; • promoting partnerships between public and private institutions (to ensure appropriate curricula and skills provision); • promoting mobility through the proposed Erasmus for All Programme 7 . EDUCATION AND TRAINING MONITOR 2014 8 These are the main critical elements emerged in the last monitoring carried out by the Commission (November 2014) and the subsequent recommendations: 1.1 Strong education performance cannot be expected without sufficient resources and reforms to ensure their effectiveness. Yet nineteen Member States cut their education expenditure in 2012. Six Member States decreased investments by more than 5% (EL, ES, CY, HU, PT, RO). Some of the countries that devote relatively few resources to education have decreased their investment further (BG, RO, SK). Since 2008, six countries saw a decrease in expenditure across all levels of education (BG, EL, IT, LV, PT, RO). Underinvestment in human capital risks undermining Europe’s prospect for sustainable and inclusive growth. Reforms will be required to make sure that education and training systems work effectively and efficiently. 1.2 The focus on employability has to be strengthened within education institutions. Youth unemployment remains rampant across Europe and the employment rate of recent graduates stagnated at 75.5% in 2013. VET graduates have better employment prospects in countries where work-based learning is a strong component of VET programmes and higher education graduates are still about 11 percentage points more likely to be employed than those with upper secondary education attainment. But occupation mismatches by qualifications and competences demand that education and training systems become more sensitive to the needs of the modern labour market. 1.3 Education has to avoid proactively any form of discrimination and social exclusion, and to provide chances for all learners. Socio-economic and socio-cultural inequalities continue to impact negatively upon educational outcomes. Parental education attainment still determines to a large extent one’s own education attainment and new evidence suggests that intergenerational education mobility is actually slowing down in the industrialised world. Ten countries received CSRs to focus on disadvantaged learners in particular (AT, BG, CZ, DE, DK, HU, LU, RO, SE and SK). Although tackling educational disadvantage is complex and requires wide-ranging, integrated strategies, Member States cannot afford to ignore these challenges. 2.1 Reducing the number of early school leavers will save Europe large public and social costs and protect the individual from a high risk of poverty and social exclusion. There are still more than five million early school leavers across Europe, facing an unemployment rate of 41%. As Europe gets closer to the Europe 2020 headline target, 12.0% in 2013, it 7 “Erasmus for All” is the EU programme for education, training, youth and sport proposed by the European Commission on 23 November 2011. 8 E UROPEAN C OMMISSION (2014), Education and Training Monitor 2014. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 26 27 becomes increasingly visible what a complex, multifaceted problem early school leaving is. A slow but steady progress is hiding significant disparities between but also within countries. The risk of early school leaving is 33.3% higher amongst men; more than twice as high for the foreign- born; no less than 156.1% higher for those suffering physical difficulties; and more than three times as high in bottom-performing regions than in top-performing regions in BG, CZ, PL, ES, UK and BE 2.2 In higher education, broadening access and reducing dropout rates amongst disadvantaged groups remains challenging. The rate of tertiary education attainment in Europe has steadily grown to 36.9%, yet high-qualified employment is forecasted to have increased a further 13% by 2020. Moreover, the persisting disparities between and within countries leave no room for complacency. The rate of tertiary education attainment is 26% higher amongst women; about 10% higher for native-born; 62.4% lower for individuals suffering physical difficulties; and in CZ, RO and SK, bottom-performing regions have attainment rates that are at least 60% lower than those found in top-performing regions. Only a handful of countries strive to widen participation and boost completion rates amongst disadvantaged groups. 2.3 Targeted policy action is needed to reduce low achievement in key basic competences across Europe. Amongst 15 year-olds, the EU is not making enough progress in order to reach the 2020 target of at most 15% low achievement in maths, even if negligible gender differences in maths and science hold potential for later STEM fields of study that can be exploited more fully. At the same time, the large and persisting reading disadvantage for boys across all Member States calls for specific policy initiatives. Across the EU’s working-age population, the overall rate of low achievement in literacy and numeracy is 19.9% and 23.6% respectively, with significant discrepancies between countries in the skills-value of qualifications. Socio-economic status is still by far the most important determinant of an individual’s key basic competences. 2.4 For individuals to thrive in a modern and evolving labour market, education needs to equip people with key transversal competences. Policy efforts regarding digital competences are to be strengthened, as even amongst the younger generation only half can solve more than very basic problems with the use of ICT. Efforts across Member States to support and promote entrepreneurship in education are fragmented and lack coherence, while 15-year-olds are performing worse in solving non-routine problems than one would expect from their reading, maths and science skills. Despite language competences becoming key for employability of young people, national curricula show significant differences in the number of foreign languages being taught. The percentage of students in lower secondary school learning two or more foreign languages is less than 10% in BE fr, HU, IE and AT. On-the-job training, through apprenticeship or other forms of school-work alternation, has become a strategic priority within the education policies of the European Union since it has demonstrated, in the countries where it is particularly carried out, to be an important tool to encourage learning and to combat unemployment. Therefore the European Union has launched the European Alliance for Apprenticeships programme, which aims to improve the quality and supply of apprenticeships across Europe and to change the mind-sets towards apprenticeship-type training and work-based learning. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 27 28 The European Alliance for Apprenticeships (EAFA) has effectively mobilised EU Member States and a large number of stakeholders to engage in quality apprenticeships. It has facilitated networking, cooperation and sharing of good practices. The Alliance has equally contributed to raising awareness of the benefits of apprenticeships. EAFA was launched in July 2013 with a joint declaration by the European Social Partners (ETUC, Business Europe, UEAPME and CEEP), the European Commission and the Presidency of the Council of the EU. This was followed by a Council Declaration and individual commitments by EU countries. 2.2 T HE Y OUTH G UARANTEE Another important document about policies and interventions on youth employment is represented by the Council Recommendation of 22 April 2013 on establishing a Youth Guarantee. The Youth Guarantee is a new approach to tackling youth unemployment which ensures that all young people under 25 – whether registered with employment services or not – get a good-quality, concrete offer within four months of them leaving formal education or becoming unemployed. The starting point for issuing the Youth Guarantee should be the registration with the employment service; Member States should define another starting point for NEETS 9 not registered with the public employment service for issuing the guarantee within four months. The good-quality offer should be for a job, apprenticeship, traineeship, or continued education and be adapted to each individual need and situation. The European Union through the European Social Fund (see Ch.7) will provide €6 billion to support the implementation of the Youth Guarantee. 2.3 The Erasmus Plus Programme The new Erasmus+ programme aimed to support actions in the fields of Education, Training, Youth and Sport has been launched in 2014, bringing together: • The Lifelong Learning Programme (Erasmus, Leonardo da Vinci, Comenius, Grundtvig); • The Youth in Action programme; • Five international cooperation programmes (Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink, the programme for cooperation with industrialised countries). 9 NEET is the acronym of “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, used to define young people not holding and not looking for a job, not involved in the educational system, nor in any other form of training. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 28 29 Furthermore, it will for the first time provide support for Sport. The European Commission has the objective to promote the integration of the different strategies of Community action, so that they can respond more effectively and more consistently to the goals defined by the European Union through the recommendations and decisions of the EU Council of Ministers. The integrated programme also allows interested parties to have an easier overview of the grant opportunities available 10 . Erasmus+ is started in a time when in the EU almost 6 million young people are unemployed, with levels in some countries more than 50%. At the same time there are over 2 million job vacancies, and a third of employers report difficulty in recruiting staff with the required qualifications. This demonstrates the existence of important skills deficits in Europe. Erasmus + will address these deficits by providing opportunities for study, training or work experience or volunteering abroad. The quality and relevance of organisations and European education, training and youth welfare will be enhanced by supporting the improvement of the teaching and learning methods, new programmes and professional development of teachers and youth leaders, as well as through greater cooperation between education and the world of work. THE STRUCTURE OF ERASMUS+ PROGRAMME The structure of the new Erasmus+ programme is focused on three transversal key actions: Key Action 1 – Learning Mobility of Individuals • Learning mobility of individuals • Staff mobility (in particular for teachers, trainers, school leaders and youth workers) • Mobility for higher education students and vocational education and training students. • Loan Guarantee • Joint Master Degrees • Youth mobility, including volunteering and youth exchanges. Key Action 2 – Cooperation for innovation and good practices • Strategic partnerships between education establishments/youth organisations and/or other relevant actors. • Large-scale partnerships between education and training establishments and business. • IT supports platforms, such as eTwinning, the European Platform for Adult Learning(EPALE) and the European Youth Portal. • Knowledge and sector skill alliances and Cooperation with third countries and neighbourhood countries. Key Action 3 – Policy reform • Support for EU agenda in education, training and youth through the Open Method of Coordination 10 For more detailed information visit http://www.erasmusplus.it/. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 29 30 2.4 N EW PRIORITY AREAS FOR E UROPEAN COOPERATION IN EDUCATION AND TRAINING In November 2015 the European Council meeting Education, Youth, Culture and Sport adopted the 2015 joint report of the Council and the Commission on the implementation of the strategic framework for European cooperation in education and training; the mid-term stocktaking confirmed the relevance of the four ET 2020 strategic objectives and selected 6 priority areas, which are declined into concrete issues: PRIORITY AREAS 1) Relevant and high quality knowledge, skills and competences developed throughout lifelong learning, focusing on learning outcomes for employability, innovation, active citizenship and well-being CONCRETE ISSUES A. Enhancing targeted policy action to reduce low achievement in basic skills across Europe B. Strengthening the development of transversal skills and key competences, in particular digital, entrepreneurship and language competences C. Relaunching and continuing lifelong learning strategies, including non-formal and informal learning, and from education and training to work D. Fostering generalised, equitable access to affordable highquality early childhood education and care, especially for the disadvantaged groups E. Reducing early school leaving by supporting school based strategies with an overall inclusive learner centred vision of education and “second-chance” opportunities F. Promoting the relevance of higher education to the labour market and society G. Implementing the Riga medium-term deliverables in VET 11 , while reinforcing the European Alliance for Apprenticeships and strengthening the anticipation of skills needs for the labour market H. Implementing the Renewed European Agenda for adult learning 11 The Riga conclusions of 22 June 2015 proposed the following new set of medium-term deliverables in the field of VET for the period 2015-2020: • Promoting work-based learning in all its forms, with special attention to apprenticeships, by involving social partners, companies, chambers and VET providers, as well as by stimulating innovation and entrepreneurship. • Further developing quality assurance mechanisms in VET in line with the EQAVET recommendation and, as part of quality assurance systems, establishing continuous information and feed back loops to initial VET (I-VET) and continuing VET (C-VET) systems based on learning outcomes. • Enhancing access to VET and qualifications for all through more flexible and permeable systems, notably by offering efficient and integrated guidance services and making available validation of non-formal and informal learning. • Further strengthening key competences in VET curricula and providing more effective opportunities to acquire or develop those skills through I-VET. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 30 31 2) Inclusive education, equality, equity, non-discrimination and the promotion of civic competences A. Addressing the increasing diversity of learners and enhancing access to quality and inclusive mainstream education and training for all learners, including disadvantaged groups B. Addressing the issue of gender gaps in education and training, and promoting more gender-balanced educational choices C. Facilitating the effective acquisition of the language(s) of instruction and employment by migrants through formal and non-formal learning D. Promoting civic, intercultural, and social competences, mutual understanding and respect, and ownership of democratic values and fundamental rights E. Enhancing critical thinking, along with cyber and media literacy 3) Open and innovative education and training, including by fully embracing the digital era A. Further exploring the potential of innovative and active pedagogies such as inter-disciplinary teaching and collaborative methods, to enhance the development of relevant and high-level skills and competences B. Fostering cooperation by stimulating the engagement of learners, teachers, trainers, school leaders and other members of educational staff, parents and the broader local community C. Increasing synergies between education, research and innovation activities, with a sustainable growth perspective D. Promoting the use of ICT with a view to increasing the quality and relevance of education at all levels E. Boosting availability and quality of open and digital educational resources and pedagogies at all education levels F. Addressing the development of digital competences at all levels of learning, including non-formal and informal, in response to the digital revolution 4) Strong support for teachers, trainers, school leaders and other educational staff A. Strengthening the recruitment, selection and induction of the best and most suitable candidates for the teaching profession B. Raising the attractiveness, for both genders, and the status of the teaching profession C. Supporting initial education and continuing professional development at all levels D. Supporting the promotion of excellence in teaching at all levels, in the design of teacher education programmes and in learning organisation and incentive structures, as well as exploring new ways to assess the quality of teacher training ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 31 32 5) Transparency and recognition of skills and qualifications to facilitate learning and labour mobility A. Fostering transparency, quality assurance, validation and thereby recognition of skills and/or qualifications, including those acquired through digital, online and open learning resources, as well as non-formal and informal learning B. Simplifying and rationalising the transparency, documentation, validation and recognition tools that involve direct outreach to learners, workers and employers, and further implementing the EQF and NQFs C. Supporting the mobility of pupils, apprentices, students, teachers, members of educational staff and researchers D. Developing strategic partnerships and joint courses, in particular through increasing internationalisation of higher education and vocational education and training A. Exploring the potential of the Investment Plan for Europe in the area of education and training B. Encouraging Member States to use evidence-based policymaking, including the evaluation and assessment of education and training systems, to monitor policies and design reforms that deliver quality education more efficiently C. Encouraging innovative ways to ensure sustainable investment in education and training, examining forms of performance- based funding and cost-sharing, where appropriate 6) Sustainable investment, quality and efficiency of education and training systems Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 32 33 3. The European benchmarks 3.1 A STRATEGIC ROLE FOR INDICATORS In many European countries is growing, in recent years, the tendency to quantify the objectives of government indicating precise quantitative targets, by establishing indicators which may be easily monitored and verified by both policy makers and public opinion 1 . In English-speaking countries this approach has entered permanently in the culture of government. For example, in England Public Service Agreements (PSA) have been introduced, which set out clear objectives for the improvement of public services, such as education and training. The objectives of the PSA included precise targets for the qualitative and quantitative growth of the education system. For example, among the objectives defined in 2004 there was: Target III: By the age of 19, all young people are ready for skilled employment or higher education. Indicators: • increase the proportion of 19 year olds who achieve at least level 2 (General Certificate of Secondary Education) by 5 percentage points by 2008; • increase the proportion of young people who achieve level 3 (A level); • reduce the proportion of young people not in education, employment or training by 2 percentage points by 2010. These quantitative targets were applied also at local level in order to make local actors responsible for achieving them. The achievement of targets and related problems were periodically monitored, followed by the reformulation of the objectives 2 . The diffusion of a culture related to outcomes does not involve only Englishspeaking countries. Also the French system, based on the “Loi organique relative aux lois de finances (LOLF)” has radically changed its idea about public intervention, from a budgetary approach based on the financing of activities (of schools, teachers, etc.) to an approach based on the financing of the objective to be achieved, which is describes in measurable terms. Therefore in the financial law each ministry should specify in measurable terms the objectives to be achieved and not only the 1 A LLULLI G. (2007), La valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, Il Mulino, n. 3/2007. 3 C EDEFOP (2009), Assuring the quality of Vet systems by defining expected outcomes, C EDEFOP Panorama series, 158. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 33 34 resources which will be provided. In this way, the Parliament and the citizens have a tool to measure the success of the public action which is financed annually allowing to take appropriate decisions, everyone in its field of competence 3 . As mentioned before, this type of procedure has become part of EU policies. The use of indicators for setting goals to be reached has many positive aspects but also some critical aspects. In particular, the following advantages can be listed 4 : • It obliges policy-makers to establish their goals and their priorities: sometimes the objectives of the political action are not expressed; the political action is just conceived as a process, and not as an activity aimed at achieving a result. But the use of the indicator forces the policy-maker to declare and make clear the objectives of its political action. • It forces decision-makers to operationalize the objectives, so that they can be measured: often, even when goals are defined, they are general and do not give the opportunity to citizens to verify whether they have been achieved or not. The indicator consists of a precise and not general figure; this is useful for citizens and policy-makers. • It allows comparison and benchmarking: the indicator allows to compare different situations identifying reference points which are set as goals to be achieved. • It allows an impartial monitoring: the identification of precise reference parameters is able to prevent (or to reduce) the subjectivity of judgment. • It allows to encourage those who achieve better results and to support those who have difficulty: the transparency ensured by the indicator allows to more easily identify the areas of excellence and the critical areas and to decide which are the most suitable policies to implement. • It provides a solid starting point for the assessment. Without a quantitative base any assessment activity is at risk of subjectivity. It should be remembered that the assessment does not end with the quantitative analysis since it must always be integrated with a qualitative analysis. On the other hand, the use of indicators for establishing the objectives to be achieved is not without any danger, an inappropriate use of indicators can bring out some unexpected effects: • the need to establish measurable goals risks to focus only on the easiest goals; sometimes the indicators are selected depending on the available data neglecting the more complex aspects; • it is often required to collect large amounts of data to monitor the results; this increases the bureaucratic burden for the structures which are subject to monitoring or evaluation; 3 Cfr. http://www.performance-publique.gouv.fr/. 4 A LLULLI G. (2000), Le misure della qualità, Seam, Roma. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 34 35 • the comparison between different situations without taking into account the context may be incorrect; sometimes the comparisons do not take into account the differences between the various contexts; • the emphasis given to indicators may overshadow the qualitative analysis; an excessive dependence on the numbers risks to neglect the “qualitative” aspects of the assessment; • the funding allocated on the basis of quantitative results could lead to negative effects. If, for example, awards for schools presenting a low dropout rate are introduced, schools will select students in order to receive only the most talented and motivated or they could lower the standards to be achieved to facilitate the attendance. Finally, it should be noted that the modification of a complex system such as the education system cannot occur in a short time; measuring the impact of an education policy on the system might take a long time; the behaviour of millions of teachers, students and families does not change in a few months. Therefore, to monitor the implementation and the evolution of a policy should not be used only result indicators, measuring the final effects of the policy (for example, decrease in dropout rates or raising of standards of learning), but also process indicators, allowing the verification of how the policy has been applied to the system. There are many ways to use the indicators in public policy: for example they can be used for monitoring, for the comparison or for control. Two approaches to their use can be identified: a “soft” approach, since its application is not preparatory to the adoption of particular initiatives, and a “rigid” approach, when the application of the indicator is preparatory to the intervention. Examples of “soft” approach come from the use of the indicators: • for internal monitoring of the processes launched; • for comparison with other institutions, especially with those presenting similar characteristics; • for the definition of the benchmarks, or reference points to be reached or to be taken as an example; • for self-assessment. The benchmarks set by the European Union in the framework of the Lisbon strategy are part of this approach; they are used to monitor the progress of Member States towards the achievement of the Lisbon objectives, in case of failure it is not involved any sanction against the country which hasn’t achieved those goals. On the contrary, the Maastricht parameters are part of a “rigid” approach and their noncompliance shall lead to the application of sanctions. There is a “rigid” approach when the indicators are used: • for external monitoring, to check the progress of specific projects or programmes; Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 35 36 • to allocate additional funding, on the basis of statistical parameters; • to verify the achievement of specific objectives (targets). It would be appropriate if during the policy-making process the indicators were used by integrating the two approaches: it is necessary to establish measurable goals which everyone can verify, with the awareness that the indicator is a tool and not an end, and that the complexity of the education system requires a great attention to the different contexts, avoiding improper comparisons between different individuals or organizations. 3.2 I NDICATORS AND BENCHMARKS FOR MONITORING PROGRESS TOWARDS THE L ISBON OBJECTIVES The Conclusions of the Presidency in Lisbon in 2000 and the subsequent European Councils have recognised the central role of indicators and benchmarks within the “Open Method of Coordination”, the method used to promote the convergence of Member States towards the EU goals (see par. 1.2). In particular, the use of indicators and benchmarks has intensified in the area of cooperation on education and training in Europe. In 2002 the European Council approved a detailed work programme which fixed 13 concrete objectives in education and training and an indicative list of 33 indicators, later reduced to 29. It was established also the “Standing Group on Indicators and Benchmarks”, composed of experts representing all Member States to counsel the Commission about the use of indicators and benchmarks. The most significant action has been the adoption by the Council of Education of 5 benchmarks (“reference levels of European average performance”) in education and training, that is the adoption of five quantitative targets which the European Union was intended to achieve by 2010. The benchmarks aimed at defining a concrete and measurable method in order to show the Member States the path to follow for building a learning/lifelong learning system and for measuring progress in this field. The benchmarks were: • at least 85 % of 22-year-olds should have completed upper secondary education; • no more than 10% of young people should have left school before completing upper secondary education or vocational or other training; • the average level of participation in lifelong learning should be at least 12.5% of the population in a month; • the percentage of youth with low achievement in reading literacy should have decreased by at least 20%; • the total number of graduates in mathematics, science and technology should have increased by 15%. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 36 37 Subsequently, the European Commission has constantly monitored the evolution of these indicators for all European countries, by setting up an annual report allowing to periodically review the situation. The survey conducted in 2011 (on data of 2009) 5 showed the following Italian and European situation: Italian and European situation in 2009/10 compared to the Lisbon benchmarks At least 85 % of 22-year-olds should have completed upper secondary education 78,6 76,3 No more than 10% of young people should have left school 13,9 18,8 The average level of participation in lifelong learning should be at least 12.5% of the population in a month 9,1 6,2 The percentage of youth with low achievement in reading literacy 21,1% 24.9% should have decreased by at least 20% (-6%) (+37,4%) the total number of graduates in mathematics, science and technology should have increased by 15% +4% + 6,3 Source: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2001. SEC (2011) 526 Education and training monitor 2014 BENCHMARK EU average Italian average As can be seen, with the exception of the last indicator, for none of the other benchmarks the progress of European countries has allowed to meet the objective. The following chart, which has been included in the last monitoring report produced by the European Commission on the Lisbon Benchmarks 6 , shows the trend of European average of the five indicators from 2000 to 2009. Only the indicator regarding the number of graduates in mathematics, science and technology reveals a progress over the years. Three other indicators show a progress, but with a trend much slower than expected. Finally, the indicator of low achievers in reading shows even a clearly negative trend until 2006 which is increasing but is still below the EU target. 5 Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2001. SEC(2011) 526. 6 Ibid. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 37 38 Progress towards the achievement of the Lisbon benchmarks Source: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2011. SEC (2011)526 In 2010, the European Council examined the data reaching the following conclusions 7 : a) It is required more action to improve literacy and to help disadvantaged people • The EU benchmark for 2010 is to reduce by 20% the percentage of lowachieving 15-years olds in reading literacy, this share has actually increased from 21.3% in 2000 to 24.1% in 2006. • The performance of pupils with a migrant background in reading, mathematics and science is lower than that of native pupils (PISA data). • A major source of concern is the deteriorating performance in reading skills compared to the 2010 EU benchmark. A good level of literacy is the basis for the acquisition of key competences and for lifelong learning. b) To strengthen the key competences in Vocational Education and Training and Lifelong Learning. Some progress has been made in increasing adult participation in education and training, but it is not enough to reach the 2010 benchmark of 12.5%. In 2008, 9.5% of Europeans aged 25-64 participated in the four weeks prior to the survey, with high skilled adults being five times more likely to participate than the low-skilled. 7 2010 joint progress report of the Council and the Commission on the implementation of the “Education and Training 2010” work programme (2010/C 117/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 38 39 c) Some progress on improving access to higher education There is growing political awareness that enabling non-traditional learners to access higher education is central to the achievement of lifelong learning. Most countries have taken measures to increase the participation of students with a lower socio-economic status, including financial incentives. 24% of the adult population in Europe (25-64 years old) have high (i.e. tertiary level) educational attainment, which is far behind both the US and Japan with 40%. If the European situation does not appear exciting, the Italian one is even worse. For all benchmarks, with the exception of the one concerning science graduates, Italy shows values which are significantly lower than the European average. The only progress which has been made since the benchmark was set is in obtaining higher education diploma. 3.3 S IX NEW BENCHMARKS FOR 2020 Within the new Strategic Framework for Education and Training (ET 2020) 6 new benchmarks have been identified. Three benchmarks had already been defined by the Lisbon Strategy, while the three new benchmarks concern the access to preprimary education, the percentage of graduates and employed secondary or university graduates. These new objectives are part of the learning strategy that should cover every stage of life, “from cradle to grave”, as stated by the Communication from the Commission of 2001 8 . The following benchmarks for 2020 have been set: • At least 95% of children (from 4 to compulsory school age) should participate in early childhood education. • The rate of early leavers from education and training should be below 10%. • Fewer than 15% of 15-year-olds should be under-skilled in reading, mathematics and science. • At least 40% of people aged 30-34 should have completed some form of higher education. • At least 15% of adults should participate in lifelong learning. • The share of employed graduates (aged 20-34 with at least upper secondary education attainment and having left education 1-3 years ago) should be at least 82%. However it is not easy to reach these benchmarks, especially for our country. The last European Monitor published in 2015 9 shows the following situation: 8 Commission of the European Communities. Making a European Area of Lifelong Learning a Reality COM(2001) 678 Brussels, 21.11.2001. 9 European Commission, Education and Training Monitor 2015, Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2015. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 39 40 Italian and European situation in 2014 compared to the benchmarks for 2020 Source: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks At least 95% of children (from 4 to compulsory school age) should participate in early childhood education 93,9% 98,7% The rate of early leavers from education and training should be below 10% 11,1% 15,0% At least 15% of adults should participate in lifelong learning in a month 10,7% 8,0% Fewer than 15% of 15-year-olds should be under-skilled in reading, mathematics and science Reading 17,8% Math. 22,1% Science16,6% Reading 19,5% Math. 24,7% Science18,7% At least 40% of people aged 30-34 should have completed some form of higher education 37,9% 23,9% The share of employed graduates (aged 20-34 with at least upper secondary education attainment and having left education 1-3 years ago) should be at least 82% 76,1% 45,0% BENCHMARK EU average Italian average As can be seen in the chart table, the situation of our country is particularly difficult regarding employment rates of graduates. Also dropout and university graduation rates are critical, since they are far below the European benchmarks and the current average of other countries. However, regarding the dropout rate our country made a significant progress during the last year: it decreased from 17% to 15% of young people between 18 and 24 without a diploma or professional qualification. Furthermore for this indicator Italy had set the objective of achieving by 2020 the 16% as the maximum value, then that goal has already been reached. Also with regard to the rate of graduation, Italy has set the realistic target of achieving by 2020 the value of 26/27%. These and other progresses have been noted by the European Commission, which in the European Monitor 2015 states: “Italy has made progress in improving its education and training system over the last few years. A school evaluation system is being implemented, basic skills proficiency has improved, the early school leaving rate is on a decreasing trend and participation in ECEC is almost universal for children aged four to six. Moreover, the recent reform of the school education system can help create the conditions to further improve school outcomes. Nonetheless, the early school leaving rate remains well above the EU average. Regional differences in basic skills proficiency are wide. The tertiary education attainment rate for young people is the lowest in the EU and many students still drop out of tertiary education. Work-based learning is not sufficiently developed and entry into the labour market is difficult for young people, including the high-skilled. General government expenditure on education as a share of GDP is among the lowest in the EU, especially at the tertiary level”. As can be noted, together with the recognition of progress criticisms about the problems affecting the educational system of our country emerge. The next years will show the extent to which the 6 new targets for 2020 will be able to give a new impetus to the education policies of the different countries. Despite this, there is the political and educational significance of the benchmark: strategic reference point indicating in transparent and measurable terms the goal to be achieved. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 40 41 4. The debate on competences and the European Qualifications Framework 4.1 B ETWEEN KNOWLEDGE AND SKILLS In the debate of the past 20 years, the discussion on educational policies has shifted from how to define and acquire knowledge to how to define and acquire skills (know-how). The concept of “competence” has a long history in the field of vocational training and it has developed in the working environment. Guy Le Boterf, one of the greatest theorists in this field defined competence as “a recognized and proven set of representations, knowledge, skills and attitudes pertinently mobilized and combined in a given context”1. Only in recent years an effort has been made to use the concept of competence in general education, on the basis of the need to overcome the purely transmissive approach of knowledge. An important step in the international elaboration process of the concept of competence has been represented by the DeSeCo Project (Definition and Selection of Competences) which was conducted between 1997 and 2003 by the OECD 2 ; this project has played a significant role in the evolution of public policies, through the definition and systematization of an international reference framework. The project brought together several experts to compare definitions, establish convergences and finally list a series of key competences for the development of the society and individuals. These key competences should obviously be the main objectives of education and training. This initiative is based on the awareness that the traditional basic skills are important but not enough to meet the requirements and the current social demand. The DeSeCo Project publications emphasize, in particular, a holistic definition of the concept of competence, giving to the term the meaning of a complex system of action, including cognitive and non-cognitive attitudes, and other elements: “A competence is defined as the ability to successfully meet complex demands in a particular context. Competent performance or effective action implies the mobilisation of knowledge, cognitive and practical skills, as well as social and behaviour components such as attitudes, emotions, and values and motivations. A competence – a holistic notion – is therefore not reducible to its cognitive dimension”. 1 L E B OTERF G. (1990), De la compétence: Essai sur un attracteur étrange, Les Ed. de l’Organisation. 2 R YCHEN D.S., S ALGANIK L.H. (2007), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole, Franco Angeli. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 41 42 The DeSeCo Project has identified nine key competences, divided into three categories, which may be relevant to every citizen. KEY COMPETENCES ACCORDING TO THE DESECO PROJECT (A) ACT AUTONOMOUSLY 1) The ability to assert rights, interests, limits and needs This competency implies the ability, for instance, to: • understand one’s own interests (e.g. in an election); • know written rules and principles on which to base a case; • construct arguments in order to have needs and rights recognised; • suggest arrangements or alternative solutions. 2) The ability to form and conduct life plans and personal projects Individuals must be able, for instance, to: • define a project and set a goal; • identify and evaluate both the resources to which they have access and the resources they needs (e.g. time and money); • prioritise and refine goals; • balance the resources needed to meet multiple goals; • learn from past actions, projecting future outcomes; • monitor progress, making necessary adjustments as a project unfolds. 3) The ability to act within the big picture This competency requires individuals, for instance, to: • understand patterns; • have an idea of the system in which they exist; • identify the direct and indirect consequences of their actions; • choose between different courses of action by reflecting on their potential consequences in relation to individual and shared norms and goals. USING TOOLS INTERACTIVELY 1) The ability to use language, symbols and text interactively This key competency concerns the effective use of spoken and written language skills, computation and other mathematical skills, in multiple situations. It is an essential tool for functioning well in society and the workplace and participating in an effective dialogue with others. 2) The ability to use knowledge and information interactively This key competency requires critical reflection on the nature of information itself – its technical infrastructure and its social, cultural, and even ideological context and impact. Information competence is necessary as a basis for understanding options, forming opinions, making decisions, and carrying out informed and responsible actions. 3) The ability to use technology interactively Technology can be used interactively if users understand its nature and reflect on its potential. Most importantly, individuals need to relate the possibilities embedded in technological tools to their own circumstances and goals. A first step is for individuals to incorporate technologies into their common practices, which produces a familiarity with the technology that then allows them to extend its uses. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 42 43 INTERACTING IN HETEROGENEOUS GROUPS 1) The ability to relate well to others This key competency allows individuals to initiate, maintain and manage personal relationships with, for example, personal acquaintances, colleagues and customers. Relating well is not only a requirement for social cohesion but, increasingly, for economic success as changing firms and economies are placing increased emphasis on emotional intelligence. 2) The ability to cooperate Co-operation requires each individual to have certain qualities. Each needs to be able to balance commitment to the group and its goals with his or her own priorities and must be able to share leadership and to support others. 3) The ability to manage and resolve conflicts For individuals to take an active part in conflict management and resolution, they need to be able to: • analyse the issues and interests at stake, the origins of the conflict and the reasoning of all sides, recognising that there are different possible positions; • identify areas of agreement and disagreement; • reframe the problem; • prioritise needs and goals, deciding what they are willing to give up and under what circumstances. (a) OECD (2003) The definition and selection of key competences- executive summary: http://www.oecd.org/dataoecd/47/61/35070367.pdf 4.2 K EY COMPETENCES FOR L IFELONG L EARNING The European Recommendation of 18 December 2006 on Key competences for lifelong learning3 identifies the key competences which everyone should acquire and which form a basis for lifelong learning; it encourages the Member States, as part of their lifelong learning strategies, to develop key competences for all citizens in order to ensure that education and initial training are offered to all young people preparing them for adult life, further learning and integration into working life. To achieve this goal it must be taken into account those young people who, due to educational disadvantages caused by personal, social, cultural or economic circumstances, need particular support to fulfil their educational potential; according to the Recommendation, even adults should be able to develop and update their key competences throughout their lives, with a particular focus on target groups identified as priorities in the national, regional and/or local contexts. 3 Recommendation 2006/962/EC of the European Parliament and of the Council of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 43 44 The Recommendation defines key competences as “a combination of knowledge, skills and attitudes appropriate to the context. Key competences are those which all individuals need for personal fulfilment and development, active citizenship, social inclusion and employment”. Without these skills it is more difficult to exercise the rights of citizenship and access and enhance the learning opportunities which are offered throughout life. The Recommendation of the European Parliament and of the Council identifies 8 key competences which every citizen should have. KEY COMPETENCES ACCORDING TO THE EUROPEAN RECOMMENDATION (a) • Communication in the mother tongue, is the ability to express and interpret concepts, thoughts, feelings, facts and opinions in both oral and written form (listening, speaking, reading and writing) • Communication in foreign languages, is based on the ability to understand, express and interpret concepts, thoughts, feelings, facts and opinions in both oral and written form (listening, speaking, reading and writing) in an appropriate range of societal and cultural contexts (in education and training, work, home and leisure • Mathematical competence, is the ability to develop and apply mathematical thinking in order to solve a range of problems in everyday situations. Building on a sound mastery of numeracy, the emphasis is on process and activity, as well as knowledge. • Digital competence, is the ability to use the new ICT. • Learning to learn is the ability to pursue and persist in learning, to organise one’s own learning, including through effective management of time and information, both individually and in groups. • Social and civic competences, include personal, interpersonal and intercultural competence and cover all forms of behaviour that equip individuals to participate in an effective and constructive way in social and working life. • Sense of initiative and entrepreneurship refers to an individual’s ability to turn ideas into action. It includes creativity, innovation and risk-taking, as well as the ability to plan and manage projects in order to achieve objectives. • Awareness of the importance of the creative expression of ideas, experiences and emotions in a range of media, including music, performing arts, literature, and the visual arts. (a) RECOMMENDATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning (2006/962/CE) 4.3 T HE E UROPEAN Q UALIFICATION F RAMEWORK (EQF) The theme of skills and their definition and certification is crucial to give quality to the education system but also practicality to the process of integration between systems in the logic of lifelong learning. The integration has meaning if provided with models and tools making possible both constant dialogue with the socio-economic reality and the actual ability to capitalize the learning experiences conducted by individuals in different places, times and in educational contexts. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 44 45 After a comparison between different Member States, the European Union approved in 2008 a Recommendation of the European Parliament and of the Council on the establishment of the European Qualifications Framework (EQF) for lifelong learning. The EQF will provide a common language to describe qualifications which will help Member States, employers and individuals compare qualifications across the EU’s diverse education and training systems 4 . The EQF shifts the focus of qualification from the characteristics of training activities attended (duration, content, etc.) to learning outcomes (knowledge, skills and competences). No matter how the competence has been acquired (learning experience, type of institution), what matters is the final result: this approach does not only facilitate the transfer and use of qualifications across different countries and education and training systems, but also the validation of non-formal and informal learning. The European framework covers all type of qualification, ranging from those acquired at the end of compulsory education to the highest qualifications such as Doctorate. It consists of 8 reference levels indicating the difficulty and the learning outcomes characterising every level. The EQF is focused on the learning outcomes and the person’s actual knowledge and skills rather than the amount of study needed to complete the qualification programme. All Member States shall indicate the correspondence of titles and qualifications delivered at national level with the eight levels established at European level, ranging from level 1 (the basic level, corresponding to the knowledge and skills acquired at the end of compulsory education) to level 8, corresponding to the knowledge and skills acquired at the end of a post-graduate degree course. Level 1 is characterised by: • Basic general knowledge • Basic skills required to carry out simple tasks • Work or study under direct supervision in a structured context Level 8 is characterised by: • Knowledge at the most advanced frontier of a field of work or study and at the interface between fields • The most advanced and specialised skills and techniques, including synthesis and evaluation, required to solve critical problems in research and/or innovation and to extend and redefine existing knowledge or professional practice • Demonstrate substantial authority, innovation, autonomy, scholarly and professional integrity and sustained commitment to the development of new ideas or processes at the forefront of work or study contexts including research 4 R ECOMMENDATION OF THE E UROPEAN P ARLIAMENT AND OF THE C OUNCIL of 23 April 2008 on The establishment of the European Qualifications Framework for lifelong learning (2008 / C 111/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 45 46 EUROPEAN QUALIFICATIONS FRAMEWORK: BASIC DEFINITIONS Learning outcomes means statements of what a learner knows, understands and is able to do on completion of a learning process, which are defined in terms of knowledge, skills and competence; Knowledge means the outcome of the assimilation of information through learning. Knowledge is the body of facts, principles, theories and practices that is related to a field of work or study. In the context of the European Qualifications Framework, knowledge is described as theoretical and/or factual; Skills means the ability to apply knowledge and use know-how to complete tasks and solve problems. In the context of the European Qualifications Framework, skills are described as cognitive (involving the use of logical, intuitive and creative thinking) or practical (involving manual dexterity and the use of methods, materials, tools and instruments); Competence means the proven ability to use knowledge, skills and personal, social and/or methodological abilities, in work or study situations and in professional and personal development. In the context of the European Qualifications Framework, competence is described in terms of responsibility and autonomy. In the European Recommendation it is stated that Member States shall: 1) Use the European Qualifications Framework as a reference tool to compare the qualification levels of the different qualifications systems. 2) Relate their national qualifications systems to the European Qualifications Framework by 2010, in particular by referencing, in a transparent manner, their qualification levels to the European levels and, where appropriate, by developing national qualifications frameworks in accordance with national legislation and practice. 3) Adopt measures so that, by 2012, all new qualification certificates, diplomas and ‘Europass’ documents issued by the competent authorities contain a clear reference to the appropriate European Qualifications Framework level. 4) Use an approach based on learning outcomes when defining and describing qualifications, and promote the validation of non-formal and informal learning. 4.4 T RANSPARENCY TOOLS Before adopting the Recommendation on the European Qualifications Framework, the European Union had already introduced Europass, a tool to facilitate the mobility of citizens by promoting the transparency of qualifications acquired. Europass has been established by a Decision of the European Parliament and of t he Council of 15 December 2004 on a single Community framework for the transparency of qualifications and competences 5 and consists of five elements: 5 Decision No 2241/2004/EC of the European Parliament and of the Council of 15 December 2004 on a single Community framework for the transparency of qualifications and competences (Europass). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 46 47 • Europass Curriculum Vitae • Europass language passport • Europass certificate supplement • Europass diploma supplement • Europass mobility The Europass Curriculum Vitae shall provide citizens with the opportunity to present in a clear and comprehensive way information on all their qualifications and competences. It allows to standardize qualifications, professional experience, skills and competences. The Europass Curriculum Vitae (CV) contains personal information in addition to details of any work-experience, education and training, personal skills and competences that the individual has developed even through non-traditional educational paths. Europass Certificate e Diploma Supplement are issued to individuals who have obtained a vocational training certificate or a diploma. The Certificate Supplement provides additional information regarding the award which is not available on the official certificate, such as the skills and competences acquired, the level of the certificate, and entry requirements and access opportunities to the next level of education etc. This makes it more easily understood, especially for employers and institutions outside the issuing country. The Europass Diploma Supplement is the transparency tool developed by the Council of Europe, UNESCO and the European Commission, which aims to make more readable the titles and qualifications issued in the context of academic and non-academic higher education. The document is delivered together with the titles and qualifications issued at the end of an educational path at a University or an higher education institute. The information on the Europass Certificate and Diploma Supplement is supplied by the relevant awarding body which makes the award. 4.5 K NOWLEDGE AND COMPETENCES : AN OPEN DEBATE Despite the important progress made at national and European level to promote education and training based on the concept of competence, the conceptual framework and rules for the application of a “teaching through skills” still need to be clarified. The definition: there is still no clear definition of competence; there are many definitions of this notion depending on the field (psychological, pedagogical, organizational) to which the definition refers. In addition, the distinction between the concept of competence and skill is not definite; the European Recommendation states that a Skill is the ability to apply knowledge and use know-how to complete tasks and solve problems: in the concept of skill it is already inherent the applica- Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 47 48 tive dimension of the acquired knowledge, which is used to carry out specific task. While the Competence is defined by the Recommendation as the proven ability to use knowledge, skills and personal, social and/or methodological abilities, in work or study situations and in professional and personal development. According to the Recommendation, the skill is distinguished from the competence because: – The skill is demonstrated in work or study situations and in professional and personal development (but even the possession of competences and knowledge must be proven) – To express competence it is necessary to use also personal, social and/or methodological skills. The competence thus differs from the skill because also non-cognitive resources (attitudes, etc.) are mobilized. But at school, where especially cognitive skills are used, how it is possible to distinguish competences from skills? While in the workplace it is easier (but not always) to draw the dividing-line between the skills (cognitive dimension) and competences (involving other dimensions of the person), at school this division is not clear. In particular, there is a difficulty when it is needed to define or evaluate the objectives to be achieved with regard to the acquisition of skills and/or competences related to given disciplines. A further complication is created during the Italian translation of the word “skill” which sometimes is translated with “abilità” but also with the term “capacità”. Even in Italian language there is not a clear distinction between the expression “abilità” and “capacità”. The level of acquisition/demonstration of competence: the definition of the “level” of acquisition of a competence is not easy, especially when it must be defined a performance carried out in a non-working environment. While the satisfactory execution of a professional performance can be defined through a series of indicators (for example, through the listing of operations which should be fulfilled), the definition of a satisfactory cognitive performance requires also the specification of the type of knowledge used and promoted, otherwise there is the risk to remain on a generic level. Competence teaching methods: according to the definition, the competence cannot be taught as a normal discipline; the acquisition and implementation of a competence is the result of a complex process involving the mobilisation of different resources: cognitive, attitudinal and motivational; to acquire and demonstrate a competence it is necessary to confront to real contexts. The translation of all this in the everyday school practice is obviously quite complex. Evaluation modalities: evaluation modalities of competences present different problems. It has already explained the difficulty of defining the level of competence and then to evaluate it. But competences evaluation becomes extremely difficult within the school context. In particular, when the assessment tool is the written test it hardly can be defined as a competence evaluation, in the event it can be called “skills evaluation”. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 48 49 The ambiguity is caused also by the official documents: in the text published by OECD on Pisa 2009 Assessment Framework 6 the term competence is used only in the presentation of conceptual frameworks regarding mathematics and science (where, however, it is not clear the difference between competence and skill), while in the presentation of reading literacy framework it is always used the term skill. Therefore the question that arises is: a test as those normally given in schools is able to allow the assessment of a competence? Wouldn’t it be more correct to talk about assessment of language, mathematics and science skills? In recent years a concern about the emphasis given to the use of the term competence in schools has spread, together with the fear that the emphasis on competences could decrease the attention to learning. It has therefore developed, both in Italy and in other countries, a reaction movement which has tried to bring the teaching of contents back to the centre of school activity. A debate has opened between those who highlight the need to form solid conceptual categories through learning allowing to capture and select the information that is provided by the school (Edgar Morin, quoting Michel de Montaigne, stated It is better a well made head that a full head7) and those who stress the need to acquire a solid knowledge, as a basis for the subsequent cultural and professional growth. As noted by the Ministerial Committee, which is responsible for defining the procedures for the extension of compulsory education, there is no opposition between knowledge and competences: the competence, without the knowledge giving it substance, is just an empty container. The final text presented by the Commission states 8 : “The key competences are not an alternative proposal to disciplines; on the contrary they are built using the knowledge provided by the first two years of upper secondary education institutions, starting from the cultural areas that have been identified. Disciplines and competences are the basis of a single teaching/learning process. ... The processes leading to the acquisition of key competences are therefore not intended as a new curriculum that is going to be juxtaposed to the existing ones, but as the multi and interdisciplinary goal of educational curricular activities”. To conclude, the concept of competence is important because it highlights the operational implications of knowledge, promoting the passing of abstract teaching and because it encourages a consolidation of knowledge across different disciplines. Regarding the school environment it seems that greater clarity is needed concerning the terms knowledge, skills, competences and ability in order to build unambiguous frameworks. 6 O ECD (2009), PISA 2009 Assessment Framework Key competences in reading, mathematics and science. Ed. OECD, Parigi. 7 M ORIN E. (1999), La tête bien faite. Repenser la réforme. Réformer la pensée Paris, Seuil. 8 Commission with the task to deepen the issue related to compulsory education and develop possible ways to raise compulsory education Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione March 3, 2007. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 49 51 5. The Recommendation on European Quality Assurance Reference Framework for VET (EQAVET) In recent years the quality of the educational and training institutions is object of discussion and intervention. The growing autonomy of vocational training centres and schools requires greater internal and external control on organisational processes and the results achieved, in order to ensure the efficient and effective use of public and private resources. Regarding education and vocational training, there is also the need to raise the quality of the training offer for at least three relevant reasons: • to increase the attractiveness of a training offer which is sometimes judged as “of lower rank” compared to higher and technical education; • to strengthen the capacity to response of vocational training to the needs of the constantly evolving production system; • to increase the effectiveness of the training programme, responding to the needs of different users. 5.1 F ROM INPUTS CONTROL TO OUTPUTS CONTROL The quality in the traditional school systems was ensured by controlling the “inputs”, that is the characteristics of the educational system were established: the minimum and maximum number of students per class, their entry requirements, the number of teachers per class, their certified training, the teaching programmes, the type of facility, the educational and laboratory equipment; etc... Minimum standards of quality of training have been (and still are) defined and guaranteed, on the assumption of ensuring in this way a substantial homogeneity of the results. The external controls on the results were reduced to a minimum, and their function was validating the educational path completed, more than actually verifying it. In the last twenty years it has grown the awareness that to ensure the quality of the system is not sufficient (and not even useful) to define and control the “starting” standards (inputs), but it is quite useful and necessary to define “arrival” standards. It is therefore necessary, through autonomy, to make the local educational structures able to respond to diverse needs and to focus their attention on the results (outputs); this is achieved by carrying out periodic surveys on pupils’ learning outcomes at national and international level and through other measures (for example, through the analysis of indicators of efficacy and efficiency). This approach governmental of the education system has internationally developed also thanks to the OECD work, which since the 90s has started the data collection and comparison of the different Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 51 52 national education systems through an integrated system of indicator 1 . The OECD through the PISA Project has begun 10 years ago, in the countries belonging to the organisation, a systematic survey and analysis of 15-year-old students’ learning outcomes, which is acquiring importance for the evaluation of national policies outcomes in the different countries 2 . 5.2 I NPUT - OUTPUT MODELS According to traditional input-output assessment models, the quality of an education system and its schools is determined by verifying the extent to which (output) it is possible to transform the raw material (input) following the set goals. The following elaborations and reflections on this model have led to the concept of input, by distinguishing the starting condition (the Context) from the resources supplied 3 . In any case, attention is focused on the Products (as determined in the initial objectives), representing the key litmus of the quality of education. The evaluative research has highlighted the connection between the Educational Product and the Context, and the attention that should be paid, during results assessment, on the resources employed (human, economic and structural). Therefore, the evaluation of training outcomes shall always take into account the starting points and the resources used: for example, it would be incorrect to equate the results of a school located in a wealthy area with those of a school located in a blighted area. Also the concept of objective can change, adding complexity to the assessment model: intermediate objectives can be identified close to the final objectives. However the classical input-output models have a significant weakness: the lack of mechanisms for feedback. They allow to describe the current situation, but without elements to direct the system towards improvement; it is more a quality control than a quality development. The purpose of the evaluation, however, is not only to obtain a certificate but it is necessary also to correct the system; the main purpose of the assessment is to help decision-making. It is therefore also necessary a verification of the processes, in order to understand not only the training outcomes, but also how the results have been obtained and on the basis of what processes. The reflection and the formalisation of processes is the most problematic aspect of the input-output models. It is relatively easy to evaluate, using quantitative indicators allowing comparisons in space and time, the Context, the Inputs and the Products, but it is much more complex to define the indicators to assess the processes. 1 O ECD , Education at a Glance, OECD indicators, OECD Publishing, Paris. 2 O ECD (2007), PISA 2006 Science competences for tomorrow’s world Volume 1: Analysis, OECD Publishing. 3 S TUFFLEBEAM D. et. al, (1971), Educational Evaluation and Decision Making, Itasca, IL: F.E. Peacock. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 52 53 The assessment of the training effects through the detection of outputs is further limited: it risks to be little relevant in the short term, as the impact of training is visible in medium-long term. In any case, the completeness and the systematic nature of the so-called CIPP model, namely Context, Input, Process, Product make it the most widely used to analyse the quality of education, both at single structure that at system level. 5.3 T HE PROCESS - BASED MODELS Therefore, the main problem is the connection between assessment and decision making. In the business world this issue has been faced since the ‘50s by Deming. According to Deming the principle of quality control at the end of the process is not suitable, since it acknowledges that it should exist in any case a certain amount of “waste” or “errors”, and therefore a loss, even if small, of company’s efficiency 4 . The quality control should shift the attention from the product to the processes, that is from what is downstream of production to how to handle upstream processes 5 ; in addition the principle of quality control should be replaced by the principle of total quality (because the quality concerns all stages of production, and not only the final one). Deming has introduced the quality circle: Plan, Do, Check, Act, namely: • to plan, on the basis of diagnosis made; • to do; • to check the results; • to act by correcting the errors detected, in order to improve the results. So the cycle never stops, and produces continuous improvement, another central concept of this approach. Deming’s work had a remarkable success since it has been one of the factors of rebirth of Japanese industry in the 60s and 70s (Deming was greatly appreciated for his work in Japan). In the following years the principles of total quality spread in Western countries; during the ‘90s these principles began to be applied also in the world of production of intangible goods, the world of education, school and university. Several models inspired by these principles have been created: it is enough to recall ISO, EFQM, CAF models. 4 I SFOL , A LLULLI G. and T RAMONTANO I. (2007), I modelli di qualità nel sistema di formazione professionale italiano, Rubettino. 5 According to ISO standards an activity or set of activities using resources, and managed in order to enable the transformation of inputs into outputs, can be considered as a process (UNI, Quality management systems, Fundamentals and vocabulary, December 2000). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 53 54 In order to adapt the models inspired by the principle of total quality to the training field specific regulations have been established 6 , defining the quality system as “an organizational/ managerial tool centered on monitoring/control of processes which have a direct impact on the quality product, the clear division of responsibilities and the provision of adequate resources in order to prevent problems and to ensure the compliance with the requirements of the customer and his satisfaction. It is also an instrument of continuous improvement, necessary for a competitive presence on the market”. This approach has three distinctive features: • it is focused on processes rather than on products; the underlying logic is that if the process is appropriately conducted also the product produced will comply with the requirements imposed, while the verification which is conducted only at the end of the process may not tell us anything regarding to the reasons for success or failure; in addition it is better to prevent failure by controlling the execution process, rather than simply record a failure in the end. • The second feature is that of involving management in the quality assurance process: the management is not only the user of this process but is also subject to the verification; the ability to take into account the results of the assessment by modifying the activity is not only a desired effect, but is also a process analysed by the quality system; the revision of the activity is a stage of the quality cycle. • The third characteristic concerns the concept of quality, which is not a relative concept to be defined from time to time with respect to the objectives, but an absolute concept corresponding to the way in which given criteria, previously defined by the model, are met. For example, the EFQM Excellence Model developed by the European Foundation for Quality Management, and the CAF (Common Assessment Framework) define for each predefined quality criterion a score to be attributed to the assessed institution. These features are the strengths and weaknesses 7 . Regarding the first of these characteristics, the focus on processes, while in the business sector it is reasonable to assume that a good compliance with the procedures can produce good results, in training it is not the same: the training outcomes are the result of many complex factors, even if a school strictly respects the rules and the organisational standards, the students’ results will not be necessarily positive. The evaluation of the results should therefore maintain a specific and autonomous role: it is not enough to ensure that the “quality procedures” are implemented, but it is essential to monitor the results of these procedures; the quality of training is not deduced only through the verification of the procedures but also through the verification of actual results. 6 U NI , Guidelines for the development and adoption of a quality system in training accordi ng to UNI EN 9001, Milan 1998. 7 A LLULLI G. (2007), La valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, Il Mulino, n.3/2007. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 54 55 The control of the result is often limited to the verification of customers satisfaction; but in education this is not a sufficient parameter to evaluate the students’ outcomes. In fact young users, and often their families, are unable to express a critical judgment about the contents of the training: an inexperienced user can evaluate the most tangible aspects of the service (regularity, attention to the needs of users, etc.), but it is more difficult for them to express an adequately informed opinion about the content of the teaching activity. It should also be considered that users do not necessarily express high expectations for the educational offer: for example, those who want to get a degree without excessively committing themselves in the study can get a diploma in a school where the level of training offer is not fundamental, it just allows to get a certification. Regarding the involvement of the management as “object” of assessment, it becomes a problematic aspect in the moment in which those who verify the respect of quality procedures is in a hierarchically subordinated position to the evaluated manager. This happens when quality models are a reference for the self-assessment; in this case the independence of evaluation activity may be seriously questioned, while the authority of the self-assessment is supported by objective evidence if it is focused on the results achieved and on solid empirical evidences. In short, it is not sufficient to verify the compliance with the “quality procedures”, but it is important to actually verify the results obtained in order to state whether a particular institution arranges a quality training offer or not. The models of “total quality” which have been adapted for the services and the public administration (such as EFQM and CAF) consider the assessment of the results really important (50% of the final score); it remains, however, the contradiction between the philosophy of quality assurance based on the evaluation of processes and and an approach aimed at evaluating the results. Finally, the attention given to the processes can easily end into the attention to the respect of procedures; this is a serious risk, especially in environments such as the school. 5.4 T HE R ECOMMENDATION ON THE ESTABLISHMENT OF A E UROPEAN Q UALITY A S - SURANCE R EFERENCE F RAMEWORK FOR V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING The need to closely link the evaluation with the decision making process is also the basis of the model to which the European Recommendation on quality assurance in VET refers 8 . 8 R ECOMMENDATION OF THE E UROPEAN P ARLIAMENT AND OF THE C OUNCIL of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training (2009/C 155/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 55 56 As part of the initiatives taken in the light of the Lisbon strategy, the European Union has promoted in 2000 a technical and political path aimed at strengthening the devices quality assurance in education and vocational trai support to be used on a voluntary basis by the Member States and all stakeholders to promote and monitor continuous improvement of Education and Vocational Training, according to common criteria and principles. The European Recommendation requires Member States toestablish a national strategy fitting with the European Framework of Reference. EQAVET comprises a quality assurance and improvement cycle consisting of four phases (Planning, Implementation, Evaluation/Assessment and Review/Revision ) The first phase (planning) consists in the establishment of clear, appropriate and measurable goals and objectives in term of policies, procedures, tasks and human resources. In this phase the involvement of stakeholders is crucial. The second phase (implementation) consists in the execution of the planned actions to ensure the achievement of the objectives. It is necessary that the rules and procedural steps are clear to all stakeholders. The third phase (evaluation) provides a combination of mechanisms of internal and external evaluation. The effectiveness of the assessment depends on the definition of a clear methodology and by the coherence between the predetermined objectives and indicators and data collected. In the fourth phase (review) the data collected through the assessment are used to provide the necessary feedback and the implementation of appropriate changes. In fact, the improvement is a continuous and systematic process. 9 E UROPEAN C OMMISSION (2006a), Efficiency and equity in European education and training systems, Communication from the Commission to the Council and to the European Parliament,{SEC(2006) 1096}. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 56 57 The European Model of quality Assurance As can be observed, the European model is very similar to the “Quality cycle” proposed by Deming, but in this case more emphasis is given to the control of the results. The four phases of the model are described by the Recommendation through a list of criteria and quality descriptors, exemplifying the actions to be performed for each phase. These are very useful information because give more substance to a model that might otherwise be perceived as mainly theoretical. In addition, the Recommendation proposes a set of indicators relating to different aspects of the training. The use of indicators is not compulsory, but it is a useful reference point to compare some strategic aspects of the educational process, such as the levels of participation, the educational success, the employment rate, the use of acquired skills, the inclusion for disadvantaged people, etc. 10 QUALITY INDICATORS (a) N. 1 Relevance of quality assurance systems for VET providers: a) share of VET providers applying internal quality assurance systems defined by law/at own initiative b) share of accredited VET providers N. 2 Investment in training of teachers and trainers: a) share of teachers and trainers participating in further training b) amount of funds invested N. 3 Participation rate in VET programmes: Number of participants in VET programmes, according to the type of programme and the individual criteria Planning Implemen tation Evaluation Review ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 57 58 N. 4 Completion rate in VET programmes: Number of persons having successfully completed/abandoned VET programmes, according to the type of programme and the individual criteria N. 5 Placement rate in VET programmes: a) destination of VET learners at a designated point in time after completion of training, according to the type of programme and the individual criteria b) share of employed learners at a designated point in time after completion of training, according to the type of programme and the individual criteria N. 6 Utilisation of acquired skills at the workplace: a) information on occupation obtained by individuals after completion of training, according to type of training and individual criteria b) satisfaction rate of individuals and employers with acquired skills/competences N. 7 Unemployment rate according to individual criteria N. 8 Prevalence of vulnerable groups: a) percentage of participants in VET classified as disadvantaged groups (in a defined region or catchment area) according to age and gender b) success rate of disadvantaged groups according to age and gender N. 9 Mechanisms to identify training needs in the labour market: a) information on mechanisms set up to identify changing demands at different levels b) evidence of their effectiveness N. 10 Schemes used to promote better access to VET: a) information on existing schemes at different levels b) evidence of their effectiveness (a) RECOMMENDATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training (2009/C 155/01) The European Union has requested all Member States to define a plan for quality assurance, indicating what measures intend to adopt in order to introduce the European model at national level. The EQAVET Recommendation is strictly connected to that one on European Qualifications Framework, already examined, and to that one on the recognition of credits which will be presented in the next chapter. The introduction and enhancement of a quality assurance system is a prerequisite for strengthening the context which is necessary to encourage Member States to recognise and give validity to titles and qualifications issued by other European states. It should be noted that the Recommendation on the European Qualifications Framework contains some quality principles to be respected: Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 58 59 COMMON PRINCIPLES FOR QUALITY ASSURANCE IN HIGHER EDUCATION AND VOCATIONAL EDUCATION AND TRAINING IN THE CONTEXT OF THE EQF (a) When implementing the European Qualifications Framework, quality assurance - which is necessary to ensure accountability and the improvement of higher education and vocational education and training - should be carried out in accordance with the following principles: • quality assurance policies and procedures should underpin all levels of the European Qualifications Framework, • quality assurance should be an integral part of the internal management of education and training institutions, • quality assurance should include regular evaluation of institutions, their programmes or their quality assurance systems by external monitoring bodies or agencies, • external monitoring bodies or agencies carrying out quality assurance should be subject to regular review, • quality assurance should include context, input, process and output dimensions, while giving emphasis to outputs and learning outcomes, • quality assurance systems should include the following elements: – clear and measurable objectives and standards – guidelines for implementation, including stakeholder involvement – appropriate resources – consistent evaluation methods, associating self-assessment and external review – feedback mechanisms and procedures for improvement – widely accessible evaluation results. • quality assurance initiatives at international, national and regional level should be coordinated in order to ensure overview, coherence, synergy and system-wide analysis, • quality assurance should be a cooperative process across education and training levels and systems, involving all relevant stakeholders, within Member States and across the Community, • quality assurance orientations at Community level may provide reference points for evaluations and peer learning. (a) RECOMMENDATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 23 April 2008 on establishment of the European Qualifications Framework for lifelong learning (2008 / C 111/01) Compared to the model proposed by the Recommendation on the quality, the principles of the European Qualifications Framework appear more concrete. However, there is a substantial coherence between the two documents: both emphasize some fundamental principles: • the quality assurance should be an integral part of the management of the training activity; • the quality assurance is based on the definition of clear and measurable objectives, on appropriate implementation mechanisms, on internal and external evaluation, and on feedback mechanisms to ensure the change and continuous improvement; • the results of the learning process are a key component of the assessment. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 59 61 6. The European Recommendations on ECVET and the validation of non-formal and informal learning 6.1 T HE VALIDATION AND CERTIFICATION OF PRIOR LEARNING The education systems are based on the offer of school and training courses held under the surveillance of a central authority. At the end of these paths, after the learning outcomes assessment, a degree or the corresponding qualification is issued. However, learning does not take place only in formal training, but also in training activities conducted outside the traditional educational context: in the workplace (non-formal training) or in the experience of everyday life (informal training). Generally only the results of formal learning are recognised; it is difficult to recognize the skills acquired in non-traditional contexts (the skills acquired at work, or in educational experiences abroad). But for some years new procedures have been established in the United States and in some European countries (France, UK, Netherlands, etc.) in order to recognise prior learning regardless of how it was acquired (Assessment of Prior Learning - APL). 6.2 T HE E UROPEAN C REDIT S YSTEM FOR V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING (ECVET) In order to facilitate the capitalization and transfer of learning outcomes (knowledge, skills and competences) of a person moving from a learning context to another and/or from a qualification system to another, and to support the recognition of learning outcomes regardless of where they were acquired, the Parliament and the European Council approved in 2009 a Recommendation on the establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) 1 . ECVET concerns the whole system of vocational education and training and allows to receive credits in relation to learning experiences, regardless of the fact that they were carried out within formal or non-formal paths. ECVET promotes flexibility of training systems: learning outcomes are assessed and validated in order to transfer credits from a qualification system to another, or from a training path to another. According to this system, the students can accumulate over time and obtain the recognition of lear - 1 Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the Establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) (2009/C 155/02). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 61 62 ning outcomes required to achieve a certain qualification, in different countries or in different situations without attending further vocational education and training. ECVET can be applied in a regional or national context (in case of inter-regional or formal - non formal mobility) and in case of transnational mobility. In particular, it has been created a methodological framework in order to recognise the learning acquired during periods of mobility through the definition of a common language and by stimulating mutual trust. In order to facilitate the credit transfer, the ECVET Recommendation provides a methodology for the description of qualifications in terms of units of learning outcomes, which are associated with credit points. Basically, the qualifications or education/training programmes can be divided into units or parts of units. A unit is defined within ECVET as the smallest part of the qualification, and is based on the result. The unit is the subject of evaluation and can possibly be certified. Each unit corresponds to a specific combination of knowledge, skills and competences and can be of different dimension, in accordance with the national systems of education and training. 6.3 H OW DOES ECVET WORK ? 2 ECVET is based on the following concepts and tools: • Learning outcomes • Units of learning • ECVET points, which provide additional information about units and qualifications in a numerical form • ECVET credits Just like the EQF, ECVET focuses the certification on the learning outcomes rather than on the training processes or the programmes attended. The learning outcomes are defined as sets of knowledge, skills and competences which can be acquired in a variety of learning contexts. They indicate what a person knows, or can do, at the end of the learning process. ECVET: THE METHODOLOGY ECVET breaks qualifications down into units of learning outcomes. Units of learning. A Unit is a component of a qualification, consisting of a coherent set of knowledge, skills and competence. The Units should not be confused with the elements of the teaching programme. They can be defined on the basis of the work processes which the professional figure must support corresponding to the qualification. The same unit can be part of several qualifications. 2 E UROPEAN C OMMISSION (2009), Get to know ECVET better - Questions and Answers. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 62 63 In this way, the qualifications can be compared and validated even among different countries. Each Unit can be assessed, validated and recognized. A person can achieve a qualification by accumulating the required units which have been acquired in different countries. In addition, each unit of learning can be “measured” assigning a score based on the consistency that covers compared to the overall qualification. As a reference base it is estimated that the learning after a year of education and training is equivalent to 60 ECVET points. The qualification is measured with respect to the expected time of teaching/formal learning. Then the single Units are measured. ECVET Credit for learning outcomes designates individuals’ learning outcomes which have been assessed and which can be accumulated towards a qualification or transferred to other learning programmes or qualifications. Based on this documentation, other institutions can recognise learners’ credit. The Memorandum of Understanding is an agreement between competent institutions which sets the framework for credit transfer. It formalises the ECVET partnership by stating the mutual acceptance of the status and procedures of competent institutions involved. The Learning agreement is an individualised document which sets out the conditions for a specific mobility period. It specifies, for a particular learner, which learning outcomes and units should be achieved together with the associated ECVET points. 6.4 T HE VALIDATION OF NON FORMAL AND INFORMAL LEARNING The European framework for recognition of competences has been completed by a Recommendation of the European Council of 20 December 2012; in order to give people an opportunity to demonstrate what they have learned outside formal education and training and to make use of such learning for career and further learning, the Recommendation has required Member States to establish, by 2018, arrangements for validation of non-formal and informal learning which enable individuals to: • have knowledge, skills and competences which have been acquired through non-formal and informal learning validated; • obtain a full qualification, or, where applicable, part qualification, on the basis of validated non-formal and informal learning experiences; • include, as appropriate, the following elements in arrangements for the validation of non-formal and informal learning: a. identification of an individual’s learning outcomes acquired through nonformal and informal learning; b. documentation of an individual’s learning outcomes acquired through nonformal and informal learning; c. assessment of an individual’s learning outcomes acquired through nonformal and informal learning; d certification of the results of the assessment of an individual’s learning outcomes acquired through non-formal and informal learning in the form of a qualification, or credits leading to a qualification, or in another form. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 63 64 Therefore, the Recommendation, in addition to ask the Member States to establish a framework for recognition of competences, also suggests a methodological approach, which is based on the subsequent moments of identification, documentation, assessment and certification of the results. In addition, it lists some important principles to ensure the coherence and the proper functioning of the system, including: • the need of a link to national qualifications frameworks (in line with the European Qualifications Framework); • information and guidance on the benefits and opportunities for validation; • the attention to disadvantaged groups, including individuals who are unemployed and those at risk of unemployment; • quality assurance of the validation process; • the development of the professional competences of staff involved. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 64 65 7. The European Social Fund 7.1 A TOOL TO PROMOTE HARMONIOUS ECONOMIC AND SOCIAL DEVELOPMENT OF THE M EMBER S TATES The ESF is one of the five European Structural and Investment Funds (ESIF) 1 . The Structural Funds are financial instruments supporting social cohesion in Europe focusing on the less developed regions. The ESF has been regulated by the Treaty of Rome in order to improve opportunities of employment in the Common Market and thus contributing to raising the standard of living through the promotion of employment facilities and the geographical and occupational mobility of workers. In particular the European Social Fund was intended to be a tool for supporting areas that are lagging behind or crisis situations, with particular reference to the southern Italian regions, which more than the others were likely to suffer the consequences of the enlargement of the Common Market. As a result of the continuous worsening of the employment situation and in particular of youth employment, new rules related to the tasks of the ESF have been adopted, giving priority to the measures assisting young people and the areas with high unemployment rate. The changes introduced were an important development for the Fund, which took on the character of a policy tool particularly addressed to young people aged under 25, unemployed, whose chances of finding a job were particularly low due to lack of training or inadequate training, and to people over the age of 25 in a difficult situation (unemployed or underemployed, women, disabled people, immigrants, employed in small and medium-sized enterprises). The European Social Fund finances activities in the following areas: • learning and lifelong learning for workers; • work organisation; • support to employees in restructuring contexts; • employment services; • integration of disadvantaged people into the labor market; • reforms in education and training systems; • networks of social partners and NGOs; training in administrations and public services. 1 European Regional Development Fund (ERDF), European Social Fund (ESF), Cohesion Fund (CF), European Agricultural Fund for Rural Development (EAFRD), European Maritime and Fisheries Fund (EMFF). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 65 66 It is managed by seven-year programming cycles. The level of funding varies depending on the wealth of the region. EU regions are divided into three categories of regions based on their regional GDP per head compared to the EU average: • the less developed regions, whose GDP per capita is less than 75% of the EU-27, which constitute the key priority. In the next programming period Campania, Calabria, Sicily and Puglia will be part of this group; • transition regions, whose GDP per capita is between 75% and 90% of the average GDP of the EU-27; Abruzzo, Molise, Basilicata and Sardinia will be included in this group; • more developed regions, whose GDP per capita is above 90% of the average GDP of the EU-27. This group will include the North Central regions. The regions belonging to the first category, and (in part) to the second category receive most of European funding; furthermore the share of EU funding for the various projects can be much higher. The ESF strategy and budget is negotiated between the EU Member States, the European Parliament and the EU Commission. The strategy defines the objectives of ESF funding, which it shares partly or wholly with other structural funding. The ESF funding is responsibility of the Member States and EU regions. The detailed management of programmes supported by the European Social Fund is responsibility of the Member States at national and regional level. Once the strategy and budget allocation have been agreed, a shared approach to programming is taken. Seven-year Operational Programmes are planned by Member States and their regions together with the European Commission. These Operational Programmes describe the fields of activity that will be funded, which can be geographical or thematic. The Member States designate national ESF management authorities that are responsible for selecting projects, disbursing funds, and evaluating the progress and results of projects. Certification and auditing authorities are also appointed to monitor and ensure compliance of expenditure to the ESF regulation. The implementation of the ESF on the ground is achieved through projects which are applied for and implemented by a wide range of organisations, both in the public and private sector. These include national, regional and local authorities, educational and vocational training institutions, social partners and individual companies. The beneficiaries of ESF projects are varied, for example, individual workers, groups of people, industrial sectors, trades unions, public administrations or individual firms. Vulnerable groups of people who have particular difficulty in finding work or getting on in their jobs, such as the long-term unemployed and women, are a particular target group. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 66 67 7.2 T HE P ROGRAMMING P ERIOD 2014-2020 The most important innovations for the new period concern the changes in the programming and management of the Structural Funds (ESF, EAFRD, ERDF, etc.,) through: • the principle of complementarity of the funds and the establishment of a common strategic framework to define investment priorities and focus assistance on a limited number of common thematic objectives, linked to the objectives of the Europe 2020 strategy; • the conclusion of a partnership agreement between the Commission and each Member State, for the commitment of the contracting parties at national and regional level to use the allocated funds in order to implement the Europe 2020 strategy, as well as a performance framework assessing the progress towards the commitments; • the close connection with the Stability or Convergence Programmes and the National Reform Programmes established by the Member States and with the country-specific recommendations adopted by the Council on the basis of such programmes. Since 2014 the financial burden of the European Social Fund has increased: for 2014-2020 the total budget amounts to approximately €80 billion that is more than €10 billion per year. This amount will be complemented by a series of public and private co-financing at national level of approximately €50 billion, bringing the total amount available to around €120 billion. In particular, Italy has been allocated around €10.5 billion. The Regulation (EU) No 1304/2013 sets four thematic objectives: • Promoting employment and supporting labour mobility (€4.086 billion of financial allocation for Italy); the European Social Fund will cooperate with the EU organisations to implement projects for educating citizens and helping them to find employment. Helping young people to enter the labour market will be a top priority of the European Social Fund in all Member States. • Promoting social inclusion and combating poverty (€2.269 billion of financial allocation for Italy); disadvantaged people will receive greater support so that they can better integrate into society. • Investing in education, skills and lifelong learning (€3.156 billion of financial allocation for Italy); the European Social Fund will finance initiatives to improve education and training and to ensure that young people complete their training path obtaining the skills to make them more competitive on the labour market. Among the priorities there are the reduction of the school dropout rate and the improvement of opportunities for vocational education and university. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 67 68 • Enhancing institutional capacity and efficient public administration (€593.80 of financial allocation for Italy). The European Social Fund will support the efforts of Member States to improve the quality of governance and public administration and the structural reforms by giving them the necessary institutional and administrative capacity. Funding should be more focused to achieve best results: by directing its actions on a limited number of priorities, the European Social Fund aims at ensuring the funding needed to make a real impact on the major challenges faced by the Member States. The Programming Period 2014-2020 is implemented through operational programs. Each program covers the period between 1 January 2014 and 31 December 2020 and is developed by the Member States. Regarding Education and Training, the resources of the other structural funds are added to the funding allocated by the European Social Fund, in particular the ERDF (European Regional Development Fund), which finances infrastructural and technological interventions also in the field of education. 7.3 T HE RESOURCES AVAILABLE FOR I TALY AND THE N ATIONAL AND R EGIONAL O PERATIONAL P ROGRAMMES On the basis of the guidelines included in the Partnership Agreement the National Operational Programmes (NOP) and the financing of Regional Operational Programmes (ROP) have been defined. The following table presents the main NOP being financed by the European Social Fund; to these funding those of the ERDF are added: Programme Name Resources Available (ESF) Systems of active employment policies 1.180.744.376 School 1.154.692.048 Inclusion 827.150.000 Youth Employment Initiative 567.511.248 Governance and institutional capacity 328.669.463 In each Operational Programme it is defined a strategy to be implemented in accordance with the requirements of the Union’s strategy, with the specific rules of each fund and the content of the Partnership, through modalities to ensure the effective, efficient and coordinated implementation of funds. Moreover, the priorities and the specific objectives are defined. For example, the NOP School “Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” (For the school - skills and learning environments), is divided into four Axis: • AXIS I – Education (financed by the ESF) • AXIS II – Infrastructures for education (financed by the ERDF) Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 68 69 • AXIS III – Institutional and administrative capacity (financed by the ESF) • AXIS IV – Technical assistance (financed by the ESF) Within Axis 1 (Education) the NOP School aims to support interventions to achieve the following objectives: • Reduction of early school leaving • Improvement of students’ key competences • Improvement of the ability to self-assess, to evaluate schools and innovation in teaching • Raising the level of education among adults, with particular attention to less educated • Qualification of Education and Vocational Training offer • Spread of the knowledge society in the world of education and training and adoption of innovative educational approaches The National Operational Programme “Youth Employment”, managed by the Ministry of Labour, intends to face the emergency of youth unemployment; beneficiaries of the interventions are the young NEET (not in employment, not in education, not in training), aged between 15 and 24 years old, with extension of the age up to 29 years old for some measures. Below are some actions that will be implemented with the NOP: • Reception, taking in charge and guidance of young people in search of employment, also within the Youth Guarantee Program. • Training aimed at providing the knowledge and skills needed to facilitate the employment and reintegration of 15-18 year olds in training paths (VET). • Job placement, through the exploration of the opportunities, tutoring, and matching with respect to the characteristics and propensities of the youth. • Apprenticeship: for the professional qualification and degree; vocational or trade contract; for higher education and research (issuing of University and Master degrees, PhD, ITS Specialisation Certificate) • Extracurricular internship, also in geographical mobility, aimed at facilitating professional choices and employability of young people in the transition between school and work • Civil service, aimed at providing young people up to 28 years a range of knowledge on the areas of the national and regional civil service and transversal competences. • Support to self-employment and to self-entrepreneurship for young people up to 29 years, through training and assistance for the drafting of business plan, support for access to finance, support services for the establishment of enterprise, support to start-up. • Transnational and territorial labour mobility, within the national territory or in the EU countries. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 69 70 • Employment bonus: promotion of the employment of young people by providing incentives to companies. While the National Operational Programme “Systems of active employment policies”, managed by the Ministry of Labour, will mainly implement system-oriented measures. In particular, the measures are focused on the following areas and actions: a) Promoting sustainable and quality employment and supporting labour mobility: • testing of active policies, direct interventions and actions of system and technical support; • improving the effectiveness and quality of employment services through interinstitutional cooperation for the implementation of the essential performance levels of employment services; • system action for the permanence / relocation of workers affected by crisis; • system actions generally referable to the observations and analysis on employability. b) Investing in education, training and vocational training for skills and lifelong learning: • systematization of the necessary interventions for lifelong learning supporting the agreements on educational, vocational and skills certification standards; • effectiveness of alternation school- training and job through assistance actions to the regions; • anticipation of training and vocational needs and upgrading of the skills. c) Institutional capacity • implementation of measures for the construction of an integrated information system job-training, active and passive labour policies. • interventions for the strengthening of actors’ skills in the system of active policies for employment, for the arrangement of monitoring and evaluation tools, for the promotion of the main devices on the same policies. The NOP “Systems of active employment policies” is totally financed by the European Social Fund (ESF). The budget amounts to €2.177 billion, of which €1.181 is the support of the European Union and the remaining part is the national co-financing. The vast majority of resources (84%) will be aimed at strengthening the measures of the “Youth Guarantee” to improve employment services, to combat long-term unemployment and to enhance access to employment of women, unemployed and immigrants. The following table shows the resources allocated to each region from the European Social Fund for the implementation of the ROP, the Regional Operational Programmes. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 70 71 Region Available resources Abruzzo 71.251.575 Basilicata 144.812.084 Calabria 254.339.876 Campania 627.882.260 Emilia Romagna 393.125.091 Friuli Venezia Giulia 138.213.907 Lazio 451.267.357 Liguria 177.272.384 Lombardy 485.237.258 Marche 143.989.809 Molise 23.853.230 Bolzano 68.310.599 Trento 54.989.992 Piedmont 436.145.000 Puglia 772.409.449 Sardinia 221.253.335 Sicily 615.072.321 Tuscany 366.481.608 Umbria 118.764.401 Valle d’Aosta 27.786.275 Veneto 382.015.911 TOTAL 5.974.473.722 The themes of the regional strategy are developed within a programme structure including five Priority Axis, developed on the basis of the priorities set by the European Social Fund. • Axis A - Employment • Axis B - social inclusion and fight against poverty • Axis C - Education and Training • Axis D - Institutional and administrative capacity • Axis E - Technical assistance As stated above, the resources provided by other Community funds, in particular by the ERDF (European Regional Development) as regards structural measures and the EAFRD (European Agricultural Fund for Rural Development) are added to those of the Social Fund. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 71 73 8. The evolution of European educational systems in the context of the Lisbon challenges The process of reflection and dialogue on international training needs and on the need to innovate educational systems has given a boost to the process of school reform in European countries. It is not possible to say that the time and the way these national reforms were made were dictated by Brussels, but it is undeniable that the growing international comparison within the European Union and the inputs originated from the analysis conducted by the OECD 1 have increased the awareness of the different countries to adjust their educational system and training in order to meet the challenges which are highlighted in the various offices. Looking at the major educational and training reforms which have been implemented within recent years, one can observe two different approaches to educational policy. The first approach, a more traditional one, is substantially centred on changing the regulation of the educational system, redirecting or redeveloping the resources allocated to the system (teachers, schools) or by introducing new processes, or correcting the existing ones. The second approach, which has developed in Europe since the last decade of the last century, is focused on the control of results and is defined outcome driven (or performance-based) approach 2 . These two approaches differ from each other, but they are not mutually exclusive, since the strategies that motivate the latter approach do not deny the importance of process innovation, but are based on the principle that only a strong focus on the results achieved is able to encourage schools to improve processes. 8.1 T HE POLICIES FOCUSED ON THE INNOVATION PROCESS The principle underlying the policies focused on the innovation process is that to improve the school system, it is necessary to modify its structure, based on the needs resulting from an analysis of its functions and from the requests of the stakeholders (families, head teachers, teachers, and public opinion). 1 Consider the fact that OECD indicators on students’ learning mechanism have a great impact on the public opinion. 2 A LLULLI G. (2011), Le politiche scolastiche e l’Output Driven Approach, in Scuola Democratica, n.3, Guerini and associates, Rome. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 73 74 The implemented policies, which could be traced back to this category, are various but in particular the following policies can be mentioned: • The extension of compulsory education (and initial vocational training). • The school curriculum reform. • The assignment of new resources (especially for those areas at risk) or the reallocation of the existing ones. • The teachers’ recruitment, training and career reform. In the following paragraphs it will be examined what has been done in Europe in recent years regarding this type of intervention. 8.1.1 The extension of compulsory education The results of national and international surveys, such as the OECD-PISA survey, show that an early channelling of the students (under 14 years of age) can damage the equality of opportunity without improving the students’ performance. Furthermore, the students’ selection criteria are often conditioned by social factors and not by the performance. Therefore, in order to ensure all students a basic education, adequate to provide the knowledge and skills necessary for a conscious continuation of schooling and training, or to enter the labour market and the society, most of the European countries have increased the duration of compulsory education until the age of 16; Hungary up to 18 years, with a full-time attendance. A growing number of countries are choosing a mixed model to extend compulsory school by integrating part-time attendance with different forms of work experience; among these there are Germany, Belgium, the Netherlands and Italy, which have extended the compulsory attendance up to the age of 18, but with a part-time modality (alternating school and work). The United Kingdom is considering this possibility. Other countries have decided to lower the school starting age or have made preprimary school attendance compulsory. However it has emerged that the compulsory attendance of general and longterm courses tend to demotivate the students less inclined to study, pushing them to abandon their studies. Therefore some countries, especially France, Spain and the United Kingdom, after extending compulsory education to full-time until the sixteenth year of age, had to introduce new training courses or a more flexible curriculum to offer the students more options to suit their interests and prevent early school leaving; they have also introduced new disciplines, more connected with the “real” world, in order to increase the students’ motivation, especially of those less inclined. Also Italy, by extending the period of compulsory education until the sixteenth year of age, has given students the opportunity to choose among different courses of study, including vocational education and training, in the last two years of compulsory education. While in German-speaking countries, students are channelled at the age of 11 between two types of studies, either academic or vocational. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 74 75 Terminal Education Age for Compulsory Education NUMBER OF COUNTRIES 1 18 1 17 18 16 12 15 As a result of these policies, a greater number of young people has graduated from secondary school: according to surveys conducted by the European Commission, the percentage of young people who graduated from high school has increased from 76.1% in 2000 to 78.5% in 2008, although the majority of European countries is still below Lisbon’s target (85%). Finland, Sweden, Ireland, Cyprus and several Eastern European countries (Poland, Czech Republic, Lithuania, Slovakia, Slovenia) have already reached the European benchmark, while Malta, Spain and Portugal are below 70%. Italy, Bulgaria, Lithuania, Malta and Portugal have made the strongest progress since 2000. During the same period there has been a slight improvement regarding the European average dropout rate, which has dropped from 17.6% to 14.9%. 8.1.2 The curriculum reform The curriculum reform is another objective that many European governments want to achieve in order to improve the education system. First of all, based on the debate internationally developed with reference to the European Recommendation issued at the end of 2006 on this subject (see par. 3.1), many countries have acknowledged the importance for students to acquire some key competences useful for active citizenship, social cohesion and employability by the end of compulsory education and training, regardless of the type of course of study chosen. In particular, some European countries (France, Spain, Italy, UK, and Sweden) have reformed their compulsory education curricula taking into account the eight European key competences, introducing the acquisition of citizenship basic skills among the objectives to be achieved. An important example that is often used as a reference for this European movement is the Common Base for Knowledge and Skills, which was introduced in the French education system in 2006. THE COMMON BASE FOR KNOWLEDGE AND SKILLS (FRANCE) The implementation of the common base has been set in Article 9 of the Fillon law of the school reform on the 23 of April 2005 and it states that “the compulsory education must guarantee every student the acquisition of a common base consisting in a set of knowledge and skills necessary to successfully complete their schooling, to continue their training in order to build their personal and professional future and become actively involved in social life”. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 75 76 The common base thus refers to compulsory education, with the ambition to be the necessary and essential foundation for lifelong learning. Compulsory education cannot just be reduced to the common base, even if it is a foundation, since it does not replace primary and secondary school programmes. Its peculiarity lies in the willingness to give meaning to school culture, taking the point of view of the student and building bridges between disciplines and programmes. The common base defines what nobody can ignore by the end of compulsory schooling. The school shall provide all the tools so that each student’s ability can be developed. To master the common base, means being able to use what you have learned in complex tasks and situations, first at school, then in life; it also means having the abilities to continue to develop the own skills throughout life and to be able to become actively involved in society. The common base is acquired gradually from kindergarten to the end of compulsory schooling. Each skill requires the contribution of several disciplines, and on the other hand, each discipline contributes to acquire more skills. All subjects taught in elementary school and in the collège (French middle school), including physical education, arts and music education, have a role in the acquisition of the base. In Italy, in order to define the guidelines for extending compulsory education the Ministry of Public Education has set up a commission that drafted a document entitled Guidelines on How to Extend Compulsory Education3. The Commission has been working in the wake of the European Recommendation citizenship skills, characterized by cultural and cross-sectional components, the first ones have been highlighted as cultural strategic axes while the second ones as cross-sectional competences. The Commission has specifically established: • four strategic cultural axis: the languages axis; the mathematics axis; the sc ience and technology axis; the social and historical axis; • Eight cross-sectional competences: learning to learn, planning, communicating, to collaborate and participate, problem solving, acting independently and responsibly, to find connections and relations, acquiring and interpreting information . Based on the proposal of the Ministry of Public Education, the Commission has issued the regulations governing the extension of compulsory education 4 . CROSS-SECTIONAL COMPETENCES FOR COMPULSORY EDUCATION (a) • Learning to learn: to organize own learning, identifying, choosing and using various sources and various means of information and training (formal, non-formal and informal), also depending on the available time, own strategies and method of study or work. 3 The Commission has the task to investigate the issue related to compulsory education and develop possible ways aimed to extend compulsory schooling Guidelines on how to extend compulsory education 3 March, 2007. 4 Ministry of Public Education Decree of 22 August 2007, n. 139 “Regulation regarding the fulfillment of compulsory education, according to Article 1, paragraph 622 of the Law of 27 December 2006, n. 296” by the Official Gazette n. 202 of 31.08.2007. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 76 77 • Planning: to develop and carry out projects concerning the development of own study and work activities, using the acquired knowledge to establish important and realistic targets and the related priorities, considering the constraints and opportunities, defining action strategies and verifying the results achieved. • Communicating: – To understand different types of messages (journalistic, literary, technical, scientific) of different complexity, delivered by using different linguistic styles (oral, mathematical, scientific, symbolic, etc.) through various media (paper, computer and multimedia). – To represent events, phenomena, principles, concepts, rules, procedures, attitudes, moods, emotions, etc. using different linguistic styles (oral, mathematical, scientific, symbolic, etc.) and different disciplinary knowledge through various media (paper, computer and multimedia). • To collaborate and participate: interacting in a group, understanding the different points of view, enhancing its own capacity and that of others, managing conflict, contributing to common learning and to the realization of joint activities, in recognition of others’ fundamental rights. • Acting independently and responsibly: Knowing how to actively and consciously integrate oneself in social life and to assert its own rights and needs while recognizing those of others, the common opportunities, limits, rules, responsibilities. • Problem solving: facing problematic situations building and verifying hypotheses, identifying the sources and appropriate resources, collecting and evaluating data, suggesting solutions using subjects and methods from various disciplines, depending on the type of problem. • To find connections and relations: to identify and represent, developing consistent arguments, connections and relationships between phenomena, events and different concepts, even from different disciplines, and distant in space and time, understanding the systemic nature, identifying similarities and differences, consistencies and inconsistencies, causes and effects and their probabilistic nature. • Acquiring and interpreting information: to acquire and critically interpret information received in the various areas and through different communication tools, assessing the reliability and usefulness, distinguishing facts and opinions. (a) Ministry of Public Education Decree of 22 August 2007, n. 139 “Regulation regarding the fulfillment of compulsory education, according to Article 1, paragraph 622 of the Law of 27 December 2006, n. 296” by the Official Gazette n. 202 of 31.08.2007 8.1.3 Assigning new resources (especially for areas at risk) Teachers tend to avoid, where possible, schools located in disadvantaged areas, therefore in these schools we usually find the less qualified teachers who often try to get transferred into other schools producing a continuous turnover. In many European countries, in order to enhance the quality of training, the training path has been improved especially in those areas socially and culturally disadvantaged. We can remember among other things, the Excellence in Cities programme(5) introduced in the UK in 1999, and the initiative of the Areas of priority education, which were introduced in the French educational system in 1982 (see the table below). These measures also provide better salaries for teachers for encouraging them to stay in Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 77 78 schools located in disadvantaged areas. However, it has been observed that the impact of the financial incentives over the teachers’ choices is very limited 5 ; to be effective the financial incentive should be quite significant 6 . ZONES D’ÉDUCATION PRIORITAIRES (AREAS OF PRIORITY EDUCATION) The policy of the Areas of Priority Education (Zones d’éducation prioritaires – ZEPs) was introduced in France in 1982 to overcome the academic failure of disadvantaged students. Originally, the program was supposed to be temporary, but it has been confirmed and extended to many schools until it reached 15% of the students distributed among 800 priority areas, mostly located in urban areas. To encourage schools to develop projects and partnerships at the local level, the programme has provided additional resources through: • the reduction of the class size • the allocation of economic and legal incentives to educators • the allocation of additional resources to schools • the increase of the number of teaching hours. The programme has faced problems such as: • the difficulty of families to cope with the educational needs of the students, given their low socio-cultural level • the need to overcome inequality prematurely • the concentration of disadvantaged students within the same class • the lowering of teachers’ expectations • the teachers turnover and the difficulties for the ones recently hired. About two-thirds of the new teachers hired have begun their career as substitute in schools classified as “difficult” or in a priority area. The results of the programme were considered low, since both the social composition of the students enrolled in ZEP schools (the stigma of ZEP dismissed students who could enroll elsewhere) and the quality of the teachers have worsened, mainly because of the difficulties in teaching in these priority areas that have resulted in the most experienced teachers to “runaway”. Eventually, there were no significant improvements in the results of the students attending schools in these areas. The results have revealed the need to concentrate more resources on a smaller number of schools in greater difficulty. Therefore, the French government has introduced the tools to select the best schools to include in the programme. The new programme, launched in 2006 (“Ambition reussite”), was more selective, based on the use of more trained and experienced teachers. Also it provides wage incentives to encourage experienced teachers to apply to teach in these areas, and instituting special teaching groups to provide teachers with no experience, strategies to improve the academic performance of the students. 5 B ENABOU R., K RAMARZ F., P ROST C. (2005) The French zones d’education prioritaires: much ado about nothing? Discussion paper serie No. 5085 , Centre for Economic Policy Research. 6 H ANUSHEK E.A., K AIN J.F. and R IVKIN S.G. (1999), Do Higher Salaries Buy Better Teachers?, Working Paper No 7082, National Bureau of Economic Research, Cambridge, MA. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 78 79 8.1.4 The teachers’ career reform According to the OECD 7 you can define two basic models chatacterising the profession of teachers: the model “based on career” and the model “based on location”. In the model based on career, the management of teaching staff is generally centrally organised. Access to the profession is based on academic qualifications and/or on passing an entrance examination and the teachers are usually assigned to different schools according to fixed rules. The career progression follows predetermined criteria (often considering seniority rather than the results of the activity). France, Italy and Spain are examples of countries in which we can trace many elements of this system. In models based on location, management and recruitment of the teaching staff are held by the local authority or by the individual school. It is up to schools or local authorities to select the most suitable candidate for each position, by external recruitment or internal promotion. This model enables a more flexible access to the teaching profession; for example, it is relatively common for older candidates or applicants with other careers to access education, as it is common to go from teaching to other careers. The career development of teachers depends on the success in the competition for the job vacancies, and the number of places available for higher level is usually limited. Sweden, Switzerland and the United Kingdom all have a system which is similar to this model. In school systems with a model based on career, the political concerns are the lack of incentive for teachers to continue their training, once they have been hired, and the strong emphasis placed on the regulations that limit the ability of schools to respond to local needs. Therefore, the priority in countries with systems following this model, is the introduction of policies defining more flexible working relations, allowing local education authorities and school principals a broader leeway and management by objectives. In those countries where schools systems have a model based on the location, it has been often registered a high staff turnover, especially in disadvantaged areas. Since this model allows the adoption of more flexible rules for the recruitment of staff, there are often disparities between schools in terms of qualification and experience of the teachers. The political priorities in these countries concern the designation of uniform criteria at a system level for the selection of teachers and the evaluation of their performance. The recruitment and training of head of school are also extremely important. The schools located in disadvantaged areas should be provided with more resources to enable them to compete in the recruitment of high quality teachers; There is also the need to increase the distinctionin wages and working conditions in order to attract the teachers less willing to move into these areas. 7 O ECD (2005), Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers, Education and Training Policy, Paris. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 79 80 Many countries have tried to raise the status and quality of teachers, both through better selection and training, and through an improvement in their status and career. As for the recruitment and training of teachers, the reforms that have been carried out in recent years have tried to introduce a more accurate selection and have enabled apprenticeship during the initial training, they have also introduced incentives to encourage the participation to in-service training, and finally promoted study periods abroad for foreign language teachers. Regarding the career, it has been attempted to introduce a greater flexibility in professional positions, to decentralize staff decisions by giving more power to principals and local authorities, to increase the salary of teachers in areas at risk, to develop new systems to evaluate teachers (self-evaluation, external evaluation, tests and measures of added value), and finally to introduce incentives and distinction in salary. In particular, many efforts have been made to develop new systems for evaluating the performance of teachers and provide them with incentives. For the evaluation of teachers different methodologies have been used 8 : • External inspections, carried out on behalf of the national authorities (like in France, in collaboration with the headmaster) or regional (like in Germany or Austria, but only for career progression). The classroom observation, interviews, and the material prepared by the teacher are the typical methods used for this type of evaluation. • Self-evaluation at a school level. This methodology was developed from 90’ onwards; It can be used in its own right, or it can be used as a basis for external evaluation. In the UK, Czech Republic, Estonia and Hungary, self-evaluation includes the analysis of teachers’ performance. • Internal evaluations, conducted by the head of school (usually the principal). This method has been in place in Belgium, Czech Republic, Lithuania, Austria, Romania, Slovenia, the Netherlands, France (in cooperation with the supervisors) and the United Kingdom. • Results of the students, considering the added value gained by the pupils of the teacher. In Ireland, Norway and Sweden, the emphasis is on the evaluation of the school unit, rather than on the assessment of individual teachers. Only in five countries (Denmark, Finland, Greece, Italy and Spain) teachers are not regularly evaluated once in service. 8 E URYDICE (2008), Levels of Autonomy and Responsibilities of Teachers in Europe, Eurydice network, Bruxelles; O ECD (2005) Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers Education and Training Policy, Paris. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 80 81 THE MERIT PAY According to the OECD, 11 countries, out of 29 examined, link teachers’ salary to their performance. This type of policy is called Merit-pay, or compensation linked to merit. In the US, eight states and many school districts link teachers’ salaries to the pupils results, generally measured through tests. The opinions on this policy are controversial. In favour of this policy, it has been observed, that introducing awards for teachers and giving incentives increases the commitment and performance; the incentive and the highest salary also make the teaching profession more attractive and able to attract the best candidates. The opponents, however, argue that the Merit-Pay programme produces a heavy bureaucratic burden, because it requires the construction of complex databases. In addition, competition among teachers, which is solicited, impairs cooperation within the school, which instead is a fundamental dimension of effective teaching. It is also pointed out that the success of the students, especially the disadvantaged, is difficult to measure and that teachers could be encouraged to alter the results of the students to improve their position. 8.2 T HE POLICIES CENTERED ON THE CONTROL OF RESULTS Faced with the growing dissatisfaction with the actual impact of the reforms on the improvement of educational process and the performance of students, a political school of thought has gradually developed, overthrowing the reformer approach; instead of intervening on the processes, waiting for their innovation to produce improvements in students’ performance, it is considered more effective to put the results directly in the center of the reform policy in the belief that greater attention to the performance of students will push schools and teachers to change the teaching approach, in order to make them more effective. This will lead schools (which are granted a wider organizational autonomy),to think thoroughly about their teaching methods, the real improvement of the teachers’ performance and therefore of the students’ results. School policies centered on the control of the results are largely based on: • the definition of clear and measurable goals and targets: goals to be achieved are defined, also indicating the precise levels and quantities involved, using indicators; • the definition of learning outcomes: studies and training are defined in terms of results to be achieved, rather than in terms of programs, schedules and disciplines to be studied; • granting more autonomy to schools: staff and heads of school are granted a broadest powers in the field of resource management, recruitment, teaching and school activity organisation; • evaluating students’ results through the use of objective tests: instead of traditional examinations, which do not allow a real appreciation of the results achieved, standardized tests are introduced, allowing the verification of students’ achievement level and a comparison between schools; Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 81 82 • the responsibility of the school for the results achieved: the results are communicated outside the school, and the school must be accountable to the authorities and the students’ families; • the introduction of an evaluation system for teachers: a system monitoring the activity of the teacher, his professional commitment, the results achieved by the students, either through external inspections or through the analysis of students’ performance in objective tests; • the granting of awards to schools and teachers based on their results; instead of the traditional career’s mechanisms, based on seniority, it has been introduced a mechanism linked to actual merit; • granting families the possibility to choose: the families are offered information tools on the actual quality of the schools, in order to make an informed choice, and regulatory tools to allow a choice not constrained by the place of residence. The main objective is to introduce a competitive system based on the free choice of citizens-consumers, although remaining within the public service supply. This approach is getting increasingly popular in many European countries (including Italy); in the United States and in England it has been at the center of the reform strategy (see file on the English Reformation); in many other European countries it has been introduced a system of evaluation of schools or of the school system (see file). The increased attention to the assessment of learning outcomes has been also supported by the debate which has developed in Europe. The development of the evaluation activity is strongly linked to the growth of the autonomy of schools. During the last 20 years in most European countries a process of decentralization has gradually developed; it has been attributed to a growing responsibility of schools regarding the organisation of training courses. Supporters of this approach reveal that the improvement of educational systems derives from a better management of each individual school, since teachers and heads of school have reference tools to compare their results and assess their weaknesses and strengths. Moreover, schools have to compete to be chosen by the students’ families and therefore should strive to improve; also, the introduction of a reward system for schools or for teachers boosts competition. Meanwhile the families are more informed about the performance of the individual schools and can choose the best ones; and this strengthens the virtuous circle between evaluation and improvement. Lastly, this approach allows for better management of the educational system at a central level, since policy-makers and education authorities are better informed about the results actually achieved at national and local level and may take the consequent decisions, both at a system level and at a school level (rewarding the best schools, or supporting, or closing, the disadvantaged ones). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 82 83 THE EVALUATION OF EUROPEAN SCHOOL SYSTEMS The evaluation of the school is a widespread approach and it is used in the field of European quality assurance. In 26 countries, both the external and internal evaluations of the school are carried out. Self-evaluation was introduced in many countries (such as the UK, Denmark, Netherlands, Sweden, Czech Republic and Austria) as a practice of quality and quality improvement; self-evaluation often is the starting point for an external evaluation. The criteria and indicators for self-evaluation can be established at a national level. Over the past decade the expectations on internal evaluation of schools in Europe have grown. Since the early 2000s, the state of internal evaluation of schools went from recommended or possible to compulsory for a dozen educational systems. Currently the regulations at a central level, state that the internal evaluation is compulsory in 27 educational systems. Where internal evaluation is not compulsory, it is usually recommended. The only countries in which schools are not obliged or encouraged to carry out an internal evaluation are Bulgaria and France, the latter only for primary schools. In most countries, the external evaluation is up to the Inspectorate, who manages the evaluation activities under the responsibility of the central or regional authorities. Inspectors often use standard criteria for school evaluation. Czech Republic, Germany, Spain, Austria, United Kingdom, Netherlands, Bulgaria, Lithuania, Portugal, Estonia and Poland are part of this category. In most cases, the external evaluation of the school focuses on a wide range of school activities, including educational and management activities, students’ achievements, as well as regulation compliance. The evaluators base their work on an established framework that sets not only the focal points of the external evaluation, but also the rules defining a ‘good’ school. A dozen educational systems do not follow this model. Some approaches to the external evaluation of schools focus on specific aspects of the school work, such as regulation compliance (Estonia, Slovenia and Turkey). In Sweden, the Inspectorate has autonomy regarding the evaluation criteria to be considered and defines them based on the Education Act, on school regulations and on the curricula for compulsory education. In the second group of countries, local communities and the local government have a strong responsibility concerning the evaluation of schools; sometimes the evaluation conducted at a local level is integrated with the use of standardized tests at a national level. The Nordic countries, Belgium and Hungary are part of this group. However, even in these countries, the external evaluation of schools is becoming increasingly important: Denmark and Sweden, where the evaluation system was mostly focused on the local authorities, have strengthened the role of central authorities in the external evaluation of schools. In Czech Republic, the Netherlands, Portugal, Sweden, United Kingdom and Iceland, the results of the external evaluation of schools are published when they are evaluated by external evaluators (in most cases inspectors), who prepare their reports for the central authorities. In Sweden and Iceland, the results of the evaluations conducted at the local level are regularly published. In Hungary and Poland, the decision is made, respectively, at the local and regional level; sometimes the evaluation results are published. Finally, in a few other European countries there is no real system for the external evaluation of schools, because the autonomy of schools is more limited. In these countries, the Inspectorate carries out a more formal role, or assesses the performance of individual teachers, as it is in France. Schools can lead initiatives of self-evaluation, but without having any standard criteria available as a reference to this activity. However, even in these countries initiatives have been promoted for the introduction of an external evaluation, through the use of standardised tests or other instruments. France and Bulgaria are part of this group. Italy has recently launched its own system as we will see later 9 . 9 E URYDICE (2004), Evaluation of Schools providing Compulsory Education in Europe, Brussels and E URYDICE (2007) School Autonomy in Europe Policies and Measures Eurydice network, Brussels; E URO - PEAN C OMMISSION / EACEA / E URYDICE (2015), Assuring Quality in Education: Policies and Approaches to School Evaluation in Europe. Eurydice Report. Luxembourg: Publications Office of the European Union. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 83 84 The critics of this approach emphasise that the methodology for evaluating the school and students’ performance is flawed under many aspects. In particular, it is criticised the emphasis given to the administration and analysis of objective learning tests, which are the key element to the entire reform. These tests focus the attention of teachers and schools to few disciplines (usually linguistic and mathematical competences are evaluated through these tests), emphasising beyond measure their importance in comparison to other subjects, which end up being neglected. The teaching of these two subjects are likely to be overly focused only with the purpose of passing the test (teaching to the test is the term commonly used in English-speaking countries to indicate that teaching is aimed for students to pass the test) . Another problem encountered in the analysis and the use of objective tests results is the great influence of the socio-cultural family background. In fact the results of the tests have generally a high degree of correlation with the environment, so the results of the students (and therefore of the teacher or the school that prepared them) should always be interpreted in the light of the characteristics of the family environment. In the United States we speak of “Volvo effect” in the sense that to predict the results of the students’ tests it would be enough to count the number of luxury cars at the entrance of the various schools. Obviously this does not mean that the tests are not reliable, but rather the result of school activity is strongly influenced by the characteristics ascribed to students. Therefore those students attending schools located in socially advantaged areas tend to perform better than those who attend schools in socially disadvantaged areas, but this is not due to the teachers but to the students’ social background, which strongly influences the performance. That is why, in order to assess the results of the teacher’s work the “added value” should be measured, in other words what the student has actually learned through school activities; this is done using comparable tests at the beginning and at the end of schooling, and analysing the difference between the two results. English speaking countries have shown great interest towards this process, but it is not easy to implement, especially on a large scale, because it assumes the existence of very large archives and especially the stability of the students and the teachers, both of which are not features of our system. Another risk, related to the measurement of the added value and any other assessments of the school and teachers’ performance carried out measuring the students’ productivity, is the possibility for schools to choose only well-prepared students, or the excessive selection during the course of study, to get the best final results. Schools, in order to achieve better results could exclude the students considered “difficult”. In France in order to overcome this phenomenon calculations have been introduced to evaluate the performance of students in different schools and regions. The average advantage or disadvantage that is encountered at the national level by the student of a particular socio-economic background is subtracted to the result of the various schools. In this way the “social background” factor is cancelled. The effect of early school leaving is also considered. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 84 85 Furthermore, the comparison between the results obtained in different tests, from year to year, is not without difficulty and possibility of error. Critics of this system argue that this approach is controversial not only from the methodological aspects, but also from the viewpoint of improving the system. Families choosing among schools want to choose the best school and not those who obtain the highest added value results. The schools located in disadvantaged areas may be abandoned in favour of those located in richer areas, even if their performance improves from year to year. THE EDUCATION REFORM ACT (UNITED KINGDOM 1988) In 1988 the British government launched the Education Reform Act, which introduced a national basic curriculum that all schools were required to apply. It was also introduced a new evaluation system; this system includes inspections managed by the Office for Standards in Education (OFSTED, an independent body of the Ministry of Education) and standardised tests to assess the level of learning achieved by students in English, mathematics and science for each of the key age (7, 11, 14 and 16 years old). The assessment results are used to evaluate the performance of schools operating within the public system, which are financially autonomous. Every year they set the lists of schools (league tables) based on the testing results; the rankings are published in local and national media to encourage accountability of the school towards: • central and local authority and the governing body of the school (which includes family representatives, teachers and the local community), • citizenship in general, • families, to encourage their school choices. The accountability of the school is ensured through systematic inspections regularly organized by groups of inspectors appointed by the OFSTED. The teams carry out very thorough inspections to schools, based on analytical models previously prepared and similar for all inspections. During these inspections, extensive data and materials on the operation of the school are collected, numerous interviews to teachers and students are conducted, meetings with the students’ families are held, the teaching process is observed. At the end of this collection of information they prepare a rather analytical assessment report (with a variable length, from 60 to 100 pages), containing both indicators compared with national averages, and subjective analysis of the school functions, which are then summarised in a final judgement. These reports are sent to the OFSTED and to the Department for Education for the necessary decisions (schools showing major problems are in fact placed under observation), made public through the mainstream media, and widespread on the Internet. A negative result of the inspection requires schools to prepare an improvement plan to overcome the weaknesses identified. In the absence of an improvement within the specified time, the school could be closed or completely renovated, according to the possibility of redistributing the students in other institutions after the dismissal of the staff. Since 2002 the measures for the added value have been introduced. They measure student achievement compared with other students who previously had had similar results. This is a most accurate method of measurement since the input levels of the students are very different. Also contextual elements are taken into account, such as: • The gender • The first language • Membership to different ethnic groups ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 85 86 • Special educational needs • Economic status. Despite the efforts to improve the testing quality, the criticism about their side effects are still strong. A report of the Children, Schools and Families Committee10 concluded that “the use of national test results for the purpose of school accountability has resulted in some schools emphasising the maximisation of test results at the expense of a more rounded education for their pupils; ‘teaching to the test’ and narrowing of the taught curriculum are widespread phenomena in schools, resulting in a disproportionate focus on the ‘core’ subjects of English, mathematics and science and, in particular, on those aspects of these subjects which are likely to be tested in an examination” 11 . 10 A Committee of the Parliament of the United Kingdom who monitors the expenditure, administration and policy of the Ministry of Education. 11 H OUSE OF C OMMONS (2008), Testing and Assessment Children, Schools and Families Committee, Third Report of Session 2007–08. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 86 87 9. The Impact of the Lisbon Strategy on the EU Member States and the Italian Vocational Education and Training System 9.1 T HE RECOGNITION OF THE RIGHT TO LIFELONG LEARNING As we have said many times in these pages, the central objective of the Lisbon strategy is to foster the transition from an education and training focused on the early years of life to a continuous access to training opportunities in all its types, formal, informal and non-formal, which is developed throughout life. Even in Italy, after a long debate, the importance of this strategy has been sanctioned through the promulgation of the Law of the 28 June 2012, n. 92 (called Fornero Law), introducing in Italy the system of lifelong learning. LIFELONG LEARNING ACCORDING TO THE FORNERO LAW 51. In line with the European Union, the lifelong learning refers to any activity, formal, non-formal and informal undertaken by people in the various stages of life in order to improve their knowledge, skills and competences, within a personal, civic, social and employment perspective. Its policies are determined at a national level in agreement with the Joint Conference, proposed by the Minister for Education, University and Research and the Ministry of Labour and Social Policy, after consulting the Minister of Economic Development and the social partners, starting from the identification and recognition of the professional and cultural heritage collected by citizens and workers in their personal and professional history and to document it with the full implementation of a single information backbone through the interoperability of the central and territorial databases. 52. Formal learning refers to what takes place in the vocational and education training and in universities and other institutions of higher artistic education (in art, music and dance), culminating in the achievement of a degree or a qualification or a vocational degree, also achieved through an apprenticeship under the single text of the legislative decree 14 September 2011, no. 167, or by a recognized certification. 53. Non-formal learning is characterized by a deliberate choice of the person, and it is achieved outside of those systems specified in paragraph 52, in each body pursuing education and training purposes, also as a volunteer, in the national civil service and private and social enterprises. 54. Informal learning means that, even apart from a deliberate choice, learning takes place in the performance of everyday life activities and in the situations and interactions that take place in it, within working, family and leisure contexts. 55. By the same agreement referred to in paragraph 51 of this Article, in line with the principle of subsidiarity and respecting the overall Regions programming, after consulting the social partners, addresses for the recognition of general criteria are defind and also priorities to promote and support the creation of local networks that include all education, training and work ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 87 88 services organically linked to strategies for economic growth, access to employment for young people, the welfare reform, active ageing, the exercise of active citizenship, also by immigrants. In such contexts, are considered priorities all actions concerning: a) support to the people for the construction of their own formal, non-formal and informal paths as referred to in paragraphs 51 to 54, including the working path, highlighting and identifying peoples’ competence needs in relation with the territories and productive systems’ needs and with particular attention to language and digital skills; b) the recognition of credits and the certification of learning acquired through other means; c) the use of lifelong guidance services. As stated by the Joint Conference of State-Regions-Local authorities 1 , the more significant scope introduced by recent legislation is the configuration of a person’s right to learn (to be able to access and take advantage of real and significant educational and training opportunities throughout its life, and for the knowledge and skills acquired in a non-formal and informal way to be recognised). The Agreement signed at the Joint Conference also points out five priorities: • increasing the number of companies in support of lifelong learning; • reinforcing activities of lifelong guidance; • skills development of specific vulnerable or disadvantaged targets; • access expansion through specific tools for transparency and development and integration of lifelong learning services; • improving the relevance of education and labour market training To achieve these objectives it is necessary to set up a range of services across the country: • territorial networking services as the backbone of the lifelong learning system; • activities of lifelong guidance; • a system for the identification and validation of learning and for skills certification; • an information system to monitor, assess, track and storage the released documents. Therefore the lifelong learning system refers and includes the areas of formal, non-formal and informal learning. It is designed to support a person throughout its life, even in a perspective of employment and active citizenship. The role of “non-formal” learning in local networks, is one of the novelty factors with higher quality. In fact, the non-formal training course enriches the cultural and social contexts of territories, playing a specific role that cannot be replaced, which integrates the role of the formal, public and private learning. In this context, non-profit organizations, can get in touch with citizens often at risk of social exclusion, thanks to non-frontal and interactive methodologies, to training flexibility, to interpersonal relationships and to the integration between social services and cultural offerings. 1 Joint Conference: Agreement between the Government, Regional and Local Authority on the Document Entitled: “Strategic Lines of Action with Regard to Lifelong Learning Services and the Organization of Local Networks.” July 10, 2014. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 88 89 9.2 T HE IMPACT OF THE E UROPEAN R ECOMMENDATIONS ON V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING S YSTEMS The Copenhagen process and the 3 European Recommendations have generated a diversified impact on Vocational Education and Training systems, some countries were more ready to implement the Community’s requests, also because the debate developed at a European level and the following recommendations were influenced by the culture and structures of these countries, which found themselves naturally aligned with the guidelines issued. In fact the technical and vocational training displays different characteristics from country to country 2 , in contrast to pre-academic institutions, like high school that may be called with different names in every country (Gymnasium in Germany, Sixth Form in Great Britain, Lycee Cor B in France, etc.) but shows a somewhat similar configuration. The reason for this difference probably lies in the fact that classical education or other traditional high schools refer to formalized knowledge, within the primarily communal cultural tradition that has been established in Europe, while vocational training has been strongly conditioned by the economic systems and local production structures of the various European countries. In particular, the strong business demand seems conditioning the system’s development, where the production system is more steady; bigger is the effect on the training system, which therefore differs noticeably from that of the school system. Each national system thus appears highly specific; however, despite the diversity of the different approaches there are two basic models: • the French model, in which the initial vocational and education training are strongly integrated in the secondary school system, representing one or more training courses; for instance the Licee professionel, leading to the certificate d’aptude professionel (Cap), or to the brevet d’etude professionel(BEP); other examples come from the Scandinavian countries (Sweden, Finland), in which the training courses are fully integrated into secondary schools, to the point that (in Sweden) a part of the curriculum of vocational training is common to the curriculum of academic courses. • The German and English model, in which the two systems are completely separate. In these two countries, by the age of 16 after the compulsory schooling period, the division between academic courses and vocational training courses (Berufschule in Germany, Further Education in the UK) is quite clear. In Germany the two systems divide when the students are 15/16 years old, although 2 T REELLLE (2008), Technical education: an opportunity for young people, a necessity for the country Quaderno n. 8. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 89 90 already at 11 years old the German students must choose (or they get selected for) the school course which will prepare them for the next step. At the end of middle school (articulated in Gymnasium, for those who will continue high school studies, and in Hauptschule and Realschule for those who will continue technical and professional training) they can choose the Gymnasium (high school), or to access a dual system apprenticeship, alternating the professional training with Berufschule attendance (vocational school). In the United Kingdom after the end of the Comprehensive school, which accommodates all young people up to the age of 16, even allowing a large number of options, students can continue, if they have good grades, to Sixth Form (two-years school before University), or access one of the many opportunities offered by Further Education, a non-scholastic system that prepares young people to enter the working world and it consists in a varied number of training courses either fulltime or part-time. Among the countries that are part of the first model, vocational education is mainly full-time, even if companies offer long-term internships. Among the countries belonging to the second model, companies have a key role being the training provider; especially in Germany, where training is “dual”, since the internship is partly carried out in the company and partly in school. Italy belongs to the first model. One of the reason of the problems of our education and training, lies in the weakness of the relationship that has developed between school and business, also because of the development model of our production system, which after the 60’s and 70’s, era of the great industries, has increasingly faded into an economy based on medium, small and micro companies. These companies live on short-term contracts and seek professionals ready to work immediately; therefore it becomes difficult to invest in training and research. This is the difference between Italy and the other countries, such as Germany, where the production system is built on bigger companies, therefore the production system invests more, both in training and research 3 . In this situation the Italian school, facing with the problem of connecting with the production society, has tried to find within itself the reasons of its own existence; developing in a self-referential circuit, for which the reasons of the existence of the school have been sought within the same school culture, rather than in engaging with the external culture of the growing society, and the call for change from the working world. 3 A A . V V . Education for Citizenship, Work and Innovation: the German Model and Proposals for Italy, In I numeri da cambiare, Treelle e Fondazione Rocca, January 2015. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 90 91 However the European attention to the strengthening of the links between education, vocational training and the working world has led to the establishment in Italy of a new type of training course, the Istruzione e FormazioneProfessionale (IeFP, Vocational Education and Training), to establish a closer relationship between these different worlds. This type of training, which has been rapidly growing within recent years, has been conceived to offer an opportunity to the young people who wished to pursue a vocational path by the end of middle school, guiding them within three years to achieve a qualification and a diploma. The monitoring report conducted by ISFOL on this sector 4 shows that the total enrollment for the year 2012-13 amounted to over 300,000 units. Meaning that our country is undergoing a process in which the education and working worlds are finally approaching one another, proved also by the launch of the Istituti Tecnici Superiori (ITS, Higher College of Tecnology), providing a higher specialization to secondary school graduates, and by the initiatives to have apprenticeships also in secondary school. 9.2.1 The impact of the Recommendations on the establishment of a European Quali - fications Framework (EQF) The Copenhagen process and the European Recommendations still affect the different systems. For example, regarding the introduction of the European Qualifications Framework, the framework of all the titles and qualifications within a single frame, and the emphasis on learning outcomes are part of the tradition of countries like United Kingdom and Ireland, whose education system has privileged for a long time, the evaluation of the results rather than the management processes. In the UK, educational institutions have considerable autonomy, but there is a strong focus on the evaluation of the obtained results, through the standardization of qualifications. Ireland also follows a similar approach to system management, and since 2004 has introduced a national qualifications framework. Therefore Ireland, Malta and the United Kingdom were the first European countries to submit their national reference report, which put the national titles in correspondence with the eight European levels. The European Commission’s report on the implementation of the EQF 5 Recommendation highlighted that in 2008, three Member States already had a national qualifications framework and four Member States had referenced their national 4 I SFOL , VET a Professionalising Sector a.f. 2012-13. 5 E UROPEAN C OMMISSION (2013), Report from the Commission to the European Parliament and the Council. Evaluation of the European Qualification Framework (EQF). Implementation of the Recommendation of the European Parliament and the Council on the Establishment of the European Qualifications Framework for Lifelong Learning, Brussels, 19.12.2013 COM(2013) 897 final. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 91 92 qualifications systems to the EQF by 2010. By June 2013, twenty Member States had submitted their national reference reports to the EQF. The remaining countries (eight Member States, four candidate countries and Norway) are expected to complete their referencing process in 2013-14. Presentation of the national reference reports to the EQF (First Stage of the EQF Reccomendation) - 2013 By the end of 2010 FR, IE, MT, UK 2011 BE-vl, CZ, DK, EE, LT, LV, NL, PT 2012 AT, DE, HR, LU 2013 BG, IT, PL, SI More delays have instead occurred in the implementation of the second stage of the EQF Recommendation, or the indication at the appropriate level of the European Qualifications Framework for all new qualification certificates, diplomas and Europass documents issued by competent authorities. Even in Italy there has been a movement of resettlement of vocational qualifications in favor of greater comparability on a national level. Through subsequent agreements established in the State-Regions conference 6 , 22 terminal qualifications for the three-year course and the vocational course were identified. At the end of 2012 Italy has submitted their final reference report, indicating which of the 8 European levels correspond to the titles and qualifications issued in our country 7 . In the following page the referencing framework is presented 8 : 6 Agreement Conference of State July 27, 2011 - Development of IeFP regime; Agreement State-Region 19 January 2012 integration qualifications IeFP repertoire. 7 State – Regions Agreement 20/12/2012. 8 For more information on the described processes and to download the Italian referencing report, please visit http://www.isfol.it/eqf. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 92 93 1 MIUR/Education Lower secondary school Threeyear vocational school 2 3 4 5 6 Compulsory education certificate Upper secondary education diploma Vocational schools Higher technical specialization certificate Higher technical education diploma Bachelor’s degree First level academic diploma MIUR or Regions, according to the type of education pathway Regions Regions MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR Regions End of the first twoyears: High Schools, Technical schools, Vocational schools, threeyear and fouryear VET pathways Threeyear VET pathways Fouryear VET pathways Fiveyear Upper secondary schools (Licei) (Higher education and research apprenticeship programme) Fiveyear technical schools (Higher education and research apprenticeship programme) Fiveyear vocational schools (Higher education and research apprenticeship programme) Higher Technical Education and Training pathways (IFTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Higher Technical Education pathways (ITS) (Higher education and research apprenticeship programme) Threeyear bachelor’s degree courses (180 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Threeyear courses (180 credits ECTS) EQF Level TYPE OF QUALIFICATION COMPETENT AUTHORITY RELEVANT EDUCATION/ TRAINING PATHWAY Lower secondary school leaving diploma Professional operator qualification diploma Professional operator certification Professional technician diploma Upper secondary education diploma High Schools (Licei) Upper secondary education diploma Technical schools MIUR Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 93 94 Academic specialization diploma (II) Higher specialization diploma or Master (II) Research Doctorate (PhD) EQF LEVEL ISSUED BY 3 Professional Operator Certification TYPE OF QUALIFICATION 4 Professional Technician Diploma Regions Regions EQF LEVEL TYPE OF QUALIFICATION COMPETENT AUTHORITY RELEVANT EDUCATION/ TRAINING PATHWAY 7 8 Master’s degree Academic specialization Diploma (I) Higher specialization diploma or Master (I) Academic Diploma for research training Specialization diploma Second level university master First level university master Second level academic diploma MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR Twoyear courses (120 credits ECTS) Minimum two years courses (120 credits ECTS) Minimum one years courses (min. 60 credits ECTS) Threeyear courses (Higher education and research apprenticeship programme) Threeyear courses Minimum two years courses (120 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Minimum one year courses (min. 60 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Two year master’s degree courses (120 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Minimum one year courses (min. 60 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Minimum two years courses (120 credits ECTS) Minimum one years courses (min. 60 credits ECTS) Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 94 95 Lastly, we must remember that the National Directory of qualifications was regulated by the Legislative Decree 13 of 2013 and that it consists of all the repertoires of education and training qualifications encoded at national, regional or autonomous province level meeting certain requirements of the decree. 9.2.2 The impact of the European Recommendations on the European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) and the Recognition of Skills Acquired in Non-Formal and Informal Contexts The European credit system for vocational education and training has proved to be a rather complex tool to be implemented. The Evaluation Report of the European Recommendation 9 states that mobility projects based on ECVET believe that the main obstacles to transfer learning outcomes include: a) a different terminology to describe learning units, modules, credits, and other relevant elements, b) the incompatibility of the national credit systems with the ECVET (leading to the inability to use the credits to transfer learning outcomes) c) and the heterogeneity in the quality of training courses and assessment. The lack of guidance in the national education and training systems to the ECVET, a poorly developed legal framework at a national level (for example, the recognition of credits), administrative burdens and the difficulties in applying ECVET methodologies are some of the key issues that have slowed down the participants to use ECVET as a tool for future mobility. Units of learning outcomes in ECVET mobility projects were more likely to be recognized and rewarded, where the concept of unity existed in its national system. For short-term mobility projects, the organizational papers of ECVET (Learning Agreement, Transcript of Records, and the Memorandum of Understanding) represent the most important elements to the initiative. These papers, in particular, have helped to increase the mutual trust between senders and recipients, thus potentially encouraging a long-term mobility. It is completely different when we talk about the skills acquired in non-formal and informal backgrounds, we find the European countries on very different positions. Some countries have set up validation devices already established and functioning within their education system. The following chart illustrates the model of assessment of learning outcomes which was developed in France. 9 P UBLIC P OLICY AND M ANAGEMENT I NSTITUTE (2014), Implementation of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training(ECVET), Final Report, 2014. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 95 96 THE ASSESSMENT OF LEARNING OUTCOMES IN FRANCE 10 France has a long tradition in the field of validation of non-formal and informal learning and the national qualifications system is strongly connected with the labour market. In the 90’s the concept of Validation des Acquis Professionnels (VAP) was introduced into the French Law: people who had at least five years of work experience could be evaluated in order to obtain certifications and ministerial qualifications pertaining to secondary and higher education. To obtain the certification or the title, the subject must produce a portfolio containing the details of the activities and competences exercised, which is examined by a panel of assessors who can decide the number of credits granted or the type of studies necessary for the subject to qualify or the required title. In 2002 the system for validation of work experience has been extended to all types of qualification and certification through the concept of Validation des Acquis de l’Expérience (VAE). The concept of VAE stresses the importance of the summative assessment, namely to the acquisition of a title or a diploma rather than parts or sections of the training. The access to the experience validation for the achievement of a formal title is currently a right for all individuals who have gained at least three years’ work experience. In order to prepare and coordinate the operational framework of the initiative, in January 2002, the Commission Nationale de la Certification Professionnelle(CNCP, Nation Commission for Vocational Certification), was created with the task of: • activating and updating the Répertoire national des certifications professionnelles (National Directory of Vocational Certifications); • monitoring the adoption of the education system and labor market reforms; • supporting the agencies and organizations that deal with the validation and examinations for qualification. The Répertoire national des certifications professionnelles contains about 15.000 different qualifications of which, 11.000 academic, 700 of second level, 600 certificates of vocational skills, 800 certificates of business skills issued by companies and another 400 certificates issued by different organizations. Currently, the VAE device provides an evaluation conducted by accredited agencies (including the Skills Assessment Centre) on the basis of a portfolio of experiences presented by the applicant and verified by a panel of evaluation or a practical test. Evaluation standards (référentiels) are defined by the type of qualification and can be changed and updated. The decision to grant or not the title is collective and it is based on the overall assessment of the capacity and the expertise owned and declared by the subject. Parallel to the VAE, the Skills Assessment system plays an important role in the French validation system: the evaluation of skills is an activity conducted jointly by an individual and by one or more experts in order to investigate, define and describe the acquired skills. As part of the VAE, in fact, the Skills Assessment system is used to identify the skills that a subject may be examined for, therefore becoming a step within the VAE process. By the end of the assessment, the Accredited Centre advisor prepares a summary paper, in partnership with the candidate, to develop the skills assessment and to establish a relation with the objectives and expectations of the subject. The individualized approach allows providing suggestions and recommendations for the access to training courses and to the recognition of individual credits. 10 The description of the French model is taken from the ISFOL book (1997), Experiences of validation of non-formal and informal learning in Italy and in Europe, edited by Elizabeth Perulli, I SFOL publisher, Rome. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 96 97 The Libretto Formativo del Cittadino11 (Citizen’s Training Booklet) was introduced in Italy in 2005, it is a tool designed to collect, synthesize and document the different learning experiences of the working citizens, and the skills they have acquired: in school, in training, at work and in everyday life. The booklet is the key instrument for transparency in lifelong learning. It becomes a tool for transparent and formalized documentation of data, information, certifications, and it can be used by the individual in his training, growth and job mobility. The objectives of the booklet are: • to provide information on the subject and on his formal, non-formal and informal résumé, for job searching, job mobility and for the transition from one educational system to another; • to make the skills acquired, recognizable and transparent in order to support employability and professional development; • to help individuals maintain awareness of their own cultural and professional background and to guide the choices and future plans. However, the implementation of recognition of acquired competences system is still a long way to go, because beyond identifying and making acquired skills transparent, it is necessary to introduce a shared recognition of the owned skills within a formalized system of qualifications. As mentioned above (par. 8.1 and 8.2.1), after the publication of the European Recommendation ECVET a significant step forward has been made: • Through Fornero Law, introducing territorial networks, and including all the services of education, training and work, the recognition of credits and the certification of learning acquired have been incorporated into priority actions (b, paragraph 55, art. 4 of the Law of 28 June 2012, n. 92). • Through the Legislative Decree 13 of 2013, which formally established the National Directory of qualifications, made up of all the repertory of education and training qualifications encoded on a national, regional or autonomous province level. National Directory of Education and Training Qualifications (art. 8 Legislative Decree 13/2013) 1. In accordance with the commitments undertaken by Italy at a Community level, in order to ensure the mobility of people and facilitate the matching of supply and demand in the labor market, the transparency of learning and needs, as well as the wide range of use of certifications on a national and European level, without new or increased burdens on public finances, the National Directory of education and training qualifications has been established, in Article 4, paragraph 67, of the Law of 28 June 2012, n. 92 11 Ministry of Labour and Social Policy, Decree 10 October 2005 Approval of the model of citizen’s training booklet. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 97 98 2. The national directory constitutes of reference framework for skills’ certification, through the gradual standardisation of essential elements, even descriptive ones, of education and training titles, including vocational training and vocational qualifications and because of the possibility to link them also through the European shared system of credits recognition. 3. The national directory consists in all the repertoires of education and training titles, including vocational training and vocational qualifications also mentioned in Article 6, paragraph 3, of the Consolidated apprenticeship act, in the Legislative Decree 14 September 2011, n. 167, codified at a national, regional or autonomous province level, publicly recognised and meeting the following minimum standards: a) identification of the public authority; b) identification of the qualifications and skills that make the repertoires; c) reference report of the qualifications, and where applicable, to the statistical codes in reference to economic activities (ATECO) and to the nomenclature and classification professional units (CP ISTAT), in compliance with the national statistical system regulations; d) Reference report of the qualifications of the repertoire to the European Framework of Qualifications, carried out through the formal inclusion of the same in the national process of EQF referencing. The national institutional framework has been set and within it we can find a complete recognition system of acquired skills. The Ministry of Labour has prepared a ministerial decree draft to define the procedures, in agreement with the Regions. Finally we have to remember the regional initiatives, which are introducing systems for the detection and the recognition of acquired skills as part of active policies to encourage outplacement 12 . 9.2.3 The impact of the European Recommendations on EQAVET The European Recommendation on quality assurance in VET is part of a varied European context regarding the development of training system quality assurance methods. The tools of certification are widespread, they can refer to the ISO normative (widely followed in Italy) or the EFQM model or to other similar ones, which share the principle of focusing on the processes. In Ireland, Denmark, Finland, the Netherlands, Sweden and the United Kingdom the educational structures must have by law an internal quality management system (EFQM, ISO 9000, or another model). Some of these models can lead to the release of “quality labels”, certifying to the public the possession of certain requirements. Also in Ireland, Denmark, the Netherlands and the United Kingdom, there is a crossing between self-evaluation and external evaluation. The latter has many aspects, and it can be directed both to support educational institutions and to their management. 12 See for example Veneto Region, Guidelines for the Validation of Skills Acquired in Non-Formal and Informal Contexts, 2012. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 98 99 In Austria, Romania, Finland, Hungary, the quality assurance systems have been reinforced both by enhancing the self-assessment, as in Finland, and by enhancing the role of the external evaluation, which is entrusted to the management of Inspection teams. Another method often used in quality assurance of training providers is, accreditation. The accreditation, according to the CEDEFOP, is a quality assurance process under which the competent legislative or professional authority formally recognizes that an education or training program, meets certain standards 13 . It is a method used particularly when the curriculum is delivered by private authority. Finally, almost all European countries have developed a system of indicators covering all major aspects of their education and training systems, which are normally used to monitor the evolution of the system, but can also be used to reward the most worthy educational institutions, as it is in Finland, where part (so far limited) of the training centers’ funds are linked to results. According to the results of a survey carried out by the EQAVET Secretariat and the external evaluation requested by the European Commission 14 , more than 20 Member States have strengthened their approaches to quality assurance, and the EQAVET Recommendation has directly influenced the national system reform in 14 countries (BG, CZ, EL, HU, HR, MT, RO, FYROM, and BE FR, ES, IT, LV, LT, SL). Most approaches involve both the initial training and the training organised at the institutional level with public funding. Some of these countries were already basing on approaches compatible with the EQAVET Recommendation and therefore did not need to significantly change their system. To this day, most of national education and training systems of the EU ask the providers of Education and Vocational Training to respect standard quality, which are part of the legal system or constitute the condition to obtain accreditation and funds. Almost all Member States collect data to improve the effectiveness and efficiency of their systems and have developed appropriate detection methods using questionnaires and by collecting data and indicators; also in most cases Member States publish the information collected on the results of the evaluation activities. However, this does not mean that the implemented processes are regularly reviewed and that plans for change are carried out, given the fact that the survey shows that only about a third of the countries regularly review their process resulting in action plans 15 . 13 C EDEFOP (2008), Terminology of European education and training policy, A selection of 100 key terms, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg. 14 ICF GHK, Evaluation of implementation of EQAVET Final report, 2013. 15 European Commission, Report from the Commission to the European Parliament and the Council on the implementation of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training, Brussels, 28.1.2014 COM(2014) 30 final. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 99 100 As for Italy, the organization of the quality assurance activities for education and vocational training, changes depending on whether the activities related to the training course field are either controlled by the Ministry of Education (Technical and Professional Institutes) or by Regions (Vocational Education and Training and continuing education). Regarding training courses controlled by the Ministry of Education, there has been a significant change with the development of the National Evaluation System. THE LAUNCH OF THE NATIONAL EVALUATION SYSTEM Also in Italy the national evaluation system has been finally launched, after some locally conducted tests (among which the assessment carried out by the evaluation committee of Trento was particularly significant, it has introduced the activities of self-assessment based on a set of indicators collected at a school level, in order to give schools the opportunity to meet with other schools, the committee of Trento also introduced the external evaluation of schools, although only experimentally 16 ), and tests carried out at a national level (as for instance the project Vales, developed by Invalsi). The regulation No. 80 of 2013 (Regulation on the national evaluation system in education and training) formally introduces the evaluation system and the subsequent ministry guidelines that take into account the foreign experiences, as well as the discussions about the experiments carried out in these years, avoiding some of the most common risks; in fact it states: • the purpose of the evaluation has no rewarding or punishing intent but aims to improve the quality of service; • the intertwining between self-assessment within an institution (based on test results and indicators provided by the Ministry of Education) and external evaluation; • the integration of quantitative and qualitative analysis, and between the various tools (tests and indicators) that can represent the complexity of school; • the need to take into account the influence of the social and economic context; • the functional connection among various organizations (Invalsi, Indire, Inspectors), who interact on the basis of clearly defined roles, with the coordination entrusted to INVALSI, which is also responsible of issuing an annual report. Therefore, schools, based on the model prepared by Invalsi, will have to collect the required indicators, analyse them and prepare a Self-Evaluation Report (SER), identifying strengths and critical aspects of the educational activity. This must be followed by the preparation and implementation of an improvement plan in order to solve the problems found. Each year a sample of schools is also subject to external evaluation by teams of specialised inspectors and other experts. This system covers all types of education and therefore also technical and professional institutes, Education and Vocational Training (IeFP). It cannot be said that the establishment of the National Evaluation System is a direct consequence of the EQAVET Recommendation or if anything has been accelerated as a result of the Recommendations submitted by the European Union to the 16 A LLULLI G. (2007), School Evaluation: a Problem of Governance, in Business Services, Il Mulino, No. 3 / 2007. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 100 101 Italian government, following the severe economic and financial crisis of 2011. However, although the Regulation No. 80 and the subsequent implemented measures show no reference to the EQAVET model, the philosophy of the new evaluation system, aimed at improving the training course through an assessment cycle, both internal and external, is in line with the Community EQAVET model. As for the technical and vocational institutes it must be observed that the Regulations related to the new organization of Secondary education (including the technical 17 and vocational 18 schools), explicitly recalls the European Quality Framework introduced by the EQAVET Recommendation, stating: “With subsequent decrees of the Minister for Education, University and Research in consultation with the Minister of Economy and Finance, ... (c) indicators for evaluation and selfassessment of technical institutes, also with reference to the European Quality Assurance Framework of Vocational and Education Training are defined” (Article 8 of the Regulations). The Ministry of Labour and Social Policies, the Regions and Autonomous Provinces as a strategy to ensure the quality of training courses, have introduced the accreditation of training structures; it is an institutional activity through which each Region and Autonomous Province sets the rules, parameters and results to be achieved and maintained by the organisations that contribute to the provision of educational services using public funds. The accreditation mechanism, introduced in 2001, is conceived to monitor the quality of training activities, both preventive, through the verification of the possession of certain minimum requirements and during the provision of these services. The State-Regions Agreement of 20 March 2008, in line with the debate on the quality of education and training developed by the EU, has started the second “generation” of accreditation, whereof the main objectives are the promotion, awareness and valorisation of the accreditation as a quality tool, with specific attention to the evaluation of the effectiveness and efficiency of training services in terms of employment and learning outcomes. The organisations providing accredited training courses at a local level must therefore make a gradual transition, from a predominantly organisational focused management to the adoption of an approach focused on the quality of the performance achieved and all the factors related to training product and its effects, rather than to those related to the process. The analysis of the new regional accreditation system conducted by ISFOL found that the Italian accreditation system, and in particular the latest version of 2008, uses different indicators required by the EQAVET Recommendation. From the results of the comparative analysis, 17 Regulations concerning the reorganization of the technical institutions under Article 64, paragraph 4, of the Decree Law of 25 June 2008, n. 112, converted into law on Aug. 6, 2008, n. 133. 18 Regulations concerning the reorganization of vocational schools in accordance with Article 64, paragraph 4, of the Decree Law of 25 June 2008, n. 112, converted into law on Aug. 6, 2008, n. 133. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 101 102 ISFOL has provided tips on how to develop the vocational training system in line with the EQAVET Recommendation. These tips refer to: a) the strengthening of regional accreditation devices: the analysis found a high degree of consistency with the EQAVET Recommendation, but there is still room for improvement regarding the training of trainers (in terms of number of users and resources), companies satisfaction assessment, users working results, the prescription of structured procedures for analysing needs; b) the introduction and strengthening of different devices according to the needs analysis and, above all, to survey tools for the detection and evaluation of the users and companies satisfaction; c) the construction and strengthening of regional information systems (in connection at national level) for the collection of data on vocational training; in particular the data which the information systems could collect from providers are the following: • ownership of a quality certificate by the accredited facility • number of workers participating to training or continuos training course and amount of funds invested; • dropout rate and education success rate; • employment rate; • coherent employment rate; • number of participants to educational events from vulnerable groups. ISFOL also notes that the EQAVET Recommendation and accreditation acts on fields which are not superposable: • The Recommendation frames the quality assurance throughout the whole planning- management-rating-review cycle, while accreditation is a device to access the training system evaluating the meeting of requirements and the recent years performance; • The Recommendation refers both to the quality of the systems and the quality of VET providers while accreditation covers only the latter; • EQAVET Recommendation focuses on the quality of both education and training systems while the accreditation devices regulate exclusively the access to training systems at a regional level. Thus, accreditation is only one of the devices which Italy can use in the implementation of quality assurance devices in line with the guidelines of the EQAVET Recommendation 19 . An overall description of national strategies adopted or to be adopted with regard to the Recommendation on quality implementation, can be found in the National Plan for the quality assurance system of vocational education and 19 I SFOL , Quality and Accreditation, edited by Sandra D’Agostino, in Isfol Research Paper Series No. 17 - October 2014. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 102 103 training, developed by the Ministry of Labour and Social Policy, the Ministry of Education, University and Research, and by the Regional and Autonomous Provinces Coordination with the technical assistance of ISFOL 20 . The Plan, which was prepared in response to the requests of the European Recommendation, has conveyed a systemic view of the various initiatives already in place in the field of the quality assurance of Vocational Education and Training system in Italy and of the expected developments to implement the requests of the European Recommendation. 9.3 C ONCLUSION The results of the Lisbon Strategy are subject of debate among conflicting opinions. Regarding the aspects specifically targeting Education it can be said that the Lisbon Strategy has produced important results for the future of European educational systems. The attention to the enhancement and development of human capital, the promotion of a lifelong learning system, the consolidation of training systems, whether academic or vocational, the shift of attention from the teaching process to the learning process, the focus on results achieved rather than the path taken, the emphasis on the educational system quality and the integration between training policies and labour policies are key elements of a strategy which aims to equip European education and training systems for a future in which knowledge and skills are destined to play an increasingly important role, for the individuals and for the social and economic systems, while the learning process will be more and more the result of multiple processes, both formal and informal. The implementation of this strategy, however, shall face some important issues: • The first one concerns the actual ability of the public and private production system to use and promote the available human capital. Despite the many rhetorical statements that we may read or hear, the available data show that not only the public and private investment in training is quite low, and even tends to decrease, but also that human resources, where available, are often undervalued and that their individual competences and skills are not recognised. • The second one concerns the persisting difficulties of communication among the various subsystems of education: University, school and vocational training. The institutional, cultural and objective differences make the organisation of a unitary system really difficult. • The third issue concerns the operational application of some key concepts, such as the skills or the credit, whose application, in the different subsystems often meets practical difficulties not easy to overcome. 20 I SFOL , the National Plan for the guarantee of quality of Vocational and Education Training, October 2011. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 103 104 • The fourth one concerns the need to remove social and cultural conditioning preventing a large part of the population, usually the less educated part, to fit into a logic of updating and development of their own competences and knowledge. The path of EU countries to achieve the Lisbon process and the 2020 Strategy is not easy at all and Italy is one of the countries starting from a disadvantaged condition; however, with the appropriate adjustments and adaptations, this is the path which best prepares to face the future. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 104 105 Bibliography A A . V V . (2015), Educare alla cittadinanza, al lavoro ed all’innovazione. Il modello tedesco e le proposte per l’Italia, In I numeri da cambiare, Treelle e Fondazione Rocca. A LLULLI G. (2007), La valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, Il Mulino, n. 3/2007. A LLULLI G. (2009), La Raccomandazione europea per la garanzia di qualità dell’istruzione e della FP, in Professionalità n. 106 La scuola ed., Brescia. A LLULLI G. (2011), Le politiche scolastiche e l’Output Driven Approach, in Scuola Democratica n. 3, Guerini e associati, Rome. A LLULLI G. (2013), L’autovalutazione d’Istituto (con F. Farinelli e A. 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The Lisbon Strategy............................................................................................... 7 1.1 Knowledge-based Society, Human Capital and Lifelong Learning.................. 7 1.2 The Lisbon objectives ........................................................................................ 10 1.3 The Copenhagen process for Vocational Education and Training ................... 12 1.4 The instruments of the Copenhagen Declaration ............................................. 14 1.5 The Lifelong Learning Programme and the mobility actions........................... 16 2. Towards Europe 2020 ............................................................................................ 19 2.1 The strategic framework for the renewed European cooperation in education and training for the decade 2010-2020 ....................................... 21 2.2 The Youth Guarantee......................................................................................... 28 2.3 The Erasmus Plus Programme.......................................................................... 28 2.4 New priority areas for European cooperation in education and training........ 30 3. The European benchmarks ................................................................................... 33 3.1 A strategic role for indicators ........................................................................... 33 3.2 Indicators and benchmarks for monitoring progress towards the Lisbon objectives ........................................................................................ 36 3.3 Six new benchmarks for 2020 ........................................................................... 39 4. The debate on competences and the European Qualifications Framework..... 41 4.1 Between knowledge and skills........................................................................... 41 4.2 Key competences for Lifelong Learning ........................................................... 43 4.3 The European Qualification Framework (EQF)............................................... 44 4.4 Transparency tools ............................................................................................ 46 4.5 Knowledge and competences: an open debate ................................................. 47 5. The Recommendation on European Quality Assurance Reference Framework for VET (EQAVET) .......................................................................... 51 5.1 From inputs control to outputs control ............................................................. 51 5.2 Input-output models........................................................................................... 52 5.3 The process-based models................................................................................. 53 5.4 The Recommendation on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training............................................................. 55 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 107 108 6. The European Recommendations on ECVET and the validation of non-formal and informal learning ................................... 61 6.1 The validation and certification of prior learning............................................ 61 6.2 The European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) ...................................................................................... 61 6.3 How does ECVET work?................................................................................... 62 6.4 The validation of non formal and informal learning ........................................ 63 7. The European Social Fund.................................................................................... 65 7.1 A tool to promote harmonious economic and social development of the Member States......................................................................................... 65 7.2 The Programming Period 2014-2020 ............................................................... 67 7.3 The resources available for Italy and the National and Regional Operational Programmes ........................................................... 68 8. The evolution of European education systems in the context of the Lisbon challenges......................................................................................... 73 8.1 The policies focused on the innovation process................................................ 73 • 8.1.1 The extension of compulsory education ............................................... 74 • 8.1.2 The curriculum reform.......................................................................... 75 • 8.1.3 Assigning new resources (especially for areas at risk)......................... 77 • 8.1.4 The teachers’ career reform .................................................................. 79 8.2 The policies centred on the control of results ................................................... 81 9. The impact of the Lisbon Strategy on the EU Member States and the Italian Vocational Education and Training System ................................. 87 9.1 The recognition of the right to lifelong learning .............................................. 87 9.2 The impact of the European Recommendations on Vocational Education and Training Systems................................................ 89 • 9.2.1 The impact of the Recommendations on the establishment of a European Qualifications Framework (EQF) ................................. 91 • 9.2.2 The impact of the European Recommendations on the European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) and the Recognition of Skills Acquired in Non-Formal and Informal Contexts ................................................. 95 • 9.2.3 The impact of the European Recommendations on EQAVET............. 98 9.3 Conclusion......................................................................................................... 103 B IBLIOGRAPHY ................................................................................................................. 105 C ONTENTS ....................................................................................................................... 107 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 108 109 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 109 110 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione, 2014 2015 PELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rapporto finale, 2015 ALLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NICOLI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 110 111 CNOS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referendum dell’autovalutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FA, 2015 MALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOSFAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. 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Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 111 112 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. 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Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 112 113 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 113 114 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 114 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Febbraio 2016 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 116

From the Lisbon Strategy to Europe 2020

Autore: 
Giorgio Allulli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2016
Numero pagine: 
114
Codice: 
978-88-95640-95-2
Giorgio A LLULLI From the Lisbon Strategy to Europe 2020 Anno 2016 Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 1 Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’A NDREA : Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila D RAZZA : Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FIAT GROUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo A LIQUÒ , Gianni B UFFA , Roberto C AVAGLIÀ , Egidio C IRIGLIANO , Luciano C LINCO , Domenico F ERRANDO , Paolo G ROPPELLI , Nicola M ERLI , Roberto P ARTATA , Lorenzo P IROTTA , Antonio P ORZIO , Roberto S ARTORELLO , Fabio S AVINO , Giampaolo S INTONI , Dario R UBERI . ©2016 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 2 INDEX I NTRODUCTION . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. The Lisbon Strategy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. Towards Europe 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3. The European benchmarks . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 4. The debate on competences and the European Qualifications Framework . . 41 5. The Recommendation on European Quality Assurance Reference Framework for VET (EQAVET) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 6. The European Recommendations on ECVET and the validation of non-formal and informal learning . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 7. The European Social Fund . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 8. The evolution of European education systems in the context of the Lisbon challenges . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 9. The impact of the Lisbon Strategy on the EU Member States and the Italian Vocational Education and Training System . . . . . . . . . . . . . . . . 87 B IBLIOGRAPHY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 C ONTENTS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 3 Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 3 5 INTRODUCTION This text is about both EU policies promoting the development of European educational systems in order to face the challenges posed by the process of globalisation and the policies pursued by EU Member States in response to the solicitations at European and global level, with particular attention to Education and Vocational Training. In particular, the text examines the policies pursued since the Lisbon Strategy was launched, in 2000, until the development of the strategy for 2020. It was a very intense phase for the European activity in this area because, in the context of the Copenhagen process, the enhanced cooperation has taken place leading to the definition of a lifelong learning-oriented system and the creation of three important Recommendations introducing the European qualifications framework, a system of recognition of credits, and a European reference for quality assurance. The examination of this phase also offers the opportunity to conduct a review of what has been achieved in relation to the targets set in 2000, of what are the current problems and how the European countries are acting. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 5 7 1. The Lisbon Strategy 1.1 K NOWLEDGE - BASED SOCIETY , HUMAN CAPITAL AND LIFELONG LEARNING In order to understand the European strategies for employment and training which have been adopted over the past 20 years it is necessary to take into account some “keywords”: Knowledge-based Society, Human Capital and Lifelong Learning. The term “Knowledge-based society” is often used to define one of the main features of contemporary economic and industrial system since the knowledge, instead of the “physical” capital, is increasingly becoming an indispensable resource for the production and development of the economic system. The diffusion of information and new technology transforms the nature of work and the organisation of production. Routine and repetitive tasks which used to be the daily lot of most workers are tending to disappear as more autonomous, more varied activities take their place. The result is a different sort of relationship with the company. The role of the human factor is increasing but the worker is also more vulnerable to changes in the pattern of work organisation, because he has become a mere individual within a complex network. Everyone therefore has to adapt not only to new technical tools but also to changes in working conditions. The growth in scientific knowledge, its application to production methods, the increasingly sophisticated products which thus emerge, give rise to a paradox: despite its generally beneficial effect, scientific and technical progress engenders a feeling of unease and even irrational misgivings in society. In this context, which has been analysed at European level during 90’s 1 , the concept of Human Capital becomes fundamental. The term “Human capital” has had a rapid and wide diffusion in the last twenty years, by analogy with the economic terminology identifying the material resources available within a society. The human capital is one of business resources together with environment and physical capital and it is composed by a collection of skills and human resources such as knowledge, education, experience, technical ability, acquired during an individual’s lifetime allowing to perform transformation and creation activities aimed at achieving social and economic, individual or collective objectives 2 . Training and development 1 E UROPEAN C OMMISSION (1995) White Paper On Education And Training – Teaching And Learning Towards The Learning Society COM(95) 590. 2 Regarding human capital see B ECKER G.S. (1964), Human Capital, Columbia University Press, New York 3rd ed. 1993 and G ORI E. (2004), L’investimento in Capitale Umano attraverso l’Istruzione, in V ITTADINI G. (2004) Capitale Umano. La ricchezza dell’Europa. Guerini ed. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 7 8 of human capital is accomplished through the educational processes taking place within the family and the social environment, at school and in the workplace. Evidently in an economic system where knowledge plays a central role, the human capital becomes the key resource of the production system. New social categories are formed or developed such as the knowledge workers whose main capital is technological knowledge: managers, professionals, engineers, experts, etc. According to Butera 3 this social group is rapidly expanding compared to the early years of the last century. In any case all citizens and workers should broaden their competences, both basic and specialized, since they have to face the growing evolution of technologies which are applied to production and daily life. It follows that, in order to ensure economic growth and competitiveness it is necessary to develop the human capital by encouraging and promoting learning in its different modalities and integrating training and work. Policies concerning the development of the economy and employment and those related to the development of education and training are thus closely intertwined. In order to provide employment opportunities and a more competitive and sustainable economy, Europe needs a highly skilled workforce able to meet the current and future challenges. It is therefore urgent to invest in skills and to improve the mutual correspondence between competences and job offer in order to anticipate future trends. The European strategy which has been developed during the last 20 years aims to pursue these objectives. In 2000 the European Union has approved the Lisbon Strategy (see next paragraph), which recognises the crucial role played by education seen as an integral part of economic and social policies. In order to deal with the constant change and the demands for higher and up to date skills, learning cannot be promoted in a single stage of life, but should become a permanent condition (Lifelong learning): this is a top priority for employment, the effective action in the economic field and the complete participation in social life. The concept of “Lifelong Learning” dates back to the 70s of the last century. According to the Faure Report published by UNESCO 4 , the aim of education is to enable the subject to “become himself”; therefore, UNESCO mainly emphasizes the personal effects of lifelong learning. The Faure Report proposed “lifelong learning as the master concept for educational policies for the years to come”. During the 90s both OECD 5 and the European Union 6 together with UNESCO 7 expressed the need to develop knowledge economy and the knowledge society due to 3 B UTERA F., D ONATI E., C ESARIA R., I lavoratori della conoscenza, Milano, Franco Angeli, 1998; B UTERA F., B AGNARA S., C ESARIA R., D I G UARDO S. (2008), Knowledge working, Milano, Mondadori. 4 F AURE E. (1972), Learning to Be, Paris, Unesco. 5 O ECD (1996) Lifelong Learning for All, Paris, OECD. 6 C OMMISSION OF THE E UROPEAN C OMMUNITIES (1995) White paper on education and training – Teaching and learning: towards the learning society, Com95_590 Brussels. 7 U NESCO (1996) Learning - the treasure within. Report of the International Commission on Education for the 21st Century, Paris, UNESCO. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 8 9 the process of globalisation. Learning and employment or employability and education became the central issues on the agenda. The Lisbon Council in 2000 set the goal for Europe to become the leading knowledge- based economy. It has noted that the achievement of economic goals also requires the achievement of social, cultural and personal goals. A person is not a mere economic entity and learning cannot be fulfilled without motivation and personal desire. Lifelong Learning should be a right, not an obligation. It was not only considered as a learning for employment but also for personal, civic and social purposes together with employability, adaptability and active citizenship. In order to analyse these themes the European Commission proposed a Memorandum 8 to all Member States, containing the following definition: lifelong learning includes “all learning activities undertaken on an ongoing basis with the aim of improving knowledge, skills and competence”. The promotion policy of lifelong learning is based on the awareness of the institutions that one of their tasks is to encourage the right of citizens of all ages, social or professional status to train, learn and grow, both humanly and professionally, during their entire life. The document which was presented in its final version in April 2000 after an extensive consultation process emphasizes two important objectives for lifelong learning: promoting active citizenship and employability. Active citizenship means “if and how people take part in all areas of social and economic life, the opportunities and risks they face in trying to do so and the extent to which they belong and intervene in the society”. Furthermore “employability – the ability to find and maintain employment – is not only a feature of active citizenship, but it is also a decisive condition for reaching full employment and improving competitiveness and prosperity in the new economy”. Following the approval of the Memorandum, the European Commission issued in 2001 a document entitled Making a European Area of Lifelong Learning a Reality9. The Communication firstly proposed a broad definition of learning, emphasizing that learning does not take place only in training activities proposed by the school (formal education). Learning takes place in training activities conducted outside the traditional educational context, e.g. in the workplace (non-formal) and also occurs in everyday life (informal training). A degree or a qualification usually recognises only formal learning, but what matters is the actual acquisition of competences. 8 Commission of the European Communities (2000), Commission Memorandum on lifelong learning [SEC(2000) 1832. Brussels. 9 C OMMISSION OF THE E UROPEAN C OMMUNITIES , Making a European Area of Lifelong Learning a Reality, COM(2001) 678 Brussels, 21.11.2001. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 9 10 To promote the participation in lifelong learning, the document has proposed concrete actions at all levels, including a new way of evaluating and recognising the skills acquired, in order to allow all citizens to freely move between different contexts of study and work enhancing the own knowledge and skills. This document can be defined as the manifesto of the community strategy in the fi eld of education since 2000. In order to define concrete actions to achieve the goal of lifelong learning, the European Commission set up working groups in the field of qualifications, recognition of credits and quality assurance. The Commission has prepared relevant recommendations to all member states based on the work and proposals presented by these groups, which have been approved and ratified by the Council and the European Parliament. The principle and the enhancement of lifelong learning has become the central objective of EU action. 1.2 T HE L ISBON OBJECTIVES On 23 and 24 March 2000, the European Council held in Lisbon (for this reason it took the name of Lisbon Strategy) a special session centred on economic and social issues of the European Union. The Lisbon Council started from the fact that the European Union was confronting a quantum shift resulting from globalisation and the challenges of a new knowledge-based economy. These changes were affecting every aspect of people’s lives and required a radical transformation of the European economy. The Union had to shape these changes according to its values and concepts of society and also with a view to the forthcoming enlargement. Hence the need for the Union to set a clear strategic goal and to agree a challenging programme for building knowledge infrastructures, enhancing innovation and economic reform, and modernising social welfare and education systems. Therefore, the EU Heads of States and Governments agreed to make the EU “the most competitive and dynamic knowledge-based economy in the world, capable of sustainable economic growth with more and better jobs and greater social cohesion”. In pursuit of this objective a series of ambitious reforms were started, whose status has been periodically evaluated during the Spring sessions of the European Council 10 . Achieving this goal required an overall strategy aimed at modernising the European social model, investing in people and combating social exclusion, preparing the transition to a knowledge-based economy and society by better policies for the information society and R&D, as well as by stepping up the process of structural reform for competitiveness and innovation and by completing the internal market. 10 Presidency Conclusions, Lisbon European Council 23/24 March 2000. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 10 11 The Lisbon European Council in March 2000 recognised the important role of education as an integral part of economic and social policies, as an instrument for strengthening Europe’s competitive power worldwide, and as a guarantee for ensuring the cohesion of our societies and the full development of its citizens. A key area of the strategy was to give higher priority to lifelong learning as a basic component of the European social model, by encouraging agreements between the social partners on innovation and lifelong learning; by exploiting complementarity between lifelong learning and adaptability through flexible management of working time and job rotation. OPEN METHOD OF COORDINATION The Open Method of Coordination has provided a new framework for cooperation between the EU countries, whose national policies can thus be directed towards certain common objectives. In the Open Method of Coordination the responsibility regarding the definition of specific objectives and policy instruments remains at national level; the EU has the function to facilitate coordination and mutual learning between the Member States, without any formal attempt of monitoring the implementation of the general principles and objectives set at European level. The implementation of the Open Method of Coordination involves the following actions: • definition of guidelines at European level included the timing to achieve the goals; • definition at European level of quantitative and qualitative indicators and benchmarks based on the world’s best performances and adapted to the needs of the different Member States and sectors as a means of comparing best practices; • monitoring and evaluation of national policies in relation to benchmarks allowing to compare the performance of each Member State compared to others and to identify “best practices”; • organisation of periodic peer review with the aim of promoting mutual learning. In order to foster lifelong learning four political objectives have been established: • To develop national frameworks containing and framing all degrees and qualifications awarded at different levels, from primary school to University. • To implement measures assessing and validating non-formal and informal learning. • To establish guidance systems promoting and supporting lifelong learning. • To implement initiatives improving transnational mobility. The combination of these measures facilitates the activation of flexible training, making possible the transfer of learning outcomes from one learning context to another and from one country to another. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 11 12 1.3 T HE C OPENHAGEN PROCESS FOR V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING In March 2002, the Barcelona European Council, endorsing the work programme on the follow-up of the objectives of the Lisbon Strategy, set the goal “to make education and training systems in Europe a world quality reference by 2010”11. Furthermore, it has called for further action to introduce instruments to ensure the transparency of diplomas and qualifications adapted to the field of vocational education and training. In response to the Barcelona mandate, the Council of the European Union (Education, Youth and Culture) deepened the questions about Vocational Education and Training (VET) and issued in Copenhagen (2002) a Declaration to promote greater cooperation in the field of VET. The Council underlined the key challenges represented by the building of a knowledge-based Europe and an open European labour market and by the need to continuously adapt to new developments and changing demands of society. The intensification of cooperation in Vocational Education and Training would provide a valuable contribution both for the enlargement of EU and the achievement of goals set by the Lisbon European Council. THE MAIN EUROPEAN BODIES The European Parliament is composed of 751 representatives of the Union’s citizens elected by universal suffrage. The number of representatives elected in each Member State varies depending on the size of the population. Parliament takes part to varying degrees in drawing up Community legislative instruments, depending on the areas concerned: it can be required to deliver non-binding opinions or binding opinions; more commonly, legislative texts are adopted by joint agreement between Parliament and the Council, Parliament’s assent on the final text being indispensable for it to be adopted. The Council of the European Union is composed of Government ministers from each EU country, according to the policy area to be discussed (Foreign Affairs, Finance, Social Affairs, Transport, Agriculture etc.). Until the end of 2009, the presidency of the European Council was an informal and temporary charge, carried out by the Head of State or Government of the Member State which held the presidency of the Council of Ministers. The Lisbon Treaty has made this office stable, which is assigned by the European Council and lasts two and a half years, renewable once. The Commission is composed of 28 members (one from each EU country) who are appointed, for a period of five years, by the Council. The European Commission is responsible for drawing up proposals for new European legislation, and it implements the decisions of the European Parliament and the Council of the EU. It also actively participates in the successive stages of the legislative process. The Commission implements policies and programmes adopted by Parliament and the Council. 11 “The Copenhagen Declaration”, Declaration of the European Ministers of Vocational Education and Training, and the European Commission, convened in Copenhagen on 29 and 30 November 2002, on enhanced European cooperation in vocational education and training. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 12 13 It was therefore introduced the method of Enhanced European Cooperation in Vocational Education and Training (VET), with the aim of encouraging individuals to make wider use of vocational learning opportunities, at school, in higher education, at work or through private courses. In particular four priorities have been identified: a) Strengthening the European dimension in education and vocational training, with the aim of improving closer cooperation in order to facilitate and promote mobility and the development of interinstitutional cooperation, partnerships and other transnational initiatives, all in order to raise the profile of the European education and training area in an international context so that Europe will be recognised as a worldwide reference for learners. b) Transparency, information and guidance: • Increasing transparency in vocational education and training through the implementation and rationalisation of information tools and networks, including the integration of existing instruments such as the European CV, certificate and diploma supplements, the Common European framework of reference for languages and the Europass. • Strengthening policies, systems and practices that support information, guidance and counselling in the Member States, at all levels of education, training and employment, particularly on issues concerning access to learning, vocational education and training, and the transferability and recognition of competences and qualifications, in order to support occupational and geographical mobility of citizens in Europe. c) Recognition of competences and qualifications • Investigating how transparency, comparability, transferability and recognition of competences and/or qualifications, between different countries and at different levels, could be promoted by developing reference levels, common principles for certification, and common measures, including a credit transfer system for vocational education and training. • Increasing support to the development of competences and qualifications at sectoral level, by reinforcing cooperation and coordination especially involving the social partners. • Developing a set of common principles regarding validation of non-formal and informal learning with the aim of ensuring greater compatibility between approaches in different countries and at different levels. d) Quality assurance • Promoting cooperation in quality assurance with particular focus on exchange of models and methods, as well as common criteria and principles for quality in vocational education and training. • Giving attention to the learning needs of teachers and trainers within all forms of vocational education and training. • This strategy is based on the assumption that education and training constitute essential tools for promoting employability, social cohesion, active citizenship as well as the personal and professional fulfilment. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 13 14 THE POWERS OF EUROPE IN EDUCATION AND TRAINING AND THE METHOD OF ENHANCED COOPERATION 12 While vocational training was identified as an area of Community action in the Treaty of Rome in 1957, education was formally recognised as an area of European Union competency in the Maastricht Treaty which established the European Community in 1992. The Maastricht treaty states that: “the Community shall contribute to the development of quality education by encouraging co-operation between Member States and, if necessary, by supporting and supplementing their action, while fully respecting the responsibility of the Member States for the content of teaching and the organisation of education systems and their cultural and linguistic diversity”13. Regarding the policies of education and training, the European Union plays a subsidiary role. Member States are in charge of their own education and training systems, but they cooperate within the EU framework in order to achieve common goals. The EU political strategies constitute a support for national activities addressing common problems such as the ageing society, the skills gaps in the workforce and the global competition. In 2002 in Copenhagen the Education Ministers of the European Union has introduced the strategy for Enhanced Cooperation in Vocational Education and Training (VET). The concept of Enhanced Cooperation is included in the Treaty on EU (title VII of treaty on EU). The Enhanced Cooperation is a tool to give greater impetus to the process of EU integration, it allows a closer cooperation between the countries of the EU wishing to develop Europe in the respect of the Union’s single institutional framework. The deliberations of the States participating in Enhanced Cooperation are open to all Member States, but only those participating in Enhanced Cooperation have the right to vote. The States in Enhanced Cooperation regularly inform the European Parliament and the Commission about the progress achieved. The Member States concerned may, then, advance at different rates and/or with different objectives. 1.4 T HE INSTRUMENTS OF THE C OPENHAGEN D ECLARATION In order to implement the objectives set in the strategy for the development of VET identified in Barcelona and Copenhagen and in line with the broader strategy of promoting lifelong learning, the European Council has subsequently established a general Programme to foster mobility (Lifelong Learning Programme) identifying a number of critical areas to be improved. The work conducted by the Commission and the Member States in these areas has led to the definition of common objectives and instruments, in doing this, various Recommendations have been issued at European level. 12 C OUNCIL R ESOLUTION of December 2002 on the promotion of Enhanced European Cooperation in education and vocational training (2003/C 13/02). 13 Consolidated version of the Treaty on European Union and the Treaty on the Functioning of the European Union (2010/C 83/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 14 15 Recommendations are non-binding acts adopted by Community institutions to suggest recipients a given behaviour when they do not have the power to implement binding measures or when they believe that there is no reason to adopt more binding measures. The Recommendations adopted to strengthen the implementation of the Copenhagen process are: • the development of a European framework for the transparency of qualifications and competences (European Qualifications Framework – EQF); • the introduction of a methodology for the transfer of credits for education and training (European Credit system for Vocational Education and Training – ECVET); • the definition of a Framework for quality assurance (European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training – EQAVET); • the definition of a European framework for key competences. With these Recommendations, issued between the end of 2006 and June 2009, the political process outlined between Lisbon and Copenhagen has been completed. The European Union, after defining its strategic objectives in the field of lifelong learning and development of education and vocational training, through these nonbinding acts has identified the implementation procedures which are “recommended” to the Member States after their approval. The key points of this strategy are: • the shift of attention from the teaching process to the learning process, • the strengthening of European citizenship key competences, • the focus on learning outcomes, rather than on formal education and training paths, • the possibility to obtain recognition of competences regardless of how they were acquired, • the definition of common language and standards allowing the comparison of qualifications and degrees obtained in different national systems, • the definition of a model and common tools ensuring control and continuous development of the quality of education provided in different countries. With this strategy, the European Union is not involved in the organisation of training paths, which is responsibility of national jurisdictions, but sets some fundamental coordinates which may change significantly the education development in the next years. For some countries, such as Italy, the implementation of the recommendations involves a real cultural revolution: for example, the transformation of the current education system based on the offer of vocational education and training paths whose frequency is validated and recognised by the acquisition of the title, into a system in which it doesn’t matter which path has been followed, what is important is the knowledge and the skills effectively acquired. This involves a total change of the current way of issuing of qualifications which is centred on the recognition and validation of formal paths. The creation of a single framework bringing together all the titles and qualifications is equally challenging; among various problems there is Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 15 16 the issue of cultural integration of two different systems, the academic and the vocational one: in Italy, but also in many other countries, the academic world has always looked suspiciously at the world of vocational training and the aim of gathering the titles and qualifications obtained in the different systems is not easy to achieve. Furthermore, the implementation of quality assurance models will be responsible for ensuring that the adoption of these models does not occur only on a formal level, but produces a real change in training. The European Recommendations are described in detail in the following chapters. In addition, the Copenhagen process has led to the development of instruments to facilitate mobility and transparency of qualifications (Europass) and tools to promote information and guidance on training and career opportunities in the European Union (PLOTEUS portal and Euroguidance network). 1.5 T HE L IFELONG L EARNING P ROGRAMME AND THE MOBILITY ACTIONS The Lifelong Learning Programme (LLP) was established by Decision of the European Parliament and the Council on 15 November 2006 and gathered all the initiatives of European cooperation in education and training from 2007 to 2013. Its aim is to contribute through lifelong learning to the development of the European Union as an advanced knowledge society, with sustainable economic development, more and better jobs and greater social cohesion, while ensuring good protection of the environment for future generations (Lisbon Strategy). The European Lifelong Learning Programme has grouped the concrete initiatives implemented by the European Union to achieve the strategic objectives of Copenhagen; these initiatives are not only focused on students, but also on teachers, trainers and all those involved in education and training. In particular it has fostered interchange, cooperation and mobility between education and training systems within the Community, so that they become a world quality reference. The programme has strengthened and integrated the measures implemented by the Member States keeping the responsibility entrusted to each of them about the content of education and training systems and respecting their cultural and linguistic diversity. The legal basis can be found in art. 149 and 150 of the Treaty on European Union which state that “The Community shall contribute to the development of quality education by encouraging cooperation between Member States and, if necessary, by supporting and supplementing their action...” (Art. 149) and that “the Community shall implement a vocational training policy which shall support and supplement the action of the Member States ...” (Art. 150). In particular, four sub-programmes which fund projects at different levels of education and training have been implemented: Comenius (for high schools), ERASMUS (for higher education), Leonardo da Vinci (for vocational education and training), and Grundtvig (for adult education). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 16 17 TECHNICAL SUPPORT IN THE IMPLEMENTATION OF THE EUROPEAN OBJECTIVES The European Union makes use of international technical agencies which in the field of Education and Vocational Training lead an activity of research, analysis, documentation and technical support to the Commission. Among these there are: the Cedefop, the European Training Foundation (ETF) and Eurydice network. The European Centre for the Development of Vocational Training (Cedefop) was founded in 1975 and is located in Thessaloniki. It’s the European Agency to promote the development of vocational education and training in the European Union. It is Union’s reference Centre for vocational education and training. It does this by providing. Cedefop: • provides scientific and technical know-how in specific fields and promote exchanges of ideas between different European partners; • provides information on and analyses of vocational education and training systems, policies, research and practice. Cedefop’s tasks are to: • compile selected documentation and analyses of data; • contribute to developing and coordinating research; • exploit and disseminate information; • encourage joint approaches to vocational education and training problems; provide a forum for debate and exchanges of ideas. The European Training Foundation (ETF) is an agency of the European Union located in Turin. It was established in 1990 to contribute to the development of education and training systems of the EU partner countries. Its mission is to help transition and developing countries to harness the potential of their human capital through the reform of education, training and labour market systems in the context of the EU’s external relations policy. Its work is based on the conviction that human capital development in a lifelong learning perspective can make a fundamental contribution to increasing prosperity, creating sustainable growth and encouraging social inclusion in transition and developing countries. The Eurydice’s mission is to provide those responsible for education systems and policies in Europe with European-level analyses and information which will assist them in their decision making. In particular the activity focuses on the way education in Europe is structured and organised. It provides a vast source of information, including: • detailed descriptions and overviews of national education systems; • comparative thematic reports devoted to specific topics of Community interest; • indicators and statistics; • reports related to education. Eurydice consists of 35 national units based in all 31 countries participating in the EU’s Lifelong Learning programme Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 17 19 2. Towards Europe 2020 The Lisbon strategy for growth and jobs has been the response adopted by the EU to face the challenges of globalisation, demographic changes and knowledge society. It was aimed at making Europe more dynamic and competitive to secure a prosperous, fair and environmentally sustainable future for all citizens. Despite the joint efforts which have been made, these objectives have been only partially achieved and the economic crisis has made these challenges even more difficult. In order to help Europe emerging from the crisis and to prepare its economy for the next decade the European Commission has proposed the “Europe 2020 strategy” 1 . The Europe 2020 strategy followed the Lisbon strategy, sharing some aspects, and set out a vision of Europe’s social market economy for the 21 st century by putting forward three mutually reinforcing priorities: • smart growth, developing an economy based on knowledge and innovation; • sustainable growth, promoting a more resource efficient, greener and more competitive economy; • inclusive growth, fostering a high-employment economy delivering social and territorial cohesion. The progress towards the achievement of these objectives is evaluated on the basis of five main goals to be achieved at EU level, which every Member State should translate into national targets to be defined according to its starting condition: EUROPE 2020 STRATEGY INDICATORS • to obtain an employment rate of 75% of the people aged between 20 and 64 years; • to bring the levels of public and private investment to the 3% of the total GDP in research and development; • to reduce GHG emissions by 20% compared with 1990 levels and to have a 20% share of gross final energy consumption from renewable sources; • to reduce the proportion of early school leavers to less than 10% and to increase the share of the younger generation with a degree or diploma or equivalent level of education to at least 40%; • 20 million less people should be at risk of poverty. 1 Communication from the Commission Europe 2020 a strategy for smart, sustainable and inclusive growth, COM (2010) 2020. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 19 20 Education, training and lifelong learning play a key role in achieving these objectives. Finally, Europe 2020 identifies “seven flagship initiatives” focused on priority themes: • Innovation Union, to improve framework conditions and access to finance for research and innovation so as to ensure that innovative ideas can be turned into products and services that create growth and jobs. • Youth on the move, to enhance the performance of education systems and to facilitate the entry of young people to the labour market. • A digital agenda for Europe, to speed up the roll-out of high-speed internet and reap the benefits of a digital single market for households and firms. • Resource efficient Europe, to help decouple economic growth from the use of resources, support the shift towards a low carbon economy, increase the use of renewable energy sources, modernise our transport sector and promote energy efficiency. • An industrial policy for the globalisation era, to improve the business environment, notably for SMEs, and to support the development of a strong and sustainable industrial base able to compete globally. • An agenda for new skills and jobs, to modernise labour markets and empower people by developing their skills throughout the lifecycle with a view to increase labour participation and better match labour supply and demand, including through labour mobility. • European platform against poverty, to ensure social and territorial cohesion such that the benefits of growth and jobs are widely shared and people experiencing poverty and social exclusion are enabled to live in dignity and take an active part in society. Each Member State should provide a contribution to achieve the objectives of the Europe 2020 strategy through national paths reflecting the situation of each country and its “level of ambition”. The Commission is responsible for monitoring the progress and, in the case of “inadequate response” has to formulate a “recommendation” to be implemented in a given period of time. If a Member State, after the time-frame has expired, has not adequately responded to a recommendation of the Council, the Commission could issue a “policy warning”. On 17 June 2010, the European heads of state and government who form the European Council adopted the Europe 2020 strategy 2 . The strategy – as stated in the Final Report – will help Europe recover from the crisis and come out stronger, both internally and at the international level, by boosting competitiveness, productivity, growth potential, social cohesion and economic convergence. 2 European Council 17 June 2010 Conclusions (Euco 13/10). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 20 21 The European benchmarks set in Lisbon have been achieved only in part, even the progress made in employment growth was cancelled by the international economic crisis. The financial and economic constraints imposed in Maastricht were not respected in many countries. Regarding social cohesion, problems resulting from an increased immigration are putting to the test the principles enshrined in the Treaty of Rome, which seemed clear after the Delors White Paper 3 . The impact of the European Social Fund (ESF), which is the main financial instrument for supporting employment and development in less-developed regions, has been unequal: even the countries which have benefited most of its support, such as Ireland and Spain, have successively experienced a serious economic crisis. It might be wondered what would have happened without the European Union. Probably the effects of the international crisis on the economy of some European countries would have been even more devastating, without the protection offered by the wider European economic system and without the obligation to respect the Maastricht criteria. The European benchmarks have not been achieved, but in many European countries improvements have been observed and this has provided an incentive to deal with strategic questions, such as early school leaving. The culture of monitoring and evaluation of policy objectives has spread as a result of the strategic European approach. The European surveys (Eurobarometer) which are conducted every six months show that over 50% of Europeans support their country’s accession to the European Union since it has produced more benefits than disadvantages. 2.1 T HE STRATEGIC FRAMEWORK FOR THE RENEWED E UROPEAN COOPERATION IN EDUCATION AND TRAINING FOR THE DECADE 2010-2020 Even in the field of education a str ategic framework for European cooperation has been defined . The Education and Training 2020 (ET 2020) 4 programme is built on the “Education and Training 2010” (ET 2010) work programme and the European Commission Communication on “New skills for new jobs” of 2008 5 , and in the light of Cedefop’s skill supply and demand forecasts has suggested to the Member States an education centred on business demand and on the professional needs required by the production system. 3 European Commission Completing the Internal Market: White Paper from the Commission to the European Council COM(85) 310, June 1985. 4 Council conclusions of 12 May 2009 on A strategic framework for European cooperation in education and training («ET 2020») (2009/C 119/02). 5 Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions: New Skills for New Jobs – Anticipating and matching labour market and skills needs SEC(2008) 3058. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 21 22 The Education and Training 2020 programme implements the Open Method of Coordination and identifies four strategic long-term objectives: • making lifelong learning and mobility a reality; • improving the quality and efficiency of education and training; • promoting equity, social cohesion and active citizenship; • enhancing creativity and innovation, including entrepreneurship, at all levels of education and training. As can be noted the programme largely confirms the goals already defined in the Copenhagen process, introducing the goal of innovation and creativity. According to the European Council creativity constitutes, as well as personal fulfilment, a source for innovation which is one of the bases of sustainable economic development. Creativity and innovation are essential in the creation of businesses and to compete at international level. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 22 23 CEDEFOP’S FORECASTS FOR EMPLOYMENT GROWTH IN EUROPE According to the forecasts, assuming a slow but steady recovery, up to 2020, the European economy will create some eight million new jobs. However, around 75 million jobs will need to be filled as people retire or leave the workforce. EMPLOYMENT TRENDS BY SECTOR Amount (in thousands) Growth(%) 2008 2013 2020 2025 2008-2013 2013-2020 2020-2025 Primary sector 16 324 15 441 14 177 13 481 -5.4 % -8.2 % -4.9 % Manufacturing industry 37 778 33 864 33 010 32 547 -10.4 % -2.5 % -1.4 % Construction industry 18 214 15 534 15 803 16 116 -14.7 % 1.7 % 2.0 % Distribution and transportation 58 855 57 499 59 442 60 600 -2.3 % 3.4 % 1.9 % Trade and other services 53 269 55 189 58 957 61 215 3.6 % 6.8 % 3.8 % Non-commercial services 52 626 53 917 54 939 55 623 2.5 % 1.9 % 1.2 % Total 237 068 231 443 236 328 239 583 -2.4 % 2.1 % 1.4 % Source: Cedefop | Skills Forecasts | Data published in 2014 Although there will be job openings for all types of occupations, most new jobs will be at the higher and lower end of the skill spectrum leading to a risk of job polarisation. Weak employment growth indicates that there may be an oversupply of people with high-level qualifications in the short term, but by 2020, Europe will have the most highly-qualified workforce in its history. Furthermore, two-thirds of European jobs will be concentrated in the service sector and most of the additional employment will be characterised by knowledge-intensive and skilled jobs. LABOUR FORCE BY LEVEL OF QUALIFICATION Amount (in thousands) Growth(%) 2008 2013 2020 2025 2008-2013 2013-2020 2020-2025 High 67 754 78 914 91 553 99 709 16.5 % 16.0 % 8.9 % Average 115 901 117 065 115 193 112 256 1.0 % -1.6 % -2.5 % Low 63 111 54 769 47 649 42 639 -13.2 % -13.0 % -10.5 % Total 246 766 250 748 254 394 254 605 1.6 % 1.5 % 0.1 % Source: Cedefop | Skills Forecasts | Data published in 2014 While skill demand and supply forecasts in Italy reflect the European average trend, the data on labour supply and population denote alarming trends compared with the European average and the closer countries such as Germany and France. The projections to 2020 show that Italy: – will be the country (together with Portugal) with the highest rate of low-skilled workers (37.1%, against a EU average of 19.5%); – will be in line with the European average on intermediate levels (45.4%, against a EU average of 48.5%); – will face a serious shortage of highly skilled labour force (17.5% against the EU 32%). If this is the scenario, Italy could find itself in a situation of serious professional deficit, with a lack of qualified technical workers in many fields, compromising development and competitiveness. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 23 24 A first challenge is to ensure that all citizens can acquire transversal key competences such as “learning-to-learn” and communication skills, a sense of initiative and entrepreneurship, digital competence, cultural awareness and expression. The second challenge is to ensure a fully functioning knowledge triangle of education- research-innovation. Partnerships between the world of enterprise and different levels and sectors of education, training and research can help to ensure a better focus on the skills and competences required in the labour market and on fostering innovation and entrepreneurship in all forms of learning. Within this renewed effort for the promotion of education and training systems and lifelong learning, the Council of European Ministers for Education and Training has approved six new quantitative benchmarks to be achieved by 2020: • at least 95% of children between 4 years old and the age for starting compulsory primary education should participate in early childhood education; • the share of early leavers from education and training should be less than 10%; • the share of low-achieving 15-years olds in reading, mathematics and science should be less than 15%; • the share of 30-34 year olds with tertiary educational attainment should be at least 40%; an average of at least 15% of adults should participate in lifelong learning; • the share of employed graduates (aged 20-34 with at least upper secondary education attainment and having left education 1-3 years ago) should be at least 82%. These benchmarks and their role in directing national policies will be discussed in detail in the next chapter. THE BRUGES COMMUNIQUÉ The Bruges Communiqué on enhanced European Cooperation in Vocational Education and Training for the period 2011-2020 reinforces the main VET development directions established within the Copenhagen Process. The Communiqué was adopted by the European Ministers for Vocational Education and Training, the European Social Partners and the European Commission, at their meeting in Bruges on 7 December 2010 to review the strategic approach and priorities of the Copenhagen process for 2011-2020. The Bruges Communiqué presents a vision of a modern and attractive vocational training system which ensures: • maximum access to lifelong learning so that people have opportunities to learn at any stage in life and by making routes into education and training more open and flexible; • more opportunities for experience and training abroad to boost language skills, self-confidence and adaptability; • Higher quality courses, providing the right skills for specific jobs; • more inclusion and access for disadvantaged people; • creative, innovative and entrepreneurial thinking. The Bruges Communiqué includes a mid-term plan aimed at encouraging concrete measures at national level and support at European level. This calls for countries to: • Review the use of incentives, rights and obligations to encourage more people to take up training. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 24 25 • Implement the 2009 Recommendation on quality assurance in vocational training. • Encourage the development of vocational schools, with the support of local and regional authorities. • Introduce internationalisation strategies to boost international mobility. • Increase cooperation with business to ensure training is relevant, for instance by giving teachers the possibility of practical training in companies. • Launch communication strategies to highlight the benefits of vocational training. In addition, also in the field of education and training the European Commission, by applying the general strategy Europe 2020, has launched an activity of closer monitoring of Member States’ results, followed by specific recommendations for every country regarding reform processes to be implemented in order to achieve European objectives. Data analysis on education and training systems highlight various critical elements: • European education and training systems continue to fall short in providing the right skills for employability, and are not working adequately with business or employers to bring the learning experience closer to the reality of the working environment. These skills mismatches are a growing concern for European industry’s competitiveness. • Despite progress over the last five years in the percentages of those qualifying from higher education, sustained efforts will be needed to reach the headline target of 40% of young people completing higher education. • Though significant improvement has been made over the last years, early school leaving remains at unacceptable levels in too many Member States, such as Spain with 26.5% and Portugal with 23.2%. Targeted action remains necessary to reduce early school leaving through comprehensive, targeted evidence-based strategies. • There remains significant evidence of underperformance in other areas: 73 million adults have only a low level of education; nearly 20% of 15 year olds lack sufficient skills in reading; and participation in lifelong learning is only 8.9%. In the Rethinking education6 document the Commission has described the need to expand the scope and accelerate the pace of reforms so that skills may sustain growth and employment. Therefore, the Commission has outlined a number of strategic priorities that the Member States should face and has presented new EU actions. Particular attention is given to combatting youth unemployment. Rethinking education covers four areas which are essential to addressing this issue and where Member States should step up efforts: • developing world-class vocational education and training to raise the quality of vocational skills; 6 Com (201) 2 669. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 25 26 • promoting work based learning including quality traineeships, apprenticeships and dual learning models to help the transition from learning to work; • promoting partnerships between public and private institutions (to ensure appropriate curricula and skills provision); • promoting mobility through the proposed Erasmus for All Programme 7 . EDUCATION AND TRAINING MONITOR 2014 8 These are the main critical elements emerged in the last monitoring carried out by the Commission (November 2014) and the subsequent recommendations: 1.1 Strong education performance cannot be expected without sufficient resources and reforms to ensure their effectiveness. Yet nineteen Member States cut their education expenditure in 2012. Six Member States decreased investments by more than 5% (EL, ES, CY, HU, PT, RO). Some of the countries that devote relatively few resources to education have decreased their investment further (BG, RO, SK). Since 2008, six countries saw a decrease in expenditure across all levels of education (BG, EL, IT, LV, PT, RO). Underinvestment in human capital risks undermining Europe’s prospect for sustainable and inclusive growth. Reforms will be required to make sure that education and training systems work effectively and efficiently. 1.2 The focus on employability has to be strengthened within education institutions. Youth unemployment remains rampant across Europe and the employment rate of recent graduates stagnated at 75.5% in 2013. VET graduates have better employment prospects in countries where work-based learning is a strong component of VET programmes and higher education graduates are still about 11 percentage points more likely to be employed than those with upper secondary education attainment. But occupation mismatches by qualifications and competences demand that education and training systems become more sensitive to the needs of the modern labour market. 1.3 Education has to avoid proactively any form of discrimination and social exclusion, and to provide chances for all learners. Socio-economic and socio-cultural inequalities continue to impact negatively upon educational outcomes. Parental education attainment still determines to a large extent one’s own education attainment and new evidence suggests that intergenerational education mobility is actually slowing down in the industrialised world. Ten countries received CSRs to focus on disadvantaged learners in particular (AT, BG, CZ, DE, DK, HU, LU, RO, SE and SK). Although tackling educational disadvantage is complex and requires wide-ranging, integrated strategies, Member States cannot afford to ignore these challenges. 2.1 Reducing the number of early school leavers will save Europe large public and social costs and protect the individual from a high risk of poverty and social exclusion. There are still more than five million early school leavers across Europe, facing an unemployment rate of 41%. As Europe gets closer to the Europe 2020 headline target, 12.0% in 2013, it 7 “Erasmus for All” is the EU programme for education, training, youth and sport proposed by the European Commission on 23 November 2011. 8 E UROPEAN C OMMISSION (2014), Education and Training Monitor 2014. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 26 27 becomes increasingly visible what a complex, multifaceted problem early school leaving is. A slow but steady progress is hiding significant disparities between but also within countries. The risk of early school leaving is 33.3% higher amongst men; more than twice as high for the foreign- born; no less than 156.1% higher for those suffering physical difficulties; and more than three times as high in bottom-performing regions than in top-performing regions in BG, CZ, PL, ES, UK and BE 2.2 In higher education, broadening access and reducing dropout rates amongst disadvantaged groups remains challenging. The rate of tertiary education attainment in Europe has steadily grown to 36.9%, yet high-qualified employment is forecasted to have increased a further 13% by 2020. Moreover, the persisting disparities between and within countries leave no room for complacency. The rate of tertiary education attainment is 26% higher amongst women; about 10% higher for native-born; 62.4% lower for individuals suffering physical difficulties; and in CZ, RO and SK, bottom-performing regions have attainment rates that are at least 60% lower than those found in top-performing regions. Only a handful of countries strive to widen participation and boost completion rates amongst disadvantaged groups. 2.3 Targeted policy action is needed to reduce low achievement in key basic competences across Europe. Amongst 15 year-olds, the EU is not making enough progress in order to reach the 2020 target of at most 15% low achievement in maths, even if negligible gender differences in maths and science hold potential for later STEM fields of study that can be exploited more fully. At the same time, the large and persisting reading disadvantage for boys across all Member States calls for specific policy initiatives. Across the EU’s working-age population, the overall rate of low achievement in literacy and numeracy is 19.9% and 23.6% respectively, with significant discrepancies between countries in the skills-value of qualifications. Socio-economic status is still by far the most important determinant of an individual’s key basic competences. 2.4 For individuals to thrive in a modern and evolving labour market, education needs to equip people with key transversal competences. Policy efforts regarding digital competences are to be strengthened, as even amongst the younger generation only half can solve more than very basic problems with the use of ICT. Efforts across Member States to support and promote entrepreneurship in education are fragmented and lack coherence, while 15-year-olds are performing worse in solving non-routine problems than one would expect from their reading, maths and science skills. Despite language competences becoming key for employability of young people, national curricula show significant differences in the number of foreign languages being taught. The percentage of students in lower secondary school learning two or more foreign languages is less than 10% in BE fr, HU, IE and AT. On-the-job training, through apprenticeship or other forms of school-work alternation, has become a strategic priority within the education policies of the European Union since it has demonstrated, in the countries where it is particularly carried out, to be an important tool to encourage learning and to combat unemployment. Therefore the European Union has launched the European Alliance for Apprenticeships programme, which aims to improve the quality and supply of apprenticeships across Europe and to change the mind-sets towards apprenticeship-type training and work-based learning. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 27 28 The European Alliance for Apprenticeships (EAFA) has effectively mobilised EU Member States and a large number of stakeholders to engage in quality apprenticeships. It has facilitated networking, cooperation and sharing of good practices. The Alliance has equally contributed to raising awareness of the benefits of apprenticeships. EAFA was launched in July 2013 with a joint declaration by the European Social Partners (ETUC, Business Europe, UEAPME and CEEP), the European Commission and the Presidency of the Council of the EU. This was followed by a Council Declaration and individual commitments by EU countries. 2.2 T HE Y OUTH G UARANTEE Another important document about policies and interventions on youth employment is represented by the Council Recommendation of 22 April 2013 on establishing a Youth Guarantee. The Youth Guarantee is a new approach to tackling youth unemployment which ensures that all young people under 25 – whether registered with employment services or not – get a good-quality, concrete offer within four months of them leaving formal education or becoming unemployed. The starting point for issuing the Youth Guarantee should be the registration with the employment service; Member States should define another starting point for NEETS 9 not registered with the public employment service for issuing the guarantee within four months. The good-quality offer should be for a job, apprenticeship, traineeship, or continued education and be adapted to each individual need and situation. The European Union through the European Social Fund (see Ch.7) will provide €6 billion to support the implementation of the Youth Guarantee. 2.3 The Erasmus Plus Programme The new Erasmus+ programme aimed to support actions in the fields of Education, Training, Youth and Sport has been launched in 2014, bringing together: • The Lifelong Learning Programme (Erasmus, Leonardo da Vinci, Comenius, Grundtvig); • The Youth in Action programme; • Five international cooperation programmes (Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink, the programme for cooperation with industrialised countries). 9 NEET is the acronym of “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, used to define young people not holding and not looking for a job, not involved in the educational system, nor in any other form of training. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 28 29 Furthermore, it will for the first time provide support for Sport. The European Commission has the objective to promote the integration of the different strategies of Community action, so that they can respond more effectively and more consistently to the goals defined by the European Union through the recommendations and decisions of the EU Council of Ministers. The integrated programme also allows interested parties to have an easier overview of the grant opportunities available 10 . Erasmus+ is started in a time when in the EU almost 6 million young people are unemployed, with levels in some countries more than 50%. At the same time there are over 2 million job vacancies, and a third of employers report difficulty in recruiting staff with the required qualifications. This demonstrates the existence of important skills deficits in Europe. Erasmus + will address these deficits by providing opportunities for study, training or work experience or volunteering abroad. The quality and relevance of organisations and European education, training and youth welfare will be enhanced by supporting the improvement of the teaching and learning methods, new programmes and professional development of teachers and youth leaders, as well as through greater cooperation between education and the world of work. THE STRUCTURE OF ERASMUS+ PROGRAMME The structure of the new Erasmus+ programme is focused on three transversal key actions: Key Action 1 – Learning Mobility of Individuals • Learning mobility of individuals • Staff mobility (in particular for teachers, trainers, school leaders and youth workers) • Mobility for higher education students and vocational education and training students. • Loan Guarantee • Joint Master Degrees • Youth mobility, including volunteering and youth exchanges. Key Action 2 – Cooperation for innovation and good practices • Strategic partnerships between education establishments/youth organisations and/or other relevant actors. • Large-scale partnerships between education and training establishments and business. • IT supports platforms, such as eTwinning, the European Platform for Adult Learning(EPALE) and the European Youth Portal. • Knowledge and sector skill alliances and Cooperation with third countries and neighbourhood countries. Key Action 3 – Policy reform • Support for EU agenda in education, training and youth through the Open Method of Coordination 10 For more detailed information visit http://www.erasmusplus.it/. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 29 30 2.4 N EW PRIORITY AREAS FOR E UROPEAN COOPERATION IN EDUCATION AND TRAINING In November 2015 the European Council meeting Education, Youth, Culture and Sport adopted the 2015 joint report of the Council and the Commission on the implementation of the strategic framework for European cooperation in education and training; the mid-term stocktaking confirmed the relevance of the four ET 2020 strategic objectives and selected 6 priority areas, which are declined into concrete issues: PRIORITY AREAS 1) Relevant and high quality knowledge, skills and competences developed throughout lifelong learning, focusing on learning outcomes for employability, innovation, active citizenship and well-being CONCRETE ISSUES A. Enhancing targeted policy action to reduce low achievement in basic skills across Europe B. Strengthening the development of transversal skills and key competences, in particular digital, entrepreneurship and language competences C. Relaunching and continuing lifelong learning strategies, including non-formal and informal learning, and from education and training to work D. Fostering generalised, equitable access to affordable highquality early childhood education and care, especially for the disadvantaged groups E. Reducing early school leaving by supporting school based strategies with an overall inclusive learner centred vision of education and “second-chance” opportunities F. Promoting the relevance of higher education to the labour market and society G. Implementing the Riga medium-term deliverables in VET 11 , while reinforcing the European Alliance for Apprenticeships and strengthening the anticipation of skills needs for the labour market H. Implementing the Renewed European Agenda for adult learning 11 The Riga conclusions of 22 June 2015 proposed the following new set of medium-term deliverables in the field of VET for the period 2015-2020: • Promoting work-based learning in all its forms, with special attention to apprenticeships, by involving social partners, companies, chambers and VET providers, as well as by stimulating innovation and entrepreneurship. • Further developing quality assurance mechanisms in VET in line with the EQAVET recommendation and, as part of quality assurance systems, establishing continuous information and feed back loops to initial VET (I-VET) and continuing VET (C-VET) systems based on learning outcomes. • Enhancing access to VET and qualifications for all through more flexible and permeable systems, notably by offering efficient and integrated guidance services and making available validation of non-formal and informal learning. • Further strengthening key competences in VET curricula and providing more effective opportunities to acquire or develop those skills through I-VET. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 30 31 2) Inclusive education, equality, equity, non-discrimination and the promotion of civic competences A. Addressing the increasing diversity of learners and enhancing access to quality and inclusive mainstream education and training for all learners, including disadvantaged groups B. Addressing the issue of gender gaps in education and training, and promoting more gender-balanced educational choices C. Facilitating the effective acquisition of the language(s) of instruction and employment by migrants through formal and non-formal learning D. Promoting civic, intercultural, and social competences, mutual understanding and respect, and ownership of democratic values and fundamental rights E. Enhancing critical thinking, along with cyber and media literacy 3) Open and innovative education and training, including by fully embracing the digital era A. Further exploring the potential of innovative and active pedagogies such as inter-disciplinary teaching and collaborative methods, to enhance the development of relevant and high-level skills and competences B. Fostering cooperation by stimulating the engagement of learners, teachers, trainers, school leaders and other members of educational staff, parents and the broader local community C. Increasing synergies between education, research and innovation activities, with a sustainable growth perspective D. Promoting the use of ICT with a view to increasing the quality and relevance of education at all levels E. Boosting availability and quality of open and digital educational resources and pedagogies at all education levels F. Addressing the development of digital competences at all levels of learning, including non-formal and informal, in response to the digital revolution 4) Strong support for teachers, trainers, school leaders and other educational staff A. Strengthening the recruitment, selection and induction of the best and most suitable candidates for the teaching profession B. Raising the attractiveness, for both genders, and the status of the teaching profession C. Supporting initial education and continuing professional development at all levels D. Supporting the promotion of excellence in teaching at all levels, in the design of teacher education programmes and in learning organisation and incentive structures, as well as exploring new ways to assess the quality of teacher training ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 31 32 5) Transparency and recognition of skills and qualifications to facilitate learning and labour mobility A. Fostering transparency, quality assurance, validation and thereby recognition of skills and/or qualifications, including those acquired through digital, online and open learning resources, as well as non-formal and informal learning B. Simplifying and rationalising the transparency, documentation, validation and recognition tools that involve direct outreach to learners, workers and employers, and further implementing the EQF and NQFs C. Supporting the mobility of pupils, apprentices, students, teachers, members of educational staff and researchers D. Developing strategic partnerships and joint courses, in particular through increasing internationalisation of higher education and vocational education and training A. Exploring the potential of the Investment Plan for Europe in the area of education and training B. Encouraging Member States to use evidence-based policymaking, including the evaluation and assessment of education and training systems, to monitor policies and design reforms that deliver quality education more efficiently C. Encouraging innovative ways to ensure sustainable investment in education and training, examining forms of performance- based funding and cost-sharing, where appropriate 6) Sustainable investment, quality and efficiency of education and training systems Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 32 33 3. The European benchmarks 3.1 A STRATEGIC ROLE FOR INDICATORS In many European countries is growing, in recent years, the tendency to quantify the objectives of government indicating precise quantitative targets, by establishing indicators which may be easily monitored and verified by both policy makers and public opinion 1 . In English-speaking countries this approach has entered permanently in the culture of government. For example, in England Public Service Agreements (PSA) have been introduced, which set out clear objectives for the improvement of public services, such as education and training. The objectives of the PSA included precise targets for the qualitative and quantitative growth of the education system. For example, among the objectives defined in 2004 there was: Target III: By the age of 19, all young people are ready for skilled employment or higher education. Indicators: • increase the proportion of 19 year olds who achieve at least level 2 (General Certificate of Secondary Education) by 5 percentage points by 2008; • increase the proportion of young people who achieve level 3 (A level); • reduce the proportion of young people not in education, employment or training by 2 percentage points by 2010. These quantitative targets were applied also at local level in order to make local actors responsible for achieving them. The achievement of targets and related problems were periodically monitored, followed by the reformulation of the objectives 2 . The diffusion of a culture related to outcomes does not involve only Englishspeaking countries. Also the French system, based on the “Loi organique relative aux lois de finances (LOLF)” has radically changed its idea about public intervention, from a budgetary approach based on the financing of activities (of schools, teachers, etc.) to an approach based on the financing of the objective to be achieved, which is describes in measurable terms. Therefore in the financial law each ministry should specify in measurable terms the objectives to be achieved and not only the 1 A LLULLI G. (2007), La valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, Il Mulino, n. 3/2007. 3 C EDEFOP (2009), Assuring the quality of Vet systems by defining expected outcomes, C EDEFOP Panorama series, 158. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 33 34 resources which will be provided. In this way, the Parliament and the citizens have a tool to measure the success of the public action which is financed annually allowing to take appropriate decisions, everyone in its field of competence 3 . As mentioned before, this type of procedure has become part of EU policies. The use of indicators for setting goals to be reached has many positive aspects but also some critical aspects. In particular, the following advantages can be listed 4 : • It obliges policy-makers to establish their goals and their priorities: sometimes the objectives of the political action are not expressed; the political action is just conceived as a process, and not as an activity aimed at achieving a result. But the use of the indicator forces the policy-maker to declare and make clear the objectives of its political action. • It forces decision-makers to operationalize the objectives, so that they can be measured: often, even when goals are defined, they are general and do not give the opportunity to citizens to verify whether they have been achieved or not. The indicator consists of a precise and not general figure; this is useful for citizens and policy-makers. • It allows comparison and benchmarking: the indicator allows to compare different situations identifying reference points which are set as goals to be achieved. • It allows an impartial monitoring: the identification of precise reference parameters is able to prevent (or to reduce) the subjectivity of judgment. • It allows to encourage those who achieve better results and to support those who have difficulty: the transparency ensured by the indicator allows to more easily identify the areas of excellence and the critical areas and to decide which are the most suitable policies to implement. • It provides a solid starting point for the assessment. Without a quantitative base any assessment activity is at risk of subjectivity. It should be remembered that the assessment does not end with the quantitative analysis since it must always be integrated with a qualitative analysis. On the other hand, the use of indicators for establishing the objectives to be achieved is not without any danger, an inappropriate use of indicators can bring out some unexpected effects: • the need to establish measurable goals risks to focus only on the easiest goals; sometimes the indicators are selected depending on the available data neglecting the more complex aspects; • it is often required to collect large amounts of data to monitor the results; this increases the bureaucratic burden for the structures which are subject to monitoring or evaluation; 3 Cfr. http://www.performance-publique.gouv.fr/. 4 A LLULLI G. (2000), Le misure della qualità, Seam, Roma. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 34 35 • the comparison between different situations without taking into account the context may be incorrect; sometimes the comparisons do not take into account the differences between the various contexts; • the emphasis given to indicators may overshadow the qualitative analysis; an excessive dependence on the numbers risks to neglect the “qualitative” aspects of the assessment; • the funding allocated on the basis of quantitative results could lead to negative effects. If, for example, awards for schools presenting a low dropout rate are introduced, schools will select students in order to receive only the most talented and motivated or they could lower the standards to be achieved to facilitate the attendance. Finally, it should be noted that the modification of a complex system such as the education system cannot occur in a short time; measuring the impact of an education policy on the system might take a long time; the behaviour of millions of teachers, students and families does not change in a few months. Therefore, to monitor the implementation and the evolution of a policy should not be used only result indicators, measuring the final effects of the policy (for example, decrease in dropout rates or raising of standards of learning), but also process indicators, allowing the verification of how the policy has been applied to the system. There are many ways to use the indicators in public policy: for example they can be used for monitoring, for the comparison or for control. Two approaches to their use can be identified: a “soft” approach, since its application is not preparatory to the adoption of particular initiatives, and a “rigid” approach, when the application of the indicator is preparatory to the intervention. Examples of “soft” approach come from the use of the indicators: • for internal monitoring of the processes launched; • for comparison with other institutions, especially with those presenting similar characteristics; • for the definition of the benchmarks, or reference points to be reached or to be taken as an example; • for self-assessment. The benchmarks set by the European Union in the framework of the Lisbon strategy are part of this approach; they are used to monitor the progress of Member States towards the achievement of the Lisbon objectives, in case of failure it is not involved any sanction against the country which hasn’t achieved those goals. On the contrary, the Maastricht parameters are part of a “rigid” approach and their noncompliance shall lead to the application of sanctions. There is a “rigid” approach when the indicators are used: • for external monitoring, to check the progress of specific projects or programmes; Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 35 36 • to allocate additional funding, on the basis of statistical parameters; • to verify the achievement of specific objectives (targets). It would be appropriate if during the policy-making process the indicators were used by integrating the two approaches: it is necessary to establish measurable goals which everyone can verify, with the awareness that the indicator is a tool and not an end, and that the complexity of the education system requires a great attention to the different contexts, avoiding improper comparisons between different individuals or organizations. 3.2 I NDICATORS AND BENCHMARKS FOR MONITORING PROGRESS TOWARDS THE L ISBON OBJECTIVES The Conclusions of the Presidency in Lisbon in 2000 and the subsequent European Councils have recognised the central role of indicators and benchmarks within the “Open Method of Coordination”, the method used to promote the convergence of Member States towards the EU goals (see par. 1.2). In particular, the use of indicators and benchmarks has intensified in the area of cooperation on education and training in Europe. In 2002 the European Council approved a detailed work programme which fixed 13 concrete objectives in education and training and an indicative list of 33 indicators, later reduced to 29. It was established also the “Standing Group on Indicators and Benchmarks”, composed of experts representing all Member States to counsel the Commission about the use of indicators and benchmarks. The most significant action has been the adoption by the Council of Education of 5 benchmarks (“reference levels of European average performance”) in education and training, that is the adoption of five quantitative targets which the European Union was intended to achieve by 2010. The benchmarks aimed at defining a concrete and measurable method in order to show the Member States the path to follow for building a learning/lifelong learning system and for measuring progress in this field. The benchmarks were: • at least 85 % of 22-year-olds should have completed upper secondary education; • no more than 10% of young people should have left school before completing upper secondary education or vocational or other training; • the average level of participation in lifelong learning should be at least 12.5% of the population in a month; • the percentage of youth with low achievement in reading literacy should have decreased by at least 20%; • the total number of graduates in mathematics, science and technology should have increased by 15%. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 36 37 Subsequently, the European Commission has constantly monitored the evolution of these indicators for all European countries, by setting up an annual report allowing to periodically review the situation. The survey conducted in 2011 (on data of 2009) 5 showed the following Italian and European situation: Italian and European situation in 2009/10 compared to the Lisbon benchmarks At least 85 % of 22-year-olds should have completed upper secondary education 78,6 76,3 No more than 10% of young people should have left school 13,9 18,8 The average level of participation in lifelong learning should be at least 12.5% of the population in a month 9,1 6,2 The percentage of youth with low achievement in reading literacy 21,1% 24.9% should have decreased by at least 20% (-6%) (+37,4%) the total number of graduates in mathematics, science and technology should have increased by 15% +4% + 6,3 Source: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2001. SEC (2011) 526 Education and training monitor 2014 BENCHMARK EU average Italian average As can be seen, with the exception of the last indicator, for none of the other benchmarks the progress of European countries has allowed to meet the objective. The following chart, which has been included in the last monitoring report produced by the European Commission on the Lisbon Benchmarks 6 , shows the trend of European average of the five indicators from 2000 to 2009. Only the indicator regarding the number of graduates in mathematics, science and technology reveals a progress over the years. Three other indicators show a progress, but with a trend much slower than expected. Finally, the indicator of low achievers in reading shows even a clearly negative trend until 2006 which is increasing but is still below the EU target. 5 Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2001. SEC(2011) 526. 6 Ibid. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 37 38 Progress towards the achievement of the Lisbon benchmarks Source: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks 2010/2011. SEC (2011)526 In 2010, the European Council examined the data reaching the following conclusions 7 : a) It is required more action to improve literacy and to help disadvantaged people • The EU benchmark for 2010 is to reduce by 20% the percentage of lowachieving 15-years olds in reading literacy, this share has actually increased from 21.3% in 2000 to 24.1% in 2006. • The performance of pupils with a migrant background in reading, mathematics and science is lower than that of native pupils (PISA data). • A major source of concern is the deteriorating performance in reading skills compared to the 2010 EU benchmark. A good level of literacy is the basis for the acquisition of key competences and for lifelong learning. b) To strengthen the key competences in Vocational Education and Training and Lifelong Learning. Some progress has been made in increasing adult participation in education and training, but it is not enough to reach the 2010 benchmark of 12.5%. In 2008, 9.5% of Europeans aged 25-64 participated in the four weeks prior to the survey, with high skilled adults being five times more likely to participate than the low-skilled. 7 2010 joint progress report of the Council and the Commission on the implementation of the “Education and Training 2010” work programme (2010/C 117/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 38 39 c) Some progress on improving access to higher education There is growing political awareness that enabling non-traditional learners to access higher education is central to the achievement of lifelong learning. Most countries have taken measures to increase the participation of students with a lower socio-economic status, including financial incentives. 24% of the adult population in Europe (25-64 years old) have high (i.e. tertiary level) educational attainment, which is far behind both the US and Japan with 40%. If the European situation does not appear exciting, the Italian one is even worse. For all benchmarks, with the exception of the one concerning science graduates, Italy shows values which are significantly lower than the European average. The only progress which has been made since the benchmark was set is in obtaining higher education diploma. 3.3 S IX NEW BENCHMARKS FOR 2020 Within the new Strategic Framework for Education and Training (ET 2020) 6 new benchmarks have been identified. Three benchmarks had already been defined by the Lisbon Strategy, while the three new benchmarks concern the access to preprimary education, the percentage of graduates and employed secondary or university graduates. These new objectives are part of the learning strategy that should cover every stage of life, “from cradle to grave”, as stated by the Communication from the Commission of 2001 8 . The following benchmarks for 2020 have been set: • At least 95% of children (from 4 to compulsory school age) should participate in early childhood education. • The rate of early leavers from education and training should be below 10%. • Fewer than 15% of 15-year-olds should be under-skilled in reading, mathematics and science. • At least 40% of people aged 30-34 should have completed some form of higher education. • At least 15% of adults should participate in lifelong learning. • The share of employed graduates (aged 20-34 with at least upper secondary education attainment and having left education 1-3 years ago) should be at least 82%. However it is not easy to reach these benchmarks, especially for our country. The last European Monitor published in 2015 9 shows the following situation: 8 Commission of the European Communities. Making a European Area of Lifelong Learning a Reality COM(2001) 678 Brussels, 21.11.2001. 9 European Commission, Education and Training Monitor 2015, Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2015. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 39 40 Italian and European situation in 2014 compared to the benchmarks for 2020 Source: Progress towards the Lisbon Objectives in Education and Training. Indicators and benchmarks At least 95% of children (from 4 to compulsory school age) should participate in early childhood education 93,9% 98,7% The rate of early leavers from education and training should be below 10% 11,1% 15,0% At least 15% of adults should participate in lifelong learning in a month 10,7% 8,0% Fewer than 15% of 15-year-olds should be under-skilled in reading, mathematics and science Reading 17,8% Math. 22,1% Science16,6% Reading 19,5% Math. 24,7% Science18,7% At least 40% of people aged 30-34 should have completed some form of higher education 37,9% 23,9% The share of employed graduates (aged 20-34 with at least upper secondary education attainment and having left education 1-3 years ago) should be at least 82% 76,1% 45,0% BENCHMARK EU average Italian average As can be seen in the chart table, the situation of our country is particularly difficult regarding employment rates of graduates. Also dropout and university graduation rates are critical, since they are far below the European benchmarks and the current average of other countries. However, regarding the dropout rate our country made a significant progress during the last year: it decreased from 17% to 15% of young people between 18 and 24 without a diploma or professional qualification. Furthermore for this indicator Italy had set the objective of achieving by 2020 the 16% as the maximum value, then that goal has already been reached. Also with regard to the rate of graduation, Italy has set the realistic target of achieving by 2020 the value of 26/27%. These and other progresses have been noted by the European Commission, which in the European Monitor 2015 states: “Italy has made progress in improving its education and training system over the last few years. A school evaluation system is being implemented, basic skills proficiency has improved, the early school leaving rate is on a decreasing trend and participation in ECEC is almost universal for children aged four to six. Moreover, the recent reform of the school education system can help create the conditions to further improve school outcomes. Nonetheless, the early school leaving rate remains well above the EU average. Regional differences in basic skills proficiency are wide. The tertiary education attainment rate for young people is the lowest in the EU and many students still drop out of tertiary education. Work-based learning is not sufficiently developed and entry into the labour market is difficult for young people, including the high-skilled. General government expenditure on education as a share of GDP is among the lowest in the EU, especially at the tertiary level”. As can be noted, together with the recognition of progress criticisms about the problems affecting the educational system of our country emerge. The next years will show the extent to which the 6 new targets for 2020 will be able to give a new impetus to the education policies of the different countries. Despite this, there is the political and educational significance of the benchmark: strategic reference point indicating in transparent and measurable terms the goal to be achieved. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 40 41 4. The debate on competences and the European Qualifications Framework 4.1 B ETWEEN KNOWLEDGE AND SKILLS In the debate of the past 20 years, the discussion on educational policies has shifted from how to define and acquire knowledge to how to define and acquire skills (know-how). The concept of “competence” has a long history in the field of vocational training and it has developed in the working environment. Guy Le Boterf, one of the greatest theorists in this field defined competence as “a recognized and proven set of representations, knowledge, skills and attitudes pertinently mobilized and combined in a given context”1. Only in recent years an effort has been made to use the concept of competence in general education, on the basis of the need to overcome the purely transmissive approach of knowledge. An important step in the international elaboration process of the concept of competence has been represented by the DeSeCo Project (Definition and Selection of Competences) which was conducted between 1997 and 2003 by the OECD 2 ; this project has played a significant role in the evolution of public policies, through the definition and systematization of an international reference framework. The project brought together several experts to compare definitions, establish convergences and finally list a series of key competences for the development of the society and individuals. These key competences should obviously be the main objectives of education and training. This initiative is based on the awareness that the traditional basic skills are important but not enough to meet the requirements and the current social demand. The DeSeCo Project publications emphasize, in particular, a holistic definition of the concept of competence, giving to the term the meaning of a complex system of action, including cognitive and non-cognitive attitudes, and other elements: “A competence is defined as the ability to successfully meet complex demands in a particular context. Competent performance or effective action implies the mobilisation of knowledge, cognitive and practical skills, as well as social and behaviour components such as attitudes, emotions, and values and motivations. A competence – a holistic notion – is therefore not reducible to its cognitive dimension”. 1 L E B OTERF G. (1990), De la compétence: Essai sur un attracteur étrange, Les Ed. de l’Organisation. 2 R YCHEN D.S., S ALGANIK L.H. (2007), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole, Franco Angeli. Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 41 42 The DeSeCo Project has identified nine key competences, divided into three categories, which may be relevant to every citizen. KEY COMPETENCES ACCORDING TO THE DESECO PROJECT (A) ACT AUTONOMOUSLY 1) The ability to assert rights, interests, limits and needs This competency implies the ability, for instance, to: • understand one’s own interests (e.g. in an election); • know written rules and principles on which to base a case; • construct arguments in order to have needs and rights recognised; • suggest arrangements or alternative solutions. 2) The ability to form and conduct life plans and personal projects Individuals must be able, for instance, to: • define a project and set a goal; • identify and evaluate both the resources to which they have access and the resources they needs (e.g. time and money); • prioritise and refine goals; • balance the resources needed to meet multiple goals; • learn from past actions, projecting future outcomes; • monitor progress, making necessary adjustments as a project unfolds. 3) The ability to act within the big picture This competency requires individuals, for instance, to: • understand patterns; • have an idea of the system in which they exist; • identify the direct and indirect consequences of their actions; • choose between different courses of action by reflecting on their potential consequences in relation to individual and shared norms and goals. USING TOOLS INTERACTIVELY 1) The ability to use language, symbols and text interactively This key competency concerns the effective use of spoken and written language skills, computation and other mathematical skills, in multiple situations. It is an essential tool for functioning well in society and the workplace and participating in an effective dialogue with others. 2) The ability to use knowledge and information interactively This key competency requires critical reflection on the nature of information itself – its technical infrastructure and its social, cultural, and even ideological context and impact. Information competence is necessary as a basis for understanding options, forming opinions, making decisions, and carrying out informed and responsible actions. 3) The ability to use technology interactively Technology can be used interactively if users understand its nature and reflect on its potential. Most importantly, individuals need to relate the possibilities embedded in technological tools to their own circumstances and goals. A first step is for individuals to incorporate technologies into their common practices, which produces a familiarity with the technology that then allows them to extend its uses. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:44 Pagina 42 43 INTERACTING IN HETEROGENEOUS GROUPS 1) The ability to relate well to others This key competency allows individuals to initiate, maintain and manage personal relationships with, for example, personal acquaintances, colleagues and customers. Relating well is not only a requirement for social cohesion but, increasingly, for economic success as changing firms and economies are placing increased emphasis on emotional intelligence. 2) The ability to cooperate Co-operation requires each individual to have certain qualities. Each needs to be able to balance commitment to the group and its goals with his or her own priorities and must be able to share leadership and to support others. 3) The ability to manage and resolve conflicts For individuals to take an active part in conflict management and resolution, they need to be able to: • analyse the issues and interests at stake, the origins of the conflict and the reasoning of all sides, recognising that there are different possible positions; • identify areas of agreement and disagreement; • reframe the problem; • prioritise needs and goals, deciding what they are willing to give up and under what circumstances. (a) OECD (2003) The definition and selection of key competences- executive summary: http://www.oecd.org/dataoecd/47/61/35070367.pdf 4.2 K EY COMPETENCES FOR L IFELONG L EARNING The European Recommendation of 18 December 2006 on Key competences for lifelong learning3 identifies the key competences which everyone should acquire and which form a basis for lifelong learning; it encourages the Member States, as part of their lifelong learning strategies, to develop key competences for all citizens in order to ensure that education and initial training are offered to all young people preparing them for adult life, further learning and integration into working life. To achieve this goal it must be taken into account those young people who, due to educational disadvantages caused by personal, social, cultural or economic circumstances, need particular support to fulfil their educational potential; according to the Recommendation, even adults should be able to develop and update their key competences throughout their lives, with a particular focus on target groups identified as priorities in the national, regional and/or local contexts. 3 Recommendation 2006/962/EC of the European Parliament and of the Council of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 43 44 The Recommendation defines key competences as “a combination of knowledge, skills and attitudes appropriate to the context. Key competences are those which all individuals need for personal fulfilment and development, active citizenship, social inclusion and employment”. Without these skills it is more difficult to exercise the rights of citizenship and access and enhance the learning opportunities which are offered throughout life. The Recommendation of the European Parliament and of the Council identifies 8 key competences which every citizen should have. KEY COMPETENCES ACCORDING TO THE EUROPEAN RECOMMENDATION (a) • Communication in the mother tongue, is the ability to express and interpret concepts, thoughts, feelings, facts and opinions in both oral and written form (listening, speaking, reading and writing) • Communication in foreign languages, is based on the ability to understand, express and interpret concepts, thoughts, feelings, facts and opinions in both oral and written form (listening, speaking, reading and writing) in an appropriate range of societal and cultural contexts (in education and training, work, home and leisure • Mathematical competence, is the ability to develop and apply mathematical thinking in order to solve a range of problems in everyday situations. Building on a sound mastery of numeracy, the emphasis is on process and activity, as well as knowledge. • Digital competence, is the ability to use the new ICT. • Learning to learn is the ability to pursue and persist in learning, to organise one’s own learning, including through effective management of time and information, both individually and in groups. • Social and civic competences, include personal, interpersonal and intercultural competence and cover all forms of behaviour that equip individuals to participate in an effective and constructive way in social and working life. • Sense of initiative and entrepreneurship refers to an individual’s ability to turn ideas into action. It includes creativity, innovation and risk-taking, as well as the ability to plan and manage projects in order to achieve objectives. • Awareness of the importance of the creative expression of ideas, experiences and emotions in a range of media, including music, performing arts, literature, and the visual arts. (a) RECOMMENDATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning (2006/962/CE) 4.3 T HE E UROPEAN Q UALIFICATION F RAMEWORK (EQF) The theme of skills and their definition and certification is crucial to give quality to the education system but also practicality to the process of integration between systems in the logic of lifelong learning. The integration has meaning if provided with models and tools making possible both constant dialogue with the socio-economic reality and the actual ability to capitalize the learning experiences conducted by individuals in different places, times and in educational contexts. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 44 45 After a comparison between different Member States, the European Union approved in 2008 a Recommendation of the European Parliament and of the Council on the establishment of the European Qualifications Framework (EQF) for lifelong learning. The EQF will provide a common language to describe qualifications which will help Member States, employers and individuals compare qualifications across the EU’s diverse education and training systems 4 . The EQF shifts the focus of qualification from the characteristics of training activities attended (duration, content, etc.) to learning outcomes (knowledge, skills and competences). No matter how the competence has been acquired (learning experience, type of institution), what matters is the final result: this approach does not only facilitate the transfer and use of qualifications across different countries and education and training systems, but also the validation of non-formal and informal learning. The European framework covers all type of qualification, ranging from those acquired at the end of compulsory education to the highest qualifications such as Doctorate. It consists of 8 reference levels indicating the difficulty and the learning outcomes characterising every level. The EQF is focused on the learning outcomes and the person’s actual knowledge and skills rather than the amount of study needed to complete the qualification programme. All Member States shall indicate the correspondence of titles and qualifications delivered at national level with the eight levels established at European level, ranging from level 1 (the basic level, corresponding to the knowledge and skills acquired at the end of compulsory education) to level 8, corresponding to the knowledge and skills acquired at the end of a post-graduate degree course. Level 1 is characterised by: • Basic general knowledge • Basic skills required to carry out simple tasks • Work or study under direct supervision in a structured context Level 8 is characterised by: • Knowledge at the most advanced frontier of a field of work or study and at the interface between fields • The most advanced and specialised skills and techniques, including synthesis and evaluation, required to solve critical problems in research and/or innovation and to extend and redefine existing knowledge or professional practice • Demonstrate substantial authority, innovation, autonomy, scholarly and professional integrity and sustained commitment to the development of new ideas or processes at the forefront of work or study contexts including research 4 R ECOMMENDATION OF THE E UROPEAN P ARLIAMENT AND OF THE C OUNCIL of 23 April 2008 on The establishment of the European Qualifications Framework for lifelong learning (2008 / C 111/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 45 46 EUROPEAN QUALIFICATIONS FRAMEWORK: BASIC DEFINITIONS Learning outcomes means statements of what a learner knows, understands and is able to do on completion of a learning process, which are defined in terms of knowledge, skills and competence; Knowledge means the outcome of the assimilation of information through learning. Knowledge is the body of facts, principles, theories and practices that is related to a field of work or study. In the context of the European Qualifications Framework, knowledge is described as theoretical and/or factual; Skills means the ability to apply knowledge and use know-how to complete tasks and solve problems. In the context of the European Qualifications Framework, skills are described as cognitive (involving the use of logical, intuitive and creative thinking) or practical (involving manual dexterity and the use of methods, materials, tools and instruments); Competence means the proven ability to use knowledge, skills and personal, social and/or methodological abilities, in work or study situations and in professional and personal development. In the context of the European Qualifications Framework, competence is described in terms of responsibility and autonomy. In the European Recommendation it is stated that Member States shall: 1) Use the European Qualifications Framework as a reference tool to compare the qualification levels of the different qualifications systems. 2) Relate their national qualifications systems to the European Qualifications Framework by 2010, in particular by referencing, in a transparent manner, their qualification levels to the European levels and, where appropriate, by developing national qualifications frameworks in accordance with national legislation and practice. 3) Adopt measures so that, by 2012, all new qualification certificates, diplomas and ‘Europass’ documents issued by the competent authorities contain a clear reference to the appropriate European Qualifications Framework level. 4) Use an approach based on learning outcomes when defining and describing qualifications, and promote the validation of non-formal and informal learning. 4.4 T RANSPARENCY TOOLS Before adopting the Recommendation on the European Qualifications Framework, the European Union had already introduced Europass, a tool to facilitate the mobility of citizens by promoting the transparency of qualifications acquired. Europass has been established by a Decision of the European Parliament and of t he Council of 15 December 2004 on a single Community framework for the transparency of qualifications and competences 5 and consists of five elements: 5 Decision No 2241/2004/EC of the European Parliament and of the Council of 15 December 2004 on a single Community framework for the transparency of qualifications and competences (Europass). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 46 47 • Europass Curriculum Vitae • Europass language passport • Europass certificate supplement • Europass diploma supplement • Europass mobility The Europass Curriculum Vitae shall provide citizens with the opportunity to present in a clear and comprehensive way information on all their qualifications and competences. It allows to standardize qualifications, professional experience, skills and competences. The Europass Curriculum Vitae (CV) contains personal information in addition to details of any work-experience, education and training, personal skills and competences that the individual has developed even through non-traditional educational paths. Europass Certificate e Diploma Supplement are issued to individuals who have obtained a vocational training certificate or a diploma. The Certificate Supplement provides additional information regarding the award which is not available on the official certificate, such as the skills and competences acquired, the level of the certificate, and entry requirements and access opportunities to the next level of education etc. This makes it more easily understood, especially for employers and institutions outside the issuing country. The Europass Diploma Supplement is the transparency tool developed by the Council of Europe, UNESCO and the European Commission, which aims to make more readable the titles and qualifications issued in the context of academic and non-academic higher education. The document is delivered together with the titles and qualifications issued at the end of an educational path at a University or an higher education institute. The information on the Europass Certificate and Diploma Supplement is supplied by the relevant awarding body which makes the award. 4.5 K NOWLEDGE AND COMPETENCES : AN OPEN DEBATE Despite the important progress made at national and European level to promote education and training based on the concept of competence, the conceptual framework and rules for the application of a “teaching through skills” still need to be clarified. The definition: there is still no clear definition of competence; there are many definitions of this notion depending on the field (psychological, pedagogical, organizational) to which the definition refers. In addition, the distinction between the concept of competence and skill is not definite; the European Recommendation states that a Skill is the ability to apply knowledge and use know-how to complete tasks and solve problems: in the concept of skill it is already inherent the applica- Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 47 48 tive dimension of the acquired knowledge, which is used to carry out specific task. While the Competence is defined by the Recommendation as the proven ability to use knowledge, skills and personal, social and/or methodological abilities, in work or study situations and in professional and personal development. According to the Recommendation, the skill is distinguished from the competence because: – The skill is demonstrated in work or study situations and in professional and personal development (but even the possession of competences and knowledge must be proven) – To express competence it is necessary to use also personal, social and/or methodological skills. The competence thus differs from the skill because also non-cognitive resources (attitudes, etc.) are mobilized. But at school, where especially cognitive skills are used, how it is possible to distinguish competences from skills? While in the workplace it is easier (but not always) to draw the dividing-line between the skills (cognitive dimension) and competences (involving other dimensions of the person), at school this division is not clear. In particular, there is a difficulty when it is needed to define or evaluate the objectives to be achieved with regard to the acquisition of skills and/or competences related to given disciplines. A further complication is created during the Italian translation of the word “skill” which sometimes is translated with “abilità” but also with the term “capacità”. Even in Italian language there is not a clear distinction between the expression “abilità” and “capacità”. The level of acquisition/demonstration of competence: the definition of the “level” of acquisition of a competence is not easy, especially when it must be defined a performance carried out in a non-working environment. While the satisfactory execution of a professional performance can be defined through a series of indicators (for example, through the listing of operations which should be fulfilled), the definition of a satisfactory cognitive performance requires also the specification of the type of knowledge used and promoted, otherwise there is the risk to remain on a generic level. Competence teaching methods: according to the definition, the competence cannot be taught as a normal discipline; the acquisition and implementation of a competence is the result of a complex process involving the mobilisation of different resources: cognitive, attitudinal and motivational; to acquire and demonstrate a competence it is necessary to confront to real contexts. The translation of all this in the everyday school practice is obviously quite complex. Evaluation modalities: evaluation modalities of competences present different problems. It has already explained the difficulty of defining the level of competence and then to evaluate it. But competences evaluation becomes extremely difficult within the school context. In particular, when the assessment tool is the written test it hardly can be defined as a competence evaluation, in the event it can be called “skills evaluation”. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 48 49 The ambiguity is caused also by the official documents: in the text published by OECD on Pisa 2009 Assessment Framework 6 the term competence is used only in the presentation of conceptual frameworks regarding mathematics and science (where, however, it is not clear the difference between competence and skill), while in the presentation of reading literacy framework it is always used the term skill. Therefore the question that arises is: a test as those normally given in schools is able to allow the assessment of a competence? Wouldn’t it be more correct to talk about assessment of language, mathematics and science skills? In recent years a concern about the emphasis given to the use of the term competence in schools has spread, together with the fear that the emphasis on competences could decrease the attention to learning. It has therefore developed, both in Italy and in other countries, a reaction movement which has tried to bring the teaching of contents back to the centre of school activity. A debate has opened between those who highlight the need to form solid conceptual categories through learning allowing to capture and select the information that is provided by the school (Edgar Morin, quoting Michel de Montaigne, stated It is better a well made head that a full head7) and those who stress the need to acquire a solid knowledge, as a basis for the subsequent cultural and professional growth. As noted by the Ministerial Committee, which is responsible for defining the procedures for the extension of compulsory education, there is no opposition between knowledge and competences: the competence, without the knowledge giving it substance, is just an empty container. The final text presented by the Commission states 8 : “The key competences are not an alternative proposal to disciplines; on the contrary they are built using the knowledge provided by the first two years of upper secondary education institutions, starting from the cultural areas that have been identified. Disciplines and competences are the basis of a single teaching/learning process. ... The processes leading to the acquisition of key competences are therefore not intended as a new curriculum that is going to be juxtaposed to the existing ones, but as the multi and interdisciplinary goal of educational curricular activities”. To conclude, the concept of competence is important because it highlights the operational implications of knowledge, promoting the passing of abstract teaching and because it encourages a consolidation of knowledge across different disciplines. Regarding the school environment it seems that greater clarity is needed concerning the terms knowledge, skills, competences and ability in order to build unambiguous frameworks. 6 O ECD (2009), PISA 2009 Assessment Framework Key competences in reading, mathematics and science. Ed. OECD, Parigi. 7 M ORIN E. (1999), La tête bien faite. Repenser la réforme. Réformer la pensée Paris, Seuil. 8 Commission with the task to deepen the issue related to compulsory education and develop possible ways to raise compulsory education Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione March 3, 2007. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 49 51 5. The Recommendation on European Quality Assurance Reference Framework for VET (EQAVET) In recent years the quality of the educational and training institutions is object of discussion and intervention. The growing autonomy of vocational training centres and schools requires greater internal and external control on organisational processes and the results achieved, in order to ensure the efficient and effective use of public and private resources. Regarding education and vocational training, there is also the need to raise the quality of the training offer for at least three relevant reasons: • to increase the attractiveness of a training offer which is sometimes judged as “of lower rank” compared to higher and technical education; • to strengthen the capacity to response of vocational training to the needs of the constantly evolving production system; • to increase the effectiveness of the training programme, responding to the needs of different users. 5.1 F ROM INPUTS CONTROL TO OUTPUTS CONTROL The quality in the traditional school systems was ensured by controlling the “inputs”, that is the characteristics of the educational system were established: the minimum and maximum number of students per class, their entry requirements, the number of teachers per class, their certified training, the teaching programmes, the type of facility, the educational and laboratory equipment; etc... Minimum standards of quality of training have been (and still are) defined and guaranteed, on the assumption of ensuring in this way a substantial homogeneity of the results. The external controls on the results were reduced to a minimum, and their function was validating the educational path completed, more than actually verifying it. In the last twenty years it has grown the awareness that to ensure the quality of the system is not sufficient (and not even useful) to define and control the “starting” standards (inputs), but it is quite useful and necessary to define “arrival” standards. It is therefore necessary, through autonomy, to make the local educational structures able to respond to diverse needs and to focus their attention on the results (outputs); this is achieved by carrying out periodic surveys on pupils’ learning outcomes at national and international level and through other measures (for example, through the analysis of indicators of efficacy and efficiency). This approach governmental of the education system has internationally developed also thanks to the OECD work, which since the 90s has started the data collection and comparison of the different Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 51 52 national education systems through an integrated system of indicator 1 . The OECD through the PISA Project has begun 10 years ago, in the countries belonging to the organisation, a systematic survey and analysis of 15-year-old students’ learning outcomes, which is acquiring importance for the evaluation of national policies outcomes in the different countries 2 . 5.2 I NPUT - OUTPUT MODELS According to traditional input-output assessment models, the quality of an education system and its schools is determined by verifying the extent to which (output) it is possible to transform the raw material (input) following the set goals. The following elaborations and reflections on this model have led to the concept of input, by distinguishing the starting condition (the Context) from the resources supplied 3 . In any case, attention is focused on the Products (as determined in the initial objectives), representing the key litmus of the quality of education. The evaluative research has highlighted the connection between the Educational Product and the Context, and the attention that should be paid, during results assessment, on the resources employed (human, economic and structural). Therefore, the evaluation of training outcomes shall always take into account the starting points and the resources used: for example, it would be incorrect to equate the results of a school located in a wealthy area with those of a school located in a blighted area. Also the concept of objective can change, adding complexity to the assessment model: intermediate objectives can be identified close to the final objectives. However the classical input-output models have a significant weakness: the lack of mechanisms for feedback. They allow to describe the current situation, but without elements to direct the system towards improvement; it is more a quality control than a quality development. The purpose of the evaluation, however, is not only to obtain a certificate but it is necessary also to correct the system; the main purpose of the assessment is to help decision-making. It is therefore also necessary a verification of the processes, in order to understand not only the training outcomes, but also how the results have been obtained and on the basis of what processes. The reflection and the formalisation of processes is the most problematic aspect of the input-output models. It is relatively easy to evaluate, using quantitative indicators allowing comparisons in space and time, the Context, the Inputs and the Products, but it is much more complex to define the indicators to assess the processes. 1 O ECD , Education at a Glance, OECD indicators, OECD Publishing, Paris. 2 O ECD (2007), PISA 2006 Science competences for tomorrow’s world Volume 1: Analysis, OECD Publishing. 3 S TUFFLEBEAM D. et. al, (1971), Educational Evaluation and Decision Making, Itasca, IL: F.E. Peacock. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 52 53 The assessment of the training effects through the detection of outputs is further limited: it risks to be little relevant in the short term, as the impact of training is visible in medium-long term. In any case, the completeness and the systematic nature of the so-called CIPP model, namely Context, Input, Process, Product make it the most widely used to analyse the quality of education, both at single structure that at system level. 5.3 T HE PROCESS - BASED MODELS Therefore, the main problem is the connection between assessment and decision making. In the business world this issue has been faced since the ‘50s by Deming. According to Deming the principle of quality control at the end of the process is not suitable, since it acknowledges that it should exist in any case a certain amount of “waste” or “errors”, and therefore a loss, even if small, of company’s efficiency 4 . The quality control should shift the attention from the product to the processes, that is from what is downstream of production to how to handle upstream processes 5 ; in addition the principle of quality control should be replaced by the principle of total quality (because the quality concerns all stages of production, and not only the final one). Deming has introduced the quality circle: Plan, Do, Check, Act, namely: • to plan, on the basis of diagnosis made; • to do; • to check the results; • to act by correcting the errors detected, in order to improve the results. So the cycle never stops, and produces continuous improvement, another central concept of this approach. Deming’s work had a remarkable success since it has been one of the factors of rebirth of Japanese industry in the 60s and 70s (Deming was greatly appreciated for his work in Japan). In the following years the principles of total quality spread in Western countries; during the ‘90s these principles began to be applied also in the world of production of intangible goods, the world of education, school and university. Several models inspired by these principles have been created: it is enough to recall ISO, EFQM, CAF models. 4 I SFOL , A LLULLI G. and T RAMONTANO I. (2007), I modelli di qualità nel sistema di formazione professionale italiano, Rubettino. 5 According to ISO standards an activity or set of activities using resources, and managed in order to enable the transformation of inputs into outputs, can be considered as a process (UNI, Quality management systems, Fundamentals and vocabulary, December 2000). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 53 54 In order to adapt the models inspired by the principle of total quality to the training field specific regulations have been established 6 , defining the quality system as “an organizational/ managerial tool centered on monitoring/control of processes which have a direct impact on the quality product, the clear division of responsibilities and the provision of adequate resources in order to prevent problems and to ensure the compliance with the requirements of the customer and his satisfaction. It is also an instrument of continuous improvement, necessary for a competitive presence on the market”. This approach has three distinctive features: • it is focused on processes rather than on products; the underlying logic is that if the process is appropriately conducted also the product produced will comply with the requirements imposed, while the verification which is conducted only at the end of the process may not tell us anything regarding to the reasons for success or failure; in addition it is better to prevent failure by controlling the execution process, rather than simply record a failure in the end. • The second feature is that of involving management in the quality assurance process: the management is not only the user of this process but is also subject to the verification; the ability to take into account the results of the assessment by modifying the activity is not only a desired effect, but is also a process analysed by the quality system; the revision of the activity is a stage of the quality cycle. • The third characteristic concerns the concept of quality, which is not a relative concept to be defined from time to time with respect to the objectives, but an absolute concept corresponding to the way in which given criteria, previously defined by the model, are met. For example, the EFQM Excellence Model developed by the European Foundation for Quality Management, and the CAF (Common Assessment Framework) define for each predefined quality criterion a score to be attributed to the assessed institution. These features are the strengths and weaknesses 7 . Regarding the first of these characteristics, the focus on processes, while in the business sector it is reasonable to assume that a good compliance with the procedures can produce good results, in training it is not the same: the training outcomes are the result of many complex factors, even if a school strictly respects the rules and the organisational standards, the students’ results will not be necessarily positive. The evaluation of the results should therefore maintain a specific and autonomous role: it is not enough to ensure that the “quality procedures” are implemented, but it is essential to monitor the results of these procedures; the quality of training is not deduced only through the verification of the procedures but also through the verification of actual results. 6 U NI , Guidelines for the development and adoption of a quality system in training accordi ng to UNI EN 9001, Milan 1998. 7 A LLULLI G. (2007), La valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, Il Mulino, n.3/2007. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 54 55 The control of the result is often limited to the verification of customers satisfaction; but in education this is not a sufficient parameter to evaluate the students’ outcomes. In fact young users, and often their families, are unable to express a critical judgment about the contents of the training: an inexperienced user can evaluate the most tangible aspects of the service (regularity, attention to the needs of users, etc.), but it is more difficult for them to express an adequately informed opinion about the content of the teaching activity. It should also be considered that users do not necessarily express high expectations for the educational offer: for example, those who want to get a degree without excessively committing themselves in the study can get a diploma in a school where the level of training offer is not fundamental, it just allows to get a certification. Regarding the involvement of the management as “object” of assessment, it becomes a problematic aspect in the moment in which those who verify the respect of quality procedures is in a hierarchically subordinated position to the evaluated manager. This happens when quality models are a reference for the self-assessment; in this case the independence of evaluation activity may be seriously questioned, while the authority of the self-assessment is supported by objective evidence if it is focused on the results achieved and on solid empirical evidences. In short, it is not sufficient to verify the compliance with the “quality procedures”, but it is important to actually verify the results obtained in order to state whether a particular institution arranges a quality training offer or not. The models of “total quality” which have been adapted for the services and the public administration (such as EFQM and CAF) consider the assessment of the results really important (50% of the final score); it remains, however, the contradiction between the philosophy of quality assurance based on the evaluation of processes and and an approach aimed at evaluating the results. Finally, the attention given to the processes can easily end into the attention to the respect of procedures; this is a serious risk, especially in environments such as the school. 5.4 T HE R ECOMMENDATION ON THE ESTABLISHMENT OF A E UROPEAN Q UALITY A S - SURANCE R EFERENCE F RAMEWORK FOR V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING The need to closely link the evaluation with the decision making process is also the basis of the model to which the European Recommendation on quality assurance in VET refers 8 . 8 R ECOMMENDATION OF THE E UROPEAN P ARLIAMENT AND OF THE C OUNCIL of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training (2009/C 155/01). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 55 56 As part of the initiatives taken in the light of the Lisbon strategy, the European Union has promoted in 2000 a technical and political path aimed at strengthening the devices quality assurance in education and vocational trai support to be used on a voluntary basis by the Member States and all stakeholders to promote and monitor continuous improvement of Education and Vocational Training, according to common criteria and principles. The European Recommendation requires Member States toestablish a national strategy fitting with the European Framework of Reference. EQAVET comprises a quality assurance and improvement cycle consisting of four phases (Planning, Implementation, Evaluation/Assessment and Review/Revision ) The first phase (planning) consists in the establishment of clear, appropriate and measurable goals and objectives in term of policies, procedures, tasks and human resources. In this phase the involvement of stakeholders is crucial. The second phase (implementation) consists in the execution of the planned actions to ensure the achievement of the objectives. It is necessary that the rules and procedural steps are clear to all stakeholders. The third phase (evaluation) provides a combination of mechanisms of internal and external evaluation. The effectiveness of the assessment depends on the definition of a clear methodology and by the coherence between the predetermined objectives and indicators and data collected. In the fourth phase (review) the data collected through the assessment are used to provide the necessary feedback and the implementation of appropriate changes. In fact, the improvement is a continuous and systematic process. 9 E UROPEAN C OMMISSION (2006a), Efficiency and equity in European education and training systems, Communication from the Commission to the Council and to the European Parliament,{SEC(2006) 1096}. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 56 57 The European Model of quality Assurance As can be observed, the European model is very similar to the “Quality cycle” proposed by Deming, but in this case more emphasis is given to the control of the results. The four phases of the model are described by the Recommendation through a list of criteria and quality descriptors, exemplifying the actions to be performed for each phase. These are very useful information because give more substance to a model that might otherwise be perceived as mainly theoretical. In addition, the Recommendation proposes a set of indicators relating to different aspects of the training. The use of indicators is not compulsory, but it is a useful reference point to compare some strategic aspects of the educational process, such as the levels of participation, the educational success, the employment rate, the use of acquired skills, the inclusion for disadvantaged people, etc. 10 QUALITY INDICATORS (a) N. 1 Relevance of quality assurance systems for VET providers: a) share of VET providers applying internal quality assurance systems defined by law/at own initiative b) share of accredited VET providers N. 2 Investment in training of teachers and trainers: a) share of teachers and trainers participating in further training b) amount of funds invested N. 3 Participation rate in VET programmes: Number of participants in VET programmes, according to the type of programme and the individual criteria Planning Implemen tation Evaluation Review ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 57 58 N. 4 Completion rate in VET programmes: Number of persons having successfully completed/abandoned VET programmes, according to the type of programme and the individual criteria N. 5 Placement rate in VET programmes: a) destination of VET learners at a designated point in time after completion of training, according to the type of programme and the individual criteria b) share of employed learners at a designated point in time after completion of training, according to the type of programme and the individual criteria N. 6 Utilisation of acquired skills at the workplace: a) information on occupation obtained by individuals after completion of training, according to type of training and individual criteria b) satisfaction rate of individuals and employers with acquired skills/competences N. 7 Unemployment rate according to individual criteria N. 8 Prevalence of vulnerable groups: a) percentage of participants in VET classified as disadvantaged groups (in a defined region or catchment area) according to age and gender b) success rate of disadvantaged groups according to age and gender N. 9 Mechanisms to identify training needs in the labour market: a) information on mechanisms set up to identify changing demands at different levels b) evidence of their effectiveness N. 10 Schemes used to promote better access to VET: a) information on existing schemes at different levels b) evidence of their effectiveness (a) RECOMMENDATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training (2009/C 155/01) The European Union has requested all Member States to define a plan for quality assurance, indicating what measures intend to adopt in order to introduce the European model at national level. The EQAVET Recommendation is strictly connected to that one on European Qualifications Framework, already examined, and to that one on the recognition of credits which will be presented in the next chapter. The introduction and enhancement of a quality assurance system is a prerequisite for strengthening the context which is necessary to encourage Member States to recognise and give validity to titles and qualifications issued by other European states. It should be noted that the Recommendation on the European Qualifications Framework contains some quality principles to be respected: Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 58 59 COMMON PRINCIPLES FOR QUALITY ASSURANCE IN HIGHER EDUCATION AND VOCATIONAL EDUCATION AND TRAINING IN THE CONTEXT OF THE EQF (a) When implementing the European Qualifications Framework, quality assurance - which is necessary to ensure accountability and the improvement of higher education and vocational education and training - should be carried out in accordance with the following principles: • quality assurance policies and procedures should underpin all levels of the European Qualifications Framework, • quality assurance should be an integral part of the internal management of education and training institutions, • quality assurance should include regular evaluation of institutions, their programmes or their quality assurance systems by external monitoring bodies or agencies, • external monitoring bodies or agencies carrying out quality assurance should be subject to regular review, • quality assurance should include context, input, process and output dimensions, while giving emphasis to outputs and learning outcomes, • quality assurance systems should include the following elements: – clear and measurable objectives and standards – guidelines for implementation, including stakeholder involvement – appropriate resources – consistent evaluation methods, associating self-assessment and external review – feedback mechanisms and procedures for improvement – widely accessible evaluation results. • quality assurance initiatives at international, national and regional level should be coordinated in order to ensure overview, coherence, synergy and system-wide analysis, • quality assurance should be a cooperative process across education and training levels and systems, involving all relevant stakeholders, within Member States and across the Community, • quality assurance orientations at Community level may provide reference points for evaluations and peer learning. (a) RECOMMENDATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 23 April 2008 on establishment of the European Qualifications Framework for lifelong learning (2008 / C 111/01) Compared to the model proposed by the Recommendation on the quality, the principles of the European Qualifications Framework appear more concrete. However, there is a substantial coherence between the two documents: both emphasize some fundamental principles: • the quality assurance should be an integral part of the management of the training activity; • the quality assurance is based on the definition of clear and measurable objectives, on appropriate implementation mechanisms, on internal and external evaluation, and on feedback mechanisms to ensure the change and continuous improvement; • the results of the learning process are a key component of the assessment. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 59 61 6. The European Recommendations on ECVET and the validation of non-formal and informal learning 6.1 T HE VALIDATION AND CERTIFICATION OF PRIOR LEARNING The education systems are based on the offer of school and training courses held under the surveillance of a central authority. At the end of these paths, after the learning outcomes assessment, a degree or the corresponding qualification is issued. However, learning does not take place only in formal training, but also in training activities conducted outside the traditional educational context: in the workplace (non-formal training) or in the experience of everyday life (informal training). Generally only the results of formal learning are recognised; it is difficult to recognize the skills acquired in non-traditional contexts (the skills acquired at work, or in educational experiences abroad). But for some years new procedures have been established in the United States and in some European countries (France, UK, Netherlands, etc.) in order to recognise prior learning regardless of how it was acquired (Assessment of Prior Learning - APL). 6.2 T HE E UROPEAN C REDIT S YSTEM FOR V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING (ECVET) In order to facilitate the capitalization and transfer of learning outcomes (knowledge, skills and competences) of a person moving from a learning context to another and/or from a qualification system to another, and to support the recognition of learning outcomes regardless of where they were acquired, the Parliament and the European Council approved in 2009 a Recommendation on the establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) 1 . ECVET concerns the whole system of vocational education and training and allows to receive credits in relation to learning experiences, regardless of the fact that they were carried out within formal or non-formal paths. ECVET promotes flexibility of training systems: learning outcomes are assessed and validated in order to transfer credits from a qualification system to another, or from a training path to another. According to this system, the students can accumulate over time and obtain the recognition of lear - 1 Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the Establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) (2009/C 155/02). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 61 62 ning outcomes required to achieve a certain qualification, in different countries or in different situations without attending further vocational education and training. ECVET can be applied in a regional or national context (in case of inter-regional or formal - non formal mobility) and in case of transnational mobility. In particular, it has been created a methodological framework in order to recognise the learning acquired during periods of mobility through the definition of a common language and by stimulating mutual trust. In order to facilitate the credit transfer, the ECVET Recommendation provides a methodology for the description of qualifications in terms of units of learning outcomes, which are associated with credit points. Basically, the qualifications or education/training programmes can be divided into units or parts of units. A unit is defined within ECVET as the smallest part of the qualification, and is based on the result. The unit is the subject of evaluation and can possibly be certified. Each unit corresponds to a specific combination of knowledge, skills and competences and can be of different dimension, in accordance with the national systems of education and training. 6.3 H OW DOES ECVET WORK ? 2 ECVET is based on the following concepts and tools: • Learning outcomes • Units of learning • ECVET points, which provide additional information about units and qualifications in a numerical form • ECVET credits Just like the EQF, ECVET focuses the certification on the learning outcomes rather than on the training processes or the programmes attended. The learning outcomes are defined as sets of knowledge, skills and competences which can be acquired in a variety of learning contexts. They indicate what a person knows, or can do, at the end of the learning process. ECVET: THE METHODOLOGY ECVET breaks qualifications down into units of learning outcomes. Units of learning. A Unit is a component of a qualification, consisting of a coherent set of knowledge, skills and competence. The Units should not be confused with the elements of the teaching programme. They can be defined on the basis of the work processes which the professional figure must support corresponding to the qualification. The same unit can be part of several qualifications. 2 E UROPEAN C OMMISSION (2009), Get to know ECVET better - Questions and Answers. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 62 63 In this way, the qualifications can be compared and validated even among different countries. Each Unit can be assessed, validated and recognized. A person can achieve a qualification by accumulating the required units which have been acquired in different countries. In addition, each unit of learning can be “measured” assigning a score based on the consistency that covers compared to the overall qualification. As a reference base it is estimated that the learning after a year of education and training is equivalent to 60 ECVET points. The qualification is measured with respect to the expected time of teaching/formal learning. Then the single Units are measured. ECVET Credit for learning outcomes designates individuals’ learning outcomes which have been assessed and which can be accumulated towards a qualification or transferred to other learning programmes or qualifications. Based on this documentation, other institutions can recognise learners’ credit. The Memorandum of Understanding is an agreement between competent institutions which sets the framework for credit transfer. It formalises the ECVET partnership by stating the mutual acceptance of the status and procedures of competent institutions involved. The Learning agreement is an individualised document which sets out the conditions for a specific mobility period. It specifies, for a particular learner, which learning outcomes and units should be achieved together with the associated ECVET points. 6.4 T HE VALIDATION OF NON FORMAL AND INFORMAL LEARNING The European framework for recognition of competences has been completed by a Recommendation of the European Council of 20 December 2012; in order to give people an opportunity to demonstrate what they have learned outside formal education and training and to make use of such learning for career and further learning, the Recommendation has required Member States to establish, by 2018, arrangements for validation of non-formal and informal learning which enable individuals to: • have knowledge, skills and competences which have been acquired through non-formal and informal learning validated; • obtain a full qualification, or, where applicable, part qualification, on the basis of validated non-formal and informal learning experiences; • include, as appropriate, the following elements in arrangements for the validation of non-formal and informal learning: a. identification of an individual’s learning outcomes acquired through nonformal and informal learning; b. documentation of an individual’s learning outcomes acquired through nonformal and informal learning; c. assessment of an individual’s learning outcomes acquired through nonformal and informal learning; d certification of the results of the assessment of an individual’s learning outcomes acquired through non-formal and informal learning in the form of a qualification, or credits leading to a qualification, or in another form. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 63 64 Therefore, the Recommendation, in addition to ask the Member States to establish a framework for recognition of competences, also suggests a methodological approach, which is based on the subsequent moments of identification, documentation, assessment and certification of the results. In addition, it lists some important principles to ensure the coherence and the proper functioning of the system, including: • the need of a link to national qualifications frameworks (in line with the European Qualifications Framework); • information and guidance on the benefits and opportunities for validation; • the attention to disadvantaged groups, including individuals who are unemployed and those at risk of unemployment; • quality assurance of the validation process; • the development of the professional competences of staff involved. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 64 65 7. The European Social Fund 7.1 A TOOL TO PROMOTE HARMONIOUS ECONOMIC AND SOCIAL DEVELOPMENT OF THE M EMBER S TATES The ESF is one of the five European Structural and Investment Funds (ESIF) 1 . The Structural Funds are financial instruments supporting social cohesion in Europe focusing on the less developed regions. The ESF has been regulated by the Treaty of Rome in order to improve opportunities of employment in the Common Market and thus contributing to raising the standard of living through the promotion of employment facilities and the geographical and occupational mobility of workers. In particular the European Social Fund was intended to be a tool for supporting areas that are lagging behind or crisis situations, with particular reference to the southern Italian regions, which more than the others were likely to suffer the consequences of the enlargement of the Common Market. As a result of the continuous worsening of the employment situation and in particular of youth employment, new rules related to the tasks of the ESF have been adopted, giving priority to the measures assisting young people and the areas with high unemployment rate. The changes introduced were an important development for the Fund, which took on the character of a policy tool particularly addressed to young people aged under 25, unemployed, whose chances of finding a job were particularly low due to lack of training or inadequate training, and to people over the age of 25 in a difficult situation (unemployed or underemployed, women, disabled people, immigrants, employed in small and medium-sized enterprises). The European Social Fund finances activities in the following areas: • learning and lifelong learning for workers; • work organisation; • support to employees in restructuring contexts; • employment services; • integration of disadvantaged people into the labor market; • reforms in education and training systems; • networks of social partners and NGOs; training in administrations and public services. 1 European Regional Development Fund (ERDF), European Social Fund (ESF), Cohesion Fund (CF), European Agricultural Fund for Rural Development (EAFRD), European Maritime and Fisheries Fund (EMFF). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 65 66 It is managed by seven-year programming cycles. The level of funding varies depending on the wealth of the region. EU regions are divided into three categories of regions based on their regional GDP per head compared to the EU average: • the less developed regions, whose GDP per capita is less than 75% of the EU-27, which constitute the key priority. In the next programming period Campania, Calabria, Sicily and Puglia will be part of this group; • transition regions, whose GDP per capita is between 75% and 90% of the average GDP of the EU-27; Abruzzo, Molise, Basilicata and Sardinia will be included in this group; • more developed regions, whose GDP per capita is above 90% of the average GDP of the EU-27. This group will include the North Central regions. The regions belonging to the first category, and (in part) to the second category receive most of European funding; furthermore the share of EU funding for the various projects can be much higher. The ESF strategy and budget is negotiated between the EU Member States, the European Parliament and the EU Commission. The strategy defines the objectives of ESF funding, which it shares partly or wholly with other structural funding. The ESF funding is responsibility of the Member States and EU regions. The detailed management of programmes supported by the European Social Fund is responsibility of the Member States at national and regional level. Once the strategy and budget allocation have been agreed, a shared approach to programming is taken. Seven-year Operational Programmes are planned by Member States and their regions together with the European Commission. These Operational Programmes describe the fields of activity that will be funded, which can be geographical or thematic. The Member States designate national ESF management authorities that are responsible for selecting projects, disbursing funds, and evaluating the progress and results of projects. Certification and auditing authorities are also appointed to monitor and ensure compliance of expenditure to the ESF regulation. The implementation of the ESF on the ground is achieved through projects which are applied for and implemented by a wide range of organisations, both in the public and private sector. These include national, regional and local authorities, educational and vocational training institutions, social partners and individual companies. The beneficiaries of ESF projects are varied, for example, individual workers, groups of people, industrial sectors, trades unions, public administrations or individual firms. Vulnerable groups of people who have particular difficulty in finding work or getting on in their jobs, such as the long-term unemployed and women, are a particular target group. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 66 67 7.2 T HE P ROGRAMMING P ERIOD 2014-2020 The most important innovations for the new period concern the changes in the programming and management of the Structural Funds (ESF, EAFRD, ERDF, etc.,) through: • the principle of complementarity of the funds and the establishment of a common strategic framework to define investment priorities and focus assistance on a limited number of common thematic objectives, linked to the objectives of the Europe 2020 strategy; • the conclusion of a partnership agreement between the Commission and each Member State, for the commitment of the contracting parties at national and regional level to use the allocated funds in order to implement the Europe 2020 strategy, as well as a performance framework assessing the progress towards the commitments; • the close connection with the Stability or Convergence Programmes and the National Reform Programmes established by the Member States and with the country-specific recommendations adopted by the Council on the basis of such programmes. Since 2014 the financial burden of the European Social Fund has increased: for 2014-2020 the total budget amounts to approximately €80 billion that is more than €10 billion per year. This amount will be complemented by a series of public and private co-financing at national level of approximately €50 billion, bringing the total amount available to around €120 billion. In particular, Italy has been allocated around €10.5 billion. The Regulation (EU) No 1304/2013 sets four thematic objectives: • Promoting employment and supporting labour mobility (€4.086 billion of financial allocation for Italy); the European Social Fund will cooperate with the EU organisations to implement projects for educating citizens and helping them to find employment. Helping young people to enter the labour market will be a top priority of the European Social Fund in all Member States. • Promoting social inclusion and combating poverty (€2.269 billion of financial allocation for Italy); disadvantaged people will receive greater support so that they can better integrate into society. • Investing in education, skills and lifelong learning (€3.156 billion of financial allocation for Italy); the European Social Fund will finance initiatives to improve education and training and to ensure that young people complete their training path obtaining the skills to make them more competitive on the labour market. Among the priorities there are the reduction of the school dropout rate and the improvement of opportunities for vocational education and university. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 67 68 • Enhancing institutional capacity and efficient public administration (€593.80 of financial allocation for Italy). The European Social Fund will support the efforts of Member States to improve the quality of governance and public administration and the structural reforms by giving them the necessary institutional and administrative capacity. Funding should be more focused to achieve best results: by directing its actions on a limited number of priorities, the European Social Fund aims at ensuring the funding needed to make a real impact on the major challenges faced by the Member States. The Programming Period 2014-2020 is implemented through operational programs. Each program covers the period between 1 January 2014 and 31 December 2020 and is developed by the Member States. Regarding Education and Training, the resources of the other structural funds are added to the funding allocated by the European Social Fund, in particular the ERDF (European Regional Development Fund), which finances infrastructural and technological interventions also in the field of education. 7.3 T HE RESOURCES AVAILABLE FOR I TALY AND THE N ATIONAL AND R EGIONAL O PERATIONAL P ROGRAMMES On the basis of the guidelines included in the Partnership Agreement the National Operational Programmes (NOP) and the financing of Regional Operational Programmes (ROP) have been defined. The following table presents the main NOP being financed by the European Social Fund; to these funding those of the ERDF are added: Programme Name Resources Available (ESF) Systems of active employment policies 1.180.744.376 School 1.154.692.048 Inclusion 827.150.000 Youth Employment Initiative 567.511.248 Governance and institutional capacity 328.669.463 In each Operational Programme it is defined a strategy to be implemented in accordance with the requirements of the Union’s strategy, with the specific rules of each fund and the content of the Partnership, through modalities to ensure the effective, efficient and coordinated implementation of funds. Moreover, the priorities and the specific objectives are defined. For example, the NOP School “Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” (For the school - skills and learning environments), is divided into four Axis: • AXIS I – Education (financed by the ESF) • AXIS II – Infrastructures for education (financed by the ERDF) Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 68 69 • AXIS III – Institutional and administrative capacity (financed by the ESF) • AXIS IV – Technical assistance (financed by the ESF) Within Axis 1 (Education) the NOP School aims to support interventions to achieve the following objectives: • Reduction of early school leaving • Improvement of students’ key competences • Improvement of the ability to self-assess, to evaluate schools and innovation in teaching • Raising the level of education among adults, with particular attention to less educated • Qualification of Education and Vocational Training offer • Spread of the knowledge society in the world of education and training and adoption of innovative educational approaches The National Operational Programme “Youth Employment”, managed by the Ministry of Labour, intends to face the emergency of youth unemployment; beneficiaries of the interventions are the young NEET (not in employment, not in education, not in training), aged between 15 and 24 years old, with extension of the age up to 29 years old for some measures. Below are some actions that will be implemented with the NOP: • Reception, taking in charge and guidance of young people in search of employment, also within the Youth Guarantee Program. • Training aimed at providing the knowledge and skills needed to facilitate the employment and reintegration of 15-18 year olds in training paths (VET). • Job placement, through the exploration of the opportunities, tutoring, and matching with respect to the characteristics and propensities of the youth. • Apprenticeship: for the professional qualification and degree; vocational or trade contract; for higher education and research (issuing of University and Master degrees, PhD, ITS Specialisation Certificate) • Extracurricular internship, also in geographical mobility, aimed at facilitating professional choices and employability of young people in the transition between school and work • Civil service, aimed at providing young people up to 28 years a range of knowledge on the areas of the national and regional civil service and transversal competences. • Support to self-employment and to self-entrepreneurship for young people up to 29 years, through training and assistance for the drafting of business plan, support for access to finance, support services for the establishment of enterprise, support to start-up. • Transnational and territorial labour mobility, within the national territory or in the EU countries. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 69 70 • Employment bonus: promotion of the employment of young people by providing incentives to companies. While the National Operational Programme “Systems of active employment policies”, managed by the Ministry of Labour, will mainly implement system-oriented measures. In particular, the measures are focused on the following areas and actions: a) Promoting sustainable and quality employment and supporting labour mobility: • testing of active policies, direct interventions and actions of system and technical support; • improving the effectiveness and quality of employment services through interinstitutional cooperation for the implementation of the essential performance levels of employment services; • system action for the permanence / relocation of workers affected by crisis; • system actions generally referable to the observations and analysis on employability. b) Investing in education, training and vocational training for skills and lifelong learning: • systematization of the necessary interventions for lifelong learning supporting the agreements on educational, vocational and skills certification standards; • effectiveness of alternation school- training and job through assistance actions to the regions; • anticipation of training and vocational needs and upgrading of the skills. c) Institutional capacity • implementation of measures for the construction of an integrated information system job-training, active and passive labour policies. • interventions for the strengthening of actors’ skills in the system of active policies for employment, for the arrangement of monitoring and evaluation tools, for the promotion of the main devices on the same policies. The NOP “Systems of active employment policies” is totally financed by the European Social Fund (ESF). The budget amounts to €2.177 billion, of which €1.181 is the support of the European Union and the remaining part is the national co-financing. The vast majority of resources (84%) will be aimed at strengthening the measures of the “Youth Guarantee” to improve employment services, to combat long-term unemployment and to enhance access to employment of women, unemployed and immigrants. The following table shows the resources allocated to each region from the European Social Fund for the implementation of the ROP, the Regional Operational Programmes. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 70 71 Region Available resources Abruzzo 71.251.575 Basilicata 144.812.084 Calabria 254.339.876 Campania 627.882.260 Emilia Romagna 393.125.091 Friuli Venezia Giulia 138.213.907 Lazio 451.267.357 Liguria 177.272.384 Lombardy 485.237.258 Marche 143.989.809 Molise 23.853.230 Bolzano 68.310.599 Trento 54.989.992 Piedmont 436.145.000 Puglia 772.409.449 Sardinia 221.253.335 Sicily 615.072.321 Tuscany 366.481.608 Umbria 118.764.401 Valle d’Aosta 27.786.275 Veneto 382.015.911 TOTAL 5.974.473.722 The themes of the regional strategy are developed within a programme structure including five Priority Axis, developed on the basis of the priorities set by the European Social Fund. • Axis A - Employment • Axis B - social inclusion and fight against poverty • Axis C - Education and Training • Axis D - Institutional and administrative capacity • Axis E - Technical assistance As stated above, the resources provided by other Community funds, in particular by the ERDF (European Regional Development) as regards structural measures and the EAFRD (European Agricultural Fund for Rural Development) are added to those of the Social Fund. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 71 73 8. The evolution of European educational systems in the context of the Lisbon challenges The process of reflection and dialogue on international training needs and on the need to innovate educational systems has given a boost to the process of school reform in European countries. It is not possible to say that the time and the way these national reforms were made were dictated by Brussels, but it is undeniable that the growing international comparison within the European Union and the inputs originated from the analysis conducted by the OECD 1 have increased the awareness of the different countries to adjust their educational system and training in order to meet the challenges which are highlighted in the various offices. Looking at the major educational and training reforms which have been implemented within recent years, one can observe two different approaches to educational policy. The first approach, a more traditional one, is substantially centred on changing the regulation of the educational system, redirecting or redeveloping the resources allocated to the system (teachers, schools) or by introducing new processes, or correcting the existing ones. The second approach, which has developed in Europe since the last decade of the last century, is focused on the control of results and is defined outcome driven (or performance-based) approach 2 . These two approaches differ from each other, but they are not mutually exclusive, since the strategies that motivate the latter approach do not deny the importance of process innovation, but are based on the principle that only a strong focus on the results achieved is able to encourage schools to improve processes. 8.1 T HE POLICIES FOCUSED ON THE INNOVATION PROCESS The principle underlying the policies focused on the innovation process is that to improve the school system, it is necessary to modify its structure, based on the needs resulting from an analysis of its functions and from the requests of the stakeholders (families, head teachers, teachers, and public opinion). 1 Consider the fact that OECD indicators on students’ learning mechanism have a great impact on the public opinion. 2 A LLULLI G. (2011), Le politiche scolastiche e l’Output Driven Approach, in Scuola Democratica, n.3, Guerini and associates, Rome. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 73 74 The implemented policies, which could be traced back to this category, are various but in particular the following policies can be mentioned: • The extension of compulsory education (and initial vocational training). • The school curriculum reform. • The assignment of new resources (especially for those areas at risk) or the reallocation of the existing ones. • The teachers’ recruitment, training and career reform. In the following paragraphs it will be examined what has been done in Europe in recent years regarding this type of intervention. 8.1.1 The extension of compulsory education The results of national and international surveys, such as the OECD-PISA survey, show that an early channelling of the students (under 14 years of age) can damage the equality of opportunity without improving the students’ performance. Furthermore, the students’ selection criteria are often conditioned by social factors and not by the performance. Therefore, in order to ensure all students a basic education, adequate to provide the knowledge and skills necessary for a conscious continuation of schooling and training, or to enter the labour market and the society, most of the European countries have increased the duration of compulsory education until the age of 16; Hungary up to 18 years, with a full-time attendance. A growing number of countries are choosing a mixed model to extend compulsory school by integrating part-time attendance with different forms of work experience; among these there are Germany, Belgium, the Netherlands and Italy, which have extended the compulsory attendance up to the age of 18, but with a part-time modality (alternating school and work). The United Kingdom is considering this possibility. Other countries have decided to lower the school starting age or have made preprimary school attendance compulsory. However it has emerged that the compulsory attendance of general and longterm courses tend to demotivate the students less inclined to study, pushing them to abandon their studies. Therefore some countries, especially France, Spain and the United Kingdom, after extending compulsory education to full-time until the sixteenth year of age, had to introduce new training courses or a more flexible curriculum to offer the students more options to suit their interests and prevent early school leaving; they have also introduced new disciplines, more connected with the “real” world, in order to increase the students’ motivation, especially of those less inclined. Also Italy, by extending the period of compulsory education until the sixteenth year of age, has given students the opportunity to choose among different courses of study, including vocational education and training, in the last two years of compulsory education. While in German-speaking countries, students are channelled at the age of 11 between two types of studies, either academic or vocational. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 74 75 Terminal Education Age for Compulsory Education NUMBER OF COUNTRIES 1 18 1 17 18 16 12 15 As a result of these policies, a greater number of young people has graduated from secondary school: according to surveys conducted by the European Commission, the percentage of young people who graduated from high school has increased from 76.1% in 2000 to 78.5% in 2008, although the majority of European countries is still below Lisbon’s target (85%). Finland, Sweden, Ireland, Cyprus and several Eastern European countries (Poland, Czech Republic, Lithuania, Slovakia, Slovenia) have already reached the European benchmark, while Malta, Spain and Portugal are below 70%. Italy, Bulgaria, Lithuania, Malta and Portugal have made the strongest progress since 2000. During the same period there has been a slight improvement regarding the European average dropout rate, which has dropped from 17.6% to 14.9%. 8.1.2 The curriculum reform The curriculum reform is another objective that many European governments want to achieve in order to improve the education system. First of all, based on the debate internationally developed with reference to the European Recommendation issued at the end of 2006 on this subject (see par. 3.1), many countries have acknowledged the importance for students to acquire some key competences useful for active citizenship, social cohesion and employability by the end of compulsory education and training, regardless of the type of course of study chosen. In particular, some European countries (France, Spain, Italy, UK, and Sweden) have reformed their compulsory education curricula taking into account the eight European key competences, introducing the acquisition of citizenship basic skills among the objectives to be achieved. An important example that is often used as a reference for this European movement is the Common Base for Knowledge and Skills, which was introduced in the French education system in 2006. THE COMMON BASE FOR KNOWLEDGE AND SKILLS (FRANCE) The implementation of the common base has been set in Article 9 of the Fillon law of the school reform on the 23 of April 2005 and it states that “the compulsory education must guarantee every student the acquisition of a common base consisting in a set of knowledge and skills necessary to successfully complete their schooling, to continue their training in order to build their personal and professional future and become actively involved in social life”. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 75 76 The common base thus refers to compulsory education, with the ambition to be the necessary and essential foundation for lifelong learning. Compulsory education cannot just be reduced to the common base, even if it is a foundation, since it does not replace primary and secondary school programmes. Its peculiarity lies in the willingness to give meaning to school culture, taking the point of view of the student and building bridges between disciplines and programmes. The common base defines what nobody can ignore by the end of compulsory schooling. The school shall provide all the tools so that each student’s ability can be developed. To master the common base, means being able to use what you have learned in complex tasks and situations, first at school, then in life; it also means having the abilities to continue to develop the own skills throughout life and to be able to become actively involved in society. The common base is acquired gradually from kindergarten to the end of compulsory schooling. Each skill requires the contribution of several disciplines, and on the other hand, each discipline contributes to acquire more skills. All subjects taught in elementary school and in the collège (French middle school), including physical education, arts and music education, have a role in the acquisition of the base. In Italy, in order to define the guidelines for extending compulsory education the Ministry of Public Education has set up a commission that drafted a document entitled Guidelines on How to Extend Compulsory Education3. The Commission has been working in the wake of the European Recommendation citizenship skills, characterized by cultural and cross-sectional components, the first ones have been highlighted as cultural strategic axes while the second ones as cross-sectional competences. The Commission has specifically established: • four strategic cultural axis: the languages axis; the mathematics axis; the sc ience and technology axis; the social and historical axis; • Eight cross-sectional competences: learning to learn, planning, communicating, to collaborate and participate, problem solving, acting independently and responsibly, to find connections and relations, acquiring and interpreting information . Based on the proposal of the Ministry of Public Education, the Commission has issued the regulations governing the extension of compulsory education 4 . CROSS-SECTIONAL COMPETENCES FOR COMPULSORY EDUCATION (a) • Learning to learn: to organize own learning, identifying, choosing and using various sources and various means of information and training (formal, non-formal and informal), also depending on the available time, own strategies and method of study or work. 3 The Commission has the task to investigate the issue related to compulsory education and develop possible ways aimed to extend compulsory schooling Guidelines on how to extend compulsory education 3 March, 2007. 4 Ministry of Public Education Decree of 22 August 2007, n. 139 “Regulation regarding the fulfillment of compulsory education, according to Article 1, paragraph 622 of the Law of 27 December 2006, n. 296” by the Official Gazette n. 202 of 31.08.2007. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 76 77 • Planning: to develop and carry out projects concerning the development of own study and work activities, using the acquired knowledge to establish important and realistic targets and the related priorities, considering the constraints and opportunities, defining action strategies and verifying the results achieved. • Communicating: – To understand different types of messages (journalistic, literary, technical, scientific) of different complexity, delivered by using different linguistic styles (oral, mathematical, scientific, symbolic, etc.) through various media (paper, computer and multimedia). – To represent events, phenomena, principles, concepts, rules, procedures, attitudes, moods, emotions, etc. using different linguistic styles (oral, mathematical, scientific, symbolic, etc.) and different disciplinary knowledge through various media (paper, computer and multimedia). • To collaborate and participate: interacting in a group, understanding the different points of view, enhancing its own capacity and that of others, managing conflict, contributing to common learning and to the realization of joint activities, in recognition of others’ fundamental rights. • Acting independently and responsibly: Knowing how to actively and consciously integrate oneself in social life and to assert its own rights and needs while recognizing those of others, the common opportunities, limits, rules, responsibilities. • Problem solving: facing problematic situations building and verifying hypotheses, identifying the sources and appropriate resources, collecting and evaluating data, suggesting solutions using subjects and methods from various disciplines, depending on the type of problem. • To find connections and relations: to identify and represent, developing consistent arguments, connections and relationships between phenomena, events and different concepts, even from different disciplines, and distant in space and time, understanding the systemic nature, identifying similarities and differences, consistencies and inconsistencies, causes and effects and their probabilistic nature. • Acquiring and interpreting information: to acquire and critically interpret information received in the various areas and through different communication tools, assessing the reliability and usefulness, distinguishing facts and opinions. (a) Ministry of Public Education Decree of 22 August 2007, n. 139 “Regulation regarding the fulfillment of compulsory education, according to Article 1, paragraph 622 of the Law of 27 December 2006, n. 296” by the Official Gazette n. 202 of 31.08.2007 8.1.3 Assigning new resources (especially for areas at risk) Teachers tend to avoid, where possible, schools located in disadvantaged areas, therefore in these schools we usually find the less qualified teachers who often try to get transferred into other schools producing a continuous turnover. In many European countries, in order to enhance the quality of training, the training path has been improved especially in those areas socially and culturally disadvantaged. We can remember among other things, the Excellence in Cities programme(5) introduced in the UK in 1999, and the initiative of the Areas of priority education, which were introduced in the French educational system in 1982 (see the table below). These measures also provide better salaries for teachers for encouraging them to stay in Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 77 78 schools located in disadvantaged areas. However, it has been observed that the impact of the financial incentives over the teachers’ choices is very limited 5 ; to be effective the financial incentive should be quite significant 6 . ZONES D’ÉDUCATION PRIORITAIRES (AREAS OF PRIORITY EDUCATION) The policy of the Areas of Priority Education (Zones d’éducation prioritaires – ZEPs) was introduced in France in 1982 to overcome the academic failure of disadvantaged students. Originally, the program was supposed to be temporary, but it has been confirmed and extended to many schools until it reached 15% of the students distributed among 800 priority areas, mostly located in urban areas. To encourage schools to develop projects and partnerships at the local level, the programme has provided additional resources through: • the reduction of the class size • the allocation of economic and legal incentives to educators • the allocation of additional resources to schools • the increase of the number of teaching hours. The programme has faced problems such as: • the difficulty of families to cope with the educational needs of the students, given their low socio-cultural level • the need to overcome inequality prematurely • the concentration of disadvantaged students within the same class • the lowering of teachers’ expectations • the teachers turnover and the difficulties for the ones recently hired. About two-thirds of the new teachers hired have begun their career as substitute in schools classified as “difficult” or in a priority area. The results of the programme were considered low, since both the social composition of the students enrolled in ZEP schools (the stigma of ZEP dismissed students who could enroll elsewhere) and the quality of the teachers have worsened, mainly because of the difficulties in teaching in these priority areas that have resulted in the most experienced teachers to “runaway”. Eventually, there were no significant improvements in the results of the students attending schools in these areas. The results have revealed the need to concentrate more resources on a smaller number of schools in greater difficulty. Therefore, the French government has introduced the tools to select the best schools to include in the programme. The new programme, launched in 2006 (“Ambition reussite”), was more selective, based on the use of more trained and experienced teachers. Also it provides wage incentives to encourage experienced teachers to apply to teach in these areas, and instituting special teaching groups to provide teachers with no experience, strategies to improve the academic performance of the students. 5 B ENABOU R., K RAMARZ F., P ROST C. (2005) The French zones d’education prioritaires: much ado about nothing? Discussion paper serie No. 5085 , Centre for Economic Policy Research. 6 H ANUSHEK E.A., K AIN J.F. and R IVKIN S.G. (1999), Do Higher Salaries Buy Better Teachers?, Working Paper No 7082, National Bureau of Economic Research, Cambridge, MA. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 78 79 8.1.4 The teachers’ career reform According to the OECD 7 you can define two basic models chatacterising the profession of teachers: the model “based on career” and the model “based on location”. In the model based on career, the management of teaching staff is generally centrally organised. Access to the profession is based on academic qualifications and/or on passing an entrance examination and the teachers are usually assigned to different schools according to fixed rules. The career progression follows predetermined criteria (often considering seniority rather than the results of the activity). France, Italy and Spain are examples of countries in which we can trace many elements of this system. In models based on location, management and recruitment of the teaching staff are held by the local authority or by the individual school. It is up to schools or local authorities to select the most suitable candidate for each position, by external recruitment or internal promotion. This model enables a more flexible access to the teaching profession; for example, it is relatively common for older candidates or applicants with other careers to access education, as it is common to go from teaching to other careers. The career development of teachers depends on the success in the competition for the job vacancies, and the number of places available for higher level is usually limited. Sweden, Switzerland and the United Kingdom all have a system which is similar to this model. In school systems with a model based on career, the political concerns are the lack of incentive for teachers to continue their training, once they have been hired, and the strong emphasis placed on the regulations that limit the ability of schools to respond to local needs. Therefore, the priority in countries with systems following this model, is the introduction of policies defining more flexible working relations, allowing local education authorities and school principals a broader leeway and management by objectives. In those countries where schools systems have a model based on the location, it has been often registered a high staff turnover, especially in disadvantaged areas. Since this model allows the adoption of more flexible rules for the recruitment of staff, there are often disparities between schools in terms of qualification and experience of the teachers. The political priorities in these countries concern the designation of uniform criteria at a system level for the selection of teachers and the evaluation of their performance. The recruitment and training of head of school are also extremely important. The schools located in disadvantaged areas should be provided with more resources to enable them to compete in the recruitment of high quality teachers; There is also the need to increase the distinctionin wages and working conditions in order to attract the teachers less willing to move into these areas. 7 O ECD (2005), Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers, Education and Training Policy, Paris. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 79 80 Many countries have tried to raise the status and quality of teachers, both through better selection and training, and through an improvement in their status and career. As for the recruitment and training of teachers, the reforms that have been carried out in recent years have tried to introduce a more accurate selection and have enabled apprenticeship during the initial training, they have also introduced incentives to encourage the participation to in-service training, and finally promoted study periods abroad for foreign language teachers. Regarding the career, it has been attempted to introduce a greater flexibility in professional positions, to decentralize staff decisions by giving more power to principals and local authorities, to increase the salary of teachers in areas at risk, to develop new systems to evaluate teachers (self-evaluation, external evaluation, tests and measures of added value), and finally to introduce incentives and distinction in salary. In particular, many efforts have been made to develop new systems for evaluating the performance of teachers and provide them with incentives. For the evaluation of teachers different methodologies have been used 8 : • External inspections, carried out on behalf of the national authorities (like in France, in collaboration with the headmaster) or regional (like in Germany or Austria, but only for career progression). The classroom observation, interviews, and the material prepared by the teacher are the typical methods used for this type of evaluation. • Self-evaluation at a school level. This methodology was developed from 90’ onwards; It can be used in its own right, or it can be used as a basis for external evaluation. In the UK, Czech Republic, Estonia and Hungary, self-evaluation includes the analysis of teachers’ performance. • Internal evaluations, conducted by the head of school (usually the principal). This method has been in place in Belgium, Czech Republic, Lithuania, Austria, Romania, Slovenia, the Netherlands, France (in cooperation with the supervisors) and the United Kingdom. • Results of the students, considering the added value gained by the pupils of the teacher. In Ireland, Norway and Sweden, the emphasis is on the evaluation of the school unit, rather than on the assessment of individual teachers. Only in five countries (Denmark, Finland, Greece, Italy and Spain) teachers are not regularly evaluated once in service. 8 E URYDICE (2008), Levels of Autonomy and Responsibilities of Teachers in Europe, Eurydice network, Bruxelles; O ECD (2005) Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers Education and Training Policy, Paris. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 80 81 THE MERIT PAY According to the OECD, 11 countries, out of 29 examined, link teachers’ salary to their performance. This type of policy is called Merit-pay, or compensation linked to merit. In the US, eight states and many school districts link teachers’ salaries to the pupils results, generally measured through tests. The opinions on this policy are controversial. In favour of this policy, it has been observed, that introducing awards for teachers and giving incentives increases the commitment and performance; the incentive and the highest salary also make the teaching profession more attractive and able to attract the best candidates. The opponents, however, argue that the Merit-Pay programme produces a heavy bureaucratic burden, because it requires the construction of complex databases. In addition, competition among teachers, which is solicited, impairs cooperation within the school, which instead is a fundamental dimension of effective teaching. It is also pointed out that the success of the students, especially the disadvantaged, is difficult to measure and that teachers could be encouraged to alter the results of the students to improve their position. 8.2 T HE POLICIES CENTERED ON THE CONTROL OF RESULTS Faced with the growing dissatisfaction with the actual impact of the reforms on the improvement of educational process and the performance of students, a political school of thought has gradually developed, overthrowing the reformer approach; instead of intervening on the processes, waiting for their innovation to produce improvements in students’ performance, it is considered more effective to put the results directly in the center of the reform policy in the belief that greater attention to the performance of students will push schools and teachers to change the teaching approach, in order to make them more effective. This will lead schools (which are granted a wider organizational autonomy),to think thoroughly about their teaching methods, the real improvement of the teachers’ performance and therefore of the students’ results. School policies centered on the control of the results are largely based on: • the definition of clear and measurable goals and targets: goals to be achieved are defined, also indicating the precise levels and quantities involved, using indicators; • the definition of learning outcomes: studies and training are defined in terms of results to be achieved, rather than in terms of programs, schedules and disciplines to be studied; • granting more autonomy to schools: staff and heads of school are granted a broadest powers in the field of resource management, recruitment, teaching and school activity organisation; • evaluating students’ results through the use of objective tests: instead of traditional examinations, which do not allow a real appreciation of the results achieved, standardized tests are introduced, allowing the verification of students’ achievement level and a comparison between schools; Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 81 82 • the responsibility of the school for the results achieved: the results are communicated outside the school, and the school must be accountable to the authorities and the students’ families; • the introduction of an evaluation system for teachers: a system monitoring the activity of the teacher, his professional commitment, the results achieved by the students, either through external inspections or through the analysis of students’ performance in objective tests; • the granting of awards to schools and teachers based on their results; instead of the traditional career’s mechanisms, based on seniority, it has been introduced a mechanism linked to actual merit; • granting families the possibility to choose: the families are offered information tools on the actual quality of the schools, in order to make an informed choice, and regulatory tools to allow a choice not constrained by the place of residence. The main objective is to introduce a competitive system based on the free choice of citizens-consumers, although remaining within the public service supply. This approach is getting increasingly popular in many European countries (including Italy); in the United States and in England it has been at the center of the reform strategy (see file on the English Reformation); in many other European countries it has been introduced a system of evaluation of schools or of the school system (see file). The increased attention to the assessment of learning outcomes has been also supported by the debate which has developed in Europe. The development of the evaluation activity is strongly linked to the growth of the autonomy of schools. During the last 20 years in most European countries a process of decentralization has gradually developed; it has been attributed to a growing responsibility of schools regarding the organisation of training courses. Supporters of this approach reveal that the improvement of educational systems derives from a better management of each individual school, since teachers and heads of school have reference tools to compare their results and assess their weaknesses and strengths. Moreover, schools have to compete to be chosen by the students’ families and therefore should strive to improve; also, the introduction of a reward system for schools or for teachers boosts competition. Meanwhile the families are more informed about the performance of the individual schools and can choose the best ones; and this strengthens the virtuous circle between evaluation and improvement. Lastly, this approach allows for better management of the educational system at a central level, since policy-makers and education authorities are better informed about the results actually achieved at national and local level and may take the consequent decisions, both at a system level and at a school level (rewarding the best schools, or supporting, or closing, the disadvantaged ones). Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 82 83 THE EVALUATION OF EUROPEAN SCHOOL SYSTEMS The evaluation of the school is a widespread approach and it is used in the field of European quality assurance. In 26 countries, both the external and internal evaluations of the school are carried out. Self-evaluation was introduced in many countries (such as the UK, Denmark, Netherlands, Sweden, Czech Republic and Austria) as a practice of quality and quality improvement; self-evaluation often is the starting point for an external evaluation. The criteria and indicators for self-evaluation can be established at a national level. Over the past decade the expectations on internal evaluation of schools in Europe have grown. Since the early 2000s, the state of internal evaluation of schools went from recommended or possible to compulsory for a dozen educational systems. Currently the regulations at a central level, state that the internal evaluation is compulsory in 27 educational systems. Where internal evaluation is not compulsory, it is usually recommended. The only countries in which schools are not obliged or encouraged to carry out an internal evaluation are Bulgaria and France, the latter only for primary schools. In most countries, the external evaluation is up to the Inspectorate, who manages the evaluation activities under the responsibility of the central or regional authorities. Inspectors often use standard criteria for school evaluation. Czech Republic, Germany, Spain, Austria, United Kingdom, Netherlands, Bulgaria, Lithuania, Portugal, Estonia and Poland are part of this category. In most cases, the external evaluation of the school focuses on a wide range of school activities, including educational and management activities, students’ achievements, as well as regulation compliance. The evaluators base their work on an established framework that sets not only the focal points of the external evaluation, but also the rules defining a ‘good’ school. A dozen educational systems do not follow this model. Some approaches to the external evaluation of schools focus on specific aspects of the school work, such as regulation compliance (Estonia, Slovenia and Turkey). In Sweden, the Inspectorate has autonomy regarding the evaluation criteria to be considered and defines them based on the Education Act, on school regulations and on the curricula for compulsory education. In the second group of countries, local communities and the local government have a strong responsibility concerning the evaluation of schools; sometimes the evaluation conducted at a local level is integrated with the use of standardized tests at a national level. The Nordic countries, Belgium and Hungary are part of this group. However, even in these countries, the external evaluation of schools is becoming increasingly important: Denmark and Sweden, where the evaluation system was mostly focused on the local authorities, have strengthened the role of central authorities in the external evaluation of schools. In Czech Republic, the Netherlands, Portugal, Sweden, United Kingdom and Iceland, the results of the external evaluation of schools are published when they are evaluated by external evaluators (in most cases inspectors), who prepare their reports for the central authorities. In Sweden and Iceland, the results of the evaluations conducted at the local level are regularly published. In Hungary and Poland, the decision is made, respectively, at the local and regional level; sometimes the evaluation results are published. Finally, in a few other European countries there is no real system for the external evaluation of schools, because the autonomy of schools is more limited. In these countries, the Inspectorate carries out a more formal role, or assesses the performance of individual teachers, as it is in France. Schools can lead initiatives of self-evaluation, but without having any standard criteria available as a reference to this activity. However, even in these countries initiatives have been promoted for the introduction of an external evaluation, through the use of standardised tests or other instruments. France and Bulgaria are part of this group. Italy has recently launched its own system as we will see later 9 . 9 E URYDICE (2004), Evaluation of Schools providing Compulsory Education in Europe, Brussels and E URYDICE (2007) School Autonomy in Europe Policies and Measures Eurydice network, Brussels; E URO - PEAN C OMMISSION / EACEA / E URYDICE (2015), Assuring Quality in Education: Policies and Approaches to School Evaluation in Europe. Eurydice Report. Luxembourg: Publications Office of the European Union. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 83 84 The critics of this approach emphasise that the methodology for evaluating the school and students’ performance is flawed under many aspects. In particular, it is criticised the emphasis given to the administration and analysis of objective learning tests, which are the key element to the entire reform. These tests focus the attention of teachers and schools to few disciplines (usually linguistic and mathematical competences are evaluated through these tests), emphasising beyond measure their importance in comparison to other subjects, which end up being neglected. The teaching of these two subjects are likely to be overly focused only with the purpose of passing the test (teaching to the test is the term commonly used in English-speaking countries to indicate that teaching is aimed for students to pass the test) . Another problem encountered in the analysis and the use of objective tests results is the great influence of the socio-cultural family background. In fact the results of the tests have generally a high degree of correlation with the environment, so the results of the students (and therefore of the teacher or the school that prepared them) should always be interpreted in the light of the characteristics of the family environment. In the United States we speak of “Volvo effect” in the sense that to predict the results of the students’ tests it would be enough to count the number of luxury cars at the entrance of the various schools. Obviously this does not mean that the tests are not reliable, but rather the result of school activity is strongly influenced by the characteristics ascribed to students. Therefore those students attending schools located in socially advantaged areas tend to perform better than those who attend schools in socially disadvantaged areas, but this is not due to the teachers but to the students’ social background, which strongly influences the performance. That is why, in order to assess the results of the teacher’s work the “added value” should be measured, in other words what the student has actually learned through school activities; this is done using comparable tests at the beginning and at the end of schooling, and analysing the difference between the two results. English speaking countries have shown great interest towards this process, but it is not easy to implement, especially on a large scale, because it assumes the existence of very large archives and especially the stability of the students and the teachers, both of which are not features of our system. Another risk, related to the measurement of the added value and any other assessments of the school and teachers’ performance carried out measuring the students’ productivity, is the possibility for schools to choose only well-prepared students, or the excessive selection during the course of study, to get the best final results. Schools, in order to achieve better results could exclude the students considered “difficult”. In France in order to overcome this phenomenon calculations have been introduced to evaluate the performance of students in different schools and regions. The average advantage or disadvantage that is encountered at the national level by the student of a particular socio-economic background is subtracted to the result of the various schools. In this way the “social background” factor is cancelled. The effect of early school leaving is also considered. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 84 85 Furthermore, the comparison between the results obtained in different tests, from year to year, is not without difficulty and possibility of error. Critics of this system argue that this approach is controversial not only from the methodological aspects, but also from the viewpoint of improving the system. Families choosing among schools want to choose the best school and not those who obtain the highest added value results. The schools located in disadvantaged areas may be abandoned in favour of those located in richer areas, even if their performance improves from year to year. THE EDUCATION REFORM ACT (UNITED KINGDOM 1988) In 1988 the British government launched the Education Reform Act, which introduced a national basic curriculum that all schools were required to apply. It was also introduced a new evaluation system; this system includes inspections managed by the Office for Standards in Education (OFSTED, an independent body of the Ministry of Education) and standardised tests to assess the level of learning achieved by students in English, mathematics and science for each of the key age (7, 11, 14 and 16 years old). The assessment results are used to evaluate the performance of schools operating within the public system, which are financially autonomous. Every year they set the lists of schools (league tables) based on the testing results; the rankings are published in local and national media to encourage accountability of the school towards: • central and local authority and the governing body of the school (which includes family representatives, teachers and the local community), • citizenship in general, • families, to encourage their school choices. The accountability of the school is ensured through systematic inspections regularly organized by groups of inspectors appointed by the OFSTED. The teams carry out very thorough inspections to schools, based on analytical models previously prepared and similar for all inspections. During these inspections, extensive data and materials on the operation of the school are collected, numerous interviews to teachers and students are conducted, meetings with the students’ families are held, the teaching process is observed. At the end of this collection of information they prepare a rather analytical assessment report (with a variable length, from 60 to 100 pages), containing both indicators compared with national averages, and subjective analysis of the school functions, which are then summarised in a final judgement. These reports are sent to the OFSTED and to the Department for Education for the necessary decisions (schools showing major problems are in fact placed under observation), made public through the mainstream media, and widespread on the Internet. A negative result of the inspection requires schools to prepare an improvement plan to overcome the weaknesses identified. In the absence of an improvement within the specified time, the school could be closed or completely renovated, according to the possibility of redistributing the students in other institutions after the dismissal of the staff. Since 2002 the measures for the added value have been introduced. They measure student achievement compared with other students who previously had had similar results. This is a most accurate method of measurement since the input levels of the students are very different. Also contextual elements are taken into account, such as: • The gender • The first language • Membership to different ethnic groups ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 85 86 • Special educational needs • Economic status. Despite the efforts to improve the testing quality, the criticism about their side effects are still strong. A report of the Children, Schools and Families Committee10 concluded that “the use of national test results for the purpose of school accountability has resulted in some schools emphasising the maximisation of test results at the expense of a more rounded education for their pupils; ‘teaching to the test’ and narrowing of the taught curriculum are widespread phenomena in schools, resulting in a disproportionate focus on the ‘core’ subjects of English, mathematics and science and, in particular, on those aspects of these subjects which are likely to be tested in an examination” 11 . 10 A Committee of the Parliament of the United Kingdom who monitors the expenditure, administration and policy of the Ministry of Education. 11 H OUSE OF C OMMONS (2008), Testing and Assessment Children, Schools and Families Committee, Third Report of Session 2007–08. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 86 87 9. The Impact of the Lisbon Strategy on the EU Member States and the Italian Vocational Education and Training System 9.1 T HE RECOGNITION OF THE RIGHT TO LIFELONG LEARNING As we have said many times in these pages, the central objective of the Lisbon strategy is to foster the transition from an education and training focused on the early years of life to a continuous access to training opportunities in all its types, formal, informal and non-formal, which is developed throughout life. Even in Italy, after a long debate, the importance of this strategy has been sanctioned through the promulgation of the Law of the 28 June 2012, n. 92 (called Fornero Law), introducing in Italy the system of lifelong learning. LIFELONG LEARNING ACCORDING TO THE FORNERO LAW 51. In line with the European Union, the lifelong learning refers to any activity, formal, non-formal and informal undertaken by people in the various stages of life in order to improve their knowledge, skills and competences, within a personal, civic, social and employment perspective. Its policies are determined at a national level in agreement with the Joint Conference, proposed by the Minister for Education, University and Research and the Ministry of Labour and Social Policy, after consulting the Minister of Economic Development and the social partners, starting from the identification and recognition of the professional and cultural heritage collected by citizens and workers in their personal and professional history and to document it with the full implementation of a single information backbone through the interoperability of the central and territorial databases. 52. Formal learning refers to what takes place in the vocational and education training and in universities and other institutions of higher artistic education (in art, music and dance), culminating in the achievement of a degree or a qualification or a vocational degree, also achieved through an apprenticeship under the single text of the legislative decree 14 September 2011, no. 167, or by a recognized certification. 53. Non-formal learning is characterized by a deliberate choice of the person, and it is achieved outside of those systems specified in paragraph 52, in each body pursuing education and training purposes, also as a volunteer, in the national civil service and private and social enterprises. 54. Informal learning means that, even apart from a deliberate choice, learning takes place in the performance of everyday life activities and in the situations and interactions that take place in it, within working, family and leisure contexts. 55. By the same agreement referred to in paragraph 51 of this Article, in line with the principle of subsidiarity and respecting the overall Regions programming, after consulting the social partners, addresses for the recognition of general criteria are defind and also priorities to promote and support the creation of local networks that include all education, training and work ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 87 88 services organically linked to strategies for economic growth, access to employment for young people, the welfare reform, active ageing, the exercise of active citizenship, also by immigrants. In such contexts, are considered priorities all actions concerning: a) support to the people for the construction of their own formal, non-formal and informal paths as referred to in paragraphs 51 to 54, including the working path, highlighting and identifying peoples’ competence needs in relation with the territories and productive systems’ needs and with particular attention to language and digital skills; b) the recognition of credits and the certification of learning acquired through other means; c) the use of lifelong guidance services. As stated by the Joint Conference of State-Regions-Local authorities 1 , the more significant scope introduced by recent legislation is the configuration of a person’s right to learn (to be able to access and take advantage of real and significant educational and training opportunities throughout its life, and for the knowledge and skills acquired in a non-formal and informal way to be recognised). The Agreement signed at the Joint Conference also points out five priorities: • increasing the number of companies in support of lifelong learning; • reinforcing activities of lifelong guidance; • skills development of specific vulnerable or disadvantaged targets; • access expansion through specific tools for transparency and development and integration of lifelong learning services; • improving the relevance of education and labour market training To achieve these objectives it is necessary to set up a range of services across the country: • territorial networking services as the backbone of the lifelong learning system; • activities of lifelong guidance; • a system for the identification and validation of learning and for skills certification; • an information system to monitor, assess, track and storage the released documents. Therefore the lifelong learning system refers and includes the areas of formal, non-formal and informal learning. It is designed to support a person throughout its life, even in a perspective of employment and active citizenship. The role of “non-formal” learning in local networks, is one of the novelty factors with higher quality. In fact, the non-formal training course enriches the cultural and social contexts of territories, playing a specific role that cannot be replaced, which integrates the role of the formal, public and private learning. In this context, non-profit organizations, can get in touch with citizens often at risk of social exclusion, thanks to non-frontal and interactive methodologies, to training flexibility, to interpersonal relationships and to the integration between social services and cultural offerings. 1 Joint Conference: Agreement between the Government, Regional and Local Authority on the Document Entitled: “Strategic Lines of Action with Regard to Lifelong Learning Services and the Organization of Local Networks.” July 10, 2014. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 88 89 9.2 T HE IMPACT OF THE E UROPEAN R ECOMMENDATIONS ON V OCATIONAL E DUCATION AND T RAINING S YSTEMS The Copenhagen process and the 3 European Recommendations have generated a diversified impact on Vocational Education and Training systems, some countries were more ready to implement the Community’s requests, also because the debate developed at a European level and the following recommendations were influenced by the culture and structures of these countries, which found themselves naturally aligned with the guidelines issued. In fact the technical and vocational training displays different characteristics from country to country 2 , in contrast to pre-academic institutions, like high school that may be called with different names in every country (Gymnasium in Germany, Sixth Form in Great Britain, Lycee Cor B in France, etc.) but shows a somewhat similar configuration. The reason for this difference probably lies in the fact that classical education or other traditional high schools refer to formalized knowledge, within the primarily communal cultural tradition that has been established in Europe, while vocational training has been strongly conditioned by the economic systems and local production structures of the various European countries. In particular, the strong business demand seems conditioning the system’s development, where the production system is more steady; bigger is the effect on the training system, which therefore differs noticeably from that of the school system. Each national system thus appears highly specific; however, despite the diversity of the different approaches there are two basic models: • the French model, in which the initial vocational and education training are strongly integrated in the secondary school system, representing one or more training courses; for instance the Licee professionel, leading to the certificate d’aptude professionel (Cap), or to the brevet d’etude professionel(BEP); other examples come from the Scandinavian countries (Sweden, Finland), in which the training courses are fully integrated into secondary schools, to the point that (in Sweden) a part of the curriculum of vocational training is common to the curriculum of academic courses. • The German and English model, in which the two systems are completely separate. In these two countries, by the age of 16 after the compulsory schooling period, the division between academic courses and vocational training courses (Berufschule in Germany, Further Education in the UK) is quite clear. In Germany the two systems divide when the students are 15/16 years old, although 2 T REELLLE (2008), Technical education: an opportunity for young people, a necessity for the country Quaderno n. 8. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 89 90 already at 11 years old the German students must choose (or they get selected for) the school course which will prepare them for the next step. At the end of middle school (articulated in Gymnasium, for those who will continue high school studies, and in Hauptschule and Realschule for those who will continue technical and professional training) they can choose the Gymnasium (high school), or to access a dual system apprenticeship, alternating the professional training with Berufschule attendance (vocational school). In the United Kingdom after the end of the Comprehensive school, which accommodates all young people up to the age of 16, even allowing a large number of options, students can continue, if they have good grades, to Sixth Form (two-years school before University), or access one of the many opportunities offered by Further Education, a non-scholastic system that prepares young people to enter the working world and it consists in a varied number of training courses either fulltime or part-time. Among the countries that are part of the first model, vocational education is mainly full-time, even if companies offer long-term internships. Among the countries belonging to the second model, companies have a key role being the training provider; especially in Germany, where training is “dual”, since the internship is partly carried out in the company and partly in school. Italy belongs to the first model. One of the reason of the problems of our education and training, lies in the weakness of the relationship that has developed between school and business, also because of the development model of our production system, which after the 60’s and 70’s, era of the great industries, has increasingly faded into an economy based on medium, small and micro companies. These companies live on short-term contracts and seek professionals ready to work immediately; therefore it becomes difficult to invest in training and research. This is the difference between Italy and the other countries, such as Germany, where the production system is built on bigger companies, therefore the production system invests more, both in training and research 3 . In this situation the Italian school, facing with the problem of connecting with the production society, has tried to find within itself the reasons of its own existence; developing in a self-referential circuit, for which the reasons of the existence of the school have been sought within the same school culture, rather than in engaging with the external culture of the growing society, and the call for change from the working world. 3 A A . V V . Education for Citizenship, Work and Innovation: the German Model and Proposals for Italy, In I numeri da cambiare, Treelle e Fondazione Rocca, January 2015. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 90 91 However the European attention to the strengthening of the links between education, vocational training and the working world has led to the establishment in Italy of a new type of training course, the Istruzione e FormazioneProfessionale (IeFP, Vocational Education and Training), to establish a closer relationship between these different worlds. This type of training, which has been rapidly growing within recent years, has been conceived to offer an opportunity to the young people who wished to pursue a vocational path by the end of middle school, guiding them within three years to achieve a qualification and a diploma. The monitoring report conducted by ISFOL on this sector 4 shows that the total enrollment for the year 2012-13 amounted to over 300,000 units. Meaning that our country is undergoing a process in which the education and working worlds are finally approaching one another, proved also by the launch of the Istituti Tecnici Superiori (ITS, Higher College of Tecnology), providing a higher specialization to secondary school graduates, and by the initiatives to have apprenticeships also in secondary school. 9.2.1 The impact of the Recommendations on the establishment of a European Quali - fications Framework (EQF) The Copenhagen process and the European Recommendations still affect the different systems. For example, regarding the introduction of the European Qualifications Framework, the framework of all the titles and qualifications within a single frame, and the emphasis on learning outcomes are part of the tradition of countries like United Kingdom and Ireland, whose education system has privileged for a long time, the evaluation of the results rather than the management processes. In the UK, educational institutions have considerable autonomy, but there is a strong focus on the evaluation of the obtained results, through the standardization of qualifications. Ireland also follows a similar approach to system management, and since 2004 has introduced a national qualifications framework. Therefore Ireland, Malta and the United Kingdom were the first European countries to submit their national reference report, which put the national titles in correspondence with the eight European levels. The European Commission’s report on the implementation of the EQF 5 Recommendation highlighted that in 2008, three Member States already had a national qualifications framework and four Member States had referenced their national 4 I SFOL , VET a Professionalising Sector a.f. 2012-13. 5 E UROPEAN C OMMISSION (2013), Report from the Commission to the European Parliament and the Council. Evaluation of the European Qualification Framework (EQF). Implementation of the Recommendation of the European Parliament and the Council on the Establishment of the European Qualifications Framework for Lifelong Learning, Brussels, 19.12.2013 COM(2013) 897 final. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 91 92 qualifications systems to the EQF by 2010. By June 2013, twenty Member States had submitted their national reference reports to the EQF. The remaining countries (eight Member States, four candidate countries and Norway) are expected to complete their referencing process in 2013-14. Presentation of the national reference reports to the EQF (First Stage of the EQF Reccomendation) - 2013 By the end of 2010 FR, IE, MT, UK 2011 BE-vl, CZ, DK, EE, LT, LV, NL, PT 2012 AT, DE, HR, LU 2013 BG, IT, PL, SI More delays have instead occurred in the implementation of the second stage of the EQF Recommendation, or the indication at the appropriate level of the European Qualifications Framework for all new qualification certificates, diplomas and Europass documents issued by competent authorities. Even in Italy there has been a movement of resettlement of vocational qualifications in favor of greater comparability on a national level. Through subsequent agreements established in the State-Regions conference 6 , 22 terminal qualifications for the three-year course and the vocational course were identified. At the end of 2012 Italy has submitted their final reference report, indicating which of the 8 European levels correspond to the titles and qualifications issued in our country 7 . In the following page the referencing framework is presented 8 : 6 Agreement Conference of State July 27, 2011 - Development of IeFP regime; Agreement State-Region 19 January 2012 integration qualifications IeFP repertoire. 7 State – Regions Agreement 20/12/2012. 8 For more information on the described processes and to download the Italian referencing report, please visit http://www.isfol.it/eqf. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 92 93 1 MIUR/Education Lower secondary school Threeyear vocational school 2 3 4 5 6 Compulsory education certificate Upper secondary education diploma Vocational schools Higher technical specialization certificate Higher technical education diploma Bachelor’s degree First level academic diploma MIUR or Regions, according to the type of education pathway Regions Regions MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR Regions End of the first twoyears: High Schools, Technical schools, Vocational schools, threeyear and fouryear VET pathways Threeyear VET pathways Fouryear VET pathways Fiveyear Upper secondary schools (Licei) (Higher education and research apprenticeship programme) Fiveyear technical schools (Higher education and research apprenticeship programme) Fiveyear vocational schools (Higher education and research apprenticeship programme) Higher Technical Education and Training pathways (IFTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Higher Technical Education pathways (ITS) (Higher education and research apprenticeship programme) Threeyear bachelor’s degree courses (180 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Threeyear courses (180 credits ECTS) EQF Level TYPE OF QUALIFICATION COMPETENT AUTHORITY RELEVANT EDUCATION/ TRAINING PATHWAY Lower secondary school leaving diploma Professional operator qualification diploma Professional operator certification Professional technician diploma Upper secondary education diploma High Schools (Licei) Upper secondary education diploma Technical schools MIUR Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 93 94 Academic specialization diploma (II) Higher specialization diploma or Master (II) Research Doctorate (PhD) EQF LEVEL ISSUED BY 3 Professional Operator Certification TYPE OF QUALIFICATION 4 Professional Technician Diploma Regions Regions EQF LEVEL TYPE OF QUALIFICATION COMPETENT AUTHORITY RELEVANT EDUCATION/ TRAINING PATHWAY 7 8 Master’s degree Academic specialization Diploma (I) Higher specialization diploma or Master (I) Academic Diploma for research training Specialization diploma Second level university master First level university master Second level academic diploma MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR MIUR Twoyear courses (120 credits ECTS) Minimum two years courses (120 credits ECTS) Minimum one years courses (min. 60 credits ECTS) Threeyear courses (Higher education and research apprenticeship programme) Threeyear courses Minimum two years courses (120 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Minimum one year courses (min. 60 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Two year master’s degree courses (120 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Minimum one year courses (min. 60 credits ECTS) (Higher education and research apprenticeship programme) Minimum two years courses (120 credits ECTS) Minimum one years courses (min. 60 credits ECTS) Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 94 95 Lastly, we must remember that the National Directory of qualifications was regulated by the Legislative Decree 13 of 2013 and that it consists of all the repertoires of education and training qualifications encoded at national, regional or autonomous province level meeting certain requirements of the decree. 9.2.2 The impact of the European Recommendations on the European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) and the Recognition of Skills Acquired in Non-Formal and Informal Contexts The European credit system for vocational education and training has proved to be a rather complex tool to be implemented. The Evaluation Report of the European Recommendation 9 states that mobility projects based on ECVET believe that the main obstacles to transfer learning outcomes include: a) a different terminology to describe learning units, modules, credits, and other relevant elements, b) the incompatibility of the national credit systems with the ECVET (leading to the inability to use the credits to transfer learning outcomes) c) and the heterogeneity in the quality of training courses and assessment. The lack of guidance in the national education and training systems to the ECVET, a poorly developed legal framework at a national level (for example, the recognition of credits), administrative burdens and the difficulties in applying ECVET methodologies are some of the key issues that have slowed down the participants to use ECVET as a tool for future mobility. Units of learning outcomes in ECVET mobility projects were more likely to be recognized and rewarded, where the concept of unity existed in its national system. For short-term mobility projects, the organizational papers of ECVET (Learning Agreement, Transcript of Records, and the Memorandum of Understanding) represent the most important elements to the initiative. These papers, in particular, have helped to increase the mutual trust between senders and recipients, thus potentially encouraging a long-term mobility. It is completely different when we talk about the skills acquired in non-formal and informal backgrounds, we find the European countries on very different positions. Some countries have set up validation devices already established and functioning within their education system. The following chart illustrates the model of assessment of learning outcomes which was developed in France. 9 P UBLIC P OLICY AND M ANAGEMENT I NSTITUTE (2014), Implementation of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the establishment of a European Credit System for Vocational Education and Training(ECVET), Final Report, 2014. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 95 96 THE ASSESSMENT OF LEARNING OUTCOMES IN FRANCE 10 France has a long tradition in the field of validation of non-formal and informal learning and the national qualifications system is strongly connected with the labour market. In the 90’s the concept of Validation des Acquis Professionnels (VAP) was introduced into the French Law: people who had at least five years of work experience could be evaluated in order to obtain certifications and ministerial qualifications pertaining to secondary and higher education. To obtain the certification or the title, the subject must produce a portfolio containing the details of the activities and competences exercised, which is examined by a panel of assessors who can decide the number of credits granted or the type of studies necessary for the subject to qualify or the required title. In 2002 the system for validation of work experience has been extended to all types of qualification and certification through the concept of Validation des Acquis de l’Expérience (VAE). The concept of VAE stresses the importance of the summative assessment, namely to the acquisition of a title or a diploma rather than parts or sections of the training. The access to the experience validation for the achievement of a formal title is currently a right for all individuals who have gained at least three years’ work experience. In order to prepare and coordinate the operational framework of the initiative, in January 2002, the Commission Nationale de la Certification Professionnelle(CNCP, Nation Commission for Vocational Certification), was created with the task of: • activating and updating the Répertoire national des certifications professionnelles (National Directory of Vocational Certifications); • monitoring the adoption of the education system and labor market reforms; • supporting the agencies and organizations that deal with the validation and examinations for qualification. The Répertoire national des certifications professionnelles contains about 15.000 different qualifications of which, 11.000 academic, 700 of second level, 600 certificates of vocational skills, 800 certificates of business skills issued by companies and another 400 certificates issued by different organizations. Currently, the VAE device provides an evaluation conducted by accredited agencies (including the Skills Assessment Centre) on the basis of a portfolio of experiences presented by the applicant and verified by a panel of evaluation or a practical test. Evaluation standards (référentiels) are defined by the type of qualification and can be changed and updated. The decision to grant or not the title is collective and it is based on the overall assessment of the capacity and the expertise owned and declared by the subject. Parallel to the VAE, the Skills Assessment system plays an important role in the French validation system: the evaluation of skills is an activity conducted jointly by an individual and by one or more experts in order to investigate, define and describe the acquired skills. As part of the VAE, in fact, the Skills Assessment system is used to identify the skills that a subject may be examined for, therefore becoming a step within the VAE process. By the end of the assessment, the Accredited Centre advisor prepares a summary paper, in partnership with the candidate, to develop the skills assessment and to establish a relation with the objectives and expectations of the subject. The individualized approach allows providing suggestions and recommendations for the access to training courses and to the recognition of individual credits. 10 The description of the French model is taken from the ISFOL book (1997), Experiences of validation of non-formal and informal learning in Italy and in Europe, edited by Elizabeth Perulli, I SFOL publisher, Rome. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 96 97 The Libretto Formativo del Cittadino11 (Citizen’s Training Booklet) was introduced in Italy in 2005, it is a tool designed to collect, synthesize and document the different learning experiences of the working citizens, and the skills they have acquired: in school, in training, at work and in everyday life. The booklet is the key instrument for transparency in lifelong learning. It becomes a tool for transparent and formalized documentation of data, information, certifications, and it can be used by the individual in his training, growth and job mobility. The objectives of the booklet are: • to provide information on the subject and on his formal, non-formal and informal résumé, for job searching, job mobility and for the transition from one educational system to another; • to make the skills acquired, recognizable and transparent in order to support employability and professional development; • to help individuals maintain awareness of their own cultural and professional background and to guide the choices and future plans. However, the implementation of recognition of acquired competences system is still a long way to go, because beyond identifying and making acquired skills transparent, it is necessary to introduce a shared recognition of the owned skills within a formalized system of qualifications. As mentioned above (par. 8.1 and 8.2.1), after the publication of the European Recommendation ECVET a significant step forward has been made: • Through Fornero Law, introducing territorial networks, and including all the services of education, training and work, the recognition of credits and the certification of learning acquired have been incorporated into priority actions (b, paragraph 55, art. 4 of the Law of 28 June 2012, n. 92). • Through the Legislative Decree 13 of 2013, which formally established the National Directory of qualifications, made up of all the repertory of education and training qualifications encoded on a national, regional or autonomous province level. National Directory of Education and Training Qualifications (art. 8 Legislative Decree 13/2013) 1. In accordance with the commitments undertaken by Italy at a Community level, in order to ensure the mobility of people and facilitate the matching of supply and demand in the labor market, the transparency of learning and needs, as well as the wide range of use of certifications on a national and European level, without new or increased burdens on public finances, the National Directory of education and training qualifications has been established, in Article 4, paragraph 67, of the Law of 28 June 2012, n. 92 11 Ministry of Labour and Social Policy, Decree 10 October 2005 Approval of the model of citizen’s training booklet. ➔ Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 97 98 2. The national directory constitutes of reference framework for skills’ certification, through the gradual standardisation of essential elements, even descriptive ones, of education and training titles, including vocational training and vocational qualifications and because of the possibility to link them also through the European shared system of credits recognition. 3. The national directory consists in all the repertoires of education and training titles, including vocational training and vocational qualifications also mentioned in Article 6, paragraph 3, of the Consolidated apprenticeship act, in the Legislative Decree 14 September 2011, n. 167, codified at a national, regional or autonomous province level, publicly recognised and meeting the following minimum standards: a) identification of the public authority; b) identification of the qualifications and skills that make the repertoires; c) reference report of the qualifications, and where applicable, to the statistical codes in reference to economic activities (ATECO) and to the nomenclature and classification professional units (CP ISTAT), in compliance with the national statistical system regulations; d) Reference report of the qualifications of the repertoire to the European Framework of Qualifications, carried out through the formal inclusion of the same in the national process of EQF referencing. The national institutional framework has been set and within it we can find a complete recognition system of acquired skills. The Ministry of Labour has prepared a ministerial decree draft to define the procedures, in agreement with the Regions. Finally we have to remember the regional initiatives, which are introducing systems for the detection and the recognition of acquired skills as part of active policies to encourage outplacement 12 . 9.2.3 The impact of the European Recommendations on EQAVET The European Recommendation on quality assurance in VET is part of a varied European context regarding the development of training system quality assurance methods. The tools of certification are widespread, they can refer to the ISO normative (widely followed in Italy) or the EFQM model or to other similar ones, which share the principle of focusing on the processes. In Ireland, Denmark, Finland, the Netherlands, Sweden and the United Kingdom the educational structures must have by law an internal quality management system (EFQM, ISO 9000, or another model). Some of these models can lead to the release of “quality labels”, certifying to the public the possession of certain requirements. Also in Ireland, Denmark, the Netherlands and the United Kingdom, there is a crossing between self-evaluation and external evaluation. The latter has many aspects, and it can be directed both to support educational institutions and to their management. 12 See for example Veneto Region, Guidelines for the Validation of Skills Acquired in Non-Formal and Informal Contexts, 2012. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 98 99 In Austria, Romania, Finland, Hungary, the quality assurance systems have been reinforced both by enhancing the self-assessment, as in Finland, and by enhancing the role of the external evaluation, which is entrusted to the management of Inspection teams. Another method often used in quality assurance of training providers is, accreditation. The accreditation, according to the CEDEFOP, is a quality assurance process under which the competent legislative or professional authority formally recognizes that an education or training program, meets certain standards 13 . It is a method used particularly when the curriculum is delivered by private authority. Finally, almost all European countries have developed a system of indicators covering all major aspects of their education and training systems, which are normally used to monitor the evolution of the system, but can also be used to reward the most worthy educational institutions, as it is in Finland, where part (so far limited) of the training centers’ funds are linked to results. According to the results of a survey carried out by the EQAVET Secretariat and the external evaluation requested by the European Commission 14 , more than 20 Member States have strengthened their approaches to quality assurance, and the EQAVET Recommendation has directly influenced the national system reform in 14 countries (BG, CZ, EL, HU, HR, MT, RO, FYROM, and BE FR, ES, IT, LV, LT, SL). Most approaches involve both the initial training and the training organised at the institutional level with public funding. Some of these countries were already basing on approaches compatible with the EQAVET Recommendation and therefore did not need to significantly change their system. To this day, most of national education and training systems of the EU ask the providers of Education and Vocational Training to respect standard quality, which are part of the legal system or constitute the condition to obtain accreditation and funds. Almost all Member States collect data to improve the effectiveness and efficiency of their systems and have developed appropriate detection methods using questionnaires and by collecting data and indicators; also in most cases Member States publish the information collected on the results of the evaluation activities. However, this does not mean that the implemented processes are regularly reviewed and that plans for change are carried out, given the fact that the survey shows that only about a third of the countries regularly review their process resulting in action plans 15 . 13 C EDEFOP (2008), Terminology of European education and training policy, A selection of 100 key terms, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg. 14 ICF GHK, Evaluation of implementation of EQAVET Final report, 2013. 15 European Commission, Report from the Commission to the European Parliament and the Council on the implementation of the Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 June 2009 on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training, Brussels, 28.1.2014 COM(2014) 30 final. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 99 100 As for Italy, the organization of the quality assurance activities for education and vocational training, changes depending on whether the activities related to the training course field are either controlled by the Ministry of Education (Technical and Professional Institutes) or by Regions (Vocational Education and Training and continuing education). Regarding training courses controlled by the Ministry of Education, there has been a significant change with the development of the National Evaluation System. THE LAUNCH OF THE NATIONAL EVALUATION SYSTEM Also in Italy the national evaluation system has been finally launched, after some locally conducted tests (among which the assessment carried out by the evaluation committee of Trento was particularly significant, it has introduced the activities of self-assessment based on a set of indicators collected at a school level, in order to give schools the opportunity to meet with other schools, the committee of Trento also introduced the external evaluation of schools, although only experimentally 16 ), and tests carried out at a national level (as for instance the project Vales, developed by Invalsi). The regulation No. 80 of 2013 (Regulation on the national evaluation system in education and training) formally introduces the evaluation system and the subsequent ministry guidelines that take into account the foreign experiences, as well as the discussions about the experiments carried out in these years, avoiding some of the most common risks; in fact it states: • the purpose of the evaluation has no rewarding or punishing intent but aims to improve the quality of service; • the intertwining between self-assessment within an institution (based on test results and indicators provided by the Ministry of Education) and external evaluation; • the integration of quantitative and qualitative analysis, and between the various tools (tests and indicators) that can represent the complexity of school; • the need to take into account the influence of the social and economic context; • the functional connection among various organizations (Invalsi, Indire, Inspectors), who interact on the basis of clearly defined roles, with the coordination entrusted to INVALSI, which is also responsible of issuing an annual report. Therefore, schools, based on the model prepared by Invalsi, will have to collect the required indicators, analyse them and prepare a Self-Evaluation Report (SER), identifying strengths and critical aspects of the educational activity. This must be followed by the preparation and implementation of an improvement plan in order to solve the problems found. Each year a sample of schools is also subject to external evaluation by teams of specialised inspectors and other experts. This system covers all types of education and therefore also technical and professional institutes, Education and Vocational Training (IeFP). It cannot be said that the establishment of the National Evaluation System is a direct consequence of the EQAVET Recommendation or if anything has been accelerated as a result of the Recommendations submitted by the European Union to the 16 A LLULLI G. (2007), School Evaluation: a Problem of Governance, in Business Services, Il Mulino, No. 3 / 2007. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 100 101 Italian government, following the severe economic and financial crisis of 2011. However, although the Regulation No. 80 and the subsequent implemented measures show no reference to the EQAVET model, the philosophy of the new evaluation system, aimed at improving the training course through an assessment cycle, both internal and external, is in line with the Community EQAVET model. As for the technical and vocational institutes it must be observed that the Regulations related to the new organization of Secondary education (including the technical 17 and vocational 18 schools), explicitly recalls the European Quality Framework introduced by the EQAVET Recommendation, stating: “With subsequent decrees of the Minister for Education, University and Research in consultation with the Minister of Economy and Finance, ... (c) indicators for evaluation and selfassessment of technical institutes, also with reference to the European Quality Assurance Framework of Vocational and Education Training are defined” (Article 8 of the Regulations). The Ministry of Labour and Social Policies, the Regions and Autonomous Provinces as a strategy to ensure the quality of training courses, have introduced the accreditation of training structures; it is an institutional activity through which each Region and Autonomous Province sets the rules, parameters and results to be achieved and maintained by the organisations that contribute to the provision of educational services using public funds. The accreditation mechanism, introduced in 2001, is conceived to monitor the quality of training activities, both preventive, through the verification of the possession of certain minimum requirements and during the provision of these services. The State-Regions Agreement of 20 March 2008, in line with the debate on the quality of education and training developed by the EU, has started the second “generation” of accreditation, whereof the main objectives are the promotion, awareness and valorisation of the accreditation as a quality tool, with specific attention to the evaluation of the effectiveness and efficiency of training services in terms of employment and learning outcomes. The organisations providing accredited training courses at a local level must therefore make a gradual transition, from a predominantly organisational focused management to the adoption of an approach focused on the quality of the performance achieved and all the factors related to training product and its effects, rather than to those related to the process. The analysis of the new regional accreditation system conducted by ISFOL found that the Italian accreditation system, and in particular the latest version of 2008, uses different indicators required by the EQAVET Recommendation. From the results of the comparative analysis, 17 Regulations concerning the reorganization of the technical institutions under Article 64, paragraph 4, of the Decree Law of 25 June 2008, n. 112, converted into law on Aug. 6, 2008, n. 133. 18 Regulations concerning the reorganization of vocational schools in accordance with Article 64, paragraph 4, of the Decree Law of 25 June 2008, n. 112, converted into law on Aug. 6, 2008, n. 133. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 101 102 ISFOL has provided tips on how to develop the vocational training system in line with the EQAVET Recommendation. These tips refer to: a) the strengthening of regional accreditation devices: the analysis found a high degree of consistency with the EQAVET Recommendation, but there is still room for improvement regarding the training of trainers (in terms of number of users and resources), companies satisfaction assessment, users working results, the prescription of structured procedures for analysing needs; b) the introduction and strengthening of different devices according to the needs analysis and, above all, to survey tools for the detection and evaluation of the users and companies satisfaction; c) the construction and strengthening of regional information systems (in connection at national level) for the collection of data on vocational training; in particular the data which the information systems could collect from providers are the following: • ownership of a quality certificate by the accredited facility • number of workers participating to training or continuos training course and amount of funds invested; • dropout rate and education success rate; • employment rate; • coherent employment rate; • number of participants to educational events from vulnerable groups. ISFOL also notes that the EQAVET Recommendation and accreditation acts on fields which are not superposable: • The Recommendation frames the quality assurance throughout the whole planning- management-rating-review cycle, while accreditation is a device to access the training system evaluating the meeting of requirements and the recent years performance; • The Recommendation refers both to the quality of the systems and the quality of VET providers while accreditation covers only the latter; • EQAVET Recommendation focuses on the quality of both education and training systems while the accreditation devices regulate exclusively the access to training systems at a regional level. Thus, accreditation is only one of the devices which Italy can use in the implementation of quality assurance devices in line with the guidelines of the EQAVET Recommendation 19 . An overall description of national strategies adopted or to be adopted with regard to the Recommendation on quality implementation, can be found in the National Plan for the quality assurance system of vocational education and 19 I SFOL , Quality and Accreditation, edited by Sandra D’Agostino, in Isfol Research Paper Series No. 17 - October 2014. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 102 103 training, developed by the Ministry of Labour and Social Policy, the Ministry of Education, University and Research, and by the Regional and Autonomous Provinces Coordination with the technical assistance of ISFOL 20 . The Plan, which was prepared in response to the requests of the European Recommendation, has conveyed a systemic view of the various initiatives already in place in the field of the quality assurance of Vocational Education and Training system in Italy and of the expected developments to implement the requests of the European Recommendation. 9.3 C ONCLUSION The results of the Lisbon Strategy are subject of debate among conflicting opinions. Regarding the aspects specifically targeting Education it can be said that the Lisbon Strategy has produced important results for the future of European educational systems. The attention to the enhancement and development of human capital, the promotion of a lifelong learning system, the consolidation of training systems, whether academic or vocational, the shift of attention from the teaching process to the learning process, the focus on results achieved rather than the path taken, the emphasis on the educational system quality and the integration between training policies and labour policies are key elements of a strategy which aims to equip European education and training systems for a future in which knowledge and skills are destined to play an increasingly important role, for the individuals and for the social and economic systems, while the learning process will be more and more the result of multiple processes, both formal and informal. The implementation of this strategy, however, shall face some important issues: • The first one concerns the actual ability of the public and private production system to use and promote the available human capital. Despite the many rhetorical statements that we may read or hear, the available data show that not only the public and private investment in training is quite low, and even tends to decrease, but also that human resources, where available, are often undervalued and that their individual competences and skills are not recognised. • The second one concerns the persisting difficulties of communication among the various subsystems of education: University, school and vocational training. The institutional, cultural and objective differences make the organisation of a unitary system really difficult. • The third issue concerns the operational application of some key concepts, such as the skills or the credit, whose application, in the different subsystems often meets practical difficulties not easy to overcome. 20 I SFOL , the National Plan for the guarantee of quality of Vocational and Education Training, October 2011. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 103 104 • The fourth one concerns the need to remove social and cultural conditioning preventing a large part of the population, usually the less educated part, to fit into a logic of updating and development of their own competences and knowledge. The path of EU countries to achieve the Lisbon process and the 2020 Strategy is not easy at all and Italy is one of the countries starting from a disadvantaged condition; however, with the appropriate adjustments and adaptations, this is the path which best prepares to face the future. Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 104 105 Bibliography A A . V V . (2015), Educare alla cittadinanza, al lavoro ed all’innovazione. Il modello tedesco e le proposte per l’Italia, In I numeri da cambiare, Treelle e Fondazione Rocca. A LLULLI G. (2007), La valutazione della scuola: un problema di governance, in Economia dei servizi, Il Mulino, n. 3/2007. A LLULLI G. (2009), La Raccomandazione europea per la garanzia di qualità dell’istruzione e della FP, in Professionalità n. 106 La scuola ed., Brescia. A LLULLI G. (2011), Le politiche scolastiche e l’Output Driven Approach, in Scuola Democratica n. 3, Guerini e associati, Rome. A LLULLI G. (2013), L’autovalutazione d’Istituto (con F. Farinelli e A. 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The Lisbon Strategy............................................................................................... 7 1.1 Knowledge-based Society, Human Capital and Lifelong Learning.................. 7 1.2 The Lisbon objectives ........................................................................................ 10 1.3 The Copenhagen process for Vocational Education and Training ................... 12 1.4 The instruments of the Copenhagen Declaration ............................................. 14 1.5 The Lifelong Learning Programme and the mobility actions........................... 16 2. Towards Europe 2020 ............................................................................................ 19 2.1 The strategic framework for the renewed European cooperation in education and training for the decade 2010-2020 ....................................... 21 2.2 The Youth Guarantee......................................................................................... 28 2.3 The Erasmus Plus Programme.......................................................................... 28 2.4 New priority areas for European cooperation in education and training........ 30 3. The European benchmarks ................................................................................... 33 3.1 A strategic role for indicators ........................................................................... 33 3.2 Indicators and benchmarks for monitoring progress towards the Lisbon objectives ........................................................................................ 36 3.3 Six new benchmarks for 2020 ........................................................................... 39 4. The debate on competences and the European Qualifications Framework..... 41 4.1 Between knowledge and skills........................................................................... 41 4.2 Key competences for Lifelong Learning ........................................................... 43 4.3 The European Qualification Framework (EQF)............................................... 44 4.4 Transparency tools ............................................................................................ 46 4.5 Knowledge and competences: an open debate ................................................. 47 5. The Recommendation on European Quality Assurance Reference Framework for VET (EQAVET) .......................................................................... 51 5.1 From inputs control to outputs control ............................................................. 51 5.2 Input-output models........................................................................................... 52 5.3 The process-based models................................................................................. 53 5.4 The Recommendation on the establishment of a European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training............................................................. 55 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 107 108 6. The European Recommendations on ECVET and the validation of non-formal and informal learning ................................... 61 6.1 The validation and certification of prior learning............................................ 61 6.2 The European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) ...................................................................................... 61 6.3 How does ECVET work?................................................................................... 62 6.4 The validation of non formal and informal learning ........................................ 63 7. The European Social Fund.................................................................................... 65 7.1 A tool to promote harmonious economic and social development of the Member States......................................................................................... 65 7.2 The Programming Period 2014-2020 ............................................................... 67 7.3 The resources available for Italy and the National and Regional Operational Programmes ........................................................... 68 8. The evolution of European education systems in the context of the Lisbon challenges......................................................................................... 73 8.1 The policies focused on the innovation process................................................ 73 • 8.1.1 The extension of compulsory education ............................................... 74 • 8.1.2 The curriculum reform.......................................................................... 75 • 8.1.3 Assigning new resources (especially for areas at risk)......................... 77 • 8.1.4 The teachers’ career reform .................................................................. 79 8.2 The policies centred on the control of results ................................................... 81 9. The impact of the Lisbon Strategy on the EU Member States and the Italian Vocational Education and Training System ................................. 87 9.1 The recognition of the right to lifelong learning .............................................. 87 9.2 The impact of the European Recommendations on Vocational Education and Training Systems................................................ 89 • 9.2.1 The impact of the Recommendations on the establishment of a European Qualifications Framework (EQF) ................................. 91 • 9.2.2 The impact of the European Recommendations on the European Credit System for Vocational Education and Training (ECVET) and the Recognition of Skills Acquired in Non-Formal and Informal Contexts ................................................. 95 • 9.2.3 The impact of the European Recommendations on EQAVET............. 98 9.3 Conclusion......................................................................................................... 103 B IBLIOGRAPHY ................................................................................................................. 105 C ONTENTS ....................................................................................................................... 107 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 108 109 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. 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Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. 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(a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 112 113 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 Strategy_imparare 23/02/16 14:45 Pagina 113 114 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. 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Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione

Autore: 
Guglielmo Malizia - Mario Tonini
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
107
Codice: 
978-88-95640-98-3
Guglielmo M ALIZIA Mario T ONINI ORGANIZZAZIONE DELLA SCUOLA E DEL CFP Una introduzione Anno 2015 ©2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it 3 SOMMARIO INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 CAPITOLO 1 Le teorie organizzative............................................................................................. 15 CAPITOLO 2 Le dimensioni dell’organizzazione scolastica e formativa....................................... 41 CAPITOLO 3 L’organizzazione del Centro di Formazione per il Lavoro ...................................... 77 CONCLUSIONI GENERALI Il quadro generale di riferimento: i principi di sussidiarietà e di autonomia.................................................................. 93 BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................ 97 INDICE ........................................................................................................................... 101 5 INTRODUZIONE Come i due precedenti volumi, “Politiche educative di istruzione di formazione: la dimensione internazionale” e “Sociologia dell’istruzione e della formazione: una introduzione”, anche questo libro è nato dall’esperienza di quaranta anni di insegnamento nel curricolo di Pedagogia per la Scuola e la Formazione Professionale della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Salesiana (Guglielmo Malizia) e di un lungo periodo si servizio al CNOS-FAP (Mario Tonini). Il titolo del corso che costituisce il punto di riferimento di questa pubblicazione è quello tradizionale di “Legislazione e organizzazione scolastica” che era focalizzato agli inizi sulle dimensioni giuridica e amministrativa dei sistemi educativi e che col tempo si è sviluppato enormemente, divenendo da una parte “politica”, cioè l’insieme degli interventi posti in essere dall’autorità pubblica a livello macro-strutturale nel sistema di istruzione e di formazione in vista del raggiungimento del bene comune, e dall’altra “organizzazione”, ossia, come si vedrà meglio successivamente, coordinamento di tutte le attività interne della singola scuola o del singolo CFP in vista della realizzazione del progetto che li guida. Per questo al corso di Legislazione e organizzazione scolastica, che è rimasto uno per la forza della tradizione e della convenienza, corrispondono ormai due discipline e anche due volumi introduttivi, quello già pubblicato di “Politiche educative di istruzione e di formazione” e quello che ora viene dato alle stampe sull’“Organizzazione della scuola e del CFP”. E qui emerge una seconda novità rispetto alla tradizione che consiste nell’ampliamento dello studio dell’organizzazione oltre la scuola e l’istruzione in modo da comprendere il CFP e la formazione. In questo modo il volume rispetta l’identità sia dei destinatari principali del libro che sono i formatori e i dirigenti della FP del CNOS-FAP sia di molti degli studenti dell’università che potevano già vantare una esperienza più o meno lunga di insegnamento o di coordinamento e talora pure di dirigenza nel mondo della scuola e della FP. 1. L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA La nostra disciplina si pone nel contesto delle scienze dell’organizzazione. Pertanto, prima di focalizzare l’attenzione su di essa, sembra importante richiamare nelle sue linee essenziali il quadro generale di riferimento. 6 1.1. La nuova cultura delle organizzazioni Nell’accezione più condivisa organizzazione significa quel tipo di unità sociale che si caratterizza per la finalizzazione a obiettivi specifici (Hatch, 2009). In questo senso si distingue da una famiglia, da una comunità, da una nazione che, invece, perseguono una pluralità di fini generali. La definizione è stata messa in discussione in relazione alla scuola in quanto se è vero che quest’ultima si propone la meta dell’educazione, tuttavia tale finalità si presenta complessa e molteplice. Un altro tratto distintivo dell’organizzazione sarebbe costituito dal coordinamento delle attività individuali in vista dell’interesse generale. Non mancano anche in questo caso osservazioni circa l’eccessiva sottolineatura del controllo dall’alto, implicita nel concetto appena richiamato, rispetto alle più comuni forme di autodisciplina dei membri. La teoria organizzativa più antica si caratterizza per la focalizzazione sulla razionalità tecnica e funzionale, sull’efficienza, sul rapporto ottimale tra mezzi e scopi (Hatch, 2009; Scott, 1994; Malizia, 2007; Avallone, 2011; Micillo, 2011; Morgan, 2007; Pichierri, 2005; Campbell e Rolland, 2005; Bonazzi, 2007a e b). L’accento è posto su due proprietà strutturali: la specificità dei fini e la formalizzazione dell’organizzazione. Ciò che caratterizza quest’ultima è che gli scopi sono esplicitamente determinati e che i comportamenti dei membri vengono coordinati dal vertice in vista del perseguimento delle mete volute. Inoltre, le norme che regolano le attività dei partecipanti devono essere fissate in modo chiaro ed espresso e i ruoli e le loro interazioni vengono stabiliti indipendentemente dalle caratteristiche individuali dei soggetti. Un secondo approccio, la scuola delle relazioni umane, benché sia sorto in contrapposizione alla concezione razionale, ha di fatto sottolineato due aspetti che si presentano come complementari ai precedenti piuttosto che contraddittori (Hatch, 2009; Scott, 1994; Malizia, 2007; Avallone, 2011; Micillo, 2011; Morgan, 2007; Pichierri, 2005; Campbell e Rolland, 2005). Le organizzazioni non possono essere concepite semplicemente come meccanismi mirati al perseguimento di fini specifici esterni di produzione, ma costituiscono anche dei gruppi sociali che devono preoccuparsi di soddisfare una serie di bisogni di autosostentamento e di mantenimento del sistema. In secondo luogo viene affermata l’importanza delle strutture informali che possono incidere su quelle formali, perfezionandole, condizionandole e persino cambiandole. Nonostante gli indubbi progressi compiuti dalla riflessione e dalla prassi, le due concezioni citate conservano un carattere autocentrato. Tuttavia, già negli Anni ‘70 l’organizzazione viene ad essere concepita in termini di sistema, cioè come un insieme di parti tra loro interrelate, aperto nel senso che si trova in un rapporto di stretta interdipendenza con il contesto nel quale opera (Hatch, 2009; Scott, 1994; Malizia, 2007; Avallone, 2011; Micillo, 2011; Morgan, 2007; Pichierri, 2005; Campbell e Rolland, 2005). Esso può conservarsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente; lo scambio con il contesto costituisce il mecca7 nismo fondamentale che consente il funzionamento dell’organizzazione. Indubbiamente, apertura non significa assenza di confini, ma piuttosto sta a sottolineare la loro flessibilità: l’organizzazione deve certamente impegnarsi per conservarli, ma al tempo stesso svolge attività che si situano oltre i confini stessi. Il collegamento con l’ambiente mette in crisi tra l’altro uno degli assunti di fondo della prospettiva razionale che presupponeva l’esistenza di un modello di organizzazione migliore in assoluto e si sforzava di elaborarlo; la formula più valida dipende al contrario dalle caratteristiche del contesto in cui opera l’organizzazione. L’approccio del sistema aperto mette in evidenza come le organizzazioni (con particolare riguardo a quelle formative) non si presentano sempre come strutture compatte le cui parti siano strettamente collegate e coordinate tra loro, ma anche come organizzazioni a maglie larghe (“loose coupling”) (Zan, 2011). Le relazioni tra le varie componenti si caratterizzano spesso per la complessità e la variabilità, per la mancanza di rigidità delle connessioni e per la forte autonomia operativa di ciascun sottosistema. La “leadership” non appare sempre come un’unità di comando monolitica, ma si rivela anche come una coalizione piuttosto allentata di gruppi mutevoli, ciascuno con i propri interessi, obiettivi e strategie. La presenza di collegamenti non molto rigidi non costituisce di per sé un ostacolo allo sviluppo, ma può contribuire in maniera importante alla crescita, stimolando l’intraprendenza delle componenti. Il sistema aperto è anche in grado di regolarsi autonomamente in base a propri parametri. In questo senso l’organizzazione dovrà dotarsi di un centro di controllo che segue l’attuazione delle operazioni in modo tale che gli “outputs”, attività o prodotti, si adeguino agli obiettivi fissati dal vertice decisionale; il centro di controllo nello svolgere tale ruolo si servirà del “feedback” o flusso di retroazione, cioè delle informazioni provenienti dalle unità operative. Intanto, la complessificazione della società ha posto tre sfide alle organizzazioni: cresce la diversità, cioè il numero degli elementi tra loro differenti, anche fortemente, da trattare al medesimo tempo; l’imprevedibilità diviene una condizione normale; aumenta l’interdipendenza tra i fattori da tenere sotto controllo. Questa situazione ha messo in risalto l’insufficienza dei meccanismi strutturali con cui le organizzazioni avevano cercato fino ad allora di far fronte alla complessità, quali, per citare quelli comuni anche alle scuole, i regolamenti, i programmi, gli orari, l’articolazione in dipartimenti, la gerarchia e la delega. Una strada alternativa è consistita nel rafforzamento dei centri decisionali mediante la diffusione della distinzione “staff/line” (Hatch, 2009; Scott, 1994; Malizia, 2007; Avallone, 2011; Micillo, 2011; Morgan, 2007; Pichierri, 2005; Campbell e Rolland, 2005). Gli esperti che compongono lo “staff” forniscono consulenza tecnica ai dirigenti generalisti che sono incaricati delle deliberazioni definitive: ciò consente di aumentare la capacità di trattare le informazioni senza introdurre un decentramento formale e senza infrangere il principio della unicità della funzione di comando, anche se molto potere viene acquisito dagli esperti. Una strategia promettente è costituita dall’organizzazione a matrice che consiste nell’introduzione di un gruppo di mec8 canismi strutturali che mirano alla promozione della comunicazione delle infor - mazioni a livello orizzontale, mentre fino ad allora si era generalmente cercato di potenziare i canali verso l’alto o il basso. Il tratto qualificante è dato dalla compresenza sia di reparti funzionali che garantiscono lo svolgimento dei dinamismi verticali e rispondono a bisogni consolidati, sia di gruppi di progetto che assicurano le connessioni laterali sul piano orizzontale e vengono incontro alle domande mutevoli del contesto. Ma la svolta decisiva si ha con l’avvento della società della conoscenza e della globalizzazione (Carnoy et alii, 1993; Conclusioni della Presidenza, Consiglio Europeo di Lisbona, 23 e 24 marzo 2000, 2000; Nanni, 2000; Malizia e Nanni, 2010). Tale transizione è alla radice del passaggio da un modello meccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico. In questo secondo caso l’organizzazione è assimilata a un organismo, qualificato da un alto grado di complessità, in cui le strutture e i ruoli si presentano come sistemi aperti che operano in base ad ambiti di autonomia, sono correlati in una rete di scambi informativi ed economici e si rapportano reciprocamente secondo le regole del gioco che essi stessi influenzano. Riguardo al contenuto del lavoro le nuove componenti sono costituite dal controllo di processo (nella fabbricazione e negli uffici), dalle comunicazioni e deliberazioni (nei processi di innovazione e coordinamento) e dalle decisioni (in tutte le fattispecie); questo non significa fare a meno delle operazioni che conservano la loro rilevanza e che pertanto vanno identificate, preparate e remunerate. Di conseguenza, la nuova identità lavorativa si fonda su un insieme di ruoli individuati non tanto dalle operazioni o dai compiti particolari, quanto dalle funzioni svolte nel controllo, coordinamento, mantenimento e innovazione di un processo. Questa trasformazione da un modello meccanico ad uno organico nasce dal - l’esigenza di sopravvivenza delle organizzazioni in ambienti complessi, turbolenti, dinamici, incerti, imprevedibili. Se la filosofia organizzativa che ispira i modelli meccanici è quella della dipendenza e dell’esecuzione, nei modelli organici si vengono a richiedere alle persone capacità di innovazione e di governo dell’imprevisto e delle varianze, competenze di problem solving, abilità comunicative e relazionali. Emerge, come conseguenza naturale, in fase di job description, l’attenzione alla definizione dei risultati piuttosto che ai compiti e quindi alla qualità oltreché all’efficienza. Il modello meccanico di organizzazione fa riferimento ai principi della scuola dell’organizzazione scientifica del lavoro, quindi enfatizza gli aspetti formali e strutturali dell’organizzazione: struttura, mansioni, sistemi di comando e controllo, procedure. Tutto è razionalmente e scientificamente predefinito attraverso una dettagliata descrizione dei sistemi di divisione e controllo del lavoro. I1 passaggio da questo modello a quello organico non è solo il risultato di scelte culturali e sociali, ma anche e soprattutto una necessità. È una necessità di risposta a diverse condizioni di ambiente. Pertanto i modelli organizzativi di tipo organico presentano elementi distintivi che riducono il peso e l’importanza della razionalità assoluta, introducendo i con9 cetti di flessibilità e di razionalità limitata. Non vi sono organizzazioni, attività professionali, competenze “al sicuro”. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella di governare l’incertezza, di affrontare attivamente il cambiamento. Adattarsi, anticipare, innovare, rischiare diventano abilità “trasversali”, attrezzi culturali di sopravvivenza di soggetti e organizzazioni. Questo contesto più mutevole ed incerto, se da una parte è fonte di minacce, apre dall’altra la via verso nuove opportunità. In tale quadro, una strategia rilevante è offerta dal modello della qualità totale (Malizia, 2007; Malizia e Nanni, 2001; Marcantoni e Torresani, 2000; Galgano, 1992 e 1994; Froman, 1996; Laboucheix, 1993; Collard, 1991; Imai, 1986). La qualità viene intesa in base a una prospettiva non più interna all’impresa, ma esterna, e consiste nella soddisfazione del cliente per cui diviene centrale nel rapporto con l’esterno l’impegno per identificare la domanda: è la qualità percepita che è decisiva e la misura operativa è fornita dal successo commerciale. All’interno, poi, il collega non deve più essere immaginato come un competitore, ma come un cliente a cui fornire un prodotto di qualità. A monte vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione del processo produttivo all’uomo che tornerebbe al centro della scena, anche se lo sganciamento della definizione della qualità da parametri assoluti potrebbe essere foriero di un relativismo pericoloso. Comunque, i modelli matriciale, progettuale e della qualità totale rappresentano il futuro dell’organizzazione in quanto segnano il passaggio dalla burocrazia alla “adhocrazia”. Di fronte alla crescita esponenziale della complessità non è più possibile rispondere con la soluzione gerarchica, ma è necessario sviluppare strutture che sappiano promuovere l’autonomia, la creatività, la flessibilità, al servizio del cliente. 1.2. Teorie e modelli di organizzazione della scuola e del CFP La disciplina “organizzazione della scuola e del CFP” nasce negli Stati Uniti nella prima metà del secolo XX in seguito all’applicazione ai sistemi educativi di istruzione e di formazione delle teorie elaborate in altri tipi di ambienti organizzativi (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006). Il grande sviluppo che si è registrato soprattutto a partire dagli Anni ‘80 va attribuito principalmente a due fattori: il riconoscimento dell’autonomia, cioè di poteri di gestione propri, alle scuole e l’assegnazione ai loro dirigenti di responsabilità sempre più rilevanti. Ciò ha fatto emergere che, pur appartenendo alla categoria generale delle organizzazioni, così come è stata delineata nella sezione precedente riguardo alla sua definizione ed evoluzione, tuttavia la scuola e il CFP presentano caratteristiche proprie che si tenterà di descrivere nel prosieguo. Una prima differenza riguarda gli obiettivi la cui definizione incontra maggiori problemi nelle istituzioni formative che non nelle imprese (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009). Infatti, per le seconde si tratta di massimizzazione 10 del profitto e dei risultati, mentre alla prime si domanda di sviluppare le potenzialità delle persone, di educarle ai valori, di prepararle per livelli più elevati di studio e per un lavoro, cioè di raggiungere mete molto ambiziose e talora in conflitto tra di loro. Un’altra caratteristica specifica delle scuole e dei CFP che li differenzia riguarda la maggiore difficoltà nel valutare il conseguimento degli obiettivi. Le imprese possono servirsi di parametri quantitativi riferiti all’aumento o meno delle vendite, dei guadagni e dei dividendi; al contrario, le istituzioni formative devono giudicare lo sviluppo delle competenze, delle capacità, delle attitudini e degli atteggiamenti degli allievi e farlo non solo a breve, ma anche a medio e lungo termine. I processi di insegnamento-apprendimento consistono in rapporti personali e non di produzione o di manipolazione e le relazioni sono continue e regolari, non occasionali. Gli insegnanti si trovano in una posizione di sostanziale parità con i dirigenti, in quanto ambedue sono dei professionisti; inoltre, godono di autonomia e non sono soggetti a supervisione diretta. In altre parole, nella scuola e nel CFP non si riscontra quella gerarchia che, invece, caratterizza il mondo delle imprese o della pubblica amministrazione. Gli allievi sono partecipi del processo di insegnamento- apprendimento, mentre i clienti sono estranei al processo di produzione e beneficiano solo del risultato in oggetti o servizi. La struttura organizzativa e gestionale delle istituzioni formative appare frammentata, con legami deboli, come si è detto sopra, mentre in altri tipi di organizzazione la struttura è ben compaginata e le relazioni sono strette. Da ultimo, non sempre i dirigenti scolastici sono manager a tempo pieno. Gli elementi che sono stati raccolti fin qui permettono di offrire una prima definizione della disciplina di cui il presente volume fornisce una introduzione, e cioè della “organizzazione della scuola e del CFP” (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006). In sintesi, è una delle scienze dell’educazione e studia la gestione dei sistemi edu - cativi a livello micro, sia delle attività interne sia dei rapporti con il contesto, per conoscerla più adeguatamente e per migliorarla. In altre parole, è una disciplina educativa, anche se rientra tra le scienze organizzative per il metodo; analizza, della singola scuola, il coordinamento dell’operatività non solo interna, ma anche esterna in vista del conseguimento degli obiettivi, con fini di studio e di innovazione. In tale ambito, non esiste una teoria generale dell’organizzazione della scuola e del CFP (Bush, 1997, 2008, 2011). Influiscono su questa situazione tra l’altro la grande diversità che si riscontra fra le istituzioni formative, la notevole varietà dei problemi e la natura specifica delle teorie educative che offrono certezze morali o anche solo probabilità. Nonostante l’assenza di una teoria generale, tuttavia non manca una ricca molteplicità di approcci e di prospettive che si distinguono per alcune caratteristiche significative. Anzitutto, si presentano come normativi nel senso che non solo descrivono i fatti, ma offrono indicazioni su come si dovrebbero organizzare le scuole e i CFP. Un’altra caratteristica può essere identificata nella 11 loro selettività in quanto tendono a sottolineare alcuni aspetti rispetto ad altri che di conseguenza vengono sottovalutati. In terzo luogo si fondano sull’osservazione regolare e sistematica della realtà. A questo punto vale la pena richiamare brevemente gli approcci principali. Tra i più antichi e diffusi si può ricordare quello burocratico ispirato alle teorie organizzative di Weber (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). La singola scuola/ CFP 1 è qualificata da tratti come il carattere gerarchico dell’autorità, la divisione del lavoro, la specializzazione basata sulla competenza, la strutturazione in ruoli impersonali, una regolamentazione fondata su norme generali e astratte, una carriera per merito. La formula burocratica ha costituito uno strumento utile per regolare i rapporti tra diritti, responsabilità, ruoli e funzioni e per coordinare organizzazioni complesse; inoltre, ha trovato ampie applicazioni nei sistemi formativi centralizzati e più recentemente nei Paesi in via di sviluppo durante la fase di costruzione delle strutture statali. Sul piano negativo, essa non offre adeguato riconoscimento a dimensioni importanti dei processi educativi come l’autonomia della singola scuola, la professionalità degli insegnanti, la personalizzazione dell’azione educativa, l’efficacia, la flessibilità e l’innovatività degli interventi. Il modello industriale classico segue i principi dell’organizzazione tayloristica del lavoro: standardizzazione, che si manifesta nella presenza di un curricolo nazionale, di esami centralizzati, di requisiti minimi di conoscenze e di competenze; specializzazione, a livello di insegnanti e di programmi; sincronizzazione, che si esprime in calendari ed in orari dettagliati; concentrazione, per cui si tende a coniugare varie attività nella stessa istituzione; razionalizzazione delle offerte sul territorio; centralizzazione dei controlli (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). La formula presenta i suoi vantaggi soprattutto in un contesto di espansione della scuola, ma può portare a gravi inconvenienti perché la scuola non è del tutto identificabile con una grande impresa stile Anni ‘30 o ‘60. I modelli burocratico e industriale confluiscono in quello formale (Bush, 1997, 2008, 2011). Questo comprende una varietà di tipologie simili, anche se non eguali, che si distinguono per l’enfasi su tre dimensioni principali: gli aspetti strutturali dell’organizzazione della scuola/CFP, il conseguimento di obiettivi ufficiali e la razionalità dei processi. 1 Con questa breve formula intendo sinteticamente riferirmi a tutte le istituzioni che operano nel campo dell’istruzione e della formazione e, quindi, oltre alla scuola e alla FP in senso stretto, anche l’università, l’istruzione e la formazione superiore non universitaria, l’educazione degli adulti e le strutture dell’apprendimento per tutta la vita. 12 Un altro gruppo di approcci rientra nel modello collegiale (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). Si tratta di tipologie nelle quali le decisioni sono condivise da tutti o da alcuni membri dell’organizzazione. Le situazioni variano da una collegialità ristretta in cui il dirigente condivide il potere con un gruppo del personale con maggiori competenze e anzianità di servizio e una collegialità pura nella quale tutti i membri detengono il medesimo potere decisionale. Il modello politico, ispirato alle teorie conflittuali di Weber e neo-marxiste, concepisce la scuola come un’organizzazione in cui la lotta per il potere o sui valori tra gruppi di interesse è normale e va risolta attraverso la negoziazione. La formula è utile per rispondere alla domanda di partecipazione e di democrazia che ha raggiunto il sistema formativo durante soprattutto gli Anni ‘70 e per correggere una visione troppo idilliaca della scuola. Al tempo stesso non manca di svantaggi perché può portare a una conflittualità endemica, a una svalutazione della professionalità, a forme di assemblearismo, e soprattutto si muove in controtendenza rispetto agli orientamenti attuali del rinnovamento della scuola che sottolineano la collaborazione, la comunità e il lavoro di gruppo. Un’altra varietà di tipi rientra nel modello soggettivo (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). In questo caso l’organizzazione viene concepita come una creazione dei suoi membri ed esiste solo nella loro esperienza; inoltre, essa assume un significato diverso per ciascuno dei suoi membri. Un’ulteriore caratteristica consiste nella derivazione da approcci fenomenologici e interazionisti. Alcune tipologie fanno parte del modello ambiguo (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). In specie si tratta di approcci che accentuano l’incertezza, l’imprevedibilità e la complessità delle organizzazioni. Il modello culturale comprende tutti quegli approcci che si focalizzano sui principi, le idee, i simboli e le tradizioni condivisi dai membri di un’organizzazione (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). Esso risponde all’esigenza di valorizzare la cultura educativa di una scuola o centro che, in particolare, serve per definirne l’identità propria di ogni istituzione formativa. Può essere interpretato in due forme diverse, una manageriale che subordina le finalità formative alle esigenze organizzative e di mercato e una educativa che afferma la priorità della formazione. Il modello nella seconda accezione sembra senz’altro più adeguato sia sul piano ideale sia su quello pratico della corrispondenza alle caratteristiche della società complessa. 13 L’ultimo modello è quello della qualità totale e se ne è parlato sopra (Malizia, 2007; Malizia e Nanni, 2001; Marcantoni e Torresani, 2000; Froman, 1996; Galga - no, 1992). Qui ci limitiamo, per il momento, a dire che essa risulta in piena conso - nanza con due principi educativi, tipici della coscienza pedagogica contemporanea, seguente alla lezione del movimento delle scuole nuove: 1) che l’educando occupa il centro del sistema formativo; 2) che l’autoformazione è la strategia principale del suo apprendimento. In ogni caso va riconosciuto che nessun modello è in grado di soddisfare tutte le esigenze di una domanda educativa complessa, come l’attuale, per cui prevale nella letteratura il favore per una molteplicità di formule e di strategie. 2. L’ARTICOLAZIONE DEL VOLUME La distribuzione interna del testo è necessariamente condizionata sia dalla definizione della disciplina che dalla sua evoluzione. In pratica il volume si articola in tre capitoli. Dopo l’introduzione e le considerazioni epistemologiche sulla collocazione nell’ambito delle scienze dell’educazione, il primo capitolo presenta le principali teorie sulla organizzazione della scuola e del CFP (Bush, 1997, 2008, 2011). Si incomincia con i modelli formali che si concentrano sugli aspetti ufficiali, burocratici e normativi, per passare ai collegiali che si focalizzano sulla comunità educativa e sulla partecipazione. In terzo luogo ci si occuperà delle teorie politiche che rivolgono la loro attenzione alle dinamiche dei gruppi di pressione. Seguono i modelli soggettivi che si focalizzano sul singolo individuo in interazione con gli altri membri dell’organizzazione e quelli ambigui che si concentrano sulle situazioni di incertezza e di imprevedibilità. L’approccio culturale ha come punto di riferimento principale il progetto educativo, mentre la qualità totale sottolinea soprattutto come criterio guida la soddisfazione del cliente. Il secondo capitolo è dedicato alle dimensioni principali dell’organizzazione della scuola e del CFP (Bush, 1997, 2008, 2011). Il punto di partenza è dato dagli obiettivi e alcuni modelli concentrano l’attenzione su quelli generali mentre altri si focalizzano su quelli individuali; al riguardo talora in primo piano viene messo il consenso e altre volte sono le tensioni che sono poste in evidenza. La seconda dimensione è data dalla natura e dalla validità delle strutture: alcune teorie le considerano un fatto oggettivo che esiste indipendentemente dalla personalità dei membri dell’organizzazione, mentre altre le concepiscono come una costruzione soggettiva di chi opera nella scuola/CFP; un altro punto di divergenza riguarda la questione se esse costituiscano un aspetto certo, oggetto di confronto e di scambio, o se rientrino tra gli elementi ambigui della scuola/CFP. Un terzo argomento da trattare consiste nelle relazioni tra l’organizzazione e il contesto che possono essere di carattere cooperativo o politico o conflittuali e ambigue e nella identificazione del tramite tra la scuola/CFP e l’ambiente. L’ultima tematica è costituita dal ruolo e 14 dalle strategie di leadership e il dirigente può essere visto come una autorità gerarchica o un primus inter pares o un mediatore o una figura ambigua. Il terzo capitolo approfondisce le teorie e le tematiche riguardo alla FP. La trattazione prima si focalizza sulla comunità formatrice per poi passare all’organizzazione del centro e terminare con l’analisi della leadership del dirigente. Le conclusioni generali e la bibliografia completano il volume. ABBREVIAZIONI CFP Centro di Formazione Professionale FP Formazione Professionale 15 Capitolo 1 Le teorie organizzative Come si è anticipato nell’introduzione, non disponiamo di una teoria generale dell’organizzazione della scuola e del CFP che ci permetta di strutturare l’ambito del nostro studio in base a una impostazione unitaria (Bush, 1997, 2008, 2011). Nonostante l’assenza di tale riferimento unico, tuttavia il campo di cui ci occupiamo rivela la presenza di una grande varietà di modelli che consentono di configurare un ricco scenario su cui costruire la nostra disciplina. Il tema dell’organizzazione della scuola e del CFP presenta una tale complessità e molteplicità di sfaccettature che può essere accostato da una pluralità di angolature. Ovviamente, la prospettiva qui scelta è di natura organizzativa, anche se i contenuti afferiscono all’istruzione e alla formazione: la problematica non è affrontata in un’ottica puramente pedagogica o didattica o sociologica o psicologica, né è trattata principalmente sul piano giuridico-amministrativo e politico; l’analisi è invece focalizzata sul coordinamento dell’operatività, non solo interna, ma anche esterna, della singola scuola/CFP in vista del conseguimento degli obiettivi elencati nel proprio progetto. In questa prima parte illustreremo le teorie e i modelli principali presenti nel nostro ambito di studio. 1. IL MODELLO FORMALE Richiamiamo qui la definizione già proposta nell’introduzione (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; Malizia, 2007; English Fenwick, 2006). Esso comprende una varietà di tipologie simili, anche se non eguali, che si distinguono per l’enfasi su tre dimensioni principali: gli aspetti strutturali dell’organizzazione della scuola/CFP, il conseguimento di obiettivi ufficiali e la razionalità dei processi. Nel prosieguo, anzitutto, approfondiremo gli elementi di questa descrizione e poi cercheremo di offrire un bilancio del modello. 1.1. Aspetti fondanti Un primo elemento consiste nel considerare l’organizzazione di una scuola/CFP come un sistema, in altre parole essa viene concepita come un insieme 16 di parti tra loro interrelate. Questo significa che il tutto ha una sua esistenza propria distinta dalle diverse componenti; al tempo stesso, le varie articolazioni interne sono tra loro strettamente legate e il funzionamento (o mancato funzionamento) si ripercuote sulle altre sotto-unità e sull’insieme. Un’altra caratteristica va vista nella rilevanza che questo modello attribuisce alla struttura ufficiale. Questa e la sua rappresentazione in organigrammi riescono ad illustrare in maniera adeguata le relazioni costanti e sistematiche che intercorrono tra i membri dell’organizzazione della scuola/CFP e fra le differenti articolazioni; rimangono invece nell’ombra i rapporti informali che avvengono all’interno della struttura e che sono almeno altrettanto rilevanti degli altri. Una dimensione ulteriore può essere ricercata nella sottolineatura che il modello formale dà all’organizzazione gerarchica della scuola e del CFP: gli organigrammi di cui si parlava sopra offrono visivamente una tale immagine. A giudizio di questa teoria la gerarchia faciliterebbe l’esecuzione delle disposizioni che vengono dal vertice dell’amministrazione e costituirebbe anche un buon strumento di controllo. Un’altra caratteristica che è evidenziata riguarda la finalizzazione della scuola/CFP a degli obiettivi precisi. Si tratta di un aspetto che rientra nella natura di ogni organizzazione, ma di cui in questo caso viene sottolineato l’essere esplicito e chiaro. Essi servirebbero a fornire a scuole e CFP il senso di marcia che dovrebbe orientare l’insieme delle loro attività. Nella logica del modello formale le decisioni vengono prese mediante un processo razionale. Grosso modo ciò significa transitare attraverso una serie precisa di fasi: si va dall’identificazione di un problema o di una opportunità di scelta, all’analisi della situazione di partenza con la relativa raccolta dei dati, all’elaborazione di soluzioni alternative, alla scelta di quella più adeguata, alla sua esecuzione e alla valutazione dei risultati ottenuti. Un’ulteriore dimensione riguarda l’autorità del dirigente. Secondo questa teoria essa si fonda sulla posizione ufficiale del leader nell’organizzazione. Infatti, il suo potere è legittimato sulla base del ruolo che esercita in quel determinato momento e i membri della scuola/CFP eseguono quanto da lui indicato indipendentemente dalla sua competenza o dalla validità degli orientamenti che propone. Un’altra considerazione va fatta a proposito della responsabilità dell’organizzazione scolastica o formativa. Nella logica del modello formale il punto di riferimento è costituito dall’ente finanziatore, Stato, Ente locale o struttura privata. Con l’introduzione dell’autonomia si sta grandemente ampliando il potere gestionale dei dirigenti di scuole e centri riguardo alle risorse economiche e a quelle di personale. In ultimo vanno ricordate in sintesi le caratteristiche principali degli approcci che rientrano nel modello formale. Anzitutto, quello strutturale sottolinea la presenza di una struttura funzionale agli obiettivi, ai membri, alle risorse e al contesto. A sua volta il modello sistemico accentua l’unità e l’integrità della scuola/CFP, concependola come un insieme di parti interdipendenti e concentrando l’attenzione 17 sui rapporti con l’ambiente. L’approccio burocratico sottolinea l’importanza della gerarchia, della divisione del lavoro, delle normative, della impersonalità nelle relazioni e della dipendenza della carriera dal merito. Nella prospettiva razionale è centrale il processo decisionale secondo la logica ricordata sopra. Il modello gerarchico accentua la rilevanza della disposizione dei ruoli secondo una configurazione piramidale per cui l’autorità risiede nel vertice e la comunicazione ha luogo in maniera verticale. 1.2. Punti forti e deboli del modello formale Incominciamo con le criticità perché sono particolarmente numerose. Gli approcci che rientrano nel modello formale presentano tutti un grado molto elevato di normatività perché offrono una visione del funzionamento dell’organizzazione della scuola/CFP quale dovrebbe essere e non quale è veramente. Tuttavia, la realtà dei fatti può risultare fortemente divergente rispetto al disegno ideale proposto nella teoria. Un altro limite va ricercato nel livello eccessivo di selettività che caratterizza i vari approcci del modello formale. Infatti, esso tende a sopravvalutare le dimensioni burocratiche e strutturali dell’organizzazione della scuola/CFP, mentre ignora altre che non solo costituiscono delle componenti essenziali, ma che dal punto di vista educativo risultano molto più rilevanti e significative. Non sempre le scuole e i CFP operano come organizzazioni orientate verso obiettivi specifici. E le ragioni sono principalmente due: spesso non è agevole identificare le mete che le istituzioni formative si propongono; in aggiunta, le finalità ufficiali possono essere prive di efficacia operativa in quanto non ben definite o, comunque, generiche. Un’altra criticità va identificata nel processo decisionale che può mancare di quella razionalità che il modello formale gli attribuisce. Per esempio possono essere assenti i momenti della valutazione delle alternative o della scelta ragionata di quella più adeguata. In aggiunta si fa notare che nel funzionamento dell’organizzazione della scuola/CFP il processo decisionale razionale costituisce l’eccezione piuttosto che le regola. Il modello formale concepisce l’istituzione formativa come una struttura che dispone di una vita propria e ciò lo induce a sottostimare l’apporto del singolo. È una prospettiva che finisce per ignorare la complessità delle organizzazioni delle scuole e dei CFP e fornisce una visione distorta della loro natura e del loro funzionamento. Un management verticistico come quello del modello formale si adatta male ad una organizzazione di professionisti come tendono a divenire sempre più sia le scuole che i CFP. Infatti, in questo caso l’autorità di chi comanda non è basata sulla posizione nella gerarchia, ma si fonda principalmente sulla sua competenza. Gli approcci che rientrano nel modello formale concepiscono le istituzioni formative come stabili. Questo poteva essere vero in una società tradizionale in cui 18 il cambiamento costituiva l’eccezione, ma nella società della conoscenza e della globalizzazione le posizioni si invertono e l’innovazione diventa la regola. Nonostante questo lungo elenco di criticità, sarebbe sbagliato ritenere che il modello formale sia ormai superato. Gli aspetti che lo caratterizzano continuano ad essere presenti nelle organizzazioni scolastiche e formative: infatti, non si può negare al loro interno l’esistenza di una struttura ufficiale che si configura anche come sistemica, di una certa gerarchia, di obiettivi più o meno precisi, del processo razionale delle decisioni, della natura anche giuridica del fondamento dell’autorità e di una crescente responsabilizzazione nei confronti non solo dell’autorità pubblica, ma anche della comunità educativa. Al tempo stesso, è vero che tali dimensioni non sempre sono le più rilevanti o le più comuni. 2. IL MODELLO COLLEGIALE Come si è ricordato nell’introduzione, un secondo modello è quello collegiale (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). Esso include un gruppo di approcci che si caratterizzano per la natura partecipata delle decisioni. Le diverse tipologie che ne fanno parte si collocano tra forme di collegialità di natura limitata in cui il dirigente condivide il potere con un gruppo del personale che possiede maggiori competenze e anzianità di servizio e forme di collegialità pura nelle quali tutti i membri detengono sostanzialmente il medesimo potere decisionale. Come nel caso precedente, abbiamo organizzato questa breve sezione in due articolazioni fondamentali. La prima presenterà gli assunti principali del modello e la seconda tenterà di evidenziarne i punti forti e le criticità. 2.1. Le caratteristiche principali Il primo aspetto da mettere in risalto è la natura fortemente normativa del modello. In altre parole esso indica un ideale da raggiungere piuttosto che una realtà concreta, esistente di fatto. A parere dei suoi sostenitori l’organizzazione della scuola/CFP dovrebbe funzionare sulla base del consenso e secondo modalità democratiche. Questo aspetto fa capire il motivo per cui il modello in questione viene ritenuto la modalità più adatta per gestire le istituzioni scolastiche e formative nel tipo di società in cui viviamo. Un’altra caratteristica consiste nella sua particolare adeguatezza a realizzare le dinamiche proprie di un’organizzazione professionale. Infatti, in questo caso l’autorità si fonda sulla competenza e sull’esperienza e non sulla gerarchia come negli approcci formali. In un sistema collegiale le decisioni vengono prese generalmente sulla base delle ragioni che giustificano la soluzione adottata e, comunque, non sono imposte dall’alto, ma vengono discusse alla pari. 19 Un terzo elemento del modello collegiale può essere ricercato nel presupposto che i membri dell’organizzazione della scuola/CFP operano sulla base di una tavola comune di valori. In altre parole esiste un progetto educativo sul quale si focalizza il consenso generale e che guida il funzionamento della scuola e del CFP verso gli obiettivi in esso indicati, sulla base dei contenuti educativi specificati nel piano e secondo le metodologie che questo delinea. Un aspetto essenziale è rappresentato dalla partecipazione attiva di tutti gli aventi diritto alle scelte relative alla gestione delle istituzioni scolastiche e formative. Nei piccoli gruppi è diretta: tutti possono essere ascoltati ed esprimere il proprio parere sulle varie questioni. Nelle scuole e nei centri con molto personale la collegialità si esercita tramite rappresentanti: questo richiede a monte l’esistenza di un accordo tra i membri dell’organizzazione e i rappresentanti. In proposito, va precisato che per parlare di una partecipazione attiva non è sufficiente una consultazione informale dei docenti condotta da parte del dirigente. Un’ultima caratteristica riguarda il modo in cui prendere le decisioni, almeno quelle principali. Il modello collegiale raccomanda che si proceda per consenso e non a maggioranza, dando vita a tensioni e conflitti. Il presupposto è che esiste un sistema di valori e un progetto condivisi per cui, anche se hanno luogo discussioni persino accese, tuttavia è sempre possibile alla fine trovare un accordo accettato da tutti. 2.2. Punti forti e deboli del modello Questa volta iniziamo dagli aspetti positivi. Il primo è senz’altro quello di assicurare una maggiore partecipazione attiva di tutte le componenti. Questo elemento è in linea con un ideale particolarmente caro alla nostra società, quello cioè di una gestione democratica del potere. Una governance a cui tutte le parti interessate possono offrire il loro contributo senza esclusione accredita la validità del modello. Una secondo punto forte può essere ricercato nella natura delle ragioni su cui si fonda l’esercizio dell’autorità nelle organizzazioni scolastiche e formative. Il riferimento non è né alle normative né alla posizione nella gerarchia, ma alla competenza e all’esperienza del dirigente. Come si è fatto notare sopra, risulta sottolineato in maniera chiara il carattere professionale della scuola e del CFP. Il modello risulta in sintonia con uno degli orientamenti su cui consentono le politiche dell’educazione a livello internazionale, considerandolo particolarmente valido: si tratta della tendenza all’introduzione e alla realizzazione dell’autonomia (Malizia, 2008). Infatti, quest’ultima permette alla singola scuola di gestire la sua vita sulla base della libertà dei soggetti educativi (docenti, genitori e studenti) e in particolare di venire incontro efficacemente alle esigenze dei giovani. In aggiunta, è in grado di aprire le strutture formative alle esigenze locali, rendendole più sensibili e attente ai bisogni del territorio e al tempo stesso più capaci di fornire risposte adeguate in tempi reali. Il potenziamento della qualità dell’istruzione e della forma20 zione, che attualmente rappresenta un nodo fondamentale in tutti i sistemi educativi, può ricevere un impulso importante da un’autonomia che stimoli la creatività dal basso. Un ultimo aspetto rimarca una delle ragioni appena citate a favore della validità della strategia dell’autonomia. Si tratta dell’innovazione che non può essere imposta dall’alto pena la superficialità della sua attuazione, né è sufficiente l’impegno dal basso se manca il sostegno dell’autorità, ma per avere successo richiede la collaborazione di tutte le parti interessate. Passando ad esaminare i limiti del modello collegiale, una prima carenza può essere identificata nell’eccessiva normatività che lo caratterizza. In altre parole, si corre il rischio di scambiare l’ideale per il reale, di nasconderlo piuttosto che di renderlo visibile. Infatti, una criticità che viene frequentemente denunciata riguarda il divario che si riscontra tra le enunciazioni trionfalistiche a proposito per esempio di autonomia e le realizzazioni concrete nei sistemi educativi dei vari Paesi anche molto avanzati. Se la collegialità esalta la democrazia, tuttavia al tempo stesso può rendere il processo decisionale lungo, faticoso e tortuoso. Se bisogna assicurare il coinvolgimento di tutti i membri di un’organizzazione scolastica o formativa, i tempi sono destinati a dilatarsi e ancora di più se la meta è quella di arrivare ad una soluzione che goda del sostegno generale degli interessati. Da questo punto di vista non va dimenticato che l’efficacia di un intervento dipende anche dalla sua tempestività. Altri fanno notare la concezione ingenua che il modello collegiale rivela riguardo al conflitto. Da una parte esso tende a sottovalutarne i rischi, ritenendo che possa essere superato attraverso appelli alla presenza di un sistema comune di valori che può essere più teorico che reale. Dall’altra, sembra ignorare le sue potenzialità positive: infatti attraverso una sua gestione efficace è possibile giungere a soluzioni veramente adeguate dei problemi in discussione. Risulta poco realistico che nelle organizzazioni scolastiche e formative si possa arrivare ad un’autorità fondata solo sulla competenza e sull’esperienza e quindi ad eliminare o ridurre il potere gerarchico. Nonostante l’introduzione e l’affermarsi dell’autonomia, il legame con il centro del sistema non può essere reciso pena la frammentazione che può portare a una situazione di inefficienza e di diseguaglianza. Inoltre, la collegialità può svolgere la sua funzione con efficacia solo se trova il sostegno del preside della scuola o del direttore del centro in quanto sono le uniche figure legittimate a gestire l’organizzazione di una istituzione scolastica o formativa. Un problema concreto è quello del dirigente che è chiamato a promuovere decisioni collegiali che lui non condivide. La situazione è senz’altro imbarazzante e, soprattutto, può mettere in pericolo l’efficacia della soluzione adottata: è infatti difficile che dal preside o dal direttore venga tutto quel sostegno che è necessario per il successo dell’azione intrapresa se non sono convinti della sua validità. 21 3. IL MODELLO POLITICO Esso comprende una serie di approcci secondo i quali: nelle organizzazioni complesse il conflitto tra i gruppi di interesse è normale; i gruppi si alleano in coalizioni o si combattono in base alle convenienze; il potere è nelle mani della coalizione più forte piuttosto che del leader ufficiale (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). Inoltre, riguarda sia il piano macro-politico del governo centrale e locale che stabilisce le norme generali, sia quello micro-politico a livello di singola scuola o centro, che è quello di cui qui si tratta. Nelle sezioni successive, si illustreranno gli aspetti principali di questa prima descrizione del modello e si tenterà di identificarne i punti forti e quelli deboli. 3.1. Dimensioni comuni L’attenzione si sposta dall’organizzazione nella sua totalità alle dinamiche che riguardano i gruppi. Il cambiamento di prospettiva rispetto ai modelli formali e collegiali è sicuramente notevole: in un certo senso si tratta di un capovolgimento in quanto si passa dal tutto alla parte. L’unità di base non è più la scuola o il centro, ma un’articolazione interna per cui si perde l’ottica istituzionale, ma si guadagna in concretezza perché si è più vicini alla vita quotidiana delle istituzioni formative. Un altro aspetto importante, connesso con il precedente, consiste nella focalizzazione del modello sugli interessi. Nella logica di questa teoria, ogni persona è portatrice di una determinata gamma di interessi che tenta di soddisfare anche entro le organizzazioni di cui fa parte. Indubbiamente essi assumono una configurazione specifica nelle scuole e nei CFP: in particolare per i docenti e il dirigente possono essere di natura professionale, come quando per esempio ci si impegna per introdurre una innovazione di carattere contenutistico o metodologico nei programmi, oppure personale e in questo caso si può pensare alle esigenza di carriera. Sul piano della loro attuazione, è chiaro che è più facile realizzarli se ci si unisce con altre persone che li condividono. Da qui nasce la spinta a formare un gruppo che si può anche associare con altri fino a divenire una coalizione che può ottenere la maggioranza nella scuola/CFP. Non sempre si dà una coincidenza tra le istanze che un gruppo persegue e quelle delle altre articolazioni interne all’organizzazione e la presenza di questi divari può provocare dei conflitti. Diversamente dal modello collegiale che si limita ad evidenziare l’accordo tra le varie parti interessati e dimentica o sottovaluta le tensioni possibili nella scuola/CFP, la prospettiva politica mette in rilievo gli aspetti positivi esistenti nelle situazioni in cui si riscontrano divergenze: infatti, come si è detto sopra, attraverso una gestione efficace del conflitto è possibile arrivare a soluzioni veramente adeguate dei problemi in discussione e anche favorire il rinnovamento dell’organizzazione. Certamente, tutto questo può essere vero quando si 22 tratta di conflitti costruttivi, ma non se questi sono distruttivi, cioè se non si tratta solo di divergenze sulle idee, ma le tensioni riguardano le stesse persone. Un altro punto di differenza con i modelli precedenti è rappresentato dalla concezione che si ha degli obiettivi: questi infatti vengono considerati incerti, confusi e tra loro contrastanti. La ragione va ricercata nel fatto che ogni persona, gruppo o coalizione persegue i propri interessi e cerca di farli adottare dalla propria organizzazione e in questo percorso si scontra con altre forze che sono contrarie e il risultato non è sempre favorevole a un disegno preciso e stabile delle finalità e del progetto della scuola/CFP. Un aspetto da sottolineare riguarda il processo decisionale. Diversamente dal modello formale questo non si svolge secondo un percorso logico e razionale; al contrario le decisioni, soprattutto nelle organizzazioni complesse, si presentano come il risultato di un iter tortuoso e accidentato di trattative e di negoziati. La ragione fa sempre riferimento alla centralità dei gruppi di interesse e dei loro conflitti che sono all’origine di questi processi decisionali tutt’altro che semplici e lineari. Il modello politico si distingue da quelli formali e collegiali anche per un’altra ragione importante. Si è già messo in evidenza come gli approcci precedenti si caratterizzano per la loro forte normatività. Nulla del genere si riscontra invece nel modello politico e ciò che da questo punto di vista lo contraddistingue specificamente è invece la sua natura descrittiva e analitica. Un’ultima caratteristica si può ricercare nella centralità che nel modello politico assume il concetto di potere, Come si è appena visto, la vita dell’organizzazione appare condizionata dal potere reciproco e relativo dei suoi membri e dei gruppi in cui si articola. Gli interessi tra loro contrastanti causano il conflitto che trova una soluzione in nuovi equilibri dei poteri in gioco 1 . 3.2. Un bilancio del modello L’interpretazione politica dell’organizzazione delle scuole e dei centri presenta vari punti forti che si possono ricondurre sostanzialmente al suo realismo. Incominciamo dalla rivalutazione degli interessi personali e di gruppo. Certamente le motivazioni pedagogiche e didattiche occupano un posto centrale nei processi educativi di insegnamento e apprendimento e ciò non va assolutamente dimenticato. Tuttavia, sarebbe un errore sottovalutare l’importanza degli interessi che pure nelle scuole/CFP costituiscono una molla potente per l’azione, anche se vanno sottoposti al controllo dei valori. Deve essere apprezzata anche la considerazione che viene riservata al conflitto. Infatti, la diversità degli interessi può generare tensioni all’interno della scuola/ CFP. Si è già chiarito sopra il significato positivo del conflitto in quanto può essere una opportunità preziosa per ricercare soluzioni sempre più avanzate; naturalmente deve trattarsi di un conflitto costruttivo e non distruttivo di natura personale. 1 Sul potere cfr. il capitolo 2 nella sezione sulla leadeship. 23 Un’altra dimensione che si vorrebbe tenere lontana della scuole e dai centri, senza però riuscirvi, è quella del potere. Al contrario, essa viene evidenziata dal modello politico come un aspetto tutt’altro che marginale nei processi scolastici e formativi. Anche su questo bisogna riconoscere il realismo dell’approccio in esame perché potere e politica hanno un ruolo centrale non solo a livello macro, ma anche a quello micro. Passando alle criticità, il modello in questione è senz’altro insufficiente per spiegare tutta la ricchezza e varietà dei processi che hanno luogo nelle scuole e nei centri. Infatti, esso ignora dimensioni essenziali delle attività scolastiche e formative: in altre parole, poco rilevanti risultano aspetti che, invece, sono i più centrali come quelli educativi e didattici. Un secondo aspetto di tutt’altra natura che viene sottostimato dal modello politico è la rilevanza della struttura gerarchica interna di scuole e centri. Essa può costituire un limite alle dinamiche conflittuali dei gruppi; inoltre, i risultati delle loro negoziazioni per trovare una soluzione alle tensioni interne hanno bisogno del riconoscimento dell’autorità per divenire ufficiali ed essere da tutti ac cettate. Un altro elemento carente della visione del modello politico sull’organizzazione scolastica e formativa va ricercato in un’ulteriore sottovalutazione, quella della dimensione istituzionale. Indubbiamente, non si può ignorare il peso dei gruppi nel funzionamento delle scuole e dei centri, ma sarebbe altrettanto miope trascurare gli aspetti formali, burocratici e giuridici. Come il modello collegiale esalta la dimensione cooperativa e sottostima quella conflittuale, il limite opposto si riscontra nell’approccio politico: le tensioni occupano tutto il campo d’azione, mentre ci si dimentica che la possibilità di collaborazione rappresenta la modalità normale nei rapporti all’interno delle comunità educative. Certamente la carenza più grave è la sottovalutazione della dimensione ideale. Questo è particolarmente serio in una istituzione formativa perché l’educazione è prima di tutto educazione dei giovani ai valori, a far maturare le loro personalità affinché possano divenire, come diceva Don Bosco, “onesti cittadini e buoni cristiani” (Malizia, 2013). 4. IL MODELLO SOGGETTIVO Come si è anticipato nell’introduzione, un quarto gruppo di tipologie rientra nel modello soggettivo (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; Malizia, 2007; English Fenwick, 2006). In questo caso l’organizzazione della scuola o del centro viene immaginata come una costruzione dei suoi membri ed esiste solo nelle loro percezioni; inoltre, essa assume un significato differente per ognuno dei componenti della comunità educativa. La base teorica di questi approcci va ricercata nella fenomenologia e nell’interazionismo. 24 Articolerrmo la sezione in due parti. Come per i modelli precedenti, la prima evidenzierà gli aspetti comuni e fondanti, mentre la seconda cercherà di redigere un bilancio generale della teoria, mettendo in risalto elementi validi e criticità. 4.1. Aspetti comuni e fondamentali La novità più significativa di tale teoria è che essa pone al centro dell’attenzione il soggetto. In ciò si distingue dai modelli collegiale e formale e da quello politico: infatti, per i primi la considerazione va primariamente all’organizzazione e per il secondo ai gruppi. Tuttavia, in questo caso non si può parlare di centralità della persona perché il soggetto viene visto nella sua individualità senza legami forti con la comunità di appartenenza. Secondo questi approcci ciò che conta sono i significati che i membri dell’organizzazione della scuola e del centro assegnano agli avvenimenti, e non gli eventi in sé o analizzati dall’esterno. In altre parole, l’interpretazione prevale sulla realtà dei fatti. Ne consegue che differenti soggetti possono fornire spiegazioni diverse del medesimo avvenimento e lo stesso individuo può offrire vari significati dello stesso evento in momenti o situazioni diverse. La varietà di interpretazioni va attribuita alle differenze nei valori, nella formazione e nelle esperienze che caratterizzano i componenti delle comunità scolastiche e formative. I sostenitori del modello soggettivo ritengono correttamente che non è possibile pensare a una teoria dell’organizzazione scolastica e formativa in assenza di un quadro di valori. Se nella scuola o nel centro emergono sistemi di significato contrastanti, gli approcci in questione tendono ad avvicinarsi al modello politico e prevedono la formazione di gruppi e la possibilità di tensioni e conflitti. Una quarta caratteristica riguarda l’origine della struttura della scuola e del centro: secondo la teoria in questione essa non esiste indipendentemente dalle interazioni dei componenti delle relative comunità, ma è il loro prodotto. Pertanto, i sostenitori del modello soggettivo criticano quanti reificano la struttura, facendone una entità in sé; inoltre, essi spostano l’attenzione dalla struttura ai comportamenti e ai processi e danno maggiore importanza alle motivazioni delle risorse umane e alla loro gestione. Il modello soggettivo sottolinea la rilevanza delle finalità individuali e ignora o trascura la presenza di quelle generali. Se le organizzazioni costituiscono il risultato delle interazioni tra i componenti delle comunità educative e formative, ne segue che le mete da raggiungere non possono essere quelle dell’organizzazione scolastica o formativa che non può vantare delle sue proprie finalità, ma sono quelle specifiche dei suoi singoli membri. 4.2. Elementi validi e criticità Un primo punto di forza può essere visto nell’accentuazione del ruolo del soggetto all’interno della scuola e del centro. Questi ultimi non possono essere ridotti 25 agli aspetti istituzionali o a quelli comunitari; anche i singoli membri vanno tenuti in particolare considerazione nelle loro esigenze, motivazioni, capacità, competenze e pure nei loro limiti perché la vita di una scuola e di un CFP trova in loro il proprio centro di animazione. Sopra si è già evidenziata una criticità e cioè che la sottolineatura in questione si focalizza sul soggetto nella sua individualità, ma non sembra assurgere al concetto di persona. In questo quadro si comprende come mai gli insegnanti non vengano presentati come dei funzionari o, peggio, dei burocrati. Al contrario, essi sono descritti correttamente come dei professionisti, impegnati con le loro competenze a servizio degli allievi. Inoltre, viene adeguatamente valorizzata la loro individualità specifica. Un terzo aspetto positivo riguarda le potenzialità del modello rispetto a quello formale in quanto riesce a limitarne le rigidità. Infatti, le due teorie non sono tra di loro mutuamente esclusive, ma è possibile una integrazione dei relativi approcci. È sufficiente tenere presente che i campi di intervento sono sì distinti, ma anche complementari in quanto il modello formale spiega il funzionamento dell’organizzazione scolastica e formativa globalmente, mentre quello soggettivo si occupa del comportamento degli individui e dei loro rapporti. Per quanto riguarda il bilancio delle criticità, va osservato che la teoria in questione risulta troppo normativa. I vari approcci che la compongono tendono a esprimere giudizi di valore piuttosto che a descrivere la realtà così com’è. Viene infatti rimproverato ai sostenitori un certo accanimento ideologico e il rifiuto preconcetto di qualsiasi critica. L’organizzazione della scuola e del centro viene presa in considerazione solo come lo scenario in cui operano i singoli membri della comunità educativa, ma il modello non si sofferma a spiegare la sua natura. La focalizzazione sull’individuo preclude ai sostenitori della teoria di occuparsi della dimensione istituzionale della gestione delle attività scolastiche e formative. Di fatto, le interpretazioni dell’organizzazione di una scuola e di un centro non sono di solito mai così tante e variegate da non essere riconducibili ad alcune tipologie di base, diversamente da quanto afferma il modello soggettivo che tende a moltiplicarle e a differenziarle perché le considera del tutto individuali e singolari. In proposito, basterebbe riflettere sul dato di fatto che gli insegnanti e i dirigenti condividono non infrequentemente la medesima formazione e lo stesso background professionale. Egualmente si può dire che tra le scuole e i centri esistono notevoli somiglianze sul piano gestionale. Un’ultima criticità riguarda il contributo modesto o nullo che il modello fornisce a livello di indicazioni concrete per i dirigenti in vista della conduzione delle istituzioni scolastiche e formative. In altre parole sono molto limitate le linee guida che esso offre per l’organizzazione e la gestione, diversamente dalle teorie che si sono esaminate precedentemente e che dimostrano ampie potenzialità da questo punto di vista. La sola eccezione è offerta dall’indicazione di prestare una considera26 zione adeguata alle interpretazioni e alle proposte avanzate dai singoli membri della comunità educativa. 5. IL MODELLO AMBIGUO Come si è anticipato nell’introduzione, alcuni approcci teorici possono essere ricondotti al modello ambiguo (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). In particolare si tratta di tipologie che accentuano l’incertezza, l’imprevedibilità e la complessità delle organizzazioni. Nelle sezioni che seguono, illustreremo gli aspetti più rilevanti del modello e, si tenterà di identificarne i punti forti e quelli deboli in modo da redigerne un bilancio. 5.1. Dimensioni comuni e fondanti Una prima caratteristica riguarda gli obiettivi che, diversamente da quanto sostiene il modello formale, sarebbero tutt’altro che chiari e precisi, ma si presentano invece incerti e incoerenti. La ragione andrebbe ricercata nell’autonomia delle scuole e dei centri e nella libertà di insegnamento dei docenti che non consentono di poter contare su un progetto educativo/formativo generale coeso e congruente. Un’altra considerazione si appunta sulla natura complessa delle organizzazioni attuali da cui si trae la conclusione che le loro scelte operative si rivelano necessariamente ambigue. Questo vale soprattutto per le scuole e i centri perché risulta problematico capire i loro processi interni e perché non sempre i docenti dimostrano di avere idee precise sui contenuti da insegnare ai loro allievi e sulle metodologie da utilizzare per favorire il loro apprendimento. I legami tra le varie articolazioni delle organizzazioni scolastiche e formative sono comunemente ritenuti deboli e per spiegare tale situazione ritornano in gioco le motivazioni richiamate sopra e cioè l’autonomia delle istituzioni educative e la libertà di insegnamento dei docenti. Ciò comporta come conseguenza l’emergere degli aspetti della frammentarietà e della incoerenza che a parere dei teorici del modello in questione caratterizzerebbero il funzionamento e la gestione di scuole e centri. Anche la struttura risulta problematica. Infatti, le competenze dei vari organismi interni delle scuole e dei centri non sempre sono ben definite; inoltre, il potere di ogni componente delle comunità scolastiche e formative varia a seconda della natura della questione esaminata e della modalità partecipativa che viene riconosciuta a ciascuna di esse. In aggiunta, il modello si dimostra particolarmente adeguato a spiegare il funzionamento delle organizzazioni professionali come le scuole o i centri. E proprio l’autonomia di cui godono i docenti, in quanto professionisti dei processi di inse27 gnamento/apprendimento, è destinata di per sé a creare un certo grado di ambiguità nella gestione delle istituzioni formative. La partecipazione delle componenti delle comunità scolastiche e formative ai processi decisionali non si dimostra molto stabile, ma tende ad essere piuttosto fluida. La loro presenza alle riunioni non risulta sempre continua; inoltre, ogni anno cambia una parte degli allievi e pure i docenti si trasferiscono e mutano di ruolo. Il contesto si rivela anch’esso causa di ambiguità. Le scuole e i centri risultano sempre più vulnerabili alle pressioni dei genitori e degli studenti. Inoltre, nella società del cambio non è facile interpretare i rapidi mutamenti in atto e questa incertezza si ripercuote nelle istituzioni scolastiche e formative, creando difficoltà e problemi non marginali per la loro gestione. Il processo decisionale manca spesso di quella razionalità di passaggi che il modello formale ha cercato di descrivere, mentre si presenta frequentemente con le caratteristiche della casualità. A motivo della natura ambigua degli obiettivi da perseguire nelle attività educative le scelte tendono ad essere assunte in maniera fortuita sulla base dell’incontro casuale tra problemi e proposte da una parte e decisori dall’altra. Inoltre, non sempre alla decisione segue l’attuazione perché: il risultato viene ritenuto meno rilevante del processo per arrivarci; la realizzazione è affidata a membri dell’organizzazione che non sono convinti della bontà della decisione presa; l’impegno che è stato speso per giungere a una scelta si affievolisce dopo che la decisione è stata assunta; la preoccupazione dei componenti delle comunità educative si focalizza su nuove questioni che emergono nel frattempo. Scendendo più nella specifico, secondo la teoria in esame le decisioni vengono prese in base al modello del “bidone della spazzatura”. In altre parole esse sono il risultato della interazioni tra quattro gruppi di variabili relativamente autonome. Il primo è costituito dai problemi: questi corrispondono alle preoccupazioni che nutrono i membri dell’organizzazione e anche i soggetti esterni a quest’ultima; tutti esigono attenzione, ma non è sicuro che siano risolti in seguito all’esecuzione della decisione presa. Un altro gruppo è composto dalle soluzioni che vengono di solito proposte da qualcuno dei membri dell’organizzazione; secondo i sostenitori del modello del “bidone della spazzatura” nelle grandi organizzazioni la formulazione esatta della domanda richiede che prima venga avanzata la risposta. In terzo luogo vanno considerati i partecipanti i quali entrano ed escono dal luogo delle riunioni secondo i loro impegni e la cui partecipazione non è sempre coerente con le decisioni da prendere. Il quarto gruppo è costituito dalle occasioni che portano ad assumere quella determinata decisione. In questo quadro, il processo decisionale si presenta necessariamente ambiguo perché i problemi possono essere indipendenti dalle soluzioni già pronte e in attesa di essere assunte, la partecipazione alle riunioni è fluida e la decisione può dipendere alle opinioni di chi è presente in quel momento piuttosto che dalla validità oggettiva della soluzione. Per la precisione, va detto che i teorici dell’approccio del “bidone della spazzatura” fanno notare che esso riguarderebbe le università e le scuole superiori e non le altre istituzioni scolastiche e formative. 28 Il modello ambiguo accentua l’autonomia della scuola e del CFP e il decentramento delle decisioni. Molte di queste ultime vanno affidate alle articolazioni interne a causa dell’imprevedibilità e della complessità delle situazioni. A sua volta, l’autonomia rispetta il ruolo dei professionisti dei processi di insegnamento/apprendimento e il decentramento consente all’organizzazione di continuare ad operare normalmente, anche se alcune unità si trovano in situazioni problematiche. Certamente questa impostazione non favorisce il potenziamento delle responsabilità della leadership. 5.2. Un bilancio del modello Sul piano positivo un primo contributo rilevante può essere identificato negli apporti nuovi e validi che la teoria in questione offre allo studio dell’organizzazione delle scuole e dei centri. È opportuno ricordarli brevemente: anzitutto, si tratta della possibilità che gli obiettivi non risultino ben definiti, ma siano piuttosto ambigui; inoltre, le decisioni concrete delle istituzioni scolastiche e formative possono rivelarsi tutt’altro che chiare; un’ultima importante acquisizione riguarda la partecipazione dei membri dell’organizzazione che non sempre è stabile e si può caratterizzare per un grado più o meno elevato di fluidità. Un altro punto forte del bilancio si riscontra nelle potenzialità che il modello dimostra sul piano della descrizione e dell’analisi. La presentazione che è stata fornita precedentemente mette in evidenza la concretezza delle osservazioni avanzate. In altre parole, il modello delinea un disegno più realistico delle organizzazioni scolastiche e formative, lontano dalle astrattezze che si possono registrare negli approcci formali o collegiali. Passando sul lato delle criticità, in primo luogo la teoria in questione tende a sopravvalutare l’ambiguità degli obiettivi e delle soluzioni adottate. Infatti, non bisogna dimenticare che i docenti tendono di solito a consentire sulle finalità generali dei sistemi educativi. Inoltre, gli orientamenti a livello macro incidono senz’altro sulle decisioni delle scuole e dei centri, producendo chiarezza e inducendo somiglianze sostanziali tra le varie istituzioni educative. Un altro aspetto che il modello ambiguo certamente sovrastima è quello dell’ incertezza. In proposito è sufficiente tenere presente che docenti e studenti sono chiamati a rispettare normative, regole e procedure che rimangono stabili nel tempo. In aggiunta, come si è già fatto notare sopra, la formazione iniziale e in servizio di insegnanti e dirigenti assicura quel retroterra comune che contribuisce alla prevedibilità e alla certezza dei loro comportamenti. Se il modello si dimostra adeguato a spiegare il funzionamento delle organizzazioni in situazioni di turbolenza, esso si rivela poco adatto in momenti di relativa tranquillità. Se la scuola o il centro riesce a difendere le proprie attività dalle pressioni esterne, è possibile immaginare fasi di sufficiente stabilità per le quali l’impostazione ambigua avrebbe ben poco da dire. Da ultimo si può ripetere un’osservazione che già era stata avanzata a proposito del modello soggettivo. Si tratta dell’apporto molto ridotto che le due teorie 29 forniscono a livello di indicazioni concrete per i dirigenti in vista della conduzione delle istituzioni scolastiche e formative. In altre parole sono veramente scarse le linee guida che il modello offre per l’organizzazione e la gestione perché ambiguità e incertezza non aiutano a elaborare proposte utili. 6. IL MODELLO CULTURALE Incominciamo con una descrizione sintetica che riprendiamo, come negli altri casi, dall’introduzione: il modello culturale comprende tutti quegli approcci che si focalizzano sui principi, le idee, i simboli e le tradizioni condivisi dai membri di un’organizzazione (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Serpieri, 2008; Fullan, 2007; English Fenwick, 2006; Malizia, 2007). Esso risponde all’esigenza di valorizzare la cultura educativa di una scuola o centro che, in particolare, serve per definirne l’identità propria di ogni istituzione formativa. L’esposizione che segue è organizzata, come nei precedenti casi, in due articolazioni principali. Si comincia con un’illustrazione generale della teoria; segue poi una sezione in cui si tenta di evidenziarne gli aspetti validi e le criticità. 6.1. Una presentazione generale del modello Un primo aspetto rilevante consiste nella focalizzazione sui valori e sulle opinioni delle componenti delle comunità scolastiche e formative. Il motivo per questa particolare attenzione va ricercato nell’assunto secondo il quale le percezioni e le azioni delle persone trovano il loro fondamento nei sistemi valoriali di ciascuno i quali, però, non sempre vengono esplicitati in maniera chiara per cui risulta importante farli emergere in modo comprensibile per tutte le parti interessate. Il modello si basa anche su un altro assunto, quello cioè della condivisione di principi e di interpretazioni tra i membri di una organizzazione scolastica o formativa. Infatti, le interazioni tra le persone che compongono le comunità educative fanno emergere progetti e orientamenti comuni. Se essi vengono generalmente accettati nella scuola o nel centro, confluiscono a formare la cultura della scuola; se il consenso si verifica solo a livello di gruppo, allora emerge una pluralità di sottoculture. L’aspetto della condivisione distingue il modello culturale da quello soggettivo che, invece, è focalizzato sulle percezioni individuali dei soggetti. La cultura si esplicita mediante simboli, riti e cerimonie che servono a diffondere e a rafforzare principi e significati: in proposito si possono ricordare le assemblee, le premiazioni, le manifestazioni di varia natura e le cerimonie religiose. Tutte queste espressioni esterne hanno il vantaggio di rendere visibili e soprattutto attraenti i valori, in particolare per gli allievi. Tre sono le forme principali in cui può essere simboleggiata la cultura della scuola e del centro: una è certamente quella concettuale o verbale e qui prevale il linguaggio; una seconda è di natura compor30 tamentale e in questo caso si possono citare i rituali e le cerimonie; la terza consiste nelle modalità visive e materiali come per esempio stemmi, uniformi o trofei. Nel modello culturale assumono un ruolo speciale gli eroi e le eroine perché personificano il sistema di valori che caratterizza una determinata scuola o uno specifico centro. Queste figure sono importanti in quanto sollecitano all’imitazione e contribuiscono a conservare il senso dell’unità. Qualsiasi membro della comunità scolastica e formativa, presente e passato, può assurgere a tale condizione se riesce a incarnare in maniera attraente la cultura della scuola o del centro. 6.2. Aspetti validi e criticità Incominciamo con i punti forti. L’interesse per i valori e i principi rivaluta l’aspetto umano dell’organizzazione delle scuole e dei centri che risultava un poco in ombra negli altri modelli più focalizzati su strutture e processi. Sarebbe infatti riduttivo puntare solo su questi aspetti e dimenticare il progetto educativo delle istituzioni formative. Un’altra rivalutazione va ricercata nell’attenzione che viene portata all’ambito informale della cultura della scuola o del centro. Anche questa è una novità importante rispetto ad altri approcci più interessati alla dimensione istituzionale. In proposito, l’eccezione più importante riguarda quelli collegiali che, come si è detto sopra, si focalizzano sul funzionamento e sulla vita delle comunità scolastiche e formative; queste ultime tipologie, però, non si occupano, o non lo fanno adeguatamente, di uno dei risultati principali delle interazioni che avvengono nelle comunità che è, appunto, la cultura della scuola o del centro. Diversamente dai modelli soggettivi e ambigui che si dimostravano adeguati sul piano descrittivo ed analitico, ma carenti su quello operativo, gli approcci culturali offrono indicazioni pratiche alla leadership educativa per cui la possono aiutare nella gestione di un’organizzazione scolastica o formativa. La scoperta della cultura della scuola e del centro permette di elaborare varie strategie concrete per la loro conduzione. In specie, vale la pena evidenziarne una particolarmente rilevante. Il successo di un’innovazione non dipende solo dalla validità del progetto, dal sostegno dell’autorità amministrativa, dalla preparazione del personale, o dalla disponibilità di risorse sufficienti, ma anche dalla presenza di una cultura recettiva del cambiamento. In particolare, esso deve risultare congruente con i valori dei docenti che sono chiamati a realizzarlo e, comunque, non può essere imposto dall’alto. Un’altra scoperta riguarda la valorizzazione dei simboli, dei riti e delle cerimonie; importante è anche la considerazione riconosciuta alle figure degli eroi, delle eroine e, per il mondo delle istituzioni scolastiche e formative cattoliche o di ispirazione cristiana, ai santi e alla sante, soprattutto se giovani. Infatti, tutti hanno una capacità evocativa e un fascino che facilitano grandemente l’educazione. Sul piano delle criticità, va ricordato anzitutto il rischio di una manipolazione ideologica o peggio dell’imposizione di un progetto educativo dall’alto. Il ricorso 31 eccessivo alla leva culturale e la ricerca della condivisione ad ogni costo della “vision” alla base di un’istituzione scolastica e formativa possono condurre agli esiti negativi appena ricordati. Un altro pericolo insito nel modello è quello di portare a confondere la cultura con la realtà o di semplificare quest’ultima. Si può essere così convinti della bontà di una teoria da credere che la situazione concreta della scuola o del centro sia come questa la rappresenta e si può arrivare fino a ignorare o a trascurare le carenze e i limiti della stessa teoria. La condivisione di un modello interpretativo od operativo non deve far dimenticare le caratteristiche concrete del contesto in cui si interviene concretamente. La focalizzazione eccessiva sulla cultura può comportare anche ulteriori effetti negativi. Il problema va visto nella possibile sottovalutazione di altri aspetti della vita e della gestione delle scuole e dei centri. E qui si profila il rischio che gli aspetti istituzionali o la dimensione processuale o l’attenzione per la comunità vengano trascurati o peggio completamente dimenticati. In un’istituzione di qualità e di successo è possibile che il progetto culturale della scuola e del centro venga riproposto di anno in anno senza tentarne un bilancio che ne metta in evidenza eventuali limiti e criticità. In questo caso si verifica una solidificazione della cultura educativa della struttura che così diviene incapace di aprirsi ai necessari mutamenti, richiesti dal cambio continuo in atto nella nostra società post-industriale. 7. IL MODELLO DELLA QUALITÀ TOTALE Come è stato precisato nell’introduzione, in questo approccio la qualità viene intesa in base a una prospettiva non più interna all’organizzazione, ma esterna, e consiste nella soddisfazione del cliente per cui diviene centrale nel rapporto con il contesto l’impegno per identificare la domanda: è la qualità percepita che è decisiva e la misura operativa è fornita dal successo dell’offerta formativa (Malizia, 2007; Negro, 1995; Malizia e Nanni, 2001; Marcantoni e Torresani, 2000; Galgano, 1992 e 1994; Froman, 1996; Laboucheix, 1993; Collard, 1991; Imai, 1986). All’interno, poi, il collega, o comunque il componente della comunità educativa, non deve più essere immaginato come un competitore, ma come un cliente a cui fornire un prodotto di qualità. La sezione verrà articolata in due parti. Come per i modelli precedenti, la prima evidenzierà gli aspetti comuni e fondamentali, mentre la seconda cercherà di redigere un bilancio generale della teoria, mettendo in risalto elementi validi e criticità. 7.1. Aspetti comuni e fondamentali Anzitutto vanno segnalati gli spostamenti di accento che il modello introduce nel concetto di qualità, pur conservando in ogni caso il meglio del passato, come per esempio l’ispezione: 32 – la priorità passa al processo (programmazione e realizzazione) rispetto al prodotto finito quando potrebbe essere troppo tardi intervenire per correggere i risultanti inadeguati; – la qualità come soddisfazione del cliente diviene più importante della qualità come assenza di difetti; – non importa tanto raggiungere dei risultati prefissati e statici quanto puntare al miglioramento continuo e alla elaborazione di un metodo che serva per rendere più rapido il miglioramento; – la qualità non va considerata come una prerogativa esclusiva degli addetti ai lavori, quanto come un valore per l’intera umanità. Un primo aspetto fondante consiste nell’attribuzione della priorità assoluta al cliente. L’uso di questa terminologia nell’ambito educativo potrebbe fare scandalo, ma i teorici del modello provvedono subito a precisarne il significato. Il cliente in generale è chiunque si serve delle prestazioni professionali di lavoratori o che compra prodotti in vista della soddisfazioni delle proprie esigenze. Tuttavia, il concetto di cliente nella scuola e nel centro non è lo stesso che nelle imprese e indica semplicemente soggetti che esprimono bisogni o attese a cui venire incontro. Con riferimento ai processi di insegnamento-apprendimento essi si dividono in esterni ed interni. Tra i clienti esterni vanno annoverati anzitutto gli allievi e i genitori: essi ricevono un servizio che riveste un’importanza fondamentale, per i primi, in vista della loro maturazione e per i secondi in quanto offre loro un supporto essenziale all’esercizio del diritto-dovere all’educazione dei figli. Nella stessa categoria, ma in una collocazione successiva, si riscontrano le scuole e i centri di livello superiore che si avvalgono della formazione ricevuta negli ordini e gradi inferiori, e in particolare il mondo del lavoro e la società che fruiscono delle conoscenze, delle competenze, degli atteggiamenti e dei comportamenti acquisiti dai giovani nelle scuole e nei centri. A loro volta, i clienti interni si articolano in due gruppi, gli insegnanti e il personale non docente che utilizzano gli strumenti e le strutture messe a loro disposizione dalle istituzioni scolastiche e formative per effettuare le loro prestazioni. La qualità totale precisa nella sua logica quale è il “prodotto” delle scuole e dei centri. In generale, si tratta dell’educazione, della cura e della custodia dei giovani, della loro preparazione e selezione per le differenti funzioni da svolgere nella società. Viene anche chiarito che il prodotto primario, l’educazione cioè, comprende vari aspetti quali: i saperi e le conoscenze; i saper fare le tecniche e le pratiche; la saggezza, come capacità di prendere decisioni adeguate; il saper essere come la formazione del carattere e ai valori. Secondo il modello, dopo aver definito clienti e prodotti, vanno identificati i processi e i fattori produttivi. Nel primo caso si tratta fondamentalmente dell’insegnamento e degli apprendimenti, mentre nel secondo si parla del personale, dirigente, docente e non, delle attrezzature, degli ambienti, dei laboratori, dei supporti didattici e delle risorse finanziarie. 33 L’ultimo aspetto da considerare in relazione al principio della priorità assoluta del cliente è costituito dalla figura dei fornitori. Essi sono tutti coloro che avviano i processi o intervengono nei medesimi con un contributo di risorse. Più specificamente questa categoria comprende: lo Stato e gli Enti locali che assicurano il personale, le risorse finanziarie, le strutture, i servizi complementari e la manutenzione; i progettisti e i produttori di sussidi; le società di ricerca e di consulenza che offrono metodologie e supporti didattici e organizzativi; gli enti e le società di formazione che sostengono lo sviluppo professionale del personale; le banche e le assicurazioni. L’adozione del principio della priorità assoluta del cliente implica innovazioni importanti per l’organizzazione della scuola e del centro. Anzitutto, il concetto di cliente viene esteso oltre l’allievo - di cui si riconosce sempre la centralità - ad altre categorie, come si è visto sopra. In secondo luogo, l’idea della qualità è ampliata dall’interno all’esterno, cioè non è più affidata soltanto alle verifiche di controllori interni, come per esempio gli ispettori, che devono verificare la conformità con le norme e con le procedure, ma coinvolge anche l’esterno e viene a coincidere con la piena soddisfazione delle aspettative e delle esigenze del cliente. Da ultimo, va sottolineato che le priorità tradizionali vengono capovolte: al primo posto non sono collocati i problemi sindacali, organizzativi, strutturali o normativi, ma le scuole e i centri si pongono al servizio primariamente degli allievi, dei genitori e delle altre categorie di clienti. Un altro principio fondamentale consiste nella qualità come soddisfazione piena del cliente che vuol dire adeguatezza dell’offerta della scuola/CFP alle aspettative ed esigenze soprattutto di allievi e genitori. Ambedue i termini dell’equazione richiedono un approfondimento. Incominciamo con le dimensioni della qualità del servizio scolastico o formativo. La prima è quella tecnica e si riferisce a ciò che la scuola o il centro offre ai suoi clienti, cioè l’educazione anzitutto e poi le attività complementari quali per esempio l’accoglienza, il tutoring, l’affiancamento, il supporto della ristorazione, l’inserimento nel mondo del lavoro. La qualità relazionale e comunicazionale consiste nelle modalità con cui l’istruzione e la formazione vengono fornite e comprende atteggiamenti come tra l’altro la gentilezza, l’assistenza, la prontezza a immedesimarsi nei clienti, il dialogo, la completezza e la chiarezza delle spiegazioni. In terzo luogo si parla di qualità ambientale in rapporto al contesto in cui la scuola o il centro offrono al cliente le loro prestazioni: in particolare si tratta di strutture e impianti e anche del clima psicologico di soddisfazione o meno riguardo all’ambiente. La qualità-immagine risponde all’interrogativo “da chi il cliente riceve l’offerta di istruzione e di formazione” e include aspetti come la sicurezza, la riduzione del rischio e lo status sociale. A sua volta, la qualità organizzativa consiste nelle modalità con cui la scuola o il centro si strutturano per fornire il proprio servizio e comprende la sua funzionalità ed efficienza. Da ultimo, la qualità economica si riferisce all’ammontare delle spese che il cliente e l’istituzione scolastica e formativa 34 sostengono per l’istruzione e la formazione fornita e include due tipi di costi: quelli della qualità, cioè quanto si spende per assicurarla e quelli della non qualità, cioè degli insuccessi interni ed esterni subiti. Passiamo all’altro aspetto del rapporto domanda/offerta di educazione, concentrando l’attenzione sulle caratteristiche dei bisogni dei clienti. Essi comprendono sia le necessità che i desideri e si articolano in varie categorie. Così, i bisogni possono essere tangibili, cioè materiali e concreti, e intangibili o psicologici come la serenità, la stima, il sentirsi aiutati. Un’altra classificazione li distingue in impliciti, espliciti e latenti. I primi riguardano bisogni che non vengono più neppure manifestati perché la loro soddisfazione è ormai automatica; se però non sono realizzati, il disagio del cliente diviene pieno e non sarà disposto ad accettare scuse. I secondi vengono manifestati in maniera palese e la soddisfazione è condizionata dal loro esaudimento. I bisogni latenti si riferiscono alle esigenze che non si è capaci di formulare fino al momento in cui non si sperimenta la loro soddisfazione; il mancato esaudimento non fa problema, ma la loro realizzazione fa crescere di molto la soddisfazione. Data la grande importanza che assumono i bisogni nel modello della qualità totale che è tutto rivolto al loro esaudimento diviene essenziale procedere alla loro analisi in maniera scientifica. Alla strategia del miglioramento continuo viene affidato il compito di elaborare un programma adeguato per rispondere alle esigenze implicite prima, poi a quelle esplicite e infine a quelle latenti. Il modello della qualità totale distingue tra il miglioramento per innovazione e il miglioramento a piccoli passi. Il primo presenta le seguenti caratteristiche: i suoi effetti si producono a breve termine, ma sono particolarmente ragguardevoli; avviene a grandi passi e implica cambiamenti immediati, a scatti; di solito vi contribuisce una ridotta cerchia di esperti e l’approccio è fondamentalmente individuale; esso mira ad elaborare nuove teorie, a fare delle invenzioni e a predisporre nuove tecnologie; richiede notevoli investimenti finanziari; la valutazione viene effettuata in base ai risultati e ai profitti. Secondo il modello della qualità totale, costituisce una strategia importante, ma presenta due svantaggi che non ne permettono un uso generalizzato e cioè: presuppone la disponibilità di risorse ingenti e riguarda cambiamenti di natura eccezionale. L’altro tipo di miglioramento si qualifica per i seguenti aspetti: gli effetti si fanno sentire a lungo termine, sono duraturi, ma non eccezionali; si realizza a piccoli passi e richiede un’azione continua e il coinvolgimento di tutto il personale per cui l’approccio è collettivo; presuppone conoscenze normali e investimenti modesti; la valutazione si concentra sui processi e gli sforzi. Per il modello in questione costituisce la modalità ordinaria per realizzare miglioramenti e, se viene affinato adeguatamente, può consentire grandi progressi, divenendo una forma di miglioramento a “grandi salti”. La qualità totale offre tre linee guida principali per l’attuazione del miglioramento continuo Anzitutto, si tratta di saper migliorare efficacemente, concentrando l’attenzione sulla soluzione del singolo problema attraverso il potenziamento del35 l’uso delle tecniche che il modello mette a disposizione. La seconda linea guida richiede di saper organizzare il miglioramento, strutturando adeguatamente il lavoro dei gruppi, affidando incarichi di responsabilità a singole persone e mantenendo il sistema aperto a tutte le sollecitazioni che possano venire dall’interno e dall’esterno. L’ultima indicazione consiste nel saper finalizzare il miglioramento, mettendolo al servizio delle priorità della scuola o del centro, orientandolo all’ottica cliente-fornitore e indirizzandolo verso il funzionamento dei processi. Il modello precisa anche quali sono i fattori chiave di un’organizzazione efficace del miglioramento continuo che assicuri la trasformazione degli obiettivi in risultati soddisfacenti. Il primo consiste nell’efficacia operativa, cioè nella capacità della scuola o del centro di conseguire importanti progressi nel raggiungimento delle finalità prese in considerazione: in questo caso è decisiva la scelta di puntare ogni anno su pochi, ma rilevanti obiettivi-sfida. Il secondo fattore chiave è costituito dalla coerenza, ossia dalla capacità di evitare dispersioni e sforzi contrapposti, assicurando una congruenza sul piano orizzontale, tra ruoli e funzioni, verticale, tra responsabili a diversi livelli, e strategica, tra impegni a breve, medio e lungo termine. Dato che, come si è osservato all’inizio, la qualità totale attribuisce priorità al processo sul prodotto, un altro aspetto fondamentale del modello consiste nella gestione dei processi della scuola o del centro. Anche in questo caso, oltre a offrire una definizione, il complesso cioè delle attività rivolte a convertire le risorse in prodotti e servizi a beneficio del cliente, il modello si sofferma a fornire indicazioni operative. Una prima raccomandazione richiede la standardizzazione dei processi. Questa significa una chiara determinazione delle modalità operative che vanno eseguite completamente e sempre da parte di ogni membro dell’organizzazione. Essa risulta necessaria per vari motivi: rappresenta il fondamento sicuro per la conservazione di un livello alto di prestazioni; facilita l’identificazione dei problemi che emergono chiaramente dal confronto con lo standard adottato; di conseguenza fa da punto di partenza degli interventi per il miglioramento della gestione. L’importanza di questa indicazione operativa appare evidente se si tiene conto che, quando in una scuola o centro un’attività è realizzata secondo modalità sempre differenti e non ben determinate, è molto difficile ottenere risultati soddisfacenti in maniera generalizzata. Altrettanto importante è la razionalizzazione dei processi. Essa consiste nella ricerca delle condizioni che possono garantire la massimizzazione delle prestazioni. Il modello, stimolando i membri dell’organizzazione scolastica e formativa a ragionare per processi, li spinge a strutturarli per fasi operative e consente un funzionamento e una gestione più efficaci. Da ultimo viene sottolineata la rilevanza del rapporto cliente-fornitore nei processi. Nella logica di questa indicazione operativa ogni posizione è al tempo stesso fornitore per il processo a valle e cliente per quello a monte. Di conseguenza, le interrelazioni tra i membri di un’organizzazione scolastica o formativa non rappre36 sentano più occasione di contrapposizioni o di tensioni, ma diventano invece opportunità di comunicazione e di integrazione, in altre parole di sviluppo del gioco di squadra. Un altro principio strategico va identificato nella qualità del sistema di erogazione del servizio educativo. Un primo passo da compiere in questa direzione consiste nella ridefinizione continua dell’offerta di istruzione e di formazione. Specialmente nella società del cambio accelerato il pacchetto dei servizi, cioè il complesso dei vantaggi che permettono al cliente di percepire un valore maggiore nelle attività educative della scuola o del centro, deve essere costantemente aggiornato. In questa ridefinizione il primo momento consiste nella identificazione delle esigenze dei clienti; poi si passa alla loro classificazione in implicite, esplicite e latenti e si dovrà controllare la corrispondenza con i principi della pedagogia e della didattica; sulla base dei risultati ottenuti nelle precedenti fasi, vengono predisposti i servizi che dovrebbero venire incontro ai bisogni dei clienti. Sempre ai fini di assicurare la qualità dell’offerta un’altra strategia consiste nel coinvolgimento del cliente nelle relative operazioni. In proposito, il primo suggerimento alle scuole e ai centri è di assicurare che il cliente arrivi ben disposto a un rapporto positivo in modo che il personale docente e non docente reagisca favorevolmente e si instauri un circolo virtuoso: pertanto, bisognerà prevedere un’accessibilità adeguata, la conoscenza a priori della struttura, forme soddisfacenti di accoglienza, una comunicazione completa e trattamento eguale per tutti. In secondo luogo, l’interazione tra il personale da una parte e gli allievi e i genitori dall’altra deve essere continua attraverso l’adozione di diverse strategie come sollecitare la motivazione ad apprendere, la partecipazione e il coinvolgimento mediante la comunicazione costante, la liberazione da ogni tipo di paura, il riconoscimento dell’impegno, la riduzione della fatica a parità di esiti, il potenziamento degli aspetti relazionali. Un terzo gruppo di azioni si riferisce alla fase che segue l’interazione con il cliente e l’utilizzazione del servizio e in particolare si tratta: della gestione del disservizio che consiste negli interventi per ridurre le conseguenze negative del mancato rispetto degli standard promessi; della gestione dei reclami che permette l’ascolto dei clienti e diviene un’occasione propizia per identificare problemi e avviare le relative soluzioni, ma che va sollecitata perché i clienti difficilmente protestano e preferiscono lasciare la scuola o il centro piuttosto che reclamare; della comunicazione costante con i clienti; del monitoraggio della loro soddisfazione. Nello stesso ambito di azioni per garantire la qualità dell’offerta, il modello prevede un ribaltamento dell’approccio finora utilizzato. In particolare, si chiede di riprogettare tutti gli elementi del servizio: è la logica di base che va capovolta nel senso di non puntare più alla definizione dell’offerta, ma all’identificazione dei bisogni dei clienti per poi passare alla organizzazione del servizio. L’ultima strategia di base è costituita dal coinvolgimento del personale. Ciò presuppone a monte le seguenti convinzioni: nel lungo termine la riuscita dell’organiz37 zazione dipende in primo luogo dalle risorse umane; queste dispongono di potenzialità enormi; le persone possono realizzare grandi imprese se vengono trattate opportunamente ed è a loro permesso di coinvolgersi nel perseguimento delle finalità della scuola o del centro; i lavoratori non sono in generale pregiudizialmente contrari a partecipare. In proposito sono raccomandate attività promozionali come la condivisione del progetto educativo, le comunicazioni periodiche efficaci, le campagne per la qualità e la previsione di momenti di incontro, confronto e verifica. 7.2. Elementi validi e criticità A monte del modello della qualità totale vi è la riscoperta della finalizzazione dei processi produttivi, e in specie educativi, alla persona che viene ad occupare il centro della scena. Al tempo stesso va notato che lo sganciamento della definizione della qualità da parametri assoluti, in quanto viene rapportata a determinati bisogni in un certo momento, potrebbe implicare un relativismo pericoloso. Un altro aspetto positivo del modello va visto nella piena consonanza con due principi educativi, tipici della coscienza pedagogica contemporanea: che l’educando occupa il centro del sistema formativo; e che l’autoformazione è la strategia principe del suo apprendimento. Nelle parole del Rapporto Faure del 1972 tutto questo veniva espresso dicendo che «la scuola dell’avvenire deve fare dell’oggetto dell’educazione il soggetto della sua propria educazione» o che «l’etica nuova dell’educazione deve fare dell’individuo il padrone e l’autore del proprio progresso culturale» (Faure et alii, 1972, p. 161). Rimanendo nelle possibili incidenze positive del modello della qualità in educazione va affermato che la logica della relazione cliente-fornitore, specie in un orizzonte di globalizzazione, favorisce l’apertura ad un approccio educativo interculturale . La qualità totale significa, infatti, interscambio, interazione, rispetto per l’altro, per quanto cliente esso venga considerato e trattato. Vede in ogni persona un portatore di bisogni, attese e desideri che vanno soddisfatti. Apre a stili di vita che possono coniugare locale, nazionale, internazionale, mondiale, oltre le barriere etniche, culturali, religiose. E a suo modo tende a portare in equilibrio, sul piano della pari dignità, i rapporti tra le persone, che invece sono spesso caratterizzati dalla disuguaglianza, dall’intolleranza del diverso, dalla dominazione dell’uno sull’altro. Infatti, la relazione cliente-fornitore va pensata come una relazione in cui l’uno si fa interprete dei bisogni dell’altro per ottimizzare le prestazioni per l’altro. In terzo luogo, l’approccio della qualità totale fornisce pure una linea d’azione chiara per assicurare l’efficacia e l’efficienza del sistema educativo in genere e in particolare di quello di istruzione e di formazione. La ragione va ricercata nel fatto che la validità dell’offerta educativa e dei processi è ottenuta perseguendo la qualità. Inoltre, con la sua logica dei rapporti interni, consente anche di motivare i formatori e gli operatori più adeguatamente. Infatti, la strategia della qualità totale si pone l’obiettivo di soddisfare pienamente i bisogni del lavoratore ai diversi livelli oltre che quelli dei clienti. 38 Dal punto di vista procedurale, poi, con il principio secondo il quale si deve far bene le cose la prima volta, in quanto è molto più dispendioso dover intervenire in un secondo momento per correggere un’azione non riuscita, l’approccio della qualità totale mette in risalto il “costo della non qualità” inteso come spreco di risorse per riparare le carenze di ciò che è stato già realizzato male. Viene facile pensare ai tanti indicatori di inefficienza dei sistemi di istruzione e di formazione, quali gli abbandoni, le bocciature, le ripetizioni, il tasso di assenteismo del personale docente e non, gli esuberi. All’opposto di questa situazione, vi è l’altro principio del miglioramento continuo che significa una sollecitazione costante a non accontentarsi mai dei risultati raggiunti per cui il progresso è sempre dietro l’angolo. Ancora più radicalmente è avanzata l’idea della prevenzione che significa superare la logica di contare gli insuccessi alla fine dell’intervento educativo per sostituirla con quella di prevedere fin dall’inizio le condizioni che consentono di evitare gli insuccessi. E tutto ciò è possibile perché la creatività non è un dono naturale limitato a pochi ingegni eccezionali, ma è presente in tutti almeno come capacità di dare risposta a un’esigenza combinando in modo nuovo concetti e informazioni note. Al tempo stesso ai singoli è chiesto di sviluppare responsabilità e autocontrollo . Da questo punto di vista è decisivo il superamento della separazione tra chi decide, chi esegue e chi controlla a favore della logica che chi esegue deve controllare le proprie prestazione e deve contribuire con la propria esperienza al miglioramento continuo del funzionamento dell’organizzazione, operando “insieme”. Ma rimane che la trasposizione del modello della qualità totale in educazione non è senza problemi. Resta che la soddisfazione del cliente non può essere l’unico criterio di validità di un intervento educativo. I bisogni dell’educando da soddisfare non sono sempre e solo quelli che egli percepisce, ma è necessario spesso “educare” (cioè “esplicitare, far maturare, dilatare, riorientare ed integrare”) la sua domanda. In altre parole la qualità totale è esposta al pericolo di cadere nel clientelismo educativo e più largamente di dare ansa al soggettivismo e al relativismo (magari concorrendo a formare spostati o persone senza senso del limite ed incapaci di resistere al diverso, all’insuccesso, alla complessità della vita sociale adulta). Ma più radicalmente, è da precisare che l’educazione non si può ridurre al soddisfacimento dei bisogni dell’educando. È il limite dello stesso “puerocentrismo” del movimento delle scuole nuove. In educazione, le tendenze soggettive vanno combinate con le intenzionalità sociali, pur con tutto il senso di criticità e di distanza che ciò richiede nel processo di formazione. I progetti-uomo e i progetti-società delle famiglie e della vita civile e politica e le prospettive di sviluppo economico e sociale entrano in interazione, spesso dialettica ed antinomica, con la spontaneità e gli impulsi dei soggetti in formazione. Per dirla in termini freudiani, in educazione c’è spesso da muoversi tra principio del piacere e principio della realtà: certo in ordine allo sviluppo di quel principio di valore che è la qualificazione umanamente degna dell’io-persona (sia 39 esso individuo o gruppo o comunità o popolo). Ma resta pure assodato che trasmissione e ricerca creativa vanno di pari passo in quell’aiuto ai processi di personalizzazione che ultimamente è l’educazione. 8. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE La presentazione dei vari modelli appena conclusa ha mostrato con chiarezza che nessuno di loro è in grado di offrirci una teoria generale dell’organizzazione della scuola e del CFP: tutti evidenziano carenze più o meno rilevanti che impediscono loro di assurgere a una spiegazione globale dell’ambito della realtà educativa in esame. Al tempo stesso è emerso che ognuno degli approcci si caratterizza per importanti punti di forza i quali più che escludersi si possono integrare senza seri problemi. Inoltre, alcuni di loro dimostrano potenzialità migliori sul piano descrittivo- interpretativo - come i modelli soggettivi, politici e ambigui - mentre altri offrono indicazioni più significative sul piano propositivo - come i modelli formali, collegiali, culturali e della qualità totale. Nelle osservazioni conclusive che seguono si tenterà in forma sintetica un’integrazione sulla base dei punti di forza, distinti tra momento analitico e prospettico. A livello descrittivo il modello soggettivo sottolinea che al centro della teoria dell’organizzazione scolastica e formativa si colloca l’individuo - o meglio, secondo noi, la persona in particolare dell’allievo, ma anche dell’insegnante, dei genitori e di tutte le altre parti interessate - e non l’istituzione educativa, la società, lo Stato, il sistema economico o la stessa Chiesa. Inoltre, i docenti non vanno considerati come automi, ma come professionisti impegnati con le loro competenze a servizio degli allievi. In questo contesto, l’approccio soggettivo aiuta a interpretare il comportamento individuale e le relazioni tra le persone. A sua volta il modello politico mette in discussione una visione troppo idilliaca dell’organizzazione scolastica e formativa e ci ricorda che al suo interno sono presenti e operanti l’interesse e il potere. Del primo non bisogna dimenticare che può essere uno stimolo importante per l’azione: in ogni caso va tenuta in attenta considerazione la diversità di interessi in quanto può provocare tensioni e conflitti dentro le scuole e i centri. In aggiunta, il potere contribuisce a determinare i risultati in maniera significativa. Sulla stessa lunghezza d’onda, il modello ambiguo arricchisce la teoria dell’organizzazione scolastica e formativa con i concetti di: obiettivi ambigui, scelte operative poco chiare e partecipazione fluida. A livello propositivo, il modello formale richiama l’attenzione sull’importanza degli aspetti strutturali e istituzionali, del conseguimento degli obiettivi ufficiali e della razionalità dei processi. Ancora più rilevanti sono le sottolineature del modello collegiale. La prima riguarda la centralità della comunità educativa che con la centralità della persona co40 stituisce un binomio essenziale e fondante. L’approccio mira ad assicurare la maggiore partecipazione di tutte le componenti e la collegialità delle decisioni. L’autorità non si basa sulla posizione giuridica e/o gerarchica, ma sulla competenza e sull’esperienza personale. Ai docenti e ai dirigenti va riconosciuta una giusta autonomia che li situa all’intersezione tra centro e periferia del sistema. L’approccio inoltre richiama l’attenzione sul fatto che l’innovazione scolastica e formativa devono fondarsi sulla collaborazione di tutti. Il modello culturale insiste sul progetto educativo come motore dell’organizzazione scolastica e formativa e sull’ambito informale della cultura che è altrettanto rilevante come la struttura e i processi. Inoltre, l’interesse per i valori e i principi rivaluta l’aspetto umano del management e la considerazione riservata ai simboli apre una pista importante per l’educazione morale, spirituale e religiosa. Un’indicazione operativa rilevante evidenzia che il successo di un’innovazione dipende dalla creazione nella scuola o nel centro di una cultura recettiva del cambiamento. Da ultimo la qualità totale fornisce una linea d’azione chiara per garantire efficacia ed efficienza. Il suo principio fondamentale, la soddisfazione del cliente, rivaluta l’importanza della domanda formativa, rendendo determinante la risposta ai bisogni educativi degli allievi e delle loro famiglie, anche se non può essere assunta come unico criterio di validità perché va sempre inquadrata in un contesto valoriale più ampio. 41 Capitolo 2 Le dimensioni dell’organizzazione scolastica e formativa Nell’introduzione si è già accennato che, dopo aver delineato nella prima parte le teorie principali, nella seconda ci si occuperà delle dimensioni più significative dell’organizzazione delle scuole e dei centri (Bush, 1997, 2008, 2011). La prima riguarda gli obiettivi, la loro natura generale, di gruppo o individuale, la loro precisione e certezza o la loro genericità e ambiguità, i loro contenuti, le caratteristiche del processo decisionale che porta alla loro definizione, il consenso o le tensioni che li accompagnano. Una seconda dimensione è costituita dalla struttura che può essere concepita come un dato oggettivo, autonomo rispetto alle componenti dell’organizzazione o come una creazione di queste ultime, come un elemento sicuro dell’organizzazione o come un aspetto non privo di lati incerti ed oscuri. Un’altra tematica fondamentale consiste nei rapporti con l’ambiente esterno che possono essere visti come collaborativi, politici, conflittuali o ambigui e nell’influsso che essi esercitano sulla gestione della scuola o del CFP. Un’ultima dimensione è offerta dalla leadership del dirigente e anche qui si discute sulla consistenza monocratica o gruppale e sulla natura gerarchica, democratica, cooperativa, morale o politica. 1. GLI OBIETTIVI Il modello formale ci fornisce il punto di partenza, offrendoci una definizione corrente che a un primo esame appare senz’altro fondata. In sintesi, le scuole e i centri sono organizzazioni impegnate nel raggiungimento di obiettivi specifici e ufficiali, che sono indicati dalla legislazione e che ricevono una configurazione precisa e dettagliata in relazione ai singoli contesti ad opera dei dirigenti con l’apporto degli insegnanti (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Malizia, 2007). La loro funzione consiste nell’offrire un metro per decidere e valutare le attività delle istituzioni educative la cui legittimità e adeguatezza viene giudicata in base alla corrispondenza con essi. La teoria in questione, almeno tra gli autori più attenti, non nega che nelle organizzazioni scolastiche e formative esista una pluralità di obiettivi che si collocano a livelli diversi come quelli di singolo individuo, di com42 ponente, di organismo, di contesto esterno o di ambiente interno; in ultima istanza, tuttavia sono sempre gli obiettivi ufficiali a prevalere. Per il modello collegiale, gli obiettivi non sono decisi solo dal dirigente, anche se con il contributo dei docenti, ma sono il risultato del consenso di tutta la comunità educativa e formativa. Infatti, le probabilità di perseguire con successo le finalità che la scuola o il Centro si è proposto sono maggiori se i singoli membri ne sono partecipi, le sentono proprie e hanno contribuito personalmente a elaborarle. Al tempo stesso va sottolineato che il consenso è possibile solo a determinate condizioni: in primo luogo, è necessario che il dirigente sia messo in grado di scegliersi i propri docenti; inoltre, si richiede che vi sia una condivisione del medesimo progetto educativo da parte di tutte le componenti della comunità educativa e formativa. La teoria ha anche approfondito il tema del ruolo degli obiettivi: questo è triplice nel senso che essi costituiscono una guida per le iniziative della scuola e del centro, forniscono loro una legittimazione importante e offrono dei criteri per la valutazione del loro successo. Un ulteriore rilevante contributo sul piano positivo in vista di una migliore conoscenza e valorizzazione degli obiettivi viene dal modello culturale. Le teorie precedenti hanno messo in risalto che essi sono collegati con l’ufficialità dei testi di legge e che sono fondati sul consenso della comunità educativa e formativa. Tutto ciò rimane vero, ma il modello in questione sottolinea un altro aspetto importante degli obiettivi: attraverso di essi trova un’espressione precisa il progetto educativo e culturale di una scuola e di un centro; in aggiunta, la loro determinazione e la loro attuazione contribuisce in maniera rilevante a consolidare tale progetto. Un’altra loro funzione che la teoria in esame evidenzia è quella di garantire la coerenza dell’organizzazione attraverso la corrispondenza tra loro e il progetto. Se poi gli obiettivi ufficiali risultano generici e pertanto inadatti a fornire una guida sicura per decidere e realizzare le attività dell’organizzazione scolastica o formativa, allora la cultura educativa della scuola o del centro può offrire indicazioni valide per una loro interpretazione efficace. Il lato positivo degli obiettivi non deve farci dimenticare le criticità che li riguardano e su cui concentrano l’analisi le altre teorie organizzative. Come si è evidenziato sopra, il modello politico sposta l’attenzione dall’organizzazione nella sua totalità ai diversi gruppi che la compongono. Sono questi gli attori principali delle dinamiche in atto nelle scuole e nei centri e pertanto sono i loro obiettivi ad essere decisivi. A sua volta ogni gruppo persegue i propri interessi, cercando di farli passare come finalità generali. Le differenze tra gli obiettivi sono destinate necessariamente a provocare conflitti e tali contrasti tendono a rendere gli obiettivi instabili, ambigui e discordi. Per cercare di farli divenire maggioritari i gruppi avviano processi di negoziazione e di aggregazione che assumono un carattere continuo e che soprattutto comportano aggiustamenti e cambiamenti senza sosta negli obiettivi. Questi ultimi diventano generali se i gruppi che li sostengono danno vita a coalizioni capaci di farli prevalere all’interno della scuola o del centro. 43 Il carattere problematico degli obiettivi ritorna in maniera anche più esplicita nel modello ambiguo. Secondo questo approccio, questi risulterebbero vaghi e confusi e quindi inadatti ad essere assunti come punti di riferimento. Non sarebbe possibile immaginare un agire secondo intenzionalità precise, mirate a finalità definite a motivo del contesto proprio delle istituzioni formative che si caratterizza per un flusso continuo di attori, situazioni, difficoltà, soluzioni sempre nuove e diverse. Pertanto, il processo decisionale non servirebbe primariamente a rendere operative le finalità della scuola o del centro mediante la determinazione di strategie efficaci, ma a chiarire le posizioni in gioco. Per il modello soggettivo gli obiettivi che vengono perseguiti in una istituzione formativa non sono né quelli generali dell’organizzazione, né quelli dei diversi gruppi in cui si articola, ma sono gli obiettivi delle persone che operano al suo interno. I docenti e soprattutto i dirigenti perseguono nella loro azione finalità personali che spesso non riguarderebbero se non marginalmente il processo di insegnamento apprendimento. Quelle che apparentemente sembrano essere le finalità generali dell’organizzazione risultano concretamente proprie delle persone più influenti. Riguardo a questa ultima affermazione non manca chi fa osservare che solitamente i docenti conoscono gli obiettivi generali delle scuole e dei centri in cui operano e si identificano in vari di loro. Più generalmente gli ultimi tre approcci che sono stati richiamati, se riescono a evidenziare carenze e limiti circa le finalità degli istituti formativi, tuttavia non sono in grado di spiegare il loro funzionamento normale e soprattutto di offrire proposte di carattere positivo in materia. Se dalla prospettiva più procedurale-strategica si passa a quella contenutistica, possono essere di aiuto le indicazioni che vengono dalla qualità totale, anche se si rimane sempre nel quadro di un approccio organizzativo alle istituzioni educative (Malizia, 2007; Negro, 1995; Malizia e Nanni, 2001; Marcantoni e Torresani, 2000; Galgano, 1992 e 1994; Froman, 1996). Un primo obiettivo che deve diventare un atteggiamento permanente tra le componenti di una scuola o di un centro consiste nel far bene le cose la prima volta. Come si è osservato nella presentazione generale del modello, si tratta della modalità più intelligente di operare e implica l’uso di una quantità inferiore di energie. Infatti, risulta molto più costoso correggere successivamente una prestazione eseguita in modo sbagliato che farla bene subito. Perseguendo l’obiettivo appena enunciato, è possibile evitare il costo della non qualità, cioè lo spreco di risorse necessarie per correggere gli interventi non ben realizzati la prima volta. Un’altra finalità consiste nel rapportarsi agli altri nella logica cliente-fornitore perché, come si è osservato sopra, la qualità totale significa dialogo, interazione e rispetto per l’altro. Essa sollecita a considerare le persone come soggetti portatori di aspirazioni ed esigenze e a identificarsi con i loro bisogni e a comprendere la situazione degli altri e di metterli nella condizione di operare al meglio. La relazione cliente-fornitore non va pensata tanto come un rapporto nel quale il primo può esigere il massimo dal secondo perché paga una prestazione o un prodotto, 44 quanto come un’opportunità in cui una parte si fa interprete delle esigenze dell’altra per valorizzare le prestazioni reciproche. Spesso le relazioni tra le persone sono viziate da squilibri, distanze, barriere: la cultura della qualità mira al contrario a riportarle sul piano della pari dignità. Migliorare continuamente è un altro degli obiettivi di natura organizzativa della qualità totale, sebbene focalizzati più sui contenuti rispetto agli approcci richiamati sopra. Come si è evidenziato nella presentazione generale del modello, esso comprende sia il mantenimento sia il miglioramento in senso stretto: il primo consiste in quegli interventi mirati a garantire che il livello delle prestazioni non si abbassi; nel secondo caso la finalità è quella di elevare il grado della qualità che si è riusciti a ottenere. Alla base di questo obiettivo si collocano due convincimenti di base del modello della qualità totale: anzitutto si tratta della persuasione che non ci sia nulla che non possa essere in qualche maniera migliorato; l’altra idea che entra in gioco è che non ci si debba mai accontentare dei traguardi conseguiti. Al buon funzionamento dell’organizzazione scolastica e formativa può contribuire il voler ragionare per cause e non per colpe. Un primo vantaggio va ricercato nella possibilità che tale obiettivo offre di mettersi in discussione senza però incorrere nel pericolo di essere colpevolizzati. Un apporto importante consiste anche nel favorire la identificazione della relazione causa-effetti, facilitando la comprensione delle dinamiche operanti nelle scuole e nei centri e di conseguenza permettendo di intervenire sulle ragioni vere dei problemi anziché limitarsi ai sintomi. In questo quadro gli sbagli si trasformano in occasioni di miglioramento e soprattutto si riducono i motivi di conflitto tra le persone. Sviluppare la creatività è un altro obiettivo che la qualità totale propone alle scuole e ai centri. Come si è evidenziato nella presentazione generale del modello, la creatività non deve essere considerata come una dote riservata a poche persone eccezionali, ma va immaginata come una caratteristica presente in tutti; più in particolare, è un processo che consente di soddisfare una specifica esigenza, rapportando tra loro in modo originale concetti e informazioni già conosciute. La sua manifestazione può essere ostacolata da impedimenti di diversa natura: caratteriali, legati all’abitudine, emotivi e socio-culturali. Nonostante ciò, è possibile promuovere la creatività, sviluppando atteggiamenti di umiltà e riconoscimento dei propri limiti, capacità come intuizione, affettività. immaginazione, emotività e ricorrendo a metodi specifici come per esempio il brainstorming, il brainwriting, la concentrazione profonda. Sulla stessa linea si colloca l’obiettivo di sviluppare una grande fiducia nelle potenzialità della ragione. Infatti, si possono conseguire risultati molto importanti e talora anche impensabili, quando si assicura adeguato spazio alla riflessione e le si dà credito. Miglioramenti significativi e vere innovazioni sono senz’altro raggiungibili se si fa ricorso a metodi adeguati e alle risorse di uno spirito creativo. Un contributo nella medesima direzione viene dalla indicazione di affrontare i problemi con un approccio scientifico. Alla qualità totale si deve riconoscere il me45 rito di aver messo la statistica alla portata di tutti. Inoltre, va ricordato il metodo di investigazione specifico del modello, il cosiddetto PDCA dalle prime lettere delle parole inglesi che definiscono le sue fasi. Si tratta anzitutto di pianificare (“plan”) in profondità il corso dell’azione; successivamente si passa alla fase esecutiva (“do”), che va costantemente monitorata (“check”); infine, i risultati della verifica devono portare a correggere l’attività intrapresa se l’esito è stato negativo o a standardizzare il percorso se i risultati si sono rivelati positivi (“act”). Troppo spesso di fronte a un problema si è tentati di arrivare immediatamente alle soluzioni, evitando di realizzare in maniera soddisfacente la fase della pianificazione, o si tende a comportarsi in modo non molto rigoroso nel verificare i traguardi conseguiti e a non tenere adeguatamente sotto controllo gli obiettivi raggiunti in paragone a quelli progettati o si trascura il momento della standardizzazione delle innovazioni introdotte. Il PDCA aiuta a ridurre il rischio di compiere questi errori. Uno sviluppo interessante di queste idee è offerto dall’obiettivo che sottolinea l’esigenza di parlare con dati e fatti e saper far parlare dati e fatti. In un mndo in cui la scienza e la tecnologia occupano una collocazione centrale non è possibile affrontare i problemi sulla base di pure sensazioni e impressioni, ma bisogna ragionare con metodo a partire da situazioni reali debitamente accertate. Gli strumenti della qualità totale offrono indicazioni precise e semplici su come raccogliere i dati, trattarli, misurarli, rappresentarli e visualizzarli in modo da farli parlare e così consentire di trovare una soluzione adeguata al problema sotto esame. Un’altra raccomandazione del modello della qualità richiama l’esigenza di conoscere e realizzare sempre la logica delle priorità. La ragione di questo obiettivo va ricercata nella costatazione che ogni problema presenta molti aspetti, ma soltanto pochi risultano veramente significativi. Pertanto, le risorse disponibili, spesso limitate, non vanno disperse su una molteplicità di fronti, ma devono essere focalizzate su quelli decisivi. La qualità totale fa molto affidamento sul lavorare in gruppo, sulle sinergie, sulla concentrazione di forze, che permetterebbero il famoso «2 più 2 può fare 5». È la logica che sottostà ai circoli della qualità e ai gruppi di miglioramento, nella convinzione che un gruppo di persone che opera unito ottiene senz’altro esiti più soddisfacenti di un medesimo numero di soggetti che agiscono individualmente. Un ultimo obiettivo consiste nello sviluppare responsabilità e autocontrollo. Come si è messo in risalto sopra nella presentazione generale del modello, contribuiscono in questa direzione il far bene le cose la prima volta, l’attenzione ai dettagli, l’impegno per garantire la soddisfazione del cliente, l’idea del costo della non qualità e il superamento della separazione tra chi decide, chi esegue e chi controlla a favore della logica che chi esegue deve controllare le proprie prestazioni e deve contribuire con la propria esperienza al buon andamento dell’organizzazione insieme con gli altri attori In conclusione, si può dire che normalmente le scuole o i centri perseguono obiettivi specifici e ufficiali. Questi assolvono a molteplici funzioni: rappresentano 46 una fonte di legittimazione dell’operatività; esprimono in maniera precisa e chiara la cultura e il progetto educativo/formativo; forniscono linee guida per l’azione; offrono criteri istituzionali per la valutazione delle varie attività; sono una misura del successo della struttura scolastica/formativa. Sul piano problematico non va dimenticato che gli obiettivi possono rispecchiare gli interessi di singoli gruppi di potere o peggio di alcuni individui influenti, e non quelli generali di tutte le componenti e del sistema nazionale di istruzione e di formazione e che la loro formulazione può essere generica e vaga, se non confusa. Pertanto, risulta di grande aiuto la lista degli obiettivi di natura organizzativa offerti dal modello della qualità totale che però non vanno assunti pedissequamente, ma integrati in maniera armonica nel proprio progetto educativo/formativo. 2. LA STRUTTURA L’ordine con cui si alterneranno le proposte dei vari modelli è il medesimo della precedente sezione. D’altra parte, esso segue l’evoluzione dei vari approcci, la loro comparsa nel tempo che generalmente corrisponde ad un andamento dotato di una sua logica intrinseca. Il modello formale ci fa da apripista, fornendoci considerazioni del tutto giustificate, anche se un po’ scontate e soprattutto superficiali (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Malizia, 2007). La struttura delle organizzazioni scolastiche e formative costituisce una realtà oggettiva che al tempo stesso svolge sul piano soggettivo una funzione di primaria importanza quella di trasmettere ai membri un senso di appartenenza. Più specificamente, la posizione nell’organigramma determina il ruolo del singolo, il suo comportamento concreto. Pertanto, è la struttura a prevalere sulla persona e a condizionarne la vita professionale. L’approccio collegiale trova un punto di incontro con il precedente nella natura oggettiva della struttura che tutti possono facilmente e immediatamente riconoscere. Al tempo stesso tra i due esiste una differenza fondamentale: secondo il modello formale la configurazione della struttura si presenta verticale e gerarchica e le scelte sono adottate dal dirigente mentre ai singoli membri spetta la loro fedele esecuzione; al contrario, il modello collegiale segue un’impostazione di carattere orizzontale in cui tutti possono influire egualmente sulle decisioni. In questo approccio la struttura deve prevedere due tipi di articolazione: organismi collegiali di natura permanente e gruppi ad hoc che vengono creati in funzione di problemi specifici e che hanno una durata commisurata ai tempi necessari per la loro soluzione. Il processo decisionale nell’approccio in questione non solo è più democratico perché tende a coinvolgere tutte le persone interessate, ma è anche più efficace perché attribuisce un ruolo maggiore alle competenze dei singoli membri rispetto alla loro posizione nella gerarchia. 47 Completa questi primi tentativi di definire in positivo l’organigramma di una scuola o di un centro la concezione del modello culturale che vi vede la traduzione della cultura dell’organizzazione in ruoli e in rapporti tra ruoli. L’approccio in questione evidenzia anche come le riunioni degli organismi collegiali e dei gruppi ad hoc possono fornire un contributo importante per consolidare, approfondire e diffondere la cultura dell’organizzazione. Quest’ultima non va immaginata necessariamente come un tutto omogeneo ed unitario, ma più la struttura diviene complessa e più aumentano le probabilità che si sviluppino sottoculture diverse e pure opposte. Anche a proposito della struttura non mancano le criticità e tre dei modelli che sono stati precedentemente analizzati a livello generale hanno concentrato su di esse la loro attenzione. Così l’approccio politico mette in discussione il carattere oggettivo e stabile degli organigrammi perché essi non sono qualcosa di definito a priori dalla normativa o il risultato delle scelte di una comunità educativa o la operazionalizzazione di un progetto, ma provengono da un processo di negoziazione tra i gruppi e mutano secondo gli interessi che di volta in volta prevalgono nella lotta che si svolge tra loro per il potere. Pertanto, la struttura non costituisce una dimensione dell’organizzazione scolastica o formativa, funzionale al miglioramento della sua efficacia educativa, ma rappresenta uno strumento al servizio delle finalità che la coalizione maggioritaria intende perseguire. In questo quadro le scuole e i centri sono considerati luoghi privilegiati dei conflitti a livello micro-politico dato che si tratta di organizzazioni flessibili e aperte, prive di grandi rigidità a motivo dell’autonomia più o meno ampia di cui godono e della libertà di insegnamento di cui sono titolari docenti e formatori. E sono soprattutto le strutture che si prestano a divenire terreno di scontro tra i vari gruppi in lotta tra di loro. Il modello soggettivo coincide con quello politico nel concepire le strutture non come una realtà oggettiva e stabile, ma come un aspetto mutevole delle organizzazioni perché è il prodotto dell’interazione tra i loro membri. Si differenzia invece perché pone l’accento sui significati, sulle interpretazioni e sui valori dei singoli componenti: sono essi e non i gruppi o le coalizioni a determinare gli organigrammi. Secondo i teorici di questo approccio non tutti i membri hanno la stessa incidenza, ma alcuni possiedono una influenza superiore agli altri. Un’altra diversità rispetto al modello politico riguarda l’importanza delle strutture che secondo l’impostazione soggettiva non avrebbero grande rilevanza data la difficoltà di comprendere significati e interpretazioni individuali, mentre l’attenzione maggiore viene riservata ai processi. Ancora più negativo sugli organigrammi è l’approccio ambiguo. Le strutture vengono considerate una dimensione problematica delle scuole e dei centri perché questi si presentano come un insieme di articolazioni tra loro relativamente autonome e quindi poco connesse, slegate e instabili. Più in particolare, va tenuto presente che: le competenze decisionali delle varie unità operative non sempre sono 48 definite chiaramente; la classificazione delle deliberazioni da prendere circa la loro rilevanza, urgenza, contenuti, finalità e forme può essere effettuata secondo criteri diversi e quindi risulta potenzialmente arbitraria; e le regole che disciplinano i processi decisionali possono talora mancare della precisione necessaria. Inoltre, va ricordato che è sempre possibile aggirare o quanto meno abbreviare gli iter procedurali. Comunque, se le ragioni per sostenere la presenza di ambiguità delle strutture sono varie e rilevanti, tuttavia, come si è osservato nella parte generale, non vanno sopravvalutate perché riguardano aspetti e momenti della vita dell’organizzazione, ma certamente non la coinvolgono tutta. In questa sezione il modello della qualità totale ci permette di scendere maggiormente nei particolari che riguardano il tema della struttura (Malizia, 2007; Negro, 1995; Malizia e Nanni, 2001; Marcantoni e Torresani, 2000; Galgano, 1992 e 1994; Froman, 1996). Tale approfondimento non si limita alla considerazione degli organigrammi nella loro staticità ma si estende anche all’esame della loro dimensione dinamica. In proposito, il discorso si articola intorno a quattro grandi tematiche: il piano di miglioramento continuo; il controllo e la gestione dei processi; la pianificazione strategica globale; l’introduzione di un programma di qualità totale in una scuola o centro. Incominciamo con la prima. Il piano di miglioramento continuo risponde a tre interrogativi: come coinvolgere il personale nella sua globalità; come migliorare la scuola o il centro; come orientare il rinnovamento. Quali criteri guida per organizzarlo vengono suggeriti i seguenti: partecipazione di tutto il personale; animazione della leadership educativa; perseguimento dell’eccellenza nell’intera organizzazione; riconoscimento dell’impegno del personale; uso di strumenti semplici ed efficaci; adozione dei metodi della qualità totale. Anche le strategie per realizzare il piano di miglioramento continuo sono di vari tipi: lavoro per gruppi, diagramma causa-effetto; programma dei suggerimenti; incarichi individuali. Esse rispondono tutte alla medesima logica secondo la quale il personale impegnato nella routine difficilmente riesce a trovare il tempo per il miglioramento per cui è necessario offrire loro l’opportunità di diversificare i due momenti strutturandoli in attività differenti, entrambi obbligatorie per la stessa persona, evitando così di affidare la routine ad alcune e l’innovazione ad altre. La prima strategia prevede anzitutto i gruppi di miglioramento che si propongono un miglioramento rilevante, trasversale ai diversi campi di azione della scuola e del centro, quantificato in percentuali di crescita a due cifre; gli obiettivi sono fissati dall’alto e generalmente vengono specificati da linee guida. La loro composizione si fonda su un numero ristretto di membri, tra quattro e otto, i quali devono essere in possesso di professionalità diverse, ma anche i ruoli possono essere differenti. La partecipazione non è affidata alla libera scelta dei singoli, ma è orientata dall’alto perché la risoluzione dei problemi perseguita richiede l’apporto del personale più esperto nello specifico. Il gruppo dovrà provvedere alla nomina di un coordinatore e di un segretario. Quanto al funzionamento, l’iter prevede riunioni perio49 diche, in media una ogni dieci giorni, della durata all’incirca di due ore e mezza. L’articolazione del percorso in fasi è scandita dall’uso del metodo PDCA, di cui ci siamo occupati sopra, e il gruppo si scioglie al momento della messa a regime del miglioramento risultato valido alla verifica. I vantaggi della strategia possono essere identificati nella risoluzione dei problemi della scuola e del centro, nella formazione gratuita che viene offerta ai partecipanti dalla possibilità di lavorare con altri specialisti in un progetto di rinnovamento, al potenziamento della collaborazione all’interno e all’apprendimento di metodi operativi efficaci. I gruppi di progetto si distinguono da quelli di miglioramento in quanto non operano su processi già funzionanti, ma su quelli nuovi da avviare e si servono soprattutto di dati qualitativi. A loro volta, i circoli della qualità sono finalizzati al miglioramento del clima e al coinvolgimento del personale. Si contraddistinguono per: la volontarietà della partecipazione; l’autonomia della scelta; la continuità e la stabilità del gruppo nel tempo; la natura dei problemi limitata a un solo ufficio, ruolo o funzione; l’impegno inferiore. La strategia appena richiamata subordina la collaborazione del personale a precise condizioni, in particolare a quella di incontrarsi nello stesso luogo e tempo per cooperare alla predisposizione del miglioramento atteso, per cui viene escluso l’apporto di quanti non possono essere presenti nei gruppi. Il sistema cedac, cioè il diagramma causa-effetto con l’aggiunta di cartellini (“cause-effect diagram additional cards”), cerca di ovviare a questi limiti, offrendo una strategia per attuare la collaborazione più ampia in maniera originale ed efficace. Tra l’altro richiede l’istallazione di un cartellone in un luogo di passaggio che consenta di raccogliere in relazione a un determinato problema tutti i possibili suggerimenti sia sul piano delle cause sia su quello degli effetti. Il percorso che si serve di questo strumento è alquanto complesso e si articola in nove fasi: definizione del tema del miglioramento, dei criteri di misura dei risultati – significativi, di facile comprensione e raccolta, condivisi – da riportare sul lato degli effetti, dei tempi di raccolta degli indicatori di prestazione e degli obiettivi del miglioramento con conseguente esposizione del cartellone; raccolta dei cartellini di segnalazione delle cause e delle proposte di miglioramento; selezione e sperimentazione di queste ultime con l’obbligo di giustificare la scelta; verifica degli esiti conseguiti che vanno indicati sul lato degli effetti; messa a regime delle proposte che hanno ottenuto il conforto di risultati positivi nella verifica. La strategia presenta parecchi vantaggi: visualizzazione dei problemi e degli obiettivi; offerta di un supporto operativo alla formazione; promozione di una corretta competitività: partecipazione della più gran parte del personale; diffusione del metodo scientifico e della cultura del miglioramento. Il sistema dei suggerimenti individuali offre al personale l’opportunità di presentare ogni giorno alla leadership educativa le proprie proposte per migliorare il funzionamento della scuola e del centro attraverso cartellini messi a disposizione in luoghi strategici. In tempi brevi esse vanno esaminate e va anche data una risposte sul merito: le più valide possono anche essere premiate. Il sistema fa forza sulla inclinazione naturale delle persone a collaborare per rendere il lavoro proprio e degli 50 altri più efficace e sulla soddisfazione che possono sperimentare a vedere apprezzate le loro idee. Il sistema dei suggerimenti individuali richiede tempi lunghi per poter funzionare adeguatamente. In pratica si prevedono tre macrofasi: la prima della durata di 1-2 anni punta a creare la mentalità della partecipazione, animando il personale ad analizzare criticamente il proprio lavoro e a riflettere sulle strategie per migliorarlo; la seconda con tempi analoghi mira a promuovere le competenze di problem solving; la terza si concentra sull’affinamento dei risultati e si estende su un periodo doppio dei precedenti. All’interno delle macrofasi i vari passaggi sono un’applicazione più articolata del PDCA e cioè: definizione del problema; organizzazione dei luoghi di raccolta dei suggerimenti e preparazione dei supporti operativi; sviluppo delle proposte, loro formalizzazione e valutazione; sperimentazione dei suggerimenti scelti e valutazione degli esiti conseguiti; riconoscimento delle idee valide. I vantaggi del sistema sono di tre tipi: risoluzione dei problemi man mano che emergono e promozione della cultura della collaborazione e di quella del miglioramento. Come si è evidenziato nella presentazione generale del modello, la qualità totale tende a concentrare l’attenzione sui processi operanti nelle strutture prima che sui risultati, per cui ha elaborato varie strategie e supporti per il loro controllo e gestione efficace. Ricordiamo i principali: il “daily routine work” per i microprocessi, il “process management” per i macroprocessi e il controllo statistico di processo che può essere applicato a entrambi i livelli. Il “daily routine work” è un processo autonomo, giornaliero e permanente che viene realizzato in ogni ufficio, servizio o ruolo, in collaborazione con le altre componenti, come dimensione ordinaria dell’attività corrente. L’obiettivo ultimo è costituito dalla soddisfazione del cliente e nel processo tutte le posizioni si presentano di volta in volta come fornitori di quelle a valle e come clienti di quelle a monte. Esso si articola in quattro macrofasi: nella prima di orientamento al processo, l’impegno viene concentrato nella definizione dei processi prioritari dell’ufficio, servizio o ruolo in modo da consentire l’identificazione delle finalità e dei prodotti; la seconda di orientamento al cliente procede a individuare i clienti e le loro attese/ bisogni e ad elaborare i criteri di qualità; nella terza la preoccupazione fondamentale si focalizza sul controllo di processo e vengono fissati i relativi obiettivi e le soglie di accettabilità delle prestazioni; la quarta di orientamento al miglioramento continuo prevede che quando i prodotti e i servizi sono soddisfacenti, lo svolgimento del processo diventi prassi standard e che, nel caso contrario, si realizzino le contromisure di miglioramento. I vantaggi del “daily routine work” sono molteplici: la realizzazione della qualità diventa opportunità di integrazione e cessa di essere occasione di tensioni perché tutti gli uffici, servizi e ruoli operano in ambe - due le posizioni di fornitore e di cliente; la soddisfazione di quest’ultimo assume veramente una collocazione centrale nel funzionamento della scuola e del centro; attraverso il “daily routine work” viene fornito un apporto rilevante a creare una cultura della collaborazione. 51 Come si è precisato sopra, il “process management” o gestione per processi si distingue dalla precedente strategia perché si occupa di macroprocessi. Esso consiste nell’attuare nelle scuole e nei centri processi controllati, competitivi, autonomi e capaci di auto-miglioramento. Implica l’identificazione delle attività connesse con i fattori di riuscita e l’individuazione dei principali processi, la loro gestione e il loro miglioramento continuo nella logica fornitore/cliente. Il percorso si articola in otto fasi: identificazione di tutti i processi della scuola e del centro, di quelli basilari per la riuscita e di quelli prioritari; determinazione dei loro responsabili; definizione dei prodotti e dei servizi attesi; messa sotto controllo dei processi; loro revisione, se necessario; miglioramento continuo. L’esecuzione esatta di tale iter dovrebbe portare tutti i processi a livelli di eccellenza in pochi anni, ma ciò non rende inutile la sua applicazione perché i rapidi mutamenti del contesto implicano continuamente cambiamenti nei processi prioritari. L’ultima strategia di questo ambito è costituita dal controllo statistico di processo che si realizza attraverso la carta di controllo; come si è evidenziato sopra, esso si applica sia ai micro che ai macroprocessi. La carta indica i valori massimo e minimo entro i quali il processo è considerato sotto controllo e questo avviene se i valori si posizionano entro le soglie stabilite e non assumono andamenti particolari, mentre nel caso contrario si è fuori controllo. A questo punto va distinto tra i limiti di controllo e i parametri della qualità: i primi si definiscono sulla base della progettazione, strutturazione e gestione dei processi e i secondi in relazione alle attese del cliente. Il paragone tra la due serie di criteri può evidenziare quattro possibili situazioni differenti: quella ottimale quando il sistema è sotto controllo e si attiene ai parametri della qualità e quella del tutto negativa quando il sistema è fuori controllo e non osserva i parametri della qualità; le ipotesi intermedie vedono da una parte il sistema sotto controllo accompagnato dall’inosservanza dei parametri e dall’altra il sistema fuori controllo che, però, rispetta i parametri. Nelle scuole e nei centri può servire utilmente a controllare le prestazioni didattiche, i tempi, gli errori e le condizioni ambientali. La pianificazione strategica globale consiste nell’elaborare le linee strategiche delle attività della scuola o del centro e nel programmare lo sviluppo della propria organizzazione in modo da favorire il conseguimento degli obiettivi perseguiti. Con essa si mira ad assicurare la corrispondenza orizzontale tra i sottosistemi e quella verticale nella progressione delle attuazioni a breve, medio e lungo termine. Il metodo è costituito principalmente dall’elaborazione di linee guida per orientare la pianificazione. Il risultato finale è rappresentato dalla redazione del piano pluriennale e di quello annuale in base agli esiti delle analisi effettuate in tre ambiti: il modello di riferimento e la griglia di maturità; il piano strategico di scuola/centro; la diagnosi delle maggiori criticità. Con il modello di riferimento e la griglia di maturità si provvede a indicare come i sottosistemi organizzativi di una scuola o centro devono evolvere affinché si possa realizzare la qualità totale. Per redigerli, si definiscono generalmente 52 quattro fasi di sviluppo: il punto di partenza è la scuola tradizionale, il secondo momento nella evoluzione consiste nell’organizzazione del miglioramento, il terzo nella gestione dei processi, per arrivare nel quarto all’introduzione nella scuola della qualità totale. Nella matrice a doppia entrata che visualizza il modello di riferimento e la griglia di maturità, le righe esemplificano le fasi di sviluppo e le colonne i sottosistemi organizzativi. Questi ultimi sono di sette tipi: management o direzione, risorse umane, sistema organizzativo comprensivo di strutture, sistema premiante e meccanismi gestionali, sistema di progettazione, erogazione e controllo del servizio, meccanismi della qualità, rapporto con i clienti quali studenti, famiglie, mercato del lavoro, comunità civile, e processi fondamentali articolati in insegnamento/apprendimento e programmazione didattica. Nelle caselle della griglia vengono specificate le configurazioni operative e le azioni concrete da porre in essere per introdurre il modello della qualità totale. Il modello di riferimento e la griglia di maturità vengono elaborati da un gruppo di lavoro a cui partecipa il dirigente della scuola/centro e devono essere approvati dagli organismi collegiali; la valutazione è affidata alle stesse istanze. L’obiettivo è quello di identificare le criticità nel cammino verso la qualità totale e prendere di conseguenza i provvedimenti necessari per assicurare la coerenza generale del percorso ed eventualmente correggere la rotta. Il piano strategico precisa i livelli di prestazione, definendoli mediante indicatori quantitativi. Per arrivare a identificarli in maniera ottimale, il modello della qualità totale propone l’analisi approfondita di ambiti socio-economici, culturali e politici rilevanti. Anzitutto, andrebbero esaminati e interpretati tre scenari di lungo termine: si tratta di sviluppi e vincoli legislativi (che possono condizionare le scelte delle famiglie, l’offerta formativa e le relazione con il mercato del lavoro e con i fornitori), macroeconomici (che includono i livelli di sviluppo, le tendenze dell’inflazione, i tassi di occupazione e le dinamiche del mondo del lavoro) e competitivi (che riguardano le opportunità e le minacce sul piano concorrenziale, sia interne che esterne). Una particolare attenzione dovrebbe essere riservata agli scenari organizzativi di lungo termine che si riferiscono all’evoluzione sociale (le dinamiche in atto nei valori di riferimento, nella cultura e nelle relative competenze), organizzativa (i comportamenti, i meccanismi gestionali e i modelli) e professionale (che si verificherà negli anni successivi circa il personale della scuola e della IeFP in tema di ruolo, competenze, strumenti, supporti, attese e bisogni). Un altro ambito di approfondimento è costituito dall’analisi territoriale locale che dovrà prendere in esame: le risorse locali, inclusi la cultura, i valori e la vocazione propria del territorio; il mercato di lavoro e cioè il settore delle attività economiche, la tipologia, l’ampiezza, le dimensioni, la struttura, i processi produttivi e le posizioni di lavoro; le infrastrutture e i servizi come trasporti, vie di comunicazione e servizi di supporto; rapporti con la pubblica amministrazione locale della regione, del comune, delle Asl, degli uffici periferici del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e di quello del Lavoro e delle Politiche Sociali. A livello locale viene consigliato anche 53 uno studio socio-economico che si estenderà dagli aspetti demografici a quelli specificamente economici (bacini di influenza, tendenze, settori trainanti, vocazioni territoriali, relazioni commerciali), sociali (composizione del territorio, delle famiglie, flussi migratori, fenomeni di devianza). Molto importanti sono anche le analisi che si riferiscono ai clienti interni ed esterni circa: caratteristiche generali, motivazioni alla scelta, bisogni, attese e relativi livelli di soddisfazione. L’ultimo ambito dovrebbe coprire gli esiti della scuola e del centro relativi agli ultimi anni e si prenderanno in considerazione: i risultati conseguiti dagli allievi nei livelli superiori di istruzione e di formazione e nel mondo del lavoro, l’andamento delle iscrizioni, il tasso di abbandono, le percentuali di assenteismo del personale e degli allievi, il tasso di turn-over del personale, i livelli di soddisfazione dei clienti interni ed esterni in confronto con scuole e centri paragonabili, soprattutto quelli di eccellenza. L’ultimo degli ambiti di analisi che costituiscono i punti di riferimento del piano strategico globale consiste nell’autodiagnosi delle maggiori criticità. L’obiettivo è quello di identificare le problematiche più gravi che ostacolano il buon funzionamento di una scuola o centro a livello operativo. La prima diagnosi riguarda i processi e si tratta di valutare la qualità delle loro prestazioni e la loro incidenza sui fattori di successo dell’azione educativa. Una seconda analisi si concentra sulla soddisfazione dei clienti esterni e comprende le seguenti fasi: indagine qualitativa mediante focus group sul personale per raccogliere le loro opinioni, estesa successivamente anche ai clienti per evidenziare ulteriori aree di criticità; esame dei reclami ricevuti negli ultimi anni, con lo scopo di identificare i relativi fattori piuttosto che di scoprire eventuali colpevoli; redazione di questionari da somministrare a un campione di clienti e realizzazione della relativa indagine quantitativa su aspetti come le informazioni di base sui clienti, i loro comportamenti, l’immagine della scuola/centro, gli elementi distintivi della qualità dell’offerta formativa e precisazioni su alcune idee di base; elaborazione e visualizzazione dei risultati in modo da offrire una valutazione globale della scuola/centro, una indicazione dei punti deboli e di quelli forti tra le caratteristiche della qualità totale, cercando di specificare anche il loro peso relativo, il grado di soddisfazione espressa e il livello di consenso ai suggerimenti avanzati per il miglioramento. L’ultima diagnosi si concentra sulla soddisfazione del personale e si articola in un’indagine qualitativa, nella redazione dei questionari e nell’attuazione di una ricerca quantitativa; gli aspetti da approfondire potrebbero essere la situazione del luogo di lavoro, le attrezzature e i sussidi, l’immagine della scuola/centro, l’esistenza e le modalità degli incentivi, le forme e l’efficacia della comunicazione interna, gli sviluppi di carriera, l’interesse per il ruolo svolto, l’organizzazione del lavoro, le caratteristiche sociali e i sostegni per gestire le relazioni con il cliente. Il piano pluriennale traduce i risultati delle analisi effettuate sopra in obiettivi e azioni concrete, coerenti tra loro nel breve, medio e lungo periodo. Esso dovrà contenere la programmazione degli sviluppi in tema di sistema e di cultura organizzativa e delle capacità tecniche e metodologiche. Nel concreto si articola in due se54 zioni: una con gli obiettivi di natura quantitativa e l’altra con quelli organizzativi e tecnici richiesti per effettuare le prestazioni attese. Dal punto di vista temporale gli obiettivi organizzativi, tecnici e culturali vanno previsti per una durata di 5-10 anni e quelli quantitativi per i 3-5. In base al piano pluriennale si procede alla redazione di quello annuale che procederà alla definizione degli obiettivi prioritari per l’anno scolastico o formativo corrispondente. La logica del modello della qualità totale richiede che ci si concentri su pochi, altrimenti si corre il pericolo di disperdere le energie senza ottenere alcun risultato significativo; al tempo stesso, se ci si vuole garantire il successo, bisognerà programmarli in modo molto analitico, dando vita così a un piano concretamente operativo. In aggiunta si dovrà prevedere un programma delle iniziative concrete per realizzare gli obiettivi che comprenderà: azioni generali per attuare le indicazioni del modello di riferimento e della griglia di maturità; progetti pilota che permettono di sperimentare soluzioni nuove; progetti specifici della direzione della scuola o del centro mirati ad affrontare problemi organizzativi; azioni di sostegno per assicurare il successo del piano. L’ultima grande tematica è costituita dalla proposta di un percorso per l’introduzione di un programma di qualità totale in una scuola o centro. L’iter si articola in cinque fasi che presentiamo qui di seguito. La prima consiste in un’azione di approfondimento e di sensibilizzazione del progetto da parte della persona o istanza che lo propone. Si devono informare accuratamente tutti gli organismi decisionali sulle motivazioni, obiettivi, contenuti, implicazioni organizzative e condizioni per il successo dell’operazione in modo che siano messi a conoscenza in maniera adeguata della portata della proposta. Indubbiamente andranno coinvolti direttamente il dirigente, se non è lui l’iniziatore del progetto, e la leadership formale e informale dei vari organismi collegiali. La sensibilizzazione e l’approfondimento potrà avvenire in varie maniere tra le quali vengono consigliate modalità come: messa a disposizione di pubblicazioni valide, visite a scuole/centri e ad aziende che praticano con successo la qualità totale, consulenze di esperti del settore. Al termine di queste attività i decisori saranno chiamati pronunciarsi sulla realizzazione o meno del progetto. Segue la fase della preparazione che mira ad approntare le condizioni organizzative di base necessarie per garantire il buon esito dell’operazione. Anzitutto, si tratta di creare strutture flessibili ed agili, ricorrendo a personale impegnato nelle attività ordinarie. In particolare, si suggerisce di prevedere un comitato guida per la qualità, formato dai principali responsabili della scuola/centro e dai rappresentanti dei genitori e degli allievi, con il compito di offrire linee guida, di monitorare l’andamento del progetto, di supportarlo e di valutare eventuali proposte di miglioramento. Una figura fondamentale è costituita dal responsabile della qualità il cui compito consiste nel promuovere la cultura della qualità nella scuola/centro, nel seguire gli sviluppi metodologici in corso, nell’occuparsi delle relazioni con l’esterno, nel garantire al personale la presenza dei supporti di cui hanno bisogno, nel55 l’animare all’azione e nell’assicurare tutte le condizioni necessarie alla realizzazione del progetto. Nelle strutture più ampie si potranno prevedere anche diffusori o promotori della qualità che dovrebbero assistere gli operatori. Oltre a determinare i ruoli organizzativi, si procederà a delineare il piano di comunicazione interna, rivolto a tutte le persone coinvolte, allo scopo soprattutto di superare le resistenze legate alla non conoscenza del modello e di diffondere la relativa cultura; in proposito si suggerisce di utilizzare modalità dirette e personalizzate di comunicazione, capaci di sorprendere favorevolmente chi ne è raggiunto e farne una dimensione permanente di tutto il processo. Va anche definito il sistema di reporting e di ogni attività dovranno essere indicati i risultati, gli indicatori, i vincoli, le linee guida, le responsabilità, i tempi, le risorse, i costi e le verifiche che dovranno essere effettuate ogni 1-2 mesi. Sempre all’interno della fase di preparazione verrà realizzato uno studio di fattibilità per identificare le condizioni di successo, puntando soprattutto a individuare i problemi principali, le soluzioni possibili e le persone più competenti a realizzare il progetto. L’introduzione della qualità totale costituisce un processo di innovazione culturale per cui risulta necessaria una fase di formazione. In particolare dovranno essere previsti momenti di preparazione per tutto il personale mediante l’organizzazione di un seminario la cui durata si consiglia di fissare in due giornate. L’incontro dovrà essere accuratamente preparato nel programma, nei sussidi e nelle modalità relazionali; particolare attenzione sarà riservata alla scelta dei formatori a cui si richiederanno una competenza ed esperienza adeguate. Dopo aver posto in essere tutte le opportune condizioni preliminari, si può passare alla fase della sperimentazione. Si suggerisce di realizzarla con molto realismo e pragmatismo e in maniera graduale in modo da verificare i traguardi raggiunti, apportare eventuali correzioni al progetto perseguito, consentire la diffusione della cultura della qualità in tutta la scuola/centro e di formare il personale. Il punto di partenza dovrebbe essere la redazione del piano di miglioramento continuo e la strategia principale consisterà nell’avviare progetti pilota o cantieri che si serviranno di gruppi di miglioramento e di Cedac per sperimentare gli obiettivi indicati dal comitato guida; la durata va prevista in 6-8 mesi. Le persone coinvolte parteciperanno a un seminario base di tre giornata per prepararle al metodo del problem solving. Inoltre, dovrà essere garantito ai progetti pilota tutto il sostegno necessario sul piano teorico e pratico. L’ultima fase è quella della estensione o generalizzazione. Al termine della sperimentazione il comitato guida è chiamato a scegliere le modalità operative da adottare e potrà seguire una delle tre possibili alternative a disposizione: messa a regime della qualità totale nella scuola/centro in modo pianificato e sistematico attraverso la redazione del piano pluriennale, quando si riscontrano un ampio consenso, una notevole maturazione all’interno e la diffusione di una adeguata cultura organizzativa; ampliamento dei progetti pilota a nuovi obiettivi e sperimentazione di tecniche di gestione e di controllo dei processi, quando è necessaria una ulteriore 56 maturazione della cultura organizzativa per poter arrivare a una pianificazione globale; allargamento a livello orizzontale del piano di miglioramento continuo attraverso nuovi gruppi di miglioramento e il Cedac, quando il consenso è relativamente modesto come anche la diffusione della cultura organizzativa e il livello dei risultati raggiunti. In conclusione, proponiamo una breve sintesi secondo la linea adottata nei precedenti capitoli. Sul lato positivo la struttura ha una suo fondamento del tutto legittimo anzitutto nella legislazione che regola il sistema di istruzione e di formazione nei vari Paesi. La normativa lascia spazi più o meno grandi all’autonomia delle singole scuole e centri che la completano attraverso scelte democratiche operate da organismi che esercitano il potere secondo un sistema articolato principalmente in maniera orizzontale. Sempre in positivo, l’organigramma è anche la trasposizione in ruoli e funzioni del progetto educativo/formativo della scuola/centro. È pure vero che la struttura è un luogo di conflitto tra i gruppi, è funzionale a loro e, quindi, si può presentare anche instabile, almeno nella parti che non sono fissate dalla normativa. Né mancano ambiguità perché le regole che definiscono poteri e procedure possono non essere chiare. Anche i singoli membri dell’organizzazione scolastica e formativa incidono con le loro interazioni, contribuendo a delineare significati e interpretazioni. Il modello della qualità totale sposta l’attenzione sul funzionamento della struttura, offrendo una serie di suggerimenti pratici. Forse potranno sembrare eccessivi e complicati: spetterà alla singola scuola/centro identificare le strategie più adatte alle caratteristiche della propria comunità. 3. L’AMBIENTE ESTERNO Lo schema è quello seguito nelle due sezioni precedenti. Si comincerà con gli aspetti e le caratteristiche normali per passare alle criticità e da ultimo agli apporti più particolareggiati della qualità totale. Il modello formale ha abbandonato la visione originaria piuttosto chiusa dei rapporti con il contesto (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Malizia, 2007). Le relazioni erano limitate al minimo necessario e avvenivano tra il dirigente e gli uffici pubblici rilevanti come quelli del Ministero dell’istruzione. Il riconoscimento dell’autonomia alle scuole e ai centri li ha resi competitivi e questo li costringe a ricercare sul territorio il consenso e l’apprezzamento della comunità locale. Pertanto, si è fatto strada un approccio aperto che spinge a creare una rete ampia di rapporti nel contesto e a concepire le scuole e i centri come organizzazioni interattive che vedono nell’ambiente una fonte di risorse c che cercano di instaurare con esso una relazione di scambi, proficua per entrambi. 57 Il modello collegiale evidenzia la necessità che le scuole/centri specifichino con precisione i loro organigrammi. Infatti, la crescente complessità dei processi decisionali nelle istituzioni formative a motivo della loro natura sempre più democratica e orizzontale può rendere difficile identificare dall’esterno il responsabile dell’organizzazione, benché in linea di principio risulti chiaro che è il dirigente a rispondere dell’andamento nei confronti del contesto. Inoltre, la collegialità fa presumere che il dirigente sia sempre d’accordo con le decisioni prese dalla scuola/ centro, ma questo non è in ogni caso vero. Allora, il dirigente si può trovare stretto tra la collegialità e la propria personale responsabilità, ma la fedeltà al processo democratico lo obbligherà a essere portavoce delle decisioni prese con il consenso della maggioranza. Una visione molto positiva del contesto esterno è offerta dall’approccio culturale . Anzitutto, l’ambiente è fonte di principi e valori che si riscontrano nei progetti educativi/formativi. Ancora più importante, il successo di una scuola/centro dipende da un rapporto positivo con il contesto esterno, cioè dal consenso e dalla considerazione che gode nella comunità locale. Pertanto, la cultura di ogni istituzione formativa va fatta conoscere nell’ambiente per ottenere sostegno e finanziamenti. Altri modelli mettono in risalto le criticità riscontrabili nel contesto esterno che possono anche minacciare il buon funzionamento dei processi interni. Secondo il modello politico, al conflitto in atto nelle scuole/centri partecipano anche i gruppi di interessi esterni, rendendo la situazione ancora più complessa e tesa, anche se le loro istanze trovano frequentemente la mediazione di gruppi interni. Viene riconosciuta la natura aperta delle organizzazioni scolastiche e formative, ma diversamente dall’approccio formale le influenze esterne arrivano non solo tramite il dirigente, ma anche attraverso l’azione dei gruppi di interesse interni. La gestione del contesto è centrale per la conoscenza delle esigenze e delle domande della comunità locale la quale è decisiva non perché consente di organizzare risposte educative adeguate, ma perché tale conoscenza conferisce potere a chi la possiede. L’ambiente per il modello ambiguo tende ad accrescere l’incertezza, l’imprevedibilità e la complessità delle organizzazioni in quanto è difficilmente controllabile. Tuttavia, rimane essenziale perché le scuole e i centri dipendono dal contesto esterno per la loro sopravvivenza e pertanto devono cercare di soddisfarne le domande. Con l’introduzione dell’autonomia questo legame è divenuto ancora più stretto perché le istituzioni formative per svolgere bene il loro ruolo devono conquistare il sostegno dell’ambiente. Il modello soggettivo attribuisce una rilevanza modesta ai rapporti con il contesto esterno perché le organizzazioni scolastiche e formative non sono concepite come realtà a se stanti. Non che non si occupi delle relazione con l’ambiente, ma si limita a quelli tra individui all’interno e all’esterno, escludendo ovviamente le relazioni con la scuola o il centro in quanto tali. L’approccio ha cercato di approfondire 58 la natura dei rapporti di cui si può interessare. Così, gli insegnanti sono soggetti soprattutto all’influenza delle istituzioni della loro formazione iniziale e delle scuole/centri dove hanno svolto i loro primi incarichi di docenza. Incidenza possono avere anche la famiglia, gli amici, e i gruppi a cui si appartiene. Al contrario, il modello della qualità totale è tutto orientato verso l’esterno in vista della soddisfazione del cliente che costituisce la finalità prioritaria da raggiungere. Di questo principio e delle sue applicazioni si è parlato già ampiamente nella presentazione generale dell’approccio. Qui ci si occuperà del sistema qualità che vuole essere una garanzia a tutta prova della realizzazione dello scopo primario dell’approccio. Le strategie a cui far ricorso per organizzare tale sistema negli istituti scolastici e formativi sono varie e lo stesso si può ripetere per i parametri per classificarle (Castoldi, 2008. 2011 e 2012; Allulli, 2000; Vidoni e Notarbartolo, 2004; Bertagna, 2004; Mangiarotti Frugiuele, 2011; Malizia, 2014). Sulla base dei soggetti a cui è attribuito il ruolo di formulare il concetto di qualità della scuola/centro e di verificarne la reale presenza, si possono distinguere quattro approcci: l’autovalutazione di istituto/centro che si fonda su una definizione interna, da parte cioè degli operatori scolastici e formativi, della concezione di qualità; il monitoraggio che consiste in un confronto tra scuole/centri; le forme di accreditamento e le procedure di certificazione che si servono di modelli assoluti di riferimento. Ci soffermiamo brevemente sui primi tre approcci, mentre daremo maggiore attenzione al quarto in quanto rientra nel modello della qualità totale e può contare su una letteratura molto più abbondante. L’autovalutazione di istituto/centro mira a co-costruire un’idea condivisa di qualità (auto-rappresentazione dell’idea di qualità); la sua significatività consiste nel tenere conto delle caratteristiche della singola scuola/centro in rapporto alla finalità di diffondere la cultura della qualità e di sviluppare la capacità di progettarla e verificarla (Castoldi, 2008, 2011 e 2012). Si può definire come una possibilità di riflessione sistematica sulle prassi educative di un istituto/centro effettuata dalle componenti interne e si caratterizza come una prima fase di un processo di miglioramento. Sul piano metodologico si distingue per una serie di aspetti. Segue primariamente un approccio qualitativo perché intende valutare le attività educative in tutta la loro complessità senza limitarsi alle dimensioni quantitative e misurabili. Adotta un’ottica specifica dato che focalizza l’analisi su priorità indicate dalla scuola/centro stesso come nodi problematici da affrontare e da sciogliere. Sottolinea la dimensione comunitaria e sociale perché la riflessione sistematica che realizza vede coinvolte tutte le componenti. Adempie a una funzione interpretativa in quanto si propone di esaminare i fattori alla base delle attività osservate e i loro rapporti. Il monitoraggio fondato sul confronto tra scuole/centri intende paragonare la singola realtà formativa con altre realtà comparabili in rapporto a parametri definiti (Castoldi, 2008, 2011 e 2012). Più specificamente, consiste in una raccolta sistematica e periodica di dati quantitativi finalizzata a paragonare longitudinalmente e 59 trasversalmente le attività educative di più istituti/centri sia a livello sincronico (tra più scuole/CFP) sia sul piano diacronico (nel tempo). Dal punto di vista metodologico , assume un approccio quantitativo mirato a rilevare indici del funzionamento del servizio scolastico e formativo di carattere numerico. Inoltre, adotta una prospettiva globale di natura sistemica nel senso che il singolo dato o gruppo di dati acquisisce un valore soltanto in relazione al tutto. Sottolinea la dimensione tecnica perché attraverso il ricorso a procedure quantitative cerca di neutralizzare la componente soggettiva. Di conseguenza si tratta di un approccio prevalentemente descrittivo. Quanto all’accreditamento, è opportuno distinguere quello interno da quello esterno: • l’accreditamento interno mira a verificare la conformità delle modalità di funzionamento e degli esiti della singola scuola/centro rispetto ad un modello di riferimento autodefinito, dato ad esempio dall’associazione a cui si aderisce; • l’accreditamento esterno, a sua volta, intende valutare il rispetto di alcuni standard minimi normativamente definiti – sul piano delle strutture, del funzionamento e/o degli esiti – come condizione per l’accesso a finanziamenti e/o alla distribuzione di risorse; il modello di qualità assunto a riferimento, infatti, viene definito da una fonte normativa a livello locale o nazionale (ad esempio MIUR o Regioni) (Castoldi, 2008, 2011 e 2012). La certificazione di qualità mira a verificare la conformità delle modalità di funzionamento e degli esiti della singola scuola/centro rispetto ad un modello di riferimento definito da una fonte normativa esterna (vedi ad esempio le norme internazionali ISO) (Castoldi, 2008, 2011 e 2012). La certificazione della corrispondenza delle attività educative della singola realtà formativa al modello definito, per esempio dall’ISO, viene effettuata da un ente certificatore, membro degli organismi associativi affiliati all’ISO e operanti a livello nazionale e internazionale. Questo è un soggetto di parte terza che non è coinvolto nel processo educativo come erogatore di formazione o come committente o come destinatario. Come si è detto sopra, ci soffermeremo su quest’ultima modalità. Iniziamo con una definizione. «Un sistema qualità comprende la struttura organizzativa, le attività, i programmi e le azioni tendenti ad assicurare che un prodotto, un processo, o un servizio sia conforme agli obiettivi fissati e agli scopi per cui deve essere impiegato » (Galgano e Strada, 1998, p, 8; Del Signore e Canfora, 2010; Fazzari, 2012; Grisot, 2011; Jambart, 2007; Sallis, 2003; Sartor e Mazzaro, 2011). Ma perché utilizzare un sistema qualità nelle istituzioni formative dato che esso si è sviluppato nel mondo delle organizzazioni industriali e commerciali? Le ragioni sono molte: esso favorisce una considerazione più attenta delle domande dei clienti; assicura una particolare efficacia ai processi, specie quello di insegnamento/apprendimento; consente il ricorso alla prevenzione piuttosto che ai rimedi; riesce a valorizzare al massimo le potenzialità esistenti; fonda le sue analisi su dati e fatti. 60 Centrale per il funzionamento di un sistema qualità è la valutazione della qualità del servizio per la quale esso offre orientamenti validi per potersi attrezzare di strumenti efficaci. Anzitutto, le indicazioni riguardano gli obiettivi che vengono identificati nei seguenti: misurarsi in modo costante con i bisogni educativi del contesto; ottenere suggerimenti positivi sugli aspetti da migliorare; approfondire la conoscenza del proprio funzionamento. Anche i livelli di valutazione possono essere di tre tipi: anzitutto si tratta di prendere in considerazione la percezione dei clienti, in particolare degli allievi e delle loro famiglie, ma anche i giudizi di chi fornisce le prestazioni, come i docenti e i dirigenti, sono rilevanti, né si può trascurare il monitoraggio dei processi in atto sulla base di criteri oggettivi. Non mancano neppure indicazioni sugli strumenti per accertare la qualità e, in particolare, si consigliano: indagini sulla soddisfazione del cliente esterno di cui si cercherà di verificare le attese, le opinioni sulla qualità delle prestazioni ricevute e la gerarchia dei fattori considerati importanti; indagini sulla soddisfazione del cliente interno, cioè sulle percezione del personale circa l’efficacia dei servizi offerti e dell’organizzazione interna; valutazione dei docenti riguardo alla validità dei processi di insegnamento/ apprendimento; gestione del sistema delle non conformità circa le criticità riscontrate nel funzionamento della scuola/centro. Comunque, ulteriori particolari in proposito si possono trovare nella sezione precedente, là dove si tratta dell’autodiagnosi delle maggiori criticità. Uno strumento per realizzare il sistema qualità consiste nella certificazione. Questa rappresenta il riconoscimento formale che l’organizzazione ha attuato un insieme di processi adeguatamente documentati che garantiscono che le prestazioni corrispondono a criteri prestabiliti. La certificazione ha vantaggi indubbi. In primo luogo, la preparazione per il suo conseguimento tende a sviluppare una tensione positiva nella scuola/centro, capace di vincere resistenze e inerzie e di canalizzare l’impegno di tutti sul miglioramento delle attività. Un secondo beneficio si può identificare nella opportunità di un confronto con un ente esterno da cui possono venire nuove prospettive nel valutare il proprio funzionamento e nel progettare il proprio futuro. A questo punto è opportuno esaminare le modalità che vengono suggerite per certificarsi nella forma più comune che è quella delle norme ISO. Incominciamo con le fasi del processo. La prima consiste nella redazione del progetto sotto la guida della direzione della scuola/centro. L’obiettivo è quello di accertare il livello di impegno per la qualità, dato che il cammino per arrivare alla certificazione, se può suscitare entusiasmo, costituisce anche una sfida di non poco conto. Da questo punto di vista, bisognerà avviare le prime linee della progettazione circa i tempi, le persone e le attività. In aggiunta si suggerisce di iniziare il processo di formazione alla qualità totale riguardo ai principi base, alle dinamiche di sviluppo e alle regole di riferimento. La seconda fase prevede la traduzione delle norme ISO in ambito scolastico e formativo. Infatti, queste hanno un carattere universale, cioè valgono per tutti i tipi 61 di organizzazione; inoltre, nonostante tale destinazione generale, esse risentono della loro provenienza originaria che è il mondo delle imprese industriali e commerciali. Pertanto, il linguaggio va adattato alle istituzioni educative e, più in particolare, alla specifica scuola/centro che sta introducendo il proprio sistema qualità. Dopo aver identificato le esigenze delle norme ISO in relazione alla propria istituzione formativa, è necessario accertare se le condizioni di partenza siano ad esse conformi: è il momento dell’audit iniziale e della programmazione. Il primo prevede colloqui e interviste a campione con il personale, visite alle varie articolazioni della scuola/centro e verifiche delle procedure e della documentazione esistente. L’esito di questa attività costituisce la base per definire processi e procedure, tempi, persone e verifiche, cioè per procedere alla progettazione concreta degli interventi. La quarta fase mira alla sensibilizzazione e alla formazione del personale. Una delle attività suggerite in proposito consiste nella preparazione dei partecipanti ai gruppi di lavoro per lo sviluppo delle procedure del sistema qualità, con particolare riguardo per i docenti. La formazione avrà luogo in riferimento a diverse tematiche quali soprattutto: i concetti base del modello della qualità totale, i principi del sistema qualità, le relative regole, le indicazioni per lo svolgimento dei processi, le strategie del miglioramento continuo e in specie il PDCA e il problem solving, gli orientamenti per i lavori di gruppo e per la gestione delle riunioni. Un altro obiettivo di questa fase consiste nella sensibilizzazione del personale docente e non riguardo ai vantaggi del lavorare in qualità in modo che anche quanti non partecipano ai gruppi di lavoro capiscano il rinnovamento in atto e lo sostengano con la propria collaborazione. La durata di queste attività dipende dalla situazione di partenza del personale circa il sistema qualità: se questo manca di qualsiasi informazione in proposito, bisognerà prevedere tre o quattro giornate di sensibilizzazione, mentre se esiste una base sufficiente di conoscenze, ne saranno sufficienti una o due. La terza attività è rappresentata dalla preparazione del responsabile del sistema qualità che dovrà possedere una competenza completa e approfondita per accompagnare il funzionamento dei gruppi di lavoro ed effettuare azioni proprie del sistema qualità. Successivamente si procederà a sviluppare le procedure e a redigere il manuale della qualità. Anzitutto, sono i gruppi di lavoro che intervengono: ognuno, formato da 10-12 membri, esamina alcuni processi di base in modo che tutto il relativo ventaglio di procedure venga attentamente analizzato e ricostruito; ovviamente i componenti devono essere persone che possiedono un’esperienza adeguata del processo. Le attività da svolgere sono di vario tipo: definire la situazione di partenza, raccogliere ed esaminare le prassi esistenti, analizzare i problemi con metodo scientifico, raccogliere proposte di miglioramento e redigere le procedure. Le riunioni dovrebbero aver luogo in media due volte al mese. L’analisi, se svolta bene, può fornire un apporto significativo alla razionalizzazione dei processi della scuola/centro. Un’altra attività dovrebbe essere affidata al responsabile del sistema 62 qualità e consisterà nello sviluppo di procedure totalmente nuovo. Un compito di questa fase è anche costituito dalla redazione del manuale della qualità che dovrebbe offrire una sintesi delle spiegazioni più particolareggiate delle procedure. Lo sviluppo del progetto richiede una verifica periodica e un monitoraggio continuo. Questo dovrà avvenire anzitutto attraverso brevi riunioni tra il dirigente, il responsabile del sistema qualità e determinati collaboratori rilevanti. Man mano che si procede con il progetto, le procedure completate devono essere comunicate a tutto il personale interessato per una verifica. Comunque, il controllo decisivo dipenderà dai risultati delle indagini effettuate circa la soddisfazione dei clienti interni ed esterni. La penultima fase di preparazione della scuola/centro per la certificazione consiste nell’applicazione delle procedure. Man mano che queste sono messe a punto, è opportuno sperimentarle subito in modo da verificarne in pratica il funzionamento e formare nel personale l’abitudine a lavorare in qualità. In ogni caso, l’applicazione dovrebbe essere un’operazione abbastanza semplice dato che il personale ha partecipato alla elaborazione delle procedure, Da ultimo sono previsti audit interni sul sistema qualità con lo scopo di accertare in tutte le articolazioni dell’organizzazione scolastica e formativa il livello di applicazione delle procedure e la loro validità. Queste verifiche vanno effettuate da personale competente per cui si dovrà provvedere a identificare almeno una o due persone e a prepararle adeguatamente. Se gli esiti degli audit offrono prove convincenti che il sistema qualità opera concretamente in maniera soddisfacente e che le procedure sono fedelmente eseguite, allora la preparazione si potrà ritenere completata e la scuola/centro inizierà le pratiche della certificazione. In ogni caso, anche in futuro tutti i processi andranno verificati con audit interni almeno una volta all’anno. Accanto agli organismi gestionali ordinari di ogni scuola/centro, si dovranno prevedere ruoli e responsabilità ad hoc per assicurare un funzionamento efficace del sistema qualità. Già si è accennato sopra al responsabile del sistema qualità. Passando ai particolari, si tratta di un membro della direzione il cui ruolo consiste nel garantire l’introduzione e l’applicazione efficace del sistema qualità adottato. È auspicabile che svolga altri incarichi in modo che conosca per esperienza diretta il funzionamento della scuola/centro. Inoltre, deve essergli assicurata tutta l’autorità necessaria per poter esercitare in maniera efficace i compiti affidatigli. Le sue funzioni possono essere identificate più precisamente nelle seguenti: coordinare le attività dei gruppi di lavoro, controllare i documenti da loro redatti e fornire loro consulenza e assistenza; identificare i bisogni formativi del personale e formulare coerenti proposte di intervento; aggiornare continuamente il progetto di sviluppo del sistema qualità; tenere informata costantemente la direzione circa lo svolgimento del programma. Si consiglia, da ultimo, di affiancare tale figura con un piccolo staff di persone esperte che la coadiuvano. 63 In molti casi può risultare utile la creazione di un comitato della qualità, composto dal dirigente, dal responsabile della sistema qualità e dai collaboratori di quest’ultimo con il ruolo di accompagnare lo sviluppo del progetto, di identificare problemi e di avanzare proposte per il miglioramento delle attività previste. Più precisamente dovrà assicurare anzitutto una supervisione costante del programma per verificare lo stato di avanzamento riguardo al cammino percorso e agli esiti raggiunti. Un’altra funzione importante consiste nel fornire il necessario sostegno nei momenti problematici, garantendo soluzioni e risorse necessarie. A regime il comitato si riunirà uno o due volte all’anno, mentre durante la preparazione alla certificazione gli incontri saranno più frequenti. I gruppi di lavoro sono degli organismi temporanei costituiti per la fase di sviluppo del sistema qualità. Essi comprendono intorno a 10-12 membri che vengono scelti in modo da rappresentare il personale che prende parte ai processi di cui si dovranno stendere le procedure. La loro creazione corrisponde a diverse finalità: valorizzare le competenze del personale; garantire che le procedure siano concrete e realistiche; assicurare il consenso degli operatori che dovranno applicare le relative regole; acquisire tutte le proposte di miglioramento avanzate nel tempo dagli operatori. In questo caso le riunioni dovranno avere una cadenza settimanale o quindicinale, almeno all’inizio, e si dovrà prevedere una durata sulle due ore circa; inoltre, tra un incontro e l’altro si potranno assegnare ai membri degli incarichi da svolgere. Diversamente dai gruppi di lavoro, i diffusori della qualità costituiscono un’articolazione stabile del sistema. Il loro ruolo consiste nel fungere, in qualità di responsabili di gruppi di insegnanti, da canale di comunicazione dall’alto verso il basso e viceversa, cioè da una parte assicurano la diffusione e l’applicazione delle procedure e dall’altra costituiscono un tramite tra i docenti e il comitato della qualità. Compiti più specifici sono: garantire l’aggiornamento tempestivo, spiegare le procedure e accertarsi della loro esecuzione, assicurare la socializzazione del nuovo personale al sistema qualità e stimolare e ricevere proposte di rinnovamento. Un’ultima considerazione va riservata ai tempi per la realizzazione di un sistema qualità funzionante secondo le norme ISO. La previsione è di almeno due anni purché si ottemperi ad alcune condizioni quali: un’efficace progettazione delle diverse attività, un monitoraggio continuo dell’attuazione del programma e l’efficienza dei lavori di gruppo. Anche in questa sezione terminiamo con una breve conclusione. Sul piano positivo, alcuni approcci mettono in evidenza l’importanza dell’ambiente esterno come fattore determinante del buon esito di una scuola/centro e come fonte dei valori che sono alla base del suo progetto educativo. Il dirigente svolge in proposito un ruolo particolarmente significativo nello stabilire un rapporto corretto con il contesto esterno. L’ambiente può anche costituire una minaccia per le influenze negative di gruppi di interesse esterni e per le problematiche che può creare nella scuola/centro la crescente dipendenza da esso. Anche i singoli membri dell’organizzazione scola64 stica o formativa possono esserne portatori, soprattutto i docenti sui quali incide in modo particolare la socializzazione professionale. L’importanza dell’ambiente acquisisce un peso particolare, anche forse eccessivo, nel modello della qualità totale, tutto dominato dall’imperativo della soddisfazione del cliente. Esso comunque offre un sistema per assicurare questa rispondenza che, sebbene sia piuttosto macchinoso, tuttavia fornisce molte indicazioni utili per impostare in maniera efficace la questione della qualità 4. LA LEADERSHIP EDUCATIVA DI UNA SCUOLA/CENTRO L’impostazione della sezione seguirà la medesima logica delle precedenti. Segnaliamo, tuttavia, una differenza importante: questa volta l’approccio della qualità totale riceverà una trattazione molto più contenuta che negli altri paragrafi perché il tema si presenta da esso meno sviluppato; al contrario approfondimenti più consistenti saranno dedicati agli altri modelli che offrono una articolazione più ricca di considerazioni (Bush, 1997, 2008, 2011; Sergiovanni, 2000, 2002, 2009; Capaldo e Rondanini, 2011; D’Addazio, 2008; Scurati e Falanga, 2008; Malizia, 2007; Paletta, 2015). Nell’approccio formale, la dirigenza spetta a chi occupa il vertice della gerarchia interna della scuola/centro per cui a lui compete di definire l’impostazione generale e le mete principali e giocare un ruolo chiave nelle innovazioni. Si ritiene che le sue scelte vengano attuate senza opposizione, non però nel senso che i collaboratori non domandino chiarimenti e non sperimentano problemi, ma nel senso che le deliberazioni vengono prese al vertice e i livelli inferiori sono chiamati solo a dare esecuzione a provvedimenti che vengono dall’alto. La conseguente leadership viene qualificata come manageriale perché assume che il comportamento dei membri dell’organizzazione scolastica e formativa sia fondamentalmente razionale e perché si focalizza principalmente su compiti e funzioni quali: «determinazione delle finalità, identificazione dei bisogni, definizione delle priorità, progettazione, predisposizione del bilancio, esecuzione e valutazione» (Bush, 2008, p. 12). Questo tipo di leadership trova conferma in vari aspetti del funzionamento delle scuole/centri: i genitori, gli organismi pubblici e privati e le associazioni del territorio considerano il dirigente come il referente principale dell’autorità e il tramite normale per i contatti con il mondo dell’istruzione e della formazione. L’approccio trova pure un notevole consenso tra gli studiosi e gli attori sul terreno, anche se soprattutto i primi fanno notare che l’idea di un uomo solo al comando incontra nel concreto vari limiti perché i dirigenti, pur essendo formalmente titolari di tutta l’autorità necessaria, hanno bisogno dell’accordo del personale per realizzare le attività previste all’interno delle singole classi. Il modello è anche valido nei sistemi educativi centralizzati, benché in questo caso esso può correre il rischio di essere toccato dalle carenze proprie di queste formule organizzative come l’ecces65 siva burocratizzazione e l’alienazione dei docenti che si sentono espropriati della loro professionalità e autonomia. Un’altra critica evidenzia la mancanza di visione che caratterizza una dirigenza tutta focalizzata nel gestire l’esistente. Un’ultima osservazione riguarda l’accusa di “managerialismo”, cioè di un’enfatizzazione eccessiva dei processi gestionali rispetto alle finalità e ai valori educativi, che costituirebbe il pericolo maggiore dell’approccio in questione. In particolare, gli vengono rimproverate quattro criticità: l’attribuzione del primato ai valori del mercato rispetto a quelli pubblici; la riduzione degli obiettivi a risultati misurabili; la focalizzazione delle funzioni del dirigente sulla responsabilità individuale, su una programmazione rigida e sul controllo organizzativo dall’alto; il ribaltamento delle priorità a favore degli amministratori e a scapito dei professionisti dell’educazione. Sono comunque gli eccessi che vengono denunciati perché la managerialità è dimensione essenziale del ruolo del dirigente, anche se non per sostituire quella educativa, ma solo per integrarla. Il modello collegiale ci offre alcune considerazioni generali per poi delineare tre versioni differenti di leadership. Il ruolo del dirigente si può definire come quello di un primo tra pari e di un mediatore di attività partecipative. Inoltre si tratta di un leader che si contraddistingue per le seguenti caratteristiche: deve essere pronto ad ascoltare e a convincere più che a comandare e a gestire da solo; è anche necessario che si mostri attento alle esigenze dei docenti e disponibile a riconoscerne le competenze; la sua autorità si fonda più sulla competenza e meno sulla posizione nella gerarchia anche perché si diviene dirigente dopo una lunga esperienza di docenza con successo; preferisce influenzare le azioni e le decisioni del personale attraverso il confronto nelle riunioni collegiali piuttosto che esercitare la sua autorità nei loro confronti; lo si sente parte del personale, un superiore con cui si può discutere alla pari e di cui si condividono le scelte fondamentali; il suo impegno deve essere orientato principalmente al miglioramento e all’innovazione, cercando di creare le condizioni per la predisposizione a attuazione di nuove proposte sul piano educativo e didattico. A parere di alcuni studiosi tre approcci alla leadership rientrerebbero nell’ambito del modello collegiale (Bush, 2011). Anzitutto, si tratta della leadership trasformativa (“transformational”) secondo la quale una buona scuola/centro dipenderebbe dalla condivisione da parte del personale delle finalità del progetto educativo e dalle loro competenze nel realizzarle, per cui la dirigenza dovrebbe concentrare i suoi sforzi su questi due aspetti. C’è anche chi ha cercato di identificarne le dimensioni fondamentali: creare un progetto condiviso; definire le mete della scuola/centro; animare la riflessione comune; offrire un sostegno personalizzato; diffondere le migliori pratiche e formare il personale a condividere i valori organizzativi più significativi; coltivare attese elevate riguardo alle prestazioni e infonderle nei collaboratori; creare con il contributo della comunità educativa una cultura formativa efficace; promuovere un’organizzazione adeguata per assicurare un processo decisionale partecipativo (Leithwood, 1994; Bush, 2010). 66 Sul lato positivo è stato osservato che l’approccio in questione è decisivo per il successo dell’autonomia nelle scuole/centri perché pone l’accento sulla collaborazione attiva del personale e di tutta la comunità educativa. Inoltre, ci sono ricerche che evidenziano l’influsso favorevole del modello sui processi di insegnamento in classe; al tempo stesso, va però sottolineato che non ci sono prove circa una sua incidenza sul profitto degli allievi. Inoltre, non mancano neppure osservazioni critiche come quelle che evidenziano i rischi che la leadership trasformativa possa essere utilizzata come strumento di controllo sugli insegnanti o che il dirigente che la incarna diventi autoritario per effetto di un’enfasi eccessiva sulle caratteristiche carismatiche che la contraddistinguono. Anche i governi possono servirsene per realizzare politiche educative centralistiche o più in generale per tradurre in pratica le riforme da loro avviate. Certamente, la leadership trasformativa è in linea con una impostazione collegiale e democratica dell’organizzazione scolastica e formativa perché, mirando a realizzare un progetto fondato su valori e interessi comuni, presenta tutte le condizioni per coinvolgere le componenti di una scuola o di un centro nel perseguimento delle finalità educative di tutti; al tempo stesso, non ci si può nascondere il pericolo che essa possa essere usata come una strategia sofisticata per imporre le scelte del dirigente o gli orientamenti dei politici. Un secondo approccio è costituito dalla leadership partecipativa che si focalizza sui processi decisionali e sul grado di coinvolgimento del personale nel funzionamento della scuola/centro. La sua legittimità viene giustificata principalmente in base a tre motivazioni: la partecipazione è destinata ad aumentare l’efficienza dei processi formativi, è conforme ai principi di democrazia e rende il dirigente disponibile a recepire le esigenze di tutte le parti interessate. Risultati positivi vengono riferiti anche alle potenzialità insite di rafforzare la solidarietà tra le componenti e di ridurre il carico di lavoro del dirigente. Da ultimo, le probabilità di successo di un’innovazione sono maggiori quando gli insegnanti ne sono partecipi, la sentono propria e hanno contribuito personalmente ad elaborarla, approvarla e attuarla. La letteratura attuale sembra dare particolare rilievo alla leadership distribuita o condivisa che si caratterizza per valorizzare le competenze dei membri di una organizzazione scolastica o formativa dovunque siano presenti indipendentemente dalla posizione occupata nella gerarchia formale (Bush, 2011; Paletta, 2015). Essa intende coinvolgere una pluralità di persone che nella scuola/centro esercitano un influsso sia in considerazione della funzione ufficialmente attribuita sia in base all’autorevolezza di cui godono tra i colleghi. Tale tipo di leadership mira al rafforzamento della partecipazione delle varie componenti ai processi decisionali e all’interazione verticale e orizzontale. Non manca chi vorrebbe estenderla a una partnership tra le scuole. Si fa notare che essa non significa una diminuzione del campo di azione del dirigente, anche se viene segnalato che la sua popolarità sul piano pratico dipende dal contributo che offre alla riduzione del carico di lavoro del dirigente. 67 Il problema che insorge per primo al riguardo si riferisce alle modalità secondo le quali deve avvenire la riarticolazione della leadership nelle organizzazioni scolastiche o formative. L’orientamento è che non basteranno forme di delegazione, ma che bisognerà procedere a una ridistribuzione del potere. Questo sarà impossibile senza l’intervento degli stessi dirigenti che dovranno creare lo spazio necessario per la riarticolazione. Sembra pertanto inevitabile che questi ultimi conservino gran parte della loro autorità formale; più in generale, appare chiaro che il successo della ridistribuzione del potere nelle scuole/centri dipende in prima istanza dalla volontà dei dirigenti di consentirla concretamente. Non mancano ricerche che attestano come una leadership distribuita eserciti un influsso maggiore sugli studenti e sul personale che non una concentrata in un’unica persona. La sua presenza spiegherebbe il 30% quasi della varianza nel profitto degli allievi (Bush, 2011, p. 90). Inoltre, non tutte le forme di leadership distribuita possiedono la stessa incidenza, ma qualcuna si dimostra più efficace di altre. Nonostante questi risultati incoraggianti, gli studiosi ritengono necessarie ulteriori ricerche che attestino senza ombra di dubbio la ricaduta positiva di tale tipologia di dirigente. L’ostacolo principale all’introduzione di una leadership distribuita consiste nella struttura di autorità riscontrabile nelle scuole/centri e in particolare nei poteri che restano ancora nella mani della burocrazia. Indubbiamente, questa tipologia di leader tende a far scomparire le separazioni di natura gerarchica tra il dirigente e il personale. Pertanto, se la si vuole introdurre, bisognerà creare pre-condizioni opportune come la previsione di regole sulla collegialità, la definizione di tempi adeguati per le riunioni dei docenti, l’instaurazione di rapporti cordiali tra i dirigenti e il personale. Il modello culturale concepisce il dirigente anzitutto come colui che incarna l’identità specifica e il progetto della scuola/centro: da questo punto di vista, egli svolge la funzione simbolica di rappresentarne l’immagine. A un livello più dinamico il suo ruolo consiste nel fornire un apporto decisivo alla creazione, al sostegno e alla diffusione della cultura delle organizzazioni scolastiche e formative che costituisce un aspetto centrale di una leadership efficace perché consente di tenere unite tutte le componenti in vista del perseguimento delle finalità comuni. A questo scopo vengono suggerite le seguenti strategie: ricostruire la storia della scuola/centro, celebrarne le figure più significative, raccoglierne le tradizioni più rilevanti e strutturarne le cerimonie più efficaci. La forza e l’importanza della cultura educativa di una scuola/centro emergono nel momento in cui la si vuole cambiare a motivo delle difficoltà serie che si incontrano per realizzare questo cambiamento. Infatti, tale operazione può risultare relativamente facile solo in tre situazioni in cui però viene a mancare una cultura educativa forte e cioè quando: ci si confronta con una crisi grave che ne minaccia la sopravvivenza, o si incontra un dirigente carismatico che riesce a conquistare il consenso generale o si verifica la sostituzione di un dirigente poco efficace. Inoltre, si è cercato di precisare i compiti 68 della leadership nell’elaborazione e nella gestione della cultura di una scuola/ centro: definire un quadro di riferimento comune; tradurre valori e credenze in regole di comportamento relativamente semplici da comprendere e da eseguire; radicare la cultura in tutte le articolazioni dell’organizzazione; incoraggiare il monitoraggio e le verifiche individuali e di gruppo. In ogni caso si tratta di un impegno tutt’altro che facile. Al modello culturale corrispondono due tipologie di leadership, morale e istruttiva (“instructional”). Nella leadership morale l’attenzione si concentra sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Le terminologie utilizzate per nominare questa tipologia sono varie e oltre a quella appena menzionata si usano aggettivi come autentica, spirituale e poetica. Comunque, la prospettiva etica è un aspetto centrale dell’organizzazione scolastica e formativa e la formazione nelle scuole/centri migliori si caratterizza per la forza della sua componente valoriale. Più in particolare si distinguono due approcci: uno riceve la qualifica di spirituale e si riscontra soprattutto tra quei dirigenti che si riferiscono a una ispirazione religiosa; l’altro si può definire morale in senso stretto e il relativo leader si caratterizza come un dirigente che «è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario», nel senso quindi che per lui ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo» (Bush, 2010, pp. 184-185). Questo non significa abbandonare o sottovalutare l’approccio manageriale alla leadership, ma affermare che ambedue sono importanti, anche se quello morale deve fare da guida al primo. Da questo punto di vista non ci sono contrapposizioni tra i due perché la prospettiva etica si fonda sui valori, sugli ideali e sugli atteggiamenti iscritti nel progetto educativo della scuola/centro ed esprime la finalità morale della formazione che si vuole impartire. L’altro approccio che rientra nel modello culturale è costituito dalla leadership istruttiva (“instructional”) (Paletta, 2015; Bush, 2008, 2011 e 2015). Tale concezione si è diffusa negli ambienti educativi durante gli anni ‘80 in relazione allo sviluppo delle ricerche circa la efficacia delle scuole/centri sul piano degli apprendimenti e all’introduzione di istituti e di facoltà per la preparazione dei dirigenti. Diverse sono le tipologie che sono state elaborate: quella di maggiore successo è rappresentata dal cosiddetto leader didattico il cui ruolo si articola in tre macro-funzioni: determinazione degli obiettivi e loro attuazione; gestione dei programmi e dei processi di insegnamento-apprendimento; predisposizione di un clima educativo capace di influire in maniera efficace sul profitto degli allievi. L’evoluzione dell’approccio “instructional” è stata considerevole per cui vale la pena richiamare le caratteristiche che lo contraddistinguono complessivamente. Anzitutto, esso si presenta come un modello direttivo che sottolinea la sorveglianza, il controllo e il coordinamento gerarchico; per quanto poi riguarda gli ap69 prendimenti degli allievi, l’approccio “instructional” mira ad interferire direttamente con i processi di insegnamento-apprendimento, intervenendo sui programmi e sulla docenza; da ultimo, tale modalità di leadership si definisce in termini di un ruolo unico e preciso, quello cioè del dirigente. Sul piano della ricerca empirica, i risultati sembrano attribuire alla leadership istruttiva una maggiore incidenza sugli apprendimenti degli allievi rispetto a quella trasformativa di cui si è parlato sopra: ciò che pare fare la differenza è l’impegno da parte del dirigente diretto a influenzare le condizioni che incidono direttamente sulla qualità dei programmi e sull’insegnamento in classe. Al tempo stesso, vanno ricordati i suoi limiti che hanno sollecitato gli studiosi a concentrare l’attenzione su altri modelli come quello trasformativo e distribuito o condiviso: esso fornisce scarse indicazioni circa i processi attraverso cui si realizza; soprattutto al livello secondario dei sistemi di istruzione e di formazione, i dirigenti difficilmente possiedono le competenze richieste per il miglioramento degli apprendimenti degli allievi; di conseguenza, ci si è resi conto che la leadership istruttiva per funzionare in modo efficace non può essere esercitata da una sola persona, ma richiede il contributo di diversi membri del personale a più livelli; è stata criticata anche l’attenzione eccessiva sull’insegnamento rispetto all’apprendimento. Da ultimo, concordiamo con quegli autori che ritengono che i modelli istruttivo, trasformativo e distribuito siano integrabili in un approccio di leadership per l’apprendimento perché le loro caratteristiche costituiscono un continuum in cui coesistono elementi dei tre e anzi ciascun approccio ha bisogno dell’apporto dell’altro per garantire la compresenza di qualità tra loro contrapposte, ma egualmente necessarie, come continuità e rinnovamento, efficienza ed efficacia, riproduzione e creatività, esecuzione e ricerca, responsabilità personale e collaborazione comunitaria (Paletta, 2015). In aggiunta, essi si rivelano egualmente validi se applicati in contesti diversi e in momenti differenti della vita di una scuola/centro. Dopo aver evidenziato le posizioni di quanti sottolineano il dover essere e le funzioni positive della dirigenza, è opportuno esaminare approcci che focalizzano l’attenzione sulla realtà concreta del suo esercizio e sugli aspetti problematici, incominciando dal modello politico. Anche in questo caso si riconosce che il leader è una figura chiave, ma il suo ruolo non consiste principalmente nel guidare la scuola/centro al conseguimento degli obiettivi delineati nel progetto educativo, ma piuttosto si svolge a livello dei processi di negoziazione e di contrattazione che egli cerca di portare avanti in conformità ai propri valori e interessi. Più in particolare egli possiede un potere notevole sull’organizzazione, svolge un ruolo fondamentale nelle decisioni ed esercita una forte influenza sugli insegnanti. Da questo punto di vista, può capitare che i dirigenti finiscano per creare divisioni nel corpo docente piuttosto che promuovere l’unità della comunità educativa: pertanto, dovrebbero evitare di mettere i gruppi l’uno contro l’altro, di promuovere forme di competizione da cui soltanto una parte può uscire vincitrice o di isolare gruppi dal resto della scuola/centro. 70 Il leader educativo è anche responsabile di far funzionare l’organizzazione scolastica o formativa che dirige e di conseguenza deve cercare di conquistarsi il consenso dei vari gruppi di potere. In altre parole dovrà divenire un mediatore tra i vari interessi, anche attraverso compromessi soprattutto con i gruppi più potenti, in modo da creare delle coalizioni a supporto della propria linea politica. Da questo punto di vista è decisivo anche il possesso di adeguate competenze comunicative da utilizzare in particolare per tenere informate tutte le parti interessate circa l’andamento della scuola/centro e le ragioni soggiacenti alle decisioni più importanti. Il dirigente dovrà distinguersi pure per la sua “intelligenza politica” che lo aiuterà a comprendere i risvolti politici del funzionamento della sua organizzazione. Non sono neppure mancati autori che a questo proposito hanno elaborato regole per l’azione dei leader educativi per cui essi dovrebbero: comportarsi sempre in modo realistico, cercando di stare ai fatti; identificare con precisione gli interessi e le forze presenti sul campo; preoccuparsi di allacciare relazioni positive con le parti interessate; puntare anzitutto a convincere e, solo se non si riesce a persuadere, provare a negoziare, mentre il ricorso alla costrizione dovrebbe costituire unicamente una specie di ultima spiaggia (Bush, 2011, pp. 118-119). Il modello politico ha cercato di precisare i significati dei vari termini che lo riguardano in relazione al mondo della scuola e della formazione (Bush, 2011, pp. 108-113). Iniziamo con alcune distinzioni che si riferiscono a parole chiavi proprie della tematica in questione. Il potere può essere considerato come l’abilità di condizionare sia le azioni degli altri sia gli esiti di un conflitto. Le fonti del potere sono numerose, ma tutte si possono far rientrare entro due grandi categorie: l’autorità che consiste nell’esercizio di un potere legittimo all’interno di una organizzazione; l’influenza che corrisponde alla capacità di incidere sui comportamenti altrui in forza delle doti e delle competenze possedute dal leader. Le due fonti si contraddistinguono per caratteristiche tra loro opposte: la prima è una dimensione statica e formale del potere, si presenta come un diritto ufficialmente legittimato di prendere le decisioni finali, comporta per i membri subordinati di un’organizzazione l’obbligo di ubbidire, si muove dall’alto verso il basso, dipende dalla posizione occupata nella gerarchia e il suo ambito di applicazione è limitato dalle norme dell’organizzazione; la seconda presenta un carattere dinamico e informale, non gode di alcun riconoscimento ufficiale, l’adesione alle sue indicazioni è volontaria, si qualifica per la sua multi-direzionalità, si fonda sulle doti personali e sulle competenze e il suo campo di applicazione non è di per sé delimitato. L’autorità viene spesso accostata alla managerialità, mentre l’influenza è identificata con la leadership. Nelle organizzazioni scolastiche e formative, si possono distinguere sei principali forme di potere. La prima consiste nel potere gerarchico che si fonda sulla collocazione ufficiale nell’organizzazione e che fa del dirigente un leader legittimo in forza dell’autorità legale che egli possiede. Un’altra tipologia si basa sulle competenze e caratterizza soprattutto le organizzazioni di professionisti. Il potere perso71 nale può anche dipendere dalle doti dei singoli e riesce a incidere sui comportamenti altrui in forza delle proprie abilità e qualità. Anche il controllo degli incentivi permette di influenzare le attività degli insegnanti che li considerano importanti, mentre rimane privo di efficacia riguardo a quei docenti che non sono interessati alle promozioni o alle referenze positive o all’assegnazioni di buone classi. La coercizione è la tipologia opposta alla precedente e consiste nella possibilità di pretendere un determinato comportamento dai docenti sotto la minaccia di una sanzione. L’ultima categoria è costituita dal controllo dell’assegnazione delle risorse e non si tratta soltanto di quelle finanziarie o delle attrezzature, ma anche di quelle umane come insegnanti, figure intermedie o personale non docente. I dirigenti nell’esercizio del loro ruolo possono servirsi di più forme di potere che, però, non diventa mai assoluto perché deve confrontarsi con altre figure che possiedono un’autorità che viene loro dalle qualità e dalle competenze che possiedono. Il modello in questione ha cercato di identificare le strategie politiche che possono consentire ai dirigenti di conservare e allargare il controllo o di garantirsi il raggiungimento di un determinato risultato nel processo decisionale. Anche se ci sembrano inficiate da un certo machiavellismo, le ricordiamo lo stesso per ragioni di completezza e per rendere avvertiti quanti vi si trovassero coinvolti in qualche forma. Il motto latino “divide et impera” si traduce nelle organizzazioni scolastiche e formative nella ricerca di accordi separati con persone o unità organizzative. La cooptazione implica il coinvolgimento nei processi decisionali di chi sostiene il dirigente, come compenso del supporto offerto, o di chi lo contrasta e allora serve per annullare la sua opposizione. Lo spostamento prevede il ricorso a una questione apparente di poco conto per coprire il vero nodo problematico. Il controllo delle informazioni permette di usarle o tacerle a secondo dell’obiettivo che si intende perseguire. Da ultimo i dirigenti possiedono diverse tecniche per orientare le riunioni a loro favore come la manipolazione dell’ordine del giorno, la volontaria dimenticanza di determinate problematiche, le pressioni indebite sui componenti di un organismo collegiale, il ricorso ad autorità esterne e l’aggiustamento dei verbali. Venendo più sullo specifico, l’approccio che si collega più strettamente con il modello politico è quello della leadership transattiva. Questa che viene definita sinteticamente come un processo di scambio, si colloca all’interno della teoria dello scambio sociale che fa riferimento alle persone che motivano gli altri con delle ricompense o sono motivate da esse. Tra dirigenti e insegnanti lo scambio può riguardare beni come risorse materiali, stima, promozioni, autonomia, applicazione flessibile delle norme. È chiaro che in questo rapporto si riscontra una evidente sproporzione tra le due parti a svantaggio dei docenti che possono offrire solo beni simbolici come l’apprezzamento, il supporto alle proposte del leader educativo, l’impegno a convincere i colleghi della validità della sua linea di azione, l’accettazione delle regole e il contributo alla promozione della qualità della scuola/centro. Entro tale quadro la leadership transattiva si definisce per una concezione tradizionale di gestione: le sue funzioni principali consistono nel precisare le responsabilità 72 dei collaboratori, nel ricompensarli con premi per le prestazioni valide fornite e nel verificare i loro errori e insuccessi per poi poterli aiutare a correggersi. Il modello ambiguo incomincia con il delineare le principali situazioni di incertezza, di imprevedibilità e di complessità che il dirigente può dover affrontare nelle organizzazioni scolastiche o formative. Una prima fonte consiste nelle finalità generali che possono mancare di chiarezza nel senso che non si riesce a identificare un complesso di obiettivi precisi e condivisi senza i quali il dirigente avrà serie difficoltà a progettare le attività e a valutarle. Un secondo aspetto tutt’altro che facile da delimitare è costituito dal potere del leader perché: l’autorità formale, proveniente dalla posizione nella gerarchia, non aiuta molto in un contesto imprevedibile; le deliberazioni sono il risultato di processi decisionali complessi: e le proposte del dirigente non sempre trovano il consenso del personale. Una terza ambiguità tocca l’esperienza del leader che in un ambiente instabile e incerto serve a ben poco per affrontare le problematiche che si presentano. Da ultimo, va considerato il risultato da raggiungere perché è alquanto problematico valutare gli esiti delle scelte del dirigente. Gli studiosi che sostengono questo modello non si limitano a definire le difficoltà che il leader può incontrare nell’esercizio del suo ruolo, ma avanzano due proposte di strategie da utilizzare per affrontare le criticità elencate sopra. Una consiste nel coinvolgersi totalmente nella gestione della scuola/centro. Ciò richiede in primo luogo di dedicare tutto il tempo necessario ai processi decisionali in modo da poter influire sulle scelte dell’organizzazione. Inoltre, il dirigente non si deve scoraggiare di fronte a un rifiuto iniziale di una sua proposta, ma deve insistere per ottenere il consenso delle parti interessate, riproponendola anche più volte. Bisogna poi che si impegni per assicurare la partecipazione dei suoi avversari perché il confronto può servire per cambiare le loro opinioni negative. Sarà anche necessario che egli sovraccarichi gli organismi collegiali di idee per riuscire ad ottenere il consenso almeno su alcune. L’altra strategia consiste nel focalizzare l’impegno solo sulla struttura e il personale, rinunciando a un coinvolgimento diretto nel processo decisionale. Quest’ultimo non viene dimenticato, ma il dirigente lo controlla attraverso la struttura e limitandosi a intervenire nelle sedi più appropriate. L’altra area di intervento si concentra sulla selezione e l’utilizzo del personale e in questa maniera la leadership riesce a vigilare sugli orientamenti della scuola/centro. In ambedue i casi, data la condizione di imprevedibilità, l’azione del dirigente deve essere discreta e assumere un profilo basso per cui non egli non guida, ma controlla indirettamente, non comanda, ma negozia, non progetta a livello generale, ma si adatta ai problemi. Al modello ambiguo corrisponde un tipo di leadership cosiddetta “situazionale” (“contingent”), legata cioè alle diverse caratteristiche del campo di intervento. Non è possibile immaginare risposte prefabbricate a contesti che si contraddistinguono per l’incertezza e l’instabilità, ma la dirigenza deve cercare di interpretare al meglio le circostanze tipiche di ogni ambiente ed elaborare di volta in volta 73 strategie adeguate. In altre parole, è la leadership che deve adattarsi alle condizioni specifiche del contesto e non viceversa. La concezione di un dirigente che guida le attività dei membri dell’organizzazione scolastica o formativa al perseguimento di obiettivi comuni rientra con difficoltà nel quadro teorico del modello soggettivo. Come si è detto nella sezione n. 4 del primo capitolo, ciò che conta per questo approccio sono i significati che i membri dell’organizzazione della scuola o del centro assegnano agli avvenimenti, e non gli eventi in sé o analizzati dall’esterno: in altre parole, l’interpretazione prevale sulla realtà dei fatti e ognuno ha la propria. Pertanto, è impossibile arrivare a un consenso accettato da tutti e fondato su basi oggettivamente valide, ma il dirigente dovrà ricorrere all’autorità che gli compete per imporre la propria interpretazione. Pure per il modello soggettivo le qualità personali sono più importanti della posizione ufficiale che si occupa nell’organizzazione, anche se il potere gerarchico mantiene una rilevanza niente affatto trascurabile. Pertanto, i dirigenti più apprezzati saranno quelli che uniscono al ruolo formale e ufficiale doti tali da conquistare il consenso dei colleghi. Scendendo più nel particolare, al modello soggettivo si collegherebbero due approcci. Anzitutto va citato quello della leadership postmoderna. Si tratta di posizioni piuttosto recenti per cui manca una definizione che riscuota un consenso generale tra gli studiosi i quali, però, forniscono indicazioni sulle funzioni che la caratterizzano. I dirigenti dovrebbero tenere in debito conto le diverse opinioni dei singoli membri dell’organizzazione scolastica o formativa ed evitare di porre la loro fiducia nelle gerarchie ufficiali che in una società liquida come l’attuale hanno perso di importanza. C’è anche chi collega la leadership postmoderna con una concezione democratica del sistema educativo e sostiene la necessità di una struttura più partecipativa e inclusiva. Invece di immaginare un progetto educativo unitario da realizzare sotto la guida del dirigente, si deve pensare a molteplici visioni e costrutti culturali. Altri autori parlano di una leadership emozionale che dovrebbe colmare una lacuna degli studi in questo campo che guardano con sospetto alla dimensione dei sentimenti. Ad essa bisognerebbe invece dare uno spazio adeguato anche per contrastare il predominio di concezioni burocratiche e gerarchiche dell’organizzazione scolastica e formativa. Pertanto, bisognerebbe sviluppare l’idea che la leadership non può funzionare senza un coinvolgimento emotivo importante. Come nelle altre sezioni, da ultimo viene esaminato il modello della qualità totale che si propone tra l’altro di realizzare un modo nuovo di guidare l’impresa (Malizia, 2007; Negro, 1995; Malizia e Nanni, 2001; Marcantoni e Torresani, 2000; Galgano, 1992 e 1994; Froman, 1996). Anzitutto, cambia la prospettiva del rapporto tra il leader e il personale. In questo caso ciò che veramente conta è di attivare le risorse cognitive di tutti i membri dell’organizzazione: le idee vanno ricercate da tutte le intelligenze e non solo presso una ristretta élite di dirigenti da cui passarle successivamente alla 74 massa per l’esecuzione. Inoltre, la priorità va spostata dal rapporto obiettivi-risultati a quello processo-sforzi: infatti, il conseguimento degli scopi dell’organizzazione dipende dall’efficacia dei processi e dall’impegno del personale. Ne segue che la formazione assume un posto centrale nelle strategie delle aziende e il tradizionale management per controllo viene sostituito dalla gestione per formazione in quanto questa è chiamata a veicolare ai collaboratori la “vision” dell’organizzazione (l’immagine ideale) e la sua “mission” (la ragione d’essere). Un compito importante della leadership educativa è quello della direzione per politiche che consiste nel dare all’organizzazione una gestione mirata completamente alla qualità: in particolare, da un leader ci si aspetta che definisca gli obiettivi e guidi tutta l’organizzazione, che formuli le principali politiche per la qualità, che garantisca le attività di formazione necessarie per la realizzazione del piano d’azione e che identifichi le proprie responsabilità per l’assicurazione della qualità e per approvarne il sistema. L’esercizio di tale ruolo comporta l’integrazione tra i diversi settori e fra le differenti funzioni intorno a tre aspetti centrali della soddisfazione del cliente: la qualità, i costi e le consegne. La direzione per politiche non significa che le decisioni siano totalmente affidate alla dirigenza: al contrario, il relativo processo rimane impostato secondo una logica che procede dal basso verso l’alto. L’altro compito fondamentale della leadership è costituito dal “daily routine work” che ha per obiettivo il miglioramento continuo attraverso un controllo sistematico e giornaliero delle attività in vista sempre della piena soddisfazione del cliente. Lo svolgimento di tale funzione deve conformarsi a tre principi: venire incontro in modo pieno alle esigenze del cliente interno; fare le cose giuste la prima volta; standardizzare ogni esito che risponde ai bisogni del cliente. Maggiori informazioni sul “daily routine work” si possono trovare nella sezione n.2 di questo capitolo. Una funzione altrettanto rilevante consiste nella cosiddetta “diagnosi del presidente ”. In altre parole, il dirigente deve verificare la coerenza e il progresso di ogni unità operativa e mettere in evidenza e commentare i processi che hanno portato a determinati risultati. Lo scopo non è quello di criticare gli esisti conseguiti dai collaboratori, ma di aiutarli a rendersi conto delle eventuali carenze delle proprie attività e di offrire loro il necessario supporto e orientamento. Al leader fa capo anche l’ufficio formativo e non poteva essere altrimenti, tenuto conto della centralità della formazione nella gestione delle organizzazioni in quanto il loro successo dipende dal personale e dalla sua preparazione. Da questo punto di vista la formazione va considerata come un investimento sulla base di una prospettiva di almeno dieci anni e in funzione del piano di sviluppo della carriera di ogni membro della organizzazione. Al dirigente compete di progettare, realizzare e verificare i programmi per la preparazione del personale a tutti i livelli. È cruciale che tale ufficio riesca ad armonizzare i bisogni formativi con le esigenze organizzative dirette alla produzione e all’erogazione di quanto serve al cliente. 75 Alla fine della presentazione della tipologia di figure dirigenziali, intendiamo dare uno sguardo complessivo agli approcci esaminati secondo l’impostazione seguita nelle sezioni precedenti. Sul lato positivo, la leadership, pur essendo attribuita a chi occupa il vertice della gerarchia, deve essere esercitata in modo democratico. Il ruolo è più quello di un primo tra pari che, però, è chiamato a definire l’orientamento e le finalità della scuola/centro, anche se sempre in collaborazione con tutte le componenti interessate; in altre parole, egli deve essere pronto ad ascoltare e a convincere piuttosto che a comandare e a gestire da solo. Gli approcci istruttivo e trasformativo non vanno contrapposti, ma integrati in modo da garantire, come si è specificato sopra, la compresenza di qualità tra loro contrapposte, ma egualmente necessarie, come continuità e rinnovamento, efficienza ed efficacia, riproduzione e creatività, esecuzione e ricerca (Paletta, 2015). Il dirigente deve essere soprattutto un leader morale capace di operare in maniera coerente con i valori etici. Sul piano descrittivo-interpretativo il dirigente è anche uomo di potere di cui egli si può avvalere nelle negoziazioni interne per far funzionare l’organizzazione scolastica o formativa, servendosi anche di coalizioni a sostegno della sua linea politica. Egli deve affrontare pure situazioni ambigue per la loro incertezza e imprevedibilità, partecipando direttamente ai processi decisionali o cercando di influire indirettamente sulle deliberazioni attraverso il controllo della struttura e del personale. Una difficoltà seria con cui si dovrà confrontare è la diversità di interpretazioni esistenti tra le componenti della scuola/centro che deve cercare di riportare a unità, utilizzando le qualità personali possedute e il potere che gli viene attribuito. Una buona governance rinvia alla presenza di un dirigente: che possieda le competenze necessarie sia gestionali per assicurare l’efficienza della scuola, sia educative connesse alla promozione della didattica e alla qualificazione dell’offerta formativa; e che sia munito dei poteri richiesti per organizzare il lavoro all’interno della scuola/centro, guidare il piano di miglioramento e stabilire relazioni feconde con il contesto. Egli dovrebbe essere un leader educativo e non certamente un preside sindaco o un preside sceriffo. Il suo ruolo non è quello di “un uomo solo al comando”, ma dovrà essere bilanciato dai protagonismi dei docenti e dalla partecipazione dei genitori e degli studenti, anche attraverso l’attivazione di organismi collegiali. 77 Capitolo 3 L’organizzazione del Centro di Formazione per il lavoro Tenuto conto dei principali destinatari del volume, il personale cioè della FP, si è considerato opportuno dedicare un capitolo all’organizzazione del Centro di Formazione Professionale non limitando però la trattazione agli aspetti organizzativi in senso stretto, ma comprendendo anche quelli comunitari e le relazioni con il contesto. Pertanto, questa parte del volume si articola in tre sezioni: la prima è dedicata al centro come comunità formatrice, la seconda ne esamina i risvolti come organizzazione di servizi formativi per il lavoro e nella terza l’attenzione si concentra sulla leadership morale e condivisa del dirigente per la formazione dei giovani. 1. IL CFP COME COMUNITÀ FORMATRICE L’educazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti del centro (Malizia e Tonini, 2012 e 2015; Bertagna, 2008; Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2008). Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione, centro propulsore e responsabile dell’esperienza formativa, in dialogo aperto con la comunità territoriale e con la domanda di sviluppo integrale della persona che proviene dai giovani. Inoltre, secondo gli orientamenti condivisi delle politiche di riforma dei sistemi educativi, una strategia fondamentale del cambiamento viene identificata proprio con la scuola/centro della comunità: ciascuna comunità educante, dotata di adeguata autonomia e di un progetto educativo, diviene lo strumento per eccellenza della gestione del sistema educativo e della costruzione del tessuto educativo locale. Ciò infatti permette la costituzione e il funzionamento di una sede intermedia di aggregazione sociale in cui le libertà dei singoli utenti si incontrano per gestire insieme corresponsabilmente la risposta ai bisogni educativi. A questo punto, vale la pena richiamare anzitutto il concetto di comunità (Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2008; Scurati, 2008). Diversamente da una organizzazione o da una società, la comunità viene perseguita per ragioni di natura interiore quali l’autorealizzazione o la validità e bontà di quanto si intende realizzare per cui i vincoli che legano i membri sono solidi, dato che si propongono obiettivi 78 di natura morale. Inoltre, la comunità si costruisce su relazioni personali che da una parte si caratterizzano per l’accoglienza incondizionata di tutti e dall’altra per l’attenzione alle caratteristiche particolari e specifiche di ognuno. I rapporti sono cooperativi e collaborativi e l’accento viene posto sul bene comune, la cui realizzazione non contraddice i beni individuali ma permette di valorizzarli al meglio. Scurati, riprendendo Sergiovanni, ha chiarito la prospettiva in cui le scuole/centri si possono intendere come comunità. «In primo luogo, le scuole vanno concepite come “comunità finalizzate” (purposeful communities), cioè “posti dove i membri sviluppano una comunità di pensiero che li tiene insieme e li connette ad una visione condivisa”; successivamente, vanno condotte e sviluppate come: – comunità di “cura” (caring communities): luoghi di amore altruistico e dedizione reciproca; – comunità di apprendimento (learning communities): luoghi in cui l’apprendimento, oltre che un’attività, è un atteggiamento ed uno stile di vita; – comunità professionali (professional communities): luoghi di dedizione allo sviluppo continuo dell’esperienza e dell’ideale professionale; – comunità collegiali (collegial communities): luoghi caratterizzati dalla collaborazione e dal perseguimento di scopi comuni; – comunità inclusive (inclusive communities): luoghi in cui tutte le appartenenze e le differenze sono raccordate nel reciproco rispetto; – comunità di ricerca (inquiring communities): luoghi in cui tutti si dedicano alla ricerca ed alla soluzione dei problemi» (Scurati, 2008, pp. 58-59; Sergiovanni, 2000, p. 4). Nel tentativo di definire gli elementi essenziali della comunità educante, va sottolineato anzitutto il comune orientamento culturale che la identifica e che è accettato da tutti i suoi membri (Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2008; Bertagna, 2008). Questa forza connettiva, aggregante e accomunante che unisce le persone in un gruppo comunitario non è puramente un attributo della loro identità, ma rappresenta un suo elemento costitutivo. Tuttavia, il comune orientamento e legame non trasformano la comunità educante in una specie di superorganismo che annulla l’individualità dei soggetti che la compongono. Accanto ad esso mantengono pari rilevanza come elementi essenziali le singole persone che vivono e crescono nella comunità educante e che la costituiscono. Pertanto, si può parlare di una teoria pedagogica della comunità educante solo quando ogni membro di quest’ultima viene messo nelle condizioni di essere pienamente se stesso. Infatti, è questa continua dinamica personalizzante che consente ad ogni comunità educante di essere veramente educante ed anche umana. In altre parole, il legame che unisce deve passare da precondizione spontanea del vivere comunitariamente a condizione razionalmente, liberamente e responsabilmente assunta da ogni membro; l’appartenenza non è una potenza impersonale che soffoca, ma è sostanziata di libertà, amicizia e amore che costituiscono le persone 79 nella loro identità sostanziale; la comunità è educante solo se il comune orientamento culturale viene accettato criticamente da ogni suo membro. Le due caratteristiche essenziali della comunità educante appena messe in risalto si ritrovano riflesse ed operanti anche nella relazione tra bene comune e bene personale. A livello educativo non si può pensare a un bene comune che non sia al tempo stesso anche bene proprio di ciascuno dei membri della comunità. Questo non significa annullamento delle esigenze specifiche di ciascuno, ma implica lo sviluppo integrale e la piena concretizzazione di ognuno. E questa dialettica tra comune e personale non riguarda solo il bene, ma coinvolge in eguale misura anche il vero, il bello e il giusto. L’assunzione della teoria pedagogica della comunità educante richiede l’adozione di un nuovo quadro istituzionale e organizzativo. In altre parole si tratta di impegnarsi principalmente nel ricercare soluzioni ai problemi piuttosto che di evitarli, di considerare come caratteristica essenziale dei luoghi educativi l’elaborazione della cultura e di potenziare lo studio e la ricerca. Tutto ciò rinvia all’esigenza di poter contare su professionisti dell’educazione di qualità elevata, capaci di muoversi in autonomia all’interno di un contesto che questa autonomia ha assunto come criterio organizzativo fondamentale. Da ultimo la sfida della comunità educante non può limitarsi solo alla scuola/centro, ma deve estendersi alla politica formativa per la gioventù, per la famiglia, dei media, delle attività sociali e di comunità. Comunità educante o comunità educativa? La prima terminologia riconosce un ruolo attivo alla comunità in maniera più chiara. Alla comunità educativa si attribuisce un significato più generico, di minore consapevolezza del progetto comune che tutti i componenti della comunità - operatori, famiglie, allievi, comunità ecclesiale, territorio - intendono portare avanti. Tra gli autori non mancano oscillazioni di significato che dimostrano la non ancora completa acquisizione di un vocabolario univoco nel linguaggio corrente e nella comunità scientifica. Pertanto, si è preferito adottare la formula della comunità formatrice che a nostro parere consente di superare questa controversia terminologica, includendo in sé i due significati. Anche nella FP la centralità della comunità formatrice significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l’acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura professionale (Malizia e Tonini, 2012 e 2015; CNOS-FAP, 2008 e 1989). Più in particolare la preparazione del soggetto lavoratore richiede la formazione a una serie di valori di base. Il primo consiste evidentemente nella qualificazione professionale che dovrà consentire l’inserimento in maniera fattiva e dignitosa nel mondo del lavoro. Al tempo stesso la piena realiz zazione umana del soggetto lavoratore richiede la formazione dell’identità e della coscienza personale, la maturazione della libertà responsabile e creativa, sostenuta da conoscenze e motivazioni solide, lo sviluppo della capacità di relazione, di solidarietà e di comunione con gli altri, come egualmente della capacità di compartecipazione responsabile, sociale e politica. 80 Sulla base di tali valori il destinatario della FP sarà posto in grado di esercitare un ruolo professionale specifico. Egli saprà affrontare la realtà, soprattutto quella lavorativa, con un approccio globale in cui sa investire non solo la propria competenza, ma anche la propria identità personale totale; in tale accostamento si dimostrerà capace sia di mettersi in atteggiamento critico nei confronti anche delle conquiste del progresso scientifico e tecnologico, sia di far emergere nella trasfor - mazione della realtà umana e materiale i fermenti positivi di solidarietà, di sviluppo e di servizio in vista del bene comune. Pertanto, egli potrà superare la contrapposizione artificiosa tra uomo e lavoratore e più in generale potrà vivere nel lavoro e nell’insieme della sua vicenda esistenziale la dimensione etico-religiosa, personale e comunitaria. In questo senso è messo in grado di rispondere alle complesse attese che la società post-industriale ha nei suoi riguardi. L’altro volano della centralità della formazione è costituito dalla scelta di educare all’esercizio di una professionalità matura attraverso la proposta di una cultura che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura sarà focalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una concezione globale dell’uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. Se si vuole passare agli obiettivi educativi, la FP offerta nel modello organizzativo che stiamo proponendo dovrà fornire occasioni significative per assumere e maturare conoscenze, atteggia menti, comportamenti e abilità operative coerenti con l’esercizio efficace ed efficiente della professione per cui ci si prepara o ci si riqualifica. Bisognerà anche abilitare a percepire e ad assumere gli elementi necessari per l’esercizio di un ruolo professionale adeguato. Inoltre, occorrerà elaborare un itinerario di formazione culturale e professionale che miri a: umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale; integrare l’esperienza lavorativa nell’insieme della vita di relazione; personalizzare la scelta e la pratica professionale all’interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società. In sostanza la FP è chiamata a rispondere alla domanda personale e sociale di formazione professionale, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi e globalmente umani. È a questo livello che si manifestano vari aspetti problematici. L’adeguamento dei processi di insegnamento/apprendimento all’innovazione scientifico- tecnologica può risultare meramente funzionale alle imprese e tradursi in forme di selettività sociale. La domanda di autorealizzazione, se da una parte fonda l’istanza della personalizzazione dei percorsi formativi, dall’altra non è immune dal pericolo del ripiegamento nell’individualismo e nel corporativismo. Né va dimenticata la crisi delle ideologie che avevano sostenuto finora l’impegno del movimento operaio a favore della giustizia sociale o il grado particolarmente elevato di frammentazione culturale e strutturale che crea confusione e disorientamento. Sono tutte problematiche che esigono il rafforzamento dell’impegno per la formazione di un quadro di valori e di atteggiamenti personali di fondo. 81 Nei centri di ispirazione cristiana l’identità e l’azione educativa comunitaria trovano un ulteriore riferimento fondativo e prospettico nella concezione cristiana della vita (Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2008; Perrone, 2008). La base è costituita anzitutto dal mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dalla dimensione comunitaria e relazionale che li unisce, dalla natura di un Dio che si manifesta come amore, paternità amorosa, dedicazione cristica e vivificazione dello Spirito, e dalla visione di una Chiesa, Corpo di Cristo e comunione che si estende in senso orizzontale e verticale. La tradizione educativa cristiana ha sempre ritenuto l’ambiente come formativo per se stesso (Nanni, 2008; Malizia, Tonini e Valente, 2008). Esso va inteso come l’insieme di elementi coesistenti e cooperanti, tali da offrire condizioni favorevoli al processo formativo in cui persone, spazio, tempo, rapporti, insegnamenti, studio, attività diverse sono elementi da considerare in una visione organica. L’ambiente formativo abbraccia l’habitat del centro e la comunità, e quest’ultima in se stessa e nella sua apertura alle famiglie, alla comunità ecclesiale, allo Stato e alla società civile. In quanto ambiente educativo cristiano, esso, per essere realmente permeato di carità e libertà, deve essere umanamente e spiritualmente ricco, caratterizzato da semplicità e povertà evangelica pur nella modernità delle attrezzature, qualificato da un clima comunitario, di partecipazione corresponsabile e di confidenza e spontaneità. Con tali punti di riferimento, perciò, il CFP di ispirazione cristiana, adottando un modello aperto di razionalità, deve promuovere l’assimilazione critica e sistematica del sapere e nell’attuazione di questo compito si presenta come comunità educante che punta al coinvolgimento di tutti nell’opera formativa, alla gestione sociale da parte della comunità cristiana e alla vocazione a produrre cultura educativa. La comunità è perciò elemento fondante dell’educazione cristiana, poiché non si basa tanto sulla tolleranza o sul semplice rispetto della libertà altrui quanto nella considerazione dell’altro come offerta di una ricchezza che ci libera dal nostro egoismo e che si presenta con i tratti del volto di Cristo. Inoltre, se la Chiesa è anzitutto comunione, la scuola cattolica e il CFP di ispirazione cristiana non può che definirsi in primo luogo come comunità, la quale diviene centro propulsore e responsabile di tutta la sua vita. Prima ancora che scelta pedagogica, si può quindi affermare che l’identità comunitaria del Centro di ispirazione cristiana abbia un fondamento teologico nella natura della Chiesa e nella dimensione relazionale che sottostà alla stessa Trinità e alla natura di un Dio che si rivela come amore. In questo ambiente comunitario la natura propria delle relazioni va identificata nello spirito di libertà e di carità. Come ogni vera comunità di persone, il CFP di ispirazione cristiana deve vivere di libertà e nella libertà, ma è soprattutto suo compito educare alla libertà, intesa come acquisizione di un’adeguata capacità di prendere decisioni responsabili, specialmente in una società come l’attuale che tende a condizionare fortemente in senso negativo l’esercizio della libertà. Comunque, la pienezza dell’identità della comunità nel CFP di ispirazione cristiana deve essere 82 ricercata nella carità che consiste nel lasciarsi guidare dall’amore di Dio e nel farsi servi gli uni degli altri: essa è così essenziale per la sua natura che, anche se esso insegnasse la cultura e la scienza nel modo più efficace, ma non fosse palestra viva di carità, non potrebbe essere considerato vera scuola/centro cattolico (Perrone, 2008). 2. IL CFP COME ORGANIZZAZIONE DI SERVIZI FORMATIVI PER IL LAVORO A cavallo dei due millenni nei CFP si erano verificati fenomeni di involuzione burocratica (Malizia e Tonini, 2012 e 2015; Malizia e Cicatelli, 2015). Infatti, non infrequentemente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si è andata diffondendo l’esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale: più specificamente ne sono emersi tre e si tratta del CFP strategico, di quello agenziale e di quello polifunzionale che qui proponiamo. Secondo il modello strategico, il centro è considerato come un sistema organizzativo connesso con il mondo esterno al quale offre servizi: pertanto il contesto dì riferimento (mercato, attori, risorse e domande) assume una valenza superiore alla cultura interna dell’organizzazione (Nicoli, 1995; Malizia e Cicatelli, 2015). A livello operativo la realizzazione di una precisa programmazione e di un decentramento controllato richiede una direzione strategica con attenzioni nuove: a tale fine sarebbe da preferire la struttura a matrice che è specifica del lavoro per progetti, con tutte le conseguenze di un’ampia delega, di un processo decisorio decentrato, comunicazioni a doppio senso ad ogni livello, coordinamento per comitati, organizzazione del lavoro ispirata all’autocontrollo e clima favorevole allo sviluppo e all’innovazione. Il modello strategico si dimostra valido nel disegnare le grandi dinamiche di relazione a livello di sistema organizzativo. Il suo punto debole si trova in una concezione piuttosto povera del processo formativo in quanto questo non si può ridurre all’adattamento, ma include anche un intenso interscambio simbolico, affettivo, culturale ed esperienziale tra le parti interessate. Questa carenza discende da un limite più grande che è dato dal mancato riconoscimento del primato della scelta formativa nella FP. Un secondo modello, quello agenziale, si caratterizza per i seguenti concetti chiave: analisi del territorio; progettazione e realizzazione di azioni formative; servizi di orientamento e assistenza a singoli, gruppi e organizzazioni; sostegno all’inserimento occupazionale; qualità; cooperazione; flessibilità; imprenditività e innovazione (Il nuovo ruolo del CFP come agenzia di servizi, 1995; Malizia e Cicatelli, 2015). In sintesi, l’agenzia di servizi formativi si ispirerebbe ai seguenti principi di riferimento: «orientamento al mercato sociale in termini di interazione con singoli, 83 gruppi e organizzazioni e pressione propositiva per sollecitare e soddisfarne i bisogni; enfatizzazione della relazione con il fruitore dei prodotti/servizi, in termini di presa in carico e responsabilità; valore della cooperazione come elemento tipico di una organizzazione che intraprende ed elabora strategie su obiettivi condivisi; innovazione metodologica e tecnologico-scientifica come rilevante fattore di successo; orientamento alla professionalità» (Ibidem, p. 58). Venendo a una valutazione, anzitutto va osservato che non esiste un unico modo di intendere la formula agenziale. Infatti, l’ENAIP e il CIOFS, «pur aderendo ad un modello organizzativo orientato al ‘mercato’ e attento al servizio prodotto, [...] si staccano da una logica puramente aziendale di ‘efficacia’ e ‘qualità totale’, per evidenziare come il perno della loro azione nel sociale, non sia tanto, o solo, la formazione del ‘lavoratore’, quanto la formazione della ‘persona’» (Ibidem, p. 16). Rimane pur sempre vero che questa impostazione non sottolinea adeguatamente, come quella del CFP polifunzionale, la dimensione comunitaria. È chiaro che il modello agenziale presenta, oltre al precedente limite, anche quello più serio di non accordare la priorità alla formazione della persona. Il modello polifunzionale, che fa capo al CNOS-FAP e alle sue ricerche, si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile (Malizia e Tonini, 2012 e 2015; Malizia e Cicatelli, 2015). Sopra ci siamo occupati delle caratteristiche formativa e comunitaria. Aggiungiamo soltanto che la centralità della formazione e la costruzione di una comunità sono esigenze che si impongono in ogni centro, Esse vanno realizzate in qualsiasi tipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né la complessità delle azioni intraprese dal Centro o la preponderanza di corsi mirati a un pubblico adulto possono indurci a pensare che il CFP si sia trasformato in un’azienda o in un’agenzia. Il CFP rimane un’istituzione formativa e la sua organizzazione resta al servizio della scelta educativa e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logica di fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale da certe concezioni agenziali della FP. La promozione integrale della persona significa che l’educando occupa il centro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell’oggetto dell’educazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il diritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo che deve adattarsi all’educando e non viceversa. Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l’intero CFP e la FP nel suo complesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. In particolare, il servizio diretto alla persona emerge nella funzione del formatore che si presenta come una professionalità aperta, orientata a sviluppare, mettere in azione e innovare le strategie educative in modo da renderle rispondenti alla domanda in rapido mutamento. Lo specifico della sua azione è sì la trasmissione delle 84 conoscenze e delle competenze, ma qualificata da un ruolo di “mediazione” che viene ad assumere un’importanza prioritaria; in altre parole l’insegnante si interpone tra l’educando e la massa delle informazioni che tendono a sommergerlo per aiutarlo a integrarle in un quadro coerente di conoscenze. Il formatore non opera più da solo, ma collegialmente: è chiamato a partecipare all’elaborazione del progetto formativo e alla sua valutazione e, più in generale, alla gestione del Cen tro. La sua funzione comprende la messa in opera e l’adeguamento di programmi e metodi, lo svolgimento di compiti tutoriali, la valutazione continua dei processi di insegnamento- apprendimento, la cooperazione con le famiglie, le autorità locali e le forze sociali per la determinazione degli obiettivi da conseguire. La sua nuova identità richiede la partecipazione continua alle iniziative di formazione in servizio e l’inserimento in attività di ricerca-azione. La progettazione degli interventi dovrebbe consentire alla comunità formatrice di identificare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordinamento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincronizzazione e armonizzazione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni di un’organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favorire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongono un gruppo o di più sottogruppi di un’organizzazione più ampia. L’esigenza dell’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i centri possono conservarsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente per cui lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell’organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’organizzazione deve rimanere flessibile nel senso che la realizzazione del modello può essere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP, per cui si può andare da un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto. Dal confronto con gli altri due modelli e dalle osservazioni avanzate in proposito, appare chiaramente la superiorità del modello polifunzionale. In breve, esso riesce ad assumere le caratteristiche della nuova cultura organizzativa senza rinunciare alle due dimensioni centrali della tradizione: quella formativa e quella comunitaria. Le crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “desertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere altre due dimensioni al modello del CFP polifunzionale. Per effetto della prima problematica (Malizia e Gentile, 2015), il CFP va considerato anche come Centro di Formazione Professionale per il lavoro (Salerno, 2015, pp. 158-159; Nicoli, 2015, pp. 152-155). Da qualche anno è in corso un al85 largamento delle funzioni dei centri in relazione ai servizi attivi per l’occupazione, indirizzati agli allievi dei corsi e agli adulti coinvolti nelle diverse transizioni della vita relative al loro lavoro. Di conseguenza i CFP si caratterizzano sempre di più come presidi per lo sviluppo delle risorse umane sul territorio. In proposito si prospetta la costituzione di una rete nazionale di Centri al fine di paragonare prassi e di organizzare la nuova configurazione del CFP, di stabilire collaborazioni, di realizzare scambi di pratiche e di predisporre un progetto di comunicazione integrato per divulgare la notizia della loro presenza sul territorio tra le persone, gli enti e i media. La Legge sul Jobs Act, n. 14/183 offre da questo punto di vista varie opportunità di sviluppo. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mezzogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sottosviluppo permanente che questa parte del Paese corre (Svimez, 2015). Anzitutto, si mirerà a contrastare la graduale sparizione della formazione professionale nel Meridione, rilanciandola in maniera efficace. Si propone anche un modello di Centro, capace di rispondere ai bisogni dei territori, comprensivo di servizi educativi e occupazionali per le persone e le imprese e in grado di raccordare recupero sociale, laboratori formativi e formule di alternanza e di diventare vivaio di ricerca autonoma del lavoro e di startup di impresa. 3. UNA LEADERSHIP MORALE E CONDIVISA PER LA FORMAZIONE Entro il quadro delineato nei primi due capitoli, la concezione di leader a cui facciamo riferimento si ispira ai modelli comunitario o collegiale e soprattutto culturale di organizzazione (Bush, 2008 e 2011; English Fenwick, 2006; Fullan, 2007; Grandjan Lüthi, 2010; Xodo, 2010; Malizia, 2014; Malizia e Tonini, 2015) e a una concezione integrata tra leadership istruttiva (instructional) e trasformativa (transformational) (Paletta, 2015; Bush, 2008; Leithwood, Harris e Strauss, 2010; Mintzberg, 2009; Scheerens, 2012; Spillane, 2006). Come si è visto sopra, il primo modello comprende tutti quegli approcci secondo i quali le decisioni vanno condivise dalle componenti del centro. La sua natura è normativa nel senso che indica un ideale da raggiungere; è particolarmente adatto per strutturare le organizzazioni professionali in cui l’autorità si fonda sulla competenza e non sulla posizione nella gerarchia; un’altra caratteristica generale è che i membri condividono un medesimo sistema di valori; inoltre, si richiede la partecipazione di tutti gli aventi diritto, diretta o mediante rappresentanti, e le decisioni vanno generalmente prese per consenso e non a maggioranza. A sua volta, il modello culturale focalizza l’attenzione sui principi, le idee, i simboli e le tradizioni condivisi dai membri di una organizzazione e, per i centri, si può aggiungere, quelli consacrati nel progetto formativo: è sull’identità dell’orga86 nizzazione che si focalizza l’attenzione. Il modello risponde all’esigenza di valorizzare la cultura delle organizzazioni e dei loro membri, di metterne in risalto i valori e le opinioni; anche in questo caso si insiste sull’idea della condivisione della “visione” e della “missione”; particolare considerazione è riservata ai simboli, ai riti, alle cerimonie e agli “eroi”, cioè ai membri illustri della organizzazione, la cui celebrazione serve non solo a rinsaldare principi e valori, ma anche a entusiasmare nei confronti delle finalità perseguite. Quanto alla leadership istruttiva e trasformativa, ricordiamo anzitutto le principali differenze tra le due, già messe in evidenza nel capitolo 2 (Paletta, 2015). La prima si presenta come un modello direttivo che sottolinea la sorveglianza, il controllo e il coordinamento gerarchico, mentre la seconda accentua l’azione dal basso, lo sviluppo condiviso del progetto, la comprensione dei bisogni dei collaboratori, il sostegno personalizzato, la stimolazione intellettuale. Per quanto poi riguarda gli apprendimenti degli allievi, l’approccio “instructional” mira ad interferire direttamente sui processi di insegnamento-apprendimento, intervenendo sui programmi e sulla docenza, al contrario di quello “transformational” che punta ad aumentare le competenze degli insegnanti nello sviluppare gli apprendimenti degli allievi, cooperando con loro per aiutarli a capire le relazioni tra la propria docenza e il progetto educativo, a definire gli obiettivi personali e a relazionarli con quelli organizzativi. Inoltre, da un lato, la prima modalità di leadership si definisce in termini di un ruolo unico e chiaro, quello del dirigente, dall’altro la seconda si qualifica come condivisa o distribuita nel senso che mira al rafforzamento delle funzioni dei docenti nella partecipazione ai processi decisionali e nella interazione orizzontale e verticale, per cui il riferimento si amplia a una pluralità di operatori che incidono sui processi formativi non solo in base alla posizione occupata formalmente nell’organigramma, ma anche per la competenza e l’autorevolezza che è loro riconosciuta nella comunità formatrice. Come si è affermato sopra, nonostante le diversità evidenziate, concordiamo con quanti ritengono che i due modelli siano integrabili perché le loro caratteristiche costituiscono un continuum in cui coesistono elementi di ambedue e anzi ciascun approccio ha bisogno dell’apporto dell’altro per garantire la compresenza di qualità tra loro contrapposte, ma egualmente necessarie, come continuità e rinnovamento, efficienza ed efficacia, riproduzione e creatività, esecuzione e ricerca (Paletta, 2015). In aggiunta, essi si rivelano egualmente validi se applicati in contesti diversi e in momenti differenti della vita di un Centro. 3.1. Una definizione Entro questo quadro, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare 87 una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2011, pp. 184-185). Nel contesto in cui viviamo è certamente di particolare importanza la funzione, che potremmo definire di “management dei significati” per cui il leader è chiamato ad impegnarsi a favore del delinearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti (Sergiovanni, 2002, 2000, 2009). Ci sembra che in questo momento uno dei mali maggiori che travaglia la scuola e la FP sia l’incapacità di insegnanti/ formatori e di studenti/allievi di dare e di trovare un senso profondo nelle cose che fanno a scuola/centro per cui mancano di passione, di entusiasmo e di motivazioni profonde nel loro mestiere di docenti/formatori e di studenti/allievi: pertanto, diventa necessario e urgente che il leader li aiuti a recuperare significato e ragioni dell’educare e dell’essere educati. Tutto ciò è ancora più vero per i CFP di ispirazione cristiana dove visione e missione hanno la loro giustificazione ultima nel messaggio del Vangelo. In questa direzione è anche interpretabile il processo di “dematerializzazione” che interessa le organizzazioni e in particolare la scuola/centro nel senso cioè di una minore importanza attribuita alle variabili strutturali a favore della preminenza dei soggetti che ne fanno parte, assieme ai quali si attivano processi di co-costruzione di una cultura condivisa, la quale, poi, fonda proprio quegli stessi processi. Dunque, il nuovo perno della professionalità del personale dirigente sembra essere costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti e il Centro viene così a configurarsi come “CFP dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità e il leader diventa il gestore delle mediazioni culturali perché tutto assuma e mantenga natura formativa. A questo punto conviene richiamare i più importanti principi organizzativi che costituiscono il quadro di riferimento del nostro modello di leader. Anzitutto, egli è un professionista riflessivo nel senso che il suo operare è caratterizzato dalla circolarità fra teoria e pratica e attinge contemporaneamente a tre fonti: la scienza, l’esperienza e l’intuizione creativa. L’agire dei professionisti si fonda su un’intuizione informata dalla teoria e dalla pratica: infatti, la scienza spiega i fenomeni, ci aiuta a criticare le pratiche, ma non le produce; le pratiche professionali nascono dall’esperienza attraverso tentativi ed errori e sforzi intuitivi, ma vanno valutate dalla teoria; a sua volta l’intuizione creativa viene facilitata dalla scienza e va resa fattibile attraverso l’esperienza. Passando al piano più strutturale, un principio importante riguarda le strategie per realizzare l’integrazione nel Centro. Mentre nel passato il mantenimento dell’unità veniva affidato principalmente a modalità di carattere gestionale come il controllo e la gestione, ora in ambienti molto dinamici, con relazioni deboli sul piano organizzativo, che richiedono prestazioni straordinarie, anche per l’effetto dell’introduzione dell’autonomia, le varie componenti devono ricercare il collegamento in primo luogo nei valori. In altre parole l’integrazione gestionale e strutturale si com88 pleta e si supera in quella culturale. A sua volta la progettazione assume un carattere strategico e non più dettagliato. Ciò significa definire gli orientamenti di fondo, creare consenso sulle finalità, dare autonomia, assegnare responsabilità e valutare processi e risultati, garantendo che le azioni educative incarnino i valori condivisi. Ciò che è decisivo è la capacità di autogestione, cioè la capacità delle varie componenti di sapersi gestire e collegare con le mete concordate. Per assicurare il consenso dei vari attori, il primo passo da fare è scegliere una modalità normativa che ottiene l’adesione delle persone perché queste sono convinte della validità delle attività formative poste in essere e percepiscono il loro coinvolgimento come intrinsecamente soddisfacente: su questa base si sviluppano i requisiti di lavoro, si decidono gli interventi da realizzare e si procede alla loro verifica. Particolarmente importante è la strategia motivazionale che non dovrebbe essere più principalmente “remunerativa” per cui viene fatto solo quello che è ricompensato e non viene fatto quello non è ricompensato, ma invece “espressiva”, nel senso che quello che è ricompensante, che mi realizza, viene fatto e bene, o “morale”, nel senso che si è disposti a realizzare con impegno tutto quello che si ritiene buono e giusto. Il controllo dovrà basarsi sulla socializzazione professionale come strategia di lungo termine, cioè sulla formazione iniziale e in servizio, mentre nel breve e nel medio ciò che conta è arrivare a scopi e valori condivisi che possono offrire il collante che unisce le varie componenti in organizzazioni a legami deboli e in continuo cambiamento come i centri. 3.2. Le funzioni specifiche Globalmente la proposta in questione indica cinque funzioni specifiche che dovrebbero essere gestite in modo integrato per ottenere un servizio formativo di qualità (Malizia, Bocca, Cicatelli e De Giorgi, 2004; Sergiovanni, 2002, 2000, 2009; Xodo, 2010; Malizia, 2014; Malizia e Tonini, 2015). La funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione, organizzazione ed altre). Una buona gestione tecnica del lavoro formativo resta indispensabile per il funzionamento dei centri, in quanto assicura un senso di affidabilità, continuità ed efficienza. La funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli allievi e del personale, a partire da quello formativo, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia. La funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’educazione e fa percepire il dirigente come leader riconosciuto dai propri docenti (formatore di insegnanti in quanto ha una forte pratica didattica maturata sul campo). La funzione simbolica che parte dalla funzione di “capo” con cui il leader viene percepito e dal suo ruolo di rappresentare l’unità del centro. In particolare 89 questa forza simbolica si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti del centro e interpretare i loro sentimenti e aspettative; La funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori distintivi del centro, per inserire i nuovi collaboratori e allievi, per costruire un pensiero comune e una comunità formatrice. Il compito della leadership come costruzione di cultura è quello di infondere valori, creando l’ordine morale che lega il leader alle persone attorno a lui. Praticare la funzione simbolica e culturale rappresenta oggi la base per la costruzione di una comunità formativa di successo e attraversa dinamicamente tutte le altre dimensioni “ordinarie” del lavoro formativo (tecnica, umana ed educativa). La leadership va esercitata in funzione del contesto (Malizia, Bocca, Cicatelli e De Giorgi, 2004; Sergiovanni, 2002, 2000, 2009; Xodo, 2010; Malizia, 2014; Malizia e Tonini, 2015). Per dirigere un centro efficace occorre tener conto di diverse possibili strategie: – quella basata sullo scambio, in cui le varie parti operano in nome di rapporti di forza e di convenienze reciproche; – quella basata sulla costruzione, come offerta di condizioni che permettono di crescere con uno sforzo comune; – quella basata sull’unione, come capacità di valorizzare le relazioni tra le persone a partire dal riconoscimento della leadership; – quella basata sul legame, come riconoscimento di un “noi” e dell’autorità morale del leader in nome di idee e valori comuni. Il personale direttivo dovrebbe creare le seguenti condizioni: – sviluppare i valori comuni, trasformando i collaboratori da subordinati (che rispondono a procedure e regole) in una comunità di leader (che rispondono ad idee e valori); – costruire in loro capacità di iniziativa, di autocontrollo, di autogestione e di auto-responsabilizzazione; – sviluppare l’empowerment (conferimento di potere) attraverso la delega e lo stimolo dell’iniziativa, ma chiedendo anche conto dei risultati; – esprimere capacità di realizzazione, passando da un potere su ad un potere per, dal controllo all’influenza e alla facilitazione; – sviluppare la collegialità come strategia e non come semplice adempimento, a partire dall’esempio personale di cooperazione, dal riconoscimento dei collaboratori, dalla coerenza rispetto ai valori conclamati; – enfatizzare la motivazione intrinseca delle persone rispetto a quella estrinseca (ricompense economiche o materiali); – assumere un orientamento alla qualità, come elemento distintivo del servizio del centro; – valorizzare la semplicità, rispetto alle architetture organizzative complesse; 90 – riflettere in azione, evitando una navigazione a vista e promuovendo il confronto sulle buone pratiche e la ricerca educativa. Qui non si intende parlare del dirigente solo come di un professionista bensì anche dell’educatore, del formatore di uomini e quindi è opportuno cercare di indicare i requisiti personali. Dal punto di vista umano, siamo di fronte alla necessità di persone che presentano una forte passione per la relazione di servizio e per l’educazione in genere, persone che concepiscono il fenomeno educativo come una compartecipazione di diversi soggetti e non come espansione di uno stile proprio che si impone (Malizia, Bocca, Cicatelli e De Giorgi, 2004; Toni, 2005; Xodo, 2010; Malizia, 2014; Malizia e Tonini, 2015). Inoltre serve personale direttivo che abbia una spiccata sensibilità per le relazioni di “nuova comunità” che si svolgono sia nel cerchio interno sia in quello del partenariato territoriale. Occorre anche una buona dote di ottimismo e di spirito di intrapresa, congiunta alla capacità di contenere ansia e preoccupazioni evitando di investire di tutto questo ogni collaboratore. La passione educativa si esercita infatti soprattutto nei confronti di questi ultimi, che divengono in un certo qual modo i primi “allievi”, in una relazione di corresponsabilità circa la qualità del servizio. Dal punto di vista professionale, il personale direttivo deve possedere una notevole conoscenza del sistema educativo di istruzione e di formazione sul piano giuridico, istituzionale, metodologico e delle procedure operative. Esso necessita nel contempo di una capacità di individuazione del senso di tutti questi processi, pur non dovendo necessariamente diventare specialista in ognuno di essi, al fine di delineare uno stile gestionale organico ed orientato alla qualità. Ciò significa saper cogliere nell’insieme dei processi di cui si è responsabili le componenti di coerenza o non coerenza con il disegno adottato ed inoltre i segnali di conferma o smentita dello stesso, comprese le opportunità future. Le sue competenze professionali dirette si riferiscono all’ambito delle relazioni interne, con la gestione dei collaboratori e la guida dell’organizzazione, ed inoltre a quello dei rapporti esterni, dove è richiesta la cura delle relazioni di rete e la ricerca delle opportunità di intervento. Tutto ciò ha una precisa ricaduta sui requisiti manageriali del personale direttivo, a cui è richiesta una leadership basata sui fattori di guida, testimonianza e responsabilità. Esso deve saper esprimere da un lato il legame o l’identificazione nel progetto formativo, dall’altro la capacità di interpretare le opportunità ed i vincoli delineando una strategia di intervento che richiede una continua modificazione ed una capacità di indirizzo dei collaboratori verso le mete delineate. In tal modo si crea un clima organizzativo di tipo comunitario, ogni gruppo ed ogni collaboratore può circoscrivere il proprio ambito di intervento e si afferma uno stile di lavoro cooperativo che è al contempo modo e contenuto dell’agire educativo. Per il dirigente/educatore cattolico che opera nei Centri di ispirazione cristiana la consapevolezza della missione ecclesiale del centro e del suo progetto formativo 91 conferiscono alla sua professionalità caratteristiche specifiche: l’articolazione del rapporto fede-cultura-vita, il particolare significato pedagogico e teologico della comunità formatrice e il valore ecclesiale del suo servizio. In conclusione si può dire che il cuore del nostro discorso è stato il CFP come comunità formatrice la cui finalità prioritaria è l’educazione intesa come sviluppo pieno della personalità dei propri allievi. L’organizzazione del CFP polifunzionale per il lavoro ha senso in quanto opera al servizio di un progetto che è eminentemente formativo, anche se trova nella professionalità la sua caratterizzazione distintiva. Motore principale delle diverse attività è il dirigente come responsabile di una leadership morale ma al tempo stesso condivisa con tutte le componenti e in particolare con il personale in vista della formazione dei giovani. 93 Conclusioni generali Il quadro generale di riferimento: i principi di sussidiarietà e di autonomia Il grande sviluppo che si è avuto recentemente nello studio dell’organizzazione scolastica e formativa è incominciato con gli Anni ‘70 quando per l’azione dell’Unesco si è affermata, almeno in linea di principio, la tendenza a sostituire l’organizzazione centralizzata nettamente prevalente con una decentrata (Malizia, 2008). Questo ha significato tra l’altro il riconoscimento alle scuole/centri di poteri propri di gestione e ai dirigenti della relativa responsabilità. Arrivati alla fine di questo volume, vogliamo riaffermare i due principi più rilevanti che giustificano il progresso realizzato perché, anche se accettati dalle varie legislazioni, trovano ancora molte difficoltà ad avere un’attuazione piena. 1. L’EMERGERE DELLA SCUOLA DELLA SOCIETÀ CIVILE Nell’ultimo scorcio del XX secolo si è realizzato, particolarmente nel nostro continente, il passaggio dallo Stato-gestore allo Stato-garante promotore (Malizia, 2008). Il primo modello viene sostituito dal pluralismo istituzionale, dall’ideale di una società aperta, multietnica e multiculturale, dalla logica dell’economia del mercato. In tale contesto muta anche la definizione di pubblico, che cessa di coincidere con il concetto di statale e viene invece inteso in un senso sempre più allargato di esercizio di funzioni rispetto a finalità comuni, sollecitando in ogni campo il pluralismo dei servizi ed il decentramento dei poteri. In particolare, quest’ultimo viene concepito anche come vera autonomia decisionale delle istituzioni periferiche. L’idea di Stato-gestore è entrata in crisi all’inizio degli anni ‘80 insieme con il modello assistenziale di welfare state. La dilatazione eccessiva dei compiti dello Stato sul piano socio-assistenziale, che non era più sostenuta dalla copertura contributiva dei cittadini, ha causato gravi problemi finanziari, mentre dal punto di vista organizzativo si sono moltiplicati i casi di spreco, inefficienza, burocratizzazione e clientelismo. Ma la statalizzazione della società ha prodotto i suoi effetti più negativi alla radice stessa del vivere associato: soffocamento della creatività dei mondi vitali, deresponsabilizzazione delle persone nella soddisfazione dei loro bisogni essenziali e crescita di un “privatismo” che consiste nel ricercare la propria realizzazione nel consumo delle merci. 94 Il nuovo Stato si presenta come garante della soddisfazione per tutti i cittadini dei bisogni fondamentali, benché non più primariamente gestore anche se lo rimane in via sussidiaria: in altre parole, la sua funzione va pensata come garante promotore . Pertanto, la realizzazione del benessere non dovrà essere affidata tanto a pacchetti di beni o servizi erogati direttamente da parte dello Stato o dalle sue strutture, quanto alla garanzia della possibilità di produrli attraverso forme di auto-organizzazione e autogestione degli stessi cittadini, singoli o comunità, con il sostegno dello Stato. Dietro questa impostazione si situa un dato che va tenuto particolarmente presente: negli Anni ‘80 - e il trend è continuato nei decenni successivi - è emersa dal basso un’esigenza di solida rietà come domanda sociale caratterizzata da contenuti positivi che si esprime in processi come il volontariato, l’impegno associativo, la ricerca di esperienze nuove di lavoro e di rapporti inter personali o comunitari. Nel concetto di solidarietà rimane l’aspirazione alla giustizia sociale e al superamento delle diseguaglianze tradizionali. Però la nuova solidarietà dovrà coniugare contemporaneamente i bisogni della soggettività, dare soddisfazione alle esigenze individuali, valorizzare il diritto di ciascuno alla differenza. È centrale il concetto di corresponsabilità: la solidarietà non va confusa con l’assistenzialismo, ma richiede che ogni persona, anche l’emarginato, diventi attore dell’avvenire proprio e collettivo. L’affermarsi della solidarietà rinvia a un’impostazione della dinamica sociale a tre dimen sioni, che abbandoni la dicotomia Stato/mercato, pubblico/privato e che riconosca e potenzi il terzo settore o privato sociale. Va ricordato poi che il terzo settore o privato sociale si definisce come il complesso delle attività di produzione di beni e servizi, create dall’iniziativa dei privati e condotte senza scopo di lucro, ma con finalità di servizio sociale. Nei suoi confronti il potere statale non può limitarsi solo ad ammetterne il contributo nell’ambito dei servizi sociali, ma dovrà perseguire una politica di promozione effettiva. In questo ambito assume una particolare rilevanza il principio di sussidiarietà. Esso ha una duplice valenza: in senso verticale, nei rapporti fra enti territoriali di governo; in senso orizzontale, nei rapporti fra gruppi sociali e in quelli fra pubblico e privato. A livello di sistema di istruzione, tale impostazione significa «il passaggio da una scuola sostanzialmente dello Stato ad una scuola della società civile, certo con un perdurante ed irrinunciabile ruolo dello Stato, ma nella linea della sussidiarietà » (Ruini, 2000, p. 61). 2. L’AUTONOMIA Il nuovo ruolo dello Stato offre un fondamento solido sul piano del governo della cosa pubblica all’estensione dell’autonomia anche ai sistemi formativi. In ogni caso, tale introduzione possiede una sua intrinseca legittimità anche a livello pedagogico (Malizia, 2008). Infatti, l’autonomia consente alla singola scuola/centro di 95 gestire la sua vita sulla base della libertà dei soggetti educativi (docenti, genitori e studenti) e in particolare di venire incontro efficacemente alle esigenze dei giovani. In aggiunta, è in grado di aprire le strutture formative alle esigenze locali, rendendole più sensibili e attente ai bisogni del territorio e al tempo stesso più capaci di fornire risposte adeguate in tempi reali. Il potenziamento della qualità dell’istruzione, che attualmente rappresenta un nodo fondamentale in tutti i sistemi formativi, può ricevere un impulso importante da un’autonomia che stimoli la creatività dal basso. La scelta dell’autonomia corrisponde anche a un orientamento comune ai paesi dell’Unione Europea. Dopo la delusione provata nei confronti delle riforme globali venute dall’alto, degli Anni ‘60 e ‘70, il fulcro dei processi di rinnovamento si è spostato sulla singola realtà scolastica e formativa, sul progetto educativo d’istituto, sull’innovazione dal basso. In un contesto di continuo mutamento la possibilità di soddisfare le esigenze che insorgono incessantemente dipende in primo luogo dalla rapidità degli interventi. Inoltre, le probabilità di successo di un’innovazione sono mag giori quando l’insegnante ne è partecipe, la sente propria, ha contribuito personalmente ad elaborarla, approvarla, attuarla. Il cuore dell’autonomia è costituito dal riconoscimento della competenza progettuale : ogni scuola/centro dovrà essere messa in grado di elaborare un proprio progetto educativo/formativo in cui si rispecchi la sua identità e la sua fisionomia. A questo proposito vanno attribuiti ad ogni unità scolastica o formativa poteri adeguati di autonomia didattica, formativa, organizzativa e finanziaria. L’autonomia consente di procedere a una radicale trasformazione delle logiche che presiedono all’organizzazione della scuola/centro. Infatti, essa valorizza la specificità dei diversi disegni educativi e al tempo stesso persegue le finalità generali e gli obiettivi comuni che la società attribuisce al sistema educativo nazionale. In questa linea va messa in risalto la consonanza profonda tra autonomia e parità : infatti, le ragioni dell’autonomia sono le stesse che fondano la parità. Alla base di ambedue le strategie si riscontra la medesima idea del primato della società civile sullo Stato. Inoltre, autonomia e parità si costruiscono sulla libertà dei soggetti educativi (docenti, allievi e genitori). In terzo luogo le scuole/centri paritari si presentano come istituti capaci di dare un contributo valido per affrontare in modo vincente la questione centrale nell’attuale dibattito sull’istruzione in Europa e nel mondo che è quella della qualità. 97 BIBLIOGRAFIA A LLULLI G., Le misure della qualità, Roma, Seam, 2000. A VALLONE F., Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Costruire e gestire relazioni nei contesti professionali e sociali, Roma, Carocci, 2011. B ARKER B., Transforming schools: illusion or reality?, in “School Leadership and Management”, 25 (2005), n. 2, pp. 99-116. B ENADUSI L. - R. 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Aspetti fondanti .................................................................................................. 15 1.2. Punti forti e deboli del modello formale............................................................... 17 2. Il modello collegiale............................................................................................................ 18 2.1. Le caratteristiche principali ................................................................................ 18 2.2. Punti forti e deboli del modello ........................................................................... 19 3. Il modello politico ............................................................................................................... 21 3.1. Dimensioni comuni ............................................................................................. 21 3.2. Un bilancio del modello...................................................................................... 22 4. Il modello soggettivo........................................................................................................... 23 4.1. Aspetti comuni e fondamentali............................................................................. 24 4.2. Elementi validi e criticità .................................................................................... 24 5. Il modello ambiguo............................................................................................................. 26 5.1. Dimensioni comuni e fondanti ............................................................................. 26 5.2. Un bilancio del modello...................................................................................... 28 6. Il modello culturale ............................................................................................................ 29 6.1. Una presentazione generale del modello.............................................................. 29 6.2. Aspetti validi e criticità ....................................................................................... 30 7. Il modello della qualità totale............................................................................................ 31 7.1. Aspetti comuni e fondamentali............................................................................. 31 7.2. Elementi validi e criticità .................................................................................... 37 8. Osservazioni conclusive ..................................................................................................... 39 CAPITOLO 2 Le dimensioni dell’organizzazione scolastica e formativa....................................... 41 1. Gli obiettivi.......................................................................................................................... 41 102 2. La struttura......................................................................................................................... 46 3. L’ambiente esterno ............................................................................................................. 56 4. La leadership educativa di una scuola/centro................................................................. 64 CAPITOLO 3 L’organizzazione del Centro di Formazione per il Lavoro ...................................... 77 1. Il CFP come comunità formatrice.................................................................................... 77 2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro ..................................... 82 3. Una leadership morale e condivisa per la formazione................................................... 85 3.1. Una definizione .................................................................................................. 86 3.2. Le funzioni specifiche.......................................................................................... 88 CONCLUSIONI GENERALI Il quadro generale di riferimento: i principi di sussidiarietà e di autonomia.................................................................. 93 1. L’emergere della scuola della società civile ..................................................................... 93 2. L’autonomia ........................................................................................................................ 94 BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................ 97 INDICE ........................................................................................................................... 101 103 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 104 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 D ONATI C. - L. 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Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 D ONATI C. - B ELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 D ORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 D ORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valutazione , 2014 2015 P ELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rapporto finale, 2015 A LLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 M ALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOSFAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 105 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). 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Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 F RISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com107 prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei percorsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. 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(a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Dicembre 2015

La Formazione in servizio dei formatori del CNOS-FAP. Lo stato dell'arte e le prospettive

Autore: 
G. Malizia - M.P. Piccini - S. Cicatelli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2015
Numero pagine: 
286
Codice: 
978-88-95640-63-1
Guglielmo MALIZIA Maria Paola PICCINI Sergio CICATELLI La Formazione in servizio dei formatori del CNOS-FAP Lo stato dell’arte e le prospettive Anno 2015 Università Pontificia Salesiana Facoltà di Scienze dell’Educazione Istituto di Sociologia Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FIAT GROUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, Egidio CIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, Roberto PARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, Giampaolo SINTONI, Dario RUBERI. ©2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 PRIMO CAPITOLO Il quadro di riferimento (G. Malizia - S. Cicatelli)......................................................................................... 11 SECONDO CAPITOLO Operatori del CNOS-FAP e Formazione in servizio. Il Quadro dei Dati dell’Archivio dell’Ente (G. Malizia - M.P. Piccini)....................................................................................... 69 TERZO CAPITOLO A confronto sulla Formazione in servizio del CNOS-FAP. Delegati regionali, Direttori dei CFP e Segretari Nazionali dei Settori e delle Aree professionali (G. Malizia - M.P. Piccini)....................................................................................... 145 QUARTO CAPITOLO Soddisfazione per le attività di Formazione in servizio (M.P. Piccini)............................................................................................................ 187 QUINTO CAPITOLO Studio di dodici casi mediante focus group (S. Cicatelli - M.P. Piccini - G. Malizia) ................................................................. 205 CONCLUSIONI GENERALI (G. Malizia - M.P. Piccini - S. Cicatelli) ................................................................. 237 BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................ 269 INDICE ........................................................................................................................... 277 3 5 INTRODUZIONE Se gli allievi sono i destinatari principali dell’attività educativa dei CFP del CNOS-FAP, il motore dei relativi processi va identificato in primo luogo nei formatori. Negli ultimi anni non sono mancate indagini sui giovani che frequentano i Centri di Formazione Professionale, come per esempio quella annuale sul loro successo nella IeFP (Malizia e Pieroni, 2013a e b; Marchioro, 2014; Malizia e Gentile, 2015) o quella del 2013 sui rapporti tra allievi, CFP e famiglia (Orlando, 2014)1, mentre l’ultima ricerca sui formatori risale a più di dieci anni fa (Malizia, Pieroni e Salatin, 2001); era perciò necessario e urgente avviare uno studio su di loro, non tanto su tutti gli aspetti del loro complesso ruolo, quanto su ciò che ne rende possibile l’esercizio efficace, la formazione specialmente in servizio. 1. OBIETTIVI Nella ricerca del 2000-01 lo scopo era sia di approfondire la conoscenza della situazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia di elaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguata degli operatori, sia di predisporre un’ipotesi di standard formatori (Malizia, Pieroni e Salatin, 2001). L’indagine evidenziava un posizionamento professionale medio più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri enti italiani), ma segnalava più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo. Quanto ai miglioramenti previsti, anzitutto si proponeva un dispositivo formativo con impianto flessibile; in secondo luogo, si suggeriva di elaborare un piano con una prospettiva poliennale che si sarebbe dovuto inserire nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Nazionale alle sedi locali e integrare agli eventuali piani formativi dei CFP, ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione della implementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dello sviluppo della contrattazione collettiva di comparto. Negli oltre dieci anni trascorsi da quella ricerca, la Federazione e in particolare la Sede Nazionale hanno maturato un’offerta molteplice: – corsi residenziali nazionali di carattere prevalentemente tecnologico svolti principalmente in collaborazione con le maggiori imprese del Settore che hanno sottoscritto Accordi di collaborazione; 1 Solo per richiamare le più recenti. 6 – corsi residenziali su tematiche metodologiche e tecnologiche realizzati a livello locale, per rispondere con più efficacia alle esigenze dei vari contesti e coinvolgere più facilmente l’intera équipe dei formatori; – corsi di formazione in FAD con proposta di certificazione finale delle competenze attuati in collaborazione con l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (IUSVE); – proposta di seminari e giornate di studio annuali per i delegati regionali e, distintamente, per il personale direttivo; – giornate di coordinamento per i segretari nazionali dei Settori e delle Aree professionali; – una giornata di coordinamento, a ritmo annuale, con tutti i formatori che operano nei Settori e nelle Aree professionali per verificare e progettare per ciascun Settore/Area professionale le attività di aggiornamento. Indirettamente i risultati delle indagine sul successo formativo citate sopra hanno confermato il buon livello di preparazione dei formatori del CNOS-FAP. Mancavano però riscontri diretti e precisi sia sul piano quantitativo che qualitativo per cui si è deciso di affidare una indagine in proposito all’Istituto di Sociologia dell’Educazione dell’Università Salesiana che cercasse di evidenziare costi e benefici della offerta dell’Ente riguardo ai formatori nel quadro del complesso delle iniziative previste anche per gli altri dipendenti. Di conseguenza attraverso la ricerca di cui si riferiscono qui i risultati principali si è inteso perseguire i seguenti obiettivi: a) descrivere lo stato dell’arte della formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale del CNOS-FAP, senza tralasciare di considerare con attenzione anche quelli che non partecipano alle offerte di corsi, per determinarne la consistenza quantitativa, la distribuzione territoriale e per settori, le motivazioni e i giudizi; b) valutare l’adeguatezza, l’efficienza e l’efficacia dell’offerta di formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale, utilizzando una molteplicità di referenti come per esempio gli stessi formatori e gli altri operatori, i docenti dei corsi di aggiornamento, i direttori dei CFP, i segretari nazionali dei Settori, i delegati regionali; questa valutazione dovrebbe mettere in rilievo i punti di forza (eccellenze) e i punti deboli del sistema di formazione dei formatori CNOS-FAP; c) sulla base dei risultati delle analisi quantitative e qualitative e tenendo conto delle suggestioni dei referenti principali, elaborare una serie di proposte per correggere le possibili criticità, per adeguare la formazione dei formatori e degli altri operatori alle attuali esigenze, per introdurre le necessarie innovazioni e per potenziare l’efficienza e l’efficacia. Una specie di “buone prassi” da offrire a tutto il sistema attraverso i corsi nazionali e il sito web. 7 2. DISEGNO DI ANALISI La ricerca utilizza una pluralità di strumenti in relazione ai diversi referenti. In questa maniera si è pensato di poter assicurare un’analisi in profondità e una sufficiente oggettività nelle valutazioni. Invece di servirsi di un questionario dettagliato per la ricerca di sfondo, in quanto si tratta di dati che vengono già raccolti regolarmente da altri Enti, si è preferito elaborare i risultati delle schede di gradimento che sono applicate al termine di ogni corso. Dal momento che soltanto negli ultimi due anni sono state somministrate anche ai docenti dei corsi di formazione dei formatori e degli altri operatori, si è deciso di elaborare i dati delle schede dei formatori/operatori e dei docenti relative all’ultimo biennio, 2012-13. Si sono anche raccolti i risultati dell’esame delle competenze previsto nella FAD. Allo scopo di costruire il database di tutti i frequentanti i corsi di formazione e di quelli che non hanno mai partecipato, sono stati analizzati l’Archivio dei dipendenti e l’Elenco dei corsi e dei Seminari dei Settori professionali. Questa disamina ha permesso di delineare lo stato dell’arte della formazione dei formatori e più in generale dei dipendenti del CNOS-FAP sul piano soprattutto quantitativo e ha consentito di orientare i successivi approfondimenti di natura più qualitativa. Al fine soprattutto di valutare l’adeguatezza, l’efficacia e l’efficienza dell’offerta che viene effettuata dal CNOS-FAP in tema di formazione in servizio, ci si è rivolti anche a referenti particolarmente significativi. In particolare si sono raccolti i giudizi di operatori che occupano un posto centrale dal lato dell’offerta di formazione e cioè, i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari nazionali dei Settori e delle Aree professionali. Questa fase dello studio è stata condotta per mezzo della costruzione e somministrazione di un questionario ad hoc, allo scopo di rilevare e descrivere la percezione dei referenti appena indicati in merito al - l’adeguatezza dell’offerta di Formazione in servizio del CNOS-FAP degli ultimi due anni. Nel sondaggio sono stati coinvolti 70 intervistati: 11 Segretari nazionali, 47 Direttori di CFP e 12 Delegati regionali, dei quali 3 erano anche Direttori di CFP. Attraverso dei focus group si è realizzato uno studio di casi con cui si sono raccolte le opinioni delle componenti principali di un CFP. Per l’individuazione dei CFP da prendere in considerazione per questo studio si è assunto, in primo luogo, un criterio basato sulle dimensioni dei Centri e, in secondo luogo, un “criterio geografico”. In questo modo sono state rappresentate tutte le Regioni nelle quali si collocano CFP funzionanti e disponibili e, secondo la consistenza quantitativa dei Centri, situazioni di eccellenza e problematiche e, all’interno dei singoli CFP, opinioni diverse, favorevoli o sfavorevoli, dei diversi soggetti coinvolti. La scelta di condurre i focus group nei CFP più grandi è stata dettata da ragioni legate alla maggiore disponibilità del personale docente e non e, soprattutto, alla disponibilità di una potenziale ampia gamma di opinioni ed esperienze che potevano essere appro- 8 fondite per mezzo delle interviste di gruppo. Nelle Regioni più grandi e con un maggior numero di Centri sono state effettuate due visite a due CFP diversi. I CFP delle Regioni del Sud e delle Isole sono stati esclusi dalla selezione in ragione del perdurare della situazione problematica e precaria. La scelta dei CFP coinvolti in questa fase dello studio, dunque, ne ha compresi complessivamente dodici: due in Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio; uno in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Umbria. I focus group hanno visto la partecipazione di novantacinque operatori del CNOS-FAP, tra i quali formatori dei diversi settori, membri dello staff direttivo, coordinatori, personale amministrativo, operatori giovani e meno giovani, con diversa esperienza di partecipazione ai corsi, con differente atteggiamento nei confronti della formazione in servizio, con esperienza di partecipazione a vari tipi di attività. 3. DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ PER TEMPI/FASI Il progetto si è sviluppato nelle seguenti crono-tappe: a) marzo-aprile 2014: messa a punto del progetto di ricerca; b) maggio-giugno 2014: elaborazione del questionario per i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari dei Settori professionali, sua applicazione a tali referenti ed elaborazione dei relativi dati; c) giugno-settembre 2014: preparazione della bozza del rapporto sul sondaggio appena ricordato e predisposizione degli strumenti di indagine per lo studio dei casi; d) ottobre-novembre 2014: realizzazione dei focus group ed elaborazione dei dati dell’archivio dipendenti del CNOS-FAP; e) dicembre 2014-marzo 2015: stesura del rapporto finale. 4. SCHEMA DELLA PRESENTE PUBBLICAZIONE Essa include cinque capitoli più l’introduzione, le conclusioni e la bibliografia. Il primo capitolo delinea il quadro teorico della ricerca. Esso ha come punto di riferimento principale la formazione in servizio nella FP del CNOS-FAP ma non si limita solo a questa: infatti, la formazione in servizio è strettamente connessa con due tematiche e cioè il ruolo dei formatori e la loro formazione iniziale. Pertanto, per una comprensione adeguata delle problematiche si è tenuto conto dei tre aspetti, come anche della loro contestualizzazione nel mondo della scuola cattolica, trattandosi di CFP di ispirazione cristiana. Il secondo capitolo analizza i dati dell’archivio dell’Ente che contiene le informazioni sugli operatori del CNOS-FAP e la loro formazione in servizio. Più precisamente, vengono illustrate la condizione degli operatori del CNOS-FAP nell’anno 9 formativo 2013-14 e la situazione della formazione in servizio nel 2012 e nel 2013, e questo non solo a livello nazionale e di circoscrizione geografica, ma anche per regioni e Centri. Nel capitolo terzo i Delegati regionali, i Direttori dei CFP e i Segretari nazionali dei Settori e delle Aree professionali si confrontano sulla formazione in servizio del CNOS-FAP. Le valutazioni di questi referenti significativi, raccolte mediante un questionario, vengono attentamente analizzate dai ricercatori in tutti i loro aspetti. Da quando ha ottenuto la certificazione, la Sede Nazionale CNOS-FAP provvede alla somministrazione di questionari di soddisfazione al termine degli interventi di formazione in servizio, al fine di ottenere suggerimenti e indicazioni utili per le azioni future. I questionari vengono applicati agli operatori a conclusione delle diverse iniziative e, nel caso dei corsi residenziali nazionali e regionali, dall’anno 2012, una versione modificata dello strumento è stata proposta anche ai docenti responsabili della conduzione delle iniziative. Il capitolo quarto esamina i risultati di questa rilevazione sistematica, evidenziando una ampia area di gradimento. Il capitolo successivo riporta in sintesi i risultati degli studi di caso realizzati attraverso il ricorso alla tecnica dei focus group. In particolare, con tutte le componenti dei Centri selezionati sono state approfondite tematiche centrali per la conoscenza e la valutazione della Formazione in servizio come la partecipazione alle iniziative, i loro punti di forza e di debolezza, le ricadute sull’attività formativa e didattica e le proposte di miglioramento. Le conclusioni evidenziano che la Sede nazionale del CNOS-FAP si è impegnata in maniera adeguata a realizzare le indicazioni della indagine del 2000-01 e i relativi esiti sono stati nel complesso soddisfacenti. Dalla ricerca attuale emerge che la Formazione in servizio dell’Ente merita in generale un giudizio di sufficienza, spesso anche di buono, mentre l’ottimo riguarda ancora un numero piuttosto contenuto di aree. È su queste soprattutto che si dovranno concentrare gli sforzi del CNOS-FAP nei prossimi anni, ma per raggiungere tale scopo sarà necessario anche un monitoraggio continuo delle iniziative realizzate: anche da questo punto di vista, la ricerca offre utili indicazioni, confermando quanto già realizzato e proponendo miglioramenti o il ricorso a nuovi strumenti. Il volume è completato da un’ampia bibliografia che non si limita al CNOSFAP, ma abbraccia anche la FP e il sistema dell’Istruzione. Terminiamo con i ringraziamenti. Anzitutto ai professori Orlando, Pieroni e Vettorato che hanno contribuito alla elaborazione del progetto di ricerca e alla conduzione dell’indagine con diversi apporti in differenti momenti dello svolgimento dello studio. Siamo anche riconoscenti alla Sede nazionale del CNOS-FAP nella persona del suo Presidente, professor Mario Tonini, non solo per averci affidato la presente investigazione, ma anche per il supporto offerto nelle varie fasi della sua attuazione. Ringraziamo da ultimo le dottoresse Beatrice Russo e Maria Cristina Monacchia per il loro ruolo di moderatrici nei focus group. 11 Primo capitolo Il quadro di riferimento Guglielmo Malizia - Sergio Cicatelli Incominciamo con una premessa. Il quadro che ci apprestiamo a delineare ha come punto di riferimento principale la Formazione in servizio nella FP del CNOS-FAP ma non si limita meramente ad essa; infatti, questa è strettamente connessa con il ruolo dei formatori e con la loro formazione iniziale. Pertanto, per una comprensione adeguata delle problematiche non potremo non tener contro dei tre aspetti, come anche della loro contestualizzazione nel mondo della scuola cattolica, trattandosi di CFP di ispirazione cristiana. È inoltre evidente che la formazione (iniziale e in servizio) del personale docente e la condizione del sistema di scuola cattolica sono tematiche che si collocano sullo sfondo della situazione complessiva della scuola italiana. Ad ogni teoria della formazione docente corrisponde infatti una teoria della scuola e le scuole cattoliche appartengono – in quanto paritarie – all’unico sistema educativo di Istruzione e di Formazione, che a sua volta comprende anche il settore dell’istruzione e formazione professionale di cui fanno parte i Centri del CNOSFAP. L’argomento è pertanto estremamente vasto e oggetto di continue riforme e trasformazioni. Nella pagine che seguono si cercherà di tratteggiare sia lo specifico problema della formazione dei formatori (e più in generale quella di tutto il personale docente italiano), sia l’evoluzione recente del sistema scolastico-formativo. L’articolazione fondamentale del capitolo è semplice. Nella prima parte si cercherà di presentare il quadro teorico che offre i parametri principali di riferimento della ricerca. La seconda sezione sarà focalizzata sulla contestualizzazione delle problematiche in esame: in altre parole, verrà delineata l’evoluzione che è avvenuta al riguardo in Italia. 1. LA BASE TEORICA Il paragrafo si articola in due sezioni principali. La prima illustra le tendenze a livello internazionale; la seconda è riservata alle posizioni specifiche della scuola cattolica. 12 1.1. Le tendenze a livello internazionale Per la distribuzione interna degli argomenti partiamo da due dei principali riferimenti indicati sopra, il ruolo e la formazione, ricordando che la seconda ha senso solo se funzionale al primo. 1.1.1. Il ruolo degli insegnanti L’innovazione principale che si registra in proposito nel corso degli ultimi decenni del secolo appena trascorso è rappresentata dall’evoluzione dal monopolio alla mediazione (Goble e Porter, 1977; Faure et alii, 1972; Avalos, 1991; Cresson e Flynn, 1995; Delors et alii, 1996; Rapporto mondiale sull’educazione. 2000, 2000; Apprendre et enseigner dans la société de la communication, 2005; Malizia, 2008). Secondo la concezione tradizionale l’insegnante detiene il monopolio delle conoscenze, le trasmette a chi non le ha e cessa dalla sua funzione quando l’allievo ha appreso tutto ciò che sa l’insegnante. Ciò presuppone a monte che le conoscenze abbiano una natura fissa, finita e quantitativamente misurabile, cioè che l’apprendimento consista nel deposito e nell’accumulazione di saperi, e che tra docente e allievo si riscontri un dislivello di conoscenze che viene colmato dal travaso di nozioni dal primo al secondo; una volta compiuto tale trasferimento, l’educando o si inserisce nella vita pratica o passa a un altro insegnante che ne sa più del primo. Inoltre, la condizione dell’insegnante si basa sul fatto di possedere maggiori cognizioni di altri, in specie dei propri allievi. Questo significa che il docente di un livello scolastico si vede riconosciuto uno status superiore a quello del collega del livello precedente e che esso aumenta con l’elevarsi dell’età dello studente. Da ultimo, il titolo di studio posseduto dal docente è inteso come misura (quantitativa) della lunghezza della formazione e della capacità di riprodurre dei modelli piuttosto che come indice (qualitativo) delle conoscenze e delle competenze acquisite. Alla fine degli Anni ‘60 il modello del monopolio è entrato in crisi soprattutto per effetto di due fattori. In primo luogo, va ricordata l’espansione enorme delle conoscenze, per cui nessuno può vantare il monopolio dei saperi in un determinato settore di studio. Il secondo fattore consiste nell’esplosione delle aspettative di eguaglianza che rende sempre meno accettabile l’esistenza di una gerarchia rigida di status tra le diverse categorie di insegnanti. La prima risposta alla crisi è consistita in un tentativo di modernizzare il modello del monopolio attraverso delle correzioni che però non ne hanno cambiato la sostanza. La soluzione è venuta dal riconoscimento agli insegnanti di un nuovo ruolo, quello della mediazione. In altre parole, l’insegnante si interpone tra l’educando e la massa delle informazioni frammentarie, prive di ordine e tra loro spesso contrastanti che tendono a sommergerlo, per aiutarlo a integrarle in un quadro coerente di conoscenze. Il compito di trasmettere le conoscenze perde la priorità, anche se non cessa di conservare la sua rilevanza; diviene invece essenziale il compito di formare nell’educando la capacità di individuare, verificare e assimilare le 13 conoscenze e le competenze che gli consentiranno di formulare e realizzare gli obiettivi delle sue azioni sulla base di una valutazione realistica della situazione in cui vive e nel rispetto degli interessi collettivi e dei diritti altrui. Ne consegue che il docente non è più tanto o principalmente la fonte delle informazioni, ma il suo ruolo consiste anzitutto nel guidare alle fonti delle conoscenze e nel predisporre le occasioni di apprendimento. 1.1.2. La formazione degli insegnanti Sulla formazione degli insegnanti è opportuno distinguere tra le indicazioni generali e quelle specifiche su formazione iniziale e formazione in servizio (Apprendre et enseigner dans la société de la communication, 2005; Malizia, 2008; Torres, 1996; Delors et alii, 1996; Blondel, Delors et alii, 1998; Rapporto mondiale sull’educazione. 2000, 2000; Bindé, 2002; Halperin e Ratteree, 2003; Silvestre Oramas, 2003). a) Indicazioni generali Tenuto conto nell’insieme del nuovo ruolo dei docenti e delle attese che la società nutre nei loro confronti, è opportuno tentare di definire le esigenze formative basilari degli insegnanti. – La prima è di coinvolgerli direttamente nella ricerca di una risposta a tutte le problematiche che li riguardano, comprese quelle della riforma dei sistemi educativi di Istruzione e di Formazione. – Un bisogno molto sentito è quello di una consonanza piena tra il curricolo della scuola e quello seguito dagli stessi insegnanti nella loro formazione. – È necessario evitare ogni dicotomia, ma al contrario si deve trovare nella formazione degli insegnanti una integrazione equilibrata, tra la preparazione in una o più discipline, la competenza pedagogica e l’educazione culturale generale di base. – La preparazione dei docenti dovrebbe comprendere non solo gli aspetti cognitivi, ma anche quelli emotivi e valoriali. – Le esigenze di apprendimento dei docenti sono diversificate e, pertanto, vanno trovate delle risposte altrettanto differenziate sul piano dell’offerta formativa. – Un’attenzione prioritaria dovrebbe essere prestata alle carenze nella preparazione di base degli insegnanti che vanno colmate con urgenza nel corso della loro formazione. – La stessa considerazione va data ad alcune aree del processo di insegnamentoapprendimento che si sono dimostrate particolarmente critiche come per esempio: l’insegnamento della lettura e della scrittura; le ripetenze e gli abbandoni con le loro cause e i loro effetti; la programmazione didattica; le difficoltà di apprendimento; la valutazione degli apprendimenti. – Si deve assolutamente evitare di presupporre negli insegnanti conoscenze e competenze che essi mai hanno ricevuto nella formazione iniziale o in servizio, come per esempio: la capacità di innovazione; la partecipazione a gruppi 14 di lavoro; le gestione dei compiti a casa; l’adattamento del curricolo; i criteri di valutazione; la promozione del coinvolgimento delle famiglie e della comunità nella scuola; la progettazione e l’attuazione delle attività extrascolastiche. Il problema nasce dal fatto che mentre a livello di formulazione le politiche educative delineano una figura di insegnante e un modello di formazione dei docenti che si muovono nell’ambito del quadro sopra delineato, al momento della loro realizzazione non vengono prese misure adeguate per rendere concreti gli obiettivi proclamati. Più in particolare: – la formazione dei docenti continua ad occupare una collocazione marginale nelle politiche educative; – agli insegnanti si chiede di assicurare buone prestazioni da parte degli allievi, ma non vengono posti nelle condizioni di garantire processi validi di insegnamento- apprendimento; – l’innovazione in campo scolastico continua ad essere concepita come un’operazione di breve termine da realizzarsi rapidamente; – le condizioni di lavoro dei docenti (stato giuridico, stipendi, orari, assicurazioni) non sono mai prese in seria considerazione per arrivare a delle soluzioni soddisfacenti dei relativi problemi. In conclusione, dalle argomentazioni fin qui presentate emergono le seguenti linee generali per un ripensamento della formazione degli insegnanti. 1. Essa non può essere ristretta ad un addestramento, ma deve offrire tutte le conoscenze e competenze richieste dalla complessità della vita sociale: non ci si può limitare a sviluppare le abilità necessarie per svolgere compiti specifici ma bisogna ripensare le relazioni tra teoria e pratica, tra dimensione organizzativa e pedagogica, tra scuola e comunità. 2. Va superato l’approccio tradizionale alle riforme che consiste nell’adeguare gli insegnanti e la loro formazione al piano di riforma già deciso. Al contrario le conoscenze, le esperienze e la partecipazione attiva degli insegnanti sono essenziali per l’elaborazione di proposte valide di innovazione e per il successo della loro attuazione. 3. Il compito di gestire e di riformare in modo efficace la formazione degli insegnanti si presenta molto complesso e, pertanto, non può essere assolto solo dallo Stato che, comunque, deve continuare a svolgere un ruolo principale. In aggiunta, vanno coinvolte le associazioni degli insegnanti, le organizzazioni non governative che si occupano di questo ambito, i centri e le istituzioni accademiche e di ricerca, il privato sociale e il mercato. 4. L’elevazione della qualità di tutto il sistema educativo attraverso la riforma è una misura più efficace e meno costosa che non quella di dover prevedere nella formazione degli insegnanti un settore consistente dedicato al recupero delle carenze nella formazione culturale generale di quanti usciti dalla scuola si iscrivono ai percorsi per la preparazione dei docenti. 15 5. La riflessione critica e la sistemazione delle proprie prassi rappresentano lo strumento più efficace di cui dispongono gli insegnanti per elevare il livello della loro professionalità. La formazione dei docenti deve preparare all’analisi della pratica dell’insegnamento e deve farne un pilastro del suo program - ma. 6. La formazione degli insegnanti va considerata come una strategia in se stessa e non semplicemente come parte di un disegno più grande di innovazione e ad esso funzionale. Infatti, essa costituisce un processo continuo, realizzato in varie modalità e passando attraverso diverse fasi. 7. Il punto di partenza deve essere identificato nelle esigenze degli insegnanti, anche se non ci si può fermare a queste perché molto spesso sono domande di breve respiro che curano i sintomi, ma non le cause di fondo. Esse vanno integrate nel complesso della domanda sociale per cui la formazione degli insegnanti deve tra l’altro abilitare i docenti a riorientare i loro bisogni di apprendimento verso un ruolo più professionale. 8. La formazione degli insegnanti rientra nell’ambito dell’educazione degli adulti e deve cercare di utilizzare le conoscenze e le esperienze più valide che tale livello del sistema educativo ha realizzato. 9. Per l’efficacia della formazione degli insegnanti è essenziale che le persone in formazione possano vedere le innovazioni in atto. A ciò potrebbero contribuire reti di scuole in grado di offrire buone pratiche. 10. Pur essendosi sviluppata inizialmente come una professione da realizzare individualmente, nel tempo è emerso prepotentemente il bisogno e il dovere di lavorare in gruppo. Per divenire realtà ciò richiede una formazione adeguata da parte dei docenti e la previsione di spazi negli edifici e, soprattutto, di tempi nel calendario scolastico. 11. La preparazione all’autoformazione e allo studio personale costituisce una carenza riconosciuta dei sistemi educativi, mentre rappresenta una precondizione essenziale per quell’apprendere per tutta la vita che nella società del cambiamento è richiesto a tutti per rimanere padroni della propria esistenza. Anche questo è un ambito da curare particolarmente nel ripensamento della formazione degli insegnanti. b) La formazione iniziale Le modalità principali di formazione iniziale possono essere sintetizzate in tre strategie. La prima consiste nel non prevedere nessuna formazione specifica per cui, ad esempio nei Paesi in via di sviluppo, si va a insegnare dopo la scuola secondaria o la primaria e in quelli sviluppati (ma è più storia che realtà) dopo il 1° ciclo dell’istruzione superiore. Certamente, non è una modalità appropriata di formazione e può essere accettata solo come ripiego in situazioni di mancanza di docenti a fronte di una domanda molto consistente di istruzione per evitare che tanti giovani rimangano senza l’educazione a cui aspirano legittimamente. 16 La seconda strategia è data dalla frequenza della preparazione specifica all’insegnamento dopo la formazione culturale generale e/o in un determinato settore scientifico (formazione consecutiva). Si situa dopo la scuola secondaria o dopo il 1° ciclo dell’istruzione superiore e consiste in almeno un anno che comprende insegnamenti come la teoria generale dell’educazione, la didattica, le scienze sociali (psicologia e sociologia dell’educazione...). La terza modalità è costituita dalla frequenza contemporanea e intrecciata della preparazione specifica all’insegnamento e della formazione culturale generale e/o in un determinato settore scientifico (formazione parallela). Tale tipo di offerta si situa di solito a livello post-scolastico. La formazione consecutiva e quella parallela sono ambedue strategie valide. Esaminiamo ora i programmi di formazione specifica alla funzione docente sia che essi assumano la modalità parallela, sia che si presentino in quella consecutiva. Si tratta di tre possibili strategie. La formazione orientata consiste in un programma coerente finalizzato fin dall’inizio esclusivamente all’insegnamento. I vantaggi sono diversi: facilita una progettazione coerente dell’offerta formativa, consente la predisposizione di un curricolo armonico e permette la costituzione di vere comunità educative. Non mancano, tuttavia, i problemi: essa offre possibilità più ridotte di scelta agli studenti, può mancare di stimoli e di varietà e dipende dalla domanda di insegnanti che si riscontra in ogni Paese. Al contrario la formazione aperta prevede per chi la frequenta una molteplicità di sbocchi professionali. In questo caso gli elementi positivi possono essere identificati nei seguenti aspetti: tale modalità di organizzare i programmi di formazione specifica permette agli studenti una maggiore flessibilità nelle scelte, consente una decisione più matura perché la scelta è ritardata rispetto al momento dell’inizio e assicura risorse migliori e maggiori opportunità di ricerca, essendo inserita in un contesto universitario e svolgendosi in un primo momento insieme a discipline di maggiore prestigio. I limiti possono essere visti nella mancanza di specificità dei programmi e nella difficoltà di conferire al curricolo una fisionomia professionale unitaria. Una terza strategia consiste nella formazione basata sulla scuola che è acquisita principalmente durante l’insegnamento. Le ragioni di questa modalità vanno ricercate nel bisogno urgente che i Paesi in via di sviluppo hanno di docenti. Dal punto di vista organizzativo, dopo la scuola secondaria superiore (o meno) il futuro insegnante svolge un breve periodo di formazione universitaria e successivamente viene assegnato a una scuola dove continua la formazione personale e la preparazione professionale. Tra i vantaggi si può ricordare che: viene valorizzata l’esperienza di insegnamento; lo studente si trova già nella situazione per la quale viene formato; questo tipo di programma stimola l’interesse e si caratterizza per un maggiore realismo; inoltre, favorisce l’allargamento dell’accesso all’istruzione, soprattutto di base. Il problema più grave consiste nel pericolo di un insuccesso del docente che viene im- 17 messo nell’insegnamento senza la dovuta preparazione, per cui rischia di danneggiare gravemente gli allievi. In ogni caso, questa modalità è ammissibile solo come transitoria. In conclusione, riguardo all’organizzazione dei programmi di formazione specifica non esiste una strategia totalmente buona o cattiva, ma la validità dipende dal contesto in cui ci si trova ad operare. Nelle sue realizzazioni più adeguate la formazione iniziale si articola solitamente in cicli. Il primo offre una formazione generale ed una eventuale preparazione di base nelle scienze dell’educazione. Di solito si situa a livello di istruzione superiore, ha un minimo di durata di un anno e di norma conduce a un primo diploma. Il secondo ciclo può essere organizzato in forma parallela o consecutiva e generalmente si articola in due parti: la prima è dedicata allo studio centrato sulle competenze professionali, si svolge a livello di istruzione superiore nella forma del dipartimento e richiede un’esperienza di insegnamento (diretta o simulata); la seconda parte consiste nell’iniziazione pratica guidata e viene realizzata in una scuola sotto la guida di un consigliere pedagogico (per cui cfr. sotto la sezione c). C’è anche bisogno di un aiuto esterno alla scuola (circoli pedagogici di cui alla sezione c; istituzione di istruzione superiore presso la quale si sono studiate le scienze dell’educazione). La durata è di almeno un anno. La valutazione per l’assunzione definitiva dovrebbe essere affidata a un collegio di esaminatori formato per esempio da un ispettore, dal direttore della scuola, dal consigliere pedagogico, da un professore universitario e da un insegnante della scuola. c) La formazione in servizio Si richiamano anzitutto le tendenze generali più significative. In primo luogo va segnalato l’orientamento a utilizzare prevalentemente le strutture e l’organizzazione delle istituzioni incaricate della formazione iniziale. Ciò consente tra l’altro di valutare i programmi della formazione iniziale e di renderli più concreti dato il feedback che può venire dagli ex-allievi che sono coinvolti direttamente nella pratica della docenza. Nei Paesi sviluppati la finalità principale consiste nell’aggiornare e modernizzare un personale invecchiato e tradizionalista. Al contrario nelle nazioni in via di sviluppo si mira in via prioritaria a completare la formazione iniziale dei docenti. A livello nazionale, l’autorità responsabile delle politiche educative dovrà garantire la rispondenza a mete generali nel quadro dello sviluppo del sistema nazionale di educazione: questo permette di agganciare la formazione in servizio alle priorità del governo. Quanto al finanziamento, la responsabilità ultima spetta ai ministeri competenti, ma al tempo stesso va realizzato un adeguato decentramento regionale della gestione. In alcuni Paesi (soprattutto la Francia e quelli dell’area francofona) funzionano centri pedagogici nazionali con compiti di ricerca, formazione, innovazione, aiuto e documentazione. La formula è valida se questi centri non si trasformano in strutture isolate, dedite solo all’investigazione teorica; al contrario esse sono chiamate a svolgere un ruolo importante di collegamento tra le istituzioni 18 per la formazione iniziale dei docenti, le scuole e la ricerca di base; un’altra funzione significativa è quella di diffondere prassi educative avanzate. Il livello regionale è quello dove dovrebbero concentrarsi i maggiori sforzi. In questo caso il perno consiste nell’istituzione incaricata della formazione iniziale dei docenti. A tale livello si raccomanda l’introduzione di circoli pedagogici locali (teachers’ centres) sia con compiti di promozione dell’innovazione pedagogica attraverso la partecipazione dei docenti migliori in veste di formatori, sia anche con funzioni sociali di aggregazione tra i docenti. Segue il livello della singola scuola che non solo non va trascurato, ma anzi deve assumere un’importanza primaria. Infatti, la formazione in servizio ha senso se i suoi effetti si fanno sentire positivamente in ciascun istituto, nelle singole classi e su ogni insegnante e allievo; altrimenti, è solo spreco di risorse e bisogna riconoscere che parte della formazione in servizio è in tali condizioni. Pertanto gli obiettivi a questo livello vanno identificati nel rinnovamento della scuola dall’interno e nel miglioramento della pratica pedagogica. Determinante per il successo della formazione in servizio nella singola scuola è la creazione di un ambiente che stimoli e sostenga le iniziative di aggiornamento; da questo punto di vista svolge un ruolo centrale la supervisione dei dirigenti che va concepita come un aiuto fornito da questi agli insegnanti allo scopo di migliorare la loro pratica nel rispetto della responsabilità primaria che essi hanno nel processo di insegnamento-apprendimento. Tale funzione può essere delegata (o il dirigente può essere affiancato da) a un consigliere pedagogico, docente esperto (che nel secondo caso ha soprattutto il compito di motivare gli insegnanti all’innovazione mediante la formazione e a organizzare la progettazione concreta di attività di aggiornamento). Attenzione adeguata va riservata al livello individuale del singolo insegnante. La formazione in servizio deve rispondere anche ai bisogni dei singoli docenti e non solo alle esigenze del sistema educativo di istruzione e di formazione o a quelle della scuola. Ciò implica la necessità di una partecipazione effettiva dei docenti alle decisioni relative alla formazione in servizio. 1.2. Ruolo e formazione degli insegnanti di scuola cattolica Essendo il CNOS-FAP un Ente di FP di ispirazione cristiana, non poteva mancare nel quadro teorico un riferimento importante alla riflessione pedagogica sugli insegnanti di scuola cattolica. Anche in questo caso adotteremo la tripartizione in ruolo, formazione iniziale e in servizio. 1.2.1. Essere insegnanti di scuola cattolica oggi Toccheremo in particolare tre aspetti che ci paiono centrali: il profilo, la relazione educativa e la diversità di carismi tra docenti religiosi e laici (Cicatelli, 2006; Cicatelli, 2009; Cicatelli, 2013; CNSC, 2008; CSSC, 2006; Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2006; Malizia e Cicatelli, 2005; Malizia, 2005). 19 a) Il profilo del docente di scuola cattolica Sull’identità del docente di scuola cattolica esiste da qualche anno un documento del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (CNSC, 2008), che riteniamo possa essere un punto di riferimento utile e imprescindibile per delineare il profilo umano e professionale di coloro che scelgono di prestare la propria opera educativa in una scuola cattolica. Essi si qualificano come professionisti dell’educazione e dell’istruzione, come educatori cristiani, come mediatori di uno specifico progetto educativo e come persone impegnate in un cammino di crescita spirituale. Va inoltre ricordato che tra il settembre del 2005 e l’ottobre del 2006 il CSSC (Centro Studi per la Scuola Cattolica) della CEI ha condotto una ricerca a livello nazionale sui docenti di scuola cattolica, comprensiva anche dei formatori della FP di ispirazione cristiana (CSSC, 2006, in particolare pp. 225-232): è anche su questa indagine che si basano alcune delle osservazioni proposte qui di seguito. A nostro giudizio, punto di partenza di ogni discorso sul profilo formativo del docente di scuola cattolica non può che essere la secolare tradizione educativa cristiana nelle sue espressioni migliori (CEI, 2010; Nanni, 2006; Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2006). Di essa fa intrinsecamente parte anzitutto un concetto di azione educativa vista non solo come educare, cioè nutrire culturalmente l’alunno con la trasmissione della migliore paideia sociale (riletta cristianamente), ma anche, ed essenzialmente, come e-ducere, cioè “risveglio” e “maieutica” della persona: sulla base di una con cezione antropologico-cristiana dell’educando quale soggetto che non è da idolatrare, ma neanche semplicemente da plasmare, perché è individualità creata e redenta da promuovere, persona da suscitare e da sostenere nel suo processo di crescita e di qualificazione personale dell’esistenza propria, altrui e comune. Un secondo fattore intrinseco e portante è certamente l’idea della scuola e del CFP intesi come comunità educativa: sorretta idealmente da un progetto educativo cristianamente ispirato, supportata da un ambiente educativamente accurato, vissuta in un clima di “famiglia”, praticata in collaborazione con le famiglie e la comunità territoriale e ecclesiale (e magari con le rispettive forme associative), aperta a iniziative di volontariato e di impegno civile e ecclesiale (CSSC, 2008; Sergiovanni, 2000; Wenger, 2006). Parte integrante del progetto educativo sottostante alla scuola cattolica è inoltre anche la concezione della relazione personale come strategia prima dell’educare – con la tradizione di fiducia, di stima, di rispetto, di dialogo, di incontro, di proposta che ciò comporta, e pur nella saggia attenzione alle tecnologie educative che l’innovazione scientifico-tecnologica offre. In quarto luogo la scuola cattolica è sorretta dalla considerazione che l’istruzione è un’illuminazione della mente per irrobustire il cuore e che l’educazione scolastica e dei CFP è, sì, stimolazione e formazione intellettuale (o professionale), ma anche (e in un certo senso soprattutto) “affare di cuore”: cioè esperienza di tensione ideale e morale, testimonianza ed esempio di “vita buona”, di ragionevolezza, 20 amorevolezza e giustizia vissute in prima persona e di per se stesse “effusive” e “contagiose”. Infine, è riferimento fondativo e orientante dei progetti educativi delle scuole cattoliche una cultura ispirata ad un umanesimo integrale, inteso sia come forma che come contenuto dell’educare – nella prospettiva della “civiltà della verità e dell’amore”. Questi tratti comuni della tradizione ecclesiale dovranno essere rivissuti secondo le modalità peculiari di ciascuna esperienza carismatica, origine di nuove realtà scolastiche e formative, con tutta la freschezza, la creatività e lo spessore anche storico che le potrà connotare (ad esempio, secondo lo “spirito” del sistema preventivo salesiano o del sistema educativo lasalliano o ignaziano; oppure con l’accento tipico dei Movimenti e delle nuove Comunità ecc.). Entro questo quadro si tratterà di portare a livello di coscienza personalizzata, in ciascun docente, una concezione cristiana del mondo e della vita. Infatti, la scuola cattolica risulta fondata sul mistero di Gesù Cristo che «rivela e promuove il senso nuovo dell’esistenza e la trasforma abilitando l’uomo a vivere in maniera divina, cioè a pensare, volere e agire secondo il Vangelo, facendo delle beatitudini la norma della vita» (Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, 1977, n. 34). È in Lui che si ha anche la rivelazione dell’amore misericordioso di Dio (di cui Cristo è il volto) e del rinnovamento umano nello Spirito. Tale concezione del mondo e della vita arriva a delineare una specifica visione del ragazzo/allievo: questi appare al contempo persona (come possono variamente affermare anche molte prospettive pedagogiche umanistiche contemporanee), immagine e somiglianza di Dio (come possono affermare anche pedagogisti di matrice ebraica o musulmana o comunque religiosa) ma, solo cristianamente, anche “figlio nel Figlio” e modello di quei “piccoli” che cercano evangelicamente il Regno di Dio e la sua verità-giustizia. Un altro punto da sviluppare, sia in sede di formazione iniziale che in sede di aggiornamento e formazione in servizio, consiste nell’approfondimento della testimonianza cristiana. In effetti l’ispirazione cristiana non si riduce a sola “referenza” o a solo quadro di riferimento ideale e valoriale. Essa pretende di essere – o perlomeno di poter essere – fonte di motivazione e ispirazione creativa di comportamenti e vissuti educativi peculiari. Per tale motivo lo stesso agire e rapportarsi educativo viene a risultare non solo come agire e relazione professionale, magari intrinsecamente connotati di dimensioni affettive, filantropiche, sociali, ma anche come un modo specifico di rapportarsi e vivere “agapicamente” (cioè secondo l’amore di Dio) la comune vicenda umana di liberazione e pienezza vitale, a cui tutti aspiriamo. La visione cristiana dell’educazione invita, da sempre, a pensare il proprio ruolo professionale di docenza come una vocazione e come una missione specifica, nel contesto della globale vocazione cristiana e della comune responsabilità sociale educativa: sia come sensibilità nativa e coltivata, sia come espressione e modo particolare di essere nella vita e nel processo di crescita del Corpo di Cristo 21 che è la Chiesa. L’indispensabile cura per questi aspetti di fondo della professione docente si rivela in grado di integrare armonicamente e sinteticamente anche ogni altra componente della professione docente. A livello personale, essa può promuovere l’integrazione tra vita, cultura e fede, come richiesto da tutto il magistero ecclesiale fin dal Vaticano II; tra personalità e ruoli; tra continuità e differenza di genere, di appartenenze vitali, di stagioni di vita; tra prima formazione ed aggiornamento continuo, tramite opportune iniziative e momenti. A livello di competenza culturale, può porsi come integrazione di esperienza soggettiva, di tradizione culturale ed ecclesiale, di ispirazione ideale e/o di fede, di conoscenza scientifica, di tecniche pedagogiche e didattiche, di operatività personale e comunitaria. A livello di azione educativa, è capace di tradursi nella integrazione tra mediazione e stimolazione per una globale ed unitaria formazione personale e sociale degli individui e delle aggregazioni comunitarie; o nell’integrazione tra azione individuale ed azione comunitaria, tra docenza disciplinare e connessione interdisciplinare e trasferimenti culturali e vitali (spingendo a essere professionisti dei nessi, delle disciplinarità e delle trasversalità, della ricerca analitica e di quella comprensiva, dell’approfondimento e dell’unificazione culturale e vitale). A livello di stili di apprendimento, essa può dar luogo all’opportuna coniugazione di sentire, osservare, teorizzare, progettare, operazionalizzare, valutare e verificare per un’azione comprensiva, referenziata, giustificata: con l’intenzione ultima di risultare al contempo valida, efficiente ed efficace, ma anche all’altezza dei bisogni, delle aspettative e del futuro dei ragazzi e delle ragazze, singoli e gruppi-classe, con cui si entra in relazione educativo-didattica. Nei docenti appare poco evidenziata l’attenzione specifica al compito educativo- sociale. Eppure questo aspetto della funzione docente è ineludibile. Rispetto ad un recente passato gli insegnanti di oggi sono chiamati a concorrere all’educazione alla convivenza civile e democratica di tutti e di ogni nuovo cittadino che viene alla ribalta della vita sociale adulta, fortemente segnata dalla multicultura. Essi debbono saper esprimere, all’interno della istituzione e della prassi scolastica, atteggiamenti e comportamenti in qualche modo riferibili a quell’etica civile collegata ai diritti umani e alle richieste di uno sviluppo sostenibile, equo e solidale, a cui i governi nazionali e gli organismi internazionali intendono (o perlomeno dicono di) ispirarsi e cercare di attuare. E a tali ideali civili si chiede che gli insegnanti educhino gli alunni, sia individualmente sia collegialmente come comunità di apprendimento. Questa attenzione ad una competenza educativa al sociale appartiene a pieno titolo alle scuole cattoliche e ai CFP di ispirazione cristiana, che da sempre hanno congiunto intenti di evangelizzazione e educazione della fede con sensibilità e promozione umana e sociale: con una particolare attenzione per gli “ultimi”. b) Il docente di scuola cattolica e la relazione educativa La capacità di coinvolgimento personale nella relazione educativa è parte costitutiva della professionalità docente (CNSC, 2008; La Marca, 2006; Malizia, 22 Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2006). All’insegnante occorrono sia competenze cul - turali e didattiche, indispensabili per consentire la conquista personale del sapere da parte degli alunni, sia competenze relazionali, necessarie per interagire correttamente con gli allievi stessi, i colleghi, i genitori e soprattutto per instaurare delle relazioni educative profonde, significative ed efficaci. In particolare, sembra che nella relazione educativa l’insegnante di scuola cattolica debba curare in parti - colare: il modo di fare lezione in classe; l’attenzione alle caratteristiche peculiari di ogni persona; il dialogo fitto e intenso, fatto di ascolto attento e di comunicazione vibrante; l’esercizio dell’autorevolezza morale in un clima di libertà interiore; la coerenza tra i principi religiosi e morali insegnati e la propria testimonianza di vita; lo sviluppo della cooperazione tra gli alunni nello svolgimento del lavoro scolastico; la guida e l’orientamento degli allievi da accompagnare nella loro crescita umana. La lezione svolta è realmente educativa non solo quando rende possibile la conoscenza, la comprensione intellettuale, ma anche quando promuove l’atto della volontà, vale a dire l’adesione alla verità scoperta e riconosciuta. La lezione, prodotto o risultato dell’insegnamento, svolge una funzione educativa quando suscita l’apprendere come azione immanente o formativa. Per la formazione dello studente non è tanto importante e decisiva l’esposizione ex cathedra di conoscenze, quanto il loro apprendimento reale. Il docente non può essere un ripetitore o un lettore delle nozioni già presenti nei trattati o nelle riviste scientifiche, ma una persona che stimola la curiosità e l’interesse dello studente. La relazione educativa è centrata sul rispetto reciproco e sulla chiara definizione degli obiettivi da raggiungere insieme; tutto ciò rende possibile muoversi all’interno del paradigma di una formazione che non consente fughe nell’anonimato. Al di sopra della competenza tecnica o della conoscenza scientifica – la cui importanza nessuno nega o disdegna – ciò che maggiormente lascia un’impronta nell’alunno è l’entusiasmo, la vicinanza, la flessibilità personale, la disponibilità, la comprensione, l’empatia e il senso di giustizia dell’insegnante. La professione docente contiene già al suo interno una forte tensione etica ed ideale, come servizio alla persona nel suo processo di crescita e nello sviluppo guidato delle sue potenzialità (Damiano, 2007). L’essere un docente di scuola cattolica comporta in più la consapevolezza di svolgere un’attività rivolta all’uomo in quanto persona considerata nella sua integralità e nell’orizzonte che conferisce alla vita la sua piena e ultima destinazione. In classe dovrebbe realizzarsi una reciproca passione comunicativa, simpatetica e, per quanto possibile, una solidarietà dinamica tra insegnante e alunni, e degli allievi tra di loro, sulla base di un’affinità e di una condivisione più o meno estese, mediante il riconoscimento del valore della persona come essere libero e responsabile, da difendere e da promuovere. La convivenza quotidiana offre molte opportunità di incontro e condivisione, come una breve conversazione in corridoio, alla fine di una lezione o in un momento di pausa. Questi contatti sporadici brevi, 23 quando sono di appoggio al colloquio formale, hanno un grande valore per stimolare ed incoraggiare l’alunno, per risolvere un problema occasionale, per congratularsi con chi ha raggiunto l’obiettivo che perseguiva, insomma per dimostrare ad ogni allievo che all’insegnante interessa la sua persona, la sua situazione, i suoi desideri, i problemi, gli hobby, il suo mondo, la sua esperienza. Dalla natura della scuola cattolica discende anche uno degli elementi più espressivi dell’originalità del suo progetto educativo: la sintesi tra cultura e fede. Infatti il sapere, posto nell’orizzonte della fede, diventa sapienza e visione di vita. Le singole discipline non presentano solo conoscenze da acquisire, ma verità da scoprire e valori da assimilare. Tutto ciò esige un ambiente caratterizzato dalla ricerca della verità, nel quale gli educatori – competenti, convinti e coerenti – aiutano gli allievi ad operare una sintesi personale tra verità di fede e verità naturali. Per giungere ad una autentica relazione educativa in classe è necessario anche creare una piattaforma apprenditiva, che permetta agli allievi di instaurare significative relazioni socio-affettive e socio-operative all’interno della classe, al fine di raggiungere positivi risultati scolastici e, allo stesso tempo, una maggiore maturazione e integrazione delle loro personalità in via di formazione. Per questo è necessario che l’insegnante prenda in considerazione le condizioni personali e sociali degli allievi e, nei limiti delle sue possibilità, favorisca il loro apprendimento attraverso una programmazione personalizzata che faciliti il lavoro di gruppo, il gioco collaborativo e altre forme di educazione sociale. La meta ideale rimane il pieno sviluppo della capacità di autovalutazione nell’allievo, il quale, riconoscendosi per come effettivamente è in un certo momento del suo sviluppo e acquisendo consapevolezza delle sue effettive possibilità di miglioramento, dovrebbe così prendere le decisioni giuste nell’orientare il suo impegno nel lavoro scolastico. Sarà dunque necessario creare i presupposti che, da un lato, permettano all’allievo di non vedere la valutazione come una sentenza sul proprio valore, facendo in modo che la possa invece sperimentare come momento utile alla propria crescita, in cui conoscere i propri punti di forza e comprendere in che modo far fronte agli eventuali insuccessi, e che, dall’altro, garantiscano le migliori condizioni di esercizio della sua responsabilità individuale. Fondamentalmente, infine, l’insegnante di scuola cattolica accetta di essere la guida e l’orientatore che accompagna l’alunno nel suo cammino verso la conquista della piena identità cristiana mediante l’acquisizione personale delle conoscenze e delle competenze necessarie per vivere da cittadino solidale e responsabile nella “città terrena”, senza dimenticare che la meta finale e definitiva è la “città celeste”. c) La diversità dei carismi dei docenti religiosi e laici nella scuola cattolica Dato che siamo di fronte a una contrazione quantitativa molto marcata dei religiosi, non solo nella scuola ma anche nell’immaginario vocazionale delle nuove generazioni, diventa ancor più necessario interrogarsi criticamente sulla natura e sulle caratteristiche educative di questa specifica “figura” di docente. In sostanza: il religioso insegnante dispone di valori educativi specifici e propri, unici e insostitui- 24 bili – e perciò è necessario alla identità della scuola cattolica, e mai potrà essere “supplito” dal docente laico – oppure può oggi cedere le sue funzioni educative alla mediazione dei nuovi ministeri laicali – o perlomeno condividerle? A nostro parere, ogni membro della comunità educante costituisce una ricchezza con il carisma umano e cristiano che gli è proprio (Congregazione per l’educazione cattolica, 2007; De Giorgi, 2006; Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2006). Non sembra essere quindi una sostituzione meramente funzionale, quella che si opera in tante scuole con il subentro di docenti laici ai docenti religiosi, ma un fenomeno che può comportare quasi una vera e propria mutazione nell’identità e nel modello educativo della scuola cattolica. In essa, infatti, entrambe le presenze sono a loro modo significative: quella dei docenti laici rappresenta una ricchezza per la testimonianza che essi possono offrire di una fede vissuta nel pieno contatto con le realtà secolari; ma anche quella dei docenti religiosi è una ricchezza che sarebbe doloroso perdere, per la loro testimonianza di un modo diverso di relazionarsi con quelle stesse realtà (testimonianza che, del resto, costituisce un richiamo costante nella vita dell’intera Chiesa). Per quanto riguarda il religioso docente nella scuola cattolica, il punto nodale della sua specificità educativa sta nel saper trasformare il proprio carisma congregazionale e i tre voti religiosi da criterio di appartenenza personale a criterio del fare cultura critica specifica nella scuola/FP. Il voto di povertà nella scuola cattolica diventa metodologia scientifica di sobrietà e quindi capacità di produrre risultati più profondamente conoscitivi della realtà, con il minimo possibile di mezzi materiali. È proprio in quest’ottica che il servizio agli ultimi, tipico del religioso, acquista una nuova ed esemplare significatività. Riprogettare una disciplina a partire dalle situazioni reali dei più svantaggiati significa che l’ascolto di chi è “povero” può suggerire una migliore organizzazione persino del “sapere” e delle discipline, a servizio più della vita che della “cultura” o delle “strutture” in senso stretto. Il voto di castità è la capacità di parlare alla razionalità di una persona, e perciò di fare educazione di natura scolastica o formativa, senza giocare ambiguamente sulla sua emotività e sensibilità. Si educa meglio la persona, quanto meno si cerca di condizionarla, possederla e perfino usarla nei suoi elementi di più facile vulnerabilità, e quanto più si insiste appassionatamente sulla natura e sul dinamismo razionale che la costituiscono – fin nella loro dimensione affettivamente più intima e profonda. Il voto di obbedienza nella scuola cattolica diventa capacità di proposta culturale di valori e di significati, senza finalizzare tale proposta alla cattura del consenso e al possesso delle volontà – e quindi senza volere “strumentalizzare” o “convertire” le coscienze, ma mirando semplicemente alla loro crescita veramente libera, attraverso il paragone con ciò che è oggettivamente vero e valido. In questa prospettiva, la presenza del religioso di vita consacrata nella scuola cattolica viene quindi ad assumere tre funzioni specifiche: 25 a) si pone come l’oltre profetico rispetto a qualsiasi educazione prodotta dalla sola mediazione culturale; b) si colloca entro la cultura stessa della scuola/FP, come portatrice di criteri di giudizio critico contenuti nella sua identità e nella sua esperienzialità di vita; e quindi come criterio “diverso e altro” del fare cultura, rispetto alla tradizionale cultura umanistico-scientifico-tecnica-professionale della scuola/FP; c) proprio per questo, diventa capace di valutare la reale portata educativa della razionalità espressa nello statuto epistemologico di ogni singola disciplina, ponendosi così come coscienza critica della razionalità disciplinare rispetto alla più vasta e complessa razionalità della persona umana. Se il docente religioso diventa il soggetto che assume la funzione di proporre alla educatività il valore del “radicalmente oltre” rispetto allo sviluppo coerente dei valori umani esistenti (e quindi diventa capacità di attingere il senso del vivere anche oltre rispetto a qualsiasi cultura), il docente credente laico ha come impegno specifico la mediazione tra il suo insegnamento e la capacità (introdotta in lui dal battesimo) di promuovere a completezza i valori umani già esistenti attraverso la loro finalizzazione al regno di Dio. «La scuola cattolica, come comunità educativa che ha per aspirazione ultima di educare alla fede, sarà tanto più idonea a compiere il suo mandato quanto più rappresenterà la ricchezza della comunità ecclesiale. La presenza simultanea in essa di sacerdoti, religiosi, religiose e laici costituisce per l’alunno un riflesso vivo di questa ricchezza che gli facilita una maggior assimilazione della realtà della Chiesa» (Sacra Congregazione per l’educazione cattolica, 1982, n. 43). Il rischio attuale è che tale ricchezza sia sempre meno percepibile per via del progressivo diminuire dei docenti sacerdoti o religiosi/e, soprattutto nei livelli più alti. Cresce perciò la responsabilità dei laici nel testimoniare la loro appartenenza ecclesiale ed i carismi propri della vita laicale. È non solo il profilo della scuola cattolica ma quello della stessa Chiesa che va cambiando con il progressivo ampliamento del protagonismo laicale. Ciò non può significare appiattimento sul modello più o meno “neutrale” delle scuole statali o comunque non cattoliche, ma deve tendere a conservare e ravvivare il carisma educativo originario di una scuola/centro o eventualmente ad introdurne di nuovi, comunque sempre autenticamente ecclesiali. Essenziale sarà sempre conservare una spiritualità di comunione come tratto caratteristico delle scuole cattoliche. «Giova sottolineare che il contributo peculiare che gli educatori laici possono apportare al cammino formativo, scaturisce proprio dalla loro indole secolare, che li rende particolarmente capaci di cogliere “i segni dei tempi”. Essi, infatti, vivendo la loro fede nelle condizioni ordinarie della famiglia e della società, possono aiutare l’intera comunità educativa a distinguere con più precisione i valori evangelici e i controvalori che questi segni racchiudono» (Congregazione per l’educazione cattolica, 2007, n. 31). Sarà proprio la presenza dei laici, perciò, con il loro costitutivo radicamento nel “secolo”, a favorire una preziosa apertura della comunità educativa al mondo. 26 1.2.2. La formazione iniziale degli insegnanti di scuola cattolica La domanda fondamentale da porsi in questo ambito è se l’insegnante di scuola cattolica debba possedere ulteriori competenze in aggiunta a quelle richieste ad ogni insegnante o debba possederne semplicemente di diverse. In relazione alla formazione iniziale, a seconda della risposta, deriva la scelta di puntare su percorsi semplicemente aggiuntivi rispetto a quello comune o su percorsi già a monte differenziati (Cicatelli, 2006a; Malizia, Cicatelli e Fedeli, 2006; Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2006; Malizia e Cicatelli, 2005; Malizia, 2005). La preferenza teorica andrebbe forse alla seconda ipotesi (con un impegno operativo non indifferente delle università cattoliche o dei pedagogisti cattolici presenti nelle università statali oppure con percorsi integrati tra università statali e istituti di studi teologici), ma con maggiore realismo ci si deve orientare per ora su una più praticabile aggiunta di formazione curata post lauream nelle sedi opportune, ivi incluse le scuole cattoliche, le associazioni professionali o le semplici associazioni cattoliche. In relazione ai contenuti di questa formazione iniziale, però, si riscontra una sostanziale unanimità nel sottolineare l’importanza e la priorità della formazione umana e spirituale dei docenti che andranno ad insegnare nelle scuole cattoliche. Retta dottrina e probità di vita sono già richieste dal diritto canonico (can. 803 § 2), ma ad esse devono aggiungersi una serie di “competenze” ulteriori, che vanno ben oltre l’ambito professionale e attingono la sfera delle doti personali. Anche le qualità umane devono essere sostenute da una cultura professionale coerente: da un lato occorre recuperare una formazione pedagogica generale di fronte alla riduzione dell’insegnamento ai suoi aspetti tecnici, come se una buona ricetta didattica possa surrogare l’attenzione all’educativo; dall’altro, si deve nutrire questa cultura pedagogica della migliore antropologia cristiana e della riflessione sulla dimensione valoriale troppo spesso trascurata. Insomma, il fattore umano sembra essere la chiave di volta del progetto educativo della scuola cattolica; quindi la formazione dei docenti acquista un valore strategico essenziale nel processo di riqualificazione della scuola cattolica stessa. Sul piano culturale la formazione degli insegnanti di scuola cattolica va indirizzata: – verso forme di umanesimo integrale che sappiano intercettare le domande di educazione (nonché le difficoltà personali) di alunni e famiglie; – verso la ricostruzione di una Weltanschauung cristiana che sia in grado di attribuire senso ai diversi contenuti culturali insegnati; – verso un consolidamento dell’appartenenza ecclesiale dei docenti, affinché essi avvertano la propria opera come autentica espressione di un’azione della Chiesa (ma anche la comunità cristiana dovrebbe riscoprire il valore della scuola cattolica); – verso un approfondimento della responsabilità educativa come impegno che ci si assume in risposta ad una specifica vocazione che sappia nutrire affettivamente la relazione interpersonale di ciascun docente con i propri allievi; 27 – verso la consapevolezza del valore educativo insostituibile che hanno la testimonianza di vita e l’esemplarità umana e professionale dell’insegnante. Sul piano operativo, fin da ora è possibile attivare, all’interno delle procedure in vigore, appositi spazi formativi finalizzati ai docenti che poi andranno a svolgere il proprio servizio nella scuola cattolica. In particolare si tratterebbe di garantire: – alle scuole paritarie una quota di partecipazione alle iniziative formative promosse istituzionalmente dal Ministero o dall’Indire, – agli studenti dei corsi di laurea magistrale la possibilità di svolgere il tirocinio anche all’interno delle scuole cattoliche paritarie, – ai medesimi studenti la possibilità di utilizzare i crediti liberi nel corso di laurea magistrale presso istituti o facoltà teologiche per acquisire anche competenze in campo religioso, – alle scuole paritarie l’accesso ai fondi statali per la formazione che vorranno promuovere in proprio o in rete, – ai docenti dell’Istruzione e Formazione Professionale una competenza pedagogico- didattica equivalente a quella dei colleghi della scuola liceale, mediante apposite iniziative formative. A questo punto è opportuno anche evidenziare alcuni aspetti della sfera di azione del docente di scuola cattolica che possono essere oggetto di attenzione all’interno di un percorso formativo specifico. Si tratta di tematiche che ci sembra di poter catalogare come approfondimenti o precisazioni all’interno delle linee generali sopra indicate. 1. La dimensione europea non può essere più solo un riferimento di circostanza. Il contesto in cui ci troviamo oggi ad operare supera i meri confini nazionali e richiede un’attenzione più ampia, che abbia almeno le dimensioni continentali. L’educazione è ormai oggetto di attenzione in varie sedi internazionali e non si può fare a meno di prendere in considerazione i richiami che provengono dai documenti internazionali e in particolare dai modelli offerti in sede europea. 2. La famiglia deve essere sempre considerata un interlocutore privilegiato per la scuola cattolica, non solo per il fatto che la scelta compiuta dai genitori pone alla scuola l’obbligo morale di curare in modo particolare i rapporti con le famiglie di origine degli alunni, ma anche e soprattutto perché la continuità educativa tra scuola e famiglia è uno dei cardini del progetto educativo della scuola cattolica in quanto sede di una attiva ed integrata comunità educante. 3. La scuola cattolica deve tornare a puntare ad una formazione di eccellenza, per affiancare alla capacità di offrire servizi accessori e garanzie di sicurezza una formazione che si distingua anche e soprattutto per la qualità dei suoi contenuti e per l’equilibrio che riesce a realizzare tra tutte le componenti della cultura personale, senza concedere nulla a concezioni elitarie della scuola cattolica che non corrispondono alla sua genuina vocazione. 28 4. Occorre inoltre investire anche sulla formazione dei dirigenti di scuola cattolica. Vista la complessità del progetto, è sempre più importante trovare persone che sappiano dirigere e coordinare il lavoro dell’intero corpo docente, sapendo indirizzarne l’azione in maniera coerente e nel costante equilibrio tra domanda sociale di educazione, rispetto delle norme generali, adesione sincera al progetto educativo di scuola e spirito di servizio alla persona. 5. Da un punto di vista metodologico, una pedagogia che sembra essere particolarmente funzionale al progetto educativo di scuola cattolica è quella che si fonda su una seria ermeneutica, cioè sulla capacità di interpretare e mettere in relazione il vissuto dei singoli alunni con i modelli culturali contemporanei e con la proposta di fede che alimenta l’intera azione educativa della scuola cattolica. 6. Tra le proposte operative in materia di reclutamento, sembra riscuotere particolare interesse quella dell’albo regionale degli abilitati, cui le scuole cattoliche vorrebbero poter attingere liberamente per scegliere gli insegnanti realmente più in sintonia con la propria proposta educativa. La flessibilità del sistema di formazione iniziale e la complessità del processo di reclutamento lasciano sperare nel superamento di meccanismi formali che vanificano la libertà di educazione. 1.2.3. La formazione in servizio In questo ambito gli obiettivi da perseguire possono essere identificati principalmente nei seguenti due (Malizia, 2005; Malizia e Cicatelli, 2005; Di Agresti, 2005). Il primo è quello di aiutare a cogliere e a sostenere il significato delle istituzioni educative in quanto tali e il ruolo che ogni docente è chiamato a svolgere in esse. Il secondo riguarda la condivisione di un progetto educativo che si alimenta dei valori forti dell’antropologia cristiana, ne traduce le istanze in termini culturali e si offre al confronto per la costruzione di una società più umana e più giusta, attenta alla difesa del primato dell’uomo e del diritto alla piena realizzazione di tutte le sue potenzialità. La formazione in servizio riferita al primo obiettivo, essendo centrata sull’aggiornamento metodologico-culturale, organizzativo, partecipativo, è più agevole, dato l’interesse generale che coinvolge tutti gli insegnanti, di scuole cattoliche e non. Sicuramente non va dato per scontato, e va perseguito con cura e costanza, ma c’è meno esigenza di renderlo presente. Il secondo obiettivo presenta una doppia difficoltà: la prima riguarda, per la maggior parte degli insegnanti con una formazione iniziale del tutto estranea alla problematica educativa della dimensione religiosa, una vera iniziazione in situazione; la seconda è determinata dalle richieste di alto profilo umano-cristiano che il lavoro in una scuola cattolica propone ed esige. Comunque, una formazione specifica coinvolge molti aspetti qualificanti che riguardano tanto il pensare quanto il vivere: la dimensione della fede nel progetto di vita personale, la consapevolezza del ruolo da svolgere nel piano della salvezza, la 29 condivisione del progetto educativo, la partecipazione alla vita comunitaria fondata su relazioni umane arricchenti, la corresponsabilizzazione nella gestione dei processi, la preparazione culturale solida e critica secondo un’ottica cristiana, la capacità di dialogo tra espressioni culturali e fedi diverse e così via. In questo ambito non si parte da zero e vale la pena richiamare le proposte e gli interventi già in atto: 1. i numerosi corsi di aggiornamento/riqualificazione professionale nati dalle continue provocazioni provenienti dai recenti processo riformatori; 2. l’esperienza laboratoriale di ricerca-azione che sta già coinvolgendo scuole cattoliche a livello regionale; 3. le prime esperienze di formazione mirate all’assunzione di responsabilità e a cogliere le implicanze valoriali che derivano dall’accettazione di un incarico nelle scuole cattoliche; 4. lo spazio che nella formazione in servizio viene riservato alla dimensione etica e deontologica dell’operatore della FP e alle iniziative di supporto dell’identità cristiana e carismatica degli enti; 5. lo sviluppo della realtà associativa che si propone di costruire reti e di ottimizzare la qualità degli interventi, anche attraverso il coinvolgimento diretto degli operatori. Gli Enti di FP considerano la formazione dei formatori un’azione fondamentale per l’animazione e l’affermazione della propria “proposta formativa” (Tonini, 2005). Generalmente le aree che sono oggetto di tali iniziative sono quelle tecnico-professionali che hanno come obiettivo principale l’aggiornamento tecnologico proprio delle varie comunità/famiglie professionali e quelle metodologico-didattiche che mirano al potenziamento e all’arricchimento delle competenze metodologiche, didattiche, psico-pedagogiche ed educative. La formazione dei formatori in servizio tiene conto anche dei destinatari diretti quali gli adolescenti, i giovani, gli adulti, le persone in vario modo svantaggiate, le famiglie. L’attuazione delle iniziative di formazione può avvenire a livello locale (nel singolo CFP), a livello regionale o interregionale (iniziative promosse dalle Regioni o dall’Ente o da Enti associati) e a livello nazionale. Le attività di carattere nazionale, destinate a tutti i formatori operanti nelle Regioni, sono generalmente organizzate nella forma residenziale, nella forma mista (residenziale e a distanza), nella forma on-line e nella forma off-line. Uno dei problemi più delicati e importanti che gli Enti debbono affrontare è l’animazione della loro identità cristiana e carismatica sia per i formatori neoassunti che per quelli in servizio. In proposito sono state segnalate due iniziative (i percorsi “Insieme per un nuovo progetto di formazione” ed “Etica e deontologia dell’operatore della FP”) che si caratterizzano per essere state concepite come un servizio di accompagnamento per formatori in ingresso e in servizio nella Formazione Professionale e svolte in modo integrato (residenziale e on line) (Tacconi, 2003; Fontana, Tacconi, Visentin, 2003). Per quanto riguarda il formatore della formazione in servizio, la proposta è stata pensata come un utile strumento per aiutarlo a leggere e a 30 interpretare la propria esperienza e la realtà organizzativa in cui opera e di cui è parte negli aspetti della sua storia, della sua cultura interna e della sua mission e a sviluppare la capacità di guardare le cose da diversi punti di vista (capacità multiprospettica), ricorrendo a modelli interpretativi ed operativi flessibili. Il progetto promuove una vera e propria “comunità di apprendimento” che, durante il percorso formativo, consente di confrontare continuamente teoria e pratica, riflessioni ed esperienze, modelli interni e modelli esterni. Dalla comunità di apprendimento, poi, si passa al termine del percorso alla costituzione di una stabile e vitale “comunità di pratica” (Wenger, 2006), in cui ciascuno può ricorrere alle risorse consulenziali di esperti e di colleghi per affrontare casi reali e quotidiani. Un aspetto da considerare specificamente mette a fuoco l’attenzione che i responsabili della scuola cattolica hanno verso le persone dei docenti in quanto tali, nei loro compiti di insegnamento (Bissoli, 2005). Ciò comporta un venir a toccare anche la loro collocazione di fronte all’opzione religiosa, concretamente la religione di Chiesa, ovviamente non per sindacarla, ma per metterla a fuoco nel contesto scolastico educativo. Sarà quindi un’attenzione che, motivandosi sul terreno del patto professionale, interpella il docente per il suo dovere nei riguardi dei fini dell’istituzione. Il discorso si fa concreto aiutando il docente ad acquisire le competenze necessarie per quanto concerne la componente religiosa (conoscenze, atteggiamenti, indicazioni di metodo), in due direzioni: spiegando (sovente si tratta di una vera alfabetizzazione) cosa è, come si realizza, una ermeneutica dei contenuti disciplinari, sottolineando la centralità della persona umana come grande valore cristiano ed insieme evidenziando il rilevante spessore umanizzante della visione evangelica fino al dono della fede; in secondo luogo, si suggerirà ai docenti il modo di vivere una relazione educativa con gli alunni (e i genitori) adeguata all’ispirazione credente, mostrando il grande, innovativo contributo alla crescita dato dal sapersi confrontare sulla tavola di valori religiosi, spirituali e morali; dal farsi un giudizio cristiano sugli avvenimenti; dal compiere scelte di vita a favore degli altri. Ma il processo formativo deve poter effettuare un passo in avanti badando non solo alla collocazione religiosa del docente nei suoi doveri verso l’istituzione cristiana, ma anche alla condizione soggettiva del docente stesso riguardo alla religione. Qui si mostra al meglio il valore della scuola cattolica quando assume come potenziali allievi gli stessi docenti esprimendo la sua valenza formativa nei loro confronti. Si dirà che vi è nella scuola cattolica una specifica cura dei docenti, fatta di incontri stabiliti, di conferenze formative, anche di momenti di preghiera e di convivialità. Sono cose da mantenere e migliorare, liberandole dalla routine e dai luoghi comuni. Probabilmente c’è bisogno di qualcosa di più, una sorta di cura fuori degli schemi convenuti. Per diversi docenti si dovrà prevedere una forma di accompagnamento, fatto di incontro e dialogo personale, di percezione del travaglio inte- 31 riore e del doveroso rispetto che si deve, di condivisione dei momenti dolorosi, ma anche lieti, di proposte di esperienze qualificate. In una vera “comunità educante”, genitori e docenti hanno bisogno di fare formazione insieme, superando un certo protagonismo individuale, una certa auto-referenzialità (Tettamanti, 2005). La convinzione educativa della famiglia deve potersi confrontare con quella degli insegnanti, con una scuola non più intesa come una astratta istituzione, ma come una unità viva di persone che vivono un complesso di valori a loro affidati dalla storia per comunicarli ai più piccoli. Ciò significa assumere la responsabilità educativa nei confronti di ciascun ragazzo, nell’ambito di una relazione, certamente di gruppo, ma anche, se non particolarmente, individuale, che tenga conto del suo essere persona, con i problemi di crescita di ognuno e con il vissuto che ciascuno porta con sé dentro la scuola. Nasce quindi l’urgenza di creare alleanze tra adulti e di imparare a fare percorsi formativi ed educativi insieme. La connaturalità educativa e la conseguente esperienza dei genitori possono diventare cultura integrativa di natura scolastica e con ciò i genitori integrarsi culturalmente con i docenti nello stesso momento curricolare. Nella scuola ad ogni livello si educa insegnando: tuttavia se ciò comporta una valorizzazione della educatività delle discipline, una modalità didattica, una definizione dei criteri e degli strumenti di valutazione, si esige che il cammino educativo sia frutto anche, se non soprattutto, di una sinergia educativa tra gli adulti tutti che a diverso titolo sono nella scuola (docenti, genitori, personale direttivo e operatori vari), legati fra loro da uno scopo comune e da un quotidiano lavoro fatto insieme, capace di reggere il compito educativo, dove, appunto, la creatività di ognuno (e non soltanto dei docenti) è accolta, coltivata, provocata da una condivisione educativa in grado di rispondere ai bisogni delle giovani generazioni. È vero che da parte della famiglia vi è spesso una delega educativa alla scuola/ centro e che questi ultimi, di fronte a forti carenze formative di base, svolgono di fatto un ruolo di supplenza; tuttavia, loro compito è anche quello di rendere educativamente coscienti gli stessi genitori, dei quali il ricorrere alla scuola cattolica può essere inteso anche come una richiesta di aiuto nel ruolo di formatore dei figli. In aggiunta, è condizione ineliminabile di ogni educazione che questa operazione abbia all’origine una vita, una esperienza personale comunitaria capace di essere propositiva di valori e sollecitante alla loro verifica personale in un orizzonte sempre più vasto. E mettere in comune l’esperienza di ciascun adulto (ai quali i ragazzi guardano), in particolare dei genitori e dei docenti, favorisce il giudizio, lo sguardo e l’uso delle cose. Ecco che allora la ri-comprensione della professionalità dell’insegnante si pone come sintesi acuta ed equilibrata di vocazione e competenza, entro un soggetto educante composito. Pertanto, dovranno essere articolati momenti di analisi (temi ed obiettivi), spazi di confronto (assemblee di classe, di interclasse e di settore), gesti di impegno (non solo la conoscenza genera azione, ma è l’azione che spesso genera conoscenza): ciò presuppone – nella scuola – non soltanto instaurare 32 un rapporto con il sapere, ma soprattutto favorire un rapporto con la vita. Il tutto certamente lasciato alla creatività della comunità educante, ma tuttavia teso a coinvolgere e a rispondere ai bisogni formativi degli stessi allievi e a valorizzare un lavoro comunitario efficace ed efficiente. 2. L’EVOLUZIONE DELLA FORMAZIONE DEI FORMATORI IN ITALIA Dopo aver portato l’attenzione sulla situazione internazionale e sulla scuola cattolica, concentriamo ora la nostra analisi sulla situazione italiana in una prospettiva sia diacronica che sincronica. La disamina sarà articolata in due sezioni, una focalizzata sul sistema educativo in generale e l’altra sulla condizione specifica della FP. 2.1. Linee generali dell’evoluzione Incominceremo con il delineare le componenti tradizionali della questione insegnante nel nostro Paese. Passeremo poi a presentare sinteticamente le ultime riforme intervenute in proposito. 2.1.1. La questione insegnante «La “questione insegnante” appare come uno dei grandi temi irrisolti dell’intervento pubblico in Italia»: con questa affermazione prendevano l’avvio le conclusioni dell’indagine campionaria sugli insegnanti condotta dal Censis nel 1982 (La questione insegnante, 1983, p. 5; Malizia e Nanni, 2010). Dopo cinque anni, nel 1987, nonostante gli sforzi compiuti, la valutazione era confermata aspramente dalla rivolta dei Cobas, i comitati di base scolastici degli insegnanti. Quali le ragioni a monte di uno dei conflitti di lavoro più duri che abbiano riguardato la scuola nel periodo in esame (Cavalli, 1992 e 2000; Cavalli-Argentin, 2010; Damiano, 1982 e 2004; La questione insegnante, 1983; Cipollone, 1986; Corradini, 1987; Malizia, 1988; Rapporto di base..., 1998; Di Pol, 2002; Ribolzi, 2002; Nanni, 2003; Moscato, 2008)? Anzitutto si può osservare come nel decennio 1970-71/1980-81 il corpo docente abbia seguito un andamento divergente rispetto allo sviluppo della scolarità: alla contrazione della crescita degli allievi è corrisposta un’espansione elevata dei docenti (268.000 unità in cifre assolute, pari a 1 nuovo docente ogni 6 nuovi alunni). Nel quinquennio successivo la crescita è stata più contenuta. Tuttavia questa tendenza a un certo assestamento non ha potuto compensare gli effetti del calo della leva demografica degli alunni. Tale espansione ha corrisposto ad una politica dettata dalla esigenza di trovare un impiego per una forza lavoro sovrabbondante. Ma questa politica del personale della scuola, mirata soprattutto allo scopo sociale di far fronte alla disoccupazione intellettuale, è stata pagata con determinate contropartite. 33 Il rapporto alunni-insegnante in Italia si presentava come il più basso d’Europa e l’utilizzazione del personale docente sovrabbondante diveniva uno dei nodi della gestione della scuola. Un’altra contropartita è stata costituita dalla difficoltà per le nuove generazioni di accedere all’insegnamento. Un terzo effetto negativo va ricercato nell’appiattimento del livello retributivo dei docenti: gli stipendi mensili degli insegnanti italiani erano (e rimangono) molto inferiori a quelli di Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. Il problema si accresceva anche in connessione con i modi del reclutamento, quasi solo basato sul servizio prestato e sull’anzianità di lavoro precario, meno sulla preparazione effettiva e sulla qualità della competenza del futuro insegnante. Non si sa infine se considerarlo una causa o un effetto di questa situazione, ma in questi anni si andava consolidando il fenomeno della femminilizzazione del corpo docente: agli inizi degli scorsi Anni ‘90 si registrava ancora un 20% di insegnanti uomini di oltre 50 anni nella scuola primaria, ma la percentuale scendeva al 5% tra i maestri con meno di 35 anni; altrettanto, nelle scuole medie le donne non arrivavano al 60% nella fascia di età sopra i 50, ma superavano il 70% al di sotto dei 35; nelle superiori si confermava l’andamento con un 46% di donne ultracinquantenni e un 61% tra le più giovani (Cavalli, 1992). Meno di venti anni dopo (Dati MIUR 2007-08) le donne costituiscono il 99% del personale docente nella scuola dell’infanzia, il 95% di quello di scuola primaria, il 71% nella scuola secondaria di primo grado e il 60% in quella di secondo grado, segnalando perciò la stabilizzazione di una tendenza maturata negli ultimi decenni del secolo scorso. La politica di gestione del personale insegnante, negli Anni ‘70-‘80, si è caratterizzata per il garantismo estremo e la conseguente carenza di un’azione rivolta a stimolare la professionalità, a valutarne l’effettiva buona qualità e a tener conto delle differenziazioni in atto nel mondo degli insegnanti. L’appiattimento della carriera, unito al basso livello degli stipendi, ha contribuito tra l’altro alla caduta del prestigio della professione docente. Nonostante l’art. 7 del DPR n. 417/74, solo oltre venti anni dopo sarà realizzata un’adeguata e pertinente preparazione universitaria degli insegnanti della scuola dell’infanzia e delle elementari. La Formazione Professionale di tutti i docenti ha continuato a non essere del tutto soddisfacente. Rispetto alle richieste delle miniriforme del 1974 e quelle conseguenti ai nuovi programmi delle scuole medie e delle elementari del 1979 e del 1985, l’aggiornamento in servizio è venuto ad essere un’esigenza prioritaria e bisogna riconoscere che negli Anni ‘80-‘90 esso era diventato una prassi costante e diffusa nella scuola, con un soddisfacente tasso di partecipazione dei docenti alle varie iniziative. Tuttavia, il modello adottato in concreto risultò spesso troppo tradizionale: mancava in particolare un’adeguata capacità progettuale e di stimolazione motivazionale (oltre che un adeguato impegno di supporto strutturale ed economico). Ma, a nostro parere, il malessere degli insegnanti manifestatosi sul finire degli Anni ‘80 va spiegato anche con la crisi d’identità che ha attraversato in quegli anni il corpo docente. Gli insegnanti infatti non costituivano una categoria omogenea, e 34 al loro interno erano constatabili nette differenziazioni sia sulle convinzioni pedagogiche sia sulle diversità di status e di retribuzione sia sui problemi del potere e sulle questioni politiche. Tali contrapposizioni davano spesso luogo a divisioni tra sottogruppi occupazionali e a fenomeni di predominanza di un gruppo rispetto ad un altro. Non sempre le immagini dell’insegnante maggiormente accreditate a livello di opinione pubblica erano rappresentative di tutto il corpo docente. Nel momento considerato, l’ideale prevalente dell’insegnante si identificava con il professionista e la domanda di professionalizzazione sembrava maggioritaria; essa però conviveva con altre esigenze di segno diverso e, pertanto, rimaneva fondamentalmente ambigua. In molti casi si arrivava da parte di molti a sostenere pretese egualitariste (e non di merito) in tema di retribuzioni e a rifiutare ogni verifica di qualità sia nei docenti di ruolo sia nell’immissione in ruolo dei supplenti. I singoli provvedimenti necessari per risolvere la “questione insegnante” erano stati già proposti con chiarezza negli Anni ‘80. La formazione pre-servizio doveva prevedere la preparazione universitaria per i docenti della materna e delle elementari e occorreva potenziare la formazione pedagogico-didattica di tutti gli insegnanti. I meccanismi concorsuali andavano migliorati, come pure l’anno di prova iniziale. Le scuole dovevano assumere, accanto alla funzione di formare i giovani, anche quella di preparare a insegnare. In connessione con questa esigenza bisognava introdurre la figura del formatore dei formatori, o dell’esperto in formazione degli insegnanti, che però non doveva trasformarsi in un “super-professore”, comportare un salto di ruolo o costituire uno status definitivo, ma più semplicemente richiedeva esoneri o semiesoneri temporanei e indennità speciali. Un problema a sé, che rimase anch’esso irrisolto nel periodo che si sta analizzando e che mostrava a chiare note già allora i caratteri dell’urgenza era quello del precariato che, nonostante la Legge n. 270/82, era riemerso, anche se in forme meno imponenti che nel passato. Si trattava di una questione che non poteva essere lasciata alla gestione del solo Ministero della Pubblica Istruzione, ma che interpellava l’intera politica del lavoro del Paese. Si invocò allora (e dopo) di orientare il nuovo reclutamento verso aree di maggiore fabbisogno e potenziare gli strumenti di valutazione delle competenze e delle conoscenze degli insegnanti. Si richiese una politica di gestione del personale che assumesse una chiara finalità di stimolo, impulso e differenziazione e che puntasse decisamente a valorizzare la professionalità, a promuovere l’aggiornamento, a introdurre elementi di flessibilità nella carriera, nell’orario e nel profilo docente, evitando tuttavia di creare ruoli appositi e ricorrendo invece agli esoneri o semiesoneri parziali e temporanei, agli incentivi e al volontariato. 2.1.2. La formazione continua ed iniziale degli insegnanti nella riforma Berlinguer (Legge n. 30/2000) La cosiddetta riforma Berlinguer non entrerà mai in vigore, ma sembra opportuno parlarne brevemente perché è stata il punto di partenza di un processo riformatore che altri hanno poi condotto a termine. Un punto caldo della riforma riguar- 35 dava gli insegnanti che dovevano realizzare le indicazioni curricolari, elaborandole nella concreta offerta formativa della scuola (Malizia e Nanni, 2010; Programma quinquennale di progressiva attuazione, 2000; Malizia e Nanni, 1998, 2001 e 2002; Malizia e Stenco, 1999; Bertagna, 2000, 2001 a e b; Nanni, 2000a, 2000b e 2003; Speciale riordino, 2000; Niceforo, 2001; Bordignon, 2008). a) L’insegnante della riforma e la sua formazione in servizio Il punto di vista economico e professionale ha avuto certamente il suo peso. Del resto la riforma non avveniva fuori della storia. La scuola di base veniva ad avere un anno in meno rispetto alla durata delle elementari e della media pre-riforma; ciò era causa di problemi reali di impiego e di reimpiego, prima ancora che di timori psicologici o di perdita di status sociale da parte dei “professori” della scuola media rispetto ai “maestri” delle elementari. Il profilo dei docenti costituiva l’oggetto del titolo IV del “Programma quinquennale” di attuazione della riforma (2000). Fin dall’inizio si ricordava che «la legge di riordino prevede un impegno particolare rispetto alla questione degli insegnanti » e ne metteva subito in evidenza il carattere di «risorsa strategica ai fini del miglioramento della qualità del sistema scolastico» (2000, p. 33). Il testo proseguiva dicendo che «il piano quinquennale di attuazione rappresenterà un’occasione importante per avviare un progetto straordinario di promozione della professionalità docente» (2000, p. 34). In questo modo si dava indirettamente risposta alle tante questioni che negli ultimi tempi avevano portato la classe insegnante a mobilitarsi e a scendere a più riprese e con varie motivazioni in piazza, contro il Ministero e il Governo. Indubbiamente il contesto di riferimento era tutt’altro che semplice e pacifico. Oltre alle questioni relative alla stabilità occupazionale e alla retribuzione economica o all’immagine sociale del ruolo docente, gli insegnanti di ogni ordine e grado di scuola non condividevano del tutto la logica e gli effetti della riforma e costituivano un universo estremamente variegato con cui fare i conti. Già il “Regolamento dell’autonomia” del 1999, aveva prospettato un tipo di insegnante che non era visto come un puro “tecnico dell’apprendimento” il quale applicava un programma definito da altri, ma piuttosto come un professionista capace di interpretare le finalità della scuola, traducendole collegialmente in un progetto educativo efficace e assumendosene anche personalmente la responsabilità progettuale, attuativa e verificativa (Dpr 275/99, art. 16, c. 3). A riguardo, il “Programma quinquennale” disegnava un alto profilo professionale, che doveva fungere da quadro degli obiettivi della formazione iniziale e continua del docente della riforma. Egli – si dice – doveva essere: • «colto, in grado di padroneggiare la propria disciplina nei suoi continui mutamenti, di valutarne le potenzialità formative, di governarne i rapporti con le altre discipline, di collocarne, infine, le finalità e gli obiettivi di apprendimento all’interno delle finalità generali del sistema scuola; 36 • riflessivo, in grado di fare ricerca sulle proprie scelte didattiche e metodologiche e di saperne verificare i risultati, in un processo di continua valutazione e autovalutazione; • competente rispetto alle conoscenze socio-psico-pedagogiche necessarie per la corretta impostazione dei processi di insegnamento-apprendimento; • capace di interagire con tutti i soggetti, interni ed esterni, della vita della scuola, di lavorare in équipe, di dare il proprio contributo alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, di saper svolgere compiti specifici e differenziati» (2000, p. 34). È appena da osservare che rimanevano piuttosto in ombra – anche se non erano del tutto assenti almeno a livello implicito – gli aspetti della funzione docente relativi alla mentalità, alla coscienza critica circa i propri riferimenti ideali, istituzionali, civili e religiosi. Eppure essi non erano senza impatto sia nella conoscenza sia nell’azione didattica sia nella condotta scolastica degli insegnanti. E forse meritava almeno un accenno esplicito la rilevanza di una robustezza etica e civile, personale e di categoria, come pure l’importanza di comportamenti deontologicamente condivisi e praticati (Nanni, 2000a). Altrettanto era da dire per ciò che non dovrebbe mancare mai nell’ideazione del profilo dell’insegnante: vale a dire una sorta di disponibilità “generativa” (dal punto di vista professionale) nei confronti dei colleghi più giovani; come pure il sentire come centrale nella pratica professionale la preoccupazione per la funzione educativa e culturale, intesa come elemento di sintesi dei vari aspetti della professionalità docente, ultimamente finalizzata alla qualità dell’apprendimento degli studenti e della vita scolastica. Il Programma quinquennale evidenziava come venisse a prevalere un modello di formazione in servizio che mostrava una tendenziale preferenza per impostazioni basate sull’autoformazione e su un modello di formazione permanente legato alle singole istituzioni scolastiche. Più difficile restava individuare i criteri di valutazione e di certificazione per quanto riguardava esperienze professionali vissute nella scuola. b) La formazione iniziale degli insegnanti della riforma Molto più in là della prospettazione del problema non si andava neanche sulla questione della formazione iniziale degli insegnanti. Sulla struttura della formazione iniziale si avanzavano fondamentalmente tre ipotesi correlate con la riforma universitaria in atto: 1. una laurea triennale disciplinare più una laurea specialistica (triennio più biennio) seguita da una specializzazione annuale comprensiva del tirocinio. Era la cosiddetta “ipotesi Tranfaglia”. Per alcuni la laurea specialistica doveva rimanere ancorata a logiche disciplinari per rassodare la scientificità della formazione, sia pure con integrazioni significative con le scienze della formazione. Per altri si doveva dare, invece, maggior peso ai crediti dedicati all’approfondi- 37 mento delle scienze della formazione (la metà dei 120 crediti della laurea specialistica), pensando ad una laurea finalizzata alla professione docente; 2. una laurea triennale disciplinare e un corso biennale di specializzazione all’insegnamento, sul modello delle scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (le cosiddette Ssis); 3. una laurea specialistica nella Facoltà di Scienze della Formazione aperta ad integrazioni con tutte le facoltà interessate, ma pensando per gli insegnanti della scuola dell’infanzia ad un percorso formativo specifico nella linea dell’attuale corso di laurea in scienze della formazione primaria. Le ipotesi si legavano a complicati giochi accademico-istituzionali universitari, oltre che a prospettive teoriche. Quel che restava assodato era che una scuola nuova richiedeva nuovi insegnanti; o, meglio, che una buona riuscita della riforma si affidava in primo luogo a insegnanti preparati, competenti, oltre che motivati e dedicati. A questo scopo si era unanimemente d’accordo che anche la professione docente andava proiettata nella linea di una formazione lungo tutto l’arco della vita professionale; e perciò che la formazione iniziale veniva a risultare come la base fondativa di un progressivo sviluppo professionale, sempre ulteriormente qualificabile e suscettibile di integrazioni, trasformazioni, modulazioni, riqualificazioni (debitamente sorrette dal punto di vista economico!). Pur ispirata a principi unitari per tutti i docenti, in coerenza con la prospettiva sistemica della Legge n. 30/2000, occorreva pensare a una formazione iniziale che avesse articolazioni e specificazioni interne ai cicli di istruzione e che prevedesse fin dall’inizio la possibilità di transitare nei diversi cicli scolastici, mediante studi integrativi, riconversioni, rientri in formazione (magari maturando periodi sabbatici o di aggiornamento concertati e stipendiati). Certo la specificità della formazione docente chiedeva non solo di collegare formazione iniziale e formazione in servizio, ma anche di caratterizzare già la formazione iniziale nel senso di una virtuosa congiunzione di teoria e pratica, di saperi scientifici e di saperi “curvati” didatticamente già nel loro apprendimento universitario, di disciplinarità e di aperture interdisciplinari e globalmente culturali, di metodologie e di “ragioni” ispirative. 2.1.3. Un nuovo modello di insegnante: la riforma Moratti e il Decreto legislativo n. 227/2005 La riforma Berlinguer rimane come testimonianza storica dello stadio in cui si era giunti nell’elaborazione teorica della politica scolastica (almeno da parte di una componente parlamentare). Quel progetto sarà abrogato formalmente dalla successiva riforma Moratti (Legge n. 53/2003), che si colloca nel contesto di un impianto istituzionale sussidiario (cioè dell’insegnante che aiuta, “sussidia”, “tutorizza” l’alunno nell’attuazione del suo piano di studio personalizzato). La scuola e l’insegnante presentano tratti ideali molto diversi dal modello statalista e centralista (che 38 aveva dominato fino a tempi recenti nella gestione dell’attività di apprendimento/ insegnamento scolastico) (Malizia e Nanni, 2010; Malizia, Cicatelli, Fedeli e Pieroni, 2006; Bertagna, 2006; Scurati, 2006; Malizia e Cicatelli, 2005; Malizia, Cicatelli e Fedeli, 2006). La Legge n. 53/2003 e il DLgs. n. 227/2005 propongono una serie di innovazioni profonde nella professionalità docente, che sembrano ancora oggi costituire acquisizioni definite e che tracciano importanti linee di tendenza per lo sviluppo futuro dell’intera scuola italiana. Il primo è il riconoscimento pedagogico e deontologico della centralità della persona umana e del suo pieno ed autonomo sviluppo. Il secondo è l’accento posto sulla libertà e sulla responsabilità personali. Il terzo principio, che qualifica la scuola e l’insegnante ideali, è quello della progettualità. In tale quadro di fondo si viene a insinuare l’idea, suggerita dalla normativa, di un insegnante che deve passare dalla centralità dell’insegnamento a quella dell’apprendimento. La riforma ipotizza inoltre un insegnante che sia anzitutto consapevole che l’apprendimento non è mai soltanto una questione cognitiva, di organicità logica e scientifica, ma sempre, e allo stesso tempo, anche affettiva, motoria, estetica, morale, socio-relazionale, espressiva della persona. Proprio per questo il docente deve essere in grado di organizzare un insegnamento che si fondi e si sviluppi su questa integralità, senza semplificarla: superando l’esasperazione lineare delle fasi della programmazione curricolare e al contempo riflettendo sulle ragioni dello scarto tra progettato e realizzato, per fare meglio in futuro. Ne segue l’invito a superare la prospettiva di un curricolo di istituto costruito in maniera deduttiva e gerarchica dal generale al particolare, dall’alto verso il basso, dal nazionale alla classe. Nazionale e locale, istituto e classe, gruppi e singoli valgono l’uno come vincoli per l’azione dell’altro, con processi di interazione e di retroazione continua. L’ulteriore messaggio proposto dalla normativa ai docenti riguarda la necessità di valorizzare in maniera sistematica, ai fini formativi, non solo gli apprendimenti formali, quelli che si costruiscono a scuola, ma anche quelli non formali e informali, tipici dell’extrascuola. Da questa funzione tutoriale di sistema, che compete a tutti i docenti, proprio a causa della complessità delle composizioni in gioco e del rischio che esse possano finire per essere autoreferenziali, la riforma ha ritenuto opportuno enucleare il ruolo specifico di un docente tutor per ogni studente. Egli, dopo apposita formazione, dovrebbe essere il garante, nei confronti degli allievi e delle loro famiglie, del diritto personale di ciascuno ad avere a scuola un’organizzazione degli apprendimenti formali tale che lo metta in grado di realizzare il suo piano di studio personalizzato. Allo stesso tempo, proprio per la sua funzione di holding, coaching e counselling nei confronti degli allievi e delle loro famiglie, il tutor è anche il docente dell’équipe di insegnamento più adatto a coordinare i compiti organizzativi, educativi e didattici che essa è chiamata a progettare e a realizzare, per combinare le esigenze di tutti e di ciascuno, e anche per rendere soddisfacente e produttivo il proprio lavoro di équipe. In questo senso è anche coordinatore. 39 Ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado è quindi richiesto il possesso di una buona cultura generale e la padronanza di una peculiare cultura professionale specialistica che si può riconoscere nelle seguenti cinque dimensioni: la prima riguarda il sapere in modo superiore (cioè universitario) una o più discipline; la seconda coinvolge il sapere sull’allievo in generale e il sapere sull’allievo particolare con cui ci si relaziona (ad esempio se si tratta di allievi con difficoltà o con particolari dotazioni personali); la terza dimensione implica il sapere e le competenze riguardanti l’organizzazione dell’apprendimento e della vita scolastica; la quarta si riferisce al sapere e alle competenze relative alla rete delle relazioni scolastiche; l’ultima dimensione, infine, è una sintesi delle precedenti e si può indicare come il sapere e la competenza sull’insegnamento nella sua portata più squisitamente educativa, cioè su ciò che capita quando si vuole insegnare la cultura generale e le conoscenze peculiari di una o più discipline ad un allievo tra altri allievi, in un’organizzazione e con determinate relazioni interpersonali e sociali. In questa linea, la nuova formazione del docente, prospettata dalla Legge n. 53/ 2003 e dal DLgs. n. 227/2005, presuppone anzitutto che le coordinate principali della cultura generale dei futuri docenti siano acquisite nel primo e nel secondo ciclo di studi. Si chiede, invece, all’università, questa volta in collaborazione con le istituzioni scolastiche, di fornire ai futuri docenti la cultura professionale specialistica e la competenza professionale di cui hanno bisogno. E le si chiede di fornire l’una e l’altra, rispettando e valorizzando, nel complesso, le sinergie che devono intervenire tra università e scuola, tra teoria (scientifica) e pratica (professionale). I nuovi percorsi formativi annunciano perciò da subito che l’abituale formazione dei docenti in due luoghi (università e scuola), in due tempi (prima la formazione iniziale e poi quella attiva, in servizio) e in due modalità (prima la teoria e la riflessione, poi la pratica e l’azione; prima si impara a fare il docente e poi si esercita questo apprendimento) va concettualmente e ordinamentalmente superata a vantaggio di un’integrazione continua e sistematica dei due elementi di ogni coppia ricordata. Il DLgs 227/2005 sarà formalmente abrogato con il successivo ministro Fioroni (Legge n. 244/2007) che punterà al ripristino di una procedura di formazione e reclutamento più tradizionale ma soprattutto più regolare. Per l’argomento che qui ci occupa, tra gli interventi di Fioroni può essere ricordata la disapplicazione delle norme relative alla funzione tutoriale, dettata dalla necessità di recuperare il consenso di buona parte degli insegnanti e il sostegno sindacale. Toccherà però al successore di Fioroni reimpostare la politica scolastica in termini dichiaratamente economici. 2.1.4. Insegnanti, risorse e razionalizzazione del sistema: il Ministero Gelmini Il ministro Gelmini (2008-11) si troverà infatti a fare i conti con la pesante crisi economica internazionale che determinava drastiche misure di ridimensionamento della spesa pubblica, in particolare per la scuola, considerata un settore sostanzialmente improduttivo. Il Decreto Legge n. 112, convertito nella Legge 40 n. 133/2008, prevede all’art. 64 una riduzione del personale docente che consenta entro un triennio di recuperare un punto nel rapporto alunni/docenti, tagliando inoltre il 17% della dotazione organica del personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario). Nell’insieme si sarebbe trattato di oltre centomila posti di lavoro in meno. Per raggiungere l’obiettivo sarà necessario intervenire anche sui curricoli di ogni ordine e grado di scuola, diminuendone la consistenza. A parere del Ministro Gelmini, il sistema educativo di istruzione e di formazione si presenta mediocre nei risultati e nella speranza, un sistema in cui sembrano tramontati il senso della scuola e la cultura del merito (Malizia e Nanni, 2010). La scuola si è trasformata in un ammortizzatore sociale e ha rinunciato al suo ruolo di sviluppare la personalità dei giovani in tutte le dimensioni. Due logiche perverse hanno alimentato questa situazione: per favorire gli studenti si è ritenuto opportuno abbassare la qualità dei processi di apprendimento/insegnamento e si è creduto che una maggiore stabilità occupazionale potesse consentire di pagare poco i docenti e potesse compensare lo scadimento del loro ruolo e dello loro status, dimenticando che uno Stato che retribuisce male i suoi insegnanti non può esigere molto da loro in termini di qualità dell’educazione offerta. Il confronto con gli altri Paesi dell’OCSE (cioè l’organizzazione intergovernativa che associa tutte le nazioni più sviluppate del mondo) mette in evidenza la situazione di svantaggio dei nostri insegnanti sul piano degli stipendi. La media in questo raggruppamento di Stati si pone al di sopra dei 40.000 euro all’anno, mentre in Italia un insegnante della Secondaria di 2° grado, dopo un periodo di 15 anni di docenza, si situa sui 27.500 euro. Nelle parole del Ministro «abbiamo livellato le retribuzioni verso il basso. [...] Nella scuola abbiamo troppi dipendenti e poco pagati. Con una carriera pressoché piatta» (Gelmini, 10 giugno 2008, pp. 4-5). Le logiche perverse individuate dal Ministro vanno – anche a suo parere – senz’altro ribaltate. Ciò significa che bisogna puntare alla rivalutazione delle funzioni degli insegnanti, iniziando dal completo riconoscimento della loro condizione professionale. Questo tra l’altro richiede l’identificazione di nuove risorse attraverso uno sforzo di riqualificazione della spesa pubblica che, peraltro, si pone in un contesto di gravi difficoltà economiche e di crisi finanziaria a livello mondiale. Per parte loro, gli oppositori del Ministro vedono questo intervento come una grave riduzione del corpo insegnante con pericolo per l’efficacia dell’azione della scuola. In questo senso tali azioni di razionalizzazione della rete scolastica e di ridimensionamento del numero degli insegnanti (e il reinvestimento nell’istruzione solo di un 30% dei risparmi e non di tutto il risparmio, senza chiarire le finalità in positivo dei tagli) hanno scatenato le contestazioni dei sindacati e della piazza, con la larga partecipazione di studenti, di insegnanti e di genitori. Oggetto di contestazione è stato anche il decreto che ha abolito il “modulo” di più insegnanti nelle scuole primarie, al posto dei quali si è restaurata la figura del “maestro prevalente”, vale a dire un maestro unico per classe, affiancato solo dai docenti di inglese e di religione: il decreto è passato nell’opinione pubblica come il ri- 41 torno alla figura del maestro unico, ma la scuola primaria offrirà comunque quattro diverse opzioni orarie – 24, 27, 30 e 40 ore settimanali (tempo pieno) – e le scelte delle famiglie non premieranno affatto la soluzione del maestro prevalente (24 ore). Le innovazioni relative al primo ciclo sono state strutturate sistematicamente in un regolamento, Dpr n. 89/2009, che modifica l’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di 1° grado (Govi, 2009; Cicatelli, 2009a e 2009b). La scuola dell’infanzia costituisce il livello meno raggiunto da cambiamenti per cui l’impostazione finora seguita rimane sostanzialmente inalterata. L’orario settimanale resta ordinariamente di 40 ore, riducibili a 25 solo antimeridiane o prolungabili a 50. La funzione docente è maggiormente orientata verso l’educativo e tale spostamento di accento appare destinato a comportare un cambiamento importante e positivo sul piano professionale. La scuola primaria è il livello in cui sono state stabilite le innovazioni più ri - levanti. Anzitutto, è stata reintrodotta, come nell’infanzia, l’iscrizione in anticipo rispetto all’età ordinaria. Al posto del gruppo dei docenti è previsto un insegnante unico di riferimento che svolge l’intero servizio (22 ore) nella stessa classe e il cui orario viene completato a 24, 27 o 30 ore da altri insegnanti. Al contrario, la scuola secondaria di 1° grado presenta innovazioni limitate. L’orario obbligatorio è di 30 ore, cioè 29 più una di approfondimento in materie letterarie, anche per venire incontro agli alunni stranieri; non saranno più effettuati, invece, insegnamenti e attività facoltativo-opzionali che comportavano un orario aggiuntivo di 4 ore. Nelle classi a tempo prolungato, che possono essere attivate solo in presenza di condizioni strutturali e di servizi adeguati, si arriva a 36 ore settimanali, eccezionalmente a 40. Il secondo documento che cercheremo di analizzare è il regolamento per la formazione iniziale degli insegnanti. La legge finanziaria 2008 aveva abrogato il DLgs n. 227/05 e aveva ripristinato i tradizionali concorsi. Ma il DM 10-9-2010 n. 249, recante il nuovo regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria di 1° e 2° grado interviene in materia confermando la scelta di affidare a percorsi di natura universitaria la preparazione all’abilitazione all’insegnamento in ogni livello del sistema di istruzione (Malizia e Nanni 2010; Cisl Scuola, 2011, Corsi, 2011; Gobber, 2011; Luzzatto, 2011; Pellerey, 2011, Xodo, 2011 a e b). Per la docenza nelle scuole dell’infanzia e in quella primaria, si richiede la frequenza di un corso di laurea magistrale a ciclo unico quinquennale, attivato presso le facoltà di scienze della formazione o presso altre facoltà autorizzate dal Ministero, a cui potrà accedere solo un numero programmato di studenti sulla base di una prova di accesso. Il totale dei posti annualmente disponibili viene fissato in relazione alla programmazione regionale degli organici e del conseguente fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, maggiorato del 30% in relazione al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione. Ad iniziare dal secondo anno è 42 organizzato un tirocinio di 600 ore (24 crediti) che è parte integrante del corso e prevede una quota crescente di ore dal secondo al quinto anno. Inoltre, sono potenziate le competenze disciplinari e pedagogiche ed è introdotto uno specifico percorso laboratoriale per la lingua inglese e le nuove tecnologie. Al termine del quinquennio gli studenti ottengono un titolo abilitante per ambedue i tipi di scuola; il relativo esame comprende la discussione della tesi e della relazione finale di tirocinio davanti a una commissione accademica integrata da due docenti tutor e da un rappresentante dell’ufficio scolastico regionale (USR). La formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado richiede la frequenza di un corso di laurea magistrale biennale, successivo al completamento di un primo ciclo universitario in una disciplina coerente con la futura docenza. Anche in questo caso, l’accesso è previsto a numero programmato e nei termini indicati sopra. Parte essenziale dei percorsi formativi è l’acquisizione di competenze di inglese, digitali e didattiche per l’integrazione dei disabili. Dopo la laurea magistrale si dovrà seguire un tirocinio formativo attivo (TFA), abilitante, della durata di un anno e obbligatorio quanto alla frequenza: pertanto il percorso per l’insegnamento nella scuola secondaria è più lungo del precedente, occupando sei anni. Il tirocinio per l’insegnamento nella secondaria comprende 1.500 ore (pari a 60 crediti) di cui 1.025 (41 crediti) riguardano insegnamenti di scienze dell’educazione, didattiche disciplinari e laboratori pedagogico-didattici, mentre le rimanenti 475 ore (19 crediti) sono di tirocinio diretto o indiretto presso le scuole con la guida di un tutor. La gestione delle attività di tirocinio è affidata al consiglio di corso di tirocinio, composto da docenti e ricercatori del corso, tutor coordinatori, due dirigenti scolastici o coordinatori didattici nominati dall’USR, un rappresentante degli studenti. L’esame finale di abilitazione ha luogo di fronte a una commissione formata da tre docenti universitari del corso, due tutor o tutor coordinatori e un rappresentante dell’USR. Esso comprende la valutazione dell’attività svolta, l’esposizione orale di un percorso didattico su un tema scelto dalla commissione e la discussione della relazione finale di tirocinio. Per la realizzazione delle attività di tirocinio è prevista la predisposizione da parte dell’USR di un elenco regionale delle scuole accreditate, non solo statali ma anche paritarie, che verrà formato in base a parametri determinati dal Ministero per stipulare le necessarie convenzioni con le università. A loro volta le facoltà utilizzeranno personale docente e dirigente, che opera nelle scuole sia statali che paritarie, per lo svolgimento dei compiti tutoriali previsti dalla normativa. Quanto ai processi formativi per il sostegno, la relativa specializzazione si ottiene solo presso le università attraverso corsi autorizzati dal Ministero le cui caratteristiche sono determinate con regolamento di ateneo sulla base dei parametri fissati sempre dal Ministero. Inoltre, le università possono attivare corsi di perfezionamento per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera in relazione alla docenza nelle secondarie di secondo grado. 43 Il DM n. 249/2010 ha subito successivamente importanti modifiche con il DM n. 81/2013, che ha introdotto, accanto al TFA anche dei percorsi abilitanti speciali (PAS), riservati a docenti che abbiano prestato servizio per almeno tre anni, i quali possono accedervi senza selezione. Ciò ha determinato una complessa e contraddittoria stratificazione di disposizioni che non è possibile ripercorrere in questa sede. Di fatto si viene a bilanciare il criterio meritocratico con la logica del precariato che intende premiare l’esperienza comunque acquisita sul campo, annullando la programmazione dei posti in base all’organico. Certamente non si può negare in tutto il processo la presenza di aspetti positivi. Il primo è la conferma che quello degli insegnanti (e della loro formazione) era e resta un punto «architravale» per la validità formativa del sistema. Alla fine va anche apprezzata la decisione di optare per la quinquennalizzazione della preparazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della primaria (ad evitare, tra l’altro, disparità di status e diseguaglianze di carattere economico). Un terzo punto forte può essere identificato nell’unicità di tale formazione che dovrebbe rafforzare l’identità della professione docente (anche se un minimo di differenziazione interna non sarebbe di grande difficoltà da realizzare, al fine di essere maggiormente attenti alle differenze evolutive generali e apprenditive tra l’arco vitale della seconda infanzia e dell’ingresso nell’«età della ragione» con la scuola primaria). Va pure apprezzata la sensibilità pedagogica di assicurare uno spazio adeguato ai bisogni educativi speciali e agli studenti con disabilità. Si può anche affermare con una certa sicurezza di giudizio che si siano compiuti progressi verso il superamento del carattere eccessivamente teorico della laurea quadriennale e del biennio SSIS con l’introduzione del tirocinio. Ma a nostro parere permangono e meritano considerazione quelle che potremmo chiamare le criticità, a cominciare dal divario tra le competenze che dovrebbe possedere il futuro insegnante e la formazione che è prevista dal regolamento. Infatti, il curricolo sembra tutto giocato sulla dimensione disciplinare e sulla conoscenza delle materie, mentre rimane in ombra l’acquisizione di competenze trasversali soprattutto psico-pedagogiche (e più largamente relazionali ed umane, per non dire di quelle etiche e deontologiche, relative a quella che si può dire la personalità di ruolo). Di conseguenza anche la professionalità del docente e il suo profilo socio-istituzionale appaiono piuttosto deboli. Continua poi il grave errore di voler realizzare riforme così importanti a costo zero. Un’ultima considerazione va riservata al fabbisogno di personale ben formato da parte della scuola cattolica e più in generale di quella paritaria. Ancora una volta dobbiamo registrare la conferma del monopolio statale, in quanto la libertà di scelta educativa e quella di istituzione scolastica rimangono mortificate. Il curricolo formativo degli insegnanti resta molto rigido e non lascia grande spazio di manovra per differenziazioni interne, rispettose del pluralismo formativo e aperte alla fecondità formativa delle differenti tradizioni educative. Si può pensare che le università di tendenza, quali ad esempio l’Università Cattolica e la Lumsa, facenti 44 parte delle facoltà o università autorizzate dal Ministero, possano aggiungere crediti ulteriori – o più giustamente, specificando in maniera differenziata il numero dei crediti obbligatori – per l’insegnamento nella scuola cattolica, ma esse non coprono tutto il territorio nazionale. Si potrebbe inoltre chiedere agli istituti superiori di scienze religiose di offrire corsi integrativi per la preparazione degli studenti interessati all’insegnamento nelle scuole cattoliche. 2.1.5. Il piccolo cabotaggio dei Ministeri Profumo e Carrozza Dopo quattro Ministri dell’Istruzione, Università e Ricerca (Luigi Berlinguer, Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni e Mariastella Gelmini) che hanno guidato l’istruzione per periodi sufficientemente lunghi (rispettivamente 27.05.96/25.04.00; 11.06.01/17.05.06; 17.05.06/08.05.08; 08.05.08/16.11.11) con la sola eccezione di Tullio De Mauro (25.04.00/11.06.01) è ricominciata a Viale Trastevere la girandola di personalità che in meno di tre anni ha visto succedersi tre rettori di università, Francesco Profumo, Maria Chiara Carrozza, Stefania Giannini. Eppure i problemi sono complessi e avrebbero richiesto impegni politici di più ampio respiro. Ricordiamo le sfide della scuola con le parole del Censis: «Il lento processo di attuazione della riforma dell’istruzione degli adulti e la mancanza di un sistema strutturato di educazione per questa fascia di utenza a fronte di competenze linguistiche e matematiche della popolazione adulta ai minimi livelli; la permanenza di sacche endemiche di dispersione e abbandono precoce degli studi tra i più giovani; un sistema universitario avvitato in annosi processi di metamorfosi; le disparità territoriali nell’offerta e nelle performance della formazione professionale, sono solo alcune delle derive di lungo periodo che affliggono il sistema educativo nazionale» (2013, p. 97; Bertagna, maggio 2013). Per il ministro Profumo le linee programmatiche del MIUR si focalizzano su cinque priorità strategiche, tra le quali la seconda ci riguarda più da vicino: si tratta infatti di valorizzare la professionalità dei docenti. Parallelamente, un gruppo di azioni si concentra sul processo di insegnamento/ apprendimento con un forte investimento ideale sulle nuove tecnologie. Un’altra finalità strategica da perseguire consiste nel promuovere il merito e l’eccellenza, anche attraverso lo sviluppo del Sistema Nazionale di Valutazione. Il recupero delle zone scolastiche più compromesse richiederà azioni di potenziamento delle conoscenze e delle competenze, ai fini della riduzione dell’insuccesso formativo, della dispersione e dell’abbandono scolastico. Gli interventi rinviano a monte allo sviluppo della professionalità dei docenti che comporterà nuove modalità di formazione iniziale, il tutoraggio intra e inter-scolastico, azioni formative mirate e il miglioramento della carriera degli insegnanti. Sul documento programmatico del Ministero l’appunto principale è che sembra condividere sostanzialmente un modello di scuola che si costruisce sulla rispondenza a criteri di razionalità strumentale, sulla preoccupazione di assicurare l’efficienza dei mezzi rispetto ai fini. Si tratta sostanzialmente di una impostazione 45 funzionalista o utilitarista di natura neo-liberale, correlata strettamente con le logiche economiche e le esigenze del sistema produttivo, che vede nel capitale umano la risorsa più importante per vincere la competizione nel mondo globalizzato e che ritiene compito primario della scuola e della formazione nell’attuale società della conoscenza la preparazione dell’uomo flessibile e del lavoratore competente. A nostro parere sarebbe stato necessario confermare e potenziare il principio della centralità della persona, in tutte le sue dimensioni, compresa quella spirituale: puntando ad assicurare la presa in carico dello studente mediante un’azione di accompagnamento- orientamento che vada oltre i confini del tempo-scuola. Ci sembra, invece, sostanzialmente condivisibile la parte più tecnica del documento programmatico sull’istruzione. In materia di docenti è inoltre da ricordare il paventato aumento generalizzato a 24 ore settimanali del lavoro degli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Il ritiro della proposta non ha del tutto calmato il mondo della scuola che costata come, nella spending review statale, la scuola, e più in generale l’istruzione, la formazione, la ricerca, la salute pubblica, siano tra le prime istituzioni sociali su cui si abbatte pesantemente la scure del governo. Anche nel caso del ministro Carrozza, teniamo come punto di riferimento il Documento Programmatico presentato alle Commissioni riunite del Senato e della Camera (Audizione On. Sig. Ministro Carrozza, 6 giugno 2013; Malizia e Nanni, 2015). Riguardo all’istruzione, il Ministro articola il suo discorso tra obiettivi generali e interventi di sistema per il personale e per gli studenti. Per quanto riguarda gli obiettivi, viene tra l’altro sottolineata la qualità degli apprendimenti, ricordando che i dati delle ricerche nazionali ed internazionali mettono in risalto, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, soprattutto le percentuali troppo elevate di 15enni con risultati insoddisfacenti (uno studente italiano su cinque ha competenze insufficienti in lettura) e percentuali troppo basse di studenti con risultati eccellenti (il 5,8% rispetto al 9-15% dei Paesi con esiti migliori). Inoltre, l’Italia si caratterizza per le prestazioni insoddisfacenti in tutti e sette gli indicatori dell’Agenda di Lisbona 2020. Tenuto conto della emergenza occupazionale tra i giovani del nostro Paese, una istruzione di qualità assurge a obiettivo strategico nelle politiche educative del governo. Ciò richiede a monte la valorizzazione del prezioso lavoro degli insegnanti che tra l’altro sono chiamati sempre di più a svolgere funzioni educative generali e a confrontarsi con la sfida delle tecnologie digitali: pertanto, non dovrà loro mancare il riconoscimento effettivo da parte della comunità nazionale. Passando agli interventi, quelli relativi al personale hanno come priorità la valorizzazione della professione docente e di tutto il personale. Di conseguenza, si dovranno prevedere nuove modalità di sviluppo di carriera degli insegnanti con la creazione di un sistema di valutazione delle prestazioni professionali, legato a una progressione di carriera ma svincolato dal semplice criterio dell’anzianità di servizio. Questo intervento rinvia a monte alla diffusione nella scuola di una cultura 46 della valutazione mirata a dare un giusto riconoscimento al merito dei docenti, senza spirito punitivo e senza l’intenzione di dare le pagelle agli insegnanti. Da tale punto di vista il Decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80 sul Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione può costituire una opportunità preziosa per una riflessione sul tema a cui, sempre secondo il Ministro, dovranno partecipare tutti gli operatori del sistema. La qualità delle scuole dipende anche dalla presenza di insegnanti scelti bene, di dirigenti di profilo elevato e di ispettori (dirigenti tecnici) competenti e imparziali. In proposito, il Ministro manifesta l’intenzione di iniziare una riflessione per il nuovo reclutamento delle tre categorie. Un altro intervento consiste nel rilancio della formazione dei docenti. Da lungo tempo si procede in questo ambito in maniera contraddittoria nel senso che si approvano le riforme, ma non si prevedono le risorse per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Le misure da adottare non sembrano particolarmente onerose: aumento del modesto finanziamento già previsto dal Ministero per la formazione alle nuove Indicazioni nazionali; disponibilità per i dirigenti e gli insegnanti di spazi e attrezzature per la raccolta e la condivisione di buone prassi; avvio in collaborazione con Bruxelles di un piano straordinario per la formazione degli insegnanti all’uso delle nuove tecnologie. Un problema grave e che si trascina da troppi anni è rappresentato dalle consistenti masse di personale precario che opera nella scuola con contratti a tempo determinato, cui il Ministro intende rimediare almeno in parte con un piano triennale di assunzioni per il 2014-17. L’iniziativa principale del ministro Carrozza è il Decreto-Legge “L’istruzione riparte” (convertito nella Legge n. 128/2013) che, dopo anni di sacrifici e di tagli, restituisce risorse all’istruzione soprattutto e anche all’università e alla ricerca (Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, 12 settembre 2013; Il lavoro di questi 10 mesi, 20.02.2014; Ufficio Stampa del MIUR, 7 novembre 2013; Educazione&Scuola, 20.12.2013). Il Ministro riconosce che il provvedimento non è una rivoluzione, tuttavia non si può negare che rappresenti una inversione di tendenza. Anzitutto, il Decreto-Legge intende dare una risposta alle attese degli insegnanti: è previsto, infatti, un piano triennale di assunzioni dei docenti e del personale Ata, risorse per la formazione dei docenti e la stabilizzazione di oltre 26mila insegnanti di sostegno, mentre dovrebbe cambiare la procedura di assunzione dei dirigenti scolastici che saranno selezionati attraverso un corso-concorso annuale di formazione della Scuola Nazionale di Amministrazione. Sono inoltre previste alcune forme di potenziamento dell’offerta formativa e interventi sui libri digitali. Nel merito, non si possono non apprezzare alcune scelte di fondo del Ministro e le molte azioni di ottimizzazione degli ambiti di politica propri del Ministero. Anzitutto, vengono riconfermati alcuni orientamenti del predecessore: non ci si propone di porre in essere una riforma “Carrozza”, ma di realizzare un cambiamento culturale che metta al centro l’istruzione come fattore fondamentale per rinnovare 47 la società e rilanciare il Paese; inoltre, si rivaluta la prospettiva della ricerca che nel documento programmatico ottiene la medesima attenzione dell’istruzione e dell’università (Audizione On. Sig. Ministro Carrozza, 2013; Vinciguerra, 2013). Un’inversione di tendenza importante riguarda i finanziamenti di istruzione, università e ricerca. In molte occasioni il Ministro ha affermato la centralità dell’istruzione, dell’università e della ricerca per il Paese e questa convinzione non può che essere grandemente apprezzata. Ciò che non sembra condivisibile è la concezione funzionalista o utilitarista che si riscontra nel suo documento programmatico (ma anche negli atti e nelle indicazioni di prospettiva). Diversamente dal suo predecessore, però, la funzionalità non si riferisce solo allo sviluppo economico, ma anche all’equità, alla libertà, alla partecipazione civica, al rispetto della legalità e più in generale al miglioramento della qualità della vita. Lodevole è, senz’altro, anche l’intento di introdurre un sistema di valutazione esterno di cui sono state messe in evidenza correttamente le caratteristiche (L’Atto di indirizzo del MIUR per il 2014, 2013/2014; Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2014). Meno scontato anche qui è come tutto ciò possa essere realizzato senza mettere in atto meri processi sanzionatori nei confronti delle scuole in difetto. Tra le criticità si può notare, infine, la mancanza di un’idea forte e unitaria di scuola, la difficoltà a muoversi nella farraginosa procedura di reclutamento dei nuovi docenti, la perdurante mancanza di un contratto di lavoro per la categoria, il forse eccessivo entusiasmo per le nuove tecnologie che non possono risolvere da sole tutti i problemi della scuola. 2.1.6. Il Ministero Giannini e “La Buona Scuola”: solo annunci o anche fatti? Il 27 marzo 2014 il Ministro della Istruzione, della Università e della Ricerca, on. Stefania Giannini, ha presentato in Senato le sue linee programmatiche e il 17 aprile il Parlamento ha definitivamente approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) del governo che elenca anche vari provvedimenti importanti da adottare nel sistema educativo del nostro Paese (Linee programmatiche del Mi - nistro Stefania Giannini, 24.04.2014; L’istruzione nel documento di economia e finanza. DEF, 06.06.2014; Malizia e Tonini, 2014). Non ci soffermiamo sui due documenti perché sono stati superati dal Rapporto “La Buona Scuola” (dal 3 settembre 2014 accessibile in internet) che presenta il progetto generale del Governo, la “vision” che intende perseguire, al fine di offrire al Paese un sistema educativo più efficace ed efficiente (La Buona Scuola, 03.09.2014; Tonini e Malizia, 2014 e 2015; Falanga, Pruneri, Rivoltella e Santerini, 2014). Naturalmente ci limitiamo a richiamare soltanto quanto si riferisce agli insegnanti. Al riguardo del Rapporto il Governo ha organizzato una lunga consultazione che si è tradotta in una mobilitazione educativa del Paese con 1.800.000 partecipanti (on-line e of-fline), 2040 dibattiti e il 70% delle scuole coinvolte. Il progetto, completato con le indicazioni dell’intero universo scolastico, avrebbe dovuto essere 48 tradotto in un decreto Legge, in tempo per l’attuazione a partire dall’anno scolastico 2015-16, già entro febbraio, ma si è preferito all’ultimo momento ripiegare su un disegno di Legge, che è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 13 marzo 2015, perché le questioni affrontate nel provvedimento erano troppe e non tutte urgenti per cui era meglio che si esprimesse il Parlamento che, comunque dovrà farlo quanto prima per assicurare l’attuazione del piano di assunzione dei precari. Nella presentazione di questi provvedimenti incominciamo con il Rapporto che nel primo capitolo tratta una problematica antica e al tempo stesso emergenziale del nostro sistema educativo, cioè quella degli insegnanti precari. Nelle parole stesse del Rapporto: «Abbiamo alimentato un precariato enorme, disperso in liste di attesa infinite dove si resta parcheggiati per anni – in molti casi per decenni – in attesa di un posto di lavoro. E questa precarizzazione ha messo in contrapposizione generazioni di colleghi, che dovrebbero invece lavorare uniti nella missione più alta che esiste [... e nel] mestiere più nobile e bello: quello di aiutare a crescere le nuove generazioni » (La Buona Scuola, 03.09.2014, p. 6). Per risolvere alla radice tale annosa e complessa questione, il Governo intende impegnarsi in due direzioni: anzitutto avvio di un piano straordinario per assumere a settembre 2015 circa 150mila insegnanti in modo da azzerare in una sola volta le graduatorie ad esaurimento dei precari storici e sistemare anche tutti i vincitori dell’ultimo concorso; in secondo luogo, previsione nel 2015 di un nuovo concorso per consentire ad altri 40mila insegnati abilitati di entrare in ruolo, prendendo gradualmente, cioè tra il 2016 e il 2019, il posto dei docenti che andranno in pensione e così ringiovanendo il corpo insegnante. Da questo momento in poi, il concorso diventerà l’unica strada percorribile per accedere alla carriera insegnante come avviene per ogni impiego pubblico. Tali proposte del Governo introducono una importante novità, quella cioè del passaggio da un organico di diritto ad uno funzionale: il primo comprende solo il personale necessario per garantire lo svolgimento delle lezioni, mentre il secondo è in grado di coprire tutte le esigenze dall’insegnamento in classe alle supplenze, passando per le funzioni intermedie, la gestione dei progetti, il recupero degli alunni in difficoltà, il potenziamento delle eccellenze. Una seconda area di attenzione del Rapporto che qui interessa riguarda le nuove opportunità di formazione e carriera offerte a tutti gli insegnanti. Il superamento dei due nodi del precariato e della “supplentite” si accompagna all’affermazione del principio che i docenti vanno anche loro valutati e che gli scatti dello stipendio devono dipendere dal merito e non dall’anzianità. Anzitutto, andranno ridisegnati nuovi percorsi di preparazione e di selezione, ripensati i contenuti, aggiornate le competenze didattiche anche in relazione alle nuove esigenze poste dall’avvento del digitale, ma tenendo sempre fermo l’assunto che al centro della professionalità insegnante si colloca la relazione con l’allievo. Tale rinnovamento non riguarderà solo la formazione iniziale, ma anche quella in servizio che diventerà un diritto/dovere riconosciuto, un diritto nei propri confronti e un dovere nei confronti degli studenti. Inoltre, viene introdotto un principio profondamente innovativo 49 nella carriera del docente per cui il suo avanzamento non dipende più dal criterio (oggettivo e automatico) dell’anzianità, ma da quello soggettivo e frutto di valutazione del merito, fondato sulla valorizzazione dell’impegno di ogni docente e del suo contributo al miglioramento della propria scuola; inoltre, gli scatti dello stipendio sono riservati ai due terzi degli insegnanti. Secondo il documento del Governo si potranno utilizzare tre modalità di credito – didattico, formativo e professionale – ma la questione dovrà essere ulteriormente approfondita. Inoltre, viene introdotta la figura del docente mentor per aiutare il dirigente nella valorizzazione delle risorse umane nell’ambito della didattica. Nel Disegno di Legge sono state avanzate quattro proposte principali, su cui ci soffermeremo brevemente dato che il DDL è ancora in discussione: in particolare si tratta del piano di assunzioni straordinario, della Carta dell’insegnante (500 euro per spese culturali), del reclutamento dei docenti con chiamata della scuola a partire da albi territoriali e della formazione in servizio “obbligatoria, permanente e strutturale” (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, 27 marzo 2015; Tuttoscuola, 2015). Dal prossimo 1° settembre vengono stabilizzati 100.701 insegnanti: 99.000 presi dalle Gae (graduatorie ad esaurimento) e 1.700 dal concorso del 2012; inoltre, per 27.000 docenti di scuola materna dovrebbe arrivare l’assunzione subito dopo attraverso la Legge delega e il provvedimento sugli asili. Dopo la maxi-stabiliz - zazione si tornerà ad assumere solo per concorso. Con questo schema le graduatorie di prima fascia scompariranno davvero, ma le incrostazioni scolastiche hanno reso il sistema complesso per cui secondo i sindacati resterebbero fuori 360mila aspiranti docenti. In ogni caso non si può negare che si avrà un ampliamento degli organici e investimenti per assicurare delle risorse in più, anche se modeste, agli insegnanti. Uno degli aspetti più innovativi sembra essere il nuovo criterio di reclutamento dei docenti. Chi è già in ruolo rimane nella condizione attuale, ma chi deve essere assunto o chi si trasferisce da una scuola all’altra entra nell’albo professionale degli insegnanti, che sarà il nuovo strumento di reclutamento: un elenco da cui attingeranno i dirigenti per scegliere (con criteri pubblici e oggettivi) i docenti migliori per la loro scuola, secondo il principio per cui non sarà più l’insegnante a scegliere la scuola ma sarà la scuola scegliere i suoi insegnanti (in funzione del POF, che diviene triennale ed acquista un ruolo più importante anche per la definizione dell’organico). Rimane ancora piuttosto generica la volontà di valorizzare il merito degli insegnanti (toccherà ai decreti delegati chiarire le modalità); è previsto, comunque, che alla fine di ogni anno il dirigente scolastico, sentito il Consiglio di Istituto, assegnerà un bonus per i consumi culturali al 5% dei suoi insegnanti per dare un riconoscimento economico a chi si impegna di più. Inoltre, è già dichiarata l’introduzione della formazione in servizio “obbligatoria, permanente e strutturale”, che probabilmente – una volta a regime – inciderà in maniera significativa sulla qualità del servizio scolastico. 50 2.2. Il caso della FP Questa sezione è dedicata direttamente all’evoluzione del ruolo e della formazione del formatore della FP. In un primo momento ci si soffermerà sulla situazione durante il primo sviluppo della FP; successivamente si concentrerà l’attenzione sull’affermarsi negli Anni ‘90 di una nuova cultura organizzativa nella FP e sulla sua incidenza sul tema di cui ci occupiamo; in terzo luogo si cercherà di illustrare la condizione attuale a partire dagli anni 2000, mentre l’ultima parte focalizzerà il discorso sul CNOS-FAP. 2.2.1. Dal dopoguerra agli Anni ‘80: l’inizio dello sviluppo Tra la fine degli Anni ‘40 e tutti gli Anni ‘50 la struttura organizzativa, ancora embrionale, della FP prevedeva le figure professionali del direttore, del segretario e dell’istruttore teorico e pratico (Ghergo, 2009). Chiaramente si trattava di una articolazione gestionale semplice, “a pettine”, in cui il dirigente rappresentava l’unico riferimento gerarchico. Gli istruttori insegnavano i programmi addestrativi sotto la guida del direttore e periodicamente esprimevano valutazioni sintetiche circa il profitto degli allievi. La loro scelta era lasciata alla responsabilità degli Enti promotori che, però, dovevano rispettare parametri minimi di requisiti: agli istruttori teorici si richiedeva il possesso di un titolo di studio almeno di scuola media superiore e, in ogni caso, corrispondente al livello e alla natura dell’insegnamento e a quelli pratici l’adempimento almeno dell’obbligo e, di regola, l’esercizio del mestiere per un minimo di quattro anni nel mondo produttivo. Gli aspiranti istruttori e quanti in attività intendevano perfezionare la loro preparazione potevano iscriversi a corsi per la formazione degli istruttori. Alla fine del decennio successivo, un’indagine del Ministero del Lavoro fotografava la situazione dei docenti della FP (Ghergo, 2009). Secondo tale ricerca, nel 1970-71 essi ammontavano a 7.831, una cifra che però non comprendeva tutti quelli che svolgevano una qualche attività nei Centri, ma solo quelli che ne prestavano una equivalente o superiore al minimo richiesto per instaurare un rapporto di lavoro a tempo determinato, cioè un periodo di 7 mesi con un orario di docenza non inferiore a 12 ore settimanali per gli istruttori e a 24 per gli istruttori pratici o per gli aiuto istruttori. Riguardo a settori e funzioni si nota che il comparto dell’industria/ artigianato pesava di più tra il personale insegnante che tra i corsi e gli allievi per una maggiore presenza di insegnanti a tempo indeterminato; inoltre, erano gli insegnanti teorici a costituire la maggioranza relativa sia nell’industria/artigianato che nel commercio/servizi, ma se si sommano insieme gli istruttori pratici, gli aiuto istruttori (personale impegnato nelle ore di laboratorio quando gli allievi di un corso superavano il numero di 20) e gli insegnanti teorico-pratici (dedicavano un quarto della lezione a spiegazioni di carattere teorico), erano questi a prevalere. Passando al titolo di studio, quasi il 60% (56,9%) possedeva la licenza della media superiore: a notevole distanza seguivano quanti potevano contare solo sulla licenza 51 della media inferiore (14,9%), su quella elementare (10,4%) o sulla qualifica (9,9%), mentre i laureati si collocavano all’ultimo posto, lontani anche dal 10% (7,9%): in tale ottica, è evidente la criticità rappresentata da un livello di istruzione notevolmente più basso di quello del corpo docente dell’istituto professionale. Se si approfondisce il rapporto fra titolo di studio e disciplina insegnata, emergono due andamenti preoccupanti: nelle materie scientifiche e tecnologiche i laureati erano appena il 10% e i laureati e i diplomati dell’istituto tecnico costituivano meno della metà degli insegnanti di materie tecnologiche. Ulteriori informazioni sulla situazione dei formatori della FP negli Anni ‘60 vengono da una ricerca della Cassa del Mezzogiorno che, però, è anteriore all’altra – riguarda l’anno 1967-68 ed è circoscritta al Centro-Sud (Ghergo, 2009). Dal punto di vista dell’età, quasi il 50% (46,5%) si collocava nella coorte 20-30 anni per cui il corpo docente della FP si poteva qualificare come complessivamente giovane: il dato evidenziava un’altra criticità del sistema in questa fase del suo sviluppo e cioè che la FP era ritenuta un impiego iniziale e momentaneo dei diplomati e non una professione stabile. Un altro dato, assente nell’indagine del Ministero del Lavoro, ma riscontrato da quella della Cassa del Mezzogiorno, riguardava l’impegno orario di insegnamento che nella gran parte dei Centri si situava sulle 21- 25 ore settimanali. Un ultimo risultato nuovo evidenziava la partecipazione ai corsi di aggiornamento che si limitava a poco più di un quarto (26,5%); la categoria maggiormente coinvolta nelle iniziative di formazione in servizio era costituita dagli istruttori, seguita dagli insegnanti teorici. Della situazione negli Anni ‘70 ci informa una ricerca di tipo censimentale dell’ISFOL (Ghergo, 2009). Il numero complessivo viene stimato in 17.500, più del doppio cioè degli Anni ‘60: in un panorama generale di CFP con una ampiezza media modesta (84,2 allievi per Centro) gli insegnanti ammontavano a circa 10 per CFP, mentre il rapporto con gli allievi si situava a 9,1. Gli uomini costituivano oltre il 70% del totale (71,5%) e di conseguenza le donne rappresentavano meno del 30% (28,5%), in controtendenza con la scuola che, invece, era investita da un forte processo di femminilizzazione. I due terzi circa (63,8%) potevano contare su un contratto a tempo indeterminato, mentre il 28,5% ne aveva uno a termine e un rapporto di tipo professionale si riscontrava solo nel 3,5% dei casi: il dato evidenziava il notevole percorso di stabilizzazione che era stato compiuto nell’ultimo decennio per ridurre la precarietà del corpo docente. Riguardo al tipo di insegnamento si nota che quasi la maggioranza (48,9%) era costituita da insegnanti teorici rispetto al 24,6% di insegnanti pratici, al 21,7% di teorico-pratici e al 3,7% di assistenti aiuto istruttori: tale andamento non deve stupire perché i docenti teorici non insegnavano solo materie con caratteristiche umanistiche, ma pure quelle tecnico-scientifiche che fornivano il fondamento alle conoscenze operative. Anche negli Anni ‘70 il personale docente manteneva la sua caratteristica di essere concentrato nelle coorti di età più giovani: ciò risulta dalla media che si collocava a 34,6 anni. Il dato sollevava un serio problema di gestione nel senso che la FP disponeva di un personale 52 che poteva e doveva utilizzare per anni, per cui emergeva la necessità di conciliare le tutele professionali per il corpo docente con la flessibilità programmatoria del sistema. L’orario settimanale vedeva più di un terzo con un impegno di 19-24 ore, meno di un quarto fino a 12 e oltre 24 e una percentuale inferiore a un quinto con 13-18. Migliorava, ma non di molto, la situazione riguardo ai titoli di studio: saliva a quasi due terzi (64%) la consistenza dei diplomati della secondaria superiore e soprattutto quella dei laureati che si avvicinava a un quinto (17,4%), mentre diminuivano i licenziati della media inferiore (13,8%) e soprattutto quelli delle elementari (4,8%). Quanto all’esperienza previa di lavoro, il corpo docente si divideva in due parti: il 43,6% poteva contare su un’esperienza di lavoro dipendente o autonomo, ma il 47,9% era passato direttamente dallo studio all’insegnamento senza alcun contatto con il mondo produttivo. Il 60% circa (59%) aveva frequentato corsi di formazione o di aggiornamento e la partecipazione cresceva tra quanti erano maggiormente inseriti nel sistema di FP, cioè i maschi, gli insegnanti a tempo indeterminato e quelli con un titolo di studio più coerente o che, pur possedendo titoli bassi, impartivano insegnamenti pratici. Un decennio più tardi, nel 1989-90, il totale degli operatori raggiungeva la cifra di 27.989 con una crescita di oltre il 60% rispetto alla precedente cifra (Ghergo, 2011). All’interno di questo dato complessivo il rapporto tra la gestione pubblica-regionale e/o delegata e la gestione convenzionata era di 1 a 2 e risultava chiaramente sovrastimato rispetto a quello riscontrabile riguardo ai corsi dove si abbassava da 1 a 4. Questo divario dipendeva dal fatto che in alcune Regioni che avevano introdotto il ruolo della FP le statistiche facevano riferimento a tutto il personale della gestione pubblica inserito in tale ruolo a prescindere dalla collocazione e utilizzazione reale. Venendo alla distribuzione per funzioni, l’area pubblica presentava un evidente squilibrio tra personale docente e non docente con un rapporto 60%-40% in paragone a quella convenzionata in cui la relazione era 75%-25%: in questo caso la difformità dipendeva oltre che dalle procedure statistiche appena ricordate anche dalla “lievitazione” nel pubblico delle qualifiche basse degli organici. Migliorava, anche se di poco, la distribuzione tra i sessi che registrava in ambedue le gestioni un rapporto 63,3% 36,7%. Per quanto riguarda l’età, la condizione rimaneva ancora nel complesso relativamente giovane. Anche il titolo di studio non era una caratteristica discriminante tra le due gestioni e si può dire che prevaleva, come nel passato, una scolarità media superiore. I 3/5 degli insegnanti potevano vantare un’attività lavorativa prima di iniziare la docenza nella FP: in generale questa professionalità pregressa era svolta o in imprese di piccole dimensioni (la maggior parte dei formatori più anziani) o in ambiente scolastico (la maggior parte dei formatori più giovani). La regolamentazione del personale della FP aveva due punti di riferimento, la disciplina contrattualistica e la legislazione regionale, tra cui la prima presentava un’importanza superiore. Va subito notato che i contratti delle due gestioni si caratterizzavano per una diversità più spinta che non la somiglianza, Il contratto degli 53 operatori degli Enti convenzionati, anche se veniva predisposto e concluso tra le organizzazioni sindacali e gli Enti privati, tuttavia era subordinato al consenso preventivo esplicito delle Regioni per cui le parti che entravano nella trattativa erano di fatto tre; inoltre, esso costituiva il luogo per la ricorrente conflittualità tra organizzazioni sindacali ed Enti. Nel periodo considerato, le vertenze erano focalizzate prima sulle dimensioni organizzative, successivamente su quelle istituzionali e da ultimo su quelle funzionali. Del contratto degli operatori dei CFP pubblici va ricordata la conferma delle collocazioni funzionali del personale docente nel 5° e nel 6° livello che appaiono a giudizio degli esperti scarsamente rispondenti alla realtà. Un’osservazione che riguardava le caratteristiche strutturali del personale della FP nella loro totalità sosteneva che queste rispondevano solo parzialmente alle esigenze di flessibilità del sistema: accanto ad andamenti favorevoli, come l’età media, si riscontravano aspetti che si situavano maggiormente nella rigidità come il livello di istruzione relativamente basso, le tipologie di esperienze lavorative pregresse caratterizzate da professionalità tradizionali o da modelli scolastici e un’impostazione contrattualistica che avvicinava i docenti agli insegnanti della scuola piuttosto che ai formatori professionisti. Un’ultima considerazione va riservata alle politiche del personale adottate dalle Regioni nel decennio sotto esame e che erano sostanzialmente di due tipi: la regionalizzazione e la riqualificazione. La prima andava distinta dalla pubblicizzazione: questa si fondava su un pregiudizio ideologico secondo cui la FP era un servizio pubblico e la sua gestione andava affidata solo a soggetti pubblici; al contrario, la regionalizzazione si basava su ragioni di natura funzionale-programmatica secondo cui il governo delle risorse umane della FP doveva essere assicurato da una forte regia delle Regioni in modo da poter attuare una riorganizzazione sostanziale del sistema. La ristrutturazione era pensata come la ridistribuzione del personale secondo funzioni parallele alla FP quali l’orientamento, l’osservazione del mercato del lavoro, l’informazione, la consulenza alle imprese sulle politiche formative e occupazionali o in base ad altri compiti dell’amministrazione. Indubbiamente la regionalizzazione, sebbene presentasse un’incidenza più o meno grande sulle attività private, tuttavia non le escludeva come nel caso della pubblicizzazione. Tuttavia, anch’essa non mancava di criticità: anzitutto, non era possibile definire la politica del personale prima di aver determinato quella del settore perché il personale rappresentava una risorsa strumentale; si sosteneva che la regionalizzazione permettesse di liberare la FP di professionalità in eccesso o superate, ma si dimenticava che se queste esistevano avevano ben poche possibilità di riqualificazione; l’utilizzo di parte del personale in funzioni parallele alla FP o in altri compiti dell’amministrazione era destinato a depauperare la FP da professionalità importanti o a dar vita a servizi di basso profilo per competenze di livello elevato. Sempre in questo ambito delle politiche di gestione del personale va richiamata un’ulteriore distinzione tra formazione per l’aggiornamento del personale e quella per la riqualificazione, la prima mirata ad accrescere e approfondire le com- 54 petenze del docente e la seconda finalizzata a trasmettere competenze per settori lavorativi relazionati, ma diversi, rispetto alla formazione. Nel decennio in esame si allargava lo spettro delle iniziative di aggiornamento in modo da comprendere, oltre alle abilità tecnico-disciplinari, anche le competenze pedagogiche e sociali, specialmente quelle che riguardavano le nuove funzioni di facilitatore dell’apprendimento individuale e collettivo. A loro volta, i processi di riqualificazione tendevano a mettere in discussione la concezione di ispirazione scolastica del ruolo unico del docente secondo la quale questi era un tecnico disciplinare incaricato di insegnare un programma definito da altri mentre la FP, che si trova a stretto contatto con i mondi produttivi a livello locale, doveva essere pronta a elaborare e svolgere progetti con caratteristiche marcate di contestualizzazione e specificità per cui si sentiva non solo l’esigenza di un ruolo docente, ma di una pluralità di ruoli a monte (analista di fabbisogni, programmatore, analista della professionalità, consulente orientatore...) e a valle (valutatore) dell’intervento formativo. Venendo nel concreto dei corsi di riqualificazione, quelli offerti dalle Regioni del Sud erano quantitativamente adeguati, ma non qualitativamente, mentre quelli organizzati dagli Enti si rivelavano validi ma ispirati a modelli organizzativi tra loro non molto congruenti. Un’osservazione finale riguarda i processi di aggiornamento e di riqualificazione che risentivano negativamente anche della finalità emergenziale per cui erano stati talora attivati, cioè con il solo scopo di garantire la continuità occupazionale ad operatori momentaneamente non impegnati in attività formativa. 2.2.2. Gli Anni ‘90: la nuova cultura organizzativa e le funzioni del formatore Una questione centrale degli inizi della decade ‘90 è costituita dalla situazione degli operatori della FP che vedeva anzitutto una giustapposizione e frequente sostituzione o integrazione delle figure di processo (progettisti, tutor, coordinatori) alle figure di contenuto (docenti, istruttori) (ISFOL, 1992; Malizia e Tonini, 2012). Inoltre, i compiti dei formatori tendevano a combinarsi nelle forme più varie sia nel momento dell’assunzione che dell’organizzazione del lavoro. Si registrava anche una situazione di elevata instabilità nei ruoli per cui questi non sempre corrispondevano alle articolazioni precedenti delle figure, né d’altra parte ne emergevano di nuovi che ottenevano un consenso generale e la loro differenziazione era talora molto forte. La struttura del mondo del lavoro in cui coesistevano modalità tradizionali e nuove e una gamma di forme intermedie esigeva dai formatori il possesso non tanto delle abilità di adattarsi al cambiamento quanto la capacità di prevenirlo e di fornire strategie adeguate di risposta. Di qui l’esigenza di disporre di categorie anche contrattuali che affrontassero la tematica dell’innovazione dei profili professionali e del relativo inquadramento. A ciò va aggiunto che i CFP erano stati raggiunti agli inizi della decade ‘90 da fenomeni di involuzione burocratica (ISFOL, 1995). Infatti, non infrequentemente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo 55 sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si andava diffondendo l’esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale. A tal fine il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP realizzava nella prima metà degli Anni ‘90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero del Lavoro (Malizia, Chistolini, Pieroni e Tanoni, 1991 e 1993; Malizia, Borsato, Frisanco e Pieroni, 1996) – rispettivamente sul coordinatore progettista, su quello di settore/ processo e sul direttore e lo staff di direzione – e una dello stesso CNOS-FAP sul coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey e Sarti, 1991). In base ai risultati di tali investigazioni era possibile elaborare un modello di organizzazione delle azioni di FP che si qualificava per essere al tempo stesso formativo, comunitario, progettuale, coordinato, aperto, flessibile e qualificato (Malizia, Chistolini, De Nardi, Pellerey, Pieroni, Sarti e Tanoni, 1993). In sostanza si trattava del modello del CFP polifunzionale che, mentre da una parte cercava con la pluralità delle sue offerte di adeguarsi alla complessità della società odierna, dall’altra non rinunciava, anzi mirava a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gamma molto ampia di destinatari (Malizia e Tonini, 2012). Esso si contrapponeva alla formula dell’agenzia formativa (ISFOL, 1995; Il nuovo ruolo del CFP come agenzia di servizi, 1995) che però non sembrava trovare il conforto dei dati delle ricerche menzionate sopra. I risultati di tale impegno associativo hanno anche costituito il quadro di riferimento entro il quale si è collocato l’articolo 7 del CCNL della FP convenzionata (1994-1997). Per questi motivi, e tenuto anche conto che si trattava del quadro teorico di una ricerca che riguardava i formatori del CNOS-FAP, si è pensato di concentrare l’attenzione sul modello del CFP polifunzionale. Ciò non significa che sia l’unica proposta in campo e che le altre non presentino elementi validi; tuttavia, ci sembra che quella in esame possa contare su evidenze significative e che pertanto possa essere presa come rappresentativa della riflessione e della prassi del decennio. a) Un modello formativo e comunitario Gli studi a medio e lungo termine coincidevano in generale su una previsione: l’avvio del terzo millennio sarebbe stato contraddistinto da una vera e propria esplosione delle conoscenze in tutti i campi (Cresson e Flynn, 1995). Nel nuovo modello di società, ricerca, sapere e formazione diventavano il fondamento del sistema sociale e non sarebbero stati più soltanto fattori di sviluppo: in altre parole, la formazione con la ricerca e il sapere rappresentava il fondamento stesso della società post-industriale o post-moderna. Anche nella FP la centralità della formazione significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l’acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura deve essere focalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una concezione globale dell’uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. 56 La formazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della FP, giovani e adulti, animatori e operatori, genitori e collaboratori. La centralità della formazione esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione. I dati delle ricerche evidenziano la convergenza delle opinioni degli operatori della FP sulla centralità della formazione (e di una formazione di qualità) e sul modello comunitario (Malizia, Chistolini, Pieroni e Tanoni, 1991 e 1993). È chiaro che la centralità della formazione e la costruzione di una comunità sono esigenze che si impongono in ogni Centro. Esse vanno realizzate in qualsiasi tipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né la complessità delle azioni intraprese dal Centro, né la presenza o la preponderanza di corsi mirati a un pubblico adulto possono indurre a pensare che il CFP si sia trasformato in un’azienda o in un’agenzia. Il CFP rimane un’istituzione formativa e la sua riorganizzazione, pur necessaria ed urgente, resta al servizio della scelta educativa e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logica di fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale del CNOS-FAP da certe concezioni agenziali della FP. b) Un modello progettuale In quegli anni si era andato delineando un consenso generale sulla necessità di rinnovare il modello organizzativo delle istituzioni formative in quanto appariva del tutto superato rispetto alle esigenze della società. La strategia principale di azione doveva essere ricercata nella crescita e nella diffusione di un’adeguata cultura organizzativa che significava fondamentalmente sviluppo della capacità di avviare prassi progettuali di sistema. In altre parole, bisognava anzitutto passare da un approccio organizzativo individualistico e disintegrato ad uno integrato che si traducesse in proposte unitarie qualificanti di Centro e di corso. In secondo luogo la dimensione progettuale non poteva essere solo una caratteristica dell’azione del singolo formatore, ma doveva connotare l’attività di tutto il sistema. Inoltre, la progettazione doveva includere come componente imprescindibile il controllo; altrimenti i risultati dell’azione organizzativa avrebbero continuato a presentarsi come casuali. In ogni caso, dalle ricerche più volte menzionate emerge chiara ed inequivocabile la domanda degli operatori di introdurre nella FP la funzione/figura del coordinatore di progetto che viene inteso come un’articolazione della funzione del formatore (ISFOL, 1992; Malizia, Chistolini, Pieroni e Tanoni, 1991). In altre parole si fa strada un’impostazione di natura educativa che parte dal presupposto che il CFP sia principalmente una comunità formativa e più specificamente una comunità di formatori. Ne segue che la progettazione degli interventi impegna la corresponsabilità di tutti e diventa strumento prezioso attraverso cui la comunità formativa si crea e si sviluppa: infatti, tale azione consente alla comunità del CFP di identificare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. In 57 altre parole la progettazione è il cemento che unifica la comunità formatrice e il dinamismo che la fa crescere. c) Un modello al servizio della persona La promozione integrale della persona significa che l’educando occupa il centro del sistema formativo e che pertanto il sistema formativo deve fare dell’oggetto dell’educazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il diritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo che deve adattarsi all’educando e non viceversa. Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l’intero CFP e la FP nel suo complesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. Tra le nuove funzioni/figure che emergono dalle ricerche, una che è chiamata a svolgere particolarmente tale servizio è senz’altro quella del coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey e Sarti, 1991). Negli ultimi anni si era passati progressivamente dalla considerazione dell’orientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative o almeno autonomi da esse, ad una in cui l’orientamento si presentava come un processo educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare alla persona le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamente alle scelte che continuamente era chiamata ad operare, soprattutto in relazione all’attività professionale. Per ottimizzare, armonizzare, sincronizzare le attività formative e didattiche con valenza orientante dei diversi operatori e del Centro nel suo complesso, si è ritenuto necessario individuare una persona che, pur continuando a far parte del corpo docente, in modo particolare si facesse carico della realizzazione coordinata e finalizzata di questo insieme di attività. Si tratta della funzione/figura del coordinatore delle attività di orientamento. d) Un modello coordinato e integrato Nella FP era in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione delle funzioni, un tempo accentrate nelle figure del direttore e del formatore anche a motivo della prevalenza di strutture semplici, fondate su attività generalmente consolidate (Nicoli, 1991a,b,c). Queste dinamiche di riarticolazione si manifestavano con particolare chiarezza a livello di personale formativo dove sempre più si richiedevano precise specializzazioni di ruoli e funzioni. Esse a loro volta rinviavano all’introduzione di forme nuove di integrazione attraverso la creazione di figure di raccordo quali i coordinatori, in particolare di settore/processo. A sua volta l’indagine del Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP sul direttore aveva messo in risalto una diffusa insoddisfazione nei confronti dell’articolazione dei suoi compiti quale delineata nel CCNL (Malizia, Borsato, Frisanco e Pieroni, 1996). Sembrava necessario un riaccorpamento e una semplificazione di quell’elenco frammentato di mansioni in un disegno sintetico ed essenziale di grandi funzioni. In particolare, sulla base dei risultati dell’indagine si proponevano 58 le seguenti sei: responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell’Ente locale o di formazione; leadership della comunità degli operatori, in particolare attraverso la presidenza dell’organo collegiale dei formatori e la responsabilità della gestione del personale; motivazione del personale e cura del suo aggiornamento; direzione e coordinamento delle attività; coordinamento delle attività progettuali; innovazione dell’organizzazione del CFP. La stessa indagine metteva in risalto anche l’emergere di un altro organismo, lo staff di direzione. In proposito, la funzione indicata al primo posto era quella relativa al collegamento tra il CFP e il sistema delle imprese presenti sul territorio. A questa si aggiungevano il coordinamento tra le varie attività promosse all’interno del CFP, la preparazione delle principali decisioni da prendere, la pianificazione e l’organizzazione delle attività del CFP in vista del raggiungimento degli obiettivi formativi. Lo staff non era pensato come un contraltare al direttore, ma come un sostegno al ruolo direttivo e una compartecipazione alle attività di conduzione del CFP. Doveva svolgere consulenza al direttore, presentargli proposte, partecipare alle decisioni, eseguire le iniziative promosse e decise dal direttore, verificare le azioni formative. e) Un modello aperto Nel campo delle istituzioni formative un impatto decisivo è stato esercitato dal nuovo modello di sviluppo, l’educazione permanente: in proposito si possono ricordare due dei suoi assunti principali (Malizia, 1988). Anzitutto, lo sviluppo integrale dell’uomo e, in particolare, l’educazione di ogni uomo, di tutto l’uomo, per tutta la vita, richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). In secondo luogo, l’educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative (società educante). L’esigenza dell’apertura al contesto attraversa tutte le figure/funzioni della FP. I compiti del coordinatore di progetto convergono in questa direzione: si tratta di individuare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi degli interventi formativi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio (Malizia, Chistolini, Pieroni e Tanoni, 1991). A sua volta il coordinatore di settore/processo costituisce uno snodo tra il CFP, le aziende e i singoli formatori (Malizia, Chistolini, Pieroni e Tanoni, 1993). La funzione del coordinatore delle attività di orientamento è finalizzata tra l’altro a mantenere il coordinamento e il collegamento fra la struttura formativa e i soggetti istituzionali e sociali, il sistema scolastico e formativo, nonché gli eventuali specialisti e Centri specifici di orientamento (Pellerey e Sarti, 1991). Da ultimo, il direttore è chiamato ad assumersi la responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell’Ente locale o di formazione. 59 f) Un modello flessibile La flessibilità rappresenta una caratteristica che è connessa strettamente con la nozione di sistema aperto (Malizia e Tonini, 2012). Con tale aspetto si è inteso riferirsi ai problemi di sede, di organico di appartenenza, di status. Ciò che si vuole sottolineare è che il sistema del CNOS-FAP è “a geometria variabile”: la sua realizzazione può essere la più varia, tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni Centro per cui si può andare da un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto (CFP complessi, sede regionale di Ente, servizi territoriali regionali). g) Un modello qualificato Con il termine qualificazione si è voluto significare il tipo di formazione necessario per l’esecuzione dei vari compiti (Malizia e Tonini, 2012). In questo caso le diverse ricerche citate fornivano indicazioni – che noi non riportiamo per ragioni di essenzialità – in relazione al coordinatore di progetto, al coordinatore di processo/ settore, al coordinatore delle attività di orientamento e al direttore, precisando per ognuno conoscenze e competenze. Quanto ai requisiti per l’accesso alle quattro funzioni/figure, si riscontrava un accordo generale su un’esperienza previa di docenza (e di managerialità per il direttore) e su un corso di formazione in servizio finalizzata. Gli operatori, però, si dividevano sulla laurea che per il momento non poteva essere imposta a tutti, ma che doveva essere introdotta in futuro in relazione anche con la generale elevazione dei livelli culturali di base per l’insegnamento. 2.2.3. Gli Anni 2000: il formatore della FP nel quadro delle riforme Nel primo decennio del 2000 varie indagini dell’ISFOL consentono di delineare l’evoluzione recente del personale della FP sia riguardo al ruolo che alla formazione (ISFOL, 2009, 2007, 2006, 2005, 2004, 2002; Montedoro, 2006). Riguardo al numero, dopo l’aumento consistente degli Anni ‘70, il rallentamento degli Anni ‘80, la riduzione della prima metà del decennio ‘90, nel periodo 1996-2001 si riscontra una crescita notevole che porta al raddoppio da 25.774 a 52.831 (+102,6%) (ISFOL, 2004; Montedoro, 2006). All’espansione si accompagna una serie di fenomeni che comportano nuove divisioni intra-professionali e accentuano quelle già presenti e su cui ci soffermeremo nel prosieguo. La prima tendenza da segnalare riguarda l’evoluzione del profilo socio-anagrafico di base del personale della FP (ISFOL, 2007, 2006, 2005, 2004, 2002; Montedoro, 2006). Rientra in questo quadro un deciso rallentamento, se non un vero e proprio mutamento di direzione, del fenomeno dell’invecchiamento dei formatori. Da questo punto di vista i dati parlano chiaro nel senso che nel 2006 la loro età media si colloca sui 43 anni e, pertanto, risulta equivalente o di poco più bassa rispetto a 60 quanto riscontrato nelle precedenti indagini, 43,5 nel 2002 e 43,2 nel 2004 (ISFOL, 2007). In altre parole nel sistema della FP accreditata il ricambio generazionale è continuato e probabilmente va attribuito all’avvio dell’accreditamento che ha comportato modalità di selezione e di inclusione di attori e organizzazioni nuove e tradizionali. Ciò ha contribuito a ridurre, anche se indirettamente, un andamento che era emerso in maniera preoccupante nel corso degli anni, quello cioè della obsolescenza delle competenze delle generazioni più anziane del personale, correlato logicamente con il complicarsi delle problematiche sociali e istituzionali da affrontare nella FP. Di fatto, l’evoluzione degli ultimi anni pare realizzare in modo naturale il ricambio generazionale nonostante il mancato avvio di un turnover pilotato. Un’altra tendenza riguarda la composizione di genere del personale della FP. Infatti, pare che sia in atto una novità veramente storica, quella cioè del sorpasso delle donne rispetto agli uomini soprattutto tra le nuove leve. Nelle rilevazioni campionarie effettuate dall’ISFOL, la componente femminile cresce dal 44,6% del 2002, al 48,9% del 2004, al 53,2% del 2006 (ISFOL, 2007). Passando al quadro delle competenze, incominciamo con la situazione della formazione di base. Anche da questo punto di vista va registrata una novità storica: il 60,7% possiede ormai una laurea: ricordiamo che nel 2002 la percentuale era del 36,7% e nel 2004 del 39,9% (ISFOL, 2007). Ovviamente un andamento opposto si registra tra i diplomati: 56,6%, 54,7% e 35,8% rispettivamente nel 2002, nel 2004 e nel 2006. A loro volta, i titoli meno qualificati sono ormai divenuti marginali e la loro consistenza continua a diminuire, passando dal 6,6%, al 6,4%, al 3,5%. In aggiunta, le formatrici si distinguono per livelli di istruzione più elevati, essendo contemporaneamente più giovani e rappresentate tra le nuove leve; dal punto di vista territoriale sono le zone del Centro Italia ad essere più virtuose. Tenuto conto che l’ultimo anno della rilevazione si caratterizza per la presenza esclusiva di enti accreditati, trattandosi di una condizione ormai obbligatoria ovunque, si può supporre che la realizzazione piena del nuovo dispositivo abbia comportato una forte accelerazione all’elevazione dei titoli dei formatori. Quanto alla formazione in servizio, la percentuale di quanti hanno partecipato a iniziative di questo tipo raggiunge la cifra del 60% e i dati medi sulla frequenza appaiono alquanto alti con 13 corsi quasi per ogni caso analizzato. A sua volta la quota dei formatori che non hanno usufruito di alcuna esperienza in merito risulta piuttosto elevata, collocandosi al 40%, e soprattutto preoccupa che sia cresciuta dal 2002 quando era il 26,3%. A parziale spiegazione della crescita si può richiamare il dato relativo all’anzianità professionale che era di 16 anni in media nel 2002 e 2004, mentre nel 2006 scende a 13. Un’altra criticità è riscontrabile anche tra coloro che hanno partecipato a iniziative di formazione in servizio in quanto il 20% ha usufruito al massimo di 1 corso ogni 4 anni di servizio e il 30% di 1 ogni 3, per cui la percentuale di chi ha seguito meno di 1 corso ogni anno di servizio raggiunge la cifra del 62,7% ed è di conseguenza maggioritaria. Se i dati si disaggregano per 61 zone geografiche, la situazione appare migliore nel Nord e ciò in controtendenza con la formazione di base. Emergono pertanto due modelli di competenza che si distinguono su base territoriale nel senso che le Regioni settentrionali tendono a valorizzare le competenze specialistiche ed esperienziali, mentre nelle altre risultano meglio ripartite quelle di base. Inoltre, con riferimento alla composizione di genere, il capitale di competenze delle formatrici appare più equilibrato perché alla condizione migliore riscontrata nella formazione di base se ne accompagna una equivalente riguardo alla formazione in servizio. Un’ultima considerazione va riservata alla figura di formatore verso la quale la FP, e più in particolare la IeFP, si sta muovendo in questo inizio del 2000 (Malizia, Nanni e Tonini, 2012; Malizia, Nicoli e Clementini, 2008; Nicoli, 2007, 2009, 2011abc e 2014). Per delinearla bisogna partire dalle mete e dagli standard che regolano il sistema di offerta sotto forma di saperi e competenze, articolati in abilità/ capacità e conoscenze. Tali mete e standard, in quanto livelli essenziali delle prestazioni, mirano alla riconoscibilità e comparabilità degli apprendimenti a garanzia degli utenti e degli altri soggetti coinvolti. Essi costituiscono il parametro di riferimento per la valutazione degli apprendimenti dei destinatari. La competenza non è un fenomeno assimilabile al saper fare, ma un modo di essere della persona che ne valorizza tutte le potenzialità. Lavorare per competenze significa favorire la maturazione negli allievi della consapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà sostenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune. L’elemento centrale di una formazione per competenze è costituito dalla possibilità di privilegiare l’azione, significativa ed utile, in quanto situazione di apprendimento reale ed attivo che consente di porre il soggetto che apprende in relazione “vitale” con l’oggetto culturale da conoscere. Il discente è collocato in tal modo nella condizione di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne sollecita le potenzialità positive. Il sapere si mostra a lui come un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva, implicativa, pratica ed esplicativa. Il formatore diventa, nel procedere secondo questo metodo, oltre che un esperto di una particolare area disciplinare, anche il “mediatore” di un sapere che “prende vita” nel rapporto con la realtà, come risorsa per risolvere problemi ed in definitiva per vivere bene. Ciò comporta, in corrispondenza dei momenti cruciali del percorso formativo, la scelta di occasioni e di compiti che consentano all’allievo di fare la scoperta personale del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso, di condividere con gli altri questa esperienza, di acquisire un sapere effettivamente personale. La metodologia propria dei percorsi di IeFP, nella logica della formazione efficace, mira a selezionare le conoscenze e le competenze chiave irrinunciabili, a dise- 62 gnare situazioni di apprendimento per laboratori nei quali svolgere esperienze che permettano agli allievi di entrare in rapporto diretto con la conoscenza sotto forma di procedimenti di scoperta e di ricostruzione dell’oggetto così da condurre ad una acquisizione autenticamente personale. Ciò consente di mettere in moto un processo di apprendimento attivo, quindi motivante e finalizzato, così da consentire una valutazione più autentica. Le risorse umane impegnate nelle attività formative devono a loro volta essere caratterizzate da una piena visione professionale fondata sulla libertà di insegnamento, non a carattere prestativo ma tesa ad una formazione efficace. Entro questo quadro, i docenti risultano in grado di operare nella logica del lavoro d’équipe al fine di condividere il progetto formativo e svolgere le attività collegiali di supporto, gestire relazioni educative con i destinatari, programmare, realizzare e valutare occasioni di apprendimento attive ed efficaci all’interno di un particolare ambito del sapere, coordinare e collaborare entro attività a carattere interdisciplinare, impegnarsi all’esterno negli ambienti di apprendimento reali. Questa impostazione richiede il coinvolgimento di una pluralità di figure professionali, come si è cercato di mostrare sopra, e necessita di una figura forte di coordinatore dell’équipe. Ciò implica un esplicito riconoscimento giuridico delle specificità professionali e la definizione di un adeguato organico di Centro, che consenta di differenziare l’offerta formativa sia in termini di tipologie di insegnamenti, sia di orari e funzioni. 2.2.4. L’evoluzione nel CNOS-FAP Abbiamo illustrato sopra i contenuti e le ragioni della proposta del CFP polifunzionale che, avanzata nell’ultimo decennio del secolo scorso, ha avuto come capofila il CNOS-FAP. Completiamo la trattazione presentando l’evoluzione che si è registrata nella Federazione sul piano quantitativo dalla sua nascita e su quello qualitativo agli inizi del 2000 riguardo alla cultura organizzativa e ai formatori. a) Una crescita quantitativa tendenziale Nei primi quindici anni di vita della Federazione (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP del CNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso è rimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il 30% (cfr. Tav. 1) (Malizia e Tonini, 2012). Sono stati i corsi ad espandersi maggiormente, del 29,9%, passando da 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche i formatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in valori assoluti), anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22,6%). Gli allievi presentano una battuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescita zero (numeri indici 104,8 e 104,7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’aumento è di 1.816, pari al 20,3% in percentuale. A loro volta, i Centri sono in crescita, anche se solo di tre, da 36 a 39, dopo aver registrato nel 1986-87 un aumento di 6. 63 Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND) Legenda: VA=Valore Assoluto; IND=Numero Indice Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che crescono della metà (+53%; o +4.375 soggetti) rispetto all’anno di fondazione della Federazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% per cui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106,3%, o +9.498) (cfr. Tav. 1). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e il 2001-02 sono quasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritornano sui valori del 1986-87, 42 unità, e nel 2001-02 si attestano su 54 con un salto del 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001- 02), l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il 1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivo l’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64,8%, pari a 463. Nel 2001-02 oltre la metà degli allievi della Federazione (53,5%) frequentano corsi che in base alla terminologia della riforma Moratti possiamo chiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36,3%) è iscritto alla formazione iniziale, il 10,7% ai corsi dell’obbligo scolastico in integrazione con la scuola e il 5,4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi (8,8%) è collocato nella formazione superiore: il 7,8% nel post-diploma e l’1% negli IFTS. Il 35,8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato (13,9%) e formazione continua di occupati e disoccupati. Gli allievi delle fasce deboli sono 343, pari al 2% circa. In sintesi, intorno agli anni 2000, si può dire che i CFP del CNOSFAP siano diventati polifunzionali, presentino cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso abbiano conservato la loro tradizionale attenzione alla fascia 14- 18 anni. L’anno formativo 2003-04 è l’anno dell’inizio della sperimentazione dei percorsi formativi triennali in tutte le Regioni. La Federazione CNOS-FAP, in quell’anno, segna un’ulteriore crescita soprattutto nella Formazione Professionale Iniziale realizzando 1.300 corsi di cui quasi 600 nella FPI e servendo 21.561 allievi di cui oltre 6.000 in età tra i 14 e i 18 anni. Un’ulteriore crescita si registra nell’anno formativo 2005-06, l’anno della massima espansione. I corsi formativi realizzati sono stati 1.503 di cui 713 nella FPI e 20.409 allievi di cui quasi 14mila in età tra i 14 e i 18 anni. All’aumento delle attività è corrisposta anche la crescita delle sedi Sistema di FP del CNOS-FAP 1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02 VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. Centri 36 100,0 40 111,1 42 116,7 39 108,3 42 116,7 54 150,0 Corsi 411 100,0 448 109,0 477 116,1 534 129,9 698 169,8 1.125 273,7 Allievi 8.937 100,0 9.365 104,8 9.354 104,7 10.753 120,3 13.672 153,0 18.435 206,3 Formatori 714 100,0 777 108,8 827 115,8 875 122,6 880 123,2 1.177 164,8 64 che erano 60 nell’anno formativo 2003-04 e 61 nell’anno 2005/2006. Scelte politiche regionali restrittive hanno avuto riflessi consistenti anche sulle attività della Federazione CNOS-FAP, determinando la chiusura di molte sedi operative e la contrazione delle attività in varie Regioni quali la Sardegna, l’Abruzzo e la Calabria. Sulla base dell’ultima rilevazione, anno 2013-14 (CNOS-FAP, 2013), in 64 CFP la Federazione CNOS-FAP svolge 1.678 corsi di cui 746 nella FPI, coinvolge 25.374 allievi di cui 14.295 in età tra i 14 e i 18 anni, 1.437 operatori1, di cui 1.262 a tempo indeterminato: nel periodo considerato è evidente la notevole crescita che si è registrata (cfr. Tav. 2). Tav. 2 – Il sistema di FP del CNOS-FAP nel 2013-14 a confronto con il 2001-02 (inVA e IND) Legenda: VA=Valore Assoluto; IND=Numero Indice; *Escluse le sedi regionale e nazionale; **Incluse le sedi regionale e nazionale Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP b) L’aggiornamento del CFP polifunzionale All’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all’Istituto di Sociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione di elementi della situazione dei Centri della Federazione in riferimento ai requisiti richiesti dal regolamento attuativo della Legge 196/97, art. 17, e in vista della individuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia e Pieroni, 1999; Malizia e Tonini, 2012). La Federazione avvertiva infatti l’esigenza di individuare nuove forme di aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFP o nella Sede Regionale (impegnate in attività di orientamento, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbisogni), essendo questi i ruoli più coinvolti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in particolare, avendo presente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità e rispondente alla logica dell’accreditamento, si intendeva elaborare, con la collaborazione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un processo permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP. Dall’indagine emergeva che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e la meta della polifunzionalità si è rivelata una realtà per molti Centri, la fase di completamento di certi obiettivi richiedeva ancora ulteriori sforzi e nuove strategie 1 Negli ultimi anni le statistiche del CNOS-FAP forniscono dati non più sui formatori, ma sugli operatori: questa è una delle ragioni che ha spinto la Sede Nazionale a promuovere la realizzazione della presente ricerca. Sistema di FP del CNOS-FAP 2001-02 2013-14 VA IND. VA. IND. Centri 54 100.0 64 118.5 Corsi 1.125 100.0 1.678 149.2 Allievi 18.435 100.0 25.374 137.6 Operatori 1.601* 100.0 1.437** Non paragonabili 65 d’intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti attraverso il rilevamento, si suggerivano i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizzazione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale. 1. Una prima proposta riguardava il conseguimento della “certificazione” del “sistema qualità”, con tutti i requisiti che tale obiettivo comporta. 2. Andava poi indubbiamente annoverata l’introduzione di nuove figure: oltre a quelle che già esistevano nella maggior parte dei Centri, andavano previsti (meglio ancora se come figure di sistema nello staff) il responsabile dei servizi di sicurezza ed il responsabile della qualità; non ci si nascondeva però che sarebbero state sempre più richieste in un immediato futuro anche quelle del responsabile delle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (in vista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampie ed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentemente anche all’esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e sperimentata in una parte degli stessi) di potenziare l’orientamento e le azioni formative a favore di questi soggetti. 3. Un altro passo da compiere in tempi brevi era quello di una sempre più decisa apertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di collaborazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento. 4. Bisognava anche continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell’organizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici: – corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione delle varie figure di formatori; – corsi “ad hoc” per la preparazione di figure specialistiche, con particolare riferimento a quelle da introdurre ex-novo. 5. Si suggeriva pure di effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogata nei CFP della Federazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP polifunzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomia di ogni Centro. 6. Un altro passo consisteva nel creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, così da realizzare un’informazione in tempo reale su problematiche emergenti e da socializzare innovazioni e sperimentazioni in atto. 7. Infine, si trattava di ampliare e/o rendere accessibile al maggior numero possibile di Centri la partecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali. Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportuno orientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento della formazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere all’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità. Ovviamente, qui richiamiamo solo le indicazioni che riguardano la prima perché del secondo non ci occupiamo in questa ricerca e del terzo si è parlato sopra. 66 c) Il potenziamento della formazione dei formatori Anche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondire la conoscenza della situazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia di elaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguata degli operatori, sia di predisporre un’ipotesi di standard per i formatori (Malizia, Pieroni e Salatin, 2001). L’indagine evidenziava un posizionamento professionale medio più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri Enti italiani), ma segnalava più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo: – una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello di percezione che di situazioni professionali (es. tra Nord e Sud, tra generazioni e tra salesiani e non salesiani); – un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio: abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perché non aveva mai avuto gravi problemi di domanda e di risorse), non particolarmente preoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodimensionate le competenze marketing e valutazione); – un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collaborava ancora poco con altri soggetti del territorio; ciò poteva essere un limite nella prospettiva del “fare rete”; – unsistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: molto focalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenza di altri servizi (orientamento, accompagnamento, counselling, ...) e un po’ indietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD. Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni della ricerca con un impianto flessibile basato su: – formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondo ciclo per i livelli più alti); – formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità dell’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle formule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero. I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend osservabili a livello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo scenario dell’accreditamento degli operatori: – il livello generale degli operatori appariva in grado di reggere la copertura delle funzioni previste e dei relativi standard (c’era anche di più rispetto agli standard minimi); – si riscontravano segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo dato all’analisi della nuova domanda di formazione; – il modello organizzativo poteva reggere un orientamento alla qualità senza enormi rivoluzioni; 67 – era possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze “salesiane” (sistema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla mission e le competenze professionali richieste. Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva poliennale. Esso si inseriva nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Nazionale alle sedi locali e doveva integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP, ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione della implementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dello sviluppo della contrattazione collettiva di comparto. Dal punto di vista degli obiettivi, il piano aveva carattere strategico e si proponeva di sistematizzare un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado di equilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per il consolidamento di un dispositivo di formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto e fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze individuate come più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente. Il piano assumeva come criteri di base metodologici la distinzione tra la formazione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di interazione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione (in presenza e non). Esso muoveva inoltre dalla consapevolezza della triplice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur sviluppando solo le proposte relative al livello nazionale. Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predisporre un catalogo (cfr. per esempio CNOS-FAP, 2013) che contenesse un’offerta formativa permanente e sistematica per gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più specificamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi: – “sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrare le componenti valoriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta di moduli ‘comportamentali’; – fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto; – fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze più necessarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente; – mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e facilitare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunità di crescita professionale” (CNOS-FAP e Cepof, 2003, 8). Sulla base di queste indicazioni, la formazione dei formatori sembra aver raggiunto una metodologia ed una strutturazione sufficientemente stabili. Vengono 68 proposte attività corsuali residenziali nazionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenziali locali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività di formazione per il personale direttivo, attività di formazione a distanza per tutti gli operatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedagogico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didattica, a quella tecnologica. 69 Secondo capitolo Operatori del CNOS-FAP e Formazione in servizio. Il Quadro dei Dati dell’Archivio dell’Ente Guglielmo Malizia - Maria Paola Piccini Uno degli obiettivi principali della ricerca consiste nella presentare in maniera dettagliata e in una prospettiva prevalentemente quantitativa la situazione della Formazione in servizio del CNOS-FAP in tutti suoi aspetti più significativi. La parte dell’indagine che qui viene commentata è rivolta proprio a rispondere a questa esigenza: infatti, verranno analizzati i dati dell’archivio dell’Ente che contiene le informazioni in questione. Più precisamente, la sezione è articolata in quattro parti: la prima verrà dedicata a una nota metodologica sulla fonte e la raccolta dei dati; nella seconda sarà illustrata la condizione degli operatori del CNOSFAP all’anno formativo 2013-14; successivamente verrà analizzata la situazione della Formazione in servizio nel 2012 e nel 2013; la da ultimo si offriranno delle osservazioni conclusive, includendo anche una sintesi di ambedue i tipi di dati riguardanti Regioni e Centri1. 1. L’ARCHIVIO DIPENDENTI DEL CNOS-FAP Le informazioni raccolte nel database archivio dipendenti del CNOS-FAP sono state elaborate in funzione della struttura stessa dell’archivio informatico. Dato il costante e continuo aggiornamento dell’archivio, le informazioni sono state estratte alla data del 3 novembre 20142. Sono state considerate, in un primo momento le caratteristiche di base dei dipendenti CNOS-FAP, in particolare, ci si è concentrati sulle seguenti caratteristiche socio-demografiche: genere (maschile/femminile); età, rilevata attraverso l’anno di 1 Anche se questo capitolo è responsabilità comune dei due autori, la sezione 1 è stata redatta da M.P. Piccini e quelle 2 e 3 da G. Malizia, mentre la 4 è opera di ambedue. Pertanto, le differenze di stile e di forma che si possono riscontrare nel testo e nella presentazione delle tabelle dipendono dalle scelte effettuate dai due autori nello spazio di autonomia proprio. 2 Successivamente l’estrazione delle informazioni, sono stati individuati e corretti alcuni errori di inserimento delle informazioni quali, ad esempio, l’attribuzione dello status Salesiano a una operatrice donna e l’attribuzione ad un operatore maschio del genere sessuale femminile. In ogni caso, tali sviste non alterano in maniera significativa gli esiti complessivi delle elaborazioni. 70 nascita e successivamente ricodificata in intervalli (meno di 20 anni; 20-30 anni; 31-40 anni; 41-50 anni; 51-60 anni; oltre 60 anni); status (Salesiano/non Salesiano); titolo di studio (Laurea, Diploma, Qualifica professionale, Licenza media, Licenza elementare, Altro); tipo di contratto (tempo indeterminato/determinato), profilo (Collaboratore Amministrativo, Direttore di funzione, Direttore di sede operativa, Direttore Generale, Formatore, Formatore - Coordinatore, Formatore - Orientatore, Formatore -Tutor, Operatore di Segreteria, Operatore Tecnico Ausiliario, Operatore Tecnico della Logistica, Progettista, Responsabile Amministrativo-Organizzativo, Responsabile dei Processi, Tecnico dei Servizi); località (regione, circoscrizione geografica e centro). In un secondo momento l’attenzione si è focalizzata sulla partecipazione alla formazione in servizio, sempre in considerazione delle caratteristiche sociodemografiche dei partecipanti. Essenzialmente lo studio consiste di analisi mono e bivariate ottenute attraverso un sistema di query (interrogazioni), rivolte direttamente al sistema che fornisce in risposta esclusivamente il conteggio (in valore assoluto) degli stati delle diverse caratteristiche considerate (le variabili). L’analisi monovariata fornisce una prima descrizione della popolazione considerata (gli operatori CNOS-FAP), mostrando come questa si differenzia al suo interno, in funzione delle modalità di ciascuna variabile. L’analisi bivariata è stata condotta mediante l’esame di tabelle di contingenza, che consentono di studiare la distribuzione congiunta delle modalità di coppie di variabili. Successivamente, le informazioni fornite esclusivamente in valore assoluto sono state ricondotte alle relative percentuali. Le percentuali sono state calcolate, per tutte le variabili e per tutti gli incroci fra variabili, pur nella consapevolezza della talvolta scarsissima numerosità delle diverse quote di popolazione considerate. Inoltre, per quanto riguarda le schede delle singole Regioni e località, si tiene a precisare che non è stato possibile percentualizzare le informazioni presentate in funzione del totale dei dipendenti nelle due annate oggetto di studio, data l’impossibilità tecnica di ricostruire in maniera esatta la composizione dei dipendenti CNOS-FAP in termini di caratteristiche sociodemografiche3. Eventuali scostamenti dal totale dei dipendenti dipendono dalla presenza nel database di campi non obbligatori (Titolo di studio, Profilo e livello contrattuale). Per quanto riguarda la variabile Profilo, in particolare, gli scostamenti dal totale si spiegano anche in ragione del fatto che un singolo operatore può ricoprire più funzioni contemporaneamente. In relazione alla variabile Tipo di contratto è da tenere presente che nel database non vengono registrati i collaboratori con contratti a progetto, ma soltanto i dipendenti con contratto a tempo determinato o indeterminato. Infine, un invito alla prudenza nella valutazione del livello di partecipazione alle diverse attività di Formazione in servizio da parte dei Direttori e dei Segretari di 3 In questo caso, è stato comunque effettuato un confronto per approssimazione con il numero complessivo di operatori alla data del 3 novembre 2014. 71 settore è dovuto, poiché nell’archivio non compaiono, in qualità di partecipanti, gli operatori che hanno lavorato all’organizzazione delle attività stesse. Le informazioni archiviate nel database sono state trattate esclusivamente a fini statistici e nel rispetto della riservatezza e della tutela della privacy. Essendo l’archivio dipendenti funzionale, in uso da ormai diversi anni e costantemente aggiornato, si è stabilito di non procedere ex novo all’inserimento dati nella forma classica di una matrice di dati (casi per variabili), ossia una tabella che veda sulle righe gli operatori e sulle colonne le diverse caratteristiche degli stessi operatori. Per le stesse ragioni di opportunità, si è ritenuto più utile non procedere alla costruzione di una nuova cornice di inserimento dati, ma i ricercatori hanno collaborato con la Sede Nazionale e, in particolare, con i responsabili del sistema informatico, per ottimizzare il sistema attualmente in uso. Nello specifico, si suggerisce di inserire un filtro per annualità, in modo da poter estrarre le informazioni suddivise per anni solari o formativi e, in merito alla FAD, si consiglia di registrare non soltanto il dato sulle certificazioni effettivamente conseguite, ma di registrare, se tecnicamente possibile, gli accessi e, di conseguenza, gli abbandoni. Si consiglia inoltre, di monitorare periodicamente la composizione socio-demografica dei dipendenti CNOS-FAP, in modo da valutare il quadro complessivo ogni sei-dodici mesi, assumendo come periodi di riferimento momenti significativi per il CNOS-FAP, come l’inizio dell’anno formativo. 2. LA SITUAZIONE DEGLI OPERATORI DEL CNOS-FAPALL’ANNO FORMATIVO 2013-14 La crescita notevole che ha caratterizzato l’evoluzione del personale della FP nel periodo 1996-01 sembra che si sia protratta nel CNOS-FAP fino all’anno formativo 2004-05 (ISFOL 2004: Montedoro, 2006; cfr. Tav. 1): infatti, tra il 1999-00 e il 2004- 05 gli operatori dell’Ente passano da 1179 a 1812, registrando un incremento di più della metà (53,6%): da subito precisiamo che con la dizione operatori si intendono tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato o determinato, mentre i consulenti sono esclusi dal conteggio. Fra il 2003-04 e il 2006-07 – ma soprattutto nel biennio 2004-05 e 2005-06 – si registra un vero crollo da 1812 a 1266 con una perdita di oltre 40 punti percentuali (46,3%): questo andamento si spiega soprattutto come effetto della chiusura dei centri in Sardegna e in Abruzzo. Nel periodo successivo (2006- 07/2013-14) il numero dei dipendenti senza il personale delle Sedi Regionali e Nazionale si mantiene sostanzialmente stabile e nell’ultimo anno formativo chiude in leggera crescita, +8,8% (rispetto al 2006-07); se ci riferisce al personale comprensivo delle sedi, l’andamento è molto più piatto, ma termina con una crescita del +7% (o del +9% qualora si prendano in considerazione i dati dell’archivio dipendenti alla data del 03.11.144 che però non sono comparabili con gli altri di cui non conosciamo la data). 4 Come si è precisato sopra, l’archivio offre soltanto i dati come si trovano al momento dell’accesso e non quelli diversi di momenti precedenti. Tav. 1 – Evoluzione degli operatori del CNOS-FAP (a.f. 1999-00/2013-14; in VA e IND) Legenda: VA=Valore Assoluto; IND=Numero Indice; *Dal catalogo 2013/14; **Dall’archivio dipendenti al 03.11.14 Dalla Tavola 2 alla 21 si esamineranno le articolazioni del totale degli operatori – quale risultava nell’archivio al momento in cui i dati sono stati scaricati, cioè al 3 novembre del 2014, come si è detto sopra – in base alle loro caratteristiche sociodemografiche e a quelle professionali. Tav. 2 – Operatori per sesso, incrociato con età e circoscrizione geografica (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga Incominciamo con il sesso ed emerge chiaramente la collocazione tradizionale dell’offerta formativa del CNOS-FAP nell’ambito della preparazione allo svolgimento dei mestieri tipicamente maschili: infatti, tra gli operatori gli uomini ammontano ai due terzi circa (65,3%) o a 956 unità, mentre i dati delle donne sono 34,7% e 507 rispettivamente (cfr. Tav. 2). Questo andamento diverge da quello generale del personale della FP che ha visto negli ultimi anni le femmine sorpassare i maschi (53,2% e 46,8%: ISFOL, 2007). L’incrocio del sesso con l’età vede una sovra-rappresentazione degli uomini nelle coorti più anziane, 51-60 e oltre 60, e ciò è spiegabile con la situazione dei 72 Anni formativi Operatori Escluse le sedi regionali e nazionale Incluse le sedi regionali e nazionale VA IND VA IND 1999/2000 1179 100,0 2000/01 1507 127,8 2001/02 1601 135,8 2002/03 1737 147,3 2003/04 1777 150,7 2004/05 1812 153,6 2005/06 1774 150.4 2006/07 1266 107,3 1342 100,0 2007/08 1266 107,3 1343 100,0 2008/09 1288 109,2 1335 99,4 2009/10 1314 111,4 1336 99,5 2010/11 1281 108,6 1352 100,7 2011/12 1260 106,8 1333 99,3 2012/13 1336 113,3 1408 104,9 2013/14 1369 116,1 *1437 **1463 *107,0 **109,0 Sesso Totale Età Circoscrizione Geografica <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Nord Est Nord Ovest Centro Sud M 65,3 100,0 70,0 62,4 56,4 74.6 86,7 67,8 62,4 70,9 65,2 F 34,7 0,0 30,0 37,6 43,6 25.4 13,3 32,2 37,6 29,1 34,8 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 2 90 441 477 378 75 323 625 199 316 Totale*** 100,0 0,1 6,2 30,1 32,6 25,8 5,1 22,1 42,7 13,6 21,6 decenni precedenti che si caratterizzava per una netta predominanza degli uomini, mentre è meno comprensibile per le classi più giovani che appartengono a una fase in cui, come si è visto sopra, il rapporto si è capovolto. Quanto poi all’incrocio con la circoscrizione geografica, la concentrazione maggiore di maschi si registra nell’Italia Centrale, mentre il Sud risulta sulla media, il Nord Est leggermente al di sopra e il Nord Ovest di poco al di sotto. Se si passa all’incrocio tra il sesso e lo stato ecclesiale (cfr. Tav. 3), emerge che, come è ovvio, i Salesiani sono tutti concentrati tra i maschi, per cui fra i laici il rapporto uomini/donne risulta leggermente più favorevole alle seconde. Tav. 3 – Operatori per sesso, incrociato con stato ecclesiale e titolo di studio (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1387 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori Il titolo di studio vede una sovra-rappresentazione delle femmine tra i laureati e questo andamento appare in linea con l’evoluzione recente del personale della FP (ISFOL, 2007). Anche la loro sovra-rappresentazione nella qualifica professionale e nella licenza media ed elementare era attesa perché nel passato le donne arrivavano all’insegnamento nella FP con titoli più bassi degli uomini. Questi ultimi, a loro volta, sono sovra-rappresentati tra i diplomati dato che questo era il titolo di studio in cui in passato si accedeva normalmente al ruolo di formatore nella FP. L’incrocio del sesso con il tipo di contratto non incide se non molto marginalmente sulla distribuzione tra uomini e donne (cfr. Tav. 4). Diverso è il caso del profilo. Infatti, i maschi sono sovra-rappresentanti nelle posizioni direttive e nelle funzioni intermedie, tranne il caso del formatore orientatore, oltre che tra i semplici formatori. Le femmine a loro volta sono percentualmente più numerose che nel totale nell’amministrazione e tra gli operatori tecnici eccetto che tra i tecnici dei servizi dove ritorna la ripartizione fra i sessi che si riscontra nel totale. Passando all’età, i dati sembrano confermare sostanzialmente per il CNOS-FAP il rallentamento che si è verificato nell’invecchiamento dei formatori nella seconda metà del precedente decennio (ISFOL, 2007). Infatti, la Tavola 5 evidenzia che il 70% circa (69,0%) degli operatori del nostro Ente si colloca al di sotto dei 50 anni e quasi il 40% (36,3%) ha un’età pari o inferiore ai 40, mentre solo un quarto (25,8%) si situa tra i 51 e i 60 e appena il 5,1% oltre i 60. Le donne risultano più giovani degli uomini. Tra le prime la fascia 31-50 comprende il 73,7% del totale, mentre fra i secondi la percentuale è del 56,9%. Il dato si spiega con l’accesso ritardato delle operatrici nell’Ente. 73 Sesso Totale Stato Ecclesiale Titolo di Studio**** Salesiano Laico Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro M 65,3 100,0 63,7 54,3 74,9 58,7 40,4 50,0 88,9 F 34,7 0,0 36,3 45,7 25,1 41,3 59,6 50,0 11,1 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 70 1393 512 742 63 57 4 9 Totale*** 100,0 4,8 95,2 36,9 53,5 4,5 4,1 0,3 0,6Lo Tav. 4 – Operatori per sesso, incrociato con il tipo di contratto e il profilo (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1462 perché un dipendente è in stage; ***** Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Tav. 5 – Operatori per età, incrociata con il sesso e la circoscrizione geografica (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga L’incrocio dell’età con la circoscrizione geografica vede una sovra-rappresentazione delle coorti più anziane (51 e oltre) nel Sud e anche nel Centro, sebbene leggermente di meno. A loro volta le fasce più giovani (da meno 20 a 40) risultano percentualmente più consistenti al Nord Est e al Nord Ovest, benché in questo caso in misura lievemente inferiore. L’incrocio con lo stato ecclesiale mette in risalto l’età più elevata dei Salesiani rispetto ai laici (cfr. Tav. 6). Infatti, la coorte tra i meno 20 e i 50 include tra i primi il 55,7% del totale e tra i secondi il 69,7%; l’andamento si capovolge nella fascia 51-oltre 60 in quanto le percentuali sono rispettivamente 44,6% e 30,3%, e le differenze sono soprattutto notevoli tra gli ultra sessantenni, 15,7% e 4,6%. 74 Sesso Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato M 65,3 63,7 65,3 F 34,7 36,3 34,7 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 ****1272 ****190 Totale*** 100,0 87,0 13,0 Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 25,3 69,2 84,1 87,5 72,6 78,2 47,2 69,3 20,3 44,1 100,0 77,8 34,7 74,1 64,3 74,7 30,8 15,9 12,5 27,4 21,8 52,8 30,7 79,7 55,9 0,0 22,2 65,3 25.9 35,7 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 87 13 44 8 807 110 36 192 69 68 4 18 49 27 14 5,6 0,8 2,8 0,5 52,2 7,1 2,3 12,4 4,5 4,4 0,3 1,2 3,2 1,7 0,9 Età Totale Sesso Circoscrizione Geografica M F Nord Est Nord Ovest Centro Sud <20 0,1 0,2 0,0 0,0 0,2 0,5 0,0 20-30 6,2 6,6 5,3 8,4 8,0 5,0 0,9 31-40 30,1 28,8 32,7 35,0 32,0 26,1 24,1 41-50 32,6 28,1 41,0 31,3 33,1 34,7 31,6 51-60 25,8 29,5 18,9 22,0 24,0 26,6 32,9 >60 5,1 6,8 2,0 3,4 2,7 7,0 10,4 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 956 507 323 625 199 316 Totale*** 100,0 65,3 34,7 22,1 42,7 13,6 21,6 75 p p , ( ; ) Età Totale Stato Ecclesiale Titolo di Studio**** Salesiano Laico Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro <20 0,1 0,0 0,1 0,0 0.3 0,0 0,0 0,0 0,0 20-30 6,2 2,9 6,3 8,8 5,5 1,6 0,0 25,0 22,2 31-40 30,1 27,1 30,3 37,9 26,8 23,8 19,3 0.0 22,2 41-50 32,6 25,7 33,0 32,0 32,3 38,1 42,1 25,0 33,3 51-60 25,8 28,6 25,7 16,6 30,9 30,2 36,8 0,0 22,2 >60 5,1 15,7 4,6 4,7 4,2 6,3 1,8 50.0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 70 1393 512 742 63 57 4 9 Totale*** 100,0 4,8 95,2 36,9 53,5 4,5 4.1 0,3 0,6 Tav. 6 – Operatori per età, incrociata con stato ecclesiale e titolo di studio (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1387 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori Il titolo di studio si accompagna a un sovra-rappresentazione delle coorti più giovani tra i laureati dato che la loro entrata in numero consistente nella FP risulta piuttosto recente. Al contrario, le fasce di età più anziane crescono man mano che si passa dai diplomati, ai qualificati, ai licenziati della media e delle elementari: riguardo a questi due ultimi gruppi l’assenza o quasi dalle coorti più giovani fa ben sperare in relazione a una elevazione della formazione di base degli operatori della FP del CNOS-FAP. L’incrocio dell’età con il tipo di contratto evidenzia una collocazione percentuale notevolmente maggiori delle coorti più giovani nel tempo determinato: i due terzi quasi (63,6%) di questi si situano tra meno 20 e 40 anni, mentre tra quanti usufruiscono di un contratto a tempo indeterminato non si raggiunge neppure un terzo (32,4%). La distribuzione di tale gruppo si avvicina sostanzialmente a quella del totale tranne che per la fascia 51-60 che è leggermente sovra-rappresentata (cfr. Tav. 7). Passando ai profili, i direttori appaiono squilibrati verso le coorti più anziane per una certa sovra-rappresentazione dei direttori di funzione, di sede e generali nel gruppo oltre i 60 e dei direttori di sede e generali anche nel gruppo 51-60; l’andamento si spiega in parte perché si tratta di posizioni all’apice della carriera, ma non si può negare una presenza in eccesso di anziani. Al contrario tra i formatori si riscontra una leggera sovra-rappresentazione delle fasce più giovani in particolare di quella tra i 21 e i 40 anni. Tra le figure intermedie, i formatori tutor si collocano sul totale, tra i responsabili dei processi prevalgono le coorti più giovani, mentre l’andamento opposto si riscontra tra i formatori coordinatori e tutor, e i progettisti, in parte spiegabile per l’esperienza che tali profili presuppongono. Su versanti opposti si collocano i responsabili amministrativo-organizzativi e gli operatori di segreteria con i primi più giovani e i secondi più anziani, mentre tra i collaboratori amministrativi prevale la coorte 41-50. Tra gli operatori tecnico-ausiliari la piramide dell’età tende verso le fasce più elevate; l’andamento è diverso tra i tecnici dei servizi; a loro volta gli operatori tecnici della logistica sono troppo pochi per riuscire a identificare un trend. Tav. 7 – Operatori per età, incrociata con il tipo di contratto e il profilo (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1462 perché un dipendente è in stage; ***** Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi A livello di circoscrizione geografica, gli operatori del CNOS-FAP si distribuiscono tra una maggioranza relativa nelle Regioni di Nord Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Lombardia) (44,2%), più di un quarto al Nord Est (Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna) (22,1%) e al Sud (Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) (21,6%) e intorno al 10% nel Centro (Umbria, Lazio e Sardegna) (10,6%) (cfr. Tav. 8). Rispetto alla distribuzione degli iscritti alla IeFP nei CFP, le percentuali sono sostanzialmente simili nel Nord Ovest (44,6%) e nel Centro (10,6%), mentre sono alquanto diverse nel Nord Est (32,4%) e nel Sud (12,4%) con il CNOS-FAP che risulta meglio rappresentato nel Meridione e meno nel Nord Est: va tuttavia tenuto presente che il raffronto deve essere preso con molta prudenza per le considerevoli differenze tra i termini di paragone, non ultima la collocazione della Sardegna per noi al Centro e per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al Sud Isole (2013, p. 32). L’incrocio della circoscrizione geografica con il sesso non comporta mutamenti significativi rispetto al totale. Si registra solo una leggera sovra-rappresentazione delle femmine nel Nord Ovest e una ancor più leggera sotto-rappresentazione al Centro. 76 Età Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato <20 0,1 0,1 0.5 20-30 6,2 3,1 26,3 31-40 30,1 29,2 36,8 41-50 32,6 33,6 25,8 51-60 25,8 28,5 7,9 >60 5,1 5,5 2,6 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 ****1272 ****190 Totale*** 100,0 87,0 13,0 Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 0,0 0,0 0,0 0,0 0,2 0,0 0.0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 2,3 0,0 0,0 0,0 8,4 1,8 0,0 4,2 7,2 7,4 25,0 0,0 0,0 0,0 14,3 23,0 23,1 13,6 0,0 33,5 27,3 22,2 33,9 37,7 19,1 25,0 16,7 14,3 18,5 42,9 44,8 38,5 25,0 25,0 30,9 33,6 38,9 31,8 34,8 35,3 25,0 38,9 46,9 29,6 35,7 29,9 23,1 52,3 50,0 21,0 33,6 36,1 25,5 18,8 29,4 25,0 44,4 30,5 44,4 7,1 0,0 15.4 9,1 25,0 5,1 3,6 2,8 4,7 1,4 8,8 0,0 0,0 8,2 7,4 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 87 13 44 8 807 110 36 192 69 68 4 18 49 27 14 5,6 0,8 2,8 0,5 52,2 7,1 2,3 12,4 4,5 4,4 0,3 1,2 3,2 1,7 0,9 Tav. 8 – Operatori per circoscrizione geografica, incrociata con il sesso e l’età (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga Quanto all’età, i dipendenti del Nord Est e del Nord Ovest sono sovra-rappresentati nella coorte 20-30 e leggermente in quella 31-40 e risultano sotto-rappresentati nella fascia oltre 60 e di poco in quella 51-60. A sua volta il Centro si colloca sul totale tranne che per una percentuale più alta oltre i 60 e lievemente più bassa nella fascia 20-30. Il Sud vede sotto-rappresentate le coorti 20-30 e 31-40 e sovra-rappresentate quelle 51-60 e oltre 60. Lo stato ecclesiale comporta delle variazioni significative rispetto al totale solo tra i Salesiani (cfr. Tav. 9). Il Nord Est si caratterizza per una sovra-rappresentazione di Salesiani e il Nord Ovest per una leggera sotto-rappresentazione. Il Centro vede una percentuale inferiore dei Salesiani rispetto al totale e anche il Sud, benché più ridotta. Tav. 9 – Operatori per circoscrizione geografica, incrociata con lo stato ecclesiale e il titolo di studio (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1387 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori L’incrocio della circoscrizione geografica con il titolo di studio vede il Nord Est con una leggera sovra-rappresentazione di laureati e una sotto-rappresentazione di titoli al di sotto del diploma, oltre che fra le qualificazioni altre. Nel Nord Ovest la percentuale dei laureati è più bassa del totale, mentre è superiore tra i qualificati, i licenziati della media e i possessori di titoli altri. Il Centro si colloca sul totale tranne una sotto-rappresentazione di licenziati della media e di titoli altri. Nel Sud si registra una percentuale inferiore di qualifiche professionali e di titoli altri. 77 Circoscrizione geografica Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Nord Est 22,1 22,9 20,5 0,0 30,0 25,6 21,2 18,8 14,7 Nord Ovest 42,7 40,8 46,4 50,0 55,6 45,4 43.4 19,7 22,7 Centro 13,6 14,7 11,4 50,0 11,1 11,8 14.5 14,0 18,7 Sud 21,6 21,5 21,7 0,0 3,3 17,2 21.0 27,5 44.0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 956 507 2 90 441 477 378 75 Totale*** 100,0 65,3 34,7 0,1 6,2 30,1 32.6 25,8 5,1 Circoscrizione geografica Totale Stato Ecclesiale Titolo di Studio**** Salesiano Laico Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro Nord Est 22,1 34,3 21,5 27,0 22,5 15,9 12,3 0,0 11,1 Nord Ovest 42,7 40,0 42,9 39,6 45,4 63,5 63,2 50,0 77,8 Centro 13,6 8,6 13,9 15,0 14,3 12,7 7,0 50,0 0,0 Sud 21,6 17,1 21,8 18,4 17,8 7,9 17,5 0,0 11,1 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 70 1393 512 742 63 57 4 9 Totale*** 100,0 4,8 95,2 36.9 53,5 4,5 4,1 0,3 0,6 Se si fa riferimento al tipo di contratto, bisogna dire che la distribuzione degli operatori del CNOS-FAP tra le circoscrizioni territoriali in base al tempo indeterminato riflette sostanzialmente quella del totale (cfr. Tav. 10). Al contrario i residenti al Nord Est, al Nord Ovest e al Centro sono leggermente sovra-rappresentati nel tempo determinato, mentre quelli del Sud sono sotto-rappresentati nel medesimo tipo di contratto. Passando all’incrocio con il profilo, nell’area funzionale della direzione la ripartizione dei direttori di Sede operativa tra le circoscrizioni territoriali segue, come è ovvio, la distribuzione dei Centri, cioè la distribuzione del totale fra le varie zone geografiche; inoltre, nel Nord Est sono sovra-rappresentati i direttori generali e sotto-rappresentati i direttori di funzione, al Sud la situazione si capovolge, nel Nord Ovest sono sotto-rappresentati ambedue i profili mentre il Centro vede percentuali più elevate nei due casi (cfr. Tav. 10). Nell’area funzionale dell’erogazione, la ripartizione dei formatori riflette quella del totale; nel Nord Est risultano sovra-rappresentati i coordinatori e sotto-rappresentati gli orientatori, i tutor, i progettisti e i responsabili dei processi; al Nord Ovest sono i tutor a mostrare quote superiori e minori i coordinatori e i progettisti; nel Centro sono sovra-rappresentati i progettisti e leggermente gli orientatori, mentre di poco sono sotto-rappresentati i tutor e i responsabili dei processi; al Sud i progettisti e i responsabili dei processi evidenziano percentuali superiori, ma inferiori i coordinatori e i tutor. Nell’area funzionale dell’amministrazione, il Nord Est si colloca sul totale, il Nord Ovest al di sotto, mentre Centro e Sud si situano al di sopra. Nell’ultima area delle segreteria, logistica e servizi di supporto, al Nord Est sono sovra-rappresentati i tecnici dei servizi e sotto-rappresentati gli altri profili, al Nord Ovest si riscontra una sovra-rappresentazione tranne che tra gli operatori tecnici ausiliari dove la percentuale si sistema sul totale, nel Centro la tendenza è alla sotto-rappresentazione eccetto che tra gli operatori tecnici ausiliari dove si è sul totale, e al Sud si registra una sovra-rappresentazione tra gli operatori tecnici ausiliari e gli operatori tecnici della logistica, una sotto-rappresentazione tra i tecnici dei servizi mentre si è sul totale quanto agli operatori di segreteria. Da ultimo si possono offrire indicazioni sintetiche – da prendere con prudenza – circa la presenza in eccesso (10% e oltre rispetto al totale) o in difetto (10% e più al di sotto sempre del totale) di profili nelle varie circoscrizioni geografiche: il Nord Est registra nel primo caso i direttori generali e i formatori coordinatori e nel secondo i direttori di funzione e gli operatori tecnici ausiliari; il Nord Ovest rispettivamente da una parte i formatori tutor e gli operatori di segreteria e dall’altra i direttori di funzione e generali, i progettisti e i responsabili amministrativo-organizzativi; il Centro vede profili solo in eccesso e cioè i direttori di funzione e generali, i progettisti i collaboratori amministrativi; il Sud rispettivamente da una parte i direttori di funzione, i progettisti, i responsabili amministrativo-organizzativi e gli operatori tecnici ausiliari e dall’altra i direttori generali, i formatori coordinatori e i tutor. 78 Tav. 10 – Operatori per circoscrizione geografica, incrociato con il tipo di contratto e il profilo (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1462 perché un dipendente è in stage; ***** Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Tav. 11 – Operatori per stato ecclesiale, incrociato con l’età e la circoscrizione geografica (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga Dal punto di vista dello stato ecclesiale, gli operatori si distribuiscono tra il 4,8% (70) di Salesiani e il 95,2% (1393) di laici (cfr. Tav. 11). Già alla fine degli Anni ‘90 il rapporto tra religiosi e laici nei Centri della Confap era molto squilibrato a favore dei secondi (7,0% e 93,0% rispettivamente) (CSSC, 1999, p. 322); attualmente è ancora diminuito, almeno nei CFP salesiani, e certamente sarebbe auspicabile che la Congregazione impegnasse un numero maggiore dei suoi religiosi a servizio della formazione dei giovani degli ambienti popolari che si avviano al lavoro e che rientrano tra i destinatari principali della Società di San Francesco di Sales (Costituzioni della Società di San Francesco di Sales, 2003, art. 27). 79 Circoscrizione geografica Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato Nord Est 22,1 21,8 24,2 Nord Ovest 42,7 42,5 44,2 Centro 13,6 13,1 17,4 Sud 21,6 22,7 14,2 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 1462 ****1272 ****190 Totale*** 100,0 87,0 13,0 Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 21,8 7,7 20,5 37,5 23,0 40,0 16,7 12,0 14,5 8,8 0,0 16,7 22,4 14,8 28,6 34,5 0,0 43,2 25,0 42,1 36,4 44,4 66,1 56,5 42,6 50,0 22,2 18,4 44,4 50,0 24,1 46,2 15,9 25,0 12,4 11,8 16,7 10,4 8,7 14,7 0,0 27,8 22,4 1,1 7,1 19,5 46,2 20,5 12,5 22,4 11,8 22,2 11,5 20,3 33,8 50,0 33,3 36,7 29,6 14,3 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 87 13 44 8 807 110 36 192 69 68 4 18 49 27 14 5,6 0,8 2,8 0,5 52,2 7,1 2,3 12,4 4,5 4,4 0,3 1,2 3,2 1,7 0,9 Stato Ecclesiale Totale Età Circoscrizione Geografica <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Nord Est Nord Ovest Centro Sud Salesiano 4,8 0,0 2,2 4,3 3,8 5,3 14,7 7,4 4,5 3,0 3,8 Laico 95,2 100,0 97.8 95,7 96,2 94,7 85,3 92,6 95,5 97,0 96,2 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 2 90 441 477 378 75 323 625 199 316 Totale*** 100,0 0,1 6,2 30,1 32,6 25,8 5,1 22,1 42,7 13,6 21,6 80 Non si è riportato l’incrocio dello stato ecclesiale con il sesso perché l’andamento è prevedibile a priori. I Salesiani sono sovra-rappresentati tra i maschi, anzi sono tutti maschi e i laici tra le donne. Come già è emerso sopra, i Salesiani aumentano in maniera consistente nel gruppo di età oltre i 60, mentre si riducono nella coorte tra meno 20 e 30. Nelle altre coorti la loro percentuale si situa in prossimità del totale. Tra i laici si riscontrano naturalmente tendenze opposte. La presenza dei Salesiani cresce leggermente nel Nord Est e diminuisce, sempre di poco, al Centro. Nelle altre due circoscrizioni geografiche, Nord Ovest e Sud, si colloca intorno ai dati del totale. Il contrario si registra tra i laici. L’incrocio dello stato ecclesiale con il titolo di studio vede i Salesiani sovrarappresentati nella categoria altro titolo perché possiedono un maggior numero di master, qualifiche di scuole di specializzazione e simili, e leggermente tra i laureati, mentre sono sotto-rappresentati nella qualifica professionale, nella licenza media e assenti nel caso della licenza elementare (cfr. Tav. 12). L’andamento opposto si riscontra fra i laici. Il tipo di contratto registra un aumento leggero dei Salesiani nel tempo determinato dato che devono restare disponibili al cambiamento di residenza per ragioni di obbedienza. Passando da ultimo al profilo, come era prevedibile, i Salesiani sono sovrarappresentati nell’area funzionale della direzione, direttore di funzione (15,4%), direttore di sede operativa (31,8%) e direttore generale (50%), ma mai in maniera preponderante. Nell’area funzionale dell’erogazione vengono grosso modo rispettate le percentuali del totale tranne i casi del progettista in cui sono tutti laici e del formatore orientatore in cui i Salesiani sono leggermente sotto-rappresentati, pur trattandosi di un ruolo delicato anche sul piano pastorale. L’area funzionale amministrativa vede i Salesiani assenti tra i collaboratori amministrativi, mentre fra i responsabili amministrativo-organizzativi si ristabilisce sostanzialmente il rapporto percentuale tra Salesiani e laici (4,1% e 95,9% rispettivamente). L’area funzionale in cui i Salesiani sono più assenti è quella della segreteria, logistica e servizi di supporto, in quanto mancano tra i tecnici dei servizi, gli operatori tecnici della logistica e gli operatori di segreteria e sono sotto-rappresentati tra gli operatori tecnici ausiliari. La percentuale dei laureati (36,9%) tra gli operatori del CNOS-FAP risulta superiore a un terzo e si avvicina al 40% (cfr. Tav. 13): essa però è notevolmente inferiore a quella dei formatori della FP, anche se il 60,7% raggiunto in proposito nel 2006, appare un poco sospetto dato che nel 2004 si era al 39,9% (ISFOL, 2007). I diplomati sono oltre la metà (53,5%) e la loro consistenza si colloca al di sopra del dato nazionale in misura considerevole (35,8%). Risultano ormai marginali le quote dei qualificati (4,5%), dei licenziati della media (4,1%) e soprattutto di quelli delle elementari (0,3%) e l’andamento è in linea con il trend nazionale; i titoli altri di cui è in possesso lo 0,6% riguardano i master, le scuole di specializzazione e simili. 81 Tav. 12 – Operatori per stato ecclesiale, incrociato per titolo di studio, tipo di contratto e profilo (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1462 perché un dipendente è in stage; *****Gli scostamenti dal totale, che è 1387, sono dovuti alla presenza nell’archivio di campi non obbligatori; ****** Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Stato Ecclesiale Totale Titolo di Studio***** Tipo di Contratto Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro Tempo Indeterminato Tempo Determinato Salesiano 4,8 7,2 3,2 1,6 1,8 0,0 44,4 4,4 6,8 Laico 95,2 92,8 96,8 98,4 98,2 100,0 55,6 95,6 93,2 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 1463 512 742 63 57 4 9 ****1272 ****190 Totale*** 100,0 36,9 53,5 4-5 4,1 0,3 0,6 87,0 13,0 Profilo****** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 0,0 15,4 31,8 50,0 4,0 3,6 2,8 5,7 0,0 1,5 0,0 0,0 4,1 3,7 0,0 100,0 84,6 68,2 50,0 96,0 96,4 97,2 94,3 100,0 98,5 100,0 100,0 95,9 96,3 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 87 13 44 8 807 110 36 192 69 68 4 18 49 27 14 5,6 0,8 2,8 0,5 52,2 7,1 2,3 12,4 4,5 4,4 0,3 1,2 3,2 1,7 0,9 82 Tav. 13 – Operatori per titolo di studio, incrociato con il sesso e la circoscrizione geografica (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Gli scostamenti dal totale, che è 1387, sono dovuti alla presenza nell’archivio di campi non obbligatori L’incrocio con il sesso evidenzia il balzo in avanti delle donne tra i laureati che sono appunto sovra-rappresentati con il 48,5% rispetto al 30,8% degli uomini. Al contrario è un retaggio del passato la percentuale delle femmine tra i licenziati della media che supera in maniera consistente il totale (7% rispetto al 4,1%). Se si prendono in considerazione le circoscrizioni geografiche, i laureati sono sovra-rappresentati al Nord Est e leggermente al Centro e al Sud mentre il Nord Ovest è sotto-rappresentato. I diplomati si situano sostanzialmente intorno al totale in tutte le ripartizioni territoriali. Tav. 14 – Operatori per titolo di studio, incrociato con lo stato ecclesiale e l’età (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Gli scostamenti dal totale, che è 1387, sono dovuti alla presenza nell’archivio di campi non obbligatori L’incrocio del titolo di studio con l’età vede i laureati sovra-rappresentati nelle coorti più giovani (20-40) e sotto-rappresentati nella fascia 51-60, mentre il gruppo Titolo di Studio Totale Sesso Circoscrizione Geografica M F Nord Est Nord Ovest Centro Sud Laurea 36,9 30,8 48,4 42,7 32,5 39,1 38,8 Diploma 53,5 61,5 38,5 51,7 53,9 53,8 54,5 Qualifica Professionale 4,5 4,1 5,4 3,1 6,4 4,1 2,1 Licenza Media 4,1 2,5 7,0 2,2 5,8 2,0 4,1 Licenza Elementare 0,3 0,2 0,4 0,0 0,3 1,0 0,0 Altro 0,6 0,9 0,2 0,3 1,1 0,0 0,4 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1387 904 483 323 625 197 242 Totale*** 100,0 65,2 34,8 23,3 45,1 14,2 17,4 Titolo di Studio Totale Stato Ecclesiale Età Salesiano Laico <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Laurea 36,9 55,2 36,0 0,0 50,0 46,1 36,0 23,9 38,7 Diploma 53,5 35,8 54,4 100,0 45,6 47,3 52,6 64,3 50,0 Qualifica Professionale 4,5 1,5 4,7 0,0 1,1 3,6 5,3 5,3 6,5 Licenza Media 4,1 1,5 4,2 0,0 0,0 2,6 5,3 5,9 1,6 Licenza Elementare 0,3 0,0 0,3 0,0 1,1 0,0 0,2 0,0 3,2 Altro 0,6 6,0 0,4 0,0 2,2 0,5 0,7 0,6 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1387 67 1320 2 90 421 456 356 62 Totale*** 100,0 4,8 95,2 0,1 6,5 30,3 32,9 25,7 4,5 83 di età 41-50 si situa sui dati del totale come quello oltre il 60, un andamento quest’ultimo che stupisce anche perché la percentuale è leggermente superiore al totale: forse il dato si può spiegare per una sovra-rappresentazione dei Salesiani in tale fascia (cfr. Tav. 14). Un trend opposto si riscontra riguardo al diploma e i titoli di licenzia media ed elementare che sono assenti o quasi nella coorte da meno 20 a 40. La percentuale dei titoli altri cresce leggermente nel gruppo dei più giovani, 20- 30, perché sono qualificazioni che si sono affermate recentemente. I laureati sono sovra-rappresentanti tra i Salesiani e l’andamento opposto si riscontra negli altri casi, soprattutto per il diploma; al contrario, la categoria dei titoli altri registra una percentuale superiore al totale. I dati dei laici si allineano a quelli del totale. Tav. 15 – Operatori per titolo di studio, incrociato con il tipo di contratto e il profilo (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Gli scostamenti dal totale, che è 1387, sono dovuti alla presenza nell’archivio di campi non obbligatori; *****Per la ragione appena indicata il totale è 1386; ******Il totale è 1472 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Se il punto di riferimento è il tipo di contratto, i laureati aumentano nel tempo determinato, mentre i diplomati diminuiscono; l’andamento opposto, sebbene meno accentuato, si riscontra nel tempo indeterminato (cfr. Tav. 15). Probabilmente il trend dei primi si spiega tenendo conto che sono più giovani e cercano anche di mantenersi aperta la strada per la mobilità professionale. Titolo di Studio Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato Laurea 36,9 33,6 58,3 Diploma 53,5 57,1 29,9 Qualifica Professionale 4,5 4,4 5,3 Licenza Media 4,1 4,0 4,8 Licenza Elementare 0,3 0,2 1,1 Altro 0,6 0,7 0,5 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1387 *****1199 *****187 Totale*** 100,0 86,5 13,5 Profilo****** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 19,3 75,0 47,6 75,0 41,1 40,9 71,4 39,3 11,5 3,2 0,0 22,2 23,4 44,4 30,8 67,5 25,0 52,4 25,0 51,8 54,5 25,7 53,9 77,0 25,8 50,0 72.2 74,5 51,9 69,2 10,8 0,0 0,0 0,0 4,7 1,8 0,0 3,7 8,2 11,3 25,0 0,0 2,1 0,0 0,0 2,4 0,0 0,0 0,0 2,1 0,9 0,0 2,6 3,3 50.0 25,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 6,5 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,3 1,8 2,9 0.5 0,0 3,2 0,0 5,6 0,0 3,7 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 83 12 42 8 759 110 35 191 61 62 4 18 47 27 13 5,6 0,8 2,9 0,5 51,6 7,5 2,4 13,0 4,1 4,2 0,3 1,2 3,2 1,8 0,9 84 Nel caso dell’incrocio del titolo di studio con il profilo, i laureati risultano sovra-rappresentati, come era prevedibile, nell’area funzionale della direzione e in quella dell’erogazione, sebbene in misura meno marcata tranne che tra gli orientatori e i responsabili di processo in cui è consistente, mentre tra i progettisti prevalgono sorprendentemente i diplomati e la situazione dei formatori tutor si colloca sul totale. A loro volta, i diplomati sono sovra-rappresentati tra i responsabili amministrativo- organizzativi e tra i collaboratori amministrativi, cioè nell’area funzionale dell’amministrazione, e nell’area funzionale della segreteria, logistica e servizi di supporto tra gli operatori di segreteria, gli operatori tecnici della logistica e i tecnici dei servizi, mentre tra gli operatori tecnici ausiliari la maggioranza è costituita dai licenziati della media. Tav. 16 – Operatori per tipo di contratto, incrociato con il sesso e l’età (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Un dipendente è impegnato in stage Per quanto riguarda il tipo di contratto, gli operatori del CNOS-FAP si distribuiscono tra l’87% a tempo indeterminato e il 13% a tempo indeterminato: tale rapporto rispecchia sostanzialmente quello esistente a livello nazionale tra gli oc - cupati in genere che nel 2013 era 86,8% rispetto al 13,2% (Censis, 2014, p. 187) (cfr. Tav. 16). L’incrocio con il sesso non mette in evidenza nessuno spostamento sostanziale rispetto al totale. Si nota soltanto una leggera crescita del tempo indeterminato tra i maschi e del determinato tra le femmine e viceversa. L’età implica spostamenti più significativi. Il tempo indeterminato è sotto-rappresentato nei gruppi di età più giovani (meno 20-40) e sovra-rappresentato nelle fasce più anziane (51-oltre 60). L’andamento opposto si riscontra per il tempo determinato. Quanto all’incrocio del tipo di contratto con le circoscrizioni geografiche, il tempo indeterminato risulta sovra-rappresentato al Sud e quello determinato leggermente al Centro (cfr. Tav. 17). A sua volta il primo è sottorappresentato al Centro, anche se di poco, e il secondo al Sud. Passando allo stato ecclesiale, il tempo determinato evidenzia percentuali superiori al totale nel caso dei Salesiani e il tempo indeterminato inferiori tra gli stessi. Inoltre, nessuna differenza importante, sempre in relazione al totale, si riscontra tra i laici. Tipo di Contratto Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Tempo Indeterminato 87,0 87,3 86,4 50,0 43,8 84.1 89,1 96,0 93,3 Tempo Determinato 13,0 12,7 13,6 50,0 56,2 15,9 10,3 4,0 6,7 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1462 955 507 2 89 441 477 378 75 Totale*** 100,0 65,3 34,7 0,1 6,1 30,2 32,6 25,8 5,1 85 Tav. 17 – Operatori per tipo di contratto, incrociato con la circoscrizione geografica e lo stato ecclesiale (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Un dipendente è impegnato in stage L’incrocio con il titolo di studio vede i contratti a tempo indeterminato sottorappresentati tra i laureati e leggermente tra i possessori di qualifica professionale e i licenziati della media e sovra-rappresentati tra i diplomati e di poco nella categoria degli altri titoli (cfr. Tav. 18). L’andamento opposto si riscontra nei contratti a tempo determinato. Venendo ai profili, nell’area funzionale della direzione i contratti sono tutti a tempo indeterminato (direttori di funzione e direttori generali) o quasi (direttori di sede operativa con l’eccezione di uno). Sempre i contratti a tempo indeterminato risultano sovra-rappresentati in tutte le categorie dei formatori tranne che tra i semplici formatori. Anche nell’area funzionale dell’amministrazione sono ancora i contratti a tempo indeterminato a evidenziare percentuali superiori a quelle del totale. Infine è nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto che il tempo determinato è sovra-rappresentato, eccetto che tra gli operatori di segreteria in cui il tempo indeterminato appare leggermente sovra-rappresentato. Passando da ultimo a considerare gli incroci dei profili con le altre variabili socio-demografiche, va anzitutto evidenziato che essi raggiungono la cifra di 1546 che è superiore a quella degli operatori del CNOS-FAP (1437) perché alcuni di questi svolgono più funzioni (cfr. Tav. 19). La maggioranza assoluta è costituita dai semplici formatori (807 o 52,2%) a cui si aggiungono quelli che svolgono funzioni intermedie come i tutor (192 o 12,4%), i coordinatori (110 o 7,1%), gli orientatori (36 o 2,3%) e, per noi, anche i progettisti (18 o 1,2%) e i responsabili dei processi (27 o 1,7%) che rimangono sostanzialmente dei formatori: in tutto si tratta di 1190 profili (76,9%). L’area funzionale della direzione ne comprende 65 (4,2%) e più esattamente: 44 direttori di sede operativa (2,8%), 13 (0,8%) direttori di funzione e 8 direttori generali (0,5%). Nell’area funzionale dell’amministrazione i profili ammontano a 136 (8,8%) e comprendono 87 (5,6%) collaboratori amministrativi e 49 (3,2%) responsabili amministrativo-organizzativi. Da ultimo, l’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto include 155 (10,2%) profili e più precisamente: 68 (4,4%) operatori tecnici ausiliari, 4 (0,3%) operatori tecnici della logistica, 69 (4,5%) operatori di segreteria e 14 (0,9%) tecnici dei servizi. Nel complesso si può dire che l’inquadramento delle funzioni del CNOS-FAP rispetta Tipo di Contratto Totale Stato Ecclesiale Circoscrizione Geografica Salesiano Laico Nord Est Nord Ovest Centro Sud Tempo Indeterminato 87,0 81,2 87,1 85,8 86,5 83,4 91,5 Tempo Determinato 13,0 18,8 12,7 14,2 13,5 16,6 8,5 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1462 69 1393 323 624 199 316 Totale*** 100,0 4,7 95,3 22,1 42,7 13,6 21,6 86 Tav. 18 – Operatori per tipo di contratto, incrociato con il titolo di studio e il profilo (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Un dipendente è impegnato in stage; *****Gli scostamenti dal totale, che è 1386, sono dovuti alla presenza nell’archivio di campi non obbligatori; ******Il totale è 1545 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Tipo di Contratto Totale Titolo di Studio***** Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro Tempo Indeterminato 87,0 78,7 92,4 84,1 84,2 50,0 88,9 Tempo Determinato 13,0 21,3 7,6 15,9 15,8 50,0 11,1 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1462 512 741 63 57 4 9 Totale*** 100,0 36,9 53,5 4,5 4,1 0,3 0,6 Profilo****** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 95,4 100,0 97,7 100,0 81,9 98,2 94,4 91,7 89,9 85,3 75,5 94,4 98,0 100,0 78,6 4,6 0,0 7,3 0,0 18,1 1,8 5,6 8,3 10,1 14,7 25,0 5,6 2,0 0,0 21,4 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 87 13 44 8 806 110 36 192 69 68 4 18 49 27 14 5,6 0,8 2,8 0,5 52,2 7,1 2,3 12,4 4,5 4,4 0,3 1,2 3,2 17 0,9 87 Tav. 19 – Operatori per profilo, incrociato con il sesso e l’età (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione Profilo Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Direttore di sede operativa 2,8 3,7 1,3 0,0 0,0 1,3 2,2 5,7 5,3 Direttore di funzione 0,8 0,9 0,7 0,0 0,0 0,6 1,0 0,7 2,6 Direttore generale 0,5 0,7 0,2 0,0 0,0 0,0 0,4 1,0 2,6 Formatore 52,2 58,3 40,9 100,0 73,1 58,3 48,8 44,0 53,9 Formatore coordinatore 7,1 8,6 4,4 0,0 2,2 6,5 7,3 9,2 5,3 Formatore orientatore 2,3 1,7 3,5 0,0 0,0 1,7 2,7 3,2 1,3 Formatore Tutor 12,4 13,2 10,9 0,0 8,6 14,0 12,0 12,2 11,8 Progettista 1,2 1,4 0,7 0,0 0,0 0,6 1,4 2,0 0,0 Responsabile dei processi 1,7 2,0 1,3 0,0 0,0 1,1 1,6 3,0 2,6 Collaboratore amministrativo 5,6 2,2 12,0 0,0 2,2 4,3 7,6 6,5 0,0 Responsabile Amm. organ. 3,2 1,7 5,9 0,0 0,0 1,5 4,5 3,7 5,3 Op. tecnico ausiliario 4,4 3,0 7,0 0,0 5,4 2,8 4,7 5,0 7,9 Op. tecnico della logistica 0,3 0,4 0,0 0,0 1,1 0,2 0,2 0,2 0,2 Op. di segreteria 4,5 1,4 10,2 0,0 5,4 5,6 4,7 3,2 1,3 Tecnico dei servizi 0,9 0,9 0,9 0,0 2,2 1,3 1,0 0,2 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1546 1005 541 2 93 463 510 402 76 Totale*** 100,0 65,0 35,0 0,1 6,0 30,0 33,0 26,0 4,9 88 la scelta di fondo dell’Ente di dare la priorità alla formazione in confronto ad altre dimensioni come la direzione, l’organizzazione, l’amministrazione e la logistica; al tempo stesso vengono assicurati una funzionalità sufficiente della leadership ai vari livelli e un minimo di struttura gestionale e tecnica. Forse risulta un po’ carente la struttura dei servizi di supporto di tipo nuovo e avanzati. L’incrocio dei profili con il sesso vede in generale una sovra-rappresentazione degli uomini in quelli di maggiore prestigio e cioè la direzione e la formazione, con particolare riguardo alle funzioni intermedie. Le donne prevalgono di norma nell’area funzionale dell’amministrazione e in quella della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto. Passando all’incrocio con l’età, i direttori sono sovra-rappresentati nelle fasce da 51 e oltre, le funzioni intermedie dai 41 e più, mentre i formatori si collocano principalmente tra meno 20 e 40. I profili dell’area funzionale dell’amministrazione tendono a concentrarsi tra i 41 e i 60, mentre gli operatori tecnici ausiliari prevalgono tra i 41-oltre 60, gli operatori di segreteria con i tecnici dei servizi tra i 20 e i 50 e gli operatori tecnici della logistica tra i 20 e i 30. Dal punto di vista della circoscrizione geografica, il Centro vede una certa prevalenza delle funzioni direttive, mentre al lato opposto, anche se di poco, si colloca il Nord Ovest (cfr. Tav. 20). Passando all’area funzionale della erogazione, il Nord Est si caratterizza per una presenza maggiore di formatori e in particolare di coordinatori e minore di tutor, il Nord Ovest per una superiore di tutor e inferiore di formatori e progettisti, il Centro per una minore di formatori e tutor e maggiore di progettisti e il Sud per una presenza superiore di responsabili di processo, di formatori e di progettisti e inferiore di coordinatori e tutor. Quanto alla terza area, il Centro registra una prevalenza di collaboratori amministrativi e di responsabili amministrativo- organizzativi – e di questi ultimi anche il Sud, mentre sul lato opposto si situa il Nord Est. Nell’area funzionale della logistica, della segreteria e dei servizi di supporto, il Nord Est si caratterizza per una loro presenza generalmente inferiore, il Centro per quella di operatori di segreteria e di operatori tecnici della logistica e per una leggera prevalenza di operatori tecnici ausiliari. Se il confronto è con lo stato ecclesiale, i Salesiani prevalgono percentualmente nell’area funzionale della direzione, mentre sono di norma sotto-rappresentati nelle altre e nel caso di alcuni profili risultano totalmente assenti come i progettisti – e potrebbe essere una carenza seria dato che la progettualità è fondamentale per il successo della FP – i collaboratori amministrativi, gli operatori tecnici della logistica, gli operatori di segreteria e i tecnici dei servizi – e l’assenza è meno grave perché non si tratta di profili così decisivi per l’attività educativa. A loro volta, i laici sono più consistenti in tutti gli altri profili tranne che tra i tutor. L’incrocio del profilo con il titolo di studio vede la prevalenza delle funzioni dirigenti tra i laureati rispetto ai diplomati, mentre le stesse sono assenti tra i possessori di qualifiche professionali, di licenze elementari e medie e di altri titoli (cfr. Tav. 21). Nell’area funzionale dell’erogazione le varie categorie di formatori sono 89 Tav. 20 – Operatori per profilo, incrociato con la circoscrizione geografica e lo stato ecclesiale (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione Profilo Totale Stato Ecclesiale Circoscrizione Geografica Salesiano Laico Nord Est Nord Ovest Centro Sud Direttore di sede operativa 2,8 19,4 2,0 2,7 2,8 3,3 2,7 Direttore di funzione 0,8 2,8 0,7 0,3 0,0 2,8 1,8 Direttore generale 0,5 5,6 0,3 0,9 0,3 0,9 0,3 Formatore 52,2 44,4 52,6 56,5 50,3 47,4 54,8 Formatore coordinatore 7,1 5,6 7,2 13,4 5,9 6,2 3,6 Formatore orientatore 2,3 1,4 2,4 1,8 2,4 2,8 2,4 Formatore Tutor 12,4 15,3 12,3 7,0 18,8 9,5 6,7 Progettista 1,2 0,0 1,2 0,9 0,6 2,4 1,8 Responsabile dei processi 1,7 1,4 1,8 1,2 1,8 1,4 2,4 Collaboratore amministrativo 5,6 0,0 5,9 5,8 4,4 10,0 5,2 Responsabile Amm. organ. 3,2 2,8 3,2 3,3 1,3 5,2 5,5 Op. tecnico ausiliario 4,4 1,4 4,5 1,8 4,3 7,0 4,0 Op. tecnico della logistica 0,3 0,0 0,3 0,0 0,3 0,0 0,6 Op. di segreteria 4,5 0,0 4,7 3,0 5,8 2,8 4,2 Tecnico dei servizi 0,9 0,0 0,9 1,2 1,0 0,5 0,6 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1546 72 1474 329 676 211 330 Totale*** 100,0 4,7 95,3 21,3 43,7 13,7 21,3 90 Tav. 21 – Operatori per profilo, incrociato con il titolo di studio e il tipo di contratto (a.f. 2013-14; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 1546 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione; ***** Gli scostamenti dal totale, che è 1472, sono dovuti alla presenza nell’archivio di campi non obbligatori Profilo Totale Tipo di Contratto Titolo di Studio***** Tempo Indeterminato Tempo Determinato Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro Direttore di sede operativa 2,8 3,2 0,5 3,6 2,8 0,0 0,0 0,0 0,0 Direttore di funzione 0,8 1,0 0,0 1,6 0,4 0,0 0,0 0,0 0,0 Direttore generale 0,5 0,6 0,0 1,1 0,3 0,0 0,0 0,0 0,0 Formatore 52,2 48,9 75,3 56,9 50,1 52,9 27,6 0.0 20,0 Formatore coordinatore 7,1 8,0 1,0 8,2 7,7 2,9 1,7 0.0 20,0 Formatore orientatore 2,3 2,5 1,0 4,6 1,1 0,0 0,0 0,0 10,0 Formatore Tutor 12,4 13,0 8,2 13,7 13,1 10,3 8,6 0,0 10,0 Progettista 1,2 1,3 0,5 0,7 1,7 0,0 0,0 0,0 10,0 Responsabile dei processi 1,7 2,0 0,0 2,2 1,8 0,0 0,0 0,0 10,0 Collaboratore amministrativo 5,6 6,1 2,1 2,9 7,1 13,2 3,4 0,0 0,0 Responsabile Amm. organ. 3,2 3,6 0,5 2,0 4,5 1,5 0,0 0,0 10,0 Op. tecnico ausiliario 4,4 4,3 5,2 0,4 2,0 10,3 53,4 100,0 20,0 Op. tecnico della logistica 0,3 0,2 0,5 0,0 0,3 1,5 1,7 0,0 0,0 Op. di segreteria 4,5 4,6 3,6 1,3 6,0 7,4 3,4 0,0 0,0 Tecnico dei servizi 0,9 0,8 1,5 0,7 1,1 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****1546 1351 194 548 784 68 58 4 10 Totale*** 100,0 87,4 12,6 37,2 53,3 4,6 3,9 0,3 0,7 91 generalmente sovra-rappresentate o si collocano sul totale tra i laureati, sono sul totale o leggermente sotto-rappresentate tra i diplomati, sono sotto-rappresentate tra i possessori di qualifiche professionali eccetto che nel caso dei semplici formatori che si situano sul totale, sono decisamente sotto-rappresentate o assenti tra i licenziati della media e totalmente assenti in quelli delle elementari e hanno qualche presenza talora anche consistente (coordinatori, orientatori, progettisti e responsabili dei processi) fra i titoli altri. I collaboratori amministrativi prevalgono tra i possessori di qualifiche professionali e i responsabili amministrativo-organizzativi tra i diplomati e i titoli altri. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, gli operatori tecnici ausiliari si distribuiscono percentualmente soprattutto tra i possessori di qualifiche professionali e i licenziati della media, come d’altra parte gli operatori tecnici della logistica, e gli operatori di segreteria tra i possessori delle qualifiche professionali e i tecnici dei servizi tra diplomati e laureati. In conclusione, agli operatori del CNOS-FAP va riconosciuta senz’altro una sufficiente preparazione di base; al tempo stesso, sembrerebbe opportuna una elevazione generalizzata del suo livello soprattutto nelle aree funzionali della direzione e della erogazione. Venendo al tipo di contratto, solo i semplici formatori sono sovra-rappresentati nel tempo determinato mentre gli operatori dell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi tendono ad esserlo, ma leggermente. Tutti gli altri profili sono generalmente o assenti o sotto-rappresentati, sempre nel tempo determinato. 3. LA FORMAZIONE IN SERVIZIO DEGLI OPERATORI DEL CNOS-FAP NEGLI ANNI 2012 E 2013 L’analisi quantitativa sulla Formazione in servizio degli operatori del CNOSFAP è limitata agli anni solari 2012 e 2013 perché solo da poco l’Ente ha iniziato a raccogliere sistematicamente i relativi dati. Nel periodo considerato si registra una crescita rispetto al totale sia in valori assoluti da 631 a 677 (+46 o +7,3%) sia in percentuale dal 51,2% al 53,6% (+2,4%) (cfr. Tav. 22). Tale cifra è leggermente inferiore a quella riscontrata dall’ISFOL su tutto il territorio nazionale riguardo, però, ai soli formatori, cioè 59,5% (2007). L’analisi che segue è articolata in due parti tra loro diseguali. La prima offre una disamina dei dati sulla partecipazione alla Formazione in servizio degli operatori del CNOS-FAP in base alle caratteristiche socio-demografiche ed è la più consistente. Anche se sono le stesse utilizzate per la presentazione, nella prima sezione, delle statistiche sul personale in generale, vale la pena ricordarle: si tratta del sesso, dell’età, della circoscrizione geografica, dello stato ecclesiale, del titolo di studio, del tipo di contratto e del profilo. La seconda parte è invece dedicata ad approfondire i tipi di attività che rientrano nella Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP. 92 Tav. 22 – Partecipazione alla Formazione in servizio per sesso, incrociato con età e circoscrizione geografica (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga La partecipazione in base al sesso vede una sovra-rappresentazione dei maschi e una sotto-rappresentazione delle femmine (cfr. Tav. 22). In ambedue gli anni gli uomini costituiscono i tre quarti circa del totale e le donne l’altro quarto del totale (75% e 25%; 74,6% e 25,4%, rispettivamente), mentre la proporzione tra gli operatori del CNOS-FAP è nell’anno formativo 2013- 14 di due terzi a un terzo quasi (65,3% e 34,7%), come si è osservato sopra (cfr. Tav. 2). L’incrocio del sesso con l’età mette in evidenza che gli uomini sono sovra-rappresentati nelle coorti più anziane (51-oltre 60) e le donne nella fascia intermedia (41-50). Inoltre, la percentuale dei primi cresce tra i più giovani (20-30) e diminuisce invece quella delle seconde, ma l’andamento tende ad attenuarsi notevolmente nel 2013. La circoscrizione geografica non comporta nessuno scostamento di rilievo rispetto al totale nel 2012. Nel 2013 si registra un andamento che vede gli uomini sovra-rappresentati al Centro e al Sud e sottorappresentati al Nord Est e al Nord Ovest, mentre la tendenza opposta si riscontra tra le donne. L’incrocio con lo stato ecclesiale evidenzia un andamento scontato in ambedue gli anni (cfr. Tav. 23). I maschi sono ovviamente sovra-rappresentati tra i Salesiani e lo sono al 100%; al contrario, nessuno scostamento di rilievo rispetto al totale si riscontra tra i laici. Passando al titolo di studio, la partecipazione degli uomini correttamente aumenta tra i possessori di diploma, di qualifica professionale e di licenza media (nel 2012), cioè tra coloro che detengono qualificazioni più esposte all’obsolescenza e diminuisce tra i laureati in quanto meno esposti a tale dinamica. L’andamento si rovescia tra le donne e appare non molto comprensibile. Sesso Totale Età Circoscrizione Geografica <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 M 75.0 0,0 80,8 73,7 68,8 81,0 95,8 73,5 77,0 73,9 74,1 F 25,0 0,0 19,2 26,3 31,2 19,0 4,2 26,5 23,0 26,1 25,9 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 0 26 213 215 153 24 215 239 92 85 Totale*** 100,0 0,0 4,1 33,8 34,1 24,2 3,8 34,1 37,9 14,6 13,5 2013 M 74,6 100,0 77,1 72,7 67,1 82,4 93,3 69,9 71,8 83,5 83,8 F 25,4 0,0 22,9 27,3 32,9 17,6 6,7 30,1 28,2 16,5 16,3 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 1 35 216 219 176 30 176 312 109 80 Totale*** 100,0 0,1 5,2 31,9 32,4 26,0 4,4 26,0 46,1 16,1 11,8 93 Tav. 23 – Partecipazione alla Formazione in servizio per sesso, incrociato con lo stato ecclesiale e il titolo di studio (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori L’incrocio del sesso con tipo di contratto vede una leggera sovra-rappresentazione delle donne nel tempo determinato e una altrettanto lieve sotto-rappresentazione tra gli uomini (cfr. Tav. 24). Nel tempo indeterminato, al contrario, non si notano scostamenti di rilievo rispetto al totale. L’andamento è sostanzialmente eguale sia nel 2012 che nel 2013. L’incrocio con il profilo vede nell’area funzionale della direzione una sovrarappresentazione degli uomini nella Formazione in servizio dei direttori di sede operativa, nessuno scostamento di rilievo rispetto al totale nel caso dei direttori generali, mentre tra i direttori di funzioni le donne sono sovra-rappresentate nel 2012 e gli uomini nel 2013. Passando all’area funzionale dell’erogazione – comprensiva dei progettisti, come si è precisato sopra – le percentuali dei maschi sono in generale leggermente più elevate della loro presenza nel totale tranne che tra gli orientatori in cui prevalgono nettamente le femmine. Queste ultime sono nettamente sovra-rappresentate nell’area funzionale dell’amministrazione quanto alla partecipazione all’offerta di Formazione in servizio. L’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto vede le donne prevalere nell’aggiornamento degli operatori di segreteria e gli uomini nel caso di quello dei tecnici di servizio: essi sono sovra-rappresentati anche a livello di operatori tecnici ausiliari e della logistica, ma si tratta solo di una persona in entrambi i casi. La partecipazione alla Formazione in servizio dei dipendenti del CNOS-FAP in base all’età registra una sostanziale coincidenza nella distribuzione per coorti nei due anni, 2012 e 2013 (cfr. Tav. 25). Essa si concentra nelle fasce 31-60 anni, le più esposte alla obsolescenza, che riuniscono il 90% circa di quanti hanno usufruito delle offerte messe a disposizione; è invece meno comprensibile che la percentuale si collochi oltre il 30% nelle coorti 31-40 e 41-50, mentre scende sul 25% in quella Sesso Totale Stato Ecclesiale Titolo di Studio**** Salesiano Laico Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2012 M 75.0 100,0 74,1 56,5 85,7 80,0 100,0 0,0 100,0 F 25,0 0,0 25,9 43,5 14,3 20,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 21 610 232 364 20 5 0 2 Totale*** 100,0 3,3 96,7 37,2 58,4 3,2 0,8 0,0 0,3 2013 M 74,6 100,0 73,8 53,8 88,0 77,8 50,0 0,0 100,0 F 25,4 0,0 26,2 46,2 12,0 22,2 50,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 25 652 251 383 18 12 0 2 Totale*** 100,0 3,7 96,3 37,7 57,5 2,7 1,8 0,0 0,3 94 Tav. 24 – Partecipazione alla Formazione in servizio per sesso, incrociato con il tipo di contratto e il profilo ( anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi p p p p Sesso Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato 2012 M 75.0 75,1 71,4 F 25,0 24,9 28,6 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 610 21 Totale*** 100,0 96,7 3,3 2013 M 74,6 74,8 70,6 F 25,4 25,2 29,4 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 643 34 Totale*** 100,0 95,0 5,0 Profilo**** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 11,8 50,0 89,7 75,0 78,5 79,2 53,3 76,9 18,2 100,0 100,0 78,6 40,0 77,8 85,7 88,2 50,0 19,3 25,0 21,5 20,8 46,7 23,1 81,8 0 0 21,4 60,0 22,2 14,3 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 17 6 29 4 372 77 15 91 11 1 1 14 20 18 7 2,5 0,9 4,2 0,6 54,5 11,3 2,2 13,3 1,6 0,1 0,1 2,0 2,9 2,6 1,0 2013 50,0 100,0 83,9 75,0 76,2 78,5 40,0 71,7 25,0 100,0 100,0 75,0 33,3 77,8 100,0 50,0 0,0 16,1 25,0 23,8 21,5 60,0 28,3 75,0 0,0 0,0 25,0 66,7 22,2 0.0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 8 2 31 4 428 79 20 106 4 1 1 12 9 18 5 1,1 0,1 4,3 0,5 58,8 10,9 2,7 14,6 0,5 0,1 0,1 1,6 1,2 2,5 0,7 95 51-60 che di per sé ne avrebbe maggiore bisogno. Correttamente la cifra si abbassa al minimo per i più giovani (meno 20-30), mentre appare discutibile la partecipazione modesta dei più anziani (oltre 60). L’incrocio dell’età con il sesso vede una sovra-rappresentazione delle donne nelle fasce 31-50, soprattutto in quella 41-50, e una loro sotto-rappresentazione in quelle 51-oltre 60 che risulta difficile da spiegare dato che si tratte delle coorti più anziane. Tra gli uomini l’andamento è opposto anche se in misura modesta rispetto al totale. Quanto alla circoscrizione geografica, le classi di età più giovani (soprattutto quella 31-40) tendono a crescere nel Nord Est e a diminuire nel Centro e nel Sud (solo nel 2013). Il gruppo di età intermedia, 41-50, aumenta nel Centro e nel Sud (solo nel 2012) e si riduce nel Nord Est e nel Nord Ovest, ma in entrambi gli ultimi casi unicamente nel 2012. Le fasce più anziane (51-oltre 60) tendono a crescere al Centro e al Sud (solo 2013), mentre diminuiscono nel Sud, ma unicamente nel 2012. Tav. 25 – Partecipazione alla Formazione in servizio per età, incrociata con il sesso e la circoscrizione geografica (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga Passando allo stato ecclesiale, le coorti più giovani (meno 20-40 anni) sono assenti o sotto-rappresentate tra i Salesiani, mentre il trend contrario si registra per quelle più anziane (51-oltre 60); la coorte intermedia (41-50) si colloca sui dati del totale (cfr. Tav. 26). Anche i dati dei laici si collocano sostanzialmente su quelli del totale. Età Totale Sesso Circoscrizione Geografica M F Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 <20 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 20-30 4,1 4,4 3,2 5,1 5,4 0,0 2,4 31-40 33,8 33,2 35,4 38,6 34,3 20,7 34,1 41-50 34,1 31,3 42,4 29,3 31,0 45,7 42,4 51-60 24,2 26,2 18,4 23,3 26,4 28,3 16,5 >60 3,8 4,9 0.6 3,7 2,9 5,4 4,7 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 473 158 215 239 92 85 Totale*** 100,0 75,0 25,0 34,1 37,9 14,6 13,5 2013 <20 0,1 0,2 0,0 0,0 0,0 0,9 0,0 20-30 5,2 5,3 4,7 5,7 7,4 0,0 2,5 31-40 31,9 31,1 34,3 35,2 34,9 22,0 26,3 41-50 32,3 29,1 41,9 32,4 30,8 38,5 30,0 51-60 26,0 28,7 18,0 23,3 24,7 32,1 28,8 >60 4,4 5,5 1,2 3,4 2,2 6,4 12,5 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 505 172 176 312 109 80 Totale*** 100,0 74,6 25,4 26,0 46,1 16,1 11,8 96 Tav. 26 – Partecipazione alla Formazione in servizio per età, incrociata con stato ecclesiale e titolo di studio (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori Età Totale Stato Ecclesiale Titolo di Studio**** Salesiano Laico Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2012 <20 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 20-30 4,1 0,0 4,3 3,0 5,2 0,0 0,0 0,0 0,0 31-40 33,8 28,6 33,9 38,4 30,2 35,0 20,0 0,0 50,0 41-50 34,1 33,3 34,1 38,4 31,9 35,0 60,0 0,0 0,0 51-60 24,2 28,6 24,1 16,4 29,1 25,0 20,0 0,0 50,0 >60 3,8 9,5 3,6 3,9 3,6 5,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 21 610 232 364 20 5 0 2 Totale*** 100,0 3,3 96,7 37,2 58,4 3,2 0,8 0,0 0,3 2013 <20 0,1 0,0 0,2 0,0 0,3 0,0 0,0 0,0 0,0 20-30 5,2 0,0 5,4 5,2 5,7 0,0 0,0 0,0 0,0 31-40 31,9 28,0 32,1 38,6 28,2 22,2 16,7 0,0 50,0 41-50 32,3 32,0 32,4 36,7 29.2 38,9 50,0 0,0 0,0 51-60 26,0 28,0 25,9 16,7 31,9 33,3 25,0 0,0 50,0 >60 4,4 12,0 4,1 2,8 4,7 5,6 8,3 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 25 652 251 383 18 12 0 2 Totale*** 100,0 3,7 96,3 37,7 57,5 2,7 1,8 0,0 0,3 97 Riguardo poi al titolo di studio, le coorti più giovani tendono a crescere tra i laureati e gli altri titoli nella fascia 31-40 o rimangono stabili in quelle meno 20-30, mentre tendono a diminuire tra i diplomati, i qualificati e i licenziati della media; il primo andamento non è facilmente spiegabile perché i laureati più giovani non dovrebbero avere grande bisogno di aggiornamento. La coorte intermedia (41-50) è sovra-rappresentata generalmente tra i laureati, i qualificati e i licenziati della media ed è sotto-rappresentata tra i diplomati che, pure, sarebbero egualmente esposti alla obsolescenza. Le classi di età più anziane (51-oltre 60) tendono ad aumentare tra i diplomati, i qualificati e i titoli altri e a ridursi tra i laureati e ciò correttamente perché sono i primi titoli ad essere più bisognosi di aggiornamento. L’incrocio dell’età con il tipo di contratto vede una sovra-rappresentazione delle fasce più giovani (20-40) e intermedie (41-50) e una sotto-rappresentazione delle coorti più anziane (51-oltre 60) nel tempo determinato (cfr. Tav. 27): probabilmente sono i primi tre gruppi che hanno maggiore bisogno di essere inseriti nel progetto formativo del CNOS-FAP. Nel tempo indeterminato, al contrario, non si notano scostamenti di rilievo rispetto al totale. L’andamento è sostanzialmente eguale sia nel 2012 che nel 2013. L’incrocio con il profilo vede generalmente nell’area funzionale della direzione una sotto-rappresentazione delle classi di età più giovani (20-40) e una sovra-rappresentazione di quelle più anziane (51-oltre 60), mentre quella intermedia (41-50) diminuisce tra i direttori di sede operativa e quelli generali (unicamente nel 2012) e cresce tra quelli di funzione e quelli generali (solo nel 2013) (cfr. Tav. 27). L’area funzionale dell’erogazione registra una diminuzione delle percentuali (o talora una stabilità rispetto al totale) nelle coorti più giovani (meno 20-40) tranne il caso dei formatori tutor che vedono un aumento nel 2013; una sostanziale stabilità della classe intermedia (41-50) eccetto che per il formatore orientatore e il progettista (solo nel 2013); una crescita delle coorti più anziane (51- oltre 60) nella maggioranza dei casi. Nell’area funzionale dell’amministrazione le classi più giovani (meno 20-40) risultano generalmente sotto-rappresentate, quella intermedia (41-50) è sovra-rappresentata nel 2013 e quelle più anziane nel caso del responsabile amministrativo-organizzativo, mentre il contrario si verifica per il collaboratore amministrativo. L’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto registra una tendenza alla crescita nei gruppi di età più giovani (meno 20-40), un aumento in quello intermedio (41-50) nel caso del tecnico dei servizi, ma l’andamento è opposto tra gli operatori di segreteria, e un trend alla diminuzioni in quelli più anziani (51-oltre 60). Diversamente dai casi precedenti, la frequenza alle attività di Formazione in servizio dei dipendenti del CNOS-FAP secondo la circoscrizione geografica evidenzia delle differenze tra i due anni di riferimento (cfr. Tav. 28). In sintesi, tra il 2012 e il 2013 la percentuale diminuisce da più di un terzo (34,1%) a oltre un quarto (26%) nel Nord Est e cresce dal 40% quasi (37,9%) al 50% circa (46,1%) nel Nord Ovest, mentre rimane nel complesso sufficientemente stabile nel Centro (14,6% e 16,1% rispettivamente) e nel Sud (13,5% e 11,8%). Il confronto con la 98 Tav. 27 – Partecipazione alla Formazione in servizio per età, incrociata con il tipo di contratto e il profilo (anni 2012 e 2013; in % e VA) (Continua) Età Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato 2012 <20 0,0 0,0 0,0 20-30 4,1 3,4 23,8 31-40 33,8 33,1 52,4 41-50 34,1 34,8 14,3 51-60 24,2 24,9 4,8 >60 3,8 3,8 4,8 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 610 21 Totale*** 100,0 96,7 3,3 2013 <20 0,1 0,2 0,0 20-30 5,2 3,7 32,4 31-40 31,9 31.1 47,1 41-50 32,3 33,3 14,7 51-60 26,0 27,1 5,9 >60 4,4 4,7 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 643 34 Totale*** 100,0 95,0 5,0 99 (Segue) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Profilo**** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 5,4 2,6 0,0 4,4 9,1 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 14,3 35,3 33,3 13,8 0,0 36,6 33,8 26.7 36,3 36,4 0,0 100,0 21,4 25,0 22,2 28,6 58,8 66,7 27,6 25,0 37,3 35,1 46,7 34,1 36,4 0,0 0,0 35,7 35,0 38,9 42,9 5,9 0,0 44,8 50,0 21,5 28,6 26,7 23,1 18,2 0,0 0,0 42,9 35,0 33,3 14,3 0,0 0,0 13,8 25,0 4,3 0,0 0,0 2,2 0,0 0,0 0,0 0,0 5,5 5,6 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 17 6 29 4 372 77 15 91 11 1 1 14 20 18 7 2,5 0,9 4,2 0,6 54,5 11,3 2,2 13,3 1,6 0,1 0,1 2,0 2,9 2,6 1,0 2013 0,0 0,0 0,0 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 7,0 2,5 0,0 3,8 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 25,0 0,0 12,9 0,0 33,9 30,4 15,0 37,7 50,0 0,0 0,0 25,0 0,0 16,7 40,0 75,0 50,0 25,2 50,0 31,3 35,4 50,0 29,2 25,0 0,0 0,0 50,0 44,4 33,3 40,0 0,0 50,0 48,4 50,0 22,7 31,6 35,0 24,5 25,0 0,0 100,0 25,0 56,6 38,9 20,0 0,0 0,0 12,9 0,0 4,9 0,0 0,0 4,7 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 11,1 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 8 2 31 4 428 79 20 106 4 1 1 12 9 18 5 1,1 0,1 4,3 0,5 58,8 10,9 2,7 14,6 0,5 0,1 0,1 1,6 1,2 2,5 0,7 100 distribuzione degli operatori del CNOS-FAP al 2013-14 vede una sovra-rappresentazione del Nord Est e del Nord Ovest (solo nel 2013), una sostanziale stabilità al Centro e una sotto-rappresentazione al Sud e al Nord Ovest (unicamente nel 2012). Tav. 28 – Partecipazione alla Formazione in servizio per circoscrizione geografica, incrociata con il sesso e l’età (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga L’incrocio della circoscrizione con il sesso mette in evidenza una coincidenza molto elevata tra i dati relativi ai maschi e la distribuzione delle percentuali nei totali, ma la corrispondenza diminuisce nel passaggio dal 2012 al 2013. Le femmine a loro volta sono sovra-rappresentate al Nord Est e al Nord Ovest (solo 2013), ma sono sotto-rappresentate al Centro e al Sud (in entrambi i casi solo nel 2013) e leggermente nel Nord Ovest (unicamente nel 2012). Quanto all’incrocio della circoscrizione con l’età, il Nord Est e il Nord Ovest tendono ad essere sovra-rappresentati nelle fasce più giovani (20-40) – e questo non è molto comprensibile dato che sono quelle meno esposte al rischio dell’obsolescenza delle conoscenze – e sotto-rappresentate in quella più anziana (60 ed oltre) e a scostarsi di poco o a coincidere con il totale in quella intermedia (41-50) e in quella anziana (51-60). Il Centro diminuisce tra le coorti più giovani (20-40) e cresce in quella intermedia e in quelle più anziane e l’andamento sembrerebbe corretto. Il Sud è sotto-rappresentato tra i più giovani (20-30) e fra i più anziani (60 e oltre), mentre il trend è più vario nelle altre classi, anche se sembra prevalere la tendenza a convergere con i dati del totale. I Salesiani sono sovra-rappresentati nel Nord-Est e sotto-rappresentati nel Nord Ovest e nel Centro; nel Sud sono sotto-rappresentati nel 2012 e sovra-rappresentanti nel 2013 (cfr. Tav. 29). Al contrario, le circoscrizioni si collocano sostanzialmente sul totale riguardo ai laici. Circoscrizione geografica Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 2012 Nord Est 34,1 33,4 36,1 0,0 42,3 39,0 29,3 32,7 33,3 Nord Ovest 37,9 38,9 34,8 0,0 50,0 38,5 34,5 41,2 29,2 Centro 14,6 14,4 15,2 0,0 0,0 8,9 19,5 17,0 20,8 Sud 13,5 13,3 15,9 0,0 7,7 13,6 16,7 9,2 16,7 Totale* 100,0 100,0 100,0 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 473 158 0 26 213 215 153 24 Totale*** 100,0 75,0 25,0 0,0 4,1 33,8 34,1 24,2 3,8 2013 Nord Est 26,0 24,4 30,8 0,0 28,6 28,7 26,0 23,3 20,0 Nord Ovest 46,1 44,4 51,2 0,0 65,7 50,5 43,8 43,8 23,3 Centro 16,1 18,0 10,5 100,0 0,0 11,1 19,2 19,9 23,3 Sud 11,8 13,3 7,6 0,0 5,7 9,7 13,1 13,1 33,3 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 505 172 1 35 215 219 176 30 Totale*** 100,0 74,6 25,4 0,1 5,2 31,9 32,4 26,0 4,4 101 Tav. 29 – Partecipazione alla Formazione in servizio per circoscrizione geografica, incrociata con lo stato ecclesiale e il titolo di studio (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori Circoscrizione geografica Totale Stato Ecclesiale Titolo di Studio**** Salesiano Laico Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2012 Nord Est 34,1 61,9 33,1 37,5 33,8 20,0 20,0 0,0 0,0 Nord Ovest 37,9 28,6 38,2 32,8 39,6 65,0 80,0 0,0 100.0 Centro 14,6 4,8 14,9 17,2 13,5 15,0 0,0 0,0 0,0 Sud 13,5 4,8 13,8 12,5 13,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 21 610 232 364 20 5 0 2 Totale*** 100,0 3,3 96,7 37,2 58,4 3,2 0,8 0,0 0,3 2013 Nord Est 26,0 44,0 25,3 29,1 26,1 11,1 8,3 0,0 0,0 Nord Ovest 46,1 36,0 46,5 42,7 47,0 72,7 91,7 0,0 100,0 Centro 16,1 4,0 16,6 17,9 16,2 11,1 0,0 0,0 0,0 Sud 11,8 16,0 11,7 10,8 10,7 5,6 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 25 652 251 383 18 12 0 2 Totale*** 100,0 3,7 96,3 37,7 57,5 2,7 1,8 0,0 0,3 102 Il titolo di studio vede la circoscrizione del Nord Est sovra-rappresentata tra i laureati e sotto-rappresentata tra i qualificati e i licenziati della media, mentre ci si sarebbe aspettato il contrario come avviene nel Nord Ovest (cfr. Tav. 29). Il Centro e il Sud registrano una diminuzione della partecipazione alla Formazione in servizio tra i qualificati (tranne nel 2012 per il Centro) e tra i licenziati della media – e sarebbero le categorie più bisognose di aggiornamento – mentre nel caso dei laureati e dei diplomati i dati si collocano intorno a quelli del totale. Per quanto riguarda l’incrocio delle circoscrizioni geografiche con il tipo di contratto, il Nord Est è sovra-rappresentato nel tempo determinato, ma unicamente nel 2012, e il Nord Ovest e il Sud solo nel 2013, mentre il Centro è sotto-rappresentato in ambedue gli anni (cfr. Tav. 30). Nel tempo indeterminato, al contrario, non si riscontrano scostamenti di rilievo rispetto al totale. Nell’area funzionale della direzione, la partecipazione alla Formazione in servizio nel Nord Est tende a diminuire nel caso dei direttori di sede operativa e a crescere nelle altre figure tranne che per i direttori di funzione nel 2012; un andamento sostanzialmente opposto si riscontra nel Nord Ovest; il Centro tende a crescere tranne che tra i direttori generali nel 2012 dove si abbassa e i direttori di sede operativa nel 2013 dove si colloca sul totale; il Sud presenta un trend alla diminuzione eccetto che tra i direttori di funzione nel 2012 e i direttori di sede nel 2013 dove le percentuali aumentano. L’area funzionale erogazione vede: la frequenza delle attività di Formazione in servizio del Nord Est sotto-rappresentata tranne che tra i coordinatori dove è sovrarappresentata e tra i formatori dove si colloca sul totale; il Nord Ovest sovra-rappresentato tra gli orientatori, i tutor e i responsabili dei processi, sotto-rappresentato tra i coordinatori e i progettisti e sui dati del totale tra i formatori; il Centro sovra-rappresentato tra orientatori e progettisti, sotto-rappresentato tra i responsabili dei processi e tra i coordinatori solo nel 2013 e collocato sui dati del totale per il resto; il Sud sotto-rappresentato eccetto che tra i progettisti e i responsabili del processi dove è sovra-rappresentato. Nell’area funzionale dell’amministrazione il Nord Est registra un aumento più del totale nella partecipazione alla Formazione in servizio, il Nord-Ovest una diminuzione, il Centro una crescita nel 2012 e una riduzione nel 2013 e il Sud un’analoga tendenza. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto il Nord Est evidenzia una sovra-rappresentazione tra i tecnici dei servizi e una sottorappresentazione negli altri casi, il Nord Ovest una sovra-rappresentazione tranne che una sotto-rappresentazione per i tecnici dei servizi e per gli operatori tecnici della logistica (solo nel 2013), una sotto-rappresentazione o assenza dei medesimi nel Centro e una sovra-rappresentazione nel Sud degli operatori di segreteria, dei tecnici dei servizi e degli operatori tecnici della logistica (solo nel 2013) e un’assenza di partecipazione nel 2012 e tra gli operatori tecnici ausiliari. 103 Tav. 30 – Partecipazione alla Formazione in servizio per circoscrizione geografica, incrociato con il tipo di contratto e il profilo (anni 2012 e 2013; in % e VA) ( Continua) Circoscrizione geografica Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato 2012 Nord Est 34,1 33,6 47,6 Nord Ovest 37,9 37,9 38,1 Centro 14,6 15,1 0,0 Sud 13,5 13,4 14,3 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 610 21 Totale*** 100,0 96,7 3,3 2013 Nord Est 26,0 26,1 23,5 Nord Ovest 46,1 45,7 52,9 Centro 16,1 16,8 2,9 Sud 11,8 11,4 20,6 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 643 34 Totale*** 100,0 95,0 5,0 104 Segue Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 41,2 16,7 27,6 50,0 33,6 50,6 26,7 20,9 18,2 0,0 0,0 21,4 35,0 16,7 42,9 35,3 0,0 51,7 25,0 35,2 31,2 40,0 59,3 54,5 100,0 100,0 21,4 25,0 44,4 28,6 17,6 66,7 17,2 25,0 13,4 13,0 26,7 15,4 9,1 0,0 0,0 35,7 30,0 11,1 0,0 5,9 16,7 3,4 0,0 17,7 5,2 6,7 4,4 18,2 0,0 0,0 21,4 10,0 27,8 28,6 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 17 6 29 4 372 77 15 91 11 1 1 14 20 18 7 2,5 0,9 4,2 0,6 54,5 11,3 2,2 13,3 1,6 0,1 0,1 2,0 2,9 2,6 1,0 2013 50,0 50,0 22,6 75,0 24,8 48,1 15,0 7,5 25,0 0,0 0,0 16,7 66,7 16,7 40,0 25,0 0,0 45,2 0,0 45,3 32,9 55,0 71,7 50,0 100,0 0,0 33,3 0,0 55,6 40,0 12,5 50,0 16,1 25,0 16,1 12,7 25,0 15,1 0,0 0,0 0,0 33,3 11,1 0,0 0,0 12,5 0,0 16,1 0,0 13,8 6,3 5,0 5,7 25,0 0,0 100,0 16,7 22,2 27,8 20,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 8 2 31 4 428 79 20 106 4 1 1 12 9 18 5 1,1 0,1 4,3 0,5 58,8 10,9 2,7 14,6 0,5 0,1 0,1 1,6 1,2 2,5 0,7 105 Il rapporto tra Salesiani e laici nella partecipazione alla Formazione in servizio registra una presenza molto modesta dei primi rispetto ai secondi: il 3,3% in confronto al 96,7% nel 2012 e il 3,7% in paragone al 96,7% nel 2013 (cfr. Tav. 31). È un andamento che riflette, un po’ peggiorata, la situazione a livello di tutti gli operatori: 4,8% e 95,2% nel 2013-14. Tav. 31 – Partecipazione alla Formazione in servizio per stato ecclesiale, incrociato con l’età e la circoscrizione geografica (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga Anche questa volta non abbiamo riportato l’incrocio dello stato ecclesiale con il sesso perché l’andamento è prevedibile a priori. I Salesiani sono sovra-rappresentati tra i maschi, anzi sono tutti maschi, e i laici tra le donne. L’incrocio con l’età vede i Salesiani sovra-rappresentati nella coorte più anziana (oltre 60), collocati sul totale fra i 31 e 60 e assenti tra meno 20 e 30 (cfr. Tav. 31). L’andamento opposto si riscontra fra i laici. La circoscrizione geografica vede una leggera sovra-rappresentazione dei Salesiani al Nord Est e una modesta sotto-rappresentazione al Centro. Il trend contrario si riscontra nel caso dei laici. L’incrocio tra status ecclesiale e titolo di studio registra una sovra-rappresentazione dei Salesiani nella partecipazione alla Formazione in servizio tra i possessori di titoli altri e leggermente tra i qualificati e tra i licenziati della media (solo nel 2013) (cfr. Tav. 32), la loro assenza tra i licenziati delle elementari e della media (unicamente nel 2012), e la loro collocazione sul totale nel caso dei laureati e dei diplomati. L’andamento opposto si riscontra tra i laici tranne che tra i licenziati delle elementari che sono assenti anche fra i laici. Il tipo di contratto evidenzia una crescita dei Salesiani nel tempo determinato e una corrispondente diminuzione dei laici. Nel caso del tempo indeterminato non si riscontra nessun scostamento di rilievo dal totale. Stato Ecclesiale Totale Età Circoscrizione Geografica <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 Salesiano 3,3 0,0 0,0 2,8 3,3 3,9 8,3 6,0 2,5 1,1 3,3 Laico 96,7 0,0 100,0 97,2 96,7 96,1 91,7 94,0 97,5 98,9 96,7 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 0 26 213 215 153 24 215 239 92 85 Totale*** 100,0 0,0 4,1 33,8 34,1 24,2 3,8 34,1 37,9 14,6 13,5 2013 Salesiano 3,7 0,0 0,0 3,2 3,7 4,0 10,0 6,3 2,9 0,9 5,0 Laico 96,3 100,0 100,0 96,8 96.3 96,0 90,0 93,8 97,1 99,1 95,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 1 35 216 219 176 30 176 312 109 80 Totale*** 100,0 0,1 5,2 31,9 32,4 26,0 4,4 26,0 46,1 16,1 11,8 106 Tav. 32 – Partecipazione alla Formazione in servizio per stato ecclesiale, incrociato per titolo di studio, tipo di contratto e profilo ( anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori; *****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Stato Ecclesiale Totale Titolo di Studio**** Tipo di Contratto Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro Tempo Indeterminato Tempo Determinato 2012 Salesiano 3,3 3,9 2,7 5,0 0,0 0,0 50,0 3,1 9,5 Laico 96,7 96,1 97,3 95,0 100,0 0,0 50,0 96.9 90,5 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 232 364 20 5 0 2 610 21 Totale*** 100,0 37,2 58,4 3,2 0,8 0,0 0,3 96,7 3,3 2013 Salesiano 3,7 4,4 2,3 5,6 8,3 0,0 50,0 3,4 8,8 Laico 96,3 95,6 97,7 94,4 91,7 0,0 50,0 96,6 91,2 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 251 383 18 12 0 2 643 34 Totale*** 100,0 37,7 57,5 2,7 1,8 0,0 0,3 95,0 5,0 Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 0,0 0,0 20,7 25,5 2,4 2.6 6,7 3,3 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 5,6 3,4 100,0 100,0 79,3 75,5 97,6 97,4 93.3 96,7 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 94,4 96,6 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 17 6 29 4 372 77 15 91 11 1 1 14 20 18 7 2,5 0,9 4,2 0,6 54,5 11,3 2,2 13,3 1,6 0,1 0,1 2,0 2,9 2,6 1,0 2013 0,0 0,0 25,8 50,0 2,1 2,5 5,0 3,8 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 5,6 0,0 100,0 100,0 74,2 50,0 97,9 97,5 95,0 96,2 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 94,4 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 8 2 31 4 428 79 20 106 4 1 1 12 9 18 5 1,1 0,1 4,3 0,5 58,8 10,9 2,7 14,6 0,5 0,1 0,1 1,6 1,2 2,5 0,7 107 Tav. 33 – Partecipazione alla Formazione in servizio per titolo di studio, incrociato con il sesso e la circoscrizione geografica (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori Titolo di Studio Totale Sesso Circoscrizione Geografica M F Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 Laurea 37,2 28,1 64,3 40,5 31,8 43,5 37,7 Diploma 58,4 67,0 33,1 57,2 60,3 53,3 62,3 Qualifica Professionale 3,2 3,4 2,5 1,9 5,4 3,3 0,0 Licenza Media 0,8 1.1 0,0 0,5 1,7 0,0 0,0 Licenza Elementare 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Altro 0,3 0,4 0,0 0,0 0,8 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****623 466 157 215 239 92 77 Totale*** 100,0 74,8 25,2 34,5 38,4 14,8 12,3 2013 Laurea 37,7 27,3 67,4 41,5 34,0 41,3 39,1 Diploma 57,5 68,2 26,7 56,8 57,7 56,9 59,4 Qualifica Professionale 2,7 2,8 2,3 1,1 4,2 1,8 1,4 Licenza Media 1,8 1,2 3,5 0,6 3,5 0,0 0,0 Licenza Elementare 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Altro 0,3 0,4 0,0 0,0 0,6 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****666 494 172 176 312 109 69 Totale*** 100,0 74,2 25,8 26,4 46,8 16,4 10,4 108 Passando da ultimo al profilo, i Salesiani sono sovra-rappresentati nella partecipazione alla Formazione in servizio dell’area funzionale della direzione tranne che nel caso dei direttori di funzione. Nell’area funzionale erogazione i Salesiani aumentano leggermente tra gli orientatori e i responsabili dei processi, si collocano sul totale nel caso dei tutor, diminuiscono leggermente tra i formatori e i coordinatori e sono assenti tra i progettisti. L’area funzionale dell’amministrazione non evidenzia la presenza di alcun Salesiano nella partecipazione alla Formazione in servizio e lo stesso vale per l’area funzionale della segreteria, logistica e servizi di supporto. La partecipazione alla Formazione in servizio per titolo di studio, se confrontata con la ripartizione degli operatori in base alla medesima variabile nel 2013-14 (cfr. sopra Tav. 13), vede nel 2012 una leggera sovra-rappresentazione di laureati e di diplomati da una parte e dall’altra una modesta sotto-rappresentazione di licenziati della media e l’assenza di quelli delle elementari, mentre nel 2013 le due distribuzioni si avvicinano maggiormente tranne che per l’assenza ancora di licenziati delle elementari nelle attività di aggiornamento (cfr. Tav. 33). Veramente ci si sarebbe aspettato un impegno più grande per il completamento, prolungamento e perfezionamento dei livelli inferiori di formazione, mentre sono quelli sufficienti o più elevati a ricevere una maggiore attenzione. L’incrocio con il sesso evidenzia un diverso andamento secondo i generi tra i titoli più alti, mentre fra quelli più bassi non si notano differenze di rilievo a parte l’assenza di licenziate della media ma solo nel 2012; inoltre, nella Formazione in servizio mancano donne in possesso di titoli altri. Il trend appena richiamato vede i maschi sovra-rappresentati tra i diplomati e sotto-rappresentati tra i laureati, mentre l’opposto si verifica tra le femmine. Passando alle circoscrizioni geografiche, la percentuale dei laureati nella Formazione in servizio aumenta più del totale nel Nord Est e nel Centro, si mantiene sui dati del totale al Sud e si abbassa nel Nord Ovest. A loro volta i diplomati tendono a collocarsi sui dati del totale tranne che nel Sud in cui la loro percentuale cresce e nel Centro in cui essa diminuisce, ma in entrambi i casi solo nel 2012. Lo stesso trend a situarsi sul totale è maggioritario negli altri casi tranne che per l’assenza di partecipazione dei licenziati della media e dei possessori di titoli altri che tende a concentrarsi al Centro dell’Italia. L’incrocio del titolo di studio con lo stato ecclesiastico registra una sostanziale coincidenza dei dati della partecipazione dei laici con quelli del totale (cfr. Tav. 34). Al contrario, la frequenza dei Salesiani è sovra-rappresentata tra i laureati e i possessori di titoli altri ed è sotto-rappresentata tra i diplomati e ciò riflette la diversa distribuzione dei Salesiani tra i titoli di studio, percentualmente più numerosi tra laureati e possessori di titoli altri. Se si fa riferimento all’età, la partecipazione dei laureati è assente o bassa tra le coorti più giovani (meno 20-40), cresce tra la fascia relativamente giovane (31- 40) e quella intermedia (41-50) e diminuisce o rimane sul totale inspiegabilmente nelle coorti più anziane (51-oltre 60). Quella dei diplomati vede una crescita poco 109 comprensibile tra 20 i e 30 e corretta tra i 51-60 (ma non oltre i 60 dove rimane stabile sul totale), mentre si abbassa nelle altre fasce. La partecipazione dei possessori del resto dei titoli diminuisce o è assente tra le fasce più giovani e si colloca sul totale o cresce nelle coorti più anziane. Tav. 34 – Partecipazione alla Formazione in servizio per titolo di studio, incrociato con lo stato ecclesiale e l’età (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori L’incrocio del titolo di studio con il tipo di contratto, vede i dati del tempo indeterminato sostanzialmente coincidenti con quelli del totale (cfr. Tav. 35). La partecipazione alla Formazione in servizio dei laureati e dei licenziati della media a tempo determinato è sovra-rappresentata, mentre risulta sotto-rappresentata quella dei diplomati e assente quella dei possessori di titoli altri, di qualifica professionale (solo nel 2013) e di licenza elementare (tale risultato, però, si colloca sul dato del totale): quest’ultimo andamento si spiega in relazione alla distribuzione dei titoli degli operatori del CNOS-FAP nel tempo determinato (cfr. sopra Tav. 15). Se si fa riferimento al profilo, nell’area funzionale delle direzione la partecipazione dei laureati risulta ovviamente sovra-rappresentata tranne nel caso dei direttori di Titolo di Studio Totale Stato Ecclesiale Età Salesiano Laico <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 2012 Laurea 37,2 42,9 37,0 0,0 26,9 42,8 41.4 25,2 39,1 Diploma 58,4 47,6 58,8 0,0 73,1 52,9 54.0 70,2 56,5 Qualifica Professionale 3,2 4,8 3,2 0,0 0,0 3,4 3,3 3,3 4,3 Licenza Media 0,8 0,0 0,0 0,0 0,0 0,5 1,4 0,7 0,0 Licenza Elementare 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Altro 0,3 4.8 0,2 0,0 0,0 0,5 0,0 0,7 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****623 21 602 0 26 208 215 151 23 Totale*** 100,0 3,4 96,6 0,0 4.2 33.4 34,5 24,2 3,7 2013 Laurea 37,7 47,8 37,3 0,0 37,1 45,8 42,4 24,1 25,9 Diploma 57,5 39,1 58,2 100,0 62,9 51,6 51,6 70,1 66,7 Qualifica Professionale 2,7 4,3 2,6 0,0 0,0 3,2 3,2 3,4 3,7 Licenza Media 1,8 4,3 1,7 0,0 0,0 2,8 2,8 1,7 3,7 Licenza Elementare 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Altro 0,3 4,3 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****666 23 643 0 35 212 217 174 27 Totale*** 100,0 3,5 96,5 0,0 5,3 31,8 32,6 26,1 4,1 110 Tav. 35 – Partecipazione alla Formazione in servizio per titolo di studio, incrociato con il tipo di contratto e il profilo (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori; *****Il totale è 675 nel 2012 e 717 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi p ( ; ) Titolo di Studio Totale Tipo di Contratto Tempo Indeterminato Tempo Determinato 2012 Laurea 37,2 36,2 66,7 Diploma 58,4 59,6 23,8 Qualifica Professionale 3,2 3,2 4,8 Licenza Media 0,8 0,7 4,8 Licenza Elementare 0,0 0,0 0,0 Altro 0,3 0,3 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** ****623 602 21 Totale*** 100,0 96,6 3,4 2013 Laurea 37,7 36,5 60,6 Diploma 57,5 58,8 33,3 Qualifica Professionale 2,7 2,8 0,0 Licenza Media 1,8 1,6 6,1 Licenza Elementare 0,0 0,0 0,0 Altro 0,3 0,3 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 Totale** ****666 633 33 Totale*** 100,0 95,0 5,0 Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 17,6 50,0 34,5 75,0 36,8 42,9 73,3 39,6 18,2 0,0 0.0 28,6 25,0 50,0 42,9 58,8 50,0 65,5 25,0 59,6 54,5 20,0 56,0 72,7 100,0 0.0 64,3 75,0 44,4 57,1 23,5 0,0 0,0 0,0 2,7 1,3 0,0 3,3 9,1 0,0 100,0 0,0 5,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,8 1,3 0,0 3,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 6,7 0,0 0,0 0,0 0,0 7,1 0,0 5,6 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 17 6 29 4 364 77 15 91 11 1 1 14 20 18 7 2,5 0,9 4,3 0,6 53,9 11,4 2,2 13,5 1,6 0,1 0,1 2,1 3,0 2,7 1,0 2013 37,5 100,0 43,3 75,0 36,4 40,5 75,0 38,7 25,0 0,0 0,0 25,0 22,2 33,3 0,0 50,0 0,0 56,7 25,0 58,9 57,0 20,0 55,7 50,0 100,0 100,0 66,7 77,8 61,1 100,0 12,5 0,0 0,0 0,0 3,1 1,3 0,0 1,9 25,5 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 1,7 1,3 0,0 3,8 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 5,0 0,0 0,0 0,0 0,0 8,3 0,0 5,6 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 8 2 30 4 418 79 20 106 4 1 1 12 9 16 5 111 sede operativa nel 2012 in cui è leggermente sotto-rappresentata, e quella dei diplomati tende ad essere sotto-rappresentata eccetto che tra i direttori di sede operativa nel 2012 tra cui è sovra-rappresentata; gli altri titoli sono assenti, ma ciò corrisponde alla loro distribuzione in generale tra i direttori. Nell’area funzionale della erogazione della formazione la frequenza dei laureati all’aggiornamento aumenta più del totale tra gli orientatori e i responsabili dei processi (solo nel 2012, mentre diminuisce nel 2013) e leggermente tra i coordinatori, ma si abbassa tra i progettisti e rimane sul totale negli altri casi, mentre quella dei diplomati ha un andamento opposto; la partecipazione dei possessori del resto dei titoli o si colloca sui dati del totale o, più spesso, è assente, eccetto i titoli altri che crescono tra gli orientatori, i progettisti e i responsabili dei processi. L’area funzionale dell’amministrazione vede: i laureati sotto-rappresentati tranne che tra i collaboratori amministrativi nel 2013 in cui sono sul totale; i diplomati sovra- rappresentati tra i responsabili amministrativo-organizzativi mentre tra i collaboratori amministrativi risultano sotto-rappresentati nel 2013 e collocati sul totale nel 2012; i qualificati sovra-rappresentati tra i collaboratori amministrativi, mentre tra i responsabili amministrativo-organizzativi appaiono assenti nel 2013 e leggermente sovra- rappresentati nel 2012; il resto dei titoli assente tranne che nel caso dei possessori di altri titoli che sono sovra-rappresentati tra i responsabili amministrativo-organizzativi. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, tralasciando gli operatori tecnico-ausiliari e gli operatori tecnici della logistica di cui solo uno partecipa alla Formazione in servizio in entrambi i casi con titolo di diplomato, i laureati aumentano tra i tecnici dei servizi nel 2012 (ma sono assenti nel 2013) e diminuiscono tra gli operatori di segreteria, i diplomati crescono in ambedue i casi e la partecipazione dei possessori del resto dei titoli è assente. Ancora una volta si nota una certa disattenzione ai titoli più bassi e tra le aree funzionali meno elevate. Se il punto di riferimento è il tipo di contratto, la partecipazione alla Formazione in servizio evidenzia che il totale nei due anni è quasi del tutto costituito da operatori a tempo indeterminato (96,7% e 95% rispettivamente nel 2012 e nel 2013), mentre quelli a tempo determinato sono una percentuale molto esigua (3,3% e 5%) (cfr. Tav. 36). Si capisce la remora a non investire su lavoratori che potrebbero anche lasciare i Centri, o non meritare l’impegno del CNOS-FAP, ma lo scarto notevole con la distribuzione generale degli operatori per tipo di contratto (87% e 13% nel 2013-14: cfr. sopra Tav. 16) richiederebbe probabilmente un riequilibrio tra i due gruppi nella Formazione in servizio. L’incrocio con il sesso non mostra alcuna differenza di rilievo rispetto al totale. Si nota soltanto un leggero aumento del tempo indeterminato tra i maschi e del determinato tra le femmine e viceversa. La partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di contratto incrociato con l’età registra nel complesso una tendenza alla crescita con l’elevarsi del numero degli anni nel tempo indeterminato e alla diminuzione con l’abbassarsi nel tempo determinato (cfr. Tav. 36). L’andamento corrisponde alla logica del tempo determinato che è utilizzato in genere con i lavoratori più giovani (cfr. sopra Tav. 7). 112 Tav. 36 – Partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di contratto, incrociato con il sesso e l’età (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga Lo stato ecclesiale non comporta scostamenti di rilievo tra i laici rispetto ai dati del totale (cfr. Tav. 37). Al contrario, la partecipazione in base al contratto a tempo determinato è sovra-rappresentata tra i Salesiani e quella in base al tempo indeterminato è sotto-rappresentata. L’incrocio con la circoscrizione geografica non evidenzia differenze importanti rispetto al totale nel Nord Est e nel Nord Ovest. Nel Centro al contrario il tempo indeterminato è sovra-rappresentato e l’opposto si verifica per quello determinato. Al Sud la situazione rispecchia sostanzialmente il totale nel 2012, ma nel 2013 la tendenza è a una diminuzione della partecipazione degli operatori a tempo indeterminato e una crescita di quelli a tempo determinato. Il titolo di studio comporta un leggero aumento del tempo indeterminato tra i diplomati e tra i possessori di altri titoli e una riduzione consistente tra i licenziati della media (cfr. Tav. 38). Un andamento opposto si riscontra per la partecipazione alla Formazione in servizio degli operatori a tempo determinato in base ai titoli di studio. L’incrocio del tipo di contratto con i profili registra nell’area funzionale della direzione una sovra-rappresentazione del tempo indeterminato tra i dirigenti e una corrispondente sotto-rappresentazione del tempo determinato. Nell’area funzionale della erogazione la partecipazione degli operatori a tempo indeterminato diminuisce tra i progettisti e gli orientatori e aumenta tra i responsabili dei processi; un andamento opposto si registra nel tempo determinato. L’area funzionale dell’amministrazione vede una sovra-rappresentazione del tempo indeterminato tra i responsabili amministrativo-organizzativi e i collaboratori amministrativi insieme con l’assenza del tempo determinato in ambedue i casi. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, il tempo determinato aumenta più Tipo di Contratto Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 2012 Tempo Indeterminato 96,7 96,8 96,2 0,0 80,8 94,8 98,6 99,3 95,8 Tempo Determinato 3,3 3,2 3,8 0,0 19,2 5,2 1,4 0,7 4,2 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 473 158 0 26 213 215 153 24 Totale*** 100,0 75,0 25,0 0,0 4,1 33,8 34,1 24,2 3,8 2013 Tempo Indeterminato 95,0 95,2 94,2 100,0 68,6 92,6 97,7 98,9 100,0 Tempo Determinato 5,0 4,8 5,8 0,0 31,4 7,4 2,3 1,1 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 505 172 1 35 216 219 176 30 Totale*** 100,0 74,6 25,4 0,1 5,2 31,9 32,4 26,0 4,4 113 del totale tra i tecnici dei servizi, gli operatori di segreteria (solo nel 2012) e gli operatori tecnici ausiliari ed è assente tra gli operatori tecnici della logistica, mentre un andamento opposto si riscontra nel tempo indeterminato. Tav. 37 – Partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di contratto, incrociato con la circoscrizione geografica e lo stato ecclesiale (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga La partecipazione alla Formazione in servizio in base al profilo registra: nell’area funzionale della direzione una leggera sovra-rappresentazione nel 2012 (5,7%) rispetto al 2013 (5,1%), attribuibile alla frequenza dei direttori di funzione e una altrettanto modesta sovra-rappresentazione di ambedue gli anni rispetto alla percentuale dell’area nel totale degli operatori del CNOS-FAP (4,1%) nel 2013-14, dovuta soprattutto alla frequenza all’aggiornamento dei direttori di sede operativa; nell’area funzionale della erogazione, che è la più consistente, collocandosi oltre i tre quarti, la sovra-rappresentazione, questa volta, del 2013 (91,1%) in confronto al 2012 (85,9%) e di ambedue in paragone al 2013-14 (76,9%), dovuta in particolare al formatore e nel caso del confronto con il 2013-14 anche al tutor; nell’area funzionale dell’amministrazione, la sotto-rappresentazione sia del 2012 (5,4%) che del 2013 (ancora di più, 2,3%) rispetto al 2013-14 (8,8%), attribuibile soprattutto al collaboratore amministrativo; nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, lo stesso andamento, anche più accentuato (2,8%, 1,4% e 10,1% rispettivamente), dovuto principalmente all’operatore di segreteria e all’operatore tecnico ausiliario (cfr. Tav. 39). In sintesi la partecipazione cresce più del totale nell’area delle direzione e specialmente dell’erogazione e diminuisce nelle aree dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, un andamento comprensibile, ma che nel lungo termine potrebbe portare a delle conseguenze negative sul piano più strettamente gestionale. Tipo di Contratto Totale Stato Ecclesiale Circoscrizione Geografica Salesiano Laico Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 Tempo Indeterminato 96,7 90,5 96,9 95,3 96,7 100,0 96,5 Tempo Determinato 3,3 9,5 3,1 4,7 3,3 0,0 3,5 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 21 610 215 239 92 85 Totale*** 100,0 3,3 96,7 34,1 37,9 14,6 13,5 2013 Tempo Indeterminato 95,0 88,0 95,2 95,5 94,2 99,1 91,3 Tempo Determinato 5,0 12,0 4,8 4,5 5,8 0,9 8,8 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 25 652 176 312 109 80 Totale*** 100,0 3,7 96,3 26,0 46,1 16,1 11,8 114 Tav. 38 – Partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di contratto, incrociato con il titolo di studio e il profilo ( anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 623 nel 2012 e 666 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori; *****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Tipo di Contratto Totale Titolo di Studio**** Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2012 Tempo Indeterminato 96,7 94,0 98,6 95,0 80,0 0,0 100,0 Tempo Determinato 3,3 6,0 1,4 5,0 20,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 631 232 364 20 5 0,0 2 Totale*** 100,0 37,2 58,4 3,2 0,8 0,0 0,3 2013 Tempo Indeterminato 95,0 92,0 97,1 100,0 83,3 0,0 100,0 Tempo Determinato 5,0 8,0 2,9 0,0 16,7 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** 677 251 383 18 12 0 2 Totale*** 100,0 37,7 57,5 2,7 1,8 0,0 0,3 Profilo***** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 100,0 100,0 100,0 100,0 96,5 98,7 93,3 98,9 90,9 0,0 100,0 92,9 100,0 100,0 71,4 0,0 0,0 0,0 0,0 3,5 1,3 6,7 1,1 9,1 100,0 0,0 7,1 0,0 0,0 28,6 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 17 6 29 4 372 77 15 91 11 1 1 14 20 18 7 2,5 0,9 4,2 0,6 54,5 11,3 2,2 13,3 1,6 0,1 0,1 2,0 2,9 2,6 1,0 2013 100,0 100,0 96,8 100,0 93,7 98,7 95,0 99,1 100,0 0,0 100,0 91,7 100,0 100,0 80,0 0,0 0,0 3,2 0,0 6,3 1,3 5,0 0,9 0,0 100,0 0,0 8,3 0,0 0,0 20,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 8 2 31 4 428 79 20 106 4 1 1 12 9 18 5 1,1 0,1 4,3 0,5 58,8 10,9 2,7 14,6 0,5 0,1 0,1 1,6 1,2 2,5 0,7 115 Tav. 39 – Partecipazione alla Formazione in servizio per profilo, incrociato con il sesso e l’età (anni 2012 e 2013; in % e VA) ( Continua) Profilo Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 2012 Direttore di sede operativa 4,2 5,1 1,7 0,0 0,0 1,7 3,4 7,9 16,0 Direttore di funzione 0,9 0,6 1,7 0,0 0,0 0,9 1,7 0,0 0,0 Direttore generale 0,6 0,6 0,6 0,0 0,0 0,0 0,4 1,2 4,0 Formatore 54,5 57,5 45,7 0,0 69,0 59,1 51,3 48,5 64,0 Formatore coordinatore 11,3 12.0 9,1 0,0 6,9 11,3 11,5 13,3 0,0 Formatore orientatore 2,2 1,6 4,0 0,0 0,0 1,7 3,0 2,4 0,0 Formatore Tutor 13,3 13,8 12,0 0,0 13,8 14,3 13,2 12,7 8,0 Progettista 2,0 2,2 1,7 0,0 0,0 1,3 2,1 3,6 0,0 Responsabile dei processi 2,6 2,8 2,3 0,0 0,0 1,7 3,0 3,6 4,0 Collaboratore amministrativo 2,5 0,4 8,6 0,0 0,0 2,6 4,3 0,6 0,0 Responsabile Amm.- organ. 2,9 1,6 6,9 0,0 0,0 2,2 3,0 4,2 4,0 Op. tecnico ausiliario 0,1 0,2 0,0 0,0 3,4 0,0 0,0 0,0 0,0 Op. tecnico della logistica 0,1 0,2 0,0 0,0 0,0 0,4 0,0 0,0 0,0 Op. di segreteria 1,6 0,4 5,1 0,0 3,4 1,7 1,7 1,2 0,0 Tecnico dei servizi 1,0 1,2 0,6 0,0 3,4 0,9 1,3 0,6 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****683 508 175 0 29 230 234 165 25 Totale*** 100,0 74,3 25,7 0,0 4,2 33,7 34,3 24,1 3,7 116 Segue Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione ( g ) Profilo Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 2013 Direttore di sede operativa 4,3 4,8 2,7 0,0 0,0 1,8 3,3 7,9 12,5 Direttore di funzione 0,3 0,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,4 0,5 0,0 Direttore generale 0,5 0,6 0,5 0,0 0,0 0,0 0,8 1,0 0,0 Formatore 58,8 60,3 54,5 100,0 81,1 63,6 56,1 50,8 65,6 Formatore coordinatore 10,9 11,5 9,1 0,0 5,4 10,5 11,7 13,1 0,0 Formatore orientatore 2,7 1,5 6,4 0,0 0,0 1,3 4,2 3,7 0,0 Formatore Tutor 14,6 14,0 16,0 0,0 10,8 17,5 13,0 13,6 15,6 Progettista 1,6 1,7 1,6 0,0 0,0 1,3 2,5 1,6 0,0 Responsabile dei processi 2,5 2,6 2,1 0,0 0,0 1,3 2,5 3,7 6,3 Collaboratore amministrativo 1,1 0,7 2,1 0,0 0,0 0,9 2,5 0,0 0,0 Responsabile Amm.- organ. 1,2 0,6 3,2 0,0 0,0 0,0 1,7 2,6 0,0 Op. tecnico ausiliario 0,1 0,2 0,1 0,0 2,7 0,0 0,0 0,0 0,0 Op. tecnico della logistica 0,1 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,5 0,0 Op. di segreteria 0,5 0,2 1,6 0,0 0,0 0,9 0,4 0,5 0,0 Tecnico dei servizi 0,7 0,9 0,0 0,0 0,0 0,9 0,8 0,5 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****728 541 187 1 37 228 239 191 32 Totale*** 100,0 74,3 25,7 0,1 5,1 31,3 32,8 26,2 4,4 117 L’incrocio con il sesso, evidenzia nell’area funzionale della direzione una leggera sotto-rappresentazione delle donne riguardo alla partecipazione alla For - mazione in servizio dei direttori di sede operativa e la loro assenza tra i direttori di funzione nel 2013 (nel 2012 si ha una loro modesta sovra-rappresentazione). Nell’area della erogazione si registra una sotto-rappresentazione delle donne nella frequenza all’aggiornamento tra i formatori e una loro leggera sovra-rappresentazione tra gli orientatori. L’area dell’amministrazione vede crescere rispetto al totale la percentuale delle donne e diminuire quella degli uomini soprattutto nel 2013. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, si osserva una sovra-rappresentazione delle donne nella partecipazione alla Formazione in servizio degli operatori di segreteria in particolare nel 2012 e la loro assenza o quasi tra gli operatori tecnici ausiliari e tra i tecnici dei servizi. In sintesi, non si osservano disparità considerevoli tra i sessi, ma si potrebbero ridurre le differenze ancora esistenti. A sua volta l’età pone in risalto un tendenziale andamento in crescita con il suo aumento nell’area della direzione, soprattutto tra i direttori di sede operativa, ma non così chiara tra i direttori di funzione e generali. Nell’area dell’erogazione la partecipazione decresce stranamente dalle coorti più giovani a quelle più anziane tranne fra i meno 20 che sono assenti e i più 60 che sono sovra-rappresentati; solo tra i coordinatori, gli orientatori e i responsabili dei processi si nota un andamento tendenziale alla crescita con l’aumento dell’età. L’area dell’amministrazione mette in evidenza un aumento con l’età tra i 31 e i 60. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, si osserva nel 2012 una diminuzione con l’età e nel 2013 una sovra-rappresentazione nel gruppo di età 31-40. Comunque, tendono ad essere centrali i gruppi di età 31-60, mentre i meno sono giustamente assenti, i 20- 30 sono sovra-rappresentati tra i formatori e i tutor, non molto spiegabilmente, e i più anziani (oltre 60) sembrano piuttosto abbandonati a se stessi. Quanto poi all’incrocio tra frequenza alle attività di aggiornamento e la circoscrizione geografica, la partecipazione dei profili dell’area funzionale della direzione mostra che nella maggioranza dei casi le percentuali si collocano sul totale; le eccezioni riguardano il direttore di sede operativa che è leggermente sotto-rappresentato al Sud (solo nel 2012), il direttore di funzione che è leggermente sovrarappresentato al Centro e assente al Sud (unicamente nel 2013) e il direttore generale che è leggermente sovra-rappresentato al Nord Est e assente al Nord Ovest (in entrambi i casi solo nel 2013, cfr. Tav. 40). Nell’area funzionale della erogazione la situazione è piuttosto variegata: la frequenza dei formatori cresce al Centro e al Sud; quella dei coordinatori cresce al Nord Est e diminuisce al Sud e leggermente al Nord Ovest; quella degli orientatori sale lievemente al Centro e si abbassa leggermente al Sud e al Nord Ovest (solo nel 2013); quella dei tutor aumenta al Nord Ovest e si riduce al Nord Est e al Sud; quella dei progettisti cresce in misura modesta al Centro e al Sud e scende in altrettanta misura al Nord Est (solo nel 2013); il responsabile dei processi aumenta leggermente al Sud, si riduce al Nord Est (solo 118 Tav. 40 – Partecipazione alla Formazione in servizio per profilo, incrociato con la circoscrizione geografica e lo stato ecclesiale (anni 2012 e 2013; in % e VA) ( Continua) Profilo Totale Stato Ecclesiale Circoscrizione Geografica Salesiano Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 Direttore di sede operativa 4,2 26,1 3,5 3,6 5,7 4,8 1,1 Direttore di funzione 0,9 0,0 0,9 0,4 0,0 3,8 1,1 Direttore generale 0,6 4,3 0,5 0,9 0,4 1,0 0,0 Formatore 54,5 39,1 55,0 56,1 49,8 47,6 71,7 Formatore coordinatore 11,3 8,7 11,4 17,5 9,1 9,5 4,3 Formatore orientatore 2,2 4,3 2,1 1,8 2,3 3,8 1,1 Formatore Tutor 13,3 13,0 13,3 8,5 20,5 13,3 4,3 Progettista 2,0 0,0 2,1 1,3 1,1 4,8 3,3 Responsabile dei processi 2,6 4,3 2,6 1,3 3,0 1,9 5,4 Collaboratore amministrativo 2,5 0,0 2,6 3,1 2,3 2,9 1,1 Responsabile Amm. organ. 2,9 0,0 3,0 3,1 1,9 5,7 2,2 Op. tecnico ausiliario 0,1 0,0 0,2 0,0 0,4 0,0 0,0 Op. tecnico della logistica 0,1 0,0 0,2 0,0 0,4 0,0 0,0 Op. di segreteria 1,6 0,0 1,7 0,9 2,3 1,0 2,2 Tecnico dei servizi 1,0 0,0 1,1 1,3 0,8 0,0 2,2 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****683 23 660 223 263 105 92 Totale*** 100,0 3,4 96,6 32,6 38,5 15,4 13,5 119 (Segue) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione Profilo Totale Stato Ecclesiale Circoscrizione Geografica Salesiano Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2013 Direttore di sede operativa 4,3 29,6 3,3 3,8 4,1 4,4 5,6 Direttore di funzione 0,3 0,0 0,3 0,5 0,0 0,9 0,0 Direttore generale 0,5 7,4 0,3 1,6 0,0 0,9 0,0 Formatore 58,8 33,3 59,8 57,6 56,7 61,1 66,3 Formatore coordinatore 10,9 7,4 11,0 20,7 7,6 8,8 5,6 Formatore orientatore 2,7 3,7 2,7 1,6 3,2 4,4 1,1 Formatore Tutor 14,6 14,8 14,6 4,3 22,2 14,2 6,7 Progettista 1,6 0,0 1,7 1,1 1,2 3,5 2,2 Responsabile dei processi 2,5 3,7 2,4 1,6 2,9 0,0 5,6 Collaboratore amministrativo 1,1 0,0 1,1 2,2 0,6 0,9 1,1 Responsabile Amm. organ. 1,2 0,0 1,3 3,3 0,0 0,9 2,2 Op. tecnico ausiliario 0,1 0,0 0,1 0,0 0,3 0,0 0,0 Op. tecnico della logistica 0,1 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0 1,1 Op. di segreteria 0,5 0,0 0,6 0,5 0,6 0,0 1,1 Tecnico dei servizi 0,7 0,0 0,7 1,1 0,6 0,0 1,1 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****728 27 701 184 342 113 89 Totale*** 100,0 3,7 96,3 25,3 47,0 15,5 12,2 120 nel 2013) e diminuisce (2012) o è assente (2013) al Centro. La partecipazione dei profili dell’area funzionale dell’amministrazione si situa nella maggioranza dei casi sui dati del totale tranne quella del collaboratore amministrativo che aumenta nel Nord Est (2013) e diminuisce nel Sud (2012) e del responsabile amministrativoorganizzativo che aumenta leggermente nel Nord Est (2013) e nel Centro (2012) e diminuisce (2012) o è assente (2013) nel Nord Ovest. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto la frequenza all’aggiornamento risulta: prevalentemente assente tra gli operatori tecnici ausiliari (eccetto che nel Nord Ovest) e tra gli operatori tecnici della logistica (tranne che nel Nord Ovest nel 2012 e nel Sud nel 2013); sui dati del totale tra gli operatori di segreteria e i tecnici dei servizi tranne nel primo caso in cui la partecipazione è assente al Centro (2013) e nel secondo in cui la frequenza cresce leggermente al Sud. Come osservazione generale si può dire che è principalmente la partecipazione nell’area funzionale dell’erogazione che richiede interventi di riequilibrio piuttosto generalizzati nelle varie circoscrizioni rispetto al totale. Se si passa all’incrocio tra la partecipazione alla formazione in base al profilo e lo stato ecclesiale emerge, come negli altri casi, che i dati relativi ai laici si collocano generalmente su quelli del totale. Quanto ai Salesiani, la frequenza alle attività di aggiornamento dei profili dell’area funzionale della direzione è sovra-rappresentata tra di loro tranne il caso della partecipazione dei direttori di funzione che è assente; nell’area funzionale dell’erogazione la frequenza degli orientatori e dei responsabili dei processi cresce tra i Salesiani, mentre diminuisce quella dei formatori e dei coordinatori, quella dei progettisti è assente (ma non ci sono Salesiani progettisti) e quella dei tutor risulta sul totale; da ultimo la partecipazione dei profili delle aree funzionali dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto è assente tra i Salesiani anche perché questi ultimi sono presenti solo tra i responsabili amministrativo-organizzativi e gli operatori tecnici ausiliari. In conclusione, l’unico suggerimento che si può dare è quello di riequilibrare un poco la partecipazione dei vari profili tra i Salesiani. L’incrocio della partecipazione alla Formazione in servizio tra il profilo e il tipo di contratto evidenzia come negli altri casi che i dati relativi al tempo indeterminato si collocano generalmente su quelli del totale (cfr. Tav. 41). Quanto al tempo determinato, si registra l’assenza dei profili dell’area funzionale della direzione dalla frequenza all’aggiornamento tranne nel caso dei direttori di sede operativa nel 2013 che sono tuttavia sotto-rappresentati. L’area dell’erogazione vede la sovrarappresentazione dei formatori e dei progettisti, la sotto-rappresentazione dei coordinatori e dei tutor e l’assenza dei responsabili dei processi (che però non hanno contratti a tempo determinato), mentre la partecipazione degli orientatori è sui dati del totale. La partecipazione dei profili dell’area dell’amministrazione manca nel tempo determinato. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, la partecipazione degli operatori tecnico-ausiliari, degli operatori di segreteria (2012) e dei tecnici dei servizi è leggermente sovra-rappresentata 121 Tav. 41 – Partecipazione alla Formazione in servizio per profilo, incrociato con il titolo di studio e il tipo di contratto (anni 2012 e 2013; in % e VA) ( Continua) Profilo Totale Tipo di Contratto Titolo di Studio***** Tempo Indeterminato Tempo Determinato Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2012 Direttore di sede operativa 4,2 4,4 0,0 3,9 4,9 0,0 0,0 0,0 0,0 Direttore di funzione 0,9 0,9 0,0 1,2 0,8 0,0 0,0 0,0 0,0 Direttore generale 0,6 0,6 0,0 1,2 0,3 0,0 0,0 0,0 0,0 Formatore 54,5 54,5 61,9 52,3 55,6 47,6 60,0 0,0 0,0 Formatore coordinatore 11,3 11,5 4,8 12,9 10,8 4,8 20,0 0,0 0,0 Formatore orientatore 2,2 2,1 4,8 4,3 0,8 0,0 0,0 0,0 33,3 Formatore Tutor 13,3 13,6 4,8 14,1 13,1 14,3 20,0 0,0 0,0 Progettista 2,0 2,0 4,8 1,6 2,3 0,0 0,0 0,0 33,3 Responsabile dei processi 2,6 2,7 0,0 3,5 2,1 0,0 0,0 0,0 33,3 Collaboratore amministrativo 2,5 2,6 0,0 1,2 2,6 19,0 0,0 0,0 0,0 Responsabile Amm.- organ. 2,9 3,0 0,0 2,0 3,6 4,8 0,0 0,0 0,0 Op. tecnico ausiliario 0,1 0,0 4,8 0,0 0,3 0,0 0,0 0,0 0,0 Op. tecnico della logistica 0,1 0,2 0,0 0,0 0,0 4,8 0,0 0,0 0,0 Op. di segreteria 1,6 1,5 4,8 0,8 2,1 4,8 0,0 0,0 0,0 Tecnico dei servizi 1,0 0,8 9,5 1,2 1,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****683 660 23 256 390 21 5 0 3 Totale*** 100,0 96,6 3,4 37,9 57,8 3,1 0,7 0,0 0,4 122 (Segue) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è 683 nel 2012 e 728 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione; *****Il totale è 675 nel 2012 e 717 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori ( g ) Profilo Totale Tipo di Contratto Titolo di Studio***** Tempo Indeterminato Tempo Determinato Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2013 Direttore di sede operativa 4,3 4,3 2,9 4,8 4,1 0,0 0,0 0,0 0,0 Direttore di funzione 0,3 0,3 0,0 0,7 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Direttore generale 0,5 0,6 0,0 1,1 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Formatore 58,8 57,8 79,4 55,7 55,9 72,2 58,3 0,0 0,0 Formatore coordinatore 10,9 11,2 2,9 11,7 10,9 5,6 8,3 0,0 0,0 Formatore orientatore 2,7 2,7 2,9 5,5 1,0 0,0 0,0 0,0 33,3 Formatore Tutor 14,6 15,1 2,9 15,0 14,4 11,1 33,3 0,0 0,0 Progettista 1,6 1,6 2,9 1,1 1,9 0,0 0,0 0,0 33,3 Responsabile dei processi 2,5 2,6 0,0 2,2 2,7 0,0 0,0 0,0 33,3 Collaboratore amministrativo 1,1 1,2 0,0 1,1 1,0 5,6 0,0 0,0 0,0 Responsabile Amm.- organ. 1,2 1,3 0,0 0,7 1,7 0,0 0,0 0,0 0,0 Op. tecnico ausiliario 0,1 0,0 2,9 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Op. tecnico della logistica 0,1 0,1 0,0 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Op. di segreteria 0,5 0,6 0,0 0,4 0,5 5,6 0,0 0,0 0,0 Tecnico dei servizi 0,7 0,6 2,9 0,0 1,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****728 694 34 273 411 18 12 0 3 Totale*** 100,0 95,3 4,7 38,1 57,3 2,5 1,7 0,0 0,4 123 sempre nel tempo determinato, mentre manca quella degli operatori tecnici della logistica. In conclusione, si può raccomandare che la partecipazione al tempo determinato vada riequilibrata nell’area funzionale dell’erogazione e avviata nell’area funzionale dell’amministrazione. Se si fa riferimento all’incrocio tra i profili e i titoli di studio, la partecipazione alla Formazione in servizio è limitata nell’area funzionale della direzione ai laureati e ai diplomati anche perché tali figure mancano nel resto dei titoli e le percentuali si collocano generalmente sui dati del totale (cfr. Tav. 41). Nell’area funzionale dell’erogazione emerge che: la frequenza di orientatori, progettisti e responsabili dei processi si concentra tra i laureati, i diplomati e i possessori di titoli altri ed è assente nel restante dei casi – anche perché tali profili non si riscontrano tra questi titoli – e le percentuali si situano sui dati del totale; la partecipazione dei formatori diminuisce tra i laureati e tra i diplomati (solo nel 2013 ed è sul totale nel 2012), cresce tra i qualificati (solo nel 2013, ma scende nel 2012), sale tra i licenziati della media (solo nel 2012, ma è sul totale nel 2013) ed è assente nel restante dei titoli dove comunque mancano tali operatori; la frequenza dei coordinatori si colloca sul totale tra laureati, diplomati e qualificati, mentre cresce tra i licenziati della media (solo nel 2012 e nel 2013 è sul totale) ed è assente nel restante dei titoli tra cui comunque non si trovano tali operatori; la frequenza dei formatori tutor si situa sul totale tra laureati e diplomati, sale tra i licenziati della media, diminuisce tra i qualificati (solo nel 2013, ma è sul totale nel 2012) ed è assente nel restante dei titoli dove comunque tali operatori non si riscontrano. Nell’area funzionale dell’amministrazione la partecipazione dei collaboratori amministrativi e dei responsabili amministrativo- organizzativi diminuisce tra i laureati e i diplomati (nel 2012, ma è sul totale nel 2013), si colloca sul totale tra i diplomati, cresce tra i qualificati (tranne quella dei responsabili amministrativo-organizzativi che è assente nel 2013) ed è assente nel restante dei titoli dove comunque tali operatori generalmente non si riscontrano. Nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, la partecipazione dell’operatore di segreteria è sovra-rappresentata tra i qualificati e sul totale (2013) e sotto-rappresentata (2012) tra laureati e diplomati, quella dell’operatore tecnico-ausiliare si situa sul totale tra i diplomati, quella dell’operatore tecnico della logistica è sovra-rappresentata tra i qualificati (solo 2012) e si colloca sul totale tra i diplomati (solo nel 2013) e quella del tecnico dei servizi si colloca sul totale tra i diplomati e tra i laureati (solo 2012): certamente questa è l’area dei profili che richiede maggiori interventi di riequilibrio insieme con quella della erogazione, anche se in questo caso parzialmente. Come si è osservato all’inizio, dopo aver esaminato la partecipazione degli operatori del CNOS-FAP alla Formazione in servizio in base alle loro caratteristiche socio-demografiche, si dedicherà l’ultima parte di questa sezione ad un’analisi secondo il tipo delle attività offerte dalla Sede Nazionale dell’Ente. Anzitutto, va evidenziato che il totale di quanti hanno frequentato i vari tipi di offerta è superiore a quello degli operatori che vi hanno partecipato perché alcuni di questi hanno preso parte a più di un tipo e precisamente 887 rispetto a 631 nel 2012 e 924 in confronto a 677 nel 2013 e la differenza è di circa il 40% (40,6% nel primo caso e 36,5% nel secondo), un primo segnale del successo delle iniziative in generale (cfr. Tav. 42). Nella stessa direzione sembra andare anche il dato della crescita che si registra tra i due anni che è in valore assoluti di 37 presenze in più e del 4,2% in percentuale. La distribuzione della frequenza tra le varie attività registra una sostanziale convergenza tra i due anni: la maggioranza assoluta va ai corsi regionali (che corrispondono alla dizione di corsi residenziali regionali/locali, utilizzata nel questionario dei Delegati, Direttori e Segretari dei Settori che verrà commentato nel capitolo successivo) che nel biennio crescono leggermente dal 50,2% (327) nel 2012 al 53,5% (494); intorno a un quarto/un quinto si collocano i corsi nazionali (che corrispondono alla dizione corsi residenziali nazionali – area delle competenze tecnico-professionali e corsi residenziali nazionali – area delle competenze di base) che sono sostanzialmente stabili a livello percentuale, 23,4% o 208 e 23,9% o 221 e i seminari dei settori professionali (che corrispondono alla dizione seminari tecnici per i formatori del questionario dei Delegati, Direttori e Segretari dei Settori) che segnano una leggera diminuzione percentuale e in valori assoluti dal 19,7%, o 175, al 17,7%, o 164); le altre tre offerte si collocano al disotto del 5% (i seminari per il personale direttivo che restano stabili a livello percentuale, 4,1%, o 36, e 4,1%, o 38; i seminari tematici legati ad eventi esterni che diminuiscono in percentuale e in valori assoluti dal 2,1%, o 19, allo 0,5%, o 5; i corsi FAD che scendono in percentuale e in valori assoluti, ambedue minimi, dallo 0,5%, o 4, allo 0,2%, o 2). A un primo esame, ma ritorneremo poi sull’argomento nel commento ai focus group, l’ossatura della Formazione in servizio del CNOS-FAP è costituita primariamente dai corsi regionali e poi da quelli nazionali e dai seminari dei settori; preoccupa la presenza totalmente marginale della FAD in un mondo dominato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’incrocio del tipo di attività di Formazione in servizio con il sesso mette in evidenza un’ulteriore leggera crescita della frequenza degli uomini rispetto alle donne in paragone con il totale dei partecipanti contati una volta sola che aveva già visto un aumento percentuale da due terzi circa a tre quarti quasi in relazione alla distribuzione per sesso del totale degli operatori (cfr. sopra Tav. 23). L’articolazione delle attività tra gli uomini riflette sostanzialmente i dati del totale. Se si passa a quella delle donne, si registra una sovra-rappresentazione dei corsi regionali, una sotto-rappresentazione tra i corsi nazionali, nei seminari dei settori professionali (solo nel 2013) e nei seminari del personale direttivo (unicamente nel 2012), mentre sono assenti dai seminari tematici. Anche in questo caso la conclusione che si può trarre è quella di un riequilibrio della partecipazione a favore delle donne soprattutto quanto ai corsi nazionali e ai seminari dei settori professionali. 124 125 Tav. 42 – Partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di attività, incrociato con il sesso e l’età (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è superiore al numero degli operatori che hanno partecipato alla Formazione in servizio perché alcuni hanno preso parte a più di un tipo di attività Se ci si riferisce all’età, va notata anzitutto una sostanziale coincidenza della distribuzione per classi di età tra il totale degli operatori del CNOS-FAP, il totale di quanti partecipano alla Formazione in servizio contati una volta sola e il totale di quanti hanno frequentato i vari tipi di attività, contati per ogni tipo (cfr. Tav. 42). La partecipazione ai corsi regionali vede una modesta crescita nelle coorti più anziane (51-oltre 60) che si giustifica per l’obsolescenza delle conoscenze e delle competenze e che per la medesima ragione si giustificherebbe anche per la coorte intermedia (41-50) dove, invece, si osserva una leggera diminuzione. Riguardo ai corsi nazionali si nota una sovra-rappresentazione delle classi più giovani (20-40) e una sotto-rappresentazione di quella più anziane (50-oltre 60) che forse si spiega per le tematiche trattate in questi corsi che hanno una funzione maggiormente di socializ- Tipo di Attività Totale Sesso Età M F <20 20-30 31-40 41-50 51-60 >60 2012 Seminario settori professionali 19,7 19,8 19,4 0,0 15,4 20,7 21,7 16,1 18,5 Seminario direttori 4,1 4,7 1,9 0,0 0,0 1,6 3,5 8,0 14,8 Seminario tematico 2,1 2,8 0,0 0,0 5,1 1,3 3,5 1,0 0,0 Corso nazionale 23,4 24,2 20,9 0,0 28,2 27,0 25,2 15,6 14,8 Corso regionale 50,2 48,0 57,3 0,0 48,7 49,0 45,9 58,8 51,9 FAD 0,5 0,4 0,5 0,0 2,6 0,3 0,3 0,5 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****887 681 206 0 39 304 318 199 27 Totale*** 100,0 76,8 23,2 0,0 4,4 34,3 35,8 22,4 3,0 2013 Seminario settori professionali 17,7 19,1 13,2 0,0 17,6 18,1 20,5% 13,8 16,7 Seminario direttori 4,1 4,3 3,7 0,0 0,0 1,6 3,3% 8,4 13,3 Seminario tematico 0,5 0,7 0,0 0,0 2,0 1,0 0,3% 0,0 0,0 Corso nazionale 23,9 24,5 21,9 50,0 25,5 25,9 25,4 21,3 3,3 Corso regionale 53,5 51,2 60,7 50,0 54,9 52,8 50,5 56,4 66,7 FAD 0,2 0,1 0,5 0,0 0,0 0,6 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****924 705 219 2 51 309 307 225 30 Totale*** 100,0 76,3 23,7 0,2 5,5 33,4 33,2 24,4 3,2 zazione al progetto dell’Ente a cui le generazioni più anziane sono state già ampiamente introdotte. I seminari dei settori professionali evidenziano una sostanziale stabilità sui dati del totale nelle coorti più giovani (20-40), una leggera crescita in quella intermedia (41-50) e una modesta diminuzione in quelle più anziane, soprattutto tra i 51-60. Nei seminari per i direttori si registra, come era da aspettarsi per la loro età, una sovra-rappresentazione delle classi di età più anziane (51-oltre 60), nei seminari tematici legati ad eventi esterni tendono a prevalere i più giovani (20-40), probabilmente più disponibili e interessati, come anche nei corsi FAD data la maggiore conoscenza e competenze nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte delle generazioni più giovani. L’incrocio del tipo di attività di Formazione in servizio con la circoscrizione geografica mette in evidenza tra il 2012 e il 2013 una crescita della partecipazione degli operatori contati per ogni tipo di attività nel Nord Ovest e leggera al Centro e una diminuzione al Nord Est e modesta al Sud, mentre nei confronti del totale dei partecipanti contati una sola volta, nel 2012 cresce il Nord Est e diminuisce il Sud e leggermente il Nord Ovest e nel 2013 aumenta leggermente il Nord Ovest e il Centro e scende il Sud (cfr. Tav. 43). In altre parole, l’andamento che sembra più chiaro nel biennio pare quello di una diminuzione della partecipazione del Sud rispetto alla sua presenza nel totale dei partecipanti. Venendo ai singoli tipi di attività, nel Nord Est risulta sovra-rappresentata la partecipazione ai corsi regionali e leggermente sotto-rappresentata quella ai corsi nazionali e ai seminari dei settori professionali per cui parrebbe consigliabile un riequilibrio; nel Nord Ovest le percentuali tendono a collocarsi sul totale soprattutto nel 2013; un andamento simile si riscontra al Centro tranne che per la frequenza dei corsi nazionali che diminuisce rispetto al totale e quella dei seminari per direttori che risulta in crescita; il Sud vede una sovra-rappresentazione dei corsi nazionali e dei seminari dei settori professionali e una sotto-rappresentazione dei corsi regionali, ma il trend dipende dalle difficoltà di organizzare questi ultimi per l’insufficiente supporto degli assessorati competenti. Se si fa riferimento allo stato ecclesiale, si nota una leggera diminuzione delle percentuali dei Salesiani, passando dal totale degli operatori a quello dei partecipanti alla Formazione in servizio contati una sola volta, a quello dei partecipanti calcolati tante volte quanti i tipi di attività frequentati: sarebbe opportuno che vi prendessero parte secondo la loro presenza nel totale perché hanno bisogno di aggiornamento anche più dei laici, occupando posizioni direttive in misura notevolmente più consistente (cfr. Tav. 43). La partecipazione dei laici ai vari tipi di attività si colloca in ambedue gli anni sui dati del totale, mentre quella dei Salesiani è sotto-rappresentata nei corsi nazionali, nei seminari dei settori professionali e nei corsi regionali (solo nel 2013) e sovra-rappresentata nei seminari per i direttori e certamente questo andamento va riequilibrato per mantenere le proprie conoscenze e competenze a un livello comparabile con i laici. 126 127 Tav. 43 – Partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di attività, incrociato con lo stato ecclesiale e la circoscrizione geografica (anni 2012 e 2013; in % e VA) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è superiore al numero degli operatori che hanno partecipato alla Formazione in servizio perché alcuni hanno preso parte a più di un tipo di attività L’incrocio della partecipazione alle differenti iniziative di Formazione in servizio con i tipi di contratto vede una sostanziale coincidenza delle percentuali riguardo alla frequenza degli operatori sia contati una volta sola o più volte secondo il tipo di attività, sia tra gli anni 2012 e 2013; al contrario si notano diversità tra gli operatori che partecipano ai vari tipi di formazione e gli operatori in generale dell’Ente nel senso che tra i primi cresce la presenza dei contratti a tempo indeterminato e diminuisce quella dei contratti a tempo determinato che si riduce a percentuali inferiori al 5% (cfr. Tav. 44). Come al solito, l’articolazione delle varie offerte di aggiornamento con il tempo indeterminato si pone sui dati del totale. La distribuzione in base al tempo determinato mette in risalto una crescita della partecipazione nei seminari dei settori professionali e una diminuzione nei corsi regionali e nazio- Tipo di Attività Totale Stato Ecclesiale Circoscrizione Geografica Salesiano Laico Nord Est Nord Ovest Centro Sud 2012 Seminario settori professionali 19,7 12,0 20,0 11,8 22,4 21,4 28,6 Seminario direttori 4,1 28,0 3,4 3,1 4,9 7,1 0,8 Seminario tematico 2,1 0,0 2,2 0,7 1,7 1,6 7,1 Corso nazionale 23,4 8,0 23,9 19,2 26,7 19,8 27,8 Corso regionale 50,2 52,0 50,1 65,2 43,4 49,2 35,7 FAD 0,5 0,0 0,5 0,0 0,9 0,8 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****887 25 862 287 348 126 1256 Totale*** 100,0 2,8 97,2 32,4 39,2 14,2 14,2 2013 Seminario settori professionali 17,7 13,8 17,9 14,8 18,2 16,9 23,4 Seminario direttori 4,1 27,6 3,4 3,9 3,8 5,6 3,6 Seminario tematico 0,5 0,0 0,6 0,0 0,2 0,6 2,7 Corso nazionale 23,9 10,3 24,4 20,4 23,9 21,9 34,2 Corso regionale 53,5 44,8 53,7 60,9 53,7 54,4 36,0 FAD 0,2 3,4 0,1 0,0 0,2 0,6 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****924 29 895 230 423 160 111 Totale*** 100,0 3,1 96,9 24,9 45,8 17,3 12,0 128 Tav. 44 – Partecipazione alla Formazione in servizio per tipo di attività, incrociato con il titolo di studio, il tipo di contratto e il profilo (anni 2012 e 2013; in % e VA) ( Continua) Tipo di Attività Totale Tipo di contratto Titolo di Studio****** Tempo Indeterminato Tempo Determinato Laurea Diploma Qualifica Professionale Licenza Media Licenza Elementare Altro 2012 Seminario settori professionali 19,7 19,5 26,9 20,2 19,0 16,7 33,3 0,0 66,7 Seminario direttori 4,1 4,2 0,0 4,3 4,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Seminario tematico 2,1 2,2 0,0 0,6 3,3 0,0 0,0 0,0 0,0 Corso nazionale 23,4 23,7 15,4 23,0 22,7 16,7 44,4 0,0 33,3 Corso regionale 50,2 49,9 57,7 51,2 50,4 66,7 22,2 0,0 0,0 FAD 0,5 0,5 0,0 0,6 0,4 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****887 861 26 322 520 24 9 0 3 Totale*** 100,0 97,1 2,9 36,7 59,2 2,8 1,0 0,0 0,3 2013 Seminario settori professionali 17,7 17,6 20,5 15,9 18,6 9,5 18,8 0,0 50,0 Seminario direttori 4,1 4,2 2,3 5,2 3,7 0,0 0,0 0,0 0,0 Seminario tematico 0,5 0,6 0,0 0,3 0,7 0,0 0,0 0,0 0,0 Corso nazionale 23,9 24,1 20,5 23,5 23,7 19,0 25,0 0,0 0,0 Corso regionale 53,5 53,4 54,5 54,9 53,1 71,4 56,3 0,0 50,0 FAD 0,2 0,1 2,3 0,3 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale* 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale** ****924 880 44 328 544 21 16 911--0 2 Totale*** 100,0 95,2 4,8 36,0 59,7 2,3 1,8 0,0 0,2 129 (Segue) Legenda: VA=Valore Assoluto; *% di colonna; **VA di riga; ***% di riga; ****Il totale è superiore al numero degli operatori che hanno partecipato alla Formazione in servizio perché alcuni hanno preso parte a più di un tipo di attività; *****Il totale è 878 nel 2012 e 911 nel 2013 a causa della presenza nell’archivio di campi non obbligatori; ****** Il totale è 973 nel 2012 e 1007 nel 2013 perché alcuni dipendenti svolgono più di una mansione - 1. Collaboratore amministrativo, 2. Direttore di funzione, 3. Direttore di sede operativa, 4. Direttore generale, 5. Formatore, 6. Form. coordinatore, 7. Form. orientatore, 8. Form. tutor, 9. Operatore di Segreteria, 10. Op. Tecnico Ausiliario, 11. Op. Tecnico della logistica, 12. Progettista, 13. Resp. Ammin. Organizzativo, 14. Responsabile dei processi, 15. Tecnico dei servizi Profilo****** 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 2012 11,1 0,0 0,0 0,0 19,4 22,3 37,5 25,2 8,3 0,0 0,0 41,7 0,0 29,6 36,4 0,0 0,0 80,6 75,0 0,2 3,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 7,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0% 2,6 3,1 0,0 2,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 3,7 0,0 5,6 0,0 0,0 0,0 26,9 23,8 33,3 22,0 16,7 0,0 0,0 29,2 0,0 22,2 36,4 83,3 100,0 19,4 25,0 50,9 47,7 29,2 48,0 75,0 100,0 100,0 25,0 100,0 37,0 27,3 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 2,4 0,0 0,0 0,0 4,2% 0,0 0,0 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 18 6 36 4 532 130 24 127 12 1 1 24 20 27 11 1,8 0,6 3,7 0,4 54,7 13,4 2,5 13,0 1,2 0,1 0,1 2,5 2,0 2,8 1,1 2013 11,1 50,0 4,9 0,0 15,3 25,8 29,4 21,7 40,0 0,0 0,0 38,9 25,0 33,3 28,6 0,0 0,0 70,7 100,0 0,0 4,2 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 8,3 7,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,7 0,8 0,0 0,7 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 22,2 0,0 7,3 0,0 26,4 21,7 26,5 21,0 20,0 100,0 0,0 33,3 25,0 22,2 28,6 66,7 50,0 17,1 0,0 57,5 47,5 44,1 55,8 40,0 0,0 100,0 27,8 41,7 37,0 42,9 0,0 0,0 0,0 0,0 0,2 0,0 0,0 0,7 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 9 2 41 4 588 120 34 138 5 1 1 18 12 27 7 0,9 0,2 4,1 0,4 58,4 11,9 3,4 13,7 0,5 0,1 0,1 1,8 1,2 2,7 0,7 130 nali: dal momento che i tre andamenti tendono a ridursi nel 2013, non pare necessario suggerire alcun riequilibrio. Se si prende in considerazione l’incrocio della frequenza alle diverse offerte di aggiornamento con il titolo di studio, anzitutto si osserva una fondamentale corrispondenza delle percentuali riguardo alla frequenza degli operatori sia contati una volta sola o più volte secondo il tipo di attività, sia tra gli anni 2012 e 2013, e al tempo stesso si registra una notevole coincidenza tra gli operatori che partecipano ai vari tipi di formazione e gli operatori in generale dell’Ente tranne che per una sovrarappresentazione dei primi tra i diplomati e una sotto-rappresentazione tra i qualificati (cfr. Tav. 44). Venendo ai singoli tipi di attività, la distribuzione tra i laureati e i diplomati si colloca in generale sui dati del totale; quella tra i qualificati evidenzia una sovra-rappresentazione dei corsi regionali e una sotto-rappresentazione dei corsi nazionali e dei seminari dei settori professionali; quella tra i licenziati della media si situa sui dati del totale nel 2013, superando alcune differenze riscontrabili nel 2012; quella fra i titoli altri mette in risalto una crescita dei seminari dei settori professionali e dei corsi nazionali (solo nel 2012, mentre nel 2013 sono assenti), una collocazione sul totale dei corsi regionali (nel 2013, ma mancano nel 2012) e una assenza negli altri casi. Sembra che l’unico andamento chiaro da riequilibrare riguardi i qualificati professionali la cui presenza dovrebbe aumentare nei seminari dei settori professionali e nei corsi nazionali e diminuire nei corsi nazionali. L’incrocio della partecipazione ai vari tipi di Formazione in servizio con i profili vede una sostanziale coincidenza delle percentuali riguardo alla frequenza degli operatori sia contati una volta sola o più volte secondo il tipo di attività, sia tra gli anni 2012 e 2013; al contrario si notano differenze in base ai profili tra gli operatori che partecipano ai vari tipi di formazione e gli operatori in generale dell’Ente nel senso che nel primo caso sono sovra-rappresentate le aree funzionali della direzione e della formazione, mentre sono sotto-rappresentate quelle dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto che, pertanto, vanno riequilibrate (cfr. Tav. 44). Passando, poi, ai singoli tipi di attività, l’area funzionale della direzione vede nell’insieme una sovra-rappresentazione della partecipazione ai seminari dei direttori e una sotto-rappresentazione o assenza negli altri casi. Nell’area funzionale dell’erogazione tendono a crescere i seminari dei settori professionali (tranne tra i formatori che sono sul totale) e i corsi nazionali tra i formatori, i tutor e i progettisti, mentre negli altri casi sono sul totale, e a diminuire i corsi regionali tra i coordinatori, gli orientatori, i progettisti e i responsabili dei processi mentre aumentano tra i formatori e rimangono sul totale negli altri casi. L’area funzionale dell’amministrazione evidenzia andamenti contrastanti tra i due anni in merito ai responsabili amministrativo-organizzativi e per quanto riguardo i collaboratori amministrativi si nota una crescita nei corsi ragionali e una diminuzione nei seminari dei settori professionali. Nell’area della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto le uniche tendenze un poco consolidate riguardano una sovra-rappresentazione dei seminari per i settori professionali e una sotto-rappresentazione 131 dei corsi regionali, relativamente soltanto ai tecnici dei servizi e agli operatori di segreteria che sono gli unici ad avere una consistenza numerica sufficiente. La raccomandazione che si può fare è di riequilibrare la partecipazione alle varie attività secondo i casi, a meno che le diversità non dipendano da situazioni specifiche. 4. CONCLUSIONI Le informazioni raccolte nel database archivio dipendenti del CNOS-FAP sono state elaborate in funzione della struttura stessa dell’archivio informatico. Dato il costante e continuo aggiornamento dell’archivio, le informazioni sono state estratte alla data del 3 novembre 2014. Sono state considerate, in un primo momento le caratteristiche di base dei dipendenti CNOS-FAP; in un secondo momento l’attenzione si è focalizzata sulla partecipazione alla Formazione in servizio, sempre in considerazione delle caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti. Essenzialmente lo studio è consistito in analisi mono e bivariate ottenute attraverso un sistema di query (interrogazioni), rivolte direttamente al sistema che fornisce in risposta esclusivamente il conteggio (in valore assoluto) degli stati delle diverse caratteristiche considerate (le variabili). Le informazioni archiviate nel database sono state trattate esclusivamente a fini statistici e nel rispetto della riservatezza e della tutela della privacy. Essendo l’archivio dipendenti funzionale, in uso da ormai diversi anni e costantemente aggiornato, si è stabilito di non procedere ex novo all’inserimento dati nella forma classica di una matrice di dati (casi per variabili), ossia una tabella che veda sulle righe gli operatori e sulle colonne le diverse caratteristiche degli stessi operatori. Per le stesse ragioni di opportunità, si è ritenuto più utile non procedere alla costruzione di una nuova cornice di inserimento dati, ma i ricercatori hanno collaborato con la Sede Nazionale e, in particolare, con i responsabili del sistema informatico, per ottimizzare il sistema attualmente in uso. Nello specifico, si suggerisce di inserire un filtro per annualità, in modo da poter estrarre le informazioni suddivise per anni solari o formativi e, in merito alla FAD, si consiglia di registrare non soltanto il dato sulle certificazioni effettivamente conseguite, ma di registrare, se tecnicamente possibile, gli accessi e, di conseguenza, gli abbandoni. Si consiglia inoltre, di monitorare periodicamente la composizione socio-demografica dei dipendenti CNOS-FAP, in modo da valutare il quadro complessivo ogni sei-dodici mesi, assumendo come periodi di riferimento momenti significativi per il CNOSFAP, come l’inizio dell’anno formativo. 4.1. La condizione degli operatori del CNOS-FAP La crescita notevole che ha caratterizzato l’evoluzione del personale della FP nel periodo 1996-01 sembra che si sia protratta nel CNOS-FAP fino all’anno formativo 2004-05 (ISFOL 2004: Montedoro, 2006; cfr. Tav. 1): infatti, tra il 1999-00 132 e il 2004-05 gli operatori dell’Ente passano da 1179 a 1812, registrando un incremento di più della metà (53,6%): precisiamo che con la dizione operatori si intendono tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato o determinato, mentre i consulenti sono esclusi dal conteggio. Fra il 2003-04 e il 2006-07 – ma soprattutto nel biennio 2004-05 e 2005-06 – si registra un vero crollo da 1812 a 1266 con una perdita di oltre 40 punti percentuali (46,3%): questo andamento si spiega soprattutto come effetto della chiusura dei Centri in Sardegna e in Abruzzo. Nel periodo successivo (2006-07/2013-14) il numero dei dipendenti senza il personale delle Sedi Regionali e Nazionale si mantiene sostanzialmente stabile e nell’ultimo anno formativo chiude in leggera crescita, +8,8% (rispetto al 2006-07); se ci riferisce al personale comprensivo delle sedi, l’andamento è molto più piatto, ma termina con una crescita del +7% (o del +9% qualora si prendano in considerazione i dati dell’archivio dipendenti alla data del 03.11.145 che però non sono comparabili con gli altri di cui non conosciamo la data). Passiamo a considerare brevemente le articolazioni del totale degli operatori in base alle loro caratteristiche socio-demografiche e a quelle professionali. Incominciamo con il sesso ed emerge chiaramente la collocazione tradizionale dell’offerta formativa del CNOS-FAP nell’ambito della preparazione allo svolgimento dei mestieri tipicamente maschili: infatti, tra gli operatori gli uomini ammontano ai due terzi circa (65,3%) o a 956 unità, mentre i dati delle donne sono 34,7% e 507 rispettivamente. Questo andamento diverge da quello generale del personale della FP che ha visto negli ultimi anni le femmine sorpassare i maschi (53,2% e 46,8%: ISFOL, 2007). Pertanto è auspicabile che il CNOS-FAP cerchi di adeguarsi al trend generale senza però perdere le sue caratteristiche tradizionali. Passando all’età, i dati sembrano confermare sostanzialmente per il CNOSFAP il rallentamento che si è verificato nell’invecchiamento dei formatori nella seconda metà del precedente decennio (ISFOL, 2007). Infatti, la Tavola 5 evidenzia che il 70% circa (69%) degli operatori del nostro Ente si colloca al di sotto dei 50 anni e quasi il 40% (36,3%) ha un’età pari o inferiore ai 40, mentre solo un quarto (25,8%) si situa tra i 51 e i 60 e appena il 5,1% oltre i 60. A livello di circoscrizione geografica, gli operatori del CNOS-FAP si distribuiscono tra una maggioranza relativa nelle Regioni di Nord Ovest (44,2%), più di un quarto al Nord Est (22,1%) e al Sud (21,6%) e intorno al 10% nel Centro (10,6%) (cfr. Tav. 8). Rispetto alla distribuzione degli iscritti alla IeFP nei CFP, le percentuali sono sostanzialmente simili nel Nord Ovest (44,6%) e nel Centro (10,6%), mentre sono alquanto diverse nel Nord Est (32,4%) e nel Sud (12,4%) con il CNOS-FAP che risulta meglio rappresentato nel Meridione e meno nel Nord Est: va tuttavia tenuto presente che il raffronto deve essere preso con molta prudenza 5 Come si è precisato sopra, l’archivio offre soltanto i dati come si trovano al momento dell’accesso e non quelli diversi di momenti precedenti. 133 per le considerevoli differenze tra i termini di paragone, non ultima la collocazione della Sardegna per noi al Centro e per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al Sud Isole (2013, p. 32). Dal punto di vista dello stato ecclesiale, gli operatori si distribuiscono tra il 4,8% (70) di Salesiani e il 95,2% (1393) di laici (cfr. Tav. 11). Già alla fine degli Anni ‘90 il rapporto tra religiosi e laici nei centri della Confap era molto squilibrato a favore dei secondi (7% e 93% rispettivamente) (CSSC, 1999, p. 322); attualmente è ancora di più diminuito, almeno nei CFP salesiani, e certamente sarebbe auspicabile che la Congregazione impegnasse un numero maggiore dei suoi religiosi a servizio della formazione dei giovani degli ambienti popolari che si avviano al lavoro e che rientrano tra i destinatari principali della Società di San Francesco di Sales (Costituzioni della Società di San Francesco di Sales, 2003, art. 27). La percentuale dei laureati (36,9%) tra gli operatori del CNOS-FAP risulta superiore a un terzo e si avvicina al 40% (cfr. Tav. 13): essa però è notevolmente inferiore a quella dei formatori della FP, anche se il 60,7% raggiunto in proposito nel 2006, appare un poco sospetto dato che nel 2004 si era al 39,9% (ISFOL, 2007). I diplomati sono oltre la metà (53,5%) e la loro consistenza si colloca al di sopra del dato nazionale in misura considerevole (35,8%). Risultano ormai marginali le quote dei qualificati (4,5%), dei licenziati della media (4,1%) e soprattutto di quelli delle elementari (0,3%) e l’andamento è in linea con il trend nazionale; i titoli altri di cui è in possesso lo 0,6% riguardano i master, le scuole di specializzazione e simili. La raccomandazione che si può fare è di aumentare la presenza dei laureati in rapporto ai diplomati. Per quanto riguarda il tipo di contratto, gli operatori del CNOS-FAP si distribuiscono tra l’87,0% a tempo indeterminato e il 13,0% a tempo indeterminato. Tale rapporto rispecchia sostanzialmente quello esistente a livello nazionale tra gli oc - cupati in genere che nel 2013 era 86,8% rispetto al 13,2% (Censis, 2014, p. 187) (cfr. Tav. 16). Passando da ultimo a considerare gli incroci dei profili con le altre variabili socio-demografiche, va anzitutto evidenziato che essi raggiungono la cifra di 1546 che è superiore a quella degli operatori del CNOS-FAP perché alcuni di questi svolgono più funzioni (cfr. Tav. 19). La maggioranza assoluta è costituita dai semplici formatori (807 o 52,2%) a cui si aggiungono quelli che svolgono funzioni intermedie come i tutor (192 o 12,4%), i coordinatori (110 o 7,1%), gli orientatori (36 o 2,3%) e, per noi, anche i progettisti (18 o 1,2%) e i responsabili dei processi (27 o 1,7%) che rimangono sostanzialmente dei formatori: in tutto si tratta di 1190 profili (76,9%). L’area funzionale della direzione ne comprende 65 (4,2%) e più esattamente: 44 direttori di sede operativa (2,8%), 13 (0,8%) direttori di funzione e 8 direttori generali (0,5%). Nell’area funzionale dell’amministrazione i profili ammontano a 136 (8,8%) e comprendono 87 (5,6%) collaboratori amministrativi e 49 (3,2%) responsabili amministrativo-organizzativi. Da ultimo, l’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto include 155 (10,2%) profili 134 e più precisamente: 68 (4,4%) operatori tecnici ausiliari, 4 (0,3%) operatori tecnici della logistica, 69 (4,5%) operatori di segreteria e 14 (0,9%) tecnici dei servizi. Nel complesso si può dire che l’inquadramento delle funzioni del CNOS-FAP rispetta la scelta di fondo dell’Ente di dare la priorità alla formazione in confronto ad altre dimensioni come la direzione, l’organizzazione, l’amministrazione e la logistica; al tempo stesso vengono assicurati una funzionalità sufficiente della leadership ai vari livelli e un minimo di struttura gestionale e tecnica. Forse risulta un po’ carente la struttura dei servizi di supporto di tipo nuovo e avanzati per la quale si suggerisce un potenziamento. 4.2. La situazione della Formazione in servizio degli operatori del CNOS-FAP L’analisi quantitativa sulla Formazione in servizio degli operatori del CNOSFAP è limitata agli anni solari 2012 e 2013 perché solo da poco l’Ente ha iniziato a raccogliere sistematicamente i relativi dati. Nel periodo considerato si registra una crescita rispetto al totale sia in valori assoluti da 631 a 677 (+46 o +7,3%) che in percentuale dal 51,2% al 53,6% (+2,4%) (cfr. Tav. 22). Tale cifra è leggermente inferiore a quella riscontrata dall’ISFOL su tutto il territorio nazionale riguardo, però, ai soli formatori, cioè 59,5% (2007). La partecipazione in base al sesso vede una sovra-rappresentazione dei maschi e una sotto-rappresentazione delle femmine (cfr. Tav. 22). In ambedue gli anni gli uomini costituiscono i tre quarti circa del totale e le donne l’altro quarto del totale (75% e 25%; 74,6% e 25,4%, rispettivamente), mentre la proporzione tra gli operatori del CNOS-FAP è nell’anno formativo 2013-14 di quasi due terzi a un terzo (65,3% e 34,7%), come si è osservato sopra (cfr. Tav. 2). Pertanto, è auspicabile un rafforzamento della partecipazione delle donne. La partecipazione alla Formazione in servizio dei dipendenti del CNOS-FAP in base all’età registra una sostanziale coincidenza nella distribuzione per coorti nei due anni, 2012 e 2013 (cfr. Tav. 25). Essa si concentra nelle fasce 31-60 anni, le più esposte alla obsolescenza, che riuniscono il 90% circa di quanti hanno usufruito delle offerte messe a disposizione; è invece meno comprensibile che la percentuale si collochi oltre il 30% nelle coorti 31-40 e 41-50, mentre scende sul 25% in quella 51-60 che di per sé ne avrebbe maggiore bisogno. Correttamente la cifra si abbassa al minimo per i più giovani (meno 20-30), mentre appare discutibile la partecipazione modesta dei più anziani (oltre 60). Si suggerisce di conseguenza di potenziare la partecipazione alla Formazione in servizio delle coorti più anziane. La frequenza alle attività di Formazione in servizio dei dipendenti del CNOSFAP secondo la circoscrizione geografica evidenzia delle differenze tra i due anni di riferimento (cfr. Tav. 28). In sintesi, tra il 2012 e il 2013 la percentuale diminuisce da più di un terzo (34,1%) a oltre un quarto (26,0%) nel Nord Est e cresce dal 40% quasi (37,9%) al 50% circa (46,1%) nel Nord Ovest, mentre rimane nel complesso sufficientemente stabile nel Centro (14,6% e 16,1% rispettivamente) e 135 nel Sud (13,5% e 11,8%). Il confronto con la distribuzione degli operatori del CNOS-FAP al 2013-14 vede una sovra-rappresentazione del Nord Est e del Nord Ovest (solo nel 2013), una sostanziale stabilità al Centro e una sotto-rappresentazione al Sud e al Nord Ovest (unicamente nel 2012). Sarebbe dunque auspicabile un potenziamento delle offerte al Sud. Il rapporto tra Salesiani e laici nella partecipazione alla Formazione in servizio registra una presenza molto modesta dei primi rispetto ai secondi: il 3,3% in confronto al 96,7% nel 2012 e il 3,7% in paragone al 96,7% nel 2013 (cfr. Tav. 31). È un andamento che riflette, un po’ peggiorata, la situazione a livello di tutti gli operatori: 4,8% e 95,2% nel 2013-14. Un aumento della frequenza dei Salesiani sembra di conseguenza un orientamento da adottare nelle politiche dell’Ente. La partecipazione alla Formazione in servizio per titolo di studio, se confrontata con la ripartizione degli operatori in base alla medesima variabile nel 2013-14 (cfr. sopra Tav. 13), vede nel 2012 una leggera sovra-rappresentazione di laureati e di diplomati da una parte e dall’altra una modesta sotto-rappresentazione di licenziati della media e l’assenza di quelli delle elementari, mentre nel 2013 le due di - stribuzioni si avvicinano maggiormente tranne che per l’assenza ancora di licenziati delle elementari nelle attività di aggiornamento (cfr. Tav. 33). Veramente ci si sarebbe aspettato un impegno più grande per il completamento, prolungamento e perfezionamento dei livelli inferiori di formazione, mentre sono quelli sufficienti o più elevati a ricevere una maggiore attenzione. Se il punto di riferimento è il tipo di contratto, la partecipazione alla Formazione in servizio evidenzia che il totale nei due anni è quasi del tutto costituito da operatori a tempo indeterminato (96,7% e 95% rispettivamente nel 2012 e nel 2013), mentre quelli a tempo determinato sono una percentuale molto esigua (3,3% e 5%) (cfr. Tav. 36). Si capisce la remora a non investire su lavoratori che potrebbero anche lasciare i Centri, o non meritare l’impegno del CNOS-FAP, ma lo scarto notevole con la distribuzione generale degli operatori per tipo di contratto (87% e 13% nel 2013-14: cfr. sopra Tav. 16) richiederebbe probabilmente un riequilibrio tra i due gruppi nella Formazione in servizio. La partecipazione alla Formazione in servizio in base al profilo registra: nell’area funzionale della direzione una leggera sovra-rappresentazione nel 2012 (5,7%) rispetto al 2013 (5,1%), attribuibile alla frequenza dei direttori di funzione e una altrettanto modesta sovra-rappresentazione di ambedue gli anni rispetto alla percentuale dell’area nel totale degli operatori del CNOS-FAP (4,1%) nel 2013-14, dovuta soprattutto alla frequenza all’aggiornamento dei direttori di sede operativa; nell’area funzionale della erogazione, che è la più consistente, collocandosi oltre i tre quarti, la sovra-rappresentazione, questa volta, del 2013 (91,1%) in confronto al 2012 (85,9%) e di ambedue in paragone al 2013-14 (76,9%), dovuta in particolare ai formatori e nel caso del confronto con il 2013-14 anche ai tutor; nell’area funzionale dell’amministrazione, la sotto-rappresentazione sia del 2012 (5,4%) che del 136 2013 (ancora di più, 2,3%) rispetto al 2013-14 (8,8%), attribuibile soprattutto ai collaboratori amministrativi; nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, lo stesso andamento, anche più accentuato (2,8%, 1,4% e 10,1% rispettivamente), dovuto principalmente agli operatori di segreteria e agli operatori tecnici ausiliari (cfr. Tav. 39). In conclusione la partecipazione cresce più del totale nell’area delle direzione e specialmente dell’erogazione e diminuisce nelle aree dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto; un andamento comprensibile, ma che nel lungo termine potrebbe portare a delle conseguenze negative sul piano più strettamente gestionale per cui è auspicabile un riequilibrio a favore delle due aree citate. Dopo aver esaminato la partecipazione degli operatori del CNOS-FAP alla Formazione in servizio in base alle loro caratteristiche socio-demografiche, passiamo ad un’analisi secondo il tipo delle attività offerte dalla Sede Nazionale dell’Ente. Anzitutto, va evidenziato che il totale di quanti hanno frequentato i vari tipi di offerta è superiore a quello degli operatori che vi hanno partecipato perché alcuni di questi hanno preso parte a più di un tipo e precisamente 887 rispetto a 631 nel 2012 e 924 in paragone a 677 nel 2013 e la differenza è di circa il 40% (40,6% nel primo caso e 36,5% nel secondo), un primo segnale del successo delle iniziative in generale (cfr. Tav. 42). Nella stessa direzione sembra andare anche il dato della crescita che si registra tra i due anni che è in valore assoluti di 37 presenze in più e del 4,2% in percentuale. La distribuzione della frequenza tra le varie attività registra una sostanziale convergenza tra i due anni: la maggioranza assoluta va ai corsi regionali (che corrispondono alla dizione di corsi residenziali regionali/locali, utilizzata nel questionario dei Delegati, Direttori e Segretari dei Settori che verrà commentato nel capitolo successivo) che nel biennio crescono leggermente dal 50,2% o 327 nel 2012 al 53,5% o 494; intorno a un quarto/un quinto si collocano i corsi nazionali (che corrispondono alla dizione corsi residenziali nazionali – area delle competenze tecnico-professionali e corsi residenziali nazionali – area delle competenze di base) che sono sostanzialmente stabili a livello percentuale, 23,4% o 208 e 23,9% o 221 e i seminari dei settori professionali (che corrispondono alla dizione seminari tecnici per i formatori del questionario dei Delegati, Direttori e Segretari dei Settori) che segnano una leggera diminuzione percentuale e in valori assoluti (dal 19,7%, o 175, al 17,7%, o 164); le altre tre offerte si collocano al disotto del 5% (i seminari per il personale direttivo che restano stabili a livello percentuale, 4,1%, o 36, e 4,1%, o 38; i seminari tematici legati ad eventi esterni che diminuiscono in percentuale e in valori assoluti dal 2,1%, o 19, allo 0,5%, o 5; i corsi FAD che scendono in percentuale e in valori assoluti, ambedue minimi, dallo 0,5%, o 4, allo 0,2%, o 2). A un primo esame, ma ritorneremo poi sull’argomento nel commento ai focus group, l’ossatura della Formazione in servizio del CNOS-FAP è costituita primariamente dai corsi regionali e poi da quelli nazionali e dai seminari dei settori; preoc- 137 cupa la presenza totalmente marginale della FAD in un mondo dominato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. 4.3. La situazione nelle Regioni Richiameremo molto in sintesi i dati Regione per Regione secondo l’ordine delle circoscrizioni geografiche seguito nella ricerca: Nord Est, Nord Ovest, Centro e Sud6. Al 3 novembre 2014 l’Associazione regionale CNOS-FAP dell’Emilia Romagna comprendeva globalmente 40 operatori, pari al 2,7% del totale nazionale e al 12,4% della circoscrizione del Nord Est. Essi si distribuivano tra il CFP di Bologna (25 o il 62,5%) e quello di Forlì (15 o il 37,5%), mentre non si riscontravano né nella Delegazione regionale, né nella sede distaccata di San Lazzaro di Savena (BO). Sulla base dei risultati degli incroci con le variabili socio-demografiche adottate in questa ricerca si suggerisce di ringiovanire gradualmente il gruppo degli operatori, di potenziare la presenza dei laureati e tra i profili quella dei formatori, dei tutor e degli operatori di segreteria. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 33 gli operatori dalla Regione Emilia Romagna che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 5,2%; nell’anno successivo 2013 si registra una lieve diminuzione, 31 o il 4,6%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014, si nota che in entrambi i casi la percentuale della partecipazione è all’incirca il doppio di quella degli operatori. Sulla base delle analisi effettuate, si raccomanda di aumentare le partecipazione alla Formazione in servizio dei più giovani, dei laici, dei laureati. Se si fa riferimento ai vari tipi di attività, per cui lo stesso operatore ne può frequentare anche più di una, la somma delle presenze diventa 40 nel 2012 e 32 nel 2013. Anche in questo caso, la raccomandazione non può essere che quella di potenziare rispetto al dato del 2013 la partecipazione alle diverse forme di aggiornamento offerte dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP. Sempre al 3 novembre 2014 il totale degli operatori della Regione Friuli Venezia Giulia ammontava a 59 unità che rappresentavano il 3,4% del dato nazionale e il 15,5% della circoscrizione del Nord Est. Essi sono concentrati nel CFP di Udine (49 o 98%) e solo 1 (2%) è aggregato alla Delegazione regionale. Se si può dare qualche suggerimento in proposito, si potrebbe raccomandare di continuare a consolidare la presenza femminile, di potenziare la quota dei laureati, di dare spazio anche al contratto a tempo determinato e di ampliare la cerchia delle figure intermedie. Passando poi alla partecipazione alla Formazione in servizio, il 2012 vede 36 operatori della Regione Friuli Venezia Giulia impegnati nella frequenza delle offerte 6 Per non appesantire la pubblicazione diamo solo una breve sintesi dei dati. Chi fosse interessato a maggiore informazioni, si può rivolgere alla Sede Nazionale del CNOS-FAP. 138 organizzate dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP e la situazione rimane sostanzialmente inalterata nel 2013 (38 e 5,6%). Anche in questo caso si può tentare in via approssimativa un paragone con la percentuale degli operatori della Regione sul totale al 3 novembre del 2014 ed emerge che entrambe le cifre della partecipazione all’aggiornamento sono maggiori in maniera consistente (40% circa) rispetto a quelle degli operatori sul complesso dei dipendenti dell’Ente (3,4%). Tre suggerimenti sono possibili in questo caso: consolidare la partecipazione femminile e rafforzare quella dei laureati e dei Salesiani. Quando si esaminano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 46 nel 2012 e sale leggermente a 50 nel 2013. La raccomandazione che si può fare sulla base delle analisi effettuate è quella di rafforzare la partecipazione ai corsi nazionali, soprattutto, e, in quanto possibile, ai seminari dei settori professionali. L’associazione regionale CNOS-FAP del Veneto può contare su 233 operatori che costituiscono il 15,9% del totale nazionale e quasi i quattro quinti (72,1%) di quello circoscrizionale. Di essa fanno parte 7 Centri e la delegazione regionale: dei primi il più numeroso è quello di Verona con 67 dipendenti e il 30% quasi del valore complessivo (28,8%); tre si situano intorno al 15% (Este, 36 o 15,5%, Venezia – Mestre, 35 o 15% e San Donà di Piave, 34 o 14,6%); uno a circa il 10% (Schio, 22 o 9,4%); mentre due si collocano tra il 5% e il 10% (Bardolino, 18 o 7,7%, e Sant’Ambrogio Valpolicella, 12 o 5,2%); alla delegazione fanno capo 9 operatori, pari 3,9%. Al termine delle analisi effettuate si può suggerire di potenziare ancora di più la presenza delle donne, dei laureati e dei tutor e di consolidare quella delle altre funzione intermedie e degli operatori relativamente giovani. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 146 gli operatori dalla Regione Veneto che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 23,1%; nel 2013 si registra una consistente diminuzione, 102 o il 15,8%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014 (15,9%), si nota che la percentuale della partecipazione è più elevata della seconda nel 2012, mentre nel 2013 si equivalgono per cui il calo dal 23,1% al 15,8% non dovrebbe probabilmente preoccupare. In relazione ai dati analizzati in dettaglio si potrebbe raccomandare un leggero riequilibrio a favore delle donne, delle coorti più anziane, dei diplomati e dei laici. Se si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 201 nel 2012 e scende a 142 nel 2013. Tenuto conto del riequilibrio tra i due anni, forse l’unica raccomandazione che si può fare è quella di potenziare la partecipazione ai seminari dei settori professionali. Sempre alla data più volte ricordata, nella Regione Liguria erano presenti nel complesso 44 operatori, pari al 3% del dato nazionale e al 7% della circoscrizione 139 del Nord Ovest. Essi si ripartivano tra il CFP di Genova - Quarto, che impegnava più della metà del personale (24 o il 54,5%), quello di Genova - Sampierdarena con il 30% circa (13 o il 29,5%) e quello di Vallecrosia con 7 dipendenti, il 15,9% del totale regionale, mentre non ne sono segnalati nella Delegazione regionale. Al riguardo si suggerisce di ringiovanire il gruppo degli operatori, di potenziare la presenza dei Salesiani, dei contratti a tempo determinato, dei formatori e dei coordinatori. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 23 gli operatori dalla Regione Liguria che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 3,6% del totale; nel 2013 si registra una lieve diminuzione, 20 o il 3%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014, si nota che in entrambi i casi la percentuale della partecipazione si situa sostanzialmente allo stesso livello di quella degli operatori (3%). In proposito si potrebbe raccomandare di aumentare la partecipazione degli uomini, dei più giovani e dei diplomati. Se si fa riferimento ai vari tipi di attività di Formazione in servizio, per cui lo stesso operatore ne può frequentare anche più di una, la somma delle presenze diventa 29 nel 2012 e 31 nel 2013. Come raccomandazione finale al riguardo, si suggerisce di rafforzare le presenze nei corsi regionali. L’associazione regionale CNOS-FAP della Lombardia dispone di 167 operatori che costituiscono l’11,4% del totale nazionale e più di un quarto (26,7%) di quello circoscrizionale. Essa comprende 5 Centri e la delegazione regionale: dei primi il più numeroso è quello di Arese con 65 dipendenti e il 40% quasi del valore complessivo (38,9%), uno si situa intorno ad un quarto (Sesto San Giovanni, 41 o 24,6%), un altro circa a un quinto (Milano, 31 o 18,6%) e un quarto oltre il 10% (Brescia, 18 o 10,8%), mentre l’ultimo si colloca al di sotto del 5% e il 10% (Treviglio, 6 o 3,6%); alla delegazione fanno capo 6 operatori, pari anch’essi al 3,6%. In proposito si può suggerire di potenziare ancora di più la presenza delle donne, dei formatori, dei progettisti, dell’area dell’amministrazione e degli operatori tecnici ausiliari. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 75 gli operatori dalla Regione Lombardia che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari all’11,9%; nell’anno successivo 2013 si riscontra un aumento in valori assoluti (89) e in percentuale, 13,1%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014 (11,4%), si nota che la percentuale della partecipazione è più elevata della seconda nel 2013, mentre nel 2012 si equivalgono. Sulla base delle analisi effettuate nella precedente sezione si raccomanda un leggero riequilibrio a favore delle donne, dei laici, dei diplomati e delle aree funzionali della direzione, dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto. Se si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, di- 140 viene 104 nel 2012 e sale a 115 nel 2013. Tenuto conto dell’andamento, l’unica raccomandazione che si può fare è quella di potenziare la partecipazione ai corsi nazionali, ai seminari dei settori professionali e a quelli per i direttori. Il Piemonte poteva contare al 3 novembre 2014 su 402 operatori che rappresentano più di un quarto del totale nazionale (27,5%) e due terzi quasi (64,3%) di quello circoscrizionale. Esso comprende 13 Centri e la delegazione regionale: dei primi i più numerosi per personale sono Fossano, Vigliano Biellese e San Benigno Canavese che evidenziano percentuali superiori al 10% del totale (14,4% o 58, 12,7% o 51 e 11,7% o 47 rispettivamente), tra il 10% e il 5% si collocano Torino - Valdocco (8,7% o 35), Torino - Rebaudengo (8% o 32), Bra (7,7% o 31), Alessandria (6,5% o 26) e Vercelli (6.2% o 25), mentre al di sotto del 5% si situano Savigliano (4% o 16), Castelnuovo Don Bosco e Saluzzo (3,2% o 13) e Serravalle Scrivia (3% e 12); alla delegazione fanno capo 20 operatori, pari al 5%. Al termine delle analisi compiute in proposito si può suggerire di aumentare la presenza dei Salesiani, di elevare il livello della formazione di base degli operatori e di potenziare il profilo dei tutor. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 138 gli operatori dalla Regione Piemonte che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 21,9% del totale; nel 2013 si riscontra un aumento consistente in valori assoluti, 200, e in percentuale, 29,5%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014 (27,5%), si nota che la percentuale della partecipazione è inferiore alla seconda in particolare nel 2012: comunque, la crescita tra i due anni fa ben sperare per il futuro. In proposito si può raccomandare di potenziare la presenza delle coorti più anziane, dei Salesiani, dei laureati, dei coordinatori e dei tutor. Se si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 211 nel 2012 e sale a 273 nel 2013. Tenuto conto delle tendenze in atto, l’unica raccomandazione che si può fare è quella di consolidare gli andamenti del 2013. Il totale degli operatori della Regione Valle d’Aosta ammonta a 12 unità che rappresentava lo 0,8% del dato nazionale e l’1,9% della circoscrizione del Nord Ovest. Essi lavorano tutti nel CFP di Châtillon (12 o 0,8%), mentre nessuno è aggregato alla delegazione regionale. Se si può dare qualche suggerimento si potrebbe raccomandare di consolidare la presenza femminile, di inserire almeno un Salesiano, di potenziare la quota dei diplomati e dei laureati, di dare ancora più spazio al contratto a tempo indeterminato e di rafforzare la presenza dei formatori. Passando poi alla partecipazione alla Formazione in servizio, il 2012 vede 3 operatori (0,5%) della Regione Valle d’Aosta impegnati nella frequenza delle offerte organizzate dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP e la situazione rimane sostanzialmente inalterata nel 2013 (3 o 0,4%). Anche in questo caso si può tentare in via approssimativa un paragone con la percentuale degli operatori della Regione sul totale 141 al 3 novembre del 2014 ed emerge che entrambe le cifre della partecipazione all’aggiornamento sono la metà circa rispetto a quelle degli operatori sul complesso dei dipendenti dell’Ente (0,8%). I suggerimenti che si possono dare alla fine riguardano il potenziamento della partecipazione delle donne, dei laureati e di quanti hanno stipulato un contratto a tempo determinato e una maggiore diversificazione dei profili che frequentano la Formazione in servizio includendo anche le aree dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto. Quando si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 4 nel 2012 e nel 2013. La raccomandazione che si può fare in proposito è di aumentare le partecipazioni e di diversificarle maggiormente. La Regione Lazio contava complessivamente su 143 dipendenti (9,8% del totale nazionale), rispettivamente 10 (7%) della Sede Nazionale e altrettanti della delegazione regionale, 65 (45,5%) del CFP Teresa Gerini, che pertanto impiega la metà quasi del totale, 34 del CFP Borgo Ragazzi Don Bosco con un quarto quasi (23,8%) e 24 (16,8%) del CFP Pio XI. Al riguardo si potrebbe suggerire di ringiovanire il gruppo degli operatori, di potenziare la presenza delle donne, dei contratti a tempo indeterminato e di riequilibrare l’area dei formatori. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 50 gli operatori dalla Regione Lazio che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 7,9% del totale; nel 2013 si registra un considerevole aumento, 74 o il 10,9%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014 (9,8%), si nota che la percentuale della partecipazione si situa nel 2012 al di sotto del livello di quella degli operatori mentre nel 2013 risulta superiore ed è auspicabile che tale andamento si consolidi nel tempo. In sintesi si potrebbe raccomandare di aumentare le partecipazione delle donne, dei più giovani e dei contratti a tempo determinato e dell’area della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto. Se si fa riferimento ai vari tipi di attività di Formazione in servizio per cui lo stesso operatore ne può frequentare anche più di uno, la somma delle presenze diventa 66 nel 2012 e 105 nel 2013. Come raccomandazione finale, si può suggerire di consolidare le presenze del 2013. Sempre alla data più volte ricordata, nella Regione Sardegna erano presenti nel complesso 16 operatori, pari all’1,1% del dato nazionale e all’8% della circoscrizione del Centro. Essi si ripartivano tra la delegazione regionale, che impegnava più della metà del personale (9 o 56,3%), e i CFP di Lanusei, Sassari e Selargius con 2 operatori e quello di Olbia con 1, mentre non ne sono segnalati a Nuoro e a Tortolì. In conclusione si potrebbe suggerire di potenziare la presenza dei Salesiani e dei contratti a tempo determinato, di riequilibrare l’area dei formatori e di pre - vedere qualche operatore dell’area della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto. 142 Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 11 gli operatori dalla Regione Sardegna che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari all’1,7% del totale; nel 2013 si registra una diminuzione di una certa entità, 3 o lo 0,4%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014 (1,1%), si nota che la percentuale della partecipazione si situa nel 2012 al di sopra del livello di quella degli operatori mentre nel 2013 risulta inferiore ed è auspicabile che si ritorni subito all’andamento del 2012. In sintesi si potrebbe raccomandare il consolidamento degli andamenti del 2012. Se si fa riferimento ai vari tipi di attività di Formazione in servizio per cui lo stesso operatore ne può frequentare anche più di uno, la somma delle presenze è 11 nel 2012 e 3 nel 2013. Come raccomandazione finale, si può suggerire di allargare la partecipazione a una gamma più ampia di tipi di attività. Sempre al 3 novembre 2014, l’associazione regionale CNOS-FAP dell’Umbria poteva contare su 40 operatori, pari al 2,7% del totale nazionale e al 20,1% della circoscrizione del Centro. Essi si distribuivano tra il CFP di Perugia, che impegnava più della metà del personale (21 o 52,5%), quello di Foligno con il 30% (13) e quello di Marsciano con 7 dipendenti, il 17,5% del totale regionale, mentre non ne sono segnalati nella delegazione regionale. In base alle analisi effettuate in dettaglio si potrebbe suggerire di potenziare la presenza dei Salesiani e dei contratti a tempo determinato, di rafforzare le aree della direzione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto e di riequilibrare quella della erogazione. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 31 gli operatori dalla Regione Umbria che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 4,9% del totale e nel 2013 la situazione rimane sostanzialmente stabile, 32 o il 4,7%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014, si nota che in entrambi i casi la percentuale della partecipazione è superiore in maniera consistente rispetto a quella sul totale degli operatori (2,7%). In sintesi si potrebbe raccomandare di aumentare le partecipazione degli uomini, dei laureati, dei coordinatori, dei tutor e dell’area dell’amministrazione. Se si fa riferimento ai vari tipi di attività di Formazione in servizio per cui lo stesso operatore ne può frequentare anche più di uno, la somma delle presenze diventa 49 nel 2012 e 52 nel 2013. Come raccomandazione finale, si può suggerire di rafforzare le presenze nei corsi regionali e nei seminari dei settori professionali. La Regione Abruzzo conta complessivamente su 10 dipendenti (0,7% del totale nazionale e 3,2% della circoscrizione Sud), rispettivamente 5 (50%) del CFP di Ortona, 4 (40%) del CFP de L’Aquila e 1 (10%) del CFP di Vasto, mentre nessuno è aggregato alla Delegazione regionale. Se si può dare qualche suggerimento, si potrebbe raccomandare di ringiovanire il personale, di inserire almeno un Salesiano, 143 di dare ancora più spazio al contratto a tempo indeterminato, di rafforzare la presenza dei formatori e di prevedere qualche tutor. Passando poi alla partecipazione alla Formazione in servizio, il 2012 vede 2 operatori (0,3%) della Regione Abruzzo impegnati nella frequenza delle offerte organizzate dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP e nel 2013 si assiste a un raddoppio (4 o 0,6%). Anche in questo caso si può tentare in via approssimativa un paragone con la percentuale degli operatori della Regione sul totale al 3 novembre del 2014 ed emerge che la prima cifra della partecipazione all’aggiornamento è la metà circa rispetto a quelle degli operatori sul complesso dei dipendenti dell’Ente (0,7%) e la seconda si colloca sostanzialmente allo stesso livello. I suggerimenti che si possono dare alla fine riguardano il potenziamento della partecipazione delle donne, dei più giovani e dei diplomati e una maggiore diversificazione dei profili che frequentano la formazione. Quando si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 5 nel 2012 e 6 nel 2013. La raccomandazione che si può fare in proposito è di rendere annuali le presenze distribuite tra due anni. L’associazione regionale CNOS-FAP della Puglia comprende globalmente 23 operatori, pari all’1,6% del dato nazionale e al 7,3% della circoscrizione Sud. Essi si ripartivano tra il CFP di Bari, che impegnava l’80% circa del personale (18 o 78,3%) e quello di Cerignola il 20% circa (4 o 17,4%), oltre alla Delegazione regionale con solo 1 unità (4,3%). In conclusione si potrebbe suggerire di ringiovanire il gruppo degli operatori, di potenziare la presenza degli uomini e dei contratti a tempo indeterminato e di riequilibrare l’area della erogazione. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 3 gli operatori dalla Regione Puglia che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari allo 0,5% del totale; nell’anno 2013 si registra un lieve aumento, 5 o lo 0,7%. Se ambedue le cifre vengono ri - ferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOS-FAP al 3 novembre del 2014, si nota che in entrambi i casi la percentuale della partecipazione si riduce di oltre la metà rispetto a quella degli operatori (1,6%). Le raccomandazioni principali che si possono fare sono di potenziare la partecipazione alla Formazione in servizio in generale, di aumentare la presenza delle donne, delle coorti più anziane, dei diplomati e dei contratti a tempo indeterminato e di allargare la gamma delle figure coinvolte. Quando si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 4 nel 2012 e 7 nel 2013. Il suggerimento che si può avanzare in proposito è di aumentare le partecipazioni e di diversificarle maggiormente. La Sicilia poteva contare al 3 novembre 2014 su 283 operatori che rappresentano un quinto circa del totale nazionale (19,3%) e il 90% quasi (89,6%) di quello circoscrizionale. Essa comprende 8 Centri e la delegazione regionale: dei primi i 144 più numerosi per personale sono Gela e Palermo con più di un quarto ciascuno (62 o 21,9% e 61 o 21,6% del totale, rispettivamente), intorno al 15% si collocano Catania - San Filippo Neri e Catania - Barriera (45 o 15,9% e 44 o 15,6%), mentre tutti gli altri Centri si situano al di sotto del 10% (Ragusa, 22 o 7,8%; Misterbianco - Belsito, 21 o 7,4%; Catania - Salette, 18 o 6,4%; Caltanissetta a cui non corrisponde nessun operatore); alla Delegazione fanno capo 10 unità, pari al 3,5%. Sulla base delle analisi effettuate nel dettaglio si può suggerire di ringiovanire il personale, di aumentare la presenza dei Salesiani e dei contratti a tempo determinato e di riequilibrare l’area della erogazione. Per quanto riguarda la partecipazione alla Formazione in servizio, nel 2012 erano 80 gli operatori dalla Regione Sicilia che hanno frequentato le differenti offerte della Sede Nazionale del CNOS-FAP, pari al 12,7% del totale; nell’anno successivo 2013 si riscontra una diminuzione consistente in valori assoluti, 71, e in percentuale, 10,5%. Se ambedue le cifre vengono riferite, per un confronto in via approssimativa, alla percentuale della Regione sul totale degli operatori del CNOSFAP al 3 novembre del 2014 (19,5%), si nota che la percentuale della partecipazione è inferiore, in misura considerevole, alla seconda in entrambi gli anni. Alla fine, in sintesi si può raccomandare di consolidare la presenza delle donne e dei più giovani e di rafforzare quella dei diplomati, dei laureati, dell’area delle direzione e di quella della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto. Se si analizzano i diversi tipi di attività, dato che il medesimo operatore può prendere parte anche a più di una, la somma dei partecipanti, contati più volte, diviene 117 nel 2012 e 98 nel 2013. Tenuto conto dell’andamento, si può raccomandare un potenziamento della partecipazione ai corsi regionali e ai seminari per i direttori. Terzo capitolo A confronto sulla Formazione in servizio del CNOS-FAP. Delegati regionali, Direttori dei CFP e Segretari Nazionali dei Settori e delle Aree professionali Guglielmo Malizia - Maria Paola Piccini Come è stato chiarito nel progetto di ricerca, l’indagine oggetto del rapporto è mirata al raggiungimento di tre obiettivi principali: anzitutto si tratta di presentare in maniera dettagliata e in una prospettiva prevalentemente quantitativa la situazione della Formazione in servizio del CNOS-FAP in tutti i suoi aspetti più significativi; in secondo luogo ci si propone di valutare l’adeguatezza, l’efficacia e l’efficienza dell’offerta che viene effettuata dall’Ente, cercando di identificare i punti di eccellenza e le criticità del sistema; l’ultimo scopo consiste nel predisporre sulla base degli esiti della precedente analisi quali-quantitativa, un insieme articolato di proposte per potenziare il progetto del CNOS-FAP in materia1. La parte della ricerca i cui risultati verranno illustrati in questo rapporto contribuisce soprattutto al perseguimento del secondo obiettivo: infatti, tra i referenti di cui si sono ricercate le valutazioni occupano indubbiamente un posto centrale, dal lato dell’offerta di formazione, i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali; nel prosieguo sono proprio le loro opinioni, raccolte con questionario, ad essere esaminate. L’articolazione interna dell’analisi che verrà effettuata si attiene sostanzialmente allo schema dello strumento di indagine. Dopo aver illustrato brevemente lo strumento di indagine utilizzato e le modalità di raccolta delle informazioni, vengono presentate le caratteristiche principali degli intervistati, per poi approfondire il tema della partecipazione ai corsi sul piano quantitativo e qualitativo e della soddisfazione. Segue il commento a due sezioni del questionario, dedicate l’una ad analizzare i punti di forza e di criticità della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP negli ultimi due anni e l’altra sulla sua ricaduta e impatto sull’Ente. Infine, si è inteso raccogliere il parere degli intervistati in vista della elaborazione di suggerimenti e proposte per il miglioramento della offerta del CNOS-FAP. 145 1 Anche se il rapporto di ricerca è responsabilità comune dei due autori, le sezioni 1 - 4 sono state redatte da M.P. Piccini e quelle 5 - 7 da G. Malizia, mentre la 8 è opera di ambedue. Pertanto, le differenze di stile e di forma che si possono riscontrare nel testo e nella presentazione delle tabelle dipendono dalle scelte effettuate dai due autori nello spazio di autonomia proprio. 1. QUESTIONARIO E MODALITÀ DI RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI Questa fase dello studio è stata condotta per mezzo della costruzione e somministrazione di un questionario ad hoc2, allo scopo di rilevare e descrivere la percezione del punto di vista dei Direttori dei CFP, dei Delegati regionali e dei Segretari nazionali in merito all’adeguatezza dell’offerta di Formazione in servizio del CNOS-FAP degli ultimi due anni. A tale scopo si è costruito, quale strumento di rilevazione un questionario articolato in cinque aree tematiche fondamentali. La prima è volta a delineare il profilo personale e professionale dei rispondenti attraverso la raccolta di informazioni anagrafiche quali l’età, il titolo di studio, lo status etc. cui seguono domande destinate a ricostruire il ruolo e l’esperienza lavorativa pregressa degli intervistati. La seconda area tematica mira ad approfondire il livello e la qualità della partecipazione ai corsi di Formazione in servizio promossi dalla Sede Nazionale negli anni 2012- 2013, rilevati attraverso scale di valutazione della consistenza della partecipazione stessa, della soddisfazione o insoddisfazione circa la partecipazione. Sono incluse in questa stessa area tematica, inoltre, domande relative ai possibili ostacoli alla partecipazione ai corsi, quesiti circa la soddisfazione in merito all’offerta formativa e domande di approfondimento che invitano gli intervistati a chiarire le motivazioni del giudizio negativo o positivo sempre in merito alla Formazione in servizio. La terza area tematica del questionario prende in considerazione punti di forza e criticità delle attività di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale rilevati attraverso scale di valutazione. Successivamente, il questionario prevede una serie di domande destinate a verificare l’impatto e la ricaduta delle diverse attività di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale. Infine, l’ultima area tematica è finalizzata a raccogliere suggerimenti e proposte in vista del miglioramento delle attività di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale sia per quanto riguarda l’offerta formativa, sia relativamente alle metodologie didattiche. Il questionario si conclude con l’invito alla valutazione prima dell’effettivo impiego delle risorse per la Formazione in servizio erogate dalla Sede Nazionale, poi delle rispettive potenzialità d’uso. I questionari sono stati somministrati nei mesi di aprile, maggio e giugno 2014, per mezzo sia di contatti diretti, sia di invii tramite posta elettronica, coinvolgendo nello studio i Direttori dei diversi CFP, i Delegati regionali e i Segretari nazionali. 2. PROCEDURE DI CODIFICA E DI ANALISI DEI DATI Terminata la fase di raccolta dei questionari, si è proceduto al cosiddetto spoglio degli stessi, condotto allo scopo di individuare e, laddove possibile, correg- 146 2 Ai Segretari nazionali è stata proposta una versione del questionario modificata in minima parte per adattarla al tipo di informazioni che si presupponeva potessero essere nella disponibilità dei Segretari stessi. gere eventuali errori di compilazione, identificare e valutare le mancate risposte, controllare i significati delle risposte riportate sotto l’alternativa “altro” e eventuale loro classificazione a posteriori nelle categorie corrispondenti alle altre alternative di risposta previste per le singole domande o in nuove ulteriori categorie e, infine, numerare i questionari utili. In seguito, è stato definito il piano di codifica, che consiste nell’elenco numerato di tutte le variabili generate da ogni questionario, ciascuna riportata con le rispettive modalità e i valori a esse associati. Data la presenza nel questionario di domande che ammettevano risposte multiple, il numero delle variabili che compare nel piano di codifica, e di conseguenza nella matrice dei dati, è maggiore di quello delle domande complessivamente presenti nel questionario stesso. In base al piano di codifica si è, infine, proceduto alla costruzione della matrice dei dati, sulla quale sono state applicate diverse procedure di analisi scelte in funzione degli obiettivi della ricerca e, di volta in volta, del tipo di variabili generate dai questionari. I dati raccolti sono stati, quindi, sottoposti a varie procedure di analisi mono e bivariate, in particolare: l’analisi delle frequenze per tutte le variabili; l’analisi di tavole di contingenza per lo studio delle relazioni tra coppie di variabili ritenute particolarmente significative, tutte procedure disponibili nel software SPSS3 (Statistical Package for the Social Sciences). L’analisi monovariata fornisce una prima descrizione del campione, mostrando come questo si differenzia al suo interno in funzione delle modalità di ciascuna variabile ed è comunque utile per individuare e correggere eventuali errori di inserimento dati presenti nella matrice e per individuare variabili che presentano di - stribuzioni molto squilibrate, ossia modalità con frequenze ridotte, che possono rappresentare un problema in relazione alle successive analisi bivariate. L’analisi bivariata viene condotta mediante, appunto, la costruzione di tavole di contingenza, che consentono di studiare la distribuzione congiunta delle modalità di coppie di variabili, una riportata in colonna e l’altra in riga. 3. I RISPONDENTI Complessivamente questa fase dello studio ha coinvolto 70 intervistati (cfr. Tav. 1): 11 Segretari nazionali4, 47 Direttori di CFP e 12 Delegati regionali, dei quali 3 sono anche Direttori di CFP. 147 3 SPSS (originariamente Statistical Package for the Social Sciences, recentemente modificato in Statistical Product and Service Solutions) è stato realizzato nella sua prima versione nel 1968 da Norman H. Nie, Dale H. Bent e C. Hadlai Hull ed è probabilmente il programma più utilizzato per l’analisi statistica nelle scienze sociali. 4 I settori/aree di responsabilità dei Segretari nazionali intervistati sono: Area scientifica, Automotive, Cultura e inglese, Elettrico, Energia, Grafico, Informatica, Inglese (commissione cultura), Meccanica, Orientamento e servizi al lavoro, Progettazione. 148 Tav. 1 – Ruolo degli intervistati Legenda: VA=Valore assoluto Quasi la metà degli intervistati lavora al Nord, mentre gli altri si distribuiscono equilibratamente fra Sud e Centro Italia (cfr. Tav. 2). La risposta non dovuta si riferisce al questionario per i Segretari nazionali, ai quali non è stato richiesto di specificare la Regione di appartenenza. Il dettaglio delle Regioni di provenienza è riportato nelle Tavole 3 e 4. Tav. 2 – Zona di provenienza degli intervistati Legenda: VA=Valore assoluto Tav. 3 – Regione di provenienza dei Direttori Legenda: VA=Valore assoluto Ruolo VA % Direttore del CFP 47 67,1 Delegato regionale 12 17,1 Segretario nazionale 11 15,7 Totale 70 100,0 Zona VA % Non dovuto 11 15,7 Nord 34 48,6 Centro 12 17,1 Sud 13 18,6 Totale 70 100,0 Regione Direttore VA % Non dovuto 20 28,6 Piemonte 12 17,1 Veneto 7 10,0 Sicilia 6 8,6 Lombardia 4 5,7 Sardegna 4 5,7 Lazio 3 4,3 Liguria 3 4,3 Abruzzo 2 2,9 Emilia Romagna 2 2,9 Puglia 2 2,9 Calabria 1 1,4 Campania 1 1,4 Friuli Venezia Giulia 1 1,4 Umbria 1 1,4 Valle d'Aosta 1 1,4 Totale 70 100,0 149 Tav. 4 – Regione di provenienza dei Delegati Legenda: VA=Valore assoluto Il 42,9% degli intervistati ha un’età compresa fra i 31 e i 50 anni (cfr. Tavv. 5 e 6) e il 35,7% fra i 51 e i 60 anni. La quota di ultrasessantenni (21,4%) è comunque ben rappresentata, mentre ha meno di 40 anni solo il 10% dei rispondenti. I Segretari nazionali sono i più giovani: 7 su 11 hanno un’età compresa fra i 31 e i 50 anni. I rispondenti si dividono in Laici (58,6%) e Salesiani (41,4%), in particolare Sacerdoti (cfr. Tavv. 7 e 8). Nel dettaglio, il 66% dei Direttori di CFP e il 90,9% dei Segretari nazionali sono Laici, mentre i Delegati regionali sono tutti Salesiani. Regione del Delegato VA % Non dovuto 58 82,9 Abruzzo 1 1,4 Campania 1 1,4 Emilia Romagna 1 1,4 Friuli Venezia Giulia 1 1,4 Lazio 1 1,4 Liguria e Toscana 1 1,4 Lombardia 1 1,4 Piemonte e Valle d'Aosta 1 1,4 Puglia 1 1,4 Sardegna 1 1,4 Sicilia 1 1,4 Veneto 1 1,4 Totale 70 100,0 Tav. 5 – Età dei rispondenti Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Tav. 6 – Età dei rispondenti ricodificata Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Tav. 7 – Stato civile degli intervistati Legenda: VA=Valore assoluto Età (al 2014) VA % % cum. 31-40 anni 7 10,0 10,0 41-50 anni 23 32,9 42,9 51-60 anni 25 35,7 78,6 61-70 anni 12 17,1 95,7 Oltre 70 anni 3 4,3 100,0 Totale 70 100,0 Stato civile VA % Laico 41 58,6 Salesiano Coadiutore 6 8,6 Salesiano Sacerdote 23 32,9 Totale 70 100,0 Tav. 8 – Stato civile degli intervistati ricodificato Legenda: VA=Valore assoluto Stato civile Rec. VA % Laico 41 58,6 Salesiano 29 41,4 Totale 70 100,0 Età Rec. VA % % cum. 31-50 anni 30 42,9 42,9 51-60 anni 25 35,7 78,6 Oltre 60 anni 15 21,4 100,0 Totale 70 100,0 150 Per quanto riguarda il titolo di studio (cfr. Tavv. 9 e 10) i rispondenti sono per lo più in possesso di una laurea, civile o ecclesiastica, ma è ben rappresentata anche la quota dei diplomati. Da segnalare la presenza di rispondenti che hanno dichiarato di aver conseguito titoli di studio superiori, in particolare, master in diversi ambiti. Tav. 9 – Titolo di studio degli intervistati Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Tav. 10 – Titolo di studio degli intervistati ricodificato Legenda: VA=Valore assoluto Nel dettaglio, il 46,8% dei Direttori di CFP e il 63,6% dei Segretari nazionali sono in possesso di lauree civili (coerentemente con quanto emerso circa lo status: si tratta, infatti, per lo più di laici), mentre i Delegati regionali hanno prevalentemente (58,3%) lauree di tipo ecclesiastico. Tornando all’esperienza professionale, oltre la metà dei Direttori dei CFP dichiara di ricoprire tale ruolo da un arco di tempo che va da uno a sei anni (cfr. Tav. 11). Per quanto riguarda l’esperienza di direzione di altri CFP prima dell’attuale (cfr. Tav. 12) il 76% afferma di non averne avuta. Tav. 11 – Anni di esperienza professionale dei Direttori Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Titolo di studio VA % % cum. Qualifica/diploma professionale 1 1,4 1,4 Diploma di scuola secondaria superiore 22 31,4 32,9 Laurea triennale (o diploma universitario o laurea breve) 5 7,1 40,0 Laurea magistrale o titolo civile equivalente 27 38,6 78,6 Licenza o altro titolo di studio ecclesiastico 15 21,4 100,0 Totale 70 100,0 Anni di direzione del CFP VA % % valida % cum. Meno di un anno 4 5,7 8,0 8,0 Da 1 a 6 anni 27 38,6 54,0 62,0 Da 7 a 10 anni 10 14,3 20,0 82,0 Più di 10 anni 9 12,9 18,0 100,0 Subtotale 50 71,4 100,0 Risposta non dovuta 20 28,6 Totale 70 100,0 Titolo di studio Rec. VA % Diplomi e qualifiche 23 32,9 Lauree civili 32 45,7 Lauree ecclesiastiche 15 21,4 Totale 70 100,0 151 Tav. 12 – Esperienza professionale dei Direttori Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Anche fra i Delegati regionali la maggior parte dichiara di ricoprire tale ruolo da uno a sei anni (cfr. Tav. 13) e, dalla distribuzione di frequenza, si evince che si tratta di persone con esperienze precedenti, sia nella veste di Delegati regionali sia di Direttori di CFP (cfr. Tav. 14). Tav. 13 – Anni di esperienza professionale dei Delegati Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Tav. 14 – Esperienza professionale dei Delegati Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Infine, anche per quanto riguarda i Segretari nazionali, il periodo di esperienza più rappresentato è quello da uno a sei anni (cfr. Tav. 15) e per tutti si tratta della prima esperienza nel ruolo di Segretario nazionale (cfr. Tav. 16). Direzione di altri CFP in precedenza VA % % valida % cum. Sì, uno 6 8,6 12,0 12,0 Sì, più di uno 6 8,6 12,0 24,0 No 38 54,3 76,0 100,0 Subtotale 50 71,4 100,0 Risposta non dovuta 20 28,6 Totale 70 100,0 Anni da Delegato VA % % valida % cum. Meno di un anno 1 1,4 8,3 8,3 Da 1 a 6 anni 8 11,4 66,7 75,0 Più di 10 anni 3 4,3 25,0 100,0 Subtotale 12 17,1 100,0 Risposta non dovuta 58 82,9 Totale 70 100,0 Il Delegato in precedenza VA % % valida % cum. È stato Delegato in altra regione 2 2,9 14,3 14,3 È stato Direttore di un CFP 3 4,3 21,4 35,7 È stato Direttore in più CFP 1 1,4 7,1 42,9 Non è stato né direttore, né Delegato 5 7,1 35,7 78,6 È stato sia direttore, sia Delegato 3 4,3 21,4 100,0 Subtotale 14 20,0 100,0 Risposta non dovuta 56 80,0 Totale 70 100,0 152 Tav. 15 – Anni di esperienza professionale dei Segretari nazionali Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Tav. 16 – Esperienza professionale dei Segretari nazionali Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Dunque, complessivamente si tratta di persone con un buon livello di esperienza sulle spalle, come si può vedere dalla Tavola 18; infatti, oltre la metà dei rispondenti ha un’esperienza di uno/sei anni, quota che raggiunge il 92,9% se sommata a quanti attestano un’esperienza di oltre sette anni, mentre, solo il 7,1% dichiara meno di un anno di esperienza (e si tratta, più specificamente, di quattro Direttori e un Delegato). Tav. 17 – Anni di esperienza degli intervistati Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata 4. LA PARTECIPAZIONE AI CORSI DI FORMAZIONE IN SERVIZIO Gli intervistati sono stati invitati a valutare (su una scala da 1 a 4, da “nessuno” a “tutti o quasi tutti”), la partecipazione alle diverse proposte di Formazione in servizio offerte dalla Sede Nazionale. Nella Tavola 18 sono riportate, in sintesi, le statistiche descrittive. Da notare come, secondo la percezione degli intervistati, abbiano partecipato più della metà dei formatori dei rispettivi CFP (o delegazioni regionali o settori/ aree) ai seminari per il personale direttivo e ai corsi residenziali regionali/locali. Anni da Segretario VA % % valida % cum. Da 1 a 6 anni 6 8,6 54,5 54,5 Da 7 a 10 anni 2 2,9 18,2 72,7 Più di 10 anni 3 4,3 27,3 100,0 Subtotale 11 15,7 100,0 Risposta non dovuta 59 84,3 Totale 70 100,0 Anni di esperienza VA % % cum. Meno di un anno 5 7,1 7,1 Da 1 a 6 anni 39 55,7 62,9 Da 7 a 10 anni 12 17,1 80,0 Più di 10 anni 14 20,0 100,0 Totale 70 100,0 È stato Segretario nazionale di altri settori/aree VA % % valida % cum. No 11 15,7 100,0 100,0 Risposta non dovuta 59 84,3 Totale 70 100,0 153 Seminari per i formatori, Corsi residenziali nazionali, sia per quanto riguarda l’area delle competenze tecnico professionali, sia l’area delle competenze di base, Apporto tecnologico e formativo delle imprese al settore/area (per i Segretari nazionali), Attività formative con FONDER, Convegni promossi dalla CISI, Seminari tematici legati ad eventi esterni registrano, invece, una partecipazione di meno della metà dei formatori. Infine, la partecipazione è estremamente ridotta per i corsi FAD e i Progetti internazionali. Tav. 18 – Valutazione della partecipazione ai corsi di Formazione in servizio Legenda: M=Media; DS=Deviazione Standard Nel dettaglio (cfr. Tav. 19), per quanto riguarda la partecipazione ai seminari per il personale direttivo, il 57,6% degli intervistati dichiara che hanno partecipato “tutti o quasi tutti” i formatori, specialmente al Nord (64,7%) e al Centro (66,7%); al Sud le risposte si distribuiscono equamente fra “nessuno ha partecipato” (30,8%) e “tutti o quasi hanno partecipato” (30,8%). Non si rilevano particolari differenze nella percezione di Delegati regionali e Direttori di CFP, né di laici e religiosi. In riferimento alla partecipazione ai corsi residenziali regionali/locali il 42,4% degli intervistati dichiara che hanno partecipato “tutti o quasi tutti i formatori”, specialmente al Nord (55,9%), mentre al Centro e al Sud le risposte si ripartiscono fra “nessuno” (rispettivamente 41,7% e 30,8%) e “più della metà hanno partecipato” (33,3%). Il 45,7% degli intervistati dichiara che “meno della metà” dei formatori ha partecipato ai seminari specifici per formatori (55,9% al Nord, 50% al Centro), con una partecipazione ancora più bassa al Sud, dove il 30,8% degli intervistati dichiara che “nessuno” ha partecipato a questo tipo di seminari. Per quanto riguarda i corsi residenziali nazionali relativi all’area delle competenze tecnico-professionali, complessivamente il 54,3% degli intervistati dichiara che “meno della metà” dei formatori vi hanno partecipato (il 70,6% al Nord, il 41,7% al Centro e il 38,5% al Sud). Il livello di partecipazione è più basso al Centro e al Sud dove si rilevano percentuali importanti di intervistati che dichiarano che “nessuno” ha partecipato: 33,3% al Centro e 23,1% al Sud (più un altro Partecipazione a: N Min. Max. M DS Seminari per il personale direttivo 52 1 4 3,27 1,105 Corsi residenziali regionali/locali 55 1 4 2,98 1,147 Seminari per i formatori 61 1 4 2,28 0,951 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze tecnico professionali 63 1 4 2,25 0,822 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze di base 61 1 4 2,10 0,724 Apporto tecnologico e formativo delle imprese al settore/area 8 1 4 2,00 1,069 Attività formative con FONDER 49 1 4 1,82 0,928 Convegni promossi dalla CISI 51 1 4 1,76 0,839 Seminari tematici legati ad eventi esterni 54 1 4 1,76 0,671 Corsi FAD 52 1 4 1,56 0,608 Progetti internazionali (mobilità) 50 1 3 1,30 0,505 154 Tav. 19 – Partecipazione ai diversi corsi di Formazione in servizio Legenda: M=Media; NR=Non risponde; VA=valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata; ND=Risposta non dovuta Qualità della partecipazione a: M Nessuno ha partecipato Insoddisfacente Poco soddisfacente Abbastanza soddisfacente Molto soddisfacente Non risponde Totale valido ND Totale Corsi residenziali regionali/locali 3,28 VA 8 1 1 28 16 5 59 11 70 % valida 11,4 1,4 1,4 40,0 22,9 7,1 84 15,7 100 % cum. 13,6 1,7 1,7 47,5 27,1 8,5 100 Apporto tecnologico e formativo delle imprese al settore/area 3,20 VA 1 1 2 2 5 11 59 70 % valida 9,1 9,1 18,2 18,2 45,5 100,0 % cum. 9,1 18,2 36,4 54,5 100,0 Seminari per il personale direttivo 3,17 VA 5 2 3 28 15 6 59 11 70 % valida 8,5 3,4 5,1 47,5 25,4 10,2 100,0 % cum. 8,5 11,9 16,9 64,4 89,8 100,0 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze tecnico professionali 3,16 VA 7 2 2 36 15 8 70 % valida 10,0 2,9 2,9 51,4 21,4 11,4 100,0 % cum. 10,0 12,9 15,7 67,1 88,6 100,0 Seminari per i formatori 3,16 VA 11 2 3 30 15 9 70 % valida 15,7 2,9 4,3 42,9 21,4 12,9 100,0 % cum. 15,7 18,6 22,9 65,7 87,1 100,0 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze di base 3,02 VA 8 2 3 39 8 10 70 % valida 11,4 2,9 4,3 55,7 11,4 14,3 100,0 % cum. 11,4 14,3 18,6 74,3 85,7 100,0 Progetti internazionali (mobilità) 3,00 VA 29 1 2 9 4 14 59 11 70 % valida 49,2 1,7 3,4 15,3 6,8 23,7 100,0 % cum. 49,2 50,8 54,2 69,5 76,3 100,0 Attività formative con FONDER 2,96 VA 20 1 3 20 4 11 59 11 70 % valida 33,9 1,7 5,1 33,9 6,8 18,6 100,0 % cum. 33,9 35,6 40,7 74,6 81,4 100,0 Seminari tematici legati ad eventi esterni 2,88 VA 18 2 5 22 5 18 70 % valida 25,7 2,9 7,1 31,4 7,1 25,7 100,0 % cum. 25,7 28,6 35,7 67,1 74,3 100,0 Convegni promossi dalla CISI 2,86 VA 17 1 5 20 3 13 59 11 70 % valida 28,8 1,7 8,5 33,9 5,1 22,0 100,0 % cum. 28,8 30,5 39,0 72,9 78,0 100,0 Corsi FAD 2,33 VA 21 3 12 12 11 59 11 70 % valida 35,6 5,1 20,3 20,3 18,6 100,0 % cum. 35,6 40,7 61,0 81,4 100,0 155 23,1% che decide di non rispondere). Il 54,3% dei rispondenti dichiara che “meno della metà” dei formatori ha partecipato ai corsi residenziali nazionali relativi all’area delle competenze di base. La tendenza è la stessa individuata per i corsi residenziali nazionali dell’altro ambito: una partecipazione più consistente al Nord, dove si dichiara che “nessuno ha partecipato” solo nell’8,8% dei casi, a fronte di una partecipazione meno diffusa al Centro (33,3%) e al Sud (15,4%). In riferimento alla partecipazione alle attività formative con FONDER buona parte degli intervistati del Nord e del Sud dichiarano che “nessuno” vi ha partecipato, rispettivamente il 38,2% e il 46,2%. La situazione è leggermente più confortante al Centro dove il 41,7% degli intervistati dichiara che vi ha partecipato “meno della metà” dei formatori. Complessivamente il 42,4% degli intervistati dichiara che “meno della metà” dei formatori ha partecipato a convegni promossi dalla CISI. Nel dettaglio, il 58,3% al Centro, il 38,5% al Sud e il 38,2% al Nord. Tuttavia, al Nord si registra anche un ulteriore 38,2% di intervistati che dichiara che “nessuno” vi ha partecipato; al Centro tale percentuale sale al 41,7%, mentre al Sud si attesta al 23,1%. Per quanto riguarda la partecipazione a seminari tematici legati ad eventi esterni, al Nord il 55,9% degli intervistati dichiara che vi hanno partecipato “meno della metà dei formatori”, al Centro dichiara la stessa cosa il 50% degli intervistati (l’altro 50% dichiara che “nessuno” vi ha partecipato), al Sud lo dichiara il 23,1% assieme a un 46,2% che dichiara che “nessuno” vi ha partecipato e a un 30,8% di intervistati che preferisce non rispondere a questa domanda. La partecipazione ai corsi FAD è nulla per il 42,45% dei rispondenti. In particolare, la situazione è relativamente più confortante al Centro dove a fronte di un 33,3% di intervistati che dichiara che “nessuno” vi ha partecipato si rileva anche un 66,7% che dichiara che “meno della metà” vi ha partecipato. Al Nord il 47,1% degli intervistati dichiara che “nessuno” vi ha partecipato e il 41,2% indica che “meno della metà” vi ha partecipato. Infine, al Sud il 38,5% dei rispondenti dichiara che “nessuno” vi ha partecipato e, in egual misura (30,8%) o scelgono di non rispondere o dichiarano che “meno della metà” dei formatori ha partecipato ai corsi FAD. “Nessuno” ha partecipato ai progetti internazionali per il 61% degli intervistati, senza differenze particolarmente evidenti fra le percezioni degli intervistati delle diverse aree geografiche. Dallo studio delle tavole di contingenza (analisi bivariata) non si rilevano particolari dissomiglianze nella distribuzione di frequenza delle risposte in funzione del ruolo o dello stato civile. Tendenzialmente, la percezione del livello di partecipazione alle varie attività di Formazione in servizio è più critica o più realistica da parte dei Direttori dei CFP, probabilmente perché hanno maggiori occasioni di contatto diretto con i formatori. I Delegati, tutti Salesiani, in alcuni casi si dimostrano più ottimisti nel valutare il livello di partecipazione, in particolar modo alle attività con FONDER, alle attività promosse dalla CISI, ai corsi FAD e ai progetti internazionali. 156 Per quanto concerne gli anni di esperienza, da rilevare essenzialmente la maggiore concentrazione di mancate risposte fra gli intervistati con minore esperienza. Gli intervistati con più esperienza hanno tendenzialmente una percezione più pessimistica della partecipazione alle attività di Formazione in servizio. Tendenza che si conferma in riferimento all’età dei rispondenti: fra i più giovani si registra un numero maggiore di mancate risposte e si rileva anche una stima della partecipazione più ottimistica. Sempre in riferimento alla stima della partecipazione, considerando il titolo di studio degli intervistati, i laureati in generale (in possesso di titoli sia civili, sia ecclesiastici) si dimostrano più pessimisti. Gli intervistati sono stati, in seguito, invitati a valutare su una scala da 1 a 4 (da “insoddisfacente” a “molto soddisfacente”), la qualità della partecipazione dei formatori alle diverse proposte di Formazione in servizio offerte dalla Sede Nazionale. Nella Tavola 20 sono riportate nel dettaglio le statistiche descrittive. Da notare come, nella percezione degli intervistati, sia valutata in modo “abbastanza soddisfacente” la partecipazione dei formatori ai Corsi residenziali regionali/ locali, ai Seminari per il personale direttivo, ai Corsi residenziali nazionali - area delle competenze tecnico professionali, ai Seminari specifici per i formatori, ai Corsi residenziali nazionali - area delle competenze di base e ai Progetti internazionali; ancora in modo abbastanza soddisfacente, anche se in misura leggermente inferiore, viene valutata la partecipazione alle Attività formative con FONDER, ai Seminari tematici legati ad eventi esterni ed ai Convegni promossi dalla CISI. Infine, è poco soddisfacente per gli intervistati la partecipazione dei formatori ai corsi FAD. Tav. 20 – Valutazione della qualità della partecipazione ai corsi di Formazione in servizio Legenda: M=Media; DS=Deviazione Standard In particolare (cfr. Tav. 21), per quanto riguarda la qualità della partecipazione da parte dei formatori ai corsi residenziali regionali/locali, il 47,5% degli intervistati dichiara che è “abbastanza soddisfacente” e il 27,1% che è “molto soddisfacente”. L’area della soddisfazione è più diffusa fra gli intervistati del Nord. Qualità della partecipazione a: N Min. Max. M DS Corsi residenziali regionali/locali 46 1 4 3,28 0,621 Apporto tecnologico e formativo delle imprese al settore/area 5 2 4 3,20 0,837 Seminari per il personale direttivo 48 1 4 3,17 0,724 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze tecnico professionali 55 1 4 3,16 0,660 Seminari per i formatori 50 1 4 3,16 0,710 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze di base 52 1 4 3,02 0,610 Progetti internazionali (mobilità) 16 1 4 3,00 0,816 Attività formative con FONDER 28 1 4 2,96 0,637 Seminari tematici legati ad eventi esterni 34 1 4 2,88 0,729 Convegni promossi dalla CISI 29 1 4 2,86 0,639 Corsi FAD 27 1 3 2,33 0,679 157 In riferimento alla qualità della partecipazione ai seminari per il personale direttivo, gli intervistati si dichiarano abbastanza soddisfatti nel 47,5% dei casi con percentuali più elevate al Nord. Per quanto concerne la valutazione della partecipazione ai Corsi residenziali nazionali - area delle competenze tecnico professionali, si dichiara abbastanza soddisfatto il 51,4% degli intervistati. L’area della soddisfazione è più estesa al Nord. Il 42,9% degli intervistati si dichiara abbastanza soddisfatto della partecipazione dei formatori ai Seminari specifici per i formatori e, anche in questo caso, si dichiarano più soddisfatti i rispondenti del Nord. Stessa tendenza per quanto riguarda la qualità della partecipazione ai Corsi residenziali nazionali - area delle competenze di base: è valutata in modo abbastanza soddisfacente dal 55,7% degli intervistati, con proporzioni più evidenti fra gli intervistati del Nord. Per quanto riguarda la partecipazione ai Progetti internazionali buona parte dei rispondenti (15,3%) la valuta in modo abbastanza soddisfacente, in particolar modo al Nord e al Centro, ma in questo caso sono da tenere presenti le elevate percentuali di rispondenti che non hanno risposto e che non dovevano rispondere avendo indicato che nessuno dei formatori ha partecipato a questo specifico tipo di attività. Relativamente alle Attività formative con FONDER, si dichiarano abbastanza soddisfatti il 33,9% degli intervistati e l’area di maggiore soddisfazione, in questo caso, è il Centro. Il 31,4% dei rispondenti è abbastanza soddisfatto anche della partecipazione ai Seminari tematici legati ad eventi esterni, specialmente gli intervistati del Nord. Per quanto riguarda la partecipazione ai Convegni promossi dalla CISI il 33,9% dei rispondenti si dichiara abbastanza soddisfatto, in maniera trasversale alle diverse aree geografiche. Infine, per il 20,3% degli intervistati la partecipazione dei formatori ai corsi FAD è abbastanza soddisfacente e, allo stesso tempo, per una quota altrettanto numerosa tale partecipazione è giudicata, invece, poco soddisfacente. Da notare che al Sud si concentra il maggior numero di mancate risposte registrate per questa domanda. Per quanto concerne il ruolo, complessivamente i Direttori dei CFP si dichiarano abbastanza soddisfatti della partecipazione alle attività di Formazione in servizio, come anche i Delegati che lo sono particolarmente in merito a seminari di vario tipo (per i formatori, per il personale direttivo, tematici esterni) e ai convegni promossi dalla CISI. Allo stesso tempo, i Direttori sembrano essere i più critici nell’esprimere scarsa soddisfazione in merito alla partecipazione ai corsi FAD. Inoltre, i laici appaiono complessivamente abbastanza soddisfatti della partecipazione a tutte le attività di tipo seminariale, mentre i Salesiani si dichiarano abbastanza soddisfatti di quella relativa ai corsi regionali/locali, ai progetti internazionali e ai convegni CISI. Una precisazione è necessaria per quanto riguarda l’apporto tecnologico e formativo delle imprese al settore/area: si tratta di domande rivolte soltanto ai Segre- 158 Tav. 21 – Qualità della partecipazione ai diversi corsi di Formazione in servizio Legenda: M =Media; VA=valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata; ND=Risposta non dovuta Qualità della partecipazione a: M Nessuno ha partecipato Insoddisfacente Poco soddisfacente Abbastanza soddisfacente Molto soddisfacente Non risponde Totale valido ND Totale Corsi residenziali regionali/locali 3,28 VA 8 1 1 28 16 5 59 11 70 % valida 11,4 1,4 1,4 40,0 22,9 7,1 84 15,7 100 % cum. 13,6 1,7 1,7 47,5 27,1 8,5 100 Apporto tecnologico e formativo delle imprese al settore/area 3,20 VA 1 1 2 2 5 11 59 70 % valida 9,1 9,1 18,2 18,2 45,5 100,0 % cum. 9,1 18,2 36,4 54,5 100,0 Seminari per il personale direttivo 3,17 VA 5 2 3 28 15 6 59 11 70 % valida 8,5 3,4 5,1 47,5 25,4 10,2 100,0 % cum. 8,5 11,9 16,9 64,4 89,8 100,0 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze tecnico professionali 3,16 VA 7 2 2 36 15 8 70 % valida 10,0 2,9 2,9 51,4 21,4 11,4 100,0 % cum. 10,0 12,9 15,7 67,1 88,6 100,0 Seminari per i formatori 3,16 VA 11 2 3 30 15 9 70 % valida 15,7 2,9 4,3 42,9 21,4 12,9 100,0 % cum. 15,7 18,6 22,9 65,7 87,1 100,0 Corsi residenziali nazionali - area delle competenze di base 3,02 VA 8 2 3 39 8 10 70 % valida 11,4 2,9 4,3 55,7 11,4 14,3 100,0 % cum. 11,4 14,3 18,6 74,3 85,7 100,0 Progetti internazionali (mobilità) 3,00 VA 29 1 2 9 4 14 59 11 70 % valida 49,2 1,7 3,4 15,3 6,8 23,7 100,0 % cum. 49,2 50,8 54,2 69,5 76,3 100,0 Attività formative con FONDER 2,96 VA 20 1 3 20 4 11 59 11 70 % valida 33,9 1,7 5,1 33,9 6,8 18,6 100,0 % cum. 33,9 35,6 40,7 74,6 81,4 100,0 Seminari tematici legati ad eventi esterni 2,88 VA 18 2 5 22 5 18 70 % valida 25,7 2,9 7,1 31,4 7,1 25,7 100,0 % cum. 25,7 28,6 35,7 67,1 74,3 100,0 Convegni promossi dalla CISI 2,86 VA 17 1 5 20 3 13 59 11 70 % valida 28,8 1,7 8,5 33,9 5,1 22,0 100,0 % cum. 28,8 30,5 39,0 72,9 78,0 100,0 Corsi FAD 2,33 VA 21 3 12 12 11 59 11 70 % valida 35,6 5,1 20,3 20,3 18,6 100,0 % cum. 35,6 40,7 61,0 81,4 100,0 159 tari nazionali che, nello specifico, si distribuiscono equamente (27,3%) fra “nessuno” ha partecipato, “meno della metà” ha partecipato e la mancata risposta. Tuttavia, per quanto riguarda la valutazione della qualità della partecipazione all’apporto tecnologico, quanti hanno deciso di rispondere si dichiarano abbastanza (18,2%) o molto soddisfatti (18,2%). Per quanto concerne gli anni di esperienza da rilevare, anche nel caso della valutazione della qualità della partecipazione, la maggiore concentrazione di mancate risposte fra gli intervistati con minore esperienza. Tendenzialmente gli intervistati con più esperienza mostrano una maggiore soddisfazione circa la qualità della partecipazione alle attività di Formazione in servizio. Tendenza che si conferma in riferimento all’età dei rispondenti: fra gli ultracinquantenni la percentuale di soddisfazione è maggiore (specialmente in riferimento alle attività di tipo seminariale). Sempre in riferimento alla valutazione della qualità della partecipazione, considerando il titolo di studio degli intervistati, i laureati, in generale, si dimostrano in proporzione meno soddisfatti (specialmente in riferimento alle diverse attività di tipo seminariale). Tav. 22 – Ostacoli alla partecipazione ai corsi di Formazione in servizio Legenda: Base dati N=70; la % non ha somma 100 perché erano ammesse più risposte; VA=Valore assoluto Agli intervistati è stato poi richiesto di indicare quali pensano possano essere gli elementi che fanno da ostacolo alla partecipazione dei formatori alle diverse attività di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale (cfr. Tav. 22). Sulla base delle risposte più frequenti i maggiori ostacoli per la partecipazione dei formatori sembrerebbero essere elementi che, per lo più, hanno a che fare con la mancanza o comunque l’insufficienza di personale interno (con contratto a tempo indeterminato o determinato) e con il carico eccessivo di lavoro sui singoli operatori, che per queste ragioni non possono usufruire delle diverse proposte di Formazione in servizio. A seguire, si rintracciano motivazioni che hanno a che fare con la programmazione temporale e la rigidità degli orari di svolgimento delle diverse ini - ziative. Piuttosto consistenti in termini di frequenza anche i riferimenti alla scarsa Ostacoli alla partecipazione: VA % valida Insufficienza del personale interno del CFP che impedisce la partecipazione 37 52,9 Eccessivo carico di lavoro personale 31 44,3 Incompatibilità rispetto alle date programmate 23 32,9 Rigidità dell'orario del corso 11 15,7 Mancanza di finalizzazione alla carriera 10 14,3 Scarsa sensibilità della dirigenza 7 10,0 Mancata finalizzazione alla definizione dei ruoli/compiti da svolgere nel centro 7 10,0 Scarso interesse dei partecipanti verso gli argomenti/tematiche trattate 6 8,6 Assenza di incentivi economici per i partecipanti ai corsi 6 8,6 Scarsa praticità e/o eccessiva astrattezza dei contenuti dei corsi 4 5,7 Basso livello contenutistico dei corsi 1 1,5 Scarsa preparazione dei docenti dei corsi 0 0,0 Carenze metodologiche da parte dei docenti dei corsi 0 0,0 160 finalizzazione alla progressione di carriera delle iniziative di formazione, alla scarsa finalizzazione alla definizione di ruoli e compiti da svolgere nei CFP e il riferimento ad una scarsa sensibilità della dirigenza. Non sono stati, invece, indicati da nessuno degli intervistati, problemi che possono avere a che fare con la preparazione e il livello di autorevolezza dei docenti dei diversi corsi di Formazione in servizio. Gli intervistati, nel caso di questa domanda, hanno in buona misura approfittato della possibilità di specificare altri eventuali ostacoli alla partecipazione ai corsi di Formazione in servizio e nella Tavola 23 sono riportati, in sintesi, i risultati della ricodifica effettuata a posteriori di tali specifiche. Tav. 23 – Specifica di altri eventuali ostacoli alla partecipazione ai corsi di Formazione in servizio Legenda: VA=Valore assoluto In dettaglio, i problemi relativi all’insufficienza del personale interno al CFP e all’assenza di incentivi economici sono particolarmente sentiti al Centro e al Sud. Le problematiche, invece, connesse con l’eccessivo carico di lavoro personale, la rigidità degli orari, delle date e della logistica dei corsi in generale, nonché lo scarso interesse dei partecipanti verso le tematiche dei corsi, sono maggiormente avvertite al Nord, a seguire al Centro, infine al Sud. La mancanza di finalizzazione alla carriera è trasversalmente riconosciuta come un ostacolo nelle diverse aree geografiche; la scarsa praticità è considerata un ostacolo esclusivamente al Nord e il basso livello contenutistico dei corsi lo è esclusivamente al Sud. Interessante notare come la scarsa sensibilità della dirigenza e la mancata finalizzazione alla definizione dei ruoli siano ostacoli indicati, per lo più, dai Segretari nazionali. Anche nel caso della percezione degli eventuali ostacoli, il giudizio dei Direttori sembra essere più vicino alla realtà concreta vissuta nei diversi CFP, questi si dimostrano, infatti, più sensibili, insieme ai Delegati, agli ostacoli di carattere più spiccatamente pratico connessi con la gestione della partecipazione alle attività di formazione, compatibilmente con le esigenze organizzative dei diversi centri. L’influenza sul giudizio dello status salesiano/laico è coerente con la composizione in prevalenza laica del sub-campione di Direttori dei CFP. Per quanto riguarda gli eventuali ostacoli, si noti come fra gli intervistati con meno anni di esperienza tendenzialmente non vengono indicati elementi che possono avere a che fare con la dirigenza e con i contenuti dei corsi. Per quanto riguarda l’età degli intervistati, i più giovani sono più sensibili alle questioni econo- Specifica di altri eventuali ostacoli alla partecipazione VA Problemi relativi alla gestione del personale 9 Problemi relativi agli impegni familiari degli operatori 6 Problematiche peculiari del CNOS Sicilia 3 Problematiche relative alle diversità regionali dei diversi CFP 1 161 miche, gli adulti agli aspetti organizzativi delle attività (date e orari), mentre i più maturi denunciano scarsa sensibilità della dirigenza. Infine, relativamente al titolo di studio degli intervistati i diplomati sembrano preoccupati circa l’eccessivo carico di lavoro personale, mentre i laureati in generale sono più sensibili agli aspetti legati ai contenuti dei corsi, all’interesse dei partecipanti e, di nuovo, alla sensibilità della dirigenza. La partecipazione alle diverse proposte e opportunità di Formazione in servizio (cfr. Tav. 24) è quasi sempre concordata con il Direttore e/o con lo staff di direzione (85,7%) specialmente al Nord, a detta principalmente dei Direttori e dei laici. Gli intervistati si dichiarano essenzialmente soddisfatti della Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale: il 51,4% è abbastanza soddisfatto, il 35,7% è molto soddisfatto, mentre solo il 2,8% si dichiara apertamente poco o per nulla soddisfatto e il 10% degli intervistati decide di non rispondere a questa domanda (cfr. Tavv. 25 e 26). Questa situazione si individua specialmente al Nord, secondo l’opinione in particolare dei Direttori e dei laici. In funzione dell’età e del titolo di studio non si individuano differenze significative fra gli intervistati, mentre è da segnalare il fatto che l’area della soddisfazione sia più ampia fra gli intervistati con minore esperienza professionale. Tav. 24 – Tipo di partecipazione alle attività di Formazione in servizio Legenda: VA=Valore assoluto Tav. 25 – Soddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale CNOS-FAP Legenda: VA=Valore assoluto; % cum.=Percentuale cumulata Tav. 26 – Valutazione della soddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale CNOS-FAP Legenda: M=Media; DS=Deviazione Standard Tipo di partecipazione alle attività di Formazione in servizio VA % valida Non risponde 4 5,7 Volontaria 1 1,4 Concordata con il Direttore e/o con lo staff di direzione 60 85,7 Decisa dall'associazione CNOS-FAP regionale 5 7,1 Totale 70 100,0 Quanto è soddisfatto della Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale CNOS-FAP VA % valida % cum. Non risponde 7 10,0 10,0 Per nulla soddisfatto 1 1,4 11,4 Poco soddisfatto 1 1,4 12,9 Abbastanza soddisfatto 36 51,4 64,3 Molto soddisfatto 25 35,7 100,0 Totale 70 100,0 Statistiche descrittive N Min. Max. M DS Soddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale 66 1 4 3,33 0,591 162 Agli intervistati che hanno espresso un giudizio negativo veniva richiesto nel questionario di specificarne le ragioni (cfr. Tav. 27), che essenzialmente si concentrano sulla scarsa significatività dei corsi, la scarsa incidenza nella concreta prassi formativa dei formatori, il mancato conseguimento degli obiettivi formativi e la limitata trasferibilità nel proprio CFP degli elementi costitutivi dell’offerta di Formazione in servizio. Tav. 27 – Motivi di insoddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale CNOS-FAP Legenda: Base dati N=70; la % non ha somma 100 perché erano ammesse più risposte; VA=Valore assoluto La scarsa significatività dei contenuti e la scarsa incidenza nella prassi formativa vengono parimenti indicate al Nord e al Sud, mentre il mancato conseguimento degli obiettivi e la limitata trasferibilità nei CFP sono motivo di insoddisfazione prevalentemente al Sud. In riferimento a ruolo e status non si notano differenze significative nella distribuzione di frequenza delle risposte. Differenze che si rilevano, invece, in riferimento agli anni di esperienza: chi ne ha da 7 a 10 è preoccupato circa la limitata trasferibilità e la scarsa incidenza sulla prassi formativa, mentre chi ne ha da 1 a 6 tiene in considerazione il mancato conseguimento degli obiettivi e la scarsa significatività dei contenuti. In parte queste tendenze si confermano studiando le differenze per età fra gli intervistati: i rispondenti di età fino a 60 anni giudicano scarsamente significativi e con una scarsa ricaduta nelle prassi formativa i contenuti dei corsi. In generale, gli intervistati con più esperienza si dimostrano più critici rispetto a quelli con meno esperienza. Gli intervistati in possesso di una laurea civile, infine, sono i principali portatori di giudizio negativo in merito agli elementi considerati finora. Allo stesso modo, nel questionario veniva richiesto agli intervistati di specifica - re le ragioni del loro giudizio positivo in merito alla Formazione in servizio dei formatori offerta dalla Sede Nazionale (cfr. Tav. 28). Il principale motivo di soddisfazione riguarda la significatività dei contenuti proposti nelle diverse attività, indicato dall’80,6% degli intervistati; a seguire, si individuano motivazioni legate all’idoneità della docenza (46,8%), alla trasferibilità nel proprio CFP (45,2%) e al conse- Ragioni del giudizio negativo: VA % valida La scarsa significatività dei contenuti proposti 2 50,0 La scarsa incidenza nella prassi formativa dei formatori 2 50,0 Il mancato conseguimento degli obiettivi 1 25,0 La limitata trasferibilità nel proprio CFP 1 25,0 L'inefficacia delle metodologie didattiche 0 0,0 L'inadeguatezza delle attrezzature e delle tecnologie didattiche 0 0,0 La scarsa validità dei sussidi didattici 0 0,0 La poca idoneità della docenza 0 0,0 La mancanza di partecipazione dei corsisti 0 0,0 L'inefficienza organizzativa 0 0,0 La insoddisfacente ospitalità 0 0,0 163 guimento degli obiettivi formativi (41,9%). Buona parte degli intervistati indica, poi, come ulteriori motivi di soddisfazione da un lato l’incidenza nella prassi formativa dei formatori (30,6%) e la partecipazione dei corsisti stessi (29%), dall’altro l’efficienza organizzativa (29%) e l’ospitalità (21%). Infine, si rilevano ragioni di soddisfazione connesse con la metodologia didattica (12,9%), le attrezzature (12,9%) e i diversi sussidi didattici (6,5%) a disposizione per la Formazione in servizio. Importante sottolineare come fra i motivi di soddisfazione sia stata indicata anche la possibilità di entrare in contatto e scambiare esperienze con i formatori di altri CFP durante i corsi di Formazione in servizio (cfr. Tav. 29). Anzi, l’esigenza di interscambio e collaborazione fra realtà diverse è una dimensione che emerge anche in risposta ad altre domande del questionario, quindi, sembra essere una istanza da non sottovalutare e da valorizzare per il futuro. Tav. 28 – Motivi di soddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale CNOS-FAP Legenda: Base dati N=70; la % non ha somma 100 perché erano ammesse più risposte; VA=Valore assoluto Tav. 29 – Specifica di altri motivi di soddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale CNOS-FAP Legenda: VA=Valore assoluto Nel dettaglio, al Centro e al Nord, sono prevalentemente motivo di soddisfazione gli aspetti pratici, concreti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nel proprio CFP, l’adeguatezza delle attrezzature e delle tecnologie didattiche e la validità dei sussidi didattici, nonché l’efficienza organizzativa e l’ospitalità. Il conseguimento degli obiettivi e, quindi, l’efficacia delle metodologie didattiche sono indicate come motivo di soddisfazione prevalentemente al Sud e al Nord, così come l’incidenza nella prassi formativa dei formatori. Ragioni del giudizio positivo: VA % valida La significatività dei contenuti proposti 50 80,6 La idoneità della docenza 29 46,8 La trasferibilità nel proprio CFP 28 45,2 Il conseguimento degli obiettivi 26 41,9 La incidenza nella prassi formativa dei formatori 19 30,6 La partecipazione dei corsisti 18 29,0 L'efficienza organizzativa 18 29,0 L'ospitalità 13 21,0 L'efficacia delle metodologie didattiche 8 12,9 L'adeguatezza delle attrezzature e delle tecnologie didattiche 8 12,9 La validità dei sussidi didattici 4 6,5 Ragioni del giudizio positivo: Altro VA La temporalità dei corsi 1 Scambio di esperienze durante il corso con altri formatori 1 164 La stessa partecipazione dei corsisti è motivo di soddisfazione prevalentemente al Nord e al Sud. Con riferimento ai ruoli, il giudizio dei Direttori, complessivamente, si avvicina molto a quello dei Segretari nazionali. È interessante notare, inoltre, come i Segretari nazionali esprimano soddisfazione per lo più in merito agli elementi concreti maggiormente legati alla docenza, ai contenuti e alle metodologie e tecnologie didattiche, nonché alla partecipazione stessa da parte dei corsisti. L’influenza dello status si rispecchia nell’andamento delle risposte espresse dai Direttori dei CFP (prevalentemente laici), dai Segretari nazionali (quasi tutti laici) e dei Delegati regionali (tutti Salesiani). Per quanto riguarda l’esperienza, si noti come i più esperti motivano il loro giudizio positivo attraverso ragioni che hanno a che fare con i contenuti dei corsi, i sussidi didattici, l’idoneità della docenza, il conseguimento degli obiettivi formativi e la trasferibilità nei CFP. I più giovani in termini di età sono attenti al - l’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche, alla partecipazione dei corsisti e al conseguimento degli obiettivi formativi, mentre i più anziani considerano maggiormente l’idoneità della docenza e l’efficacia delle metodologie didattiche, all’insegna di quella che sembra delinearsi come una sorta di contrapposizione fra didattica tradizionale e didattica innovativa. Anche in riferimento al titolo di studio degli intervistati si rilevano tendenziali differenze: i diplomati legano il loro giudizio positivo ad aspetti concreti di efficienza/efficacia della didattica, delle attrezzature, dei sussidi, dell’organizzazione stessa delle attività, di significatività dei contenuti, della loro trasferibilità e del conseguimento degli obiettivi formativi, mentre i laureati, in generale, sembrano più concentrati sulle possibili e auspicabili ricadute sulla prassi formativa e sulla partecipazione stessa dei corsisti. 5. PUNTI DI FORZA E DI CRITICITÀ: UN BILANCIO Una sola domanda, ma molto articolata, ha sollecitato gli intervistati ad ef - fettuare un bilancio delle attività di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale. Le risposte verranno presentate in due momenti: prima si ragionerà sui totali e poi questi saranno approfonditi in relazione alle diverse categorie in cui si distribuisce il campione. Nel complesso i risultati sono sostanzialmente positivi: la valutazione espressa dalla media ponderata non scende mai al di sotto dell’abbastanza soddisfatti; al tempo stesso non si può trascurare che in genere i dati non si collocano sul molto o in prossimità di esso (cfr. Tav. 30). Un aspetto riceve un giudizio che si colloca quasi tra molto e abbastanza: il “clima” del corso (collaborazione, impegno...) (M: 3,46; molto: 42,9%). Inoltre, si avvicinano a questo risultato le alternative quali: la competenza e l’autorevolezza 165 Tav. 30 – Valutazione della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale (dom. 10 - in %; in M e in graduatoria sulla M) Legenda: M=Media ponderata; VA=Valore assoluto; NR=Non risponde Qualità della Formazione in servizio M In VA e % NR Insoddisfacente Poco soddisfacente Abbastanza soddisfacente Molto soddisfacente VA % VA % VA % VA % VA % “Clima” del corso 3,46 7 10,0 0 0,0 1 1.4 32 45,7 30 42,9 Competenza e autorevolezza dei docenti 3,38 7 10,0 0 0,0 0 0,0 39 55,7 24 34,3 Disponibilità a fornire chiarimenti da parte dei docenti 3,38 7 10,0 0 0,0 0 0,0 39 55,7 24 34,3 Significatività dei contenuti dei corsi 3,35 7 10,0 1 1,14 1 1,14 36 51,4 25 35,7 Efficienza organizzativa (orari, ospitalità, luogo…) 3,29 7 10,0 0 0,0 4 5,7 37 52,9 22 31,4 Chiarezza nell’esposizione degli argomenti 3,27 7 10,0 0 0,0 1 1,4 44 62,9 18 25,7 Personale coinvolgimento nei corsi da parte dei formatori 3,19 7 10,0 0 0,0 7 10,0 37 52,9 19 27,1 Adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali 3,14 7 10,0 0 0,0 4 5,7 46 65,7 13 18,6 Raggiungimento degli obiettivi formativi 3,11 7 10,0 1 1,4 2 2,9 49 70,0 11 15,7 Grado di approfondimento degli argomenti e dei temi 3,06 7 10,0 0 0,0 5 7,1 49 70,0 9 12,9 Efficacia della metodologia didattica 3,06 8 11,4 0 0,0 7 10,0 44 62,9 11 15,7 Soddisfazione delle attese formative 3,02 7 10,0 1 1,4 3 4,3 53 75,7 6 8,6 166 dei docenti e la loro disponibilità a fornire chiarimenti (in ambedue i casi, 3,38; 34,3%); la significatività dei contenuti (3,35; 35,7%). A sua volta, un gruppo di caratteristiche della Formazione in servizio del CNOS-FAP ottiene una valutazione più che sufficiente. Anzitutto, si tratta dell’efficienza organizzativa (orari, ospitalità, luogo...) (3,29; 41,4%) e della chiarezza nell’esposizione degli argomenti da parte dei docenti dei corsi (3,27; 25,7%). Seguono a una qualche distanza: il personale coinvolgimento nei corsi da parte dei formatori (3,19; 27,1%); l’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali del corso (3,14; 18,6%); il raggiungimento degli obiettivi formativi (3,11; 15,7%). Il giudizio coincide sostanzialmente con la sufficienza su tre aspetti. Due presentano una stessa media, mentre si diversificano quanto alla percentuale del molto: l’efficacia della metodologia didattica (3,06; 15,7%) e la soddisfazione delle attese formative (3,06; 12,9%). L’ultimo posto è occupato dalla soddisfazione delle attese formative (3,02; 8,6%). Infine, meraviglia che 7 intervistati (10%) non rispondano alle domande e che nel caso dell’item “Efficacia della metodologia didattica” salgono a 8 (11,4%). Infatti, si tratta di operatori che per il loro ruolo conoscono la situazione e sono interessati ai problemi che vengono sollevati dalle domande. Il secondo momento dell’analisi dei risultati si basa sugli incroci con variabili significative quali, come si è specificato sopra, l’età, lo stato ecclesiale, la residenza, il titolo di studio, il ruolo e l’esperienza professionale degli intervistati5. Iniziando con l’età, una tendenza comune ai vari item è quella che vede raggrupparsi gli intervistati che non rispondono – generalmente 5 su 7 – tra i più giovani, cioè nella coorte 31-50 anni: l’andamento, anche se si può capire, non appare legittimamente fondato perché nessuno degli intervistati per la sua posizione ed esperienza sembrerebbe mancare di un minimo di conoscenza della FP del CNOSFAP. L’altro andamento che si riscontra evidenzia tra i gruppi di età meno giovani percentuali più elevate di soddisfazione per la Formazione in servizio del CNOSFAP; ciò si può spiegare con la maggiore esperienza e competenza di queste categorie ed essere interpretato come una prova a favore della validità dell’offerta della Sede Nazionale. Va comunque precisato che in due casi la crescita nell’apprezzamento viene solo dalla coorte 51-60 e si tratta dell’efficienza organizzativa e dell’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali. Altra variabile significativa da considerare nella FP del CNOS-FAP e anche tipica di essa è costituita dallo stato ecclesiale di laico o salesiano del personale. Un andamento che emerge dal confronto e che meraviglia è la concentrazione degli intervistati che non rispondono tra i Salesiani che in linea di principio dovrebbero essere meglio informati della situazione e più interessati a prendere posizione sulle 5 In generale, ci si soffermerà solo su quelle variabili il cui utilizzo statistico nell’esame delle domande porta a risultati di una qualche rilevanza. 167 domande. Inoltre, tutte le dimensioni della Formazione in servizio del CNOS-FAP ricevono un apprezzamento più elevato dai laici che non dai Salesiani che, pertanto, risultano più critici nei confronti della Formazione delle loro Opere educative. Riguardo agli incroci con la circoscrizione geografica in cui si svolge la propria attività professionale, va anzitutto ricordato che tale informazione non è stata richiesta ai Segretari nazionali in quanto essi esercitano il loro ruolo in tutto il territorio italiano e non in un determinato Centro o Regione. Anche in questo caso si notano due tendenze: una vede il numero degli intervistati che non rispondono aumentare man mano che si passa dal Nord – dove non si riscontrano affatto – al Centro e al Sud; l’altra, con la progressione opposta sul territorio, cioè dal Meridione al Settentrione, vede crescere l’apprezzamento per i vari aspetti della qualità delle attività di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale del CNOSFAP. Il titolo di studio trova gli intervistati che non rispondono divisi quasi equamente tra i possessori di lauree civili e di lauree ecclesiastiche, mentre nessuno dei diplomati si sottrae alle domande. A loro volta, le valutazioni più positive si riscontrano nell’ultima delle categorie citate, mentre l’apprezzamento tende a scendere passando alle lauree civili e ancor di più a quelle ecclesiastiche, ma in quest’ultimo caso ci potrebbe essere un influsso dello stato salesiano del rispondente che, come si è visto sopra, si accompagna a una crescita nella criticità dei giudizi. Passando poi agli incroci con il ruolo degli inchiestati, emerge che l’assenza di risposta si concentra tra i Direttori dei CFP e soprattutto – proporzionalmente – tra i Delegati regionali, mentre nessuno dei Segretari nazionali si sottrae alle domande: non è difficile vedere in questo esito la concomitanza di una presenza esclusiva dei Salesiani tra i Delegati e di una consistente tra i Direttori da una parte e dall’altra di quella assolutamente preponderante dei laici tra i Segretari. La stessa relazione potrebbe spiegare la crescita dell’apprezzamento per i vari aspetti della Formazione in servizio del CNOS-FAP tra i Segretari, la maggiore criticità dei Delegati e la posizione intermedia tendente al positivo riscontrabile tra i Direttori. Il confronto con gli anni di esperienza professionale evidenzia due andamenti presenti pressoché in tutte le alternative. La tendenza a non rispondere alla domanda si concentra tra quanti esercitano da meno tempo il loro attuale ruolo, cioè tra gli intervistati che dichiarano un periodo di servizio tra 1 e 6 anni o inferiore a 1. È un atteggiamento questo che si comprende ma che, a nostro giudizio, è difficile da giustificare: anche gli intervistati che svolgono il loro attuale ruolo da non molto tempo possono tuttavia contare su una esperienza, certamente non breve, dei centri del CNOS-FAP. L’altro andamento mostra che la percentuale di coloro che valutano positivamente la Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP cresce tra chi può vantare una esperienza più lunga. Dato che chi ha più esperienza, è più competente e quindi il suo apprezzamento ha una maggiore rilevanza, se quanti si trovano in questa condizione aumentano, il segnale non può che essere favorevole. 168 6. RICADUTA DELLA FORMAZIONE IN SERVIZIO SULLE ATTIVITÀ DEL CNOS-FAP Anche in questo caso la prima domanda comprende una pluralità di alternative ognuna delle quali pone degli interrogativi complessi. Come sopra, le risposte saranno esaminate sotto due prospettive: anzitutto si analizzeranno i totali e in un secondo momento questi verranno approfonditi sulla base di diversi incroci con variabili significative. Se la qualità della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP aveva ottenuto globalmente una valutazione di sufficienza che in qualche caso si era spostata in direzione dell’ottimo, la sua ricaduta sulle attività dei CFP dell’Ente riceve nel complesso un giudizio inferiore, che tende a situarsi al di sotto della sufficienza e riguardo a determinati aspetti si colloca anche tra l’abbastanza e il poco (cfr. Tav. 31). La valutazione coincide o quasi con la sufficienza riguardo a quattro dimensioni. In primo luogo viene la ricaduta sulla crescita personale dei formatori (M: 3,10; molto + abbastanza6: 80,0%), un risultato che fa onore al CNOS-FAP, cioè alla visione personalista e non funzionale dei propri collaboratori. Ottiene una considerazione simile, benché leggermente inferiore, l’impatto sulla dimensione professionale dell’attività dei formatori e più specificamente sull’uso dei nuovi strumenti e delle tecnologie didattiche (3,08; 77,1%), sulle competenze didattiche e pedagogiche (2,98; 78,6%) e sul lavoro in équipe (2,97; 71,4%). Un altro gruppo di dimensioni riceve un giudizio che si avvicina alla sufficienza. Si collocano in questo ambito le ricadute su tre categorie di relazioni: con gli allievi (2,92; 60%), tra salesiani e laici (2,89; 64,3%) e con il territorio e il mondo produttivo (2,79; 64,3%). Anche l’impatto sulla prassi educativa salesiana (for - mazione etico-religiosa e sistema preventivo) e quello sugli apprendimenti non riescono ad ottenere una valutazione piena di abbastanza soddisfacente (rispetti - vamente 2,85 e 61,4%; 2,76 e 65,7%). Successivamente, la media si sposta verso l’insufficienza, sebbene ancora risulti leggermente superiore a una collocazione a mezza strada tra abbastanza e poco. Anche in questo caso si tratta di relazioni, ma di altro tipo: con le famiglie (2,73; 52,8%), con le altre scuole/centri (2,66; 54,3%), e inoltre del contributo alla soluzione dei problemi generali della FP e locali del singolo centro (2,64: 52,8%). Le non risposte sono maggiori che nel caso precedente e salgono a 8, 9 e perfino a10. Passando al secondo momento dell’analisi, si procederà ad un approfondimento dei risultati appena richiamati, incrociando i totali con caratteristiche rilevanti degli intervistati. 6 In questo caso, come nei successivi, si utilizza anche l’abbastanza perché le percentuali del molto sono generalmente poco consistenti per cui le differenze tendono ad annullarsi. 169 Tav. 31 – Impatto/ricaduta della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale (dom. 11 - in %; in M e in graduatoria sulla M) Legenda: M=Media ponderata; VA=Valore assoluto; NR=Non risponde Ricaduta della Formazione in servizio M In VA e % NR Insoddisfacente Poco soddisfacente Abbastanza soddisfacente Molto soddisfacente VA % VA % VA % VA % VA % Crescita personale umana dei formatori 3,10 8 11,4 1 1,4 5 7,1 43 61,4 13 18,6 Nuovi strumenti/tecnologie didattiche 3,08 8 11,4 2 2,9 6 8,6 39 55,7 15 21,4 Competenze didattiche e pedagogiche dei formatori 2,98 8 11,4 1 1,4 6 8,6 48 68,6 7 10,0 Lavoro in équipe 2,97 8 11,4 1 1,4 11 15,7 39 55,7 11 15,7 Relazioni con gli allievi 2,92 10 14,3 1 1,4 17 24,3 28 40,0 14 20,0 Relazioni tra salesiani e laici nel centro o nei centri 2,89 9 12,9 1 1,4 15 21,4 35 50,0 10 14,3 Prassi educativa salesiana 2,85 8 11,4 1 1,4 18 25,7 32 45,7 11 15,7 Relazioni con il mondo produttivo e il territorio 2,79 8 11,4 4 5,7 13 18,6 37 52,9 8 11,4 Apprendimento degli allievi 2,76 8 11,4 2 2,9 14 20,0 43 61,4 3 4,3 Relazioni con le famiglie 2,73 10 14,3 1 1,4 22 31,4 29 41,4 8 11,4 Relazioni con altre scuole/CFP 2,66 9 12,9 4 5,7 19 27,1 32 45,7 6 8,6 Soluzione dei problemi (generali della FP, in loco del CFP…) 2,64 9 12,9 3 4,3 21 30,0 32 45,7 5 7,1 170 Il confronto con l’età trova i più giovani meno positivi nel loro giudizio, oltre che maggioritari tra gli intervistati che non rispondono. A loro volta le due coorti più anziane esprimono valutazioni più favorevoli, soprattutto il gruppo oltre i 60 anni e tenuto conto della loro esperienza il loro giudizio è probabilmente più affi - dabile. L’incrocio con lo stato ecclesiale conferma l’andamento inatteso emerso nella domanda precedente della concentrazione della maggioranza delle non risposte tra i Salesiani che pure dovrebbero in linea di principio conoscere meglio la situazione ed essere più interessati a intervenire sulle varie questioni. Pure l’altra tendenza a una maggiore criticità dei Salesiani è presente nei relativi dati, anche se non con la chiarezza della domanda precedente in quanto si riscontra nei due terzi dei casi, mentre in due non si notano differenze rilevanti tra Salesiani e laici (la ricaduta sulla crescita personale umana dei formatori e quella sull’uso dei nuovi strumenti/ tecnologie didattiche) e in altre due i Salesiani sono più favorevoli (si tratta delle relazioni con gli allievi e di quelle salesiani/laici). L’applicazione ai totali della variabile circoscrizione geografica porta agli stessi risultati osservati nella domanda precedente. La percentuale degli intervistati che non rispondono aumenta passando dal Nord, in cui sono totalmente o quasi assenti, al Centro e al Sud. A loro volta, le valutazioni positive tendono a crescere nell’Italia Settentrionale e a diminuire in quella Centrale e soprattutto nel Meridione. L’andamento dei dati per effetto dell’incrocio con il titolo di studio ripete grosso modo quello che era emerso nella domanda precedente. I diplomati rispondono a tutte le alternative, mentre gli intervistati che si sottraggono alle domande si concentrano tra i laureati civili e percentualmente soprattutto tra i possessori di licenze ecclesiastiche. Inoltre, sono i primi ad esprimere giudizi più favorevoli – e in proposito va tenuta presente la loro condizione di laici che, come si è visto, si accompagna di solito a un livello più elevato di apprezzamento –, mentre la considerazione si abbassa tra gli altri due gruppi in cui maggiore è la presenza dei Salesiani, generalmente più critici, come si è già notato. Anche il confronto con la variabile di ruolo ripropone sostanzialmente le tendenze riscontrate nei dati già esaminati sopra. Nella gran maggioranza dei casi i Segretari nazionali non si sottraggono alle domande del questionario, mentre le non risposte si registrano tra i Direttori e in particolare tra i Delegati regionali. Questi ultimi sono anche i più severi nel loro giudizio, mentre i Segretari nazionali tendono a mostrarsi più positivi e i Direttori a posizionarsi in una collocazione vicina ai totali. Si è già ipotizzato che questo risultato dipenda dalla maggiore o minore presenza di Salesiani, in genere più severi, e dei laici, nell’insieme più positivi, nei tre gruppi. Da ultimo, l’incrocio con la durata dell’esperienza nell’attuale funzione evidenzia i due andamenti riscontrati nell’esame della domanda 10, sebbene non con la stessa chiarezza. Anzitutto, le non risposte tendono a concentrarsi tra le file di chi svolge il proprio ruolo da 1 a 6 anni e soprattutto tra chi lo esercita da meno di 171 un anno, mentre non si registrano tra quanti si collocano tra 7 e 10 e sono assolutamente marginali fra chi si situa oltre i 10. Inoltre, nei primi due gruppi si notano valutazioni più critiche che diventano più positive nelle altre due categorie. In proposito non bisogna dimenticare che i Salesiani sono maggiormente presenti nei due primi gruppi e i laici nei secondi due. Un indicatore importante dell’utilità della Formazione in servizio promossa dal CNOS-FAP consiste nella valorizzazione che gli operatori fanno delle risorse messe a disposizione a questo fine dalla Sede Nazionale. A tale tematica è dedicata una domanda in se stessa complessa e resa ancor di più tale da due strettamente ad essa collegate (cfr. Tav. 32). Tav. 32 – Valorizzazione da parte dei formatori delle risorse erogate dalla Sede Nazionale per la Formazione in servizio (dom. 15 - in VA e %; in M e in graduatoria sulla M) Legenda: M=Media ponderata; VA=Valore assoluto; NR=Non risponde L’interrogativo di base chiede in che misura i formatori utilizzino per la loro Formazione in servizio un insieme di risorse erogate dalla Sede Nazionale: il panorama che ne emerge è tutt’altro che entusiasmante in quanto in media nessuna viene valorizzata molto o abbastanza. Solo tre si collocano tra abbastanza e poco e in particolare si tratta del Concorso dei capolavori dei settori professionali (M: 2,62; molto + abbastanza 52,9%), della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP (2,59; 51,4%) e del sito del CNOS-FAP (2,57; 50%). Le altre tre risorse si situano prossime al poco o coincidono quasi con esso: la valorizzazione delle Newsletter ottiene una media di 2,33 (molto + abbastanza: 40%), le pubblicazioni e le ricerche 2,19 (25,8%) e la Rassegna CNOS 2,09 (27,1%). Ancora una volta stupisce la presenza non marginale di intervistati che non rispondono. Essi oscillano tra i 6 riguardo alla valorizzazione di Rassegna CNOS e delle Newsletter, ai 7 del Concorso dei capolavori e della ricerca sul successo formativo, agli 8 delle pubblicazioni e delle ricerche e ai 10 del sito. Risorse per la Formazione in servizio M In VA e % NR Per nulla Poco Abbastanza Molto VA % VA % VA % VA % VA % Gli standard che emergono dal Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali 2,62 7 10,0 7 10,0 19 27,1 28 40,0 9 12,9 Risultati della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP 2,59 7 10,0 8 11,4 19 27,1 27 38,5 9 12,0 Il sito www.CNOS-FAP.it 2,57 10 14,3 6 8,6 19 27,1 30 42,9 5 7,1 Le Newsletter 2,33 6 8,6 7 10,0 29 41,4 28 40,0 0 0,0 Pubblicazioni e ricerche 2,19 8 11,4 8 11,4 36 51,4 16 22,9 2 2,9 Rassegna CNOS 2,09 6 8,6 13 18,6 32 45,7 19 27,1 0 0,0 172 Passando ad esaminare i risultati sulla base degli incroci, emerge che la valorizzazione per la Formazione in servizio delle risorse erogate dalla Sede Nazionale è maggiore al Nord che non al Centro e al Sud. Inoltre, l’utilizzazione tende a crescere nella percezione dei laici, dei diplomati, dei Segretari nazionali e di quanti possiedono un’esperienza di ruolo più lunga; al contrario, l’uso delle opportunità elencate si riduce rispetto ai totali secondo il parere dei Salesiani, dei possessori di titoli ecclesiastici, dei Delegati regionali e di quanti non possono vantare una esperienza lunga della funzione esercitata. Forse si potrebbe prendere come più vicino alla realtà il convincimento di quanti sono più esperti e più competenti e quindi ritenere che la situazione sia più favorevole di quella descritta dai risultati generali: si tratta in ogni caso di un miglioramento che non incide sostanzialmente sul giudizio complessivo espresso di una valorizzazione nel complesso insufficiente. Da ultimo la presenza delle non risposte tende ad aumentare percentualmente tra i Salesiani, al Sud, tra i possessori di titoli ecclesiastici, i Delegati e chi ha una esperienza di ruolo più lunga, mentre il fenomeno opposto si riscontra tra i laici, al Nord, i diplomati, i Segretari nazionali e chi può vantare una esperienza più lunga della propria funzione. La ragione principale della modesta valorizzazione da parte dei formatori delle risorse erogate dalla Sede Nazionale per la Formazione in servizio viene identificata nella inadeguata loro socializzazione all’interno dei CFP: la segnalazione viene da oltre un terzo per quanto riguarda le Newsletter (38,7%), la Rassegna CNOS (35,5%) e le pubblicazioni/ricerche (33,9%), mentre la percentuale scende intorno a un quinto riguardo al sito (20,1%), ai risultati della ricerca sul successo formativo (19,4%) e al Concorso dei capolavori dei settori professionali (16,1%) (cfr. Tav. 33). Questa giustificazione chiama in causa la responsabilità di Direttori, Delegati e Segretari perché la socializzazione delle risorse della Formazione in servizio è anche e principalmente un loro compito. Un altro motivo è che non aiutano a risolvere i problemi concreti dei Centri: tale opinione è sostenuta da una percentuale che va da un quarto a un quinto in riferimento alla Rassegna CNOS (24,2%), alle pubblicazioni/ricerche (22,6%) e alle Newsletter (21%), ma scende attorno al 10% in relazione alla ricerca sul successo formativo (11,3%), al Sito (9,7%) e al Concorso nazionale dei capolavori (9,7%). Una terza motivazione, l’eccessiva teoricità delle risorse, riceve delle valutazioni molto differenti: il 30,6% nel caso della Rassegna CNOS e il 21% in merito alle pubblicazioni/ricerche, mentre non è neppure menzionata negli altri casi. Ancora minore consenso incontra la ragione del livello troppo elevato dell’offerta di formazione: neppure un quinto (19,2%) riguardo alla Rassegna CNOS, oltre il 10% in riferimento alle pubblicazioni/ricerche, mentre negli altri casi non è neppure presa in considerazione. Le altre motivazioni sono avanzate da minoranze marginali o da nessuno. La mancanza di aggiornamento non è menzionata da alcuno tranne che da un intervi- 173 Tav. 33 – Motivi della scarsa valorizzazione da parte dei formatori delle risorse erogate dalla Sede Nazionale per la Formazione in servizio (dom. 15.1 - in VA e %) Legenda: VA=Valore assoluto; NR=Non risponde Motivi Rassegna CNOS Le Newsletter Pubblicazioni e ricerche Sito www.CNOSFAP. it Risultati della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP Gli standard che emergono dal Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali VA % VA % VA % VA % VA % VA % NR 11 17,7 11 17,7 11 17,7 11 17,7 11 17,7 11 17,7 Troppo teoriche 19 30,6 0 0,0 13 21,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Di livello troppo elevato 12 9,4 0 0,0 8 12,9 0 0,0 0 0,0 3 4,8 Non aiutano a risolvere i problemi concreti del centro 15 24,2 13 21,0 14 22,6 6 9,7 7 11,3 6 9,7 Sono poco aggiornate 0 0,0 0 0,0 1 1,6 1 1,6 0 0,0 0 0,0 Non vengono adeguatamente socializzate all’interno dei CFP 22 35,5 24 38,7 21 33,9 13 21,0 12 19,4 10 16,1 Non aiutano a rispondere ai bisogni del territorio o del mondo produttivo 1 1,6 5 8,1 2 3,2 2 3,2 2 3,2 5 8,1 Non interessano gli amministratori locali 5 8,1 2 3,2 5 8,1 2 3,3 2 3,2 4 4,8 174 stato in merito alle pubblicazioni/ricerche. Percentuali inferiori al 5% ritengono che non aiutano a rispondere ai bisogni del territorio e del mondo produttivo o che non interessano gli amministratori locali. Si potrebbe anche volgere in positivo questi risultati e dire che le risorse in questione sono aggiornate, che contribuiscono a risolvere i problemi del contesto e del sistema produttivo e che hanno una loro significatività per gli amministratori locali. La presenza delle non risposte segue l’andamento evidenziato sopra riguardo alla domanda 15. Dal momento che non tutti gli incroci presentano un andamento univoco, nel prosieguo ci si limiterà a quelli da cui emergono tendenze sufficientemente chiare. I più giovani sottolineano in misura superiore il motivo secondo il quale le risorse elencate non risolvono i problemi dei Centri, mentre danno minore rilevanza alla ragione che fa riferimento alla inadeguata socializzazione dei risultati; l’andamento opposto si riscontra riguardo ai più anziani. La medesima polarizzazione, anche se meno accentuata si riscontra tra l’Italia Settentrionale e Meridionale da una parte e Centrale dall’altra. Questa volta lo stato ecclesiale non è discriminante. Il motivo che non risolvono i problemi dei Centri è sottolineato da quanti possiedono una laurea civile o ecclesiastica e dagli intervistati che hanno meno esperienze del ruolo; al contrario, riceve minore attenzione dai diplomati, dai Delegati regionali e dai Segretari nazionali. L’insufficiente socializzazione è accentuata dai possessori di lauree civili, dai Segretari nazionali e da chi può vantare una esperienza di ruolo più lunga, mentre l’andamento opposto si riscontra tra i possessori di titoli ecclesiastici, i Delegati regionali e chi ha una esperienza del proprio ruolo più breve. Passando all’ultima domanda sulle risorse, quella che presenta più forme di valorizzazione, sostenute da un consenso almeno intorno a un quinto degli intervistati7, è la ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP. Scendendo nel dettaglio, per il 30% circa degli intervistati i suoi risultati sono utilizzati nei rapporti con il mondo produttivo e il territorio (31,4%), nelle relazioni con gli amministratori locali (30%) e nella lettura personale (30%); per circa un quarto nelle riunioni degli organismi dei centri (27,1%), nella preparazione e accompagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro (25,7%) e nella progettazione formativa (24,3%); la percentuale scende a un quinto riguardo alla valutazione degli allievi (20%) e all’organizzazione di stage (20%); mentre solo nel caso della valorizzazione nella didattica dei formatori il consenso si abbassa sotto un quinto all’11,4% (cfr. Tav. 34). Al secondo posto si colloca il Concorso nazionale dei capolavori che viene utilizzato nella didattica dei formatori a parere di un terzo circa degli intervistati (32,9%), nella progettazione formativa secondo il 30% quasi (28,6%), nella valuta- 7 Ci è sembrata la percentuale minima per dare un fondamento quantitativo accettabile alle indicazioni degli intervistati. 175 Tav. 34 – Forme di valorizzazione da parte dei formatori delle risorse erogate dalla Sede Nazionale per la Formazione in servizio (dom. 16 - in VA e %) Legenda: VA=Valore assoluto; NR=Non risponde Modalità di valorizzazione delle risorse Rassegna CNOS Le Newsletter Pubblicazioni e ricerche Sito www.CNOSFAP. it La ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOSFAP Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali VA % VA % VA % VA % VA % VA % NR 14 18,6 14 18,6 14 18,6 14 18,6 14 18,6 14 18,6 Nella lettura personale 44 62,9 36 51,4 30 42,9 27 38,6 21 30.0 11 15,7 Nella didattica dei formatori 6 8,6 9 2,9 14 20,0 18 25,7 8 11,4 23 32,9 Nelle riunioni degli organismi dei centri 7 10,0 12 17,1 6 8,6 6 8,6 19 27,1 13 18,6 Nella progettazione formativa 9 12,9 4 5,7 19 27,1 15 21,4 17 24,3 20 28,6 Nella valutazione degli allievi 3 4,3 2 2,9 6 8,6 1 1,4 14 20,0 13 18,6 Nella preparazione e accompagnamento all’inserimento nel lavoro 4 5,7 1 1,4 11 15,7 6 8,6 18 25,7 6 8,6 Nell’organizzazione di stage 1 1,4 0 0,0 7 10.9 8 11,4 14 20,0 8 11,4 Nei rapporti con il mondo produttivo e il territorio 4 5,7 3 4,3 11 15,7 8 11,4 22 31,4 10 14,3 Nei rapporti con gli amministratori locali 12 17,1 5 7,1 10 14,3 7 10,0 21 30,0 11 15,7 Altro 3 4,3 2 2,8 2 2,8 2 2,8 2 2.8 2 2,8 176 zione degli allievi e nelle riunioni degli organismi dei Centri per un quinto circa (18,6%). Seguono le pubblicazioni/ricerche e il Sito che possono contare su tre modalità di utilizzazione che ottengono percentuali intorno a un quinto o superiori: le prime risorse sono valorizzate nella lettura personale con il 42,9% di segnalazioni, nella progettazione formativa con il 27,1% e nella didattica dei formatori con il 20%; la seconda nella lettura personale (38,6%), nella didattica dei formatori (25,7%) e nella progettazione formativa (21,4%). Nel caso della Rassegna CNOS e delle Newsletter solo una forma di valorizzazione consegue una percentuale almeno intorno a un quinto: la lettura personale (62,9% e 51,4%). Venendo agli incroci, le forme di valorizzazione delle risorse sono più diffuse al Nord e meno al Centro e al Sud. La loro percezione risulta maggiore tra i laici che fra i Salesiani, tra i diplomati che fra i possessori di lauree civile, tra i Segretari nazionali che tra i Delegati e aumenta passando dagli intervistati con una esperienza più breve del ruolo a quelli con un’esperienza più lunga. Le non risposte mostrano le tendenze messe in risalto nella domanda 15. 7. PROPOSTE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA FORMAZIONE IN SERVIZIO DEL CNOS-FAP L’ultima sezione del questionario è dedicata a raccogliere suggerimenti per rendere ancora più efficace e valida l’offerta del CNOS-FAP. Questa volta non si tratta di una sola domanda, ma di tre. Il primo interrogativo riguarda la tipologia di competenze su cui nei prossimi anni si dovrebbe focalizzare maggiormente la Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale. Secondo gli intervistati, l’area su cui bisognerebbe concentrare l’impegno di miglioramento è quella delle competenze di base e a richiederlo è la maggioranza assoluta (51,4%): certamente, si tratta di un ambito in cui tradizionalmente la FP presenta delle criticità per cui il dato potrebbe essere scontato, ma se lo è oggettivamente, non lo si può dire soggettivamente, nella consapevolezza del personale della FP, di solito meno attento a tale area, e di conseguenza, da questo punto di vista il risultato può essere considerato al tempo stesso una novità e un progresso. Da un’altra prospettiva, costituisce una sorpresa il suggerimento successivo: una percentuale di poco inferiore alla precedente (47,1%) domanda un potenziamento delle competenze tecnico-professionali che di solito vengono considerate la dimensione più valida dell’offerta formativa della FP, e ciò fa pensare che la FP, nonostante l’apprezzamento unanime di cui gode in questo campo, deve attrezzarsi sempre meglio per rispondere a un mercato del lavoro la cui domanda di professionalità cresce continuamente di livello e si diversifica altrettanto nelle forme. Le competenze relative allo sviluppo organizzativo e gestionale delle risorse umane 177 vengono segnalate da più di un terzo degli intervistati (35,7%): si tratta di un ambito che si è affermato solo di recente e che probabilmente meriterebbe una maggiore considerazione. Stupisce, inoltre, che neppure un terzo (32,9%) segnali l’area formativa salesiana dato che gli stessi intervistati avevano evidenziato in una domanda precedente che la ricaduta della Formazione in servizio del CNOS-FAP in tale area non solo non è ottimale, ma non è neppure pienamente sufficiente. Inoltre, sorprende ancora di più che sei intervistati (8,6%) non rispondano alla domanda, pur essendo questo un ambito che rientra nei compiti del loro ruolo. Gli incroci evidenziano le richieste delle varie categorie. Il bisogno di Formazione in servizio nel campo delle competenze trasversali viene sottolineato maggiormente dai più anziani e da chi ha una esperienza di ruolo più lunga, dagli intervistati dell’Italia Centrale, dai diplomati, dai Segretari nazionali. A loro volta le competenze tecnico-professionali sono richieste in misura proporzionalmente più consistente dai più giovani e con meno esperienza di ruolo, dai laici e ancora dai diplomati e dai Segretari nazionali. La domanda di competenze organizzative è più presente tra i laici, al Nord e al Centro, tra i diplomati, tra i Delegati e tra quanti possono contare su una più lunga esperienza di ruolo. Da ultimo la richiesta delle competenze dell’area salesiana risulta più evidente al Nord, tra quanti hanno una più lunga esperienza di ruolo e ovviamente tra i Salesiani e in tutte le categorie in cui questi sono maggioritari: i più anziani, i possessori di titoli ecclesiastici e i Delegati regionali. La seconda domanda di questa area prospettica passa dai contenuti alle metodologie e chiede quali dovrebbero essere privilegiate dalla Sede Nazionale nella Formazione in servizio. Al primo posto viene indicata dal 60% degli intervistati una metodologia mista articolata tra aula, formazione a distanza e autoformazione. Se le tre strategie organizzate in un unico progetto ottengono la maggioranza assoluta dei consensi, da sole ricevono scarsa considerazione (a distanza e autoformazione 2,9% ciascuna) tranne che quella d’aula che viene indicata da più di un terzo (35,7%). A loro volta, i tirocini sono indicati dal 30% circa (28,6%) e l’affiancamento a colleghi più anziani/esperti da poco più di un quinto (21,4%). A sottolineare la validità della metodologia mista sono i diplomati, i Salesiani e le variabili connesse: i più anziani, i possessori di titoli ecclesiastici e i Delegati. A sua volta la formazione d’aula ottiene preferenze superiori al totale tra gli intervistati dell’Italia Centrale, i laici e le categorie collegate: i più giovani, i possessori di diploma e di lauree civili, i Segretari nazionali e quanti possono vantare una esperienza di ruolo più lunga. Tirocinio e affiancamento trovano maggiori consensi tra i più giovani e i laici e il primo anche tra i diplomati e fra quanti esercitano il loro ruolo da più tempo. Dopo aver sondato le opinioni degli intervistati sul miglioramento di competenze e metodi, non poteva mancare una domanda sugli obiettivi a cui in prospettiva finalizzare prevalentemente la Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP. La metà quasi (47,1%) si concentra sulla innovazione 178 del sistema di FP generale e locale e una minoranza consistente sulla motivazione/ rimotivazione dei formatori (41,4%) e sul loro aggiornamento professionale (40%). Più del 30% (31,4%) segnala la qualità dell’offerta formativa dei Centri e oltre un quinto la formazione salesiana (21,4%). Una percentuale inferiore al 10% (7,1%) indica il consolidamento del proprio ruolo e percentuali minime (1,4%) la formazione spirituale, la riconversione/mobilità verticale e gli scatti retributivi, mentre nessuno segnala le progressioni di carriera. Gli incroci mettono in evidenza alcune polarizzazioni significative. La finalizzazione al sistema di FP generale e locale è sottolineata al Nord e dai Salesiani con le variabili correlate: i possessori di titoli ecclesiastici, i Delegati e gli intervistati con una esperienza del loro ruolo di meno di un anno. I laici, invece, scelgono in maggioranza aspetti più rilevanti per i singoli formatori, anche se funzionali alla efficacia dell’offerta, come l’aggiornamento professionale e la motivazione/rimotivazione, oltre che la qualità del servizio. Sulla linea di attenzione al singolo formatore sono anche i più giovani, i Segretari nazionali e gli intervistati con periodi lunghi di esperienza di ruolo, tutte categorie tra le quali prevalgono nettamente i laici; la finalizzazione all’aggiornamento è anche evidenziata al Sud. Da ultimo, la formazione salesiana viene segnalata, con percentuali superiori a quelle osservate nel totale, dagli intervistati del Meridione e dai Salesiani, ma l’incidenza dell’aumento è minima nelle variabili generalmente collegate con questi ultimi. 8. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Il capitolo raccoglie una serie di dati che offrono un apporto significativo al perseguimento del secondo obiettivo della ricerca, quello mirato a redigere un bilancio dei punti di forza e di debolezza della Formazione in servizio del CNOSFAP mediante una valutazione della sua adeguatezza, efficacia ed efficienza. In proposito sono stati intervistati 70 soggetti tra Direttori dei Centri (47), Delegati regionali (12) e Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali (11), cioè l’universo di quanti svolgono un ruolo di leadership nella organizzazione e nella gestione dell’Ente. In primo luogo, si richiamano in sintesi le caratteristiche principali delle persone inchiestate. Il gruppo di età più consistente (30 o 42,9%) risulta relativamente giovane: 31-50 anni; segue a poca distanza la coorte 51-60 (25 o 35,7%), mentre i più anziani, gli ultra sessantenni, sono 15 (21,4%). Come è ormai un andamento consolidato nella FP di ispirazione cristiana, la maggioranza sono laici (41 o 58,6%); tuttavia, la presenza dei Salesiani, anche se minoritaria, mantiene una sua consistenza quantitativa tutt’altro che marginale (29 o 41,4%). Anche la distribuzione geografica degli intervistati segue l’andamento caratteristico della FP, cioè la concentrazione nella Italia Settentrionale: il 50% quasi (34 o 48,6%) risiede al Nord e meno di un quinto (12 o 17,1%) al Centro e al Sud (13 o 18,6%); i Segretari 179 nazionali non sono stati inclusi in questa ripartizione perché svolgono il loro ruolo in tutto il Paese. Quanto al titolo di studio, la maggioranza assoluta ne possiede uno di istruzione superiore e più precisamente 32 o 45,7% una laurea civile e 15 o 21,4% una ecclesiastica, mentre un terzo circa (23 o 32,9%) si limita a un diploma. Il ruolo li suddivide tra Direttori di Centri, più dei due terzi (47 o 67,1%), Delegati regionali, meno di un quinto (12 o 17,1%) e Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali, intorno al 15% (11 o 15,7%). Oltre il 50% (39 o 55,7%) può vantare una sufficiente esperienza del proprio ruolo (1-6 anni), un quinto una lunga (7-10, 12 o 17,1%) anche molto (oltre 10, 14 o 20%), mentre solo 5 (7,1%) si limitano a meno di un anno. A giudizio degli intervistati, negli ultimi due anni solari (2012 e 2013) più della metà dei formatori hanno partecipato ai seminari per il personale direttivo e ai corsi residenziali regionali/locali. La frequenza si abbassa a meno della metà riguardo ai seminari tecnici per i formatori, ai corsi residenziali nazionali relativi alle aree delle competenze tecnico professionali e di quelle di base o alle iniziative che hanno permesso di usufruire dell’apporto tecnologico e formativo delle imprese ai settori. Si avvicina a questo livello anche la partecipazione alle attività formative con Fonder, ai convegni promossi dalla CISI e ai seminari tematici legati ad eventi esterni. Una frequenza limitata – tra meno della metà e nessuna partecipazione o molto prossima a quest’ultima situazione – viene riferita ai corsi FAD e al coinvolgimento nei progetti internazionali. Pertanto, si può dire che secondo la percezione della leadership del CNOS-FAP la partecipazione risulta sufficientemente generalizzata e che ha toccato le tematiche più importanti da quelle per il personale dirigente a quelle dei formatori, da quelle locali a quelle generali, dalle competenze tecnico professionali a quelle di base fino a quelle specifiche delle imprese di riferimento. Probabilmente un limite può essere visto nella minore attenzione alle problematiche generali e a quelle nazionali o europee. Generalmente la stima della partecipazione alle diverse opportunità di Formazione in servizio offerte dalla Sede Nazionale sembra essere più positiva al Nord, ad eccezione delle attività formative con FONDER, dei convegni promossi dalla CISI e dei corsi FAD, che vedono una valutazione della partecipazione più ampia nelle Regioni dell’Italia centrale. Allo stesso tempo la percezione del livello di partecipazione alle varie attività di Formazione in servizio è più critica o, semplicemente più realistica, da parte dei Direttori dei CFP, presumibilmente in virtù delle maggiori occasioni di contatto diretto con i formatori. In particolare, gli intervistati con una maggiore esperienza professionale, hanno una percezione tendenzialmente più pessimistica della partecipazione alle attività di Formazione in servizio, rispetto agli intervistati con minore esperienza che preferiscono non rispondere. Tendenza che si conferma in riferimento all’età dei rispondenti: fra i più giovani si registra un numero maggiore di mancate risposte e si rileva anche una stima più ottimistica del livello di partecipazione. Infine, l’essere in possesso di una laurea sembra essere legato a una percezione maggiormente critica della partecipazione alle diverse proposte di Formazione in servizio. 180 Se si passa dalla quantità alla qualità della partecipazione, la prima constatazione è che in nessuna delle offerte di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale essa viene ritenuta dagli intervistati molto soddisfacente o quasi. Tuttavia, la frequenza di un gruppo consistente di iniziative riceve una valutazione più che abbastanza positiva: si tratta dei corsi residenziali regionali/locali, del contributo dell’apporto tecnologico e formativo delle imprese ai settori/aree, dei seminari per il personale direttivo, di quelli tecnici per i formatori e dei corsi nazionali nell’area delle competenze tecnico-professionali. La qualità della partecipazione è considerata abbastanza soddisfacente nel caso dei corsi residenziali nazionali nell’area delle competenze di base, nei progetti internazionali e nelle attività formative con Fonder e si avvicina a tale livello nei seminari tematici legati ad eventi esterni e nei convegni promossi dalla CISI. La valutazione scende a poco soddisfacente riguardo ai corsi FAD. Coerentemente con le valutazioni espresse in merito al livello di partecipazione alle diverse attività di formazione, la valutazione della soddisfazione in merito alla partecipazione stessa è più ottimistica al Nord, rispetto alle altre aree geografiche. Per quanto concerne il ruolo, complessivamente i Direttori dei CFP si dichiarano abbastanza soddisfatti della partecipazione alle proposte di Formazione in servizio, come anche i Delegati che lo sono particolarmente in merito alle diverse attività di tipo seminariale. Tendenzialmente gli intervistati con più esperienza professionale mostrano una maggiore soddisfazione circa la qualità della partecipazione alle attività di Formazione in servizio8. Andamento che si conferma in riferimento all’età dei rispondenti e al titolo di studio: fra gli ultracinquantenni la percentuale di soddisfazione è maggiore, mentre i laureati si dichiarano, in proporzione, meno soddisfatti. Una maggioranza assoluta di intervistati identifica l’ostacolo più serio alla partecipazione nella insufficienza del personale interno ai Centri e una relativa, ma consistente, nell’eccessivo carico di lavoro personale; un terzo fa riferimento alla incompatibilità rispetto alle date programmate a cui si aggiunge un 15% che sottolinea la rigidità degli orari dei corsi. Nessuno chiama in causa i docenti riguardo sia alla loro preparazione sia alle metodologie utilizzate, né vengono sollevate critiche, se non molto marginalmente, al livello dei corsi o alla loro praticità. Non sono menzionati, tranne che in percentuali modeste, l’assenza di incentivi economici e lo scarso interesse dei partecipanti per gli argomenti trattati. Qualche considerazione maggiore, ma sempre limitata, ottengono la mancata finalizzazione alla definizione dei ruoli e alla carriera o la scarsa sensibilità della dirigenza. In particolare, al Centro e al Sud sono denunciati problemi riguardanti l’insufficienza del personale interno al CFP e l’assenza di incentivi economici, invece, al Nord sono maggiormente avvertite questioni connesse con l’eccessivo carico di lavoro personale, la rigidità degli orari, delle date e della logistica dei corsi in generale. L’opinione 8 Da rilevare, anche nel caso della valutazione della qualità della partecipazione, la maggiore concentrazione di mancate risposte fra gli intervistati con minore esperienza professionale. 181 dei Direttori (prevalentemente laici) si dimostra tendenzialmente centrata su ostacoli di carattere spiccatamente pratico, legati alla gestione della partecipazione alle attività di formazione, in considerazione delle esigenze organizzative dei diversi Centri. Età e titolo di studio degli intervistati sembrano incidere sulla valutazione dei possibili ostacoli in maniera piuttosto simile: da un lato si distinguono i più giovani, sensibili soprattutto alle questioni economiche, gli adulti più attenti agli aspetti organizzativi delle attività (date e orari) e i più maturi che denunciano scarsa sensibilità della dirigenza; dall’altro si individuano i diplomati per lo più preoccupati circa l’eccessivo carico di lavoro personale e i laureati maggiormente sensibili agli aspetti legati ai contenuti dei corsi, all’interesse dei partecipanti e alla sensibilità della dirigenza. Correttamente la decisione sulla partecipazione alle offerte di Formazione viene concordata con il Direttore del Centro e/o con lo staff di direzione nella quasi totalità di casi. Solo cinque affermano che è presa dall’Associazione CNOS-FAP Regionale e uno che è totalmente volontaria. Nel complesso la soddisfazione per la Formazione in servizio offerta dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP è elevata in quanto la media esprime una valutazione più che abbastanza positiva e nessuno o quasi si dichiara per nulla o poco soddisfatto. Al tempo stesso va segnalato che la maggioranza assoluta dei giudizi favorevoli si concentra sulla sufficienza, mentre solo poco più di un terzo dà una valutazione molto positiva. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà impegnarsi nei prossimi anni a invertire l’attuale rapporto tra abbastanza e molto soddisfacente. Questa condizione di larga soddisfazione si identifica specialmente al Nord, secondo l’opinione in particolare dei Direttori e dei laici. In funzione dell’età e del titolo di studio non si individuano differenze significative fra gli intervistati. Data la percentuale così bassa di risposte negative non vale la pena soffermarsi sulle ragioni di tale presa di posizione e concentriamo l’attenzione sulle ragioni in positivo. Solo una ottiene un vero plebiscito e si tratta della significatività dei contenuti proposti. Altre tre possono vantare una maggioranza relativa consistente come l’idoneità della docenza, la trasferibilità nel proprio CFP e il conseguimento degli obiettivi. Intorno al 30% sono segnalate l’incidenza sulla prassi formativa dei formatori, la partecipazione dei corsisti e l’efficienza organizzativa, mentre il consenso scende a un quinto nel caso dell’ospitalità. Probabilmente si tratta di aspetti in cui bisognerebbe fare meglio e ciò vale ancora di più per quelli indicati da percentuali intorno o meno del 10%: l’efficacia della metodologia didattica, l’adeguatezza delle attrezzature e la validità dei sussidi didattici. In particolare, gli aspetti concreti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nel proprio CFP, l’adeguatezza delle attrezzature e delle tecnologie didattiche e la validità dei sussidi didattici, nonché l’efficienza organizzativa e l’ospitalità sono motivo di soddisfazione al Centro e al Nord. Allo stesso tempo, il conseguimento degli obiettivi e, quindi, l’efficacia delle metodologie didattiche, così come l’incidenza nella prassi formativa dei formatori 182 giustificano la soddisfazione prevalentemente nelle Regioni del Sud e al Nord. Con riferimento ai ruoli, il giudizio dei Direttori dei CFP (prevalentemente laici), complessivamente, si avvicina molto a quello dei Segretari nazionali (quasi tutti laici). Per quanto riguarda l’esperienza, si noti come i più esperti motivano il loro giudizio positivo attraverso ragioni che hanno a che fare con i contenuti dei corsi, i sussidi didattici, l’idoneità della docenza, il conseguimento degli obiettivi formativi e la trasferibilità nei CFP. Sembra possibile individuare fra le motivazioni del giudizio positivo espresso dagli intervistati una sorta di contrapposizione fra didattica tradizionale e didattica innovativa; infatti, i più giovani (e i laureati) si mostrano più sensibili all’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche, alla partecipazione dei corsisti, al conseguimento degli obiettivi formativi, quindi, alle auspicabili ricadute sulla prassi formativa, mentre i più anziani tengono in maggiore considerazione l’idoneità della docenza e l’efficienza/efficacia delle metodologie didattiche proposte. Passando, poi, a un bilancio puntuale dei punti di forza e di criticità dell’offerta di Formazione in servizio della Sede Nazionale del CNOS-FAP, se la valutazione certamente non la boccia, ma anzi la promuove, non si può dire che lo faccia a pieni voti. Su tutti gli aspetti menzionati c’è spazio per il miglioramento, anche se in alcuni di più e in altri di meno. Il clima e i docenti (competenza, autorevolezza e disponibilità) sembrano soddisfare maggiormente Delegati, Direttori e Segretari per cui in questo ambito bisogna solo avere il coraggio di mirare al massimo: gli unici punti su cui si dovrà richiedere ai docenti dei corsi un impegno maggiore riguardano l’efficacia della metodologia didattica, l’approfondimento degli argomenti e dei temi e, anche se in misura inferiore, la chiarezza nell’esposizione degli argomenti. I formatori non sembrano molto coinvolti nei corsi e questa situazione si comprende se si tiene conto che le loro attese formative sono solo abbastanza soddisfatte e gli obiettivi dei corsi risultano solo sufficientemente raggiunti: ecco altri campi in cui si richiedono miglioramenti per passare da ina valutazione discreta ad una ottimale. Anche sul piano organizzativo sono necessari potenziamenti: anzitutto riguardo all’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali e in secondo luogo circa orari, ospitalità e luogo dei corsi. Pure in questo caso stupisce che in tutte le alternative si riscontrano 7 intervistati che non rispondono alla domanda e in un item, quello dell’“efficacia della metodologia didattica”, diventano 8. Infatti, in qualità di Delegati regionali, di Direttori di Centri e di Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali dovrebbero disporre delle informazioni necessarie per valutare la qualità delle attività di Formazione in servizio, almeno di quelle in cui sono coinvolti. Siccome questo andamento lo si riscontra in tutte le domande, anche se la consistenza quantitativa varia, ma non di molto, ci sembra sufficiente averlo rilevato qui per cui non ci ritorneremo ulteriormente sopra. 183 Passando in sintesi agli incroci con variabili significative, probabilmente appare scontata la valutazione più positiva al Nord rispetto al Centro e al Sud della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP: in proposito, non vanno dimenticati i pesanti condizionamenti negativi che pesano dall’esterno sulla FP soprattutto nell’Italia Meridionale. Va anche notato con soddisfazione che l’apprezzamento cresce tra gli intervistati più esperti e, quindi, più competenti; alla stessa conclusione porta l’andamento simile sull’età. Le maggiori criticità dei Salesiani si potrebbero spiegare per il fatto di non voler esser considerati poco oggettivi; al contrario, i laici non hanno questa remora e si esprimono più positivamente. Ed è questa polarizzazione salesiani/laici che è probabilmente alla base della severità più grande dei laureati civili ed ecclesiastici e dei Delegati/Direttori rispetto alla valutazione più favorevole dei diplomati e dei Segretari nazionali. La considerazione della Formazione in servizio in se stessa era sboccata in una valutazione nell’insieme soddisfacente, anche se non ottimale. I risultati della domanda sulla loro ricaduta/impatto tendono ad oscurare l’orizzonte in quanto l’utilità di tante attività sembra essere nel complesso modesta. La Formazione in servizio pare avere un’incidenza ridotta su aspetti centrali della vita dei Centri del CNOSFAP come le relazioni con gli allievi, il loro apprendimento, la prassi educativa salesiana, le relazioni tra Salesiani e laici e quelle con le famiglie. Emerge ancora una volta una criticità più volte messa in evidenza negli anni passati: un certo isolamento dei Centri rispetto al mondo produttivo e al territorio, e alle altre scuole/Centri; anche la ricaduta sulle problematiche generali e locali della FP appare ridotta. Le attività di Formazione in servizio sembrano dimostrare una maggiore valenza di miglioramento riguardo alla maturazione dei formatori, alla loro padronanza delle nuove tecnologie, alle loro competenze professionali e al lavoro in équipe: ma anche in questo caso i risultati si collocano sulla sufficienza e sollecitano ulteriori potenziamenti e rafforzamenti. Quanto ai risultati degli incroci, l’esito che emerge con evidenza è la conferma degli andamenti osservati nella domanda precedente. Anche in questo caso sono stati riscontrati apprezzamenti maggiori tra i più anziani, i laici, al Nord, fra i diplomati, i Segretari nazionali e chi può vantare periodi più lunghi di esperienza, mentre risultano più critici i più giovani, i Salesiani, il Centro e il Sud, i laureati/licenziati e i Direttori/Delegati. Un indicatore significativo dell’utilità delle offerte di Formazione in servizio promosse dal CNOS-FAP può essere identificato nella valorizzazione che gli operatori riservano alle risorse messe a disposizione a tale scopo dalla Sede Nazionale; in particolare, si tratta della Rassegna CNOS, delle Newsletter, delle pubblicazioni/ ricerche, del Sito del CNOS-FAP, della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP e del Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. In sintesi, le risorse messe a disposizione dalla Sede Nazionale per la Formazione in servizio vengono utilizzate tra abbastanza e poco oppure poco. La ragione principale di questa situazione va ricercata in una criticità esterna alle risorse, cioè nella 184 inadeguata socializzazione all’interno dei CFP. In secondo luogo pesa anche una carenza intrinseca ad esse e cioè il fatto che non aiutano a risolvere i problemi dei Centri. Al tempo stesso, va segnalato che in generale non sono eccessivamente teoriche o di livello troppo elevato se non Rassegna CNOS e le pubblicazioni/ricerche e, comunque, non si possono considerare poco aggiornate. La ricerca sul successo formativo e il Concorso dei capolavori sono le risorse che presentano maggiori forme di valorizzazione e Rassegna CNOS e le Newsletter quelle che ne hanno di meno. Come al solito, il Nord è più positivo del Centro e del Sud, i laici dei Salesiani, i diplomati dei laureati, i Segretari dei Delegati, i più anziani dei più giovani e i più esperti dei meno. L’ultima parte dello strumento di indagine mirava a fare emergere dagli intervistati proposte per il miglioramento dell’offerta di Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale. La tipologia di competenze su cui si dovrebbe focalizzare nei prossimi anni lo sforzo di rinnovamento è costituita dalle competenze trasversali, una indicazione che sorprende in positivo perché si tratta di competenze non sempre molto valutate dai formatori; al secondo posto e a poca distanza vengono indicate le competenze tecnico-professionali relative ai settori che, sebbene siano già una eccellenza della IeFP salesiana, tuttavia richiedono un costante sviluppo. Meno considerate sono le competenze relative allo sviluppo organizzativo e gestionale delle risorse umane e quelle riguardanti l’area formativa salesiana, ma ambedue esigerebbero una maggiore attenzione: le prime perché si tratta di una tipologia in sviluppo e le seconde perché la proposta formativa dei Centri si ispira al carisma salesiano. Le accentuazioni che emergono dagli incroci dovrebbero guidare nell’offerta alle varie categorie. Passando dai contenuti alle metodologie, si può dire che la preferenza si appunta su una metodologia mista e nel caso che non la si possa realizzare, la scelta va alla metodologia d’aula e in subordine ai tirocini e all’affiancamento, mentre vengono scartate l’autoformazione/formazione aperta e quella a distanza9, se da sole. In proposito si nota una certa polarizzazione tra Salesiani e laici con le variabili connesse che vede i primi più favorevoli alla metodologia mista e i secondi a quella d’aula. L’ultimo ambito di miglioramento riguarda le mete principali su cui finalizzare in futuro l’offerta della Sede Nazionale. Dalle risposte emerge una visione della Formazione in servizio centrata sul sistema di FP e funzionale alla qualità del servizio, mentre appaiono ignorate del tutto o quasi le attese individuali, non solo di ruolo, di carriera e di guadagno ma anche di formazione spirituale, cosa questa che suona strana in un Ente di ispirazione religiosa come il CNOS-FAP. Anche in questo caso si nota una certa polarizzazione tra Salesiani e laici con le variabili 9 Per quest’ultima, almeno fino a quando non si realizzerà un miglioramento radicale dell’attuale offerta di FAD da parte della Sede Nazionale, come specifica un intervistato nell’“altro” della domanda. 185 connesse nel senso che i primi tendono a finalizzare la Formazione in servizio al sistema di FP generale e locale e i secondi a dimensioni più significative per i singoli formatori quali l’aggiornamento professionale e la motivazione/rimotivazione. Sarà compito della Sede Nazionale trovare un giusto equilibrio tra le due istanze. Altre indicazioni per il rinnovamento delle attività di Formazione in servizio del CNOS-FAP possono essere tratte indirettamente da domande che non erano mirate primariamente a questo scopo: le ricordiamo. Il quadro delle offerte promosse dalla Sede Nazionale dovrà essere rafforzato riguardo alle problematiche generali, nazionali e internazionali. Inoltre, ai fini di migliorare la frequenza alla Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP bisognerà assicurare: una attenzione maggiore alla qualità della frequenza, rendendo i contenuti più rispondenti alle esigenze dei formatori e curando meglio la loro selezione più mirata in relazione alle tipologie di offerta; un personale più numeroso nei CFP – ma ciò non dipende dagli Enti di formazione –; una migliore distribuzione del carico di lavoro; un calendario di offerte più rispondente alle disponibilità di tempo dei formatori. La soddisfazione manifestata dagli intervistati nei confronti della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale è senz’altro notevole, ma la sufficienza rappresenta il voto maggioritario. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà intervenire efficacemente per elevare il livello di tale valutazione a uno più positivo. Più in particolare, bisognerà che la Formazione in servizio venga organizzata in modo da accrescere il proprio impatto sulla maturazione dei formatori, sulla padronanza delle nuove tecnologie, sulle competenze professionali, sul lavoro in équipe, sulle relazioni con gli allievi, sul loro apprendimento, sulla prassi educativa salesiana, sulle relazioni tra Salesiani e laici, su quelle con le famiglie, su quelle con il mondo produttivo e il territorio. Inoltre, sarà necessario potenziare la valorizzazione delle risorse erogate dalla Sede Nazionale, aiutando Direttori, Delegati e Segretari a saperle socializzare ai formatori e agli altri operatori e rendendole più facilmente utilizzabili per risolvere i problemi dei centri attraverso un loro ripensamento sul modello della ricerca sul successo formativo degli allievi e del Concorso nazionale dei capolavori. 187 Quarto capitolo Soddisfazione per le attività di Formazione in servizio Maria Paola Piccini Da quando ha ottenuto la certificazione, la Sede Nazionale CNOS-FAP provvede alla somministrazione di questionari di soddisfazione al termine degli interventi di Formazione in servizio, al fine di ottenere suggerimenti e indicazioni utili per le azioni future. I questionari vengono proposti agli operatori a conclusione delle diverse iniziative di Formazione in servizio (corsi residenziali nazionali e regionali, seminari dei settori professionali e corsi per il personale direttivo) e, nel caso dei corsi residenziali nazionali e regionali, dall’anno 2012, una versione modificata del questionario viene proposta anche ai docenti responsabili della conduzione delle iniziative stesse. I rispondenti (sia partecipanti che docenti) sono invitati ad esprimere il loro giudizio riguardo alcuni elementi caratterizzanti gli interventi di Formazione in servizio, utilizzando una scala di valutazione a cinque passi: “molto buono” (10), “buono” (8), “discreto” (6), “scarso” (4), “insufficiente” (2). Per ognuno degli items del questionario viene calcolata la media delle valutazioni e la percentuale di pareri positivi espressi, ottenuta sommando i punteggi assegnati alle risposte “discreto”, “buono” e “molto buono”. Per esprimere un giudizio sui risultati la stessa Sede Nazionale si basa sul seguente criterio: se la percentuale di pareri positivi è minore o uguale al 66%, questo indica “non conformità”; se la percentuale è compresa fra il 67 e il 76%, ciò sta ad indicare la necessità di azioni di miglioramento. In generale, laddove la percentuale di pareri positivi espressi sia inferiore al valore minimo accettabile atteso, pari al 77%, si individua una criticità. Nelle tabelle 1, 2, 3, 4, e 5 sono riportati i dati forniti ed elaborati dalla Sede nazionale, ai quali sono accostati i risultati di successive elaborazioni condotte dall’Istituto di Sociologia, come proposta di approfondimento per la valutazione della soddisfazione complessivamente espressa dagli operatori. In sostanza, si suggerisce per il futuro, di utilizzare una scala di valutazione a passi pari (sei o quattro), eliminando il punto centrale della scala, invitando così gli intervistati a esprimere giudizi inequivocabilmente positivi o negativi. Si suggerisce, inoltre, di modificare le etichette verbali assegnate ai diversi passi della stessa scala di valutazione, poiché la differenza fra i giudizi “insufficiente” e “scarso” non è chiara ed è comunque minima dal punto di vista semantico. Laddove queste modifiche non siano attuabili, si suggerisce di considerare soltanto le percentuali dei giudizi positivi (“buono” e 188 Tav. 1 – Valutazione delle attività formative (corsi nazionali) da parte dei Partecipanti Legenda: MB=molto buono; B=buono; D=discreto; S=scarso; INS=insufficiente; % voti suff. = MB + B + D; % voti positivi=MB + B; % punto centrale=D; % voti negativi=S + INS 10 8 6 42 10 8 6 4 2 N. DOMANDA MB B D S INS MB B D S INS 1 Interesse dei temi trattati 135 90 22 2 0 249 99 99,2% 90,4% 8,8% 0,8% 8,88 175 76 16 1 1 269 93 99,3% 93,3% 5,9% 0,7% 9,14 2 Approfondimento dei temi trattati 68 124 51 6 0 249 98 97,6% 77,1% 20,5% 2,4% 8,04 108 124 29 6 2 269 86 97,0% 86,2% 10,8% 3,0% 8,45 3 Chiarezza del docente nell’esporre gli argomenti 109 98 38 3 0 248 99 98,8% 83,5% 15,3% 1,2% 8,52 140 101 24 4 0 269 90 98,5% 89,6% 8,9% 1,5% 8,80 4 Disponibilità del docente a fornire chiarimenti 158 74 14 3 0 249 99 98,8% 93,2% 5,6% 1,2% 9,11 186 71 11 1 0 269 96 99,6% 95,5% 4,1% 0,4% 9,29 5 Capacità del docente di stimolare/motivare l’interesse 99 109 35 6 0 249 98 97,6% 83,5% 14,1% 2,4% 8,42 126 112 26 5 0 269 88 98,1% 88,5% 9,7% 1,9% 8,67 6 Materiale didattico (dispense, diapositive, video…) 94 102 43 10 0 249 96 96,0% 78,7% 17,3% 4,0% 8,25 99 112 48 7 2 268 78 96,6% 78,7% 17,9% 3,4% 8,23 7 Funzionalità delle aule per le lezioni (acustica, luminosità, attrezzature, arredi) 124 94 23 7 1 249 97 96,8% 87,6% 9,2% 3,2% 8,67 128 106 27 5 3 269 87 97,0% 87,0% 10,0% 3,0% 8,61 8 Logistica a supporto del partecipante (ubicazione corso, vitto, sede del pernottamento) 108 83 38 6 14 249 92 92,0% 76,7% 15,3% 8,0% 8,13 161 74 31 3 0 269 87 98,9% 87,4% 11,5% 1,1% 8,92 9 Attività della Segreteria CNOS-FAP Sede Nazionale (disponibilità, trasmissione informazioni) 99 120 22 8 0 249 97 96,8% 88,0% 8,8% 3,2% 8,49 132 102 33 2 0 269 87 99,3% 87,0% 12,3% 0,7% 8,71 10 Giudizio complessivo sul corso (rispetto agli obiettivi previsti, rispetto dei conte-nuti previsti) 92 124 27 4 2 249 98 97,6% 86,7% 10,8% 2,4% 8,41 128 117 17 5 2 269 91 97,4% 91,1% 6,3% 2,6% 8,71 11 Giudizio sul proprio interesse e sulla propria partecipazione all’azione formativa 123 103 20 2 1 249 99 98,8% 90,8% 8,0% 1,2% 8,77 157 91 16 4 1 269 92 98,1% 92,2% 5,9% 1,9% 8,97 Valutazione delle attività formative (corsi nazionali) da parte dei Partecipanti % voti Positivi % punto centrale % voti Negati vi media anno 2012 anno 2013 % punto centrale % voti Negativi media totale v.a. % voti suff. % voti suff. totale v.a. % voti suff. % voti suff. % voti Positivi 189 “molto buono”) per confrontarle con le percentuali dei giudizi negativi (“scarso” e “insufficiente”), isolando le percentuali di risposte neutre (“discreto”). 1. SODDISFAZIONE PER I CORSI RESIDENZIALI NAZIONALI Nel dettaglio, per quanto riguarda la soddisfazione circa le Azioni Formative dell’anno 2012 (ossia i corsi residenziali nazionali), la somministrazione dei questionari ha coinvolto complessivamente 249 partecipanti ai corsi (cfr. Tav. 1). Tutti gli items del questionario, secondo quanto indicato dalla Sede Nazionale, hanno registrato un giudizio ampiamente sufficiente, infatti, per ognuno degli items la somma dei giudizi da “discreto” a “molto buono” è sempre compresa tra il 92 e il 99%. Tali percentuali di pareri positivi, se considerate isolando la quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di individuare almeno tre aree di relativa criticità, ossia la logistica (76,6%), l’approfondimento dei temi trattati (77,1%) e, anche se in misura minore, il materiale didattico (78,7%) messo a disposizione dei partecipanti1. Particolare soddisfazione viene espressa in merito alla disponibilità dei docenti (93,2%) e all’interesse dei temi trattati (90,4%). Il valore medio delle risposte ottenute da ciascun intervistato per ognuno degli items si colloca sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono”. Per quanto concerne la soddisfazione dei partecipanti per le Azioni Formative dell’anno 2013, la somministrazione dei questionari ha coinvolto 269 persone. Tutti gli items del questionario hanno registrato un giudizio ampiamente sufficiente, tanto che, per ognuno degli items, la somma dei giudizi da “discreto” a “molto buono” è sempre compresa tra il 97 e 99%. Tali percentuali di pareri positivi, se considerate isolando la quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, confermano il dato già individuato circa la soddisfazione, fatta eccezione per il materiale didattico messo a disposizione dei partecipanti alle diverse iniziative (78,7%). Anche per l’anno 2013, particolare soddisfazione viene espressa in merito alla disponibilità dei docenti (95,5%) e all’interesse dei temi trattati (93,3%). Il valore medio delle risposte ottenute da ciascun intervistato per ognuno degli items si colloca sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono”. Esaminando congiuntamente i giudizi medi espressi dai partecipanti nel 2012 e nel 2013, si nota come tutti gli aspetti presi in considerazione nel questionario hanno registrato un miglioramento della valutazione ricevuta, tranne che il materiale didattico a disposizione dei partecipanti e la funzionalità delle aule per le lezioni (cfr. Graf. 1). 1 Per meglio discriminare circa le aree di criticità, data la vastità delle quote di giudizi positivi espressi, in questa sede si considerano bisognosi di attenzione anche gli elementi per i quali i giudizi positivi si attestano attorno all’80%. 190 Grafico 1 – Valutazione delle attività formative ( corsi nazionali) da parte dei Partecipanti                                         !"!!#$!$ %&!'!"" "'!"!()!# *!+" ,- !'!!-!!!  .$"-!" +)'!!/$01/2,3/0 ! 4- "!)-!" 4- -!-!!"                                            $$ $!!$!     "    !#!!# ! )) +"" +  !!    ! !! ! !-!   """   !!! !!   0 0/ ))! " !-!- )    " " "            #!#!!!!!  "" !!    "" !! '' !' !!' !&&% ''""     (( !!  "" !! ' * * !--! !!!!!! '!'!!    -,-  -- ""$$$. / !!!!!! '+)'+)) + / 33,/22,/2,1/010 $$/ !!"     --4     !-!-     --4   !!-!!! -!! -        191 Tav. 2 – Valutazione delle attività formative (corsi nazionali) da parte dei Docenti Legenda: MB=molto buono; B=buono; D=discreto; S=scarso; INS=insufficiente; % voti suff. = MB + B + D; % voti positivi=MB + B; % punto centrale=D; % voti negativi=S + INS 10 8 6 4 2 10 8 6 4 2 N. DOMANDA MB B D S INS MB B D S INS 1 Interesse dei partecipanti ai temi trattati 15 6 1 0 0 22 100 100,0% 95,5% 4,5% 0,0% 9,27 21 12 0 0 0 33 100 100,0% 100,0% 0,0% 0,0% 9,27 2 Comprensione dei partecipanti circa i temi trattati 10 11 1 0 0 22 100 100,0% 95,5% 4,5% 0,0% 8,82 14 17 2 0 0 33 94 100,0% 93,9% 6,1% 0,0% 8,73 3 Interazione degli allievi durante il corso 6 12 4 0 0 22 100 100,0% 81,8% 18,2% 0,0% 8,18 21 8 4 0 0 33 88 100,0% 87,9% 12,1% 0,0% 9,03 4 Grado interesse dei partecipanti 13 8 1 0 0 22 100 100,0% 95,5% 4,5% 0,0% 9,09 20 13 0 0 0 33 100 100,0% 100,0% 0,0% 0,0% 9,21 5 Raggiungimento degli obiettivi del corso 3 17 2 0 0 22 100 100,0% 90,9% 9,1% 0,0% 8,09 11 19 3 0 0 33 91 100,0% 90,9% 9,1% 0,0% 8,48 6 Funzionalità delle aule per le lezioni (acustica, luminosità, attrezzature, arredi) 8 11 2 0 1 22 96 95,5% 86,4% 9,1% 4,5% 8,27 13 16 4 0 0 33 88 100,0% 87,9% 12,1% 0,0% 8,55 7 Logistica a supporto (ubicazione corso, vitto, sede del pernottamento) 6 16 0 0 0 22 100 100,0% 100,0% 0,0% 0,0% 8,55 20 9 4 0 0 33 88 100,0% 87,9% 12,1% 0,0% 8,97 8 Giudizio complessivo sui partecipanti al corso (rispetto orari, partecipazione, interesse) 11 9 2 0 0 22 100 100,0% 90,9% 9,1% 0,0% 8,82 22 10 1 0 0 33 97 100,0% 97,0% 3,0% 0,0% 9,27 9 Giudizio complessivo sul proprio lavoro 5 16 1 0 0 22 100 100,0% 95,5% 4,5% 0,0% 8,36 11 22 0 0 0 33 100 100,0% 100,0% 0,0% 0,0% 8,67 % punto centrale % voti Negativi media Valutazione delle attività formative (corsi nazionali) da parte dei Docenti anno 2012 anno 2013 totale v.a. % voti suff. % voti suff. % voti Positivi % punto centrale % voti Negativi media totale v.a. % voti suff. % voti suff. % voti Positivi 192 Grafico 2 – Valutazione delle attività formative ( corsi nazionali) da parte dei Docenti                                    !"   #  $"  %&!   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Tali percentuali di pareri positivi, se considerate isolando la quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di discriminare meglio il livello di soddisfazione dei docenti che, pur confermandosi molto ampio, mostra delle lievi flessioni in riferimento all’interazione degli allievi durante il corso (81,8%) e alla funzionalità delle aule (86,4%), che vede anche un 4,5% di giudizi completamente negativi (“scarso” e “insufficiente”). Il valore medio delle risposte ottenute da ciascun docente per ognuno degli items si colloca sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono” e il parere più positivo viene generalmente espresso in merito all’interesse dei partecipanti nei confronti dei temi trattati. I docenti coinvolti nella valutazione delle Azioni Formative per l’anno 2013 sono stati 33 e tutti gli items del questionario mostrano il 100% di giudizi sufficienti. Valutare queste informazioni al netto della quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, aiuta a distinguere meglio il livello di soddisfazione dei docenti che, pur confermandosi pressoché totale per quanto riguarda l’interesse dei partecipanti e il giudizio complessivo sul proprio lavoro, mostra delle lievi flessioni in riferimento all’interazione degli allievi durante il corso (87,9%), alla funzionalità delle aule (87,9%) e alla logistica a supporto (87,9%). Rimane, comunque, da rilevare che, nel caso dell’anno 2013, nessun docente ha espresso alcun giudizio negativo. Il valore medio delle risposte espresse da ciascun docente per ognuno degli items si colloca sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono” e il parere più positivo viene espresso in merito all’interesse dei partecipanti nei confronti dei temi trattati e al loro comportamento in generale. Considerando congiuntamente i giudizi medi espressi dai docenti, si nota come tutti gli elementi da valutare nel questionario hanno registrato un miglioramento della valutazione dal 2012 al 2013, tranne che la comprensione da parte dei partecipanti circa i temi trattati, in leggera flessione, e quello sull’interesse degli stessi partecipanti nei confronti dei temi trattati che rimane invariato nelle due diverse annate (cfr. Graf. 2). 2. SODDISFAZIONE PER I CORSI RESIDENZIALI LOCALI La somministrazione dei questionari sulla soddisfazione per i Corsi Residenziali Locali nell’anno 2012 ha coinvolto 613 partecipanti (cfr. Tav. 3). Tutti gli items del questionario, secondo quanto indicato dalla Sede Nazionale, hanno registrato un giudizio ampiamente sufficiente, infatti, la quota di valutazioni da “discreto” a 194 Tav. 3 – Valutazione dei corsi residenziali locali (corsi regionali) da parte dei Partecipanti Legenda: MB=molto buono; B=buono; D=discreto; S=scarso; INS=insufficiente; % voti suff. = MB + B + D; % voti positivi=MB + B; % punto centrale=D; % voti negativi=S + INS 195 Grafico 3 – Valutazione dei corsi residenziali locali (corsi regionali) da parte dei Partecipanti 196 “molto buono” è sempre compresa tra il 92% e il 99%. Tali percentuali di pareri positivi, se considerate isolando la quota di quanti hanno espresso un giudizio di - screto, consentono di individuare almeno due aree di relativa criticità: il materiale didattico (76,3%) e la funzionalità delle aule (76,3%). Particolare soddisfazione viene espressa in merito alla disponibilità dei docenti (92,2%) e all’interesse dei temi trattati (88,9%). Per i Corsi Residenziali Locali nell’anno 2013 la somministrazione dei questionari di soddisfazione ha coinvolto 778 partecipanti. Tutti gli items del questionario hanno registrato un giudizio ampiamente sufficiente, infatti, per ognuno degli items la somma dei pareri da “discreto” a “molto buono” è sempre compresa tra il 93% e il 100% (che si registra in riferimento alla disponibilità dei docenti). Tali percentuali di pareri positivi, se considerate al netto della quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di riconoscere una certa criticità riguardante il materiale didattico (71%) messo a disposizione. A tale proposito è stata aperta dalla Sede Nazionale un’azione di miglioramento che ha coinvolto i CFP interessati. Particolare soddisfazione viene espressa dai partecipanti in merito alla disponibilità dei docenti (93,3%) e all’interesse dei temi trattati (89,2%). In relazione sia al 2012, sia al 2013 il valore medio delle risposte espresse da ciascun intervistato per ognuno degli items si colloca comunque sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono”. Considerando congiuntamente i pareri medi espressi, si nota come tutti gli elementi da valutare nel questionario hanno registrato un miglioramento della valutazione dal 2012 al 2013, tranne che il materiale didattico a disposizione dei partecipanti che si configura, dunque, come elemento che necessita attenzione in vista di miglioramento (cfr. Graf. 3). Ancora in merito alla valutazione dei Corsi Residenziali Locali del 2012, sono stati coinvolti 62 docenti (cfr. Tav. 4) che hanno espresso giudizi estremamente positivi: tutti gli items del questionario mostrano il 100% di pareri sufficienti tranne che la logistica a supporto (96,8%) e la funzionalità delle aule (98,4%). Tali percentuali di giudizi positivi, se considerate isolando la quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di discriminare meglio il livello di soddisfazione dei docenti che, pur confermandosi elevatissimo, mostra quote meno ampie di soddisfazione proprio in riferimento alla funzionalità delle aule (88,7%) e alla logistica a supporto che vede anche un 3,2% di giudizi completamente negativi. Il valore medio delle risposte fornite da ciascun docente per ognuno degli items si colloca comunque sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono” e il parere maggiormente positivo viene espresso in merito all’interesse dei partecipanti nei confronti dei temi trattati. I docenti coinvolti nella valutazione dei Corsi Residenziali Locali del 2013 sono stati 79 e, anche in questo caso, quasi tutti gli items del questionario mostrano il 100% di giudizi sufficienti. Tali percentuali di pareri positivi, se considerate al netto della quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di 197 Tav. 4 – Valutazione dei corsi residenziali locali (corsi regionali) da parte dei Docenti Legenda: MB=molto buono; B=buono; D=discreto; S=scarso; INS=insufficiente; % voti suff. = MB + B + D; % voti positivi=MB + B; % punto centrale=D; % voti negativi=S + INS 10 8 6 4 2 10 8 6 4 2 N. DOMANDA MB B D S INS MB B D S INS 1 Interesse dei partecipanti ai temi trattati 40 22 0 0 0 62 100 100,0% 100,0% 0,0% 0,0% 9,29 48 29 2 0 0 79 97 100,0% 97,5% 2,5% 0,0% 9,16 2 Comprensione dei partecipanti circa i temi trattati 30 30 2 0 0 62 97 100,0% 96,8% 3,2% 0,0% 8,90 28 47 4 0 0 79 95 100,0% 94,9% 5,1% 0,0% 8,61 3 Interazione degli allievi durante il corso 39 22 1 0 0 62 98 100,0% 98,4% 1,6% 0,0% 9,23 45 29 4 1 0 79 94 98,7% 93,7% 5,1% 1,3% 8,99 4 Grado interesse dei partecipanti 38 23 1 0 0 62 98 100,0% 98,4% 1,6% 0,0% 9,19 39 38 1 1 0 79 97 98,7% 97,5% 1,3% 1,3% 8,91 5 Raggiungimento degli obiettivi del corso 22 37 3 0 0 62 95 100,0% 95,2% 4,8% 0,0% 8,61 23 50 6 0 0 79 92 100,0% 92,4% 7,6% 0,0% 8,43 6 Funzionalità delle aule per le lezioni (acustica, luminosità, attrezzature, arredi) 30 25 6 1 0 62 89 98,4% 88,7% 9,7% 1,6% 8,71 47 26 6 0 0 79 92 100,0% 92,4% 7,6% 0,0% 9,04 7 Logistica a supporto (ubicazione corso, vitto, sede del pernottamento) 29 30 1 2 0 62 95 96,8% 95,2% 1,6% 3,2% 8,77 49 29 1 0 0 79 99 100,0% 98,7% 1,3% 0,0% 9,22 8 Giudizio complessivo sui partecipanti al corso (rispetto orari, partecipazione, interesse) 32 26 4 0 0 62 94 100,0% 93,5% 6,5% 0,0% 8,90 35 42 1 1 0 79 97 98,7% 97,5% 1,3% 1,3% 8,81 9 Giudizio complessivo sul proprio lavoro 10 49 3 0 0 62 95 100,0% 95,2% 4,8% 0,0% 8,23 27 49 3 0 0 79 96 100,0% 96,2% 3,8% 0,0% 8,61 % voti Negativi % voti Positivi Valutazione dei corsi residenziali locali (corsi regionali) da parte dei Docenti anno 2012 anno 2013 totale v.a. % voti suff. % voti suff. % voti Positivi % punto centrale % voti Negativi media totale v.a. % voti suff. % voti suff. % punto centrale media 198 Grafico 4 – Valutazione dei corsi residenziali locali ( corsi regionali) da parte dei Docenti                                !  "  #! $%   &!' ! (! "!  !   "!  !                                                               !  "    #!  $%   &!' !      (! "   "!  !   "!  !        199 discriminare meglio il livello di soddisfazione dei docenti che, pur confermandosi pressoché totale, mostra delle lievi flessioni in riferimento al raggiungimento degli obiettivi del corso (92,4%) e alla funzionalità delle aule (92,4%), mentre in merito alla logistica a supporto si individua la quota più ampia di soddisfazione (98,7%). Il valore medio delle risposte espresse da ciascun docente per ognuno degli items si colloca sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono” e il giudizio più positivo viene espresso proprio in merito agli aspetti logistici. Considerando congiuntamente i pareri medi espressi, si nota come tutti gli elementi da valutare nel questionario hanno registrato un relativo peggioramento della valutazione da parte dei docenti dal 2012 al 2013, tranne che la logistica a supporto, la funzionalità delle aule e il giudizio complessivo sul proprio lavoro (cfr. Graf. 4). 3. SODDISFAZIONE PER I SEMINARI DEI SETTORI PROFESSIONALI E PER I SEMINARI PER I DIRETTORI La somministrazione dei questionari sulla soddisfazione per i Seminari dei Settori Professionali nell’anno 2012 ha coinvolto 188 partecipanti (cfr. Tav. 5). Tutti gli items del questionario hanno registrato un giudizio ampiamente sufficiente, infatti, per ognuno degli items la somma dei giudizi da “discreto” a “molto buono” è sempre compresa tra il 95 e il 99%. Tali percentuali di pareri positivi, se considerate isolando la quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di individuare almeno due aree di relativa criticità, ossia l’approfondimento dei temi trattati (73,9%) e la chiarezza del docente nell’esporre gli argomenti (76,6%). Secondo la Sede Nazionale, che ha analizzato le motivazioni della relativa insoddisfazione espressa dai partecipanti circa il livello di approfondimento dei temi trattati, questi avrebbero gradito dei seminari di maggiore durata, in modo da affrontare meglio i diversi argomenti. Essendo prevista per i seminari una durata massima di 18 ore, la Sede Nazionale ha optato per la soluzione di limitare le tematiche da proporre all’interno dei singoli seminari. Per contro, particolare soddisfazione viene espressa in merito alla disponibilità dei docenti a fornire chiarimenti (93,6%). Relativamente ai Seminari dei settori professionali nell’anno 2013 la somministrazione dei questionari sulla soddisfazione ha coinvolto 158 persone. Tutti gli items del questionario hanno registrato un giudizio ampiamente sufficiente, infatti, per ognuno degli items la somma dei giudizi da “discreto” a “molto buono” è sempre compresa tra il 96% e il 100% (che si registra in riferimento agli aspetti logistici). Tali percentuali di pareri positivi, se considerate al netto della quota di quanti hanno espresso un giudizio “discreto”, consentono di individuare almeno due criticità riguardanti i docenti dei seminari: la chiarezza nell’esporre gli argomenti (79,7%) e la capacità di stimolare/motivare l’interesse (81,8%). Particolare 200 Tav. 5 – Valutazione dei Seminari dei settori professionali da parte dei Partecipanti Legenda: MB=molto buono; B=buono; D=discreto; S=scarso; INS=insufficiente; % voti suff. = MB + B + D; % voti positivi=MB + B; % punto centrale=D; % voti negativi=S + INS 10 8 6 4 2 10 8 6 4 2 DOMANDA MB B D S INS MB B D S INS Interesse dei temi trattati 76 88 22 2 0 188 87 98,9% 87,2% 11,7% 1,1% 8,53 79 61 17 1 0 158 89 99,4% 88,6% 10,8% 0,6% 8,76 Approfondimento dei temi trattati 47 92 41 6 2 188 74 95,7% 73,9% 21,8% 4,3% 7,87 61 73 22 2 0 158 85 98,7% 84,8% 13,9% 1,3% 8,44 Chiarezza del docente nell’esporre gli argomenti 54 90 41 3 0 188 77 98,4% 76,6% 21,8% 1,6% 8,07 53 73 28 4 0 158 80 97,5% 79,7% 17,7% 2,5% 8,22 Disponibilità del docente a fornire chiarimenti 93 83 8 4 0 188 94 97,9% 93,6% 4,3% 2,1% 8,82 70 63 21 3 1 158 84 97,5% 84,2% 13,3% 2,5% 8,51 Capacità del docente di stimolare/motivare l’interesse 118 49 17 4 0 188 89 97,9% 88,8% 9,0% 2,1% 8,99 72 58 24 4 1 159 82 96,9% 81,8% 15,1% 3,1% 8,47 Materiale didattico (dispense, diapositive, video…) 97 72 17 1 1 188 90 98,9% 89,9% 9,0% 1,1% 8,80 80 60 16 1 1 158 89 98,7% 88,6% 10,1% 1,3% 8,75 Funzionalità delle aule per le lezioni (acustica, luminosità, attrezzature, arredi) 76 83 24 5 0 188 85 97,3% 84,6% 12,8% 2,7% 8,45 67 68 22 1 0 158 85 99,4% 85,4% 13,9% 0,6% 8,54 Logistica a supporto del partecipante (ubicazione corso, vitto, sede del pernottamento) 86 85 16 1 0 188 91 99,5% 91,0% 8,5% 0,5% 8,72 73 67 18 0 0 158 89 100,0% 88,6% 11,4% 0,0% 8,70 anno 2013 totale v.a. % voti suff. % voti suff. % voti Positivi % punto centrale % voti Negativi media Valutazione dei seminari dei settori professionali da parte dei Partecipanti anno 2012 totale v.a. % voti suff. % voti suff. % voti Positivi % punto centrale % voti Negativi media 201 Grafico 5 – Valutazione dei Seminari dei settori professionali da parte dei Partecipanti                                !" !!#$! $ %&!'! " " "'!" !() !# *!+" ,- !'!!-! !!  .$"- !"                                             ! " $ %& " " &!'!   "'! "  !() !#       *! +" ,- !  !'!! -! ! !  .$"- ! "          202 soddisfazione viene espressa dai partecipanti in merito all’interesse dei temi trattati (88,6%), al materiale didattico (88,6%) e alla logistica di supporto (88,6%). Con riferimento ad entrambe le annate (2012 e 2013) il valore medio delle risposte espresse da ciascun intervistato per ognuno degli items si colloca comunque sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un parere compreso fra “buono” e “molto buono”. Considerando congiuntamente i giudizi medi espressi, si nota come alcuni degli elementi da valutare nel questionario, quali l’interesse e l’approfondimento dei temi trattati, la chiarezza del docente e la funzionalità delle aule, hanno registrato un miglioramento della valutazione dal 2012 al 2013, mentre altri, quali la disponibilità e la capacità dei docenti a stimolare l’interesse, il materiale didattico a disposizione dei partecipanti e la logistica a supporto, hanno registrato una certa flessione (cfr. Graf. 5). Infine, secondo quanto indicato dalla Sede Nazionale, la valutazione che emer - ge dai questionari di soddisfazione per i Seminari rivolti ai Direttori, sia per l’anno 2012, sia per l’anno 2013, è molto buona. Il valore medio delle risposte espresse da ciascun intervistato per ognuno degli items si colloca comunque sempre in corrispondenza di punteggi che esprimono un giudizio compreso fra “buono” e “molto buono”. L’unico aspetto che, relativamente l’anno 2013, ha ottenuto un giudizio medio lievemente inferiore agli altri è stato quello della funzionalità del luogo di svolgimento dell’Assemblea. 4. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE In estrema sintesi, analizzando i risultati della rilevazione sistematica del livello di soddisfazione per le attività di Formazione in servizio offerte dal CNOSFAP ai suoi operatori, si individua una ampia area di soddisfazione, soprattutto per quanto concerne gli aspetti legati ai principali soggetti coinvolti, ossia la qualità della docenza e il coinvolgimento dei partecipanti, ma anche l’interesse e l’approfondimento dei temi affrontati. Questa indicazione è sostanzialmente coerente con quanto riscontrato attraverso il questionario somministrato, a distanza di tempo, a Direttori, Delegati e Segretari (cfr. capitolo 3 paragrafo 4). In particolare, nel caso dei rispondenti a quest’ultimo questionario l’area della soddisfazione ammonta complessivamente all’87,1% (con un giudizio medio che si colloca fra “abbastanza” e “molto soddisfatto”). Nel dettaglio, risultano essere prevalentemente motivo di soddisfazione, anche in questo caso, aspetti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti nelle diverse attività, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nei CFP e il conseguimento degli obiettivi formativi. È importante ricordare quanto suggerito per il futuro in apertura di questo capitolo, ossia l’adozione di una scala di valutazione a passi pari (sei o quattro), che elimini il punto centrale della scala stessa, invitando così gli intervistati a esprimere 203 giudizi inequivocabilmente positivi o negativi. Si suggerisce, inoltre, la modifica delle etichette verbali assegnate ai diversi passi della scala di valutazione, dal momento che la differenza fra i giudizi “insufficiente” e “scarso” non è sufficientemente chiara ed è comunque minima dal punto di vista semantico. Laddove queste modifiche non siano attuabili, si suggerisce di considerare soltanto le percentuali dei giudizi positivi (“buono” e “molto buono”) per confrontarle con le percentuali dei giudizi negativi (“scarso” e “insufficiente”), isolando le percentuali di risposte neutre (“discreto”). 205 Quinto capitolo Studio di dodici casi mediante focus group Sergio Cicatelli - Maria Paola Piccini - Guglielmo Malizia A completamento dell’analisi qualitativa prevista nel progetto di ricerca, il presente capitolo riporta in sintesi i risultati degli studi di caso realizzati attraverso il ricorso alla tecnica dei focus group. In particolare, con tutte le componenti dei CFP selezionati sono state approfondite tematiche centrali per la conoscenza e la valutazione della Formazione in servizio come la partecipazione alle diverse iniziative, i loro punti di forza e di debolezza, le ricadute sull’attività formativa e didattica e le proposte di miglioramento. Sono questi anche i titoli delle sezioni che seguono, a cui fa da introduzione una nota metodologica1. 1. NOTA METODOLOGICA SUI FOCUS GROUP Questa fase dello studio vuole essere un approfondimento di natura qualitativa, finalizzato alla raccolta delle opinioni delle componenti interessate di alcuni Centri. La scelta di ricorrere alla tecnica del focus group è motivata dall’esigenza di affrontare il tema della Formazione in servizio degli operatori CNOS-FAP in una situazione di interazione simile a un processo conversazionale “normale”, con il conseguente vantaggio di raccogliere opinioni, sollecitate dal confronto con altre persone, spontanee e a un buon livello di approfondimento. Il focus group è una tecnica di raccolta delle informazioni che coinvolge non un intervistato soltanto, ma più persone contemporaneamente (generalmente un piccolo gruppo). I partecipanti al focus group vengono invitati da un moderatore a discutere tra loro di un particolare argomento o insieme di argomenti tra di essi collegati, affrontando così le tematiche che la ricerca ha interesse a “mettere a fuoco”. Diversamente da altre tecniche di rilevazione per la ricerca sociale, nel focus group non c’è un’alternanza fra domande poste dall’intervistatore e risposte date a queste stesse domande dagli intervistati, ma alcune persone, opportunamente sele- 1 Anche se il capitolo è responsabilità comune dei tre autori, la sezione 1 è stata redatta da M.P. Piccini, quelle 2-5 da S. Cicatelli e quelle 6-7 da G. Malizia. Pertanto, le differenze di stile e di forma che si possono riscontrare nel testo dipendono dalle scelte effettuate dai tre autori nello spazio di autonomia proprio. 206 zionate, interagiscono discutendo liberamente su argomenti proposti, appunto, dal moderatore. L’assunto su cui si basa il focus group è che nell’interazione diretta con altre persone sia più facile far emergere ed esprimere in modo immediato e spontaneo non solo opinioni, ma anche motivazioni, sentimenti, riferimenti valoriali, immagini di realtà e quant’altro potrebbe risultare difficile da esternare in un colloquio individuale con un intervistatore. Nel corso della discussione possono verificarsi le seguenti evenienze, tutte positive dal punto di vista del ricercatore: i partecipanti, grazie al confronto con gli altri, sono agevolati nel definire, chiarire, approfondire e comunicare in modo articolato e coerente la propria posizione; la particolare situazione d’interazione tra “pari” gioca a favore di un indebolimento dei meccanismi di difesa che spesso sono a monte di sospetti, timori, esitazioni, reticenze e, più in generale, della tendenza a non rispondere in modo sincero e collaborativo; la discussione può sollecitare il ricordo e far affiorare elementi che, diversamente, rimarrebbero inespressi; l’interazione con gli altri, dunque, favorisce la riflessione, l’analisi e può stimolare l’emergere di idee nuove, di elementi che altrimenti non sarebbero riferiti. Nel presente studio si è optato per un focus group semistrutturato, in cui il ruolo del moderatore è limitato a interventi finalizzati a agevolare l’andamento della discussione, contrastare deviazioni dal tema e equilibrare gli interventi (Corrao, 2000). Per guidare la conduzione del focus group è stata predisposta non una serie di domande prefissate, ma una traccia semistrutturata pensata come una lista flessibile di temi e sotto-temi da proporre e trattare, ritenuti particolarmente interessanti in relazione agli obiettivi dello studio. Per sollecitare l’approfondimento di questi temi il moderatore formula, di volta in volta, domande mirate, inserendosi nella discussione nel momento più opportuno o riallacciandosi agli interventi dei partecipanti. In particolare, sono stati coinvolti nella conduzione dei focus group un primo moderatore (conduttore) per la gestione della discussione (Krueger, 1994) e un secondo moderatore (osservatore) con la responsabilità di intervenire in caso di difficoltà del primo nel coordinare il dibattito e con lo specifico compito di fungere da osservatore e prendere annotazioni sintetiche sui contenuti degli interventi. Il ruolo dei due moderatori2, coerentemente con il grado di strutturazione del focus group è, dunque, essenzialmente quello di esercitare un controllo sia sui contenuti della discussione sia sulle eventuali dinamiche di gruppo (Corrao, 2000). Inoltre, le due moderatrici si sono alternate nei ruoli di conduttore e osservatore, nell’ambito di ognuno dei focus group. Questa modalità di conduzione ha consen- 2 La dottoressa Beatrice Russo è dottoranda presso il Dottorato in Sociologia e Scienze sociali (SeSS), Curriculum in Ricerca Applicata alle Scienze Sociali (RASS), Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Sapienza Università di Roma; la dottoressa Maria Cristina Monacchia, psicologa, psicoterapeuta familiare in formazione, esperta in psicopatologia dell’apprendimento scolastico, laureata presso l’Università Pontificia Salesiana, Facoltà di Scienze dell’Educazione. 207 tito la copertura dei temi oggetto d’indagine, soprattutto attraverso l’interruzione di discussioni infruttuose, facendo sempre attenzione a non ostacolare o inibire la spontaneità d’espressione dei partecipanti. La traccia utilizzata per la conduzione dei focus group, focalizzati sulla valutazione dell’offerta di Formazione in servizio erogata dal CNOS-FAP per il personale dei CFP, si compone di temi e sotto-temi articolati in quattro aree principali: 1. Valutazione della partecipazione alle diverse attività di Formazione in servizio e delle motivazioni personali. Sono riconducibili a questa prima area tematica gli inviti alla riflessione circa la partecipazione (o non partecipazione) alle diverse opportunità di formazione, le attese di formazione e le esperienze precedenti dei partecipanti, i corsi che sono rimasti più impressi nella memoria in tutta la vita professionale dei formatori coinvolti nel focus group, le iniziative personali di aggiornamento e gli elementi che possono essere considerati d’ostacolo per la Formazione in servizio. Sempre a questa prima area si riconducono gli approfondimenti circa i fattori positivi e quelli di maggiore criticità, l’efficacia percepita dei corsi, l’interesse e l’attenzione eventualmente rilevate nel gruppo in formazione, le riflessioni sulla differenza tra i corsi su argomenti tecnici e quelli su tematiche trasversali, con riferimento alle preferenze del gruppo e a quelle rilevate, più in generale, tra i colleghi. 2. Punti di forza e criticità delle attività di Formazione in servizio. La seconda area tematica include argomenti finalizzati ad approfondire le diverse opinioni circa il raggiungimento degli obiettivi formativi e la soddisfazione delle attese formative, la significatività degli argomenti dei corsi di formazione, il grado di interesse e di approfondimento degli stessi argomenti e dei temi dei corsi; la chiarezza, la disponibilità e la capacità di gestione dell’aula da parte dei docenti dei corsi di formazione, la loro competenza, l’adeguatezza al compito e l’autorevolezza; l’adeguatezza e aggiornamento dei materiali dei corsi, degli eventuali ausili didattici e della metodologia didattica adottata in generale; la logistica e l’organizzazione concreta dei corsi; il personale coinvolgimento e interesse nei confronti dei temi dei corsi; il “clima” del corso. Infine, si invita alla riflessione e alla valutazione di diverse risorse CNOS, quali Rassegna CNOS, la Newsletter, le varie pubblicazioni e ricerche, il sito internet, la Ricerca sul successo formativo degli allievi, il Concorso nazionale dei capolavori. 3. Ricaduta sul CFP delle attività di Formazione in servizio. Nella terza area tematica gli spunti di riflessione vertono sulla ricaduta didattica dei corsi frequentati, cioè sulla loro utilità, distinguendo tra l’utilità per la didattica e l’utilità per la crescita professionale complessiva, con approfondimenti circa l’incidenza nelle prassi didattiche quotidiane e, infine, i principali risultati della partecipazione alla Formazione in servizio, non solo in termini di apprendimento ma anche in termini di socializzazione, amicizie e relazioni coltivate, curiosità soddisfatte, apprendimenti indiretti o incidentali, crescita umana etc. 208 4. Eventuali suggerimenti e proposte per le attività di Formazione in servizio. L’ultima area tematica della traccia per la conduzione dei focus group riguarda le raccomandazioni per eventuali miglioramenti alla formazione dei formatori, relativamente alle competenze che si vorrebbero acquisire/migliorare, alle metodologie didattiche, alla finalizzazione delle attività. Nel complesso, la discussione ha seguito la classica sequenza costituita da domande di apertura (per creare un clima disteso nel gruppo), domande introduttive (per indurre la riflessione sull’argomento chiave e avviare la conversazione), domande di transizione (per riflettere sui temi in rapporto all’esperienza dei partecipanti), domande chiave (centrate sulle informazioni cruciali), domande finali (per chiarire meglio le posizioni emerse). Per l’individuazione dei CFP da prendere in considerazione per lo studio e lo svolgimento dei focus group si è assunto, in primo luogo, un criterio basato sulle dimensioni dei Centri e, in secondo luogo, un “criterio geografico”. In questo modo sono rappresentate tutte le Regioni nelle quali si collocano CFP funzionanti e disponibili e, secondo la consistenza quantitativa dei Centri, situazioni di eccellenza e problematiche e all’interno dei singoli CFP, opinioni diverse, favorevoli o sfavorevoli, dei diversi soggetti coinvolti. La scelta di condurre i focus group nei CFP più grandi è dettata da ragioni legate alla maggiore disponibilità del personale docente e non e, soprattutto, alla disponibilità di una potenziale ampia gamma di opinioni ed esperienze che possono essere approfondite per mezzo delle interviste di gruppo. Nelle Regioni più grandi e con un maggior numero di CFP sono state effettuate due visite a due Centri diversi. I CFP delle Regioni del Sud e delle Isole sono stati esclusi dalla selezione in ragione del perdurare della situazione problematica e precaria. La selezione di CFP coinvolti in questa fase dello studio, dunque, ne comprende complessivamente dodici: due in Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio; uno in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Umbria. Compatibilmente con la disponibilità dei formatori e con le esigenze organizzative dei Centri, i focus group hanno visto la partecipazione di novantacinque operatori del CNOS-FAP, tra i quali formatori dei diversi settori, membri dello staff direttivo, coordinatori della formazione, personale amministrativo. Tale selezione include operatori giovani e meno giovani, con diversa esperienza di partecipazione ai corsi (assidui, meno assidui, non assidui), con diverso atteggiamento (positivo vs critico) nei confronti della formazione in servizio, con esperienza di partecipazione alla Formazione in servizio relativa alle competenze di base e alla formazione specifica per settori (e/o affini), a corsi residenziali nazionali, a corsi residenziali locali e/o a corsi FAD. I focus group sono stati effettuati in un periodo compreso tra il 13 ottobre e il 24 novembre 2014 e ognuno di essi ha avuto una durata compresa fra i cinquanta e gli ottanta minuti. Nel dettaglio, i Centri di Formazione Professionale del CNOS-FAP selezionati per lo svolgimento dei focus group sono stati i seguenti: Roma Pio XI (13 ottobre 2014); Perugia (17 ottobre 2014); Bologna (21 ottobre 2014); Genova 209 Sampierdarena (23 ottobre 2014); Sesto San Giovanni (29 ottobre 2014); Fossano (31 ottobre 2014); Roma Teresa Gerini (3 novembre 2014); Milano centrale (5 novembre 2014); Udine (6 novembre 2014); Torino Valdocco (20 novembre 2014); Verona San Zeno (24 novembre 2014); Verona Sant’Ambrogio Valpolicella (24 novembre 2014). I focus group sono stati registrati con il consenso dei partecipanti e le moderatrici hanno, in seguito, trascritto integralmente le registrazioni. Le trascrizioni dei 12 focus group sono state analizzate con il software ATLAS.ti (versione 5.0)3, sviluppato nella prima metà degli Anni ‘90 da Thomas Muhr per supportare proprio l’analisi di tipo qualitativo. In particolare, nel presente studio il software è stato utilizzato per facilitare il processo di codifica dei testi. Si tratta di una procedura mediante la quale l’informazione contenuta nei testi viene sintetizzata e ricondotta a nuclei concettuali fondamentali. In questo senso un codice (code) è una etichetta verbale atta a rappresentare il contenuto di una o più porzioni di testo (quotation). Si tratta, dunque, di identificare all’interno dei testi le unità significative che contengono informazioni utili per l’analisi e assegnare loro un codice, appunto. In particolare, il procedimento di codifica è stato messo in atto in due fasi: una prima fase di cosiddetta “codifica aperta” e una seconda di “codifica assiale”. Nella prima fase le informazioni contenute nei testi dei focus group sono state ricondotte a concetti generali che ne riassumono contenuto e significato, per un totale di 92 codici. Nella seconda fase i codici sono stati ricondotti a dimensioni più generali che ne raccolgono il significato in categorie concettualmente più ampie. Nello specifico, i codici sono stati classificati in famiglie di codici (code families) parzialmente corrispondenti alle diverse aree tematiche della traccia utilizzata per la conduzione dei focus group (cfr. Tav. 1). 2. LA PARTECIPAZIONE ALLE ATTIVITÀ DI FORMAZIONE IN SERVIZIO L’area tematica su cui si sono maggiormente soffermati i focus group è stata quella della partecipazione alle attività di Formazione in servizio e delle motivazioni personali. Sotto questa etichetta si raccolgono aspetti diversi che possono andare dalla semplice informazione sulle attività cui ciascun intervistato ha partecipato alla qualità della partecipazione stessa e dunque alla dimensione motivazionale che può essere stata sollecitata dalle attività di formazione. A partire dalle risposte raccolte nei focus group la partecipazione appare condizionata oggettivamente da una serie di fattori diversi che possono essere esaminati in base a polarizzazioni interne all’organizzazione dei corsi: – la modalità di partecipazione (in presenza / a distanza); – la collocazione territoriale (regionale / nazionale); – i contenuti affrontati (generali / specifici); – la possibilità di partecipazione (libera / obbligata). 3 Disponibile all’indirizzo http://www.atlasti.com 210 Tav. 1 – Code Families Code Family: Partecipazione Codes (22): [Comprensione significato del focus group] [Concorso capolavori] [Corsi dal contenuto pratico] [Corsi di orientamento tutor] [Corsi specifici/Corsi trasversali] [Corso ben progettato] [Corso specifico informatica Utile] [Iniziative personali di aggiornamento] [Partecipazione alla progettazione dei corsi] [Partecipazione conformista] [Partecipazione corsi anni precedenti] [Partecipazione corsi per Direttori] [Partecipazione decisa/concordata Direttore] [Partecipazione degli Altri formatori del CFP] [Partecipazione di dipendenti senza contratto] [Partecipazione: corsi dedicati amministrativi] [Partecipazione: impegnato in corsi non CNOS] [Partecipazione: corsi interni] [Pollicione d’oro] [Qualità dei corsi] [Questione FAD] [Risorse CNOS] Quotation(s): 309 Code Family: Proposte Codes (19): [Condivisione dei contenuti dei corsi] [Condivisione unità didattiche] [Esigenze specifiche degli amministrativi] [Formazione Pedagogica salesiana] [Necessità di formazione continua] [Preferenza per metodologia d’aula] [Preferenza per metodologie interattive] [Proposta di argomenti specifici per i corsi] [Proposta: condivisione dei materiali prima e dopo il corso] [Proposta: corsi mirati sui singoli CFP] [Proposta: esame finale dei corsi] [Proposta: legittimare la condivisione dei corsi con certificazione] [Proposta: richiami alla formazione] [Proposta: scambi di colleghi fra CFP] [Proposta: Testimonianze] [Proposta: Tirocini aziendali per formatori] [Rapporti dipendenti amministrazione e famiglie allievi] [Rapporti famiglie allievi formatori aziende] [Rapporti formatori famiglie] Quotation(s): 110 Code Family: Punti di forza Codes (8): [Punto di forza: Certificazione competenze] [punto di forza: Collaborazione fra colleghi] [Punto di forza: Concorso capolavori] [punto di forza: Condivisione degli obiettivi] [Punto di forza: Logistica] [Punto di forza: Metodologia coinvolgente] [Punto di forza: Scambio esperienze] [Punto di forza: Scelta dei temi] Quotation(s): 71 Code Family: Ostacoli Codes (17): [Problema specifico del CFP: organizzazione didattica] [problema specifico del CFP: tipologia di allievi] [Problema: collocazione geografica e risorse] [Problema: collocazione temporale dei corsi] [Problema: corsi troppo specializzati] [Problema: corsi troppo teorici] [Problema: difficoltà economiche] [Problema: dislivello competenze partecipanti ai corsi] [Problema: disparità fra situazioni diverse] [Problema: mancata socializzazione dei corsi] [Problema: offerta attività non rispondente esigenze CFP] [Problema: progettazione e monitoraggio dei corsi] [Problema: ripetitività dei corsi] [Problema: scarso interesse] [Problema: sostituzioni] [Problema: troppa burocrazia] [Problema: uso del tempo (libero)] Quotation(s): 142 Code Family: Ricadute Codes (10): [Ricaduta immediata dei corsi] [Ricaduta in tempi lunghi dei corsi] [Ricaduta ostacolata da organizzazione temporale] [Ricaduta ostacolata da problemi economici] [Ricaduta ostacolata dalle troppe disparità fra i centri] [Ricaduta scarsa] [Ricaduta su entusiasmo e motivazione] [Ricaduta sull’aggiornamento e scambio di esperienze] [Ricaduta sulle competenze e contenuti professionalizzanti] [Ricaduta sulle competenze formatori e allievi] Quotation(s): 63 211 La partecipazione può anche essere condizionata, più soggettivamente, dalla motivazione dei destinatari, i quali possono essere raggruppati in base a criteri diversi, ora di nuovo polarizzati in coppie antinomiche, ora più variamente articolati: – la funzione (direttori/formatori/amministrativi/figure di sistema); – il contratto (stabili/precari); – le modalità di selezione (sempre gli stessi/a rotazione). Da un punto di vista complessivo, i corsi di formazione appaiono come un’esperienza importante e ricorrente nella vita dei formatori e sono percepiti come un appuntamento qualificante, sia per la sistematicità del loro svolgimento, sia per i risultati attesi e raggiunti. Le dinamiche della partecipazione possono essere un indicatore abbastanza attendibile della capacità dei corsi di intercettare la domanda di formazione. Non è detto che i corsi quantitativamente più partecipati siano i migliori o i più apprezzati, anche perché la domanda e l’offerta sono estremamente varie. Possiamo quindi tentare di analizzare la situazione sulla base dei criteri sopra indicati di classificazione, cominciando dall’asse di polarizzazione relativo alla modalità di partecipazione, in presenza o a distanza. Sui corsi organizzati in modalità FAD il giudizio degli intervistati è pressoché unanimemente negativo: sono poco funzionali, di fatto inutili; qualcuno addirittura non ricorda nemmeno l’argomento del corso scelto e in genere parzialmente frequentato; la frequenza è piuttosto distratta e la qualità dei materiali formativi sembra essere talvolta scadente. La possibilità tipica della FAD di partecipare al percorso formativo in maniera più libera (da casa, negli orari preferiti, ecc.) costituisce di fatto un ostacolo, perché si finisce per rinviare ripetutamente l’attività o per svolgerla in maniera marginale e con scarsa motivazione. L’interattività delle piattaforme utilizzate è giudicata alquanto modesta: in alcuni casi erano a disposizione solo materiali da fruire passivamente, in altri l’interazione tra i partecipanti si è trasformata in forum disordinati e poco produttivi. Per rimanere all’interno degli strumenti di comunicazione a distanza, un po’ diverso è il giudizio sulla Newsletter CNOS, che è invece giudicata utile, anche se talvolta contiene troppe informazioni e finisce per essere consultata superficialmente (si segnalano parecchi disguidi nella ricezione per posta elettronica). I più attenti utilizzano anche la rivista cartacea Rassegna CNOS, alla quale viene riconosciuto un alto livello di qualità, anche se pochi la usano come materiale di studio e aggiornamento. Per ovvi motivi organizzativi i corsi in presenza non possono raggiungere tutto il personale dei CFP e quindi un aspetto particolare emerso dai focus group è la modalità di selezione dei partecipanti. Qualcuno immagina che i corsi siano un’operazione istituzionalizzata, la partecipazione alla quale può essere ora il risultato di una decisione personale ora una sorta di privilegio riservato ai soliti noti (c’è chi dichiara che «ai corsi vanno quasi sempre gli stessi»), ma la maggior parte 212 degli intervistati è decisamente soddisfatta di questa esperienza, anche perché con l’andare del tempo, una volta sperimentata l’opportunità formativa, si partecipa volentieri e si vorrebbero avere ancora più occasioni di formazione (viene osservato infatti che «ogni anno dobbiamo eliminare delle richieste perché gli iscritti sono troppi»). Nonostante il dato positivo sia il più frequente, sia quantitativamente che qualitativamente, rimane l’impressione di una partecipazione piuttosto disuguale: da una parte qualcuno rimane un po’ isolato e non vuole o non riesce a partecipare; dall’altra si nota un atteggiamento di sufficienza per cui i corsi sono frequentati più per dovere che per piacere o per interesse personale, salvo poi ricredersi a cose fatte. È simpatica l’osservazione di un intervistato che dichiara: «il corso più bello negli ultimi dieci anni è stato quello cui ho partecipato per sbaglio; per cui ogni tanto spero che mi obblighino ad andare ad un corso». In base alla collocazione territoriale dei corsi (ovviamente solo quelli in presenza) si distinguono corsi di livello regionale e di livello nazionale. In questa articolazione si rispecchia spesso anche una differenza tematica, con i primi dedicati ad argomenti di carattere più spiccatamente tecnico-professionale ed i secondi rivolti a tematiche più generali o trasversali. Sembra interessante che proprio il livello territoriale di organizzazione compaia come fattore chiave per distinguere le tipologie di corsi; queste almeno sembrano essere le categorie utilizzate dagli intervistati, che in genere ricorrono al livello territoriale per identificare il corso e addirittura per attribuirgli valore. È probabile che si tratti solo di un modo per esprimersi sinteticamente, ma la scelta del riferimento geografico-organizzativo può essere indicativa della stessa percezione del corso: un’occasione legata al sistema complessivo dei Centri CNOS-FAP. I corsi regionali in genere sono dedicati ad argomenti di più immediata spendibilità nell’area professionale, mentre quelli di livello nazionale trattano tematiche più trasversali e generiche. I primi sono forse più apprezzati e partecipati in quanto rispondono ad esigenze immediate di aggiornamento ed offrono una facile trasfe - ribilità dei contenuti appresi nella quotidiana attività d’aula (finendo quindi per essere almeno implicitamente apprezzabili anche dagli allievi). Da un lato c’è chi dichiara «non ce la faccio a stare cinque giorni a sentir parlare di teoria»; dall’altro c’è chi lamenta che «ci si chiede di essere molto pratici e poi sono solo corsi teorici». La preferenza va quindi ai corsi più rapidamente spendibili nell’attività quotidiana. I corsi nazionali sono in genere considerati di maggior valore, sia per l’impegno che richiedono, sia per il numero ristretto di partecipanti ammessi. I corsi di cultura generale o di formazione pedagogica hanno inevitabilmente una ricaduta a più lunga distanza e talvolta se ne scopre la validità e la stessa utilità solo a posteriori. Anche in questo caso c’è chi ritiene che questi corsi «volano troppo alto per il nostro target», ma è interessante la testimonianza di un altro formatore che osserva: «A me è successo che mi hanno mandato a fare un corso sulla dispersione scola- 213 stica e sull’orientamento dei ragazzi. Ho detto: “ma cosa ci vado a fare?”, ma poi alla fine è stato interessante. Mi è piaciuto molto. Sono cose che comunque metti nel tuo fardello e possono servire un domani». Come ci si può attendere facilmente, alcuni corsi hanno lasciato il segno, altri sono stati meno apprezzati. Non è agevole segnare una linea di demarcazione tra corsi locali e corsi nazionali, individuando sistematicamente negli uni o negli altri quelli più graditi e partecipati. I corsi regionali, in quanto di solito indirizzati su tematiche tecniche, offrono una ricaduta immediata e quindi sono apprezzati dai formatori di area professionale; i corsi nazionali, dedicati a tematiche trasversali, incontrano invece di più il favore dei formatori di cultura generale. Sul piano della socializzazione, i corsi nazionali sono ovviamente quelli che offrono maggiori occasioni di incontro e di scambio e sono quindi apprezzati anche per la rete di relazioni che consentono di stabilire o di rafforzare. I corsi regionali rispondono di più a esigenze pratiche locali e di aggiornamento tecnico, consentono l’incontro di operatori che probabilmente già si conoscono e sembrano essere più concentrati sul compito. Ma tutto questo è facilmente immaginabile ed è probabile che tali aspetti siano già previsti anche nella fase progettuale. Alla modalità di partecipazione libera o obbligata è legata in buona parte la motivazione dei formatori, dato che il processo che conduce a partecipare ad un corso influisce in maniera rilevante sulla soddisfazione e sugli stessi risultati della formazione. Si sa che alcuni corsi sono obbligatori (e in questo caso vengono frequentati per senso del dovere, magari poi scoprendo interessi insospettati), ma è senz’altro preferibile poter trovare soddisfazione ad un bisogno formativo personale e quindi poter scegliere di partecipare a corsi specifici o addirittura poter incidere sulla scelta degli argomenti da svolgere. È naturale attendersi una maggiore motivazione per i corsi scelti direttamente dai formatori, che cercano di far coincidere l’obbligo con l’interesse personale. Dichiara uno di essi: «Io credo anche che a livello di motivazione incida la modalità di proposta e adesione al corso. Nel senso che, quando devi andare perché bisogna andare e magari non vedi un’urgenza perché nel tuo lavoro quotidiano non è emerso il bisogno di aggiornamento, ma ti viene semplicemente proposto perché è previsto che tu vada, sicuramente la difficoltà a trovare una motivazione c’è. Sicuramente all’inizio, poi magari, fatta l’esperienza, trovi delle positività». Sul piano motivazionale è anche interessante la testimonianza di un altro formatore che osserva: «In questi corsi veniamo molto spesso “riempiti” e ben motivati, forse perché è luglio, comunque non vedo l’ora di tornare in classe e mettere in pratica tutte queste belle cose». Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, in genere sembra di poter dire che l’offerta di corsi riesca a raggiungere un po’ tutto il personale e che rimanga fuori solo chi proprio non vuole lasciarsi coinvolgere. Del resto la programmazione dei corsi, pur migliorabile, non è frutto di improvvisazione ma di una meditata valutazione delle esigenze formative degli allievi e, di conseguenza, dei formatori. 214 In base ai destinatari si può distinguere tra: corsi indifferenziati e corsi per alcune categorie particolari; corsi per Direttori e corsi per altri operatori; corsi per formatori e corsi per amministrativi; corsi aperti anche al personale fuori contratto e corsi solo per il personale stabile. I corsi per i Direttori sembrano essere quelli di maggior successo: la partecipazione è ampia e regolare e, nonostante il ricordo di qualche isolato disguido organizzativo, assicurano una buona socializzazione tra persone che svolgono la stessa funzione in contesti e condizioni diverse. Spesso risultano aver partecipato non solo i Direttori ma anche i coordinatori. Va comunque tenuto presente che si tratta di corsi rivolti a soggetti selezionati e motivati a monte, per cui il loro successo è in buona misura prevedibile. Tra le categorie coinvolte viene lamentata la apparentemente scarsa attenzione alle cosiddette figure di sistema, cui si vorrebbe venissero dedicati specifici corsi almeno ogni certo numero di anni. I corsi per i formatori sono invece la maggioranza e devono affrontare un’ampia varietà di argomenti e competenze. Accanto ai corsi di carattere tecnico, che vengono apprezzati ma limitatamente all’aggiornamento che producono, la domanda principale che viene dai partecipanti è quella di fornire strumenti per affrontare le situazioni di emergenza quasi quotidiana che si trovano a vivere con gli allievi. Come osserva un formatore, «i problemi che danno i ragazzi non sono stati mai a livello didattico, sono stati sempre problemi di gestione d’aula, di comportamento, di saper rispondere a determinate situazioni». Più drammaticamente un altro dice che si combatte «una guerra quotidiana» e che a lezione «siamo proprio in trincea». Si vorrebbero allora suggerimenti pratici per le emergenze, ricette spendibili per le criticità relazionali di ogni giorno, ma un orientatore (e può essere significativo che si tratti proprio di una figura intermedia) osserva con maggiore ponderazione che «i corsi che attivano processi mi mandano a casa carico, i corsi che puntano a un prodotto mi mandano a casa con brutte parole, scarico»; e ricorda tra le sue esperienze «una serie di corsi dai quali tornavano tutti contenti e carichi e non c’era un prodotto finale, c’era una scintilla su cosa vuol dire una relazione con un adolescente, una scintilla su cosa vuol dire comunicare, una scintilla su cosa vuol dire padroneggiare le emozioni». Va però notato che questo orientatore dichiara anche di essere talvolta preso in giro dai colleghi – si presume bonariamente – per questi suoi entusiasmi. I corsi per formatori lasciano spesso fuori gli amministrativi, che trovano soddisfazione alle loro esigenze solo in corsi specifici. In effetti, sembra di poter rilevare una certa trascuratezza nei confronti del personale amministrativo, che forse non è al primo posto nelle preoccupazioni di chi progetta la formazione di tutto il personale. Emerge infatti una certa insoddisfazione da parte del personale amministrativo per la mancanza di occasioni formative specifiche, soprattutto a livello nazionale («se ne potrebbero fare di più»; «ci servirebbe avere ogni anno qualcosa che sia proprio fatto per il nostro lavoro. Non solo informatica»). 215 Anche per gli amministrativi vale il discorso di non limitare la formazione agli aspetti tecnici: in particolare sembra interessante la testimonianza di uno di essi, che individua nei rapporti con le famiglie un settore chiave della loro specifica professionalità. Proprio dagli amministrativi vengono denunciati alcuni errori organizzativi che talvolta hanno messo in crisi la funzionalità dei CFP e degli stessi corsi di formazione: «abbiamo fatto dei corsi residenziali di informatica che hanno ampliato un po’ le nostre conoscenze, però sono stati proposti nel periodo in cui c’erano le iscrizioni, quindi... sono stati bloccati e siamo stati richiamati in ufficio». I corsi sono in genere rivolti al personale in servizio e ciò lascia emergere come fattore discriminante la durata del contratto di coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato. In teoria se il corso cade in un periodo che non rientra nella vigenza del contratto di lavoro (per esempio in estate), gli interessati non potrebbero parteciparvi, ma proprio questo impedimento rende spesso i corsi più attraenti: emerge, infatti, in vari casi la delusione degli esclusi o la soddisfazione di chi è comunque riuscito a prendervi parte lo stesso. Accanto ai corsi CNOS-FAP occorre anche tenere conto della partecipazione a corsi organizzati da altri soggetti. Talvolta chi partecipa a questi corsi esterni è esonerato dal partecipare a quelli CNOS-FAP, altre volte partecipa a tutti. Si ha l’impressione che ci sia qualche “professionista dell’aggiornamento”, che partecipa a un gran numero di corsi, ma più numerosi sono forse i “professionisti dell’assenza”, che rimangono esclusi – per scelta o per caso – da tutti i corsi anche per lunghi periodi. È facile disporre di dati oggettivi sul numero dei formatori coinvolti nei corsi nei diversi anni e si presume che il coinvolgimento sia abbastanza allargato, ma va registrata anche l’opinione di un formatore che osserva come nei corsi gli capiti di trovare «sempre gli stessi», mentre a suo parere il numero di coloro che non vanno mai ad un corso è piuttosto elevato. Anche se può darsi che si tratti solo di una percezione distorta, è il caso di tenere conto anche di questo aspetto. È generalmente apprezzata la possibilità di avere un coinvolgimento nella progettazione dei corsi, cosa che incide positivamente sui livelli di partecipazione. Come è ovvio, non è sempre possibile far decidere alla base tutte le tematiche da affrontare, anche perché occorre mediare tra opinioni ed esigenze diverse, ma rimane il dato positivo della consultazione allargata. E quanto più è partecipata la decisione, tanto più è avvertito come un limite il numero ristretto di partecipanti, che può lasciare fuori qualcuno ancora sinceramente interessato. Sembra di poter notare che il coinvolgimento dei formatori nella decisione/ progettazione dei corsi sia direttamente proporzionale alla consapevolezza delle problematiche formative, per cui i più motivati e attenti sono anche quelli che si impegnano di più nella selezione degli argomenti dei corsi. Ma va notato che spesso la consapevolezza cresce strada facendo, ponendo implicitamente la domanda se la formazione debba rispondere soprattutto alle esigenze dei formatori o indirizzare la loro stessa professionalità, cioè se debba essere progettata più dal 216 basso o dall’alto. Anche i corsi decisi (o imposti) dall’alto sono però in molti casi condivisi perché se ne comprende la necessità o addirittura la inevitabilità (tipico il caso dei corsi sulla sicurezza). I principali problemi emergono in relazione al calendario poiché talvolta i corsi si vanno a sovrapporre ad altre attività istituzionali o addirittura, come si è visto, c’è stata la necessità di richiamare in servizio il personale inviato ai corsi perché in sede c’erano urgenze che evidentemente non erano state all’inizio valutate con sufficiente attenzione. Del resto, la frequenza dei corsi e la possibile coincidenza tra quelli di livello nazionale e quelli di livello locale può porre il problema di reciproche interferenze tra i diversi corsi e tra questi e le altre attività istituzionali del CFP. Simmetrica alla possibilità di scegliere le tematiche dei corsi c’è quella di scegliere di parteciparvi. In genere è il Direttore del CFP a decidere chi deve frequentare ogni corso, ma la decisione è spesso condivisa con i diretti interessati e quindi si riescono facilmente a combinare i desideri dei formatori e la concreta possibilità di partecipare ai corsi preferiti. Talvolta, come ribadisce qualcuno, «ci si va perché ci si deve andare», ma c’è chi osserva di aver «sempre notato una certa sensibilità della direzione [...] a invogliare o comunque a rendere partecipi tutti delle possibilità formative». Si nota comunque una certa differenza tra i corsi regionali, ai quali si è spesso spinti ad andare, e quelli nazionali, cui si partecipa prevalentemente su domanda. In qualche caso c’è anche chi ammette che «bisogna riempire la sala», ma viene dato atto ai direttori di scegliere di solito bene i destinatari delle azioni di formazione. 3. I PUNTI DI FORZA DELL’OFFERTA DELLA SEDE NAZIONALE DEL CNOS-FAP Tra le domande poste nel corso dei focus group una riguardava i punti di forza e le criticità dei corsi frequentati e sembra quindi giusto soffermarsi su questo aspetto, che comprende una valutazione più o meno implicita degli stessi corsi. In questo paragrafo ci dedicheremo ai dati positivi; nel prossimo daremo spazio ai motivi di criticità. I punti di forza possono essere divisi in due categorie di dimensioni e qualità piuttosto disuguali: da una parte ci sono le varie e numerosissime dichiarazioni che insistono sulla dimensione relazionale e sui contatti umani che accompagnano la frequenza di ogni corso; dall’altra ci si sofferma su alcuni aspetti particolari più legati ai contenuti dei corsi. Per quanto riguarda la prima categoria, gli intervistati sono pressoché unanimi nell’indicare come principale punto di forza l’occasione offerta di confrontarsi di persona e di scambiarsi esperienze. In tutti i focus group è emerso questo aspetto con una frequenza e una sistematicità che lo rendono indiscutibilmente il motivo di maggior efficacia e gradimento dei corsi di formazione. 217 La cosa è facilmente comprensibile anche solo da un punto di vista psicologico, perché il primo dato che caratterizza materialmente i corsi di formazione è proprio il fatto di costringere a muoversi, a interrompere la routine quotidiana, a confrontarsi con altre persone. La novità è dunque il primo aspetto positivo. Come osserva un formatore «mi piace molto l’idea di rompere la quotidianità»: da un lato si torna «un po’ come quando si andava a scuola», dall’altro l’interruzione della routine didattica rende il corso un momento «di respiro, di stacco: cambiare un po’ l’orario della settimana, una settimana diversa perché c’è un’occasione diversa di lavorare». Del resto, può valere per tutti e in qualunque situazione di vita e di lavoro che «tutti i giorni viviamo in un contesto molto schematico e magari il corso rompe un po’ questo schema con orari un po’ diversi, con attività anche diverse. [...] Il corso crea dinamiche personali, un circolo virtuoso anche con persone differenti, al di là poi del contenuto». Proprio quest’ultima precisazione ci sembra importante, perché a prescindere dai contenuti proposti i corsi hanno sempre in comune il fatto di essere qualcosa di diverso rispetto al lavoro quotidiano; e questa novità costituisce un motivo di attrazione positiva. Un altro formatore sottolinea come l’effetto novità funzioni anche all’interno dello stesso corso, quando si riesce a staccare dall’attività formativa e lasciare spazio alla relazione informale: «si ricorda cosa provano i ragazzi quando stanno sette ore in classe [...] ed è molto utile ogni tanto tornare dall’altra parte». Insomma, sembra di poter dire che un primo fattore positivo è l’interruzione della routine, sia rispetto alla didattica in sede, sia rispetto all’impegno intellettuale dell’attività di formazione. Si tratta di una considerazione quasi ovvia, ma proprio per questo motivo non deve essere trascurata e va tenuta presente per valutare gli effetti dei corsi e la loro organizzazione. Il dato psicologico emerge anche nella dimensione relazionale che viene apprezzata da molti degli intervistati. I corsi di formazione offrono inevitabilmente l’occasione di: 1) incontrare nuove persone o rivedere vecchi colleghi, 2) stabilire relazioni interessanti e 3) visitare nuovi luoghi. 1. Dal primo punto di vista è innegabile che il dato positivo sia costituito proprio dall’incontro personale. È suggestivo il commento di un formatore che parla – impropriamente ma con efficace risonanza – di «dolce empatia» a proposito dell’attesa di «rivedere i colleghi che ho visto l’anno prima». Da questo punto di vista, i corsi nazionali risultano più apprezzati di quelli regionali, perché ovviamente consentono di allargare la cerchia dei contatti e delle relazioni, fare esperienze sempre nuove e diverse, incontrare realtà sconosciute. I corsi regionali invece sono più concentrati sul compito particolare e fanno incontrare sempre le stesse persone: sono anch’essi utili, ma la preferenza va a quelli nazionali, per chi ha avuto la possibilità di parteciparvi. Un formatore conclude che «il corso regionale può essere utile per i tempi, per la partecipazione maggiore, però poi ti perdi un po’ del poter confrontarsi con gli altri». 218 È interessante in proposito l’opinione di un altro formatore, che parla dei corsi come di un’occasione di «rilancio»: chi vi partecipa «può tornare anche ricaricato e dire “adesso proviamo a fare qualcosa di diverso, di nuovo, di originale, che dia entusiasmo e vitalità a tutto l’ambiente”». In chi organizza questi corsi è sicuramente ben presente la ricarica motivazionale che può derivare da queste attività: nel progettarli, dunque, l’attenzione va almeno equamente distribuita tra i contenuti e il contesto (accoglienza, ambiente di lavoro, possibilità di fare gruppo, attività ricreative, ecc.). I corsi possono costituire anche un’occasione di meditazione, come osserva un altro formatore, che trova tra i punti di forza «il fatto di trovarsi o ritrovarsi, scambiare anche solo [...] le informazioni di vita dei centri. Questo lo trovo arricchente e, in alcuni casi, dà anche una sensazione di ringraziamento per ciò che abbiamo; ché a volte solo girando per i centri o anche andando all’estero vedi che veramente siamo fortunati ad avere queste strutture e tutto quello che ci sta intorno». In genere, infatti, i corsi vengono organizzati presso sedi di eccellenza e offrono spunti per migliorarsi, ma talvolta si scopre di essere già in una condizione privilegiata o comunque soddisfacente e allora si apprezza di più ciò che si ha. Insomma, il confronto è sempre utile e il primo dato positivo dei corsi è proprio la possibilità di uscire da casa. Osserva un coordinatore che «i formatori apprezzano molto [...] quando riusciamo a trovare dei momenti per stare insieme al di là dell’ambito prettamente del corso». Può infatti valere anche per i formatori la condizione di isolamento spesso vissuta dagli insegnanti, soprattutto di scuola secondaria, che si chiudono nella classe e hanno scarse occasioni di confronto con i colleghi, tranne alcuni momenti istituzionali e le relazioni amicali che sono inevitabilmente limitate a poche persone. Aumentare le occasioni di incontro consente di favorire scambi fecondi e può facilmente motivare o rimotivare docenti – e, nel nostro caso, formatori – alla ricerca di nuovi stimoli. Può valere l’immagine usata da un intervistato che, dopo aver partecipato a diversi corsi, dice di avere «i numeri di cellulare di mezza Italia». 2. Accanto alla dimensione psicologica della relazione che si può stabilire in un corso, conta anche la funzionalità della relazione stessa. Incontrare colleghi nuovi arricchisce indubbiamente, ma non solo sul piano umano. I contatti che si stabiliscono servono anche alla crescita della professionalità di ognuno. Ai fini dell’acquisizione di nuove conoscenze la dimensione relazionale può essere un indubbio fattore di facilitazione dell’apprendimento. Come osserva un formatore, per esempio nel campo dell’informatica, oggi si può contare su parecchi tutorial «ma il valore aggiunto diventa il confronto con i colleghi». Un altro operatore apprezza almeno l’alternarsi di momenti d’aula e di momenti di formazione on line: «ma se è solo on line... Io ho bisogno di confronto ». In altre parole, molti contenuti possono anche essere appresi individualmente con sussidi e manuali di vario genere, ma il rapporto personale con 219 i colleghi è assolutamente insostituibile e l’incontro con persone ed esperienze diverse da quelle che si incontrano ogni giorno nel proprio CFP accresce senz’altro il valore del momento di formazione. La considerazione, peraltro più volte ribadita, coincide con il severo giudizio altrove formulato nei confronti della formazione a distanza, che dunque riceve un’ulteriore bocciatura. Molto semplicemente si può dire, come fa un formatore, che in questi corsi «si vede effettivamente come lavorano gli altri»: non vale solo per l’osservazione di procedure tecniche ma anche (e forse soprattutto) per la conoscenza di modalità e contesti nuovi di azione. C’è chi dice, scherzando, che si sente un po’ come una «spia» per essere andato a vedere il lavoro degli altri. In maniera efficace, un altro formatore osserva che «se mandi una mail, arriva a tutti e va bene. Però quando ti trovi lì, in 15-20 dei venti centri CNOS dello stesso settore, e si comincia a parlare, saltano fuori un sacco di idee». Come accade in ogni situazione di vita, la presenza di più persone non produce solo lo scambio o la somma delle conoscenze di tutti (che sarebbe già un buon risultato), ma moltiplica le loro potenzialità ed apre prospettive impreviste e probabilmente assai feconde. Anche la sede di svolgimento del corso è fonte di esperienze interessanti. Osserva infatti una coordinatrice che «è anche positivo il fatto che si giri nelle diverse sedi operative, perché ti dà l’idea che non tutto è come il tuo centro [...], anche se è vero che spesso, essendo in estate, vediamo i centri in chiusura, senza i ragazzi e senza attività didattica, però già solo l’idea di come è fatta la struttura, come funziona, quali sono le figure, questo già aumenta il senso di appartenenza, ti dà quell’idea che fai parte di un ente che è più del tuo centro». E questo rivela anche quanto i corsi contribuiscano a rendere visibile il CNOSFAP come istituzione nazionale e la stessa pedagogia (e spiritualità) salesiana come fattore unificante di tante iniziative. Quando poi il confronto si realizza a livello internazionale le stimolazioni sono ancora maggiori. In un focus group è stata ricordata l’esperienza avuta in Finlandia da un formatore, che è rimasto profondamente colpito dal prestigio sociale che ha lì la FP rispetto al ruolo marginale che ha in Italia. Il confronto internazionale è indubbiamente stimolante perché, come dice quell’intervistato, si vede «quanto in altri paesi sono più avanti rispetto a noi, sia per quanto riguarda attrezzature e tecnologie, sia anche come visione generale e utilità pratica della FP», che in Finlandia appare come la «punta di diamante» dei percorsi di studio dei giovani. Scambi internazionali si saranno avuti certamente anche con altri paesi, ma il caso qui riportato sembra abbastanza emblematico del confronto ampio che si può stabilire appena si varcano i confini nazionali, sia sul piano delle condizioni materiali di lavoro (che spesso penalizzano l’Italia), sia per la diversa cultura formativa. Sul piano metodologico può essere interessante la battuta di un formatore, secondo il quale «i corsi bisogna farli almeno in due» (o addirittura in tre), 220 perché si offre la possibilità di discutere sul momento con il collega del proprio CFP per confrontare la trasferibilità di certe innovazioni o semplicemente per chiarire con chi si ha più confidenza la comprensione di alcuni contenuti. Viceversa, il formatore che partecipa da solo ad un corso apprende sicuramente cose nuove, ma è costretto ad un confronto differito con i colleghi del proprio Centro e questo può ridurre in qualche modo l’efficacia della formazione ricevuta. Sarebbe il caso di tenere nel giusto conto anche questo minimo suggerimento organizzativo nella progettazione di nuovi corsi. A livello pratico, infine, sempre per rendere efficace lo scambio promosso dai corsi, un operatore osserva come «la cosa più utile da fare è lavorare su una messa in rete». La cultura di rete è sicuramente già acquisita dal CNOS-FAP e dalla FP in genere, ma è interessante che l’esigenza nasca proprio a partire dai corsi e che dunque sia avvertita come funzionale alla professionalità dei formatori. 3. In terzo luogo, uno dei punti di forza ricorrenti nelle opinioni degli intervistati è la loro collocazione territoriale. Ancora una volta vale il fatto di uscire dal proprio CFP, ma sono in questo caso gli aspetti “turistici” del corso a pesare. A prescindere da chi dichiara semplicemente «io partecipo perché mi piace andare in giro», le valutazioni positive riguardano le visite sul territorio, che a giudizio di una formatrice «si possono anche leggere come visite turistiche, ma sono un modo per valorizzare l’attività culturale: capire dove sei, cosa fai». Quindi è importante scegliere bene le sedi dei corsi, anche se la stessa persona trova che talvolta i corsi nazionali – apparentemente favoriti nel promuovere incontri con il territorio – «sono qualcosa messa lì, che non dialoga con le realtà nelle quali sono immersi». Ovviamente non tutte le sedi consentono di effettuare visite interessanti. Come dice un formatore, «ci sono sedi in cui si ha la fortuna di essere nel centro della città che ti ospita, altre invece dove sei un satellite». In certi casi, cioè, si può uscire anche solo per qualche minuto dalla sede del corso e trovarsi in pieno centro urbano e respirare l’aria di una città diversa; in altri casi si rimane chiusi nella sede perché i dintorni non offrono nulla. In genere però la soddisfazione per l’esperienza condotta fuori casa è elevata. C’è chi dice che per i corsi nazionali si fa fatica a trovare aspetti negativi e che addirittura si è «sempre trattati come dei re»; c’è chi si accontenta semplicemente di avere a disposizione un televisore o un distributore di caffè. Non va comunque trascurato che nella valutazione degli aspetti logistici molto dipende dalle attese; e chi lavora in un CFP sa adattarsi facilmente a diverse condizioni di vita ed apprezzare anche quelle piccole comodità che possono fare la differenza e testimoniare un grado particolare di ospitalità. Accanto all’ampio capitolo della dimensione relazionale, tra i punti di forza sono anche presenti – ma in misura incomparabilmente minore – alcuni aspetti particolari che è difficile raggruppare organicamente, sia per l’esiguità dei riferimenti, sia per la varietà delle situazioni. 221 Un primo aspetto positivo può essere costituito dalla metodologia coinvolgente. Dalle parole di alcuni intervistati emerge un particolare gradimento per corsi di carattere laboratoriale, in cui ci sia la possibilità di mettersi concretamente alla prova in situazioni di lavoro. Un formatore, ad esempio, dice di apprezzare anche i «corsi teorici, ma che fanno lavorare, anche a gruppi», cioè i corsi «dove si lavora tutti insieme e si prova a ragionare tutti insieme». Varie volte ritorna nei focus group la differenza tra corsi teorici e pratici: nella logica della FP la dimensione concreta del lavoro e del coinvolgimento personale in ciò che si apprende non può mai essere trascurata. Un ulteriore motivo di apprezzamento viene dalla certificazione delle competenze acquisite a fine corso. Almeno uno degli intervistati sottolinea la differenza tra un attestato di frequenza e una certificazione di competenze: quest’ultima costituisce senz’altro un valore aggiunto perché documenta e valorizza l’impegno del corsista. Per dirla in termini oggi attuali, è un riconoscimento del merito che produce soddisfazione. Un caratteristico punto di forza è poi costituito dal Concorso dei capolavori, un’iniziativa tipicamente salesiana, che viene giudicata «una bella vetrina per il mondo CNOS». Non è solo il Concorso in sé a valere, quanto «tutto quello che ci sta dietro», dato che il Concorso nazionale mobilita una grande quantità di energie durante l’intero anno. Anche il Concorso può essere l’occasione per incontrare persone e stabilire contatti significativi, ma ciò che conta è soprattutto la concentrazione sul lavoro e la percezione che si tratta di un impegno qualificante: dice un formatore, per evidenziare il valore percepito nella partecipazione a questa attività, che «quello che è andato al concorso l’ha messo sul curriculum». Come è facile immaginare, un aspetto decisivo è infine rappresentato dai contenuti dei corsi, in relazione ai quali i giudizi sono ampiamente positivi. Si va da chi dice che i temi proposti costituiscono «una carta vincente» a chi giudica i «contenuti veramente di alto livello». Ma c’è anche chi trova che, al di là delle occasioni di incontro e della validità formativa per le persone che vi partecipano, la ricaduta è piuttosto scarsa. Rimane quindi il dubbio se l’offerta di formazione sia correttamente tarata sulle esigenze dei formatori – e indirettamente degli allievi – o se talvolta si raggiungano solo obiettivi di buona socializzazione. È probabile che sia oggettivamente difficile raggiungere una posizione unanime, quanto meno per il numero dei formatori che partecipano ai corsi, ma in genere si ha l’impressione di una diffusa efficacia delle iniziative formative e che i casi di delusione rimangano un po’ isolati. 4. I PUNTI DI DEBOLEZZA Esaurito l’esame dei punti di forza è necessario passare ai punti di debolezza, cioè ai problemi e alle difficoltà che caratterizzano i corsi. Mentre i dati positivi 222 erano facilmente raggruppabili intorno a pochi fattori, le negatività presentano una maggiore varietà, anche se è ugualmente possibile aggregare le osservazioni degli intervistati almeno intorno a tre poli di riferimento: 1. gli aspetti logistici e organizzativi, che raccolgono la maggior parte delle osservazioni; 2. le carenze progettuali, che incidono significativamente sulla qualità dei corsi; 3. la spendibilità concreta dei corsi, talvolta lontani dalla realtà dei CFP. 1. Alla dimensione logistico-organizzativa possono riferirsi tutte le critiche mosse circa le date e i luoghi dei corsi, gli aspetti burocratici, le disfunzioni comunicative, gli squilibri nella composizione dei gruppi di corsisti, le difficoltà dei CFP a sostituire i formatori inviati ai corsi. Ciascuno di questi temi può costituire una sorta di sottogruppo all’interno della dimensione organizzativa. L’aspetto che appare assumere maggiore rilevanza è la collocazione spaziotemporale dei corsi: ci sono infatti problemi di calendario e di collocazione geografica, che sono ovvi ma non per questo meno importanti. Innanzitutto la collocazione temporale costituisce un problema pressoché insolubile, poiché è osservazione quasi unanime che non si possa trovare il periodo ideale per svolgere i corsi. Ma si ha l’impressione che l’insolubilità del problema derivi anche dalla varietà delle persone, che hanno esigenze diverse o vivono in contesti diversi ed è quindi impossibile riuscire a conciliare tutte le loro pur legittime pretese. Soprattutto per i corsi di carattere nazionale è inevitabile dover mediare tra situazioni diversissime e chiedere perciò un minimo di adattamento e sacrificio ad ognuno. Se i corsi si svolgono in luglio, alla fine delle lezioni, ci si arriva con la stanchezza di un intero anno di lavoro, «quando – come dice un formatore – uno è scarico, soprattutto di forze psicologiche perché ha dato tutto quello che poteva dare». Inoltre, finito il corso si va in ferie e si rischia di dimenticare buona parte di quello che si è appreso, quanto meno perché non c’è la possibilità di applicarlo immediatamente. La collocazione estiva spesso va anche ad interferire con le attività di chiusura dell’anno, il riordino dei laboratori, le valutazioni, e si rischia di sommare alla fatica del lavoro di un anno anche l’affanno delle incombenze finali che si sommano. C’è poi anche il rischio della sovrapposizione con iniziative formative di tipo diverso, per cui è necessario dover decidere tra più proposte e quindi dover inevitabilmente rinunciare a qualcosa. Descrive bene la situazione un formatore, secondo il quale «il problema è che poi nella prima settimana di luglio (tanto è sempre quel periodo, più o meno) vien fuori tutto quanto in concomitanza con altri corsi, altri eventi, che magari non c’entrano con il CNOS-FAP; e a volte è capitato che all’ultimo bisogna disdire o non partecipare ai corsi già organizzati da un anno perché ci sono delle sovrapposizioni». 223 A queste difficoltà si aggiungono quelle dei Centri che prolungano la loro attività ordinaria per tutto il mese di luglio e quindi si trovano a non poter mandare nessun formatore ai corsi. Ricorda infatti un Direttore che come CFP «non riusciamo a ricalcare quello che è il calendario scolastico tradizionale. Noi per esempio l’anno scorso abbiamo iniziato i corsi a dicembre per terminarli in terza annualità a fine luglio, il 28 luglio». Ed è ovvio che non si può far assentare un formatore (o addirittura più di uno) per un’intera settimana, quale è la durata dei corsi nazionali. Se invece i corsi si spostano a settembre, vanno ad interferire con le attività di inizio anno; si passa dalle ferie al corso e alla normale attività formativa senza soluzione di continuità e l’affanno che veniva prima denunciato alla fine delle lezioni si trasferisce all’inizio del nuovo anno, andando a pesare su tutta l’attività didattica. Come dice un formatore, «quest’anno al rientro abbiamo fatto un corso la prima settimana di settembre. Per me è stato devastante, nel senso che sono arrivato al primo giorno di scuola che non avevo niente di pronto». Se infine i corsi vengono distribuiti durante l’anno c’è il problema della sostituzione dei partecipanti, con il rischio di bloccare l’ordinaria attività formativa di un Centro, soprattutto se piuttosto piccolo. A giudicare dalla quantità di osservazioni emerse nei focus group, quello delle sostituzioni sembra essere il problema principale. Si tratta di una circostanza ovvia, ma non per questo meno complessa, dato che il personale inviato a frequentare un corso deve per forza essere sostituito se ci si trova nel mezzo dell’anno formativo. Non c’è solo il sovraccarico di lavoro per i colleghi che restano in sede; c’è anche il rischio di non poter assicurare il normale servizio, soprattutto se ci si trova in un CFP di piccole dimensioni: osserva infatti un Direttore che «in un centro di quindici formatori, se tiri via tre, non si fa formazione ». In particolare il problema si può porre nel caso dei cosiddetti richiami a ottobre: anche se di solito si tratta solo di un paio di giorni, il problema rimane ed è particolarmente avvertito perché cade proprio nel mezzo dell’attività formativa. Sempre lo stesso Direttore conclude che «se da un lato il richiamare la formazione è senz’altro vantaggioso dal punto di vista didattico, dall’altro lo è meno perché toglie risorse e forze al centro che manda i formatori». Più in generale c’è da dire che, al di là dell’esperienza comunque positiva di muoversi da casa e fare nuovi incontri, per molti la partecipazione a un corso comporta anche l’assenza dalla famiglia e, come osserva con una certa ironia un coordinatore, «stiamo diventando tutti un po’ grandi e abbiamo tutti un po’ famiglia; non è che sia semplice andare via». E tra le considerazioni ironiche può essere il caso anche di ricordare l’imbarazzo di chi, arrivato in camera con il collega, vi ha trovato un letto matrimoniale (che si è provveduto subito a separare). Alle difficoltà di collocazione temporale si possono legare anche quelle di collocazione geografica, dato che anche la sede dei corsi può creare problemi. Da questo punto di vista, i corsi regionali sono più apprezzati perché consentono 224 di rientrare a casa in giornata. Quelli nazionali invece implicano necessariamente un viaggio, che talvolta può essere anche piuttosto lungo. A tale proposito vengono denunciate quelle che agli occhi di qualcuno appaiono delle incongruenze poco comprensibili. Possiamo dirlo con le parole di un orientatore: «i corsi sia a Udine che a Bari li ho trovati tanto fuori mano», soprattutto se poi «a Bari non c’è nessun collega della Puglia» e quindi si avverte come uno spreco di risorse il trasferimento forzato (e inutile) di tanti corsisti. D’altra parte, bisogna anche fare i conti con la geografia: l’Italia è lunga e non si possono organizzare i corsi solo a Roma, Milano o Bologna, che sono collegate meglio con il resto d’Italia e possono offrire anche qualche utile diversivo nel tempo libero («se uno va a Roma, dopo un giro se lo può anche fare», chiosa un formatore). È certamente utile conoscere realtà diverse, ma la dislocazione territoriale dei corsi comporta anche conseguenze economiche non irrilevanti. Alla scelta della sede del corso si collegano infatti le spese di trasporto, che possono incidere notevolmente. Molti ad esempio lamentano le rigide regole di rimborso, che escludono talvolta di poter viaggiare in aereo anche se il biglietto aereo spesso è più conveniente di quello ferroviario. Inoltre, le stesse modalità di rimborso impongono di non acquistare i biglietti on line e di recarsi in stazione, dove qualcuno racconta di non aver più trovato posto dopo aver fatto due ore di fila. E c’è chi si scandalizza «che nel mondo di internet noi non possiamo gestire un biglietto on line e che dobbiamo andare in stazione a farci il biglietto». Si tratta di disfunzioni facilmente rimediabili, ma che sono avvertite sicuramente con fastidio da chi si trova ad esserne vittima. In genere le lamentele parlano genericamente di un eccesso di burocrazia di fatto legata soprattutto alle procedure di rimborso delle spese sostenute. Più in generale, però, si avverte il disagio di chi opera in sedi periferiche, dove risulta difficile anche organizzare le normali integrazioni all’attività formativa. È facile infatti in una grande città organizzare una visita a un’azienda o a una fiera, ma in un centro più piccolo una visita del genere diventa un viaggio o un problema. Completa il quadro delle difficoltà organizzative la scarsa o imperfetta comunicazione che accompagna talvolta la proposta dei corsi. Se l’informazione non circola in maniera tempestiva ed efficace, è chiaro che si creano problemi. Racconta un formatore che il direttore di un centro «aveva 1400 mail da guardare e non le aveva guardate e non aveva avvertito nessuno». Forse c’è un po’ di esagerazione in questo episodio, ma l’abitudine ai nuovi strumenti di comunicazione elettronica può creare talvolta situazioni del genere, per cui è bene utilizzare anche canali alternativi di comunicazione per essere certi di raggiungere effettivamente tutti i destinatari. Ancora sul piano organizzativo possono valere le critiche mosse alla composizione disuguale dei gruppi di corsisti. È ovvio che in un gruppo di apprendimento omogeneo si può procedere più speditamente ma spesso, come osserva 225 un formatore, soprattutto nei corsi di carattere più tecnico, nonostante siano precisati fin dall’inizio i requisiti di partecipazione, «viene gente che neanche ha letto quei requisiti, direttori che mandano formatori che non hanno niente a che vedere con quei requisiti» e allora «succede che il corso va male perché non puoi andare avanti, perché devi stare appresso a quelli che stanno indietro o che non sanno niente». È incisivo, ma preoccupante, l’aneddoto raccontato da un coordinatore a proposito di un corso da lui frequentato sul BLC: «dopo dieci minuti che l’insegnante parlava, ha visto delle facce strane e ha chiesto “tutti sanno cos’è un BLC?” e due hanno alzato la mano e hanno detto di no e quindi abbiamo fatto il corso quasi uguale a quello dell’anno prima». Diverso e più comprensibile può essere invece il divario tra chi «è già sul pezzo», come dicono diversi intervistati, e chi invece deve ancora entrare in situazione: del resto è piuttosto difficile trovare gruppi di corsisti del tutto omogenei e la pluralità di condizioni, quando non è eccessiva, può essere un arricchimento. 2. Il secondo ampio raggruppamento dei punti di debolezza dei corsi di formazione è caratterizzato da alcuni limiti progettuali, che possono avere una ricaduta significativa sulla qualità complessiva degli stessi corsi. In questo ambito si raccolgono meno osservazioni, anche perché alcuni aspetti sono già emersi sul piano organizzativo: quando per esempio si mandano a frequentare un corso formatori con competenze troppo diverse, è chiaro che si sta minando la riuscita del corso. Più in generale, però, vale qui la classica alternativa – già vista in altre circostanze – tra corsi teorici e pratici. Come osserva incisivamente un formatore, «io ho appreso di più in 15-20 minuti di indicazioni del collega, perché mi dà indicazioni utili e concrete, che in quaranta ore». D’altra parte, va anche ricordato che qualcuno ha lamentato l’eccessiva specializzazione di alcuni corsi, che alla fine risultano poco spendibili in classe. In vari casi ritorna inoltre l’utilità di trovarsi a frequentare il corso con un collega dello stesso CFP, perché ciò consente di discutere immediatamente l’applicazione dei contenuti appresi nel proprio contesto di lavoro. È solo il collega infatti che può conoscere le difficoltà poste dall’ambiente di lavoro e che può fare utilmente da “spalla” per verificare la fattibilità di tante proposte. Altro difetto denunciato è la ripetitività dei corsi. C’è chi dice di aver sentito per sette anni sempre lo stesso psicologo sullo stesso argomento e chi si lamenta di corsi inutilmente lunghi, in cui dopo i primi due giorni si continuano a ripetere sempre le stesse cose, con inevitabile spreco di risorse e frustrazione dei partecipanti. Ci sono poi alcuni che hanno lamentato l’impossibilità di conciliare le situazioni diverse di ogni CFP. C’è chi dichiara di essere sempre andato a frequentare corsi nel Nord Est, «dove la situazione è decisamente migliore che non da noi» e di essersi quindi sentito «un po’ avvilito» (ma questo genere di confronti può essere anche stimolante). C’è invece chi vorrebbe che i corsi fossero «più tarati sulla realtà, non solo della FP, ma proprio del centro stesso, perché comunque 226 tre centri hanno tipologie e target differenti; quindi fare un corso standard è sbagliato». Più in generale sembra di notare una certa insofferenza per alcune modalità di conduzione dei corsi, che in qualche caso appaiono poco attente alle singole persone. Da una parte c’è la richiesta di essere maggiormente ascoltati quando si promuove una consultazione per la programmazione di un corso: ricorda un formatore di aver proposto, insieme ad altri, di dedicare un corso all’alta velocità ferroviaria e invece era stato organizzato un corso sui collegamenti marittimi. Aggiunge in proposito un orientatore che «quando la gente che ha quasi cinquant’anni fa delle proposte, poi un minimo si aspetta ...». Dall’altra parte c’è il problema del tempo libero, che andrebbe valorizzato di più, se è vero – come dice un formatore – che è solo negli intervalli dei corsi che si possono discutere i problemi professionali particolari, «confrontare situazioni, metodologie e modi di affrontare gli argomenti del corso, ma anche argomenti esterni». Infine, sempre in relazione alla gestione del tempo libero, che deve essere tenuto presente e valorizzato in quanto tale, c’è chi lamenta «che venga gestito come se fosse una colonia: adesso tutti al corso, poi tutti a mangiare e si va a mangiare là, dopo si va a vedere quella cattedrale, quel teatro, quella piscina». È probabile che ci sia anche una certa dose di insofferenza personale, ma sembra importante preoccuparsi di rispettare un po’ tutte le sensibilità e lasciare ad ognuno i propri spazi vitali. Anche perché, come dice un altro formatore, «a noi ci hanno tagliato le ore libere. Che significa libere? Non l’ho mai capito. Io nelle ore libere faccio più che quando faccio lezione, perché vado a cercare le cose che mi interessano per poi poter fare lezione». 3. L’ultimo aspetto da prendere in considerazione tra i limiti dei corsi è la loro scarsa spendibilità quando si rientra in sede. Il problema si collega alla critica già vista sui corsi troppo teorici, che assumono talvolta un’impostazione troppo astrattamente accademica. Ma sembra che i formatori trascurino la differenza che deve inevitabilmente esserci tra un corso rivolto ad adulti e un corso rivolto ad adolescenti, tra la formazione dei formatori e la formazione degli allievi. Spesso c’è una richiesta di ricette pratiche da applicare senza troppe mediazioni nella propria classe, suggerimenti concreti per risolvere i problemi della vita quotidiana in classe. Come dice un’intervistata, molti corsi «volano troppo alto per il nostro target e volano troppo alto in termini accademici». Non è facile comprendere il significato di un esempio citato, ma ricorre più di una volta e quindi vale la pena ricordare il richiamo alla «bellissima storia di Beethoven, che poi non so né come passarla, né come attivarmi per passarla, né come renderla interessante, né quali strumenti utilizzare». In un altro focus group conferma la stessa impressione il formatore che dice: «mi hanno fatto assaporare cose troppo belle, ci hanno fatto dire cose bellissime; ma poi vivo con questo strappo, prima la cosa bellissima e poi la cosa pratica» 227 Il nodo fondamentale è il livello degli allievi dei CFP, che spesso richiede ai formatori competenze più relazionali che culturali o tecniche. Il divario tra una formazione mirata sull’aggiornamento professionale e una quotidianità in cui prevale il problema della sopravvivenza o della comunicazione impossibile («a volte disturbano anche in maniera violenta, quindi fai fatica ad avere un ambiente tranquillo in cui insegnare») costituisce il filo conduttore di numerosi rilievi critici. È però una sorta di comprensibile sfogo in cui torna ad affacciarsi il disagio – soprattutto relazionale – della vita quotidiana di un CFP. Sul piano cognitivo, come esemplifica un formatore parlando dei suoi allievi, «è difficile studiare inglese perché non sanno l’italiano»: se manca un minimo di competenza grammaticale è difficile agganciare sul vuoto l’apprendimento di una nuova lingua. Ma il problema non è solo intellettuale, perché anche gli esiti formativi sembrano essere piuttosto deludenti, almeno stando alla testimonianza di una formatrice che si domanda «come si possa fornire al mercato del lavoro della gente così». Non si deve dimenticare che talvolta si registra nei CFP la presenza di un 60- 70% di allievi extracomunitari e «spesso ti capita di avere in classe ragazzi che non parlano l’italiano» e che non si sa come coinvolgere. Emerge in diversi intervistati un senso di inadeguatezza, di impotenza, cui si vorrebbe che proprio i corsi per formatori ponessero rimedio, a meno che non si possa contare sul sostegno di qualche specialista in grado di affrontare le situazioni più critiche: c’è chi vorrebbe «uno psicologo o anche un salesiano» e chi osserva che l’importante è la preparazione, perché «non è che basti la figura del prete». Per concludere sulle disfunzioni progettuali può valere dunque la battuta sbrigativa di chi accusa che «chi deve decidere questi corsi non entra in classe». L’analisi dei punti di debolezza dei corsi può risultare alla fine ingenerosa, se ci si ferma a considerare la lista delle lamentele. Nel confronto con i dati positivi, sono questi a prevalere, ma non si devono sottovalutare i difetti, che possono creare malumori capaci di condizionare la stessa fruizione dei corsi. Premesso che non sarà mai possibile mettere d’accordo tutti e che anche alcuni dei problemi sollevati, per esempio in relazione ai tempi e ai luoghi di svolgimento dei corsi, possono riscuotere valutazioni diverse per via della disponibilità personale dei singoli corsisti, sembra importante non trascurare quegli aspetti organizzativi che possono contribuire a creare un gruppo coeso e motivato, dedicando il tempo necessario all’ascolto delle esigenze – formative e personali – di ogni corsista. 5. RICADUTA DELLA FORMAZIONE IN SERVIZIO SULLE ATTIVITÀ DEL CNOS-FAP Nel corso dei focus group si è affrontato anche il tema della ricaduta dei corsi, aspetto fondamentale delle iniziative di Formazione dei formatori, perché se non vi 228 fosse ricaduta sarebbe del tutto inutile promuovere questi corsi o qualsiasi altra iniziativa. L’argomento è stato discusso ampiamente, con varietà di posizioni e testimonianze personali, ma è possibile raggruppare gli esiti dei focus sostanzialmente intorno a quattro forme di polarizzazione: 1. ricaduta scarsa o elevata; 2. ricaduta diretta o indiretta; 3. ricaduta contenutistica o metodologica; 4. ricaduta professionale o motivazionale. In ciascuna coppia il primo elemento corrisponde, in termini assolutamente generali, a una ricerca di immediata spendibilità di quanto appreso nei corsi, mentre il secondo aspetto tende ad esprimere una più mediata efficacia del corso nel tempo. Spesso le tipologie vanno facilmente a sovrapporsi ma in linea di massima sembra di poter adottare questo schema interpretativo per procedere nel nostro resoconto. Come è facile immaginare, le opinioni sono piuttosto varie e i giudizi sulla ricaduta dei corsi frequentati sono legate alle esperienze personali, spesso condi - zionate da fattori soggettivi o ambientali che comunque non devono essere sotto - valutati. 1. Per un primo approccio si può distinguere tra chi ritiene che i corsi frequentati abbiano avuto una scarsa ricaduta e chi invece ritiene che siano stati molto utili, anche se i giudizi sono raramente così radicali e tendono a disporsi in maniera meno oppositiva e più ragionata. I motivi della scarsa ricaduta sono in gran parte prevedibili e riconducibili: a) a problemi organizzativi, soprattutto dovuti a una poco felice collocazione temporale; b) a una ridotta disponibilità economica, che influisce sulla possibilità di mettere in pratica le novità nel proprio Centro; c) alla disparità di condizioni tra i diversi Centri, che non riescono a fruire in maniera efficace di un corso tarato su una inesistente o lontana medietà. Relativamente al primo aspetto (a), tornano alcune obiezioni già sentite sulla collocazione temporale dei corsi e sull’impossibile quadratura del cerchio: se i corsi vengono organizzati subito dopo la fine delle lezioni diventa difficile ritrovare la concentrazione all’inizio del nuovo anno; se sono organizzati poco prima dell’inizio delle lezioni si va ad interferire con l’avvio del nuovo anno formativo e, come dice un formatore, «non c’è nemmeno il tempo di sperimentare le cose imparate». Le difficoltà economiche (b) consistono prevalentemente nella scarsità di mezzi di alcuni CFP, che spesso non sono in grado di procurarsi attrezzature aggiornate e quindi rendono di fatto inapplicabili le novità apprese nei corsi, generando peraltro forme di frustrazione supplementare negli stessi formatori. Si va però dalle posizioni pessimiste di chi si lamenta di non avere l’attrezzatura vista in fabbrica e deve accontentarsi di un simulatore a chi più ottimisti- 229 camente spera «che dopo ci sia anche la possibilità di acquistare una macchina per poter applicare». Anche la disparità di condizioni dei diversi Centri (c) è un fattore in buona parte connesso alla disponibilità economica e comunque poco modificabile. Da un lato ci sono le ineliminabili differenze di collocazione geografica e di contenuti della proposta formativa, dall’altro ci sono le semplici risorse materiali distribuite in maniera disuguale tra tutti i CFP. Come dice un formatore, «nell’area grafica capita proprio quello che si diceva, perché [...] in altri centri capitava che ci dicessero “ok, io faccio il corso, poi vado a casa e come faccio a infondere nei ragazzi ciò che ho metabolizzato in questo corso?”». Al polo opposto si trovano tutti coloro che invece dichiarano di riscontrare una buona ricaduta dei corsi frequentati. Da una parte torna qui la differenza tra i corsi nazionali e quelli locali: come dice un formatore, «un corso fatto nel proprio centro ha un effetto corto, mentre un corso nazionale apre nuovi orizzonti ». Dall’altra si tratta sia di formatori che si riferiscono alla immediata spendibilità dei contenuti appresi (comprensibile soprattutto nel caso di aggiornamenti tecnologici da tradurre rapidamente in pratica didattica), sia di formatori che riconoscono di essere stati positivamente influenzati dalla frequenza di corsi che solo sulla media o lunga distanza hanno rivelato tutta la loro efficacia. Ma questo ci porta a passare al secondo tipo di polarità. 2. Possiamo parlare di una ricaduta diretta nel caso di corsi di aggiornamento tecnico, che vengono facilmente riversati nel lavoro d’aula o di laboratorio. Parliamo invece di una ricaduta indiretta per quei contenuti che tendono a fornire un bagaglio di professionalità pedagogica generale che i formatori possono tesaurizzare per il resto della loro vita professionale e che soprattutto dovrebbe tendere a trasferirsi sull’intera vita del Centro. Nel primo caso può sintetizzare tutto l’osservazione di un formatore che esprime un concetto quanto mai ovvio nel mondo della produzione e della FP: «se i settori smettono di aggiornarsi, tempo cinque anni diventano obsoleti e possono anche chiudere: a livello tecnico più che a livello didattico». Quanto alla ricaduta della partecipazione di un formatore sull’intero centro, più di un intervistato descrive la situazione del formatore che al rientro in sede cerca di trasmettere ai colleghi quanto ha appreso al corso, ma difficilmente funziona il trasferimento a cascata degli apprendimenti. Osserva giustamente un direttore: «C’è chi dice: “torno dal corso, faccio una riunione con tutti i docenti e racconto a tutti quello che ho appreso”. La ricaduta è persa per oltre il 90%. Invece io credo di più a una ricaduta non tanto immediata quanto come processo in cui tu dimostri nei fatti quello che hai imparato ai colleghi, dimostri [...] qualcosa che hai messo in pratica concretamente e che in qualche misura funziona». A questo proposito, ritorna qui la richiesta di inviare ai corsi due o tre colleghi dello stesso CFP. Come dice un formatore, «perché ci sia ricaduta non bisogna 230 andare da soli. [...] Se partecipano a questi corsi due dello stesso centro è vero che i posti di dimezzano (perché se ci sono venti posti vuol dire che partecipano solo dieci centri), però il fatto di condividere il corso con un collega forse dà quella spinta in più per poi calare tutto nella realtà di tutti i giorni. Se sei da solo, torni ma il sistema sta andando in un’altra direzione e tu non hai la forza e la voglia di cambiarlo». 3. Ulteriore chiave di lettura antinomica può essere quella tra la ricaduta, generalmente immediata, di corsi che sono di solito concentrati su contenuti particolari e quella, più a lunga distanza, di corsi di carattere metodologico. Il primo caso coincide in buona parte con i corsi che hanno prevalente carattere di aggiornamento tecnologico. Si tratta di nozioni assolutamente necessarie (altrimenti, come si è già detto, si finisce fuori dal mercato del lavoro) e facilmente trasferibili nella didattica quotidiana, dove peraltro incontrano il favore degli allievi che vedono una spendibilità immediata di ciò che stanno apprendendo. Ad esempio, commenta una formatrice che «spesso, specialmente l’insegnante di informatica riporta strumenti nuovi con i quali far lavorare i ragazzi, che magari si trovano più interessati». La facile trasferibilità delle nozioni apprese ha anche un effetto di rinforzo per gli stessi formatori, che vedono maturare rapidamente gli apprendimenti dei propri allievi. È bella, anche se dovrebbe essere esperienza comune per chiunque insegni, la testimonianza di un formatore che dice, parlando di un suo allievo, «fino a ieri gli insegnavo una cosa e adesso vedo che la fa». Diverso, ma ugualmente efficace, è il caso dei corsi a carattere metodologico o di contenuto pedagogico, che per loro natura non forniscono ricette o soluzioni da applicare direttamente nelle classi. Sono occasioni di formazione e di riflessione personale che possono produrre i loro effetti anche a distanza di anni, come testimonia efficacemente un formatore: «ho chiaro il ricordo e la ricaduta anche professionale di un corso psicopedagogico (quindi nulla di tecnico), [...] che ha trasferito tante e tante competenze che scopro a distanza di anni e che probabilmente all’indomani del corso non avrei mai detto di avere acquisito. Attingo spessissime volte a quelle competenze a distanza di tempo». In altre parole, ciò che conta sembra essere soprattutto la capacità di metabolizzare quanto si è appreso in patrimonio personale che possa fruttare sulla breve, media e lunga distanza. Non si deve quindi essere impazienti perché, se il corso ha comunque prodotto una forma di apprendimento, se ha avuto un significato per chi vi ha partecipato, prima o poi produrrà i suoi effetti, anche in maniera del tutto imprevedibile e forse inconsapevole. 4. Infine, l’ultima chiave di lettura può essere quella che si sofferma sull’alternativa tra una ricaduta professionale ed una motivazionale. Possiamo parlare di effetti a livello professionale quando il formatore impara qualcosa di tecnico e specifico che rimane nel suo bagaglio squisitamente professionale. Parliamo invece di effetti di carattere motivazionale quando la rica- 231 duta del corso frequentato si produce soprattutto sulla persona del formatore (a prescindere dalla sua area professionale). È ovvio che il primo caso si riferisce a corsi di carattere tecnico (o anche metodologico, ma sempre in chiave facilmente applicativa); il secondo caso rinvia alle conseguenze di più ampia portata che i corsi possono avere sulla motivazione del formatore, come occasione di complessiva ricarica dei suoi atteggiamenti nei confronti del lavoro che è chiamato a svolgere. Alcuni tendono ad attribuire un’efficacia professionalizzante solo o prevalentemente ai corsi di livello superiore (dove indubbiamente la visibilità dell’aggiornamento è maggiore), mentre al livello base sembrerebbe che la ricaduta sia piuttosto generica. Altri accennano alla cartina di tornasole costituita dagli stage aziendali, in cui gli allievi vengono messi alla prova con i processi da utilizzare nel lavoro quotidiano e in questi casi l’aggiornamento professionale si vede subito (anche perché altrimenti si dovrebbe registrare il fallimento o quanto meno la scarsa utilità di tutta la formazione ricevuta dagli allievi). Più interessanti ci sembrano le testimonianze degli effetti prodotti dai corsi sul piano motivazionale. E qui è in gioco la stessa persona del formatore che, come si è visto altrove, trova nella frequenza dei corsi un’importante occasione di confronto con i colleghi, di scambio di esperienze, di riflessione sulla propria competenza professionale, didattica e, in qualche caso, umana. Un formatore dichiara che i corsi frequentati negli ultimi anni sono stati «una grossissima occasione per rimettermi in gioco in una maniera differente rispetto ai venti anni precedenti di insegnamento qua e quindi è stato un rilancio. [...] Chi partecipa può tornare anche ricaricato e dire “adesso proviamo a fare qualcosa di diverso, di nuovo, di originale, che dà entusiasmo e vitalità a tutto l’ambiente”». Più in generale viene avvertita la possibilità di «tenersi aggiornati su quello che succede nel resto d’Italia», come dice un direttore, o di ricavare dei «giovamenti personali», come annota un coordinatore. Devono purtroppo essere registrate anche esperienze negative sul piano motivazionale, come emerge dalla testimonianza di un tutor a proposito della frequenza di uno dei corsi obbligatori sulla sicurezza, in cui ha imparato a «stabilire le distanze, le proporzioni, le misure delle postazioni di lavoro, i punti di luce del locale, le misure di sicurezza per avere accesso ad un certo tipo di strumentazioni, ma poi vivo in un ambiente di lavoro in cui per aprire le finestre devo salire in piedi sul banco e per scendere devo magari anche mettere il piede sul pc». Questa esperienza, per quanto singola, non può essere sottovalutata perché esprime il disagio della distanza fra le condizioni teoriche che vengono presentate nei corsi e le condizioni reali di lavoro che spesso sono segnate da mille difficoltà cui la buona volontà degli operatori riesce a rimediare solo in parte. Si può quindi concludere con l’appello di un Salesiano intervistato: «Ti mandano al corso, ma poi finisce lì. Spesso il formatore che non viene poi coin- 232 volto in un processo di cambiamento, una cosa per lui significativa, si arricchisce personalmente ma non ha ricaduta sul centro». 6. LE PROPOSTE DEI FOCUS GROUP La maggioranza dei suggerimenti si concentra sui contenuti e le tipologie di competenze su cui la Formazione in servizio dovrebbe concentrare maggiormente le sue offerte. Iniziamo con le proposte che si riferiscono all’allargamento del ventaglio delle conoscenze degli operatori. Nulla o quasi è suggerito a proposito delle discipline tradizionali delle aree scientifica, professionale e delle scienze umane tranne che: per un accenno alla Formazione in servizio nelle materie scientifiche che non si deve limitare ai contenuti, ma fornire le competenze operative per insegnarle in maniera efficace; per alcune indicazioni più consistenti riguardo alle lingue rispetto alle quali bisognerebbe preparare i formatori a leggere i manuali in inglese e a insegnare una disciplina linguistica in una lingua straniera secondo la metodologia “clil” (content and language integrated learning). Probabilmente la scarsità di suggerimenti in questo ambito dipende dall’abbondanza di corsi di aggiornamento nelle aree appena citate. Un gruppo consistente di proposte riguarda il potenziamento della preparazione in tema di pedagogia salesiana. Le ragioni sono varie: «ritengo che Don Bosco abbia avuto delle intuizioni formidabili»; tra il personale il numero dei salesiani è molto diminuito e non infrequentemente i Centri non dispongono neppure di uno di essi; gli attuali formatori spesso mancano di una esperienza precedente dell’ambiente salesiano; la pedagogia salesiana può fornire indicazioni utili per trattare in maniera efficace con allievi «che hanno avuto degli insuccessi e rientrano in formazione dopo aver preso delle bastonate». A parere dei partecipanti ai focus la formazione alla pedagogia salesiana deve essere calata nell’attualità e bisogna evitare che si ripetano per anni i medesimi cliché tradizionali e ormai sorpassati. Un certo numero di partecipanti ai focus propone lo sviluppo di iniziative di Formazione in servizio su tematiche come la salute (in particolare la prevenzione dall’abuso delle droghe), il benessere, l’ecologia e la sicurezza. Sono tutti argomenti di particolare rilevanza per la IeFP, che coinvolgono tutti gli allievi in prima persona e che finora non sarebbero stati offerti in misura corrispondente alla loro importanza. Un altro gruppo di proposte mira a rafforzare e ad ampliare le competenze didattiche, gestionali e organizzative degli operatori del CNOS-FAP. Anzitutto, va registrata la domanda di potenziare l’offerta di Formazione in servizio per preparare figure di sistema quali orientatori, tutor, responsabili DSA (disturbi specifici di apprendimento), DF (diagnosi funzionale) e BES (bisogni educativi speciali). La richiesta riguarda in primo luogo tutta l’area del disagio che 233 trova nella IeFP un’accoglienza non solo ampia e pronta, ma anche particolarmente efficace nella gran parte dei casi, ma che la si vorrebbe sempre tale. Nella stessa linea si colloca la proposta di sviluppare i corsi per la gestione d’aula in modo da realizzare una IeFP sempre più inclusiva. La preoccupazione principale è quella di venire incontro ai bisogni dei ragazzi difficili e problematici che «sono sempre di più ognuno con il suo disagio diverso» da quello degli altri. Tenuto conto del clima generale che caratterizza in questo momento il sistema educativo di istruzione e di formazione e il dibattito su “La buona Scuola” del governo Renzi4, non poteva mancare la richiesta di potenziare l’offerta di aggiornamento a proposito della valutazione. La prima preoccupazione è certamente quella di acquisire le competenze per una valutazione efficace degli allievi, ma non solo, in quanto l’esigenza si estende anche alla valutazione dei formatori e dei singoli Centri. Si riscontrano operatori che denunciano problemi di vario tipo nel relazionarsi con le famiglie. Vi sono genitori con i quali i rapporti sono buoni relativamente al Centro, ma che «ci chiedono un mano per risolvere le difficoltà che incontrano a casa nella gestione dei loro figli». Poi, si riscontrano anche famiglie che non si fanno mai vedere nei CFP per tutto il tempo del percorso formativo del figlio, nono stante che vengano cercate e contattate più volte per telefono. La Formazione in servizio del CNOS-FAP dovrebbe occuparsi più ampiamente ed efficacemente anche di questa area. Un ultimo ambito per il quale sono richiesti interventi di aggiornamento da parte della Sede Nazionale riguarda i rapporti con le aziende. La domanda è in questo caso molto specifica. Si tratta di recuperare l’ambiente delle imprese ai valori della dottrina sociale della Chiesa in un contesto che tende a mettere al centro il profitto e la competizione e invece dimentica le persone soprattutto gli ultimi e il valore della solidarietà sociale. Oltre che dei contenuti e delle competenze, i partecipanti ai focus group si sono occupati anche di avanzare proposte circa le metodologie che la Sede Nazionale dovrebbe privilegiare nella Formazione in servizio. Al primo posto viene indicata una metodologia mista articolata tra aula, formazione a distanza e autoformazione. La metodologia d’aula rimane centrale e la ragione va ricercata nella «presenza in essa del rapporto umano, del gruppo di lavoro, dello scambio e dell’attività operativa». Metodologia d’aula non significa soltanto lezione frontale, anche se questa non può mancare (ma potrebbe essere anche svolta on-line), ma i corsi devono essere interattivi, con molte opportunità di interrelazioni, pratici e di natura laboratoriale «perché si impara facendo», «stimolanti e accattivanti». Una formula che può aiutare è quella dei corsi «dove i formatori poi realizzano il materiale didattico ». Qualcuno suggerisce il ricorso a delle testimonianze: queste possono es- 4 Cfr. sopra cap. 1. 234 sere offerte non solo da competenti di livello scientifico elevato, ma anche da colleghi esperti dello stesso Centro o di altri Centri. Da questo punto di vista possono essere importanti i richiami alla formazione purché però non tolgano risorse e forze al Centro che manda i formatori. Accanto a momenti di incontro fisico e di scambio diretto, dovranno essere previsti momenti di studio personale e di formazione a distanza. Non si può lasciare tutto on-line perché il lavoro nei Centri è molto e le scadenze sono tante e quindi si rischia di iniziare un corso e di non terminarlo più. Può servire per questi momenti fuori dall’aula la condivisione dei contenuti dei corsi e delle unità didattiche perché si tratta di vedere realizzati in pratica da colleghi i contenuti che si sono appresi nelle lezioni frontali. Un supporto significativo per attuare nel Centro ciò che si è appreso nei corsi può essere offerto da formatori dello stesso CFP che hanno partecipato alla medesima iniziativa per cui si suggerisce che la partecipazione alla Formazione in servizio dovrebbe sempre coinvolgere più di un partecipante per Centro. Una proposta che viene avanzata ancora sul piano metodologico riguarda la previsione di un esame finale e di un attestato di qualifica. Infatti, questo potrebbe dare «più senso a quello che uno fa» e «spingerebbe qualcuno a vivere l’esperienza del corso in maniera un po’ meno passiva». Qualcuno suggerisce che ci sia una prova di inizio per verificare il livello di competenza e una finale per valutare gli obiettivi raggiunti. Al tempo stesso bisogna dosare i contenuti per evitare di voler affrontare in un corso di 30 ore un argomento di sei mesi. In questi casi non si tratterebbe più di rilasciare un semplice attestato di frequenza, ma una vera certificazione di competenza. Un ultimo gruppo di proposte riguarda i destinatari, cioè i formatori e più in generale gli operatori. La prima afferma il primato delle esigenze di questi ultimi, non solo professionali e di carriera, ma anche umane, purché funzionali alla qualità del servizio. Due sono gli aspetti su cui si concentrano le indicazioni dei partecipanti ai focus group. Uno di carattere generale insiste sulla necessità da parte della dirigenza del CNOSFAP di sviluppare in estensione e in profondità la motivazione alla Formazione in servizio «perché il formatore non può mai dire di aver finito di imparare» e «perché con il carico di lavoro che si ha rimane ben poco tempo per l’auto-apprendimento [...] per cui abbiamo la necessità di essere costantemente formati in modo da poter offrire un’informazione puntuale». L’altra proposta è molto specifica, ma è opportuno citarla non solo in quanto riflette in modo chiaro il primato dei bisogni formativi degli operatori, ma anche per il riferimento a una istanza che è emersa dall’analisi quantitativa condotta nel capitolo 1 riguardo ai dati dell’archivio, e cioè di una attenzione particolare alle esigenze specifiche degli amministrativi e che si riscontra anche in questo capitolo in una sezione precedente. Una proiezione del primato delle esigenze dei destinatari a livello di tutto il centro è la proposta che le iniziative di Formazione in servizio siano mirate sui sin- 235 goli CFP. Infatti, «un corso fatto in sede è più comodo, è più fruibile, risparmi sul tempo e l’organizzazione e lo puoi fare in contemporanea ai corsi e alle normali attività». Ma la ragione più vera è che la Formazione in servizio ha senso se i suoi effetti si fanno sentire positivamente in ciascun Centro, nei singoli corsi e su ogni formatore e allievo; altrimenti, è solo spreco di risorse. Pertanto gli obiettivi a questo livello vanno identificati nel rinnovamento della IeFP dall’interno e nel miglioramento della pratica pedagogica. Determinante per il successo della Formazione in servizio nel singolo CFP è la creazione di un ambiente che stimoli e sostenga le iniziative di aggiornamento. 237 Conclusioni generali Guglielmo Malizia - Maria Paola Piccini - Sergio Cicatelli Giunti al termine di questo studio non possiamo fare a meno di affrontare la sfida di offrire un panorama sintetico del Rapporto, nonostante le difficoltà che ciò può comportare perché il compito da svolgere consiste nel riportare ad unità un complesso di riflessioni vasto e diversificato non solo per gli argomenti trattati ma anche per le differenti prospettive utilizzate. Le conclusioni riflettono ovviamente l’impostazione del volume: il primo paragrafo delinea in maniera molto essenziale il quadro teorico di riferimento; il secondo propone in sintesi i risultati della ricerca empirica; il terzo è più propositivo e si incentra sulle ipotesi di intervento più importanti che il Rapporto suggerisce. 1. IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO Naturalmente non riprenderemo tutta l’analisi, anche se in formato ridotto, delineata nel capitolo primo, ma ci concentreremo sulla FP in generale e sul CNOSFAP e non più tanto sul piano evolutivo, quanto soprattutto sull’attualità. 1.1. Gli Anni 2000: il formatore della FP nel quadro delle riforme Nel primo decennio del 2000 varie indagini dell’ISFOL consentono di delineare l’evoluzione recente del personale della FP riguardo al numero, al ruolo e alla formazione (ISFOL, 2009, 2007, 2006, 2005, 2004, 2002; Montedoro, 2006). Riguardo al numero, dopo l’aumento consistente degli Anni ‘70, il rallentamento degli Anni ‘80, la riduzione della prima metà del decennio ‘90, nel periodo 1996- 2001 si riscontra una crescita notevole che porta al raddoppio da 25.774 a 52.831 (+102,6%) (ISFOL, 2004; Montedoro, 2006). All’espansione si accompagna una serie di fenomeni che comportano nuove divisioni intra-professionali e accentuano quelle già presenti e su cui ci soffermeremo nel prosieguo. La prima tendenza da segnalare riguarda l’evoluzione del profilo socio-anagrafico di base del personale della FP (ISFOL, 2007, 2006, 2005, 2004, 2002; Montedoro, 2006). Rientra in questo quadro un deciso rallentamento, se non un vero e proprio mutamento di direzione, del fenomeno dell’invecchiamento dei formatori. Da questo punto di vista i dati parlano chiaro nel senso che nel 2006 la loro età media si colloca sui 43 anni e, pertanto, risulta equivalente o di poco più bassa rispetto a quanto riscontrato nelle precedenti indagini, 43,5 nel 2002 e 43,2 nel 2004 (ISFOL, 238 2007). In altre parole, nel sistema della FP accreditata il ricambio generazionale è continuato e probabilmente ciò va attribuito all’avvio dell’accreditamento che ha comportato modalità di selezione e di inclusione di attori e organizzazioni nuove e tradizionali. Ciò ha contribuito a ridurre, anche se indirettamente, un andamento che era emerso in maniera preoccupante nel corso degli anni, quello cioè della obsolescenza delle competenze delle generazioni più anziane del personale, correlato logicamente con il complicarsi delle problematiche sociali e istituzionali da affrontare nella FP. Di fatto, l’evoluzione degli ultimi anni pare realizzare in modo naturale il ricambio generazionale nonostante il mancato avvio di un turn-over pilotato. Un’altra tendenza riguarda la composizione di genere del personale della FP. Infatti, pare che sia in atto una novità veramente storica, quella cioè del sorpasso delle donne rispetto agli uomini soprattutto tra le nuove leve. Nelle rilevazioni campionarie effettuate dall’ISFOL, la componente femminile cresce dal 44,6% del 2002, al 48,9% del 2004, al 53,2% del 2006 (ISFOL, 2007). Passando al quadro delle competenze, incominciamo con la situazione della formazione di base. Anche da questo punto di vista va registrata una novità storica: il 60,7% possiede ormai una laurea: ricordiamo che nel 2002 la percentuale era del 36,7% e nel 2004 del 39,9% (ISFOL, 2007). Ovviamente un andamento opposto si registra tra i diplomati: 56,6%, 54,7% e 35,8% rispettivamente nel 2002, nel 2004 e nel 2006. A loro volta, i titoli meno qualificati sono ormai divenuti marginali e la loro consistenza continua a diminuire, passando dal 6,6%, al 6,4%, al 3,5%. In aggiunta, le formatrici si distinguono per livelli di istruzione più elevati, essendo contemporaneamente più giovani e rappresentate tra le nuove leve; dal punto di vista territoriale sono le zone del Centro Italia ad essere più virtuose. Tenuto conto che l’ultimo anno della rilevazione si caratterizza per la presenza esclusiva di enti accreditati, trattandosi di una condizione ormai obbligatoria ovunque, si può supporre che la realizzazione piena del nuovo dispositivo abbia comportato una forte accelerazione all’elevazione dei titoli dei formatori. Quanto alla formazione in servizio, la percentuale di quanti hanno partecipato a iniziative di questo tipo raggiunge la cifra del 60% e i dati medi sulla frequenza appaiono alquanto alti con 13 corsi quasi per ogni caso analizzato. A sua volta la quota dei formatori che non hanno usufruito di alcuna esperienza in merito risulta piuttosto elevata, collocandosi al 40% e soprattutto preoccupa che sia cresciuta dal 2002 quando era il 26,3%. A parziale spiegazione della crescita si può richiamare il dato relativo all’anzianità professionale che era di 16 anni in media nel 2002 e 2004, mentre nel 2006 scende a 13. Un’altra criticità è riscontrabile anche tra coloro che hanno partecipato a iniziative di formazione in servizio in quanto il 20% ha usufruito al massimo di 1 corso ogni 4 anni di servizio e il 30% di 1 ogni 3, per cui la percentuale di chi ha seguito meno di 1 corso ogni anno di servizio raggiunge la cifra del 62,7% ed è di conseguenza maggioritaria. Se i dati si disaggregano per zone geografiche, la situazione appare migliore nel Nord e ciò in controtendenza con la formazione di base. Emergono pertanto due modelli di competenza che si di- 239 stinguono su base territoriale nel senso che le Regioni settentrionali tendono a valorizzare le competenze specialistiche ed esperienziali, mentre nelle altre risultano meglio ripartite quelle di base. Inoltre, con riferimento alla composizione di genere, il capitale di competenze delle formatrici appare più equilibrato perché alla condizione migliore riscontrata nella formazione di base se ne accompagna una equivalente riguardo alla formazione in servizio. Un’ultima considerazione va riservata alla figura di formatore verso la quale la FP, e più in particolare la IeFP, si sta muovendo in questo inizio del 2000 (Malizia, Nanni e Tonini, 2012; Malizia, Nicoli e Clementini, 2008; Nicoli, 2007, 2009, 2011abc e 2014). Per delinearla bisogna partire dalle mete e dagli standard che regolano il sistema di offerta sotto forma di saperi e competenze, articolati in abilità/ capacità e conoscenze. Tali mete e standard, in quanto livelli essenziali delle prestazioni, mirano alla riconoscibilità e comparabilità degli apprendimenti a garanzia degli utenti e degli altri soggetti coinvolti. Essi costituiscono il parametro di riferimento per la valutazione degli apprendimenti dei destinatari. La competenza non è un fenomeno assimilabile al saper fare, ma un modo di essere della persona che ne valorizza tutte le potenzialità. Lavorare per competenze significa favorire la maturazione negli allievi della consapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà sostenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune. L’elemento centrale di una formazione per competenze è costituito dalla possibilità di privilegiare l’azione, significativa ed utile, in quanto situazione di apprendimento reale ed attivo che consente di porre il soggetto che apprende in relazione “vitale” con l’oggetto culturale da conoscere. Il discente è collocato in tal modo nella condizione di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne sollecita le potenzialità positive. Il sapere si mostra a lui come un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva, implicativa, pratica ed esplicativa. Il formatore diventa, nel procedere secondo questo metodo, oltre che un esperto di una particolare area disciplinare, anche il “mediatore” di un sapere che “prende vita” nel rapporto con la realtà, come risorsa per risolvere problemi ed in definitiva per vivere bene. Ciò comporta, in corrispondenza dei momenti cruciali del percorso formativo, la scelta di occasioni e di compiti che consentano all’allievo di fare la scoperta personale del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso, di condividere con gli altri questa esperienza, di acquisire un sapere effettivamente personale. La metodologia propria dei percorsi di IeFP, nella logica della formazione efficace, mira a selezionare le conoscenze e le competenze chiave irrinunciabili, a disegnare situazioni di apprendimento per laboratori nei quali svolgere esperienze che permettano agli allievi di entrare in rapporto diretto con la conoscenza sotto forma di procedimenti di scoperta e di ricostruzione dell’oggetto così da condurre ad una 240 acquisizione autenticamente personale. Ciò consente di mettere in moto un processo di apprendimento attivo, quindi motivante e finalizzato, così da consentire una valutazione più autentica. Le risorse umane impegnate nelle attività formative devono a loro volta essere caratterizzate da una piena visione professionale fondata sulla libertà di insegnamento, non a carattere prestativo ma tesa ad una formazione efficace. Entro questo quadro, i docenti risultano in grado di operare nella logica del lavoro d’équipe al fine di condividere il progetto formativo e svolgere le attività collegiali di supporto, gestire relazioni educative con i destinatari, programmare, realizzare e valutare occasioni di apprendimento attive ed efficaci all’interno di un particolare ambito del sapere, coordinare e collaborare entro attività a carattere interdisciplinare, impegnarsi all’esterno negli ambienti di apprendimento reali. Questa impostazione richiede il coinvolgimento di una pluralità di figure professionali e necessita di una figura forte di coordinatore dell’équipe. Ciò implica un esplicito riconoscimento giuridico delle specificità professionali e la definizione di un adeguato organico di Centro, che consenta di differenziare l’offerta formativa sia in termini di tipologie di insegnamenti, sia di orari e funzioni. 1.2. L’evoluzione nel CNOS-FAP Completiamo la trattazione sulla FP, richiamando la situazione nella Fede - razione CNOS-FAP che costituisce il quadro di riferimento e l’oggetto di questo studio. 1.2.1. Una crescita quantitativa tendenziale Nei primi quindici anni di vita della Federazione (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP del CNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso è rimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il 30% (cfr. Tav. 1) (Malizia e Tonini, 2012). Sono stati i corsi ad espandersi maggiormente, del 29,9%, passando da 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche i formatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in valori assoluti), anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22,6%). Gli allievi presentano una battuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescita zero (numeri indici 104,8 e 104,7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’aumento è di 1.816, pari al 20,3% in percentuale. A loro volta, i Centri sono in crescita, anche se solo di tre, da 36 a 39, dopo aver registrato nel 1986-87 un aumento di 6. Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che crescono della metà (+53% o +4.375 soggetti) rispetto all’anno di fondazione della Federazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% per cui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106,3% o +9.498) (cfr. Tav. 1). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e il 2001-02 241 sono quasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritornano sui valori del 1986-87, 42 unità e nel 2001-02 si attestano su 54 con un salto del 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001- 02), l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il 1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivo l’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64,8%, pari a 463. Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND) Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri Indici Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Nel 2001-02 oltre la metà degli allievi della Federazione (53,5%) frequentano corsi che in base alla terminologia della riforma Moratti possiamo chiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36,3%) è iscritto alla formazione iniziale, il 10,7% ai corsi dell’obbligo scolastico in integrazione con la scuola e il 5,4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi (8,8%) è collocato nella formazione superiore: il 7,8% nel post-diploma e l’1% negli IFTS. Il 35,8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato (13,9%) e formazione continua di occupati e disoccupati. Gli allievi delle fasce deboli sono 343, pari al 2% circa. In sintesi, intorno agli Anni 2000, si può dire che i CFP del CNOS-FAP siano diventati polifunzionali, presentino cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso abbiano conservato la loro tradizionale attenzione alla fascia 14-18 anni. L’anno formativo 2003-04 è l’anno dell’inizio della sperimentazione dei percorsi formativi triennali in tutte le Regioni. La Federazione CNOS-FAP, in quell’anno, segna un’ulteriore crescita soprattutto nella Formazione Professionale Iniziale realizzando 1.300 corsi di cui quasi 600 nella FPI e servendo 21.561 allievi di cui oltre 6.000 in età tra i 14 e i 18 anni. Un’ulteriore crescita si registra nell’anno formativo 2005-06, l’anno della massima espansione. I corsi formativi realizzati sono stati 1.503 di cui 713 nella FPI e 20.409 allievi di cui quasi 14mila in età tra i 14 e i 18 anni. All’aumento delle attività è corrisposta anche la crescita delle sedi che erano 60 nell’anno formativo 2003-04 e 61 nell’anno 2005-06. Scelte politiche regionali restrittive hanno avuto riflessi consistenti anche sulle attività della Federazione CNOSFAP, determinando la chiusura di molte sedi operative e la contrazione delle attività in varie Regioni quali la Sardegna, l’Abruzzo e la Calabria. Sulla base dell’ultima rilevazione, anno 2013-14 (CNOS-FAP, 2013), in 64 CFP la Federazione CNOS-FAP svolge 1.678 corsi di cui 746 nella FPI, coinvolge 25.374 allievi di cui 14.295 in età Sistema di FP del CNOS-FAP 1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02 VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. Centri 36 100,0 40 111,1 42 116,7 39 108,3 42 116,7 54 150,0 Corsi 411 100,0 448 109,0 477 116,1 534 129,9 698 169,8 1.125 273,7 Allievi 8.937 100,0 9.365 104,8 9.354 104,7 10.753 120,3 13.672 153,0 18.435 206,3 Formatori 714 100,0 777 108,8 827 115,8 875 122,6 880 123,2 1.177 164,8 242 tra i 14 e i 18 anni, 1.437 operatori1, di cui 1.262 a tempo indeterminato: nel periodo considerato è evidente la notevole crescita che si è registrata (cfr. Tav. 2). Tav. 2 – Il sistema di FP del CNOS-FAP nel 2012-13 a confronto con il 2001-02 (inVA e IND) Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri Indici; *Escluse le sedi regionale e nazionale; **Incluse le sedi regionale e nazionale Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP 1.2.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale All’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all’Istituto di Sociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione di elementi della situazione dei Centri della Federazione in riferimento ai requisiti richiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vista della individuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia e Pieroni, 1999; Malizia e Tonini, 2012). La Federazione avvertiva infatti l’esigenza di individuare nuove forme di aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFP o nella Sede Regionale (impegnate in attività di orientamento, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbisogni), essendo questi i ruoli più coinvolti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in particolare, avendo presente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità e rispondente alla logica dell’accreditamento, si intendeva elaborare, con la collaborazione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un processo permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP. Dall’indagine emergeva che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e la meta della polifunzionalità si è rivelata una realtà per molti Centri, la fase di completamento di certi obiettivi richiedeva ancora ulteriori sforzi e nuove strategie d’intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti attraverso il rilevamento, si suggerivano i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizzazione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale. 1. Una prima proposta riguardava il conseguimento della “certificazione” del “sistema qualità”, con tutti i requisiti che tale obiettivo comporta. Sistema di FP del CNOS-FAP 2001-02 2013-14 VA IND. VA. IND. Centri 54 100.0 64 118.5 Corsi 1.125 100.0 1.678 149.2 Allievi 18.435 100.0 25.374 137.6 Operatori 1.601* 100.0 1.437** Non paragonabili 1 Negli ultimi anni le statistiche del CNOS-FAP forniscono dati non più sui formatori, ma sugli operatori: questa è una delle ragioni che ha spinto la Sede Nazionale a promuovere la realizzazione della presente ricerca. 243 2. Andava poi indubbiamente prevista l’introduzione di nuove figure: oltre a quelle che già esistevano nella maggior parte dei Centri, (meglio ancora se come figure di sistema nello staff) e più specificamente: il responsabile dei servizi di sicurezza ed il responsabile della qualità; non ci si nascondeva però che sarebbero state sempre più richieste in un immediato futuro anche quella del responsabile delle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (in vista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampie ed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentemente anche all’esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e sperimentata in una parte degli stessi) di potenziare l’orientamento e le azioni formative a favore di questi soggetti. 3. Un altro passo da compiere in tempi brevi era quello di una sempre più decisa apertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di collaborazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento. 4. Bisognava anche continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell’organizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici: – corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione delle varie figure di formatori; – corsi “ad hoc” per la preparazione di figure specialistiche, con particolare riferimento a quelle da introdurre ex-novo. 5. Si suggeriva pure di effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogata nei CFP della Federazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP polifunzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomia di ogni centro. 6. Un altro passo consisteva nel creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i centri, così da realizzare un’informazione in tempo reale su problematiche emergenti e da socializzare innovazioni e sperimentazioni in atto. 7. Infine, si trattava di ampliare e/o rendere accessibile al maggior numero possibile di centri la partecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali. Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportuno orientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento della formazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del dirittodovere all’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità. Ovviamente, qui richiamiamo solo le indicazioni che riguardano la prima che è l’oggetto di questo studio. 1.2.3. Il potenziamento della formazione dei formatori Anche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondire la conoscenza della situazione della formazione del personale del CNOSLaFORMAZIONE_ 244 FAP, sia di elaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguata degli operatori, sia di predisporre un’ipotesi di standard per i formatori (Malizia, Pieroni e Salatin, 2001). L’indagine evidenziava un posizionamento professionale medio più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri Enti italiani), ma segnalava più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo: – una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello di percezione che di situazioni professionali (es. tra Nord e Sud, tra generazioni e tra salesiani e non salesiani); – un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio: abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perché non aveva mai avuto gravi problemi di domanda e di risorse), non particolarmente preoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodimensionate le competenze marketing e valutazione); – un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collaborava ancora poco con altri soggetti del territorio; ciò poteva essere un limite nella prospettiva del “fare rete”; – unsistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: molto focalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenza di altri servizi (orientamento, accompagnamento, counselling, ...) e un po’ indietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD. Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni della ricerca con un impianto flessibile basato su: – formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondo ciclo per i livelli più alti); – formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità dell’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle formule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero. I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend osservabili a livello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo scenario dell’accreditamento degli operatori: – il livello generale degli operatori appariva in grado di reggere la copertura delle funzioni previste e dei relativi standard (c’era anche di più rispetto agli standard minimi); – si riscontravano segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo dato all’analisi della nuova domanda di formazione; – il modello organizzativo poteva reggere un orientamento alla qualità senza enormi rivoluzioni; – era possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze “salesiane” (sistema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla mission e le competenze professionali richieste. 245 Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva poliennale. Esso si inseriva nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Nazionale alle sedi locali e doveva integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP, ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione della implementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dello sviluppo della contrattazione collettiva di comparto. Dal punto di vista degli obiettivi, il piano aveva carattere strategico e si proponeva di sistematizzare un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado di equilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per il consolidamento di un dispositivo di formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto e fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze individuate come più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente. Il piano assumeva come criteri di base metodologici la distinzione tra la formazione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di interazione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione (in presenza e non). Esso muoveva inoltre dalla consapevolezza della triplice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur sviluppando solo le proposte relative al livello nazionale. Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predisporre un catalogo (cfr. per esempio CNOS-FAP, 2013) che contenesse un’offerta formativa permanente e sistematica per gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più specificamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi: – “sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrare le componenti valoriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta di moduli ‘comportamentali’; – fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto; – fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze più necessarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente; – mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e facilitare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunità di crescita professionale” (CNOS-FAP e Cepof, 2003, 8). Sulla base di queste indicazioni, la formazione dei formatori sembra aver raggiunto una metodologia ed una strutturazione sufficientemente stabili. Vengono proposte attività corsuali residenziali nazionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenziali locali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività di formazione per il personale direttivo, 246 attività di formazione a distanza per tutti gli operatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedagogico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didattica, a quella tecnologica. 2. L’INDAGINE SUL CAMPO Prima di illustrare i risultati della ricerca, è bene richiamare in sintesi le ragioni, gli obiettivi e il disegno di analisi. Se gli allievi sono i destinatari principali dell’attività educativa dei CFP del CNOS-FAP, il motore dei relativi processi va identificato in primo luogo nei formatori. Negli ultimi anni non sono mancate indagini sui giovani che frequentano i Centri di Formazione Professionale, come per esempio quella annuale sul loro successo nella IeFP (Malizia e Pieroni, 2913a e b: Marchioro, 2014; Malizia e Gentile, 2015) o quella del 2013 sui rapporti tra allievi, CFP e famiglia (Orlando, 2014)2, mentre l’ultima ricerca sui formatori risale a più di dieci anni fa (Malizia, Pieroni e Salatin, 2001); era perciò necessario e urgente avviare uno studio su di loro, non tanto su tutti gli aspetti del loro complesso ruolo, quanto su ciò che ne rende possibile l’esercizio efficace, la formazione specialmente in servizio. Gli obiettivi sono riassumibili nei seguenti tre: 1. descrivere lo stato dell’arte della formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale del CNOS-FAP, senza tralasciare di considerare con attenzione anche quelli che non partecipano alle offerte di corsi, per determinarne la consistenza quantitativa, la distribuzione territoriale e per settori, le motivazioni e i giudizi; 2. valutare l’adeguatezza, l’efficienza e l’efficacia dell’offerta di formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale, utilizzando una molteplicità di referenti come per esempio gli stessi formatori e gli altri operatori, i docenti dei corsi di aggiornamento, i Direttori dei CFP, i Segretari nazionali dei settori, i Delegati regionali; questa valutazione dovrebbe mettere in rilievo i punti di forza (eccellenze) e i punti deboli del sistema di formazione dei formatori CNOS-FAP; 3. sulla base dei risultati delle analisi quantitative e qualitative e tenendo conto delle suggestioni dei referenti principali, elaborare una serie di proposte per correggere le possibili criticità, per adeguare la formazione dei formatori e degli altri operatori alle attuali esigenze, per introdurre le necessarie innovazioni e per potenziare l’efficienza e l’efficacia. Quanto al disegno di analisi, la ricerca ha utilizzato una pluralità di strumenti in relazione ai diversi referenti. In questa maniera si è pensato di poter assicurare 2 Solo per richiamare le più recenti. 247 un’analisi in profondità e una sufficiente oggettività nelle valutazioni. In particolare sono stati elaborati i risultati delle schede di gradimento che vengono applicate al termine di ogni corso. Allo scopo di costruire il database di tutti i frequentanti i corsi di formazione e di quelli che non hanno mai partecipato, si sono analizzati l’Archivio dei dipendenti, l’Elenco dei corsi e dei Seminari dei settori professionali. Inoltre, si sono raccolti mediante un questionario i giudizi di operatori che occupano indubbiamente un posto centrale dal lato dell’offerta di formazione e cioè, i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali. Attraverso dei focus group si è realizzato uno studio di casi con cui si sono raccolte le opinioni delle componenti principali dei CFP. 2.1. La situazione degli operatori del CNOS-FAP La crescita notevole che ha caratterizzato l’evoluzione del personale della FP nel periodo 1996-01 sembra che si sia protratta nel CNOS-FAP fino all’anno formativo 2004-05 (ISFOL 2004: Montedoro, 2006; cfr. Tav. 1, cap. 23): infatti, tra il 1999-00 e il 2004-05 gli operatori dell’Ente passano da 1179 a 1812, registrando un incremento di più della metà (53,6%): precisiamo che con la dizione operatori si intendono tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato o determinato, mentre i consulenti sono esclusi dal conteggio. Fra il 2003-04 e il 2006-07 – ma soprattutto nel biennio 2004-05 e 2005-06 – si registra un vero crollo da 1812 a 1266 con una perdita di oltre 40 punti percentuali (46,3%): questo andamento si spiega soprattutto come effetto della chiusura dei Centri in Sardegna e in Abruzzo. Nel periodo successivo (2006-07/2013-14) il numero dei dipendenti senza il personale delle sedi regionali e nazionali si mantiene sostanzialmente stabile e nell’ultimo anno formativo chiude in leggera crescita, +8,8% (rispetto al 2006-07); se ci si riferisce al personale comprensivo delle sedi, l’andamento è molto più piatto, ma termina con una crescita del +7% (o del +9% qualora si prendano in considerazione i dati dell’archivio dipendenti alla data del 03.11.144 che però non sono comparabili con gli altri di cui non conosciamo la data). Passiamo a considerare brevemente le articolazioni del totale degli operatori in base alle loro caratteristiche socio-demografiche e a quelle professionali. Incominciamo con il sesso ed emerge chiaramente la collocazione tradizionale dell’offerta formativa del CNOS-FAP nell’ambito della preparazione allo svolgimento dei mestieri tipicamente maschili: infatti, tra gli operatori gli uomini ammontano ai due terzi circa (65,3%) o a 956 unità, mentre i dati delle donne sono 34,7% e 507 rispettivamente. Questo andamento diverge da quello generale del personale della FP che ha visto negli ultimi anni le femmine sorpassare i maschi (53,2% e 46,8%: ISFOL, 2007), 3 Anche le altre tavole di questa sezione si trovano nel cap. 2. 4 Come si è precisato sopra, l’archivio offre soltanto i dati come si trovano al momento dell’accesso e non quelli diversi di momenti precedenti. 248 Passando all’età, i dati sembrano confermare sostanzialmente per il CNOSFAP il rallentamento che si è verificato nell’invecchiamento dei formatori nella seconda metà del precedente decennio (ISFOL, 2007). Infatti, la tavola 5 evidenzia che il 70% circa (69,0%) degli operatori del nostro Ente si colloca al di sotto dei 50 anni e il 40% quasi (36,3%) ha un’età pari o inferiore ai 40, mentre solo un quarto (25,8%) si situa tra i 51 e i 60 e appena il 5,1% oltre i 60. A livello di circoscrizione geografica, gli operatori del CNOS-FAP si distribuiscono tra una maggioranza relativa nelle Regioni di Nord Ovest (44,2%), più di un quarto al Nord Est (22,1%) e al Sud (21,6%) e intorno al 10% nel Centro (10,6%) (cfr. Tav. 8). Rispetto alla distribuzione degli iscritti alla IeFP nei CFP, le percentuali sono sostanzialmente simili nel Nord Ovest (44,6%) e nel Centro (10,6%), mentre sono alquanto diverse nel Nord Est (32,4%) e nel Sud (12,4%) con il CNOS-FAP che risulta meglio rappresentato nel Meridione e meno nel Nord Est: va tuttavia tenuto presente che il raffronto deve essere preso con molta prudenza per le considerevoli differenze tra i termini di paragone, non ultima la collocazione della Sardegna per noi al Centro e per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al Sud e Isole (2013, p. 32). Dal punto di vista dello stato ecclesiale, gli operatori si distribuiscono tra il 4,8% (70) di salesiani e il 95,2% (1393) di laici (cfr. Tav. 11). Già alla fine degli Anni ‘90 il rapporto tra religiosi e laici nei centri della Confap era molto squilibrato a favore dei secondi (7% e 93% rispettivamente) (CSSC, 1999, p. 322); adesso si è ancora di più abbassato, almeno nei CFP salesiani. La percentuale dei laureati (36,9%) tra gli operatori del CNOS-FAP risulta superiore a un terzo e si avvicina al 40% (cfr. Tav. 13): essa però è notevolmente inferiore a quella dei formatori della FP, anche se il 60,7% raggiunto in proposito nel 2006, appare un poco sospetto dato che nel 2004 si era al 39,9% (ISFOL, 2007). I diplomati sono oltre la metà (53,5%) e la loro consistenza si colloca al di sopra del dato nazionale in misura considerevole (35,8%). Risultano ormai marginali le quote dei qualificati (4,5%), dei licenziati della media (4,1%) e soprattutto di quelli delle elementari (0,3%) e l’andamento è in linea con il trend nazionale; i titoli altri di cui è in possesso lo 0,6% riguardano i master, le scuole di specializzazione e simili. Per quanto si riferisce al tipo di contratto, gli operatori del CNOS-FAP si distribuiscono tra l’87% a tempo indeterminato e il 13% a tempo determinato. Tale rapporto rispecchia sostanzialmente quello esistente a livello nazionale tra i dipendenti che nel 2013 era l’86,8% rispetto al 13,2% (Censis, 2014, p. 187). Passando da ultimo a considerare gli incroci dei profili con le altre variabili socio-demografiche, va anzitutto evidenziato che essi raggiungono la cifra di 1546 che è superiore a quella degli operatori del CNOS-FAP perché alcuni di questi svolgono più funzioni (cfr. Tav. 19). La maggioranza assoluta è costituita dai semplici formatori (807 o 52,2%) a cui si aggiungono quelli che svolgono funzioni intermedie come i tutor (192 o 12,4%), i coordinatori (110 o 7,1%), gli orientatori 249 (36 o 2,3%) e, per noi, anche i progettisti (18 o 1,2%) e i responsabili dei processi (27 o 1,7%) che rimangono sostanzialmente dei formatori: in tutto si tratta di 1190 profili (76,9%). L’area funzionale della direzione ne comprende 65 (4,2%) e più esattamente: 44 direttori di sede operativa (2,8%), 13 (0,8%) direttori di funzione e 8 direttori generali (0,5%). Nell’area funzionale dell’amministrazione i profili ammontano a 136 (8,8%) e comprendono 87 (5,6%) collaboratori amministrativi e 49 (3,2%) responsabili amministrativo-organizzativi. Da ultimo, l’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto include 155 (10,2%) profili e più precisamente: 68 (4,4%) operatori tecnici ausiliari, 4 (0,3%) operatori tecnici della logistica, 69 (4,5%) operatori di segreteria e 14 (0,9%) tecnici dei servizi. Nel complesso si può dire che l’inquadramento delle funzioni del CNOS-FAP rispetta la scelta di fondo dell’Ente di dare la priorità alla formazione in confronto ad altre dimensioni come la direzione, l’organizzazione, l’amministrazione e la logistica; al tempo stesso vengono assicurati una funzionalità sufficiente della leadership ai vari livelli e un minimo di struttura gestionale e tecnica. 2.2. La partecipazione alla Formazione in servizio nel CNOS-FAP: dati quantitativi, qualità e gradimento La tematica è affrontata da due prospettive: quella quantitativa per la quale ci serviremo dei dati dell’archivio del CNOS-FAP e quella qualitativa per la quale attingeremo ai risultati del sondaggio tra i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari dei settori professionali e dei focus group dei 12 CFP. 2.2.1. I dati dell’archivio L’analisi quantitativa sulla formazione in servizio degli operatori del CNOSFAP è limitata agli anni solari 2012 e 2013 perché solo da poco l’Ente ha iniziato a raccogliere sistematicamente i relativi dati. Nel periodo considerato si registra una crescita rispetto al totale sia in valori assoluti da 631 a 677 (+46 o +7,3%) che in percentuale del totale dal 51,2% al 53,6% (+2,4%) (cfr. Tav. 22, cap. 25). Tale cifra è leggermente inferiore a quella riscontrata dall’ISFOL su tutto il territorio nazionale riguardo, però, ai soli formatori, cioè 59,5% (2007). La partecipazione in base al sesso vede una sovra-rappresentazione dei maschi e una sotto-rappresentazione delle femmine (cfr. Tav. 22). In ambedue gli anni gli uomini costituiscono i tre quarti circa del totale e le donne l’altro quarto (75% e 25%; 74,6% e 25,4%, rispettivamente), mentre la proporzione tra gli operatori del CNOS-FAP è nell’anno formativo 2013-14 di due terzi a un terzo quasi (65,3% e 34,7%), come si è osservato sopra (cfr. Tav. 2). La partecipazione alla formazione in servizio dei dipendenti del CNOS-FAP in base all’età registra una sostanziale coincidenza nella distribuzione per coorti nei 5 Questa e le seguenti tavole della presente sezione si trovano nel cap. 2. 250 due anni, 2012 e 2013 (cfr. Tav. 25). Essa si concentra nelle fasce 31-60 anni che riuniscono il 90% circa di quanti hanno usufruito delle offerte messe a disposizione; è invece meno comprensibile che la percentuale si collochi oltre il 30% nelle coorti 31-40 e 41-50, mentre scende sul 25% in quella 51-60 che di per sé ne avrebbe maggiore bisogno. Correttamente la cifra si abbassa al minimo per i più giovani (meno 20-30), mentre appare discutibile la partecipazione modesta dei più anziani (oltre 60). La frequenza alle attività di formazione in servizio dei dipendenti del CNOSFAP secondo la circoscrizione geografica evidenzia delle differenze tra i due anni di riferimento (cfr. Tav. 28). In sintesi, tra il 2012 e il 2013 la percentuale diminuisce da più di un terzo (34,1%) a oltre un quarto (26%) nel Nord Est e cresce dal 40% quasi (37,9%) al 50% circa (46,1%) nel Nord Ovest, mentre rimane nel complesso sufficientemente stabile nel Centro (14,6% e 16,1% rispettivamente) e nel Sud (13,5% e 11,8%). Il confronto con la distribuzione degli operatori del CNOSFAP al 2013-14 vede una sovra-rappresentazione del Nord Est e del Nord Ovest (solo nel 2013), una sostanziale stabilità al Centro e una sotto-rappresentazione al Sud e al Nord Ovest (unicamente nel 2012). Il rapporto tra salesiani e laici nella partecipazione alla formazione in servizio registra una presenza molto modesta dei primi rispetto ai secondi: il 3,3% in confronto al 96,7% nel 2012 e il 3,7% in paragone al 96,7% nel 2013 (cfr. Tav. 31). È un andamento che riflette, un po’ peggiorata, la situazione a livello di tutti gli operatori: 4,8% e 95,2% nel 2013-14. La partecipazione alla formazione in servizio per titolo di studio, se confrontata con la ripartizione degli operatori in base alla medesima variabile nel 2013-14 (cfr. sopra Tav. 13), vede nel 2012 una leggera sovra-rappresentazione di laureati e di diplomati da una parte e dall’altra una modesta sotto-rappresentazione di licenziati della media e l’assenza di quelli delle elementari, mentre nel 2013 le due distribuzioni si avvicinano maggiormente tranne che per l’assenza ancora di licenziati delle elementari nelle attività di aggiornamento (cfr. Tav. 33). Se il punto di riferimento è il tipo di contratto, la partecipazione alla formazione in servizio evidenzia che il totale nei due anni è quasi del tutto costituito da operatori a tempo indeterminato (96,7% e 95% rispettivamente nel 2012 e nel 2013), mentre quelli a tempo determinato sono una percentuale molto esigua (3,3% e 5%) (cfr. Tav. 36). Si capisce la remora a non investire su lavoratori che potrebbero anche lasciare i Centri, o non meritare l’impegno formativo del CNOS-FAP, ma lo scarto notevole con la distribuzione generale degli operatori per tipo di contratto (87% e 13% nel 2013-14: cfr. sopra Tav. 16) richiederebbe probabilmente un riequilibrio tra i due gruppi nella formazione in servizio. La partecipazione alla formazione in servizio in base al profilo registra: nell’area funzionale della direzione una leggera sovra-rappresentazione nel 2012 (5,7%) rispetto al 2013 (5,1%), attribuibile alla frequenza dei direttori di funzione e una altrettanto modesta sovra-rappresentazione di ambedue gli anni rispetto alla 251 percentuale dell’area nel totale degli operatori del CNOS-FAP (4,1%) nel 2013-14, dovuta soprattutto alla frequenza all’aggiornamento dei direttori di sede operativa; nell’area funzionale della erogazione, che è la più consistente, collocandosi oltre i tre quarti, la sovra-rappresentazione, questa volta, del 2013 (91,1%) in confronto al 2012 (85,9%) e di ambedue in paragone al 2013-14 (76,9%), dovuta in particolare ai formatori e nel caso del confronto con il 2013-14 anche ai tutor; nell’area funzionale dell’amministrazione, la sotto-rappresentazione sia del 2012 (5,4%) che del 2013 (ancora di più, 2,3%) rispetto al 2013-14 (8,8%), attribuibile soprattutto ai collaboratori amministrativi; nell’area funzionale della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, lo stesso andamento, anche più accentuato (2,8%, 1,4% e 10,1% rispettivamente), dovuto principalmente agli operatori di segreteria e agli operatori tecnici ausiliari (cfr. Tav. 39). Dopo aver esaminato la partecipazione degli operatori del CNOS-FAP alla formazione in servizio in base alle loro caratteristiche socio-demografiche, passiamo ad un’analisi secondo il tipo delle attività offerte dalla Sede Nazionale dell’Ente. Anzitutto, va evidenziato che il totale di quanti hanno frequentato i vari tipi di offerta è superiore a quello degli operatori che vi hanno partecipato perché alcuni di questi hanno preso parte a più di un tipo e precisamente 887 rispetto a 631 nel 2012 e 924 in paragone a 677 nel 2013 e la differenza è di circa il 40% (40,6% nel primo caso e 36,5% nel secondo), un primo segnale del successo delle iniziative in generale (cfr. Tav. 42). Nella stessa direzione sembra andare anche il dato della crescita che si registra tra i due anni che è in valore assoluti di 37 presenze in più o del 4,2% in percentuale. La distribuzione della frequenza tra le varie attività registra una sostanziale convergenza tra i due anni: la maggioranza assoluta va ai corsi regionali (che corrispondono alla dizione di corsi residenziali regionali/locali, utilizzata nel questionario dei Delegati, Direttori e Segretari dei Settori) che nel biennio crescono leggermente dal 50,2% o 327 nel 2012 al 53,5% o 494; intorno a un quarto/un quinto si collocano i corsi nazionali (che corrispondono alla dizione corsi residenziali nazionali – area delle competenze tecnico-professionali e corsi residenziali nazionali – area delle competenze di base e che sono sostanzialmente stabili a livello percentuale, 23,4% o 208 e 23,9% o 221) e i seminari dei settori professionali (che corrispondono alla dizione seminari tecnici per i formatori del questionario dei Delegati, Direttori e Segretari dei Settori) che segnano una leggera diminuzione percentuale e in valori assoluti dal 19,7% o 175, al 17,7% o 164); le altre tre offerte si collocano al disotto del 5% (i seminari per il personale direttivo che restano stabili a livello percentuale, 4,1% o 36, e 4,1% o 38; i seminari tematici legati ad eventi esterni che diminuiscono in percentuale e in valori assoluti dal 2,1% o 19, allo 0,5% o 5; i corsi FAD che scendono in percentuale e in valori assoluti, ambedue minimi, dallo 0,5% o 4, allo 0,2% o 2). A un primo esame, si può dire che l’ossatura della formazione in servizio del CNOS-FAP è costituita primariamente dai corsi regionali e poi da quelli nazionali e dai seminari dei settori; preoccupa la presenza totalmente marginale della FAD in un mondo dominato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. 252 2.2.2. La prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione Se si passa dalla quantità alla qualità della partecipazione, vanno richiamate anzitutto le valutazioni in proposito dei partecipanti ai focus group. Da un punto di vista complessivo, i corsi di formazione appaiono come un’esperienza importante e ricorrente nella vita dei formatori e sono percepiti come un appuntamento qualificante, sia per la sistematicità del loro svolgimento, sia per i risultati attesi e raggiunti. Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, in genere sembra di poter dire che l’offerta di corsi riesca a raggiungere un po’ tutto il personale e che rimanga fuori solo chi proprio non vuole lasciarsi coinvolgere. La maggior parte degli intervistati è decisamente soddisfatta di questa esperienza, anche perché con l’andare del tempo, una volta sperimentata l’opportunità formativa, si partecipa volentieri e si vorrebbero avere ancora più occasioni di formazione. Nonostante il dato positivo sia il più frequente, sia quantitativamente che qualitativamente, rimane l’impressione di una partecipazione piuttosto disuguale: da una parte qualcuno rimane un po’ isolato e non vuole o non riesce a partecipare; dall’altra si nota un atteggiamento di sufficienza per cui i corsi sono frequentati più per dovere che per piacere o per interesse personale, salvo poi ricredersi a cose fatte. Sui corsi organizzati in modalità FAD il giudizio degli intervistati è pressoché unanimemente negativo: sono poco funzionali, di fatto inutili; qualcuno addirittura non ricorda nemmeno l’argomento del corso scelto e in genere parzialmente frequentato; la frequenza è piuttosto distratta e la qualità dei materiali formativi sembra essere talvolta scadente. Per rimanere all’interno degli strumenti di comunicazione a distanza, un po’ diverso è il giudizio sulla Newsletter CNOS, che è invece ritenuta utile, anche se talvolta contiene troppe informazioni e finisce per essere consultata superficialmente (si segnalano parecchi disguidi nella ricezione per posta elettronica). I più attenti utilizzano anche la rivista cartacea Rassegna CNOS, alla quale viene riconosciuto un alto livello di qualità, anche se pochi la usano come materiale di studio e aggiornamento. I corsi regionali in genere sono dedicati ad argomenti di più immediata spendibilità nell’area professionale, mentre quelli di livello nazionale trattano tematiche più trasversali e generiche. I primi sono forse più apprezzati e partecipati in quanto rispondono ad esigenze immediate di aggiornamento ed offrono una facile trasferibilità dei contenuti appresi nella quotidiana attività d’aula. I corsi nazionali sono in genere considerati di maggior valore, sia per l’impegno che richiedono, sia per il numero ristretto di partecipanti ammessi. I corsi di cultura generale o di formazione pedagogica hanno inevitabilmente una ricaduta a più lunga distanza e talvolta se ne scopre la validità e la stessa utilità solo a posteriori. 253 Sul piano della socializzazione, i corsi nazionali sono ovviamente quelli che offrono maggiori occasioni di incontro e di scambio e sono quindi apprezzati anche per la rete di relazioni che consentono di stabilire o di rafforzare. I corsi regionali rispondono di più a esigenze pratiche locali e di aggiornamento tecnico, consentono l’incontro di operatori che probabilmente già si conoscono e sembrano essere più concentrati sul compito. Se si fa riferimento ai destinatari, i corsi per i direttori sembrano essere quelli di maggior successo: la partecipazione è ampia e regolare e, nonostante il ricordo di qualche isolato disguido organizzativo, assicurano una buona socializzazione tra persone che svolgono la stessa funzione in contesti e condizioni diverse. Spesso risultano aver partecipato non solo i direttori ma anche i coordinatori. Tra le categorie coinvolte viene lamentata la apparentemente scarsa attenzione alle cosiddette figure di sistema, cui si vorrebbe venissero dedicati specifici corsi almeno ogni certo numero di anni. I corsi per i formatori sono invece la maggioranza e devono affrontare un’ampia varietà di argomenti e competenze. Accanto ai corsi di carattere tecnico, che vengono apprezzati ma limitatamente all’aggiornamento che producono, la domanda principale che viene dai partecipanti è quella di fornire strumenti per affrontare le situazioni di emergenza quasi quotidiana che si trovano a vivere con gli allievi. I corsi per formatori lasciano spesso fuori gli amministrativi, che trovano soddisfazione alle loro esigenze solo in corsi specifici. I corsi sono in genere rivolti al personale in servizio e ciò lascia emergere come fattore discriminante la durata del contratto di coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato e che, quindi, possono restare esclusi se il corso cade in un periodo che non rientra nella vigenza del contratto. È generalmente apprezzata la possibilità di avere un coinvolgimento nella progettazione dei corsi, cosa che incide positivamente sui livelli di partecipazione. Come è ovvio, non è sempre possibile far decidere alla base tutte le tematiche da affrontare, anche perché occorre mediare tra opinioni ed esigenze diverse, ma rimane il dato positivo della consultazione allargata. E quanto più è partecipata la decisione, tanto più è avvertito come un limite il numero ristretto di partecipanti, che può lasciare fuori qualcuno ancora sinceramente interessato. Una sintesi di queste posizioni, ma più critica, si può trovare nei risultati del questionario applicato ai Direttori dei Centri, ai Delegati regionali e ai Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali, che costituiscono l’universo di quanti svolgono un ruolo di leadership nella organizzazione e nella gestione dell’Ente. La prima constatazione è che in nessuna delle offerte di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale la qualità della partecipazione viene ritenuta dagli intervistati molto soddisfacente o quasi. Tuttavia, la frequenza di un gruppo consistente di iniziative riceve una valutazione più che abbastanza positiva: si tratta dei corsi residenziali regionali/locali, del 254 contributo dell’apporto tecnologico e formativo delle imprese ai settori/aree, dei seminari per il personale direttivo, di quelli tecnici per i formatori e dei corsi nazionali nell’area delle competenze tecnico professionali. La qualità della partecipazione è considerata abbastanza soddisfacente nel caso dei corsi residenziali nazionali nell’area delle competenze di base, nei progetti internazionali e nelle attività formative con Fonder e si avvicina a tale livello nei seminari tematici legati ad eventi esterni e nei convegni promossi dalla CISI. La valutazione scende a poco soddisfacente riguardo ai corsi FAD. Un indicatore significativo dell’utilità delle offerte di Formazione in servizio promosse dal CNOS-FAP può essere identificato nella valorizzazione che gli operatori riservano alle risorse messe a disposizione a tale scopo dalla Sede Nazionale; in particolare, si tratta della Rassegna CNOS, delle Newsletter, delle pubblicazioni/ ricerche, del Sito del CNOS-FAP, della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP e del Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Anche in questo caso la valutazione dei Delegati, dei Direttori e dei Segretari risulta più critica di quella dei partecipanti ai focus. In sintesi, le risorse messe a disposizione dalla Sede Nazionale per la Formazione in servizio vengono utilizzate tra abbastanza e poco oppure poco. La ragione principale di questa situazione va ricercata in una criticità esterna alle risorse, cioè nella inadeguata socializzazione all’interno dei CFP. In secondo luogo pesa anche una carenza intrinseca ad esse e cioè il fatto che non aiutano a risolvere i problemi dei Centri. Al tempo stesso, va segnalato che in generale non sono eccessivamente teoriche o di livello troppo elevato se non la Rassegna CNOS e le pubblicazioni/ricerche e, comunque, non si possono considerare poco aggiornate. La ricerca sul successo formativo e il Concorso dei capolavori sono le risorse che presentano maggiori forme di valorizzazione e la Rassegna CNOS e le Newsletter quelle che ne hanno di meno. Il Nord è più positivo del Centro e del Sud, i laici dei salesiani, i diplomati dei laureati, i Segretari dei Delegati, i più anziani dei più giovani e i più esperti dei meno. 2.2.3. Il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP Da quando ha ottenuto la certificazione, la Sede Nazionale CNOS-FAP provvede alla somministrazione di questionari di soddisfazione al termine degli interventi di Formazione in servizio, al fine di ottenere suggerimenti e indicazioni utili per le azioni future. I questionari vengono proposti agli operatori a conclusione delle diverse iniziative (corsi residenziali nazionali e regionali, seminari dei settori professionali e corsi per il personale direttivo) e, nel caso dei corsi residenziali nazionali e regionali, dall’anno 2012, una versione modificata del questionario viene somministrata anche ai docenti responsabili della conduzione delle iniziative stesse. In estrema sintesi, analizzando i risultati della rilevazione sistematica del livello di soddisfazione per le attività di Formazione in servizio offerte dal CNOSFAP ai suoi operatori, si individua una ampia area di soddisfazione, soprattutto per quanto concerne gli aspetti legati ai principali soggetti coinvolti, ossia la qualità 255 della docenza e il coinvolgimento dei partecipanti, ma anche l’interesse e l’approfondimento dei temi affrontati. Qualche criticità relativa, anche se in termini molto contenuti, si riscontra riguardo all’approfondimento dei temi trattati, ai materiali didattici e alla funzionalità di aule e di luoghi; la Sede Nazionale è già inter - venuta per ovviare ai primi due problemi, limitando le problematiche da proporre nelle attività di formazione e impegnandosi a migliorare i materiali messi a dispo - sizione. Queste indicazioni sono sostanzialmente coerenti con quanto riscontrato attraverso il questionario somministrato, a distanza di tempo, a Direttori, Delegati e Segretari a cui si è accennato sopra. In particolare, nel caso dei rispondenti a quest’ultimo questionario l’area della soddisfazione ammonta complessivamente all’89,9% (con un giudizio medio che si colloca fra “abbastanza” e “molto soddisfatto”). Al tempo stesso va segnalato che la maggioranza assoluta dei giudizi favorevoli si concentra sulla sufficienza, mentre solo poco più di un terzo dà una valutazione molto positiva. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà impegnarsi nei prossimi anni a invertire l’attuale rapporto tra abbastanza e molto soddisfacente. E, nel dettaglio, risultano essere prevalentemente motivo di soddisfazione, anche in questo caso, aspetti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti nelle diverse attività, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nei CFP e il conseguimento degli obiettivi formativi. 2.3. Punti di forza e di debolezza della formazione in servizio del CNOS-FAP Secondo i partecipanti ai focus group i punti di forza della offerta della Sede Nazionale del CNOS-FAP possono essere divisi in due categorie: da una parte ci sono le varie e numerosissime dichiarazioni che insistono sulla dimensione relazionale e sui contatti umani che accompagnano la frequenza di ogni corso; dall’altra ci si sofferma sui contenuti dei corsi e anche su alcuni aspetti particolari non facilmente classificabili in maniera unitaria. Per quanto riguarda la prima categoria, gli intervistati sono pressoché unanimi nell’indicare come principale punto di forza l’occasione offerta di confrontarsi di persona e di scambiarsi esperienze. I corsi di formazione offrono inevitabilmente l’occasione di: incontrare nuove persone, rivedere vecchi colleghi, stabilire relazioni interessanti e visitare nuovi luoghi. Un aspetto decisivo è infine rappresentato dai contenuti dei corsi, in relazione ai quali i giudizi sono ampiamente positivi. Si va da chi dice che i temi proposti costituiscono «una carta vincente» a chi giudica i «contenuti veramente di alto livello». Ma c’è anche chi trova che, al di là delle occasioni di incontro e della validità formativa per le persone che vi partecipano, la ricaduta è piuttosto scarsa. Rimane quindi il dubbio se l’offerta di formazione sia correttamente tarata sulle esigenze dei formatori – e indirettamente degli allievi – o se talvolta si raggiungano solo obiettivi di buona socializzazione. È probabile che sia oggettivamente difficile raggiungere una posizione unanime, quanto meno per il numero dei formatori che 256 partecipano ai corsi, ma in genere si ha l’impressione di una diffusa efficacia delle iniziative formative e che i casi di delusione rimangano un po’ isolati. Tra i punti di forza sono anche presenti alcuni aspetti particolari che è difficile raggruppare organicamente. Un primo elemento positivo può essere costituito dalla metodologia coinvolgente. Dalle parole di alcuni intervistati emerge un particolare gradimento per corsi di carattere laboratoriale, in cui si sperimenta la possibilità di mettersi concretamente alla prova in situazioni di lavoro. Un ulteriore motivo di apprezzamento viene dalla certificazione delle competenze acquisite a fine corso. Un caratteristico punto di forza è poi costituito dal concorso dei capolavori, un’iniziativa tipicamente salesiana, che viene giudicata «una bella vetrina per il mondo CNOS». Non è solo il concorso in sé a valere, quanto «tutto quello che ci sta dietro», dato che il concorso nazionale mobilita una grande quantità di energie nel corso dell’intero anno. Esaurito l’esame dei punti di forza è necessario passare ai punti di debolezza, cioè ai problemi e alle difficoltà che caratterizzano i corsi, su cui ci soffermeremo più a lungo per offrire alla Sede nazionale elementi precisi su cui basare il proprio impegno migliorativo. Alla dimensione logistico-organizzativa possono riferirsi tutte le critiche mosse circa le date e i luoghi dei corsi, gli aspetti burocratici, le disfunzioni comunicative, gli squilibri nella composizione dei gruppi di corsisti, le difficoltà dei CFP a sostituire i formatori inviati ai corsi. L’aspetto che appare assumere maggiore rilevanza è la collocazione spazio-temporale dei corsi: ci sono infatti problemi di calendario e di collocazione geografica, che sono ovvi ma non per questo meno importanti. Innanzitutto la collocazione temporale costituisce un problema pressoché insolubile, poiché è osservazione quasi unanime che non si possa trovare il periodo ideale per svolgere i corsi. Ma si ha l’impressione che l’insolubilità del problema derivi anche dalla varietà delle persone, che hanno esigenze diverse o vivono in contesti diversi ed è quindi impossibile riuscire a conciliare tutte le loro pur legittime pretese. Soprattutto per i corsi di carattere nazionale è inevitabile dover mediare tra situazioni diversissime e chiedere perciò un minimo di adattamento e sacrificio ad ognuno. Se i corsi si svolgono in luglio, alla fine delle lezioni, ci si arriva con la stanchezza di un intero anno di lavoro, «quando – come dice un formatore – uno è scarico, soprattutto di forze psicologiche perché ha dato tutto quello che poteva dare». Inoltre, finito il corso si va in ferie e si rischia di dimenticare buona parte di quello che si è appreso, quanto meno perché non c’è la possibilità di applicarlo immediatamente. La collocazione estiva spesso va anche ad interferire con le attività di chiusura dell’anno, il riordino dei laboratori, le valutazioni, e si rischia di sommare alla fatica del lavoro di un anno anche l’affanno delle incombenze finali che si sommano. C’è poi anche il rischio della sovrapposizione con iniziative formative di tipo diverso, per cui è necessario dover decidere tra più proposte e quindi dover inevitabilmente rinunciare a qualcosa. 257 A queste difficoltà si aggiungono quelle dei centri che prolungano la loro attività ordinaria per tutto il mese di luglio e quindi si trovano a non poter mandare nessun formatore ai corsi. Ricorda infatti un direttore che, come CFP «non riusciamo a ricalcare quello che è il calendario scolastico tradizionale». Ed è ovvio che in questa situazione non si può far assentare un formatore (o addirittura più di uno) per un’intera settimana, quale è la durata dei corsi nazionali. Se invece i corsi si spostano a settembre, vanno ad interferire con le attività di inizio anno; si passa dalle ferie al corso e alla normale attività formativa senza soluzione di continuità e l’affanno che veniva prima denunciato alla fine delle lezioni si trasferisce all’inizio del nuovo anno, andando a pesare su tutta l’attività didattica. Se infine i corsi vengono distribuiti durante l’anno c’è il problema della sostituzione dei partecipanti, con il rischio di bloccare l’ordinaria attività formativa di un centro, soprattutto se piuttosto piccolo. A giudicare dalla quantità di osservazioni emerse nei focus group, quello delle sostituzioni sembra essere il problema principale. Si tratta di una circostanza ovvia, ma non per questo meno complessa, dato che il personale inviato a frequentare un corso deve per forza essere sostituito se ci si trova nel mezzo dell’anno formativo. Non c’è solo il sovraccarico di lavoro per i colleghi che restano in sede; c’è anche il rischio di non poter assicurare il normale servizio, soprattutto se ci si trova in un CFP di piccole dimensioni. In particolare il problema si può porre nel caso dei cosiddetti richiami a ottobre: anche se di solito si tratta solo di un paio di giorni, il problema rimane ed è particolarmente avvertito perché cade proprio nel mezzo dell’attività formativa. Più in generale c’è da dire che, al di là dell’esperienza comunque positiva di muoversi da casa e fare nuovi incontri, per molti la partecipazione a un corso comporta anche l’assenza dalla famiglia e, come osserva con una certa ironia un coordinatore, «stiamo diventando tutti un po’ grandi e abbiamo tutti un po’ famiglia; non è che sia semplice andare via». Alle difficoltà di collocazione temporale si possono legare anche quelle di collocazione geografica, dato che anche la sede dei corsi può creare problemi. Da questo punto di vista, i corsi regionali sono più apprezzati perché consentono di rientrare a casa in giornata. Quelli nazionali invece implicano necessariamente un viaggio, che talvolta può essere anche piuttosto lungo. A tale proposito vengono denunciate quelle che agli occhi di qualcuno appaiono delle incongruenze poco comprensibili. Possiamo dirlo con le parole di un orientatore: «i corsi sia a Udine che a Bari li ho trovati tanto fuori mano», soprattutto se poi «a Bari non c’è nessun collega della Puglia» e quindi si avverte come uno spreco di risorse il trasferimento forzato (e inutile) di tanti corsisti. Alla scelta della sede del corso si collegano infatti le spese di trasporto, che possono incidere notevolmente. Molti ad esempio lamentano le rigide regole di rimborso, che escludono talvolta di poter viaggiare in aereo anche se il biglietto aereo spesso è più conveniente di quello ferroviario. Inoltre, le stesse modalità di rimborso impongono di non acquistare i biglietti on line e di recarsi in stazione, 258 dove qualcuno racconta di non aver più trovato posto dopo aver fatto due ore di fila. Si tratta di disfunzioni facilmente rimediabili, ma che sono avvertite sicuramente con fastidio da chi si trova ad esserne vittima. In genere le lamentele parlano genericamente di un eccesso di burocrazia di fatto legata soprattutto alle procedure di rimborso delle spese sostenute. Completa il quadro delle difficoltà organizzative la scarsa o imperfetta comunicazione che accompagna talvolta la proposta dei corsi. Se l’informazione non circola in maniera tempestiva ed efficace, è chiaro che si creano problemi. Racconta un formatore che il direttore di un Centro «aveva 1400 mail da guardare e non le aveva guardate e non aveva avvertito nessuno». Forse c’è un po’ di esagerazione in questo episodio, ma l’abitudine ai nuovi strumenti di comunicazione elettronica può creare talvolta situazioni del genere, per cui è bene utilizzare anche canali alternativi di comunicazione per essere certi di raggiungere effettivamente tutti i destinatari. Ancora sul piano organizzativo possono valere le critiche mosse alla composizione disuguale dei gruppi di corsisti. È ovvio che in un gruppo di apprendimento omogeneo si può procedere più speditamente, ma spesso, come osserva un formatore, soprattutto nei corsi di carattere più tecnico, nonostante siano precisati fin dall’inizio i requisiti di partecipazione, «viene gente che neanche ha letto quei requisiti, direttori che mandano formatori che non hanno niente a che vedere con quei requisiti» e allora «succede che il corso va male perché non puoi andare avanti, perché devi stare appresso a quelli che stanno indietro o che non sanno niente». Il secondo ampio raggruppamento dei punti di debolezza dei corsi di formazione è caratterizzato da alcuni limiti progettuali, che possono avere una ricaduta significativa sulla qualità complessiva degli stessi corsi. Alcuni aspetti sono già emersi sul piano organizzativo: quando per esempio si mandano a frequentare un corso formatori con competenze troppo diverse, è chiaro che si sta minando la riuscita del corso. Più in generale, però, vale qui la classica alternativa – già vista in altre circostanze – tra corsi teorici e pratici. D’altra parte, va anche ricordato che qualcuno ha lamentato l’eccessiva specializzazione di alcuni corsi, che alla fine risultano poco spendibili in classe. In vari casi ritorna inoltre l’utilità di trovarsi a frequentare il corso con un collega dello stesso CFP, perché ciò consente di discutere immediatamente l’applicazione dei contenuti appresi nel proprio contesto di lavoro. Altro difetto denunciato è la ripetitività dei corsi. Ci son poi alcuni che hanno lamentato l’impossibilità di conciliare le situazioni diverse di ogni CFP. C’è chi dichiara di essere sempre andato a frequentare corsi nel Nord Est, «dove la situazione è decisamente migliore che non da noi» e di essersi quindi sentito «un po’ avvilito» (ma questo genere di confronti può essere anche stimolante). C’è invece chi vorrebbe che i corsi fossero «più tarati sulla realtà, non solo della FP, ma proprio del Centro stesso, perché comunque tre Centri hanno tipologie e target differenti; quindi fare un corso standard è sbagliato». 259 Più in generale sembra di notare una certa insofferenza per alcune modalità di conduzione dei corsi, che in qualche caso appaiono poco attente alle singole persone. Da una parte c’è la richiesta di essere maggiormente ascoltati quando si promuove una consultazione per la programmazione di un corso. Dall’altra parte c’è il problema del tempo libero, che andrebbe valorizzato di più, se è vero – come dice un formatore – che è solo negli intervalli dei corsi che si possono discutere i problemi professionali particolari, «confrontare situazioni, metodologie e modi di affrontare gli argomenti del corso, ma anche argomenti esterni». Infine, sempre in relazione alla gestione del tempo libero, che deve essere tenuto presente e valorizzato in quanto tale, c’è chi lamenta «che venga gestito come se fosse una colonia». L’analisi dei punti di debolezza dei corsi può risultare alla fine ingenerosa, se ci si ferma a considerare la lista delle lamentele. Nel confronto con i dati positivi, sono questi a prevalere, ma non si devono sottovalutare i difetti, che possono creare malumori capaci di condizionare la stessa fruizione dei corsi. In conclusione, se la valutazione delle varie componenti certamente non boccia la formazione in servizio, ma anzi la promuove, non si può dire che lo faccia a pieni voti. Su tutti gli aspetti menzionati c’è spazio per il miglioramento, anche se in alcuni di più e in altri di meno. Il clima e i docenti (competenza, autorevolezza e disponibilità) sembrano soddisfare maggiormente per cui in questo ambito bisogna solo avere il coraggio di mirare al massimo: gli unici punti su cui si dovrà richiedere ai docenti dei corsi un impegno maggiore riguardano l’efficacia della metodologia didattica, l’approfondimento degli argomenti e dei temi e, anche se in misura inferiore, la chiarezza nell’esposizione degli argomenti. I formatori non sembrano molto coinvolti nei corsi e questa situazione si comprende se si tiene conto che le loro attese formative sono solo abbastanza soddisfatte e gli obiettivi dei corsi risultano solo sufficientemente raggiunti: ecco altri campi in cui si richiedono miglioramenti per passare da ina valutazione discreta ad una ottimale. Pure sul piano organizzativo sono necessari potenziamenti: anzitutto riguardo all’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali e in secondo luogo circa calendario, orari, ospitalità e luogo dei corsi. 2.4. Le ricadute sulle attività formative e didattiche dei Centri Il tema della ricaduta dei corsi è aspetto fondamentale delle iniziative di formazione dei formatori, perché se non vi fosse ricaduta sarebbe del tutto inutile promuovere questi corsi o qualsiasi altra iniziativa. Il parere dei partecipanti ai focus group ci è sembrato più equilibrato di quello di Delegati, Direttori e Segretari per cui ci soffermeremo maggiormente sugli esiti della loro analisi. Anzitutto, si può distinguere tra chi ritiene che i corsi frequentati abbiano avuto una scarsa ricaduta e chi invece ritiene che siano stati molto utili, anche se i giudizi sono raramente così radicali e tendono a disporsi in maniera meno oppositiva e più ragionata. 260 I motivi della scarsa ricaduta sono in gran parte prevedibili e riconducibili: a) a problemi organizzativi, soprattutto dovuti a una poco felice collocazione temporale; b) a una ridotta disponibilità economica, che influisce sulla possibilità di mettere in pratica le novità nel proprio centro; c) alla disparità di condizioni tra i diversi centri, che non riescono a fruire in maniera efficace di un corso tarato su una inesistente o lontana medietà. Al polo opposto si trovano tutti coloro che invece dichiarano di riscontrare una buona ricaduta dei corsi frequentati. Da una parte torna qui la differenza tra i corsi nazionali e quelli locali: come dice un formatore, «un corso fatto nel proprio centro ha un effetto corto, mentre un corso nazionale apre nuovi orizzonti». Dall’altra si tratta sia di formatori che si riferiscono alla immediata spendibilità dei contenuti appresi (comprensibile soprattutto nel caso di aggiornamenti tecnologici da tradurre rapidamente in pratica didattica), sia di formatori che riconoscono di essere stati positivamente influenzati dalla frequenza di corsi che solo sulla media o lunga distanza hanno rivelato tutta la loro efficacia. Possiamo parlare di una ricaduta diretta nel caso di corsi di aggiornamento tecnico, che vengono facilmente riversati nel lavoro d’aula o di laboratorio. Parliamo invece di una ricaduta indiretta per quei contenuti che tendono a fornire un bagaglio di professionalità pedagogica generale che i formatori possono tesaurizzare per il resto della loro vita professionale e che soprattutto dovrebbe tendere a trasferirsi sull’intera vita del centro. Nel primo caso può sintetizzare tutto l’osservazione di un formatore che esprime un concetto quanto mai ovvio nel mondo della produzione e della FP: «se i settori smettono di aggiornarsi, tempo cinque anni diventano obsoleti e possono anche chiudere: a livello tecnico più che a livello didattico». Quanto alla ricaduta della partecipazione di un formatore sull’intero centro, più di un intervistato descrive la situazione del formatore che al rientro in sede cerca di trasmettere ai colleghi quanto ha appreso al corso, ma difficilmente funziona il trasferimento a cascata degli apprendimenti. A questo proposito, ritorna qui la richiesta di inviare ai corsi due o tre colleghi dello stesso CFP. Ulteriore chiave di lettura antinomica può essere quella tra la ricaduta, generalmente immediata, di corsi che sono di solito concentrati su contenuti particolari e quella, più a lunga distanza, di corsi di carattere metodologico. Il primo caso coincide in buona parte con i corsi che hanno prevalente carattere di aggiornamento tecnologico. Si tratta di nozioni assolutamente necessarie (altrimenti, come si è già detto, si finisce fuori dal mercato del lavoro) e facilmente trasferibili nella didattica quotidiana, dove peraltro incontrano il favore degli allievi che vedono una spendibilità immediata di ciò che stanno apprendendo. Diverso, ma ugualmente efficace, è il caso dei corsi a carattere metodologico o di contenuto pedagogico, che per loro natura non forniscono ricette o soluzioni da applicare direttamente nelle classi. Sono occasioni di formazione e di riflessione personale che possono produrre i loro effetti anche a distanza di anni. 261 In altre parole, ciò che conta sembra essere soprattutto la capacità di metabolizzare quanto si è appreso in patrimonio personale che possa fruttare sulla breve, media e lunga distanza. Infine, l’ultima chiave di lettura può essere quella che si sofferma sull’alternativa tra una ricaduta professionale ed una motivazionale. Alcuni tendono ad attribuire un’efficacia professionalizzante solo o prevalentemente ai corsi di livello superiore (dove indubbiamente la visibilità dell’aggiornamento è maggiore), mentre al livello base sembrerebbe che la ricaduta sia piuttosto generica. Altri accennano alla cartina di tornasole costituita dagli stage aziendali, in cui gli allievi vengono messi alla prova con i processi da utilizzare nel lavoro quotidiano e in questi casi l’aggiornamento professionale si vede subito. Più interessanti ci sembrano le testimonianze degli effetti prodotti dai corsi sul piano motivazionale. È qui in gioco la stessa persona del formatore che, come si è visto altrove, trova nella frequenza dei corsi un’importante occasione di confronto con i colleghi, di scambio di esperienze, di riflessione sulla propria competenza professionale, didattica e, in qualche caso, umana. 3. PROPOSTE DI LINEE DI AZIONE Le abbiamo divise in tre aree. Anzitutto, verranno richiamate le indicazioni che la ricerca ha messo in risalto riguardo all’archivio dei dipendenti e al monitoraggio sulla formazione in servizio: in secondo luogo si raccoglieranno tutti i suggerimenti che l’investigazione ha evidenziato circa la consistenza quantitativa e la distribuzione degli operatori e della loro partecipazione alle iniziative di aggiornamento; la terza sezione è mirata a offrire proposte circa le finalità, i contenuti, le metodologie e i destinatari delle attività di formazione in servizio. 3.1. Indicazioni per l’archivio e il monitoraggio dell’Ente Essendo l’archivio dipendenti funzionale, in uso da ormai diversi anni e costantemente aggiornato, si è stabilito di non procedere ex novo all’inserimento dati nella forma classica di una matrice di dati (casi per variabili), ossia una tabella che veda sulle righe gli operatori e sulle colonne le diverse caratteristiche degli stessi operatori. Per le stesse ragioni di opportunità, si è ritenuto più utile non procedere alla costruzione di una nuova cornice di inserimento dati, ma i ricercatori hanno collaborato con la Sede nazionale e, in particolare, con i responsabili del sistema informatico, per ottimizzare il sistema attualmente in uso. Nello specifico, si suggerisce di inserire un filtro per annualità, in modo da poter estrarre le informazioni suddivise per anni solari o formativi e, in merito alla FAD, si consiglia di registrare non soltanto il dato sulle certificazioni effettivamente conseguite, ma di registrare, se tecnicamente possibile, gli accessi e, di conseguenza, gli abbandoni. Si consiglia inoltre, di monitorare periodicamente la composizione socio-demografica dei di- 262 pendenti CNOS-FAP, in modo da valutare il quadro complessivo ogni sei-dodici mesi, assumendo come periodi di riferimento momenti significativi per il CNOSFAP, come l’inizio dell’anno formativo. Quanto ai questionari di soddisfazione utilizzati per la raccolta del gradimento dei partecipanti alla formazione in servizio e dei docenti delle varie offerte, si suggerisce per il futuro, di fare ricorso a una scala di valutazione a passi pari (sei o quattro), eliminando il punto centrale della scala, invitando così gli intervistati a esprimere giudizi inequivocabilmente positivi o negativi. Si suggerisce, inoltre, di modificare le etichette verbali assegnate ai diversi passi della stessa scala di valutazione, poiché la differenza fra i giudizi “insufficiente” e “scarso” non è chiara ed è comunque minima dal punto di vista semantico. Laddove queste modifiche non siano attuabili, si suggerisce di considerare soltanto le percentuali dei giudizi positivi (“buono” + “molto buono”) per confrontarle con le percentuali dei giudizi negativi (“scarso” + “insufficiente”), isolando le percentuali di risposte neutre (“discreto”). 3.2. Un riequilibrio delle politiche del personale e della partecipazione alla formazione in servizio Sulla base dei dati analizzati nella sezione 2.1. si avanzano le seguenti proposte per la politica del personale. 1. Pare auspicabile che il CNOS-FAP cerchi di adeguarsi al trend generale della FP che vede una presenza adeguata delle donne tra gli operatori senza però perdere quelle caratteristiche tradizionali che gli vengono dalla sua origine di Ente di formazione degli allievi. 2. Il Meridione e il Nord Est sembrano due circoscrizioni in cui il CNOS-FAP dovrebbe cercare di aumentare la sua offerta, anche mediante l’impiego di un personale più numeroso, condizionatamente certo alle politiche regionale per la IeFP. 3. Sarebbe grandemente opportuno che la Congregazione Salesiana impegnasse un numero maggiore dei suoi religiosi a servizio della formazione dei giovani degli ambienti popolari che si avviano al lavoro e che rientrano tra i destinatari principali della Società di San Francesco di Sales (Costituzioni della Società di San Francesco di Sales, 2003, art. 27). 4. In tema di qualificazione di base del personale la raccomandazione che si può fare è di aumentare la presenza dei laureati in rapporto ai diplomati. 5. Riguardo alle ripartizione dei profili, risulta un po’ carente la struttura dei servizi di segreteria, di logistica e di supporto, soprattutto di tipo nuovo e avanzato, per la quale si suggerisce un potenziamento. Tenendo conto dei risultati dell’esame dei dati dell’archivio dipendenti si suggeriscono le seguenti misure per un rafforzamento della partecipazione alla formazione in servizio. 263 1. Anzitutto, bisognerebbe aumentare la percentuale degli operatori che frequentano le iniziative di aggiornamento. 2. In secondo luogo, sarebbe giusto un rafforzamento della presenza delle donne. 3. Si suggerisce di potenziare la partecipazione alla formazione in servizio delle coorti più anziane (oltre 50 anni) perché le più esposte al pericolo dell’obsolescenza delle conoscenze e delle competenze. 4. Sul piano della ripartizione delle offerte di iniziative sarebbe dunque auspicabile un potenziamento delle iniziative per il Sud. 5. Un aumento della frequenza dei salesiani sembra un orientamento da adottare nelle politiche dell’Ente, perché sono sotto-rappresentati. 6. Sarebbe necessario un impegno più grande per il completamento, prolungamento e perfezionamento dei livelli inferiori di formazione, mentre sono quelli sufficienti o più elevati a ricevere una maggiore attenzione. 7. Sarebbe auspicabile un riequilibrio della partecipazione alla formazione in servizio tra possessori di contratto a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato a favore dei secondi. 8. La partecipazione cresce più del totale nell’area delle direzione e specialmente dell’erogazione e diminuisce nelle aree dell’amministrazione e della segreteria, della logistica e dei servizi di supporto, un andamento comprensibile, ma che nel lungo termine potrebbe portare a delle conseguenze negative sul piano più strettamente gestionale per cui è auspicabile un riequilibrio a favore delle due aree citate. 9. Bisognerebbe rafforzare nell’offerta di formazione in servizio l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. 3.3. Orientamenti per un potenziamento della Formazione in servizio del CNOS-FAP La soddisfazione manifestata dagli interessati nei confronti della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale è senz’altro notevole, ma la sufficienza rappresenta il voto maggioritario. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà intervenire efficacemente per elevare il livello di tale valutazione a uno più positivo. Un ambito di miglioramento riguarda le mete principali su cui finalizzare in futuro l’offerta della Sede Nazionale. Dalle risposte di Delegati, Direttori e Segretari emerge una visione della Formazione in servizio centrata sul sistema di FP e funzionale alla qualità del servizio, mentre appaiono ignorate del tutto o quasi le attese individuali, non solo di ruolo, di carriera e di guadagno ma anche di formazione spirituale, cosa questa che suona strana in un Ente di ispirazione religiosa come il CNOS-FAP. Anche in questo caso si nota una certa polarizzazione tra salesiani e laici nel senso che i primi tendono a finalizzare la Formazione in servizio al sistema di FP generale e locale e i secondi a dimensioni più significative per i singoli formatori quali l’aggiornamento professionale e la motivazione/rimotivazione. Sarà compito della Sede Nazionale trovare un giusto equilibrio tra le due istanze. 264 Un gruppo di suggerimenti si concentra sui contenuti e le tipologie di competenze su cui la formazione in servizio dovrebbe concentrare maggiormente le sue offerte. Iniziamo con le proposte che si riferiscono all’allargamento del ventaglio delle conoscenze degli operatori. Nulla o quasi è suggerito dai partecipanti ai focus group a proposito delle discipline tradizionali delle aree scientifica, professionale e delle scienze umane. Probabilmente la scarsità di suggerimenti in questo ambito dipende dall’abbondanza di corsi di aggiornamento nelle aree appena citate. In questo campo i Delegati, Direttori e Segretari sono molto più espliciti. La tipologia di competenze su cui si dovrebbe focalizzare nei prossimi anni lo sforzo di rinnovamento è costituita dalle competenze trasversali, una indicazione che sorprende in positivo perché si tratta di competenze non sempre molto valutate dai formatori; al secondo posto e a poca distanza vengono indicate le competenze tecnico-professionali relative ai settori che, sebbene siano già una eccellenza della IeFP salesiana, tuttavia richiedono un costante sviluppo. Meno considerate sono le competenze relative allo sviluppo organizzativo e gestionale delle risorse umane e quelle riguardanti l’area formativa salesiana, ma ambedue esigerebbero una maggiore attenzione le prime perché si tratta di una tipologia in sviluppo e la seconda perché la proposta formativa dei Centri si ispira al carisma salesiano e bisogna riconoscere che i partecipanti ai focus group sono molto più favorevoli dei Delegati, Direttori e Segretari a questa proposta. Uno dei problemi più delicati e importanti che gli Enti di ispirazione cristiana debbono affrontare è l’animazione della loro identità cristiana e carismatica sia per i formatori neoassunti che per quelli in servizio: da questo punto di vista si raccomanda di rafforzare iniziative già esistenti come i percorsi “Insieme per un nuovo progetto di formazione” ed “Etica e deontologia dell’operatore della FP” e di predisporne di nuove. Un certo numero di partecipanti ai focus raccomanda lo sviluppo di iniziative di formazione in servizio su tematiche come la salute (in particolare la prevenzione dalla abuso delle droghe), il benessere, l’ecologia e la sicurezza. Un altro gruppo di proposte mira a rafforzare e ad ampliare le competenze didattiche, gestionali e organizzative degli operatori del CNOS-FAP. Anzitutto, va registrata la domanda di potenziare l’offerta di formazione in servizio per preparare figure di sistema quali orientatori, tutor, responsabili DSA (disturbi specifici di apprendimento), DF (diagnosi funzionale) e BES (bisogni educativi speciali). Nella stessa linea si colloca la proposta di sviluppare i corsi per la gestione d’aula in modo da realizzare una IeFP sempre più inclusiva. Tenuto conto del clima generale che caratterizza in questo momento il sistema educativo di istruzione e di formazione e il dibattito su “La buona Scuola” del governo Renzi, non poteva mancare la richiesta di potenziare l’offerta di aggiornamento a proposito della valutazione. 265 Si riscontrano operatori che denunciano problemi di vario tipo nel relazionarsi con le famiglie. La formazione in servizio del CNOS-FAP dovrebbe occuparsi più ampiamente ed efficacemente anche di questa area. Tra l’altro, in una vera “comunità formativa”, genitori e docenti avrebbero bisogno di fare formazione insieme, superando un certo protagonismo individuale e una certa auto-referenzialità. Oltre che riguardo ai contenuti e alle competenze, i partecipanti ai focus group, sono state avanzate proposte circa le metodologie che la Sede nazionale dovrebbe privilegiare nella formazione in servizio. Al primo posto viene indicata una metodologia mista articolata tra aula, formazione a distanza e autoformazione. La metodologia d’aula rimane centrale e la ragione va ricercata nella «presenza in essa del rapporto umano, del gruppo di lavoro, dello scambio e dell’attività operativa». Metodologia d’aula non significa soltanto lezione frontale, anche se questa non può mancare (ma potrebbe essere anche svolta online), ma i corsi devono essere interattivi, con molte opportunità di interrelazioni, pratici e di natura laboratoriale «perché si impara facendo», «stimolanti e accattivanti». Una formula che può aiutare è quella dei corsi «dove i formatori poi realizzano il materiale didattico». Qualcuno suggerisce il ricorso a delle testimonianze: queste possono essere offerte non solo da competenti di livello scientifico elevato, ma anche da colleghi esperti dello stesso centro o di altri centri. Da questo punto di vista possono essere importanti i richiami alla formazione durante purché però non tolgano risorse e forze al Centro che manda i formatori. Accanto a momenti di incontro fisico e di scambio diretto, dovranno essere previsti momenti di studio personale e di formazione a distanza. Non si può lasciare tutto online perché il lavoro nei centri è molto e le scadenze sono tante e quindi si rischia di iniziare un corso e di non terminarlo più. Può servire per questi momenti fuori dall’aula la condivisione dei contenuti dei corsi e delle unità didattiche perché si tratta di vedere realizzati in pratica da colleghi i contenuti che si sono appresi nelle lezioni frontali. Un supporto significativo per attuare nel centro ciò che si è appreso nei corsi può essere offerto da formatori dello stesso CFP che hanno partecipato alla medesima iniziativa per cui si suggerisce che la partecipazione alla formazione in servizio dovrebbe sempre coinvolgere più di un partecipante per centro. Un proposta che viene avanzata ancora sul piano metodologico riguarda la previsione di un esame fiale e di un attestato di qualifica. Infatti, questo potrebbe dare «più di senso a quello che uno fa» e «spingerebbe qualcuno a vivere l’esperienza del corso in maniera un po’ meno passiva». Qualcuno suggerisce che ci sia una prova di inizio per verificare il livello di competenza e una finale per valutare gli obiettivi raggiunti. Al tempo stesso bisogna dosare i contenuti per evitare di voler affrontare in un corso di 30 ore un argomento di sei mesi. In questi casi non si tratterebbe più di rilasciare un semplice attestato di frequenza, ma una vera certificazione di competenza. 266 Per la formazione in servizio degli insegnanti un ruolo determinante è rivestito dalla supervisione del dirigente (o di una figura di sistema da lui delegata). In prima battuta, questa va concepita come un aiuto fornito dai dirigenti agli insegnanti allo scopo di migliorare la loro pratica nel rispetto della responsabilità primaria che essi hanno nel processo di insegnamento-apprendimento. E forse questo un ambito in cui il CNOS-FAP deve avviare un cammino di riflessione e di proposte. Quanto ai sussidi, sarà necessario potenziare la valorizzazione delle risorse erogate dalla Sede Nazionale, aiutando Delegati, Direttori e Segretari a saperle socializzare ai formatori e agli altri operatori e rendendole più facilmente utilizzabili per risolvere i problemi dei centri attraverso un loro ripensamento sul modello della ricerca sul successo formativo degli allievi e del Concorso nazionale dei capolavori. Un ultimo gruppo di proposte riguarda i destinatari, cioè i formatori e più in generale gli operatori. La prima afferma il primato delle esigenze di questi ultimi, non solo professionali e di carriera, ma anche umane, purché funzionali alla qualità del servizio. Due sono gli aspetti su cui si concentrano le indicazioni dei partecipanti ai focus group. Uno di carattere generale insiste sulla necessità da parte della dirigenza del CNOSFAP di sviluppare in estensione e in profondità la motivazione alla formazione in servizio «perché il formatore non può mai dire di aver finito di imparare» e «perché con il carico di lavoro che si ha rimane ben poco tempo per l’auto-apprendimento [...] per cui abbiamo la necessità di essere costantemente formati in modo da poter offrire un’informazione puntuale». L’altra proposta è molto specifica, ma è opportuno citarla non solo in quanto riflette in modo chiaro il primato dei bisogni formativi degli operatori, ma anche per il riferimento a una istanza che è emersa dall’analisi quantitativa condotta nel capitolo 2 riguardo ai dati dell’archivio, e cioè di una attenzione particolare alle esigenze specifiche degli amministrativi e che si riscontra anche in questo capitolo in una sezione precedente. Una proiezione del primato delle esigenze dei destinatari a livello di tutto il centro è la proposta che le iniziative di formazione in servizio siano mirate sui singoli CFP. Infatti, «un corso fatto in sede è più comodo, è più fruibile, risparmi sul tempo e l’organizzazione e lo puoi fare in contemporanea ai corsi e alle normali attività». Ma la ragione più vera è che la formazione in servizio ha senso se i suoi effetti si fanno sentire positivamente in ciascun centro, nei singoli corsi e su ogni formatore e allievo; altrimenti, è solo spreco di risorse. Pertanto gli obiettivi a questo livello vanno identificati nel rinnovamento della IeFP dall’interno e nel miglioramento della pratica pedagogica. Determinante per il successo della formazione in servizio nel singolo CFP è la creazione di un ambiente che stimoli e sostenga le iniziative di aggiornamento. Inoltre, ai fini di migliorare la frequenza alla Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP bisognerà assicurare: una attenzione mag- 267 giore alla qualità della frequenza, rendendo i contenuti più rispondenti alle esigenze dei formatori e curando meglio la loro selezione più mirata in relazione alle tipologie di offerta; un personale più numeroso nei CFP – ma ciò non dipende dagli Enti di formazione –; una migliore distribuzione del carico di lavoro; un calendario di offerte più rispondente alle disponibilità di tempo dei formatori. 269 Bibliografia ABBIATI G., Bilancio di 50 anni di ricerca sugli insegnanti nella scuola italiana, in “Scuola Democratica” (2014), n. 3, pp. 503-524. ALBANESI C., I focus group, Roma, Carocci, 2004. AMOROSO M., Il coraggio di cambiare. Intervista al prof. Andrea Ichino, in “Tuttoscuola”, 38 (novembre 2013), n. 536, pp. 10-19. ANGORI S., Insegnare. Un mestiere difficile, Roma, Bulzoni, 2003. 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Schema della presente pubblicazione............................................................................... 8 PRIMO CAPITOLO Il quadro di riferimento (G. Malizia - S. Cicatelli)..................................................................................................... 11 1. La base teorica.................................................................................................................... 11 1.1. Le tendenze a livello internazionale............................................................................ 12 1.1.1. Il ruolo degli insegnanti ................................................................................... 12 1.1.2. La formazione degli insegnanti ....................................................................... 13 1.2. Ruolo e formazione degli insegnanti di scuola cattolica ........................................... 18 1.2.1. Essere insegnanti di scuola cattolica oggi....................................................... 18 1.2.2. La formazione iniziale degli insegnanti di scuola cattolica............................ 26 1.2.3. La formazione in servizio ................................................................................ 28 2. L’evoluzione della Formazione dei formatori in Italia .................................................. 32 2.1. Linee generali dell’evoluzione .................................................................................... 32 2.1.1. La questione insegnante................................................................................... 32 2.1.2. La formazione continua ed iniziale degli insegnanti nella riforma Berlinguer (Legge n. 30/2000) .................................................. 34 2.1.3. Un nuovo modello di insegnante: la riforma Moratti e il Decreto legislativo n. 227/2005.................................. 37 2.1.4. Insegnanti, risorse e razionalizzazione del sistema: il Ministero Gelmini......................................................................................... 39 2.1.5. Il piccolo cabotaggio dei Ministeri Profumo e Carrozza................................ 44 2.1.6. Il ministero Giannini e “La Buona Scuola”: solo annunci o anche fatti? .............................................................................. 47 2.2. Il caso della FP............................................................................................................ 50 2.2.1. Dal dopoguerra agli Anni ‘80: l’inizio dello sviluppo.................................... 50 2.2.2. Gli Anni ‘90: la nuova cultura organizzativa e le funzioni del formatore ..... 54 2.2.3. Gli Anni 2000: il formatore della FP nel quadro delle riforme ...................... 59 2.2.4. L’evoluzione nel CNOS-FAP .......................................................................... 62 278 SECONDO CAPITOLO Operatori del CNOS-FAP e Formazione in servizio. Il Quadro dei Dati dell’Archivio dell’Ente (G. Malizia - M.P. Piccini)................................................................................................... 69 1. L’archivio dipendenti del CNOS-FAP ............................................................................. 69 2. La situazione degli operatori del CNOS-FAP all’anno formativo 2013-14 ................. 71 3. La Formazione in servizio degli operatori del CNOS-FAP negli anni 2012 e 2013 ... 91 4. Conclusioni.......................................................................................................................... 131 4.1. La condizione degli operatori del CNOS-FAP ........................................................... 131 4.2. La situazione della Formazione in servizio degli operatori del CNOS-FAP............. 134 4.3. La situazione nelle Regioni ......................................................................................... 137 TERZO CAPITOLO A confronto sulla Formazione in servizio del CNOS-FAP. Delegati regionali, Direttori dei CFP e Segretari Nazionali dei Settori e delle Aree professionali (G. Malizia - M.P. Piccini)................................................................................................... 145 1. Questionario e modalità di raccolta delle informazioni ................................................ 146 2. Procedure di codifica e di analisi dei dati........................................................................ 146 3. I rispondenti ........................................................................................................................ 147 4. La partecipazione ai corsi di Formazione in servizio .................................................... 152 5. Punti di forza e di criticità: un bilancio........................................................................... 164 6. Ricaduta della Formazione in servizio sulle attività del CNOS-FAP .......................... 168 7. Proposte per il miglioramento della Formazione in servizio del CNOS-FAP............. 176 8. Osservazioni conclusive ..................................................................................................... 178 QUARTO CAPITOLO Soddisfazione per le attività di Formazione in servizio (M.P. Piccini)........................................................................................................................ 187 1. Soddisfazione per i corsi residenziali nazionali .............................................................. 189 2. Soddisfazione per i corsi residenziali locali ..................................................................... 193 3. Soddisfazione per i seminari dei settori professionali e per i seminari per i Direttori 199 4. Osservazioni conclusive ..................................................................................................... 202 QUINTO CAPITOLO Studio di dodici casi mediante focus group (S. Cicatelli - M.P. Piccini - G. Malizia)............................................................................ 205 1. Nota metodologica sui focus group .................................................................................. 205 2. La partecipazione alle attività di Formazione in servizio ............................................. 209 3. I punti di forza dell’offerta della Sede Nazionale del CNOS-FAP............................... 216 4. I punti di debolezza ............................................................................................................ 221 5. Ricaduta della Formazione in servizio sulle attività del CNOS-FAP .......................... 227 6. Le proposte dei focus group.............................................................................................. 232 279 CONCLUSIONI GENERALI (G. Malizia - M.P. Piccini - S. Cicatelli)............................................................................ 237 1. Il quadro teorico di riferimento........................................................................................ 237 1.1. Gli Anni 2000: il formatore della FP nel quadro delle riforme................................. 237 1.2. L’evoluzione nel CNOS-FAP ....................................................................................... 240 1.2.1. Una crescita quantitativa tendenziale .............................................................. 240 1.2.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale ....................................................... 242 1.2.3. Il potenziamento della formazione dei formatori............................................ 243 2. L’indagine sul campo ......................................................................................................... 246 2.1. La situazione degli operatori del CNOS-FAP............................................................. 247 2.2. La partecipazione alla Formazione in servizio nel CNOS-FAP: dati quantitativi, qualità e gradimento ....................................................................... 249 2.2.1. I dati dell’archivio............................................................................................ 249 2.2.2. La prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione..... 252 2.2.3. Il gradimento delle attività di Formazione in servizio del CNOS-FAP ......... 254 2.3. Punti di forza e di debolezza della formazione in servizio del CNOS-FAP............... 255 2.4. Le ricadute sulle attività formative e didattiche dei Centri........................................ 259 3. Proposte di linee di azione ................................................................................................. 261 3.1. Indicazioni per l’archivio e il monitoraggio dell’Ente............................................... 261 3.2. Un riequilibrio delle politiche del personale e della partecipazione alla formazione in servizio........................................................ 262 3.3. Orientamenti per un potenziamento della Formazione in servizio del CNOS-FAP.. 263 BIBLIOGRAFIA............................................................................................................................ 269 INDICE........................................................................................................................................ 277 281 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. 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